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ARMANDO GAIBA E LA DIFESA DELL'ISOLA DI LERO - ANMI Monza

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A.N.M.I.<br />

Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA<br />

Gruppo “DANTE SUMMER”<br />

20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />

<strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong> E <strong>LA</strong> <strong><strong>DI</strong>FESA</strong> DELL’ISO<strong>LA</strong> <strong>DI</strong> <strong>LERO</strong><br />

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A Lero la resistenza contro i tedeschi fu accanita.<br />

L'isola, che era un'importante base per i<br />

sommergibili, era presidiata da milleduecento<br />

uomini, prevalentemente marinai delle batterie<br />

costiere, affiancati da fanti della divisione Regina. In<br />

loro aiuto giunsero quattromila uomini dell'esercito<br />

inglese. Dal giorno 13 settembre, data d'inizio dei<br />

bombardamenti aerei tedeschi, sino alla mezzanotte<br />

del 16 novembre, momento della resa, per oltre due<br />

mesi i militari italiani resistettero.<br />

Il nostro socio <strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong> era uno di quei marinai<br />

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Armando Gaiba nasce a Bologna il 29 Aprile<br />

1920.<br />

Viene arruolato per la ferma di 28 mesi il 13<br />

Luglio 1939 e classificato, provvisoriamente,<br />

All. Silurista e lasciato in congedo illimitato<br />

in attesa di avviamento alle armi.<br />

Giunto alle armi (Deposito C.R.E.M.) di<br />

Venezia il 16 Maggio 1940 e classificato<br />

definitivamente All. Cannoniere S.D.T.<br />

Dal 23 al 29 Maggio 1940 dislocato presso<br />

MARI<strong>DI</strong>FE Brindisi e successivamente<br />

trasferito (dal 30 Maggio 1940 all’ 8<br />

Settembre 1943) a MARI<strong>DI</strong>FE Lero.<br />

Dal 9 settembre al 16 Novembre 1943, ha<br />

partecipato alla eroica difesa dell’isola di<br />

Lero.<br />

<strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong><br />

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La baia di Porto Lago a Lero in una foto della fine degli anni venti.<br />

Alla fonda si riconoscono una nave da battaglia della classe “Doria”<br />

e alcuni cacciatorpedinieri del tipo “tre pipe”. (AUSSMA).<br />

(foto tratta da Rivista “Storia Militare”)<br />

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Disposizione delle batterie e delle difese di Lero (da A. Levi,op cit)<br />

(foto tratta da Rivista “Storia Militare”)<br />

All’entrata della baia di Porto Lago – Punta Cazzuni sul Monte Patella - era posizionata la<br />

batteria PL 227 di Armando Gaiba.<br />

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Uno dei 4 pezzi da 102/35 Centralina di tipo “G” della batteria PL 227<br />

a.a della batteria PL 227<br />

(foto tratte da Rivista “Storia Militare”)<br />

Un aerofono in postazione nei pressi di una batteria<br />

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La batteria PL227 era composta da circa 40 uomini tra Ufficiali,Sottoufficiali e Marinai.<br />

Durante la permanenza a Lero Gaiba ebbe occasione di incontrare, più volte, il<br />

Cappellano Militare Padre Igino Lega (M.O.V.M) che girava nelle varie batterie per<br />

celebrare la Santa Messa e incoraggiare i marinai.<br />

Data la particolare posizione, posta su un cucuzzolo – Punta Cazzuni - del Monte Patella a<br />

picco sul mare, la batteria non fu mai colpita dai bombardamenti tedeschi.<br />

Punteria di un cannone da 102mm antinave nel corso di<br />

un’esercitazione svoltasi nel 1941.<br />

Esercitazione di caricamento di un pezzo da 120/45 di una batteria<br />

antinave della difesa di Lero nel 1941<br />

(foto tratte da Rivista “Storia Militare”)<br />

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Armando Gaiba ricorda che, dall’inizio dell’attacco tedesco, non smisero più di sparare ed<br />

ai cannoni, sottoposti ad un impiego insostenibile, (alcuni pezzi scoppiarono), si ruppero<br />

le molle di ritorno rimanendo nella posizione di rinculo rendendo così impossibile l’alzo per<br />

l’azione antiaerea.<br />

( Foto tratta dal sito www.dodecaneso.org )<br />

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La foto a lato mostra una fase di<br />

bombardamento delle postazioni di<br />

Monte Patella da parte dei Tedeschi.<br />

Venuti a conoscenza della resa gli uomini stesero un grosso lenzuolo bianco per segnalare<br />

