29.05.2013 Views

53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Rimini, 19-21 Maggio ...

53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Rimini, 19-21 Maggio ...

53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Rimini, 19-21 Maggio ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI<br />

PER ANIMALI DA COMPAGNIA<br />

SOCIETÀ FEDERATA ANMVI<br />

Atti del<br />

Estratti relazioni<br />

Comunicazioni brevi<br />

organizzato da Eventi Veterinari certificata ISO 9001:2000<br />

®


SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI<br />

PER ANIMALI DA COMPAGNIA<br />

SOCIETÀ FEDERATA ANMVI<br />

Estratti relazioni<br />

Comunicazioni brevi<br />

organizzato da Eventi Veterinari certificata ISO 9001:2000<br />

®


La <strong>SCIVAC</strong> ringrazia le Aziende sponsor<br />

Hill’s *


COMITATO SCIENTIFICO CONGRESSUALE<br />

DIRETTIVO <strong>SCIVAC</strong> 2005-2007 / <strong>SCIVAC</strong> BOARD OF DIRECTORS 2005-2007<br />

MASSIMO BARONI Presidente UGO BONFANTI Tesoriere<br />

ERMENEGILDO BARONI Presidente Senior DAVIDE DE LORENZI Consigliere<br />

DEA BONELLO Vice Presidente GUIDO PISANI Consigliere<br />

FABIA SCARAMPELLA Segretario<br />

RESPONSABILI SOCIETÀ SPECIALISTICHE<br />

SPECIALISTIC ASSOCIATIONS’ CHAIRPERSONS<br />

STEFANO BO, SIMEF ROBERTO MARCHESINI, SISCA<br />

UGO BONFANTI, SICIV MASSIMO MARISCOLI, SINVET<br />

MICHELE BORGARELLI, SICARV BRUNO PEIRONE, SIOVET<br />

FABRIZIO FABBRINI, SIDEV GUIDO PISANI, SCVI<br />

PAOLO FERRARI, SVIDI ROBERTO TOVINI, Practice Management<br />

ADRIANO LACHIN, SIARMUV<br />

UGO LOTTI, SIMIV<br />

FABIO VIGANÒ, SIARMUV<br />

ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE / ORGANIZING SECRETARIAT<br />

<strong>SCIVAC</strong> - Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (Italy) - Tel: + 39 0372 403508 - Fax: +39 0372 457091<br />

Coordinatore Congressuale<br />

FULVIO STANGA<br />

Segreteria Congressuale Scientifica<br />

MONICA VILLA - commscientifica@scivac.it<br />

Segreteria Marketing<br />

FRANCESCA MANFREDI - marketing@evsrl.it<br />

Segreteria Iscrizioni<br />

PAOLA GAMBAROTTI - info@scivac.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 7<br />

CURRICULA VITAE DEI RELATORI<br />

FRANCESCA ABRAMO<br />

Med Vet, Pisa<br />

Laureata presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Pisa nel <strong>19</strong>86 con 110/110. Negli anni post laurea ha<br />

effettuato uno stage di un anno e mezzo presso l’Institut<br />

fuer Tierpathologie di Berna e un visiting fellowship<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Guelph (Ontario,<br />

Canada). È attualmente Professore Associato presso il Dipartimento<br />

di Patologia Animale della Facoltà di Medicina di Pisa e docente<br />

di patologia generale comparata. Presso il Dipartimento è<br />

responsabile da diversi anni della diagnostica dermatopatologica<br />

del Registro Tumori. È autrice di un centinaio di articoli su argomenti<br />

di patologia animale pubblicati su riviste nazionali e internazionali<br />

e di comunicazioni scientifiche presentate a Congressi sia in<br />

Italia che all’estero.<br />

SUSANNA ARNOLD<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Si laurea nel <strong>19</strong>79 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

a Zurigo. Trascorso un periodo come assistente<br />

presso l’istituto di Patologia e Clinica Veterinaria per<br />

animali da compagnia si trasferisce, nel <strong>19</strong>84, in<br />

Australia per un Intership presso l’Università di Sidney nel Dipartimento<br />

di Veterinary Clinical Studies. Nel <strong>19</strong>85 diventa Senior<br />

Assistant in Small Animal Reproduction and Obstetrics. Dal <strong>19</strong>89<br />

è capo del Dipartimento di Riproduzione dell’Università di Zurigo<br />

ROBERTO BELLENTANI<br />

Med Vet, Formigine (MO)<br />

Laureato nel <strong>19</strong>82 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Parma. Inizia la professione prima in un<br />

Ambulatorio a Modena, poi dal <strong>19</strong>92 al <strong>19</strong>98 fa parte<br />

dello staff della Casa di cura San Geminiano, struttura<br />

dotata di pronto soccorso e degenza. In questo periodo si occupa di<br />

chirurgia generale, diagnostica per immagini ed anestesiologia. Dal<br />

<strong>19</strong>99 lavora in un Ambulatorio Veterinario a Formigine, di cui è<br />

Direttore Sanitario, e collabora con l’Ambulatorio Veterinario San<br />

Prospero di Reggio Emilia dove si occupa esclusivamente di anestesia.<br />

Da parecchi anni è iscritto al gruppo di studio di anestesia,<br />

al quale ha collaborato attivamente con una relazione sul blocco del<br />

plesso brachiale con ausilio di elettrostimolatore. Sempre sullo<br />

stesso argomento ha presentato una comunicazione libera al 44°<br />

<strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong>. Ha inoltre svolto diversi stage di<br />

aggiornamento presso l’Ambulatorio “Città di Tortona” del Dott.<br />

Emilio Feltri.<br />

ALESSANDRO BENVENUTI<br />

Med Vet, Roma<br />

Si laurea in Medicina Veterinaria all’Università di Pisa<br />

nel <strong>19</strong>87 discutendo una tesi sull’utilizzo e sulla tossicità<br />

dell’ivermectina. Nello stesso anno ottiene l’abilitazione<br />

alla professione di medico chirurgo veterinario.<br />

Nel <strong>19</strong>87, come primo veterinario italiano, lavora nel Centro di<br />

Ricerca e di Riabilitazione di Pieterbureen in Olanda; questo centro<br />

diretto dalla Drssa Lenie Hart e dalla Drssa Lies Vedder, è riconosciuto<br />

in tutto il mondo per i loro studi e ricerche nel campo delle<br />

patologie da inquinamento e contaminazione sui mammiferi<br />

marini. Adempie al Servizio Militare come Ufficiale Medico ed<br />

esplica la figura, dal <strong>19</strong>89 al <strong>19</strong>91, di Dirigente Veterinario presso<br />

la Legione Roma dei Carabinieri, seguendo in particolare l’allevamento<br />

dei cani deputati al servizio anti-droga, anti-esplosivo e antivalanga<br />

e al loro necessario addestramento. Dopo essere stato uno<br />

dei fondatori di una delle prime cliniche 24 ore a Roma nel <strong>19</strong>88,<br />

lo Zoospedale Flaminio, di cui era il responsabile dell’ambulatorio,<br />

nel ’91 ne esce e diventa Direttore Sanitario presso la propria struttura<br />

medico chirurgica veterinaria, sempre a Roma. Per molti anni<br />

ha rivestito il ruolo di Responsabile Veterinario <strong>Nazionale</strong> per il<br />

Centro Studi Cetacei per il Programma di Pronto Intervento sugli<br />

animali vivi spiaggiati. Autore e relatore di articoli nazionali ed<br />

internazionali di argomenti veterinari e di ecobiologia marina.<br />

Membro di varie Società nazionali ed internazionali nell’ambito<br />

della medicina veterinaria, delle scienze biologiche e naturali, nel<br />

<strong>19</strong>96 incomincia ad interessarsi all’omeopatia frequentando L’Homeopathic<br />

Pedriatic London Hospital di Londra. Nel 2005 a Milano<br />

si diploma presso l’Associazione Medica Italiana di Omeopatia<br />

e Omotossicologia. Sta ultimando il Master di Terapia Comportamentale<br />

dell’Università di Pisa dove quest’anno riceverà il titolo di<br />

specialista. È membro, della F.I.A.M.O. massima associazione di<br />

omeopatia in Italia, della S.I.M.V.E.N.C.O. società per la medicina<br />

non convenzionale appartenente alla <strong>SCIVAC</strong>. e dell’A.I.O.T. associazione<br />

omo-tossicologica italiana. Ha condotto seminari e corsi<br />

per Fondazioni e Associazioni nazionali anche in sedi universitarie<br />

italiane come esperto sulla clinica e sul comportamento dei cetacei<br />

e sulla tematica delle intolleranze alimentari nei piccoli animali. Ha<br />

partecipato come esperto e consulente trattando di ambiente e di<br />

animali in vari programmi televisivi sulle reti nazionali: RAI 1 ad<br />

Uno Mattina, RAI 2 alla trasmissione In Famiglia, RAI 3 Geo &<br />

Geo, Telemontecarlo, Reti Mediaset. Autore di articoli su giornali<br />

specializzati, conduce una rubrica settimanale in una delle testate<br />

nazionali per il gruppo il “Messaggero”.<br />

MARCO BERNARDINI<br />

Med Vet, Dipl ECVN, Bologna<br />

Si laurea presso l’Università di Bologna nel <strong>19</strong>88.<br />

Frequenta dal <strong>19</strong>92 in Lussemburgo e Svizzera i corsi<br />

di neurologia dell’European School for Advanced<br />

Veterinary Studies (ESAVS). Nel biennio <strong>19</strong>94-95<br />

effettua un Residency in Neurologia presso l’Università di Berna<br />

(Svizzera). Nel <strong>19</strong>95 consegue il diploma dell’European College<br />

of Veterinary Neurology (ECVN). Dal <strong>19</strong>97 al 2001 è docente di<br />

Neurologia Veterinaria presso l’Università di Barcellona (Spagna)<br />

e responsabile del Servizio di Neurologia e Neurochirurgia presso<br />

l’Ospedale Veterinario della stessa facoltà. Nel biennio 2002-<br />

03 è Oberassistent in Neurologie presso l’Università di Berna<br />

(Svizzera). Attualmente è Professore Associato di Neurochirurgia<br />

Veterinaria presso l’Università di Padova ed esercita la libera professione<br />

esclusivamente come referente di casi neurologici presso<br />

la Clinica Veterinaria Poggio Piccolo a Castel Guelfo (BO). È<br />

Past-president della Società Italiana di Neurologia Veterinaria<br />

(SINVet) e membro dell’Examination Committee dell’ECVN.<br />

Relatore a numerosi corsi e congressi in Italia e all’estero, è autore<br />

di articoli, del libro “Neurologia del cane e del gatto” (Poletto<br />

Editore, Milano) e coautore del capitolo sulle patologie del<br />

midollo spinale nell’“Atlas und Lehrbuch der Kleintierneurologie”<br />

(A. Jaggy Ed., Schluetersche).<br />

DAVID BETTIO<br />

Med Vet, Parma<br />

Laureato a Parma nell’anno ’97-’98 con una tesi in dermatologia,<br />

ha seguito vari periodi di formazione in<br />

ematologia e diagnostica per immagini. Diplomato alla<br />

Scuola di Medicina Omeopatica di Verona nel <strong>19</strong>99,<br />

ora ne è parte del Consiglio Direttivo e Docente effettivo di medicina<br />

Omeopatica Veterinaria. È autore di vari articoli pubblicati su<br />

riviste italiane di casi clinici trattati con l’omeopatia unicista.<br />

Membro della FIAMO e dell’UMNCV, esercita la professione sugli<br />

animali da compagnia nel suo ambulatorio, occupandosi di medicina<br />

interna e anestesiologia.<br />

FRÉDÉRIC BEUGNET<br />

Med Vet, PhD, Dipl EVPC, Lion, Francia<br />

Medico Veterinario, Professore di Parassitologia presso<br />

l’Università di Lione e Maisons-Alfort. Diplomato al<br />

College Europeo di Parassitologia Veterinaria. Ha dedicato<br />

10 anni per studiare la chemioresistenza negli<br />

artropodi e dal 2000 lavora principalmente sull’epidemiologia delle<br />

malattie trasmesse da artropodi con 3 unità di ricerca: ACARUS<br />

(Università di Bristol), UMR-BIPAR (Maisons-Alfort) ed Esercito


8 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

militare francese. Ha pubblicato numerosi studi sulle malattie trasmesse<br />

da zecche in Francia, Spagna e UK. Recentemente ha indagato<br />

con trial di campo, della durata di 1 anno, la prevenzione dell’Ehrlichiosi<br />

e della Babesiosi canina in Nord Africa ed Ungheria.<br />

DEA BONELLO<br />

Med Vet, Phd, SRV, Dipl EVDC, Torino<br />

Si laurea nel <strong>19</strong>89 alla Facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Torino. Si specializza nel <strong>19</strong>97 in Radiologia Veterinaria,<br />

nel 2001 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in<br />

Medicina Interna e nel 2001 ottiene un contratto di ricerca<br />

presso il Dipartimento di Patologia Animale della Facoltà di<br />

Medicina Veterinaria di Torino. Dal <strong>19</strong>89 si dedica all’odontostomatologia<br />

veterinaria ed in questo settore svolge attività di consulenza<br />

per i piccoli ed i grossi animali. Nel <strong>19</strong>96 e nel <strong>19</strong>98 è stata, a scopo<br />

di aggiornamento, all’Università di Davis in California. Dal <strong>19</strong>98 è<br />

Diplomata dell’European College of Veterinary Dentistry. Relatore a<br />

numerosi congressi in Italia ed all’estero e autore di pubblicazioni<br />

inerenti l’odontostomatologia veterinaria e comparata. Per molti anni<br />

Coordinatore del Gruppo di Studio di Odontostomatologia della SCI-<br />

VAC, dal <strong>19</strong>98 al 2002 è stata Segretario dell’EVDC. Attualmente è<br />

Presidente dell’EVDC, Vice Presidente della SIODOV e Vice Presidente<br />

della <strong>SCIVAC</strong>.<br />

MICHELE BORGARELLI<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVIM-CA (Card), Torino<br />

Si è laureato presso l’Università di Torino nel <strong>19</strong>89 con<br />

una tesi di fisiologia. Dal <strong>19</strong>90 si occupa di cardiologia<br />

e di ecografia nei piccoli animali. Da allora ha seguito<br />

numerosi periodi di aggiornamento in Italia e all’estero.<br />

È stato professore a contratto in ecocardiografia per gli anni<br />

<strong>19</strong>96-97, <strong>19</strong>98-99 e 2000-01 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Torino. Nel <strong>19</strong>99 si è diplomato al College Europeo di<br />

Medicina Interna (Cardiologia). Attualmente è Ricercatore e Dottorando<br />

di ricerca presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino<br />

dove segue programmi di ricerca sulla miocardiopatia dilatativa<br />

nel cane, sulla insufficienza mitralica nei cani di grossa taglia, sui<br />

meccanismi neuro-ormonali in corso di insufficienza cardiaca, e<br />

sugli effetti delle malattie sistemiche sull’apparato cardiovascolare.<br />

Ha tenuto numerosi seminari scientifici e corsi di perfezionamento<br />

su argomenti riguardanti la cardiologia e l’ecografia internistica nei<br />

piccoli animali ed ha presentato i risultati dei suoi esperimenti ed<br />

esperienze cliniche in congressi nazionali ed internazionali. È<br />

segretario e tesoriere della Società Europea di Cardiologia Veterinaria<br />

(ESVC). È membro del consiglio direttivo della Società Italiana<br />

di Cardiologia Veterinaria (SICARV). È autore di circa 60<br />

pubblicazioni di cardiologia ed ecografia internistica su riviste<br />

nazionali ed internazionali.<br />

ENRICO BOTTERO<br />

Med Vet, Cuneo<br />

Si laurea in Medicina veterinaria presso l’Università di<br />

Torino nel <strong>19</strong>97 con una tesi sulle periodontopatie nel<br />

cane. Esperienze professionali presso numerosi ambulatori<br />

e cliniche nell’ambito della clinica dei piccoli<br />

animali. Ha partecipato a numerosi corsi Scivac.<br />

È autore e coautore di articoli su riviste nazionali ed internazionali<br />

Relatore dal 2003 al corso di citologia della Scivac. Realtore al corso<br />

di endoscopia flessibile presso la clinica San Antonio di Salò nel<br />

2004 e nel 2005. Attualmente libero professionista, free lance nell’ambito<br />

dell’endoscopia flessibile presso numerosi ambulatori e<br />

cliniche in Piemonte e Liguria. Campo principale di interesse: citologia<br />

/ gastroenterologia.<br />

ANTONELLO BUFALARI<br />

Med Vet, PhD, Perugia<br />

Conseguita la maturità classica, si è laureato in Medicina<br />

Veterinaria nel <strong>19</strong>89 con lode. I suoi principali<br />

campi di interesse sono l’anestesiologia e la chirurgia.<br />

È ricercatore confermato presso il Dipartimento di<br />

Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, dell’Università di<br />

Perugia. Tra i principali aggiornamenti professionali si ricordano<br />

un Visiting Fellowship presso il Department of Clinical Sciences,<br />

Cornell University, New York, USA, dal 1/02/93 al 30/11/93; un<br />

Post-doctoral Associate: Department of Clinical Sciences, Faculty<br />

of Veterinary Medicine, Cornell University, New York, USA, dal<br />

01/06/96 al 31/07/97. Ha conseguito il titolo di PhD (Philosophy<br />

Doctor) presso il Department of Clinical Sciences, Faculty of Veterinary<br />

Medicine, Helsinki University, il 27 Marzo <strong>19</strong>98. È stato Coinvestigator<br />

di una ricerca sperimentale su un nuovo agente analgesico<br />

eseguita presso la Cornell University tra il <strong>19</strong>96 e il <strong>19</strong>97.<br />

Attualmente ha incarichi di insegnamento nei corsi di laurea in<br />

Anestesiologia, Clinica Chirurgica, Chirurgia Toracica ed Endoscopia<br />

rigida presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia.<br />

Collabora, inoltre, in programmi di ricerca con il Dipartimento di<br />

Chirurgia Generale della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Perugia<br />

e con il Dipartimento di scienze chirurgiche e perioperative dell’Università<br />

di Umea, Svezia. Dal <strong>19</strong>91 è membro della Società Italiana<br />

delle Scienze Veterinarie (SISVet) e della Società Culturale<br />

Italiana Veterinari per Animali da Compagnia (<strong>SCIVAC</strong>) dal <strong>19</strong>93<br />

è Ordinary Member della Association of Veterinary Anaesthesist<br />

(AVA), dal <strong>19</strong>94 è membro della Società Italiana di Chirurgia Veterinaria<br />

(SICV). A partire dal 2003, ha rivestito incarichi di docente<br />

ai corsi di anestesiologia organizzati da <strong>SCIVAC</strong> e dal 2004 è<br />

membro del consiglio direttivo SIARMUV. Autore o co-autore di<br />

oltre novanta pubblicazioni di cui una decina su riviste internazionali<br />

inerenti anestesiologia e chirurgia.<br />

È stato relatore a numerosi congressi e seminari nazionali e internazionali.<br />

Co-autore di un capitolo su Veterinary Clinics of North<br />

America. Autore del manuale: “Concetti di base per l’artroscopia<br />

diagnostica e operativa nel cane”.<br />

PAOLO BURACCO<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Torino<br />

È professore ordinario di Clinica Chirurgica Veterinaria<br />

e Chirurgia presso la Facoltà di Med. Vet. di Grugliasco<br />

(Torino). Nel periodo Settembre <strong>19</strong>87-Dicembre <strong>19</strong>88<br />

è stato Visiting Assistant Professor presso la School of<br />

Vet. Med. (Purdue University, Indiana), con Borsa di Perfezionamento<br />

Ass. It. Ric. Cancro (AIRC), dove ha svolto attività clinica<br />

principalmente rivolta alla diagnosi e terapia dei tumori spontanei<br />

del cane e del gatto. È diplomato dal Giugno <strong>19</strong>98 al Collegio<br />

Europeo dei Chirurghi Veterinari, piccoli animali (E.C.V.S.).<br />

È membro della Veterinary Cancer Society, della Società Ital. di<br />

Chir. Vet., dell’Europ. Soc. of Vet. Oncology e dell’European College<br />

of Veterinary Surgeons.<br />

Dal 2005 fa parte dell’Examination Committee dell’ECVS. Relatore<br />

in numerosi convegni nazionali e internazionali e autore di oltre<br />

140 pubblicazioni su riviste italiane ed estere<br />

MARIO CANIATTI<br />

Med Vet, Dipl ECVP, Milano<br />

Mario Caniatti si è laureato nel <strong>19</strong>85 presso la Facoltà<br />

di Medicina Veterinaria di Milano dove oggi svolge la<br />

sua attività presso la Sezione di Anatomia Patologica<br />

Veterinaria del Dipartimento di Patologia. Ha compiuto<br />

periodi di ricerca e studio presso le scuole di veterinaria di Davis<br />

(California) e Barcellona.<br />

La sua attività lavorativa è imperniata sul Servizio di Citologia Diagnostica<br />

del Dipartimento, mentre la sua attività di ricerca è focalizzata<br />

sulle neoplasie cutanee e linfoproliferative, nonché sulle<br />

patologie croniche del cavo nasale.<br />

È autore o coautore di varie pubblicazioni tra cui una ventina su<br />

riviste internazionali. Dal <strong>19</strong>98 è membro del College europeo dei<br />

patologi veterinari (ECVP).<br />

DAVID CHIAVEGATO<br />

Med Vet, Padova<br />

Laureato nel <strong>19</strong>84 alla Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Bologna, con 110/110 discutendo una tesi sperimentale<br />

svolta in collaborazione con l’Ist. Zoopr. Sperimentale<br />

delle Venezie. Si occupa di cardiologia e diagnostica<br />

ecografica nei piccoli animali da circa 10 anni. Dal <strong>19</strong>96<br />

collabora con il dott. Claudio Bussadori (DM; DVM Dipl. ECVIM<br />

– cardiology). È relatore ed istruttore a corsi <strong>SCIVAC</strong> di “Cardiologia”,<br />

e di “Ecografia” dal <strong>19</strong>98 e al corso di “Ecocardiografia”. È<br />

stato coordinatore del Gruppo di studio di “Diagnostica per immagini”<br />

della <strong>SCIVAC</strong> nel triennio <strong>19</strong>99/2001, ed è attualmente vice


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 11<br />

presidente della SICARV (Società italiana di cardiologia veterinaria).<br />

Ha tenuto varie relazioni ad incontri di aggiornamento professionale<br />

in cardiologia ed ecografia internistica. È stato relatore al<br />

congresso nazionale multisala <strong>SCIVAC</strong> Milano 2001, 2003, 2004.<br />

È stato relatore ed istruttore al corso di Ecocardiografia (advanced<br />

course “cardiology III”-ESAVS).<br />

È stato docente al Master di II livello presso la Facoltà di Medicina<br />

Veterinaria dell’Università di Parma. È stato professore a contratto<br />

per l’anno accademico 2003-2004 presso la facoltà di Medicina<br />

Veterinaria dell’Ateneo di Torino. Svolge attività di collaborazione<br />

con il dipartimento di Scienze Biomediche (Prof. S. Sartori)<br />

della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo di Padova. Lavora<br />

a Padova come libero professionista dove svolge prevalentemente<br />

attività di referenza in cardiologia ed ecografia addominale. Principali<br />

interessi sono rivolti allo studio dell’ipertensione polmonare<br />

ed alla diagnostica ecocardiografica, ed allo studio ed utilizzazione<br />

delle cellule staminali.<br />

LEAH COHN<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Leah Cohn è attualmente Professore Associato di<br />

Medicina Interna veterinaria presso l’Università del<br />

Missouri, Columbia, MO. La dott.ssa Cohn si è laureata<br />

all’Università del Tennessee per poi completare sia la<br />

sua intership e il suo residency in Medicina Interna dei Piccoli Animali<br />

presso l’Università del North Carolina State. Successivamente<br />

acquisì il PhD dal NCSU studiando Microbiologia ed Immunologia<br />

Veterinaria. Gli interessi della dott.ssa Cohn includono sia le<br />

malattie infettive ed immunomediate che la medicina respiratoria.<br />

RAIMONDO COLANGELI<br />

Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF, Roma<br />

Si laurea nel <strong>19</strong>82 a Perugia in Medicina Veterinaria.<br />

Dal <strong>19</strong>95 si occupa di patologia comportamentale.<br />

Vice Presidente della SISCA (Società Italiana Scienze<br />

Comportamentali Applicate). Ha seguito corsi di base<br />

ed avanzati di patologia comportamentale sia in Italia che in Francia.<br />

Ha conseguito il diploma di specialità (CES) di Medico Veterinario<br />

Comportamentalista nelle ENV francesi nell’ottobre 2002. È<br />

stato relatore a seminari, giornate regionali Scivac, congressi nazionali<br />

ed internazionali, corsi di patologia comportamentale in Italia<br />

e Francia. È Direttore del corso base ed avanzato di Medicina comportamentale<br />

della Scivac dal 2002. È relatore della sezione di<br />

Medicina Comportamentale alla facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Teramo nel Master in “Scienze del comportamento e pet therapy”<br />

del 2004. È professore a contratto per l’anno Accademico<br />

2004/2005 e 2005/2006 alla facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Teramo. È professore a contratto nel Master Universitario di “Clinica<br />

delle malattie comportamentali del cane e del gatto” presso la<br />

facoltà di Medicina Veterinaria di Torino per l’anno Accademico<br />

2005/2006. Ha pubblicato articoli di medicina comportamentale su<br />

riviste veterinarie. È autore insieme alla Dott.ssa Sabrina Giussani<br />

del libro “Medicina comportamentale del cane e del gatto” editore<br />

Poletto 2004. È membro dell’associazione dei comportamentalisti<br />

francesi Zoopsy e dell’ESVCE (European Society of Veterinary<br />

Clinical Ethology).<br />

SILVIA COLOMBO<br />

Med Vet, Dipl ECVD, Legnano (MI)<br />

Laureata all’Università di Milano nel <strong>19</strong>92. Ha conseguito<br />

il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Interna<br />

Veterinaria presso l’Istituto di Clinica Medica Veterinaria,<br />

facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli<br />

Studi di Milano, nel <strong>19</strong>97 e ha percepito una borsa di studio Post-<br />

Dottorato presso la stessa sede, dal <strong>19</strong>98 al 2000. Dal 2000 al 2003<br />

ha frequentato un periodo di specializzazione di tre anni in dermatologia<br />

veterinaria (Senior Clinical Scholarship in Veterinary Dermatology)<br />

presso il Department of Clinical Veterinary Studies, The<br />

University of Edinburgh. È stata docente a contratto (Temporary<br />

Clinical Fellow in Veterinary Dermatology) presso il Department<br />

of Clinical Veterinary Science, University of Bristol, tra il novembre<br />

2003 ed il giugno 2004. Nel luglio del 2004 ha conseguito il<br />

Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (Dip<br />

ECVD). Dal 2004 lavora in Italia, presso diverse strutture del nord<br />

e del centro, eseguendo esclusivamente consulenze dermatologi-<br />

che. È membro della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria<br />

dal <strong>19</strong>97 e dell’ESVD (European Society of Veterinary Dermatology)<br />

dal <strong>19</strong>94. La Dr.ssa Colombo è autrice di numerosi articoli su<br />

riviste italiane e straniere.<br />

FEDERICO CORLETTO<br />

Med Vet, CertVA, Dipl ECVA, MRCVS,<br />

Cambridge, UK<br />

Nato a Castelfranco Veneto, ha conseguito la Laurea in<br />

Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

dell’Università degli Studi di Padova nel <strong>19</strong>97,<br />

con il massimo dei voti e la lode. Ha prestato servizio come ricercatore<br />

presso la medesima Facoltà, occupandosi di anestesiologia. Nel<br />

2002 ha conseguito il Certificate in Veterinary Anaesthesia rilasciato<br />

dal Royal College of Veterinary Surgeons e nel 2003 il Diploma di<br />

Specializzazione in Anestesiologia Veterinaria rilasciato dal College<br />

Europeo (ECVA). Dal giugno 2003 lavora all’Animal Health Trust<br />

(Newmarket), in qualità di Anestesista Veterinario.<br />

LUISA CORNEGLIANI<br />

Med Vet, Milano<br />

Laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di<br />

Milano nel <strong>19</strong>91, lavora come libero professionista nel<br />

settore dei piccoli animali dove si occupa di dermatologia<br />

dal <strong>19</strong>95. Ha frequentato periodi d’aggiornamento<br />

all’estero ad indirizzo dermatologico presso strutture private ed<br />

universitarie. Full member dell’ESVD sta attualmente seguendo la<br />

via alternativa per conseguire il diploma del College Europeo di<br />

Dermatologia Veterinaria. È inoltre autore di numerosi articoli su<br />

riviste nazionali ed internazionali, nonché traduttore di testi di dermatologia<br />

veterinaria e co-autore di un cd multimediale dedicato<br />

alla dermatologia. Attualmente lavora eseguendo visite dermatologiche<br />

di referenza a Milano, Torino, Novara.<br />

LORENZO CROSTA<br />

Med Vet, Desio (MI)<br />

Laureato in Medicina Veterinaria a Milano, con una<br />

tesi sugli aspetti ultramicroscopici della Bronchite<br />

Infettiva del pollo. Fino al <strong>19</strong>99 ha svolto attività libero<br />

professionale in Italia, come veterinario di animali<br />

esotici, concentrandosi soprattutto sugli uccelli e le collezioni di<br />

animali da zoo. Dal 2000 ricopre l’incarico di Direttore Veterinario<br />

presso il Loro Parque di Tenerife, che comprende la più grande<br />

collezione di pappagalli del mondo, ed inoltre ospita grandi<br />

felini, primati (gorilla e scimpanzé), rettili (alligatori e tartarughe<br />

delle Galapagos), delfini, leoni marini, un notevole acquario ed<br />

uno dei maggiori pinguinari mondiali. È stato rappresentante italiano<br />

dell’Association of Avian Veterinarians, della quale è già<br />

stato ed è tuttora Chairman europeo. Inoltre è stato membro del<br />

Board of Directors della stessa associazione. È socio fondatore ed<br />

è stato membro del consigio direttivo della SIVAE (Associazione<br />

Italiana Veterinari per Animali Esotici), ed è socio dell’American<br />

Association of Zoo Veterinarians. È stato relatore invitato a diversi<br />

congressi internazioonali in Europa, USA, Australia e Brasile<br />

ed ha scritto o presentato più di 60 fra articoli scientifici e relazioni<br />

a vari congressi. Attualmente è consulente ufficiale per i<br />

progetti di recupero dell’Ara di Spix a dell’Ara di Laer (i due pappagalli<br />

più minacciati del mondo).<br />

GUALTIERO WALTER CROTTI<br />

Med Vet, Dipl Master in Cardiologia,<br />

Civitanova Marche (MC)<br />

Laureato a Milano nel <strong>19</strong>90, abilitato nello stesso anno.<br />

Fino al <strong>19</strong>93 ha svolto attività libero professionale su<br />

animali di affezione in diverse strutture di Milano e<br />

provincia come collaboratore e come turnista di Pronto Soccorso.<br />

Trasferitosi a Civitanova Marche, nel <strong>19</strong>93, svolge attualmente<br />

attività nella propria struttura e consulenza esterna. Si occupa di<br />

cardiologia, medicina interna, diagnostica per immagini e medicina<br />

di urgenza. Ha conseguito nel 2005 il diploma Master in Cardiologia<br />

del cane e del gatto presso l’Università di Torino, con tesi<br />

riguardante il cuore di atleta. Dal 2003 collaboratore del Gruppo<br />

di Studio di Practice Management. Coautore di relazioni al congresso<br />

<strong>SCIVAC</strong> del 2004 e di pubblicazioni riguardanti il Practice<br />

Management.


12 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

GINO D’AGNOLO<br />

Med Vet, Trieste<br />

Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna.<br />

Ha partecipato a numerosi congressi, corsi e seminari in qualità di<br />

relatore presentando relazioni riguardanti la cardiologia degli animali<br />

da compagnia. Ha collaborato con le Delegazioni della SCI-<br />

VAC e con la SICARV (Società Italiana di Cardiologia Veterinaria)<br />

presentando relazioni di cardiologia durante le giornate di approfondimento<br />

e gli incontri regionali. I suoi principali ambiti di interesse<br />

comprendono la radiologia toracica, le cardiopatie, l’approccio<br />

clinico al paziente cardiopatico. I suoi hobbies sono la pesca e<br />

gli sport acquatici.<br />

PAOLA DALL’ARA<br />

Med Vet, PhD, Milano<br />

Laurea in Medicina Veterinaria con discussione di una<br />

tesi sperimentale dal titolo “Studio dell’immunità umorale<br />

del bovino: protidogrammi sierici di animali in<br />

condizioni fisiologiche diverse”, conseguita il 23 febbraio<br />

<strong>19</strong>89. Conseguimento dell’abilitazione all’esercizio della<br />

professione di medico veterinario presso l’Università di Milano<br />

nella I sessione dell’anno <strong>19</strong>89. Conseguimento del titolo di Dottore<br />

di Ricerca (Dottorato in “Biotecnologie applicate alle scienze<br />

veterinarie e zootecniche” - V ciclo - <strong>19</strong>89/<strong>19</strong>92), discutendo una<br />

tesi finale dal titolo “Produzione, purificazione e applicazione di<br />

molecole anticorpali specifiche mediante tecnologie innovative” in<br />

data <strong>21</strong> maggio <strong>19</strong>93. Conseguimento di una borsa di studio postdottorato<br />

dell’area 7 - Scienze Agrarie, con decorrenza maggio<br />

<strong>19</strong>94-maggio <strong>19</strong>95, con un programma dal titolo “Valutazione dei<br />

parametri dell’immunità innata e specifica negli animali in condizioni<br />

fisiologiche e nel corso di patologie infettive, al fine di interpretare<br />

il funzionamento della complessa rete immunitaria attraverso<br />

parametri oggettivi”. Ricercatore presso l’Istituto di Microbiologia<br />

e Immunologia Veterinaria (area V32A) dal 2 novembre <strong>19</strong>95 al<br />

1° novembre <strong>19</strong>98. Ricercatore confermato presso l’Istituto di<br />

Microbiologia e Immunologia Veterinaria (area V32A) dal 2<br />

novembre <strong>19</strong>98 al 28 febbraio 2001. Professore associato presso il<br />

Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria,<br />

Sezione di Microbiologia e Immunologia Veterinaria (area<br />

VET/05 ex-V32A) dal 1° marzo 2001 al 28 febbraio 2004. Professore<br />

associato confermato presso il Dipartimento di Patologia Animale,<br />

Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Sezione di Microbiologia<br />

e Immunologia Veterinaria (area VET/05 ex-V32A) dal 1° marzo<br />

2004 a tutt’oggi. Titolare del corso “Immunologia veterinaria”<br />

(50 ore) del corso di laurea in Biotecnologie indirizzo veterinario<br />

(F29) per gli anni accademici <strong>19</strong>99-2000, 2000-2001, 2001-2002 e<br />

2002-2003 (fino a esaurimento del corso di laurea). Titolare del<br />

corso “Immunologia veterinaria” (2 crediti) del corso di laurea in<br />

Biotecnologie veterinarie (classe 1) dall’anno accademico 2001-<br />

2002 a oggi Titolare (cdc) del modulo “Immunologia comparata”<br />

(3 crediti) del corso integrato “Patologia, immunologia e malattie<br />

diffusive” del corso di laurea specialistica in Scienze biotecnologiche<br />

veterinarie (classe 9/S) dall’anno accademico 2003-2004 (1°<br />

anno di attivazione). Titolare (cdc) dei moduli “Vaccini e vaccinazioni”<br />

e “Metodologie applicate all’immunologia” del V anno del<br />

corso di laurea in Medicina Veterinaria (H08) dall’anno accademico<br />

2004-2005 (1° anno di attivazione). Direttore della Scuola di<br />

Specializzazione in “Scienza e Medicina degli Animali da Laboratorio”<br />

per il triennio 2003-2006.<br />

DAVIDE DE LORENZI<br />

Med Vet, SMPA, Dipl ECVCP, Forlì<br />

Laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel <strong>19</strong>88,<br />

con lode; ha conseguito nel <strong>19</strong>92 la specializzazione in<br />

Clinica e Patologia degli animali da Affezione presso la<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. Dal 2005 ha<br />

conseguito il diploma europeo in patologia clinica veterinaria<br />

(ECVCP). È stato ideatore ed è l’attuale coordinatore del Gruppo<br />

di studio <strong>SCIVAC</strong> di Citologia Diagnostica ed inoltre è relatore ed<br />

istruttore del Corso di Citologia Diagnostica della <strong>SCIVAC</strong>. Da<br />

alcuni anni tiene un seminario di Citologia Diagnostica alla Scuola<br />

di Specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione<br />

della Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È autore e coautore<br />

di oltre trenta fra articoli e comunicazioni su riviste ed a congressi<br />

nazionali ed internazionali aventi come oggetto la citologia<br />

diagnostica e la chirurgia. Ha curato l’edizione italiana del testo<br />

“Color Atlas of Cytology of the Dog and the Cat” di Baker e Lumsden.<br />

Dal <strong>19</strong>93 compie regolari periodi di aggiornamento in Olanda<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Utrecht (Dipartimento<br />

Animali da Compagnia); presso la medesima Facoltà ha portato<br />

a termine un corso triennale, organizzato dall’ESAVS, avente<br />

come soggetto la medicina interna. Esercita come libero professionista<br />

a Forlì ed a Padova presso la Clinica Veterinaria S. Marco.<br />

FRANCO DEL FRANCIA<br />

Med Vet, Cortona (AR)<br />

Si laurea in medicina Veterinaria presso la Facoltà di<br />

Pisa nel <strong>19</strong>50. Dal <strong>19</strong>50 al ’52 pratica la libera Professione<br />

in provincia di Firenze. Dal <strong>19</strong>52 al ’53 è Assistente<br />

Sezione di Firenze, Istituto Zooprofilattico per<br />

poi diventare Dirigente Sez. Zooprofilattico a Firenze sino al ’55.<br />

Dal <strong>19</strong>62 al ’66 è Veterinario aziendale, bonifica di Torre in Pietra<br />

(Roma). Giudice nazionale della Razza Frisona Italiana, Veterinario<br />

Comunale, Foiano della Chiana (Ar), Funzionario Coadiutore<br />

Veterinario D.S.L 24 a Cortona (Ar) e dal ’92 al ’95 Funzionario<br />

Dirigente Veterinario D.S.L 7. A Siena è stato allievo di D. Mattoli;<br />

Medico Omeopata, Firenze, di B. Beucci, Medico Omeopata,<br />

Arezzo di A. Santini, Medico Omeopata, Roma, di Masi-Elizalde,<br />

Buenos Aires, Argentina e di A Candegabe, Scuola Omeopatica<br />

Argentina; Segretario <strong>Nazionale</strong> per l’Italia, International Association<br />

for Veterinary Homeopathy; Vicepresidente della International<br />

Association for Veterinary Homeopathy; Presidente <strong>Nazionale</strong> dell’AI.<br />

V.O (Ass. Ital. Vet. Omeop.); Docente e Programmatore di<br />

diversi corsi di Omeopatia veterinaria; Direttore della Scuola Superiore<br />

di Omeopatia Veterinaria “R. Zanchi” Cortona (Ar), dal <strong>19</strong>89<br />

a tutt’oggi. Docente Master Agroalimentare- Scuola Superiore S.<br />

Anna a Pisa dal 2001 al 2005; Docente Master Allevamento Biologico-<br />

Facoltà di Veterinaria di Pisa - 2005. Autore di numerose pubblicazioni<br />

sull’omeopatia.<br />

FRANCO FASSOLA<br />

Med Vet, Asti<br />

Si laurea nel <strong>19</strong>89 a Torino in medicina veterinaria.<br />

Lavora come libero professionista ad Asti dal <strong>19</strong>89. Dal<br />

<strong>19</strong>95 si occupa di patologia comportamentale. Segretario-tesoriere<br />

SISCA dal <strong>19</strong>99. Ha seguito corsi di base<br />

ed avanzati di patologia comportamentale sia in Italia che in Francia.<br />

Ha partecipato al corso per la formazione del diploma “Vetérinaire<br />

Comportementaliste des ENV Francaises”, presso l’Ecole Nationale<br />

Vétérinaire de Toulouse. Nel 2000 – 2001 – 2002 – 2003 - 2004 –<br />

2005 è stato relatore ai corsi di base e avanzato di Medicina comportamentale<br />

della Scivac. È stato relatore a diversi seminari rivolti<br />

ai Medici Veterinari, agli educatori e ai padroni degli animali da compagnia.<br />

Dal 2002 è Direttore Scientifico della rivista di medicina<br />

comportamentale Sisca Observer. Ha pubblicato articoli di patologia<br />

comportamentale su riviste veterinarie e di divulgazione. Autore di<br />

un libro sull’educazione del cane, destinato al grande pubblico, dal<br />

titolo “Educare o Ri-educare il cane”, ha collaborato alla stesura di<br />

un capitolo del libro “La medicina comportamentale del cane e del<br />

gatto” editore Poletto, autori Dott. Colangeli e Dott. Giussani. È stato<br />

nel periodo aprile 2003 – aprile 2004 membro dello staff del Progetto<br />

Ex-combattenti dell’ENPA, progetto volto al recupero comportamentale<br />

dei soggetti che hanno preso parte a combattimenti tra<br />

cani, in qualità di responsabile della parte comportamentale. Fa parte<br />

del COMITATO SCIENTIFICO del Master di secondo Livello<br />

organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria Università degli<br />

Studi di Torino: Master Universitario di “Clinica delle malattie comportamentali<br />

del cane e del gatto”. Fa parte della commissione<br />

A.N.M.V.I.-A.P.N.E.C. in qualità di esperto di Medicina comportamentale,<br />

commissione nata per elaborare una collaborazione tra il<br />

mondo veterinario e degli educatori. Fa parte del Consiglio di ANM-<br />

VI Piemonte, occupandosi dei problemi relativi al benessere degli<br />

animali. Sta frequentando il Corso di Laurea Specialistica in Evoluzione<br />

del Comportamento dell’uomo e degli animali. È Professore a<br />

Contratto, per l’anno accademico 2005 – 2006 nel Master Universitario<br />

di “Clinica delle malattie comportamentali del cane e del gatto”,<br />

tenuto presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

degli Studi di Torino. È membro dell’associazione dei comportamentalisti<br />

francesi Zoopsy e dell’ESVCE.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 13<br />

ANTONIO FERRETTI<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Legnano (MI)<br />

Antonio Ferretti è nato a Cortina d’Ampezzo nel <strong>19</strong>48.<br />

Dopo quattro anni di Ingegneria Meccanica è passato<br />

alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano laureandosi<br />

nel <strong>19</strong>79 con tesi di argomento chirurgico. Si è<br />

dedicato fin dall’inizio dell’attività professionale al settore chirurgico<br />

sviluppando in particolar modo la Chirurgia Ortopedica e<br />

Traumatologica. Nel <strong>19</strong>82 ha iniziato lo studio del Metodo Ilizarov<br />

e, nell’anno seguente, la sua applicazione clinica. Nel <strong>19</strong>88 e nel<br />

<strong>19</strong>91 ha trascorso un periodo di approfondimento presso il Prof.<br />

G.A. Ilizarov, all’Istituto Ortopedico Traumatologico della città di<br />

Kurgan (Siberia). Nel <strong>19</strong>93 ha conseguito il Diploma dell’European<br />

College of Veterinary Surgeons. Svolge l’attività libero professionale<br />

esclusivamente nel campo ortopedico nella propria clinica<br />

a Legnano (MI).<br />

ALESSANDRA FONDATI<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVD, Roma<br />

Alessandra Fondati si è laureata in Medicina Veterinaria<br />

presso l’Università degli Studi di Pisa nel <strong>19</strong>81. Si è<br />

occupata di dermatologia veterinaria come libero professionista<br />

dal <strong>19</strong>84 al <strong>19</strong>97, prima a Firenze quindi a<br />

Roma. Nel <strong>19</strong>98 ha ottenuto il Diploma del College Europeo di<br />

Dermatologia Veterinaria (ECVD) e dal <strong>19</strong>98 al 2003 ha lavorato<br />

come Professore Associato di Dermatologia presso l’Università<br />

Autonoma di Barcellona (Spagna). Nel 2003 ha completato un PhD<br />

sulla patogenesi del complesso del granuloma eosinofilico felino<br />

presso l’Università Autonoma di Barcellona. Attualmente si occupa<br />

di dermatologia veterinaria, come libero professionista, a Roma.<br />

LUCA FORMAGGINI<br />

Med Vet, Dormelletto (NO)<br />

Si laurea a Milano nel Febbraio <strong>19</strong>91. Dopo vari periodi<br />

di tirocinio in Italia e all’estero, dal <strong>19</strong>96 lavora presso<br />

la Clinica Veterinaria “Lago <strong>Maggio</strong>re” di cui è socio<br />

fondatore. È relatore in diversi corsi <strong>SCIVAC</strong> di chirurgia,<br />

ortopedia e medicina/chirurgia d’urgenza. È stato relatore a<br />

diversi congressi e seminari a livello nazionale. Membro <strong>SCIVAC</strong>,<br />

BSAVA, VECCS e EVECCS, è Resident in training per accedere<br />

all’esame dello European College of Veterinary Surgery (ECVS).<br />

Dal 2004 è vice-Presidente della Società di Chirurgia Veterinaria<br />

Italiana (SCVI). I principali campi di interesse sono rivolti a tutti gli<br />

aspetti della traumatologia e alla chirurgia mini-invasiva.<br />

LAURENT GAROSI<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham Gobion, UK<br />

Il Dr. Laurent Garosi è Diplomate of the European College<br />

of Veterinary Neurology e RCVS/European Specialist<br />

in Veterinary Neurology. Attualmente, è direttore del<br />

servizio di neurologia/neurochirurgia della Davies Veterinary<br />

Specialists, Higham Gobion, England. I suoi principali interessi<br />

clinici e di ricerca riguardano le malattie cerebrovascolari, la<br />

diagnostica per immagini neurologica e la chirurgia intracranica. Ha<br />

pubblicato molti lavori nel campo della neurologia ed è un relatore<br />

regolare del circuito CPD. È membro attivo del comitato editoriale<br />

del Journal of Small Animal Practice e membro dell’European College<br />

of Veterinary Neurology education committee.<br />

ALESSANDRA GHERARDI<br />

Med Vet, Ferrara<br />

Nel 2000 si laurea a Bologna in medicina veterinaria.<br />

Lavora come libero professionista tra Modena e<br />

Ravenna. Area di interesse è la patologia comportamentale.<br />

Attualmente è specializzanda per il conseguimento<br />

del Diploma ENVF in Francia. Ha pubblicato alcuni articoli<br />

di patologia comportamentale su riviste veterinarie. Membro dell’Associazione<br />

dei comportamentalisti francesi Zoopsy e dell’ESVCE.<br />

RAFFAELE GILARDINI<br />

Med Vet, Voghera (PV)<br />

Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università<br />

Statale di Milano nel <strong>19</strong>88 con una tesi sperimentale<br />

dal titolo “Peritonite Infettiva Felina: la tecnica ELISA<br />

nella diagnosi sierologica” che sarà poi oggetto di una pubblicazione<br />

su una rivista scientifica nazionale. Nel <strong>19</strong>89 fonda con due<br />

soci una struttura veterinaria ed inizia la professione dedicandosi<br />

esclusivamente ai piccoli animali, prima nei settori della medicina<br />

interna e della chirurgia poi della neurologia, ortopedia e chirurgia.<br />

Partecipa a diversi seminari e congressi sia in Italia che all’estero e<br />

sostiene la maggior parte dei corsi organizzati dalla <strong>SCIVAC</strong> dal<br />

<strong>19</strong>91 al 2003 su argomenti di oculistica, ortopedia, neurologia,<br />

oncologia, citologia, chirurgia. Nel <strong>19</strong>94 risiede per un periodo<br />

presso la “Clinique Veterinarie Vanteaux” di Limoges in Francia<br />

dove segue il Dr. Philip Moreau nei suoi lavori di neurologia. Nel<br />

<strong>19</strong>97 trascorre un periodo presso il Royal Veterinary College di<br />

Londra come osservatore nel reparto di neurologia dei piccoli animali<br />

diretto dal Dr. Simon Wheeler. Nel <strong>19</strong>97 e nel <strong>19</strong>98 sostiene<br />

presso l‘Istituto di Neurologia dell’Università di Berna un “training<br />

programme in Veterinary Neurology” alla European School for<br />

Advanced Veterinary Studies. Nell’agosto del <strong>19</strong>98 trascorre un<br />

periodo presso l’Università del Wisconsin (USA) dove sostiene il<br />

“Course in Veterinary and Comparative Neurology and Neurosurgery”.<br />

Partecipa in qualità di relatore a diversi congressi nazionali,<br />

seminari o incontri di aggiornamento organizzati da associazioni di<br />

settore e da Ordini Provinciali con argomenti di neurologia, ortopedia<br />

e chirurgia. È autore di alcune pubblicazioni apparse su riviste<br />

nazionali o in forma di comunicazioni presentate a congressi<br />

nazionali. Da parecchi anni è membro della Società Europea di<br />

Neurologia (ESVN) e della Società Europea di Ortopedia e di Traumatologia<br />

(ESVOT) oltre che della SINVET, SIOVET e della<br />

SCVI. È stato per diversi anni socio della SOVI e della SIMIV. Dal<br />

<strong>19</strong>89 vive a Voghera e da allora lavora presso la “Clinica Veterinaria<br />

Città di Voghera” di cui è socio fondatore e si occupa quasi<br />

esclusivamente di casi riferiti di neurologia, ortopedia e chirurgia<br />

pur mantenendosi attivo, con i Colleghi, nel lavoro di pronto soccorso<br />

ed in quello di formazione dei numerosi neolaureati che<br />

sostengono un periodo di tirocinio presso la struttura.<br />

SABRINA GIUSSANI<br />

Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF, Busto Arsizio<br />

(VA)<br />

Si laurea cum laude presso la facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Milano. Dal <strong>19</strong>98 si occupa di Medicina<br />

Comportamentale. È consigliere SISCA (Società Italiana<br />

di Scienze Comportamentali Applicate) dal febbraio 2002. Ha<br />

partecipato a seminari, corsi di base, corsi avanzati di Medicina<br />

Comportamentale sia in Italia sia in Francia. Si è diplomata Medico<br />

Veterinario Comportamentalista presso l’Ecole Nationale Française<br />

nel novembre 2002. È stata relatore a giornate regionali,<br />

seminari, corsi di base e avanzati in Italia. Ha pubblicato articoli<br />

inerenti la Medicina Comportamentale su riviste del settore scientifico<br />

ed è autore, insieme al Dott. Colangeli, del libro”Medicina<br />

comportamentale del cane e del gatto” edito da Poletto nel 2004.<br />

Consegue nel dicembre 2004 il Master di specializzazione di 2°<br />

livello organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Padova<br />

in “Etologia applicata al benessere animale”. È professore a contratto<br />

nel 2005 nel Master inerente alla Medicina Comportamentale<br />

organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Torino. È<br />

socio di Zoopsy e di ESVCE.<br />

MARGHERITA GRACIS<br />

Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Milano<br />

La D.sa Gracis si è laureata nel <strong>19</strong>93 presso la Facoltà<br />

di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di<br />

Milano. Dopo la laurea ha lavorato come Libero Professionista<br />

presso una clinica veterinaria di Monza. Dal<br />

<strong>19</strong>96 al <strong>19</strong>98 ha effettuato un Residency in Odontostomatologia<br />

Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

della Pennsylvania a Philadelphia (USA). Ha poi lavorato come<br />

Lecturer in Odontostomatologia Veterinaria nella stessa Facoltà<br />

fino a Luglio 2000, quando è tornata a Milano. Nel <strong>19</strong>99 ha vinto<br />

il “Pharmacia and Upjohn European Veterinary Dental Award” per<br />

due studi radiografici del canino superiore del cane e del gatto. Dal<br />

2000 lavora presso due cliniche private a Milano e Monza (Milano),<br />

dedicandosi esclusivamente all’odontostomatologia e chirurgia<br />

orale. È diplomata dei College Americano (AVDC) ed Europeo<br />

(EVDC) di Odontostomatologia Veterinaria. Ha ricoperto la carica<br />

di Presidente della Società Italiana di Odontostomatologia Veteri-


14 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

naria (SIODOV) dal 2001 al 2004. Attualmente ricopre la carica di<br />

Past President dell’European Veterinary Dental Society (EVDS).<br />

La D.sa Gracis è inoltre Consulente della Commissione Scientifica<br />

della <strong>SCIVAC</strong>, e membro del Comitato Scientifico del Journal of<br />

Veterinary Dentistry. È relatrice dal <strong>19</strong>97 a congressi nazionali ed<br />

internazionali e autrice di diversi articoli e pubblicazioni relativi<br />

all’odontostomatologia veterinaria.<br />

COLIN HARVEY<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC,<br />

Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

È Professor of Surgery and Dentistry presso la School<br />

of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania<br />

(USA). Ha ottenuto il titolo di BVSc, MRCVS presso<br />

la University of Bristol Veterinary School nel <strong>19</strong>66 ed ha portato a<br />

termine dei programmi di internato e residenza in chirurgia presso<br />

il Veterinary Hospital della University of Pennsylvania, dove ha trascorso<br />

tutta la sua carriera. È Diplomate of the American College<br />

of Veterinary Surgeons, Fellow of the Royal College of Veterinary<br />

Surgeons e charter Diplomate of the American and European Veterinary<br />

Dental Colleges. Ha ricevuto i seguenti premi: - Norden<br />

Distinguished Teacher Award, University of Pennsylvania <strong>19</strong>74. -<br />

Simon Award for Contributions to Veterinary Surgery, assegnato<br />

dalla British Small Animal Veterinary Association, <strong>19</strong>83. - Peter<br />

Emily Award for Outstanding Contributions to Veterinary Dentistry,<br />

assegnato dall’American Veterinary Dental College, <strong>19</strong>93. -<br />

Bourgelat Award for Outstanding International Contributions to<br />

Small Animal Practice, assegnato dalla British Small Animal Veterinary<br />

Association, <strong>19</strong>94. - American Veterinary Dental Society<br />

Research and Education Award, <strong>19</strong>95. - Golden Scaler Award,<br />

American Veterinary Dental College, <strong>19</strong>98. È Past President ed<br />

attualmente Executive Secretary dell’American Veterinary Dental<br />

College, e Director of the Veterinary Oral Health Council. È stato<br />

Editor di ‘Veterinary Surgery’ e ‘Journal of Veterinary Dentistry’.<br />

Ha scritto o curato 5 libri e redatto 60 capitoli di trattati e 130 articoli<br />

su riviste.<br />

ADRIANO LACHIN<br />

Med Vet, Venezia<br />

Laureato presso l’Università degli Studi di nel Parma<br />

<strong>19</strong>96. Dal <strong>19</strong>97 ha iniziato ad occuparsi di Chirurgia<br />

Generale frequentando diversi corsi base ed avanzati<br />

sull’argomento tenuti dalla <strong>SCIVAC</strong>, nonché numerosi<br />

congressi e seminari; sempre nello stesso anno è entrato in qualità<br />

di “ospite frequentatore” nel reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale<br />

“Villa Salus” di Mestre (Ve) frequentando attivamente la<br />

sala operatoria, successivamente, con le medesime modalità, ha<br />

frequentato per tre anni il reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale<br />

di Dolo (Ve). Dal <strong>19</strong>99 ha incominciato ad interessarsi di Anestesia<br />

sotto la guida del Dott. Oscar Grazioli e del Dott. Emilio Feltri.<br />

Ha presentato una comunicazione libera al <strong>Congresso</strong> <strong>Multisala</strong><br />

di Milano 2002 sull’utilizzo della Ketamina a bassissimi dosaggi<br />

per l’analgesia intra e postoperatoria. Relatore ed istruttore al<br />

Corso di Anestesia <strong>SCIVAC</strong> per gli anni 2003, 2004 e 2005. Relatore<br />

al 48° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> (“Anestesia nel paziente<br />

anziano”), nonché relatore a numerosi seminari e corsi privati di<br />

livello base ed avanzato sull’argomento, ha inoltre presentato una<br />

relazione al Corso di Pronto Soccorso <strong>SCIVAC</strong> 2003. Ha collaborato<br />

alla stesura di un capitolo del libro “Medicina d’urgenza e terapia<br />

intensiva del cane e del gatto” (Masson-2004). Membro SIAR-<br />

MUV di cui fa parte del consiglio direttivo per il triennio 2005-<br />

2007; dal 2004 membro della Association of Veterinary Anaesthesist<br />

(AVA). I suoi principali campi di interesse professionale riguardano,<br />

oltre all’Anestesiologia, anche la Chirurgia Generale. Attualmente<br />

svolge l’attività libero professionale nel suo ambulatorio in<br />

provincia di Venezia e in due Cliniche Veterinarie a Padova e a<br />

Vicenza, di cui è uno dei titolari, occupandosi esclusivamente di<br />

Anestesia e di Chirurgia d’emergenza.<br />

FRANCISCO LLABRES<br />

Med Vet, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, UK<br />

Francisco Llabres Diaz si è laureato presso l’Università<br />

di Saragozza, in Spagna, nel <strong>19</strong>96. Dopo un breve<br />

periodo di esercizio della professione in Spagna, si è<br />

trasferito all’Animal Health Trust, Newmarket. Ha<br />

ottenuto il RCVS certificate in radiology nel 2000 ed ha dedicato i<br />

suoi tre anni di residenza alla diagnostica per immagini, terminando<br />

nel 2002. Nell’Aprile del 2005 è passato alla Davies Veterinary<br />

Specialists. Ha conseguito il diploma RCVS in radiologia ed il<br />

diploma europeo in diagnostica per immagini veterinaria, oltre ad<br />

essere uno specialista riconosciuto RCVS in questa materia. Attualmente<br />

è presidente della British and Irish Division della European<br />

Association of Veterinary Diagnostic imaging.<br />

DUNCAN LASCELLES<br />

BSc, BVSc, PhD, MRCVS, Cert VA DSAS(ST)<br />

Dipl ECVS, Dipl ACVS, Raleigh, USA<br />

Duncan Lascelles si è laureato con lode presso la University<br />

of Bristol nel <strong>19</strong>91 ed ha anche conseguito un<br />

First Class intercalated degree in Zoology. È poi tornato<br />

alla University of Bristol dove è stato Wellcome Clinical<br />

Research Scholar dedicandosi allo studio per il conseguimento di<br />

un PhD sugli aspetti dell’analgesia preventiva. Ha ottenuto il PhD<br />

su questo argomento nel <strong>19</strong>96, dopo avere anche conseguito nel<br />

<strong>19</strong>94 il Royal College of Veterinary Surgeons Certificate in Veterinary<br />

Anaesthesia. È poi passato alla University of Cambridge, UK,<br />

come residente in Chirurgia. Ha ottenuto il Royal College of Veterinary<br />

Surgeons Certificate in Small Animal Surgery nel <strong>19</strong>96 ed il<br />

Royal College of Veterinary Surgeons Diploma in Small Animal<br />

Surgery (Soft Tissue) nel <strong>19</strong>99, ed ha conseguito il titolo di Diplomate<br />

of the European College of Veterinary Surgeons nel <strong>19</strong>99 e di<br />

Diplomate of the American College of Veterinary Surgeons nel<br />

2003. Ha portato a termine il Fellowship in Oncological surgery<br />

presso la Colorado State University e poi un periodo di ricerca sul<br />

dolore e l’analgesia nel gatto presso la University of Florida ed<br />

attualmente è Assistant Professor in Small Animal Surgery alla<br />

North Carolina State University Veterinary School, dove conduce<br />

attive ricerche sul dolore acuto e cronico. È Director of the Comparative<br />

Pain Research Laboratory, e dell’Integrated Pain Management<br />

Service. Per rilassarsi, ama la mountain bike, la fotografia, la<br />

danza, l’opera, l’arte contemporanea e la musica live.<br />

GEORGE E. LEES<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, USA<br />

Il Dr. Lee diventa Medico Veterinario nel <strong>19</strong>72 presso<br />

la Colorado State University. Svolge l’intership all’Università<br />

di Davis in California e porta a termine nel<br />

<strong>19</strong>79 il suo Residency e MS nell’Università del Minnesota.<br />

Si diploma all’American College di Medicina Interna Veterinaria<br />

con specializzazione in Medicina Interna dei Piccoli Animali.<br />

Negli ultimi 25 anni ha lavorato per il Dipartimento di Scienze<br />

cliniche del College of Veterinary Medicine alla Texas A&M University.<br />

Il dr. Lees è molto conosciuto per il contributo dato alla<br />

nefrologia e urologia veterinaria. Attualmente la sua ricerca è focalizzata<br />

sulle nefriti ereditarie nel cane.<br />

DAVID H. LLOYD<br />

Professor B.VetMed, PhD, FRCVS,<br />

Dipl ECVD, ILTM, Herts, UK<br />

Il Dr Lloyd è Professor of Veterinary Dermatology<br />

presso il Royal Veterinary College (University of London),<br />

England. Guida un gruppo clinico e di ricerca che<br />

si interessa in particolare della biologia della superficie cutanea,<br />

delle infezioni e dell’immunità della cute e della resistenza antimicrobica,<br />

con particolare riguardo a stafilococchi e lieviti del genere<br />

Malassezia. Il lavoro si svolge su piccoli animali, equini ed animali<br />

da reddito. Il Dr. Lloyd è membro fondatore e past-president della<br />

European Society of Veterinary Dermatology, dell’European<br />

College of Veterinary Dermatology e della Veterinary Wound Healing<br />

Association. È anche membro fondatore dell’European Board<br />

of Veterinary Specialisation e del World Congress of Veterinary<br />

Dermatology.<br />

È stato editor fondatore ed Editor-in Chief della rivista Veterinary<br />

Dermatology. È stato presidente del 5th World Congress of Veterinary<br />

Dermatology, Vienna 2004 ed è membro del consiglio del<br />

World Congress of Veterinary Dermatology Association. Il Dr.<br />

Lloyd si è laureato presso il Royal Veterinary College (University<br />

of London) ed ha conseguito il PhD presso la University of Glasgow,<br />

Scotland. È autore e coautore di più di 150 lavori di ricerca<br />

e capitoli di libri in dermatologia.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 17<br />

FRANCESCO LONGO<br />

Med Vet, Firenze<br />

Laureato in Medicina Veterinaria. Specializzato in Riproduzione<br />

Animale. Ha conseguito gli attestati di agopuntura<br />

Veterinaria e di Agopuntura Scientifica Veterinaria. Ha<br />

conseguito il diploma della I.V.A.S. (International Veterinary<br />

Acupuncture Society). È socio fondatore della S.I.A.V. È stato<br />

docente nel Master Universitario di ‘Medicine Energetiche in Veterinaria’<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Udine. È stato<br />

docente nel Master Universitario di ‘Agopuntura Veterinaria’ presso la<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria di Barcellona (E). È docente e direttore<br />

dei corsi di Agopuntura Veterinaria organizzati dalla S.I.A.V. Attualmente<br />

ricopre le cariche di Vicepresidente della S.I.A.V. e di Vicepresidente<br />

della S.I.M.Ve.N.Co. Svolge la propria attività professionale di<br />

Agopuntura Veterinaria sui cavalli in giro per l’Italia. Ha pubblicato<br />

diversi contributi sull’Agopuntura Veterinaria.<br />

GIOVANNI MAJOLINO<br />

Med Vet, Parma<br />

Laureato a Parma nel <strong>19</strong>91 con tesi sperimentale dal titolo:<br />

“L’eiaculazione retrograda nella specie canina” e Specializzato<br />

nel <strong>19</strong>95 presso l’Università di Pisa in “Malattie<br />

dei Piccoli Animali” con tesi dal tema: “L’inseminazione<br />

artificiale con seme congelato nella specie canina con particolare riferimento<br />

alla tecnica chirurgica”. Relatore e co-autore a congressi e<br />

seminari di carattere nazionale e internazionale sul tema della riproduzione<br />

del cane. È past president della SIRVAC - Società di Riproduzione<br />

Veterinaria e membro della Società Europea di Riproduzione delle<br />

Piccole Specie. Esercita la libera professione in Collecchio (Pr) dedicandosi<br />

con particolare interesse alla riproduzione dei piccoli animali e<br />

all’allevamento canino essendo egli stesso allevatore.<br />

MAURIZIO MANERA<br />

Med Vet, Teramo<br />

Il dott. Manera si laurea con lode nel <strong>19</strong>92 presso la<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli<br />

Studi di Bologna, discutendo una tesi dal titolo “Il<br />

tegumento di Anguilla anguilla (Linneo, 1758) in condizioni<br />

normali e patologiche. Contributo sperimentale”. Consegue,<br />

quindi, il premio “Angelo Bonvicini” (miglior laureato nel<br />

biennio a concorso) relativo al biennio <strong>19</strong>91 – <strong>19</strong>93. Nel <strong>19</strong>93 si<br />

abilita all’esercizio della professione di medico veterinario e svolge<br />

il servizio militare in qualità di ufficiale di complemento nel<br />

Corpo Veterinario Militare, occupandosi di ispezione degli alimenti<br />

di origine animale e di clinica su cani in servizio di guardia.<br />

Nel <strong>19</strong>97 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Discipline<br />

Anatomoistopatologiche Veterinarie presso la Facoltà di Medicina<br />

Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna discutendo una<br />

dissertazione dal titolo “Gli aggregati dei macrofagi in orate (Sparus<br />

aurata. Linneo, 1758) di allevamento sperimentalmente alimentate<br />

con diete arricchite degli oligoelementi rame, ferro, zinco”.<br />

Ha svolto attività pubblicistica nel settore dell’acquariofilia<br />

ed è stato consulente per una azienda leader in tale settore. Dal<br />

<strong>19</strong>98 è ricercatore nel settore scientifico disciplinare VET/03<br />

(patologia generale e anatomia patologica veterinaria) presso la<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo<br />

ove si occupa di ittiopatologia con particolare riguardo allo<br />

studio dei quadri reattivi nei confronti di macroparassiti, nonché<br />

della caratterizzazione dei biomarcatori cellulari in pesci sperimentalmente<br />

esposti a xenobiotici inorganici ed organici.<br />

Ultimamente sta studiando la risposta contrattile in vitro dell’intestino<br />

di trota ad agonisti noti, nonché i range di normalità dei principali<br />

parametri biochimici clinici nel siero di trota. Il dott. Manera<br />

è stato vicepresidente dell’Ordine dei Medici Veterinari della<br />

Provincia di Teramo per il triennio 2003 –2005, vicepresidente<br />

dell’Anmvi (Associazione <strong>Nazionale</strong> Medici Veterinari Italiani)<br />

Abruzzo, nonché delegato regionale per l’Abruzzo della Sivae<br />

(Società Italiana Veterinari Animali Esotici), ha al suo attivo 34<br />

comunicazioni a congressi nazionali ed internazionali, 36 pubblicazioni<br />

su riviste nazionali ed internazionali, 30 pubblicazioni su<br />

riviste di divulgazione scientifica, 1 capitolo in un testo universitario,<br />

2 relazioni tecnico-scientifiche. È stato, inoltre, curatore e<br />

coautore di un testo riguardante le norme igienico-sanitarie nella<br />

ristorazione collettiva militare.<br />

MARINA MARTANO<br />

Med Vet, PhD, Torino<br />

Laureata in medicina veterinaria a Torino nel <strong>19</strong>94, ha collaborato<br />

dal ’94 al ’98 con il Dipartimento di Scienze Biomediche<br />

e Oncologia Umana, prima a Torino, poi presso<br />

l’Istituto per la Cura e la Ricerca sul Cancro di Candiolo<br />

(TO), presso il quale ha ottenuto una borsa di studio nel campo della<br />

biologia molecolare dell’osteosarcoma canino e umano. Nel 2001 ha<br />

conseguito il Dottorato di Ricerca in Oncologia Veterinaria e Comparata<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Ha trascorso<br />

un periodo di 6 mesi, in qualità di Visiting Scholar, presso il Veterinary<br />

Teaching Hospital di Urbana-Champaign, Illinois (USA), Dipartimento<br />

di Chirurgia Oncologica, e un altro presso il Veterinary Teaching<br />

Hospital di Madison, Wisconsin. Da febbraio 2002 è titolare di un<br />

assegno di ricerca presso il Dipartimento di Patologia Animale di Torino,<br />

dove attualmente lavora svolgendo attività clinica in chirurgia dei<br />

tessuti molli e oncologia presso l’Ospedale Veterinario Didattico. È<br />

autrice e coautrice di pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali<br />

e di traduzioni di testi scientifici dall’inglese.<br />

VERONIQUE MARTIN-BOUYER<br />

Med Vet, Lyon, Francia<br />

Veronique Martin-Bouyer si laurea presso l‚Università di Liege nel<br />

2001 e qui completa la sua Internship. Nell‚Ottobre del 2003 si trasferisce<br />

all‚Università di Medicina Veterinaria di Ghent dove prosegue<br />

il suo programma di residency in anestesia.<br />

ALESSANDRO MELILLO<br />

Med Vet, Roma<br />

Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Ateneo degli<br />

Studi di Pisa nel <strong>19</strong>97 con tesi sperimentale dal titolo:<br />

“Anestesia di alcuni ordini di Mammiferi esotici e selvatici:<br />

Marsupiali, Chirotteri, Roditori, Lagomorfi, Primati<br />

e Carnivori” con punteggio finale di 107/110. Da sempre si interessa<br />

e si occupa in maniera quasi esclusiva di “Nuovi Animali da Compagnia”<br />

con particolare attenzione agli Uccelli, al Coniglio e al<br />

Furetto: ha sempre ritenuto fondamentale l’aggiornamento e il confronto<br />

coi colleghi, cercando quindi di frequentare attivamente corsi,<br />

convegni e congressi, nonché periodi di tirocinio presso strutture specializzate<br />

in vari aspetti della Medicina e della Chirurgia degli Animali<br />

non Convenzionali in Italia e all’estero, fra cui ricorda la clinica<br />

veterinaria del Loro Parque sotto la direzione del dr. Lorenzo Crosta.<br />

Socio fondatore SIVAE e socio AAV, ha partecipato come relatore<br />

ed istruttore ai corsi: “Medicina e Chirurgia del Coniglio e dei<br />

Roditori da compagnia”, “Medicina e Chirurgia dei Cheloni” e<br />

“Medicina e Chirurgia del Coniglio”, “Medicina e Chirurgia aviare”<br />

oltre ad aver presentato diverse relazioni e casi clinici agli incontri<br />

periodici della SIVAE. Dal 2000 è socio fondatore della Clinica Veterinaria<br />

Omniavet di Roma dove è responsabile del settore “Nuovi<br />

Animali da Compagnia”.<br />

FEDERICA MORANDI<br />

Dr Med Vet, MS, Dipl ACVR, Dipl ECVDI,<br />

Knoxville, USA<br />

Laureata con lode presso l’Università di Parma nel<br />

<strong>19</strong>96, dopo un anno di Internship in diagnostica per<br />

immagini presso la Swedish University for Agricultural<br />

Sciences in Uppsala, ha completato la Residency in Radiologia<br />

presso la Ohio State University, ove ha anche conseguito il titolo di<br />

Master of Science. Dal 2001 è Assistant Professor di Radiologia<br />

presso la University of Tennessee. Ha conseguito i Diplomi del<br />

Collegio Europeo di Diagnostica per Immagini (ECVDI, 2001) e<br />

del Collegio Americano di Radiologia Veterinaria (ACVR, 2002).<br />

È autore di numerose pubblicazioni scientifiche in diagnostica per<br />

immagini su riviste internazonali, ed ha presentato abstracts di<br />

ricerca a numerosi congressi EAVDI e ACVR. Negli Stati Uniti ha<br />

tenuto seminari e corsi di aggiornamento per veterinari e tecnici<br />

veterinari in medicina nucleare, ecografia e radiologia.<br />

EMANUELA MORELLO<br />

Med Vet, PhD, Grugliasco (TO)<br />

Laurea (<strong>19</strong>94) in Medicina Veterinaria presso l’Università<br />

degli Studi di Torino. Dottorato di ricerca ed assegno<br />

di ricerca in “oncologia veterinaria e comparata”<br />

presso la stessa Facoltà dove è attualmente ricercatrice


18 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

nel settore di chirurgia. Ha frequentato per un anno la Colorado<br />

State University interessandosi principalmente di oncologia e chirurgia<br />

dei tessuti molli. Ha svolto successivi periodi di aggiornamento<br />

all’estero. Lavora presso l’Ospedale didattico della Facoltà<br />

di Veterinaria di Torino occupandosi principalmente di oncologia<br />

medica e chirurgica e chirurgia dei tessuti molli. È autrice di pubblicazioni<br />

nazionali ed internazionali.<br />

È incaricata del modulo “Metodi diagnostici chirurgici” del Corso<br />

Integrato di Patologia, Semeiotica Chirurgica e Radiologia Veterinaria<br />

(IV anno) e del modulo “Oncologia clinica sperimentale” del<br />

Corso Integrato Professionalizzante in Medicina Veterinaria Sperimentale<br />

(V anno).<br />

DAVID MORGAN<br />

BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, UK<br />

La prima laurea, in Biochimica, conseguita da David<br />

Morgan presso l’Università di Cardiff, è stata seguita<br />

nel <strong>19</strong>86 da quella in Medicina Veterinaria rilasciata<br />

dall’Università di Cambridge. Dopo brevi esperienze<br />

lavorative libero professionali, maturando esperienze in settori<br />

diversi, ha operato per sette anni nel settore degli animali da compagnia,<br />

indirizzando i propri interessi principalmente sulla chirurgia<br />

e sulla radiologia. Nel <strong>19</strong>90 ha ottenuto il diploma in Radiologia<br />

Veterinaria. Nel <strong>19</strong>93 ha iniziato a lavorare in una società privata,<br />

fornendo consulenze tecniche nel Regno Unito, nei Paesi<br />

Scandinavi ed in Sud Africa. È frequentemente coinvolto in attività<br />

di informazione ed aggiornamento rivolta alla classe medico<br />

veterinaria, docenti universitari e studenti. Ha tenuto conferenze in<br />

tutta l’Europa ed in Sud Africa, in occasione di congressi sia nazionali<br />

che internazionali.<br />

PIER PAOLO MUSSA<br />

Med Vet, Dipl ECVCN, Grugliasco (TO)<br />

Nato a Camerano Casasco (AT) il 27.8.<strong>19</strong>46. Laureato<br />

in Medicina Veterinaria il 10.9.70. Professore ordinario<br />

di “Nutrizione ed Alimentazione Animale” dal <strong>19</strong>94.<br />

Diplomato presso l’European College of Veterinary<br />

and comparative nutrition. È autore di oltre 180 pubblicazioni<br />

scientifiche che riguardano prevalentemente l’alimentazione animale,<br />

in particolare quella dei carnivori domestici e di 13 libri di<br />

tipo scientifico e scientifico-divulgativo. ALTRE ATTIVITÀ: 1.<br />

Vice-preside della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino; 2.<br />

Presidente del C.I.S.R.A. (Centro interdipartimentale servizio ricovero<br />

animali) dell’Università di Torino; 3. Presidente della<br />

S.I.A.N.A. (Società italiana di alimentazione e nutrizione animale);<br />

4. Presidente della WAVES (Wild Animals Veterinary Euromediterranean<br />

Society) italiana.<br />

RON OFRI<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, Israel<br />

Ron Ofri è stato alunno della prima classe della Koret<br />

School di Medicina Veterinaria dell’Università Ebrea<br />

di Gerusalemme in Israele. Dopo la laurea nel <strong>19</strong>89 si<br />

è trasferito nella Università della Florida, dove ha trascorso<br />

i successivi quattro anni, studiando con Kirk Gelatt e Dennis<br />

Brooks e ottenendo il PhD. Durante tale periodo Ron ha sviluppato<br />

il suo interesse nella fisiologia della visione, focalizzando<br />

i suoi studi sull’elettrofisiologia e sui cambiamenti della funzione<br />

visiva causati dal glaucoma. Ritornato in Israele Ron è<br />

entrato a far parte della Università d’origine dove attualmente è<br />

Senior Lecturer in oftalmologia veterinaria. Presso la medesima<br />

università egli ha ampliato il suo interesse di ricerca nella fisiologia<br />

comparata della visione nelle specie selvatiche. Le sue ricerche<br />

sulla fisiologia della retina e del nervo ottico hanno prodotto<br />

più di trenta pubblicazioni su riviste referee e hanno condotto alla<br />

collaborazione nella stesura di due capitoli sull’argomento nel<br />

testo edito da Kirk Gelatt “Veterinary ophthalmology” ed anche<br />

all’invito a partecipare in qualità di docente al Basic Science<br />

Course del college Americano di Oftalmologia Veterinaria e ad<br />

altri numerosi meeting.<br />

Dal 2002 al 2005 Ron ha ricoperto il ruolo di Presidente della<br />

Società Europea di Oftalmologia Veterinaria. Nell’anno 2005 Ron<br />

ha conseguito il diploma del College Europeo di Oftalmologia<br />

veterinaria.<br />

JOY OLSEN<br />

Med Vet, Germania<br />

La Dr.ssa Joy Olsen è Veterinary Services Manager della<br />

Bayer HealthCare AG nella sede centrale globale per<br />

la Salute Animale di Monheim, Germania. Le sue<br />

attuali responsabilità comprendono la garanzia del supporto<br />

tecnico scientifico per i prodotti per animali da compagnia,<br />

con particolare riguardo agli agenti antiparassitari e farmacologici.<br />

Si è laureata nel <strong>19</strong>90 presso la Kansas State University degli Stati<br />

Uniti. Prima di entrare a far parte della Bayer, nel <strong>19</strong>94, la Dr.ssa<br />

Olsen ha esercitato per diversi anni la professione a San Francisco,<br />

California, ed è stata assistant professor in anatomia dei piccoli animali<br />

presso la Kansas State University. Prima di venire in Germania,<br />

nel 2002, ha lavorato in qualità di veterinario presso i servizi<br />

tecnici della Bayer negli USA. Le sue attuali aree di interesse comprendono<br />

la medicina interna degli animali da compagnia e la farmacologia.<br />

È autrice di un capitolo sulla terapia antimicrobica delle<br />

infezioni respiratorie per il numero di Novembre 2000 di Veterinary<br />

Clinics of North America. Fra le società di interesse professionale<br />

alle quali la Dr.ssa. Olsen è iscritta rientrano l’American<br />

Veterinary Medical Association, la British Small Animal Veterinary<br />

Association, l’American Association of Feline Practitioners e la<br />

European Society of Feline Medicine.<br />

MARK A. OYAMA<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

Il Dr. Oyama si è laureato presso la University of Illinois<br />

in <strong>19</strong>94 e, dopo aver effettuato il periodo di residenza<br />

alla University of California-Davis dal <strong>19</strong>95 al<br />

<strong>19</strong>97, si è dedicato alla cardiologia veterinaria. Attualmente<br />

è associate professor alla University of Pennsylvania. I suoi<br />

settori di interesse sono la miocardiopatia del cane e del gatto, la<br />

diagnosi delle cardiopatie attraverso l’analisi di campioni di sangue,<br />

il trapianto cellulare utilizzando cellule staminali adulte, l’ecocardiografia<br />

e i nuovi metodi per il trattamento delle cardiopatie.<br />

CLARA PALESTRINI<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVBM-CA, Milano<br />

Nel Novembre <strong>19</strong>95 si laurea in Medicina Veterinaria<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, Università<br />

degli Studi di Milano. Nel Gennaio <strong>19</strong>96 ottiene l’abilitazione<br />

all’esercizio della professione di Veterinario<br />

presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di<br />

Milano. Da Febbraio a Marzo <strong>19</strong>96 partecipa all’Attività di consulenza<br />

al progetto “Programme d’amelioration de la Race N’Dama<br />

(PARN)” al Centre d’appui à l’Elevage de Boké-Guinea Conakry.<br />

Da Aprile a Novembre <strong>19</strong>96 si dedica all’attività di libero professionista<br />

presso l’ambulatorio veterinario “Limito”, Milano. Nel<br />

Luglio <strong>19</strong>96 ottiene una Borsa di Studio dell’Università degli Studi<br />

di Milano per attività di perfezionamento all’estero. Novembre<br />

<strong>19</strong>96 - <strong>Maggio</strong> <strong>19</strong>97: Birmingham Zoo, Alabama -USA-. Realizzazione<br />

del programma di perfezionamento estero inerente la conservazione,<br />

tutela e sanità della fauna selvatica in ambiente tropicale e<br />

subtropicale. Attività di pratica clinica, terapia e di applicazione di<br />

piani di profilassi agli animali dello zoo. Giugno - Ottobre <strong>19</strong>97:<br />

Whipsnade Wild Animal Park, Institute of Zoology, The Zoological<br />

Society of London, United Kingdom. Monitoraggio sanitario,<br />

organizzazione e computerizzazione dei dati riguardanti la popolazione<br />

di Scimitar Horned Oryx del Parco. Pratica clinica. Novembre<br />

<strong>19</strong>97 – Ottobre 2000: Borsa di Studio dell’Università degli Studi<br />

di Milano, svolta presso l’Istituto di Zootecnica della Facoltà di<br />

Medicina Veterinaria correlata all’attività della Scuola di Specializzazione<br />

in Etologia Applicata e Benessere degli animali d’affezione<br />

per il proseguimento di studi comportamentali sui piccoli animali.<br />

Conseguimento del Diploma di Specializzazione in Etologia<br />

applicata e Benessere degli animali d’affezione con la votazione di<br />

70/70 e lode. Dal <strong>19</strong>97 è componente del gruppo di ricerca in etologia<br />

applicata dell’Istituto di Zootecnica della Facoltà di Medicina<br />

Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano, partecipando<br />

con varie qualifiche alla progettazione e realizzazione di diversi<br />

progetti di ricerca finanziati. Nel 2000 ha partecipato in qualità di<br />

responsabile della ricerca al progetto finanziato “Giovani ricercatori”<br />

sul tema “Studio delle relazioni tra problemi comportamentali<br />

nel cane e caratteristiche del proprietario”. Novembre 2000 – Ottobre<br />

2003: Borsa di Studio per il corso di Dottorato di Ricerca in


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong><br />

Produzioni Animali (Curriculum: Etologia Applicata) presso l’Istituto<br />

di Zootecnica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano.<br />

Conseguimento del titolo di Dottore di Ricerca in produzioni animali.<br />

Dal Marzo 2004: assegno di ricerca per la collaborazione ad<br />

attività di ricerca presso l’Istituto di Zootecnica dell’Università<br />

degli Studi di Milano per lo svolgimento di attività di ricerca sull’etologia<br />

ed il benessere degli animali d’affezione.<br />

ROSS PALMER<br />

DVM, Dipl ACVS, Fort Collins, USA<br />

Il Dr. Palmer ha ottenuto il titolo di Bachelor of Science<br />

(<strong>19</strong>82) e di Doctor of Veterinary Medicine (<strong>19</strong>84)<br />

presso la Kansas State University. Ha portato a termine<br />

un periodo di internato in medicina e chirurgia dei piccoli<br />

animali presso l’Animal Medical Center di New York City<br />

(<strong>19</strong>85). Mentre completava un periodo di residenza in chirurgia dei<br />

piccoli animali alla University of Georgia ha frequentato la scuola<br />

di specializzazione, ottenendo il Master of Science in Physiology<br />

(<strong>19</strong>89). È Diplomate of the American College of Veterinary Surgeons.<br />

