ARMANDO GAIBA E LA DIFESA DELL'ISOLA DI LERO - ANMI Monza
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A.N.M.I.<br />
Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA<br />
Gruppo “DANTE SUMMER”<br />
20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />
<strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong> E <strong>LA</strong> <strong><strong>DI</strong>FESA</strong> DELL’ISO<strong>LA</strong> <strong>DI</strong> <strong>LERO</strong><br />
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A Lero la resistenza contro i tedeschi fu accanita.<br />
L'isola, che era un'importante base per i<br />
sommergibili, era presidiata da milleduecento<br />
uomini, prevalentemente marinai delle batterie<br />
costiere, affiancati da fanti della divisione Regina. In<br />
loro aiuto giunsero quattromila uomini dell'esercito<br />
inglese. Dal giorno 13 settembre, data d'inizio dei<br />
bombardamenti aerei tedeschi, sino alla mezzanotte<br />
del 16 novembre, momento della resa, per oltre due<br />
mesi i militari italiani resistettero.<br />
Il nostro socio <strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong> era uno di quei marinai<br />
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Armando Gaiba nasce a Bologna il 29 Aprile<br />
1920.<br />
Viene arruolato per la ferma di 28 mesi il 13<br />
Luglio 1939 e classificato, provvisoriamente,<br />
All. Silurista e lasciato in congedo illimitato<br />
in attesa di avviamento alle armi.<br />
Giunto alle armi (Deposito C.R.E.M.) di<br />
Venezia il 16 Maggio 1940 e classificato<br />
definitivamente All. Cannoniere S.D.T.<br />
Dal 23 al 29 Maggio 1940 dislocato presso<br />
MARI<strong>DI</strong>FE Brindisi e successivamente<br />
trasferito (dal 30 Maggio 1940 all’ 8<br />
Settembre 1943) a MARI<strong>DI</strong>FE Lero.<br />
Dal 9 settembre al 16 Novembre 1943, ha<br />
partecipato alla eroica difesa dell’isola di<br />
Lero.<br />
<strong>ARMANDO</strong> <strong>GAIBA</strong><br />
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La baia di Porto Lago a Lero in una foto della fine degli anni venti.<br />
Alla fonda si riconoscono una nave da battaglia della classe “Doria”<br />
e alcuni cacciatorpedinieri del tipo “tre pipe”. (AUSSMA).<br />
(foto tratta da Rivista “Storia Militare”)<br />
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Disposizione delle batterie e delle difese di Lero (da A. Levi,op cit)<br />
(foto tratta da Rivista “Storia Militare”)<br />
All’entrata della baia di Porto Lago – Punta Cazzuni sul Monte Patella - era posizionata la<br />
batteria PL 227 di Armando Gaiba.<br />
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Uno dei 4 pezzi da 102/35 Centralina di tipo “G” della batteria PL 227<br />
a.a della batteria PL 227<br />
(foto tratte da Rivista “Storia Militare”)<br />
Un aerofono in postazione nei pressi di una batteria<br />
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La batteria PL227 era composta da circa 40 uomini tra Ufficiali,Sottoufficiali e Marinai.<br />
Durante la permanenza a Lero Gaiba ebbe occasione di incontrare, più volte, il<br />
Cappellano Militare Padre Igino Lega (M.O.V.M) che girava nelle varie batterie per<br />
celebrare la Santa Messa e incoraggiare i marinai.<br />
Data la particolare posizione, posta su un cucuzzolo – Punta Cazzuni - del Monte Patella a<br />
picco sul mare, la batteria non fu mai colpita dai bombardamenti tedeschi.<br />
Punteria di un cannone da 102mm antinave nel corso di<br />
un’esercitazione svoltasi nel 1941.<br />
Esercitazione di caricamento di un pezzo da 120/45 di una batteria<br />
antinave della difesa di Lero nel 1941<br />
(foto tratte da Rivista “Storia Militare”)<br />
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Armando Gaiba ricorda che, dall’inizio dell’attacco tedesco, non smisero più di sparare ed<br />
ai cannoni, sottoposti ad un impiego insostenibile, (alcuni pezzi scoppiarono), si ruppero<br />
le molle di ritorno rimanendo nella posizione di rinculo rendendo così impossibile l’alzo per<br />
l’azione antiaerea.<br />
( Foto tratta dal sito www.dodecaneso.org )<br />
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La foto a lato mostra una fase di<br />
bombardamento delle postazioni di<br />
Monte Patella da parte dei Tedeschi.<br />
Venuti a conoscenza della resa gli uomini stesero un grosso lenzuolo bianco per segnalare<br />
ai tedeschi che la batteria non avrebbe fatto resistenza.<br />
Gaiba fu preso prigioniero dai tedeschi e portato al Comando Marina di Porto Lago per<br />
essere imbarcato su una nave con destinazione Pireo.<br />
Al Pireo fu caricato su un treno e trasferito al campo di concentramento di Bor in Serbia<br />
dove fu internato dal 17 Novembre 1943 all’ 8 Ottobre 1944.<br />
In questo campo di concentramento fu aggregato all’organizzazione TODT impegnata a<br />
costruire una ferrovia.<br />
Nonostante il duro lavoro le condizioni di vita erano buone; i prigionieri furono trattati<br />
umanamente forse perché la gestione del campo era affidati a soldati croati. (Solo il<br />
comandante del campo era tedesco).