ai tedeschi che la batteria non avrebbe fatto resistenza.<br />

Gaiba fu preso prigioniero dai tedeschi e portato al Comando Marina di Porto Lago per<br />

essere imbarcato su una nave con destinazione Pireo.<br />

Al Pireo fu caricato su un treno e trasferito al campo di concentramento di Bor in Serbia<br />

dove fu internato dal 17 Novembre 1943 all’ 8 Ottobre 1944.<br />

In questo campo di concentramento fu aggregato all’organizzazione TODT impegnata a<br />

costruire una ferrovia.<br />

Nonostante il duro lavoro le condizioni di vita erano buone; i prigionieri furono trattati<br />

umanamente forse perché la gestione del campo era affidati a soldati croati. (Solo il<br />

comandante del campo era tedesco).


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Diversamente da Bor, Armando Gaiba ha descritto la vita nel campo di concentramento<br />

russo a Reni in Romania - dove venne trasferito il 9 Ottobre 1944 rimanendovi sino al 23<br />

Novembre 1945 - come un vero e proprio inferno.<br />

Infatti, nonostante fosse sotto il loro controllo, i russi si dimostrarono indifferenti a tutto<br />

ciò che succedeva nel campo, paradossalmente erano i prigionieri tedeschi (presenti in<br />

grandissima maggioranza) a gestire il campo. Era deciso da loro, ad esempio, come<br />

doveva essere distribuito il cibo, le bevande e il vestiario.<br />

Sfogarono quindi il loro odio e la loro rabbia perseguendo e angariando i prigionieri<br />

italiani; laggiù, dice Gaiba, la civiltà umana era scomparsa lasciando il posto alla più bruta<br />

crudeltà e ferocia umana.<br />

Il 9 Maggio 1945 intuì che la guerra era finita vedendo i militari russi lanciare per aria i<br />

fucili; ma, cosa per lui rimasta inspiegabile, quell’inferno durò per altri lunghissimi 7 mesi<br />

nonostante ogni tanto al campo arrivassero degli inviati italiani in abiti civili ,<br />

probabilmente fuoriusciti, che interrogavano i soldati italiani per conoscere le loro<br />

condizioni. Ma sino alla fine di Novembre niente cambiò.<br />

Il 24 Novembre 1945 i prigionieri italiani furono portati alla stazione ferroviaria di Galati<br />

dove incontrarono un inviato del Governo Italiano che li informò, rassicurandoli, che<br />

sarebbero rientrati in Italia. Rientro che fu piuttosto lungo passando da Bucarest,<br />

Budapest e Vienna. Fortunatamente però , ricorda Gaiba, “potevamo viaggiare con il<br />

portellone del vagone aperto” e non chiusi in vagone piombati come durante il<br />

trasferimento nei campi di concentramento.<br />

Fu a Vienna, racconta ancora Armando Gaiba, che tutto ad un tratto sul loro vagone<br />

salirono una moltitudine di uomini che chiaramente non erano italiani ma che, alle<br />

domande dei nostri soldati rispondevano, “noi andare in Italia”.<br />

Quando il convoglio ferroviario partì, invece di proseguire verso il confine italiano, tornò<br />

indietro e si fermò in un deposito ferroviario! A questo punto i russi salirono sui vagoni e<br />

fecero scendere tutti i soldati tedeschi (perché di tedeschi si trattava) e solo dopo aver<br />

controllato che gli uomini rimasti sui vagoni erano tutti italiani fecero ripartire il treno.<br />

Gaiba ed alcuni dei suoi compagni, affetti da forte febbre, furono ricoverati in un ospedale<br />

della Croce Rossa situato in Alto Adige dove furono trattati con molta freddezza (forse<br />

perché erano vestiti di stracci – Gaiba indossava un cappotto militare sporco di sangue ,<br />

probabilmente tolto a qualche soldato morto -) .<br />

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Finalmente, dopo una ventina di giorni presso l’ospedale della Croce Rossa, venne il<br />

giorno in cui fu preso in consegna da inviati del comune di Bologna e trasferito, insieme ad<br />

altri tre suoi corregionali, in un ospedale della città emiliana per curare la malaria di cui<br />

era affetto.<br />

Dopo sei lunghi anni Armando Gaiba poté riabbracciare sua madre.<br />

Rimase in forza al C.R.E.M. di Venezia sino al 24 Gennaio 1946, data del congedo<br />

definitivo.<br />

Ritornato alla vita civile non furono giorni sereni: Bologna non era più la città che aveva<br />

lasciato 6 anni prima, gli amici di una volta non c’erano quasi più e anche quelli rimasti<br />

erano cambiati: il momento difficile costringeva a rinchiudersi in se stessi, a diventare un<br />

po’ egoisti. In più la ricerca di un lavoro per tentare di tornare alla normalità era molto<br />

difficile se non impossibile viste le condizioni delle industrie in quel periodo.<br />