È stato Assistant Professor of Small Animal Orthopedics<br />

and Neurosurgery presso la Texas A&M University dal <strong>19</strong>88 al<br />

<strong>19</strong>91. Dal <strong>19</strong>91 al 2004 ha esercitato la libera professione nell’area<br />

di Silicon Valley/Monterey Bay in California. Attualmente, è Associate<br />

Professor of Orthopedics alla Colorado State University, Veterinary<br />

Medical Center. È autore di molteplici articoli di riviste e<br />

capitoli di libri su argomenti di ortopedia, neurochirurgia e fisioterapia<br />

postoperatoria e si impegna attivamente come relatore presso<br />

numerosi convegni veterinari (ma è la prima volta con la <strong>SCIVAC</strong><br />

ed è ben lieto di essere qui!)<br />

SAVERIO PALTRINIERI<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVCP, Milano<br />

Si è laureato a pieni voti con lode in Medicina Veterinaria<br />

nel <strong>19</strong>90 presso l’Università degli Studi di Milano<br />

dove ha anche conseguito il Dottorato di Ricerca in<br />

Patologia Comparata degli animali Domestici nel <strong>19</strong>94.<br />

Nel <strong>19</strong>95 è stato nominato Ricercatore presso l’Istituto di Patologia<br />

Generale Veterinaria di Milano e dal 2001 è Professore associato di<br />

Patologia Generale Veterinaria presso il Dipartimento di Patologia<br />

Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria di Milano. Dal 2002<br />

è diplomato all’European College of Veterinary Clincal Pathology<br />

(ECVCP) di cui è uno dei membri fondatori e dal 2003 è presidente<br />

della commissione per l’esame d’accesso all’ECVCP. Gli interessi<br />

di ricerca sono rivolti principalmente alla valutazione diagnostica<br />

e patogenetica delle principali alterazioni ematologiche rilevabili<br />

in medicina veterinaria, alle alterazioni funzionali leuco-eritrocitarie<br />

in diverse condizioni patologiche, alla patogenesi e diagnosi<br />

delle principali malattie infettive della specie felina ed al<br />

metabolismo energetico in animali di interesse zootecnico. L’attività<br />

di ricerca è testimoniata da numerose relazioni a congressi e pubblicazioni<br />

su riviste nazionali ed internazionali<br />

MARCO POGGI<br />

Med Vet, Imperia<br />

Laureato in Medicina Veterinaria nel <strong>19</strong>89 presso l’Università<br />

di Torino (110/110). Dopo la laurea ha frequentato<br />

i laboratori dell’I.Z.S. del Piemonte Liguria e Valle<br />

d’Aosta prima in qualità di volontario poi borsista e incarico<br />

come Veterinario Collaboratore, approfondendo conoscenze pratiche<br />

di laboratorio, in particolare batteriologia e diagnostica sulla<br />

Leishmaniosi, e collaborando alla realizzazione di indagini siero epidemiologiche<br />

sulla diffusione di questa malattia nella provincia di<br />

Imperia, continuando questa collaborazione è stato coautore di pubblicazioni<br />

nazionali e internazionali. Ha conseguito la Specializzazione<br />

in Sanità Animale presso la Facoltà di Torino nel Giugno <strong>19</strong>94<br />

(70/70) con lode, discutendo una tesi dal titolo “La Leishmaniosi<br />

canina in Liguria, contributo epidemiologico della città di Imperia”.<br />

È stato prima istruttore poi relatore al Corso di Cardiologia <strong>SCIVAC</strong><br />

dall’anno <strong>19</strong>96 al 2005 è attualmente segretario della Società italiana<br />

di Cardiologia (SICARV). Autore e coautore di pubblicazioni scientifiche<br />

e ha partecipato come relatore a seminari nazionali e congressi<br />

riguardanti la Leishmaniosi canina, e sull’Ipertensione sistemica, suoi<br />

principali campi di interesse. Esercita la libera professione presso il<br />

Centro Veterinario Imperiose dove, in qualità di Direttore Sanitario, si<br />

occupa di Cardiologia e Medicina Interna.<br />

MARZIA POSSENTI<br />

Med Vet, Cassano D’Adda (MI)<br />

Si Laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università<br />

degli Studi di Perugia il 7/3/<strong>19</strong>96. Dal settembre <strong>19</strong>93<br />

al marzo <strong>19</strong>95, fa tirocinio presso il Giardino Zoologico<br />

di Roma. Nel <strong>19</strong>96 vince la borsa di studio S. I. S.<br />

Vet. per un progetto di ricerca sulle “Variazioni stagionali dei livelli<br />

ematici degli ormoni tiroidei e sessuali in daini (Dama dama)<br />

allevati in semi-libertà”. In relazione alla suddettta attività di ricerca,<br />

ha tenuto un seminario presso l’Istituto Zooprofilattico del<br />

Lazio e della Toscana, sede centrale di Roma, argomento trattato:<br />

“L’utilizzazione delle aree marginali per l’allevamento degli ungulati<br />

selvatici”. Durante il periodo di ricerca tiene, presso la facoltà<br />

di medicina veterinaria di Perugia, una lezione sui meccanismi<br />

fisiologici dello stress.<br />

Dal settembre <strong>19</strong>96 esercita la libera professione, prima collaborando<br />

con diverse strutture ed in seguito in una struttura propria,<br />

occupandosi prevalentemente di medicina del comportamento, di<br />

animali esotici e di patologie del comportamento negli animali esotici.<br />

Socia SISCA e SIVAE dal <strong>19</strong>96, ha partecipato a numerosi<br />

corsi e seminari di aggiornamento. Da gennaio 2005 fornisce consulenze<br />

via internet sul comportamento del coniglio per diverse<br />

associazioni. Ha pubblicato su Sisca observer l’articolo “il comportamento<br />

del coniglio: similitudini e differenze fra coniglio selvatico<br />

e domestico” e sta per pubblicare su “Veterinaria” un articolo<br />

sul comportamento del furetto. Ha tenuto diverse relazioni sulla<br />

medicina del comportamento degli animali esotici. Dal gennaio<br />

2006 collabora con la LAV ad un progetto di riabilitazione per gli<br />

animali da sperimentazione, in particolare per quanto riguarda<br />

conigli e cavie.<br />

ROSE RASKIN<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, USA<br />

Attualmente è Professor of Clinical Pathology presso<br />

il Department of Veterinary Pathobiology della Purdue<br />

University School of Veterinary Medicine di West<br />

Lafayette, Indiana, USA. I settori in cui si è sviluppata<br />

l’esperienza della Dr.ssa Raskin hanno riguardato l’ematologia<br />

comparata, le neoplasie emolinfatiche e la citologia. Ha pubblicato<br />

più di 50 articoli su riviste e capitoli di libri e partecipato ad<br />

oltre 150 convegni e seminari di carattere scientifico e di aggiornamento<br />

permanente nel campo della patologia clinica veterinaria.<br />

È past-president dell’American Society for Veterinary Clinical<br />

Pathology ed attualmente è section editor della rivista Veterinary<br />

Clinical Pathology. la Dr.ssa Raskin è co-editor di Atlas of<br />

Canine and Feline Cytology.<br />

BARBARA RIGAMONTI<br />

Med Vet, Genova<br />

Laureata in Medicina veterinaria nell’86 e contemporaneamente<br />

diplomata in Omeopatia veterinaria presso<br />

il corso tenuto dal Dott. Franco Del Francia all’Ordine<br />

dei Veterinari di Milano, dallo stesso anno esercito la<br />

libera professione e pratico la terapia omeopatica. Nel ’91 conseguo<br />

un secondo diploma in Omeopatia classica presso la Scuola<br />

Dulcamara di Genova, e da quel momento divento docente della<br />

stessa Scuola. Successivamente svolgo attività didattica anche<br />

presso la Scuola di Omeopatia di Verona, la Scuola Internazionale<br />

di Omeopatia veterinaria Rita Zanchi di Cortona, la Scuola Lycopodium<br />

di Firenze, la Scuola CSOA di Milano. Dal <strong>19</strong>96 al <strong>19</strong>98<br />

partecipo ad un progetto di cooperazione medica internazionale<br />

per lo sviluppo dell’omeopatia in Cuba, in veste di responsabile<br />

dell’insegnamento veterinario, impartendo seminari di dottrina e<br />

di clinica omeopatica veterinaria presso la Facoltà di Scienze<br />

mediche dell’Avana e presso il Consiglio veterinario nazionale.<br />

Nel 2001 e nel 2002 partecipo come docente ad un master in<br />

omeopatia veterinaria presso l’Università Statale spagnola nelle<br />

Facoltà di San Sebastian e di Saragozza. Dal <strong>19</strong>97 partecipo ai<br />

lavori del gruppo di studio di mnc della <strong>SCIVAC</strong>, ora trasformato<br />

in SIMVENCO, società di cui sono al momento Presidente.<br />

Attualmente sono Direttore didattico del settore veterinario della<br />

Scuola di Omeopatia classica Dulcamara di Genova, dal 2005 centro<br />

di insegnamento accreditato dalla Facoltà di Omeopatia del<br />

Regno Unito. Ho scritto vari articoli sull’omeopatia pubblicati sulle<br />

riviste “Obiettivi e documenti veterinari” e “Il medico omeopa-


20 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ta”. Socia fondatrice nel <strong>19</strong>91 della Federazione italiana delle<br />

Associazioni e dei Medici omeopatici, in cui attualmente dirigo il<br />

Dipartimento per la Medicina veterinaria. Firmataria del documento<br />

“Linee guida in mnc veterinarie” promosso da varie associazioni<br />

ed approvato dalla FNOVI, sono tra i fondatori dell’Unione<br />

di Medicina non convenzionale veterinaria.<br />

ATTILIO ROCCHI<br />

Med Vet, Firenze<br />

Laureato presso l’Università di Pisa nel <strong>19</strong>99, ha iniziato<br />

la sua attività lavorando come Medico Veterinario<br />

ed assistent manager presso la Marula Estate LTD.<br />

a Naivasha, Kenya. Ha completato la sua formazione<br />

attraverso la partecipazione a diversi corsi e congressi nazionali ed<br />

internazionali. Nel 2001 ha svolto un periodo di formazione intensiva<br />

teorico-pratica sull’anestesia nei piccoli animali presso l’Università<br />

di Berna sotto la supervisone del Prof Yves Moens. Ha<br />

esercitato in diverse strutture in Italia ed è, dal 2003, socio della<br />

“Clinica Veterinaria 24 Ore”, Firenze. Dal 2001 è socio <strong>SCIVAC</strong>.<br />

Dal 2002 è socio della Società Italiana di Anestesia Rianimazione<br />

e Medicina d’Urgenza Veterinaria (SIARMUV), all’interno della<br />

quale ha rivestito da prima il ruolo di Consigliere e dal 2004 di<br />

Vice Presidente. Dal 2003 ha partecipato ai corsi <strong>SCIVAC</strong> di anestesiologia<br />

in qualità di relatore ed istruttore; è inoltre relatore in<br />

diversi congressi nazionali e seminari. Dal 2004 è Ordinary Member<br />

della Association of Veterinary Anesthesist (AVA). Ama l’ozio<br />

e la birra belga.<br />

GIORGIO ROMANELLI<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Cusano Milanino (MI)<br />

Nato a Milano il 25/7/<strong>19</strong>56. Laureato in Medicina Veterinaria<br />

il 14/7/<strong>19</strong>81 presso l’Istituto di Clinica Chirurgica<br />

della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

di Milano, relatore il Prof. Renato Cheli. Subito<br />

dopo la laurea partecipa ad un programma di chirurgia sperimentale<br />

sul trapianto di cuore e di pancreas.<br />

Libero professionista lavora a Milano occupandosi totalmente di<br />

casi di riferimento. I suoi interessi sono la chirurgia dei tessuti molli<br />

e l’oncologia chirurgica e medica. Charter Member e, dal luglio<br />

<strong>19</strong>93, diplomato all’European College of Veterinary Surgeons. Presidente<br />

<strong>SCIVAC</strong> nel periodo <strong>19</strong>93-<strong>19</strong>95.<br />

Ha presentato relazioni ad oltre 60 congressi e meeting nazionali ed<br />

internazionali. Ha soggiornato per periodi di studio presso le università<br />

di Cambridge (UK), North Carolina (USA) e Purdue-Indiana<br />

(USA) I suoi hobbies sono la pesca a mosca e la coltivazione di<br />

alberi bonsai.<br />

NICOLA RONCHETTI<br />

Med Vet, Castelnuovo Rangone (MO)<br />

È Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria San<br />

Francesco con sede in Castelnuovo Rangone (MO)<br />

dal <strong>19</strong>92; iscritto alla <strong>SCIVAC</strong> dal <strong>19</strong>85, iscritto al<br />

American Animal Hospital Association dal <strong>19</strong>87 e<br />

rappresentante in Italia per la stessa società dal <strong>19</strong>95, ora partecipa<br />

alla Leadership Council, 100 veterinari di tutto il mondo che<br />

comunicano tramite posta elettronica sui più diversi problemi<br />

della medicina veterinaria; iscritto alla Veterinary Cancer<br />

Society dal <strong>19</strong>91.<br />

È membro dell’Association of Veterinary Anaesthesist dal <strong>19</strong>99;<br />

membro della Veterinary Emergency and Critical Care Society<br />

dal 2000 e membro dell’European Veterinary Emergency and Critical<br />

Care Society dal 2000.<br />

Si occupa principalmente di anestesiologia e terapia del dolore,<br />

oncologia e citologia. Dal <strong>19</strong>92 fino al 2001 ha svolto diversi<br />

periodi di international clerkship presso la Michigan State University<br />

in anestesiologia con il professor Sawyer, con il professor<br />

Twedten per la medicina di laboratorio, l’ematologia e la citologia;<br />

presso la Purdue con il prof. De Nicola in citologia e diagnostica<br />

di laboratorio, il professor Morrison per l’oncologia. Nel<br />

<strong>19</strong>94 ha effettuato un corso di gastroenterologia applicata all’endoscopia<br />

presso la Texas A&M con i professori Willard, Twedt e<br />

Tams. Ha partecipato al gruppo di registrazione della Norfloxacina<br />

e del Tramadolo ad uso veterinario per la Formevet. È membro<br />

dell’International Association of Fly Fishing Veterinarians<br />

(IAFFV).<br />

ROBERTO A. SANTILLI<br />

Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Card), Malpensa (VA)<br />

Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Milano nel <strong>19</strong>90. Si è diplomato all’European College<br />

of Veterinary Internal Medicine - Companion Animals<br />

(Specialty of Cardiology) nel <strong>19</strong>99. Lavora presso la<br />

Clinica Veterinaria Malpensa in Samarate (Varese) come referente<br />

per la cardiologia. È stato professore a contratto in cardiologia<br />

felina per l’anno <strong>19</strong>97-<strong>19</strong>98 presso la Scuola di Specializzazione<br />

in Patologia e Clinica degli animali d’affezione dell’Università<br />

degli Studi di Milano e per l’anno 2003-2004 presso l’Università<br />

degli Studi di Torino per il Master di II° livello in Malattie cardiovascolari.<br />

È stato presidente della Società Italiana di Cardiologia<br />

Veterinaria. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia ed<br />

ecografia addominale su riviste nazionali ed internazionali. I suoi<br />

principali settori di ricerca sono la diagnosi e la terapia delle aritmie<br />

nel cane.<br />

CRISTINA SCHIANO<br />

Med Vet, Roma<br />

Nel <strong>19</strong>99 si laurea alla Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Perugia, Dipartimento di Patologia Diagnostica e<br />

Clinica Veterinaria con una tesi sui Camelidi Sudamericani.<br />

Dal 2000 al 2001 trascorre periodi di tirocinio in<br />

alcune strutture di Roma con particolare interesse alla citopatologia<br />

e alla medicina interna. Dal 2001 è iscritta a <strong>SCIVAC</strong>, SICIV e<br />

SIMIV. Lavora a Roma presso la Veterinaria Caffarella di Roma<br />

occupandosi esclusivamente di citologia degli animali domestici ed<br />

esotici. Segue periodi di aggiornamento in citologia in Italia e all’estero.<br />

Nel 2003-2004 ha collaborato all’attività di clinica ed analisi<br />

immunoistochimica e citologia su piccoli animali presso Istituto<br />

Superiore di Sanità. È stata relatrice su argomenti di citologia e<br />

medicina interna a incontri di SICIV, AVULP e SIMIV.<br />

PAOLO SELLERI<br />

Med Vet Padova<br />

Laureato a Perugia nel <strong>19</strong>98. Si interessa da subito di<br />

medicina degli animali non convenzionali. Fin dai primi<br />

momenti della sua carriera trascorre periodi all’estero<br />

in cliniche private o strutture universitarie specializzate<br />

in medicina degli animali esotici.<br />

Ha seguito externships in California, Massachussets, Francia, Missouri<br />

e Georgia. Collabora con facoltà Nord Americane a progetti<br />

di ricerca e di scambio interfacoltà di studenti. Da Ottobre 2002 è<br />

Professore a Contratto presso l’Università di Padova per i corsi<br />

“Medicina degli animali selvatici e non convenzionali” e “Chirurgia<br />

dei Rettili”. Nel Gennaio 2006 termina un Dottorato di ricerca<br />

presso la Facoltà di Padova con una tesi dal titolo “Malattie renali<br />

nei rettili”.<br />

È autore di pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali di<br />

medicina e chirurgia degli animali non convenzionali.<br />

È stato relatore a corsi e congressi italiani ed internazionali. È fondatore<br />

dell’Associazione Europea Veterinari per Rettili ed Anfibi.<br />

Lavora come consulente per la medicina e chirurgia degli animali<br />

esotici presso cliniche veterinarie e parchi italiani ed esteri.<br />

CORRADO SGARBI<br />

Med Vet, Torino<br />

Nato a Torino il 06-02-<strong>19</strong>60 e laureato in Medicina<br />

Veterinaria.<br />

Medico Veterinario responsabile della Scuola <strong>Nazionale</strong><br />

Unità Cinofile da Valanga del Corpo <strong>Nazionale</strong> Soccorso<br />

Alpino dal <strong>19</strong>89 al 2004. Docente presso la scuola centrale<br />

delle Unità Cinofile da Valanga e da Ricerca in Superficie del<br />

C.N.S.A.S. (riconosciuta da decreto ministeriale del Dipartimento<br />

Protezione Civile nel <strong>19</strong>97) dal <strong>19</strong>92.<br />

È membro del gruppo di lavoro “Standard Cinofilia da Soccorso”<br />

presso il Dipartimento della Protezione Civile Ministero degli<br />

Interni (con nomina da Decreto n° 4700 del 20/12/2000). Si occupa<br />

di medicina comportamentale degli animali da affezione dal<br />

<strong>19</strong>90. Ha partecipato in qualità di relatore/chairman/docente a<br />

numerosi corsi/incontri/congressi nazionali ed internazionali trattando<br />

temi di etologia applicata. Vice Presidente della S.I.S.C.A.<br />

(Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate), dal <strong>19</strong>99


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 23<br />

al 2001, presidente S.I.S.C.A., società specialistica collegata alla<br />

<strong>SCIVAC</strong>, dal 2001 al 2004. Ha pubblicato lavori ed articoli sul<br />

tema su riviste di settore e divulgative. Ha collaborato alla stesura<br />

di alcuni testi aventi per argomento la formazione e l’addestramento<br />

di Unità Cinofile. È stato il direttore del corso base di medicina<br />

comportamentale della <strong>SCIVAC</strong>. È membro dell’E.S.V.C.E. (società<br />

europea di etologia clinica veterinaria). Ha svolto l’incarico di<br />

professore a contratto presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università<br />

di Torino.<br />

DEBORAH SILVERSTEIN<br />

Med Vet, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Deborah Silverstein è attualmente Assistant Professor<br />

di medicina d’Urgenza presso il Matthew J. Ryan<br />

Veterinary Hospital dell’Università della Pennsylvania<br />

a Philadelphia.<br />

Si è laureata nell’Università della Georgia nel <strong>19</strong>97 ha completato<br />

l’intership in medicina e chirurgia dei piccoli animali e in seguito il<br />

residency in medicina d’urgenza nell’Università della California a<br />

Davis. Deborah si è diplomata all’American College of Veterinary<br />

Emergency and Critical Care nel 2001. I suoi campi di ricerca:<br />

gestione e monitoraggio della sepsi nei piccoli animali in particolar<br />

modo la fluidoterapia durante lo schok, la terapia con vasopressina,<br />

la valutazione del microcircolo ed i marker delle sindromi da<br />

aumentata permeabilità vascolare.<br />

ANDREW H. SPARKES<br />

BVetMed, PhD, Dipl ECVIM-CA, MRCVS,<br />

Newmarket, UK<br />

Andrew Sparkes si è laureato presso il Royal Veterinary<br />

College (University of London) nel <strong>19</strong>83 e, dopo un<br />

periodo di quattro anni di esercizio della professione<br />

generica, nel <strong>19</strong>87 è entrato a far parte dello staff della University of<br />

Bristol come interno/residente in medicina felina. Dopo aver portato<br />

a termine la residenza, andò a coprire un posto da ricercatore presso<br />

la University of Bristol per il periodo dal <strong>19</strong>90 al <strong>19</strong>93, che lo portò<br />

a completare con successo gli studi per un PhD (ottenuto nel <strong>19</strong>93)<br />

sulla dermatofitosi felina. Nel <strong>19</strong>93, è stato assunto come docente di<br />

Medicina Felina presso il Department of Clinical Veterinary Science<br />

della University of Bristol. Nel <strong>19</strong>99 venne promosso docente senior<br />

in Medicina Felina e poi, nell’estate del 2000, è passato all’Animal<br />

Health Trust vicino a Newmarket, nel Regno Unito, per assumere<br />

l’incarico di direttore dell’Unità Felina con responsabilità di clinica<br />

specialistica e di ricerca. Ha pubblicato molti lavori nel campo della<br />

medicina felina ed è Diplomate of the European College of Veterinary<br />

Internal Medicine. È specialista riconosciuto (dal RCVS) in<br />

medicina felina e fondatore ed attualmente editor-in-chief di Journal<br />

of Feline Medicine and Surgery – una rivista internazionale pubblicata<br />

da Elsevier, nonché rivista ufficiale della European Society of<br />

Feline Medicine e della American Association of Feline Practitioners.<br />

È anche l’attuale presidente del Feline Advisory Bureau – un’istituzione<br />

benefica del Regno Unito che si preoccupa del mantenimento<br />

della salute e del benessere dei gatti.<br />

PAOLO SQUARZONI<br />

Med Vet, Molinella (BO)<br />

Laureato nel <strong>19</strong>82 presso l’Università di Bologna con<br />

110 e lode. Dal <strong>19</strong>83 lavora come libero professionista<br />

esclusivamente nel campo dei piccoli animali. Dal <strong>19</strong>87<br />

si occupa di odontostomatologia dei piccoli animali. Dal<br />

<strong>19</strong>91 ad oggi ha tenuto relazioni presso l’ex Gruppo di Studio di<br />

Odontostomatologia della <strong>SCIVAC</strong> e, attualmente, presso la SIO-<br />

DOV, le Delegazioni Regionali <strong>SCIVAC</strong>, Università, Aziende del settore,<br />

Ordini Professionali, in pubbliche conferenze, durante il <strong>Congresso</strong><br />

FECAVA (Bologna <strong>19</strong>98), durante Congressi Nazionali SCI-<br />

VAC e durante altre manifestazioni scientifiche nazionali. È stato relatore<br />

– istruttore nei corsi di base di odontostomatologia <strong>SCIVAC</strong>,<br />

direttore del corso nel <strong>19</strong>97 e istruttore nel corso avanzato di odontostomatologia.<br />

Ha pubblicato articoli scientifici su riviste veterinarie e<br />

mediche, su pubblicazioni destinate agli allevatori, videocassette ed<br />

altri supporti tecnici destinati alla divulgazione scientifica, è inoltre<br />

autore del libro “Odontostomatologia del cane e del gatto”. È stato<br />

Coordinatore del Gruppo di Studio di Odontostomatologia <strong>SCIVAC</strong><br />

dal <strong>19</strong>94 al <strong>19</strong>98. Attualmente è presidente della SIODOV (Società<br />

Italiana di Odontostomatologia Veterinaria).<br />

DOROTHEE STANNECK<br />

Med Vet, Dipl ECVP, Leverkusen, Germania<br />

Laureata in medicina veterinaria presso la facoltà di Berlino nel<br />

<strong>19</strong>91. Dal <strong>19</strong>91 al <strong>19</strong>95 è stata ricercatore all’istituto di parassitologia<br />

della facoltà di veterinaria di Berlino. Nel 2005 ha conseguito<br />

la specializzazione in parassitologia veterinaria. È membro della<br />

FEDESA Ectoparasiticides Experts Ad Hoc Working Group e<br />

diplomata al College Europeo di Parassitologia Veterinaria<br />

(ECVP). Lavora dal <strong>19</strong>95 presso Bayer Health Care divisione<br />

Animal Health a Monheim in Germania, dove attualmente si<br />

occupa di ricerca e sviluppo come Clinical Project Manager per<br />

gli antiparassitari negli animali da compagnia. È autore di numerose<br />

pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.<br />

Ha partecipato a congressi nazionali e internazionali come relatore<br />

su argomenti di parassitologia e malattie trasmesse da vettore.<br />

ANNE-MARIE SVENDSEN<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Denmark<br />

Si laurea nel <strong>19</strong>92 alla Royal Danish Veterinary and<br />

Agricultural University a Copenhagen, Danimarca. Per<br />

sette anni ha condotto la sua clinica per piccoli animali.<br />

In seguito ha iniziato a collaborare con Hill’s Pet<br />

Nutrition fino al 2002 anno in cui si è trasferita in Inghilterra per<br />

lavorare come Professional & Veterinary Affairs Manager.<br />

ANTONELLA VERCELLI<br />

Med Vet, CES Derm, Torino<br />

Nata ad Acqui Terme (AL) l’11 Settembre <strong>19</strong>61. Laureata<br />

in Medicina Veterinaria presso l’Università di<br />

Torino nel <strong>19</strong>85 con 110/110 e lode. Ha conseguito il<br />

Diploma in Ofatalmologia (CES) nel <strong>19</strong>89 presso<br />

l’ENV de Toulouse (F) e il Diploma in Dermatologia presso l’ENV<br />

de Nantes e Lyon (F). Lavora dal <strong>19</strong>85, come libero professionista,<br />

presso l’ambulatorio associato di Torino, dove si occupa prevalentemente<br />

di dermatologia, oftalmologia e istologia nel settore dei<br />

piccoli animali. È membro fondatore della SIDEV (Società Italiana<br />

di Dermatologia) di cui è, nell’attuale Consiglio, Vice-Presidente.<br />

È Presidente della SOVI (Società Italiana di Oftalmologia). È<br />

full member dell’ESVD (European Society of Veterinary Dermatology)<br />

dove svolge il ruolo di Segretaria nell’attuale Board. È autore<br />

di varie pubblicazioni ed ha partecipato come relatore ad alcuni<br />

Corsi e Congressi di Dermatologia ed Oculistica.<br />

ALDO VEZZONI<br />

Med Vet, SCMPA, Dipl ECVS, Cremona<br />

Laureato in Medicina Veterinaria all’Università di Milano<br />

nel <strong>19</strong>75, specializzato in Clinica delle malattie dei<br />

Piccoli Animali nella stessa università nel <strong>19</strong>78, ha conseguito<br />

il Diploma di specializzazione europea in chirurgia<br />

veterinaria dell’ECVS a Cambridge nel <strong>19</strong>93. Dal <strong>19</strong>93 al 2004<br />

è stato segretario della ESVOT, la società europea di ortopedia veterinaria<br />

e dal 2004 ne è Vice-Presidente. Nel <strong>19</strong>96 ha conseguito a<br />

Stoccarda l’abilitazione dell’Hoheneimer Kreis alla lettura delle<br />

radiografie per la displasia dell’anca del cane secondo il protocollo<br />

FCI e nel <strong>19</strong>98 quella per la lettura delle radiografie per la displasia<br />

del gomito secondo il protocollo IEWG-FCI. Presidente della Fondazione<br />

Salute Animale dal <strong>19</strong>96 e Chairman della relativa Commissione<br />

di lettura per la displasia dell’anca e per la displasia del gomito,<br />

accreditata dall’ENCI nel 2002. Dal <strong>19</strong>97 al 2002 è stato delegato<br />

per il Sud-Europa dell’AO-Vet International ed è stato relatore e<br />

direttore di diversi Corsi AO. Membro della Commissione Tecnica<br />

Centrale dell’ENCI dal 2000. Relatore in Congressi nazionali ed<br />

internazionali nell’ambito della chirurgia e dell’ortopedia dei piccoli<br />

animali, ha realizzato numerose pubblicazioni scientifiche ed ha<br />

curato l’edizione italiana di numerosi testi stranieri di medicina veterinaria.<br />

Dal <strong>19</strong>76 opera come libero professionista a Cremona, svolgendo<br />

dal <strong>19</strong>98 un’attività prevalentemente di riferimento dei Colleghi<br />

nell’ambito della diagnostica e della chirurgia ortopedica. Socialmente<br />

impegnato per la categoria è stato Socio Fondatore e Presidente<br />

della <strong>SCIVAC</strong>, Socio Fondatore e Consigliere dell’ANMVI;<br />

dal <strong>19</strong>96 riveste le cariche di segretario FNOVI e di Presidente dell’Ordine<br />

dei Veterinari di Cremona, dal <strong>19</strong>99 fa parte della Commissione<br />

“Terapia del Dolore” del Ministero della Salute e dal 2004 fa<br />

parte della Commissione sulla Professione Veterinaria del Ministero<br />

della salute.


24 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

FABIO VIGANÒ<br />

Med Vet, SCMPA, Milano<br />

Il Dott. Fabio Viganò si è laureato nel <strong>19</strong>87 e specializzato<br />

nel <strong>19</strong>95 in malattie dei piccoli animali presso<br />

l’università di Milano. Dal <strong>19</strong>87 ad oggi svolge soggiorni<br />

di studio presso Università e cliniche private<br />

negli Stati Uniti. Dal <strong>19</strong>93 membro della società americana Veterinary<br />

Emergency and Critical Care Society. Socio fondatore,<br />

Honorary Treasurer e Membership Secretary della società Europea:<br />

European Veterinary Emergency and Critical Care Society.<br />

Membro AVA e EAVPT. Relatore a numerosi congressi nazionali<br />

ed internazionali. Dal 2000 al 2002 relatore e direttore del corso di<br />

pronto soccorso della Scivac. Attualmente impegnato nella direzione<br />

di una Clinica veterinaria con pronto soccorso 24 ore e nella<br />

ricerca di nuove terapie in medicina d’urgenza e terapia intensiva.<br />

Autore di pubblicazioni in medicina d’urgenza e terapia intensiva<br />

dei piccoli animali, direttore e relatore di numerosi corsi di<br />

pronto soccorso e terapia intensiva.<br />

MASSIMO VIGNOLI<br />

Med Vet, Spec Rad Vet, Sasso Marconi (BO)<br />

Il Dott. Massimo Vignoli si è laureato a Bologna nell’anno<br />

<strong>19</strong>93, con una tesi di laurea sulla “displasia dell’anca<br />

nel cane”. Nel <strong>19</strong>97 ha conseguito il diploma di<br />

specializzazione in Radiologia Veterinaria all’Università<br />

di Torino con una tesi “sull’applicazione del sistema a schermi<br />

asimmetrici Insight nella radiografia toracica del cane”.<br />

Ha trascorso numerosi periodi all’estero in Europa e USA. Ha<br />

completato un programma alternativo per il College Europeo di<br />

Diagnostica per Immagini (ECVDI) all’Università di Torino e di<br />

Zurigo. Nel luglio 2002 ha conseguito dall’ ECVDI il “Resident<br />

Prize” per la migliore presentazione con il progetto sulle “Biopsie<br />

TAC guidate nello scheletro”. È relatore <strong>SCIVAC</strong> ai corsi di Radiologia.<br />

Dall’anno 2001 è Presidente della Società Veterinaria Italiana<br />

di Diagnostica per Immagini per animali da compagnia (SVIDI).<br />

Nel Giugno 2003 ha superato la parte teorica dell’esame per il<br />

diploma del College Europeo di Diagnostica per Immagini Veterinario<br />

(ECVDI). Svolge attività libero professionale a Sasso Marconi<br />

(BO) nella propria struttura ed attività di consulente in numerose<br />

altre strutture veterinarie.<br />

È autore o coautore di 25 pubblicazioni o comunicazioni a congressi,<br />

di cui 15 internazionali.<br />

ANNE-MARIE VILLARS<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Io mi occupo di comportamento animale dal <strong>19</strong>90!<br />

Ho seguito ogni congresso sull’argomento da quella<br />

data, compresi i corsi di base, e sono diventata insegnante<br />

dopo aver conseguito la mia specializzazione<br />

francese (DENVF: Diplomi delle scuole nazionali veterinarie<br />

francesi). Possiedo inoltre un diploma sul comportamento, ottenuto<br />

dall’etologo Michel Chanton, a Parigi. Sono una relatrice abituale<br />

sul comportamento animale, in sedi Europee.<br />

Seguo la cinologia da circa 40 anni, sono stata istruttrice di educazione<br />

ed agility; con i miei cani ho partecipato a concorsi di cinologia<br />

nei campi di sanità, educazione ed agility; sono giudice di<br />

agility nell’ambito della FCS; ho partecipato alla formazione di<br />

istruttori di agility ed ho condotto dei corsi di perfezionamento nei<br />

club; ho lavorato per un anno alla SPA di Nyon; ho condotto regolarmente<br />

dei corsi pratici di comportamento animale nel corso di<br />

più di 10 anni.<br />

Ho ottenuto la mia laurea nel <strong>19</strong>80 e lavoro a Lausanne da più di<br />

20 anni, come veterinaria; un terzo abbondante della mia buona<br />

clientela si rivolge a me per consulenze specialistiche in comportamento,<br />

con casi referenziati; ho eseguito delle perizie ufficiali sulla<br />

pericolosità degli animali e delle controperizie commissionate<br />

dalla magistratura.<br />

MARCO VIOTTI<br />

Med Vet, Torino<br />

Laureato a Torino nel <strong>19</strong>94 con una tesi sperimentale sull’embriogenesi<br />

cardiaca, si occupa esclusivamente di piccoli<br />

animali. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento<br />

Scivac, nonché congressi e seminari. Attualmente<br />

vicecoordinatore del Gruppo di Studio di Practice Management,<br />

membro del consiglio direttivo di Amnvi Piemonte, si occupa esclusivamente<br />

di medicina interna e practice management.<br />

DANIELE ZAMBELLI<br />

Med Vet, Dipl ECAR, Bologna<br />

Daniele Zambelli si è laureato in Medicina Veterinaria<br />

all’Università degli Studi di Bologna nel <strong>19</strong>91. Presso<br />

tale Università, nel <strong>19</strong>95, ha conseguito il titolo di Dottore<br />

di Ricerca in Ostetricia e Ginecologia Veterinaria e<br />

nel biennio successivo, <strong>19</strong>96-<strong>19</strong>98, ha ricevuto una borsa di studio<br />

Post Dottorato. Nella stessa Università ha ottenuto nel <strong>19</strong>98 l’incarico<br />

di ricercatore presso la Sezione Ostetrico-Ginecologica del<br />

Dipartimento Clinico Veterinario.<br />

Attualmente presta servizio come professore associato nel medesimo<br />

Dipartimento. È diplomato ECAR (European College of Animal<br />

Reproduction) dal 2002. Le sue ricerche e pubblicazioni<br />

riguardano prevalentemente la riproduzione canina, felina e degli<br />

animali esotici con particolare riferimento all’andrologia e alla<br />

fecondazione artificiale. Ha partecipato, come relatore, a numerosi<br />

seminari e congressi nazionali ed internazionali; è revisore per riviste<br />

internazionali di riproduzione.<br />

ANDREA ZATELLI<br />

Med Vet, Reggio Emilia<br />

Laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

di Parma nel <strong>19</strong>91. Dal <strong>19</strong>91 al <strong>19</strong>98 trascorre<br />

periodi di aggiornamento in Europa e negli Stati Uniti<br />

finalizzandoli all’esclusivo approfondimento di argomenti<br />

di medicina interna e diagnostica per immagini del cane e del<br />

gatto. Professore a contratto presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

dell’Università degli Studi di Torino dall’A.A. 2000-2001<br />

all’A.A. 2003-2004. È socio <strong>SCIVAC</strong> dal <strong>19</strong>91, relatore <strong>SCIVAC</strong><br />

dal <strong>19</strong>98 e consulente scientifico della stessa società dal 2001.<br />

Relatore a congressi nazionali ed internazionali ha tenuto numerosi<br />

seminari scientifici e corsi di perfezionamento su argomenti<br />

riguardanti la nefrologia, la ecografia addominale e la terapia intensiva/medicina<br />

d’urgenza. È autore di numerose pubblicazioni su<br />

riviste nazionali ed internazionali inerenti la nefrologia, l’ecografia<br />

addominale e l’ecografia interventistica. Nel 2005 ha ricevuto l’I-<br />

RIS (International Renal Interest Society) AWARD “in recognition<br />

of outstanding fundamental and clinical research performed by an<br />

individual in the field of nephrology”. I suoi principali settori di<br />

interesse sono lo studio qualitativo della proteinuria nel paziente<br />

nefropatico, i biomarkers di nefropatia e le tecniche innovative nel<br />

settore dell’ecografia interventistica e dell’ecocontrastografia.<br />

Attualmente svolge la libera professione a Reggio Emilia dove, dal<br />

2002, è Direttore Sanitario di una referral practice.


ESTRATTI<br />

DELLE RELAZIONI<br />

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore.<br />

Le relazioni di uno stesso autore sono elencate secondo l’ordine cronologico di presentazione.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 27<br />

Citologia, istologia ed immunoistochimica<br />

dei sarcomi dei tessuti molli<br />

Francesca Abramo<br />

Med Vet, Pisa<br />

Con il termine “sarcomi dei tessuti molli” si intende, dal<br />

punto di vista del patologo, l’insieme delle neoplasie di origine<br />

mesenchimale extraossee. Poiché dal mesenchima originano<br />

le cellule del tessuto fibroso, adiposo, muscolare<br />

(liscio e striato), nervoso, mesoteliale, sinoviale, istiocitario<br />

e vascolare, le neoplasie appartenenti a questo gruppo includono<br />

il fibrosarcoma, il mixosarcoma, il liposarcoma, il leiomiosarcoma,<br />

il rabdomiosarcoma, lo schwannoma, il tumore<br />

a cellule granulari, il mesotelioma, il sarcoma sinoviale, il<br />

sarcoma istiocitario, l’emangiopericitoma, l’emangiosarcoma<br />

e il linfangiosarcoma (WHO, <strong>19</strong>98). Per brevità di trattazione<br />

non saranno prese in considerazione le neoplasie che<br />

originano da sedi viscerali (mesotelioma e vari sarcomi<br />

viscerali) e dalle articolazioni, ma solo quelle che insorgono<br />

nei tessuti molli di cute, sottocute e pannicolo.<br />

Nonostante l’origine comune mesenchimale, i sarcomi<br />

sopra indicati manifestano comportamenti biologici dissimili<br />

pertanto una corretta identificazione del loro istotipo è necessaria<br />

per la formulazione di una prognosi e per la scelta terapeutica.<br />

Uno dei compiti principali della patologia diagnostica<br />

in campo oncologico è quello di comprendere la reale<br />

natura della neoplasia ai fini di un suo inquadramento classificativo<br />

che permetterà lo scambio di informazioni tra clinici<br />

e patologi. Altrettanto importante è per il patologo esprimersi<br />

sull’eventuale comportamento biologico dei sarcomi dei<br />

tessuti molli, ma questo passo non sempre è possibile, o può<br />

essere effettuato solo in stretta collaborazione con il clinico.<br />

che dovrà fornire informazioni riguardanti il segnalamento,<br />

la stadiazione clinica (dimensioni, mobilità della massa,<br />

metastasi regionali o a distanza) ed eventuali terapie già effettuate.<br />

Solo l’integrazione di tutti questi dati consentirà di prevedere,<br />

con il minor margine di errore possibile, il probabile<br />

comportamento biologico per ogni neoplasia. La diagnosi di<br />

un sarcoma dei tessuti molli, come per altre neoplasie, si<br />

baserà su esame citologico, esame istopatologico (comprendente<br />

descrizione della morfologia cellulare, architettura tissutale,<br />

grading del tumore, invasività locale e vascolare,<br />

valutazione dei margini, numero di mitosi per campo microscopico)<br />

e talvolta anche su indagini di immunoistochimica.<br />

ESAME CITOLOGICO<br />

Poiché l’esame citologico fornisce risultati immediati<br />

(l’allestimento di un preparato richiede da 10-20 minuti), è<br />

di fondamentale importanza effettuare un agoaspirato e/o<br />

infissione e/o raschiato dalla neoplasia prima della sua<br />

asportazione. In alcuni casi (emangiopericitoma, fibrosarco-<br />

ma, leiomiosarcoma, sarcoma istiocitario) il preparato potrà<br />

già fornire indicazioni sull’istotipo della neoplasia, in altri<br />

casi in cui la morfologia cellulare non suggerisce un particolare<br />

istotipo tumorale, il rilievo di criteri di malignità può<br />

indirizzare il chirurgo verso un’asportazione più o meno<br />

radicale. Tra i criteri di malignità per i sarcomi dei tessuti<br />

molli vanno elencati la cellularità (se si fa eccezione per l’emangiopericitoma<br />

e lo schwannoma), l’anisocitosi, l’anisocariosi,<br />

la presenza di nuclei voluminosi con nucleoli plurimi<br />

e prominenti, la presenza di cellule giganti, di necrosi ed<br />

infine il rilievo di figure mitotiche atipiche.<br />

ESAME ISTOPATOLOGICO<br />

Una corretta tipizzazione della neoplasia deriva però quasi<br />

sempre dall’esame istopatologico attraverso il quale viene<br />

fornita la descrizione della morfologia cellulare, dell’architettura<br />

del tumore, del grading tumorale, del grado di invasività<br />

(locale e vascolare) e la valutazione dei margini.<br />

Architettura tissutale<br />

Oltre alle caratteristiche morfologiche (già evidenziabili<br />

in citologia) il preparato istologico consente di apprezzare<br />

nel suo insieme l’architettura tissutale che spesso è decisiva<br />

nel suggerire un particolare istotipo. La distribuzione a cerchi<br />

concentrici (“a cipolla”) di cellule fusate attorno a piccole<br />

strutture vasali contenenti eritrociti indirizza verso una<br />

diagnosi di emangiopericitoma; la presenza di ampi fasci di<br />

cellule fusate con lunghi prolungamenti citoplasmatici indirizza<br />

verso una diagnosi di fibrosarcoma; cellule con nuclei<br />

a palizzata alternate ad aree con minor densità cellulare suggeriscono<br />

che la neoplasia possa originare da strutture nervose<br />

(schwannoma); ampie lacune vascolari irregolarmente<br />

anastomizzate e tappezzate da cellule atipiche indirizzano<br />

verso una diagnosi di emangiosarcoma o linfangiosarcoma.<br />

Grading della neoplasia<br />

Il grading della neoplasia espresso come grado di differenziazione<br />

cellulare, presenza di aree di necrosi ed emorragie,<br />

tipo di invasività locale o vascolare e il numero di mitosi per<br />

campo microscopico aggiungono informazioni rilevanti per il<br />

clinico che dovrà eventualmente associare una terapia adiuvante<br />

(radioterapia, chemioterapia) postchirurgica.


28 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Valutazione dei margini<br />

Di fondamentale importanza è l’accertamento da parte del<br />

patologo della completa resezione chirurgica. La valutazione<br />

dei margini influirà decisivamente sulla prognosi: neoplasie<br />

poco aggressive asportate in modo incompleto possono<br />

recidivare mentre neoplasie solo aggressive localmente<br />

ma asportate in toto possono risultare nella guarigione completa<br />

del soggetto.<br />

La valutazione dei margini di escissione chirurgica deve<br />

ormai far parte integrante di un referto istopatologico ma è<br />

purtroppo soggetta a numerose variabili quali la difficoltà<br />

nell’orientamento del pezzo anatomico se questo non viene<br />

preventivamente segnalato dal chirurgo (inchiostro o punti di<br />

sutura) e l’impossibilità di esprimere la tridimensionalità di<br />

un campione su preparati istopatologici bidimensionali.<br />

Indagini di immunoistochimica<br />

Spesso il carattere indifferenziato di un sarcoma rende il<br />

raggiungimento della diagnosi piuttosto difficile sia tramite<br />

esame citologico che istologico. In questo caso la definizione<br />

di un particolare istotipo può essere raggiunta solo mediante<br />

tecniche di laboratorio quali l’immunoistochimica.<br />

Sono numerosi i marker di differenziazione per i quali sono<br />

attualmente in commercio anticorpi da essere utilizzati in prove<br />

di immunoistochimica per l’identificazione dei diversi sarcomi<br />

dei tessuti molli.<br />

Tra i principali devono essere menzionati alcuni dei filamenti<br />

intermedi quali la vimentina (cellule di origine mesenchimale),<br />

l’actina e la desmina (cellule di origine muscolare),<br />

l’S100 e la GFAP (cellule di origine neuroectodermica) e altri<br />

marker come l’antigene correlato al fattore VIII (cellule<br />

endoteliali), il Lyve-1, il VEGF e la podoplasmina (cellule<br />

dell’endotelio linfatico). Non esistono attualmente marker<br />

che siano indicativi dell’origine adipocitaria. Una diagnosi di<br />

liposarcoma può essere confermata con colorazioni specifiche<br />

per i grassi quali l’Oil Red e il Sudan che devono essere<br />

però effettuate su campioni per citologia o su campioni congelati<br />

o che comunque non abbiano subito una processazione<br />

con alcool e xilolo (sciolgono i grassi). Le indagini di immunoistochimica<br />

sono quindi consigliate tutte le volte in cui non<br />

risulta possibile tipizzare dal punto di vista morfologico e<br />

architetturale una neoplasia. Purtroppo in questi casi la marcata<br />

anaplasia della cellula fa sì che queste perdano la capacità<br />

di esprimere i loro marker di differenziazione o che ne<br />

esprimano di diversi, tutto ciò complica ulteriormente la possibilità<br />

diagnostica. È per questo che spesso è necessario<br />

applicare al campione non solo un anticorpo ma quello che<br />

viene definito un “pannello anticorpale”.<br />

Questo difficile iter diagnostico in patologia oncologica è<br />

utile in ultima analisi per fornire il quadro più completo possibile<br />

di una neoplasia in termini di classificazione, istotipo<br />

e comportamento biologico. Solo la stretta collaborazione<br />

tra le due discipline: clinica (segnalamento, stadiazione clinica),<br />

patologica (classificazione, valutazione dei margini,<br />

immunoistochimica) e di nuovo clinica (terapia, follow-up)<br />

consentiranno di elaborare per ogni distinta neoplasia un<br />

particolare comportamento biologico.<br />

Bibliografia<br />

Hendrick M.J., Mahaffey E.A., Moore F.M., Vos J.H., Walder E.J. WHO.<br />

Histological classification of mesenchymal tumors of skin and soft<br />

tissues of domestic animals. Second series, volume 2. Armed Forces<br />

Institute of Pathology, Washington USA.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Francesca Abramo<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

Università di Pisa<br />

abramo@vet.unipi.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 29<br />

Incontinenza urinaria nel cane:<br />

indagine clinica e diagnosi differenziale<br />

Susanna Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera, Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

Col termine “continenza” si indica la situazione che si ha<br />

durante la fase di riempimento della vescica. La condizione<br />

fisica necessaria per la continenza richiede che la pressione<br />

di chiusura dell’uretra sia superiore a quella vescicale. Ne<br />

deriva che nella situazione inversa, in cui la pressione vescicale<br />

supera quella di chiusura uretrale, si ha una perdita di<br />

urina. È quello che si verifica durante la minzione. Invece, se<br />

la pressione vescicale supera quella di chiusura uretrale<br />

durante la fase di riempimento della vescica, si ha una perdita<br />

di urina incontrollabile, cioè l’incontinenza urinaria.<br />

Se le condizioni anatomiche sono normali, l’incontinenza<br />

urinaria può essere dovuta a due meccanismi fisiopatologicamente<br />

differenti: l’aumento della pressione vescicale con normale<br />

funzione di chiusura uretrale oppure l’insufficiente funzione<br />

di chiusura uretrale con normale pressione vescicale<br />

(incompetenza dello sfintere). Rosin e Barsanti 1 hanno dimostrato<br />

per la prima volta che l’incontinenza urinaria dopo la<br />

sterilizzazione è causata dall’incompetenza dello sfintere.<br />

La continenza urinaria è la capacità di controllare la<br />

minzione volontariamente. Perché un animale sia continente,<br />

è necessario il coordinamento di parecchie funzioni differenti<br />

del sistema nervoso e del tratto urinario secondo lo<br />

schema seguente 2 :<br />

1. Gli ureteri devono sboccare nella vescica<br />

2. La vescica deve fungere da serbatoio ed essere in grado di<br />

espandersi senza determinare un innalzamento della pressione<br />

intravescicale<br />

3. L’uretra deve generare la necessaria “pressione a riposo”<br />

per prevenire la perdita di urina durante la fase di riempimento<br />

della vescica<br />

4. Una volta che la vescica ha raggiunto il limite della propria<br />

capacità, i neuroni efferenti devono inviare un segnale<br />

al midollo spinale e da qui al sistema nervoso centrale<br />

5. Il sistema nervoso centrale deve reagire con un appropriato<br />

segnale di ritorno<br />

6. L’impulso deve essere trasmesso attraverso il midollo spinale<br />

ai neuroni efferenti che, a loro volta, avviano la contrazione<br />

dei muscoli addominali e del muscolo detrusore<br />

7. Non appena la vescica si contrae, il collo vescicale si deve<br />

rilassare e deve iniziare il riflesso che porta ad una riduzione<br />

del tono uretrale.<br />

Il requisito per la continenza è un sistema complesso e<br />

funzionalmente coerente. Esistono molte possibili cause<br />

dell’incontinenza urinaria. Questa viene distinta in neurogena<br />

o non neurogena. Tuttavia, in molti casi questo raggruppamento<br />

è inadeguato. Ad esempio, l’incontinenza uri-<br />

naria nelle cagne dopo la sterilizzazione viene classificata<br />

come non neurogena, perché l’esame neurologico è normale.<br />

Nonostante ciò, la maggior parte dei casi risponde al<br />

trattamento con agenti alfa-adrenergici, che agiscono come<br />

un neurotrasmettitore.<br />

Anche se l’incompetenza dello sfintere dovuta alla sterilizzazione<br />

è la causa più comune, in tutti gli animali incontinenti<br />

è necessario effettuare un esame approfondito. In primo<br />

luogo, bisogna raccogliere un’anamnesi dettagliata, che<br />

fornisca importanti indicazioni sul tipo di incontinenza ed<br />

aiuti a decidere come proseguire l’indagine diagnostica. Se<br />

l’incontinenza urinaria era presente prima dell’intervento, si<br />

deve prendere in considerazione un’insufficiente educazione<br />

dell’animale oppure una malformazione congenita del tratto<br />

urogenitale (ectopia degli ureteri, uraco persistente, intersessualità).<br />

Se l’insorgenza dell’incontinenza urinaria si è verificata<br />

immediatamente dopo l’intervento, la causa potrebbe<br />

essere una fistola ureterovaginale iatrogena. Se il problema<br />

si riscontra esclusivamente dopo una passeggiata, si deve<br />

pensare ad un’urovagina. Le cagne colpite perdono urina<br />

principalmente quando si siedono. L’urovagina può anche<br />

essere causata da una neoplasia vaginale, che impedisce il<br />

passaggio dell’urina attraverso il vestibolo. In molti casi, l’urina<br />

si raccoglie nella vagina durante la minzione della<br />

cagna, in assenza di una condizione patologica. Se, secondo<br />

l’anamnesi, la cagna è incontinente dopo lunghe passeggiate,<br />

la causa sottostante potrebbe essere un’instabilità del<br />

detrusore. Questa può essere dovuta ad uraco persistente,<br />

che impedisce una completa retrazione della vescica vuota.<br />

Quindi, l’organo viene forzato in una determinata posizione<br />

che può esitare in un’instabilità transitoria del detrusore, in<br />

particolare dopo un esercizio intenso. Se l’incontinenza si<br />

riscontra esclusivamente durante il sonno ed il letto è bagnato,<br />

molto probabilmente si tratta di un’incompetenza dello<br />

sfintere uretrale. Se si trovano macchie di urina lontane dal<br />

letto si deve piuttosto pensare ad una minzione da emergenza,<br />

che non ha nulla a che fare con l’incontinenza. I cani con<br />

poliuria e polidipsia sono più predisposti ad urinare durante<br />

la notte e vengono erroneamente portati alla visita come<br />

incontinenti. Quindi, è necessario informarsi sulla quantità<br />

di acqua assunta giornalmente. In molti casi, una cistite batterica<br />

provoca delle contrazioni del detrusore durante la fase<br />

di riempimento della vescica, con conseguente perdita involontaria<br />

di urina. Poiché l’incompetenza dello sfintere predispone<br />

la cagna ad una cistite batterica, l’incontinenza urinaria<br />

può persistere anche nonostante il successo del tratta-


30 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

mento della cistite. Nelle cagne molto giovani che vengono<br />

portate alla visita per un’incontinenza urinaria si deve effettuare<br />

un esame con mezzo di contrasto endovenoso, al fine<br />

di escludere la presenza di malformazioni congenite. Un’uretrocistografia<br />

associata ad una pielografia consente di<br />

escludere l’esistenza di fistole ureterovaginali iatrogene nelle<br />

cagne che sono diventate incontinenti immediatamente<br />

dopo l’intervento. Le possibili neoplasie del tratto urinario<br />

delle cagne anziane di solito possono venire accertate<br />

mediante endoscopia o radiografia.<br />

Se l’anamnesi o l’esame clinico è indicativo di un problema<br />

neurologico, si deve condurre un’approfondita valutazione<br />

neurologica. A seconda della localizzazione della lesione,<br />

sono indicate delle procedure radiologiche oppure l’analisi<br />

del liquor per determinare la causa sottostante (degenerazione,<br />

neoplasia o infiammazione).<br />

Se una cagna incontinente ed ovariectomizzata viene portata<br />

alla visita con un’anamnesi tipica (perdita di urina mentre<br />

dorme) ed è possibile escludere le cause sopracitate dell’incontinenza,<br />

la diagnosi più probabile è l’incompetenza<br />

del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI) dovuta alla<br />

sterilizzazione.<br />

I dati minimi di base da raccogliere in una cagna che presenta<br />

incontinenza urinaria sono:<br />

• Esame clinico (compresa l’accurata valutazione della<br />

colonna lombare!)<br />

• Esame neurologico (in particolare dei riflessi anale e rotuleo)<br />

• Vaginoscopia<br />

• Profilo biochimico<br />

• Ematologia<br />

• Coltura batterica dell’urina<br />

• Analisi dell’urina<br />

• (Se necessario, esame radiologico)<br />

Inoltre, nei cani maschi:<br />

• Approfondito esame della prostata (palpazione digitale,<br />

ecografia, radiografia)<br />

• Esclusione dell’ectopia degli ureteri (a qualsiasi età, anche<br />

i maschi sessualmente interi!)<br />

Il rischio generale dell’incontinenza urinaria è basso<br />

(0,1%) nelle cagne intere 3-5 . Al contrario, la condizione rappresenta<br />

un problema comune nelle cagne sterilizzate, arrivando<br />

a colpire fino al 20% dei soggetti 6 .<br />

Il meccanismo fisiopatologico sottostante è una riduzione<br />

della funzione della chiusura uretrale dopo la sterilizzazione<br />

7-9 . Si ritiene che esista una correlazione diretta fra la<br />

rimozione delle ovaie e l’incontinenza urinaria 10 . Ciò è stato<br />

chiaramente dimostrato dallo studio epidemiologico di<br />

Thrusfield 11 .<br />

Bibliografia<br />

1. Rosin AE, Barsanti JA. Diagnosis of urinary incontinence in dogs:<br />

Role of the urethral pressure profile. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>81;<br />

178(8): 814-822.<br />

2. Barsanti, J. A., Finco, D. R. (<strong>19</strong>83). Hormonal responses to urinary<br />

incontinence. In: R. W. Kirk (Hrsg.): Current Veterinary Therapy<br />

VIII. Philadelphia: W. B. Saunders Co., 1086-1087.<br />

3. Holt PE, Thrusfield MV. Association in bitches between breed, size,<br />

neutering and docking, and acquired urinary incontinence due to<br />

incompetence of the urethral sphincter mechanism. Vet Rec <strong>19</strong>93;<br />

133: 177-180.<br />

4. Krawiec DR. Diagnosis and treatment of acquired canine urinary<br />

incontinence. Comp Anim Pract <strong>19</strong>89; <strong>19</strong>: 12-20.<br />

5. Thrusfield MV. Association between urinary incontinence and spaying<br />

in bitches. Vet Rec <strong>19</strong>85; 116: 695.<br />

6. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilk <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

7. Holt PE: Simultaneous urethral pressure profilometry: Comparison<br />

between continent and incontinent bitches. J Small Anim Pract <strong>19</strong>88;<br />

29: 761-769.<br />

8. Nickel RF. Studies on the function of the urethra and bladder in continent<br />

and incontinent female dogs. PhD thesis, Utrecht: University<br />

Press; <strong>19</strong>98.<br />

9. Arnold S: Urinary incontinence in castrated bitches. Part 1: Significance,<br />

clinical aspects and etiopathogenesis. EJCAP <strong>19</strong>99; 9: 125-<br />

129.<br />

10. Joshua JO. The spaying of bitches. Vet Rec <strong>19</strong>65; 77: 642-647.<br />

11. Thrusfield MV, Holt PE, Muirhead RH. Acquired urinary incontinence<br />

in bitches: its incidence and relationship to neutering practices. J<br />

Small Anim Pract <strong>19</strong>98; 39: 559-566.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol<br />

Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260<br />

8057 Zurich - Switzerland


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 31<br />

Incontinenza urinaria acquisita<br />

nella cagna castrata: eziologia e fisiopatologia<br />

Susanna Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera, Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

L’incontinenza urinaria è il più frequente effetto collaterale<br />

dell’ovariectomia, ed è imbarazzante non solo per il proprietario,<br />

ma anche per la cagna stessa. Il meccanismo fisiopatologico<br />

sottostante dell’incontinenza urinaria da sterilizzazione<br />

è una riduzione della pressione di chiusura dell’uretra,<br />

nota come “incompetenza del meccanismo dello sfintere<br />

uretrale (USMI)”.<br />

Entro un anno dalla sterilizzazione, la pressione di chiusura<br />

uretrale viene significativamente diminuita. Poiché<br />

molte cagne diventano incontinenti solo a distanza di anni<br />

dall’intervento, ci è voluto molto tempo perché la sterilizzazione<br />

fosse considerata la causa del problema. In uno studio,<br />

l’incontinenza si è verificata entro 3-10 anni dall’intervento<br />

in 83 cagne su 412 (=20%) 1 .<br />

Fattori di rischio<br />

Nel <strong>19</strong>78 era già stato evidenziato che la tendenza all’incontinenza<br />

dopo la sterilizzazione era significativamente più<br />

elevata nei cani di grossa taglia in confronto a quelli di mole<br />

minore. 5 Questo riscontro è stato confermato nel nostro studio:<br />

su 205 cagne con peso corporeo inferiore a 20 kg, <strong>19</strong><br />

(=9%) sono diventate incontinenti, mentre fra quelle che<br />

pesavano più di 20 kg questo problema si è verificato in 64<br />

casi su 207 (= 31%) 1 .<br />

Predisposizione di razza<br />

In uno studio 1 sull’incidenza dell’incontinenza urinaria<br />

dopo la sterilizzazione, 7 razze erano rappresentate da più<br />

di 10 animali: pastore tedesco (47), bassotto (36), boxer<br />

(20), barbone (15), spaniel (14), appenzeller (13) e bovaro<br />

Bernese (12). L’incidenza dell’incontinenza nei boxer era<br />

molto elevata (65%), ma fra i pastori tedeschi (11%) e i<br />

bassotti (11%) era inferiore a quella della media della totalità<br />

dei cani (20%). È interessante notare che non sono stati<br />

registrati casi di incontinenza per i 14 spaniel ed i 12<br />

bovari bernesi 1 .<br />

Dato il numero limitato dei soggetti delle altre razze, non<br />

è possibile fare delle affermazioni circa la loro predisposizione<br />

all’incontinenza urinaria.<br />

Fra le numerose cagne inviate al Veterinary Animal Hospital<br />

di Zurigo per l’iniezione endoscopica di collagene, erano<br />

chiaramente ben rappresentati i soggetti di razza Dobermann<br />

e schnauzer gigante.<br />

Metodo di trattamento chirurgico<br />

Alcuni autori presumevano che dopo l’ovarioisterectomia<br />

le aderenze intorno al moncone uterino potessero causare<br />

qualche danno neuronale, portando ad incontinenza urinaria<br />

6,7 . Tuttavia, non è stata rilevata una differenza significativa<br />

dell’incidenza dell’incontinenza urinaria fra cagne ovariectomizzate<br />

ed ovarioisterectomizzate. Su 260 cagne ovariectomizzate,<br />

il <strong>21</strong>% presentava incontinenza urinaria dopo<br />

la chirurgia, mentre su 152 cagne ovarioisterectomizzate era<br />

colpito il <strong>19</strong>% 1 . Quindi, l’ipotesi di un danno neuronale<br />

dovuto all’intervento può essere scartata.<br />

Momento della sterilizzazione<br />

Chiedersi se il momento della sterilizzazione (prima o<br />

dopo il primo calore) oppure l’aumentare dell’età della<br />

cagna modifichino il rischio di incontinenza è importante<br />

per il veterinario. Uno studio inglese ha dimostrato che tre<br />

cagne su 14 (<strong>21</strong>%) sterilizzate dopo la pubertà erano diventate<br />

incontinenti, mentre questo problema riguardava solo<br />

una cagna su 180 (0,5%) sterilizzata prima della pubertà 8 .<br />

Secondo questi risultati, la sterilizzazione precoce sembra<br />

essere vantaggiosa ai fini dell’incontinenza urinaria. È stato<br />

quindi condotto uno studio per valutare il rischio dell’incontinenza<br />

stessa dopo la sterilizzazione effettuata prima del<br />

primo calore 9 . A 206 proprietari di cagne sottoposte a sterilizzazione<br />

precoce sono state poste delle domande relative<br />

agli effetti collaterali. L’età media delle cagne al momento<br />

dell’indagine era di 7 anni. L’incontinenza urinaria si era<br />

verificata nel 9,7% dei soggetti.<br />

Conclusione: come conseguenza della sterilizzazione precoce,<br />

l’incidenza dell’incontinenza è stata notevolmente<br />

ridotta. Questo risultato è stato confermato da uno studio<br />

recente 10 . Tuttavia, quando/se le cagne sterilizzate precocemente<br />

diventavano incontinenti, la misura della gravità del<br />

problema era marcatamente superiore. Questo relativo svantaggio<br />

della sterilizzazione precoce è trascurabile in confronto<br />

ai vantaggi, come la minore incidenza dell’incontinenza<br />

urinaria e la ben nota protezione dai tumori mammari.<br />

Eziologia<br />

La correlazione causale fra la rimozione delle ovaie e l’incontinenza<br />

urinaria è chiaramente dimostrata 11 . Si ignora


32 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Incidenza dell’incontinenza in cagne sterilizzate prima/dopo il primo calore: confronto fra due studi analoghi<br />

Parametri esaminati Incidenza dopo Incidenza dopo Analisi statistica sulla<br />

sterilizzazione precoce 9 sterilizzazione tardiva 1 sterilizzazione precoce/tardiva<br />

Incidenza dell’incontinenza:<br />

1. < 20 kg di peso 5,1% 9,3%<br />

2. > 20 kg di peso 12,5% 30,9% SD (p= 0,001)<br />

Tipo di incontinenza:<br />

3. solo durante il sonno 35% 98%<br />

4. nel sonno e nella veglia 60% 2%<br />

5. solo nella veglia 5% -- SD (p= 0,000)<br />

Frequenza dell’incontinenza:<br />

- giornaliera 90% 57%<br />

- una volta alla settimana 10% 30%<br />

- una volta al mese -- 13% SD (p= 0,018)<br />

Tipo di intervento:<br />

- ovariectomia 8% <strong>21</strong>%<br />

- ovarioisterectomia 15% <strong>19</strong>% NS (p= 0,9)<br />

Tempo trascorso fra la sterilizzazione<br />

e la comparsa dell’incontinenza 2.8 anni 2.9 anni NS (p= 0,9)<br />

SD = significativamente differente (p < 0,05); NS = nessuna differenza significativa.<br />

ancora quale sia il meccanismo che scatena l’incontinenza<br />

urinaria dopo la sterilizzazione. Inizialmente, si era ipotizzato<br />

che la causa sottostante fosse una carenza di estrogeni<br />

conseguente all’intervento 6 . Questa ipotesi viene contrastata<br />

da parecchie osservazioni. Ad esempio, le cagne trattate con<br />

preparazioni deposito di gestageni per la soppressione dell’estro<br />

non presentano un aumento del rischio di incontinenza<br />

urinaria, benché questo trattamento esiti in un’atrofia ovarica<br />

ed il livello di estrogeni rimanga ai valori basali 12 .<br />

Un altro effetto collaterale dopo la sterilizzazione è l’aumento<br />

dei livelli di gonadotropina plasmatica, a causa della<br />

mancanza del feed-back negativo delle ovaie 13 . Circa 42 settimane<br />

dopo la rimozione delle ovaie i livelli delle gonadotropine<br />

raggiungono un plateau, mentre quelli plasmatici di<br />

FSH sono 17 volte la concentrazione iniziale e quelli di LH<br />

sono 8 volte la concentrazione iniziale 14 , ci si potrebbe quindi<br />

chiedere se gli elevati livelli plasmatici di FSH ed LH siano<br />

responsabili dell’aumento del rischio di incontinenza urinaria<br />

nelle cagne sterilizzate. Se così fosse, le cagne colpite<br />

potrebbero essere trattate con successo mediante preparazioni<br />

deposito di analoghi del GnRH, attraverso una riduzione<br />

della sensibilità dei recettori ipofisari del GnRH che a sua<br />

volta diminuirebbe i livelli plasmatici di gonadotropine. In<br />

effetti, in 7 cagne su 13 colpite da USMI si è ottenuta la continenza,<br />

per un periodo medio di 247 giorni, con l’iniezione<br />

di analoghi del GnRH 15 . Tuttavia, è discutibile se il successo<br />

di questo trattamento sia dovuto ad un calo dei livelli di<br />

gonadotropine, dal momento che i valori riscontrati nei soggetti<br />

che rispondevano ed in quelli che non rispondevano<br />

non erano differenti 16 . È possibile che il GnRH eserciti un<br />

effetto diretto sul tratto inferiore dell’apparato urinario, ma<br />

il successo della terapia non è basato su una normalizzazione<br />

della competenza dello sfintere uretrale 16 . Recenti studi in<br />

cagne beagle hanno fatto ipotizzare che il GnRH moduli la<br />

funzione della vescica 16 .<br />

Bibliografia<br />

1. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilk <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

2. Richter KP, Ling GV. Effects of xylazine on the urethral pressure profile<br />

of healthy dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>85; 46: 1881-1886.<br />

3. Barsanti JA, Finco DR (<strong>19</strong>83). Hormonal responses to urinary incontinence.<br />

In: R. W. Kirk (Ed.): Current Veterinary Therapy VIII. Philadelphia:<br />

W. B. Saunders Co., 1086-1087.<br />

4. Krawiec DR. Urinary incontinence in dogs and cats. MVP <strong>19</strong>88; 1:<br />

17-24.<br />

5. Ruckstuhl B. Die Incontinentia urinae bei der Huendin als Spaetfolge<br />

der Kastration. Schweiz Arch Tierheilk <strong>19</strong>78; 120: 143-148.<br />

6. Finco DR, Osborne CA, Lewis RE. Nonneurogenic causes of abnormal<br />

micturition in the dog and cat. Vet Clin North Am <strong>19</strong>74; 4: 501-516.<br />

7. Pearson H. The complications of ovariohysterectomy in the bitch. J<br />

Small Anim Pract <strong>19</strong>73; 14: 257-266.<br />

8. B.S.A.V.A. Congress report. Sequelae of bitch sterilisation: Regional<br />

survey. Vet Rec <strong>19</strong>75; 96: 371-372.<br />

9. Stöcklin-Gautschi, N.M., Hässig, M., Reichler, I.M., Hubler, M. and<br />

Arnold, S. (2001): The relationship of urinary incontinence to early<br />

spaying in bitches. J Reprod Fert, Suppl. 57, 233-236.<br />

10. Reichler IM, Hung E, Jöchle W, Piché CA, Roos M, Hubler M,<br />

Arnold S. FSH and LH plasma levels in bitches with differences in<br />

risk for urinary incontinence. Theriogenology 2005; 63, <strong>21</strong>64-<strong>21</strong>80.<br />

11. Thrusfield MV. Association between urinary incontinence and spaying<br />

in bitches. Vet Rec <strong>19</strong>85; 116: 695.<br />

12. De Bosschere H, Ducatelle R, Tshamal M, Coryn M. Changes in sex<br />

hormone receptors during administration of progesterone to prevent<br />

estrus in the bitch. Theriogenology 2002; 58: 1209-1<strong>21</strong>7.<br />

13. Olson PN, Mulnix JA, Nett TM. Concentrations of luteinizing hormone<br />

and follicle-stimulating hormone in the serum of sexually intact<br />

and neutered dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>92; 53: 762-766.<br />

14. Reichler IM, Pfeiffer E, Piché CA, Jöchle W, Roos M, Hubler M,<br />

Arnold S. Changes in plasma gonadotropin concentrations and urethral<br />

closure pressure in the bitch during the 12 months following ovariectomy.<br />

Theriogenology 2004; 62: 1391-1402.<br />

15. Reichler IM, Hubler M, Jöchle W, Trigg TE, Piché CA, Arnold S. The<br />

effect of GnRH analogs on urinary incontinence after ablation of the<br />

ovaries in dogs. Theriogenology 2003; 60: 1207-1<strong>21</strong>6.<br />

16. Reichler IM, Hubler M, Arnold S. Unpublished data.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 33<br />

Trattamento medico e chirurgico dell’incompetenza<br />

del meccanismo dello sfintere uretrale (USMI)<br />

Susanna Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera, Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

Il trattamento medico dell’USMI è il metodo d’elezione e<br />

deve sempre precedere la terapia chirurgica. L’azione delle<br />

sostanze utilizzate determina l’aumento della pressione di<br />

chiusura uretrale. Come farmaci di prima linea si impiegano<br />

gli agonisti alfa-adrenergici. L’effetto di questi agenti simpaticomimetici<br />

viene spiegato dal fatto che il 50% della<br />

chiusura uretrale è generato dal sistema nervoso simpatico.<br />

Gli agonisti alfa-adrenergici migliorano la pressione di chiusura<br />

uretrale attraverso la stimolazione degli alfa-recettori<br />

della muscolatura liscia uretrale 1-6 . Il trattamento con gli<br />

agonisti alfa-adrenergici esita nella continenza nel 75% delle<br />

cagne incontinenti.<br />

Un’alternativa è il trattamento con estrogeni, che ha successo<br />

nel 65% dei casi 7-9 . Tuttavia, con questi ormoni si possono<br />

avere effetti collaterali indesiderati come il rigonfiamento<br />

della vulva e l’attrazione dei cani maschi 8 . Oggi si utilizzano<br />

soltanto estrogeni ad azione breve 10 . Le preparazioni<br />

deposito utilizzate in passato sono obsolete, in parte perché<br />

sono potenzialmente in grado di causare una depressione<br />

midollare 11 . Gli estrogeni aumentano indirettamente la pressione<br />

di chiusura uretrale e sensibilizzano gli alfa-recettori<br />

alle catecolamine endogene ed esogene 12 . Se la terapia con<br />

agonisti alfa-adrenergici è insoddisfacente, un’associazione<br />

con estrogeni può potenziarne l’effetto.<br />

Gli alfa-recettori vengono divisi nei sottotipi alfa-1 ed<br />

alfa-2. Questi sottotipi recettoriali sono distribuiti in modo<br />

differente in ogni singolo effettore. I recettori alfa-1 si trovano<br />

in molti organi bersaglio del sistema nervoso simpatico.<br />

Con poche eccezioni, i recettori alfa-2 non sono presenti<br />

negli organi bersaglio del sistema nervoso simpatico, ma<br />

nelle sinapsi neuronali. È ora noto che gli alfa-recettori a<br />

livello del collo della vescica e del tratto prossimale dell’uretra<br />

della cagna, che sono responsabili della continenza,<br />

appartengono al sottotipo 1 13 .<br />

Gli effetti collaterali degli agonisti alfa-adrenergici sono<br />

spiegati dal fatto che i recettori alfa-1 non si trovano solo a<br />

livello del collo vescicale, ma anche in altri organi, in particolare<br />

nella parete dei vasi sanguigni. La propanolamina (PPA)<br />

agisce selettivamente sugli alfa-1 recettori. Un agente più vecchio,<br />

l’efedrina, è meno selettivo della PPA. Inoltre, stimola i<br />

beta-recettori e, quindi, ha la tendenza a determinare maggiori<br />

effetti collaterali 1,2 . A differenza di quanto avviene per la<br />

PPA, si può avere assuefazione all’efedrina. Per queste ragioni,<br />

la PPA costituisce la terapia di prima scelta.<br />

Nei pazienti umani, il trattamento con PPA determina talvolta<br />

effetti collaterali, come aumento della pressione san-<br />

guigna e mal di testa. Occasionalmente, può scatenare un<br />

ictus o un attacco cardiaco e quindi non viene più utilizzato.<br />

Impiegando la PPA nel cane alla dose consigliata di 1,5<br />

mg/kg bid o tid non è stato osservato un incremento della<br />

pressione sanguigna 4,14 . Gli effetti collaterali riscontrati nel<br />

cane non sono mai stati potenzialmente letali e di solito erano<br />

autolimitanti: diarrea, vomito, anoressia, apatia, nervosismo,<br />

ed aggressività 6,7,15 .<br />

Per i casi refrattari, è possibile ricorrere a differenti trattamenti<br />

chirurgici, fra i quali si effettuano principalmente la<br />

colposospensione 16 , l’uretropessi 17 e l’iniezione endoscopica<br />

di collagene 18 , con una percentuale di successo del 50-75%.<br />

Con tutte e tre queste tecniche, col tempo è stato osservato<br />

un deterioramento della percentuale di risposta. Presso la<br />

nostra clinica, preferiamo ricorrere all’iniezione endoscopica<br />

di collagene perché si tratta del metodo meno invasivo,<br />

con la minore frequenza di complicazioni e con risultati buoni<br />

tanto quanto quelli di tecniche più invasive.<br />

Colposospensione 16 : la cagna viene posta in decubito<br />

dorsale, con gli arti posteriori flessi. Con un catetere di<br />

Foley si svuota la vescica. Il manicotto del catetere viene<br />

insufflato con aria e tirato fino a ridosso del collo vescicale.<br />

Si pratica un’incisione cutanea nella parte caudale dell’addome,<br />

lungo la linea mediana. Su entrambi i lati di<br />

questa si espone quindi il tendine prepubico. Si identificano<br />

ed evitano i vasi pudendi esterni. La trazione sulla<br />

vescica consente l’identificazione del collo dell’organo per<br />

la presenza del manicotto insufflato del catetere di Foley.<br />

Nella vulva si inserisce un dito indice, servendosene per<br />

spostare la vagina cranialmente. Il grasso e la fascia intorno<br />

alla parte ventrale del collo vescicale ed al tratto prossimale<br />

dell’uretra vengono separati fino a determinare l’esposizione<br />

della parete vaginale, dorsolateralmente all’uretra.<br />

Su ciascun lato del tratto prossimale dell’uretra, ed alla<br />

distanza di circa 1 cm da essa, si afferra la parete vaginale<br />

con un paio di pinze tissutali di Allis. Il chirurgo ritira il<br />

dito dalla vagina e si cambia i guanti. La vagina viene<br />

ancorata al tendine prepubico su ciascun lato dell’uretra<br />

prossimale, servendosi di due suture in nylon monofilamento<br />

0 o 1. I punti vengono fatti passare a tutto spessore<br />

attraverso la parete vaginale e devono essere applicati preventivamente.<br />

Prima di annodarli, si esercita una tensione<br />

sulle suture in modo da stabilire che non vi sia uno strangolamento<br />

dell’uretra fra la vagina ed il pube. Una volta<br />

annodati i punti, con un esame finale ci si accerta che l’u-


34 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

retra sia libera di muoversi fra la vagina ed il pube e non<br />

sia compressa in alcun modo. Gli effetti positivi dell’intervento<br />

possono essere la conseguente rilocalizzazione della<br />

vescica, del collo vescicale e del tratto prossimale dell’uretra<br />

in una posizione intraddominale.<br />

Uretropessi 17 : si esegue una laparotomia nella parte caudale<br />

della linea mediana. Servendosi di una dissezione per<br />

via smussa praticata a livello della linea mediana si visualizza<br />

la faccia ventrale dell’uretra in corrispondenza del<br />

margine craniale del pube. Caudalmente ad un tendine prepubico<br />

si applica una sutura in polipropilene 2-0 o 0, in<br />

modo da farla penetrare nella parte caudale dell’addome.<br />

Esercitando una trazione sul collo vescicale e sull’uretra<br />

attraverso la sutura di ancoraggio applicata sul collo della<br />

vescica, si fa passare trasversalmente una sutura in polipropilene<br />

attraverso i piani muscolari dell’uretra adiacente.<br />

Dopo che ha attraversato l’uretra, la sutura viene fatta passare<br />

caudalmente al tendine prepubico opposto per poi fuoriuscire<br />

dalla cavità addominale. I capi di sutura vengono<br />

tenuti insieme con un paio di pinze emostatiche. La procedura<br />

si ripete, con una seconda sutura in polipropilene che<br />

viene fatta passare attraverso la parete uretrale, circa 3-5<br />

mm cranialmente alla prima. A questo punto si annodano<br />

entrambe le suture in polipropilene. Ciò determina la chiusura<br />

della parte più caudale dell’incisione laparotomica e la<br />

fissazione dell’uretra alla parete addominale ventrale all’estremità<br />

del margine craniale del pube. Il meccanismo d’azione<br />

rimane incerto, anche se è probabile che la procedura<br />

determini il ricollocamento del collo vescicale in una posizione<br />

intraddominale e la produzione di un aumento localizzato<br />

della resistenza uretrale.<br />

Iniezione di collagene nella sottomucosa uretrale 18 : lo<br />

scopo del trattamento è quello di accentuare la chiusura<br />

della parte prossimale dell’uretra. In anestesia generale, il<br />

paziente viene posto in decubito dorsale, con gli arti posteriori<br />

estesi cranialmente. Quindi, sotto controllo cistoscopico,<br />

si iniettano tre depositi di collagene (Zyplast ® , Collagen<br />

International Inc., Lausanne, Switzerland) secondo un<br />

andamento circolare, alla distanza di circa 1,5 cm caudalmente<br />

al collo vescicale 18 . In <strong>19</strong> cagne su 32 (=59%) l’incontinenza<br />

urinaria si è risolta con una singola iniezione di<br />

collagene, ma in 5 cagne è stato ancora necessario somministrare<br />

fenilpropanolamina per ottenere una continenza<br />

completa. È stata eseguita una seconda iniezione in 9<br />

cagne, 5 delle quali sono diventate continenti, comprese<br />

due nelle quali è stata necessaria una terapia medica<br />

aggiuntiva. La percentuale di successo finale era del 75%.<br />

Un recente studio ha valutato il successo a lungo termine<br />

dell’iniezione endoscopica di collagene. Dopo un periodo<br />

medio di osservazione di 33 mesi, la percentuale finale di<br />

successo era del 68% <strong>19</strong> .<br />

Bibliografia<br />

1. Awad SA, Downie JW, Kirulata HG. Alpha-adrenergic agents in urinary<br />

disoders of the proximal urethra. Part I Sphincteric incontinence.<br />

Br J Urol <strong>19</strong>78; 50: 332-335.<br />

2. Awad SA, Downie JW. The effect of alpha-adrenergic drugs and<br />

hypogastric nerve stimulation on the canine urethra. A radiologic and<br />

urethral pressure study. Invest Urol <strong>19</strong>76; 13: 298-301.<br />

3. Gillberg PG, Fredrickson MG, Öhman BM, Alberts P. The effect of<br />

Phenylpropanolamine on the urethral pressure and heart rate is retained<br />

after repeated short-term administration in the unanaesthetized,<br />

conscious Dog. Scand J Urol Nephrol <strong>19</strong>97; 32: 171-176.<br />

4. Hensel P, Binder H, Arnold S. Einfluss von Phenylpropanolamin und<br />

Ephedrin auf den urethralen Verschlussdruck und den arteriellen Blutdruck<br />

bei kastrierten Hündinnen. Kleintierpraxis 2000; 45: 569-656.<br />

5. Richter KR, Ling GV. Clinical response and urethral pressure profile<br />

changes after Phenyolpropanolamine in dogs with primary sphincter<br />

incompetence. JAVMA <strong>19</strong>85; 187: 605-610.<br />

6. White RAS, Pomeroy CJ. Phenylpropanolamine: an α-adrenergic<br />

agent for the management of urinary incontinence in the bitch associated<br />

with urethral sphincter mechanism incompetence. Vet Rec<br />

<strong>19</strong>89; 125: 478-480.<br />

7. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilkd <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

8. Mandingers RJ, Nell T. Treatment of bitches with acquired urinary<br />

incontinence with Oestriol. Vet Rec 2001; 149:764-767.<br />

9. Nendick PA, Clark WT. Medical therapy of urinary incontinence in<br />

ovariectomised bitches: a comparison of the effectiveness of Diethylstilboestrol<br />

and Pseudoephedrin. Aust Vet J <strong>19</strong>87; 64(4): 117-118.<br />

10. Janszen BPM, van Laar PH, Bergman JGHE. Treatment of urinary<br />

incontinence in the bitch: A pilot field study with Incurin ® . Vet Q<br />

<strong>19</strong>97; <strong>19</strong>: 42.<br />

11. Teske E. Estrogen-induced bone marrow toxicity. In: R.W. Kirk (Ed.).<br />

Current Veterinary Therapy IX, Philadelphia, W.B. Saunders Co.,<br />

<strong>19</strong>84; pp.495-498.<br />

12. Schreiter F, Fuchs P, Stockamp K. Estrogenic sensitivity of alphareceptors<br />

in the urethra musculature. Urol int <strong>19</strong>76; 31: 13-<strong>19</strong>.<br />

13. Shapiro E, Lepor H. Alpha1-adrenergic receptors in canine lower<br />

genitourinary tissues: Insight into development and function. Urology<br />

<strong>19</strong>87; 138:979-983.<br />

14. Scott L, Leddy M, Berney F, Davot JL. Evaluation of Phenypropanolamine<br />

in the treatment of urethral sphincter mechanism incompetence<br />

in the bitch. J Small Anim Pract 2002; 43: 493-496.<br />

15. Blendinger C, Blendinger K, Bonstedt H. Die Harninkontinenz nach<br />

Kastration bei der Hündin. 2. Mitteilung: Therapie. Tierarztl Prax<br />

<strong>19</strong>95; 23: 402-667.<br />

16. Holt, PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: surgical treatment. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85, 26: 237-246.<br />

