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1<br />

R O M E O “ G i a n n i ”<br />

SERIGHELLI<br />

RICORDI DI GERRA E DI PRIGIONIA


2<br />

ROMEO “Gianni” SERIGHELLI<br />

Romeo Serighelli, per tutti “Gianni”, nasce a <strong>Monza</strong> il 2 Giugno 1922.<br />

Da sempre appassionato del mare «Nella mia famiglia», racconta Serighelli, «Io sono il quinto che ha<br />

servito nella Regia Marina. Il primo è stato il fratello di mia mamma (Fiammanti Romano) che era a<br />

bordo di una unità che ha partecipato alla I^ Guerra Mondiale. Altri tre miei cugini sono stati arruolati<br />

nella Regia Marina. Richiesi, con il consenso di mio padre, il passaggio dalla leva di terra a quella di<br />

mare.» Partecipa così ai corsi premilitari, obbligatori a quei tempi, nella Regia Marina.<br />

Serighelli (indicato dalla freccia) a Sabaudia nel 1938 duranti i corsi premilitari


3<br />

Giunto alle armi (Deposito C.R.E..M) di La Spezia l’11 agosto 1942 e classificato provvisoriamente<br />

Segnalatore R.T. Per l’addestramento lo mandano a La Spezia, poi a Marignano, a seguire un corso<br />

radiotelegrafisti.<br />

Nel novembre del 1942 viene destinato alle scuole C.R.E.M. di Pola dove frequenta il corso di<br />

Cannoniere Puntatore Mitragliere e viene assegnato definitivamente alla categoria di Puntatore<br />

Mitragliere.<br />

1943 - Romeo Serighelli a Pola


4<br />

Infine a Fiume viene imbarcato come puntatore mitragliere sulla motonave “N. Tommaseo” 1 un mezzo<br />

varato da poco, veloce e pesantemente armato dove si imbarca il 16 gennaio 1943.<br />

Modellino della “Ugo Foscolo” gemella della “N. Tommaseo”<br />

Modellino “Tommaseo”<br />

Compito della “Tommaseo” è di fare da scorta ai convogli che viaggiano sulla rotta tra la Tunisia e la<br />

Sicilia. «Noi la chiamavamo la rotta della morte», racconta Serighelli, «perché si sapeva quando si<br />

partiva, ma non se si sarebbe tornati… Quel pezzo di Mediterraneo pullulava di navi, sommergibili e<br />

perfino di aerei inglesi… Altro che mare nostrum!».<br />

3 La M/Nave “N. Tommaseo” faceva parte di un gruppo di 11 navi gemelle costruite nei cantieri navali del Quarnaro e<br />

apparteneva alla classe “Poeti”. Molte di queste navi sono state affondate nella cosiddetta “guerra dei convogli” e altre<br />

sono state requisite dopo la capitolazione dell’Italia. (NdR)


5<br />

LA GUERRA DEI CONVOGLI<br />

La guerra più importante, anche se storicamente meno appariscente, combattuta in Mediterraneo, fu<br />

certamente quella dei convogli, parallela a quella che si combatté, a ruoli rovesciati, in Oceano<br />

Atlantico. Alla Regia Marina si chiedeva, quale compito primario, di mantenere aperte le vie di traffico<br />

con la Quarta Sponda, la Libia, che fu per tutta la durata della guerra combattuta dall'Italia, senza<br />

dubbio il fronte più importante.<br />

1943 - Due immagini di Romeo Serighelli a bordo della “Tommaseo”


6<br />

Un tratto di mare veramente insidioso a causa del costante pattugliamento effettuato dalle forze<br />

aeronavali inglesi di base a Malta.<br />

Un aereo alleato all’attacco di un convoglio nel Mediterraneo<br />

La cartina mostra le possibilità offensive di Malta nei confronti del nostro traffico marittimo. Con aerei,<br />

sommergibili e navi di superficie i britannici possono battere, dall'isola, le rotte obbligate degli italiani.