Insomma Gaiba non si sentiva più a suo agio. Decise di iscriversi alle liste per l’espatrio in<br />

Australia e dopo qualche tempo gli comunicarono che la sua domanda era stata accettata.<br />

Per fortuna la vecchia ditta in cui lavorava prima della guerra lo richiamò al lavoro e così la<br />

pratica dell’espatrio fu annullata.<br />

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Nel Gennaio del 1947 gli è stato tributato l’ ENCOMIO SOLENNE con la seguente<br />

motivazione:<br />

“ Per aver partecipato alla difesa di<br />

Lero quale componente del Presidio<br />

che agli ordini del Contrammiraglio<br />

Mascherpa , Medaglia d’Oro al V.M.,<br />

resisteva per ben cinquantadue<br />

giorni all’insistente violento assedio<br />

aereo, cessando di combattere solo<br />

quando, all’estremo delle risorse in<br />

seguito all’avvenuto sbarco di<br />

soverchianti forze nemiche, ne ebbe<br />

l’ordine dal Generale Britannico<br />

Comandante delle operazioni<br />

combinate di difesa.”<br />

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Nel Giugno del 1947 gli viene conferita la Croce al Merito di Guerra.<br />

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Il 29 Giugno 1985 gli viene concesso, da parte del Presidente della Repubblica, su<br />

proposta del Ministero della Difesa, il diploma D’Onore ai combattenti per la Libertà<br />

d’Italia 1943-1945.<br />

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Lero, un'isola destinata alla tragedia<br />

In queste pagine una breve sintesi delle vicende militari di quest'isola bella e<br />

sfortunata, considerata dai nostri comandi la Gibilterra dell'Egeo.<br />

(dal sito www.dodecaneso.org)<br />

Alle basse Sporadi, costituenti nel loro insieme il vecchio possedimento italiano nell’Egeo<br />

chiamato Dodecaneso, appartiene l’isola di Lero. Di forma assai articolata fa da sistema<br />

con l’adiacente isola di Calino dalla quale la separa uno stretto, ingombro di isolotti.<br />

Ricca di alture scoscese, lunga 15 Km e larga in alcuni punti appena mille metri, ha la<br />

caratteristica di possedere coste frastagliatissime ed almeno due profonde insenature<br />

adatte all’ormeggio in sicurezza di idrovolanti e mezzi navali.[…]<br />

La Marina, vista la inadeguatezza del porto di Rodi e l’assenza di rade chiuse in tutte le<br />

altre isole dell’Egeo italiano, concentrò la sua attenzione su Lero e le sue insenature<br />

naturali, in particolare di Portolago e Parteni, che, uniche, avrebbero offerto alle navi un<br />

punto di appoggio di carattere permanente. In pochi anni l’isola era diventata<br />

un’importante base della Marina dove all’inizio della guerra erano dislocati, oltre a naviglio<br />

di superficie, per lo più MAS e siluranti, numerosi sommergibili tra i quali il “Gemma” il<br />

“Neghelli” lo “Jantina” l’”Ondina” lo “Zeffiro” il “Perla” lo “Scirè” l’”Anfitrite” il “Foca” il<br />

“Naiade”, purtroppo tutti poi perduti nelle operazioni belliche.<br />

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Naturalmente una così nutrita presenza di naviglio presupponeva l’esistenza di caserme,<br />

stazioni di carica degli accumulatori, officine, bacini di carenaggio, centrali per il<br />

rifornimento di acqua, ossigeno, combustibile, depositi di carburante per decine di migliaia<br />

di tonnellate di nafta, in poche parole un vero e proprio arsenale, piccolo ma efficiente. Un<br />

aeroporto, ampi depositi di siluri e munizioni in caverna, insieme ad una piccola centrale<br />

elettrica anch’essa in caverna, completavano il quadro d’insieme. E’ chiaro che il naviglio<br />

ospitato e l’organizzazione industriale sorta rappresentava un discreto obiettivo per un<br />