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Diversamente da Bor, Armando Gaiba ha descritto la vita nel campo di concentramento<br />
russo a Reni in Romania - dove venne trasferito il 9 Ottobre 1944 rimanendovi sino al 23<br />
Novembre 1945 - come un vero e proprio inferno.<br />
Infatti, nonostante fosse sotto il loro controllo, i russi si dimostrarono indifferenti a tutto<br />
ciò che succedeva nel campo, paradossalmente erano i prigionieri tedeschi (presenti in<br />
grandissima maggioranza) a gestire il campo. Era deciso da loro, ad esempio, come<br />
doveva essere distribuito il cibo, le bevande e il vestiario.<br />
Sfogarono quindi il loro odio e la loro rabbia perseguendo e angariando i prigionieri<br />
italiani; laggiù, dice Gaiba, la civiltà umana era scomparsa lasciando il posto alla più bruta<br />
crudeltà e ferocia umana.<br />
Il 9 Maggio 1945 intuì che la guerra era finita vedendo i militari russi lanciare per aria i<br />
fucili; ma, cosa per lui rimasta inspiegabile, quell’inferno durò per altri lunghissimi 7 mesi<br />
nonostante ogni tanto al campo arrivassero degli inviati italiani in abiti civili ,<br />
probabilmente fuoriusciti, che interrogavano i soldati italiani per conoscere le loro<br />
condizioni. Ma sino alla fine di Novembre niente cambiò.<br />
Il 24 Novembre 1945 i prigionieri italiani furono portati alla stazione ferroviaria di Galati<br />
dove incontrarono un inviato del Governo Italiano che li informò, rassicurandoli, che<br />
sarebbero rientrati in Italia. Rientro che fu piuttosto lungo passando da Bucarest,<br />
Budapest e Vienna. Fortunatamente però , ricorda Gaiba, “potevamo viaggiare con il<br />
portellone del vagone aperto” e non chiusi in vagone piombati come durante il<br />
trasferimento nei campi di concentramento.<br />
Fu a Vienna, racconta ancora Armando Gaiba, che tutto ad un tratto sul loro vagone<br />
salirono una moltitudine di uomini che chiaramente non erano italiani ma che, alle<br />
domande dei nostri soldati rispondevano, “noi andare in Italia”.<br />
Quando il convoglio ferroviario partì, invece di proseguire verso il confine italiano, tornò<br />
indietro e si fermò in un deposito ferroviario! A questo punto i russi salirono sui vagoni e<br />
fecero scendere tutti i soldati tedeschi (perché di tedeschi si trattava) e solo dopo aver<br />
controllato che gli uomini rimasti sui vagoni erano tutti italiani fecero ripartire il treno.<br />
Gaiba ed alcuni dei suoi compagni, affetti da forte febbre, furono ricoverati in un ospedale<br />
della Croce Rossa situato in Alto Adige dove furono trattati con molta freddezza (forse<br />
perché erano vestiti di stracci – Gaiba indossava un cappotto militare sporco di sangue ,<br />
probabilmente tolto a qualche soldato morto -) .<br />
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Finalmente, dopo una ventina di giorni presso l’ospedale della Croce Rossa, venne il<br />
giorno in cui fu preso in consegna da inviati del comune di Bologna e trasferito, insieme ad<br />
altri tre suoi corregionali, in un ospedale della città emiliana per curare la malaria di cui<br />
era affetto.<br />
Dopo sei lunghi anni Armando Gaiba poté riabbracciare sua madre.<br />
Rimase in forza al C.R.E.M. di Venezia sino al 24 Gennaio 1946, data del congedo<br />
definitivo.<br />
Ritornato alla vita civile non furono giorni sereni: Bologna non era più la città che aveva<br />
lasciato 6 anni prima, gli amici di una volta non c’erano quasi più e anche quelli rimasti<br />
erano cambiati: il momento difficile costringeva a rinchiudersi in se stessi, a diventare un<br />
po’ egoisti. In più la ricerca di un lavoro per tentare di tornare alla normalità era molto<br />
difficile se non impossibile viste le condizioni delle industrie in quel periodo.<br />
Insomma Gaiba non si sentiva più a suo agio. Decise di iscriversi alle liste per l’espatrio in<br />
Australia e dopo qualche tempo gli comunicarono che la sua domanda era stata accettata.<br />