7<br />

Il 20 marzo 1943 uno dei più pesanti attacchi aerei contro un convoglio quando 21 bombardieri<br />

quadrimotori B24 Liberator e 25 caccia pesanti bimotori P38 attaccarono le motonavi “Marco Foscarini”<br />

e “Niccolò Tommaseo” senza però colpirle e perdendo invece due aerei abbattuti uno dalla torpediniera<br />

“Antares” e un altro dalla scorta aerea germanica.<br />

In quello stesso periodo le nostre scorte ottennero successi non indifferenti contro gli aerei avversari<br />

per un totale di 70 aerei e danneggiando alcuni sommergibili<br />

« il 28 marzo 1943», racconta Serighelli «di ritorno da una missione in Tunisia eravamo ormeggiati al<br />

molo di Napoli quasi affiancati a un grosso mercantile, la “Caterina Costa” 2. Pronto per la franchigia, mi<br />

trovavo sul barcarizzo e proprio in quel momento si è sentita una forte esplosione. Lo spostamento<br />

d’aria provocato dall’esplosione mi ha scaraventato per terra. A quel punto c’è stato un fuggi fuggi<br />

generale pensando ad un attacco aereo (Napoli quasi ogni giorno era sottoposta a bombardamenti). Ma<br />

a distanza di poco tempo un susseguirsi continuo di esplosioni ci fece capire che non si trattava di un<br />

attacco aereo ma di qualche incidente successo sulla nave. Non si è mai saputo quale sia stata la causa<br />

dell’incidente. Chi diceva che la causa fosse stata un corto circuito che aveva provocato un incendio a<br />

bordo e le munizioni che aveva nelle stive scoppiavano una cassetta alla volta, chi invece faceva<br />

trapelare la voce che si fosse trattato di sabotaggio.»<br />

Il relitto della Motonave “Caterina Costa” nel porto di Napoli dopo l’esplosione<br />

⁴ La “Caterina Costa” grosso mercantile di 8000 tonnellate requisita dalla Regia Marina il 21 ottobre 1942, aveva appena<br />

ultimato il carico di munizioni, benzina avio, cannoni, carri armati e 600 soldati, italiani e tedeschi, diretti a Biserta. I giornali<br />

dell’epoca diedero notizia di 549 morti “ufficiali” ma essi furono certamente molti di più.


8<br />

Sulla “Tommaseo” si era appena imbarcato un ragazzo di 19 anni triestino, Romano Gianolla – per tutti<br />

Mario – che si era affezionato in modo particolare a Serighelli. Infatti, ricorda Romeo, «non si staccava<br />

mai da me e ricordo che mi diceva: “Serigheli mi gò paura, stame visin”.»<br />

Il 16 maggio 1943 alle 8,30 del mattino la “Tommaseo” di ritorno da Tunisi viene attaccata da un<br />

sommergibile inglese che la colpisce con un siluro.<br />

«Il ricordo di quei momenti è un tormento che mi ha seguito per tutta la vita e che dura tuttora» dice<br />

Serighelli vistosamente commosso. «Quella mattina io dovevo essere di riposo e Mario di guardia in<br />

postazione alla mitragliera. Solo che Mario mi disse di non sentirsi molto bene e chiese di sostituirlo. Io<br />

accettai e lui si sdraiò vicino alla postazione per riposare. Il siluro lanciato dal sommergibile colpì la<br />

nave a poppa, molto vicino alla nostra posizione. Io venni colpito alla testa dalla canna della<br />

mitragliatrice, persi i sensi per un po’ di tempo. Al mio risveglio vidi che il povero Mario era stato colpito<br />

in pieno volto dal fusto cilindrico della mitragliera ed era morto sul colpo. Quello che mi tormenta ancora<br />

oggi è che dovevo esserci io al posto dove Mario si era steso per riposare. Alla fine della guerra sono<br />

andato a trovare i suoi genitori per spiegare loro l’accaduto e cercando di lenire la loro pena , gli dissi<br />

che non aveva sofferto e che non se ne era nemmeno accorto.»<br />

Necrologio di Romeo “Mario” Gianolla su un giornale di Trieste


9<br />

La “Tommaseo”, gravemente compromessa viene rimorchiata nel porto di Catania dove<br />

successivamente viene distrutta da un bombardamento.<br />

Serighelli viene ricoverato presso l’Ospedale Umberto I° di Catania. Viste le gravi condizioni viene<br />

trasferito per via aerea nell’ospedale della Marina Militare di Roma.<br />

Comunicazione alla famiglia del ferimento di Serighelli<br />

Dopo la convalescenza il giorno 5 agosto 1943 viene trasferito nella contraerea a difesa del porto di<br />