17. White RN. Urethropexy for the management of urethral sphincter mechanism<br />

incompetence in the bitch. J Small Anim Pract 2001, 42: 481-486.<br />

18. Arnold S, Hubler M, Lott-Stolz GH, Rüsch P. Treatment of urinary<br />

incontinence in bitches by endoscopic injection of glutaraldehyde<br />

cross-linked collagen. J Small Anim Pract <strong>19</strong>96, 37: 163-168.<br />

<strong>19</strong>. Barth A, Reichler IM, Hubler M, Haessig M, Arnold S. Evaluation of<br />

long-term effects of endoscopic injection of collagen into the urethral<br />

submucosa for treatment of urethral sphincter incompetence in female<br />

dogs: 40 cases (<strong>19</strong>93-2000). JAVMA 2005, 226: 73-76.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol, Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260, 8057 Zurich - Switzerland


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 35<br />

Incontinenza urinaria nel cane maschio<br />

Susanna Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera, Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

A differenza di quanto avviene nelle femmine, nel cane<br />

maschio l’incontinenza urinaria si osserva raramente. In<br />

uno studio su 65 cani con incompetenza del meccanismo<br />

dello sfintere uretrale (USMI), solo 5 soggetti (= 7,5%)<br />

erano maschi 1 .<br />

L’indagine clinica nei cani maschi incontinenti viene condotta<br />

principalmente seguendo lo stesso schema utilizzato<br />

per le femmine, ma è necessario valutare alcune caratteristiche<br />

specifiche di sesso. Ad esempio, la perdita di secrezioni<br />

prostatiche può simulare un’incontinenza urinaria. È necessario<br />

escludere preventivamente le malattie della prostata<br />

come l’infiammazione, le cisti, le neoplasie e la cistite. Inoltre,<br />

nei cani maschi bisogna accertare l’assenza dell’ectopia<br />

degli ureteri, una malformazione congenita che spesso causa<br />

dapprima un’incontinenza urinaria quando il cane è in età<br />

avanzata. Un’altra malformazione congenita che esita nell’incontinenza<br />

urinaria già nel cucciolo è la megauretra. Nella<br />

maggior parte dei casi, questa alterazione è accompagnata<br />

da aplasia prostatica.<br />

Nei cani maschi, l’USMI rappresenta soltanto il 13% dei<br />

casi di incontinenza urinaria, mentre nelle femmine arriva<br />

persino al 44% 1 . Come nelle cagne, anche nei maschi incontinenti<br />

l’esame clinico ed i risultati delle analisi di laboratorio<br />

sono normali. Inoltre, come nelle cagne, l’incontinenza<br />

urinaria è una malattia acquisita le cui cause sottostanti sono<br />

poco chiare 2 . A differenza di quanto avviene nelle cagne, la<br />

metà circa dei cani maschi colpiti da USMI è intera.<br />

Nelle cagne, la chiusura uretrale viene determinata dall’intera<br />

uretra 3,4 . Invece, nei maschi è stato riscontrato attraverso<br />

l’esperienza clinica che solo il quarto prossimale, rappresentato<br />

dalla pars prostatica e dalla pars membranacea è<br />

responsabile della continenza.<br />

Quindi, il controllo volontario della minzione viene mantenuto<br />

anche se i pazienti sono colpiti da urolitiasi del tratto<br />

inferiore dell’apparato urinario, quando è necessario eseguire<br />

una uretrostomia permanente a livello della pars<br />

spongiosa o persino in sede perineale 5 . La chirurgia a livello<br />

della zona di transizione fra pars membranacea e pars<br />

spongiosa in condizioni normali non esita in incontinenza.<br />

Ciò nonostante, gli interventi effettuati nell’area della pars<br />

membranacea possono portare ad un’incontinenza transitoria<br />

6 e quelli eseguiti sul tratto prossimale dell’uretra, come<br />

ad esempio la rimozione della prostata, sono regolarmente<br />

accompagnati da incontinenza 7 .<br />

L’USMI nel cane maschio non si osserva esclusivamente<br />

in associazione con la chirurgia dell’uretra. Per ragioni sconosciute,<br />

la funzione di chiusura di questo organo va incontro<br />

ad un deterioramento spontaneo, che porta ad una perdi-<br />

ta incontrollata di urina. La diagnosi di USMI viene formulata<br />

sulla base dell’esclusione delle altre cause oppure può<br />

essere confermata attraverso il profilo della pressione uretrale.<br />

In uno studio condotto su 5 cani maschi continenti, il<br />

valore massimo della pressione di chiusura uretrale entro<br />

l’area della prostata era di 20,0 ± 10,3 cm H 2O. In 14 cani<br />

maschi colpiti da USMI, il valore massimo della pressione<br />

di chiusura uretrale era significativamente inferiore, pari a<br />

13,9 ± 5,7 cm H 2O. Al contrario, nell’area della pars membranacea<br />

tale valore non era significativamente differente<br />

(7,5 ± 3,8 cm H 2O contro 7,4 ± 3,1 cm H 2O) 8 . Questi risultati<br />

depongono a favore della diagnosi di “incompetenza<br />

dello sfintere uretrale” nei cani maschi incontinenti, sono in<br />

accordo con l’esperienza clinica ed indicano che l’integrità<br />

funzionale dell’area prostatica è particolarmente importante<br />

per la continenza. Né nel cane maschio né nella cagna la<br />

chiusura uretrale è generata da uno sfintere uretrale anatomicamente<br />

definito.<br />

Dipende invece completamente dalla cooperazione di differenti<br />

meccanismi fisiologici. Questi possono essere<br />

distinti in componenti neuromuscolari e non neuromuscolari.<br />

Il 60% circa della funzione di chiusura uretrale viene<br />

attribuito alle componenti neuromuscolari 9 e viene controllato<br />

principalmente dal sistema nervoso simpatico. Il<br />

restante 40% viene assegnato alle componenti non neuromuscolari.<br />

Se si tiene conto del contributo relativamente<br />

elevato del sistema nervoso simpatico alla chiusura uretrale,<br />

risulta ovvio il motivo per cui nelle cagne abbia spesso<br />

successo il trattamento con sostanze alfa-adrenergiche.<br />

Analoghe percentuali di successo sarebbero prevedibili nei<br />

cani maschi, dal momento che non vi sono differenze significative<br />

fra i due sessi nell’anatomia della parete uretrale o<br />

nei meccanismi fisiologici.<br />

Tuttavia, l’esperienza clinica non corrisponde alle aspettative.<br />

In uno studio su 12 cani incontinenti, 8 solo 4 di essi<br />

hanno risposto al trattamento con fenilpropanolamina.<br />

Anche la somministrazione di steroidi sessuali ha determinato<br />

risultati discutibili. L’ultima speranza spesso è quindi<br />

la chirurgia.<br />

Deferentopessi/prostatopessi: nei cani maschi si può<br />

ottenere un effetto simile a quello della colposospensione<br />

sulle femmine attraverso la fissazione dei dotti deferenti o<br />

della prostata alla parete addominale. Questa tecnica è stata<br />

descritta in 8 cani 10-11 . Utilizzando una metodica chirurgica<br />

classica, con un approccio attraverso la parte caudale<br />

della linea mediana, si localizzano le estremità distali dei<br />

due dotti deferenti a livello dello sbocco interno del canale<br />

inguinale; poi, i dotti vengono tirati delicatamente in


36 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

avanti (stirando così cranialmente l’uretra) e spostati lateralmente<br />

fino ad arrivare a formare un angolo di 60° con<br />

la linea mediana. Si effettua quindi la pessi dei dotti deferenti<br />

alla parete addominale laterale, in una posizione perpendicolare<br />

alla laparototomia e ad un terzo della distanza<br />

fra la linea mediana e la faccia laterale della colonna vertebrale.<br />

La tecnica della realizzazione della pessi prevede<br />

di praticare un’incisione nel muscolo retto dell’addome e<br />

poi attraversare per via smussa la parete addominale con<br />

un paio di pinze emostatiche, afferrare l’estremità del dotto<br />

deferente, tirarla attraverso la parete addominale ed<br />

ancorarla alla parete stessa esercitando un moderato grado<br />

di tensione in modo che la prostata si sposti di circa 1 cm<br />

in direzione craniale. In due cani è stata anche descritta<br />

una tecnica di pessi della prostata, che viene ancorata al<br />

tendine prepubico sui due lati dell’uretra 12 .<br />

Dopo la prostatopessi 12 o la deferentopessi 10 sia la percentuale<br />

di successo (4 cani su 9 sono risultati totalmente<br />

continenti senza terapia medica, 4 cani su 9 che avevano<br />

ancora bisogno di qualche trattamento medico per ottenere<br />

la continenza completa, nessun miglioramento in un<br />

caso), nonché lo spostamento craniale del collo vescicale<br />

(da 5 a 50 mm) erano simili a quelli ottenuti con la colposospensione<br />

13 .<br />

Presso la nostra clinica abbiamo trattato cani maschi<br />

colpiti da USMI con un’iniezione endoscopica di collagene<br />

nella sottomucosa uretrale. Allo scopo, è necessario<br />

praticare un’incisione lungo la linea mediana e poi ricorrere<br />

alla cistotomia dato che l’endoscopio non è flessibile<br />

e non può venire introdotto attraverso il pene. I depositi di<br />

collagene sono posti in corrispondenza della parte media<br />

dell’area prostatica, che risulta ben riconoscibile a livello<br />

dei collicoli seminali in rilievo all’interno del lume. Per<br />

prevenire il rischio di prostatite da cause iatrogene, i cani<br />

maschi interi con USMI devono essere castrati tre settimane<br />

prima di questo intervento. La percentuale di successo<br />

dell’iniezione di collagene è simile a quella di tecniche<br />

chirurgiche invasive, ma con una percentuale di<br />

complicazioni molto minore.<br />

Bibliografia<br />

1. Holt PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: prevalence in referred dogs and retrospective<br />

analysis of sixty cases. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85; 26: 181-<strong>19</strong>0.<br />

2. Barsanti JA, Finco, DR (<strong>19</strong>83). Hormonal responses to urinary incontinence.<br />

In: R. W. Kirk (Hrsg.): Current Veterinary Therapy VIII. Philadelphia:<br />

W. B. Saunders Co., 1086-1087.<br />

3. Tanagho EA, Meyers FH, Smith DR. Urethral resistance: Its components<br />

and implications. I. Smooth muscle component. Invest Urol<br />

<strong>19</strong>69: 7: 136-149.<br />

4. Tanagho EA, Meyers FH, Smith DR. Urethral resistance: Its components<br />

and implications. II. Striated muscle component. Invest Urol<br />

<strong>19</strong>69: 7: <strong>19</strong>5-205.<br />

5. Stone EA (<strong>19</strong>90): Urethra. In: M.J. Bojrab (Ed.). Current techniques<br />

in small animal surgery. Philadelphia: Lea and Febiger, 379-392.<br />

6. Yoshioka MM, Carb A. Antepubic urethrostomy in the dog. JAAHA<br />

<strong>19</strong>82; 18: 290-294.<br />

7. Basinger RR, Rawlings CA, Basanti JA Urodynamic alterations after<br />

prostatectomy in dogs without clinical prostatic disease. Vet Surg<br />

<strong>19</strong>87; 16; 405-410. 87.<br />

8. Kupper JR. Urethradruckprofile bei gesunden und harninkontinenten<br />

Rüden. Inaugural-Dissertation Universität Zürich, <strong>19</strong>95.<br />

9. Downie JW, Awad SA. Role of neurogenic factors in canine urethral<br />

wall tension and urinary continence. Invest Urol <strong>19</strong>76; 14: 143-147.<br />

10. Weber U, Arnold S, Hubler M, Kupper JR. Surgical treatment of male<br />

dogs with urinary incontinence due to urethral sphincter mechanism<br />

incompetence. Vet Surg <strong>19</strong>97; 26: 51-56.<br />

11. Salomon JF, Cotard JP, Viguier E. Management of urethral sphincter<br />

mechansim incompetence in a male dog with laparoscopic-guided<br />

deferentopexy. J Small Anim Pract 2002; 43: 501-505.<br />

12. Aaron A, Eggleton K, Power C, Holt PE. Urethral sphincter mechanism<br />

incompetence in male dogs: a retrospective analysis of 54 cases.<br />

Vet Rec <strong>19</strong>96; 139: 542-546.<br />

13. Holt, PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: surgical treatment. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85, 26:<br />

237-246.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol<br />

Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260<br />

8057 Zurich - Switzerland


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 37<br />

Maschera laringea: valutazione con TAC e suoi possibili<br />

impieghi in Medicina d’Urgenza ed Anestesia<br />

Roberto Bellentani<br />

Med Vet, Formigine (MO)<br />

Rossi Federica, Med Vet, SRV, Dipl ECVDI, Bologna; Vignoli Massimo, Med Vet, SRV, Bologna; Laganga Paola, Med Vet, Bologna<br />

INTRODUZIONE<br />

Nel <strong>19</strong>81, A.I.J. Brain, un anestesista inglese, mise a punto<br />

e successivamente utilizzò per la prima volta in un paziente<br />

umano un dispositivo che venne denominato Laryngeal Mask<br />

Airway (LMA). Da allora, dopo oltre 100 milioni di utilizzi, la<br />

maschera laringea si è imposta in medicina d’urgenza e anestesia<br />

umana come possibile alternativa al tubo endotracheale,<br />

in particolare nei pazienti non facilmente intubabili, oppure<br />

nelle procedure in cui si cerca di mantenere il paziente in respiro<br />

spontaneo, dato che, per l’inserimento di questo dispositivo,<br />

al contrario del catetere endotracheale (CET), non è necessario<br />

eseguire un blocco neuromuscolare. Ciò deriva dal fatto che la<br />

LMA, al contrario del CET non penetra nelle vie aeree, bensì<br />

si appoggia alla laringe; la forma della sua estremità è lanceolata<br />

e ricalca in negativo la struttura anatomica laringea. Questo<br />

consente una naturale funzionalità delle strutture laringee<br />

come le cartilagini aritenoidi e l’epiglottide e per tal motivo la<br />

maschera interferisce molto meno su tutta la funzionalità laringea,<br />

consentendo comunque un valido mezzo di isolamento<br />

della via respiratoria. Tutto ciò si traduce in una grande tollerabilità<br />

da parte del paziente. Attualmente vi sono in commercio<br />

due tipi di maschere: reusable (risterilizzabile) presente in<br />

otto misure: 1, 1,5, 2, 2,5, 3, 4, 5, 6; single use (monouso) in<br />

sette misure: 1, 1,5, 2, 2,5, 3, 4, 5; l’ordine di grandezza è crescente<br />

e quindi la 1 viene utilizzata nei neonati e la 5 e la 6<br />

vengono inserite nei maschi adulti.<br />

OBIETTIVI DEL LAVORO<br />

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la possibile<br />

applicazione della LMA nei piccoli animali. La LMA è un dispositivo<br />

studiato e sviluppato tenendo conto dell’anatomia della<br />

laringe dell’uomo, pertanto un possibile utilizzo nelle specie animali<br />

deve essere dimostrato, considerando che l’anatomia della<br />

regione faringo-laringea dei principali animali da compagnia<br />

(cane, gatto, coniglio) si discosta parecchio da quella dell’uomo.<br />

La bibliografia disponibile in Medicina Veterinaria include solamente<br />

lavori scientifici che fanno valutazioni di tipo funzionale,<br />

utilizzando il monitoraggio anestesiologico come controllo del<br />

corretto posizionamento dell’apparato. Non vi sono pubblicazioni<br />

che evidenzino l’adattamento anatomico di questo dispositivo<br />

nelle varie specie animali. Inoltre, vista la notevole differenza fra<br />

le varie specie e razze in Medicina Veterinaria, risulta importante<br />

stabilire una correlazione tra la taglia dell’animale e la misura<br />

di LMA da utilizzare. Questo lavoro si prefigge di colmare queste<br />

lacune. La metodica diagnostica utilizzata per questo studio è<br />

stata la Tomografia Computerizzata (TAC), che consente di<br />

esplorare con estrema accuratezza le strutture della regione<br />

faringo-laringea visualizzando, senza sovrapposizione, i tessuti<br />

molli, le porzioni a contenuto aereo e le parti scheletriche di questa<br />

regione. La radiologia, metodica più economica e di più rapida<br />

esecuzione, non avrebbe consentito, a causa della sovrapposizione<br />

delle strutture esaminate, di studiare in modo accurato l’esatto<br />

rapporto tra la LMA e le parti molli esaminate.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Sono stati valutati 22 animali: 17 cani, 3 gatti e due conigli<br />

(vedi tabella 1). I soggetti che dovevano essere sottoposti<br />

alla procedura erano 23, ma il caso n° 22 (coniglio) non ha<br />

completato lo studio come vedremo in seguito. Gli animali<br />

dovevano essere anestetizzati per eseguire procedure diagnostiche<br />

(CT di altri settori) o chirurgiche.<br />

I protocolli anestesiologici utilizzati hanno incluso:<br />

- premedicazione-sedazione: ACP + morfina IM (n=4), diazepam<br />

+ ketamina EV (n=4), petidina + medetomidina IM<br />

(n=3), petidina + ketamina IM (n=1), petidina + ketamina<br />

+ medetomidina (n=1), medetomidina + ketamina IM<br />

(n=3), petidina IM (n=1), fentanyl + diazepam EV (n=1),<br />

nessuna premedicazione (n=5). Totale animali 23.<br />

- induzione: ketamina + diazepam (n=5), lidocaina + propofol<br />

(n=1), diazepam + fentanil + ketamina + propofol<br />

(n=2), diazepam (n=1), diazepam + ketamina + propofol<br />

(n=1), propofol (n=5), diazepam + propofol (n=1), fentanyl<br />

+ lidocaina + propofol (n=1), diazepam + fentanil +<br />

propofol (n=2), diazepam + tiopentale (n=1), nessuna<br />

induzione (n=2 conigli già premedicati-indotti-mantenuti<br />

per via intramuscolare). Totale animali 22.<br />

- mantenimento: propofol CRI + O2 (n=4), isofluorano in O2<br />

(n=14), propofol bolo + aria (n=1), diazepam + ketamina<br />

bolo + O2 (n=1), O2 senza altri farmaci (n=2). Totale animali<br />

22.<br />

Dopo induzione, la maschera laringea è stata posizionata ed<br />

insufflato al suo interno il quantitativo di aria suggerito per quella<br />

misura, poi è stata assicurata alla mandibola dell’animale.<br />

Tutti gli animali hanno usufruito di un monitoraggio durante<br />

la procedura costituito da pulsossimetria, capnografia, pressione<br />

non invasiva oscillometrica. Per valutare il corretto posizionamento<br />

della maschera laringea e il rapporto tra questa e<br />

le strutture anatomiche della laringe delle varie specie esaminate<br />

è stata utilizzata una CT spirale GE Pro-Speed.<br />

La scansione ha incluso la regione laringea fino ai primi due<br />

anelli tracheali. L’indagine della laringe ha avuto una durata


38 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

media di 15 secondi e gli animali sono stati posizionati in decubito<br />

dorsale (n= 10), sternale (n= 11) o laterale (n=1), a seconda<br />

del tipo di indagine TAC che doveva seguire nello specifico<br />

caso. La LMA è stata mantenuta per tutta la durata della procedura<br />

anestesiologica, per una durata media di 30 minuti.<br />

In tutti i soggetti la valutazione TAC è stata eseguita con<br />

LMA gonfiata, in uno dei due conigli (caso n° 20) è stata<br />

eseguita una seconda scansione con maschera non insufflata,<br />

per valutare eventuali variazioni nel posizionamento.<br />

Le immagini ottenute sono state rielaborate per ottenere<br />

ricostruzioni bidimensionali e 3D della regione esaminata.<br />

RISULTATI<br />

In 22 animali è stato possibile inserire la maschera; nei<br />

cani e nei gatti l’operazione è risultata estremamente rapida<br />

e semplice, nei conigli abbiamo avuto maggiori difficoltà<br />

per le caratteristiche anatomiche del muso ed anche per la<br />

piccola taglia dei soggetti esaminati (2 e 2,5 kg), nel caso n°<br />

22, coniglio di 1,4 Kg, l’inserimento è stato molto difficile<br />

ed il soggetto è diventato cianotico, si è pertanto deciso di<br />

sospendere la procedura e risvegliare il soggetto che in questo<br />

modo è stato tolto dalla valutazione.<br />

La TC ha consentito di evidenziare molto precisamente<br />

sia nelle scansioni assiali che nelle immagini 3D la LMA e<br />

le strutture anatomiche interessate. In tutti i soggetti di specie<br />

canina e felina (per un totale di 20 casi) la maschera si è<br />

adattata perfettamente alla laringe e nelle scansioni della tra-<br />

Tabella 1<br />

N.° CASO SPECIE RAZZA SESSO ETÀ decubito N.°maschera Peso (kg)<br />

1 cane maremmano maschio 14 anni sternale 5 25<br />

2 cane setter femmina 10 anni dorsale 2,5 22<br />

3 cane labrador maschio 4 anni sternale 3 25<br />

4 cane meticcio maschio 12 anni dorsale 3 20<br />

5 cane meticcio femmina 1,5 anni sternale 3 16<br />

6 cane rottweiller maschio 4 anni dorsale 5 50<br />

7 cane labrador maschio 6 anni sternale 5 40<br />

8 cane dogue de bordeax maschio 8 mesi dorsale 5 45<br />

10 cane meticcio maschio 12 anni dorsale 3 15<br />

11 cane bull mastiff maschio 8 anni sternale 5 63<br />

12 cane barboncino maschio 4 anni sternale 2,5 7<br />

14 cane boxer femmina 9 anni dorsale 4 25<br />

15 cane pastore tedesco maschio 9 anni dorsale 5 40<br />

16 cane meticcio femmina 2 anni dorsale 4 12<br />

17 cane pastore tedesco maschio 9 anni dorsale 5 36<br />

18 cane rottweiller femmina 8 anni laterale 5 40<br />

23 cane meticcio femmina 10 anni dorsale 5 44<br />

9 gatto europeo maschio 10 anni sternale 2 9<br />

13 gatto europeo femmina 10 anni sternale 2 5<br />

<strong>21</strong> gatto persiano maschio 7 anni sternale 2 6<br />

<strong>19</strong> coniglio angora femmina 1,5 anni sternale 1 2<br />

20 coniglio incrocio femmina 5 mesi sternale 1 2,5<br />

22 coniglio incrocio maschio 2 anni 1,4<br />

chea è stato possibile evidenziare la pervietà perfetta delle<br />

vie aeree ed un ottimo adattamento del dispositivo.<br />

Nei due conigli esaminati il posizionamento della LMA<br />

non è stato ottimale poiché nel caso n° <strong>19</strong>, la maschera era<br />

situata troppo cranialmente rispetto alla glottide e la sua parte<br />

anteriore tendeva ed infilarsi in trachea ostruendola parzialmente.<br />

Nel caso n° 20, era la porzione caudale della LMA a<br />

determinare una compressione della regione laringo-tracheale<br />

con parziale ostruzione delle vie aeree. In quest’ultimo caso,<br />

si è ripetuto il procedimento con maschera sgonfia per valutare<br />

se in questo modo essa si adattasse meglio alle vie aeree del<br />

coniglio, in realtà, la situazione è addirittura peggiorata. In<br />

effetti anche il monitoraggio anestesiologico aveva evidenziato<br />

le tendenza alla scomparsa del tracciato capnografico e alla<br />

desaturazione dei soggetti in seguito a piccoli movimenti della<br />

LMA, ma al momento della scansione in entrambi i conigli<br />

la capnografia e la saturazione erano ottimali, a dimostrazione<br />

che il monitoraggio anestesiologico non è sempre una<br />

garanzia di corretto posizionamento della maschera.<br />

In tutti i casi la LMA ha consentito di mantenere un buon<br />

piano anestesiologico sia nei soggetti mantenuti con somministrazione<br />

endovenosa di anestetico sia in quelli che ricevevano<br />

isoflurano in associazione all’ossigeno.<br />

È stato possibile ventilare gli animali in caso di apnea<br />

transitoria ottenendo un’adeguata espansione toracica.<br />

Le maschere a nostra disposizione erano di diversa grandezza<br />

ed abbiamo stabilito caso per caso quale fosse la più<br />

idonea, considerando la taglia dell’animale, il suo peso e la


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 39<br />

conformazione del cranio. Gli animali in esame sono stati pertanto<br />

raggruppati secondo il numero di maschera utilizzata:<br />

• LMA n°1: conigli (n=2)<br />

• LMA n°1,5: non utilizzata<br />

• LMA n°2: gatti (n=3)<br />

• LMA n°2,5: cani (n=2: barboncino 7 Kg, setter 22 Kg)<br />

• LMA n°3: cani (n=4: Labrador 25 kg, Meticcio 20 Kg,<br />

Meticcio 16 Kg, Meticcio 15 Kg)<br />

• LMA n°4: cani (n=2: boxer 25 Kg, meticcio 12 Kg)<br />

• LMA n°5: cani (n=9: Maremmano 25 Kg, Rottweiler 50<br />

Kg, Labrador 40 Kg, Dogue de Bordeaux 45 Kg, Bull<br />

Mastiff 63 Kg, Pastore Tedesco 40 Kg, Pastore Tedesco<br />

36 Kg, Rottweiler 40 Kg, Meticcio 44 Kg)<br />

In alcuni dei primi soggetti esaminati, le dimensioni della<br />

LMA scelta sono state sottostimate a causa della iniziale difficoltà<br />

nella valutazione dello spazio laringeo, come ad<br />

esempio nel setter (caso 2) o del Labrador (caso 3) in cui<br />

sono state sistemate rispettivamente una maschera n° 2,5 ed<br />

una n° 3, ma v’è da sottolineare che la pervietà delle vie<br />

aeree era comunque assicurata.<br />

DISCUSSIONE<br />

Utilizzi possibili in veterinaria<br />

Gestione del paziente in emergenza ed in intensive care.<br />

La rapidità di inserimento potrebbe essere sfruttata per raggiungere<br />

in tempi rapidissimi e senza l’ausilio di un laringoscopio<br />

un primo controllo delle vie aeree in soggetti traumatizzati<br />

o incoscienti. Inoltre l’indiscutibile maggior tollerabilità<br />

della LMA potrebbe essere di grande aiuto nella gestione di<br />

soggetti critici che debbano subire una sedazione per qualsiasi<br />

motivo. In questi animali il mantenimento di un adeguato controllo<br />

delle vie aeree assume un grande significato e la possibilità<br />

di inserire e mantenere la maschera laringea al loro interno<br />

utilizzando dosi molto più basse di farmaco è un vantaggio.<br />

Tutto questo vale in particolare per le specie animali non<br />

facilmente intubabili, come i cani brachicefali, il gatto ed il<br />

coniglio (in questa specie, alla luce della nostra esperienza,<br />

l’inserimento dovrà essere seguito da un controllo molto<br />

attento della ventilazione-ossigenazione del soggetto).<br />

Gestione del paziente in anestesia.<br />

La maggior parte dei nostri pazienti sono facilmente intubabili<br />

senza ausilio di bloccanti neuro-muscolari ma semplicemente<br />

inducendo il soggetto in uno stato di narcosi profonda.<br />

Tuttavia vi sono alcuni animali nei quali l’intubazione non è<br />

sempre così semplice, ad esempio il gatto, nel quale la persistenza<br />

dei riflessi laringei costringe spesso a somministrare dosi<br />

di induttore relativamente elevate rispetto al cane ed alcuni soggetti<br />

non sono intubabili senza l’ausilio di una anestesia locale<br />

del laringe. Inoltre, i tentativi di intubazione ripetuti possono,<br />

insieme ai farmaci, causare il laringospasmo, eventualità assai<br />

pericolosa per il soggetto. Un altro animale che da qualche<br />

anno compare con sempre maggior frequenza sui nostri tavoli<br />

operatori è il coniglio, notoriamente un soggetto non facilmente<br />

intubabile. Recentemente, un articolo comparso su Veterinary<br />

Anaesthesia and analgesia indica che nel coniglio la<br />

maschera laringea offre parecchi vantaggi nel controllo anestesiologico<br />

rispetto alla maschera facciale, spesso utilizzata nei<br />

conigli appunto per la difficoltà di inserimento del CET. Vi sono<br />

altre situazioni in cui l’uso di questo dispositivo è da considera-<br />

re anche in soggetti relativamente facili da intubare come i cani.<br />

Ci riferiamo a molte procedure di diagnostica per immagini che<br />

richiedono di una anestesia relativamente breve ma che deve<br />

essere sufficientemente profonda per la necessità di contenere il<br />

fastidio che arrechiamo al soggetto con il posizionamento. Un<br />

esempio classico è rappresentato dagli esami di diagnostica per<br />

immagini che vengono eseguiti in ortopedia, per esempio gli<br />

esami radiografici per lo studio delle anche e gomiti in soggetti<br />

giovani. In questi casi necessitiamo dell’anestesia per un tempo<br />

medio di 15 - 20 minuti, con piano anestesiologico abbastanza<br />

profondo, e spesso non ci si preoccupa di avere un adeguato<br />

controllo delle vie aeree, in quanto il tempo impiegato per<br />

la procedura non giustificherebbe l’intubazione orotracheale.<br />

Anche quando si effettua uno studio TC, metodica diagnostica<br />

sempre più diffusa, potrebbe essere vantaggioso non dover raggiungere<br />

alti livelli di ipnosi necessari ad intubare l’animale.<br />

Dato che questa procedura è rapida ed indolore, con l’uso della<br />

maschera potremmo mantenere un buon controllo delle vie<br />

aeree (con possibilità di visualizzare un capnogramma) a livelli<br />

medi di anestesia. Anche molte procedure chirurgiche brevi<br />

come le biopsie o le piccole suture cutanee spesso vengono eseguite<br />

in sedazione profonda senza inserimento del CET.<br />

CONCLUSIONI<br />

La LMA è un dispositivo facile da utilizzare, poco invasivo<br />

e idoneo al mantenimento dell’anestesia gassosa nel cane e nel<br />

gatto. Nel coniglio abbiamo riscontrato maggiori difficoltà nel<br />

corretto posizionamento di questo dispositivo, probabilmente<br />

anche a causa della piccola taglia dei soggetti esaminati. In<br />

questa specie è necessaria una maggiore attenzione nel monitoraggio<br />

anestesiologico per evidenziare prontamente eventuali<br />

ostruzioni delle vie aeree che possono essere causate da uno<br />

scorretto posizionamento della maschera laringea.<br />

Bibliografia<br />

1. Bateman L, Ludders JW, Gleed RD, Erb HN. Comparison between<br />

facemask and laryngeal mask airway in rabbits during isoflurane anesthesia.<br />

Vet Anaesth Analg. 2005 Sep;32(5):280-8.<br />

2. Cassu RN, Luna SP, Teixeira Neto FJ, Braz JR, Gasparini SS, Crocci<br />

AJ. Evaluation of laryngeal mask as an alternative to endotracheal<br />

intubation in cats anesthetized under spontaneous or controlled ventilation:<br />

Vet Anaesth Analg. 2004 Jul;31(3):<strong>21</strong>3-<strong>21</strong>.<br />

3. Smith JC, Robertson LD, Auhll A, March TJ, Derring C, Bolon B.<br />

Endotracheal tubes versus laryngeal mask airways in rabbit inhalation<br />

anesthesia: ease of use and waste gas emissions. Contemp Top<br />

Lab Anim Sci. 2004 Jul;43(4):22-5.<br />

4. E. Romano, Anestesia generale e clinica. UTET 2004: 372-6.<br />

5. Abud TM, Braz JR, Martins RH, Gregorio EA, Saldanha JC. High laryngeal<br />

mask airway pressures resulting from nitrous oxide do not increase<br />

pharyngeal mucosal injury in dogs. Can J Anaesth. 2001 Sep;48(8):800-6.<br />

6. Martins RH, Braz JR, Defaveri J, Gregorio EA, Abud TM Effect of<br />

high laryngeal mask airway intracuff pressure on the laryngopharyngeal<br />

mucosa of dogs. Laryngoscope. 2000 Apr;110(4):645-50.<br />

7. Braz JR, Martins RH, Mori AR, Luna SP. Investigation into the use<br />

of the laryngeal mask airway in pentobarbital anesthetized dogs. Vet<br />

Surg. <strong>19</strong>99 Nov-Dec;28(6):502-5.<br />

8. Asai T, Murao K, Katoh T, Shingu K. Use of the laryngeal mask airway<br />

in laboratory cats. Anesthesiology. <strong>19</strong>98 Jun;88(6):1680-2.<br />

9. Goldmann K, Kalinowski M, Kraft S. Airway management under<br />

general anaesthesia in pigs using the LMA-ProSeal: a pilot study. Vet<br />

Anaesth Analg. 2005 Sep;32(5):308-13.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Roberto Bellentani<br />

Ambulatorio Veterinario - Via sant'Antonio 10, Formigine (MO)<br />

E-mail: bellentanivet@oksatcom.it


40 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Nuovo percorso diagnostico nelle intolleranze<br />

alimentari<br />

Alessandro Benvenuti<br />

Med Vet, Roma<br />

Introduzione<br />

Le prime osservazioni su come si possano verificare delle<br />

diverse reazioni all’assunzione di alcuni alimenti risalgono<br />

addirittura ad Ippocrate (460-377 a.C.) di cui c’è stata tramandata<br />

la famosa frase: “Lascia che il cibo sia la tua medicina<br />

e che la medicina sia il tuo cibo”.<br />

Questa reazione si attua tramite l’azione del sistema<br />

immunitario, un vero e proprio sistema di difesa dell’organismo,<br />

nei confronti di tutti quegli agenti esterni all’organismo<br />

stesso. Si osservano vari sintomi che possono essere provocati<br />

dal solo contatto come nel tratto digerente superiore,<br />

edema delle labbra e della lingua, afte e faringiti. Nel tratto<br />

gastro-intestinale il solo passaggio dell’alimento può determinare<br />

vomito, nausea, spasmi, coliche, gastriti, diarrea,<br />

meteorismo; infatti sia il cane che il gatto possono presentare<br />

questa sintomatologia gastroenterica che abitualmente inizia<br />

con un singolo episodio dal quale l’animale si riprende<br />

senza evidenti problemi in poco tempo. Ma a questo punto<br />

gli episodi si ripresentano a breve distanza con delle ricadute<br />

sempre più intense che si ripropongono ad intervalli sempre<br />

più brevi. L’episodio scatenante può essere amplificato<br />

da vari motivi (dieta, tossine, parassiti, malattie infettive)<br />

che determinano il danneggiamento della mucosa intestinale<br />

con una compromissione della funzione di barriera protettiva<br />

svolta dalla stessa. Di conseguenza l’organismo non<br />

viene più protetto da tutti gli alimenti ingeriti e non digeriti<br />

e la mucosa diventa permeabile a queste sostanze. Tuttora ci<br />

sono molti equivoci tra le differenze tra allergia ed intolleranza<br />

alimentare. Infatti uno dei principali problemi nella<br />

letteratura medico-scientifica consiste proprio nella mancanza<br />

di omogeneità delle definizioni dei termini utilizzati che<br />

si basavano sull’impiego di neologismi anglosassoni come<br />

ad esempio quello di “reazioni avverse”. Le Intolleranze Alimentari<br />

sono quelle reazioni non immuno-mediate che si<br />

determinano per il consumo abituale di un certo cibo e/o<br />

additivo e che eliminandone l’assunzione per un certo periodo<br />

ne determina la scomparsa dei sintomi. La classificazione<br />

che ritengo più efficace per definire e classificare le “reazioni<br />

avverse ai cibi” è quella della Società di Allergologia<br />

U.S.A., che definisce: 1) Le Allergie alimentari come reazioni<br />

immediate, IgE mediate. 2) Le Pseudo-Allergie come<br />

reazioni determinate da deficit enzimatici (ad es. la mancata<br />

digeribilità delle proteine del latte nel bambino ma anche in<br />

alcuni cuccioli; il favismo nell’uomo. 3) Le Ipersensibilità<br />

alimentari come reazioni ad alcuni cibi che rilasciano istamina<br />

come ad esempio lo sgombro (casi nell’uomo, nel gatto<br />

e nel cane), il cioccolato (nell’uomo e nel cane). 4) Le<br />

Reazioni Tossiche agli alimenti come l’avvelenamento da<br />

ingestione di funghi o cibo avariato, il botulismo, etc. I sintomi<br />

spia che possono far pensare ad un’intolleranza alimentare<br />

sono molteplici e riguardano vari apparati come: a)<br />

Apparato Cutaneo: prurito non stagionale, formazione di<br />

papule, eritemi, pododermatiti, lesioni epidermiche alla base<br />

e/o all’interno dell’orecchio e sul collo, irritazione nella<br />

zona perianale. b) Apparato Gastro-intestinale: vomito, diarrea,<br />

flatulenza, meteorismo, frequenti eruttazioni e singhiozzi,<br />

coliti, fenomeni di malassorbimento, stipsi alternata a<br />

diarrea. c) Apparato Respiratorio: riniti, sinusiti, sindromi<br />

simil-asmatiche ricorrenti (non rispondenti al cortisone). d)<br />

Apparato Oculo-congiuntivale: congiuntiviti ricorrenti, frequenti<br />

lacrimazioni. e) Apparato Urogenitale: cistiti ricorrenti<br />

(soprattutto nel gatto), urinazioni frequenti. f) Sistema<br />

Centrale Nervoso: fenomeni di iperattività, sbalzi di umore,<br />

crisi epilettiche, generale tendenza ad ingrassare (accompagnata<br />

da notevole gonfiore addominale), tendenza a non<br />

assimilare (accompagnata da fenomeni di coliti frequenti),<br />

affaticamento precoce. Sulle cause delle intolleranze alimentari<br />

ci sono più teorie ma quelle più concrete sono due:<br />

1) La teoria dell’alterato assorbimento delle Macromolecole,<br />

2) La teoria dello stress di H. Selye. Nella prima teoria si<br />

ipotizza una forte carenza vitaminica legata alla “raffinatezza”<br />

dei cibi quotidiani, soprattutto dei carboidrati, che provocherebbero<br />

un mancato assorbimento di tutti quegli elementi<br />

minerali e vitaminici così importanti per l’organismo.<br />

Difatti è importante ricordare come la parete intestinale<br />

svolga una funzione fondamentale non solo nell’assorbimento<br />

del cibo ma anche nello stimolo del sistema immunitario,<br />

essendo la sede di almeno il 60% delle cellule immunitarie<br />

IgA. Quando avremo una “disbiosi”, cioè un’alterazione<br />

marcata della flora batterica intestinale, verrà a mancare<br />

l’azione di modulazione del sistema immunitario. Vengono<br />

infatti a mancare quelle azioni fondamentali svolte dalla<br />

flora batterica intestinale, quali la regolazione delle<br />

dimensioni dei villi e del ricambio degli enterociti, la sintesi<br />

delle Vitamine K, B1, B12, dell’acido folico e dell’acido<br />

pantotenico. La teoria dello stress viene formulata dal Prof.<br />

Hans Selye di Montreal già negli anni ’40 ma i suoi studi<br />

andranno avanti fino agli anni ’60; lo stress viene da lui definito<br />

come “una lotta di adattamento ad un agente nocivo” di<br />

qualunque natura esso sia. Di conseguenza lo stress viene<br />

inteso come lo sforzo a cui il corpo è sottoposto tutti i giorni<br />

dagli avvenimenti quotidiani. Questo ovviamente viene<br />

sempre visto sotto il solo profilo psicologico, come quelle<br />

situazioni che causano tensione nervosa e magari ci risulta<br />

difficile interpretare lo stato psicologico dei nostri animali,


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 41<br />

anche se oramai le scienze comportamentali e l’etologia lo<br />

hanno dimostrato.<br />

Possiamo pertanto ipotizzare che se tutto ciò che si verifica<br />

nei nostri animali per reazioni chimiche che avvengono a<br />

livello cellulare grazie ad una vasta gamma di catalizzatori<br />

ed enzimi (perfezionatisi attraverso migliaia di generazioni<br />

che vivevano di cibo naturale, come piante, radici selvatiche<br />

prima, e carne e grasso di animali viventi allo stato libero<br />

poi), andando ad alterare un organismo clinicamente idoneo<br />

per la carne con alte dosi di amidi raffinati, zuccheri e tutta<br />

una serie di prodotti chimici sintetici, si potrebbe causare<br />

l’impoverimento dei processi basilari delle cellule vedendone<br />

tutti i giorni le conseguenze (malattie degenerative del<br />

cuore, malattie nervose, tumori etc).<br />

Scopo del lavoro<br />

Questo lavoro ha avuto lo scopo di verificare l’utilità di un<br />

test citotossico nella risoluzione di diverse sintomatologie,<br />

spesso ricorrenti, che possiamo evidenziare nella clinica di<br />

ogni giorno e che riteniamo possano essere imputabili alla<br />

dieta del soggetto in esame.<br />

Metodi impiegati<br />

Per determinare la diagnosi delle intolleranze alimentari<br />

nel cane e nel gatto viene attualmente considerata solamente<br />

la risposta più o meno idonea ad una dieta ad eliminazione,<br />

somministrata per minimo 10 settimane consecutive.<br />

Tale dieta deve contenere una fonte proteica differente da<br />

quella utilizzata in precedenza e dovrebbe essere formulata<br />

solo dopo un’attenta valutazione dell’alimentazione abituale<br />

dell’animale. Vengono impiegate sia diete casalinghe che<br />

commerciali, rispondendo alle esigenze dell’animale e del<br />

suo proprietario. Abbiamo testato una nuova metodica per la<br />

veterinaria per la determinazione delle intolleranze da alimenti<br />

e da additivi. Questa metodica è nuova per noi veterinari<br />

ma viene utilizzata con successo da più di venti anni in<br />

umana con una casistica di circa 400.000 casi. L’attendibilità<br />

è suffragata dai risultati clinici ottenuti con l’astinenza dei<br />

soli alimenti risultati positivi e le loro famiglie biologiche,<br />

per almeno 60 giorni. Sono stati allestiti 2 kit veterinari: uno<br />

per il cane ed il gatto ed uno per il bovino ed il cavallo. La<br />

metodica citotossica consiste nel porre a contatto il siero ed<br />

i leucociti del paziente con gli estratti alimentari. Ne scaturiranno<br />

delle risposte tossiche che verranno interpretate dal-<br />

l’operatore con una precisa metodica standardizzata e con un<br />

codificato sistema di valutazione e che permetteranno al<br />

medico di effettuare una precisa dieta ad eliminazione senza<br />

perdere tutto il tempo necessario, minimo 10-12 settimane,<br />

per effettuare una diagnosi di intolleranza alimentare.<br />

Risultati ottenuti<br />

Nella nostra esperienza gli alimenti riscontrati più frequentemente<br />

positivi sono a scendere la carne bovina, il grano,<br />

il suino, il pollo, il tacchino, il latte, etc per finire con il<br />

pesce. Una dieta ad esclusione degli alimenti positivi per un<br />

periodo di almeno otto settimane ha portato un significativo<br />

miglioramento nel 90% dei pazienti in termine di valutazione<br />

clinica prendendo in considerazione quei casi che presentavano<br />

risposte negative alle consuete terapie a base di cortisonici<br />

ed antibiotici. Si verificavano dei netti miglioramenti<br />

non soltanto su casi con sintomatologia dermatologica e/o<br />

gastroenterica ma anche su dei casi con delle problematiche<br />

comportamentali (pica, aggressività, ansia ed irritabilità).<br />

Sono stati evidenziati anche nei cani tre casi di epilessia che<br />

una volta diagnosticata e risolta l’intolleranza alimentare<br />

oltre alla risoluzione dei problemi dermatologici hanno visto<br />

o ridurre in maniera vistosa o scomparire del tutto anche la<br />

sintomatologia neurologica.<br />

Conclusioni<br />

La nostra esperienza di circa un anno e mezzo ci ha permesso<br />

di evidenziare che per i cani le razze più sensibili a<br />

questa problematica sono: Pastore Tedesco, Dalmata, Labrador<br />

e Golden Retriever, Boxer, Cocker Spaniel, Westhighland<br />

Terrier, Setter Irlandese ma anche molti incroci. Per<br />

quanto riguarda i gatti invece, le razze più sensibili sono i<br />

Persiani, i Norvegesi delle Foreste, i Siamesi e gli Europei.<br />

Ovviamente questo è solo il primo passo di una sperimentazione<br />

che si è estesa anche ad alcuni centri universitari e non,<br />

italiani ed esteri, per permetterci di ampliare la nostra casistica<br />

e la nostra ricerca in un campo, come quello delle intolleranze<br />

alimentari, ancora purtroppo poco conosciuto ed allo<br />

stesso tempo così importante nella clinica di ogni giorno.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alessandro Benvenuti<br />

E-mail: benvet@tiscali.it


42 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Atipiche neoplasie del Sistema Nervoso Centrale<br />

in animali giovani<br />

Marco Bernardini<br />

Med Vet, Dipl ECVN, Bologna<br />

Cristian Falzone, Med Vet, Monsummano Terme (PT)<br />

Le neoplasie del sistema nervoso centrale (SNC) costituiscono<br />

un problema sempre più frequente nella clinica<br />

dei piccoli animali 12 . L’allungamento della vita media, la<br />

sempre maggior attenzione dei proprietari e l’avvento di<br />

metodiche di indagine per immagini sempre più avanzate<br />

(tomografia computerizzata e risonanza magnetica) hanno<br />

permesso notevoli passi avanti nella diagnosi di queste<br />

patologie. Le neoplasie del SNC possono essere primitive<br />

(quelle che originano dal tessuto neuroectodermico, ectodermico,<br />

e mesodermico) e secondarie (per contiguità o<br />

diffusione ematogena). Difficilmente i tumori del SNC<br />

metastatizzano in altri apparati; a volte, la diffusione di cellule<br />

tumorali nel liquido cefalorachidiano può portare a<br />

metastasi distribuite nel SNC stesso.<br />

I tumori del SNC possono essere classificati in base alla<br />

loro localizzazione in:<br />

1) intracranici (sopratentoriali o retrotentoriali; intrassiali o<br />

extrassiali);<br />

2) midollari (extradurali, intradurali-extramidollari, intradurali).<br />

Dalla localizzazione della neoplasia dipende la sintomatologia<br />

mostrata dal paziente 5 . Sono ugualmente possibili, ovviamente,<br />

sintomi riferibili a localizzazione all’encefalo anteriore,<br />

mesencefalo, ponte, midollo allungato, cervelletto, midollo<br />

spinale a vari livelli. In molti casi, la localizzazione clinica può<br />

essere complicata dalle variazioni della pressione intracranica<br />

causate dalla massa stessa, che a seconda della posizione e del<br />

volume può provocare la formazione di notevole edema peritumorale,<br />

ostruzione alla circolazione del liquido cefalorachidiano,<br />

ernie di porzioni di parenchima cerebrale con secondaria<br />

compressione di strutture contigue.<br />

Queste variabili, associate con le diverse velocità di crescita<br />

della massa, possono fortemente influenzare anche il<br />

decorso dei segni clinici. Spesso l’esordio è subdolo e i<br />

segni sono lentamente progressivi. Ma le neoplasie possono<br />

rimanere a lungo silenti e manifestarsi improvvisamente<br />

con fenomeni epilettici o altri sintomi acuti e rapidamente<br />

progressivi. Questa evenienza è più probabile quando<br />

la crescita di una massa extrassiale è lenta e il parenchima<br />

cerebrale può adattarsi alla compressione, oppure<br />

quando l’alterazione funzionale della zona colpita non dà<br />

segni clinici rilevabili all’esame neurologico. Masse frontali<br />

raggiungono spesso dimensioni considerevoli prima di<br />

dare segni della loro presenza.<br />

I tumori del SNC possono essere classificati anche in base<br />

al loro tipo istologico. Si identificano:<br />

1) tumori del tessuto neuroepiteliale (astrocitomi, oligodendrogliomi,<br />

tumori dei plessi corioidei, ependimomi, ecc.);<br />

2) tumori delle meningi (principalmente meningiomi);<br />

3) linfomi e tumori ematopoietici (istiocitosi maligna, ecc.);<br />

4) tumori della regione della sella turcica (tumori pituitari,<br />

tumori delle cellule germinali soprasellari);<br />

5) altri tumori primari e cisti;<br />

6) tumori metastatici;<br />

7) estensioni locali di tumori regionali.<br />

I tumori primitivi hanno di solito uno sviluppo lento. Le<br />

razze brachicefaliche (Boxer, Bulldog inglesi e francesi,<br />

Boston Terrier), sono a maggior rischio. In generale, i<br />

tumori del sistema nervoso sono più comuni in animali<br />

adulti e anziani. Sotto i 5 anni di età sono raramente riportati;<br />

in questi casi, di nuovo le razze brachicefaliche sono<br />

particolarmente rappresentate. Non esistono differenze<br />

significative di sesso.<br />

La diagnosi dei tumori del SNC prevede fondamentalmente<br />

l’uso della diagnostica per immagini avanzata, quale<br />

la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica<br />

(MRI). A livello spinale, la radiologia tradizionale con<br />

mezzo di contrasto (mielografia) può fornire valide immagini.<br />

Tramite MRI e TC possono essere evidenziate la localizzazione<br />

della massa, la sua forma, le sue caratteristiche di<br />

crescita, la presenza di edema peritumorale, l’entità della<br />

sua vascolarizzazione. L’indagine MRI è tuttora considerata<br />

la migliore metodica per l’evidenziazione del parenchima<br />

nervoso e delle sue patologie per la sua eccellente definizione<br />

e per la scarsità di artefatti 3,11 . Per quanto le immagini<br />

ottenute via MRI o TC possano indirizzare, a seconda dei<br />

casi, con maggiore o minore precisione verso un determinato<br />

tipo di neoplasia, l’esatta diagnosi è possibile solo attraverso<br />

un esame citologico o istologico.<br />

La citologia del liquido cefalorachidiano (LCR) è raramente<br />

utile perché le neoplasie tendono a non esfoliare cellule<br />

nel LCR, perché le neoplasie benigne eventualmente<br />

esfoliano cellule indistinguibili da quelle normali e perché<br />

generalmente i tumori intrassiali non vengono in contatto<br />

con il LCR 1 . Inoltre, il solo dato citologico è raramente sufficiente<br />

ad emettere una diagnosi certa, per le minime atipie<br />

che le cellule spesso manifestano. I tumori metastatici e i<br />

linfomi sono le due categorie con maggiore probabilità di<br />

diagnosi citologica. Inoltre, l’esame del LCR in genere non<br />

viene effettuato tutte le volte che esiste un sospetto di<br />

aumento della pressione intracranica per il rischio di erniazioni<br />

di porzioni del parenchima encefalico 10 .


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 43<br />

Sempre maggior peso diagnostico sta assumendo l’esame<br />

citologico di campioni prelevati direttamente dalla massa<br />

4,15,18 . Se, da una parte, le metodiche stereotattiche necessarie<br />

per un prelievo extraoperatorio sono per il momento<br />

effettuate in pochissimi centri selezionati, l’esame citologico<br />

intraoperatorio di campioni di masse superficiali può fornire<br />

al chirurgo valide indicazioni 9 .<br />

La terapia consiste nella rimozione chirurgica della massa,<br />

quando extrassiale e situata in zone chirurgicamente<br />

accessibili. In molti casi, una successiva radioterapia prolunga<br />

il tempo di sopravvivenza 2,14,16 . La sola radioterapia può<br />

essere considerata in caso di neoplasie non rimovibili chirurgicamente,<br />

soprattutto quelle a carattere infiltrativo. Una<br />

efficacia modesta viene rivestita dalla chemioterapia. Dosi<br />

antinfiammatorie di steroidi possono dare iniziali benefici,<br />

in particolare in caso di linfomi primari del SNC, in generale<br />

agendo sull’eventuale edema peritumorale. La prognosi è<br />

in generale riservata, quando non infausta, tranne nei casi in<br />

cui è stata possibile una valida asportazione chirurgica. L’aspettativa<br />

di vita varia a seconda del tipo di tumore, della<br />

gravità dei sintomi al momento della diagnosi, del tipo di<br />

terapia effettuata, da poche settimane a vari mesi 6 .<br />

Negli animali giovani, al di sotto dei quattro-cinque anni<br />

di vita, le neoplasie del SNC non sono comuni. Tuttavia,<br />

alcune sono tipiche dei cani giovani, nei primi due-tre anni<br />

di vita, per cui questi neoplasmi devono essere presi in considerazione<br />

in sede di diagnosi differenziale 8,13,17,<strong>19</strong> . La classificazione<br />

di queste neoplasie non è semplice. Classificandoli<br />

tra i tumori embrionari, la World Health Organization e<br />

l’American Registry of Pathology, contempla:<br />

1) Tumori primitivi neuroectodermici (PNET) 7 . A questa<br />

categoria appartengono i medulloblastomi cerebellari.<br />

Sono tumori altamente maligni che tendono a svilupparsi<br />

a carico del verme con successiva compressione del<br />

sottostante tronco encefalico. Molto raramente, altri<br />

tumori primitivi neuroectodermici, istologicamente<br />

indistinguibili dal medulloblastoma cerebellare, vengono<br />

segnalati al di fuori del cervelletto.<br />

2) Neuroblastomi.<br />

3) Ependimoblastomi.<br />

4) “La neoplasia midollare toracolombare dei cani giovani”,<br />

segnalata in passato anche come ependimoma, medulloepitelioma,<br />

neuroepitelioma, nefroblastoma, neoplasia<br />

intadurale-extramidollare del cane giovane. Di origine<br />

sconosciuta, questa neoplasia è segnalata in cani<br />

tra 5 e 36 mesi di età, con un picco intorno ai due anni.<br />

Non esiste predilezione di sesso, mentre la razza più<br />

frequentemente coinvolta risulta essere il Pastore tedesco<br />

a livello dei segmenti midollari T10-L2.<br />

Inoltre, negli animali giovani vengono talvolta segnalate<br />

neoformazioni di difficile classificazione, ma equiparate ai<br />

tumori soprattutto per il loro “effetto massa” a danno del<br />

parenchima cerebrale, che originano da isole di tessuto eterotopico<br />

(cisti dermoidi ed epidermoidi) o normalmente presente<br />

in quella sede (amartomi, spesso di origine vascolare).<br />

In base a queste valutazioni, sono state considerate rare<br />

neoplasie del SNC di animali giovani, quelle neoplasie primarie<br />

o metastatiche poco frequenti in assoluto o che si<br />

manifestano solo eccezionalmente in animali al di sotto dei<br />

4 anni di età.<br />

Bibliografia<br />

1. Bailey CS, Higgins RJ (<strong>19</strong>86). Characteristics of cisternal cerebrospinal<br />

fluid associated with primary brain tumors in the dog: a retrospective<br />

study. J Am Vet Med Assoc, 188:414-417.<br />

2. Bley CR, Sumova A, Roos M, Kaser-Hotz B (2005). Irradiation of<br />

brain tumors in dogs with neurologic disease. J Vet Intern Med,<br />

<strong>19</strong>:849-54.<br />

3. Cherubini GB, Mantis P, Martinez TA, Lamb CR, Cappello R (2005).<br />

Utility of magnetic resonance imaging for distinguishing neoplastic<br />

from non-neoplastic brain lesions in dogs and cats. Vet Radiol Ultrasound,<br />

46:384-7.<br />

4. De Lorenzi D, Mandara MT, Tranquillo M, Baroni M, Gasparinetti N,<br />

Gandini G, Masserdotti C, Bonfanti U, Bertolini G, Vian P, Bernardini<br />

M (2006). Smear cytology in the diagnosis of canine and feline<br />

nervous system lesions: a study of 42 cases. Vet Clin Pathol. in press.<br />

5. Foster ES, Carrillo JM, Patnaik AK (<strong>19</strong>88). Clinical signs of tumors<br />

affecting the rostral cerebrum in 43 dogs. J Vet Intern Med, 2:71-74.<br />

6. Heidner GL, Kornegay JN, Page RL, et al. (<strong>19</strong>91). Analysis of survival<br />

in a retrospective study of 86 dogs with brain tumors. J Vet Intern<br />

Med, 5:2<strong>19</strong>-226.<br />

7. Katayama KI, Kuroki K, Uchida K, Nakayama H, Sakai M, Mochizuki<br />

M, Nishimura R, Sasaki N, Doi K (2001). A case of canine primitive<br />

neuroectodermal tumor (PNET). J Vet Med Sci, 63:103-5.<br />

8. Keller ET, Madewell BR (<strong>19</strong>92). Locations and types of neoplasms in<br />

immature dogs: 69 cases (<strong>19</strong>64-<strong>19</strong>89). J Am Vet Med Assoc,<br />

200:1530-1532.<br />

9. Koblik PD, LeCouteur RA, Higgins RJ, et al. (<strong>19</strong>99). CT-guided<br />

brain biopsy using a modified Pelorus Mark III stereotactic system:<br />

experience with 50 dogs. Vet Radiol Ultrasound, 40:434-440.<br />

10. Kornegay JN, Oliver JE Jr, Gorgacz EJ (<strong>19</strong>83). Clinicopathologic features<br />

of brain herniation in animals. J Am Vet Med Assoc, 182:1111-1116.<br />

11. Kraft SL, Gavin PR, DeHaan C, et al. (<strong>19</strong>97). Retrospective review of<br />

50 canine intracranial tumors evaluated by magnetic resonance imaging.<br />

J Vet Intern Med, 11:<strong>21</strong>8-225.<br />

12. Kraft SL, Gavin PR (<strong>19</strong>99). Intracranial neoplasia. Clin Tech Small<br />

Anim Pract, 14:112-123.<br />

13. Kube SA, Bruyette DS, Hanson SM (2003). Astrocytomas in young<br />

dogs. J Am Anim Hosp Assoc, 39:288-93.<br />

14. Lester NV, Hopkins AL, Bova FJ, Friedman WA, Buatti JM, Meeks<br />

SL, Chrisman CL (2001). Radiosurgery using a stereotactic headframe<br />

system for irradiation of brain tumors in dogs. J Am Vet Med<br />

Assoc, 2<strong>19</strong>:1562-7.<br />

15. Platt SR, Alleman AR, Lanz OI, Chrisman CL (2002). Comparison of<br />

fine-needle aspiration and surgical-tissue biopsy in the diagnosis of<br />

canine brain tumors. Vet Surg, 31:65-9.<br />

16. Spugnini EP, Thrall DE, Price GS, et al. (2000). Primary irradiation<br />

of canine intracranial masses. Vet Radiol Ultrasound, 41:377-380.<br />

17. Uchida K, Nakayama H, Endo Y, Kai C, Tatewaki S, Yamaguchi R,<br />

Doi K, Tateyama S (2003). Ganglioglioma in the thalamus of a puppy.<br />

J Vet Med Sci, 65:113-5.<br />

18. Vernau KM, Higgins RJ, Bollen AW, et al. (2001). Primary canine<br />

and feline nervous system tumors: intraoperative diagnosis using the<br />

smear technique. Vet Pathol, 38:47-57.<br />

<strong>19</strong>. White AE (<strong>19</strong>66). Skeletal muscle tumour (rhabdomyosarcoma) in a<br />

puppy. Modern Vet Pract, 47:74.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Marco Bernardini<br />

Clinica Veterinaria Poggio Piccolo<br />

Via San Carlo, 8f/g - 40023 Castel Guelfo (BO)<br />

Tel 0542.011248 - Fax 0542.011245<br />

E-mail: marco_bernardini@yahoo.com<br />

Cristian Falzone<br />

Clinica Veterinaria Valdinievole<br />

Via Nigra, 123 - 51015 Monsummano Terme (PT)<br />

Tel 0572.9525<strong>19</strong> - Fax 0572.951499<br />

E-mail: crisfalz@libero.it


44 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Iperadrenocorticismo e omeopatia: binomio possibile?<br />

David Bettio<br />

Med Vet, Sorbolo (PR)<br />

APPROCCIO E METODOLOGIA OMEOPATICA CLINICA<br />

Visita Clinica: Cane Susy, YST di 10 anni. Diagnosi: Iperadrenocorticismo.<br />

Test stimolazione con ACTH del 12-12-04<br />

Cortisolo basale 125.00 nanomoli/lt (20-250)<br />

Cortisolo stimolato 888.00 >* nanomoli/lt (0-660)<br />

Test di soppressione con alte dosi di Desametasone del 18-12-04<br />

Cortisolo basale <strong>19</strong>2.00 nanomoli/lt (20-250)<br />

Cortisolo dopo 3 ore 54.30 nanomoli/lt<br />

Cortisolo dopo 8 ore 20.10 nanomoli/lt<br />

Racconto spontaneo: Susy da alcuni mesi beve molto<br />

di più e mangia tantissimo. È diventata molto aggressiva<br />

e nervosa. In certi momenti cerca addirittura di mordere,<br />

cosa che prima non era mai successa. Non è mai stata<br />

molto complimentosa, ma mai aggressiva e cattiva come<br />

in questo periodo. Anche da piccola ha avuto degli episodi<br />

del genere, soprattutto quando aveva la tonsillite, ma<br />

pensavamo che fosse per il dolore. Un giorno si è girata<br />

per mordermi mentre l’accarezzavo, poi ha cominciato ad<br />

abbaiare fortissimo e alla fine ha avuto come una crisi<br />

con tremori e spasmi. Forse per la forte agitazione. Dopo<br />

l’intervento (OI, ndr) ha avuto un altro periodo così. Era<br />

nevorsissima e mordeva.<br />

Da alcuni mesi abbiamo notato che mangia e beve tantissimo,<br />

è voracissima. Ha anche cominciato a perdere il<br />

pelo sulla schiena. Abbiamo paura che sia un fungo. È<br />

ingrassata e ha una pancia enorme, ma pensavamo fosse<br />

dovuto al’intervento e al fatto che è un pozzo senza fondo.<br />

Mangerebbe continuamente.<br />

Fame: Mangia di tutto, preferisce la carne e mangerebbe<br />

tantissimo pane. Ha un forte desiderio di pesce. Ultimamente<br />

ha avuto un cambiamento di preferenze alimentari:<br />

rifiuta il latte che prima desiderava. Dopo il pasto è molto<br />

più aggressiva di altri momenti. È insopportabile, non la<br />

puoi toccare che tenta di mordere. Varie: In questi ultimi<br />

mesi è diventata molto nervosa quando ci sono dei rumori<br />

in casa e fuori. Non sopporta che ci sia la televisione a<br />

volume alto perché comincia ad abbaiare e a grattare sulla<br />

cuccia. È innervosita dal collare anche se sa che la portiamo<br />

fuori a fare la passeggiata. Sonno: Cerca posti molto<br />

tranquilli della casa, come sotto al letto. Di notte cerca la<br />

nostra compagnia perché vuole salire sul nostro letto ma<br />

non vuole essere spostata altrimenti morde. Digerente: La<br />

digestione sembra regolare. Susy diventa molto nervosa<br />

dopo l’assunzione del cibo tanto da non voler essere disturbata.<br />

Da giovane ha avuto degli episodi di diarrea legati<br />

al cambiamento delle condizioni atmosferiche a al momento<br />

della dentizione. Cutaneo: Da alcuni mesi è comparsa<br />

una alopecia bilaterale simmetrica sulla regione dorsosacrale<br />

con pelle sottile e fragile. Nella regione inguinale la<br />

pelle è tesa e sottile per l’addome pendulo. Presenza di<br />

comedoni. Interrogatorio mentale: Susy è un cane timido,<br />

non ama molto la compagnia, anzi è infastidita quando in<br />

casa non c’è tranquillità, tanto da manifestare una certa<br />

aggressività nei confronti dei proprietari. Non tollera la<br />

presenza di estranei in casa. Non vuole essere accarezza e<br />

soprattutto durante le sue malattie ha manifestato aggressività<br />

se si cercava si accarezzarla o toccarla. Se viene sgridata<br />

reagisce violentemente abbaiando e aggredendo il<br />

proprietario che certi giorni proprio non può avvicinarla.<br />

Altre volte invece è tranquilla. Quando riposa in un posto<br />

della casa non deve essere disturbata, né spostata a forza.<br />

Ha un atteggiamento possessivo nei confronti del cibo che<br />

difende fino a mordere. Ha paura di stare al buio perché<br />

non sta da sola in una stanza senza luce. Non ama molto la<br />

compagnia come quando era giovane, perché non vuole<br />

essere accarezzata molto, mentre da piccola era praticamente<br />

sempre addosso. Vuole stare nella stanza dove sono<br />

i proprietari. Con gli altri cani gioca volentieri, ma ha degli<br />

sbalzi di umore improvvisi e per un nonnulla diventa<br />

aggressiva e attacca senza paura anche i cani più grandi.<br />

Non sopporta che ci siano estranei in casa.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 45<br />

Scelta dei Sintomi Omeopatici:<br />

MENTE - TOCCATO - avversione ad essere<br />

(MIND - TOUCHED - aversion to be) °°°<br />

MENTE - PAURA - buio, del<br />

(MIND - FEAR - dark, of) °<br />

MENTE - IRRITABILITÀ - rumore, a causa del<br />

(MIND - IRRITABILITY - noise, from) °°<br />

MENTE - TRANQUILLO; desidera stare<br />

(MIND - QUIET; wants to be) °°°<br />

SINTOMI GENERALI - IMPROVVISA manifestazione<br />

(GEN - SUDDEN manifestation) °°°<br />

SIN GEN- CIBI e bevande - latte - avversione<br />

(GEN - FOOD and DRINKS - milk – aversion) °°<br />

1° prescrizione: Belladonna 15 CH, 3 granuli TID sciolti<br />

in poca acqua per 1 mese. 1° visita di controllo: Ci sono due<br />

cambiamenti sostanziali: Susy beve molto meno (circa 400-<br />

450 ml die di acqua) ed è meno vorace. Continua con Belladonna<br />

15 CH 3 granuli TID; 2° visita di controllo: L’assunzione<br />

di liquidi si è stabilizzata 400 ml al giorno. Glicemia<br />

97 mg/dl. Permangono zone alopeciche bilaterali. Dal punto<br />

di vista comportamentale Susy è diventata più trattabile. In<br />

casa accetta di essere coccolata e in ambulatorio accetta le<br />

manipolazioni. I proprietari hanno notato una maggiore sensibilità<br />

ai rumori per i quali si spaventa, soprattutto al temporale.<br />

Inoltre sembra desiderare le uscite anche se sembra<br />

stancarsi più velocemente di prima. Per ora l’unico momento<br />

in cui rimane aggressiva è quando i proprietari la rimproverano<br />

oppure quando li sente litigare. Susy sembra anche<br />

diventata più sensibile al freddo. È dimagrita 2 etti. Continua<br />

con Belladonna 15 CH 3 granuli TID; 3° visita di controllo<br />

del 03-05-2005: Susy si presenta in ambulatorio con una forte<br />

congiuntivite infiammatoria. La congiuntiva degli occhi è<br />

iperemica, lacrimazione e fotofobia. Il bulbo oculare è iniettato<br />

di piccoli vasi di colore scuro. Ultimamente è diventata<br />

molto freddolosa nonostante la stagione sia calda. Ogni volta<br />

che cambia il tempo dal secco all’umido presenta una tosse<br />

leggera. È nervosa quando c’è brutto tempo, soprattutto<br />

quando c’è una giornata fredda oppure piovosa. È dimagrita<br />

500 g dall’inizio della terapia. Il pelo sta coprendo gran parte<br />

delle zone alopeciche. È diventata molto trattabile a tal<br />

punto che cerca la compagnia dei proprietari, soprattutto<br />

verso sera. Di notte dorme nella loro camera.<br />

Test stimolazione con ACTH del 6-05-05<br />

Cortisolo basale 72.70 Nanomoli/lt (20-250)<br />

Cortisolo stimolato 431.00 Nanomoli/lt (0-660)<br />

I sintomi omeopatici caratteristici sono cambiati e sono<br />

cambiate anche le modalità che ora si presentano con chiarezza.<br />

Si è verificata la comparsa di nuovi sintomi intensi e<br />

chiari che non coprono più la similitudine espressa da Belladonna.<br />

Il caso sta procedendo verso le manifestazioni di patologie<br />

acute (congiuntivite), mentre l’aspetto comportamenta-<br />

le (mentale) sembra più equilibrato, pur mantenendo delle<br />

caratteristiche peculiari.<br />

Scelta dei sintomi omeopatici:<br />

OCCHI - INFIAMMAZIONE - CONGIUNTIVE °°<br />

OCCHI - INIETTATI - CONGIUNTIVA -<br />

scura, piena di vasi °°°<br />

MENTE - COMPAGNIA - DESIDERIO, di notte°°<br />

SINTOMI GENERALI - TEMPO FREDDO - UMIDO -<br />

AGG °°°<br />

2° prescrizione: Calcarea phosphorica 200 K monodose in<br />

poca acqua per 3 giorni consecutivi. Visita di controllo: La<br />

congiuntivite si è risolta nell’arco di una giornata. L’occhio<br />

non è più iniettato. La fotofobia è scomparsa. Visita del 12-<br />

01-2006: Susy è dimagrita 1,5 kg. Il pelo copre le zone alopeciche<br />

del dorso. Beve circa 450 ml di acqua al giorno (glicemia<br />

98 mg/dl). Rimane molto sensibile alle temperature<br />

fredde e alle giornate umide.<br />

ANALISI DEI COSTI<br />

Terapia omeopatica: Costo 1° rimedio (Belladonna 15 CH<br />

granuli – 2 tubetti): 5 € cad. = 10 €; Costo 2° rimedio (Calcarea<br />

phosp. 200 K Monodose): 6 €; Costo totale terapia<br />

omeopatica: 16 €; Terapia con Mitotano (Lysodren ® ) Costo<br />

di una confezione da 25 cpr da 500 mg: 120 €; Terapia con<br />

Trilostano (Modrenal ® ) Costo di una confezione da 100 cps<br />

da 60 mg: 163 €.<br />

Bibliografia<br />

AA VV - Prontuario terapeutico veterinario, 4° Edizione 2004, EV.<br />

Allen H.C. Encyclopedia of Pure Materia Medica, Encyclopaedia Homeopathica.<br />

Boericke W., Pocket Manual of Homeopathic Materia Medica, Encyclopaedia<br />

Homeopathica<br />

Canello S., Teoria e metodologia omeopatica in Medicina Veterinaria, Ipsia<br />

Ed., <strong>19</strong>95.<br />

Ettinger S.J. e Feldman E.C., Trattato di Clinica Medica Veterinaria, Antonio<br />

Delfino Ed., 2000.<br />

Hahnemann C.F.S., Organon “Dell’Arte del guarire”, Cemon Ed., <strong>19</strong>99.<br />

Morrison R., Manuale Guida ai sintomi chiave e di conferma, <strong>19</strong>99.<br />

Nelson R. e Couto C., Medicina Interna del cane e del gatto, EV, <strong>19</strong>95.<br />

Schmidt P., The art of case taking, Encyclopaedia Homeopathica.<br />

Vithoulkas G., La scienza dell’omeopatia, Ed. Cortina, Verona.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

David Bettio<br />

Ambulatorio Veterinario Associato<br />

Via Marconi, 42 - 43058 Sorbolo (PR), Italia<br />

Tel amb: +39.5<strong>21</strong>.697<strong>21</strong>1<br />

Fax: +39.5<strong>21</strong>.1810094<br />

Cell: +39.339.3497871<br />

E-mail: olikos@tin.it; veterinari.sorbolo@virgilio.it


46 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Importanza e prevenzione delle malattie<br />

trasmesse da zecche in Europa<br />

Frédéric Beugnet<br />

Med Vet, PhD, Dipl EVPC, Lion, Francia<br />

Le tre principali zecche che interessano gli animali domestici<br />

sono Ixodes ricinus, Dermacentor reticulatus e Rhipicephalus<br />

sanguineus e tutte trasmettono diverse malattie: le<br />

babesiosi canine, le ehrlichiosi-rickettsiosi-anaplasmosi, la<br />

borreliosi di Lyme e le micoplasmosi feline (ex-haemobartonellosi).<br />

Le tecniche di biologia molecolare (PCR) permettono di<br />

effettuare delle ricerche epidemiologiche approfondite e<br />

consentono anche di rilevare i diversi agenti eziologici presenti<br />

nelle zecche vettrici.<br />

Dopo l’eliminazione della quarantena per i cani introdotti<br />

nel Regno-Unito, uno studio realizzato a Bristol (Acarus<br />

Laboratory) ha evidenziato che il 29% (12/42) dei cani era<br />

portatore di Babesia e il 2% (1/43) di Ehrlichia canis. Nei<br />

cani sottoposti a quarantena classica, il 20% (3/15) era infetto<br />

da Babesia, il 36% (5/14) da Ehrlichia canis, e il 27%<br />

(3/11) era portatore di Leishmania. La maggior parte di questi<br />

cani aveva soggiornato in Italia, Francia o Spagna.<br />

Nel 2001-2002, un’indagine con PCR su: 184 zecche, 632<br />

cani, 243 gatti condotta in 55 cliniche veterinarie nel Sud<br />

della Francia, ha evidenziato che 62 gatti (26,4%) erano<br />

infetti da diverse forme di mycoplasmi (precedentemente<br />

Hemobartonella): 79% da Mycoplasma haemominutum,<br />

13%, da Mycoplasma haemofelis e 8% da entrambi.<br />

I 2/3 dei gatti risultavano anche positivi da FeLV o FIV e<br />

25 cani (4%) erano portatori di Babesia. Il 14% dei cani era<br />

infestato da zecche contro il <strong>21</strong>% dei gatti. Sui cani sono stati<br />

riconosciuti tutti i tipi di zecche (Ixodes, Rhipicephalus e<br />

Dermacentor) mentre il 75% di quelle osservate sui gatti<br />

erano Ixodes. Il 43% del totale delle zecche apparteneva al<br />

genere Rhipicephalus (79/184), il 31,5% al genere Ixodes<br />

(58/184) e il 24,5% al genere Dermacentor (45/184). 15 zecche<br />

del genere Rhipicephalus e Dermacentor su 184 (8%)<br />

erano infettate da Babesia canis. 30 zecche (16,3%) erano<br />

portatrici d’Ehrlichia. La metà di queste erano Ixodes (Anaplasma<br />

phagocytophila) e l’altra metà Rhipicephalus (Ehrlichia<br />

canis).<br />

Il 2,5% delle zecche del genere Rhipicephalus erano portatrici<br />

d’Hepatozoon canis.<br />

Questa indagine indica che in media 1 zecca su 10 è vettore<br />

di almeno un agente patogeno capace d’infettare il cane.<br />

Nel 2004-2005, un’indagine condotta nel Sud della Francia<br />

(Centro, Rhône-Alpes e Auvergne), ad esclusione dell’estremo<br />

Sud già studiato nel 2001-2002, ha permesso di evidenziare<br />

delle infestazioni di zecche su cani e gatti. Sono<br />

state raccolte <strong>21</strong>18 zecche con 690 prelievi da 665 cani, 10<br />

gatti, 9 cavalli, 3 ricci, 1 uomo, 1 bovino e 1 non identificato.<br />

Le forme adulte di Ixodes ricinus rappresentavano il<br />

28,3% delle zecche, di Dermacentor reticulatus il 25,8% e<br />

di Rhipicephalus sanguineus il 3,7%. Il resto era rappresentato<br />

dagli stadi immaturi e/o altre specie.<br />

In quest’indagine i gatti erano infestati solo da Ixodes ricinus<br />

mentre sui cavalli, il 94% erano Dermacentor, il resto<br />

Ixodes. La ricerca di agenti patogeni con tecnica PCR, realizzata<br />

con 337 prelievi di zecche della stessa specie, ha dato<br />

i seguenti risultati:<br />

- Ixodes ricinus (180 prelievi): solo il 36,6% non era infetto.<br />

Il 40% era portatore di DNA di un agente potenzialmente<br />

patogeno, il <strong>21</strong>,7% era infetto da 2 agenti patogeni.<br />

L’8% è portatore di DNA di Babesia, il 37% d’Anaplasma<br />

e il 3% di Borrelia. Circa il 20% dei batteri identificati<br />

erano di rickettsie simbiotiche.<br />

- Dermacentor reticulatus (87 prelievi): il 30% era monoinfetto<br />

e il 2,3% bi-infetto; il 6% era portatore di DNA di<br />

Babesia. Gli altri agenti sono stati considerati come rickettsie<br />

simbiotiche.<br />

- Rhipicephalus sanguineus (15 prelievi): il 4% era portatore<br />

di DNA di Babesia canis, il 17% di DNA di Rickettsie<br />

e il 7% di Ehrlichia canis.<br />

È evidente che le zecche sono un importante veicolo di<br />

agenti patogeni per i carnivori e per l’uomo. Risultati simili<br />

si sono ritrovati in diversi paesi europei, con variazioni legate<br />

alla prevalenza di una specie sulle altre.<br />

Ad oggi la miglior prevenzione di queste malattie resta la<br />

lotta contro i vettori. Recenti studi di campo hanno dimostrato<br />

che l’utilizzo regolare di acaricidi ad attività residuale<br />

permette di proteggere in modo efficace dalla trasmissione<br />

di queste malattie (studi pubblicati per la borreliosi di Lyme,<br />

l’ehrlichiosi e la babesiosi canina).<br />

Nel 2002 è stato condotto uno studio presso i canili dell’esercito<br />

militare francese relativo alla prevenzione della<br />

trasmissione dell’ehrlichiosi monocitaria canina. L’obiettivo<br />

era quello di valutare la protezione conferita da un’applicazione<br />

mensile di fipronil spot on per un periodo di 12 mesi.<br />

Sono stati trattati 55 cani dell’esercito, a Dakar (Sénégal) o<br />

a Djibouti, e confrontati con 133 cani controllo e con 60 cani<br />

di civili francesi che vivevano nel medesimo ambiente. Il<br />

100% dei cani autoctoni non trattati ha sviluppato un’ehrlichiosi,<br />

contro il 22% dei cani dei civili (trattati irregolarmente).<br />

2 cani (3,6%) dell’esercito hanno subito una sieroconversione<br />

senza dimostrare una sintomatologia clinica. Il<br />

trattamento regolare dei cani con un acaricida ad elevata attività<br />

residuale ha quindi permesso di ottenere un tasso di protezione<br />

durante tutto lo studio del 96,4%.<br />

Nel 2005 in Ungheria è stato condotto dall’Univeristà<br />

degli studi di Budapest uno studio relativo alla prevenzio-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 47<br />

ne della babesiosi canina. Lo scopo dello studio era quello<br />

di verificare l’efficacia del fipronil in formulazione spot on<br />

nel prevenire la trasmissione di Babesia canis da parte delle<br />

zecche del genere Dermacentor reticulatus. Nella prova<br />

sono state arruolate 10 cliniche veterinarie distribuite sul<br />

territorio ungherese ritenuto endemico di babesiosi canina.<br />

Ciascuna clinica ha inserito 16-20 cani successivamente<br />

assegnati in modo random ad 1 dei 2 gruppi. I cani del<br />

gruppo 1 sono stati trattati con Frontline ® spot-on mensilmente<br />

per 6 mesi direttamente presso le cliniche veterinarie<br />

per verificare la corretta applicazione del prodotto. I<br />

cani del gruppo 2 non sono stati trattati oppure sono stati<br />

trattati con antiparassitari diversi dal Frontline ® . Tutti i<br />

cani venivano portati nelle strutture veterinarie ogni 2 settimane<br />

per una visita clinica. Tutte le zecche presenti sugli<br />

animali venivano raccolte e successivamente identificate in<br />

Università. Se gli animali presentavano segni clinici di<br />

babesiosi canina venivano immediatamente eseguiti dei<br />

prelievi ematici e successivamente trattati con Imidocarb.<br />

Una ricerca con PCR per rilevare il DNA di Babesia è stata<br />

eseguita sui campioni ematici e sulle zecche femmine di<br />

D. reticulatus. Sono state raccolte 546 zecche dai 99 e 92<br />

cani, rispettivamente del gruppo 1 e 2, di queste 524 erano<br />

adulti e 22 erano ninfe. La maggior parte di queste (95,5%)<br />

appartenevano a 2 tipi di zecche: Ixodes ricinus (336 zec-<br />

che) e D. reticulatus (169 zecche). Nessun cane del gruppo<br />

Frontline ® è risultato positivo al DNA di Babesia mentre il<br />

50% dei cani che ha presentato una sintomatologia clinica<br />

è risultato positivo alla ricerca di B. canis canis. 1 campione<br />

su <strong>19</strong> (5,2%) e 5 su 45 (11,1%) di D. reticulatus sono<br />

risultati positivi alla PCR per B. canis, rispettivamente nel<br />

gruppo 1 e 2. I risultati di questo studio dimostrano, sebbene<br />

non ci sia una prevenzione dell’aggressione da parte<br />

delle zecche sui cani, che l’uso mensile e regolare di Frontline<br />

® spot-on sembra prevenire la trasmissione di B. canis<br />

da parte delle zecche del genere D. reticulatus in diverse<br />

aree endemiche dell’Ungheria.<br />

Per la maggior parte delle malattie trasmesse da zecche,<br />

tranne la babesiosi e la malattia di Lyme dove è possibile la<br />

vaccinazione per i cani che vivono in zone endemiche anche<br />

per brevi periodi, la miglior prevenzione è legata all’ispezione<br />

regolare degli animali associata all’applicazione regolare<br />

di soluzione acaricida ad elevata attività residuale.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Frédéric Beugnet<br />

Clinique Vétérinaire Clémenceau<br />

70 Av. Clémenceau<br />

69230 St Genis Laval - France<br />

E-mail: cabinetvetclemenceau@voila.fr


48 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Differenti effetti sulla sintomatologia<br />

e sulla sopravvivenza di un monitoraggio specialistico<br />

e di base nel cane cardiopatico<br />

Michele Borgarelli<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVIM-CA (Card.), Torino<br />

Paolo Savarino*, Med Vet, Serena Crosara, Med Vet, Alberto Tarducci, Med Vet - * Torino<br />

L’insufficienza cardiaca (IC) rappresenta una condizione<br />

fisiopatologica nella quale una anomalia della funzione cardiaca<br />

è responsabile della insufficienza del cuore a pompare<br />

il sangue in quantità adeguata alle richieste metaboliche dei<br />

tessuti, oppure ci riesce solo ad una pressione di riempimento<br />

elevata.<br />

Sebbene le conoscenze concernenti i meccanismi fisiopatologici<br />

e le modalità di trattamento dell’IC siano progredite<br />

in modo significativo negli ultimi 20 anni, questa condizione<br />

continua a rappresentare una delle principali cause di<br />

morbilità e di morte sia nell’uomo sia negli animali da compagnia,<br />

in particolare nei soggetti anziani. L’insufficienza<br />

cardiaca infatti è oggi considerata come una sindrome,<br />

determinata dall’attivazione di meccanismi neuro-ormonali<br />

complessi, la cui conoscenza è essenziale al fine di ottimizzare<br />

la terapia. Sotto questo aspetto la disponibilità di nuovi<br />

farmaci nonché le aumentate conoscenze dei loro effetti sulla<br />

regolazione neuro-ormonale, consentono oggi di trattare<br />

pazienti con IC grave in modo tale da ridurre la sintomatologia<br />

garantendo una adeguata qualità di vita, nonché di prolungare<br />

anche le aspettative di vita sia nell’uomo, sia nel<br />

cane. Tuttavia recenti pubblicazioni in medicina umana hanno<br />

evidenziato che, nonostante siano numerosi gli studi condotti<br />

in accordo alle linee guida delle “good clinical practice”,<br />

che forniscono dati sufficienti per ottimizzare il trattamento<br />

del cardiopatico in accordo al concetto di trattamento<br />

basato sull’evidenza (evidence based medicine), una percentuale<br />

ancora relativamente elevata di pazienti non riceve una<br />

terapia adeguata. Le ragioni per cui questo accade sono molteplici<br />

e tra di esse possiamo ricordare, una diagnosi non<br />

corretta, l’uso scorretto o la non prescrizione di farmaci, la<br />

mancata collaborazione da parte del paziente, e la scarsa<br />

comunicazione tra i centri specializzati ed i medici di base.<br />

Al fine di ridurre il numero di pazienti non trattati adeguatamente<br />

in medicina umana, si è ricorsi negli ultimi 20 anni<br />

alla creazione di centri specialistici per il trattamento dell’insufficienza<br />

cardiaca. L’utilità di tali centri si è dimostrata<br />

in numerosi studi randomizzati, che hanno evidenziato<br />

come i pazienti seguiti in questi centri presentavano una<br />

riduzione della mortalità, del numero di ospedalizzazioni per<br />

IC e per ogni altra causa e, di conseguenza, anche del costo<br />

sociale di ciascun malato. Il concetto su cui si basano questi<br />

centri e quello di un approccio multidisciplinare che coinvolge<br />

figure professionali differenti, considerando che nella<br />

maggior parte dei casi il paziente cardiopatico con insuffi-<br />

cienza cardiaca è un anziano e quindi presenta problemi<br />

medici associati. Sebbene vi siano differenze tra i diversi<br />

centri nelle diverse nazioni, essi sono fondamentalmente<br />

strutturati su un gruppo di cardiologi con esperienza specifica<br />

nel trattamento dell’IC, su un servizio di assistenza infermieristica<br />

specializzato, un programma di educazione del<br />

paziente, ed un programma di collaborazione con i medici di<br />

base. Particolarmente importante è risultato essere il programma<br />

di educazione dei pazienti. Infatti, è stato osservato<br />

che gli stessi, se non opportunamente educati e seguiti nel<br />

tempo, spesso tendono a cessare spontaneamente l’assunzione<br />

dei farmaci prescritti, sia perché dopo un certo periodo<br />

dalla dimissione non presentano segni clinici, sia perché<br />

spesso la terapia è poli farmacologica e i pazienti hanno difficoltà<br />

a mantenere la stessa.<br />

In linea di principio le stesse difficoltà riscontrate in<br />

medicina umana possono essere riportate in medicina veterinaria.<br />

Presso il nostro laboratorio sono in corso 2 studi volti<br />

a valutare le differenze di diagnosi e di trattamento in cani<br />

riferiti per sospetti problemi cardiaci. Il primo studio include<br />

cani inviati per sospetta presenza di malattie cardiache o<br />

per controlli dell’apparato cardiovascolare prechirurgico in<br />

assenza di diagnosi di malattia cardiaca, presso il nostro centro.<br />

Il secondo è volto invece a descrivere la storia naturale<br />

dell’insufficienza mitralica (CMVD) in un gruppo di cani<br />

afferenti a 3 centri di referenza. Nel primo studio al momento<br />

sono stati inclusi 81 cani, di cui 47 di questi soggetti riferiti<br />

per sospetto di malattia cardiovascolare, mentre l’esame<br />

specialistico ha individuato 56 cani affetti da malattia cardiaca.<br />

Il sospetto diagnostico non ha coinciso con la diagnosi<br />

definitiva in <strong>21</strong> cani, mentre in 4 esso era solo in parte corretto.<br />

Tra i 56 cani con malattia cardiaca solo in 22 si è ritenuto<br />

che la sintomatologia riferita (es. tosse) fosse determinata<br />

dal problema cardiovascolare, mentre solo in 11 soggetti<br />

la terapia è stata considerata adeguata. Lo studio nel<br />

periodo dal gennaio 2000 al giugno 2005 condotto sui cani<br />

con CMVD al momento ha incluso 510 cani in classi differenti<br />

di IC. Di questi 261 sono stati classificati in classe I,<br />

137 in classe II e 95 in classe III ISACHC. Centonovantre<br />

cani sono morti nel periodo di osservazione per cause cardiache,<br />

mentre 102 per problemi non direttamente correlati<br />

con la malattia cardiaca. I cani con CMVD in classe I hanno<br />

evidenziato una sopravvivenza significativamente migliore<br />

rispetto ai soggetti in classe II e III. L’analisi di questi dati<br />

conferma che, in modo analogo a quanto avviene nell’uomo,


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 49<br />

la CMVD può essere considerata una condizione relativamente<br />

benigna.<br />

Tra gli errori più comuni evidenziati in questi lavori sono<br />

stati riscontrati l’errata diagnosi e l’errata classificazione<br />

dello stadio dell’IC, l’utilizzo inadeguato dei farmaci ed il<br />

mancato monitoraggio dei pazienti in classi di IC avanzata.<br />

Per quello che concerne l’errata diagnosi sia di malattia cardiaca,<br />

sia di classificazione di IC, questa può essere riferita<br />

nella maggior parte dei casi ad un insufficiente iter diagnostico.<br />

In particolare solo il 50% dei soggetti dello studio 1 e<br />

meno del 50% dei cani nello studio 2 sono stati sottoposti ad<br />

esame radiografico del torace, che è considerato al momento<br />

l’esame di riferimento per la valutazione dei segni di<br />

scompenso (congestione ed edema polmonare), e la diagnosi<br />

in questi casi si basava solo sul rilievo clinico (es. presenza<br />

di un soffio). L’utilizzo inadeguato dei farmaci, includeva<br />

sia il loro mancato utilizzo, sia il loro sottodosaggio, sia la<br />

prescrizione quando non necessaria. L’analisi della terapia in<br />

56 cani affetti da insufficienza mitralica cronica ha ad esempio<br />

evidenziato che 8 soggetti non ricevevano la furosemide,<br />

in 6 era sottodosata e in 8 era stata prescritta inappropriatamente,<br />

mentre per quello che concerne gli ACE-I in 12 soggetti<br />

essi non erano stati prescritti, in 16 erano sottodosati e<br />

in 10 erano stati prescritti inappropriatamente. Tali errori<br />

derivano sia da una diagnosi errata o insufficiente, sia da una<br />

mancanza di corretta informazione, infatti per quello che<br />

concerne gli ACE-I l’errata somministrazione includeva<br />

sempre soggetti in classe I, pazienti per i quali esistono studi<br />

pubblicati che hanno evidenziato come questa classe di<br />

farmaci non influenzi il decorso naturale della malattia. Il<br />

sottodosaggio dei farmaci dipende da molti fattori, tra cui il<br />

più importante la mancata conoscenza dei dosaggi massimi<br />

utilizzati negli studi pubblicati, che spesso sono il doppio dei<br />

dosaggi consigliati. Il sottodosaggio di un farmaco spesso<br />

conduce ad una ridotta efficacia, che induce spesso sia nel<br />

medico, sia nel paziente la sensazione che esso sia inutile.<br />

Per quello che concerne il monitoraggio dei 56 cani con<br />

malattia cardiaca del primo studio, solo <strong>19</strong> sono stati ricontrollati<br />

a 3 mesi, e di questi 3 sono stati sottoposti ad esame<br />

radiologico del torace, 4 ad esame ecocardiografico, 1 ad<br />

esame Holter, e 2 ad un nuovo esame specialistico. Sebbene<br />

40 di questi cani fossero in classe 1 di IC, che generalmente<br />

non richiede un monitoraggio così frequente, è evidente<br />

come la percentuale di soggetti sottoposti a monitoraggio<br />

resti in ogni caso relativamente bassa. Il mancato monitoraggio<br />

può essere dovuto a ragioni differenti, tra cui la mancata<br />

collaborazione da parte del proprietario e il mancato<br />

coordinamento tra il medico veterinario di base e il centro<br />

specialistico. Nel primo caso la necessità di un adeguato programma<br />

di educazione del proprietario appare di importanza<br />

fondamentale, infatti i proprietari che hanno dimostrato<br />

maggiore interesse a comprendere le motivazioni delle prescrizioni,<br />

nonché a riconoscere i segni clinici che individuano<br />

un eventuale peggioramento della condizione di IC, erano<br />

anche quelli più disponibili ad un monitoraggio attento.<br />

Per quello che concerne il mancato coordinamento tra il centro<br />

specialistico e il veterinario di base, l’analisi preliminare<br />

dei dati dei 2 studi in corso evidenzia la necessità di una<br />

comunicazione costante tra le 2 unità, al fine di ottimizzare<br />

la terapia basandosi anche su quanto riscontrato nel corso<br />

delle visite cliniche periodiche. Sotto questo aspetto appare<br />

auspicabile che tale comunicazione si eserciti anche attraverso<br />

la produzione di materiale informativo, volto ad aiutare<br />

il veterinario non specialista a focalizzare l’attenzione dei<br />

controlli su aspetti specifici.<br />

In conclusione, sebbene rispetto ad altre patologie<br />

comuni in medicina veterinaria il trattamento dell’IC nel<br />

cane sia facilitato dall’esistenza di una notevole mole di<br />

dati pubblicati, dagli studi in corso appare evidente che,<br />

così come per l’uomo, l’ottimizzazione del trattamento non<br />

sia applicata in un’elevata percentuale di soggetti affetti da<br />

IC. È da osservare che l’ottimizzazione dell’approccio<br />

terapeutico risulta in una migliore qualità della vita non<br />

solo dei nostri pazienti, ma anche dei proprietari degli stessi,<br />

che spesso devono modificare le loro abitudini in conseguenza<br />

della malattia dei propri animali. Inoltre il riconoscimento<br />

corretto dei soggetti che necessitano di una<br />

terapia rispetto a quelli per cui essa non è necessaria, condurrebbe<br />

ad una riduzione della spesa farmaceutica delle<br />

famiglie in considerazione del fatto che molti dei cani<br />

affetti da malattia cardiaca spesso non richiedono terapia.<br />

È quindi auspicabile che in futuro anche in medicina veterinaria,<br />

si possano elaborare progetti pilota che coinvolgano<br />

i centri specialistici, le strutture veterinarie di base e<br />

programmi di educazione per i proprietari degli animali<br />

affetti da malattie cardiovascolari.