Per fortuna la vecchia ditta in cui lavorava prima della guerra lo richiamò al lavoro e così la<br />
pratica dell’espatrio fu annullata.<br />
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Nel Gennaio del 1947 gli è stato tributato l’ ENCOMIO SOLENNE con la seguente<br />
motivazione:<br />
“ Per aver partecipato alla difesa di<br />
Lero quale componente del Presidio<br />
che agli ordini del Contrammiraglio<br />
Mascherpa , Medaglia d’Oro al V.M.,<br />
resisteva per ben cinquantadue<br />
giorni all’insistente violento assedio<br />
aereo, cessando di combattere solo<br />
quando, all’estremo delle risorse in<br />
seguito all’avvenuto sbarco di<br />
soverchianti forze nemiche, ne ebbe<br />
l’ordine dal Generale Britannico<br />
Comandante delle operazioni<br />
combinate di difesa.”<br />
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Nel Giugno del 1947 gli viene conferita la Croce al Merito di Guerra.<br />
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Il 29 Giugno 1985 gli viene concesso, da parte del Presidente della Repubblica, su<br />
proposta del Ministero della Difesa, il diploma D’Onore ai combattenti per la Libertà<br />
d’Italia 1943-1945.<br />
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Lero, un'isola destinata alla tragedia<br />
In queste pagine una breve sintesi delle vicende militari di quest'isola bella e<br />
sfortunata, considerata dai nostri comandi la Gibilterra dell'Egeo.<br />
(dal sito www.dodecaneso.org)<br />
Alle basse Sporadi, costituenti nel loro insieme il vecchio possedimento italiano nell’Egeo<br />
chiamato Dodecaneso, appartiene l’isola di Lero. Di forma assai articolata fa da sistema<br />
con l’adiacente isola di Calino dalla quale la separa uno stretto, ingombro di isolotti.<br />
Ricca di alture scoscese, lunga 15 Km e larga in alcuni punti appena mille metri, ha la<br />
caratteristica di possedere coste frastagliatissime ed almeno due profonde insenature<br />
adatte all’ormeggio in sicurezza di idrovolanti e mezzi navali.[…]<br />
La Marina, vista la inadeguatezza del porto di Rodi e l’assenza di rade chiuse in tutte le<br />
altre isole dell’Egeo italiano, concentrò la sua attenzione su Lero e le sue insenature<br />
naturali, in particolare di Portolago e Parteni, che, uniche, avrebbero offerto alle navi un<br />
punto di appoggio di carattere permanente. In pochi anni l’isola era diventata<br />
un’importante base della Marina dove all’inizio della guerra erano dislocati, oltre a naviglio<br />
di superficie, per lo più MAS e siluranti, numerosi sommergibili tra i quali il “Gemma” il<br />
“Neghelli” lo “Jantina” l’”Ondina” lo “Zeffiro” il “Perla” lo “Scirè” l’”Anfitrite” il “Foca” il<br />
“Naiade”, purtroppo tutti poi perduti nelle operazioni belliche.<br />
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Naturalmente una così nutrita presenza di naviglio presupponeva l’esistenza di caserme,<br />
stazioni di carica degli accumulatori, officine, bacini di carenaggio, centrali per il<br />
rifornimento di acqua, ossigeno, combustibile, depositi di carburante per decine di migliaia<br />
di tonnellate di nafta, in poche parole un vero e proprio arsenale, piccolo ma efficiente. Un<br />
aeroporto, ampi depositi di siluri e munizioni in caverna, insieme ad una piccola centrale<br />
elettrica anch’essa in caverna, completavano il quadro d’insieme. E’ chiaro che il naviglio<br />
ospitato e l’organizzazione industriale sorta rappresentava un discreto obiettivo per un<br />
eventuale assalitore e pertanto andava difeso.<br />
A ciò provvedeva un certo numero di sbarramenti di mine ed ostruzioni portuali, 500<br />
soldati del 10^ Fanteria, Divisione Regina e 24 batterie di cannoni, per lo più miste, navali<br />
e contraeree per un totale di circa 100 pezzi. Le batterie costituivano un insieme<br />
numericamente elevato, ma in quanto a qualità erano un campionario della produzione dei<br />