Venezia (Lido di Malamocco).<br />

L’8 settembre 1943 lo sorprende lì.


10<br />

LA “CARICA” DEI MILLE DI FALLINGBOSTEL<br />

Il racconto tratto dal volume “Noi nei Lager” di Luca Frigerio (Ed. Paoline) è pubblicato su gentile concessione<br />

dell’autore.<br />

Romeo Serighelli si guarda attorno, e ancora non riesce a capacitarsi di quel che sta succedendo.<br />

Truppe tedesche, con mitragliatori e mezzi corazzati, hanno circondato e disarmato sul lido di Venezia<br />

centinaia di uomini della Regia Marina, urlando e picchiando chi non obbedisce immediatamente ai loro<br />

ordini. O peggio.<br />

Ma la guerra non doveva essere finita? C’è stato l’armistizio, l’aveva detto la radio, la sera prima… E<br />

allora?<br />

A poche decine di metri da lui, un piccolo gruppo di ufficiali tedeschi sembra valutare la situazione con<br />

secchi commenti. Fra loro, lo si riconosce distintamente per la divisa, c’è anche un ufficiale italiano. Un<br />

loro ufficiale. Uno di quelli che, immediatamente dopo l’annuncio di Badoglio, si è presentato al<br />

comando germanico della piazza veneziana per dichiarare la propria fedeltà a Mussolini e a Hitler.<br />

E ora guarda i suoi ex soldati lì ammassati con rabbia, forse persino con disprezzo. All’improvviso, un<br />

marinaio si stacca dalle <strong>file</strong> di quelli che attendono. Serighelli se ne accorge subito, vicino com’è.<br />

Con rapide falcate l’uomo si trova faccia a faccia con l’ufficiale italiano, che sembra sorpreso. Ma<br />

nessuno ha il tempo di dire nulla.<br />

Il marinaio sfila la pistola dalla fondina di un tedesco e la punta contro il graduato italiano, urlandogli:<br />

“Traditore”. Un colpo, due, tre, in rapida successione, sparati quasi a bruciapelo. L’ufficiale si accascia,<br />

sul volto un’espressione di incredulità più che di dolore.<br />

I tedeschi rimangono immobili: non un gesto, non una parola. Lo sparatore ritorna in mezzo ai suoi, le<br />

mani che gli tremano, lo sguardo fisso per terra.


11<br />

La rotta della morte.<br />

Mappa del viaggio<br />

Romeo Serighelli e gli altri suoi compagni vengono fatti salire su carri ferroviari a Mestre. Il viaggio<br />

durerà nove giorni. Nove giorni d’inferno.<br />

Quaranta persone stipate in un vagone piombato, con un bidone d’acqua e qualche galletta.<br />

Per sdraiarsi e riposare un po’ bisogna fare a turno, venti persone alla volta. Per i bisogni si è riusciti a<br />

fare un buco in un asse del pianale, in un angolo. Si soffoca dal caldo di giorno, si gela di notte.<br />

Romeo Serighelli, come tutti gli altri suoi sventurati compagni di viaggio, si ritrova a pensare come e<br />

perché gli stia capitando tutto ciò.