eventuale assalitore e pertanto andava difeso.<br />

A ciò provvedeva un certo numero di sbarramenti di mine ed ostruzioni portuali, 500<br />

soldati del 10^ Fanteria, Divisione Regina e 24 batterie di cannoni, per lo più miste, navali<br />

e contraeree per un totale di circa 100 pezzi. Le batterie costituivano un insieme<br />

numericamente elevato, ma in quanto a qualità erano un campionario della produzione dei<br />

cinquant’anni precedenti; si andava dai vecchi 125/40 navali della batteria “Ciano” per<br />

arrivare, attraverso un discreto assortimento, ai moderni 90/53 antiaerei.<br />

Alcune postazioni di moderne mitragliere binate antiaeree da 37/54 completavano lo<br />

schieramento difensivo. Il pregio di moltissime batterie era l’eccellente posizione in cresta<br />

con il difetto però che in tutte, anche le maggiori, non vi era alcune protezione, escluse<br />

quelle naturali, e pertanto i cannonieri “nonostante fossero italiani”, al momento<br />

opportuno, si batterono con generosità e coraggio.[…]<br />

La caduta di Mussolini non ebbe nell’isola risonanza alcuna. I fatti militari l’avevano così<br />

evidentemente determinata che nessuno se ne stupì. Pur nell’incertezza del momento<br />

ognuno continuò a fare il proprio lavoro e il turno delle sentinelle non fu spostato di un<br />

secondo. In quel periodo però i tedeschi provvidero a mettersi in guardia dalla ormai<br />

evidente defezione italiana, predisponendo il piano per l’imbottigliamento degli ex alleati.<br />

Alle 18,30 dell’ 8 settembre 1943 il radiotelegrafista addetto alle intercettazioni comunicò<br />

che Radio Algeri aveva trasmesso la notizia dell’armistizio richiesto dall’Italia.<br />

Alle 20, un’ora e mezzo più tardi, il nostro giornale radio comunicò la stessa notizia.<br />

Qualcuno, libero dal servizio, si abbandonò ingenuamente a qualche gesto di allegria e le<br />

campane degli isolani suonarono a festa. Il comandante della base, Ammiraglio<br />

Mascherpa (M.O.V.M.), intimò che tutto rientrasse nella più assoluta normalità,<br />

ordinando di assumere l’assetto di emergenza con la precisazione di reagire<br />

immediatamente a qualsiasi intimazione o offesa, “anche se tedesca”.<br />

Sull’isola non vi erano tedeschi che potessero puntare le baionette alle costole, ma ciò al<br />

Comandante non parve sufficiente garanzia. Non vi fu né sbandamento disciplinare né crisi<br />

di autorità. Fu ordinato di entrare a Lero a tutte le unità in mare, ordine che solo il<br />

cacciatorpediniere “Euro” fu in grado di eseguire.<br />

Intanto era nato il giorno 9 e mentre alcune unità della Marina rimanevano imbottigliate al<br />

Pireo e a Creta, a Rodi scoppiavano, come prevedibile, seri conflitti tra Italiani e<br />

Tedeschi.[…]<br />

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Rodi cadde il mattino del giorno 11 trascinandosi dietro il Comando Superiore delle Forze<br />

Armate, il Comando della Marina in Egeo e, quel che è peggio, mettendo in mano tedesca<br />

i suoi campi di aviazione; gli unici dai quali gli inglesi, all’occorrenza, avrebbero potuto<br />

aiutarci.[…]<br />

Caduto il comando dell’Egeo con dieci generali e due ammiragli, tutta la responsabilità<br />

dello scacchiere sparso e disarticolato si riversava automaticamente su Lero e sul suo<br />

Comandante.[…]<br />

Gli Inglesi avevano già fatto un cauto tentativo di mettersi in contatto con noi mentre dei<br />

Tedeschi ancora nessuna traccia, se si esclude il volo di un loro ricognitore tenutosi a<br />

distanza di sicurezza. Il giorno 12, giunse una prima missione inglese con intenti<br />

informativi. Il tempo stringeva e bisognava prendere una decisione. Gli ufficiali, per lo più<br />

riservisti, furono tutti consultati e a tutti fu lasciata la facoltà di scegliere liberamente.<br />

Unanime fu la risposta, di fedeltà all’Italia e al Re, a condizione che la bandiera dell’isola<br />

restasse italiana: e tale restò fino all’ultimo.<br />

Di tutto il mondo insulare erano rimaste ancora in mano nostra Coo, Calino, Stampalia,<br />