cinquant’anni precedenti; si andava dai vecchi 125/40 navali della batteria “Ciano” per<br />
arrivare, attraverso un discreto assortimento, ai moderni 90/53 antiaerei.<br />
Alcune postazioni di moderne mitragliere binate antiaeree da 37/54 completavano lo<br />
schieramento difensivo. Il pregio di moltissime batterie era l’eccellente posizione in cresta<br />
con il difetto però che in tutte, anche le maggiori, non vi era alcune protezione, escluse<br />
quelle naturali, e pertanto i cannonieri “nonostante fossero italiani”, al momento<br />
opportuno, si batterono con generosità e coraggio.[…]<br />
La caduta di Mussolini non ebbe nell’isola risonanza alcuna. I fatti militari l’avevano così<br />
evidentemente determinata che nessuno se ne stupì. Pur nell’incertezza del momento<br />
ognuno continuò a fare il proprio lavoro e il turno delle sentinelle non fu spostato di un<br />
secondo. In quel periodo però i tedeschi provvidero a mettersi in guardia dalla ormai<br />
evidente defezione italiana, predisponendo il piano per l’imbottigliamento degli ex alleati.<br />
Alle 18,30 dell’ 8 settembre 1943 il radiotelegrafista addetto alle intercettazioni comunicò<br />
che Radio Algeri aveva trasmesso la notizia dell’armistizio richiesto dall’Italia.<br />
Alle 20, un’ora e mezzo più tardi, il nostro giornale radio comunicò la stessa notizia.<br />
Qualcuno, libero dal servizio, si abbandonò ingenuamente a qualche gesto di allegria e le<br />
campane degli isolani suonarono a festa. Il comandante della base, Ammiraglio<br />
Mascherpa (M.O.V.M.), intimò che tutto rientrasse nella più assoluta normalità,<br />
ordinando di assumere l’assetto di emergenza con la precisazione di reagire<br />
immediatamente a qualsiasi intimazione o offesa, “anche se tedesca”.<br />
Sull’isola non vi erano tedeschi che potessero puntare le baionette alle costole, ma ciò al<br />
Comandante non parve sufficiente garanzia. Non vi fu né sbandamento disciplinare né crisi<br />
di autorità. Fu ordinato di entrare a Lero a tutte le unità in mare, ordine che solo il<br />
cacciatorpediniere “Euro” fu in grado di eseguire.<br />
Intanto era nato il giorno 9 e mentre alcune unità della Marina rimanevano imbottigliate al<br />
Pireo e a Creta, a Rodi scoppiavano, come prevedibile, seri conflitti tra Italiani e<br />
Tedeschi.[…]<br />
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Rodi cadde il mattino del giorno 11 trascinandosi dietro il Comando Superiore delle Forze<br />
Armate, il Comando della Marina in Egeo e, quel che è peggio, mettendo in mano tedesca<br />
i suoi campi di aviazione; gli unici dai quali gli inglesi, all’occorrenza, avrebbero potuto<br />
aiutarci.[…]<br />
Caduto il comando dell’Egeo con dieci generali e due ammiragli, tutta la responsabilità<br />
dello scacchiere sparso e disarticolato si riversava automaticamente su Lero e sul suo<br />
Comandante.[…]<br />
Gli Inglesi avevano già fatto un cauto tentativo di mettersi in contatto con noi mentre dei<br />
Tedeschi ancora nessuna traccia, se si esclude il volo di un loro ricognitore tenutosi a<br />
distanza di sicurezza. Il giorno 12, giunse una prima missione inglese con intenti<br />
informativi. Il tempo stringeva e bisognava prendere una decisione. Gli ufficiali, per lo più<br />
riservisti, furono tutti consultati e a tutti fu lasciata la facoltà di scegliere liberamente.<br />
Unanime fu la risposta, di fedeltà all’Italia e al Re, a condizione che la bandiera dell’isola<br />
restasse italiana: e tale restò fino all’ultimo.<br />
Di tutto il mondo insulare erano rimaste ancora in mano nostra Coo, Calino, Stampalia,<br />
Lero, Patmo e altre isolette minori del possedimento, nonché Samo e Icaria tra le isole<br />
occupate.<br />
Solo Lero però costituiva un punto di appoggio vero e proprio ed era ormai chiaro che su<br />
di essa si sarebbero polarizzate le attenzioni dei due belligeranti. Il giorno 13 gli inglesi<br />