50 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

L’insufficienza cardiaca nel cane:<br />

riconoscimento e classificazione<br />

Michele Borgarelli<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVIM-CA (Card.), Torino<br />

L’insufficienza cardiaca (IC) rappresenta una condizione<br />

fisiopatologica nella quale una anomalia della funzione<br />

cardiaca è responsabile della insufficienza del cuore a<br />

pompare il sangue in quantità adeguata alle richieste metaboliche<br />

dei tessuti, oppure ci riesce solo ad una pressione<br />

di riempimento elevata. Sebbene le conoscenze concernenti<br />

i meccanismi fisiopatologici e le modalità di trattamento<br />

dell’IC siano progredite in modo significativo negli ultimi<br />

20 anni, questa condizione continua a rappresentare una<br />

delle principali cause di morbilità e di morte sia nell’uomo<br />

sia negli animali da compagnia, in particolare nei soggetti<br />

anziani. L’insufficienza cardiaca infatti è oggi considerata<br />

come una sindrome complessa, determinata dall’attivazione<br />

di meccanismi neuro-ormonali complessi, la cui conoscenza<br />

è essenziale al fine di ottimizzare la terapia. Sotto<br />

questo aspetto la disponibilità di nuovi farmaci nonché le<br />

aumentate conoscenze dei loro effetti sulla regolazione<br />

neuro-ormonale consentono oggi di trattare pazienti con<br />

IC grave in modo tale da ridurre la sintomatologia garantendo<br />

una adeguata qualità di vita e nell’uomo di prolungare<br />

anche le aspettative di vita. È interessante ricordare<br />

che in medicina umana sono nati centri specifici per il trattamento<br />

dell’insufficienza cardiaca, e che studi recenti<br />

hanno dimostrato come la mancata ottimizzazione della<br />

terapia per il trattamento di questa condizione determini la<br />

morte di un paziente su 8.<br />

In medicina veterinaria l’insufficienza cardiaca è determinata<br />

prevalentemente dall’insufficienza mitralica cronica<br />

(DVD) e dalla miocardiopatia dilatativa (DCM) nel cane, e<br />

dalla cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) e restrittiva (CMPR)<br />

nel gatto. È importante sottolineare che la presenza di una<br />

malattia cardiaca non implica necessariamente la presenza<br />

di una condizione di insufficienza cardiaca, di conseguenza<br />

non tutti i soggetti affetti da malattie cardiovascolari debbono<br />

essere trattati.<br />

Al fine di definire meglio il rischio per pazienti con insufficienza<br />

cardiaca, sono stati proposti diversi schemi di classificazione<br />

della stessa. In origine si è cercato di adattare il sistema<br />

utilizzato nell’uomo (New York Heart Association,<br />

NYHA), poiché però questo richiede la descrizione di sintomi<br />

da parte del paziente, tale schema è stato più volte modificato<br />

al fine di essere utilizzato in medicina veterinaria. Negli anni<br />

’90, in seguito al riconoscimento che l’insufficienza cardiaca<br />

rappresenta una condizione frequente negli animali da compagnia,<br />

un gruppo di cardiologi veterinari (International Small<br />

Animal Cardiac Health Council, ISACHC) si è riunito ed ha<br />

proposto un nuovo schema di classificazione, specificamente<br />

dedicato alla medicina veterinaria. Tale schema tuttavia non è<br />

stato adottato da tutti, e ancora oggi molti lavori pubblicati<br />

presentano schemi adattati dalla NYHA. Nel complesso tale<br />

situazione ha creato confusione soprattutto nell’ambito del<br />

mondo della medicina di base. Nel 2005 un nuovo gruppo di<br />

studio il Canine Heart Failure International Expert Forum<br />

(CHIEF) si è riunito con lo scopo di elaborare e proporre un<br />

sistema di classificazione dell’insufficienza cardiaca nonché<br />

alcune linee guida per il suo trattamento. Tale proposta sarà<br />

presentata in questa relazione.<br />

Qualsiasi sia il sistema di valutazione adottato va ricordato<br />

comunque che l’ottimizzazione della terapia dell’IC,<br />

richiede da un lato, che ogni paziente affetto sia considerato<br />

attentamente come singolo, e dall’altro una conoscenza<br />

approfondita dell’azione dei farmaci impiegati,<br />

nonché dei meccanismi alla base delle diverse patologie<br />

cardiovascolari.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 51<br />

Diagnosi citologica delle patologie nasali e rinofaringee<br />

tramite schiacciamento da biopsia endoscopica<br />

Enrico Bottero<br />

Med Vet, Cuneo<br />

Davide De Lorenzi, SCMPA, Dipl ECVCP, Forlì<br />

I tumori della cavità nasale e dei seni paranasali nel cane<br />

rappresentano il 2% di tutti i tumori.<br />

Le razze dolicocefale, e segnatamente il Collie, il pastore<br />

delle Shetland, il Golden Retriever ed il Pastore Tedesco<br />

sembrano essere a maggior rischio di insorgenza. Queste<br />

neoplasie colpiscono gli animali anziani, con un’età media<br />

di 10 anni. Alcuni studi hanno evidenziato una lieve predisposizione<br />

nei cani di sesso maschile.<br />

L’eziologia è sconosciuta; è stato ipotizzato che le particelle<br />

atmosferiche inquinanti ed il fumo passivo possano<br />

avere un ruolo predisponente, vista la maggior insorgenza<br />

negli animali residenti in ambiente urbano. Nel cane circa<br />

l’80% dei tumori nasali e paranasali è maligno; tra questi<br />

l’istotipo principale è quello epiteliale che ne rappresenta<br />

circa il 60-75%. Tra i tumori epiteliali l’adenocarcinoma è<br />

il più frequente. I tumori di origine mesenchimale rappresentano<br />

circa il 20-30% dei tumori nasali e paranasali e, tra<br />

questi, il condrosarcoma è il più frequentemente rappresentato.<br />

A carico delle cavità nasali sono anche segnalati, seppur<br />

più raramente, tumori a cellule rotonde e tumori di origine<br />

neuroendocrina. Queste neoplasie manifestano una<br />

notevole aggressività locale, con tendenza ad invasione dei<br />

tessuti circostanti e, a volte, dell’encefalo, ma un basso<br />

indice metastatico che, ovviamente, aumenta con la progressione<br />

della patologia. Le metastasi possono coinvolgere<br />

i linfonodi regionali, i polmoni e, raramente, gli organi<br />

intraddominali. La presentazione clinica è spesso insidiosa<br />

con segni aspecifici e progressivamente aggravantesi.<br />

L’impedimento del passaggio della colonna d’aria, lo<br />

scolo nasale, l’epistassi e lo starnuto sono rispettivamente i<br />

segni clinici maggiormente segnalati. Purtroppo tali segni<br />

sono normalmente presenti anche in altre patologie nasali<br />

e paranasali di origine infiammatoria infettiva e non, come<br />

le riniti micotiche o i corpi estranei endonasali. Risulta<br />

quindi fondamentale una diagnosi precoce. Un corretto<br />

approccio richiede la raccolta di una anamnesi approfondita,<br />

una accurata indagine clinica, il ricorso a tecniche di<br />

diagnostica per immagine ed all’esame endoscopico allo<br />

scopo di visualizzare direttamente eventuali lesioni endonasali<br />

e di prelevare campioni per le valutazioni microscopiche<br />

cito-istologiche che, di regola, consentono di ottenere<br />

una diagnosi definitiva. L’acquisizione di campioni<br />

significativi, ovvero rappresentativi della patologia in corso,<br />

rappresenta un fattore critico; dal punto di vista bioptico-citologico<br />

esistono numerose tecniche di prelievo dalle<br />

cavità nasali, ma in generale, quasi tutte portano a prelievi<br />

superficiali e spesso non indicativi della patologia in atto.<br />

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valutare l’efficacia<br />

di un campionamento citologico eseguito tramite schiacciamento<br />

di frammenti di tessuti ottenuti da biopsie (c.d.<br />

“squash prep”) effettuate durante rinoscopia.<br />

Materiali e metodi<br />

Il lavoro è stato impostato partendo dal riesame delle cartelle<br />

cliniche di cani e gatti che, nel periodo gennaio 2002dicembre<br />

2005, sono stati sottoposti a rinoscopia per aver<br />

presentato sintomi clinici riferibili ad affezioni rino-sinusali<br />

(starnuti, scolo nasale, rinorragia, rumori respiratori,<br />

deformazioni del profilo fronto-nasale). Nello studio sono<br />

stati inseriti i pazienti che, all’esame endoscopico sia anterogrado<br />

che retrogrado, avevano presentato quadri riferibili<br />

a presenza di neoformazioni endonasali o rinofaringee<br />

oppure erosioni dei turbinati endonasali, mentre sono stati<br />

esclusi tutti quei casi nei quali la topografia e la morfologia<br />

delle strutture endonasali e rinofaringee non mostravano<br />

alterazioni endoscopicamente rilevabili. Sono stati inoltre<br />

esclusi dallo studio tutti quei casi dove non erano stati eseguiti<br />

sia l’esame citologico che quello istologico e quelli<br />

dove l’esame istologico dava un referto non conclusivo o<br />

dubbio. In tutti i pazienti l’esame endoscopico ha sempre<br />

fatto seguito all’indagine radiografica eseguita in anestesia<br />

generale inalatoria su tre proiezioni (laterolaterale sx-dx, a<br />

bocca aperta, sky-line) o da studio su tomografia computerizzata<br />

pre- e post-contrasto. L’endoscopia anterograda è<br />

stata eseguita con ottiche rigide (K. Storz - diametro 2.7<br />

mm, lunghezza 18 cm, visione frontale 30°, cat n° 64018BS<br />

e K. Storz – diametro 1.7 mm, lunghezza 9 cm, visione<br />

frontale 30°, cat n° 6331BS) mentre la rinofaringoscopia è<br />

stata eseguita con un fibroendoscopio (K. Storz – diametro<br />

5.5 mm, lunghezza 80 cm, cat n° 60001VL). I campioni di<br />

tessuto sono stati prelevati attraverso campionamento con<br />

pinza bioptica con branche orali fenestrate del diametro di<br />

2 mm, sotto visione endoscopica diretta. I preparati citologici<br />

sono stati allestiti con tecnica per schiacciamento: uno<br />

o più campioni bioptici sono stati appoggiati su di un vetrino<br />

portaoggetti, mentre un secondo vetrino è stato usato per<br />

schiacciare i frammenti tessutali; i due vetrini sono stati poi<br />

staccati senza farli strisciare, allontanandoli l’uno dall’altro.<br />

Per ogni lesione individuata erano disponibili ameno 2 campioni<br />

citologici adeguati. I campioni sono quindi stati colorati<br />

con May Grunwald-Giemsa in coloratrice automatica<br />

(7100 Aerospray ® Slide Stainer – Wescor- Logan, Utah) ed


52 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

osservati al microscopio. I campioni istologici sono stati<br />

fissati in formalina tamponata al 10%, inclusi in paraffina e<br />

processati per l’esame istologico. Sezioni dello spessore di<br />

5 µm colorate con ematossilina-eosina sono state esaminate<br />

da un patologo non a conoscenza della diagnosi citologica.<br />

Le diagnosi citopatologiche sono state confrontate con<br />

quelle istopatologiche e sono stati valutati statisticamente<br />

gli indici di accuratezza diagnostica (sensibilità, specificità,<br />

valore predittivo positivo, valore predittivo negativo ed<br />

accuratezza) considerando la diagnosi istologica come<br />

“gold standard”.<br />

Risultati<br />

Tabella 1<br />

SENSIBILITÀ: 89,2% SPECIFICITÀ: 95% Valore Predittivo Positivo: 98%<br />

Valore Predittivo Negativo: 76% ACCURATEZZA: 90,7%<br />

Nello studio sono stati inseriti 76 animali, 51 cani (33<br />

maschi e 18 femmine) con una età media di 7,6 anni (età<br />

minima 3 mesi ed età massima 15 aa) e 25 gatti (14 maschi<br />

e 11 femmine) con una età media di 8,5 anni (età minima 1<br />

anno ed età massima 16 anni).<br />

Nella tabella 1 sono raccolti i risultati relativi alla corretta<br />

individuazione di una neoplasia tramite esame citologico<br />

nella popolazione totale; sono stati inoltre valutati i risultati<br />

separatamente nella popolazione canina e felina.<br />

Il lavoro ha anche valutato la sensibilità e specificità dell’esame<br />

citologico nell’individuazione del corretto citotipo neo-<br />

ISTOLOGIA Totale casi (cani + gatti)<br />

CITOLOGIA Neoplastico Non neoplastico<br />

Neoplastico 50 VP 1 FP<br />

Non neoplastico 6 FN <strong>19</strong> VN<br />

plastico sia nella popolazione totale degli animali esaminati<br />

che rispettivamente nella sola popolazione canina e felina.<br />

Complessivamente l’esame citologico per schiacciamento<br />

ha dimostrato di essere una buona tecnica sia per l’individuazione<br />

delle condizioni neoplastiche endonasali e rinofaringee,<br />

sia per l’identificazione del citotipo. Diversamente<br />

dal nostro studio, i pochi lavori bibliografici pubblicati<br />

su questo argomento indicavano una scarsa sensibilità dell’esame<br />

citologico soprattutto nell’identificazione delle<br />

neoplasie endonasali di origine mesenchimale; la nostra<br />

ipotesi è che la tecnica per schiacciamento da biopsia<br />

endoscopica permetta un campionamento di materiale in<br />

maggiore quantità e meglio conservato e quindi una<br />

migliore valutazione delle caratteristiche citomorfologiche<br />

delle cellule neoplastiche mesenchimali che, per loro natura,<br />

esfoliando poco sono meno campionabili con le tecniche<br />

di apposizione e di brushing.<br />

I risultati statistici e le considerazioni citologiche verrano<br />

discussi approfonditamente nel corso della presentazione.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Enrico Bottero<br />

Clinica Veterinaria Albere<br />

Via Vivaro 25, Alba<br />

Tel. 0173/35122<br />

E-mail: botvet@libero.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 53<br />

Gli anestetici oppiacei tradizionali<br />

Antonello Bufalari<br />

Med Vet, PhD, Perugia<br />

Chiara Adami, Med Vet, Perugia<br />

Giovanni Angeli, Med Vet, PhD, Perugia<br />

Antonio Di Meo, Med Vet, Perugia<br />

MORFINA<br />

La morfina è un agonista puro e rappresenta il capostipite<br />

degli oppiacei. Nonostante l’uso degli oppioidi di sintesi sia<br />

sempre più diffuso in medicina veterinaria, il costo contenuto<br />

e l’efficacia analgesica e sedativa della morfina ne giustificano<br />

ancora il largo impiego. La molecola è scarsamente liposolubile,<br />

pertanto la concentrazione massima nel sistema nervoso<br />

è raggiunta lentamente; ciò giustifica la lenta latenza d’azione<br />

(l’effetto massimo si osserva dopo circa 40-60 min dalla<br />

somministrazione), ma anche il persistere per lungo tempo<br />

degli effetti. La dose analgesica (0,1-1 mg/kg nel cane e 0,05<br />

0,1 mg/kg nel gatto) produce un effetto di durata variabile dalle<br />

4 alle 6 ore nel cane e dalle 6 alle 8 ore nel gatto. Inibisce i<br />

centri bulbari del respiro provocando, anche a dosaggi terapeutici,<br />

riduzione del volume tidalico e ipercapnia. La depressione<br />

del centro vasomotore, unitamente al potenziale rilascio<br />

di istamina, giustifica la spiccata azione ipotensiva del farmaco,<br />

mentre la stimolazione diretta del centro del vomito (CTZ,<br />

pavimento del quarto ventricolo), spiega la nausea e le frequenti<br />

crisi di vomito nei pazienti trattati. Come per la meperidina,<br />

la somministrazione per via endovenosa, può causare<br />

ipotensione marcata e liberazione di istamina. Nel gatto si preferisce<br />

evitare la via EV. Tra gli effetti collaterali si annoverano<br />

anche bradicardia, probabilmente per stimolazione diretta<br />

dei centri vagali, e riduzione della motilità gastrointestinale. È<br />

metabolizzata in sede epatica tramite reazioni di coniugazione;<br />

pertanto la sua emivita nel gatto è di durata maggiore<br />

rispetto al cane (3 ore contro 60 minuti). Inoltre, nella specie<br />

felina la metabolizzazione epatica favorisce la formazione di<br />

metaboliti attivi particolarmente potenti (Richmond, <strong>19</strong>93).<br />

Da tutto ciò si evince come, nella specie felina, sia relativamente<br />

più facile incorrere in fenomeni di sovraddosaggio.<br />

BUTORFANOLO<br />

Il butorfanolo è un oppioide di sintesi debole antagonista<br />

verso i recettori µ, dotato di attività agonista verso i recettori k<br />

(analgesia sopraspinale). La sua potenza analgesica è da 3 a 5<br />

volte superiore rispetto a quella della morfina; tuttavia, mentre<br />

si rivela un ottimo farmaco per il trattamento del dolore viscerale,<br />

presenta invece scarsa efficacia nei confronti del dolore<br />

somatico (Carrol et al., <strong>19</strong>98; Ansah et al., 2002). Le proprietà<br />

sedative rendono il butorfanolo un farmaco molto indicato in<br />

premedicazione. Inoltre, essendo anche un potente farmaco<br />

antitussigeno è indicato per il trattamento di pazienti con irri-<br />

tazione delle prime vie respiratorie. Ai dosaggi indicati (0,2-<br />

0,4 mg/kg sia nel cane, sia nel gatto) gli effetti del farmaco<br />

hanno durata variabile da 60 a 120 min. Tuttavia, dosi superiori<br />

a 0,5 e 0,8 mg/kg non si traducono in un incremento della<br />

efficacia e della durata dell’analgesia (effetto tetto). La depressione<br />

respiratoria indotta dal butorfanolo, così come gli effetti<br />

collaterali rivolti all’apparato cardiovascolare, sono di minor<br />

entità rispetto a quelli provocati dalla morfina. Il metabolismo<br />

epatico produce due metaboliti principali, idrossibutorfanolo e<br />

norbutorfanolo, nessuno dei quali conserva le proprietà antidolorifiche<br />

della molecola d’origine. L’eliminazione avviene prevalentemente<br />

per via urinaria, e solo in minima parte (dall’11<br />

al 14%) tramite escrezione biliare.<br />

BUPRENORFINA<br />

La buprenorfina è un agonista parziale dalle buone proprietà<br />

analgesiche. Si lega avidamente ai suoi recettori; pertanto<br />

è difficilmente antagonizzabile da parte degli antidoti<br />

tradizionali. Questo comporta che, se l’effetto analgesico si<br />

rivela insufficiente, la somministrazione di altri oppiacei alle<br />

dosi consigliate potrebbe comportare una nulla o ridotta<br />

azione degli stessi. Per contro può essere vantaggiosamente<br />

impiegato esso stesso come antidoto o antagonista in caso di<br />

sovradosaggio da oppiaceo agonista.<br />

Ai dosaggi terapeutici (5-20 mcg/kg nel gatto, 10-20 mcg/kg<br />

nel cane) produce effetti di durata variabile dalle 6 alle 8 ore.<br />

Il picco dell’effetto antidolorifico si osserva dopo circa 30-40<br />

minuti dalla somministrazione parenterale; ne consegue che,<br />

per evitare risvegli particolarmente agitati, è opportuno calcolare<br />

con precisione il momento in cui è necessaria l’analgesia.<br />

L’impiego epidurale prolunga l’azione analgesica fino a 18-24<br />

ore. Recenti studi clinici hanno dimostrato che nella fase<br />

postoperatoria la buprenorfina è un analgesico più efficace<br />

della morfina nel gatto (Stanway et al., 2002; Slingsby et al.,<br />

<strong>19</strong>98). La somministrazione di dosaggi elevati può determinare<br />

la comparsa di lieve depressione respiratoria.<br />

MEPERIDINA<br />

La meperidina è un oppioide di sintesi agonista puro, che<br />

possiede circa 1/10 della potenza analgesica della morfina<br />

(Lascelles et al., <strong>19</strong>94). Nonostante la brevità di durata d’azione<br />

(circa 90-120 min) e la ridotta efficacia analgesica, la<br />

sua validità clinica risiede nella mancanza di effetti collate-


54 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

rali spiacevoli e nelle eccellenti proprietà sedative e spasmolitiche<br />

alle dosi terapeutiche (1-5 mg/kg). Il farmaco, infatti,<br />

non altera la motilità gastrointestinale e non determina<br />

vomito, tuttavia, se somministrata rapidamente per via endovenosa,<br />

può causare ipotensione marcata e liberazione di<br />

istamina. La meperidina e impiegata nell’uomo per ridurre<br />

efficacemente il brivido post-operatorio in quanto abbassa la<br />

soglia del brivido. È metabolizzata per demetilazione in sede<br />

epatica, ed è ben tollerata sia nel cane sia nel gatto.<br />

METADONE<br />

Ha proprietà analgesiche simili alla morfina mentre gli<br />

effetti sedativi risultano particolarmente buoni e marcati.<br />

Non determina rilascio di istamina se impiegato per via EV.<br />

Con un dosaggio di 0,1-1 mg/kg (cane e gatto) la durata d’azione<br />

è di 2-6 ore.<br />

OSSIMORFONE<br />

L’ossimorfone è un agonista puro semisintetico circa 10<br />

volte più potente della morfina. Mentre è ampiamente impiegato<br />

negli USA, non è disponibile in Europa.<br />

Associa valide proprietà sedative ed elevata efficacia analgesica,<br />

determinando minor effetto ipnotico e depressione<br />

respiratoria rispetto alla morfina (Machado et al., 2006).<br />

Può essere somministrato per via parenterale o epidurale,<br />

e ai dosaggi consigliati (0,05-0,2 mg/kg nel cane, 0,05-0,4<br />

mg/kg nel gatto) produce una analgesia efficace ma di breve<br />

durata (circa 2 ore).<br />

Bibliografia<br />

1. Ansah O.B., Vainio O., Hellsten C. et al. (2002) Postoperative pain<br />

control in cats: clinical trials with medetominidine and butorphanol.<br />

Vet Surg 31, 99-103.<br />

2. Carrol L.C., Howe L.B., Slater M.R et al. (<strong>19</strong>98) Evaluation of analgesia<br />

provided by postoperative administration of butorphanol in cats<br />

undergoing onychectomy. J Am Vet Med Assoc <strong>21</strong>3, 246- 250.<br />

3. Gizawiy M., Rudé E.P. (2004) Comparison of preoperative carprofen<br />

and postoperative butorphanol as postsurgical analgesics<br />

in cats undergoing ovariohysterectomy. Vet Anaesth Analg, 31,<br />

164-174.<br />

4. Hansen B., Hardie E. (<strong>19</strong>93) Prescription and use of analgesic in dogs<br />

and cats in a veterinary teaching hospital: 258 cases (<strong>19</strong>83-<strong>19</strong>89). J<br />

Am Vet Med Assoc 202 1485-1494.<br />

5. Lascelles BD, Butterworth S.J., Waterman A.E. (<strong>19</strong>94) Postoperative<br />

analgesic and sedative effects of carprofen and pethidine in dogs. Vet<br />

Rec 134, 187-<strong>19</strong>1.<br />

6. Machado C., Dyson D.H. (2006) Effects of oximorphone and hydromorphone<br />

on tne minimum alveolar concentration of isofluorane in<br />

dogs. Vet Anaesth Analg, 33, 70-77.<br />

7. Richmond C.E., Bromley L.M., Woolf C.J. (<strong>19</strong>93) Preoperative morphine<br />

pre-empts postoperative pain. Lancet 342 (8863), 73-75.<br />

8. Slingsby L.S., Waterman Pearson A.E. (<strong>19</strong>98) Comparison of pethidine,<br />

buprenorphine and ketoprofen for postoperative analgesia after<br />

ovarohoysterectomy in the cat. Vet Rec 143, 185-189.<br />

9. Stanway G.W., Taylor P.M., (2002) A preliminary investigation comparing<br />

pre-operative morphine and buprenorphine for postoperative<br />

analgesia and sedation in cats. Vet Anaesth Analg, 29, 29-35.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Antonello Bufalari<br />

Sezione di Clinica Chirurgica e Radiodiagnostica Veterinaria,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia,<br />

Via S. Costanzo 4, 06126<br />

Tel/fax 075/5857710, abufalar@unipg.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 55<br />

Gli anestetici oppiacei di nuova generazione<br />

Antonello Bufalari<br />

Med Vet, PhD, Perugia<br />

Chiara Adami, Med Vet, Perugia<br />

Salvatore Padua, Med Vet, Perugia<br />

Antonio Di Meo, Med Vet, Perugia<br />

Gli analgesici oppiacei esplicano la loro azione farmacologica<br />

legandosi ai recettori per gli oppioidi stereospecifici<br />

presenti a livello centrale e periferico. Gli effetti dipendono<br />

dal tipo di recettori coinvolti, dalla loro localizzazione e dalla<br />

selettività del legame con essi. Il meccanismo d’azione<br />

consiste in una modulazione inibitoria della trasmissione<br />

sinaptica nel SNC. In particolare, a livello pre-sinaptico gli<br />

oppiacei determinano una diminuzione della liberazione dei<br />

neurotrasmettitori eccitatori (principalmente la sostanza P<br />

ed il glutammato).<br />

Inoltre, inibiscono l’attività dell’adenilato-ciclasi, cui<br />

conseguono diminuzione della produzione di AMPc e, dunque,<br />

iperpolarizzazione di membrana neuronale, caratterizzata<br />

da riduzione della capacità di scarica, tramite apertura<br />

dei canali del potassio, ad opera degli agonisti µ e δ, e per<br />

chiusura delle correnti dei canali del calcio ad opera degli<br />

agonisti k.<br />

CLASSIFICAZIONE DEGLI OPPIACEI<br />

In base al tipo di legame con i recettori specifici, gli oppiacei<br />

vengono distinti in tre classi: agonisti puri, agonisti parziali<br />

e agonisti antagonisti, antagonisti.<br />

• Agonisti puri: questo gruppo include molecole caratterizzate<br />

da una elevata affinità nei confronti dei recettori<br />

µ, ma in grado di legarsi anche ai recettori k e δ. Appartengono<br />

a questa classe la morfina, la meperidina, l’ossimorfone,<br />

la codeina, il metadone, il fentanyl, l’alfentanil,<br />

il sufentanil, il remifentanil.<br />

• Agonisti parziali ed agonisti- antagonisti: le molecole<br />

appartenenti a questo gruppo si comportano da agonisti<br />

nei confronti di alcuni recettori, e da antagonisti<br />

nei confronti di altri, oppure manifestano solo una<br />

debole e parziale attività agonista. Sono agonisti-antagonisti<br />

il butorfanolo, la pentazocina e la nalbufina;<br />

mentre la buprenorfina è un agonista parziale verso i<br />

recettori µ.<br />

• Antagonisti: questi farmaci si legano al recettore senza<br />

tuttavia attivare la trasduzione del segnale; pertanto,<br />

non sono in grado di produrre alcun effetto. Vengono<br />

impiegati per antagonizzare gli effetti degli altri oppioidi.<br />

Appartengono a questa categoria il naloxone, il naltrexone<br />

e il nalmefene; la loro azione antagonista è<br />

rivolta principalmente nei confronti dei recettori µ ed, in<br />

misura minore, verso i recettori δ e k.<br />

GLI OPPIACEI DI NUOVA GENERAZIONE<br />

Fentanyl<br />

Il fentanyl citrato (Fentanest ® ) è un narcotico di sintesi e<br />

possiede una potenza pari a circa 100 volte quella della morfina.<br />

È un agonista puro dei recettori µ e viene impiegato come<br />

analgesico e blando sedativo in particolar modo nel cane.<br />

Farmacocinetica<br />

Agisce rapidamente dopo somministrazione endovenosa o<br />

intramuscolare (3-5 minuti), ed è caratterizzato, in virtù della<br />

spiccata liposolubulità, da una breve durata d’azione, compresa<br />

tra i 5 ed i 20 minuti, in relazione alla dose. Si lega in elevata<br />

percentuale alle proteine plasmatiche e subisce una significativa<br />

ridistribuzione tissutale; da ciò si evince che la velocità<br />

di eliminazione del farmaco è piuttosto variabile. Viene<br />

metabolizzato a livello epatico mediante reazioni di dealchilazione<br />

ed idrossilazione, ed i suoi metaboliti sono escreti prevalentemente<br />

con le urine. L’emivita di eliminazione è di 2-4 ore.<br />

Tuttavia, l’emivita di eliminazione terminale è relativamente<br />

lunga ed aumenta in maniera esponenziale dopo una o due ore<br />

di infusione continua; ciò suggerisce che i dosaggi dovrebbero<br />

essere ridotti trascorse due ore di infusione (Nolan,2000).<br />

Effetti collaterali<br />

Il fentanyl può indurre una depressione respiratoria dosedipendente<br />

che si manifesta con riduzione della frequenza<br />

respiratoria e del volume tidalico, aumento della ETCO 2 e, nei<br />

casi più gravi, apnea. La depressione respiratoria può persistere<br />

anche una volta cessata l’azione analgesica; pertanto il<br />

monitoraggio del paziente dovrebbe protrarsi anche oltre il<br />

termine dell’intervento chirurgico.<br />

Analogamente agli altri oppioidi che inibiscono la funzionalità<br />

respiratoria, il fentanyl non è indicato in pazienti affetti<br />

da trauma cranico che presentino edema o aumento della<br />

pressione intracranica, poiché l’ipercapnia determina<br />

aumento della perfusione cerebrale.<br />

Ad eccezione dell’effetto bradicardizzante, il farmaco a<br />

dosaggi terapeutici produce effetti minimi sul sistema cardiovascolare;<br />

tuttavia può comparire ipotensione, seppure<br />

transitoria, qualora si somministri l’oppioide per via endovenosa<br />

in associazione ai barbiturici. Complessivamente il<br />

farmaco esercita un’azione simpaticolitica; pertanto tra gli<br />

altri possibili effetti collaterali si annoverano rilascio dello<br />

sfintere anale e scialorrea.


56 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Sufentanil<br />

Il sufentanil citrato (Fentatienil ® ) è un oppioide agonista<br />

puro, analogo tienilico del fentanyl. Studi in vitro hanno<br />

dimostrato che la selettività di questo farmaco per i recettori<br />

µ è superiore a quella di fentanyl, morfina, meperidina e<br />

metadone. Studi in vivo nel cane hanno rilevato che la<br />

potenza del sufentanil è 625 volte superiore a quella della<br />

morfina e circa 5 volte superiore a quella del fentanyl.<br />

Farmacocinetica e farmacodinamica<br />

Questo farmaco è più liposolubile del fentanyl. Viene<br />

metabolizzato a livello epatico, soprattutto attraverso reazioni<br />

di dealchilazione e di demetilazione. Nel cane la maggior<br />

parte dei metaboliti viene eliminata con le urine (60%) Si<br />

lega in elevata percentuale alle proteine plasmatiche, e possiede<br />

un’emivita di 2-3 ore (Bailey e Stanley, <strong>19</strong>94).<br />

Effetti collaterali<br />

Gli effetti cardiovascolari e respiratori sono simili a<br />

quelli del fentanyl (Abdul-Rasool, <strong>19</strong>89). La durata degli<br />

effetti respiratori è uguale od inferiore rispetto a quella<br />

dell’effetto analgesico. Se comparato al fentanyl, tuttavia,<br />

il sufentanil sembra produrre una minore depressione<br />

respiratoria nei pazienti umani (Bailey et al., <strong>19</strong>86), e<br />

dimostra di avere un margine di sicurezza cardiovascolare<br />

superiore nel cane sottoposto ad analgesia chirurgica profonda<br />

(Monk, <strong>19</strong>88). È opportuno, in ogni caso, intubare<br />

preventivamente il paziente per poterlo ventilare in caso di<br />

necessità. Gli effetti emodinamici del sufentanil nel cane<br />

sono minimi, anche con l’impiego di dosi elevate, se si<br />

esclude la bradicardia vago mediata. Tuttavia, l’associazione<br />

con altri farmaci anestetici ad azione ipotensiva<br />

(propofol o isofluorano), potrebbe determinare un significativo<br />

calo della pressione ematica.<br />

Tra gli effetti collaterali si fa menzione all’affanno, probabilmente<br />

causato dall’attivazione del centro termoregolatore<br />

ipotalamico, che viene riscontrato con maggior frequenza<br />

nei pazienti non affetti da dolore (Lascelles, 2000).<br />

Alfentanil<br />

L’alfentanil cloridrato (Fentalim ® ) è un derivato fenilpiperidinico<br />

analogo del fentanyl. È un oppioide agonista puro<br />

dei recettori µ (Branson, 2001).<br />

Farmacocinetica e farmacodinamica<br />

L’alfentanil agisce rapidamente dopo somministrazione<br />

in vena (circa 1-2 minuti), e durante l’infusione endovenosa<br />

raggiunge concentrazioni plasmatiche stabili in circa<br />

10-15 minuti. La percentuale di legame con le proteine<br />

plastiche è superiore a quella del fentanyl; tale legame,<br />

inoltre, è meno influenzato dal pH rispetto a quanto<br />

avviene per il fentanyl ed il sufentanil.<br />

Metabolismo ed eliminazione avvengono in maniera<br />

analoga a fentanyl e sufentanil.; tuttavia, il ridotto volume<br />

di distribuzione rende l’eliminazione del farmaco<br />

rapida e la sua durata d’azione breve. Inoltre, non dà luogo<br />

a fenomeni di accumulo rilevanti, neppure in caso di<br />

infusioni prolungate.<br />

Effetti collaterali<br />

L’alfentanil ha un maggiore potere vagotonico rispetto al<br />

fentanyl e ciò può rendere necessaria la somministrazione di<br />

anticolinergici al fine di prevenire bradiaritmie clinicamente<br />

significative. Similmente agli altri oppiacei di sintesi, anche<br />

l’alfentanil può indurre una depressione respiratoria dose<br />

dipendente.<br />

Remifentanil<br />

Il remifentanil cloridrato (Ultiva ® ) è un oppioide di sintesi<br />

derivato della 4-anilidopiperidina che agisce sui recettori<br />

µ. La potenza analgesica del remifentanil è intermedia tra<br />

quella del fentanyl e dell’alfentanil.<br />

Farmacocinetica e farmacodinamica<br />

Il remifentanil possiede un onset time pari a circa un<br />

minuto, si equilibra rapidamente tra il cervello ed il sangue,<br />

ed ha un ridotto volume di distribuzione.<br />

Nella struttura chimica del remifentanil è presente un<br />

estere metilico molto labile che rende il farmaco suscettibile<br />

di idrolisi da parte di esterasi eritrocitarie e tissutali<br />

aspecifiche; ne consegue che il metabolismo del farmaco<br />

avviene in misura rilevante già in tessuti come muscolo,<br />

intestino e cervello, mentre il fegato offre un contributo<br />

trascurabile (Chism, <strong>19</strong>96).<br />

Possiede un metabolica attivo, il GR90291, escreto dal<br />

rene, e dotato anch’esso di un’azione µ agonista, tuttavia<br />

di potenza trascurabile rispetto al remifentanil.<br />

Effetti collaterali<br />

Gli effetti collaterali riportati in letteratura per il remifentanil<br />

sono sovrapponibili a quelli degli altri oppioidi agonisti<br />

(Esca, 2003). Tuttavia, diversamente dagli altri agonisti<br />

puri, è di comune riscontro la rapida ripresa della normale<br />

funzionalità respiratoria appena l’infusione del farmaco viene<br />

interrotta.<br />

CONCLUSIONI<br />

Dal confronto tra gli oppiacei agonisti puri di nuova generazione<br />

emerge che il sufentanil fornisce una analgesia di<br />

qualità superiore rispetto al fentanyl, risultando anche più<br />

maneggevole e sicuro riguardo agli effetti sull’apparato cardiovascolare.<br />

L’associazione con gli alogenati volatili, in particolare<br />

l’isofluorano, può tuttavia esacerbare la depressione<br />

respiratoria già provocata dagli oppioidi agonisti; pertanto,<br />

in sede intraoperatoria, è preferibile sottoporre il<br />

paziente a IPPV al fine di prevenire o trattare eventuali<br />

bradipnea e ipercapnia.<br />

Confrontando inoltre la qualità del risveglio in pazienti<br />

sottoposti ad interventi chirurgici caratterizzati da una<br />

significativa stimolazione algica, rispettivamente in<br />

pazienti trattati e non con oppioidi di sintesi, si evince<br />

come l’utilizzo degli agonisti puri costituisca un aspetto<br />

imprescindibile dell’anestesia moderna, combinando una<br />

potente azione analgesica alla sicurezza di un protocollo<br />

efficace e versatile.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 57<br />

Bibliografia<br />

Abdul-Rasool I.H., Ward D.S., (<strong>19</strong>89), Ventilatory and cardiovascular<br />

responses to sufentanil infusion in dogs anesthetized with isofluorane,<br />

Anesth. Analg, 69 (3): 300-306.<br />

Bailey PL, Streisand JB, Pace NL, Bayless J, Stanley TH, (<strong>19</strong>86), Sufentanil<br />

produces shorter lasting respiratory depression and longer lasting<br />

analgesia than equipotent doses of fentanyl in human volunteers,<br />

Anesthesiol, 65, A: 493.<br />

Branson K.R., Gross M.E., Booth N.H., (<strong>19</strong>99), Agonisti ed antagonisti<br />

oppiacei, Farmacologia e terapeutica veterinaria, Adams ed., 2a ed.<br />

italiana EMSI Roma, Cap. XIII.<br />

Bufalari A., Nannarone S., Arcelli R., Moriconi F., Short C.E., (Giugno<br />

2004), Studi preliminari su una nuova formulazione analgesica nel<br />

cane: Valutazioni Cardiorespiratorie ed EEG, Atti dell’XI <strong>Congresso</strong><br />

<strong>Nazionale</strong> SICV, Grugliasco (TO), 45-48.<br />

Chism J.P., Rickert, (<strong>19</strong>96), The pharmacochinetics and extra-epatic clearance<br />

of remifentanil, a short acting opioid agonist, in male dogs<br />

during constant rate infusion, Drug metabolism and disposition Vol.<br />

24 n°1: 34-40.<br />

Esca S., Maresca A., Menafro A., Talia S., Ferrari D., Vesce G., (Giugno<br />

2003), Anestesia Generale con Remifentanil e Propofolo in infusione<br />

continua nel cane, Atti del X <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> SICV, Ozzano dell’Emilia,<br />

97-101.<br />

Lascelles B.D.X., (2000), Clinical Pharmacology of Analgesic Agents, Animal<br />

Pain. A practice orienthed approach to an effective pain control<br />

in animals, Utrecht, Van der Wees, 85-97.<br />

Mendes G. M., Selmi A.L., (2003), Use of a combination of propofol and<br />

fentanyl, alfentanil, or sufentanil for total intravenous anesthesia in<br />

cats, JAVMA, 223 (11): 1608-1613.<br />

Monk J.P., Beresford R., Ward A., (<strong>19</strong>88), Sufentanil. A rewiew of its pharmacological<br />

properties and therapeutic use), Drug Evaluation, 36:<br />

286-313.<br />

Murrell J.C., Notten R.W., Hellebrekers L.J., (2005), Clinical investigation<br />

of remifentanil and propofol for the total intravenous anaesthesia of<br />

dogs, The Veterinary Record, 156: 804-808.<br />

Nolan A.M., Flecknell P., Waterman Pearson A., (2000), Pharmacology of<br />

analgesic drugs, Pain Management in Animals, Ed. W.B. Saunders,<br />

<strong>21</strong>-34.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Antonello Bufalari<br />

Sezione di Clinica Chirurgica e Radiodiagnostica Veterinaria,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia<br />

Via S. Costanzo 4, 06126<br />

Tel/fax 075/5857710, abufalar@unipg.it


58 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Chirurgia dei sarcomi dei tessuti molli<br />

Paolo Buracco<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Torino<br />

SARCOMI DEI TESSUTI MOLLI<br />

Tale gruppo comprende: fibroma/fibrosarcoma, schwannoma<br />

benigno e maligno, lipoma/liposarcoma, emangioma/emangiosarcoma,<br />

leiomioma/leiomiosarcoma, rabdomiosarcoma<br />

e istiocitoma fibroso maligno; si segnala inoltre<br />

l’emangiopericitoma che si riscontra nel cane tipicamente a<br />

livello degli arti, più di rado in altre parti del corpo. Il gatto<br />

più frequentemente è colpito da: fibrosarcoma (che nei gatti<br />

giovani può essere multiplo e causato da Feline Sarcoma /<br />

Feline Leukemia Virus mentre nei soggetti più anziani è in<br />

genere solitario e non virus-indotto) e istiocitoma fibroso<br />

maligno; si ricorda inoltre il sarcoma post-iniettivo, tipico a<br />

livello delle aree utilizzate per le iniezioni sottocutanee 1,2,3 .<br />

La maggior parte di queste neoplasie è caratterizzata da<br />

comportamento clinico-biologico sovrapponibile, con<br />

moderato-basso indice mitotico (crescita lenta) e metastatico<br />

ma alta capacità infiltrativa locale con “pseudocapsula”<br />

periferica (microscopicamente costituita per lo più da cellule<br />

tumorali compresse). Per limitare le recidive, è assolutamente<br />

necessario operare escissioni en bloc comprendenti<br />

un ampio margine di tessuto macroscopicamente sano tutto<br />

intorno la neoplasia. Nonostante la chirurgia rappresenti la<br />

modalità di trattamento caratterizzata dal maggior tasso di<br />

controllo neoplastico, l’approccio multimodale (associazione<br />

con chemio- e/o radioterapia preoperatoria – neoadiuvante<br />

– e/o postoperatoria - adiuvante) è spesso in grado di ottenere<br />

risultati migliori in termini sia di “periodo libero da<br />

malattia” sia di “sopravvivenza complessiva”.<br />

PIANIFICAZIONE DELLA CHIRURGIA<br />

Nel pianificare l’escissione di una neoplasia è opportuno<br />

considerare 1) il suo comportamento biologico-clinico standard,<br />

2) che la prima chirurgia è quella con le maggiori probabilità<br />

di risultare efficace, 3) che la sua escissione en bloc<br />

può implicare la rimozione dell’osso sottostante, con necessità<br />

di pianificare sia la fase demolitiva sia quella ricostruttiva.<br />

Per questo è opportuno considerare il deficit funzionale<br />

post-chirurgico arrecato all’animale (compatibilità o meno<br />

con una qualità di vita normale, indipendentemente dall’età<br />

del soggetto che, a priori, non rappresenta un fattore limitante<br />

se le condizioni cliniche sono buone), le diverse tecniche<br />

di ricostruzione applicabili, l’opportunità o meno di trattamenti<br />

neo- e/o adiuvanti e l’esito oncologico più probabile<br />

(“tempo libero da malattia”, “sopravvivenza totale” – dati<br />

della letteratura e esperienza personale). Il controllo della<br />

metastasi si opera mediante chemioterapia, quello della reci-<br />

diva locale con l’irradiazione. Per decidere se un secondo<br />

intervento chirurgico (se ancora effettuabile) o l’irradiazione<br />

siano o meno opportuni, i margini di escissione devono essere<br />

valutati istologicamente. Per questo, al termine della chirurgia,<br />

le parti dove possibile è l’infiltrazione neoplastica<br />

residua sono identificate con inchiostro di china; alcuni punti<br />

di sutura sono utilizzabili per l’orientamento spaziale del<br />

campione. L’esito istologico (tumore escisso in toto o<br />

incompletamente) rappresenta un importante fattore prognostico<br />

post-chirurgico e può indirizzare il clinico sul comportamento<br />

più opportuno da assumere. Nel pianificare la chirurgia<br />

questi aspetti vanno preventivamente considerati e<br />

spiegati chiaramente al proprietario. Ciò implica che, relativamente<br />

al tumore primario, 1) la diagnosi sia già stata formulata<br />

prima di operare, 2) che esso sia stato clinicamente<br />

stadiato e 3) che siano noti al clinico i risultati che statisticamente<br />

si possono ottenere dall’applicazione dei diversi<br />

protocolli terapeutici. Pertanto, se ad esempio il proprietario<br />

non è disponibile sin dall’inizio a intraprendere il trattamento<br />

radioterapico qualora l’escissione incompleta rappresenti<br />

l’esito più probabile della chirurgia, in taluni casi può risultare<br />

preferibile non operare alcuna escissione chirurgica in<br />

quanto l’inevitabile recidiva è precoce e più aggressiva<br />

rispetto alla neoplasia originale. Il risultato netto è infatti un<br />

accorciamento della sopravvivenza complessiva del paziente.<br />

Si tenga infine presente che se si opera una chirurgia palliativa,<br />

solo di rado applicata in medicina veterinaria, l’esito<br />

deve per lo meno essere un miglioramento della qualità di<br />

vita del paziente per un tempo accettabile.<br />

Trattamento chirurgico dei sarcomi<br />

dei tessuti molli<br />

La loro asportazione può essere operata in forma<br />

1) citoriduttiva: alcune neoplasie possono non essere<br />

rimosse en bloc a causa della loro localizzazione. Se si<br />

opta per l’escissione incompleta o “a pezzi”, il successivo<br />

controllo deve essere operato mediante trattamenti<br />

adiuvanti (chemio- e/o radio-terapia) di comprovata efficacia.<br />

Talvolta si può tentare un trattamento neoadiuvante<br />

(irradiazione) al fine di rendere la neoplasia operabile<br />

in un secondo momento ma ciò è raramente possibile.<br />

L’asportazione “a pezzi” è l’unica forma di escissione<br />

possibile in caso di lipoma infiltrante<br />

2) marginale: il tumore residuo è evidente istologicamente<br />

(scollamento eseguito lungo la pseudocapsula). Dopo<br />

solo escissione chirurgica, la recidiva è praticamente certa<br />

(fatta “forse” eccezione per alcuni emangiopericito-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 59<br />

mi). L’invasione neoplastica vascolare può dare origine a<br />

metastasi “satellite” nella zona di reattività peritumorale<br />

o, peggio, a lesioni più distanti (cioè nel tessuto sano,<br />

c.d. “skip” metastasi). La procedura è idealmente corretta<br />

solo per le lesioni benigne; in caso di malignità locale,<br />

qualora non sia possibile eseguire la rimozione del tumore<br />

in altro modo, è indicata l’irradiazione adiuvante<br />

(post-chirurgica)<br />

3) curativa: è quella che prevede l’escissione en bloc del<br />

tumore con 2-4 cm di tessuto microscopicamente sano<br />

intorno al tumore. Spesso, l’escissione en bloc implica la<br />

rimozione dell’osso sottostante (scapulectomia, pelvectomia,<br />

rimozione di coste, etc) fino all’amputazione dell’intera<br />

parte (arto) o l’asportazione a pieno spessore di<br />

parti di parete (toracica o addominale). La procedura<br />

rispetta idealmente uno dei principi cardine della chirurgia<br />

oncologica ma “skip” metastasi possono ancora svilupparsi<br />

ed essere omesse durante la chirurgia. TAC e<br />

RMN trovano ampio utilizzo nel pianificare correttamente<br />

la procedura. La chemioterapia può essere indicata<br />

per il controllo delle metastasi sistemiche.<br />

Quando la chirurgia è eseguita con intento curativo, il<br />

primo principio da osservare è asportare ogni parte<br />

sospetta. Qui di seguito sono elencate le linee guida generali<br />

più importanti:<br />

- non operare in anestesia locale. Nei pazienti critici può<br />

essere opportuno ricorrere ad anestesia loco-regionale<br />

- rimuovere sempre la sede di biopsia<br />

- utilizzare il più possibile gli strumenti chirurgici piuttosto<br />

che le mani; queste ultime possono più facilmente disseminare<br />

la neoplasia.<br />

- per la rimozione dei tumori superficiali è preferibile il<br />

bisturi (taglio netto) piuttosto che le forbici.<br />

- usare l’elettrocoagulazione (o il laser) il meno possibile per<br />

non complicare l’identificazione dei margini tumorali.<br />

- legare tutti i vasi tributari e, se possibile, prima le vene<br />

- preferibile l’impiego di materiale da sutura monofilamento<br />

piuttosto che intrecciato per non favorire l’adesione di<br />

cellule tumorali<br />

- al termine dell’escissione valutare se l’asportazione è stata<br />

appropriata (in termini di centimetri macroscopici di<br />

tessuto sano), identificare i margini di escissione e, in caso<br />

di dubbio, ricorrere alla citologia intraoperatoria.<br />

- cambiare i guanti tutte le volte che è opportuno<br />

- l’impiego dei lavaggi è controverso. Importante è comunque<br />

aspirare tutto il liquido utilizzato, insieme ai detriti<br />

tissutali e ai coaguli di sangue.<br />

Il secondo principio è che è preferibile lasciar guarire per<br />

seconda intenzione piuttosto che residuare un’area sospetta<br />

per il dubbio di non riuscire poi a eseguire la chiusura della<br />

ferita chirurgica. Molte tecniche consentono però di giungere<br />

alla copertura primaria della soluzione di continuo creata<br />

(incisioni liberatorie per diminuire la tensione, lembi locali<br />

casuali, lembi liberi, lembi vascolarizzati - cutanei e miocutanei<br />

-, reti di prolene o vycril, etc) 4 . Tali procedure, quando<br />

opportuno, possono essere associate a “omentalizzazio-<br />

ne” della parte; il grande omento, se portato in tali sedi,<br />

favorisce infatti vascolarizzazione, granulazione e drenaggio,<br />

l’immunità locale e, in definitiva, la guarigione. Per la<br />

fase ricostruttiva è assolutamente indispensabile cambiare<br />

guanti e set chirurgico. Alcune ferite, anche quelle derivate<br />

da deiscenza delle suture, devono essere gestite come ferite<br />

aperte per un tempo variabile.<br />

Se la colonizzazione metastatica a livello del/i linfonodo/i<br />

regionali è dimostrata citologicamente, questo/i è/sono<br />

rimosso/i contestualmente alla rimozione del tumore primario;<br />

in caso di coinvolgimento di stazioni linfatiche successive,<br />

il trattamento è deciso su base individuale ma la prognosi<br />

è ovviamente meno favorevole. Se il linfonodo è fisso ai<br />

tessuti circostanti, è indicato prevedere l’irradiazione adiuvante<br />

dell’area dopo la sua rimozione en bloc. Se la metastasi<br />

linfatica non è dimostrata ma il linfonodo è ingrandito,<br />

quest’ultimo è asportato e poi valutato istologicamente al<br />

fine di stadiare correttamente la neoplasia (sistema TNM).<br />

L’asportazione delle metastasi polmonari è riservata a<br />

quei casi in cui 1 o 2 noduli polmonari, derivati da tumori<br />

primari a bassa malignità, sono caratterizzati da un lungo<br />

tempo di raddoppiamento tale da prevedere una sopravvivenza<br />

protratta. Si può inoltre prevedere l’impiego della<br />

chemioterapia al fine di controllare l’ulteriore sviluppo di<br />

metastasi.<br />

Dal punto di vista prognostico è infine importante considerare<br />

1) le possibili complicanze correlate alle eventuali sindromi<br />

paraneoplastiche che possono associarsi, seppur raramente,<br />

alle neoplasie di questo gruppo: ipoglicemia (leiomioma<br />

intestinale), febbre, anemia, leucocitosi, CID, morbo<br />

di Cadiot (per lesioni addominali o toraciche, per lo più<br />

metastatiche). In generale le sindromi paraneoplastiche possono<br />

determinare una maggior morbilità (ed eventualmente<br />

anche mortalità) rispetto al tumore originale; 2) le malattie<br />

preesistenti (cardiopatie, insufficienza renale, etc); e 3) i trattamenti<br />

protratti con corticosteroidi (o altri farmaci immunosoppressivi).<br />

L’uso degli steroidi dovrebbe in generale riservarsi<br />

ai pazienti terminali per migliorarne la qualità di vita<br />

anche se questa può, in ultimo, risultarne accorciata.<br />

Bibliografia selezionata<br />

1. Withrow SJ & MacEwen EG. SMALL ANIMAL CLINICAL<br />

ONCOLOGY. WB Saunders Co., Third edition, 2001<br />

2. Marconato L. & Del Piero F. ONCOLOGIA MEDICA DEL CANE e<br />

DEL GATTO. Poletto Editore, 2005.<br />

3. Morris J e Dobson Mj. ONCOLOGIA CLINICA DEL CANE E DEL<br />

GATTO. Edizione italiana di Buracco P., UTET, 2003.<br />

4. Pavletic MM. ATLAS OF SMALL ANIMAL RECONSTRUCTIVE<br />

SURGERY. WB Saunders Co., Second edition, <strong>19</strong>99.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Paolo Buracco<br />

Clinica Chirurgica Veterinaria<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino<br />

Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (Torino)<br />

Tel 011-6709157/8 - E-mail: paolo.buracco@unito.it


60 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia della cute facciale nel gatto:<br />

differenze tra infiammazione e neoplasia<br />

Mario Caniatti<br />

Med Vet, Dipl ECVP, Milano<br />

La cute facciale del gatto, come del resto la cute del gatto<br />

nella sua completa estensione, può essere affetta da condizioni<br />

patologiche di natura ed espressione clinica assai<br />

diverse fra di loro. In alcuni casi poi, patologie molto distanti<br />

fra loro come eziologia e decorso, possono invece avere<br />

aspetti clinici simili fra loro 1 . Da queste considerazioni scaturisce<br />

quanto possa essere utile dal punto di vista diagnostico,<br />

e in ultima analisi della gestione del paziente, l’utilizzo<br />

routinario del campionamento citologico delle lesioni<br />

facciali del gatto. Le malattie della cute della faccia del gatto<br />

di un certo interesse citologico possono essere distinte in:<br />

virali, batteriche, fungine, protozoarie, parassitarie, i tumori<br />

e altre forme, flogistiche e non, ad eziologia incerta (es. Calcinosis,<br />

complesso granuloma eosinofilico).<br />

Tra le forme batteriche, quelle con una specifica eziologia<br />

diagnosticabile citologicamente sono: la dermatofilosi (Dermatophilus<br />

congolensis), peraltro rara, le forme di micobatteriosi<br />

(M. bovis, M. avium, M. lepraemurium e Micobatteri<br />

atipici o opportunistici), nonché le flogosi da germi filamentosi<br />

dei Generi Actinomyces e Nocardia. È molto importante<br />

la diagnosi citologica delle micobatteriosi per poter decidere<br />

subito della sorte del paziente che può essere potenzialmente<br />

pericoloso per la salute dei proprietari e degli animali<br />

conviventi. Nel caso poi delle infezioni da M.lepraemurium<br />

(lebbra felina), la citologia ha permesso di fare ipotesi<br />

sulla prognosi (fausta) di questa malattia 2 .<br />

La citologia è un mezzo diagnostico assai utile nella diagnosi<br />

della maggior parte delle patologie ad eziologia fungina<br />

che vengono classicamente distinte in micosi: 1- Superficiali.<br />

Si va dalla comunissima dermatofitosi alle rare infezioni<br />

da Candida o Malassezia. 2- Sottocutanee. Rare condizioni<br />

tra le quali va annoverata la Sporotricosi, causata da<br />

Sporothrix schenckii, che può rappresentare una minaccia<br />

per la salute dell’uomo che di solito sviluppa una forma<br />

cutaneo-linfatica. 3- Sistemiche. Sono costituite da varie<br />

malattie fra cui spiccano la Blastomicosi (zoonosi), la Criptococcosi<br />

(zoonosi, ma non direttamente trasmissibile dal<br />

gatto all’uomo) e l’Istoplasmosi.<br />

Numerosi sono i parassiti che possono coinvolgere la cute<br />

facciale del gatto. Si tratta fondamentalmente di elminti e<br />

artropodi (zecche, acari, pidocchi, pulci…). Tutti questi di<br />

solito non sono considerati tipici organismi da “diagnosi<br />

citologica”, ma occasionalmente possono trovarsi nei campioni<br />

citologici.<br />

Tra le forme virali, l’unica di un certo rilievo citologico<br />

nella specie felina, è il vaiolo felino. Si tratta di una malattia<br />

poco comune, ma descritta in Europa. Dà inclusi intracitoplasmatici<br />

eosinofili nei cheratinociti. Tali inclusi in teoria<br />

possono essere messi in luce da un esame citologico. Anche<br />

questa è una malattia potenzialmente pericolosa per l’uomo,<br />

specie se immunodepresso. Anche la rinotracheite felina<br />

(Herpesvirus) può dare lesioni cutanee costituite da ulcere<br />

con inclusi intranucleari nei cheratinociti o negli istiociti del<br />

derma, ma la possibilità di una diagnosi sul campione citologico<br />

è più teorica che pratica. Tra le forme protozoarie, la<br />

toxoplasmosi può dare, seppure raramente, lesioni cutanee<br />

nel gatto sotto forma di noduli. Un esame citologico di questi<br />

noduli può essere diagnostico. Noduli cutanei, ma anche<br />

ulcere, possono essere causati nel gatto da protozoi del Gen.<br />

Leishmania anch’essi di facile identificazione citologica.<br />

Numerose sono le patologie cutanee su base immunologia<br />

(es. ipersensibilità su diverse basi, malattie immunomediate<br />

ecc.), ma non si tratta quasi mai di buoni candidati per una<br />

diagnosi citologica. Lo stesso vale per le malattie su base<br />

endocrina e metabolica, i difetti congeniti, le anomalie pigmentarie,<br />

i cosiddetti “difetti di cheratinizzazione” e le<br />

malattie nutrizionali. Tra le malattie definite come “da cause<br />

ambientali” hanno un certo rilievo per la diagnosi citologica<br />

le lesioni da corpo estraneo. Il complesso granuloma<br />

esoinofilico, classificato dai testi di dermatologia nella categoria<br />

“miscellanea”, può essere un buon candidato alla diagnosi<br />

citologica purché la diagnosi citologica sia supportata<br />

dal dato clinico.<br />

In ogni caso la maggiore indicazione per la diagnosi citologica<br />

di condizioni che possono colpire la testa dei gatti è<br />

quella riguardante la possibilità di diagnosticare lesioni di<br />

natura neoplastica o similneoplastica (es. cisti cutanee, Calcinosis<br />

circumscripta). Dal punto di vista citologico i tumori<br />

vengono di solito distinti in tre categorie: epiteliali, a cellule<br />

fusate (per lo più sarcomi) e a cellule rotonde. Inoltre,<br />

nel caso non sia possibile indicare una precisa diagnosi citologica,<br />

si può considerare una quarta diagnosi molto generica<br />

di “tumore indifferenziato”.<br />

Fra i tumori epiteliali i papillomi non hanno alcun interesse<br />

citologico sia perché hanno un aspetto macroscopico<br />

caratteristico, sia perché non cedono campioni adeguatamente<br />

cellulari. Il carcinoma squamoso è invece molto interessante<br />

per il citologo che deve però fare i conti con una<br />

neoplasia che, diversamente dal solito, tende più a crescere<br />

in profondità che a svilupparsi come neoformazione vegetante.<br />

Di certo, lo sviluppo di questa neoplasia su aree cutanee<br />

depigmentate e la sua localizzazione tipica (orecchio,<br />

naso) aiuta il citologo per la diagnosi finale, ma spesso si ha<br />

a che fare con campioni assai poco cellulari a causa della<br />

proliferazione connettivale che accompagna il tumore e che<br />

tende perciò a cedere campioni citologici poco cellulari.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 61<br />

Ancora, bisogna considerare il fatto che molto spesso queste<br />

neoplasie sono molto ben differenziate e questa è un’ulteriore<br />

difficoltà per il citologo. Di relativamente facile diagnosi<br />

citologica, anche su campioni che sono frequentemente<br />

poco cellulari, sono i tricoblastomi/epiteliomi. Si<br />

tratta di condizioni benigne di natura epiteliale che citologicamente<br />

evidenziano la presenza di gruppi di piccole cellule<br />

coesive caratterizzate da elevatissimo rapporto<br />

nucleo/citoplasmatico e modesti caratteri di atipica citologica.<br />

In casi di tumore epiteliale di natura diversa da quelle<br />

appena descritte, la diagnosi citologica si limita di solito a<br />

definire la benignità o la malignità della condizione a meno<br />

che non si tratti di tumori localizzati in sedi specifiche (es.<br />

tumori delle ghiandole ceruminose). A proposito dei tumori<br />

dell’orecchio, bisogna ricordare che non è raro e descritto<br />

in letteratura che tumori citologicamente definiti come<br />

maligni, risultino poi istologicamente benigni 2 .<br />

I tumori a cellule fusate non sono sempre facili da diagnosticare<br />

citologicamente a causa dei campioni scarsamente<br />

cellulari che spesso cedono. Deve quindi essere considerato<br />

un buon successo della diagnosi citologica quando questa<br />

riesca a giungere ad una generica diagnosi di “tumore a<br />

cellule fusate” maligno (i benigni sono rarissimi e praticamente<br />

non diagnosticabili su base citologica). Tra questi<br />

tumori è comunque spesso agevole fare una diagnosi citologica<br />

almeno nel caso dei cosiddetti sarcomi gigantocellulari<br />

(nella classificazione internazionale dei tumori animali, edita<br />

dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità –WHO- vengono<br />

anche definiti come variante gigantocellulare dell’istiocitoma<br />

fibroso maligno).<br />

Per le neoplasie a cellule rotonde l’esame citologico è un<br />

mezzo straordinariamente efficace per definire la diagnosi.<br />

Le ragioni sono molteplici: a volte clinicamente queste neoplasie<br />

(es. linfomi epidermotropi) mimano forme non-neoplastiche<br />

e come tali vengono trattate; i tumori a cellule<br />

rotonde cedono solitamente campioni citologici di buona<br />

cellularità; l’esame citologico è assai più preciso nel definire<br />

l’origine cellulare di questi tumori rispetto all’esame<br />

istologico in quanto i più fini particolari delle cellule sono<br />

singolarmente molto meglio valutabili su campioni citologici,<br />

fissati all’aria e colorati con una colorazione di tipo<br />

ematologico, in cui le cellule sono ben distese sul fondo del<br />

vetrino. Mastocitomi e linfomi sono di gran lunga i tumori<br />

a cellule rotonde più diagnosticati a causa della loro frequenza.<br />

Per alcuni va inserito nella categoria dei tumori a<br />

cellule rotonde anche il già citato istiocitoma fibroso mali-<br />

gno. I melanomi sono decisamente poco comuni nel gatto e<br />

devono essere differenziati da tumori epiteliali pigmentati<br />

che invece sono decisamente più frequenti. Molto semplicemente,<br />

la presenza di cellule pigmentate (melanociti),<br />

può essere associata a gruppi di epitelio nel caso di tumori<br />

epiteliali, generalmente benigni, ma non ci sono melanomi<br />

che possano avere una componente epiteliale. Bisogna<br />

quindi cercare sempre, in campioni contenenti moltissimi<br />

melanociti, la possibile presenza di epitelio che di solito ha<br />

aspetto basale.<br />

Di interesse citologico, tra le forme considerate similneoplastiche,<br />

va considerata la Calcinosis circumscripta. Si tratta<br />

infatti di una condizione che, valutata su un campione<br />

citologico già colorato, può non essere di facile diagnosi in<br />

quanto spesso il campione è decisamente poco cellulare e<br />

costituito da cellule infiammatorie prevalentemente costituite<br />

da macrofagi, anche multinucleati. Alle poche cellule si<br />

associa la presenza di materiale più o meno granulare di fondo<br />

con cristalli di calcio poco caratteristici. Invece microscopicamente<br />

il vetrino non colorato è di facile diagnosi,<br />

anche per assoluti principianti, perché caratterizzato dalla<br />

presenza di materiale biancastro di aspetto gessoso. Tale<br />

carattere si perde ovviamente con la colorazione.<br />

In conclusione si può affermare che l’esame citologico<br />

deve oggi essere senz’altro considerato un’utile indagine<br />

collaterale da utilizzare di routine in corso di lesioni facciali<br />

del gatto.<br />

Bibliografia<br />

1. Scott DW, Miller WH, Griffin CE (<strong>19</strong>95), Small animal dermatology,<br />

5th Ed, WB Saunders, Philadelphia, Pennsylvania.<br />

2. Roccabianca P, Caniatti M, Scanziani E, Penati V (<strong>19</strong>96), Feline<br />

leprosy: spontaneous remission in a cat, JAAHA, 32(3): 189-93.<br />

3. De Lorenzi D, Bonfanti U, Masserdotti C, Tranquillo M (2005), Fineneedle<br />

biopsy of external ear canal masses in the cat: cytologic results<br />

and histologic correlations in 27 cases, Vet Clin Path, 34(2): 100-105.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Caniatti Mario<br />

Dipartimento di Patologia Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria<br />

Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare<br />

Università degli Studi di Milano<br />

Via Celoria, 10 - 20133 Milano<br />

Tel 02-50318114 - Fax 02-50318106<br />

E-mail: mario.caniatti@unimi.it


62 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

L’esame ecocardiografico modifica la terapia<br />

del paziente cardiopatico?<br />

David Chiavegato<br />

Med Vet, Padova<br />

Gino D’Agnolo<br />

Med Vet, Triste<br />

L’esame ecocardiografico negli ultimi anni ha assunto<br />

sempre più rilevanza nella gestione della patologia cardiovascolare.<br />

La valutazione ecocardiografica risulta spesso essenziale<br />

per la completa comprensione delle condizioni emodinamiche<br />

della patologia cardiaca consentendo monitoraggi talora<br />

indispensabili per una corretta gestione terapeutica dei<br />

pazienti cardiopatici.<br />

I volumi ventricolari, i volumi atriali, la frazione eiettiva<br />

e le correlazioni pressorie ricavate dai gradienti Doppler<br />

sono fra gli elementi più comuni che consentono un approccio<br />

terapeutico ragionato ed ottimizzato sulle condizioni di<br />

precario, postcarico e contrattilità.<br />

Così come una terapia diuretica non può prescindere dalle<br />

condizioni emodinamiche del paziente come espressione<br />

di una condizione di precario, così la terapia con inotropi<br />

positivi deve conseguire ad un attento studio della funzione<br />

contrattile. Le condizioni di portata dovranno essere valutate<br />

attraverso un’attenta considerazione della frazione eiettiva<br />

come espressione sia della contrattilità propria del cuore<br />

sia delle variazioni del postcarico.<br />

Una particolare attenzione deve essere prestata alla valutazione<br />

della funzione sistolica ventricolare sinistra nelle patologie<br />

aritmiche, sia per svelare la presenza di eventuali tachicardiopatie<br />

sia per individuare il farmaco antiaritmico più idoneo<br />

al caso specifico e monitorarne l’effetto. Una grave ipocinesia<br />

ventricolare sinistra è in grado di condizionare in modo determinante<br />

l’uso di farmaci con potenzialità inotrope negative.<br />

Tutte le informazioni emodinamiche e funzionali che potremo<br />

ottenere da un completo esame ecocardiografico dovranno<br />

condurre non solo una diagnosi cardiologica completa ma<br />

anche ad una corretta, equilibrata e ragionata terapia.<br />

Lo studio della morfologia valvolare permette di descrivere<br />

e stadiare la patologia degenerativa mixomatosa acquisendo<br />

informazioni preziose anche prima dello sviluppo delle<br />

conseguenze emodinamiche e funzionali.<br />

La valutazione ed il monitoraggio della patologia degenerativa<br />

mitralica, infatti, non può prescindere dall’entità del<br />

danno valvolare oltre che ovviamente da tutta quella serie di<br />

parametri morfologici (volumi diastolici e sistolici, diametri<br />

atriali ecc) ed emodinamici che ne caratterizzano la fisiopatologia<br />

(gradiente di rigurgito atriale, pattern mitralico, condizione<br />

dell’eiezione cardiaca ecc).<br />

Lo studio dei gradienti valvolari di rigurgito mitralico e tricuspidale<br />

consente di ottenere informazioni sulle condizioni<br />

pressorie sia della circolazione sistemica che della circolazione<br />

polmonare svelando condizioni ipertensive sia a carattere<br />

sistemico che polmonare. Incrementi pressori ventricolari<br />

destri (pressione ventricolare destra) esprimono, in assenza di<br />

ostruzioni del tratto di efflusso, aumenti delle resistenze del<br />

circolo polmonare e quindi permettono di svelare alterazioni<br />

vascolari del letto polmonare (broncopneumopatie croniche,<br />

tromboembolismi, patologie polmonari costrittive ecc.)<br />

Un esame ecocardiografico ben eseguito può risultare, pertanto,<br />

un utile mezzo diagnostico per individuare o meglio<br />

sospettare l’esistenza di patologie a carattere sistemico o<br />

distrettuale con coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare.<br />