12<br />

I mille di Fallingbostel<br />

Quando finalmente i portelloni si aprono sono arrivati ad Hannover. In due, sul vagone di Serighelli, non<br />

ce l’hanno fatta. Due giovani di vent’anni che sono morti di crepacuore e di stenti tre giorni prima. Per<br />

settanta ore i loro corpi sono rimasti lì, abbandonati in mezzo ai vivi.<br />

Romeo viene mandato al campo XIB di Fallingbostel.<br />

1944 – Campo di Fallingbostel<br />

Fonte: www.303rdbg.com<br />

E’ un lager di smistamento, assolutamente precario, senza neppure le baracche di legno dove trovare<br />

ricovero, ma solo dei tendoni fatiscenti. Forse i tedeschi e i fascisti italiani pensavano che la cosa si<br />

sarebbe risolta velocemente.


13<br />

Difatti, nei primissimi giorni dal loro arrivo, gli internati italiani vengono fatti schierare davanti a un<br />

manipolo di Camicie Nere, ufficiali e gerarchi della Repubblica di Salò. “Gridate Viva il Duce! e intonate<br />

Giovinezza!” intima uno di quelli alla folla dei prigionieri.<br />

Qualche mormorio, qualche sguardo che s’incrocia, poi, dopo alcuni secondi, risuona nel lager un grido<br />

unanime, come un boato. “Viva il Re!”, e subito dopo parte il motivo della marcia reale, a una sola voce,<br />

potentissimo.<br />

I fascisti sono lividi di rabbia. I tedeschi si sentono presi in giro e vogliono ordinare una decimazione<br />

immediata. Ma sono gli stessi repubblichini a fermarli. Cosa succede se si venisse a sapere questa<br />

storia? Non è il momento di fare dei martiri, ammoniscono.<br />

Non ancora, almeno. Meglio mandarli ai lavori forzati questi badogliani traditori.«Per questo gesto siamo<br />

stati ricordati come “I mille di Fallingbostel”» ricorda Serighelli con un certo orgoglio per il paragone<br />

“garibaldino“.<br />

«Ma noi non ci siamo messi d’accordo, lo posso assicurare. E’ stata una cosa spontanea, nata dal cuore<br />

di tutti noi. I tedeschi ci avevano trattato come bestie, rinchiusi, imprigionati. Ci avevano fatto diventare<br />

dei numeri. E ora volevano toglierci anche la dignità… E noi ci siamo ribellati, ognuno secondo la<br />

propria coscienza».<br />

Baracche Stalag XB


14<br />

Ben presto Serighelli viene costretto a lavorare in un’enorme fabbrica di munizioni, a Treuenbrietzen. 3<br />

Ma in superficie non si vede niente: sembra solo un grande parco, con prati, alberi e macchie di bosco.<br />

Le officine e i laboratori sono tutti sottoterra, e vi si accede da aperture mimetizzate tra la vegetazione.<br />

Treuenbrietzen - La fabbrica di munizioni vista dall’esterno -<br />

Una delle entrate alla fabbrica<br />

Sfiatatoi della fabbrica sotterranea.<br />

Gli impianti lavorano a ciclo continuo, cosicché i deportati sono costretti a turni di dodici ore. Oltre agli<br />

italiani, qui ci sono prigionieri di diverse nazionalità, soprattutto russi e polacchi. E’ un lavoro<br />

massacrante, ma il pericolo maggiore paradossalmente non viene dai tedeschi. Inglesi e americani,<br />

infatti, sanno di questa fabbrica e la cercano incessantemente per distruggerla: i bombardamenti aerei<br />

si fanno ogni giorno più vicini e più precisi.<br />

3 La fabbrica era la Kopp & C. (NdR)


15<br />

«A un certo punto ho capito che se fossi rimasto in quel posto avrei fatto una brutta fine», spiega<br />