inviarono a Lero una seconda missione recante un messaggio personale del Comandante<br />
in capo del Medio Oriente con la promessa di aiuti, affidando alle forze italiane la difesa e<br />
lasciando chiaramente intendere che la sovranità sull’isola non era in discussione. Lo<br />
stesso giorno, ad un preannunziato arrivo di parlamentari tedeschi, fu risposto che si<br />
rivolgessero altrove, perché non graditi. I giorni 16, 17 e 20 settembre 1943 gli inglesi<br />
sbarcarono a Lero in tutto un migliaio di fucilieri, che rappresentavano pur sempre il<br />
doppio delle forze di fanteria di cui potevamo disporre, ma molto meno del complesso di<br />
tutta la nostra guarnigione, che si aggirava sui 6.000 uomini. In momenti successivi il<br />
contingente inglese raggiunse i 4.000 uomini.[…]<br />
Quello che era accaduto a Cefalonia e altrove, perfettamente note, avevano spianato la via<br />
agli inglesi e gli iniziali rapporti di formale correttezza si trasformarono poi durante la<br />
battaglia in un vero e proprio affratellamento.[…]<br />
Il 26 Settembre 1943, alle 9,05 del mattino, vi fu il primo attacco tedesco. Un numero<br />
imprecisato di Stukas, con il loro urlo caratteristico, piombò sull’isola in picchiata,<br />
arrecando in pochi minuti danni ingentissimi.[…] alle 15,30 si scatenò una seconda<br />
violentissima azione aerea tedesca.[…]<br />
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La seconda ondata di Stukas non giunse questa volta però inattesa e sei aerei vennero<br />
abbattuti. Il ripetersi degli attacchi anche il giorno 27 convinse subito tutti che l’azione<br />
sarebbe stata condotta ad oltranza.[…]<br />
Dal mattino del 26 settembre alla sera del 31 ottobre 1943, l’isola subì una schiacciante<br />
offensiva aerea, non tanto per l’imponenza degli attacchi, quanto per l’assiduità, la<br />
decisione e l’accanimento con cui vennero portati.<br />
Su Lero si ebbero in 35 giorni oltre 180 incursioni, con aerei nemici sempre in vista.<br />
Durante l’assedio furono da noi sparati circa 150.000 colpi di cannone, con un tormento<br />
quasi insostenibile per i pezzi (alcuni scoppiarono) che alla fine non poterono svolgere che<br />
tiro navale, perché a forza di sparare le molle di ritorno in batteria si erano snervate e il<br />
cannone, a forti elevazioni, non si toglieva più dalla posizione di rinculo. Il tiro delle<br />
batterie cominciò con qualche imperfezione, ma si sviluppò con grande maestria al<br />
rinnovarsi degli attacchi, per cui la batteria sulla quale gli aerei picchiavano faceva sparire<br />
il personale, mentre le batterie vicine la soccorrevano sparando furiosamente in<br />
ragionevole sicurezza. […]<br />
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Un velivolo tedesco bombarda Leros<br />
Il Ct. Olga colpito ed affondato<br />
nella baia di Portolago il 26 Settembre 1943
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Dopo le batteria contraeree, che mai furono ridotte al silenzio malgrado i gravi problemi di<br />
munizionamento, fu la volta delle batteria navali che entrarono in azione prima con<br />
incessanti bombardamenti sull’adiacente isola di Calino, una volta occupata dai tedeschi, e<br />
quindi con tiri di lunga gittata fino a 18.000 metri sulle unità da sbarco. La gente, per lo<br />
più riservisti, s’era ormai imbestialita accanto ai cannoni, perché aveva la sensazione che<br />
l’isola avrebbe potuto resistere a lungo e soprattutto non voleva cadere in mano tedesca,<br />
perché sicura della fucilazione. Molte batterie infatti, a capitolazione avvenuta, furono<br />
teatro di deliberati eccidi a sangue freddo compiuti dai tedeschi (paracadutisti e fanteria<br />
da sbarco) ai danni dei difensori sopravissuti.<br />
Migliore fu l’immediato destino di chi cadde prigioniero dei reparti della Marina tedesca che<br />
si comportò invece onorevolmente.<br />
Dal 9 novembre in poi, le ricognizioni aeree, le informazioni e il continuo andirivieni<br />