Le informazioni ottenibili dall’esame ecocardiografico<br />

saranno tanto più utili quanto più l’esame verrà eseguito con<br />

criteri di rigore metodologico. L’accuratezza e la completezza<br />

sono elementi essenziali non solo per la valutazione diagnostica<br />

ma e soprattutto per quell’insieme di informazioni<br />

funzionali che condizionano l’esito o comunque l’ottimizzazione<br />

della terapia.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 63<br />

Somministrazione di farmaci per via inalatoria<br />

nel cane e nel gatto<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Le terapie inalatorie trovano largo impiego in medicina<br />

umana, ma sono utilizzate meno frequentemente in quella<br />

veterinaria. È interessante notare che la maggior parte degli<br />

studi sulla terapia per inalazione pubblicati in medicina veterinaria<br />

è focalizzata sull’ippiatria. I vantaggi della somministrazione<br />

dei farmaci per inalazione sono dati dalla riduzione<br />

degli effetti collaterali sistemici quando i principi attivi<br />

vengono applicati direttamente sui tessuti respiratori bersaglio,<br />

dalle più elevate concentrazioni farmacologiche che si<br />

riescono a raggiungere a livello dei tessuti bersaglio rispetto<br />

a quelle che si possono ottenere attraverso la somministrazione<br />

sistemica, dalla rapidità dell’insorgenza dell’azione e<br />

dalla possibilità di evitare il metabolismo epatico di primo<br />

passaggio. Le terapie inalatorie sono diventate quelle d’elezione<br />

per il trattamento dell’asma nell’uomo, in gran parte<br />

perché il loro uso, in contrapposizione ai trattamenti sistemici,<br />

determina un numero di gran lunga minore di effetti<br />

collaterali a carico dell’intero organismo.<br />

Naturalmente, la via di somministrazione inalatoria non è<br />

perfetta. Una delle principali funzioni dei sistemi di difesa<br />

respiratori è quello di impedire l’arrivo di particelle nelle vie<br />

aeree più profonde. L’efficienza dell’eliminazione di tali<br />

particelle significa che solo una piccola percentuale del farmaco<br />

somministrato arriva alle vie aeree profonde, mentre<br />

gran parte va perduta nel sistema di erogazione o nell’orofaringe.<br />

I mezzi di somministrazione del farmaco sono stati<br />

studiati per l’impiego nell’uomo su base volontaria e parecchi<br />

richiedono che il paziente respiri deliberatamente e trattenga<br />

il fiato. Inoltre, la profondità e la frequenza del respiro,<br />

il volume tidalico e la velocità di flusso aereo sono tutti<br />

fattori che influiscono sull’apporto del farmaco mediante<br />

aerosol e che possono essere ostacolati dalle malattie respiratorie.<br />

I farmaci stessi o i conservanti contenuti nelle preparazioni<br />

impiegate possono causare un’irritazione delle vie<br />

aeree ed un’eventuale broncocostrizione.<br />

Esistono due categorie principali di mezzi studiati per<br />

apportare farmaci mediante aerosolizzazione e successiva<br />

inalazione. Si tratta dei nebulizzatori e degli erogatori predosati<br />

(MDI, metered dose inhaler). Sono due metodi molto<br />

differenti, con impieghi diversi. In generale, i nebulizzatori<br />

apportano particelle molto più piccole consentendo una<br />

penetrazione più profonda nelle vie respiratorie ed erogando<br />

fluidi insieme al farmaco. L’uso per la terapia inalatoria è<br />

previsto in caso di malattia sistemica e di affezione respiratoria.<br />

Recentemente, per il trattamento del diabete mellito<br />

nell’uomo, è stata approvata un’insulina da inalazione. L’apporto<br />

mediante aerosol è stato utilizzato anche per la chemioterapia<br />

mirata dei tumori polmonari metastatici e prima-<br />

ri per la somministrazione di vaccini, per la terapia genica e<br />

persino per il trattamento dell’ipertensione polmonare.<br />

Nebulizzatori<br />

I nebulizzatori impiegano dei compressori per generare<br />

delle pressioni aeree e delle velocità di flusso relativamente<br />

elevate; si ha una modificazione del sistema di base per<br />

migliorare l’apporto o modulare le dimensioni delle particelle.<br />

I nebulizzatori standard si trovano come strumenti di<br />

dimensioni portatili e di costo moderato, certamente adatto<br />

all’impiego negli ospedali veterinari e persino per l’uso a<br />

casa da parte dei proprietari (ad es., Nebulair Veterinary Portable<br />

Ultrasonic Nebulizer ® , DVD Pharmaceuticals, e molti<br />

prodotti portatili reperibili sul mercato per uso umano).<br />

In medicina veterinaria, l’uso predominante dei nebulizzatori<br />

è quello per il trattamento delle infezioni respiratorie.<br />

I nebulizzatori sono stati a lungo utilizzati per garantire l’umidificazione<br />

delle vie aeree o somministrare agenti antimicrobici<br />

direttamente nel tratto respiratorio. Per la terapia di<br />

animali con infezioni respiratorie è stata anche utilizzata la<br />

nebulizzazione di agenti mucolitici (ad es., N-acetilcisteina).<br />

La nebulizzazione di soluzione fisiologica sterile senza farmaci<br />

antimicrobici per 15-30 minuti alla volta, effettuata 3-<br />

4 volte al giorno, è priva di rischi e, secondo l’impressione<br />

dell’autore, costituisce una terapia utile per la polmonite. Ci<br />

sono farmaci antimicrobici che non contengono additivi<br />

potenzialmente reattivi o conservanti realizzati specificamente<br />

per la nebulizzazione nei pazienti umani con polmonite,<br />

ma sono costosi. I veterinari talvolta effettuano la nebulizzazione<br />

di antibiotici aminoglicosidici per uso paraenterale.<br />

Non esistono linee guida ben stabilite per il dosaggio, ma<br />

la posologia da impiegare tipicamente per via sistemica viene<br />

diluita in soluzione fisiologica e nebulizzata nell’arco di<br />

una singola sessione di 15-30 minuti. Il 5-10% dei pazienti<br />

può manifestare una broncocostrizione. Quindi, è possibile<br />

somministrare dei broncodilatatori per via paraenterale 15<br />

minuti prima della nebulizzazione, oppure ricorrendo ad un<br />

periodo iniziale di nebulizzazione aggiungendo direttamente<br />

il broncodilatatore al fluido nebulizzato prima del farmaco<br />

antimicrobico. La somministrazione di antimicrobici non<br />

sostituisce il loro impiego in forma sistemica negli animali<br />

con polmonite.<br />

La nebulizzazione si può effettuare mediante maschera<br />

facciale, tenda, contenitore chiuso (tipo acquario, nel quale<br />

si colloca l’animale) o sonda da tracheotomia. L’apparecchio<br />

deve essere tenuto meticolosamente pulito per evitare di cau-


64 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

sare un’infezione respiratoria iatrogena. La nebulizzazione<br />

di uno Pseudomonas nosocomiale, ad esempio, potrebbe<br />

avere conseguenze devastanti in un animale con funzione<br />

respiratoria compromessa.<br />

Erogatori predosati<br />

Gli erogatori predosati (MDI, metered dose inhaler) sono<br />

studiati per l’impiego a casa e rappresentano la via d’elezione<br />

per somministrare glucocorticoidi e broncodilatatori nei<br />

pazienti umani con asma. Vengono anche utilizzati per il<br />

trattamento di gatti con malattie broncopolmonari (ad es.,<br />

asma) e cani con bronchite cronica. Le particelle apportate<br />

attraverso gli MDI sono più grandi di quelle ottenute per<br />

nebulizzazione e quindi non penetrano altrettanto profondamente.<br />

Un MDI è formato da un raccordo boccale ed un<br />

azionatore (struttura di sostegno) nel quale è inserito un contenitore<br />

di farmaco. Premendo manualmente su quest’ultimo<br />

si provoca il rilascio di una singola dose di prodotto. I<br />

pazienti umani agitano il contenitore, effettuano un’esalazione<br />

profonda, inseriscono il raccordo boccale e simultaneamente<br />

schiacciano il contenitore ed inalano profondamente.<br />

Quindi, trattengono il fiato, esalano, si sciacquano la<br />

bocca e sputano per eliminare la maggior parte del farmaco<br />

che si è depositato nell’orofaringe (solo il 10% circa di ogni<br />

dose raggiunge le vie aeree).<br />

L’adattamento degli MDI per l’impiego negli animali è<br />

stato consentito dalla messa a punto di dispositivi detti<br />

distanziatori. Questi dispositivi non sono stati studiati per<br />

l’uso veterinario, ma piuttosto per i bambini molto giovani,<br />

gli anziani o gli altri soggetti con un livello di coordinazione<br />

inferiore a quello ideale. I distanziatori hanno anche il<br />

vantaggio di permettere alle particelle più grandi di cadere<br />

fuori e non penetrare nella bocca del paziente. Ne sono disponibili<br />

parecchi tipi, da semplici tubi a strutture dotate di<br />

camere di tenuta (holding chambers) con valvole ad una via<br />

attivate dall’inalazione.<br />

Sino a non molto tempo fa, tutti gli MDI utilizzavano clorofluorocarboni<br />

come propellenti. Le preoccupazioni relative<br />

allo strato di ozono hanno portato allo sviluppo di nuove<br />

tecnologie, che comprendono propellenti alternativi e l’impiego<br />

di inalatori a polvere secca (DPI, dry powder inhaler).<br />

Gli apparecchi DPI non contengono propellenti, ma si basano<br />

sull’inalazione del paziente attraverso un serbatoio che<br />

contiene la dose sotto forma di polvere secca. Questi strumenti<br />

probabilmente risulteranno meno utili in medicina<br />

veterinaria, perché non prevedono l’impiego di un distanzia-<br />

tore e richiedono l’inalazione volontaria ad una certa frequenza<br />

per assicurare l’apporto del farmaco.<br />

Per i pazienti veterinari, l’impiego più comune degli MDI<br />

è l’apporto di corticosteroidi (ad es., fluticasone propionato;<br />

Flovent 110 o 220 µg/attivazione) o broncodilatatori come<br />

l’albuterolo (ad es., Ventolin o Proventil 90 µg/attivazione).<br />

Non tutti gli MDI si adattano a tutti i distanziatori, per cui è<br />

importante assicurarsi che lo strumento funzioni con l’MDI<br />

prescritto. Ci sono dei distanziatori realizzati specificamente<br />

per uso veterinario (Aerokat ® ; aerokat.com) o altri per uso<br />

umano che possono essere adattati alla medicina veterinaria.<br />

Per esperienza dell’autore, pochi proprietari trovano difficoltà<br />

a somministrare i farmaci da inalazione in questo<br />

modo. In realtà, molti proprietari hanno commentato che la<br />

terapia con aerosol è di gran lunga più semplice che “dare<br />

delle pillole” al loro gatto.<br />

Non esistono studi scientifici che descrivano l’efficacia<br />

degli steroidi o dell’albuterolo somministrati mediante<br />

MDI negli animali. È stato pubblicato soltanto un singolo<br />

studio che dimostra la capacità di apportare particelle alle<br />

vie aeree profonde nei gatti coscienti e non sedati attraverso<br />

aerosol; in questo studio è stato utilizzato un nebulizzatore<br />

studiato per ottenere particelle più piccole (e di conseguenza<br />

capaci di penetrare più profondamente) rispetto<br />

agli MDI. A causa delle molte domande che ancora circondano<br />

l’efficacia della somministrazione mediante MDI,<br />

questi farmaci devono essere utilizzati come trattamenti<br />

collaterali negli animali che presentano segni di malattia<br />

molto lievi. L’impiego concomitante di steroidi da inalazione<br />

e sistemici può consentire di ridurre al minimo i<br />

dosaggi sistemici. Una volta posti sotto controllo i segni<br />

clinici, si può tentare di provare a ricorrere all’impiego<br />

concomitante di farmaci aerosolizzati e agenti sistemici.<br />

Letture consigliate<br />

Schulman RL, et al. Investigation of pulmonary deposition of a nebulized<br />

radiopharmaceutical agent in awake cats. Am J Vet Res. 65(6):806-<br />

809. 2004.<br />

Pongracic JA. Asthma medications and how to use them. Curr Opin Pul<br />

Med. 6(1):55-8, 2000.<br />

Padrid P. Feline asthma: diagnosis and treatment. Vet Clin N Am. 30(6);<br />

1279-1294, 2000.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 65<br />

Approccio diagnostico alle malattie polmonari<br />

(Prima parte)<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Per la diagnosi delle pneumopatie negli animali sono disponibili<br />

molte tecniche. Prima di decidere quali siano quelle<br />

più appropriate, la prima domanda da porsi deve essere se<br />

la malattia polmonare è presente o meno. Le affezioni respiratorie<br />

extrapolmonari, i disordini neurologici, gli squilibri<br />

acido-basici, le malattie metaboliche ed endocrine possono<br />

simulare una pneumopatia. L’anamnesi e l’esame clinico<br />

rappresentano la chiave per la localizzazione della malattia<br />

al parenchima dell’organo. Inoltre, i risultati degli esami di<br />

laboratorio di routine, come l’emocromocitometrico completo,<br />

il profilo biochimico, l’analisi delle urine, gli esami<br />

coprologici e persino i test sierologici, contribuiscono ad<br />

escludere le cause non polmonari di malattia e, occasionalmente,<br />

a identificare una specifica diagnosi polmonare. Esiste<br />

una varietà di metodologie analitiche in grado di fornire<br />

informazioni direttamente rilevanti per la pneumopatia.<br />

Questi test sono rappresentati da studi funzionali, diagnostica<br />

per immagini e visualizzazione diretta delle vie aeree,<br />

nonché da studi invasivi per prelevare campioni da destinare<br />

agli esami citologici e microbiologici.<br />

VALUTAZIONE FUNZIONALE<br />

L’ossigenazione viene valutata attraverso l’osservazione<br />

del colore delle mucose, la misurazione della tensione arteriosa<br />

di ossigeno o quella della saturazione di ossigeno dell’emoglobina.<br />

Si ha l’ipossiemia quando la tensione arteriosa<br />

di ossigeno cade al di sotto dell’85%. L’osservazione delle<br />

mucose per rilevare la presenza di cianosi è un metodo<br />

sicuro, non invasivo ed a costo zero, ma è poco sensibile. La<br />

cianosi non si manifesta prima che la paO 2 sia scesa al 50%<br />

o meno. Poiché il colore cianotico delle mucose dipende da<br />

una quantità assoluta di emoglobina non saturata, gli animali<br />

anemici possono anche non diventare mai cianotici.<br />

La misurazione dei gas ematici arteriosi è un modo più sensibile<br />

per rilevare l’ipossiemia. La misurazione della paO 2<br />

consente di valutare l’ipossiemia e la necessità di un’integrazione<br />

di supporto con ossigeno. Può essere utilizzata per<br />

monitorare la risposta alla terapia ed è in grado di dimostrare<br />

la discrepanza fra ventilazione e perfusione quando il gradiente<br />

alveolare-arterioso è aumentato ([(150-PaCo 2) – PaO 2]<br />

> 20). Ulteriori utili informazioni fornite dall’emogasanalisi<br />

sono lo status acidobasico e la valutazione della ventilazione.<br />

Poiché il sangue arterioso prelevato per la misurazione dei gas<br />

ematici deve essere esaminato rapidamente, è necessaria<br />

un’apparecchiatura speciale. La presenza di una coagulopatia<br />

costituisce una controindicazione relativa.<br />

La pulsossimetria valuta il contenuto di ossiemoglobina dei<br />

tessuti perfusi e può venire utilizzata per stabilire la necessità<br />

di una ossigenoterapia e la risposta ad essa. È totalmente non<br />

invasiva, priva di rischi e dai costi accettabili per tutti. I risultati<br />

sono quasi immediati ed è possibile effettuarne il monitoraggio<br />

continuo. Si possono avere delle interferenze dovute al<br />

movimento, al posizionamento della sonda e ad altri fattori.<br />

La SpO 2 normale deve essere > 95%. Una SpO 2 del 90% è<br />

grossolanamente equivalente ad una PaO 2 del 60%, ma l’informazione<br />

generata dalla pulsossimetria non è identica a<br />

quella che si ha con l’emogasanalisi arteriosa.<br />

Gli autentici test di funzione polmonare valutano la capacità<br />

di muovere aria e scambiare gas. Le tecniche impiegate<br />

sono rappresentate da TBFVL (tidal breathing flow-volume<br />

loops, anse flusso-volume della respirazione tidalica)<br />

pletismografia, spirometria, capnografia ed altre. Questi tipi<br />

di test sono ampiamente utilizzati in medicina umana, ma<br />

raramente in quella veterinaria. I test di funzione polmonare<br />

richiedono apparecchiature specializzate e molte delle<br />

misurazioni più importanti non possono essere effettuate<br />

negli animali consci. La capnografia gode di un’ampia diffusione<br />

in medicina veterinaria per valutare la concentrazione<br />

del biossido di carbonio nel fiato come misura dell’ipoventilazione<br />

e dello spazio morto fisiologico nei pazienti<br />

anestetizzati o ventilati.<br />

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI<br />

Il metodo più utile per la valutazione degli animali con<br />

pneumopatia è la radiografia. Si tratta di una tecnica semplice,<br />

sicura ed economicamente conveniente, che offre una<br />

quantità enorme di potenziali informazioni e riconosce come<br />

unica controindicazione la grave dispnea. Le immagini possono<br />

essere conservate a tempo indefinito, permettendo il<br />

consulto da parte di esperti. Per poter essere apprezzate, le<br />

lesioni devono avere delle dimensioni superiori ad un limite<br />

minimo e per poter essere visualizzate le alterazioni devono<br />

presentare delle differenze di radiopacità rispetto al tessuto<br />

circostante. Uno degli svantaggi è la radioesposizione.<br />

La radiografia richiede attenzione per i dettagli e la tecnica.<br />

Le metodiche appropriate per l’esame dei polmoni<br />

richiedono una scala di grigi più ampia (cioè MAS brevi e<br />

KVP elevati). Una ripresa troppo scura o troppo chiara può<br />

facilmente occultare le lesioni. Il posizionamento deve consentire<br />

di riprendere l’intero torace. Le immagini inspiratorie<br />

sono le più adatte alla valutazione del parenchima polmonare,<br />

ma per dimostrare un collasso delle vie aeree intra-


66 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

toraciche può essere necessario effettuare delle riprese sia<br />

inspiratorie che espiratorie. Quando si cerca di dimostrare la<br />

presenza di effetti massa a livello polmonare bisogna ottenere<br />

delle immagini sia in posizione laterolaterale destra e sinistra<br />

che DV o VD, perché il polmone più declive risulta<br />

abbastanza compresso. La radiografia computerizzata o<br />

digitale utilizza quantità di radiazioni minori e visualizza i<br />

quadri riscontrati sullo schermo di un computer. È possibile<br />

regolare il contrasto e la luminosità e le immagini possono<br />

essere condivise immediatamente via internet oppure stampate<br />

su pellicola radiografica.<br />

L’interpretazione delle radiografie del torace inizia con la<br />

valutazione del posizionamento e della tecnica di ripresa. Si<br />

esaminano le strutture extrapolmonari. Passando poi all’osservazione<br />

dei campi polmonari, è necessario rilevare il tipo<br />

di trama presente (alveolare, bronchiale, interstiziale, vascolare<br />

o loro combinazioni), la localizzazione delle aree caratterizzate<br />

da queste trame, la loro distribuzione (asimmetrica<br />

o simmetrica) e la loro intensità. Altri riscontri importanti<br />

sono rappresentati da bronchiectasie, pneumotorace, versamento<br />

pleurico, ernia diaframmatica, masse patologiche,<br />

bolle o cisti, megaesofago o corpi estranei toracici. L’assenza<br />

di anomalie radiografiche in un animale con segni respiratori<br />

non permette di escludere definitivamente una malattia<br />

polmonare. I noduli metastatici possono essere troppo<br />

piccoli per essere identificati. Le lesioni infiammatorie<br />

recenti possono risultare invisibili ed il tromboembolismo<br />

(PTE) può non causare alterazioni radiografiche.<br />

L’ecografia ha un’utilità limitata in medicina polmonare<br />

perché l’aria è un mezzo estremamente sfavorevole per la<br />

trasmissione delle onde sonore. Questa tecnica di diagnostica<br />

per immagini viene utilizzata per esaminare le masse<br />

patologiche polmonari, i lobi epatizzati e la pervietà vascolare<br />

e per guidare l’aspirazione di campioni dalle lesioni.<br />

Può anche consentire di escludere malattie cardiache, pleuriche<br />

e mediastiniche. L’ecografia è ampiamente disponibile<br />

e sicura e non determina esposizione a radiazioni. Dipende<br />

molto dall’abilità dell’operatore e richiede il contenimento<br />

dell’animale.<br />

La tomografia computerizzata (TC) è lo standard aureo<br />

per l’individuazione delle metastasi polmonari. Può essere<br />

utilizzata per rilevare lesioni vascolari o dimostrare la localizzazione<br />

e l’estensione di lesioni parenchimatose, interstiziali<br />

e bronchiali. La TC fornisce eccellenti dettagli per le<br />

relazioni anatomiche e può essere utilizzata per guidare prelievi<br />

per aspirazione e biopsie. L’uso di un mezzo di contrasto<br />

permette la valutazione delle strutture vascolarizzate. A<br />

differenza della radiografia convenzionale, la TC richiede<br />

una sedazione profonda o l’anestesia generale e le apparecchiature<br />

sono più costose (benché stiano diventando sempre<br />

più accessibili). Esistono vari tipi di TC, ognuno con carat-<br />

teristiche esclusive per quanto riguarda gli impieghi ideali, i<br />

vantaggi e gli svantaggi. Le tecniche di diagnostica per<br />

immagini specializzate che trovano un certo impiego in<br />

medicina polmonare sono la fluoroscopia, l’angiografia, la<br />

scintigrafia, la risonanza magnetica e la tomografia ad emissione<br />

di positroni. La familiarità con l’utilità di queste tecniche<br />

permette di inviare i casi ai centri più appropriati.<br />

VISUALIZZAZIONE<br />

Tutte le forme di visualizzazione diretta dei polmoni e<br />

delle vie aeree sono in qualche misura invasive. La broncoscopia<br />

permette l’introduzione di una sonda nelle vie<br />

aeree. In questo modo è possibile valutare le condizioni<br />

della mucosa, le quantità di muco, la presenza di emorragia,<br />

l’integrità strutturale delle vie aeree stesse, la presenza<br />

di masse patologiche o corpi estranei. Inoltre, la broncoscopia<br />

può essere utilizzata per guidare il prelievo di campioni<br />

da destinare agli esami colturali e citologici e per<br />

rimuovere materiali estranei.<br />

La broncoscopia permette la valutazione separata dei differenti<br />

lobi polmonari. Richiede un’anestesia generale e<br />

determina l’occlusione del lume delle vie aeree. La somministrazione<br />

di ossigeno supplementare attraverso il condotto<br />

da biopsia dell’endoscopio o tramite un catetere fatto passare<br />

accanto allo strumento può minimizzare l’ipossiemia. La<br />

tecnica richiede un’apparecchiatura speciale ed un certo grado<br />

di esperienza. La difficoltà respiratoria costituisce un’indicazione<br />

relativa, ma non assoluta, per la broncoscopia.<br />

Il parenchima polmonare può venire visualizzato direttamente<br />

mediante toracotomia o toracoscopia. Entrambe queste<br />

metodiche sono invasive, ma consentono la biopsia tissutale<br />

indiretta e l’asportazione del tessuto polmonare anormale.<br />

La toracoscopia può permettere tempi di recupero più<br />

brevi ma, richiede apparecchiature specializzate ed un certo<br />

grado di esperienza. Queste tecniche verranno ulteriormente<br />

citate nella parte II.<br />

Letture consigliate<br />

Textbook of Veterinary Diagnostic Radiology. Thrall D, editor. 4th ed.<br />

Saunders (Elsevier), 2002.<br />

Textbook of Respiratory Disease in Dogs and Cats. King LG, editor. 1st edition,<br />

Missouri, Saunders (Elsevier), 2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 67<br />

Approccio diagnostico alle malattie polmonari<br />

(Seconda parte)<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Esistono diversi modi per prelevare campioni dalle vie aeree<br />

profonde da destinare alla valutazione citologica ed alle colture<br />

microbiologiche. Il materiale prelevato deve essere manipolato<br />

rapidamente e delicatamente per evitare di danneggiare le<br />

cellule. I liquidi di lavaggio devono essere lasciati sedimentare<br />

per poi allestire delicatamente uno striscio e lasciar asciugare<br />

all’aria il preparato. Le colture devono essere di tipo quantitativo,<br />

perché le vie aeree non sono necessariamente sterili. È<br />

importante interpretare i risultati degli esami colturali alla luce<br />

dei riscontri citologici, perché la crescita batterica in assenza di<br />

infiammazione può essere priva di importanza. Quando si<br />

richiedono colture anaerobiche o le ricerca di Mycoplasma<br />

spp. o miceti, è necessario formulare richieste specifiche e/o<br />

manipolare il campione in modo particolare.<br />

TECNICHE DI CAMPIONAMENTO<br />

Il lavaggio tracheale è indicato per la diagnosi delle malattie<br />

delle vie aeree di grosso calibro e per prelevare campioni<br />

microbiologici e citologici negli animali con polmonite produttiva.<br />

È raramente utile per la diagnosi della pneumopatia<br />

interstiziale. Si tratta di una tecnica relativamente sicura, semplice,<br />

economica, che non richiede apparecchiature speciali.<br />

Il lavaggio orotracheale è preferibile per i cani ed i gatti di<br />

piccola taglia. Richiede una breve anestesia generale ma è di<br />

semplice esecuzione e le complicazioni sono rare. Dopo aver<br />

intubato l’animale, si fa avanzare un catetere di gomma sterile<br />

attraverso il tubo orotracheale fino a spingerne la punta<br />

a livello della biforcazione della trachea (circa il quarto spazio<br />

intercostale). Si iniettano 5 ml di soluzione fisiologica<br />

sterile che vengono poi rapidamente riaspirati. La procedura<br />

si ripete due o tre volte. Non appena si riescono ad ottenere<br />

campioni diagnostici adeguati (1-2 ml di fluido torbido), si<br />

sospende l’anestesia. Si somministra ossigeno attraverso il<br />

tubo orotracheale fino alla ricomparsa del riflesso laringeo,<br />

dopo di che si tiene sotto osservazione l’animale.<br />

Il lavaggio transtracheale viene impiegato al posto di quello<br />

orotracheale nei cani di mole maggiore e non richiede l’anestesia.<br />

Si pratica un’iniezione sottocutanea di lidocaina e<br />

talvolta una lieve sedazione. Le rare complicazioni comprendono<br />

lacerazioni tracheali, enfisema sottocutaneo, pneumomediastino,<br />

ed eventualmente la formazione di un corpo<br />

estraneo tracheale in caso di distacco della punta del catetere.<br />

Il cane viene contenuto in posizione seduta e con il naso<br />

inclinato verso il soffitto con un’angolazione di 45°. Si tosa e<br />

pulisce la parte ventrale del collo e si inietta una piccola<br />

quantità di lidocaina, in modo da formare un piccolo pomfo.<br />

Si utilizza un catetere giugulare “ad ago esterno”. L’inserimento<br />

dell’ago può venire effettuato fra due anelli tracheali<br />

qualsiasi, a seconda della lunghezza del catetere, per consentire<br />

di arrivare fino alla biforcazione della trachea. Quest’ultima<br />

viene afferrata e stabilizzata, per poi inserire l’ago (con<br />

la bietta verso il basso) passando dapprima attraverso il pomfo<br />

cutaneo di lidocaina e poi fra gli anelli cartilaginei con un<br />

rapido movimento di spinta. L’ago viene tenuto verso il basso<br />

nel lume tracheale ed attraverso di esso si fa avanzare il<br />

catetere. Il cane deve tossire piuttosto che avere dei conati.<br />

Non bisogna MAI ritirare il catetere attraverso l’ago, perché<br />

potrebbe venire reciso dalla bietta di quest’ultimo. Una volta<br />

che il catetere ha raggiunto il livello della biforcazione della<br />

trachea, l’ago viene sfilato, mentre la sonda viene immobilizzata<br />

in posizione con una pinza. Si raccorda al catetere una<br />

siringa contenente 5-8 ml di soluzione fisiologica sterile che<br />

vengono iniettati rapidamente. Se il cane non riesce a tossire,<br />

un assistente esegue il coupage del torace. Quindi, si riaspira<br />

rapidamente il fluido. Questa operazione viene ripetuta<br />

parecchie volte al fine di recuperare solo una piccola frazione<br />

del fluido iniettato (1-2 ml). Dopo la rimozione dell’ago e<br />

del catetere il collo viene protetto con un bendaggio lento ed<br />

il cane viene tenuto sotto osservazione.<br />

Il lavaggio broncoalveolare (BAL) è indicato per la valutazione<br />

diagnostica delle vie aeree di piccolo calibro e delle<br />

alveolopatie e, talvolta, delle pneumopatie interstiziali. I campioni<br />

ottenuti mediane BAL derivano dalle aree più profonde<br />

del polmone e dai tratti distali delle vie aeree (come è dimostrato<br />

dalla presenza di surfactante schiumoso). Si tratta di<br />

campioni eccellenti per la valutazione citologica e microbiologica,<br />

ma il BAL richiede l’anestesia generale, causa un’ipossiemia<br />

transitoria e può indurre broncospasmo. La difficoltà<br />

respiratoria costituisce una controindicazione relativa.<br />

Il BAL si può effettuare con un metodo alla cieca o sotto<br />

guida broncoscopica. Il metodo alla cieca non richiede alcuna<br />

apparecchiatura speciale ed è semplice ed economico.<br />

Quello sotto guida endoscopica permette di effettuare il<br />

lavaggio di aree specifiche del polmone ed anche di eseguire<br />

l’osservazione diretta delle vie aeree, ma richiede apparecchiature<br />

speciali ed esperienza. Il BAL alla cieca è più<br />

utile per le pneumopatie generalizzate (ad es., asma). Come<br />

nel lavaggio orotracheale, l’animale viene anestetizzato e<br />

preventivamente ossigenato per poi introdurre una sonda sterile<br />

nel tubo orotracheale. Invece di un catetere di gomma, si<br />

impiega un catetere rigido in polipropilene (7-8 Fr per i gatti)<br />

spingendolo oltre la biforcazione della trachea fino a che<br />

non incontra resistenza, che indica che si è incuneato in un<br />

bronco. Non c’è modo di guidare lo strumento in un bronco


68 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

specifico, e neppure in uno specifico lobo polmonare. Si<br />

inietta la soluzione fisiologica sterile e la si recupera nello<br />

stesso modo del lavaggio orotracheale. Il recupero del liquido<br />

può essere facilitato dall’uso di un aspiratore di muco. Il<br />

riscontro di un fluido schiumoso indica la presenza di un<br />

surfactante, che denota un lavaggio di buona qualità. Durante<br />

il risveglio dall’anestesia bisogna somministrare un’integrazione<br />

con ossigeno ed i gatti vanno trattati con un broncodilatatore.<br />

Il BAL sotto guida broncoscopica utilizza l’endoscopio<br />

per prelevare campioni guidati da specifici lobi<br />

polmonari ed è quindi la soluzione d’elezione nelle malattie<br />

a carattere regionale. Invece di impiegare un catetere, si<br />

introduce l’endoscopio stesso in una via aerea distale e lo si<br />

usa sia iniettare che per prelevare il fluido. È possibile tenere<br />

separate le aliquote derivanti dai differenti lobi.<br />

I campioni ottenuti mediante spazzolatura bronchiale sterile<br />

possono venire utilizzati sia per gli esami colturali che<br />

per quelli citologici delle vie aeree e si possono prelevare<br />

alla cieca o sotto guida broncoscopica. I campioni, che sono<br />

molto più piccoli di quelli che si ottengono con il BAL, sono<br />

utili soltanto in caso di affezioni delle vie aeree o alveolopatie<br />

produttive. La spazzola stessa è costosa, il che rende questa<br />

procedura più dispendiosa del BAL. L’unico vantaggio<br />

rispetto a quest’ultimo è che la rapidità dell’operazione non<br />

determina un’ipossiemia.<br />

L’aspirazione transtoracica del polmone mediante ago (sottile)<br />

è utile soprattutto per la valutazione citologica di noduli<br />

polmonari, epatizzazioni o masse o pneumopatie gravi e diffuse.<br />

La citologia può confermare una neoplasia o un’infezione,<br />

ma i campioni molto piccoli sono spesso privi di valore diagnostico.<br />

Le controindicazioni sono rappresentate da coagulopatia,<br />

ascesso, ipertensione polmonare e lesioni cistiche. L’ideale<br />

è effettuare l’aspirazione sotto la guida di tecniche di diagnostica<br />

per immagini, ma se la malattia è diffusa, ci si dirige<br />

ai lobi caudali. L’aspirazione richiede solo il contenimento<br />

manuale ed è rapida, semplice ed economica. Attraverso la<br />

cute, caudalmente alla sede dove si intende effettuare il prelievo,<br />

si inserisce un ago da 22 G raccordato ad una siringa. L’ago<br />

viene fatto avanzare nel tessuto sottocutaneo sino alla zona<br />

situata davanti alla costola successiva e poi rapidamente inserito<br />

attraverso i muscoli intercostali nel parenchima polmonare.<br />

Si esercita più volte sulla siringa una pressione negativa in<br />

rapida successione, senza muovere l’ago. Questo viene poi sfilato<br />

ed il materiale aspirato viene utilizzato per preparare uno<br />

striscio da destinare agli esami citologici. I campioni di solito<br />

sono inadeguati per allestire delle colture. Le complicazioni<br />

sono rare ma possono comprendere pneumotorace, emotorace,<br />

emorragia e lacerazioni di organi, vasi o nervi.<br />

PRELIEVO DI CAMPIONI ISTOLOGICI<br />

La biopsia polmonare si utilizza quando i metodi meno<br />

invasivi non riescono a portare ad una diagnosi e può essere<br />

associata a lobectomia nei casi in cui è colpito un singolo<br />

lobo. La biopsia è particolarmente utile nella diagnosi<br />

delle pneumopatie interstiziali. Solo questo tipo di esame<br />

può fornire informazioni sull’architettura del polmone,<br />

compresa la fibrosi. Esistono parecchie tecniche, ma sono<br />

tutte invasive e richiedono l’anestesia. Comprendono la<br />

toracotomia aperta (ventrale o laterale), la keyhole surgery<br />

o la toracoscopia. Le coagulopatie e l’intolleranza agli anestetici<br />

costituiscono delle controindicazioni relative a qualsiasi<br />

tipo di biopsia polmonare. Le complicazioni sono rappresentate<br />

da lacerazioni, emorragie e pneumotorace, nonché<br />

dall’infezione del sito operato.<br />

La toracotomia consente di sottoporre i tessuti ad una<br />

valutazione ottimale mediante ispezione e palpazione,<br />

nonché di controllare al meglio l’emorragia o le perdite<br />

bronchiali. Rappresenta l’intervento d’elezione se si prevede<br />

l’asportazione di un lobo. È la procedura più costosa<br />

ed invasiva e comporta la più lunga fase di recupero postoperatorio.<br />

La toracotomia laterale mediante keyhole surgery utilizza<br />

un’incisione molto più piccola e richiede meno anestesia e<br />

un minor tempo di tempo di recupero; tuttavia, non consente<br />

la completa esplorazione dei polmoni e la lobectomia è<br />

più difficile quando si adotta questo approccio.<br />

La toracoscopia è meno invasiva della toracotomia, ma<br />

può richiedere un’anestesia più prolungata rispetto al metodo<br />

della biopsia con metodo keyhole. Consente la visualizzazione<br />

di gran parte della superficie polmonare, ma non è<br />

consigliata se si prevede la rimozione di un lobo. Se nel corso<br />

della toracoscopia si verifica un’emorragia, può essere<br />

necessario ricorrere alla toracotomia.<br />

Letture consigliate<br />

Textbook of Respiratory Disease in Dogs and Cats.<br />

King LG, editor. 1 st edition, Missouri, Saunders (Elsevier),<br />

2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 69<br />

Versamenti pleurici nel cane e nel gatto<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Il versamento pleurico è una causa relativamente comune<br />

di difficoltà respiratoria nel cane e nel gatto. Entrambe le<br />

specie animali sono colpite da una gran varietà di tipi di versamento,<br />

con numerose cause e prognosi variabili. Il versamento<br />

pleurico può venire scoperto incidentalmente oppure<br />

causare difficoltà respiratoria. È possibile che versamenti in<br />

quantità limitata non determinino modificazioni dell’esame<br />

clinico. In effetti, occorrono circa 10 ml di versamento per<br />

kg di peso dell’animale per determinare il riconoscimento<br />

radiografico della presenza di fluido a livello pleurico e più<br />

di 30 ml/kg per provocare un’alterazione dell’esame clinico.<br />

La difficoltà respiratoria può non essere grave fino a che non<br />

si siano accumulati oltre 50-60 ml/kg di liquido. I segni clinici<br />

correlati al versamento pleurico sono rappresentati da<br />

tachipnea, difficoltà respiratoria (principalmente all’inspirazione),<br />

respirazione superficiale, attenuazione dei suoni polmonari<br />

broncovescicolari nelle porzioni declivi del torace<br />

e/o aumento degli stessi nel resto del torace ed iporisonanza<br />

alla percussione delle porzioni declivi del torace (identificazione<br />

di una “linea di livello”). La tosse è associata raramente<br />

alle affezioni pleuriche, ma si riscontra nei casi in cui<br />

il processo patologico si estende ai polmoni o alle vie aeree,<br />

oppure quando si trasmette da queste strutture alle pleure.<br />

Poiché il versamento pleurico può essere associato a malattia<br />

sistemica, i riscontri clinici possono essere correlati ad<br />

apparati diversi da quello respiratorio, oppure fare riferimento<br />

ad una patologia respiratoria sottostante (ad es., polmonite<br />

infettiva, neoplasia polmonare).<br />

La conferma del versamento pleurico si può ottenere<br />

radiograficamente o mediante toracentesi. Gli animali che<br />

vengono portati alla visita con difficoltà inspiratoria ed attenuazione<br />

dei suoni polmonari nelle parti declivi possono<br />

essere messi in pericolo dal contenimento necessario per<br />

effettua le riprese radiografiche; in questi casi, la toracentesi<br />

può risultare una pratica salvavita, oltre a fornire informazioni<br />

diagnostiche di importanza cruciale. Anche se le<br />

radiografie vengono riprese prima per documentare il fluido<br />

pleurico, sarà comunque necessario prelevare un’aliquota<br />

del versamento per ulteriori indagini diagnostiche. L’analisi<br />

del materiale così raccolto varia con la diagnosi differenziale.<br />

In generale, i campioni devono essere destinati ad<br />

indagini chimiche e citologiche, risparmiandone delle aliquote<br />

per le colture aerobiche ed anaerobiche in caso di<br />

necessità. Altri test possono risultare appropriati a seconda<br />

dei dati relativi a segnalamento, segni clinici e manifestazioni<br />

collaterali di malattia.<br />

Il fluido pleurico può essere classificato come emorragico,<br />

trasudativo o essudativo. L’emorragia franca nello spazio<br />

pleurico nella maggior parte dei casi è associata ad un trauma<br />

o a difetti dell’emostasi secondaria (ad es., esposizione a<br />

rodenticidi antagonisti della vitamina K). I trasudati sono<br />

fluidi dalla cellularità scarsa (< 500 cellule nucleate totali<br />

[TNC]/µl), con un contenuto proteico basso (< 3 g/dl); la<br />

modificazione di questi fluidi (spesso con il tempo), può<br />

determinare sia un aumento del numero delle cellule (500-<br />

5000 TNC/µl) che del contenuto proteico (3-5 g/dl). Esiste<br />

un’enorme variabilità per quanto riguarda il tipo di essudato<br />

(ad es., natura e numero delle cellule, contenuto proteico).<br />

Fra le cause importanti dell’essudato rientrano le infezioni,<br />

le neoplasie e le distruzioni vascolari/linfatiche.<br />

Chilotorace<br />

Il chilotorace nel cane e nel gatto può essere dovuto ad<br />

insufficienza cardiaca, trauma, filariosi cardiopolmonare o<br />

granuloma toracico, ma nella maggior parte dei casi si tratta<br />

di una condizione idiopatica. La caratteristica che la definisce<br />

è che il contenuto di trigliceridi dei fluidi è più elevato di<br />

quello del siero. Quando è possibile identificare e correggere<br />

un processo patologico sottostante la prognosi è buona,<br />

mentre per il chilotorace idiopatico è riservata. Né la terapia<br />

medica né quella chirurgica hanno sempre successo. Ulteriori<br />

benefici si possono ottenere ricorrendo ad un intervento<br />

descritto recentemente che prevede la legatura del dotto<br />

toracico accompagnato da pericardectomia. Sono state<br />

descritte terapie mediche basate su una dieta povera di grassi<br />

integrata con olio contenente MCT (trigliceridi a catena<br />

media), rutina e persino octreotide, ma non sono state<br />

riscontrate percentuali di successo elevate. Il chilo stesso<br />

può essere irritante e portare ad una pleurite fibrotica.<br />

Piotorace<br />

L’infezione batterica dello spazio pleurico che porta<br />

all’accumulo di fluido purulento si riscontra sia nel cane che<br />

nel gatto. Nella specie canina, l’infezione è spesso conseguente<br />

alla penetrazione nella cavità toracica di materiali<br />

estranei, come le ariste di graminacee, mentre nel gatto il<br />

piotorace è associato ai combattimenti con i conspecifici.<br />

Spesso, non si riesce mai ad identificare alcuna causa né nel<br />

gatto (G), né nel cane (C). Gli agenti patogeni più comunemente<br />

identificati nel piotorace sono Pasteurella (G), Bacteroides<br />

(C & G), Actinomyces (C & G), Clostridium (G) e<br />

Nocardia (C); le infezioni sono spesso miste. Il fluido purulento<br />

di solito è di colore bianco, beige, rosa o rosso (cosiddetto<br />

colore di “minestra di pomodoro”) e maleodorante. In<br />

presenza di infezioni da Nocardia o Actinomyces, può contenere<br />

del materiale granulare di colore bianco o giallo (gra-


70 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

nuli zolfini). Si deve richiedere l’esame colturale del fluido<br />

sia in aerobiosi che in anaerobiosi. Gli animali con piotorace<br />

presentano di solito una malattia sistemica e possono<br />

essere affetti da complicazioni della sepsi. Nei soggetti con<br />

piotorace è indispensabile una terapia aggressiva con antibiotici<br />

ad ampio spettro che assicurino la copertura anche<br />

nei confronti degli anaerobi, anche se spesso non è adeguata.<br />

Il fluido purulento deve essere drenato, tenendo presente<br />

che la soluzione ideale è l’aspirazione continua. Nel cane è<br />

stato dimostrato che la toracotomia chirurgica determina dei<br />

miglioramenti ai fini della sopravvivenza<br />

Peritonite infettiva felina (FIP)<br />

La FIP deriva dalla mutazione di un coronavirus enterico<br />

in un singolo gatto. La malattia è correlata alla risposta<br />

immunitaria all’infezione e si può osservare sia in una forma<br />

essudativa che in una secca, granulomatosa. Nella forma<br />

essudativa, la flogosi piogranulomatosa incentrata intorno ai<br />

vasi porta alla fuoriuscita di un fluido ricco di proteine. Il<br />

versamento si può verificare nella cavità peritoneale e/o nello<br />

spazio pleurico. I gatti mostrano frequentemente segni di<br />

malattia sistemica con febbre, iperglobulinemia e neutrofilia.<br />

Il fluido essudativo è spesso di colore paglierino chiaro<br />

o giallo e di aspetto viscoso. La reazione a catena della polimerasi<br />

eseguita sul fluido di versamento conforta, ma non<br />

conferma, la diagnosi di FIP; la PCR non è in grado di differenziare<br />

il coronavirus enterico dalla sua forma mutata e<br />

virulenta. Gli esami sierologici sono raramente utili perché<br />

possono essere negativi in un gatto infetto o positivi in uno<br />

che in realtà non è colpito dalla FIP. Lo standard aureo per<br />

la diagnosi si basa sulla biopsia tissutale, ma il riscontro delle<br />

classiche caratteristiche segnaletiche ed anamnestiche (un<br />

gatto giovane proveniente da un gattile o un rifugio), associate<br />

a segni clinici ed esiti di laboratorio compatibili con la<br />

diagnosi e ad un versamento tipico, fornisce prove convincenti<br />

della presenza della malattia. Per il trattamento si utilizzano<br />

spesso cure di supporto, immunosoppressione e terapie<br />

mediante agenti come la pentossifillina o l’IFN-omega,<br />

ma la prognosi rimane molto sfavorevole.<br />

Trasudato/trasudato modificato<br />

I trasudati sono tipicamente dovuti all’aumento della<br />

pressione idrostatica o, meno comunemente, al calo di quella<br />

oncotica. Col tempo, le cellule mesoteliali diventano proliferative<br />

e sia il contenuto proteico che quello cellulare del<br />

trasudato possono aumentare. L’incremento della pressione<br />

idrostatica fino a valori che esitano in un trasudato pleurico<br />

nella maggior parte dei casi è associato ad insufficienza cardiaca.<br />

Nel gatto, sia quella destra che quella sinistra possono<br />

causare un versamento pleurico, mentre nel cane questo<br />

effetto si ha solo con l’insufficienza cardiaca destra. Anche<br />

la diminuzione della pressione oncotica (albumina < 1,5<br />

g/dl) può determinare un trasudato pleurico. Tipicamente,<br />

l’ipoalbuminemia esita in un’ascite più intensa del versamento<br />

pleurico. La somministrazione endovenosa di fluidi<br />

in un animale con ipoalbuminemia o compromissione della<br />

funzione cardiaca può scatenare la comparsa di un versamento<br />

pleurico che non era assolutamente rilevabile prima<br />

della fluidoterapia. L’ideale è trattare i trasudati affrontando<br />

la causa sottostante.<br />

Versamento neoplastico<br />

Sia il cane che il gatto sono suscettibili alla neoplasia<br />

toracica che esita nella formazione di un versamento pleurico,<br />

benché la prevalenza di questo tipo tumorale vari con<br />

le specie. Nel gatto predominano il linfoma ed il timoma,<br />

mentre nel cane si osserva una preponderanza di carcinomi<br />

e timomi. Il mesotelioma è raro in entrambe le specie; esiste<br />

poi una varietà di altri tipi tumorali capaci di portare<br />

occasionalmente al versamento neoplastico. I giovani gatti<br />

FeLV-positivi hanno maggiori probabilità di essere colpiti<br />

da un linfoma mediastinico, ma la maggior parte degli altri<br />

tipi tumorali tende a colpire gli animali più anziani. Il liquido<br />

di versamento di per sé può essere chiaro, torbido o<br />

emorragico. Il contenuto proteico è spesso moderatamente<br />

aumentato, così come il conteggio delle cellule nucleate<br />

totali. Il tipo cellulare varia con il processo neoplastico, ma<br />

può essere molto difficile differenziare citologicamente il<br />

carcinoma, il mesotelioma o l’iperplasia mesoteliale reattiva.<br />

La terapia di supporto è associata ad un’appropriata chemio-<br />

o radioterapia per trattare la condizione neoplastica.<br />

La prognosi per la maggior parte delle cause di versamento<br />

pleurico neoplastico è sfavorevole.<br />

Bibliografia disponibile a richiesta<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 71<br />

Aggiornamento sull’asma felina<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

INTRODUZIONE<br />

L’asma felina è una delle più comuni affezioni broncopolmonari<br />

del gatto ed è responsabile di una morbilità sostanziale<br />

e una mortalità occasionale. Costituisce una risposta di<br />

ipersensibilità mediata dalle IgE nei confronti di quelli che<br />

altrimenti sarebbero aeroallergeni ambientali non pericolosi.<br />

L’esposizione ad un allergene consente la produzione di IgE<br />

allergene-specifiche. Questi anticorpi si legano alle mast cell<br />

presenti sulle superfici delle mucose respiratorie. In seguito<br />

ad una successiva esposizione agli allergeni, le IgE sulla<br />

superficie delle mast cell si legano all’allergene ed inviano<br />

un segnale intracellulare che scatena la degranulazione delle<br />

cellule. I mediatori che vengono immediatamente rilasciati<br />

dai granuli o sintetizzati in seguito all’interno delle mast cell<br />

sono i principali fattori che contribuiscono a determinare i<br />

segni clinici dell’asma. L’infiammazione delle vie aeree porta<br />

ad infiltrazione cellulare (principalmente ad opera di eosinofili),<br />

aumento della produzione di muco e broncocostrizione<br />

e determina alterazioni permanenti dell’architettura<br />

nel polmone, indicate col nome di rimodellamento delle vie<br />

aeree. Tutto ciò conduce ai segni clinici dell’asma.<br />

ASPETTO CLINICO DEL GATTO ASMATICO<br />

Qualsiasi gatto può essere colpito dall’asma, benché la<br />

condizione venga più comunemente diagnosticata nei soggetti<br />

giovani o di media età e possa essere più comune e/o<br />

grave nei soggetti di razza siamese. I segni clinici tipici<br />

sono rappresentati da varie combinazioni di tosse, sibili e<br />

sforzo o difficoltà respiratoria intermittente. Le manifestazioni<br />

hanno spesso un carattere lentamente progressivo, ma<br />

possono causare grave broncocostrizione e dispnea improvvisa.<br />

La diagnosi differenziale della difficoltà respiratoria<br />

deve prendere in considerazione l’insufficienza cardiaca<br />

congestizia o il versamento pleurico, mentre quella della<br />

tosse deve fare riferimento alle parassitosi ed alle infezioni<br />

polmonari o alla bronchite non infettiva.<br />

Benché gli esami di routine su campioni di sangue, urina<br />

e feci possano contribuire a valutare lo stato di salute<br />

complessivo dell’animale ed escludere altre malattie, gli<br />

esami più utili sono la radiografia ed il lavaggio delle vie<br />

aeree. Il riscontro di un’eosinofilia periferica è comune<br />

(circa 20%), ma non specifico. L’asma può venire esclusa<br />

sulla base della normalità delle radiografie toraciche, ma<br />

molti gatti presentano qualche associazione fra una trama<br />

polmonare bronchiale e la presenza di segni di iperinsufflazione<br />

(ad es. aumento della radiotrasparenza o appiatti-<br />

mento e dislocazione caudale del diaframma). Il lavaggio<br />

delle vie aeree dimostra tipicamente un aumento numerico<br />

degli eosinofili e, talvolta, dei neutrofili. I campioni ottenuti<br />

mediante lavaggio devono essere destinati alle colture<br />

(compreso Mycoplasma).<br />

OPZIONI TERAPEUTICHE PER L’ASMA<br />

DEL GATTO<br />

Le strategie terapeutiche per il trattamento dell’asma possono<br />

essere focalizzate sulla soppressione dell’infiammazione<br />

e della broncocostrizione una volta che si siano sviluppate,<br />

oppure possono cercare di spegnere la reazione di ipersensibilità<br />

aberrante prima che provochi l’infiammazione<br />

delle vie aeree e la broncocostrizione.<br />

Terapie tradizionali<br />

La terapia tradizionale dei gatti asmatici si è basata sulla<br />

modificazione ambientale, nonché sulla somministrazione<br />

di corticosteroidi e broncodilatatori per iniezione e per os.<br />

Se è possibile identificare l’allergene che provoca l’asma e<br />

si riesce ad eliminarlo dall’ambiente, si rimuove anche la<br />

forza che induce la comparsa degli eventi asmatici. Di norma<br />

però, l’allergene è ubiquitario oppure l’animale è sensibilizzato<br />

a più allergeni, il che rende impossibile la loro eliminazione<br />

completa. I filtri di tipo Hepa possono essere utili<br />

per ridurre il carico degli allergeni in casa. È anche importante<br />

diminuire l’esposizione alle sostanze irritanti presenti<br />

nell’aria ambientale ed in particolare a fumo, polveri (ad<br />

es., lettiera per gatti) e aerosol.<br />

Il caposaldo della terapia dei gatti o dei pazienti umani<br />

asmatici è la riduzione dell’infiammazione, che si ottiene<br />

nella maggior parte dei casi attraverso una terapia con glucocorticosteroidi<br />

(GC). La componente infiammatoria dell’asma<br />

va trattata in modo da prevenire la progressione della<br />

malattia e un danno polmonare irreparabile. I GC vanno<br />

utilizzati nel trattamento iniziale di questa malattia e nelle<br />

riacutizzazioni, ma la loro azione non è immediata. Poiché<br />

questi farmaci possono produrre gravi effetti collaterali,<br />

bisogna modularne il dosaggio in modo da utilizzare quello<br />

minimo efficace per controllare i segni clinici e può essere<br />

necessario sospenderli nel periodo di remissione della malattia.<br />

Per la terapia di routine per via orale nel gatto si preferisce<br />

il prednisolone al prednisone. Il trattamento con GC da<br />

somministrare per via inalatoria consente l’applicazione<br />

diretta dei farmaci alle vie aeree con un assorbimento siste-


72 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

mico minimo, il che consente di ottenere un effetto respiratorio<br />

massimo con conseguenze sistemiche minime. Gli erogatori<br />

predosati contenenti GC (ad es., fluticasone o flunisolide),<br />

possono essere adattati all’impiego nei gatti asmatici.<br />

La terapia inalatoria va utilizzata nei gatti con segni clinici<br />

lievi o come trattamento aggiuntivo ai GC sistemici in quelli<br />

colpiti più gravemente.<br />

I broncodilatatori accentuano il flusso dell’aria verso i<br />

polmoni. Tuttavia, il loro uso come unica terapia non è consigliato.<br />

L’asma non è solo una malattia associata ad iperattività<br />

delle vie aeree; l’infiammazione svolge un ruolo chiave<br />

sia nelle manifestazioni cliniche che nel rimodellamento<br />

permanente delle vie aeree. I broncodilatatori, come le<br />

metilxantine come l’aminofillina e la teofillina o i beta-2<br />

agonisti come la terbutalina, si possono somministrare ai<br />

gatti sia per via orale che paraenterale. La terbutalina per via<br />

paraenterale può salvare la vita agli animali durante una crisi<br />

asmatica. Più recentemente, è stata suggerita la somministrazione<br />

di un beta-2 agonista, l’albuterolo, mediante erogatori<br />

predosati. Nei pazienti umani con l’asma, l’eccessivo<br />

impiego di broncodilatatori inalatori può aumentare la morbilità<br />

e la mortalità. L’albuterolo da inalazione è costituito da<br />

due enatimori racemici, uno dei quali causa la broncodilatazione,<br />

mentre l’altro può indurre infiammazione paradossa e<br />

broncocostrizione. Per ora, sembra bene utilizzare l’albuterolo<br />

per via inibitoria soltanto secondo necessità e per focalizzare<br />

il trattamento di routine dell’infiammazione.<br />

Terapie alternative<br />

Per i pazienti umani con asma sono disponibili terapie<br />

alternative, ma il loro studio nel gatto è assente. La serotonina<br />

è un mediatore della contrattilità della muscolatura liscia<br />

nelle vie aeree del gatto. Antagonizzarne gli effetti utilizzando<br />

la ciproeptadina è una soluzione promettente in teoria,<br />

ma gli studi in atto presso il mio istituto non sono riusciti a<br />

dimostrare una sua utilità. Gli antagonisti dei leucotrieni<br />

(LT) come lo zafirlukast e il montelukast sono utili in molti<br />

pazienti umani con asma, ma non in tutti. Benché questi farmaci<br />

siano stati utilizzati nel gatto, non esiste alcuna loro<br />

dimostrata utilità nell’asma felina. A differenza di quanto<br />

avviene nell’uomo, il cisteinil-LT non sembra essere mediatore<br />

importante dell’asma felina. Inoltre, la somministrazione<br />

dello zafirlukast ai gatti con asma sperimentalmente<br />

indotta non ha effetti clinici positivi sulla riduzione dell’infiammazione<br />

delle vie aeree o dell’iperreattività.<br />

Per sopprimere o alterare la risposta immunitaria si possono<br />

utilizzare altri metodi. La ciclosporina diminuisce la<br />

produzione di IL-2, portando all’inibizione della proliferazione<br />

delle cellule T. Questo agente è stato utilizzato in<br />

pazienti umani gravemente asmatici come un farmaco antinfiammatorio<br />

utile per diminuire l’impiego dei GC, ma il suo<br />

uso di routine non viene consigliato a causa del potenziale<br />

rischio di gravi effetti indesiderati. Inducendo artificiosamente<br />

la risposta immunitaria facendo credere all’organismo<br />

di dover affrontare un’infezione batterica somministrando<br />

CpG motifs è possibile distogliere il sistema immunitario<br />

dalla risposta Th2 che promuove l’asma. In futuro, i CpG<br />

motifs potranno essere utilizzati come “adiuvanti” per altre<br />

forme di immunoterapia.<br />

Sino ad oggi, l’immunoterapia allergene-specifica è l’unico<br />

trattamento associato ad una guarigione della malattia<br />

allergica. L’identificazione degli allergeni verso i quali il<br />

paziente è stato sensibilizzato è di importanza critica, ma<br />

risulta difficile da attuare in pratica. I farmaci concomitanti<br />

(in particolare gli steroidi) possono interferire con i test ematici<br />

e cutanei. Inoltre, la presenza di IgE specifiche per un<br />

particolare allergene non significa che sia questo il responsabile<br />

della malattia.<br />

Letture consigliate<br />

1. Padrid P. Feline asthma - Diagnosis and treatment. Vet Clinics North<br />

Am - Small Anim Pract. 30:1279, 2000.<br />

2. Costello J, et al. Summary: the pharmacology of leukotrienes in asthma.<br />

Adv in Prostaglandin, Thromboxane and Leukotriene Res<br />

<strong>19</strong>94;22:263-268.<br />

3. Padrid P, et al. Cyproheptadine-induced attenuation of type-I immediate-hypersensitivity<br />

reactions of airway smooth muscle from<br />

immune-sensitized cats. Am J Vet Res <strong>19</strong>95;56:109-115.<br />

4. Mellema M, et al. Urinary leukotriene levels in cats with allergic<br />

bronchitis. American College of Veterinary Internal Medicine Forum<br />

<strong>19</strong>98;724.<br />

5. Norris C, et al. Cysteinyl leukotrienes in urine and bronchoalveolar<br />

lavage fluid in an experimental model of feline asthma. Am J Vet Res<br />

2003;64:1449-1453.<br />

6. Broide D, et al. Systemic administration of immunostimulatory<br />

sequences mediates reversible inhibition of Th2 responses in a mouse<br />

model of asthma. J Clin Immunol 2001;<strong>21</strong>:175-182.<br />

7. Reinero CR, et al. Effects of drug treatment on inflammation and<br />

hyperreactivity of airways and on immune variables in cats with<br />

experimentally induced asthma. Am J Vet Res. 66:11<strong>21</strong>-1127,<br />

2005.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 73<br />

Aggiornamento sugli esami sierologici<br />

per le malattie infettive nel gatto<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

CONCETTI DI SIEROLOGIA<br />

La sierologia è la misurazione delle interazioni antigeneanticorpo<br />

a fini diagnostici. Queste interazioni possono<br />

venire utilizzate in due modi. In primo luogo, l’identificazione<br />

di uno specifico anticorpo può fornire la prova che un<br />

animale è stato esposto ad un dato antigene. Nella maggior<br />

parte dei casi, questo riscontro può venire impiegato come<br />

prova circostanziale di malattia infettiva. In secondo luogo,<br />

è possibile utilizzare un anticorpo specifico per individuare<br />

o identificare un particolare antigene. Questa può essere<br />

impiegata come prova diretta di infezione, ma non necessariamente<br />

di malattia.<br />

Le prove sierologiche possono essere distinte come test di<br />

interazione antigene-anticorpo primaria, secondaria o terziaria.<br />

Nei test a legame primario, viene permesso all’antigene<br />

ed all’anticorpo di interagire e formare dei complessi. Questi<br />

vengono quantificati utilizzando reagenti marcati con<br />

radioisotopi, coloranti fluorescenti o enzimi. Sono esempi<br />

comuni di queste tecniche diagnostiche sensibili l’immunofluorescenza<br />

indiretta (IFA) e l’ELISA (enzyme linked<br />

immunosorbent assay). I test di legame secondario misurano<br />

i risultati dell’interazione antigene-anticorpo (agglutinazione,<br />

emoagglutinazione, precipitazione, neutralizzazione o<br />

fissazione del complemento) in vitro. Gli esempi sono rappresentati<br />

da test di Coombs, immunodiffusione su gel (ad<br />

es., test di Coggins) ed immunoelettroforesi. Le metodiche<br />

basate sul legame terziario non vengono comunemente utilizzate<br />

per la diagnosi clinica di malattia, ma misurano il reale<br />

effetto protettivo dell’anticorpo in un animale.<br />

I veterinari che si dedicano alla medicina felina utilizzano<br />

la sierologia per valutare la probabilità che un dato gatto<br />

sia colpito da una particolare malattia infettiva. Benché<br />

utili, i test sierologici presentano alcuni limiti. Il primo è<br />

relativo al significato della positività di un test anticorpale.<br />

La presenza di un anticorpo indica l’esposizione ad un<br />

antigene, ma non necessariamente un’infezione o una<br />

malattia in atto. In alcuni casi, l’antigene può venire eliminato<br />

dall’animale senza causare malattia, e determinare<br />

comunque la positività di un titolo anticorpale. Questo è<br />

spesso il caso dei titoli anticorpali per la diagnosi di infezioni<br />

micotiche come, ad esempio, l’istoplasmosi. In altri<br />

casi, può darsi che l’anticorpo rilevato non sia patognomonico<br />

per una data infezione. Ad esempio, quelli generati in<br />

risposta alla peritonite infettiva felina (FIP) sono indistinguibili<br />

da quelli che si sviluppano nei confronti del coronavirus<br />

enterico felino. In altri casi ancora, l’anticorpo può<br />

essere presente come conseguenza di un trasferimento pas-<br />

sivo piuttosto che del fatto che il gatto è colpito da una data<br />

infezione. Questo può essere il caso dei gattini che vengono<br />

allattati da una gatta con infezione da virus dell’immunodeficienza<br />

felina (FIV). D’altro canto, non sempre si<br />

rilevano anticorpi in presenza di un’infezione in atto. La<br />

ragione più comune della negatività del test anticorpale in<br />

presenza di un’infezione è che non è trascorso abbastanza<br />

tempo fra l’infezione stessa e la risposta anticorpale. Ad<br />

esempio, i test sierologici per la citauxzoonosi sarebbero<br />

relativamente inutili, perché la natura iperacuta della<br />

malattia fa sì che questa preceda la produzione anticorpale.<br />

In alternativa, può darsi che gli animali immunocompromessi<br />

non riescano a produrre anticorpi rilevabili nonostante<br />

un’infezione di vecchia data. Questo può essere il<br />

caso che si ha negli stadi terminali dell’infezione da FIV o<br />

FIP. Anche i test che rivelano la presenza dell’antigene<br />

invece dell’anticorpo hanno dei limiti. Ad esempio, benché<br />

l’identificazione dell’antigene del virus della leucemia felina<br />

(FeLV) denoti l’infezione, è possibile che l’animale sia<br />

riuscito ad eliminarla senza sviluppare la malattia.<br />

I test immunologici possono essere studiati per riflettere<br />

la presenza di uno qualsiasi e di tutti gli anticorpi diretti<br />

contro un dato antigene, oppure possono identificare in<br />

modo specifico gli anticorpi di un determinato isotipo (IgM,<br />

IgG, IgA ed IgE). Poiché quest’ultimo varia in relazione<br />

all’insorgenza ed alla durata dell’esposizione all’antigene, è<br />

importante sapere quali isotipi dell’anticorpo vengono<br />

misurati da un dato test. La risposta anticorpale iniziale agli<br />

agenti infettivi viene mediata principalmente dalle IgM, ma<br />

quella più tardiva passa alle IgG e/o alle IgA. Nel caso di<br />

agenti come Toxoplasma gondii, in grado di causare un’infezione<br />

cronica senza determinare una malattia, il riscontro<br />

di una risposta delle IgG può indicare una natura cronica.<br />

Di conseguenza, la semplice identificazione di un titolo<br />

anticorpale positivo, anche elevato, non è una prova di infezione<br />

in atto. In questi casi, la dimostrazione dell’infezione<br />

in atto richiede la positività di un titolo IgM oppure l’accertamento<br />

di un aumento del titolo delle IgG (due raddoppiamenti,<br />

cioè un aumento di quattro volte) nell’arco di un<br />

periodo di alcune settimane. A causa della variabilità intrinseca<br />

nei test immunologici, i titoli devono essere determinati<br />

dal medesimo laboratorio e l’ideale è effettuare i prelievi<br />

di campioni e conservarli per poi inviarli simultaneamente<br />

al laboratorio per l’analisi.<br />

Un’altra serie di limitazioni è quella relativa alla probabilità<br />

che un dato test rifletta in modo accurato la presenza o<br />

l’assenza di una malattia. Qualsiasi test, non importa quanto<br />

sia buono, è soggetto ad esiti falsi positivi e falsi negativi.


74 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Questi si riflettono nella sensibilità e specificità diagnostica<br />

del test stesso. Col termine di sensibilità diagnostica si indica<br />

la percentuale di test condotti su animali infetti che risultano<br />

positivi, mentre la specificità corrisponde alla percentuale<br />

di test condotti su animali non infetti che risultano<br />

negativi. Appare allora evidente che per “escludere” una diagnosi<br />

è auspicabile un test con un’elevata sensibilità, mentre<br />

per “confermarla” è preferibile uno con un’elevata specificità.<br />

Per il clinico è ancor più importante che la sensibilità e<br />

specificità di un dato test siano i valori predittivi positivi e<br />

negativi del test stesso. Il valore predittivo positivo è la probabilità<br />

che un animale che risulta positivo al test sia effettivamente<br />

colpito dalla malattia in questione, mentre il valore<br />

predittivo negativo è la probabilità che un animale, che risulta<br />

negativo al test, sia libero da malattia. Il valore predittivo<br />

positivo è certamente correlato alla sensibilità e specificità<br />

del test diagnostico, ma anche alla prevalenza della malattia<br />

nella popolazione degli animali testati. Ciò significa che un<br />

esito positivo del test in una popolazione con una bassa incidenza<br />

di malattia, anche quando il metodo utilizzato è molto<br />

sensibile e specifico, ha una probabilità più elevata di<br />

essere un falso positivo rispetto ai casi in cui lo stesso test<br />

viene eseguito su una popolazione con un’elevata prevalenza<br />

della malattia. Occorre ricordare che non esiste alcun test<br />

che sia sempre perfettamente accurato. I risultati delle prove<br />

sierologiche vanno valutati come uno dei pezzi del puzzle,<br />

non l’intero quadro!!<br />

USO SPECIFICO DEI TEST SIEROLOGICI<br />

IN MEDICINA FELINA<br />

Virus della leucemia felina (FeLV)<br />

Il virus della leucemia felina provoca un’infezione retrovirale<br />

del gatto che esita, fra le altre sequele, in immunosoppressione,<br />

oncogenesi e discrasia ematologica. Clinicamente,<br />

la diagnosi di FeLV si basa nella maggior parte dei casi su test<br />

sierologici studiati per identificare l’antigene virale (in particolare,<br />

quello P27). Le prove diagnostiche più comunemente<br />

eseguite sono quelle di legame primario, come il test ELISA<br />

immunocromatografico e l’IFA. Nonostante le analogie fra<br />

queste prove, esistono importanti differenze. La maggior parte<br />

dei kit diagnostici per uso ambulatoriale impiega qualche<br />

variante della metodologia ELISA. È importante ricordare che<br />

quest’ultima rileva l’antigene virale P27 solubile (libero)<br />

mentre l’IFA individua quello incorporato nelle cellule. Per<br />

questa ragione, l’ELISA può identificare l’antigene P27 in<br />

gatti con viremia transitoria oppure persistente, mentre il<br />

riscontro di P27 in un’IFA-test implica una viremia persistente.<br />

L’esito positivo di un test ELISA va confermato prima di<br />

giungere alla conclusione che il gatto è colpito da un’infezione<br />

da FeLV. La conferma può consistere nella ripetizione di un<br />

test ELISA dopo 3 mesi oppure nell’immediata esecuzione di<br />

un esame mediante IFA. Un gatto ELISA-positivo ed IFAnegativo<br />

diventa tipicamente IFA-positivo entro qualche settimana<br />

o torna allo status di ELISA-negativo. I gatti che tornano<br />

allo status negativo possono mantenere un’infezione latente<br />

ed è possibile che FeLV possa causare malattia in qualche<br />

momento nel futuro.<br />

Generalmente, l’IFA-test è considerato più specifico, ma<br />

meno sensibile dell’ELISA. L’esame mediante tecnica ELI-<br />

SA deve utilizzare campioni di siero o plasma piuttosto che<br />

sangue intero. Sono disponibili test da eseguire su campioni<br />

di lacrime o saliva, ma presentano un rischio elevato di esiti<br />

falsi positivi o falsi negativi e non vanno impiegati. Nell’IFA<br />

si utilizza il sangue intero. Inoltre, può essere sottoposto ad<br />

immunofluorescenza il midollo osseo, per contribuire ad<br />

escludere un’infezione latente in un gatto sierologicamente<br />

negativo con sospetta infezione da FeLV. Né la vaccinazione<br />

né gli anticorpi di origine materna interferiscono con i test<br />

per la diagnosi dell’infezione da FeLV.<br />

Virus dell’immunodeficienza felina (FIV)<br />

Anche il virus dell’immunodeficienza felina è un retrovirus,<br />

ma appartiene al sottogruppo lentivirale. Come altre infezioni<br />

da virus lenti (ad es., HIV), il carico virale nell’infezione da FIV<br />

è tipicamente ridotto. Per questa ragione, l’infezione da FIV<br />

non viene documentata mediante test finalizzati ad evidenziare<br />

gli antigeni, come si fa per l’infezione retrovirale da FeLV. Piuttosto,<br />

si ricerca la risposta anticorpale anti-FIV. I test tipici per<br />

l’infezione da FIV sono l’ELISA immunocromatografica, l’IFA<br />

ed il Western Blot; i kit ambulatoriali utilizzano la metodologia<br />

ELISA. Come nel caso di FeLV, l’esito positivo di queste prove<br />

ambulatoriali deve essere confermato. La conferma dell’infezione<br />

da FIV si basa tipicamente sull’identificazione degli<br />

anticorpi mediante Western Blot. Qualsiasi test sierologico che<br />

identifichi gli anticorpi piuttosto che l’antigene è sottoposto a<br />

dilemmi interpretativi unici. Ad esempio, la risposta anticorpale<br />

può non essere rilevabile all’inizio dell’infezione o alla fine<br />

del suo decorso, in particolare in un animale immunodepresso.<br />

Benché nella maggior parte dei gatti avvenga entro 60 giorni<br />

dall’infezione da FIV, in alcuni casi la sieroconversione può<br />

richiedere periodi considerevolmente più prolungati.<br />

Utilizzando i test anticorpali si possono anche ottenere<br />

esiti falsi positivi. Da questo punto di vista, risultano particolarmente<br />

importanti due cause. La prima è la positività del<br />

test in un gattino giovane. I felini di questa età possono essere<br />

infettati dalla madre, ma questo mezzo di trasmissione è<br />

relativamente poco comune. È almeno altrettanto probabile<br />

che l’esito positivo di un test anticorpale in un gattino giovane<br />

sia la conseguenza di un trasferimento passivo degli<br />

anticorpi anti-FIV dalla madre. Poiché gli anticorpi materni<br />

possono portare ad esiti falsi positivi dei test, i gattini positivi<br />

devono essere riesaminati ogni 60 giorni o fino all’età di<br />

6 mesi per confermare l’infezione. Una seconda ragione della<br />

falsa positività dei test anticorpali è una precedente vaccinazione.<br />

Nel mese di luglio del 2002 è stato introdotto sul<br />

mercato un vaccino anti-FIV che esita nella produzione di<br />

anticorpi specifici per questo virus. Ad oggi, non esistono<br />

test sierologici capaci di distinguere fra gli anticorpi anti-<br />

FIV derivanti dall’infezione e quelli di origine vaccinale.<br />

Peritonite infettiva felina (FIP)<br />

La peritonite infettiva felina è una malattia infettiva causata<br />

dalla mutazione di un coronavirus enterico altrimenti


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 75<br />

relativamente benigno. La mutazione consente la disseminazione<br />

del virus e la conseguente risposta immunitaria dell’ospite<br />

esita nello sviluppo della malattia. La diagnosi dell’infezione<br />

da FIP è stata a lungo problematica e l’unico<br />

modo per arrivare ad una risposta definitiva è rappresentato<br />

dalla biopsia tissutale o dalla necroscopia. I test sierologici<br />

commercializzati per la diagnosi di FIP in realtà rilevano gli<br />

anticorpi sviluppati nei confronti dei coronavirus e non<br />

sono in grado di distinguere fra quelli mutati, che esitano<br />

nella FIP clinicamente manifesta, ed il coronavirus enterico<br />

felino. Per questa ragione, non possono distinguere gli anticorpi<br />

generati contro FIP da quelli prodotti nei confronti di<br />

qualsiasi altro coronavirus, compreso quello del cane. La<br />

maggior parte dei test disponibili richiede l’invio dei campioni<br />

ad un laboratorio, ma esistono anche delle metodiche<br />

ELISA da utilizzare a livello ambulatoriale. In rari casi, la<br />

vaccinazione anti-FIP, così come alcuni vaccini vivi modificati<br />

non correlati, può esitare in una risposta anticorpale<br />

sistemica positiva. Per tutte queste ragioni, la positività di<br />

un test anticorpale NON dimostra che un gatto è colpito dalla<br />

FIP. Poiché i felini possono essere infettati dal coronavirus<br />

e non sviluppare mai la peritonite infettiva, i test anticorpali<br />

per l’identificazione dei coronavirus non sono utili<br />

per prevedere quali gatti in un nucleo familiare esposto svilupperanno<br />

la FIP in futuro.<br />

D0altro canto, non tutti i gatti con FIP presentano una<br />

risposta anticorpale positiva. Ciò risulta particolarmente problematico<br />

negli stadi terminali della malattia, quando la produzione<br />

di anticorpi può essere scarsa o gli anticorpi stessi<br />

possono aver formato dei complessi con gli antigeni.<br />

Ciò significa che la determinazione dei titoli coronavirali<br />

non trova alcun impiego in medicina felina? Benché un<br />

test positivo non dimostri la FIP ed uno negativo non consenta<br />

di escluderla, l’esecuzione di questo esame può avere<br />

una limitata utilità. Le metodiche che forniscono come<br />

risposta un titolo piuttosto che un semplice “SI” o “NO”<br />

offrono dei dati che hanno delle implicazioni relative alla<br />

probabilità della diagnosi. La presenza della malattia è da<br />

ritenere più probabile in un gatto con segni clinici di FIP<br />

associati ad titolo positivo molto elevato piuttosto che in un<br />

altro che si trovi nelle stesse condizioni cliniche, ma con<br />

titoli negativi o debolmente positivi.<br />

La Antech laboratories commercializza un test ELISA<br />

definito “FIP-specifico”. La società afferma che una proteina<br />

detta 7B viene prodotta solo dal coronavirus patogeno<br />

che induce la FIP. Questo test ELISA specializzato identifica<br />

gli anticorpi che reagiscono alla proteina 7B. Recenti prove<br />

sperimentali suggeriscono che questa proteina 7B non si<br />

trova in tutti i coronavirus che causano la FIP, mentre viene<br />

prodotta da almeno alcuni coronavirus che non la causano.<br />

Quindi, ancora una volta sembra che i test sierologici non<br />

siano in grado di dimostrare che un gatto ha o non ha la FIP.<br />

Criptococcosi<br />

Cryptococcus neoformans è una causa importante di infezione<br />

micotica nel gatto, in particolare a livello nasale. I titoli<br />

sierologici nei confronti di molte infezioni micotiche si<br />

basano sull’identificazione degli anticorpi e sono di scarso<br />

valore predittivo diagnostico, ma quelli per la criptococcosi<br />

presentano delle caratteristiche uniche. Benché siano disponibili<br />

delle metodiche per stabilire i titoli anticorpali criptococcici,<br />

un test diagnostico più affidabile è quello di agglutinazione<br />

al lattice per l’antigene capsulare criptococcico o,<br />

in alternativa, quello immunocromatografico per l’antigene<br />

capsulare. Benché l’ideale sia l’identificazione citologica<br />

dei microrganismi, i test per l’antigene capsulare possono<br />

essere un mezzo diagnostico più sensibile. Poiché la metodica<br />

utilizzata rileva gli antigeni piuttosto che gli anticorpi,<br />

il test può essere impiegato non solo a fini diagnostici, ma<br />

anche per monitorare la risposta al trattamento ad un’infezione<br />

criptococcica consolidata. Si prevede che il successo<br />

della terapia determini una diminuzione del titolo. Il test per<br />

l’antigene capsulare viene solitamente eseguito sul siero,<br />

ma l’infezione del sistema nervoso centrale può portare a<br />

riscontri positivi sul liquor.<br />

Filariosi cardiopolmonare<br />

La diagnosi della filariosi cardiopolmonare del gatto è<br />

spesso difficile; le microfilarie si osservano raramente, i<br />

carichi elmintici sono bassi e i segni radiografici dell’infestazione<br />

possono essere assenti. Spesso, per giungere a questa<br />

diagnosi si impiegano simultaneamente test sierologici<br />

che effettuano la ricerca sia degli anticorpi che degli antigeni.<br />

Quando si utilizzano test anticorpali, è essenziale impiegare<br />

metodiche specie-specifiche. Benché questi test siano<br />

molto sensibili, nelle aree dove l’incidenza della malattia è<br />

bassa le positività vanno interpretate con cautela. Anche in<br />

questo caso, il riscontro degli anticorpi identifica l’esposizione,<br />

ma non fornisce la prova del fatto che l’animale è colpito<br />

da un’infestazione da filarie adulte; l’esposizione agli<br />

stadi larvali può portare ad un test positivo senza filariosi<br />

cardiopolmonari persistenti. Come sempre, i test anticorpali<br />

richiedono un certo periodo di tempo (2-3 mesi) perché l’infestazione<br />

diventi positiva.<br />

Un altro test sierologico comunemente utilizzato per identificare<br />

le filarie adulte è quello antigenico. Poiché identifica<br />

l’antigene piuttosto che l’anticorpo, questo esame non è<br />

specie specifico e nel gatto si può utilizzare lo stesso saggio<br />

impiegato nel cane. Benché si tratti di un metodo molto specifico<br />

(il che significa che un esito positivo probabilmente<br />

indica una reale positività), la sensibilità non è quella ideale.<br />

La scarsa sensibilità è spesso correlata ai bassi carichi elmintici<br />

o all’infestazione ad opera di parassiti di un solo sesso. I<br />

gatti presentano tipicamente carichi parassitari più bassi del<br />

cane, il che significa che nei felini la sensibilità è peggiore<br />

che nel cane.<br />

Toxoplasmosi<br />

L’infestazione da Toxoplasma gondii è comune nel cane,<br />

ma la toxoplasmosi intesa come malattia è di gran lunga<br />

meno frequente. Una volta avvenuta l’infestazione, il<br />

microrganismo rimane nei tessuti per tutta la vita. Occasionalmente,<br />

nel gatto si possono avere casi di malattia grave o<br />

anche di morte dovuti a malattia in atto. Poiché i test siero-


76 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

logici per la toxoplasmosi felina generalmente ricercano gli<br />

anticorpi e poiché molti gatti (o persino la maggior parte di<br />

essi) sono stati esposti al microrganismo, la diagnosi sierologica<br />

della malattia in atto è abbastanza complicata. L’identificazione<br />

di un singolo titolo IgG elevato, anche se<br />

altissimo, indica l’infestazione, ma non la malattia. I gatti<br />

sani possono mantenere titoli IgG elevati per anni dopo l’infestazione<br />

ed anche per tutta la vita. La dimostrazione di<br />

un’infestazione attiva in un gatto malato richiede un aumento<br />

di quattro volte del titolo IgG o, più tipicamente, la documentazione<br />

di un innalzamento di quello delle IgM. I titoli<br />

sierici IgM non restano elevati per tutta la vita ma diminuiscono<br />

tipicamente sino a livelli molto bassi entro 16 settimane<br />

nei gatti sani o infestati.<br />

Bartonellosi<br />

I gatti possono venire infestati da parecchie specie di Bartonella,<br />

come B. henselae e B. Clarridgeiae. La bartonellosi<br />

nel gatto ha una prevalenza elevata, tanto che in alcuni studi<br />

i soggetti sieropositivi arrivano al 50% di quelli esaminati.<br />

Sino a non molto tempo fa la bartonellosi era considerata<br />

un’infezione asintomatica che costituiva motivo di preoccu-<br />

pazione soltanto a causa delle sue implicazioni zoonosiche<br />

(trasmissione della malattia da graffio di gatto). Più recentemente,<br />

la bartonellosi è stata associata ad una varietà di manifestazioni<br />

patologiche nel gatto, che la fanno ritenere una<br />

possibile causa di stomatite, uveite e linfoadenite. Lo spettro<br />

completo della bartonellosi clinica felina e la frequenza della<br />

malattia causata dalla bartonellosi resta da definire.<br />

I test sierologici per la diagnosi di bartonellosi rilevano gli<br />

anticorpi. Poiché questi ultimi danno origine a reazioni crociate,<br />

l’antigene impiegato per il test è generalmente B. henselae.<br />

Trattandosi di un test anticorpale, è necessario un po’<br />

di tempo dall’infezione perché si sviluppi la sieroconversione.<br />

Inoltre, la positività del test in un gattino di meno di sei<br />

mesi di vita può indicare un’infezione o semplicemente<br />

riflettere la presenza di anticorpi di origine materna. I gattini<br />

non vengono infettati in utero attraverso il latte, e l’infezione<br />

si ha solo in seguito all’esposizione ai vettori artropodi.<br />

L’esecuzione di routine di un test nei gatti sani non viene<br />

consigliata.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn - University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 77<br />

Aggiornamenti sulle infezioni retrovirali nei gatti<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Introduzione<br />