Serighelli. «Da tempo io e altri cercavamo di sabotare la produzione, rallentando il lavoro o facendo<br />

apposta degli errori. Ma a un certo punto ho deciso di giocare il tutto per tutto: ho aspettato il momento<br />

giusto, poi, rischiando moltissimo, ho fatto in modo di rimanere ferito a una mano. Una pazzia… Potevo<br />

restare invalido per sempre. Per fortuna mi è andata bene..».<br />

Romeo viene portato al campo ospedale di Luckenwalde per essere curato. A Treuenbrietzen non<br />

tornerà più, per sua fortuna. Qui infatti, alla vigilia della liberazione del campo il 21 aprile 1945, avverrà<br />

uno dei massacri più feroci perpetrati dai tedeschi nei confronti dei prigionieri italiani. 4 Tra questi, molti<br />

amici e compagni di Serighelli, che sarà chiamato, nei giorni immediatamente precedenti il suo rientro<br />

in Italia, a portare testimonianza.<br />

4 La sera del 21 aprile 1945 le truppe sovietiche raggiunsero e occuparono Treuenbrietzen. I guardiani tedeschi dei prigionieri<br />

erano fuggiti e i lavoratori coatti rimasero liberi. Ma i sovietici non si fermarono e il 23 aprile giunse sul posto un reparto<br />

tedesco della Wehrmacht o delle SS. I lavoratori furono ripresi e suddivisi per nazionalità. I militari italiani furono considerati<br />

prigionieri fuggitivi, incolonnati, caricati di cassette di munizioni e avviati a piedi. Il gruppo raggiunse una cava, presso la località<br />

di Weinbergen , e qui i tedeschi aprirono il fuoco: gli italiani furono colpiti a bruciapelo, da una distanza di cinque o sei metri<br />

quattro di loro rimasero incolumi sotto il mucchio degli uccisi. Fra gli assassinati 18 erano marinai.


16<br />

Il lager di Luckenwalde.<br />

Piastrina di riconoscimento di Serighelli nel Lager di Luckenwalde<br />

A Luckenwalde l’ex marinaio della “Tommaseo” è curato da un medico bresciano, il dottor Mauro<br />

Piemonte, capitano di cavalleria e reduce dalla ritirata di Russia, che nel dopoguerra sarà un pioniere<br />

della ricerca sul cancro.<br />

«Fu lui a salvarmi da morte certa», racconta ancora Serighelli. Mentre si trovava in quel Lazaret, infatti,<br />

un giorno arriva un ufficiale delle SS che sta cercando prigionieri da mandare sul fronte polacco, per<br />

scavare trincee anticarro nel tentativo di contrastare l’avanzata dei russi. Una vera e propria condanna a<br />

morte . L’ufficiale tedesco strappa uomini anche dalle corsie dell’ospedale, incurante delle proteste del<br />

personale sanitario: “chiunque riesce a camminare”, urla, “può essere utile”.»<br />

«Il dottor Piemonte, allora mi dice che se voglio salvarmi deve subito riacutizzarmi la ferita che ho alla<br />

gamba causata da una scheggia durante un bombardamento a Biserta. “Ti farò un male tremendo”, mi<br />

avverte, “ma se parti, tu non torni più..”, ricorda Serighelli. Dopo l’intervento, io non riuscivo neppure a<br />

stare in piedi, ma il nazista non era convinto. Forse aveva fiutato qualcosa…<br />

Fatto sta che mi aveva già fatto cenno di seguirlo, quando il medico lo ha bloccato, dicendogli: “Ma non<br />

vede come è conciato? E già quasi un cadavere… Cosa ve ne fate di uno così?”. Allora l’ufficiale<br />

tedesco ha tentennato. Poi, dopo avermi squadrato a lungo, con rabbia, se ne è andato. E cosi mi sono<br />

salvato..». Romeo Serighelli che fino a quel momento ha raccontato con piglio deciso, parlando quasi a<br />

raffica, si ferma, fissando la parete davanti a lui. E il labbro un poco gli trema, per la commozione.


17<br />

Lettera ricevuta da Serighelli nel settembre del 1944<br />

Luckenwalde era un campo enorme, con prigionieri di diverse nazionalità. «Gli americani e gli inglesi<br />

non se la passavano male», ricorda Romeo. «Almeno rispetto a noi… Noi guardavamo con invidia e<br />

stupore i pacchi che arrivavano loro da casa e dalla Croce Rossa: uno alla settimana, con dentro ogni<br />

ben di Dio, viveri, ma anche sigarette e indumenti. Grandi stecche di cioccolato, e certi cibi in scatola<br />

che noi non avevamo mai visto».<br />

Viveri contenuti nel pacco inviato dalla Croce Rossa<br />

«Di biancheria ne avevano così in abbondanza che non si preoccupavano nemmeno di lavarla, quando<br />

calze e mutande erano sporche loro le buttavano via. E noi andavamo vicino ai reticolati per raccattarle,<br />

a rischio di beccarci qualche fucilata dalle guardie. Ma perfino i tedeschi cercavano di farsi dare<br />

qualcosa dagli americani..»