Lero, Patmo e altre isolette minori del possedimento, nonché Samo e Icaria tra le isole<br />

occupate.<br />

Solo Lero però costituiva un punto di appoggio vero e proprio ed era ormai chiaro che su<br />

di essa si sarebbero polarizzate le attenzioni dei due belligeranti. Il giorno 13 gli inglesi<br />

inviarono a Lero una seconda missione recante un messaggio personale del Comandante<br />

in capo del Medio Oriente con la promessa di aiuti, affidando alle forze italiane la difesa e<br />

lasciando chiaramente intendere che la sovranità sull’isola non era in discussione. Lo<br />

stesso giorno, ad un preannunziato arrivo di parlamentari tedeschi, fu risposto che si<br />

rivolgessero altrove, perché non graditi. I giorni 16, 17 e 20 settembre 1943 gli inglesi<br />

sbarcarono a Lero in tutto un migliaio di fucilieri, che rappresentavano pur sempre il<br />

doppio delle forze di fanteria di cui potevamo disporre, ma molto meno del complesso di<br />

tutta la nostra guarnigione, che si aggirava sui 6.000 uomini. In momenti successivi il<br />

contingente inglese raggiunse i 4.000 uomini.[…]<br />

Quello che era accaduto a Cefalonia e altrove, perfettamente note, avevano spianato la via<br />

agli inglesi e gli iniziali rapporti di formale correttezza si trasformarono poi durante la<br />

battaglia in un vero e proprio affratellamento.[…]<br />

Il 26 Settembre 1943, alle 9,05 del mattino, vi fu il primo attacco tedesco. Un numero<br />

imprecisato di Stukas, con il loro urlo caratteristico, piombò sull’isola in picchiata,<br />

arrecando in pochi minuti danni ingentissimi.[…] alle 15,30 si scatenò una seconda<br />

violentissima azione aerea tedesca.[…]<br />

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La seconda ondata di Stukas non giunse questa volta però inattesa e sei aerei vennero<br />

abbattuti. Il ripetersi degli attacchi anche il giorno 27 convinse subito tutti che l’azione<br />

sarebbe stata condotta ad oltranza.[…]<br />

Dal mattino del 26 settembre alla sera del 31 ottobre 1943, l’isola subì una schiacciante<br />

offensiva aerea, non tanto per l’imponenza degli attacchi, quanto per l’assiduità, la<br />

decisione e l’accanimento con cui vennero portati.<br />

Su Lero si ebbero in 35 giorni oltre 180 incursioni, con aerei nemici sempre in vista.<br />

Durante l’assedio furono da noi sparati circa 150.000 colpi di cannone, con un tormento<br />

quasi insostenibile per i pezzi (alcuni scoppiarono) che alla fine non poterono svolgere che<br />

tiro navale, perché a forza di sparare le molle di ritorno in batteria si erano snervate e il<br />

cannone, a forti elevazioni, non si toglieva più dalla posizione di rinculo. Il tiro delle<br />

batterie cominciò con qualche imperfezione, ma si sviluppò con grande maestria al<br />

rinnovarsi degli attacchi, per cui la batteria sulla quale gli aerei picchiavano faceva sparire<br />

il personale, mentre le batterie vicine la soccorrevano sparando furiosamente in<br />

ragionevole sicurezza. […]<br />

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Un velivolo tedesco bombarda Leros<br />

Il Ct. Olga colpito ed affondato<br />

nella baia di Portolago il 26 Settembre 1943


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Dopo le batteria contraeree, che mai furono ridotte al silenzio malgrado i gravi problemi di<br />

munizionamento, fu la volta delle batteria navali che entrarono in azione prima con<br />

incessanti bombardamenti sull’adiacente isola di Calino, una volta occupata dai tedeschi, e<br />

quindi con tiri di lunga gittata fino a 18.000 metri sulle unità da sbarco. La gente, per lo<br />

più riservisti, s’era ormai imbestialita accanto ai cannoni, perché aveva la sensazione che<br />

l’isola avrebbe potuto resistere a lungo e soprattutto non voleva cadere in mano tedesca,<br />

perché sicura della fucilazione. Molte batterie infatti, a capitolazione avvenuta, furono<br />

teatro di deliberati eccidi a sangue freddo compiuti dai tedeschi (paracadutisti e fanteria<br />

da sbarco) ai danni dei difensori sopravissuti.<br />

Migliore fu l’immediato destino di chi cadde prigioniero dei reparti della Marina tedesca che<br />

si comportò invece onorevolmente.<br />

Dal 9 novembre in poi, le ricognizioni aeree, le informazioni e il continuo andirivieni<br />

all’orizzonte, fuori portata dei nostri cannoni, indicavano che era imminente la<br />

preparazione allo sbarco.<br />

Nella notte e sull’alba del 12 novembre 1943 forze da sbarco tedesche giunsero intorno a<br />