Le infezioni da retrovirus del gatto sono diffuse a livello<br />

mondiale e rappresentano ancora una causa importante di<br />

morbilità e mortalità dei felini da compagnia. Queste malattie<br />

possono colpire una percentuale qualsiasi fra lo 0 ed il 40%<br />

dei gatti di una data popolazione, a seconda della regione geografica<br />

e del tipo di vita degli animali. Quelli che vivono soltanto<br />

in casa e che provengono da strutture da riproduzione<br />

chiuse sono raramente infetti, mentre quelli liberi di vagabondare<br />

lo sono più spesso. I gatti randagi non hanno maggiori<br />

probabilità di essere infetti rispetto a quelli di proprietà, ma<br />

quelli che vivono all’aperto hanno molte più probabilità di<br />

contrarre l’infezione rispetto a quelli che vengono tenuti sempre<br />

in casa. Queste differenze sono in gran parte dovute alla<br />

disponibilità di comodi metodi di esame che hanno consentito<br />

di eliminare i gatti infetti dalle popolazioni chiuse. Anche la<br />

vaccinazione può avere un certo ruolo nella diminuzione dell’incidenza<br />

dell’infezione nei gatti da compagnia ben curati.<br />

Retrovirus felini<br />

I retrovirus hanno la capacità esclusiva di utilizzare una<br />

“transcriptasi inversa” per trascrivere il loro materiale genetico<br />

da RNA a DNA all’interno di una cellula ospite infetta.<br />

Questi virus integrano il proprio materiale genetico con<br />

quello dell’ospite per il resto della vita di quest’ultimo. Esistono<br />

parecchi sottotipi di retrovirus come gli Oncornaviridae<br />

(così chiamati per la loro propensione alla trasformazione<br />

neoplastica dei tessuti infetti), i Lentiviridae (così chiamati<br />

per la lentezza dell’insorgenza delle malattie che inducono)<br />

e gli Spumaviridae. Questi tipi virali sono specie-specifici<br />

per quanto riguarda l’ospite ed i gatti sono suscettibili<br />

a parecchie infezioni retrovirali differenti. Clinicamente, il<br />

virus della leucemia felina (FeLV, un oncornaviridae) e quello<br />

dell’immunodeficienza felina (FIV, un lentiviridae) sono<br />

la causa più importante di malattia nel gatto.<br />

Virus della leucemia felina<br />

FeLV è stato scoperto per la prima volta nel <strong>19</strong>64. I test<br />

diagnostici divennero facilmente disponibili agli inizi degli<br />

anni ’70 e i vaccini commerciali anti-FeLV si diffusero a<br />

metà degli anni ’80. Nella maggior parte dei casi, la leucemia<br />

felina è una malattia dei gattini e dei gatti giovani, benché<br />

possano essere colpiti soggetti di qualsiasi età e sesso. Le sindromi<br />

cliniche sono rappresentate da una immunodeficienza<br />

con infezione secondaria, soppressione midollare e malattia<br />

neoplastica. Si verificano sia la trasmissione orizzontale che<br />

quella verticale. Nella trasmissione è tipicamente coinvolto lo<br />

stretto contatto che si verifica durante la toelettatura reciproca,<br />

mentre il ruolo dei fomiti è solo minimo. Esistono parecchi<br />

possibili esiti dell’esposizione: guarigione, infezione<br />

latente o viremia persistente. I gattini hanno maggiori probabilità<br />

di sviluppare una viremia persistente rispetto ai gatti<br />

adulti, ma l’esito dell’esposizione dipende da molti fattori.<br />

L’infezione latente implica che le particelle virali sono sequestrate<br />

nel midollo senza causare viremia. È possibile che queste<br />

infezioni si rendano manifeste a distanza di molti anni,<br />

spiegando così i casi di gatti che sono stati tenuti in casa senza<br />

contatti con altri animali della stessa specie per anni, ma<br />

che sviluppano una malattia FeLV-correlata in una fase più<br />

avanzata della vita. Nei gatti con viremia persistente è probabile<br />

lo sviluppo di una viremia palese entro un periodo di<br />

tempo relativamente breve dopo l’infezione, ed un terzo circa<br />

della totalità dei gatti infetti muore entro un anno.<br />

La malattia clinica varia notevolmente, in parte a seconda<br />

del sottogruppo di FeLV che causa l’infezione. In prossimità<br />

del momento dell’infezione si può osservare una malattia<br />

lieve, ma i gatti si riprendono e restano sani per un certo<br />

periodo di tempo. Quelli con infezione persistente sviluppano<br />

infine un’infezione secondaria sostenuta da una varietà di<br />

microrganismi, presentano anemia o pancitopenia o vanno<br />

incontro ad una malattia neoplastica come il linfoma timico,<br />

renale e del SNC. Occasionalmente si osservano altre manifestazioni<br />

(ad es., glomerulonefrite, infertilità, aborto).<br />

I risultati dell’esame emocromocitometrico completo, del<br />

profilo biochimico e dell’analisi dell’urina dipendono dalle<br />

manifestazioni della malattia secondaria e non sono specifici<br />

di FeLV. L’anemia macrocitica è indicativa di FeLV, ma le<br />

anemie possono essere di natura normocitica, rigenerativa e<br />

non rigenerativa. Nei gatti con leucemia secondaria palese<br />

vengono identificate cellule blastiche circolanti. Il test per la<br />

diagnosi dell’infezione da FIV va eseguito in ogni gatto<br />

malato e va anche consigliato al momento dell’arrivo di un<br />

nuovo gatto in famiglia o come controllo periodico nei gatti<br />

che vivono all’aperto. Il test diagnostico più comunemente<br />

utilizzato per la diagnosi di FeLV è un’ELISA finalizzato a<br />

rilevare l’antigene P27 del core virale. Poiché questo test<br />

diventa positivo prima che il materiale genetico del virus venga<br />

incorporato nelle cellule staminali midollari, i gatti positivi<br />

possono eliminare l’infezione e tornare ad uno status negativo.<br />

Quindi, tutti i gatti che risultano positivi al test ELISA<br />

devono essere sottoposti ad un nuovo esame dopo 2 o 3 mesi,<br />

oppure alla conferma mediante immunofluorescenza (IFA)<br />

della presenza di materiale genetico virale incorporato nelle<br />

cellule. L’infezione latente non può essere individuata<br />

mediante test ELISA o IFA su campioni di sangue. Solo sot-


78 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

toponendo un aspirato midollare ad IFA o coltura cellulare è<br />

possibile dimostrare un’infezione latente. In commercio si<br />

trovano test PCR attendibili per l’infezione da FeLV.<br />

Non esiste alcuna terapia. I gatti sani con infezione da<br />

FeLV devono essere tenuti in casa sia per prevenire l’esposizione<br />

di altri gatti che per proteggerli dall’infezione secondaria.<br />

È essenziale vigilare per garantire il mantenimento di<br />

routine dello stato di salute, prestando attenzione anche alla<br />

vaccinazione ed alle cure dentali. Le infezioni secondarie<br />

vanno identificate risalendo alla loro origine e trattandole<br />

aggressivamente con agenti microbicidi appropriati. La neoplasia<br />

FeLV-associata può essere trattata mediante chemioterapia<br />

o radioterapia secondo le modalità più appropriate<br />

per il tipo di tumore in causa. L’anemia associata a FeLV è<br />

spesso difficile da trattare. L’infezione secondaria da M.<br />

haemofelis va esclusa, e i casi accertati di anemia immunomediata<br />

vanno trattati mediante immunosoppressione. Come<br />

intervento di sostegno si può utilizzare la trasfusione di sangue.<br />

Alcuni gatti rispondono all’eritropoietina umana ricombinante<br />

(100 unità/kg SC tre volte alla settimana). Spesso è<br />

stata tentata l’immunomodulazione, ma esistono poche prove<br />

cliniche controllate che dimostrino l’utilità di queste terapie.<br />

La proteina A stafilococcica (10 µg/kg IP due volte alla<br />

settimana) ha determinato un miglioramento soggettivo in<br />

gatti malati con infezione da FeLV. I soggetti con duplice<br />

infezione da FeLV e FIV hanno dimostrato un certo miglioramento<br />

con IFN-omega felino ricombinante (1[M]/kg/die<br />

SC per 5 giorni in 3 serie ai giorni 0, 14 e 60).<br />

L’ideale è tenere in casa gatti non infetti che vivano solo<br />

con altri gatti non infetti. Per l’infezione da FeLV è disponibile<br />

la vaccinazione, che però va praticata solo ai gatti FeLVnegativi.<br />

Come per tutti i vaccini, al suo impiego sono correlati<br />

dei potenziali rischi (compreso il sarcoma del punto di<br />

vaccinazione) ed è necessario valutare individualmente il<br />

rapporto rischio:beneficio; quella contro FeLV non è una<br />

delle vaccinazioni di base dei gatti adulti a basso rischio.<br />

Sembrano essere ugualmente efficaci sia i vaccini inattivati<br />

che quelli a subunità, ma la vaccinazione non è mai completamente<br />

efficace e si possono avere degli insuccessi dovuti<br />

ad una varietà di ragioni.<br />

Virus dell’immunodeficienza felina<br />

FIV è stato scoperto per la prima volta nel <strong>19</strong>87 e pochissimo<br />

tempo dopo sono stati resi disponibili i test diagnostici<br />

di routine. Il primo vaccino anti-FIV è stato rilasciato nel<br />

2002. Il virus determina principalmente una malattia dei gatti<br />

adulti, con i maschi infettati più frequentemente delle femmine.<br />

Benché possa esistere, la trasmissione verticale non è<br />

epidemiologicamente importante. Invece, la malattia si diffonde<br />

tipicamente attraverso lo stretto contatto fra gatti, specialmente<br />

in associazione con i comportamenti da combattimento<br />

dei gatti maschi adulti. Dopo l’infezione iniziale il<br />

virus si replica nel tessuto linfoide (compreso il timo) e salivare,<br />

con successiva disseminazione ad altre sedi. Man mano<br />

che il gatto sviluppa una risposta immunitaria parzialmente<br />

efficace, il numero di particelle virali circolanti diminuisce e<br />

l’animale sembra sano. Alla fine, spesso dopo molti anni, si<br />

ha un graduale deterioramento della funzione immunitaria.<br />

Infine, si osservano infezioni secondarie e malattie associate,<br />

che esitano nella fase terminale della malattia.<br />

Come nel caso di FeLV, i segni clinici variano notevolmente.<br />

L’infezione acuta di solito è silente, ma può causare<br />

febbre autolimitante, neutropenia e linfoadenopatia. I gatti<br />

restano tipicamente in buone condizioni per molti anni, prima<br />

di sviluppare infine infezioni secondarie o complicazioni<br />

di malattie. I quadri più comuni sono rappresentati da febbre<br />

ricorrente, anoressia, perdita di peso, malessere, oculopatie<br />

infiammatorie, gengiviti e stomatiti, infezioni secondarie<br />

del tratto gastroenterico, respiratorio e urinario o persino<br />

neoplasie maligne. Occasionalmente, le manifestazioni neurologiche<br />

di FIV vengono identificate senza altre affezioni<br />

infettive o neoplastiche del sistema nervoso.<br />

I test per la diagnosi dell’infezione da FIV vanno effettuati<br />

in qualsiasi gatto malato e sono consigliati al momento<br />

dell’adozione di un nuovo gatto in famiglia o come controlli<br />

periodici nei gatti che vivono all’aperto. Benché negli stadi<br />

finali dell’infezione si possano osservare linfopenia e<br />

trombocitopenia, certamente si tratta di riscontri aspecifici.<br />

Analogamente, le anomalie del profilo biochimico o dell’analisi<br />

dell’urina non sono specifiche, e probabilmente riflettono<br />

i processi patologici secondari. I test di routine per la<br />

diagnosi di FIV ricercano anticorpi sierici piuttosto che l’antigene.<br />

I test ELISA sono facilmente disponibili ed hanno<br />

buona sensibilità e specificità. Sfortunatamente, l’identificazione<br />

degli anticorpi non permette di distinguere fra quelli<br />

che si sono formati in seguito ad un’autentica infezione e<br />

quelli acquisiti mediante il trasferimento passivo dalla<br />

madre oppure attraverso la vaccinazione. I gattini positivi<br />

devono essere riesaminati dopo aver raggiunto l’età minima<br />

di 6 mesi. Come per qualsiasi altro test, si possono avere<br />

risultati falsi positivi e falsi negativi. Per confermare la presenza<br />

degli anticorpi anti-FIV si può utilizzare il metodo<br />

Western Blot, che però non consente comunque di stabilire<br />

se l’origine dell’anticorpo è un’autentica risposta all’infezione.<br />

I gatti infettati di recente o gravemente immunodepressi<br />

possono rispondere negativamente al test a dispetto<br />

dell’infezione. L’identificazione del virus mediante PCR<br />

non è disponibile come procedura di routine.<br />

Non esiste alcuna cura per l’infezione da FIV. I gatti infetti<br />

e sani devono essere tenuti in casa mantenendo costanti le<br />

cure sanitarie di routine, comprese le cure dentarie di routine<br />

e la vaccinazione. I gatti malati necessitano di una diagnosi<br />

pronta e del trattamento delle complicazioni secondarie.<br />

È stata tentata l’immunomodulazione, ma mancano prove<br />

controllate. Le manifestazioni neurologiche possono<br />

rispondere alla terapia antiretrovirale (AZT, 15 mg/kg PO<br />

BID), ma sono comuni gli effetti collaterali.<br />

Per FIV esiste una vaccinazione, ma è prevedibile che i<br />

gatti vaccinati rispondano poi positivamente ai test per la<br />

diagnosi dell’infezione, e bisogna quindi identificarli chiaramente<br />

(microchip o tatuaggio). La necessità di vaccinare i<br />

gatti che hanno scarse probabilità di azzuffarsi con i conspecifici<br />

(come quelli che vivono in casa), è discutibile.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn - University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 79<br />

Infezioni respiratorie ad eziologia batterica nel gatto<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Ai fini della presente discussione, l’apparato respiratorio<br />

può essere suddiviso in diverse sezioni: le vie nasali e rinofaringee,<br />

le vie aeree di maggior calibro, il parenchima polmonare<br />

e lo spazio pleurico. Ognuna di queste sezioni è<br />

suscettibile di una gran varietà di malattie, comprese le infezioni<br />

batteriche. La relazione sarà focalizzata in modo specifico<br />

sulle infezioni batteriche respiratorie del gatto.<br />

Infezioni delle vie nasali e rinofaringee<br />

In quasi tutti i casi, le infezioni batteriche delle vie nasali<br />

sono secondarie a qualche processo patologico sottostante.<br />

La terapia antibiotica può determinare la remissione dei segni<br />

clinici, ma una guarigione eziologica è altamente improbabile.<br />

L’approccio migliore ai gatti con segni nasali cronici consiste<br />

nell’eseguire un’approfondita valutazione diagnostica<br />

alla ricerca di una malattia nasale primaria, nella speranza di<br />

riuscire ad identificare un problema che possa essere trattato<br />

direttamente. Sfortunatamente, nella metà dei gatti con scolo<br />

nasale cronico anche le indagini diagnostiche molto estese<br />

non riescono ad identificare una specifica malattia sottostante.<br />

In questi casi, si formula una diagnosi di “rinosinusite cronica<br />

idiopatica”. Questa sindrome è tipicamente caratterizzata,<br />

alla biopsia nasale, da un’infiammazione linfoplasmocitaria<br />

o suppurativa. La suscettibilità dei gatti all’infezione da<br />

calicivirus o herpesvirus può spiegare la frequenza del suo<br />

riscontro. È stato ipotizzato che queste infezioni portino a<br />

successive manifestazioni di rinosinusite cronica felina per<br />

effetto del danneggiamento del tessuto nasale derivante dalla<br />

riattivazione e della citolisi virale, oppure da una risposta<br />

immunitaria agli agenti patogeni virali. I tessuti nasali danneggiati<br />

sarebbero più suscettibili alle infezioni batteriche<br />

secondarie o persino all’osteomielite dei turbinati.<br />

Dai tamponi nasali prelevati dai gatti sani e da quelli con<br />

rinite cronica è possibile isolare una gran varietà di batteri,<br />

compreso Pseudomonas aeruginosa. Chiarire il ruolo di<br />

questi microrganismi nella rinosinusite cronica è ancor più<br />

difficile perché i tamponi nasali ottenuti facilmente non sono<br />

ideali per le colture. I batteri prelevati mediante tamponi<br />

nasali riflettono la contaminazione superficiale piuttosto che<br />

l’infezione dei tessuti.<br />

Anche se nella maggior parte dei casi è probabile che la<br />

rinite batterica sia un evento secondario, il trattamento con<br />

antibiotici talvolta riesce a porre sotto controllo i segni clinici<br />

dello scolo nasale nei gatti con rinosinusite cronica.<br />

Bisogna evitare brevi cicli di somministrazione di molteplici<br />

antibiotici differenti. In assenza della dimostrazione,<br />

attraverso le colture tissutali, della necessità di uno specifico<br />

tipo di antibiotico, le scelte formulate su base empirica devo-<br />

no avere un ampio indice terapeutico. Da questo punto di<br />

vista, è ragionevole optare per l’amossicillina o l’amossicillina/acido<br />

clavulanico. L’autore generalmente prescrive un<br />

ciclo minimo di 4-6 settimane, presumendo che l’infezione<br />

secondaria coinvolga i turbinati e che possa essere presente<br />

una fibrosi (cioè che si tratti di un’infezione complicata piuttosto<br />

che semplice, come nei casi in cui si tratta un’osteomielite).<br />

Tuttavia, se non si riscontra alcun miglioramento<br />

entro 5-7 giorni, è improbabile che trattamenti più prolungati<br />

possano essere efficaci.<br />

Mycoplasma spp. e Bordetella bronchiseptica possono<br />

essere agenti patogeni nasali primari o secondari. Per questa<br />

ragione, alcuni clinici raccomandano un ciclo di 2-3 settimane<br />

con antibiotici dotati di uno spettro di azione più efficace<br />

per questi microrganismi. Le scelte possibili sono rappresentate<br />

da doxiciclina, azitromicina o fluorochinoloni<br />

(nota: nel gatto questi ultimi sono associati a degenerazione<br />

retinica). Uno studio condotto per confrontare la risposta clinica<br />

all’amossicillina o all’azitromicina nei gatti dei ricoveri<br />

che presentavano segni di rinite (tipicamente acuta piuttosto<br />

che cronica) non ha riscontrato differenze significative<br />

fra questi trattamenti.<br />

Infezione delle vie aeree di maggior calibro<br />

La tracheobronchite infettiva è meno comune nel gatto<br />

che nel cane e, quando si verifica, è spesso associata ad<br />

infezioni virali delle vie aeree superiori. B. bronchiseptica<br />

può essere isolata sia dai gatti sani che da quelli con segni<br />

di malattia respiratoria. La reale incidenza dell’infezione da<br />

B. bronchiseptica dell’apparato respiratorio del gatto è sconosciuta.<br />

Negli animali in cui si ritiene che questo potenziale<br />

patogeno dia origine ad un’infezione piuttosto che ad<br />

una colonizzazione, la tosse viene descritta come il segno<br />

clinico predominante. A differenza di quanto avviene nella<br />

tracheobronchite infettiva del cane, nel gatto la tosse non è<br />

particolarmente forte, né “differisce” in altri modi da quella<br />

dovuta ad altre cause. L’infezione nel gatto viene solitamente<br />

documentata in soggetti molto giovani o gattini ricoverati<br />

in ambienti in cui vivono più animali della stessa specie.<br />

Sono disponibili dei vaccini per la prevenzione dell’infezione<br />

da B. bronchiseptica nei felini, ma si ritiene che non<br />

siano indicati come procedura di routine da attuare nella<br />

maggior parte dei gatti.<br />

La malattia broncopolmonare felina come l’asma o la<br />

bronchite cronica non è infettiva. In rari casi, questi gatti sviluppano<br />

infezioni batteriche secondarie. Poiché anche negli<br />

animali sani le vie aeree non sono sterili, gli esiti delle colture<br />

batteriche del materiale prelevato mediante lavaggio di


80 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

queste strutture vanno interpretati con cautela, alla luce dei<br />

riscontri citologici e dei segni clinici. Occasionalmente, si<br />

identificano dei gatti con un’imponente crescita di Mycoplasma<br />

spp., nei quali può risultare utile una terapia antibiotica<br />

appropriata. Mycoplasma richiede condizioni colturali speciali;<br />

questi microrganismi possono anche essere isolati<br />

mediante reazione a catena della polimerasi. Sono resistenti<br />

a molti degli antibiotici comunemente usati, ma risultano<br />

generalmente suscettibili a macrolidi, tetracicline, cloramfenicolo<br />

o fluorochinoloni.<br />

Infezioni del parenchima polmonare<br />

Rispetto al cane, i gatti sono soggetti a polmonite batterica<br />

con una frequenza di gran lunga minore. Si tratta di una<br />

malattia potenzialmente letale, che però si riscontra molto<br />

raramente in animali altrimenti sani. La maggior parte delle<br />

polmoniti batteriche si osserva in soggetti malati, debilitati o<br />

immunodeficienti, oppure quando le difese fisiche siano state<br />

infrante. In tutti gli animali con polmonite batterica, ci si<br />

deve sforzare di identificare una causa predisponente, come<br />

il rigurgito o gli stati di immunodeficienza. Esistono profonde<br />

differenze nella presentazione degli animali con polmonite,<br />

a seconda della gravità della malattia. È interessante<br />

notare che molti gatti con polmonite non presentano segni<br />

clinici riferibili ad una compromissione respiratoria; la tosse<br />

in questi animali sembra essere poco comune. Gli agenti<br />

patogeni incriminati sono di solito opportunisti e comprendono<br />

sia anaerobi che aerobi. Sono possibili infezioni polimicrobiche,<br />

specialmente nei gatti in cui la polmonite è preceduta<br />

da fenomeni ab ingestis. Il lavaggio transorale o quello<br />

broncoalveolare forniscono materiale da destinare all’esame<br />

citologico ed alle colture prima di iniziare una terapia<br />

con antibiotici ad ampio spettro. L’identificazione di neutrofili<br />

degenerati contenenti detriti batterici è altamente indicativa<br />

della diagnosi di polmonite batterica. Gli esami colturali<br />

e gli antibiogrammi devono essere allestiti in modo da evidenziare<br />

la presenza di microrganismi aerobi ed anaerobi e<br />

di Mycoplasma.<br />

Il trattamento della polmonite batterica dipende in una<br />

certa misura dalla gravità della malattia. L’ideale è basare la<br />

terapia antimicrobica sui risultati degli esami colturali e<br />

degli antibiogrammi, ma non si può sospenderla in attesa di<br />

questi esiti. La terapia iniziale va effettuata con agenti ad<br />

ampio spettro. Spesso, come trattamento empirico iniziale<br />

si impiega un’associazione di una betalattamina con un<br />

fluorochinolone. Nel trattamento della polmonite batterica è<br />

essenziale la terapia di supporto, che prevede il mantenimento<br />

dell’idratazione (sia a livello sistemico che delle vie<br />

aeree, mediante nebulizzazione), l’ossigenazione e l’ade-<br />

guata nutrizione. Anche la fisioterapia può risultare utile. La<br />

soppressione della tosse negli animali con polmonite è controindicata,<br />

perché il suo scopo dovrebbe essere quello di<br />

promuovere l’eliminazione del muco infetto.<br />

Nel gatto, la polmonite può talvolta essere causata da<br />

agenti patogeni non tradizionali. I micoplasmi, microrganismi<br />

particolari privi di parete cellulare, possono svolgere un<br />

ruolo primario o secondario nelle infezioni del polmone dei<br />

felini. In rari casi, nel gatto vengono diagnosticate delle infezioni<br />

da micobatteri acidoresistenti. È stato riferito che i gatti<br />

siamesi ed abissini sono colpiti da infezioni da M. avium<br />

più spesso di quelli delle altre razze.<br />

Infezioni dello spazio pleurico<br />

Il piotorace è un’infezione batterica dello spazio pleurico<br />

che porta all’accumulo di un fluido purulento. Nel gatto, è<br />

spesso associato all’inoculazione di batteri nel torace attraverso<br />

ferite che gli animali si provocano in occasione dei<br />

combattimenti con i conspecifici. Nonostante questa associazione,<br />

il piotorace si può riscontrare anche in gatti tenuti<br />

in casa e senza che vi siano animali della stessa specie in<br />

famiglia. I più comuni agenti patogeni identificati nel piotorace<br />

felino sono Pasteurella, Bacteroides, Actinomyces e<br />

Clostridium. Le infezioni sono spesso di tipo misto e possono<br />

contenere parecchie specie batteriche. Il fluido purulento<br />

di solito è di colore bianco smorto, beige, rosa o rosso<br />

(cosiddetta “zuppa di pomodoro”) e maleodorante. In caso<br />

di infezioni da Actinomyces o Nocardia, può contenere del<br />

materiale granulare bianco o giallo (granuli zolfini). Il tipo<br />

cellulare predominante è rappresentato dai neutrofili degenerati<br />

e l’esame citologico evidenzia spesso la presenza di<br />

batteri. L’eventuale misurazione del livello di glucosio e del<br />

pH di questi fluidi evidenzia valori bassi. Si deve richiedere<br />

l’allestimento di colture aerobiche ed anaerobiche di questo<br />

materiale. Gli animali con piotorace presentano di solito una<br />

malattia sistemica e possono manifestare delle complicazioni<br />

della sepsi. Per la terapia del piotorace è indispensabile,<br />

ma comunque inadeguata, la somministrazione aggressiva di<br />

antibiotici ad ampio spettro attivi anche nei confronti degli<br />

anaerobi. Il fluido purulento va drenato, se possibile mediante<br />

aspirazione continua. Nei cani con piotorace la toracotomia<br />

esplorativa risulta utile per la sopravvivenza; nel gatto,<br />

questa relazione non è stata studiata.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 81<br />

Come comunicare con un cane Sociopatico,<br />

con un cane Fobico, con un cane Iperattivo-Ipersensibile<br />

Raimondo Colangeli<br />

Med Vet, Dipl Comp ENVF, Roma<br />

Franco Fassola<br />

Med Vet, Asti<br />

Alessandra Gherardi<br />

Med Vet, Ravenna<br />

LA COMUNICAZIONE CON IL CANE<br />

AFFETTO DALLA SINDROME<br />

IPERSENSIBILITÀ IPERATTIVITÀ<br />

La comunicazione con un cane affetto da patologie del<br />

comportamento rappresenta sempre una sfida per il medico<br />

veterinario. In particolare un cane affetto da sindrome ipersensibilità-iperattività<br />

(HsHa) risponde in modo ipertrofico a<br />

stimoli di bassa intensità rendendo difficile mantenere l’attenzione<br />

del cane. Le caratteristiche distintive di questa<br />

patologia sono rappresentate, analogamente a quanto si<br />

osserva nel bambino con ADHD, da difficoltà di attenzione,<br />

impulsività, iperattività e mancata acquisizione del morso<br />

inibito. I proprietari lamentano che il cane è incapace di<br />

rimanere tranquillo, distrugge casa è incontenibile ed è<br />

aggredito dagli altri cani quando tenta di giocare con loro.<br />

Molto spesso hanno provato a portarlo al campo addestramento<br />

ma con scarsi risultati. Fino a qualche anno fa la terapia<br />

era incentrata sul recupero degli autocontrolli (ad es.<br />

terapia del gioco controllato) ed era data scarsa importanza<br />

al lato ipersensibilità della patologia. Recenti studi in medicina<br />

umana dimostrano che l’ipermotricità è, in realtà, una<br />

conseguenza di un alterato filtro sensoriale. Iniziare a pensare<br />

all’hsha come un cane ipersensibile a cui “arriva troppo”<br />

fa si che la terapia sia basata in primis sul recupero della<br />

relazione con il proprietario. È quindi importante far eseguire<br />

a cane e proprietario degli esercizi che il cane sia in grado<br />

di affrontare per poter aumentare l’accreditamento (autostima).<br />

L’agility, che a prima vista sembrerebbe non essere<br />

idonea in quanto disciplina che innalza l’arousal, eseguita<br />

con particolari accorgimenti si adatta bene a questo scopo.<br />

La comunicazione con il cane affetto<br />

dalla sociopatia interspecifica<br />

Nella sociopatia la conflittualità gerarchica si manifesta<br />

per l’acquisizione delle prerogative del dominante all’inter-<br />

no del gruppo uomo-cane; oltre a questa condizione obbligatoria,<br />

devono essere presenti almeno due dei seguenti<br />

segni o sintomi:<br />

• Triade dell’aggressività (aggressione gerarchica + aggressione<br />

da irritazione + aggressione territoriale)<br />

• Aumento della frequenza del comportamento di presa alimentare<br />

in presenza di uno o più componenti della famiglia<br />

• Minzioni gerarchiche<br />

• Cavalcamenti gerarchici su una o più persone dello stesso<br />

sesso del cane<br />

• Nelle femmine: pseudo-gravidanza con poca produzione<br />

di latte, ed aggressioni materne in prossimità dell’oggetto<br />

di sostituzione quando la proprietaria ci si avvicina (gioco,<br />

pantofola ecc.)<br />

• Appropriazione dei bambini ed aggressioni materne quando<br />

la proprietaria si avvicina<br />

• Aggressioni sui figli dei proprietari<br />

• Distruzioni dei mobili attorno alle uscite, da dove i proprietari<br />

lasciano la casa, ed attorno alle finestre da dove il<br />

cane li vede partire.<br />

In questa patologia comportamentale il peggioramento<br />

della sintomatologia è molto influenzato dalla comunicazione<br />

non corretta oltre che ansiogena messa in atto da parte dei<br />

componenti della famiglia.<br />

I punti cardine della comunicazione da attuare nei confronti<br />

di un cane sociopatico sono principalmente il linguaggio<br />

non verbale: il tono della voce utilizzato per rinforzare la<br />

congruenza del messaggio, che sia di rinforzo oppure di<br />

punizione; la postura (ad esempio una postura defilata ed<br />

incerta di un proprietario timoroso di essere aggredito accellera<br />

la scalata nell’albero gerarchico del suo cane in fase di<br />

“challenger”, sfidante) e la prossemica.<br />

Queste tecniche sono indispensabili per raggiungere la<br />

circolarità della comunicazione, cioè in modo che il proprietario<br />

invii richieste ed informazioni al proprio cane rispettando<br />

e privilegiando forme di comunicazione adattate alle<br />

capacità sensoriali dell’animale.


82 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La prossemica è un termine creato da E. T. Hall, antropologo<br />

americano, che definisce lo studio dell’utilizzazione<br />

dello spazio da parte degli esseri animati nelle loro relazioni,<br />

e del significato che ne scaturisce. All’interno di questa<br />

tecnica si sottolinea l’importanza della posizione delle spalle,<br />

la cinetica e la traiettoria che definiscono l’alleanza o<br />

l’affrontamento che si vuole effettuare.<br />

La comunicazione con il cane affetto<br />

da Sindrome da Privazione Sensoriale<br />

La Sindrome da Privazione Sensoriale (S. da P. S.) è una<br />

patologia comportamentale che ha le sue radici nei primi<br />

mesi di vita del cucciolo.<br />

L’elemento caratterizzante la S. da P. S. è l’incapacità del<br />

cane ha gestire l’ambiente in cui vive, a causa di uno sviluppo<br />

sensoriale insufficiente. Si tratta di soggetti, che nel periodo<br />

sensibile (periodo che va sino ai 4 mesi di età circa, in cui gli<br />

apprendimenti sono facilitati) hanno vissuto in un ambiente<br />

ipostimolante. Il cane non ha potuto crearsi una “banca dati”<br />

solida, con tante informazioni raccolte attraverso i canali sensoriali<br />

(vista, udito, olfatto, tatto), da usare quando, cambiando<br />

ambiente, per esempio passando da una contesto rurale a uno<br />

urbano, le sollecitazioni aumentano e devono essere assimilate<br />

e non rigettate perché scatenano una reazione di paura.<br />

Questa patologia si compone di tre entità cliniche, che<br />

hanno sintomi diversi, ma la stessa origine:<br />

• stadio 1 o stadio fobico: il comportamento è condizionato<br />

dalla paura di oggetti, situazioni o persone;<br />

• stadio 2 o stadio ansioso: il cane è inibito, non sopporta la<br />

modificazione dell’ambiente e l’esporazione è limitata<br />

(esplorazione statica, preceduta da una postura d’attesa)<br />

• stasio 3 o stadio depressivo: il cane si ripiega su se stesso,<br />

scompare l’esplorazione e l’attività ludica.<br />

Questa breve introduzione serve a far comprendere quanto<br />

la patologia sia grave e come l’intervento debba essere deciso,<br />

puntuale e rapido, per recuperare il soggetto colpito, ma<br />

nel contempo debba tenere conto della sua fragilità emotiva.<br />

L’approccio comunicativo con il cane deprivato deve essere<br />

chiaro, volto a supportarlo e a trasmettergli fiducia.<br />

La voce è importante, ma anche la postura deve essere<br />

curata, sempre posture e toni di voce bassi, ma autorevoli,<br />

perché il comando deve comunicare la sicurezza del leader.<br />

È importante, che tutti i membri del gruppo mantengano con<br />

il cane un legame di attaccamento che lo rassicuri, almeno<br />

nella prima parte della terapia, e per questo è utile insegnare<br />

a tutte le persone che fanno parte del branco uomo-cane una<br />

comunicazione non verbale che sia comune e facilmente<br />

comprensibile, fatta di pochi gesti rassicuranti.<br />

La comunicazione come terapia nella S. da P. S. viene<br />

usata inizialmente in un luogo considerato tranquillo per il<br />

cane, la casa, poi si passa all’esterno.<br />

Per concludere, se la terapia farmacologica ha un ruolo<br />

fondamentale per il trattamento di questa patologia, l’insegnamento<br />

al proprietario di un corretto modo di comunicare<br />

con questi cani è insostituibile, perché sarà la risorsa<br />

indispensabile e duratura che gli consentirà di gestire per<br />

il resto della vita un soggetto deprivato.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Raimondo Colangeli<br />

E-mail: raimondo.colangeli@libero.it<br />

Fassola Franco<br />

Amb.: C.so Torino 88 ASTI - Abit.: C.so XXV Aprile 90 ASTI<br />

Tel.: 0141/<strong>21</strong>2652 - 3482668173 - E-mail: fassola@veterinario.it<br />

Alessandra Gherardi<br />

Clinica Veterinaria Poggio Piccolo<br />

Via San Carlo 8/f - 40023 Castel Guelfo (BO)<br />

E-mail: comportamento@mac.com


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 83<br />

Dermatite da Malassezia nel cane<br />

Silvia Colombo<br />

Med Vet, Dipl ECVD, Legnano (MI)<br />

Eziologia<br />

La dermatite da Malassezia è una malattia sostenuta da<br />

Malassezia pachydermatis, lievito lipofilico che si riproduce<br />

per gemmazione e che appartiene alla normale microflora<br />

della cute e delle mucose del cane. Il genere Malassezia raggruppa<br />

7 specie di lieviti: M. pachydermatis, l’unica specie<br />

che non richiede lipidi per la crescita su terreno di coltura, e<br />

le 6 specie che dipendono dai lipidi, ovvero M. furfur, isolata<br />

prevalentemente nell’uomo, M. sympodialis, M. globosa,<br />

M. obtusa, M. restricta, e M. slooffiae. Nel cane sono state<br />

isolate 4 di queste specie: M. pachydermatis, M. furfur, M.<br />

sympodialis e M. obtusa 1 .<br />

In cani sani, M. pachydermatis può essere isolata dai<br />

condotti uditivi, dall’ano e dal retto, dalla cavità orale, dal<br />

naso e dalla vagina, mentre sulla cute viene isolata più<br />

comunemente dagli spazi interdigitali e intorno alla bocca 2 .<br />

Inoltre, è stato dimostrato che il lievito colonizza la cute<br />

del cane immediatamente dopo la nascita 3 . Nonostante si<br />

tratti di un microrganismo che appartiene alla microflora<br />

normale, in condizioni particolari si comporta da agente<br />

patogeno, aggravando e complicando malattie dermatologiche<br />

già presenti.<br />

Patogenesi<br />

M. pachydermatis è stata riconosciuta come causa di dermatite<br />

nel cane da Dufait 4 nel <strong>19</strong>83, quindi in tempi relativamente<br />

recenti. I fattori predisponenti sono legati ad alterazioni<br />

nei meccanismi di difesa cutanei dell’ospite e/o a<br />

variazioni del microambiente cutaneo. Per esempio, malattie<br />

allergiche, in particolare la dermatite atopica, endocrinopatie<br />

o disordini della cheratinizzazione che danneggiano la<br />

barriera epidermica sono predisponenti, così come la stagione<br />

calda, il clima umido e la presenza di abbondanti pieghe<br />

cutanee 1,5 . In soggetti atopici sono stati osservati lieviti in<br />

numero molto più elevato che in soggetti normali nei condotti<br />

uditivi, negli spazi interdigitali, nella regione inguinale<br />

e sotto la coda, sia con l’esame citologico che con l’esame<br />

colturale 6-7 . Uno studio francese su un gruppo di 54 cani<br />

affetti da dermatite da Malassezia ha identificato i seguenti<br />

fattori predisponenti: dermatite atopica (28%), presenza di<br />

pieghe cutanee (28%), dermatite atopica associata a dermatite<br />

allergica al morso di pulce (<strong>19</strong>%), demodicosi (9%) e<br />

ipotiroidismo, allergia alimentare e allergia alimentare associata<br />

a dermatite atopica (2%) 8 . La dermatite da Malassezia,<br />

inoltre è frequentemente associata alla piodermite, e nonostante<br />

le interazioni tra i due microrganismi siano state<br />

poco studiate, si ipotizza che si possa instaurare un rapporto<br />

simbiotico con reciproco beneficio 5 . Il ruolo dei trattamenti<br />

con antibiotici è invece controverso 5,9 . Le razze predisposte<br />

sono il Basset Hound, il West Highland White Terrier, il Bassotto,<br />

il Cocker Spaniel, lo Shih Tzu ed il Setter inglese 5,9-12 .<br />

Per quanto concerne i fattori di virulenza di M. pachydermatis,<br />

il lievito produce numerosi enzimi tra cui proteasi<br />

(mediatori di prurito), lipasi, che idrolizzano i lipidi del film<br />

che riveste lo strato corneo ad acidi grassi liberi, che a loro<br />

volta inibiscono la crescita di altri microrganismi, ed altre<br />

sostanze in grado di alterare il pH cutaneo e attivare il complemento<br />

con conseguente infiammazione e prurito 5,13 . La<br />

capacità del lievito di aderire ai cheratinociti non sembra<br />

invece essere un fattore di virulenza rilevante 13 , né M. pachydermatis<br />

sembra essere direttamente in grado di indurre la<br />

proliferazione dei cheratinociti 1 .<br />

La risposta immunitaria dell’ospite nei confronti di M.<br />

pachydermatis è stata indagata in numerosi studi nella specie<br />

canina. L’ipotesi più accreditata è che M. pachydermatis<br />

produca antigeni che penetrano la cute, vengono catturati da<br />

cellule in grado di presentare l’antigene (cellule di Langerhans,<br />

cellule dendritiche dermiche) che migrano al linfonodo<br />

regionale e presentano l’antigene ai linfociti T immaturi.<br />

La presentazione dell’antigene in associazione a citochine<br />

ambientali induce la trasformazione dei linfociti immaturi in<br />

linfociti Th1 e/o linfociti Th2. Le cellule Th2 stimolano i linfociti<br />

B a produrre IgE, che si fissano sui mastociti e inducono<br />

degranulazione al successivo contatto con l’antigene,<br />

causando una reazione di ipersensibilità di primo tipo, mentre<br />

le cellule Th1 stimolano i linfociti B a produrre IgG che<br />

potrebbero avere un ruolo protettivo, oppure attivare il Complemento<br />

provocando infiammazione. Questi due eventi possono<br />

avvenire in contemporanea nello stesso soggetto 1 . Nel<br />

cane sono stati osservati livelli sierici di IgE più alti nei soggetti<br />

atopici con o senza dermatite/otite da Malassezia, comparati<br />

a soggetti sani e non atopici affetti da dermatite/otite<br />

da Malassezia 14 . Gli allergeni maggiori (riconosciuti da più<br />

del 50% dei sieri degli atopici con dermatite/otite da Malassezia)<br />

sono proteine di peso molecolare pari a 45, 52, 56, e<br />

63 kDa 15 , anche se gli allergeni espressi da Malassezia sembrano<br />

variare con le fasi di crescita del lievito 16 . In studi che<br />

hanno impiegato il test di intradermoreazione, è stato dimostrato<br />

che cani atopici hanno reazioni positive indipendentemente<br />

dalla presenza o meno di dermatite da Malassezia,<br />

anche se in soggetti con la dermatite le reazioni sono più<br />

intense 17 . Le reazioni positive sono invece rare nei Basset<br />

Hound 18 , e la reattività cutanea è stata anche trasmessa a cani<br />

sani con il Prausnitz-Kustner test <strong>19</strong> . La risposta immunitaria<br />

cellulo-mediata, importante nelle malattie fungine, nel cane


84 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

sembra essere indotta con più facilità in soggetti atopici con<br />

dermatite da Malassezia, confrontati con cani sani e con cani<br />

atopici con otite da Malassezia, e si pensa che la presenza di<br />

cerume protegga il lievito dall’interazione con il sistema<br />

immunitario 20 .<br />

Aspetti clinici<br />

La dermatite da Malassezia nel cane è una malattia comune<br />

e si osserva più comunemente in cani giovani 5 . I segni clinici<br />

sono eritema, esfoliazione, seborrea, alopecia, prurito e<br />

odore rancido; in casi cronici, a questi vanno aggiunte iperpigmentazione<br />

e lichenificazione. La dermatite può presentarsi<br />

in forma localizzata (pieghe cutanee, condotto uditivo esterno,<br />

piega labiale, muso, regione ventrale del collo, spazi interdigitali,<br />

pieghe ungueali, regione perineale) o generalizzata <strong>21</strong> .<br />

In un soggetto sottoposto a ripetuti trattamenti antibiotici è<br />

stata inoltre descritta stomatite, faringite e tonsillite da Malassezia<br />

22 . La malattia cutanea riportata da Scott & Miller 23<br />

(<strong>19</strong>89) come displasia epidermica del West Highland White<br />

Terrier, con sospetta base genetica, è stata recentemente riconosciuta<br />

come un forma particolarmente grave e cronica di<br />

dermatite da Malassezia 24 . Si ricorda che la dermatite da<br />

Malassezia è solitamente secondaria e che è indispensabile<br />

mettere in atto le indagini diagnostiche necessarie per individuare<br />

la malattia predisponente. Le forme primarie sono rare.<br />

Diagnosi<br />

La diagnosi di dermatite da Malassezia è appropriata<br />

quando un cane con elevato numero di lieviti sulla cute, che<br />

presenta lesioni suggestive della malattia, risponde clinicamente<br />

e dal punto di vista micologico ad una terapia antimicotica<br />

appropriata 1 . Nella pratica clinica, il test diagnostico<br />

d’elezione è l’esame citologico. Le tecniche maggiormente<br />

utilizzate per il prelievo sono lo scotch test, l’impressione<br />

diretta sulla cute, il tampone ed il raschiato cutaneo superficiale.<br />

Il campione viene colorato con coloranti rapidi con<br />

ematologia (Hemacolor ® ), e secondo alcuni autori prima<br />

della colorazione dovrebbe venire fissato con il calore 5 . Un<br />

recente studio eseguito nel nostro paese ha dimostrato che i<br />

risultati sono identici sia che il vetrino venga fissato o meno,<br />

e che è possibile anche eseguire la colorazione del vetrino<br />

utilizzando solo il terzo componente (blu) della colorazione<br />

rapida 25 . L’esame microscopico viene condotto ad ingrandimenti<br />

di 400X o 1000X ad immersione, e consente di osservare<br />

lieviti liberi o adesi ai cheratinociti. Malassezia pachydermatis<br />

può essere osservata all’esame citologico anche in<br />

soggetti sani, e numerosi studi hanno proposto criteri per<br />

stabilire qual è il numero di lieviti che dovrebbe essere considerato<br />

significativo. Probabilmente, identificare 1 lievito<br />

per campo a 1000X ad immersione è da considerarsi patologico,<br />

in un soggetto con lesioni cliniche compatibili 1 .<br />

L’esame colturale è poco usato nella pratica clinica. I terreni<br />

ideali sono il Sabouraud Agar destrosio e l’Agar Dixon<br />

modificato, che essendo arricchito con lipidi consente di<br />

identificare le specie dipendenti da lipidi. La temperatura<br />

ideale è compresa tra 32 e 37°C ed in atmosfera contenente il<br />

5-10% di CO 2 si ottiene la crescita ottimale in 72 ore 1 . L’esame<br />

istologico di rado consente di osservare i lieviti, che si trovano<br />

nello strato corneo o talvolta nell’infundibolo follicolare,<br />

in quanto parte dello strato corneo viene persa durante la<br />

processazione. La dermatite da Malassezia è caratterizzata da<br />

iperplasia irregolare e marcata dell’epidermide e dell’infundibolo<br />

follicolare, ipercheratosi ortocheratosica con paracheratosi<br />

focale, spongiosi e dermatite superficiale perivascolare/interstiziale<br />

con esocitosi di linfociti. È inoltre caratteristico<br />

l’allineamento di mastociti alla giunzione dermo-epidermica<br />

12 . Nello stesso studio, il lievito è stato direttamente evidenziato<br />

nel 73.3% dei casi con istologia compatibile 12 .<br />

Terapia<br />

Il significato clinico della presenza del lievito è confermato<br />

da una risposta positiva alla terapia, che si basa sull’uso<br />

di farmaci antimicotici, per via topica o sistemica. I principi<br />

attivi efficaci per uso topico sono la clorexidina (2-4%),<br />

il clotrimazolo, l’enilconazolo, il ketoconazolo, il miconazolo,<br />

la nistatina ed il selenio solfuro. Il trattamento andrebbe<br />

effettuato inizialmente 2-3 volte alla settimana, riducendo<br />

poi la frequenza secondo necessità 1,5,<strong>21</strong> . Nei casi più gravi o<br />

nelle forme generalizzate, il trattamento sistemico si effettua<br />

con ketoconazolo o itraconazolo al dosaggio di 5-10 mg/kg<br />

al giorno per via orale per 3-4 settimane 1,5,<strong>21</strong> . L’itraconazolo<br />

può essere utilizzato con ottimi risultati anche con protocolli<br />

di “pulse therapy”, grazie alla sua capacità di persistere a<br />

lungo nei tessuti cheratinizzati 26 . Due studi recenti 27,28 hanno<br />

inoltre dimostrato l’efficacia della terbinafine al dosaggio di<br />

30 mg/kg al giorno per via orale, per 3-4 settimane. Si ricorda<br />

che nei casi ricorrenti è necessario indagare e trattare la<br />

malattia predisponente, e spesso instaurare terapie di mantenimento<br />

a lungo termine per la dermatite da Malassezia 1 .<br />

Bibliografia<br />

1. Chen TA, Hill PB, (2005), The biology of Malassezia organisms and<br />

their ability to induce immune responses and skin disease, Vet Dermatol,<br />

16:4-26.<br />

2. Bond R, Saijonmaa-Koulumies LEM., Lloyd DH, (<strong>19</strong>95), Population<br />

sizes and frequency of Malassezia pachydermatis at skin and mucosal<br />

sites on healthy dogs, J Sm Anim Pract, 36:147-150.<br />

3. Wagner R, Schadler S, (2000), Qualitative study of Malassezia species<br />

colonisation in young puppies, Vet Rec, 47:<strong>19</strong>2-<strong>19</strong>4.<br />

4. Dufait R, (<strong>19</strong>83), Pytirosporon canis as the cause of canine chronic<br />

dermatitis, Veterinary Medicine and Small Animal Clinician,<br />

78:1055-1057.<br />

5. Scott DW, Miller WH, Griffin CE, (2001), Muller and Kirk’s Small<br />

Animal Dermatology, 6th Ed WB Saunders, Philadelphia, 363-374.<br />

6. 11. Bond R, Collin WS, Lloyd DH, (<strong>19</strong>94) Use of contact plates for<br />

the quantitative culture of Malassezia pachydermatis from canine<br />

skin. J Sm Anim Pract, 35:68-72.<br />

7. White SD, Bourdeau P, Blumstein P, Ibish C, Scott KV, Salman MD,<br />

Chapman PL, (<strong>19</strong>98), Comparison via cytology and culture of carriage<br />

of Malassezia pachydermatis in atopic and healthy dogs, Advances<br />

in Veterinary Dermatology Vol. 3, Butterworth-Heinemann,<br />

Oxford, 291-298.<br />

8. Guaguere E, Prelaud P, (<strong>19</strong>96), Etude retrospective de 54 cas de dermite<br />

a Malassezia pachydermatis chez le chien: resultats epidemiologiques,<br />

cliniques, cytologiques et histopathologiques, Prat Med Chir<br />

Anim Comp, 31:309-323.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 85<br />

9. Plant JD, Rosencrantz W, Griffin CE, (<strong>19</strong>92), Factors associated with<br />

and prevalence of high Malassezia pachydermatis numbers on dog<br />

skin, J Am Vet Med Ass, 201:879-82.<br />

10. Bond R, Ferguson EA, Curtis CF, et al., (<strong>19</strong>96), Factors associated<br />

with elevated cutaneous Malassezia pachydermatis populations in<br />

dogs with pruritic skin disease. J Sm Anim Pract 37:103-7.<br />

11. Bond R, Lloyd DH, (<strong>19</strong>97), Skin and mucosal populations of Malassezia<br />

pachydermatis in healthy and seborrheic Basset Hounds, Vet<br />

Dermatol 8:101-6.<br />

12. Mauldin EA, Scott DW, Miller WH, et al., (<strong>19</strong>97), Malassezia dermatitis<br />

in the dog: a retrospective histopathological and immunopathological<br />

study of 86 cases (<strong>19</strong>90-<strong>19</strong>95), Vet Dermatol, 8:<strong>19</strong>1-202.<br />

13. Bond R, (2002), Pathogenesis of Malassezia dermatitis, In: Thoday<br />

KL, Foil CS, Bond R, Advances in Veterinary Dermatology Vol. 4,<br />

Blackwell Publishing, Oxford, 69-75.<br />

14. Nuttall TJ, Halliwell REW, (2001), Serum antibodies to Malassezia<br />

yeasts in canine atopic dermatitis, Vet Dermatol, 12:327-32.<br />

15. Chen TA, Halliwell RW, Pemberton AD, Hill PB, (2002), Identification<br />

of major allergens of Malassezia pachydermatis in dogs with atopic<br />

dermatitis and Malassezia overgrowth, Vet Dermatol, 13:141-150.<br />

16. Habibah A, Catchpole B, Bond R, (2005), Canine serum immunoreactivity<br />

to M. pachydermatis in vitro is influenced by the phase of<br />

yeast growth, Vet Dermatol 16:147-152.<br />

17. Morris DO, Olivier NB, Rosser EJ, (<strong>19</strong>98), Type-1 hypersensitivity<br />

reactions to Malassezia pachydermatis extracts in atopic dogs, Am J<br />

Vet Res 59:836-841.<br />

18. Bond R, Lloyd D, (2002), Immunoglobulin G responses to Malassezia<br />

pachydermatis in healthy dogs and dogs with Malassezia dermatitis,<br />

Vet Rec, 150:509-512.<br />

<strong>19</strong>. Morris DO, DeBoer DJ, (2003), Evaluation of serum obtained from<br />

atopic dogs with dermatitis attributable to Malassezia pachydermatis<br />

for passive transfer of immediate hypersensitivity to that organism,<br />

Am J Vet Res, 64:262-6.<br />

20. Morris DO, Clayton DJ, Drobatz DJ, Felsburg PJ, (2002), Response<br />

to Malassezia pachydermatis by peripheral blood mononuclear cells<br />

from clinically normal and atopic dogs, Am J Vet Res, 63:358-62.<br />

<strong>21</strong>. Morris DO, Malassezia dermatitis and otitis, (<strong>19</strong>99), Veterinary Clinics<br />

of North America: Small Animal Practice, 1303-1310.<br />

22. Printer L, Noble NC, (<strong>19</strong>99), Stomatitis, pharyngitis, and tonsillitis<br />

caused by Malassezia pachydermatis in a dog, Vet Dermatol<br />

9:257-60.<br />

23. Scott DW, Miller WH, (<strong>19</strong>89), Epidermal dysplasia and Malassezia<br />

pachydermatis infection in West Highland White Terriers, Vet Dermatol,<br />

1: 25-36.<br />

24. Nett CS, Reichler I, Grest P, Hauser B, Reusch CE, (2001), Epidermal<br />

dysplasia and Malassezia infection in two West Highland White<br />

Terrier siblings: an inherited skin disorder or reaction to severe<br />

Malassezia infection?, Vet Dermatol, 12:285-290.<br />

25. Cornegliani L, Toma S, Persico P, Noli C, (2004), Comparison of<br />

four different types of stain in ear cytology, Vet Dermatol,15, Supplement<br />

1, 35.<br />

26. Pinchbeck LR, Hillier A, Kowalski JJ, Kwochka KW, (2002),<br />

Comparison of pulse administration versus once daily administration<br />

of itraconazole for the treatment of Malassezia pachydermatis<br />

dermatitis and otitis in dogs, J Am Vet Med Ass, 220:1807-<br />

1812.<br />

27. Guillot J, Bensignor E, Jankowski F, Seewald W, Chermette R, Steffan<br />

J, (2003), Comparative efficacies of oral ketoconazole and terbinafine<br />

for reducing Malassezia population sizes on the skin of Basset<br />

Hounds, Vet Dermatol, 14:153-157.<br />

28. Rosales MS, Marsella R, Kunkle G, Harris BL, Nicklin CF, Lopez J,<br />

(2005), Comparison of the clinical efficacy of oral terbinafine and<br />

ketoconazole combined with cephalexin in the treatment of Malassezia<br />

dermatitis in dogs – a pilot study, Vet Dermatol, 16:171-176.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Silvia Colombo<br />

Via Fabio Filzi <strong>19</strong>, Legnano (MI)<br />

Tel.: 338 9612911<br />

E-mail: colombo_silvia@yahoo.it


86 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Sovracrescita da malassezia nel gatto<br />

Silvia Colombo<br />

Med Vet, Dipl ECVD, Legnao (MI)<br />

Eziologia<br />

I lieviti del genere Malassezia colonizzano la cute di mammiferi<br />

e uccelli, e appartengono alla normale microflora cutanea.<br />

Delle 7 specie di Malassezia classificate ufficialmente (M.<br />

pachydermatis, M. sympodialis, M. furfur, M. globosa, M. obtusa,<br />

M. restricta ed M. slooffiae), sul gatto sono state isolate le<br />

seguenti specie: M. pachydermatis, M. sympodialis, M. furfur e<br />

M. globosa 1-3 . Recentemente, è stato riportato l’isolamento di<br />

una nuova specie, denominata M. nana 4 , anche se potrebbe in<br />

realtà trattarsi di un ceppo di M. sympodialis 5 .<br />

Patogenesi<br />

La patogenesi della sovracrescita da Malassezia nel gatto<br />

è praticamente sconosciuta, e non esistono articoli pubblicati<br />

in merito ai fattori di virulenza o alla capacità del lievito<br />

di aderire ai cheratinociti, né alla risposta immunitaria dell’ospite.<br />

Gli unici dati in nostro possesso sono ricavati da<br />

studi clinici, libri di testo o presentazioni a congressi internazionali.<br />

Nel gatto la sovracrescita da Malassezia è un<br />

evento raro, così come lo è la piodermite 6 .<br />

Alcune razze di gatti nudi o con alterazioni del mantello,<br />

come Sphynx e Devon Rex, presentano spesso cute grassa e<br />

sovracrescita da Malassezia, non associata ad alcuna sintomatologia<br />

clinica 7 . In uno studio sulla citologia della piega ungueale<br />

nel gatto, è stata osservata clinicamente la presenza di materiale<br />

untuoso, di colore brunastro, in gatti Devon Rex asintomatici.<br />

All’esame citologico 15/15 gatti di razza Devon Rex avevano<br />

lieviti del genere Malassezia nella piega ungueale, contro 18/31<br />

gatti di altre razze (Europei e Persiani) 8 . Eseguendo un esame<br />

colturale dal materiale prelevato dalla piega ungueale di gatti di<br />

diverse razze, sono state isolate M. pachydermatis nel 52% dei<br />

casi, M. furfur nel 38% dei casi e M. sympodialis nel 9.5% dei<br />

casi. In 8/<strong>21</strong> gatti sono state isolate più specie di Malassezia, e<br />

6 di questi erano gatti di razza Devon Rex 9 .<br />

La sovracrescita da Malassezia del gatto sembra essere, allo<br />

stato attuale delle nostre conoscenze, un indicatore della presenza<br />

di una grave malattia sistemica. In particolare, sembra<br />

esistere una predisposizione per soggetti con infezioni da Retrovirus,<br />

dermatite esfoliativa associata a timoma ed alopecia paraneoplastica<br />

pancreatica 7 . In un recente studio, Malassezia spp.<br />

è stata isolata nel 48% dei gatti FIV o FeLV positivi, contro il<br />

<strong>19</strong>.6% dei gatti sani 10 . La sovracrescita da Malassezia è stata<br />

associata alle sindromi paraneoplastiche da timoma o da carcinoma<br />

pancreatico in un recente studio retrospettivo su preparati<br />

istologici 11 . Uno dei casi riportati nello stesso studio descriveva<br />

la presenza di lieviti in un gatto con lesioni istologiche<br />

compatibili con necrosi epidermica metabolica (sindrome epatocutanea,<br />

dermatite necrolitica superficiale), che è estrema-<br />

mente rara nel gatto e, in due dei pochissimi casi descritti, era<br />

associata ad un carcinoma pancreatico 11,12 . Il ruolo di Malassezia<br />

in gatti con malattie allergiche non è ben chiaro 13 , anche se<br />

alcuni autori le includono tra i fattori predisponenti (L. Ordeix,<br />

comunicazione personale). Nello studio retrospettivo di Mauldin<br />

et al. (2002), in nessuno dei casi in cui i lieviti erano visibili<br />

all’esame istologico erano presenti le alterazioni a carico di<br />

epidermide e derma che sono considerate suggestive di malattie<br />

allergiche 11 . In uno studio precedente, Scott et al. (<strong>19</strong>92) evidenziarono<br />

lieviti del genere Malassezia all’esame istologico in<br />

2 soggetti affetti da granuloma eosinofilico 14 . Per quanto concerne<br />

invece le forme localizzate di sovracrescita da Malassezia,<br />

il lievito è spesso implicato in casi di acne del mento e nella<br />

dermatite facciale idiopatica del gatto Persiano 15,16 .<br />

Aspetti clinici<br />

I lieviti del genere Malassezia sono causa di lesioni localizzate<br />

o generalizzate, clinicamente rappresentate da eritema,<br />

esfoliazione, iperpigmentazione, raramente lichenificazione,<br />

prurito ed escoriazioni, cute grassa, odore rancido e paronichia<br />

7,13 . Le lesioni cliniche si sovrappongono a quelle della<br />

malattia primaria sottostante. Per esempio, nei casi di sindrome<br />

paraneoplastica associata a carcinoma pancreatico o dei dotti<br />

biliari si osservano alopecia simmetrica a carico dell’addome e<br />

della faccia mediale degli arti, un caratteristico aspetto lucido<br />

della cute ed i cuscinetti podali sono spesso secchi, fissurati ed<br />

erosi. Sono inoltre presenti sintomi sistemici quali anoressia,<br />

letargia, vomito o diarrea 7,17 . La dermatite esfoliativa associata<br />

a timoma si presenta con eritema localizzato o generalizzato,<br />

esfoliazione, alopecia e lesioni ulcerative e crostose che interessano<br />

inizialmente la testa e poi si estendono al resto del corpo,<br />

e materiale brunastro che si accumula nei condotti uditivi,<br />

negli spazi interdigitali e nelle pieghe ungueali. Anche in questo<br />

caso possono essere presenti sintomi sistemici quali anoressia,<br />

tosse e dispnea 7,17 . Nell’acne del mento, le lesioni osservate<br />

a carico del mento, delle labbra e delle commessure labiali<br />

sono comedoni, eritema, alopecia, croste, noduli drenanti<br />

essudato, ed è di solito presente prurito 15 . La dermatite facciale<br />

idiopatica del gatto Persiano, osservata in soggetti di giovane<br />

età, è caratterizzata inizialmente da materiale nerastro adeso<br />

alla cute e ai peli ed eritema a distribuzione facciale simmetrica<br />

(periorale, perioculare, mento), seguiti, con il progressivo<br />

aggravarsi della malattia, da erosioni, escoriazioni e prurito.<br />

Nel 50% dei casi è presente anche otite ceruminosa 16 .<br />

Diagnosi<br />

La diagnosi di sovracrescita da Malassezia nel gatto si<br />

ottiene con un esame citologico, in cui si osservano lieviti in


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 87<br />

grande numero, liberi o adesi ai cheratinociti e spesso associati<br />

a batteri. Per quanto concerne l’esecuzione dell’esame citologico,<br />

si rimanda a quanto detto per il cane. L’esame colturale<br />

micologico può essere utile per confermare la presenza di<br />

lieviti di specie diverse da M. pachydermatis, che richiedono<br />

l’aggiunta di lipidi al terreno di coltura (Terreno Agar-Dixon<br />

modificato) 1 . L’esame istologico, analogamente a quanto detto<br />

per il cane, non è un’indagine diagnostica particolarmente<br />

sensibile in quanto lo strato corneo viene spesso perso durante<br />

la processazione dei campioni. Inoltre, nel gatto le lesioni<br />

microscopiche tendono a riflettere la malattia sistemica sottostante,<br />

e non sappiamo in realtà quale sia l’aspetto istologico<br />

della sovracrescita da Malassezia. Nello studio di Mauldin et<br />

al. (2002), lieviti del genere Malassezia sono stati osservati in<br />

15 casi su 550 (2.7%), e l’unica alterazione istologica comune<br />

a tutti i soggetti era l’ipercheratosi 11 . I 15 soggetti sono stati<br />

suddivisi in 3 gruppi, ad eccezione di un gatto sottoposto ad<br />

eutanasia subito dopo la biopsia: 7 gatti avevano lesioni istologiche<br />

compatibili con alopecia paraneoplastica pancreatica,<br />

3 gatti con dermatite esfoliativa associata a timoma, eritema<br />

multiforme o reazione avversa ad un farmaco, e nei restanti 4<br />

casi i lieviti erano associati a varie malattie (acne del mento,<br />

carcinoma squamocelluare in situ, diabete mellito e cistiti<br />

ricorrenti e demodicosi) 11 . Nel primo gruppo, le alterazioni<br />

istologiche osservate sono marcata atrofia e miniaturizzazione<br />

follicolare, lieve dermatite perivascolare superficiale, assenza<br />

focale dello strato corneo, moderata iperplasia e ipercheratosi<br />

ortocheratosica con paracheratosi focale. I lieviti erano spesso<br />

associati a batteri (cocchi). In uno di questi casi, oltre alle alterazioni<br />

descritte erano presenti segni compatibili con una diagnosi<br />

di necrosi epidermica metabolica 11 . Nel secondo gruppo<br />

erano presenti una dermatite di interfaccia “cell poor”con linfociti<br />

e neutrofili, degenerazione idropica delle cellule dello<br />

strato basale, apoptosi a diversi livelli dell’epidermide e dell’epitelio<br />

follicolare ed iperplasia con ipercheratosi e paracheratosi<br />

focale. I lieviti erano presenti in gran numero, raggruppati<br />

tra i cheratinociti dello strato corneo 11 . In un precedente<br />

studio retrospettivo istologico, lieviti del genere Malassezia<br />

erano stati osservati in 3/338 preparati: 2 gatti avevano un granuloma<br />

eosinofilico ed 1 aveva una dermatite lichenoide 14 . Nel<br />

caso in cui si osservino lieviti del genere Malassezia all’esame<br />

citologico o istologico, è di fondamentale importanza indagare<br />

la presenza di una malattia sottostante, con esami sierologici<br />

per FIV e FeLV, esame emocromocitometrico e profilo biochimico<br />

nonché con indagini radiografiche e/o ecografiche,<br />

soprattutto se il soggetto in questione è anziano e se non esiste<br />

anamnesi di prurito precedente. Qualora ci si trovi di fronte<br />

a soggetti di giovane età, FIV/FeLV negativi e con prurito<br />

cronico può essere opportuno eseguire le indagini diagnostiche<br />

per le malattie allergiche (controllo delle pulci, dieta ad<br />

eliminazione, test di intradermoreazione o sierologico per la<br />

dermatite atopica).<br />

Terapia<br />

Anche nel gatto, il trattamento della sovracrescita da<br />

Malassezia si basa sull’uso di farmaci antimicotici topici o<br />

sistemici, anche se la terapia sistemica è preferibile a causa<br />

dell’abitudine del gatto a leccarsi con insistenza in presenza<br />

di prurito. Il farmaco d’elezione nel gatto è l’itraconazolo, in<br />

quanto il ketoconazolo può provocare effetti collaterali seri<br />

(epatotossicità) 6 . I dosaggi consigliati variano da 5 a 10<br />

mg/kg al giorno per via orale. Sfortunatamente però, dal<br />

momento che la sovracrescita da Malassezia si osserva spesso<br />

in gatti anziani e/o con gravi malattie sistemiche, la terapia<br />

serve più che altro a controllare la sintomatologia clinica<br />

ed il prurito. Nel caso dell’alopecia paraneoplastica pancreatica<br />

in genere la diagnosi è tardiva, e sono già presenti<br />

lesioni metastatiche soprattutto a carico del fegato 17 . In un<br />

caso, l’exeresi chirurgica del tumore ha condotto alla risoluzione<br />

temporanea delle lesioni dermatologiche, seguita da<br />

recidiva e comparsa di metastasi dopo 18 settimane 18 . Nei<br />

casi di dermatite esfoliativa associata a timoma la prognosi è<br />

più favorevole, in quanto si tratta di un tumore benigno che<br />

raramente recidiva o dà metastasi <strong>19</strong> .<br />

Bibliografia<br />

1. Chen TA, Hill PB, (2005), The biology of Malassezia organisms and<br />

their ability to induce immune responses and skin disease, Vet Dermatol,<br />

16:4-26.<br />

2. Bond R, Howell SA, Haywood PJ, Lloyd DH, (<strong>19</strong>97), Isolation of<br />

Malassezia sympodialis and Malassezia globosa from healthy pet<br />

cats, Vet Rec, 141:200-201.<br />

3. Crespo MJ, Abarca ML, Cabanes FJ, (<strong>19</strong>99), Isolation of Malassezia<br />

furfur from a cat, J Clin Microbiol 37:1573-1574.<br />

4. Hirai A, Kano R, Makimura K, Yamaguchi H, Hasegawa A, (2004),<br />

Identification of Malassezia spp. Isolates from a cat and cattle, including<br />

a new species, M. nana, Vet Dermatol 15, Suppl. 1, 45.<br />

5. Cabanes FJ, Hernandez JJ, Castella G, (2005), Molecular analysis of<br />

Malassezia sympodialis-related strains from domestic animals, J Clin<br />

Microbiol, 43:277-283.<br />

6. Scott DW, Miller WH, Griffin CE, (2001), Muller and Kirk’s Small<br />

Animal Dermatology, 6th Ed WB Saunders, Philadelphia, 363-374.<br />

7. Foster AP, (2004), New feline skin diseases, Clinical Programme Proceedings<br />

of the 5th World Congress of Veterinary Dermatology, Vienna,<br />

Austria, 52-58.<br />

8. Colombo S, Cornegliani L, (2000), Prevalence of Malassezia spp. in<br />

feline nail folds: a cytological study, Vet Dermatol 11, Suppl. 1, 38.<br />

9. Colombo S, Mancianti F, Nardoni S, Cornegliani L, (2001), Prevalence<br />

and species characterisation of Malassezia spp. in feline nail<br />

folds, Proccedings of the 17th ESVD-ECVD Congress, Copenhagen,<br />

Denmark, <strong>21</strong>1.<br />

10. Sierra P, Guillot J, Jacob H, Bussieras S, Chermette R, (2000), Fungal flora<br />

on cutaneous and mucosal surfaces of cats infected with feline immunodeficiency<br />

virus or feline leukaemia virus, Am J Vet Res, 61:158-161.<br />

11. Mauldin EA, Morris DO, Goldschmidt MK, (2002), Retrospective<br />

study: the presence of Malassezia in feline skin biopsies. A clinicopathological<br />

study, Vet Dermatol 13:7-13.<br />

12. Patel A, Whitbread TJ, McNeil PE, (<strong>19</strong>96), A case of metabolic epidermal<br />

necrosis in a cat, Vet Dermatol 7:2<strong>21</strong>-226.<br />

13. Morris DO, (<strong>19</strong>99), Malassezia dermatitis and otitis, Veterinary Clinics<br />

of North America: Small Animal Practice, 1303-1310.<br />

14. Scott DW, (<strong>19</strong>92), Bacteria and yeast on the surface and within noninflamed<br />

hair follicles of skin biopsies from cats with non-neoplastic<br />

dermatoses, Cornell Veterinarian 82:371-377.<br />

15. White SD, Bourdeau PB, Blumstein P, Ibisch C, Guaguere E, Denerolle<br />

P, Carlotti DN, Scott KV, (<strong>19</strong>97), Feline acne and results of<br />

treatment with mupirocin in an open clinical trial: 25 cases (<strong>19</strong>94-<br />

<strong>19</strong>96), Vet Dermatol, 8:157-164.<br />

16. Bond R, Curtis CF, Ferguson EA, Mason IS, Rest J, (2000), An idiopathic<br />

facial dermatitis of Persian cats, Vet Dermatol 11:35-41.<br />

17. Turek MM, (2003), Cutaneous paraneoplastic syndromes in dogs and<br />

cats: a review of the literature, Vet Dermatol 14:279-296.<br />

18. Tasker S, Griffon DJ, Nuttall TJ et al., (<strong>19</strong>99), Resolution of paraneoplastic<br />

alopecia following surgical removal of a pancreatic carcinoma<br />

in a cat, J Sm Anim Pract, 40:16-<strong>19</strong>.<br />

<strong>19</strong>. Forster-van Hijfte MA, Curtis CF, White RN, (<strong>19</strong>97), Resolution of<br />

exfoliative dermatitis and Malassezia pachydermitis overgrowth in a<br />

cat after surgical thymoma resection, J Sm Anim Pract 38: 451-454.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Silvia Colombo - Via Fabio Filzi <strong>19</strong>, Legnano (MI)<br />

Tel.: 338 9612911 - E-mail: colombo_silvia@yahoo.it


88 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

FANS: passato e presente<br />

COX2 selettivi: un radioso futuro?<br />

Federico Corletto<br />

Med Vet, CertVA, Dipl ECVA, MRCVS, Cambridge, UK<br />

I farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) hanno<br />

indubbiamente un ruolo fondamentale nel trattamento del<br />

dolore in patologie croniche degenerative osteoarticolari,<br />

neoplasitche e nel dolore postoperatorio negli animali da<br />

compagnia.<br />

Il primo utilizzo dei FANS risale al 1829, dopo l’isolamento<br />

dell’acido salicilico come principio attivo anti-infiammatorio<br />

dalla corteccia del salice. Pochi anni prima, nel 1803,<br />

la morfina era stata isolata dal papavero da oppio, ma la sua<br />

produzione commerciale comincerà solo nel 1827 (Merck &<br />

Company). I FANS, a differenza degli oppioidi, tuttavia, presentarono<br />

fin dall’inizio il vantaggio di non indurre immediati<br />

e, in alcuni casi, potenzialmente letali effetti collaterali<br />

quali sedazione, depressione ventilatoria e bradicardia, nonché<br />

dipendenza in caso di somministrazione cronica.<br />

È facile comprendere, quindi, le ragioni del successo<br />

commerciali dei FANS ed i motivi che hanno spinto l’industria<br />

farmaceutica ad investire cospicue risorse nello sviluppo<br />

di composti dotati di una migliore tollerabilità, azione<br />

selettiva nei confronti di patologie osteoarticolari, piuttosto<br />

che dei tessuti molli e possibilmente somministrabili cronicamente<br />

qualora fosse necessario. L’uso di oppioidi, invece,<br />

è rimasto relegato ad ambiti ospedalieri ed al trattamento del<br />

dolore intenso postchirurgico e neoplastico.<br />

Il meccanismo d’azione dei FANS, in termini estremamente<br />

semplici, consiste nella riduzione della produzione di<br />

prostaglandine, mediante l’inibizione dell’attività dell’enzima<br />

ciclo-ossigenasi. Le prostaglandine, isolate circa 80 anni<br />

dopo il primo utilizzo dei FANS, furono collegate al processo<br />

infiammatorio ed al meccanismo d’azioni dei FANS solo<br />

recentemente, nel <strong>19</strong>71. La loro funzione è la modulazione<br />

di alcune risposte locali dell’organismo in seguito a turbamenti<br />

dell’omeostasi. Tra questi effetti vanno menzionati<br />

l’attività sui mastociti, sulla muscolatura uterina, sul processo<br />

infiammatorio e sull’aggregazione piastrinica e, non<br />

meno importanti, sulla perfusione di alcuni organi e sulla<br />

secrezione gastrica di acido.<br />

La sintesi di prostaglandine, tuttavia è un fenomeno complesso,<br />

che inizia con la produzione di acido arachidonico a<br />

partire dai lipidi contenuti nelle membrane cellulari, per<br />

opera dell’enzima fosfolipasi. L’acido arachidonico, quindi,<br />

può essere convertito in leucotrieni dalla lipo-ossigenasi, o<br />

in prostaglandine, prostacicline e trombossani dalla cicloossigenasi.<br />

L’equilibrio tra l’attività degli enzimi fosfolipasi,<br />

lipo-ossigenasi e ciclo-ossigenasi garantisce il mantenimento<br />

dell’omeostasi locale in risposta a condizioni che possano<br />

influenzarla. La ciclo-ossigenasi (COX) converte l’acido<br />

arachidonico in prostaglandine H 2, che successivamente vie-<br />

ne convertita nei prodotti finali da sintetasi terminali, la cui<br />

attività determina il rapporto caratteristico di ogni tessuto tra<br />

le diverse prostaglandine prodotte. L’effetto terminale delle<br />

prostaglandine a livello cellulare dipende dalle prostaglandine<br />

prodotte e dal tipo di recettore presente sulle membrane<br />

cellulari ed il suo accoppiamento con differenti proteine G. I<br />

recettori per le prostaglandine sono suddivisi in classi e sottoclassi,<br />

partecipando alla determinazione della risposta<br />

effettrice finale. La brevissima emivita delle prostaglandine<br />

fa in modo che la loro attività sia locale e modulabile.<br />

Per quanto riguarda il dolore ed il processo infiammatorio,<br />

le prostaglandine svolgono un ruolo fondamentale nell’aumentare<br />

la sensibilità dei terminali nocicettivi agli stimoli<br />

algici ed infiammatori, oltre che favorire l’iperemia e l’edema<br />

caratteristici del processo infiammatorio, determinando la<br />

comparsa della cosiddetta area di “iperalgesia primaria” a<br />

livello periferico. È necessario considerare, tuttavia, che<br />

anche protoni, serotonina, bradichinina, ed istamina hanno<br />

un ruolo importante nel determinare la risposta infiammatoria<br />

locale, che esita, in assenza di un intervento adeguato, nella<br />

liberazione di sostanza P e NGF, che amplificano uleriormente<br />

la risposta nocicettiva attivando recettori silenti e<br />

reclutando nel processo di percezione del dolore recettori<br />

normalmente deputati a percepire altri stimoli.<br />

L’inibizione della COX induce una significativa diminuzione<br />

della risposta infiammatoria periferica, con un notevole<br />

effetto analgesico qualora il dolore sia principalmente di<br />

origine infiammatoria, come in caso di processi degenerativi<br />

osteoarticolari o dolore postoperatorio a partire dalla<br />

seconda giornata dopo l’intervento (generalmente, in prima<br />

giornata il dolore è meglio controllato dagli oppioidi). Degni<br />

di nota sono anche l’effetto antipiretico e la modulazione<br />

della risposta all’endotossiemia, che tuttavia, sono variabili<br />

secondo il farmaco utilizzato.<br />

L’inibizione della COX, tuttavia, può determinare una<br />

significativa compromissione dei meccanismi deputati al<br />

mantenimento dell’omeostasi. Sono ben noti i possibili effetti<br />

gastrolesivi e sull’aggregazione piastrinica dei FANS tradizionali;<br />

la somministrazione preoperatoria di FANS od il<br />

loro uso in pazienti a rischio di ipovolemia ed ipotensione è<br />

ancora oggetto di discussione tra gli anestesisti. Nonostante<br />

la commercializzazione di farmaci più o meno selettivi, per<br />

alcuni dei quali è anche autorizzata la somministrazione prima<br />

dell’anestesia, e la pubblicazione di studi che hanno<br />

dimostrato l’assenza di effetti deleteri di alcuni FANS su<br />

BUN e creatinina in animali sani, il rischio teorico di compromettere<br />

la perfusione renale in caso di ipotensione permane,<br />

soprattutto in pazienti in terapia con ACE inibitori. La


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 89<br />

decisione di somministrare un FANS deve essere soppesata<br />

con attenzione, considerando la durata degli effetti sulla per<br />

fusione renale degli anestetici somministrati, la riserva funzionale<br />

del paziente ed i possibili benefici derivanti dalla<br />

somministrazione del farmaco prima o immediatamente<br />

dopo l’anestesia, piuttosto che alcune ore dopo il risveglio.<br />

La riduzione dell’attività di aggregazione piastrinica è transitoria<br />

e non clinicamente significativa nel caso dei FANS più<br />

moderni, mentre nel caso dell’acido acetilsalicilico è permanente<br />

per tutta la durata della vita delle piastrine, quindi fino<br />

a 10-14 giorni secondo la specie considerata.<br />

In modelli sperimentali e clinici di dolore cronico osteoarticolare<br />

i FANS riescono a ridurre l’intensità dei sintomi in<br />

modo prevedibile e, nel caso dei farmaci con maggiore tollerabilità<br />

gastrica, possono essere somministrati in modo<br />

cronico per migliorare la qualità della vita del paziente. In<br />

altri modelli clinici di dolore dopo chirurgia minore dei tessuti<br />

molli ed ortopedica, la somministrazione di FANS si è<br />

dimostrata efficace nel diminuire il dolore.<br />

Una notevole quantità di ricerche, effettuate sia in ambito<br />

sperimentale che clinico, supportano l’uso dei FANS in medicina<br />

veterinaria e, tranne qualche eccezione, dimostrano una<br />

sostanziale equivalenza degli effetti collaterali delle molecole<br />

investigate. In alcuni casi, inoltre, l’effetto analgesico dei<br />

FANS è stato considerato superiore a quello di alcuni oppioidi.<br />

È necessario tenere presente, tuttavia, che molto spesso il<br />

design stesso degli studi è mirato a comparare l’effetto analgesico<br />

di due trattamenti, piuttosto che a stabilire se ciascuno<br />

dei trattamenti sia in grado di garantire un livello di analgesia<br />

adeguato. La mancanza di un sistema oggettivo universalmente<br />

riconosciuto per valutare il dolore negli animali introduce,<br />

inoltre, una ulteriore fonte di variabilità in questo tipo di<br />

studi, il cui risultato è molto spesso già influenzato dalla difficile<br />

scelta di “dosi equipotenti” di FANS ed oppioidi.<br />

La commercializzazione di farmaci inibitori sia della<br />

COX che della LOX è fondata sul sospetto che parte degli<br />

effetti collaterali derivi dallo sbilanciamento del rapporto tra<br />

prostacicline, prostaglandine, trombossani e leucotrieni. In<br />

realtà, mentre ciò può essere in parte vero, i risultati clinici<br />

suggeriscono che la tollerabilità di tali farmaci è simile a<br />

quella dei farmaci COX inibitori più recenti.<br />

La scoperta, nel <strong>19</strong>88, dell’esistenza di due forme distinte<br />

dell’enzima ciclo-ossigenasi ha cambiato drasticamente<br />

l’approccio allo sviluppo di nuovi FANS. La COX1 è stata<br />

identificata quale l’isoforma responsabile del mantenimento<br />

dell’omeostasi, mentre la COX2 l’isoforma inducibile<br />

principalmente coinvolta nella produzione di grandi quantità<br />

di prostaglandine in risposta a stimoli infiammatori e<br />

patologici. Danni tissutali, citochine, radicali liberi e danni<br />

ossidativi inducono l’attivazione del NFkB, la cui azione<br />

determina aumento della sintesi di COX2 e quindi della<br />

produzione di alcune prostaglandine, con funzione proinfiammatoria.<br />

L’espressione della COX2 è stata legata, in<br />

alcuni stati infiammatori cronici (ad esempio dell’intestino,<br />

nell’uomo), alla mutazione del fenotipo e del genotipo cellulare,<br />

mediante l’attivazione di geni normalmente silenti e<br />

la repressione di geni normalmente espressi, predisponendo<br />

all’insorgenza di neoplasie. L’inibizione della COX2 e di<br />

NFkB operata dai FANS ha dimostrato, in alcuni casi, benefici<br />

effetti antitumorali; è questo il caso di alcune neoplasie<br />

intestinali e della vescica.<br />

Il risultato di queste recenti scoperte sulla COX2 è stato la<br />

sintesi di composti con azione prevalentemente COX2 inibitrice,<br />

teoricamente in grado di eliminare gli effetti negativi<br />

delle prostaglandine senza influenzarne la funzione di mantenimento<br />

dell’omeostasi. In realtà la COX2 contribuisce in<br />

modo significativo al controllo della perfusione renale e<br />

anche della secrezione gastrica, oltre che modulare la coagulazione.<br />

La COX1, d’altra parte, è coinvolta nella sensibilizzazione<br />

periferica e nella percezione del dolore a livello centrale,<br />

oltre che nel mantenimento dell’omeostasi. Farmaci<br />

COX2 selettivi hanno il vantaggio, almeno dal punto di vista<br />

teorico, di non diminuire l’aggregazione piastrinica e di causare<br />

minori effetti collaterali gastroenterici in caso di somministrazione<br />

cronica. In realtà, i dati disponibili dal loro<br />

uso in medicina umana e veterinaria hanno ridimensionato il<br />

profilo degli effetti collaterali di questi farmaci, rendendolo<br />

sostanzialmente simile a quello di altri FANS disponibili per<br />

quanto riguarda la gastrolesività. Mentre gli inibitori della<br />

COX1 causano una maggiore incidenza di ulcere, gli inibitori<br />

selettivi della COX2 sembrano rallentare il processo di<br />

guarigione della mucosa gastrica. Significativamente differente<br />

è, invece, il loro effetto sulla coagulazione in corso di<br />

terapia cronica, almeno negli esseri umani. È ben noto il<br />

significativo aumento di fenomeni ischemici su base tromboembolica<br />

in pazienti in terapia cronica con COX2 inibitori<br />

che ha portato al ritiro dal commercio di almeno un farmaco<br />

registrato per l’uso cronico negli esseri umani. In<br />

medicina veterinaria non esistono dati analoghi, che dimostrino<br />

la significatività clinica di questo fenomeno, pertanto<br />

non è possibile discutere in modo esaustivo questa possibilità,<br />

ma sarebbe interessante approfondire con ulteriori studi<br />

l’effetto degli inibitori selettivi della COX2 sulla coagulazione<br />

in vivo. Gli effetti renali delle due classi di farmaci<br />

sono sovrapponibili ed entrambi possono alterare la risposta<br />

autoregolatrice renale all’ipotensione.<br />

Sulla base della letteratura disponibile in medicina veterinaria<br />

è difficile, pertanto, valutare la direzione in cui si muoverà<br />

il mercato negli anni futuri. Dal momento che non sempre<br />

è possibile traslare gli effetti desiderati ed indesiderati da<br />

una specie all’altra, è possibile che gli inibitori selettivi della<br />

COX2 possano riscuotere un notevole successo, soprattutto<br />

considerando l’ottimo profilo farmacologico e gli effetti<br />

analgesici di alcuni FANS già presenti in commercio.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Federico Corletto<br />

Research Fellow<br />

Division of Anaesthesia, University of Cambridge<br />

Box 93 Addenbrooke’s Hospital<br />

Hills Road CB2 2QQ Cambridge


90 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Gli α 2 agonisti: chi sono e cosa fanno?<br />