18<br />

«Ma noi no, niente. A noi non arrivavano pacchi da casa, e la Croce Rossa neanche sapeva che eravamo<br />

lì. Per noi italiani la Convenzione di Ginevra semplicemente non esisteva!», sbotta Serighelli.<br />

«I tedeschi , poi, ci trattavano peggio di tutti gli altri prigionieri. Per loro eravamo solo feccia… Ci<br />

davano da mangiare pochissimo e ci obbligavano a fare i lavori più disumani. Ci odiavano, in una parola.<br />

Ogni pretesto era buono per insultarci, per urlarci dietro: “Traditori! Badogliani!”. Ho visto bambini di<br />

neanche dieci anni sputarci addosso…», dice scuotendo la testa, con amarezza, come se non fosse una<br />

cosa possibile, e che invece è accaduta davvero.<br />

Passaporto provvisorio per i “liberi lavoratori civili”


19<br />

Tedeschi aguzzini. Tranne uno.<br />

«Guardi, io non riesco a dimenticare», ci confessa, «né tanto meno perdonare. I tedeschi me ne hanno<br />

fatto passare troppe troppe… Ne vuol sapere una? Un giorno arriva al campo un contadino che dice di<br />

aver bisogno di uomini per lavori nella sua fattoria. Vengo mandato io insieme ad altri due disgraziati.<br />

Era pieno inverno, e faceva un freddo incredibile. Alla fine della mattinata, dopo aver lavorato senza<br />

soste, quel tedesco ci lega a un albero per i piedi, come gli animali, e per mangiare ci porta una<br />

brodaglia con delle bucce di patate. E mentre mangiavamo quello schifo, vedevamo, attraverso la<br />

finestra il contadino che pranzava con la sua famiglia, al caldo, attorno al camino…».<br />

«E tuttavia», ammette Romeo, «non si può fare di tutta l’erba un fascio. Devo riconoscere che anche tra i<br />

tedeschi qualcuno che si è comportato diversamente, con più umanità, c’è stato». Come il proprietario<br />

di un piccolo mobilificio vicino al lager, ad esempio, dove Serighelli viene mandato a lavorare nel<br />

febbraio del 1945, insieme ad altri tre italiani, due spagnoli e due polacchi. Ogni giorno una guardia<br />

armata li scorta fino alla fabbrica, dove devono realizzare casse in legno per mitragliatrici, per poi<br />

riportarli al campo la sera.<br />

«Del nostro gruppo», racconta l’ex marinaio, «io ero l’unico a parlare un po’ il tedesco. Così il padrone<br />

del mobilificio, il “Meister”, come lo chiamavamo noi, ha preso subito a ben volermi e a “usarmi” come<br />

interprete.<br />

Del resto era proprio un brav’uomo, che non ci ha mai fatto un torto, e che soffriva in maniera straziante<br />

per la perdita del figlio sul fronte russo: un ragazzo che aveva più o meno la mia età…»<br />

«Una mattina, nei primi giorni di aprile», continua Romeo, «arriviamo come al solito in fabbrica, ma non<br />

c’è energia elettrica e la produzione è ferma.<br />

Il “Meister” mi chiama e mi fa accomodare nel suo ufficio. “Cosa succede?”, gli domando io. Lui non mi<br />

risponde subito, ma apre un cassetto della scrivania e ne tira fuori una cartina della Germania. Quindi,<br />

col dito, mi indica Luckenwalde, dove eravamo noi, poi Berlino, e infine mi mostra fin dove è arrivata<br />

l’Armata Rossa».<br />

“I russi avanzano velocemente”, mi dice. “Fra una settimana, al massimo due, la guerra è finita. Prendi i<br />

tuoi compagni, tornate al campo, e non muovetevi da lì”. A raccontarla così”, confessa Serighelli,<br />