all’orizzonte, fuori portata dei nostri cannoni, indicavano che era imminente la<br />
preparazione allo sbarco.<br />
Nella notte e sull’alba del 12 novembre 1943 forze da sbarco tedesche giunsero intorno a<br />
Lero, con provenienza da tutti i punti dell’orizzonte. Inspiegabilmente, malgrado<br />
tempestive segnalazioni, la Marina inglese non intervenne.<br />
Gli inglesi che avevano più o meno sempre controllato le acque dell’isola, le lasciarono<br />
libere proprio in occasione dello sbarco, da essi stessi preannunziato.<br />
Un convoglio formato da due cacciatorpediniere e dodici moto zattere cariche di uomini<br />
provenienti da Sud Ovest fu inquadrato dal tiro dei 125/40 della batteria “Ducci”, che colpì<br />
in pieno già a 1.500 metri un CT. Il convoglio, vista la mala parata, invertì<br />
precipitosamente la rotta e sparì più tardi dietro Calino, rinunziando all’azione di sbarco.<br />
Le nostre batterie del Sud continuarono i tiri su Calino e presero parte poi all’azione a<br />
fronte rovesciato sui tedeschi sbarcati altrove.<br />
A Nord Est, dove già nella notte era sbarcato un gruppo rilevante di tedeschi attestatosi<br />
sui versanti del Monte Appetici, stavano invece avvenendo fatti gravi per mancanza di<br />
comunicazioni; da quella parte notevoli gruppi di navi stavano muovendo all’attacco<br />
dell’isola. Malgrado le batterie 888, 899, “Ciano”, “San Giorgio” e “Lago” avessero<br />
duramente colpito i convogli, questi non desistettero e sbarcarono alcune centinaia di<br />
uomini alle due Punte Pasta (di Sopra e di Sotto) dove non era possibile il tiro diretto delle<br />
nostre artiglierie.[…]<br />
Il giorno 14, terza giornata, la lotta divampò furiosa.[…]<br />
All’alba del giorno 15 gli scontri ripresero con rinnovata violenza. I tedeschi avevano<br />
ancora progredito. Dal Monte Appetici si erano spinti sino all’abitato di Lero e dal centro<br />
avevano progredito verso Santa Marina, Monte Rachi e Monte Meraviglia. Dal nord si<br />
erano spinti lungo la costa della baia di Alinda per effettuare il non ancora completo<br />
congiungimento. La situazione era ormai disperata.<br />
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20052 <strong>Monza</strong> – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772<br />
Il giorno 16 novembre 1943, alle 18,30, solo dopo la resa del Generale Tilney, l’Ammiraglio<br />
Mascherpa diramò l’ordine di cessare il fuoco; i combattimenti però terminarono del tutto<br />
solo la mattina del 17.<br />
L’Ammiraglio Mascherpa Il Gen.Tilney col. Gen. Muller dopo la resa.<br />
Gli inglesi in alcuni casi, con ammirevole cameratismo, per scongiurare fucilazioni<br />
immediate certe, offrirono agli italiani le loro uniformi che furono cortesemente<br />
rifiutate.[…]<br />
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A.N.M.I.<br />
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Nei giorni seguenti, in diversi scaglioni, i vinti abbandonarono l’isola, destinati a<br />
raggiungere in condizioni pressoché inumane i campi di prigionia […]<br />
Prigionieri italiani destinati ai campi di prigionia<br />
L’Ammiraglio Luigi Mascherpa, anch’egli tratto prigioniero, consegnato poi alla Repubblica<br />
Sociale Italiana, fu condannato a morte e fucilato a Parma il 24 Maggio 1944.<br />
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BIBLIOGRAFIA:<br />
A.N.M.I.<br />
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Si ringrazia la redazione del sito www.dodecaneso.org – Sito italiano sulla storia antica<br />
e moderna delle isole dell’Egeo – per la gentile concessione di fotografie e parte del<br />
testo relativo a “Lero, un'isola destinata alla tragedia”.<br />
Rivista “Storia Militare” nr. 121 del mese Ottobre 2003 e nr. 122 del mese di Novembre<br />
2003 per alcune foto inserite nel testo relativo alla storia di Armando Gaiba.<br />
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