Federico Corletto<br />

Med Vet, CertVA, Dipl ECVA, MRCVS, Cambridge, UK<br />

I medici veterinari sono senz’ombra di dubbio la figura professionale<br />

più informata e con la maggiore esperienza sull’uso<br />

di farmaci α-2- agonisti. Originariamente pensati come farmaci<br />

anti-ipertensivi (clonidina), un effetto degli α-2 agonisti<br />

immediatamente ovvio è stata la sedazione. Tale caratteristica è<br />

stata sfruttata per ideare una nuova serie di composti ad uso<br />

veterinario, il cui capostipite è la xylazina, con funzione principalmente<br />

sedativa ed analgesica. Sebbene l’esistenza di recettori<br />

adrenergici fosse nota dal <strong>19</strong>48 ed i recettori α-2 a localizzazione<br />

presinaptica fossero stati descritti nel <strong>19</strong>74, il legame tra<br />

il meccanismo d’azione di questi farmaci ed i recettori α-2 agonisti<br />

è abbastanza recente e risale al <strong>19</strong>81. Gli α-2- agonisti agiscono,<br />

come è ovvio dal nome, legandosi ai recettori adrenergici<br />

di tipo α-2 e stimolandoli, competendo con l’agonista endogeno.<br />

Nel caso di composti meno selettivi, è possibile anche la<br />

stimolazione dei recettori α-1. L’effetto del farmaco, in questo<br />

ultimo caso diviene dose-dipendente anche per quanto riguarda<br />

la selettività della stimolazione, con dosi elevate del farmaco<br />

che determinano effetti di stimolazione α-1 più marcati. La<br />

selettività dei farmaci attualmente in commercio nei confronti<br />

dei recettori α-2 è riassunta nella seguente tabella.<br />

Farmaco Selettività α-2/α-1<br />

Xylazina 160<br />

Clonidina 200<br />

Detomidina 260<br />

Romifidina 340<br />

Medetomidina 1600<br />

Dexmedetomidina 1620<br />

L’elevata selettività aumenta l’affidabilità del farmaco nell’indurre<br />

gli effetti desiderati, tuttavia la notevole potenza così conseguita<br />

rende il farmaco poco maneggevole. Caratteristico degli<br />

α-2 agonisti è, infatti, il raggiungimento più o meno rapido di un<br />

effetto soglia, oltre la quale sia gli effetti desiderati che quelli collaterali<br />

non aumentano significativamente. L’aumento della dose<br />

somministrata oltre questa soglia determina, invece, un allungamento<br />

della durata d’azione del farmaco. Tale Con farmaci molto<br />

potenti l’effetto massimo viene conseguito a dosi basse, cosicché<br />

può risultare non facile dosare il farmaco in modo fine. All’estremo<br />

opposto, nel caso di farmaci poco selettivi, l’effetto può<br />

essere più dosabile, ma a basse dosi può essere molto diverso da<br />

quello conseguibile somministrando dosi più elevate. La notevole<br />

diffusione dei recettori α-2 rende gli effetti di questi farmaci<br />

meno selettivi di quanto si pensi, a prescindere dalla molecola<br />

impiegata. In generale, l’attivazione dei recettori α-2 presinaptici<br />

determina una diminuzione della liberazione di noradrenalina<br />

e quindi della trasmissione sinaptica nel sistema simpatica. Ne<br />

conseguono alcuni effetti cardiocircolatori quali bradicardia, e<br />

diminuzione dell’inotropismo, derivanti dal relativo aumento del<br />

tono vagale. La generale diminuzione del tono simpatico e della<br />

liberazione di catecolamine stabilizza il sistema cardiocircolatorio<br />

a spese di una modica depressione, dose dipendente. La presenza<br />

di recettori α-2 a livello vascolare è responsabile della<br />

vasocostrizione cutanea e viscerale e della risposta ipertensiva<br />

osservata immediatamente dopo la somministrazione di un bolo<br />

endovenoso del farmaco. L’equilibrio tra gli effetti di diminuzione<br />

del tono simpatico vascolare e la stimolazione diretta della<br />

muscolatura della parete arteriosa spiega come mai la somministrazione<br />

di dosi basse per via intramuscolare oppure l’infusione<br />

lenta del farmaco per via endovenosa solitamente non determinano<br />

un picco ipertensivo. La sedazione è mediata dall’effetto su<br />

recettori α-2 adrenergici presenti nel locus coeruleus, responsabile<br />

dell’attivazione corticale. Ovviamente, considerato l’effetto<br />

agonista competitivo del farmaco, in caso di stimolazione eccessiva<br />

(non solo dolorifica!), l’effetto inibitorio sulla funzione del<br />

locus coeruleus può essere prevaricato, nel qual caso la sedazione<br />

cesserà in modo improvviso ed inaspettato. Negli esseri umani<br />

la sedazione indotta dagli α-2 agonisti è qualitativamente<br />

simile al sonno, anche in termini fisiologici, caratteristica positiva<br />

nel caso si desideri sedare un paziente in terapia intensiva,<br />

oppure conseguire una sedazione facilmente reversibile per esaminare<br />

il paziente. La stessa caratteristica può essere sfruttata in<br />

medicina veterinaria per consentire, per esempio, l’esecuzione di<br />

un esame neurologico in un paziente sedato, oppure per consentirgli<br />

di alimentarsi, svolgere le proprie funzioni organiche o<br />

effettuare fisioterapia. Questa caratteristica degli α-2 agonisti è<br />

anche responsabile, tuttavia, delle spiacevoli “rotture di sedazione”<br />

tipicamente osservabili in pazienti sedati con questi farmaci.<br />

Recettori α -2 adrenergici sono presenti anche nel midollo spinale,<br />

ove causano analgesia, nella muscolatura liscia dell’utero,<br />

ove possono iniziare la contrazione uterina nell’utero gravido a<br />

termine (per lo meno nel bovino) e nelle isole pancreatiche, ove<br />

antagonizzano la liberazione di insulina e determinano iperglicemia.<br />

Recettori sono presenti anche nella muscolatura piloerettrice<br />

e scheletrica, nel tessuto adiposo e nel rene, ove hanno antagonizzano<br />

l’azione dell’ormone antidiuretico, promuovendo la<br />

diuresi. È interessante notare che, a meno che non siano somministrate<br />

dosi particolarmente elevate, gli effetti ventilatori degli<br />

α-2 agonisti sono pressoché trascurabili.<br />

A livello cellulare, i recettori α-2 adrenergici sono accoppiati<br />

a proteine G membranarie, la cui attivazione riduce i livelli di<br />

cAMP intracellulare, inibendo l’attività dell’enzima adenilatociclasi.<br />

Questo peculiare meccanismo d’azione giustifica, inoltre,<br />

il potente sinergismo d’azione con gli oppioidi, il cui recettore è<br />

accoppiato a proteine G a condivide, almeno in parte, lo stesso<br />

meccanismo effettore. Il sistema α-2 adrenergico è risultato<br />

essere più ancora più complesso dopo la scoperta di almeno 3<br />

sottotipi di recettori α-2 (A, B, C), la cui distribuzione e densità<br />

è specie e tessuto-specifica. La clonazione dei recettori ha con-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 91<br />

sentito, inoltre, di produrre animali nei quali una sottoclasse<br />

recettoriale è stata eliminata in modo selettivo, sperando così di<br />

riuscire a caratterizzare in modo definitivo il ruolo di ciascun<br />

recettore, con l’obiettivo di sintetizzare farmaci estremamente<br />

selettivi, per esempio, solo sedativi o solo anti-ipertensivi, piuttosto<br />

che sedativi ed analgesici, ma non stabilizzanti del sistema<br />

simpatico. È stato dimostrato che il sottotipo 2B è responsabile<br />

principalmente della vasocostrizione periferica, mentre il sottotipo<br />

2A sembra essere coinvolto nella sedazione, ansiolisi e nella<br />

diminuzione del tono simpatico centrale, oltre che in una possibile<br />

neuroprotezione, ed il sottotipo 2C nell’analgesia a livello<br />

spinale e nel sinergismo con gli oppioidi. Tale approccio, per<br />

quanto teoricamente irreprensibile, non considera, tuttavia, il fatto<br />

che i sistemi biologici tendono ad essere caratterizzati da una<br />

notevole ridondanza, pertanto il comportamento dell’organismo<br />

dopo la rimozione di un recettore non consente di stabilire in<br />

modo assoluto la funzione del recettore stesso. Per esempio, il<br />

recettore 2C è implicato nell’analgesia spinale, ma per conseguire<br />

il massimo effetto analgesico è necessaria la presenza di un<br />

recettore 2A funzionante. In pratica, dopo aver tentato di sviluppare,<br />

senza successo, peraltro, farmaci selettivi nei confronti di<br />

esclusivamente un sottotipo recettoriale, ci si è resi conto che il<br />

comportamento dell’organismo dopo la rimozione di un sottotipo<br />

recettoriale è estremamente simile a quello dell’organismo<br />

intatto. Dal punto di vista farmacologico, inoltre, lo sviluppo di<br />

farmaci selettivi nei confronti dei sottotipi recettoriali è tecnicamente<br />

impegnativo, considerate l’elevata omologia e la condivisione<br />

dei medesimi meccanismi effettori dei recettori. Prima di<br />

sviluppare farmaci altamente selettivi, inoltre, dovrebbe essere<br />

studiata attentamente la distribuzione del sottotipo recettoriale<br />

nella specie bersaglio del farmaco, considerate le variabili risposte<br />

alla somministrazione di α-2 agonisti in specie diverse.<br />

Nella pratica clinica gli α-2 agonisti sono tradizionalmente<br />

usati come sedativi/analgesici da soli, o in combinazione con<br />

oppioidi, per procedure minori, oppure prima dell’anestesia<br />

generale. Le dosi impiegate per conseguire una adeguata sedazione<br />

e ridurre il rischio di risvegli improvvisi, determinano<br />

significativi effetti collaterali cardiocircolatori, quali bradicardia,<br />

anomalie della conduzione, significativa vasocostrizione periferica<br />

(talvolta accompagnata da cianosi), drammatica riduzione<br />

della portata cardiaca e della perfusione tessutale. Incredibilmente,<br />

gli incidenti durante l’anestesia legati all’uso anche di elevatissime<br />

dosi di questi farmaci sono molto bassi, con l’unica<br />

eccezione della xylazina, anche se, in realtà, lo studio che ha<br />

legato un maggior rischio di mortalità perianestetica all’uso della<br />

xylazina è datato e le dosi impiegate elevate. Tradizionalmente,<br />

pertanto, gli α -2 agonisti sono somministrati solo in pazienti<br />

sani (condizione fisica ASA I e II) evitando, se possibile, la somministrazione<br />

in pazienti anziani, debilitati o con patologie cardiocircolatorie.<br />

Simili precauzioni sono state suggerite in pazienti<br />

diabetici, a causa dell’effetto iperglicemizzante, che tuttavia è<br />

dose dipendente. Infine, l’enorme successo degli α-2 agonisti, in<br />

particolare della medetomidina, è probabilmente in parte dovuto<br />

alla disponibilità di un antagonista specifico e con emivita più<br />

lunga, l’atipamezolo. Per quanto riguarda il metabolismo degli<br />

α-2 agonisti, i composti presenti sul mercato hanno durata d’effetto<br />

dose dipendente, che varia da circa 10-20 minuti ad un paio<br />

di ore. È fondamentale, tuttavia, notare come gli α-2 agonisti, a<br />

causa delle alterazioni emodinamiche che inducono, siano in<br />

grado di alterare il loro metabolismo, soprattutto dopo la som-<br />

ministrazione di dosi elevate che riducono la portata cardiaca ed<br />

il volume di distribuzione. La dexmedetomidina, di futura commercializzazione<br />

presenta il vantaggio di essere metabolizzata in<br />

maniera più prevedibile rispetto all’attuale medetomidina, che è<br />

una miscela racemica. Rivedendo la letteratura pubblicata, che<br />

riguarda maggiormente la medetomidina, si può costatare come<br />

l’uso di α-2 agonisti in premeditazione riduca la MAC degli anestetici<br />

inalatori e, rispetto alla somministrazione di acepromazina,<br />

diminuisca l’entità dell’ipotermia perioperatoria. La somministrazione<br />

di atropina, prima dell’α−2 agonista o per trattare la<br />

bradicardia da esso indotta, può causare significative alterazioni<br />

emodinamiche, ipertensione, aumento del consumo di ossigeno<br />

miocardico, aritmie cardiache e, peraltro, non sembra essere sufficiente<br />

ad antagonizzare efficacemente la bradicardia per tutta la<br />

durata della sedazione. Tale procedura è, pertanto, controindicata.<br />

In alcuni casi dosi elevate di medetomidina hanno determinato,<br />

in presenza di patologie cardiovascolari, edema polmonare (in<br />

due cani con insufficienza atriventricolare sinistra) e rottura dell’aorta<br />

(in un cane con aneurisma aortico). In gatti con miocardiopatia<br />

ipertrofica, la somministrazione di medetomidina ha<br />

determinato, paradossalmente, l’eliminazione dell’ostruzione del<br />

tratto aortico. Tali reports devono essere interpretati in modo<br />

attento, prima di giungere a conclusioni affrettate: in tutti i casi le<br />

dosi di α-2 agonista somministrate erano particolarmente elevate,<br />

pertanto lo stesso meccanismo di azione che ha determinato<br />

significativa ipertensione sistemica e riduzione della contrattilità<br />

miocardia è responsabile dell’aumento della pressione nel piccolo<br />

circolo (a causa dell’incompetenza valvolare), della rottura<br />

dell’aorta (a causa dell’ipertensione sistemica) e della “migliore”<br />

performance miocardia nei gatti con HCM (a causa della minore<br />

contrattilità del setto). È stato, inoltre, dimostrato che gli effetti<br />

emodinamici della medetomidina raggiungono un plateau<br />

sopra circa 5 µg Kg -1 . Simili dati mancano per le altre molecole,<br />

ma possono essere estrapolati in base alla dose equipotente, che<br />

è nota. Allo stesso modo esistono studi che riportano effetti degli<br />

α-2 agonisti sulla MAC degli anestetici alogenati variabili dal<br />

17% al 90%, secondo l’anestetico e la dose considerata. È plausibile<br />

sostenere che, somministrando dosi di α-2 agonisti che<br />

causano minimi effetti cardiocircolatori, sia prevedibile riscontrare<br />

una diminuzione della MAC degli anestetici alogenati di<br />

circa il 20%, come dimostrato da un recente studio sull’infusione<br />

di dexmedetomidina nel cane. La letteratura disponibile dimostra<br />

chiaramente come l’uso di farmaci con un eccezionale indice<br />

terapeutico (le dosi somministrate comunemente sono fino a<br />

30-40 volte le dosi minime efficaci!), possa determinare incidenti<br />

anestesiologici in alcuni tipi di paziente. Una dettagliata conoscenza<br />

del meccanismo d’azione di questi farmaci avrebbe prevenuto<br />

la somministrazione di dosi elevate in pazienti con aneurisma<br />

aortico od insufficienza valvolare.<br />

In medicina veterinaria stanno cominciando a comparire una<br />

notevole quantità di studi sull’uso degli α-2 agonisti in infusione<br />

continua nella sedazione perioperatoria. La stabilità emodinamica<br />

e la sedazione reversibile conseguite sono di ottima qualità,<br />

tuttavia rimane un notevole dubbio sul livello di analgesia<br />

ottenibile se non vengono utilizzati anche oppioidi.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Federico Corletto, Research Fellow<br />

Division of Anaesthesia, University of Cambridge<br />

Box 93 Addenbrooke’s Hospital, Hills Road CB2 2QQ Cambridge


92 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Approccio dermatologico alle dermatiti pruriginose<br />

di origine parassitaria<br />

Luisa Cornegliani<br />

Med Vet, Milano<br />

Antonella Vercelli<br />

Med Vet, CES Derm, Torino<br />

Caso clinico n° 1<br />

Segnalamento: gatto di razza comune europeo, femmina<br />

sterilizzata, età 5 anni<br />

Motivo della visita: prurito improvviso localizzato ad arti<br />

e testa, perdita di pelo nelle medesime aree.<br />

Anamnesi: nessuna malattia dermatologica e/o sistemica<br />

precedente. Il gatto era regolarmente visitato e vaccinato con<br />

frequenza annuale. Il proprietario somministrava una dieta<br />

casalinga e preconfezionata a base di pollo, manzo e pesce.<br />

L’animale aveva possibilità di accedere al giardino dell’abitazione<br />

ed accesso al bosco limitrofo. Nella stessa casa era<br />

presente un altro gatto che però non presentava lesioni dermatologiche<br />

ed appariva in buone condizioni generali.<br />

Esame obiettivo generale e dermatologico: EOG mostra<br />

buone condizioni fisiche. L’EOD evidenzia papule e minute<br />

croste sul capo; escoriazioni, alopecia ed eritema su tempie<br />

ed arti; essudazione negli spazi interdigitali. L’animale al<br />

momento della visita mostra prurito.<br />

Riassunto dei problemi: dermatite pruriginosa eritematosa<br />

a principale localizzazione testa ed arti.<br />

Diagnosi differenziali:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

6..............................................................................................<br />

Esami complementari:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

6..............................................................................................<br />

Esiti esami complementari:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

Diagnosi:................................................................................<br />

Mimicking dermatosis: ........................................................<br />

................................................................................................<br />

Iter diagnostico alle dermatiti pruriginose nel gatto:<br />

l’approccio al prurito segue un iter diagnostico che si basa<br />

su algoritmi diagnostici. È sempre importante raccogliere<br />

i dati anamnestici, eseguire l’esame obiettivo generale e<br />

particolare in modo completo, stilare la lista delle diagnosi<br />

differenziali in base ad i dati ed alla sintomatologia,<br />

eseguire gli esami dermatologici. Di seguito è riportato un<br />

algoritmo diagnostico utile per il corretto iter diagnostico<br />

(Tab. 1).<br />

Caso clinico n° 2<br />

Segnalamento: cane di razza West Highland White Terrier,<br />

maschio, età 11 anni e mezzo.<br />

Motivo della visita: Prurito cronico con recente aggravamento<br />

Anamnesi: Sin dai primi anni di vita il cane aveva avuto<br />

problemi dermatologici rappresentati da otite e piodermite<br />

ricorrente con pododermatite. Nel corso delle visite precedenti<br />

non era stata evidenziata nessuna malattia parassitaria<br />

con gli esami di routine. Dopo avere eseguito diete ad eliminazione<br />

senza risultati apprezzabili, era stato sottoposto a<br />

test allergico in vitro per la titolazione d’IgE nei confronti<br />

d’allergeni ambientali (acari, pollini e muffe). L’esame era<br />

risultato positivo per gli acari della polvere (D. farinae e D.<br />

pteronyssinus) e di stoccaggio/storage mites (Acarus siro,<br />

Lepidoglyphus destructor). Era formulata la diagnosi di<br />

dermatite atopica ed iniziata un’immunoterapia allergene<br />

specifica; i risultati di quest’ultima erano stati mediocri e la<br />

terapia era stata poi abbandonata per l’aggravamento del<br />

prurito. Le terapie sistemiche iniziali si erano basate sull’uso<br />

d’antibiotici (amoxicillina e clavulanico, cefalessina,<br />

enrofloxacina) per bocca per periodi di 4-6 settimane, da<br />

soli od associati ad antifungini (chetoconazolo ed itraconazolo),<br />

su terapie topiche (shampoo terapia con prodotti a<br />

base di clorexidina) ogni sette-quindici giorni. Negli ultimi<br />

due anni era stato introdotto per controllare e ridurre il pru-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 93<br />

Cosa fare?<br />

• Corretto iter diagnostico<br />

• Visita dermatologica<br />

- Segnalamento<br />

- Anamnesi<br />

- E.O.G. ed E.O.P.<br />

- Lista diagnosi differenziali<br />

- Esami complementari<br />

(algoritmo diagnostico del prurito)<br />

Algoritmo dignostico al prurito<br />

• Test iniziali<br />

- Esame con lente di ingrandimento<br />

- Esame tricoscopico<br />

- Esame per spazzolamento<br />

rito prednisone 0,5 mg/kg/os, impiegato inizialmente per<br />

brevi periodi per arrivare poi ad una somministrazione<br />

costante a giorni alterni. L’otite cronica nell’ultimo anno<br />

ara peggiorata e le terapie topiche non apparivano più efficaci.<br />

Le condizioni dermatologiche si erano progressivamente<br />

ed inesorabilmente aggravate, il proprietario a questo<br />

punto interrompeva ogni trattamento richiedendo una visita<br />

dermatologica di consulto.<br />

Esame obiettivo generale e dermatologico: L’EOG consente<br />

di rilevare linfoadenopatia diffusa e modica ipertermia.<br />

L’EOD permetteva di osservare sul tronco seborrea, ipotricosi,<br />

eritema, collaretti epidermici e papule; in area ascellare ed<br />

inguinale eritema, lichenificazione; sulla zona perilabiale eritema<br />

e croste giallastre; a livello auricolare otite esterna eritematosa<br />

e ceruminosa. Infine i quattro arti mostravano pododermatite<br />

eritematosa, nodulare ed ulcerativa, con peli conglutinati,<br />

e dolore alla palpazione.<br />

Riassunto dei problemi: Dermatite cronica pruriginosa<br />

con localizzazione ascellare, inguinale, podale ed auricolare.Otite<br />

eritematosa e ceruminosa, grave pododermatite<br />

ulcerativa interdigitale, seborrea del tronco con collaretti<br />

epidermici; linfoadenopatia generalizzata.<br />

Diagnosi differenziali:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

6..............................................................................................<br />

Tabella 1<br />

Test iniziali<br />

Negativo Positivo Ectoparassitosi<br />

Raschiato Positivo Ectoparassitosi<br />

Negativo<br />

Wood e CM Positivo Dermatofitosi<br />

Negativo<br />

Controllo pulci Positivo D.A.P.<br />

Negativo<br />

Dieta privativa Positivo I.A.<br />

segue<br />

Negativo<br />

Test allergologico Positivo DA<br />

Negativo<br />

Cambio ambiente Positivo A. da contatto<br />

Negativo<br />

Terapia con Avermectine Positivo R. notoedrica<br />

Negativo Biopsia e rivalutare il caso!<br />

Prurito idiopatico o psicogeno!<br />

Esami complementari:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

6..............................................................................................<br />

Esiti esami complementari:<br />

1..............................................................................................<br />

2..............................................................................................<br />

3..............................................................................................<br />

4..............................................................................................<br />

5..............................................................................................<br />

Diagnosi:................................................................................<br />

Mimicking dermatosis: ........................................................<br />

................................................................................................<br />

Iter diagnostico alle dermatiti pruriginose nel cane: Le<br />

cause di prurito nel cane sono svariate, molte malattie inizialmente<br />

non pruriginose possono diventarlo: la distinzione<br />

fra malattie pruriginose e non a volte è arbitraria. Va ricordato<br />

che si possono sovrapporre più problemi dermatologici<br />

nello stesso soggetto e che il percorso diagnostico dovrà<br />

essere impostato su un insieme ragionato di diagnosi differenziali<br />

e relativi esami complementari. Le manifestazioni<br />

cliniche del prurito variano in relazione all’intensità e possono<br />

esprimersi con leccamento, mordicchiamento, gratta-


94 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

mento. Le cause più comuni, spesso sottovalutate di prurito,<br />

sono rappresentate dalle ectoparassitosi (rogna sarcoptica,<br />

pulicosi, cheyletiellosi, trombiculosi, pediculosi, demodicosi,<br />

rogna otodettica).<br />

La presenza di ectoparassiti va indagata come in tabella.<br />

Nel caso sia impossibile evidenziare la parassitosi sospettata<br />

(es. rogna otodettica, rogna sarcoptica, pulicosi) è consigliabile<br />

effettuare un periodo di trattamento per escludere/<br />

confermare la diagnosi. Escluse le ectoparassitosi, alla presenza<br />

d’infezioni secondarie si fa un periodo di “wash out”<br />

con associazione di terapia antibiotica ed antimicotici per<br />

via sistemica. Se persiste il prurito, con localizzazioni cliniche<br />

compatibili, ci si potrà orientare per una o più malattie<br />

allergiche (DAP, dermatite atopica, allergia alimentare, dermatite<br />

da contatto) e si proseguirà con l’iter diagnostico<br />

appropriato. Alla presenza di un prurito ad insorgenza<br />

improvvisa in un animale anziano possono essere sospettate<br />

malattie neoplastiche. Anche malattie immunomediate<br />

come il Pemfigo foliaceo possono essere pruriginose, così<br />

come lo possono essere più raramente alcune malattie metaboliche.<br />

In tutti questi casi va effettuata un’attenta valuta-<br />

zione da un punto di vista internistico con esami di laboratorio,<br />

ecografie, ecc.<br />

Letture consigliate<br />

Noli C., Scarampella F., “Dermatologia del cane e del gatto” Poletto editore,<br />

Milano, 2002.<br />

Fabbrini F., Vezzoni A., “Atlante di Dermatologia dei Piccoli Animali”<br />

UTET editore, Torino, <strong>19</strong>97.<br />

Scott D.W., Miller R.W, Griffin C.E.: Dermatologic therapy. In Kirk’s and<br />

Scott Small Animal Dermatology 6ed. 2001, ed. WB Saunders, Philadelphia,<br />

2001.<br />

Carlotti D-N, Pin D, “Diagnostic dermalogique” ed. Masson- AFVAC,<br />

Paris, 2002.<br />

Bordeau P “Diagnostic expérimental des dermatoses parassitaires- I Les<br />

acariens et lei insects” - Les indispensables de l’animal de compagnie-<br />

dermatologie- ed PMCAC, Paris, <strong>19</strong>91.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Luisa Cornegliani e Antonella Vercelli<br />

Amb. Vet. Ass. C.so Traiano 99/d, Torino (I)


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 95<br />

I prelievi non-endoscopici di campioni per citologia<br />

e istologia negli uccelli<br />

Lorenzo Crosta<br />

Med Vet, Desio (MI)<br />

Benché la medicina aviare abbia ormai assunto un’identità<br />

ben definita, all’interno della veterinaria, essa soffre tuttora di<br />

una certa povertà in termini di supporti diagnostici. Per esempio,<br />

se compariamo le possibilità diagnostiche offerte dalla<br />

medicina del cane, o del gatto, per quanto concerne kit diagnostici,<br />

esami specie-specifici, laboratori dedicati, ci accorgiamo<br />

di quanto limitate siano le possibilità che si offrono al<br />

veterinario aviare. Se consideriamo le analisi di laboratorio e i<br />

kit diagnostici specifici per uccelli non da reddito (test che<br />

spesso sono limitati ad una o a poche specie), li possiamo quasi<br />

contare sulla punta delle dita: Psittacosi: antigene – anticorpi<br />

– PCR; Circovirus psittacidi: PCR; Polyomavirus psittacidi:<br />

PCR & sierologia; Herpesvirus psittacidi: PCR & sierologia;<br />

Malattia di Newcastle ed altre paramyxovirosi: sierologia;<br />

Aspergillosi: sierologia. Questa situazione, che a volte è di per<br />

sé frustrante, se da un lato può aiutare a spiegare alcuni dilemmi<br />

diagnostici ed insuccessi terapeutici, dall’altro spinge il<br />

veterinario aviare ad indagare profondamente altri metodi diagnostici,<br />

magari un po’ più invasivi, ma certamente più diretti,<br />

come la citologia e l’istologia. Negli uccelli il problema del<br />

prelievo di campioni non-endoscopici, per citologia o istopatologia,<br />

non è tanto correlato a come effettuare il prelievo, quanto<br />

a dove prelevare i campioni. Infatti, la gran parte di coloro<br />

che non sono abituati a lavorare con gli uccelli tende a prelevare<br />

campioni inutili, tralasciando invece le zone maggiormente<br />

interessanti. Gli uccelli sono diversi dai mammiferi,<br />

diverse sono l’anatomia, la fisiologia e, di conseguenza, la<br />

fisiopatologia. Pertanto, prima di effettuare dei prelievi è<br />

necessario conoscere il paziente, avere una diagnosi differenziale<br />

già in mente, e sapere ciò che sarà maggiormente utile al<br />

patologo per giungere ad un risultato.<br />

Apparato Digerente<br />

Cavità orale. Prelievi dalla cavità orale possono essere<br />

effettuati con vari metodi e per diversi scopi. I più comuni prelievi<br />

citologici servono per la diagnosi differenziale di placche<br />

nel cavo orale, le cui possibili cause possono essere miceti, lieviti,<br />

filarie, ipovitaminosi e malattie virali. Inoltre non sono rari<br />

prelievi per istologia in caso di masse d’origine sconosciuta,<br />

soprattutto sono frequenti le formazioni papillomatose, che,<br />

negli psittaciformi, sono probabilmente causate da herpesvirus.<br />

La metodica è assai semplice, spesso, ma non necessariamente,<br />

il paziente è in anestesia generale, si apre il becco e si<br />

procede al prelievo dalla zona interessata con tampone sterile.<br />

Nel caso delle biopsie invece, l’anestesia è d’obbligo. La biopsia<br />

può essere effettuata con varie metodiche, anche se la tecnica<br />

raccomandata è senz’altro il radiobisturi, che controlla<br />

meglio l’emorragia e danneggia meno i tessuti circostanti.<br />

Ingluvie. I prelievi dal gozzo sono una routine in medicina<br />

aviare. Visto che non è possibile visualizzare l’interno dell’ingluvie<br />

ad occhio nudo, i prelievi non-endoscopici si limitano<br />

alla raccolta di tamponi “alla cieca” per citologia (citologia classica,<br />

colorazioni di Gram, ricerca di miceti e batteri), oppure alla<br />

raccolta di liquido di lavaggio. Dal gozzo si possono prelevare<br />

anche biopsie a tutto spessore, per la diagnosi di PDD (Proventricular<br />

Dilatation Disease). In tal caso, col paziente in anestesia<br />

generale, (generalmente incubato), si provvede a preparare il<br />

terzo distale del collo. Si esegue un’incisione paramediana<br />

destra, a circa 0,5 – 1 cm dall’entrata del torace, e si esteriorizza<br />

il gozzo, liberandolo per via smussa dalle su connessioni con<br />

la cute del collo. Si identifica un vaso e si provvede ad asportare<br />

una biopsia circolare, a tutto spessore, di circa 3 – 5 mm di<br />

diametro. Ciò fatto, si sutura il gozzo con monofilamento assorbibile<br />

4-0 o 5-0, con una sutura introflettente, e si conclude suturando<br />

la cute con materiale assorbibile, meglio se anch’esso<br />

monofilamento, del calibro adeguato. Il paziente riceverà una<br />

razione leggera (in volume), il giorno dell’intervento, mentre già<br />

in seconda giornata potrà mangiare normalmente.<br />

Cloaca. La cloaca è sede di numerose patologie, i prelievi<br />

citologici sono spesso effettuati per lo studio della popolazione<br />

batterica con colorazione di Gram, come pure per strisci a fresco<br />

del materiale urinario e fecale (che negli uccelli, privi di<br />

vescica urinaria, sono quasi sempre mischiati). Inoltre si può<br />

provvedere al prelievo di materiale per istopatologia da masse<br />

di dubbia origine (fra cui i papillomi), sempre che queste siano<br />

visibili ad occhio nudo. È sempre importante, nel caso in cui si<br />

debbano effettuare delle biopsie evitando il materiale fecale,<br />

mantenere un discreto digiuno (2-4 ore), ed essere assistiti da un<br />

aiuto in grado di mantenere dilatata la cloaca.<br />

Apparato Respiratorio<br />

Seni nasali. Il prelievo di materiale per citologia dai seni<br />

nasali è un’altra pratica piuttosto comune. Qualora un esame<br />

microbiologico dell’essudato nasale non dia risultati interessanti,<br />

oppure i seni nasali siano dilatati e pieni di materiale<br />

sospetto, un prelievo diretto del materiale è sempre una buona<br />

opzione diagnostica. Ci sono diverse tecniche per la raccolta<br />

di materiale dai seni nasali. Si può infilare l’ago alla<br />

commessura del becco e dirigerlo verticalmente, verso un<br />

punto posto a metà strada fra il canto mediale dell’occhio e<br />

la narice. Altrimenti si può infiggere l’ago appena sotto l’occhio,<br />

dietro alla commessura del becco e dirigerlo centralmente<br />

verso l’arco zigomatico. Infine, si può entrare perpendicolarmente<br />

nel seno nasale, laddove appare gonfio.<br />

Coane. Le coane sono la zona di connessione fra la cavità<br />

nasale e quella orale. I prelievi microbiologici sono la rou-


96 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

tine, nel caso degli uccelli, ma le coane vanno sempre esaminate<br />

con cura, nel caso in cui ci siano sintomi respiratori<br />

alti. Il prelievo di materiale per citologia o istologia avviene<br />

secondo le normali tecniche.<br />

Trachea. Prelievi tracheali per semplice microbiologia e<br />

citologia si possono ottenere inserendo un tampone sterile<br />

nella trachea di un uccello anestetizzato. La (il) siringe, l’organo<br />

della fonazione degli uccelli, si trova nella porzione<br />

prossimale della trachea, ed è il sito dove, in termini di frequenza,<br />

si localizza la maggior parte delle patologie focali<br />

dell’apparato respiratorio prossimale. Per ottenere campioni<br />

citologici della trachea distale, del siringe, o dei bronchi, è<br />

necessario effettuare un lavaggio tracheale.<br />

Apparato Tegumentario<br />

Cute. La cute degli uccelli è molto più sottile di quella dei<br />

mammiferi ed è strutturata in maniera differente. Si possono<br />

comunque effettuare raschiati cutanei per citologia, come<br />

pure biopsie a tutto spessore. Per la biopsia non è indicato<br />

l’uso di un “punch”, ma piuttosto si preferisce sollevare un<br />

lembo cutaneo e tagliarlo direttamente con una forbice. È<br />

sempre consigliabile prelevare una biopsia da una zona<br />

affetta dal problema ed una, per comparazione, da una zona<br />

apparentemente sana, facendo attenzione ad includere almeno<br />

un follicolo nella biopsia.<br />

Penne. Anche le penne sono un buon campo, per la diagnosi<br />

citologica ed istologica. I preparati più interessanti si<br />

ottengono dalle penne in crescita, laddove la polpa della<br />

penna è ancora aperta e abbondantemente vascolarizzata. Si<br />

può quindi aprire in rachide con una lama sterile e prelevare<br />

campioni per citologia, oppure fare solo una piccola incisione<br />

ed inviare la base della penna per l’esame istopatologico.<br />

Uropigio. La cute aviare è priva di ghiandole, con esclusione<br />

di quelle del canale uditivo, di quelle pericloacali e della<br />

ghiandola dell’uropigio. Questa è una ghiandola olocrina, bilobata,<br />

posta alla base dorsale della coda. Manca nei Columbiformi,<br />

negli Amazona ed in altri Psittaciformi. Gli uccelli che la<br />

posseggono se ne spalmano il secreto sul piumaggio. Questo<br />

secreto assolve azione protettiva ed impermeabilizzante, inoltre<br />

si suppone che abbia un’attività inibente sulla crescita dei<br />

microorganismi. Infine, il secreto dell’uropigio contiene dei<br />

precursori della vitamina D, che vengono convertiti nella forma<br />

attiva dall’esposizione ai raggi UV. Dopodiché l’uccello ingerisce<br />

la vitamina D con le successive opere di autopulizia. Da<br />

questa ghiandola si possono effettuare esami microbiologici e<br />

citologici dell’essudato, nonché prelievi bioptici.<br />

Apparato Riproduttore: la fecondazione artificiale è<br />

ormai routine in varie specie aviari non da reddito (falconiformi,<br />

gruiformi, alcuni galliformi e psittaciformi), pertanto<br />

esistono metodiche per il prelievo di materiale spermatico e<br />

la sua valutazione. A fianco di tecniche volontarie (animali<br />

improntati che donano il seme volontariamente), esistono<br />

tecniche di massaggio che variano in funzione delle caratteristiche<br />

anatomiche e comportamentali del paziente.<br />

Midollo Osseo: la raccolta di materiale per citologia dal<br />

midollo osseo non è una tecnica difficile negli uccelli. Altra<br />

faccenda è la sua interpretazione che deve assolutamente<br />

essere fatta da un patologo molto esperto. Il midollo osseo<br />

si può prelevare dall’ulna o dal tibiotarso. La tecnica è la<br />

medesima che s’impiega per mettere un catetere intraosseo<br />

per fluidoterapia.<br />

Celiocentesi (Addominocentesi): questa procedura si<br />

utilizza per prelevare essudato/trasudato da uccelli con dilatazione<br />

addominale. La presenza dei sacchi aerei rende difficile<br />

l’accesso alla cavità peritoneale in un uccello normale,<br />

ma l’accumulo di fluidi, dilatandolo, ne facilita l’aggressione.<br />

Il sito d’entrata, posto sulla linea mediana, subito<br />

caudalmente all’estremità distale dello sterno, viene preparato<br />

chirurgicamente. L’ago, del calibro adeguato (<strong>21</strong>-25<br />

G), verrà diretto leggermente verso destra, onde evitare il<br />

ventriglio, che si pone a sinistra. Si aspira quindi il contenuto<br />

e si prepara come di consueto.<br />

Artrocentesi: il prelievo di fluido sinoviale, da articolazioni<br />

che si presentino gonfie, è un’altra procedura piuttosto comune.<br />

La metodica è la medesima impiegata per i mammiferi.<br />

Ghiandole ed Organi di Senso: spesso si osservano<br />

infiammazioni e dilatazioni di varie parti del corpo, come<br />

occhi ed orecchie, in questi casi la scelta del metodo di raccolta<br />

dipende molto dalla localizzazione della lesione e dalla<br />

sua apparente natura. Le raccolte di fluidi si prestano bene<br />

ad un’aspirazione con conseguente esame citologico, mentre<br />

le masse solide si prestano anche a biopsia e, a volte, possono<br />

anche essere asportate<br />

Citologia e Istologia da Necroscopia: un tipo di esame<br />

citologico di cui spesso il clinico si dimentica, è la citologia per<br />

apposizione dopo necroscopia. Gli uccelli sono relativamente<br />

piccoli, pertanto un solo vetrino, o due, possono benissimo<br />

contenere apposizioni di tutti gli organi interessanti. La procedura<br />

è la stessa di sempre: si effettua un buon taglio netto dell’organo,<br />

lo si asciuga, per eliminare il sangue in accesso, toccando<br />

con delicatezza della carta bibula e quindi si effettua<br />

l’apposizione. È molto importante essere metodici e soprattutto<br />

fare le apposizioni sempre nello stesso ordine (per esempio<br />

fegato, milza, polmone, midollo osseo e contenuto intestinale),<br />

in modo che il patologo abbia il lavoro facilitato.<br />

Bibliografia<br />

1. Campbell TW: Cytology. In: Ritchie BW, Harrison GJ and Harrison<br />

LR, eds. Avian Medicine and Surgery: Principles and Application.<br />

Lake Worth, FL: Wingers Publishing Inc; <strong>19</strong>94:<strong>19</strong>9-222.<br />

2. Dahlhausen RD: Implication of Mycoses in Clinical Disorders. In:<br />

Harrison GJ & Lightfoot TL (eds) Clinical Avian Medicine. Spix<br />

Publishing, Palm Beach, FL; 2006: 691 – 704.<br />

3. Fox N: Obtaining semen: voluntary donors, stripping and electro-ejaculation.<br />

In: Understanding the Bird of Prey. Hancock House, Surrey,<br />

B.C., <strong>19</strong>95: 80-83.<br />

4. Fox N: Handling and assessing the semen quality. In: Understanding<br />

the Bird of Prey. Hancock House, Surrey, B.C., <strong>19</strong>95: 84-87.<br />

5. Pollock CG: Implication of Mycobacteria in Clinical Disorders. In:<br />

Harrison GJ & Lightfoot TL (eds) Clinical Avian Medicine. Spix<br />

Publishing, Palm Beach, FL; 2006: 681 – 690.<br />

6. Sandmeier P and Coutteel P: Management of Canaries, Finches and<br />

Mynahs. In: Harrison GJ & Lightfoot TL (eds) Clinical Avian Medicine.<br />

Spix Publishing, Palm Beach, FL; 2006: 849-860.<br />

7. Stelzer G, Crosta L, Bürkle M, and Krautwald-Junghanns ME:<br />

Attempted semen collection using the massage technique and semen<br />

analysis in various psittacine species. J. Avian Med. Surg. <strong>19</strong>(1), 7-<br />

13, 2005.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Lorenzo Crosta<br />

Via Borsieri, 32 – 2<strong>21</strong>00 Como<br />

Via Garibaldi, 255 – 20033 Desio (Mi)<br />

e-mail: lorenzo_birdvet@yahoo.com


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 97<br />

I prelievi endoscopici di campioni per citologia<br />

e istologia negli uccelli<br />

Lorenzo Crosta<br />

Med Vet, Desio (Mi)<br />

Nel paziente aviare citologia ed istologia, soprattutto se<br />

confrontate con metodiche meno invasive, ma anche più<br />

complicate, e spesso non disponibili specificamente per<br />

gli uccelli, sono spesso così dirette e di relativa facile esecuzione,<br />

che il loro impiego dovrebbe essere quasi la routine,<br />

per raggiungere una diagnosi. Se a questo si associa<br />

la facilità con cui si può eseguire un’endoscopia rigida, in<br />

pazienti di questa classe zoologica, si capisce come queste<br />

tecniche associate (endoscopia + citologia/biopsiaistologia),<br />

siano ormai un cardine della diagnostica in<br />

medicina aviare.<br />

STRUMENTARIO E<br />

CONSIDERAZIONI TECNICHE<br />

Tutti abbiamo sentito parlare di endoscopia e molti fra noi<br />

l’hanno anche già impiegata. Però, mentre nella medicina<br />

del cane e del gatto si fa un largo uso dell’endoscopio flessibile,<br />

l’endoscopia rigida è relativamente meno diffusa. La<br />

principale differenza fra endoscopia flessibile ed endoscopia<br />

rigida, è che nella prima l’ottica è completamente percorsa<br />

da fibre ottiche, mentre in endoscopia rigida queste si limitano<br />

al cavo a fibre ottiche, che permette di trasmettere la<br />

luce fino all’ottica, senza trasferire il calore generato dalla<br />

fonte luminosa. L’ottica rigida sfrutta pertanto un sistema di<br />

lenti. Esistono lenti di varia qualità, quindi il prezzo di un’ottica<br />

dipende molto dal tipo di lenti che incorpora. Le migliori<br />

lenti sono quelle tubolari o cilindriche, che offrono un’immagine<br />

di qualità incomparabile.<br />

Lo strumentario minimo per effettuare delle biopsie endoscopiche<br />

negli uccelli comprende una fonte luminosa, un<br />

cavo a fibre ottiche e un’ottica rigida da 2.7 mm, di 18 - <strong>19</strong><br />

cm. di lunghezza e con un angolo di 25-30º. Un’ottica di questo<br />

tipo permette di operare su pazienti piccoli, come un pappagallino<br />

ondulato, ma anche di lavorare su uccelli di grosse<br />

dimensioni, come cicogne o avvoltoi. Inoltre serve un trocar<br />

(trequarti), operatorio.<br />

Le biopsie endoscopiche avvengono quindi attraverso il<br />

canale di servizio di un trocar che, invece d’essere cilindrico,<br />

ha una sezione ovale. In tal modo l’ottica, cilindrica in sezione,<br />

lascia una canale per il passaggio degli strumenti chirurgici<br />

per i piccoli interventi. Tali strumenti, costruiti per l’uso<br />

specifico, sono pinze flessibili, da presa e da biopsia, forbici<br />

semirigide ed ago flessibile.<br />

Eseguendo chirurgia mini-invasiva e biopsie negli uccelli,<br />

è importante ricordare sempre che si sta operando su<br />

pazienti di dimensioni ridotte, con un peso esiguo, tanto che<br />

spesso il sistema “cavo-endoscopio-trocar-strumentovideocamera”<br />

pesa di più dello stesso paziente. Per cui le<br />

regole sono: trovare una posizione ergonomicamente corretta,<br />

appoggiare gli avambracci al piano operatorio, non<br />

fare movimenti bruschi, e non esercitare trazioni esagerate<br />

sui delicati tessuti di questi pazienti.<br />

Il lavoro viene molto facilitato dall’impiego di una videocamera<br />

ed un monitor attraverso cui osservare l’intervento<br />

ed eventualmente registrarlo. La qualità della videocamera è<br />

importante, ma ancora di più lo sono le sue dimensioni: un<br />

modello troppo grosso e pesante sbilancia l’endoscopio e<br />

non permette quei movimenti delicati che sono indispensabili<br />

lavorando con pazienti molto piccoli.<br />

Se non intendiamo usare una videocamera (ma il lavoro<br />

può essere molto difficile, senza questo strumento), la fonte<br />

luminosa può avere una potenza moderata (150 watt). Diversamente<br />

è necessario aumentare la potenza, arrivando almeno<br />

a 250 watt, oppure passare a una fonte luminosa allo xeno. Se<br />

possibile la fonte dovrebbe essere fornita di una pompa d’aria<br />

per i semplici interventi in cui questa è indispensabile, altrimenti<br />

si possono acquistare pompe d’aria separate.<br />

APPLICAZIONI PRATICHE<br />

1) Apparato Respiratorio<br />

Naso e Coane: l’osservazione endoscopica della parte<br />

più prossimale dell’apparato respiratorio permette di raccogliere<br />

campioni in maniera mirata. Si utilizzano esclusivamente<br />

ottiche rigide. Il paziente è in anestesia generale, ed<br />

è incubato, oppure si sta erogando la miscela anestetica nei<br />

sacchi aerei. Lo si posiziona in decubito dorsale, gli si apre<br />

il becco e si pone l’endoscopio nelle fessura delle coane,<br />

che si apre nel palato. Si può così accedere alle cavità nasali<br />

e da qui alle conche.<br />

Trachea e Siringe: benché la tracheoscopia sia una delle<br />

manovre diagnostiche più comuni negli uccelli, la raccolta<br />

di materiale bioptico in endoscopia lo è molto meno.<br />

Infatti, le ridotte dimensioni della trachea degli uccelli limita<br />

molto l’uso dell’endoscopio + trocar con canale di servizio<br />

ed inoltre la maggior parte dei campioni tracheali sono<br />

per citologia ed ottenuti con metodi non endoscopici.<br />

Recentemente sono state messe in commercio ottiche da 1.9<br />

mm, con relativi trocar a strumenti, che permettono anche<br />

la raccolta di campioni diagnostici dalla trachea. Per effettuare<br />

prelievi bioptici in trachea è normalmente necessario<br />

erogare l’anestesia nei sacchi aerei.


98 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

2) Apparato Digerente<br />

Esofago ed ingluvie (gozzo): questa è una delle poche<br />

manovre che richiedono l’insufflazione di aria attraverso il<br />

trocar. Il paziente viene anestetizzato e intubato. L’endoscopio<br />

rigido, oppure un fibroscopio flessibile di dimensioni<br />

adeguate, viene preparato e collegato ad una pompa d’aria;<br />

quindi, col paziente in decubito dorsale, laterale destro,<br />

oppure mantenuto in posizione verticale da un aiuto, si introduce<br />

l’endoscopio nell’esofago, che negli uccelli è particolarmente<br />

dilatabile; a volte è necessario aspirare parte dei<br />

liquidi che si trovano nel gozzo (limitatamente alle specie<br />

che lo possiedono), ma se l’uccello ha digiunato per due o<br />

tre ore, questa evenienza è rara, salvo i casi di occlusione o<br />

impaccamento del proventricolo. L’endoscopio viene fatto<br />

avanzare regolando la quantità d’aria erogata, che deve essere<br />

appena sufficiente a dilatare l’organo, senza limitare la<br />

funzione respiratoria con una pressione eccessiva.<br />

Compartimento gastrico (Proventricolo e Ventriglio):<br />

negli uccelli come nei mammiferi, le indicazioni per una<br />

gastroscopia, in senso lato, vanno dalla semplice osservazione,<br />

per un sospetto diagnostico, ai prelievi bioptici, al recupero<br />

di corpi estranei. È imprescindibile una buona conoscenza<br />

delle differenza anatomiche nelle diverse specie aviari, per cui<br />

il proventricolo ed il ventriglio possono avere forma, aspetto,<br />

struttura e relazioni anatomiche anche molto diverse.<br />

La manovra è la naturale conseguenza dell’ingluvioscopia<br />

descritta precedentemente: una volta nel gozzo, oppure nella<br />

porzione distale dell’esofago cervicale, se si sta operando<br />

su pazienti privi di ingluvie, si dilaterà con aria la cavità fino<br />

ad identificare l’ostio di comunicazione fra gozzo ed esofago<br />

toracico. Una volta impegnato quest’ultimo, si potranno<br />

raggiungere il proventricolo ed il ventriglio.<br />

Per questa manovra possono essere impiegate sia ottiche<br />

rigide, sia flessibili: tutto dipende dal tipo di paziente. In<br />

alcuni casi, soprattutto nei grossi Cacatua, che hanno un collo<br />

relativamente lungo, è spesso impossibile raggiungere il<br />

proventricolo con un’ottica rigida passando dalla cavità orale.<br />

In questi casi, se non si dispone di un endoscopio flessibile<br />

abbastanza lungo e di calibro sufficientemente piccolo,<br />

si può procedere per via esofagotomica: il paziente, normalmente<br />

anestetizzato ed intubato, è in decubito dorsale; si<br />

consiglia di mantenerne il collo in leggera iper-estensione.<br />

Aperta una piccole breccia chirurgica nella faccia ventrale<br />

dell’esofago cervicale, a circa 4/5 della lunghezza del collo,<br />

si potrà accedere con facilità alle porzioni più distali.<br />

Cloaca: la cloaca è lo sbocco comune degli apparati digerente,<br />

urinario e genitale ed è sede di numerose patologie<br />

focali, che possono essere studiate e campionate ai fini diagnostici<br />

con un endoscopio che ingrandisca adeguatamente i<br />

dettagli. Anche questa manovra richiede un ausilio per la<br />

dilatazione della cavità ed una migliore osservazione delle<br />

strutture in essa contenute. La cloaca non viene dilatata con<br />

aria, bensì con soluzione fisiologica o di Ringer Lattato, tiepida,<br />

erogata attraverso un normale deflussore, collegato al<br />

rubinetto del trocar dell’endoscopio rigido. La manovra,<br />

piuttosto semplice, richiede una perfetta conoscenza dei rapporti<br />

anatomici della cloaca. È molto importante non effettuare<br />

movimenti bruschi ed imparare a regolare perfettamente<br />

il flusso di soluzione salina durante l’osservazione.<br />

3) Apparato Riproduttore<br />

Ovidotto: l’ovidotto è spesso sede di patologie non diagnosticate.<br />

Esiste la possibilità di prelevare biopsie dell’ovidotto<br />

anche in soggetti piuttosto piccoli (120 g PV).<br />

All’ovidotto si accede dall’urodeo, la porzione centrale della<br />

cloaca. Una volta identificatone l’ostio, lo si dilata con<br />

l’ottica e l’aiuto del liquido tiepido, per arrivare fino alla<br />

camera calcigena.<br />

4) Accessi Celioscopici (Laparoscopici)<br />

Gli uccelli non possiedono una cavità toracica ed una<br />

addominale separate, ma hanno una sola cavità toraco-addominale<br />

o celomatica. Pertanto è corretto definire la laparoscopia<br />

aviare “celioscopia”.<br />

La normale situazione anatomica degli uccelli: mancanza<br />

del diaframma, presenza dei sacchi aerei, facilita enormemente<br />

la celioscopia aviare. Benché siano stati descritti vari<br />

accessi celioscopici negli uccelli, per la biopsia endoscopica<br />

essenzialmente se ne impiegano due: la via d’accesso attraverso<br />

il fianco (il sinistro è di gran lunga il più utilizzato) e<br />

la via d’accesso mediana ventrale.<br />

4.a) Acceso laterale alla cavità celomatica<br />

Il sito di entrata maggiormente utilizzato al giorno d’oggi,<br />

è quello che si colloca posteriormente alla zampa sinistra,<br />

che viene pertanto estesa cranialmente. Il punto di incisione<br />

è facilmente identificabile laddove il muscolo caudale della<br />

coscia (m. semimembranoso - M. flexor cruris medialis),<br />

incrocia l’ultima costa. Una volta incisa la cute con il bisturi,<br />

si apre la breccia operatoria per via smussa, utilizzando<br />

una pinza di Adson, oppure una piccola pinza Mosquito curva.<br />

Si introduce quindi l’endoscopio per iniziare l’osservazione.<br />

L’accesso destro è impiegato meno frequentemente.<br />

Spesso de questo lato si preferisce un accesso prefemorale,<br />

che permette un migliore movimento verso il celoma distale,<br />

dove si trova il pancreas, principale bersaglio delle celioscopia<br />

laterali destre.<br />

4.b) Accesso mediano ventrale<br />

Il paziente viene posto in decubito dorsale e la parete<br />

addominale viene preparata asetticamente. Si pratica una<br />

piccola incisione cutanea pochi millimetri caudalmente<br />

alla fine dello sterno e si separano i muscoli addominali per<br />

via smussa. Si inserisce quindi l’endoscopio nella cavità<br />

peritoneale (destra o sinistra), mantenendolo parallelo al<br />

piano di lavoro.<br />

5) Organi & Apparati in Celioscopia<br />

La mancanza del diaframma permette di visionare molti<br />

apparati, una volta che si ha avuto accesso al celoma. Da<br />

alcuni di questi si possono anche essere effettuare prelievi<br />

bioptici.<br />

5.a) Apparato Respiratorio<br />

Poiché generalmente l’entrata al celoma avviene dal sacco<br />

aereo toracico caudale, l’accesso ai sacchi aerei e alla<br />

base polmonare è una manovra immediata. Una volta aperta


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 99<br />

la breccia attraverso i muscoli addominali, si introduce la<br />

sonda e, appena entrati in cavità toraco-addominale, si devia<br />

l’ottica cranialmente. In questo modo è possibile osservare<br />

la parete del sacco aereo, il sacco aereo in se, la base del polmone<br />

e l’ostio di passaggio da quest’ultimo al sacco aereo.<br />

5.b) Fegato<br />

Se lo scopo è la biopsia di un frammento qualunque di<br />

parenchima epatico, l’approccio più semplice è attraverso<br />

l’accesso dal fianco sinistro, precedentemente descritto. Il<br />

fegato si incontra all’interno della cavità peritoneale, scivolando<br />

con l’endoscopio lateralmente, prima sulla porzione<br />

dorsale e poi su quella laterale del proventricolo.<br />

Se invece un esame diverso, come una radiografia, oppure<br />

un’ecografia ci indicano una lesione focale in punto preciso<br />

del fegato, che non può essere raggiunto attraverso<br />

l’approccio laterale sinistro, si può tentare l’accesso mediano<br />

ventrale.<br />

5.c) Apparato Circolatorio<br />

Al momento negli uccelli non si effettuano biopsie del<br />

cuore. È però possibile effettuare una pericardiocentesi. Il<br />

cuore, come il fegato, può essere approcciato da due diversi<br />

punti d’ingresso. Dopo un approccio laterale sinistro, trovandosi<br />

nel sacco aereo toracico caudale, si può passare nel<br />

sacco toracico craniale, per osservare la faccia latero-dorsale<br />

dell’organo.<br />

Volendo invece osservare la punta cardiaca, si può operare<br />

attraverso l’approccio mediano ventrale. Dopo avere<br />

superato la faccia ventrale del fegato, nel canale creato dai<br />

due lobi epatici, si incontra facilmente il cuore nel suo aspetto<br />

apicale.<br />

5.d) Apparato Urinario<br />

Le indicazioni una biopsia del parenchima renale sono<br />

legate a un sospetto di nefropatia che non possa venire altrimenti<br />

accertata: quindi, in linea generale, la manovra è indicata<br />

in caso di poliuria-polidipsia, iperuricemia cronica e<br />

nefromegalia. Una volta entrati nel sacco aereo toracico caudale,<br />

a circa 1/3 della sua lunghezza, si devia l’endoscopio<br />

medialmente, passando attraverso la parete del sacco aereo e<br />

si localizza il polo craniale del rene, che fra l’altro è il sito<br />

preferito per la biopsia.<br />

5.e) Apparato Riproduttore<br />

La biopsia delle gonadi si effettua in casi particolari e<br />

solamente dopo molti altri accertamenti. Visto che le gonadi<br />

si trovano centralmente al polo craniale del rene, l’approccio<br />

avviene esattamente come appena descritto per i reni.<br />

5.f) Milza<br />

La milza non è sempre facilmente accessibile e riconoscibile,<br />

nel celoma degli uccelli. L’accesso è il medesimo<br />

descritto per i reni. Identificato il lobo craniale del rene sinistro,<br />

ci si dirige in basso, nella fossa formata dal rene e dal<br />

mesentere da un lato e dal proventricolo dall’altro, dove si<br />

identificherà la milza.<br />

5.g) Pancreas<br />

Il pancreas può essere raggiunto quasi solo attraverso una<br />

laparotomia sul fianco destro ed è forse l’organo più difficilmente<br />

accessibile nella cavità toraco-addominale degli<br />

uccelli. Una volta entrati dal fianco destro, ci si dirige caudo-ventralmente,<br />

per identificare l’ansa duodenale, che racchiude<br />

il pancreas.<br />

Bibliografia<br />

1. Clubb S, Zaias J, Cray C and Crosta L. Endoscopic Testicular Biopsies<br />

For Evaluation of Fertility in Psittacine Birds. Proceed. 23rd<br />

AAV Annual Conference. Monterey, CA, 2002, p. 133 - 137.<br />

2. Crosta L. Impiego dell’Endoscopia negli Uccelli. Atti del 31° <strong>Congresso</strong><br />

di aggiornamento permanente <strong>SCIVAC</strong>. Riccione, Italia, <strong>19</strong>96,<br />

pp 71-81.<br />

3. Crosta L, Gerlach H, Bürkle M and Timossi L. Endoscopic Testicular<br />

Biopsy Technique in Psittaciformes. J. Avian Med. Surg. 16(2),<br />

106-110, 2002.<br />

4. Crosta L. Endoscopia In: Croce A (ed): Animali Esotici da Compagnia,<br />

Poletto Editore, Milano, Italy, 2002. Cap. 12, p. 458 - 464.<br />

5. Crosta L, Bürkle M and Timossi L. Endoscopy-assisted Resolution of<br />

Egg Binding in an Emerald-collared Parakeet. Exotic DVM, vol. 6.1,<br />

2004, p. <strong>19</strong>-22.<br />

6. Kollias GV, Harrison G: Specific organ biopsy. In: Harrison GJ, Harrison<br />

LR, eds. Clinical Avian Medicine and Surgery, Philadelphia,<br />

PA: WB Saunders, <strong>19</strong>86, p. 248-249.<br />

7. Lierz M: Diagnostic Value of Endoscopy and Biopsy. In: Harrison GJ<br />

& Lightfoot TL (eds) Clinical Avian Medicine. Spix Publishing, Palm<br />

Beach, FL; 2006: 631-652.<br />

8. Samour J: Endoscopy. In: Samour J (ed) Avian Medicine. Mosby,<br />

2000, p. 60-72.<br />

9. Taylor M: Endoscopic Examination and Biopsy Techniques. In: Ritchie<br />

BW, Harrison GJ and Harrison LR, eds. Avian Medicine and<br />

Surgery: Principles and Application. Lake Worth, FL: Wingers<br />

Publishing Inc; <strong>19</strong>94:327-354.<br />

10. Taylor M: Endoscopy in Birds. In: Murray MJ, Schildger B and Taylor<br />

M: Endoscopy in Birds, Reptiles, Amphibians and Fish. Endo-<br />

Press, Tuttlingen, Germany, 2001, p. 5-28.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Lorenzo Crosta<br />

Via Borsieri, 32 - 2<strong>21</strong>00 Como<br />

Via Garibaldi, 255 - 20033 Desio (Mi)<br />

e-mail: lorenzo_birdvet@yahoo.com


100 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

“Questo l’ho fatto anch’io”<br />

Errori comuni nella gestione di una struttura veterinaria<br />

Gualtiero Walter Crotti<br />

Med Vet, Dipl Master in cardiologia, Civitanova Marche (MC)<br />

Nel compimento del nostro lavoro di medici veterinari è<br />

ormai riconosciuta la necessità di apprendere tecniche e<br />

metodi che portino il professionista a limitare gli errori e ad<br />

agire secondo delle buone pratiche che siano riconosciute<br />

come corrette per la salute dell’animale ed utili per meglio<br />

gestire la patologia.<br />

Anche nell’ambito della gestione della struttura veterinaria<br />

le nozioni che ci derivano dal “ Practice Management ” ci forniscono<br />

indicazioni per una conduzione più corretta, duratura<br />

e soddisfacente, in termini professionali ed economici.<br />

Aderire a tali indicazioni non depaupera la nostra professione<br />

dell’imprescindibile aspetto medico (anzi!), non mortifica<br />

la nostra libertà nel prendere le decisioni secondo<br />

scienza e coscienza, come molti colleghi temono.<br />

Esalta invece la nostra capacità imprenditoriale, migliora<br />

l’immagine della professionalità del medico veterinario agli<br />

occhi di una clientela ancora abituata a rivolgersi all’amico<br />

cinofilo, al negoziante, all’allevatore al farmacista laddove<br />

invece il referente unico nel legame tra il pet ed il proprietario<br />

dovrebbe essere il Medico Veterinario.<br />

Nella relazione l’autore descrive una serie di errori comunemente<br />

commessi durante il lavoro in una struttura veterinaria<br />

privata dedicata ai piccoli animali.<br />

Gli esempi portati vengono in parte dall’esperienza personale<br />

negli anni (come si usa dire: chi non fa non falla...), in<br />

parte da situazioni che si vedono tutt’oggi ripetersi, soprattutto<br />

laddove la cura della relazione con il cliente, dell’organizzazione<br />

della struttura stessa e dei singoli locali, della<br />

preparazione e motivazione del personale ed altri importanti<br />

aspetti sono lasciati in secondo piano, nella convinzione che<br />

siano meno importanti, oppure troppo difficili da seguire per<br />

chi esercita una professione medica.<br />

L’autore non ha voluto prendere in considerazione l’aspetto<br />

strettamente medico, ma solo quello gestionale e vista<br />

la vastità dell’argomento per il tempo a disposizione, sono<br />

stati trattati “errori” appartenenti a tre categorie:<br />

ERRORI DI ORGANIZZAZIONE.<br />

ERRORI DI RAPPORTO CON IL PUBBLICO.<br />

ERRORI DI GESTIONE ECONOMICA.<br />

Nel primo gruppo, sono stati raggruppati esempi di malgestione<br />

o di scarso sfruttamento dei locali della struttura,<br />

della gestione del telefono e degli appuntamenti, di cattiva<br />

interazione tra il personale,di scarsa organizzazione degli<br />

ambienti di lavoro.<br />

Nel secondo gruppo sono stati evidenziati errori di comunicazione,<br />

legati,ad esempio,ad atteggiamenti irritanti o frettolosi,<br />

oppure alla scarsa propensione a verificare quello che<br />

il cliente realmente percepisce dal nostro comportamento e<br />

dalle nostre parole.<br />

Ci preoccupiamo di essere stati realmente compresi, oppure<br />

diamo sempre colpa al cliente se non raccogliamo una convinta<br />

adesione alle nostre raccomandazioni o proposte?<br />

Nella nostra maniera di porci di fronte al cliente, mostriamo<br />

di essere realmente pronti ad offrire al cliente la migliore<br />

prestazione di cui siamo capaci?<br />

Nel terzo gruppo sono stati portati esempi di errori legati<br />

alle cattive gestioni di spese, ma anche alle difficoltà che si<br />

possono trovare nel chiedere ed ottenere un adeguato compenso<br />

per le nostre prestazioni.<br />

Assenza di una pianificazione nel valutare l’ammortamento<br />

degli acquisti, carenze nella stesura di un bilancio,<br />

occasioni perse nell’incrementare il fatturato ella struttura,<br />

errori nella formazione del prezzo della nostra prestazione<br />

portano il veterinario a mancati guadagni od anche a reali<br />

perdite.<br />

Errori di valutazione delle potenzialità economiche dei<br />

clienti sono un’altra grave fonte di mancato guadagno.<br />

Ovviamente ogni libero professionista potrebbe aggiungere<br />

in base alla propria esperienza altri esempi a quelli<br />

citati, e molti di questi “errori “ non vengono più commessi<br />

nelle strutture più organizzate, oppure laddove un<br />

collega abbia deciso di sottrarre tempo alla propria attività<br />

medica per rivestire anche il ruolo di “manager” della<br />

struttura stessa.<br />

Anche il semplice utilizzo razionale di fogli di calcolo,<br />

prestampati, accurata tenuta della contabilità così come delle<br />

schede clienti facilitino in ultima analisi chi deve controllare<br />

la redditività di un’impresa veterinaria.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 101<br />

Vaccinazioni e comportamento nel cucciolo:<br />

una relazione pericolosa?<br />

Paola Dall’Ara<br />

Med Vet, PhD, Milano<br />

Clara Palestrini<br />

Med Vet, PhD, Specialista in Etologia applicata e benessere animale, Dipl. ECVBM-CA, Milano<br />

Vaccinazioni: cosa sta cambiando?<br />

In campo veterinario, così come in campo umano, la vaccinologia<br />

è un settore in continua evoluzione. Il veterinario<br />

ha infatti oggi a disposizione una vasta scelta di presidi<br />

immunizzanti per tenere sotto controllo diverse malattie<br />

infettive del cane. Ma quali vaccini scegliere e perché? E<br />

contro cosa vaccinare? E ogni quanto vaccinare? E quando<br />

cominciare? Queste sono solo alcune delle domande più<br />

ricorrenti che i veterinari si pongono quando devono affrontare<br />

il tema “vaccinazioni”. E questa relazione ha lo scopo di<br />

fare un po’ di chiarezza in questo campo, facendo il punto su<br />

cosa sta cambiando nell’immenso mondo dei vaccini.<br />

Alcuni veterinari preferiscono vaccinare contro tutte le<br />

malattie per le quali esiste un vaccino, ricorrendo, per comodità,<br />

a vaccini polivalenti (in commercio sono disponibili<br />

fino a 8 valenze combinate); altri, invece, adottano l’approccio<br />

di vaccinare i propri pazienti con le vaccinazioni di<br />

base (in genere utilizzando vaccini bivalenti o trivalenti),<br />

riservando l’uso di quelle accessorie solo per i soggetti<br />

veramente a rischio di infezione.<br />

La produzione commerciale di vaccini polivalenti ha<br />

comunque reso i protocolli vaccinali meno costosi e più<br />

convenienti sia per i veterinari, sia per i proprietari degli<br />

animali, aumentando le probabilità che gli animali vengano<br />

vaccinati in modo corretto. I test di interferenza, richiesti<br />

per l’autorizzazione in commercio, garantiscono che gli<br />

antigeni presenti nei vaccini polivalenti stimolino un’immunità<br />

identica a quella fornita da ogni singola valenza<br />

somministrata separatamente.<br />

Alcuni patogeni sono andati incontro a variazioni antigeniche<br />

in questi ultimi anni, e questo ha reso più difficile<br />

il loro controllo mediante i vaccini classici, che non sono<br />

risultati più perfettamente rispondenti alle necessità, garantendo<br />

solo una cross-reattività più o meno completa a<br />

seconda dei casi. È questo il caso ad esempio del parvovirus<br />

(CPV-2, contenuto della stragrande maggioranza dei<br />

vaccini del commercio e che da diversi anni non circola più<br />

nella popolazione canina), che è andato incontro a una prima<br />

mutazione nel <strong>19</strong>81 con la comparsa del ceppo CPV-2a<br />

e in seguito a un’altra mutazione nel <strong>19</strong>85 con la comparsa<br />

del ceppo CPV-2b, oggi predominante in Europa. Un<br />

altro esempio è rappresentato dal coronavirus (CCoV),<br />

responsabile fino a poco tempo fa solo di lievi enteriti autolimitanti<br />

soprattutto concomitanti alle infezioni da parvovirus,<br />

e oggi accusato di poter causare una forma ben più grave<br />

di malattia in seguito a una mutazione nel suo genoma.<br />

Un ultimo esempio è fornito dalle leptospire: i vaccini del<br />

commercio contengono tutti le batterine di L. canicola e L.<br />

icterohaemorrhagiae, mentre le serovar oggi più diffuse<br />

sono altre, con conseguente protezione non ottimale nei<br />

confronti di questi batteri.<br />

Un altro grande cambiamento che sta caratterizzando il<br />

campo della vaccinologia è l’opinione dei molti circa la<br />

frequenza dei richiami vaccinali. Per la maggior parte delle<br />

malattie più importanti, la comunità scientifica mondiale<br />

competente suggerisce di ripetere la stimolazione antigenica<br />

con richiami triennali e non più annuali. Tali indicazioni<br />

nascono dalla volontà di non eseguire trattamenti<br />

immunizzanti non necessari, sulla base sia di studi che,<br />

valutando la durata dell’immunità conseguente alla vaccinazione<br />

(espressa come DOI, Duration Of Immunity),<br />

indicano la persistenza della risposta immunitaria ben<br />

oltre un anno dalla precedente vaccinazione, sia di altri<br />

che sottolineano la possibilità di conseguenze indesiderabili,<br />

quale ad esempio lo sviluppo di sarcomi nel sito di<br />

iniezione per i gatti.<br />

Ogni medico veterinario è quindi tenuto a seguire gli<br />

sviluppi scientifici di questi concetti e gli effetti dell’applicazione<br />

dei nuovi protocolli, al fine di offrire sempre un<br />

piano vaccinale efficace e associato al minor numero possibile<br />

di effetti indesiderati<br />

Un’ultima svolta importante è l’età alla quale è possibile<br />

eseguire la prima serie vaccinale. Fino a poco tempo fa<br />

la scelta più comune era quella di vaccinare un cucciolo al<br />

compimento del secondo mese; oggi invece molti anticipano<br />

la prima vaccinazione alla 6 a settimana (alcuni addirittura<br />

alla 5 a ), spesso con prodotti definiti “ad alto titolo” per<br />

aprirsi un varco nell’immunità materna. Altrettanto comune<br />

è includere oggi la vaccinazione anti-parvovirus nella<br />

prima serie di vaccinazioni del cucciolo, malgrado sia oramai<br />

dimostrato che gli anticorpi anti-parvovirus trasferiti<br />

dalla madre al cucciolo permangano in circolo più degli<br />

anticorpi passivi con altre specificità, per diminuire<br />

comunque il rischio di infezione in questa fascia di età che<br />

risulta la più suscettibile.


102 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Bibliografia consultata<br />

American Animal Hospital Association Canine Vaccine Task Force (2003):<br />

2003 Report on canine vaccine guidelines, recommendations, and<br />

supporting literature. JAAHA, Special Report, 39 (2), 1<strong>19</strong>.<br />

AVMA Council (2002): 5th Council on biologic and therapeutic agent’s<br />

report on cat and dog vaccines. JAVMA, 2<strong>21</strong> (10), 1401<br />

Bo S. (2005): Manuale di malattie infettive del cane e del gatto. Ed. Scivac,<br />

Cremona<br />

Buonavoglia C. (2003): Vaccini e vaccinazioni nel cane. In: “Le vaccinazioni<br />

in medicina veterinaria”, Edagricole, Bologna, pag. 159<br />

Greene C.E. (<strong>19</strong>98): Immunoprofilassi e immunoterapia. In: Greene C.E.<br />

(ed.): “Malattie infettive del cane e del gatto”. Ed. italiana sulla II<br />

americana, Antonio Delfino Editore, pag. 717<br />

Schultz R.D. (2000): Consideration in designing effective and safe vaccination<br />

programs for dogs. International Veterinary Information Service<br />

(http://www.ivis.org)<br />

Comportamento:<br />

è possibile una prevenzione efficace?<br />

Il comportamento di un animale è una determinante estremamente<br />

importante del successo del legame uomo-animale<br />

e rappresenta il risultato di una complessa combinazione di<br />

fattori genetici e ambientali.<br />

Ogni animale percepisce, con i propri organi di senso,<br />

stimoli particolari che discrimina e privilegia nell’ambiente<br />

e ciò determina progressivamente anche la formazione<br />

del mondo soggettivo. La sopravvivenza di un individuo<br />

dipende non soltanto dalla capacità di adattarsi attraverso<br />

la risposta a particolari stimoli o la manifestazione di comportamenti<br />

filogeneticamente programmati, ma anche dalla<br />

capacità di utilizzare l’esperienza grazie alle varie forme<br />

di apprendimento.<br />

Sulla base delle predisposizioni innate, ogni soggetto<br />

impara quanto l’ambiente gli insegna: in natura tale processo<br />

si svolge solitamente in modo graduale, durante l’ontogenesi,<br />

attraverso gli insegnamenti dei conspecifici, in<br />

particolare della madre e in funzione delle risposte, positive<br />

o negative, che l’ambiente fornisce all’emissione di ogni<br />

comportamento.<br />

Per quanto riguarda i nostri animali domestici, l’ambiente<br />

è costituito in ampia misura dall’uomo e dalla sua gestione.<br />

Dunque gran parte delle loro possibilità di adattamento<br />

dipendono sia dalla capacità di imparare da quest’ultimo sia<br />

dalla capacità di quest’ultimo di insegnare agli animali a<br />

manifestare i vari comportamenti adeguati all’ambito fisico<br />

e sociale in cui gli animali sono inseriti.<br />

Il comportamento si sviluppa, durante l’ontogenesi,<br />

attraverso una serie di “fasi” che sono strettamente collegate<br />

allo sviluppo neuro-sensorio ed alla maturazione<br />

individuale, con tempi diversi in relazione alle caratteristiche<br />

di ogni specie.<br />

Il cane domestico ha, nel proprio repertorio comportamentale,<br />

una vasta serie di comportamenti e di segnali tipici<br />

e comprensibili dai suoi conspecifici; tali caratteristiche, che<br />

si sviluppano secondo tappe ben precise durante le fasi di<br />

vita, sono da porre in relazione con la progressione dello sviluppo<br />

neuro-sensorio.<br />

Alcuni Autori distinguono inoltre un periodo “prenatale”,<br />

importante per lo scambio di informazioni tra madre e feti<br />

e per la ripercussione dello stato di stress che essa può sviluppare.<br />

Durante la fase neonatale, che comprende le prime<br />

due settimane di vita, il cucciolo è ancora immaturo dal<br />

punto di vista neurosensorio. La terza settimana di vita rappresenta<br />

il cosiddetto periodo di “transizione”, caratterizzato<br />

da uno sviluppo rapido sia fisico che nervoso. L’eruzione<br />

dei denti inizia nel periodo di transizione ed i cuccioli si<br />

mordicchiano tra di loro ed iniziano a giocare maldestramente<br />

ed a ringhiare.<br />

All’interno delle varie fasi di sviluppo, il “periodo di<br />

socializzazione”, che va dalla terza alla dodicesima settimana<br />

di vita, riveste particolare importanza dal punto di vista<br />

comportamentale.<br />

Durante il periodo di socializzazione, il cucciolo diventa<br />

capace di distinguere i diversi stimoli ambientali, di rispondervi<br />

e di apprendere dall’esperienza. In particolare, l’esplorazione<br />

e il gioco sociale divengono attività importanti,<br />

soprattutto per ciò che concerne la socializzazione, sia con le<br />

persone, sia con i conspecifici.<br />

I cuccioli familiarizzano con l’ambiente circostante,<br />

con il resto della cucciolata, con la madre e con gli esseri<br />

umani. Si formano le gerarchie, si sviluppa il comportamento<br />

di evitamento e dall’ottava settimana si notano le<br />

reazioni di paura.<br />

La socializzazione può poi essere estesa, tramite un processo<br />

di generalizzazione, anche ad eterospecifici, che in<br />

genere per il cane domestico sono rappresentati da soggetti<br />

umani.<br />

Cuccioli di cane svezzati e allontanati dal gruppo prima<br />

del periodo di socializzazione possono, da adulti, evitare o<br />

aggredire gli altri cani o comunque sviluppare comportamenti<br />

sociali inappropriati nei confronti di cospecifici;<br />

non saranno neppure in grado di giocare e sarà difficile<br />

farli accoppiare. Inoltre, un cane che non abbia avuto la<br />

possibilità di interagire con gli altri sarà troppo orientato<br />

verso le persone.<br />

La socializzazione verso gli uomini è altrettanto importante:<br />

un cane che ha avuto pochi contatti fino alla quattordicesima<br />

settimana di vita difficilmente diverrà un buon animale<br />

domestico. Ciò è tipico dei cani allevati in canile, i quali<br />

hanno un buon grado di socializzazione con i cospecifici,<br />

ma anno esperienze limitate con gli uomini, risultando spesso<br />

soggetti timidi e difficilmente educabili.<br />

L’analisi del comportamento può indicare la presenza di<br />

elementi ambientali stressogeni durante l’ontogenesi, e<br />

quindi le successive difficoltà di adattamento a questi collegate.<br />

Un processo di sviluppo comportamentale corretto consente<br />

al cane di affrontare le varie situazioni ambientali reagendo<br />

adeguatamente agli eventuali stressori. Le esperienze<br />

vissute dal cucciolo durante il ‘periodo sensibile’ tendono a<br />

determinare il tipo di stimoli cui si adatterà e di persone, animali,<br />

luoghi cui risulterà attaccato. Quindi particolare attenzione<br />

andrebbe prestata all’osservazione del cucciolo durante<br />

le sue fasi di sviluppo, sia per identificarne le caratteristiche<br />

individuali che per favorire una corretta socializzazione<br />

con i conspecifici e con l’uomo ed indirizzarne adeguatamente<br />

l’educazione.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 103<br />

Bibliografia consultata<br />

Askew H.R., <strong>19</strong>96. Treatments of Behaviour Problems in Dog and Cat. A<br />

Guide for the Small Animal Veterinarian. Blackwell Sci. Ed.<br />

Dehasse J., <strong>19</strong>94. Sensory, Emotional and Social Development of the Young<br />

Dog Bull, Vet. Clin. Ethol., Vol. 12, 6-29.<br />

Endenburg N., Hart H. e Bouw J., <strong>19</strong>94. Motives for Acquiring Companion<br />

Animals. The J. of Economic Psychology, 15: <strong>19</strong>1-206.<br />

Eibl Eibensfeldt I., <strong>19</strong>95. I fondamenti dell’Etologia. Adelphi, Milano.<br />

Fox M.W., <strong>19</strong>71. Integrative development of brain and behaviour in the dog.<br />

Chigago: University of Chicago Press.<br />

Fraser A.F., <strong>19</strong>85. Ethology of Farm Animals, Elselvier, Amsterdam.<br />

Houpt K.A., Wolsky T.R., <strong>19</strong>82. Domestic animal behaviour for veterinarians<br />

and animal scientists. Ames. IA: Iowa State University Press.<br />

Houpt K.A., 2000, Il comportamento degli animali domestici. E.M.S.I.,<br />

Roma.<br />

Kilgour R., <strong>19</strong>85. Imprinting in Farm Animals, In: Fraser A.F. (Ed), Ethology<br />

of Farm Animals, Elsevier, Amsterdam.<br />

Lynch G., Baundry M., <strong>19</strong>84. The Biochemistry of Memory: a new and<br />

Specific Hypothesis, In: Science, n. 224, 1057-1063.<br />

Markwell P.J., Thorne C.J., <strong>19</strong>87. Early behavioural development of dogs.<br />

J. Small Anim. Pract., 58, 984-991.<br />

Nott H.M.R., <strong>19</strong>92. Behavioural development os the dog. In: Thorne C.<br />

(Ed), The Waltam Book of dog and cat behaviour. Oxford: Pergamon<br />

Press, 65-78.<br />

Pageat P., <strong>19</strong>99. Patologia comportamentale del cane. Edizioni Point Vétérinaire<br />

Italie, Prima Ed. Italiana.<br />

Scott J.P. & Fuller J.L., <strong>19</strong>65. Genetics and the Social Behaviour of the<br />

Dog. Univ. of Chicago Press, Chicago, U.S.A.<br />

Scott J.P., <strong>19</strong>92. The Phenomenon of attachment in Human-Nonhuman Relationships.<br />

In: The Inevitable bond. Examining scientist-animal interaction.<br />

DAVIS H. e BALFORD D. (Ed.). Cambridge University Press.<br />

Verga M., <strong>19</strong>97. Comportamenti “Disturbati” o “Indesiderabili” nel Cane<br />

Domestico. II parte: Relazioni con il Comportamento del Proprietario.<br />

Praxis.<br />

Verga M., <strong>19</strong>99. Etologia applicata e Zooantropologia. In: Marchesini R.<br />

(Ed.), Zooantropologia. Animali e umani: analisi di un rapporto. Red<br />

Edizioni, Como.<br />

Voith V.L., <strong>19</strong>87. Attaccamento dell’uomo agli animali da compagnia. In:<br />

Quackenbush J. & Voith V.L. (Eds.), Il legame tra l’uomo e l’animale<br />

da compagnia. Delfino Editore, Roma.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Paola Dall’Ara<br />

Professore Associato di Immunologia Veterinaria,<br />

Dipartimento di Patologia Animale,<br />

Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria,<br />

Sezione di Microbiologia e Immunologia,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria,<br />

Università degli Studi di Milano,<br />

Via Celoria 10, 20133, Milano, Italia<br />

+39 02 503108084,<br />

paola.dallara@unimi.it<br />

Clara Palestrini<br />

Ricercatrice presso l’Istituto di Zootecnica,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria,<br />

Università degli Studi di Milano,<br />

Via Celoria 10, 20133, Milano, Italia<br />

+39 02 503108026, +39 02 50318030,<br />

clara.palestrini@unimi.it


104 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Micosi nasali nel cane e nel gatto:<br />

aspetti clinici, diagnosi e trattamento<br />

Davide De Lorenzi<br />

Med Vet, SCMPA, Dipl ECVCP, Forlì<br />

Le cavità nasali e sinusali rappresentano un luogo ideale<br />

per la crescita è lo sviluppo di colonie micotiche: buio, calore,<br />

umidità ed anfrattuosità rappresentano infatti condizioni<br />

ottimali per qualsiasi micete.<br />

Vi sono numerose segnalazioni bibliografiche riferite a<br />

micosi intranasali nel cane e nel gatto; fra gli agenti eziologici<br />

riportati ricordiamo Aspergillus sp, Penicillium sp,<br />

Cryptococcus neoformans, Rhinosporidium seeberi, Trichosporon<br />

sp, Blastomyces dermatitidis, Histoplasma<br />

capsulatum, Alternaria sp, Exophialia sp e Scedosporium<br />

apiospermum.<br />

Fra tutti i funghi sopra ricordati, sicuramente Aspergillus<br />

fumigatus nel cane e Cryptococcus neoformans nel gatto<br />

assumono maggiore importanza clinica per la relativa frequenza<br />

con cui queste infezioni si rilevano nel nostro Paese.<br />

ASPERGILLOSI<br />

Aspergillus sp. é un micete saprofita, ubiquitario e presente<br />

in grandi quantità nel terreno, sulle piante di casa, in<br />

mobili e suppellettili fatti con fibre vegetali, attorno alle gabbie<br />

degli uccelli e nella polvere di casa.<br />

Tutte gli Aspergillus sono caratterizzati dalla loro particolare<br />

modalità di riproduzione conidiale: presenza di un conidioforo<br />

(detto anche stipe terminante) con un rigonfiamento<br />

denominato vescicola; su quest’ultima si formano le fialidi,<br />

o direttamente o attraverso una serie di corte cellule sterili<br />

dette metulae (Sterigmates); ogni fialide produce una catena<br />

di spore ramificate; l’insieme della vescicola, delle fialidi e<br />

delle spore prende il nome di testa aspergillare (Fig. 1).<br />

spore<br />

fialidi<br />

vescicola<br />

conidioforo<br />

piede<br />

vescicola semisferica<br />

1 serie di sterigmati<br />

testa aspergillare<br />

in colonna<br />

Figura 1 - Struttura microscopica di Aspergillus fumigatus.<br />

Le spore hanno un tallo e una morfologia (tonde, rugose<br />

da 2 a 3 mm di diametro) tali da favorire sia la loro disseminazione,<br />

poiché minore è l’attrito con i movimenti dell’aria,<br />

sia il loro passaggio attraverso il tratto respiratorio<br />

fino agli alveoli polmonari, dove possono provocare micosi<br />

primarie, particolarmente in individui immunodepressi o<br />

compromessi.<br />

I ceppi riconosciuti patogeni sono oggi circa una ventina<br />

ma la grande maggioranza, sia in medicina umana che veterinaria,<br />

appartengono alla specie A. fumigatus, in ragione<br />

della sua termotolleranza a 37 °C.<br />

Patogenesi<br />

L’Aspergillosi rappresenta senza dubbio la micosi nasale<br />

più frequente nel cane ed è stata segnalata sporadicamente<br />

anche nel gatto. Generalmente sono colpiti cani maschi di<br />

razze meso- o dolicocefale, giovani (uno studio relativo a 60<br />

casi di aspergillosi nasale canina ha evidenziato una età<br />

media di 3,3 anni nella popolazione colpita) generalmente in<br />

ottime condizioni di salute generale.<br />

Questa patologia è stata riportata in associazione a corpi<br />

estranei endonasali, traumi e neoplasie nasali ma apparentemente<br />

non esistono fattori predisponenti; studi immunologici<br />

eseguiti prima e dopo la terapia in cani con aspergillosi<br />

nasale hanno tuttavia evidenziato una disfunzione sia<br />

degli elementi linfoidi di derivazione B che di derivazione<br />

T che permane a lungo anche dopo l’eliminazione dell’agente<br />

eziologico. Anche nel cane così come nell’uomo, è<br />

segnalata una forma disseminata di questa micosi con coinvolgimento<br />

polmonare, osseo, renale e cerebrale ma, generalmente,<br />

pazienti con micosi nasale non mostrano altre<br />

localizzazioni della patologia e cani con aspergillosi disseminata<br />

non presentano coinvolgimento delle cavità nasali o<br />

sinusali. Aspergillus entra nelle cavità nasali per inalazione<br />

di spore dall’ambiente o veicolato da corpi estranei vegetali;<br />

se il numero di spore è molto elevato e se l’inalazione di<br />

questi elementi è continuato nel tempo, il fungo riesce a svilupparsi<br />

nei seni frontali oppure nelle porzioni più caudali<br />

dei turbinati etmoidali.<br />

Il fungo non invade la mucosa e resta in superficie producendo<br />

sostanze che causano distruzione dei tessuti mucosali<br />

ed ossei sottostanti; questo fatto, associato al tipo di risposta<br />

cellulo-mediata e ad alla apparente stato di immunocompetenza<br />

del soggetto colpito dalla malattia rende questa patologia<br />

sovrapponibile alla rinosinusite erosiva cronica non<br />

invasiva descritta anche in pazienti umani.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 105<br />

Quadro clinico<br />

Il sintomo più frequentemente evidenziato in corso di rinite<br />

aspergillare è lo scolo nasale profuso, monolaterale all’inizio<br />

della malattia ma che spesso diviene bilaterale per lisi<br />

del setto nasale o delle ossa frontali. Il materiale che fuoriesce<br />

spontaneamente o a seguito di starnuti è in genere catarrale-purulento,<br />

giallovedastro, denso e maleodorante. Non di<br />

rado si evidenziano strature ematiche o rinorragie profuse, in<br />

genere autolimitanti. Il cane in genere tenta di sottrarsi alla<br />

palpazione della superficie nasale e sinusale e raramente si<br />

possono avere lisi ossee e deformazioni evidenziabili dall’esterno.<br />

Il respiro è spesso rumoroso, a bocca aperta e l’espirato<br />

risulta maleodorante; non di rado si percepisce stertore<br />

inspiratorio. Un segno clinico fortemente indicativo anche se<br />

non patognomonico di infezione aspergillare è la presenza di<br />

ulcere ed erosioni del tartufo come conseguenza dal contatto<br />

prolungato con lo scolo nasale contenente una alta concentrazione<br />

di tossine micotiche. Nelle fasi più avanzate della<br />

malattia si notano anoressia ed abbattimento così come<br />

lacrimazione conseguente ad ostruzione del canale nasolacrimale<br />

e moderata linfoadenomegalia dei linfonodi zigomatici,<br />

sottomandibolari e cervicali.<br />

Diagnosi<br />

La diagnosi di Aspergillosi nasale può essere difficile da<br />

ottenere con certezza: molti tipi di indagine differenti possono<br />

essere utilizzati ma nessun test singolo è abbastanza<br />

accurato da risultare, da solo, sufficiente. Esamineremo di<br />

seguito i vari test diagnostici esaminando i pro ed i contro di<br />

ognuno di essi.<br />

Esame colturale: l’esame colturale da scolo nasale o da<br />

tampone nasale eseguito “alla cieca” non rappresenta una<br />

scelta valida perché sono segnalati falsi positivi, in animali<br />

sani o in animali con neoplasia nasale, fino al 40% degli<br />

individui testati. Allo stesso modo, animali con aspergillosi<br />

nasale possono risultare falsamente negativi all’esame colturale<br />

da scolo o tampone sia per la presenza di batteri di irruzione<br />

secondaria sia perché la colonia micotica è localizzata<br />

in profondità nei turbinati etmoidali o nei seni frontali e gli<br />

elementi fungini non raggiungono l‘esterno in numero adeguato<br />

per la coltura. L’esame colturale eseguito da biopsie<br />

sotto visione endoscopica diretta permette di isolare con certezza<br />

il tipo di fungo causa della patologia anche se non si<br />

conoscono differenze di terapia o prognosi fra specie diverse<br />

di Aspergillus o fra Aspergillus o Penicillium.<br />

Esame sierologico: sono state usate numerose metodiche<br />

per valutare i titoli anticorpali specifici nei confronti di<br />

Aspergillus sp. e fra questi ricordiamo la doppia diffusione<br />

in gel di agar (DDGA), l’immuno-elettroforesi (IE) ed il<br />

test ELISA; mentre le prime due metodiche risultano sensibili<br />

e specifiche, l’ELISA si è dimostrato molto meno affidabile.<br />

Un risultato negativo con DDGA deve comunque<br />

essere valutato in maniera critica in presenza di un quadro<br />

clinico, radiologico e rinoscopico di rinite aspergillare perché<br />

sono segnalate con relativa frequenza false negatività<br />

nelle fasi iniziali di malattia confermata istologicamente da<br />

biopsie nasali. In aggiunta, se l’agente eziologico è Penicil-<br />

lium sp. il test può risultare negativo nel caso che vengono<br />

ricercati anticorpi solo per Aspergillus sp. Altri autori riportano<br />

una percentuale di falsi positivi pari al 6% con questo<br />

test a pari al 15% con l’IE. In relazione a quanto fino a qui<br />

detto, i tests sierologici devono essere usati in associazione<br />

ad altre tecniche diagnostiche e valutati in maniera critica,<br />

alla luce di diagnostica per immagini, rinoscopia, citologia<br />

ed istologia.<br />

Diagnostica per immagini: l’esame radiografico rappresenta<br />

un utile test di screening se si sospetta una micosi<br />

nasale. Devono essere eseguite almeno tre proiezioni: laterolaterale,<br />

“a bocca aperta” e “sky line”; in particolare la proiezione<br />

a bocca aperta permette di paragonare le due cavità<br />

nasali e di evidenziare zone a maggiore radiotrasparenza,<br />

determinate dalla lisi dei turbinati endonasali mentre la<br />

proiezione “sky line” permette di esaminare i seni frontali ed<br />

identificare accumulo di materiale fluido al loro interno. Di<br />

sicuro, uno studio radiografico ben eseguito consente spesso<br />

di individuare lesioni riferibili (ma non patognomoniche) a<br />

micosi nasale ma che difficilmente si potranno evidenziare<br />

l’esatta diffusione della malattia e quadri di lisi ossea che<br />

possono dare ragione di insuccessi terapeutici o peggio di<br />

gravi complicazioni sempre derivanti dalla terapia per allagamento<br />

delle cavità nasali. L’esame TC permette di evidenziare<br />

l’integrità della lamina cribrosa dell’etmoide e questa<br />

valutazione risulta di particolare importanza quando la<br />

micosi coinvolge le porzioni più caudali delle cavità nasali<br />

per la possibile penetrazione del farmaco utilizzato nella<br />

terapia a livello di strutture del SNC.<br />

Rinoscopia: l’esame rinoscopico rappresenta una procedura<br />

fondamentale per la diagnosi di micosi nasale e deve<br />

essere eseguito con strumentazione adeguata, dopo avere<br />

eseguito le valutazioni diagnostiche o tomografiche; queste<br />

ultime, infatti, aiutano l’endoscopista nell’individuazione<br />

delle zone più significative da esaminare ed inoltre il sanguinamento<br />

dai siti di biopsia potrebbe alterare il quadro<br />

radiografico o TC. Lo strumento ideale per eseguire una<br />

rinoscopia anterograda è rappresentato da un’ottica rigida<br />

lunga e sottile: la più impiegata, poiché utilizzabile in una<br />

vasta gamma di pazienti è l’ottica di diametro 2,7 mm, lunghezza<br />

18 cm ed angolo di visione frontale di 30°. Questo<br />

endoscopio permette di eseguire una rinoscopia accurata sia<br />

nei gatti adulti che praticamente nei cani di tutte le taglie.<br />

L’aspetto endoscopico che viene evidenziato tipicamente<br />

nelle aspergillosi nasali è quello di una rarefazione anche<br />

notevolissima dei turbinati con presenza di ampi spazi<br />

all’interno della cavità nasale, spazi generalmente occupati<br />

da abbondante materiale viscoso giallo-verdastro a volte<br />

mescolato a sangue coagulato. Il materiale per l’esame citologico<br />

può essere raccolto sia tramite spazzolamento che<br />

per mezzo di pinza bioptica. In questo ultimo caso la biopsia<br />

viene allestita per schiacciamento, ovvero posta su un<br />

vetrino portaoggetto e schiacciata con forza da un secondo<br />

vetrino che viene direttamente staccato dal campione senza<br />

strisciarlo. Un recente studio ha dimostrato l’inefficacia, in<br />

presenza di aspergillosi nasale, dei campionamenti citologici<br />

eseguiti da striscio diretto dello scolo nasale e da tampone<br />

endonasale mentre ha evidenziato la significatività della<br />

raccolta tramite spazzolamento e schiacciamento da biopsia<br />

sotto visione endoscopica diretta.