«sembra una cosa da poco, ma per noi è stato uno shock. C’era veramente da perdere la testa…»<br />

Durante quella stessa notte, i prigionieri rinchiusi nelle baracche sentono un gran trambusto. Al mattino<br />

avranno la conferma di quello che ognuno aveva intuito: i tedeschi, tutti, sono fuggiti. Per quattro giorni<br />

il lager vive una sorta di autogestione. Gli internati sono “liberi”, di fatto, perché non c’è più nessuno a<br />

sorvegliarli, ma non si sa cosa fare, né dove andare.<br />

Si attende che accada qualcosa, e nel frattempo ci si arrangia, procurandosi un po’ da mangiare,<br />

cucendo bandiere improvvisate con stracci raccattati, scrutando il cielo e l’orizzonte. Infine, all’alba del<br />

22 aprile, i carri armati russi abbattono i reticolati ed entrano nel campo. E’ la libertà, quella vera.


20<br />

3 ottobre 1944 – Dichiarazione di rilascio dal Lager di Luckenwalde<br />

Un carro alleato entra in un lager<br />

Rastrellando la zona, i russi hanno trovato e catturato molti dei militari tedeschi che presidiavano il<br />

campo, che vengono così riportati al lager e fatti giudicare dagli stessi internati. Quelli accusati di<br />

crimini e di violenze vengono subito puniti, quelli che si sono macchiati di omicidi giustiziati.<br />

«I russi», ricorda Serighelli, «non andavano troppo per il sottile… Così, quando mi hanno chiesto di<br />

accompagnarli dal padrone del mobilificio dove lavoravo, ho cominciato a preoccuparmi, perché temevo<br />

che avrebbero potuto fargli del male. Arrivati a casa sua, lo abbiamo trovato in ginocchio che pregava,<br />

mentre sua moglie era sdraiata sul letto, con le braccia incrociate sul petto, come morta. “Meister”, gli<br />

ho detto, ma cosa sta facendo? Non deve aver paura, perché io sono qui per aiutarla.»


21<br />

«Allora ci siamo abbracciati, e piangevamo insieme, come un padre col figlio, e i russi non capivano<br />

bene cosa stesse succedendo. L’ho rivisto alcuni giorni dopo, con una fascia al braccio come<br />

lasciapassare», conclude Romeo Serighelli, con un filo di voce.<br />

«I nostri sguardi si sono incrociati, ma non ci siamo detti una parola. Da allora di quell’uomo non ho<br />

saputo più nulla».<br />

Nel frattempo gli alleati hanno suddiviso la Germania in aree di competenza e fortunatamente per<br />

Serighelli l’area in cui si trovava ricadeva sotto la responsabilità degli americani.<br />

Qui conosce il Dr. Franco Sanero che lo invita a collaborare con lui per la cura dei feriti. Questi erano<br />

dislocati in vagoni ferroviari e il Dr. Sanero era il Capo Medico del vagone.<br />

Plaum Germania 1945 – Il gruppo “infermieri”.<br />

Serighelli è indicato dalla freccia. Al centro con la barba il Dr. Sanero.


22<br />

Il vagone ferroviario che fungeva da “sala chirurgica”


23<br />

Mappa dei Lager dove è stato internato Romeo Serighelli<br />

Legenda da sinistra:<br />

Fallingbostel<br />

Hannover<br />

Treuenbrietzen<br />

Lukenwalde<br />

Jüteborg


24<br />

Romeo Serighelli è stato insignito di:<br />

- Nastrini per la Campagna di Guerra 1940-1943 e Campagna di Guerra 1943-1945<br />

- Croce al Merito di Guerra<br />

- Attestato di partecipazione ai Volontari della Libertà<br />

- Medaglia d’Onore ai cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti 1943 – 1945.

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