Lero, con provenienza da tutti i punti dell’orizzonte. Inspiegabilmente, malgrado<br />

tempestive segnalazioni, la Marina inglese non intervenne.<br />

Gli inglesi che avevano più o meno sempre controllato le acque dell’isola, le lasciarono<br />

libere proprio in occasione dello sbarco, da essi stessi preannunziato.<br />

Un convoglio formato da due cacciatorpediniere e dodici moto zattere cariche di uomini<br />

provenienti da Sud Ovest fu inquadrato dal tiro dei 125/40 della batteria “Ducci”, che colpì<br />

in pieno già a 1.500 metri un CT. Il convoglio, vista la mala parata, invertì<br />

precipitosamente la rotta e sparì più tardi dietro Calino, rinunziando all’azione di sbarco.<br />

Le nostre batterie del Sud continuarono i tiri su Calino e presero parte poi all’azione a<br />

fronte rovesciato sui tedeschi sbarcati altrove.<br />

A Nord Est, dove già nella notte era sbarcato un gruppo rilevante di tedeschi attestatosi<br />

sui versanti del Monte Appetici, stavano invece avvenendo fatti gravi per mancanza di<br />

comunicazioni; da quella parte notevoli gruppi di navi stavano muovendo all’attacco<br />

dell’isola. Malgrado le batterie 888, 899, “Ciano”, “San Giorgio” e “Lago” avessero<br />

duramente colpito i convogli, questi non desistettero e sbarcarono alcune centinaia di<br />

uomini alle due Punte Pasta (di Sopra e di Sotto) dove non era possibile il tiro diretto delle<br />

nostre artiglierie.[…]<br />

Il giorno 14, terza giornata, la lotta divampò furiosa.[…]<br />

All’alba del giorno 15 gli scontri ripresero con rinnovata violenza. I tedeschi avevano<br />

ancora progredito. Dal Monte Appetici si erano spinti sino all’abitato di Lero e dal centro<br />

avevano progredito verso Santa Marina, Monte Rachi e Monte Meraviglia. Dal nord si<br />

erano spinti lungo la costa della baia di Alinda per effettuare il non ancora completo<br />

congiungimento. La situazione era ormai disperata.<br />

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A.N.M.I.<br />

Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA<br />

Gruppo “DANTE SUMMER”<br />

20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />

Il giorno 16 novembre 1943, alle 18,30, solo dopo la resa del Generale Tilney, l’Ammiraglio<br />

Mascherpa diramò l’ordine di cessare il fuoco; i combattimenti però terminarono del tutto<br />

solo la mattina del 17.<br />

L’Ammiraglio Mascherpa Il Gen.Tilney col. Gen. Muller dopo la resa.<br />

Gli inglesi in alcuni casi, con ammirevole cameratismo, per scongiurare fucilazioni<br />

immediate certe, offrirono agli italiani le loro uniformi che furono cortesemente<br />

rifiutate.[…]<br />

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Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA<br />

Gruppo “DANTE SUMMER”<br />

20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />

Nei giorni seguenti, in diversi scaglioni, i vinti abbandonarono l’isola, destinati a<br />

raggiungere in condizioni pressoché inumane i campi di prigionia […]<br />

Prigionieri italiani destinati ai campi di prigionia<br />

L’Ammiraglio Luigi Mascherpa, anch’egli tratto prigioniero, consegnato poi alla Repubblica<br />

Sociale Italiana, fu condannato a morte e fucilato a Parma il 24 Maggio 1944.<br />

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BIBLIOGRAFIA:<br />

A.N.M.I.<br />

Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA<br />

Gruppo “DANTE SUMMER”<br />

20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />

Si ringrazia la redazione del sito www.dodecaneso.org – Sito italiano sulla storia antica<br />

e moderna delle isole dell’Egeo – per la gentile concessione di fotografie e parte del<br />

testo relativo a “Lero, un'isola destinata alla tragedia”.<br />

Rivista “Storia Militare” nr. 121 del mese Ottobre 2003 e nr. 122 del mese di Novembre<br />

2003 per alcune foto inserite nel testo relativo alla storia di Armando Gaiba.<br />

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