106 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia: i campioni allestiti per schiacciamento o spazzolato<br />

vengono colorati con colorazioni rapide del tipo Romanowsky<br />

(May-Grunwald-Giemsa, Diff Quik ® ) ed esaminati al<br />

microscopio ottico: il quadro esaminato mostra invariabilmente<br />

una flogosi neutrofilica, con presenza di batteri fagocitati<br />

in numero variabile, ma generalmente elevato. I miceti si<br />

possono presentare come ammassi di materiale nero-verdastro,<br />

difficilmente interpretabili, circondati da cellule infiammatorie.<br />

In presenza di simili ammassi è necessario cercare<br />

con attenzione lungo i bordi per evidenziare magari solo singole<br />

ife che sporgono e possono aiutare nella diagnosi. Le ife<br />

di Aspergillus sp. e di Penicillium sp. hanno caratteristiche<br />

morfologiche comuni: si tratta di ife a pareti parallele, settate,<br />

larghe 4-6 micron che presentano ramificazioni a 45° (Fig.<br />

2a). L’affinità al colorante varia e si possono evidenziare ife<br />

intensamente basofile di colore blu, oppure di colore verde<br />

scuro o ancora si possono presentare come sagome non colorate<br />

circondate da detriti e neutrofili. A volte è possibile evidenziare<br />

anche spore che hanno l’aspetto di piccole sfere verdastre<br />

dal diametro di 1,5-2 micron mentre solo occasionalmente<br />

si repertano teste aspergillari che hanno caratteristiche<br />

morfologiche tipiche per ogni specie di Aspergillus e ne permettono<br />

l’identificazione precisa (Fig. 2b).<br />

L’enorme vantaggio dell’esame citologico risiede nella<br />

possibilità di potere formulare una diagnosi di micosi nasale<br />

mentre il paziente è ancora in anestesia e di permettere l’esecuzione<br />

della terapia nella medesima seduta anestesiologica.<br />

CONCLUSIONI: una diagnosi affidabile di micosi nasale<br />

deriva dall’associazione di almeno tre delle possibili procedure<br />

sopra descritte. Personalmente attribuisco molta importanza<br />

ad una diagnostica per immagine compatibile (preferibilmente<br />

TC) associata ad un quadro rinoscopico caratteristico<br />

e alla fondamentale evidenziazione del micete nell’esame<br />

citologico. Il tutto ovviamente supportato da un quadro<br />

clinico di scolo nasale cronico.<br />

Terapia<br />

Nel tempo, si sono elaborate numerose terapie per la micosi<br />

nasale nel cane; vedremo di seguito le varie possibilità terapeutiche<br />

descritte in letteratura sottolineando per ognuna di<br />

esse vantaggi e svantaggi.<br />

Terapia sistemica: in passato sono stati impiegati numerosi<br />

principi attivi per la terapia delle aspergillosi nasali ma i farmaci<br />

ritenuti più efficaci sono rappresentati da due derivati<br />

imidazolici di sintesi il fluconazolo e l’itraconazolo. Il Fluconazolo<br />

viene impiegato nel cane alla dose di 2.5-5 mg/kg per<br />

bocca ogni 12 ore per almeno 10 settimane mentre l’Itraconazolo<br />

può essere utilizzato anche nel gatto (gatto: 10 mg/kg per<br />

bocca ogni 24 ore per 10 settimane almeno e cane: 5 mg/kg<br />

per bocca ogni 12 ore per 10 settimane per 10 settimane).<br />

Questi farmaci hanno effetti collaterali che devono essere<br />

conosciuti; in particolare l’itraconazolo può causare lesioni<br />

epatiche (in alcuni lavori è riportata la sospensione della terapia<br />

in numero variabile dal 5 al 10% dei pazienti a causa di<br />

sintomi riferibili ad insufficienza epatica grave) per cui un<br />

frequente monitoraggio della funzionalità epatica risulta indispensabile<br />

durante la terapia con questo farmaco. Ancora, il<br />

costo di questi farmaci è considerevole e la terapia per un cane<br />

di trenta chili da prolungarsi per 3 mesi costa quasi 2000 euro.<br />

FIGURA 2a<br />

FIGURA 2b<br />

Figura 2 - a) ife settate di Aspergillus sp. b) teste aspergillari di Aspergillus<br />

fumigatus.<br />

Per l’itraconazolo è riportata una percentuale di guarigione<br />

del 60-70% nel cane e per il fluconazolo è riportata una guarigione<br />

nel 60% sempre nel cane.<br />

Terapia topica: è opinione universalmente accettata che<br />

le terapie topiche (cioè portando il farmaco direttamente a<br />

contatto con la mucosa nasale ed i miceti) siano più efficaci<br />

di quelle sistemiche. I farmaci che vengono impiegati nella<br />

terapia topica sono essenzialmente due, il Clotrimazolo e<br />

l’Enilconazolo.<br />

Enilconazolo: questo farmaco è stato il primo impiegato<br />

nella terapia topica del cane. Il farmaco viene introdotto<br />

attraverso cateteri inseriti chirurgicamente (trapanazione)<br />

nelle cavità nasali e/o nelle cavità sinusali, a seconda della<br />

diffusione della patologia alla dose di 10 mg/kg (il prodotto<br />

contiene 50mg/ml e viene diluito in soluzione fisiologica per<br />

renderlo più fluido in ragione di 1 parte di farmaco in 10 di<br />

NaCl) due volte al giorno per 10-15 giorni. Anche se l’efficacia<br />

della terapia è considerata buona (80%-90% dei casi<br />

trattati sono guariti con una somministrazione) si possono<br />

frequentemente verificare delle complicazioni la più frequente<br />

delle quali consiste nella rimozione prematura dei


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 107<br />

cateteri, cosa questa che richiede una ulteriore anestesia per<br />

il loro riposizionamento.<br />

Clotrimazolo: questo principio attivo rappresenta, attualmente,<br />

la terapia di scelta per l’aspergillosi nasale del cane.<br />

Il clotrimazolo è applicabile sia con cateteri inseriti chirurgicamente<br />

(analogamente a quanto gia descritto per l’enilconazolo)<br />

che attraverso allagamento atraumatico delle cavità<br />

rinosinusali con una tecnica recentemente descritta ed attualmente<br />

maggiormente impiegata della precedente.<br />

Il farmaco viene utilizzato in soluzione liquida all’1% (1<br />

grammo di clotrimazolo in 10 ml di glicole polietilenico) ed<br />

impiegato in quantità variabile da circa 30 a circa 60 ml a<br />

seconda della taglia del cane.<br />

Questa terapia ha efficacia in circa l’80% dei casi dopo<br />

una singola somministrazione e di circa 90% dopo una<br />

seconda applicazione di farmaco ed in genere la sintomatologia<br />

(scolo, epistassi e starnuti) si risolvono entro 2 settimane<br />

dalla somministrazione. Un controllo endoscopico a<br />

distanza di 3-4 settimane dalla terapia è fortemente consigliabile<br />

per evidenziare una eventuale ricrescita micotica ed<br />

eseguire una ulteriore applicazione di farmaco prima della<br />

ricomparsa dei sintomi. Alla terapia antimicotica è opportuno<br />

associare una terapia antibiotica ad ampio spettro, per 2<br />

settimane, a causa della concomitante infezione batterica<br />

che costantemente si associa alla micosi nasale.<br />

CRIPTOCOCCOSI<br />

Agente eziologico<br />

Cryptococcus è un micete lievitiforme capsulato particolarmente<br />

diffuso nei terreni contaminati da feci di piccione (var.<br />

neoformans) o da foglie di eucalipto marcescenti (var. gattii). Il<br />

genere Cryptococcus include 37 specie ma di queste solamente<br />

una C. neoformans è patogena per gli animali e per l’uomo.<br />

Come gia accennato esistono due varietà (var. neoformans e var.<br />

gattii) anche se recentemente è stata proposta la creazione di<br />

una terza varietà (var. grubii) sulla base di studi molecolari relativi<br />

alle caratteristiche di membrana del fungo. Questi miceti si<br />

riproducono generalmente asessualmente tramite blastoconidi<br />

ovvero gemmazioni che nel Cryptococcus hanno classicamente<br />

forma a goccia poiché a base stretta (Fig. 3).<br />

A volte, specialmente in terreni colturali, le gemmazioni<br />

si possono ritrovare in serie e formare strutture pseudo-ifali.<br />

Un’altra caratteristica tipica di questo agente eziologico è la<br />

capsula mucopolisaccaridica che tipicamente non si colora<br />

con i coloranti di Romanowsky e che si presenta come un<br />

aloe chiaro attorno al corpo del fungo (Fig. 4).<br />

Figura 3 - Gemmazione a goccia.<br />

Figura 4 - Morfologia di Cryptococcus sp.<br />

La patogenicità di C. neoformans è causata, come in A.<br />

fumigatus, dalla sua termoresistenza a 37° che ne permette<br />

la replicazione all’interno dell’organismo, specialmente in<br />

quelle zone dove la temperatura corporea è generalmente più<br />

bassa (cavità nasali) e dalle caratteristiche della sua capsula.<br />

Patogenesi<br />

Questa micosi rappresenta la patologia fungina nasale più<br />

frequente nel gatto mentre è segnalata solo sporadicamente<br />

in questa sede nel cane.<br />

Il fungo entra nell’organismo generalmente per via inalatoria<br />

grazie alle dimensioni estremamente ridotte che assume<br />

quando si trova nell’ambiente esterno a causa della disidratazione<br />

della capsula. Dalle cavità nasali il micete si diffonde sia<br />

per contiguità (SNC dal naso) che con l’aria inspirata (polmoni)<br />

che, ancora, per via ematica (reni, cute, etc). Questa patologia<br />

rappresenta, in medicina umana, una frequente e spesso<br />

mortale complicazione nei pazienti malati di AIDS ed una<br />

immunodeficienza sottostante è stata ipotizzata come fattore<br />

predisponente nel gatto. Tuttavia la prevalenza di individui<br />

FIV+ e FeLV+ nella popolazione di animali affetti da Criptococcosi<br />

non è superiore a quella di una popolazione di gatti<br />

non colpiti dalla patologia fungina anche se lo stato di sieropositività<br />

per FIV e FeLV si è visto influenzare in maniera<br />

negativa l’esito della terapia con itraconazolo. Questi funghi<br />

producono proteasi e lipasi di vari tipi che sono ritenute<br />

responsabili delle lisi ossee e tissutali che spesso si evidenziano<br />

nelle cavità nasali dei gatti con questa patologia. L’età sembra<br />

ininfluente nell’evoluzione della patologia mentre in uno<br />

studio risultano più colpiti gatti maschi e di razza siamese; nel<br />

cane, al contrario, sembrano maggiormente predisposti animali<br />

giovani adulti di razza alano e pinscher.<br />

Quadro clinico<br />

I sintomi dell’infezione nasale (segnalata in oltre 80% dei<br />

gatti con criptococcosi) non sono differenti da quelli gia<br />

descritti per Aspergillus sp.: starnuti ad accessi e scolo


108 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Figura 5 - Macrofago con Cryptococcus intracitoplasmatico.<br />

nasale uni- o bilaterale di tipo mucoso e muco-purulento<br />

che non risponde alle terapie antibiotiche empiriche; a questo<br />

può seguire anoressia, disidratazione e dimagrimento.<br />

Se è presente anche una lesione a livello rinofaringeo assieme<br />

ai sintomi sopra descritti si può avere respiro stertoroso<br />

e deglutizioni a vuoto. Nel cane la localizzazione nasale è<br />

occasionale mentre più frequenti risultano le localizzazioni<br />

a occhi e SNC.<br />

Diagnosi<br />

L’esame citologico dello scolo nasale, da aspirato di lesioni<br />

cutanee, umor acqueo e liquido cefalorachidiano rappresenta<br />

un metodo rapido ed efficace per individuare il Cryptococcus.<br />

Nonostante numerose colorazioni (Inchiostro di<br />

China, Nuovo blu di Metilene) siano state impiegate per evidenziare<br />

questo agente eziologico, le comuni colorazioni di<br />

Romanowsky (Wright, Diff Quik ® , etc,) risultano tutte adeguate.<br />

Al microscopio ottico il Cryptococcus appare come<br />

struttura rotonda dal diametro variabile da 3 a 8 µ con presenza<br />

di una capsula che non si colora e che ha diametro<br />

variabile da un sottile alone fino ad uno spessore maggiore<br />

del diametro della cellula stessa. Come gia ricordato la gemmazione<br />

è generalmente singola ed a base stretta e questi<br />

miceti inducono una flogosi prevalentemente granulomatosa,<br />

con presenza di macrofagi che spesso mostrano miceti<br />

intracitoplasmatici (Fig. 5).<br />

L’esame colturale può essere eseguito su comuni terreni<br />

come Agar-Sabouraud a 37° e mostra la crescita di colonie<br />

dall’aspetto liscio, mucoide, lucido e brillante di colore bianco<br />

sporco; l’esame colturale da solo non è sufficiente a confermare<br />

l’infezione perché questo micete è stato isolato<br />

anche da lavaggi nasali di animali sani.<br />

I quadri radiografici del cranio mostrano in genere<br />

aumento di radiodensità nelle cavità nasali riferibili ad accumulo<br />

di fluido o presenza di neoformazione ma sono descritti<br />

quadri con lisi di turbinati ed erosione delle ossa nasali che<br />

possono simulare una neoplasia maligna.<br />

Particolare importanza assume il test di agglutinazione su<br />

lattice per l’antigene capsulare (Serum Latex Cryptococcal<br />

Antigen Agglutination Test – LCAT) che può essere eseguito<br />

su siero, urine o LCR. Si tratta di un test molto sensibile<br />

e specifico e, ad alti titoli anticorpali corrispondono quadri<br />

più gravi di malattia anche se titoli anticorpali alti non indicano<br />

scarsa risposta alla terapia. Un titolo uguale o maggiore<br />

di 1:1 deve essere considerato positivo.<br />

Terapia<br />

Fra i vari antimicotici impiegati nella terapia della criptoccosi<br />

il fluconazolo e l’itraconazolo sono stati impiegati<br />

con successo nel gatto. Il fluconazolo è attualmente considerato<br />

come farmaco di scelta e viene impiegato alla dose di<br />

50 mg/kg po bid per un periodo variabile da 3 a 6 mesi.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Davide De Lorenzi<br />

E-mail: davide.delorenzi@fastwebnet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 109<br />

Metodologia clinica in omeopatia veterinaria<br />

Omeopatia ed immunologia<br />

Franco Del Francia<br />

Med Vet, Cortona (AR)<br />

SOMMARIO<br />

Sono evidenziati gli effetti generali di una corretta metodologia<br />

omeopatica veterinaria: effetto placebo zero-effetto<br />

residuo od accumulo zero-effetto impatto ambientale zero.<br />

Sono inoltre evidenziate le corrette caratteristiche per l’insegnamento<br />

e la formazione del Veterinario omeopata. In<br />

riferimento all’applicazione clinico-terapeutica le specie<br />

animali interessate sono considerate in due gruppi: specie<br />

animali più vicine all’uomo e specie animali che producono<br />

derrate alimentari. Infine è affrontato il problema dell’immunologia<br />

sotto il punto di vista omeopatico e delle recenti<br />

ricerche fisiologiche.<br />

Parole chiave<br />

Omeopatia veterinaria effetto placebo zero effetto residuo<br />

zero effetto impatto ambientale zero didattica omeopatica<br />

immunologia omeopatica.<br />

Per percepire l’omeopatia riteniamo che sia necessario<br />

acquisire una “forma mentale” che vada aldilà delle consuete<br />

nozioni di medicina e farmacologia, considerando queste<br />

come punto di partenza e non di arrivo. È fuori dubbio che<br />

qualsiasi “conoscenza” debba passare attraverso metodologie<br />

che constano di due momenti: prima il momento analitico<br />

e poi quello analogico o sintetico in una fase successiva.<br />

Questo è un metodo valido sia per lo studio dell’uomo che<br />

per quello degli animali. La Medicina ufficiale si ferma però<br />

al primo momento, con metodi analitici estremamente sofisticati<br />

e con tecniche avanzatissime. Ma in tal maniera si<br />

trova di fronte a “fenomeni acausali” (probabilistici) che la<br />

disorientano, in quanto viene perso di vista il punto di partenza-arrivo,<br />

cioè l’individuo di qualsiasi specie e l’ambiente<br />

che lo circonda.<br />

Siamo convinti, attraverso i due canali dell’esperienza clinico-terapeutica<br />

omeopatica e l’insegnamento ai Veterinari,<br />

che il settore dalla Patologia animale richieda delle differenziazioni<br />

soprattutto a livello della “tecnica omeopatica”.<br />

Esistono infatti delle esigenze applicative “in Campo” che<br />

sono molto differenziate a seconda delle specie animali in<br />

osservazione, spesso anche a seconda delle distinte popolazioni<br />

o razze nella stessa specie, a seconda quindi delle<br />

caratteristiche specifiche a livello anatomo-fisiologico, patologico<br />

e così via. Dobbiamo inoltre considerare con particolare<br />

attenzione le diversità di “condizioni ambientali” (micro<br />

e macro ambiente, alimentazione, prestazioni di lavoro<br />

richieste, etc. etc.). Molte altre “variabili” dovrebbero essere<br />

elencate, superando però i limiti della presente relazione, ma<br />

nel loro complesso queste obbligano il Veterinario omeopata<br />

ad applicare tecniche differenti caso per caso.<br />

Ci riteniamo obbligati a sottolineare alcuni preconcetti fissi<br />

che si riferiscono agli “ effetti generali” che ci dobbiamo<br />

attendere con la corretta applicazione della metodologia<br />

omeopatica in Patologia animale: effetti che sono stati ripetutamente<br />

sottoposti “a verifica”, con test universalmente riconosciuti,<br />

quindi da considerarsi obbiettivi in linea assoluta:<br />

1) effetto placebo zero, del tutto in stretta analogia con<br />

quello ottenutodalla Pediatria umana e spesso con tecniche<br />

simili. Riteniamo del tutto poco probabile e non verificabile,<br />

ovviamente, un tale effetto di auto suggestione terapeutica in<br />

patologia animale, in specie a livello di allevamenti intensivi.<br />

2) effetto residuale e d’accumulo zero, nei prodotti di origine<br />

animale (carne, latte, uova, miele, etc etec) che derivano<br />

da soggetti trattati omeopaticamente e destinati all’alimentazione<br />

umana, Occorre fermamente segnalare che a tutt’oggi<br />

questo risultato rappresenta un traguardo “ideale”, ancora<br />

irragiungibile e potremmo affermare addirittura “impossibile”<br />

per la metodologia ufficiale, a causa dei fenomeni di residuo<br />

e d’accumulo delle attuali molecole o principi attivi, tutti<br />

di sintesi chimica, applicati in patologia animale. Sono state<br />

segnalate e comprovate indiscutibilmente, problematiche<br />

patologiche “striscianti” (subcliniche) a livello dello stato di<br />

salute dei consumatori sia umani che animali.<br />

3) effetto impatto ambientale zero, che deriva dall’accumulo<br />

nell’ambiente di “residui non metabolizzati o parzialmente<br />

metabolizzati di molecole farmacologiche o principi<br />

attivi con cui sono trattati gli animali per lunghi periodi del<br />

loro ciclo biologico e spesso per l’intero ciclo. Queste<br />

molecole pervengono a livello ambientale attraverso i secreti<br />

e gli escreti degli animali, entrano nel ciclo naturale (suolo-acqua-piante)<br />

e provocano alla lunga effetti documentati,<br />

diretti ed indiretti, del tipo: alterazione o selezione della flora<br />

microbica ed animale del terreno, alterazione o selezione<br />

dei cicli biologici delle piante, possibilità di effetto rebaund;<br />

cioè di ritorno agli animali attraverso i foraggi inquinati.<br />

Pertanto, una volta stabilito che l’Omeopatia rappresenta<br />

l’unica metodologia medica dell’Occidente che è possibile<br />

applicare anche su grandi gruppi di popolazioni animali, con<br />

risultati alla pari e spesso superiori alle metodiche ufficiali,<br />

resta assolutamente dimostrato, con presupposti sueposti,<br />

che essa è anche l’unica metodologia ecologica e non inquinante<br />

in patologia animale.<br />

Seguendo quella che è la regola in campo scientifico, riteniamo<br />

che si debba focalizzare correttamente il problema e<br />

ricercare dei “presupposti fissi” per la discussione e/o criti-


110 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ca. Pensiamo quindi che siano due i fattori o presupposti primari<br />

ed essenziali:<br />

a) il fattore umano, cioè il terapeuta omeopata veterinario,<br />

in una parola colui che dovrà applicare il metodo: evidentemente<br />

dovremo esaminare la sua corretta preparazione,<br />

esperienza e cultura.<br />

b) il fattore animale, quello pertanto che dovrà ricevere i<br />

benefici di una corretta applicazione della metodologia<br />

omeopatica e che fa parte integrante del circolo della natura:<br />

ambiente-animale-uomo.<br />

Riferendosi al Fattore umano del metodo Omeopatico,<br />

secondo il nostro punto di vista l’insegnamento formativo<br />

dev’essere “differenziato” per i veterinari a causa delle<br />

ragioni prima indicate, anche perché le documentazioni iconografiche<br />

e gli esempi clinici debbono fare riferimento a<br />

casi di patologia individuale o di gruppo, ma sempre di Patologia<br />

animale.<br />

Inoltre perché i docenti, essendo essi stessi Veterinari e con<br />

la medesima formazione culturale, debbono promuovere una<br />

“crescita intellettuale” degli Allievi con discussioni, precisazioni<br />

e/o e critiche, ma sempre nel settore specifico. La scuola<br />

Superiore di Omeopatia Veterinaria di Cortona, applica da<br />

tempo questo metodo, con risultati stimolanti e soddisfacenti.<br />

Pertanto siamo assolutamente contrari alle così dette Scuole<br />

omeopatiche “miste” (medici-veterinari-farmacisti), ma<br />

soprattutto deprechiamo fermamente quelle scuole ove non<br />

s’insegnano correttamente le basi teoriche dell’Omeopatia e<br />

ad acquisire quellla particolare forma mentale medica; oppure<br />

s’insegnano principi omeopatici considerati superficialmente,<br />

oppure “manipolati” ad arte “pro domo sua”! Dobbiamo<br />

dire che purtroppo di queste scuole o scuolette ve ne<br />

sono alcune anche per Veterinari, programmate da “illustri ed<br />

improvvisati sconosciuti”, sorte per chissà quali reconditi<br />

scopi evidentemente personali, con presupposti solo “consumistici”<br />

e con un’ibrida formazione allopato-omeopatica.<br />

Questi fatti incresciosi recano solo danno all’Omeopatia;<br />

però nel contempo e non a caso, quando si è trattato di avere<br />

maggiori informazioni per problematiche CEE, il Ministero<br />

della Sanità si è rivolto soltanto all’AIVO e Scuola di Cortona,<br />

per avere profili di correttezza e sicurezza. In sintesi quindi<br />

noi stimoliamo una formazione corretta, un’informazione<br />

corretta ed un’aggiornamento permanente attraverso i gruppi<br />

di studio sparsi dal Nord al Sud Italia; organizziamo incontri,<br />

dibattiti e pubblicazioni; e tutto questo compito quanto mai<br />

gravoso è stato assunto dall’AIVO e dal suo “braccio secolare”,<br />

la Scuola Superiore di Cortona.<br />

Riferendosi invece al fattore animale del problema, nella<br />

prospettiva clinico-pratica dobbiamo considerare le specie<br />

animali, sotto la nostra osservazione, divise in due grandi<br />

gruppi, ognuno dei quali con caratteristiche differenti e particolari:<br />

1) Specie animali molto vicine al ciclo biologico umano,<br />

e ci riferiamo evidentemente agli animali da compagnia (i<br />

così detti “pets” anglosassoni, cioè cani, gatti, animali d’appartamento,<br />

etc etc), ai quali vorremmo aggiungere gli equini<br />

da competizione o sportivi in generale, in quanto si pos-<br />

sono evidenziare marcati legami emotivo-affettivi fra l’uomo<br />

e quest’ultimi oltreché grossi interessi economici. D’altra<br />

parte è a conoscenza generale che queste specie animali<br />

si sono rivelate importanti per la specie umana anche per i<br />

noti “effetti di stimolo o di recupero psichico” in particolari<br />

individui con problematiche psicopatologiche o cerebrolesi.<br />

Queste specie vivono vicino all’uomo, in stretto contatto con<br />

esso e, spesso in intima convivenza, dividono con lui il “bello<br />

ed il cattivo tempo”. In una parola presentano patologie,<br />

anche solo a livello psicologico, analoghe a quelle della specie<br />

umana. In conformità ai concetti classici omeopatici,<br />

secondo cui la malattia è un’alterazioni dinamica dell’energia<br />

vitale individuale, l’atteggiamento del veterinario omeopata<br />

dev’essere diretto alla diagnosi e prescrizione per gli<br />

individui ammalati ed alla diagnosi e prescrizione per gli<br />

individui in stato di salute, quindi agli effetti della prevenzione<br />

o profilassi omeopatica. In queste specie animali,<br />

quindi, la metodologia è analoga a quella medica umana,<br />

con la differenza che le notizie anamnestiche sono raccolte<br />

da persone più vicino all’animale (analogicamente alla<br />

pediatria umana) ed attraverso la visita clinica. Per quanto<br />

riguarda i vari “livelli” di omeopatia applicati, unicismo-pluralismo-complessismo,<br />

nella Scuola di Cortona ci riferiamo<br />

soparttutto alla metodologia classica hahnemanniana in terapia,<br />

prevenzione, eugenetica, etc etc;Però, nell’insegnamento,<br />

facciamo riferimento altresì alle altre tendenze omeoterapeutiche,<br />

sottoponendole a revisione e critica e lasciando<br />

completamente liberi gli allievi di scegliere le metodologie<br />

che maggiormente li convincono a livello personale.<br />

2) Specie animali destinate a scopi zooeconomici, alla<br />

produzione cioè di proteine d’origine animale per l’alimentazione<br />

umana. In questo gruppo facciamo riferimento ai<br />

bovini da carne e da latte, ai suini, agli ovicaprini, alle specie<br />

avicunicole, etc. etc. Queste specie animali, abbandonato<br />

o quasi l’allevamento familiare in piccoli gruppi per esigenze<br />

zooeconomiche, sono allevate prevalentemente in<br />

grandi gruppi, con particolari caratteristiche d’organizzazione,<br />

programmazione e gestione. Le patologie infettivo-contagiose<br />

(di solito a carattere “ciclico” o periodico nella situazione<br />

precedente), sono quasi del tutto scomparse o molto<br />

contenute, mediante interventi immunizzanti “a ripetizione”<br />

e trattamenti biochimico farmacologici costanti. Questa<br />

situazione sanitaria ha dato luogo, secondo noi per logica<br />

conseguenza nel tempo, a nuove e particolari “patologie<br />

emergenti” denominate “tecnopatie di allevamento”, con termine<br />

estremamente eufemistico. Esse presentano in generale<br />

un “substrato dismetabolico e di immunodepressione” ed<br />

interessano apparati ed organi importanti per l’economia<br />

organica. In una parola e per esperienza diretta, siamo convinti<br />

che gli interventi immunologici ed i trattamenti farmacologici<br />

di sintesi, abbiano “creato” nel tempo una “soppressione<br />

in stato di salute” e che il sistema ha reagito in<br />

ulteriore “disritmia” più profonda, venendo meno le resistenze<br />

a livello più periferico. Durante esperienze dirette su<br />

allevamenti suini, abbiamo eliminato le metodi che ufficiali<br />

di cui sopra, sostituendole con metodologie omeopatiche e<br />

con risultati soddisfacenti.<br />

La metodica omeopatica clinica in queste situazioni particolari<br />

verte sui seguenti punti:


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 111<br />

a) risoluzione in tempi brevi delle fasi acute, quelle che<br />

determinano perdite rilevanti (morbilità e mortalità) negli<br />

allevamenti di massa. Questo tipo d’intervento può essere<br />

applicato con le seguenti tecniche:<br />

- individualizzazione di un”rimedio simillimum” quando<br />

siano presenti sufficienti sintomi in valore e numero,<br />

come abbiamo già ottenuto in grandi allevamenti industriali<br />

di suini-conigli-polli; considerando “per convenzione<br />

mentale”, il gruppo come “un unico individuo” (medesima<br />

specie, razza, sesso, specializzazione, etc. etc.).<br />

- utilizzazione di complessi omeopatici, con prevalenza di<br />

organotropismo tissulare, quando i sintomi siano insufficienti<br />

in valore e numero e l’urgenza degli interventi è<br />

assolutamente inderogabile come per es. nel caso di<br />

patologie di massa negli allevamenti di polli(perdite dal<br />

30% al 40% nelle prime 24 ore).<br />

Tutte e due le tecniche si sono rivelate ottimali, non inquinanti<br />

e prive d’effetti residuali o d’impatto ambientale. La<br />

via di somministrazione più pratica è quella attraverso il circolo<br />

idrico (acqua di bevanda) con i rimedi omeopatici in<br />

soluzione idroalcoolica; oppure anche la via respiratoria con<br />

nebulizzazione nell’ambiente mediante apparecchiature<br />

aeresol.<br />

b) individualizzazione di un rimedio “simillimum di specie”,<br />

quando avremo maggior tempo e minore urgenza, con<br />

sintomatologia di “gerarchia superiore”, come nel caso di<br />

patologie subacute o croniche, anche in questi casi di patologie<br />

tecnologiche di massa. Questa tecnica è stata da noi<br />

applicata in patologie della specie avicunicola, della specie<br />

suina, bovina (latte, carne), ovicaprina. Questo tipo di “tecnica<br />

omeopatica” è realmente possibile ed è basato sul<br />

seguente principio generale: l’individuo non rappresenta<br />

“nulla” nell’universo, ma anche cento, mille o centomila<br />

individui non sono ancora “nulla” (Jacob “la logica del<br />

vivente”). Le specie animali sono esseri perenni, antichi e<br />

permanenti quanto la natura stessa; una specie animale può<br />

essere considerata come “un tutto indipendente”, un “tutto”<br />

che nel grande lavoro della creazione rappresenta un “unico<br />

individuo”, replicato per così dire all’infinito, e che di conseguenza<br />

costituisce “una unica e sola unità naturale” (cit.<br />

Lombardozzi “Il farmaco dell’inconscio”). È evidente però<br />

che ogni specie animale è caratterizzata dalla sua specificità<br />

morfologica, di funzione e di significato. Applicando un<br />

“simillimum di specie” ed una “rosa” molto ristretta (quattro<br />

– cinque rimedi al massimo) di “similari” molto vicini,<br />

abbiamo ottenuto successi significativi e ripetitivi sia agli<br />

effetti della terapia che della prevenzione in qualsiasi problema<br />

patologico delle specie animali che per ora abbiamo<br />

sotto osservazione. A nostro avviso, niente vieta di pensare<br />

che la stessa tecnica sia applicabile anche in tutte le specie<br />

animali allevate con le stesse caratteristiche e nei più differenti<br />

ecosistemi. Da sottolineare inoltre che secondo noi<br />

questa metodologia risulta una “conferma” in linea assoluta<br />

e relativa della Dottrina e Teoria di Hahnemann, se mai ve ne<br />

fosse stata necessità.<br />

c) Per quanto riguarda uno degli “scopi precipui della<br />

metodologia omeopatica veterinaria, quello cioè di ottenere<br />

alimenti d’origine animale indenni in linea assoluta da<br />

problemi residuali o d’accumulo ed evitare effetti d’impatto<br />

sull’ambiente attraverso i secreti e gli escreti degli animali<br />

trattati, abbiamo la certezza obbiettiva del raggiungimento di<br />

tali traguardi attraverso due osservazioni; l’uso di dosi infinitesimali,<br />

ben lontane da quelle ponderali dei principi attivi<br />

ufficiali ed i test di laboratorio, sempre e comunque negativi,<br />

usati per evidenziare detti effetti.<br />

d) In proposito a queste osservazioni, sentiamo la necessità<br />

di segnalare e sottolineare l’alto valore a livello preventivo<br />

e la notevole importanza socio-sanitario-economica per<br />

l’uomo che deriva da un’applicazione corretta e guidata della<br />

metodologia omeopatica veterinaria.<br />

Vorremmo completare questa nostra esposizione su un<br />

aspetto importantissimo della Patologia animale e su cui<br />

“insiste” parecchio la Medicina ufficiale, l’aspetto dell’immunità<br />

o prevenzione.<br />

La medicina ufficiale usa moltissimo gli interventi immunologici<br />

anche in veterinaria, con vaccinazioni ripetute e<br />

multiformi, spesso rese obbligatorie da leggi sanitarie. Essa<br />

riconosce distinti “effetti secondari” delle immunizzazioni<br />

(passive ed attive), ma li definisce “irrisori in percentuale”<br />

rispetto ai vantaggi. Si riferisce evidentemente alle “sindromi<br />

post-immunizzanti clinicamente manifeste”ma non tiene<br />

conto affatto delle problematiche” a lungo termine” perché<br />

non si considera la stretta relazione causa-effetto e le probabilità<br />

patologiche, “acausali” o probabilistiche, da queste<br />

derivanti. L’Omeopatia invece non è favorevole agli interventi<br />

immunizzanti in Patologia animale, perché si ritiene in<br />

grado di offrire valide alternative senza creare problemi<br />

secondari (per es. proteine eterologhe introdotte per via<br />

parenterale). Prima di affrontare il problema immunologico<br />

dal punto di vista “tecnica omeopatica”, riteniamo necessarie<br />

alcune puntualizzazioni derivate dai recenti studi immunologici.<br />

Recentemente si è evidenziato che i linfociti ed i<br />

macrofagi scambiano “informazioni” fra loro, il sistema nervoso<br />

locale, il sistema nervoso centrale ed il sistema limbico<br />

(del conscio e dell’inconscio). La comunicazione e/o informazione<br />

avviene attraverso i neurotrasmettitori già conosciuti<br />

(acetilcolina, amine, biogene, ecc.) ed anche attraverso<br />

sostanze peptidiche di recente scoperta denominate “neuropeptidi”<br />

(per es. la sostanza P ed un’altra sessantina); questi<br />

sono correlati ai fenomeni emozionali e sono in grado<br />

contemporaneamente di agire su aspetti fisici ed emozionali<br />

dell’individuo. Torniamo in poche parole ad un concetto<br />

“vitalistico ed olistico” dell’individuo, un ritorno progressivo<br />

e graduale che sempre più si rivela una “conferma” delle<br />

geniali intuizioni di Hahnemann. I neuropeptidi esercitano la<br />

loro attività mediante recettori cellulari; tali recettori si possono<br />

ritrovare nel SNC, nel sistema immunitario ed in molti<br />

organi. Essi sono identici per lo stesso neuropeptide indipendentemente<br />

dall’organo che lo contiene. Agiscono “frenando<br />

od accelerando” una determinata attività e ciò è legato<br />

alla “quantità” liberata, quindi uno stesso neuropeptide<br />

funge da acceleratore od inibitore. L’informazione non<br />

segue sempre e comunque il decorso dei nervi; la velocità di<br />

trasmissione supera di molto quella di conduzione nervosa.<br />

La loro secrezione è direttamente influenzata dallo stato<br />

emozionale dell’individuo. La concentrazione massima di


112 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

recettori neuropeptidici si può osservare a livello delle strutture<br />

del sistema limbico. La risposta della cellula in seguito<br />

al ricevimento dell’informazione dipende dalla quantità di<br />

neuropeptide secreto, cioè dalla dose: questa si situa fra 10-<br />

6 e 10-12 M, quindi siamo a livello delle potenze omeopatiche<br />

classiche. In conclusione i neuropeptidi sembrano aprire<br />

una strada molto promettente alla ricerca; la loro azione<br />

“ovunque presente” ci riporta alla “concezione totale” dell’individuo,<br />

olistica e vitalistica sostenuta dall’Omeopatia.<br />

Con queste premesse riferiamo delle “valide alternative”<br />

che offre l’Omeopatia anche in tema di prevenzione in Patologia<br />

animale.<br />

a) immunizzazione omeopatica col “rimedio simillimum”individuale<br />

(nelle specie animali della I° sezione più<br />

vicine all’uomo). Dobbiamo precisare che questa tecnica<br />

non immunizzerà nel senso letterale e tecnico della parola.<br />

Il rimedio solleciterà piuttosto l’organismo ad esteriorizzare<br />

determinate “componenti tossiche” derivanti dalla disritmia<br />

energetica. Si comporterà quindi come una “valvola di<br />

sicurezza” con una corretta direzione centrifuga, allo scopo<br />

di preservare organi e funzioni indispensabili al sistema.<br />

Quindi nei soggetti così trattati, noteremo fugaci e benigni<br />

episodi morbosi, sempre nella periferia dell’organismo<br />

(pelle-mucose-emuntori, etc etc). Queste sindromi in fase<br />

acuta sono egregiamente controllabili con sostanze omeopatiche,<br />

che serviranno ad accelerare e pilotare le suddette<br />

“crisi esonerative”.<br />

b) Immunizzazione omeopatica col “rimedio simillimum<br />

di specie (nelle specie animali della II° sezione che producono<br />

alimenti per l’uomo). Riteniamo validi i “dati obbiettivi”<br />

riscontrati ripetutamente dalla casistica clinica personale<br />

e di altri Colleghi. Abbiamo “esperienze dirette” soprattutto<br />

sulla specie cunicola, suina, equina, bovina ed ovicaprina di<br />

alcuni anni. I soggetti trattati col simillimum di specie si<br />

sono trovati spesso “a contatto” con individui della stessa<br />

specie in cui erano “in atto” (clinicamente manifeste) sindromi<br />

riferibili ad eziologia virale estremamente contagiose<br />

secondo la Medicina ufficiale. La maggior parte dei soggetti<br />

“omeopatizzati” non ha presentato sindromi simili e solo<br />

una piccola parte una forma benigna e rapida, senza complicazioni.<br />

Riteniamo che questo settore così importante della<br />

Patologia, meriti una serie di “osservazioni” su larga scala,<br />

con riflessi non solo per gli animali ma anche in Palogia<br />

comparata per l’uomo.<br />

c) Immunizzazione omeopatica con Nosodi ed Isoterapici,<br />

come è a conoscenza comune in Omeopatia i Nosodi<br />

(Hering) sono bioterapici con “analogia eziologica” e provengono<br />

da culture, substrati o soggetti ammalati di una data<br />

sindrome e non trattati con presidi farmacologici. Gli Isoterapici<br />

(Lux-Collet) corrispondono a bioterapici con “analogia<br />

d’identità” (Aequalia aequalibus curentur) e provengono da<br />

“prodotti morbosi”, come feci-urine-sangue-essudati, etc etc)<br />

di un soggetto ammalato. Tutti e due i bioterapici derivano<br />

quindi da materiale con elementi tossinici, virali o microbici;<br />

vengono pertanto presi in considerazione gli “effetti primitivi”<br />

organico-tissulari provocati dagli agenti morbosi. Sono<br />

anche stati definiti come: “farmaci bioterapici che compren-<br />

dono allo stesso tempo il germe, la tipologia e l’intera immagine<br />

della malattia di un individuo; di conseguenza quindi<br />

contengono tutti gli elementi che costituiscono tutte le idiosincrasie<br />

ed i vizi umorali “dell’individuo stesso” (Max<br />

Tetau). In sintesi questi bioterapici hanno dato ripetutamente<br />

prova di agire a livello del reticolo-endotelio mettendo in<br />

moto i meccanismi dell’immunità (Chavanon-Nebel-Vannier-Lamassone-Bordet),<br />

senza gli effetti secondari dei presidi<br />

immunologici ufficiali. Anche in Patologia animale questi<br />

bioterapici sono serviti egregiamente in situazioni gravi con<br />

successo (Mac Leod – Del Francia – Brizioli).<br />

Per concludere ed allo stato attuale delle conoscenze ed<br />

esperienze omeopatiche nel settore della Patologia animale,<br />

possiamo segnalare quanto segue:<br />

1) la metodologia omeopatica veterinaria è l’unica che<br />

può ottenere “effetti generali” in positivo in Patologia animali<br />

(effetto placebo zero-effetto residuale o d’accumulo<br />

zero-effetto impatto ambientale zero), con evidenti e rimarchevoli<br />

ripercussioni sulla salute dei consumatori dei prodotti<br />

d’origine animale e del sistema ecologico.<br />

2) La metodologia omeopatica veterinaria, per raggiungere<br />

questi obbiettivi e risultati clinico-terapeutici positivi, ha<br />

necessità di tecnici correttamente e culturalmente preparati.<br />

È auspicabile quindi una maggiore omogeneità nell’insegnamento<br />

omeopatico, con programmi approfonditi ed esercitazioni<br />

cliniche in campo.<br />

3) La metodologia omeopatica veterinaria può affrontare<br />

correttamente il problema della prevenzione o profilassi delle<br />

malattie, concentrando gli sforzi della ricerca nei riguardi<br />

di “simillimum” di specie,con evidenti ed obbiettivi vantaggi,<br />

in generale, ed in particolare, per le specie animali sulle<br />

quali è applicata questa tecnica e per l’uomo che si nutre dei<br />

prodotti d’origine animale.<br />

4) La metodologia omeopatica veterinaria non respinge<br />

gli obbiettivi della Medicina ufficiale, ma li ridimensiona e<br />

fornisce spiegazioni più razionali, in linea ed a conferma<br />

delle moderne ricerche fisiologiche.<br />

L’omeopatia moderna deve riconoscere i propri errori ed i<br />

propri limiti, dovuti in maggioranza a non corrette conoscenze<br />

ed interpretazioni della Dottrina, della Teoria e della<br />

Tecnica omeopatica. Nel contempo essa deve valorizzare<br />

tutto quanto di corretto e comprovato le due discipline mediche<br />

riassumono. Per entrambe questa ci sembra un’opera<br />

preziosa, di umiltà, di buona volontà ed in sintesi di mentalità<br />

più aperta e “priva di pregiudizi”.<br />

Il Veterinario omeopatico ha la medesima formazione culturale<br />

dei Colleghi della Medicina ufficiale, ma in più si è<br />

sobbarcato il gravoso onere di un’opera di studio continuo,<br />

d’esperienze clinico-terapeutiche e di aggiornamento che in<br />

pratica dura tutta la vita. Il suo lavoro, olttre che apportare<br />

evidenti ed obbiettivi benefici alle specie animali con problemi<br />

patologici, rende possibile e concreta un’alimentazione<br />

umana con derrate indenni da residui o prodotti chimici<br />

non metabolizzati e pertanto egli svolge un’opera altamente<br />

importante a livello sociale, sanitario ed ecologico.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 113<br />

Bibliografia<br />

ALLEN H.C., Keynotes and caracteristics, <strong>19</strong>78, Ed. Thorson Ltd., GB.<br />

AUBRY-BARDOULAT, Manuel ‘Homeopathie veterinarie, <strong>19</strong>56, Ed. Bailleère,<br />

FR.<br />

BEUCCI B. Trattato di Terapia omeopatica,<strong>19</strong>79 Ed. Siderea, Roma.<br />

BINET C., L’Homeopatie pratique, <strong>19</strong>72, Ed. Dangles, Paris.<br />

BOERICKE W., Materia Medica with Reprtory, Ed. Boericke, USA, <strong>19</strong>27.<br />

BOERICKE W.M., Compendio principi di Omeopatia, ed. Scuola Superiore<br />

InternazionaleOmeopatia Vetrinaria, Cortona, AR, <strong>19</strong>95.<br />

CLARKE J.H., Dictionary of pratical Mat. Med., Ed. Jaim Plb, ND.<br />

CLARKE J.H., The prescriber, <strong>19</strong>72, Ed Health Sc. Press., GB.<br />

CONTE R. BERLIOCCHI H. - LASNE Y. - VERNOT G. “Teoria delle alte<br />

diluizioni ed aspettisperimentali” - Ed. Polytecnica - Paris - <strong>19</strong>96.<br />

DAY C., The homoepathic treatment of small animals, Ed. Daniel C., <strong>19</strong>90,<br />

GB.<br />

DEL FRANCIA F., Trattato di Omeopatia Veterinaria, <strong>19</strong>79 Ed. Siderea, Roma.<br />

DEL FRANCIA F., Omeopatia Veterinaria, <strong>19</strong>79 Ed. Red/Studio redaz., Como,<br />

<strong>19</strong>90.<br />

DEL FRANCIA F., Riflessioni di Omeopatia in Veterinaria, Ed. Scuola SuperioreInternazionale<br />

di Omeopatia Veterinaria <strong>19</strong>97 Cortona, Arezzo.<br />

DEL FRANCIA F., Comportamento del cavallo ed Omeopatia, Ed. Scuola<br />

SuperioreInternazionale Omeopatia Veterinaria, 2001, Cortona (AR).<br />

BOERIKE W.M., Compendio principi di Omeopatia, Ed. Scuola Super. Internaz.<br />

OmeopatiaVeterinaria <strong>19</strong>95 Cortona (AR).<br />

DEL FRANCIA F., BRIZZOLI N., Indagine sul trattamento omeopatico in<br />

allevamentiavicoli intensivi, <strong>19</strong>91 Riv. Avicultura, Edagricole, n 10.<br />

DEL FRANCIA F. SCIARRI M., Malattia emorragica virale dde coniglio e della<br />

lepre, Riv.Coniglicoltura, <strong>19</strong>90, Edagricole.<br />

DEL FRANCIA F., l’Omeopatia in Veterinaria, Centro “La franchi” Firenze,<br />

<strong>19</strong>82.<br />

DEL FRANCIA F., L’altra medicina, Rivista Scienza Veter., Milano, <strong>19</strong>85.<br />

DEL FRANCIA F., L’omeopatia nelle malattie degli ovi-caprini, 8 articoli, dal<br />

n 12al n<strong>19</strong>, Rivista Terra Biodinamica, Milano, <strong>19</strong>85-85.<br />

DEL FRANCIA F., Eugenetica omeopatica in Veterinaria, Progr Vet., <strong>19</strong>82.<br />

DEL FRANCIA F., Omeopatia e patologia animale, Riv. Empedocle, <strong>19</strong>84.<br />

DEL FRANCIA F., OMeopèatia e Veterinaria, Rivista Natom, Milano, <strong>19</strong>87.<br />

DEL FRANCIA, CASINI, BOSI, Studio sull’effetto del rimedio omeopatico<br />

Caulophyllumsulle scrofe nell’ultimop periodo di gravidanza, Riv. Suinicultura,<br />

Edagricole, n 10, <strong>19</strong>90.<br />

DUPRAT H., Materia Medica Omeopatica, Ed. Palombi, Roma.<br />

GENGOUX P., Manuel d’Homeopathie Veterinarie, Ed. Maloine, <strong>19</strong>79, Paris.<br />

GIBSON, MILLER’S R., Relation ship of remedies, Ed. Abeda Press, London.<br />

GUNTHER F.A., Manuale di Medicina Veterinaria Omeopatica, Ed Panbianchi<br />

1865.<br />

HAHNEMANN S.C.F., Omeopatia, (Organon), VI ed., <strong>19</strong>77, Ed. Edium, Milano.<br />

HAHNEMANN S.C.F., Malattie Cronich, <strong>19</strong>80, Ed. Edium, Milano.<br />

BOERIKE W., Materia Medica with Repertory, Ed. Boericke, USA, <strong>19</strong>27.<br />

GRANDGEORGE D., Spirito del rimedio omeopatico, Ed. Prposte nuove,<br />

Torino, <strong>19</strong>96.<br />

KENT J.T., Lezioni di Omeopatia, Ed. Edium, Milano, <strong>19</strong>78.<br />

KENT J.T., Repertory, Ed. Sett Day, Calcutta, <strong>19</strong>74.<br />

KENT J.T., Materia Medica Omeopatica, Ed. Red/Studio Redaz. Como<br />

<strong>19</strong>8336-HUNTER F., Before the Vet calls, Thorsons Ltd., GB, <strong>19</strong>84.<br />

MACLEOD G., The treatment of horses by homeopathy, Healt Sc. Press, GB,<br />

<strong>19</strong>79.<br />

MACLEOD G., The treatment of cattle by homeopathy, Healt Sc. Press, GB,<br />

<strong>19</strong>81.<br />

MACLEOD G., veterinary Materia with repertory, eEd. Daniel G., GB, <strong>19</strong>83.<br />

QUENTIN P., Guide d’Hoeopathie, Ed. Doin, <strong>19</strong>82.<br />

ROBERTS H.A., OMeopatia: principi ed arte del curare, EdMediterranee,<br />

roma.<br />

ROGER E., Precis d’Homeopathie, Ed. Doin, Paris, <strong>19</strong>78.<br />

ROSENBERG V., Pocket book of Veterinary, Ed. Medical Practoce, ND, <strong>19</strong>89.<br />

RUFFORD E.H., The manual of homeopathic medicine, Ed. B. Tain Plb, ND,<br />

<strong>19</strong>78.<br />

SCHMIDT P., Quaderni d’Omeopatia, 1-2-3-4-5, Ed. Edium, Milano.<br />

SHEPPARD K., The treatment of Dogs By homeopathy, Health, Sc Press, Gb.<br />

SHEPPARD K., The treatment of Cats By homeopathy, Health, Sc Press, Gb.<br />

TETAU M., Homeopathie, Ed. maloine, <strong>19</strong>78, Paris.<br />

TETAU M., Materie medicale Homeopathique clinique, Ed., Maloine, <strong>19</strong>79,<br />

Paris.<br />

VANNIER L., L’omeopatia nelle malattie acute, <strong>19</strong>76, Ed. Palombi, Roma.<br />

VITOULKAS G., Essenze Psicopatologiche del rimedio omeopatico, Ed.PropostenuoveMirdad,<br />

Torino, <strong>19</strong>97.


114 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Utilizzo dei feromoni di appagamento<br />

del cane in spray (D.A.P.): applicazioni pratiche<br />

Franco Fassola<br />

Med Vet, Asti<br />

ATTI NON PERVENUTI<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Fassola Franco<br />

Amb.: C.so Torino 88 ASTI<br />

Abit.: C.so XXV Aprile 90 ASTI<br />

Tel.: 0141/<strong>21</strong>2652 - 3482668173<br />

E-mail: fassola@veterinario.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 115<br />

Approccio alle deviazioni degli arti<br />

nei cani in accrescimento<br />

Antonio Ferretti<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Legnano (MI)<br />

Le cause di deformità nel cane in crescita possono dipendere<br />

da disordini metabolici o da traumi che interessino le<br />

cartilagini di accrescimento. 2,4,5 Il segmento più frequentemente<br />

interessato è il radio-ulna.<br />

Nel caso del radio curvo, l’arresto della crescita dell’ulna,<br />

per trauma o per ritenzione cartilaginea produce una trazione<br />

sul radio distale determinandone l’incurvamento. Tale<br />

deformità, nel cane a fine sviluppo, deve essere trattata con<br />

Figura 1 - Posizionamento della cambra.<br />

Figura 2 - Chow chow 3 mesi, varismo dis-<br />

tale del radio.<br />

osteotomia e correzione chirurgica. 1,2 Nel cane in crescita,<br />

invece, se la deformità non ha raggiunto un grado eccessivo,<br />

può essere trattata mediante epifisiodesi temporanea, sfruttando<br />

la spinta di crescita della cartilagine di accrescimento. 4<br />

In generale l’epifisiodesi è attuabile entro la fine del 5°<br />

mese, inizio del 6°. Già a metà del sesto mese la crescita del<br />

radio distale è talmente rallentata o terminata da non consentire<br />

la correzione.<br />

Nel caso del radio curvo in fase iniziale, la deformità<br />

è rappresentata da un lieve valgismo e procurvato.<br />

Si applica una cambra metallica (può essere<br />

realizzata piegando a U un kirschner di dimensione<br />

e calibro adeguati) a cavallo della cartilagine di<br />

accrescimento che viene individuata con l’inserimento<br />

di un ago da siringa <strong>21</strong>g ed un controllo<br />

radiografico: questo permette di inserire correttamente<br />

la cambra avendo l’ago come repere (Fig. 1).<br />

La cambra è applicata in posizione mediale o anteromediale<br />

a seconda che debba correggere solo un<br />

valgismo oppure anche un procurvato.<br />

A B C<br />

D<br />

Figura 3 - Meticcio pastore del Caucaso, 4 mesi: A- preoperatoria B- epifisiodesi temporanea con vite C- controllo a 30 gg (rimozione) D- controllo a 90 gg.


116 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Applicata la cambra si procede alla ostectomia di almeno<br />

due cm. di ulna, curando di rimuovere l’osso insieme al<br />

periostio per evitare una troppo rapida consolidazione dell’ulna,<br />

soprattutto se il paziente è lontano dalla fine crescita.<br />

In questo caso potrebbe ripresentarsi la deformità. Nel focolaio<br />

di ostectomia ulnare è possibile inserire un innesto adiposo<br />

per ostacolare la consolidazione precoce.<br />

La correzione, che può avvenire in 10-25 giorni a seconda<br />

della gravità, deve essere monitorata radiograficamente<br />

con cadenza settimanale ed a fine correzione anche più ravvicinata,<br />

per poter stabilire quale sia il momento della rimozione<br />

della cambra e per evitare una ipercorrezione.<br />

Quanto esposto si riferisce al radio curvo, essendo la patologia<br />

più frequente, ma vengono trattate altre deformità,<br />

come il varismo del radio distale (Fig. 2) ed altri segmenti,<br />

quali la tibia distale, la tibia prossimale per la correzione di<br />

deformità sul piano frontale (valgismo, varismo) o sul piano<br />

laterale (inclinazione plateau tibiale Fig. 3) e più raramente<br />

il femore distale.<br />

Bibliografia<br />

1. Marcellin-Little DJ, Ferretti A, Roe SC, DeYoung DJ. Hinged Ilizarov<br />

external fixation for correction of antebrachial deformities. Veterinary<br />

Surgery, <strong>19</strong>98; 27:231-245.<br />

2. Piermattei DL, Flo GL, (<strong>19</strong>97), Handbook of small animal orthopedics<br />

and fracture repair. 3rd ed, W.B. Saunders Company, Philadelphia,<br />

686-712.<br />

3. Pous JG, Dimeglio A, Baldet P, Bonnel F. (<strong>19</strong>87), Cartilagine di coniugazione<br />

e accrescimento. Edizioni Libreria Cortina, Verona.<br />

4. Denny HR, Butterworth SJ, (2000), A guide to canine and feline<br />

orthopaedic surgery. 4th ed. Blackwell Sciece Ltd, Oxford, 399-400.<br />

5. Morgan JP, Wind A, Davidson AP, (2000) Hereditary bone and joint<br />

diseases in the dog. Schlutersche GmbH & Co, Hannover, 95-107.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Antonio Ferretti<br />

Clinica Ortopedica Veterinaria<br />

Via Maestri del Lavoro 29 - 20025 Legnano (Mi)<br />

Tel. 0331 466842 - Fax 0331 464442 - antonio.ferretti@fastwebnet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 117<br />

L’alimentazione nel post-operatorio:<br />

il digiuno è necessario?<br />

Luca Formaggini<br />

Med Vet, Dormelletto (NO)<br />

Nonostante sia acquisizione comune che una adeguata alimentazione<br />

sia necessaria per il mantenimento dello stato di<br />

salute, per decenni la medicina ha accettato il digiuno in<br />

pazienti traumatizzati, settici o reduci da interventi chirurgici.<br />

Questa pratica (cattiva pratica) non solo non trova nessun<br />

fondamento nella moderna scienza medica, ma è stata dimostrata<br />

essere una delle cause di malnutrizione proteico-calorica<br />

presente ancora oggi nei pazienti ospedalizzati sia in<br />

medicina umana che in medicina veterinaria. A questo proposito<br />

è necessario prevedere l’instaurarsi di stati di malnutrizione<br />

prendendo in considerazione:<br />

- la malnutrizione si instaura nel paziente malato dopo 3-5<br />

giorni di digiuno<br />

- danni subiti (traumi facciali, incapacità di prensione, masticazione,<br />

deglutizione);<br />

- dolore;<br />

- eccessiva perdita proteica (drenaggi peritoneali, ferite aperte<br />

o essudanti);<br />

- stati di anoressia da meno di 3 giorni (animali piccoli hanno<br />

un metabolismo accelerato);<br />

- esami di laboratorio (indicazione relative date da diminuzione<br />

di albumine, linfociti, capacità totale di legame del<br />

Fe, aumento dell’attività della CK).<br />

- METABOLISMO DEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS<br />

(trauma/chirugia/sepsi)<br />

Il concetto di stress (= sforzo, tensione) è stato introdotto<br />

in Medicina dal canadese Hans Selye al fine di esprimere il<br />

conflitto tra uno stimolo aggressivo (es. trauma, chirurgia,<br />

sepsi, dolore) e la risposta dell’organismo. Nella risposta<br />

allo stress, il metabolismo del paziente si modifica in modo<br />

radicale, rispetto a quanto si verifica in caso di digiuno semplice.<br />

Al contrario di quanto succede in quest’ultimo caso, la<br />

risposta allo stress NON è finalizzata al risparmio energetico<br />

e alla conservazione delle scorte, bensì ha come necessità<br />

prioritaria quella di compensare l’aumento delle richieste<br />

metaboliche derivanti dal trauma/chirurgia.<br />

La risposta dell’organismo ad uno stimolo stressante viene<br />

tipicamente suddivisa in 3 fasi o periodi:<br />

1. Fase di riflusso o di declino (in inglese ebb): immediatamente<br />

successiva al trauma, caratterizzata da una depressione<br />

di tutte le attività vitali (metabolismo, temperatura,<br />

portata cardiaca). Viene associata allo stato di shock.<br />

2. Fase di flusso (in inglese flow): è caratterizzata da una<br />

esaltazione di tutte le attività vitali, dall’aumento delle<br />

richieste energetiche basali e da uno spiccato catabolismo<br />

proteico (fase catabolica). In questa fase si rende necessario<br />

a volte l’intervento nutrizionale.<br />

3. Infine, nella fase di guarigione si assiste ad un adattamento<br />

dell’organismo che riprende un corretto utilizzo dei<br />

substrati energetici (come nel digiuno semplice) e ripristina<br />

le riserve organiche (fase anabolica).<br />

La reazione al trauma innesca diverse situazioni riconducibili<br />

schematicamente a due alterazioni:<br />

a. Alterazioni endocrine (Tab. 1)<br />

b. Alterazioni metaboliche (Tab. 2)<br />

L’adattamento allo stress è mediato fondamentalmente da<br />

ipofisi e surrene e si manifesta con aumentata liberazione di<br />

ormoni ad azione catabolica (es catecolamine). Adrenalina e<br />

noradrenalina stimolano a loro volta il rilascio di corticosteroidi<br />

e di glucagone al fine di mobilizzare substrati ossidabili<br />

(zuccheri) in risposta alle aumentate richieste energetiche.<br />

A questa situazione di aumentata richiesta energetica si accompagna<br />

però ad uno stato simil-diabetico con iperglicemia.<br />

Questa è determinata da un aumento del rilascio di glucosio<br />

da parte del fegato (catecolamine) e da una insulino-resistenza<br />

che provoca una ridotta utilizzazione del glucosio a livello<br />

muscolare (intolleranza al glucosio nello stato di stresss).<br />

La glicemia elevata induce una ulteriore secrezione di insulina<br />

da parte del pancreas. L’iper-insulinemia da un lato non<br />

Tabella 1<br />

ALTERAZIONI ENDOCRINE<br />

NEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS<br />

Aumentata screzione di ormoni catabolici<br />

- Catecolamine (adrenalina e noradrenalina)<br />

- Ormone adrenocorticotropo (ACTH) e crticosteroidi<br />

(cortisolo e aldosterone)<br />

- GH<br />

- Glucagone<br />

- TSH<br />

- ADH<br />

Tabella 2<br />

ALTERAZIONI METABOLICHE<br />

NEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS<br />

- Aumentate richieste energetiche<br />

- Insulino-resistenza e intolleranza muscolare al glucosio<br />

- Proteolisi e neoglucogenesi da aminoacidi e altri substrati


118 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

riesce a superare la resistenza del tessuto muscolare, dall’altro<br />

agisce normalmente sul tessuto adiposo riducendo la lipolisi<br />

e di conseguenza la disponibilità di acidi grassi e corpi<br />

chetonici come fonti di energia alternativa. Questo si riflette<br />

sul bisogno di energia del tessuto muscolare, che, venendo a<br />

mancare l’utilizzo del glucosio (insulino resistenza) e venedo<br />

a mancare la fonte lipidica (mancata lipogenesi per iperinsulinemia)<br />

si trova costretto a mobilizzare l’unica fonte di energia<br />

utilizzabile: le proteine e cioè se stesso.<br />

Il catabolismo proteico risulta peraltro indispensabile nella<br />

fase di risposta allo stress in quanto la miscela di aminoacidi<br />

liberata in seguito alla proteolisi muscolare viene trasportata al<br />

fegato e utilizzata per la sintesi delle proteine della fase acuta<br />

(immunoglobuline, ormoni, fibrinogeno etc etc) e per la neoglucogenesi.<br />

In questo modo si viene a creare un circolo vizioso<br />

nel quale la demolizione proteica supera la capacità di sintesi<br />

dell’organismo. Il risultato netto di tutta questa situazione è<br />

un aumento del fabbisogno energetico basale ed un aumento<br />

dell’escrezione di urea urinaria (bilancio azotato negativo).<br />

La durata e la gravità della fase acuta catabolica è in funzione<br />

di una serie di variabili:<br />

- Tipo di trauma<br />

- Gravità del trauma<br />

- Associazione a dolore e shock<br />

- Complicanze settiche<br />

- Condizioni precedenti del paziente (stato nutrizionale e<br />

malattie metaboliche)<br />

- Tipo di intervento terapeutico e nutrizionale sul paziente<br />

Se l’intestino funziona, usalo!!<br />

L’intervento nutrizionale si propone di:<br />

- Ridurre il deficit energetico muscolare<br />

- Diminuire le perdite azotate<br />

- Sostenere la sintesi proteica<br />

- Reintegrare (nella fase di guarigione) la massa corporea<br />

magra<br />

- Controllare l’equilibrio idro-elettrolitico<br />

Riassumendo, nell’ipermetabolismo le richieste metaboliche<br />

a riposo sono aumentate, il Quoziente Respiratorio è<br />

elevato (0,8-0,9 contro lo 0,6-0,7 nel digiuno semplice) a<br />

dimostrazione che i substrati utilizzati dall’organismo sono<br />

misti e non solo rappresentati dai grassi; i corpi chetonici<br />

sono assenti mentre sono particolarmente attivi tutti i processi<br />

catabolici e di sintesi; sono presenti elevate perdite<br />

azotate; elevato è anche il consumo di ossigeno. Dal punto<br />

di vista clinico, il paziente ipermetabolico si presenta con<br />

febbre, tachipnoico (per eliminare l’anidride carbonica<br />

prodotta in gran quantità), tachicardico, inotropismo elevato,<br />

basse resistenze vascolari periferiche (esaltazione del<br />

trasporto dell’ossigeno).<br />

Sono presenti anche leucocitosi, iperlattacidemia, iperazotemia<br />

e elevata escrezione urinaria dell’azoto. Caratterizzati<br />

da questa descrizione possono essere, tra gli altri,<br />

tutti i pazienti sottoposti ad interventi chirurgici di una certa<br />

entità, i pazienti traumatizzati, quelli affetti da Sindrome<br />

da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS) e quelli colpiti<br />

da Disfunzione Organica Multipla (MOD).<br />

La malnutrizione è importante perché può essere una<br />

causa indiretta di morte. Casi di malnutrizione estrema<br />

vengono rilevati di solito in pazienti oncologici, ma esiste<br />

anche una malnutrizione sub-clinica, quella che ad esempio<br />

è in grado di complicare un’altra malattia, o quella che<br />

può instaurarsi repentinamente in un paziente traumatizzato<br />

o settico o chirurgico grave, cioè quella presente in tutti<br />

quei soggetti ipermetabolici.<br />

“È importante nutrire<br />

sia il piccolo intestino che il paziente”<br />

Le sequele della malnutrizione sono rappresentate da:<br />

- Ipoproteinemia ed edemi tissutali<br />

- Ipovolemia e diminuzione della perfusione tissutale<br />

- Ritardo di cicatrizzazine di ferite e ritardo nella formazione<br />

del callo osseo<br />

- Aumento del rischio di infezioni sistemiche<br />

- Insufficienza respiratoria ed edema polmonare<br />

Tutto questo determina come conseguenze una ospedalizzazione<br />

più lunga (aumento dei costi), un aumento della<br />

morbilità e della mortalità e una convalescenza più lunga.<br />

L’intervento nutrizionale si propone primariamente di<br />

nutrire il catabolismo limitando così i danni provocati dalla<br />

risposta neuroendocrina e catabolica allo stress e solo in un<br />

secondo tempo (fase di guarigione) di reintegrare le riserve<br />

energetiche e proteiche consumate a seguito di un digiuno<br />

protratto e spesse volte ingiustificato.<br />

Numerosi studi condotti in medicina umana hanno dimostrato<br />

che l’alimentazione precoce (entro 24-48 ore dall’accettazione)<br />

riduce il rischio di sepsi; peraltro, è indispensabile<br />

correggere le alterazioni emodinamiche e idroelettrolitiche<br />

prima di iniziare l’intervento nutrizionale. È fuori<br />

dubbio l’importanza che riveste l’integrità del tratto<br />

gastroenterico in pazienti traumatizzati, non solo per l’assorbimento<br />

dei nutrienti ma anche come barriera nei confronti<br />

dei batteri intestinali e dalle loro tossine. Batteri e tossine<br />

a seguito del mancato trofismo della mucosa intestinale<br />

possono traslocare innescando così una SIRS. La nutrizione<br />

enterale (NE) promuove la crescita degli enterociti,<br />

migliora la produzione enzimatica e la funzione immunitaria<br />

intestinale e mantiene la barriera mucosale. Di conseguenza<br />

la NE è sempre da preferire alla nutrizione parenterale<br />

(NP). In alcuni rari casi, tuttavia, viene raccomandata la<br />

NP: pazienti che vomitano oppure pazienti con stato del<br />

sensorio depresso (trauma cranico) per cui incapaci di proteggere<br />

le proprie vie aeree. In questi pazienti, peraltro, esiste<br />

la possibilità di intraprendere una nutrizione di tipo<br />

enterale utilizzando sonde naso-digiunali o digiunostomiche,<br />

riducendo in questo modo il rischio legato al vomito. In<br />

conclusione, il paziente colpito da trauma/chirurgia/ sepsi,<br />

non solo non beneficia in alcun modo dal digiuno, ma oltretutto<br />

necessita di un adeguato apporto sia qualitativo che<br />

quantitativo in nutrienti semplici o complessi. Ogniqualvolta<br />

sia possibile la nutrizione enterale è da preferire a quella<br />

parenterale. Ciò non toglie che possano essere utilizzate<br />

entrambe contemporaneamente.<br />

Bibliografia disponibile presso l’Autore<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Luca Formaggini - Clinica Veterinaria “Lago <strong>Maggio</strong>re”<br />

C.so Cavour, 3 - 28040 Dormelletto (NO) Italia<br />

Tel. +39 0322243716, Fax +39 0322232756 - E-mail info@cvlm.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 1<strong>19</strong><br />

L’ictus nei piccoli animali: mito o realtà?<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham Gobion, UK<br />

ICTUS (O ACCIDENTE CEREBROVASCOLARE)<br />

Si definisce col termine di malattia cerebrovascolare qualsiasi<br />

anomalia dell’encefalo che derivi da un processo patologico<br />

capace di comprometterne l’apporto ematico. I processi<br />

patologici che possono esitare in un’affezione cerebrovascolare<br />

sono rappresentati da (1) occlusione del lume ad<br />

opera di trombi o emboli, (2) rottura della parete di vasi sanguigni,<br />

(3) lesioni o alterazioni della permeabilità della parete<br />

dei vasi e (4) aumento della viscosità o altre modificazioni<br />

della qualità del sangue. L’ictus o accidente cerebrovascolare<br />

(CVA) costituisce la presentazione clinica più comune della<br />

malattia cerebrovascolare e si definisce come l’insorgenza<br />

improvvisa di segni encefalici focali e non progressivi secondari<br />

a malattia cerebrovascolare. Per convenzione, questi<br />

segni devono continuare per più di 24 ore per confermare la<br />

diagnosi di ictus, che di solito è associata ad un danno permanente<br />

dell’encefalo. Se i segni clinici si risolvono entro le<br />

24 ore, l’episodio viene detto attacco ischemico transitorio.<br />

Da un punto di vista patologico, le lesioni che colpiscono i<br />

vasi sanguigni cerebrali vengono distinte in due ampie categorie:<br />

(1) ischemia con o senza infarto secondario a ostruzione<br />

dei vasi sanguigni e (2) emorragia causata dalla rottura<br />

della parete dei vasi stessi.<br />

Ictus ischemico<br />

Disponendo di limitate riserve, l’encefalo si basa sull’apporto<br />

permanente di glucosio ed ossigeno per mantenere la<br />

funzione di pompa ionica. Quando la pressione di perfusione<br />

cade a livelli critici, si sviluppa un’ischemia che, se persiste<br />

abbastanza a lungo, progredisce fino all’infarto. Un infarto è<br />

un’area di compromissione del parenchima cerebrale dovuta<br />

ad un’occlusione focale di uno o più vasi sanguigni. Può<br />

essere dovuta ad un’ostruzione vascolare che si sviluppa<br />

all’interno di vasi occlusi (trombosi), oppure ad un materiale<br />

ostruttivo che origina da un altro letto vascolare e procede<br />

sino all’encefalo (tromboembolismo). A seconda delle<br />

dimensioni del vaso colpito, gli infarti si possono osservare<br />

come conseguenza di malattie di vasi piccoli (infarto lacunare)<br />

o grandi (infarto territoriale). A differenza di quanto<br />

avviene nel nucleo centrale, il cosiddetto core, dove l’ischemia<br />

è grave e l’infarto si sviluppa rapidamente, le aree circostanti<br />

(dette penombra) mostrano una riduzione più moderata<br />

della perfusione ematica cerebrale e possono tollerare<br />

stress ischemici di maggiore durata. Nella penombra, i neuroni<br />

sono ancora vitali, ma esposti al rischio di venire danneggiati<br />

irreversibilmente. La penombra si modifica man<br />

mano che l’infarto evolve. Il tessuto della penombra è poten-<br />

zialmente in grado di recuperare e, quindi, rappresenta il bersaglio<br />

degli interventi terapeutici nell’ictus ischemico acuto.<br />

I fattori che causano l’evoluzione della penombra verso il<br />

danno irreversibile sono molteplici e complessi. La finestra<br />

temporale durante la quale la penombra non è più vitale<br />

dipende dal grado di riduzione del flusso ematico e dalla<br />

regione di encefalo colpita. Gli ictus ischemici sono stati<br />

descritti con scarsa frequenza nella letteratura medica veterinaria<br />

rispetto a quanto avviene in medicina umana. Fatta<br />

eccezione per le recenti segnalazioni di Garosi et al. (2005),<br />

la maggior parte è stata basata sui risultati post-mortem in<br />

cani venuti a morte o soppressi eutanasicamente a causa della<br />

gravità dell’ictus ischemico e/o della sua sospetta causa<br />

sottostante. È possibile che ciò abbia influito sulla prevalenza<br />

e sul tipo delle eziologie primarie ed è probabile che solo<br />

i cani colpiti più gravemente e quelli in cui l’infarto si è verificato<br />

secondariamente a una malattia dalla prognosi sfavorevole<br />

siano venuti a morte o siano stati soppressi. Le sospette<br />

cause sottostanti identificate nei casi confermati istopatologicamente<br />

sono: tromboemboli settici, aterosclerosi associata<br />

ad ipotiroidismo primario, parassiti migranti o emboli parassitari<br />

(Dirofilaria immitis), emboli di cellule tumorali metastatiche,<br />

linfoma intravascolare ed embolo fibrocartilagineo.<br />

In una recente indagine multicentrica su vasta scala basata sul<br />

sospetto clinico e fondata sulla risonanza magnetica dell’ictus<br />

ischemico, l’esistenza di una concomitante condizione<br />

medica è stata identificata in poco più del 50% dei cani con<br />

infarti cerebrali e nella maggior parte dei casi sono stati<br />

riscontrati nefropatia cronica ed iperadrenocorticismo. L’ipertensione<br />

è stata documentata nel 30% dei cani. La nefropatia<br />

cronica e l’iperadrenocorticismo erano la causa sottostante<br />

più comunemente sospettata per questa ipertensione.<br />

Ictus emorragico<br />

Nell’ictus emorragico, il sangue passa dai vasi direttamente<br />

nell’encefalo, formando un ematoma nel parenchima<br />

cerebrale o nello spazio subaracnoideo. La massa di sangue<br />

coagulato provoca la distruzione fisica del tessuto e la compressione<br />

dell’encefalo circostante. Ciò altera le relazioni<br />

volumetriche/pressorie del SNC, con un possibile aumento<br />

della pressione intracranica ed una diminuzione della perfusione<br />

cerebrale. In contrasto con l’elevata incidenza riscontrata<br />

nell’uomo, le emorragie intracerebrali derivanti da rottura<br />

spontanea di vasi nel cane sono considerate rare. In questa<br />

specie animale è stata descritta un’emorragia secondaria<br />

associata a varie cause, come la rottura di anomalie vascolari<br />

congenite, le emorragie nei tumori encefalici primitivi e<br />

secondari, le malattie infiammatorie delle arterie o delle vene


120 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

o il linfoma intravascolare, l’infarto cerebrale (infarto emorragico)<br />

o la compromissione della coagulazione. Nel cane è<br />

stata segnalata un’emorragia subaracnoidea non traumatica,<br />

che però rimane molto rara in confronto all’occorrenza che<br />

ha nell’uomo, dove la causa sottostante più comune è la rottura<br />

di un aneurisma.<br />

DIAGNOSI DI ICTUS<br />

In tutte le forme di ictus la caratteristica dominante è il<br />

profilo temporale degli eventi neurologici. Il disordine viene<br />

caratterizzato come vascolare in base alla subitaneità con cui<br />

si sviluppano i deficit neurologici. L’altro aspetto importante<br />

del profilo temporale è l’arresto e poi la regressione del<br />

deficit neurologico in tutti gli ictus, fatta eccezione per quelli<br />

fatali. L’aggravamento dell’edema (associato a fenomeni<br />

di danno secondario) può esitare nella progressione dei deficit<br />

neurologici per un breve periodo di 24-48 ore. L’emorragia<br />

può fare eccezione a questa descrizione e presentare<br />

un’insorgenza più progressiva nell’arco di un brevissimo<br />

periodo di tempo. I segni clinici di solito regrediscono dopo<br />

24-48 ore; questo fenomeno può venire attribuito alla diminuzione<br />

dell’effetto massa secondario all’emorragia e alla<br />

riorganizzazione o al riassorbimento dell’edema. I deficit<br />

neurologici dipendono dalla neurolocalizzazione dell’insulto<br />

vascolare (proencefalo o tronco encefalico). L’infarto di<br />

una singola regione cerebrale è associato a specifici segni<br />

clinici che riflettono la perdita di funzionalità di quella specifica<br />

regione. Nell’ictus emorragico, il quadro clinico totale<br />

è differente, dato che l’emorragia di solito coinvolge il territorio<br />

di più di un’arteria e gli effetti pressori di solito causano<br />

manifestazioni secondarie. I segni neurologici sono in<br />

larga misura correlati all’aumento della pressione intracranica,<br />

che dà origine a manifestazioni aspecifiche di interessamento<br />

del proencefalo o del tronco encefalico.<br />

Per confermare il sospetto di ictus, definire il territorio<br />

vascolare coinvolto e l’estensione della lesione e distinguere<br />

fra ictus ischemico ed emorragico è necessario ricorrere<br />

all’esame dell’encefalo mediante tecniche di diagnostica per<br />

immagini (tomografia computerizzata o risonanza magnetica).<br />

Bisogna anche escludere altre cause di deficit neurologici<br />

come i tumori e l’encefalite.<br />

I test diagnostici collaterali nell’ictus ischemico devono<br />

essere focalizzati sulla valutazione dell’animale per rilevare<br />

ipertensione (e la sua potenziale causa sottostante), malattie<br />

endocrine (iperadrenocorticismo, ipotiroidismo, ipertiroidismo,<br />

diabete mellito), nefropatia, cardiopatia e malattie metastatiche.<br />

In caso di ictus emorragico, i test diagnostici devono<br />

essere volti ad esaminare gli animali per evidenziare disordini<br />

della coagulazione (e potenziali cause sottostanti), ipertensione<br />

(e potenziale causa sottostanti) e malattie metastatiche.<br />

TRATTAMENTO E PROGNOSI DELL’ICTUS<br />

Una volta formulata la diagnosi di ictus, è necessario studiarne<br />

le cause sottostanti ed attuarne il trattamento di conseguenza.<br />

La maggior parte dei casi di ictus ischemico si<br />

riprende nell’arco di parecchie settimane semplicemente<br />

con la terapia di sostegno. In termini di neuroprotezione<br />

nella terapia dell’ictus, non ci sono prove che indichino che<br />

il trattamento con glucocorticoidi abbia un qualsiasi effetto<br />

benefico. La strategia terapeutica dell’ictus ischemico presa<br />

in considerazione nei pazienti umani con altri agenti neuroprotettori<br />

(antagonisti del recettore NMDA [N-metil-Daspartato],<br />

calcio-antagonisti, modulatori dei canali del<br />

sodio) o la terapia trombolitica resta da valutare nella clinica<br />

del cane. La gestione medica dei cani con emorragia<br />

intracerebrale prevede comunemente la stabilizzazione del<br />

paziente (protezione delle vie aeree e controllo dei segni<br />

vitali), la determinazione dello status neurologico, l’identificazione<br />

delle potenziali cause sottostanti dell’emorragia e<br />

la valutazione della necessità di misure terapeutiche specifiche<br />

come la gestione dell’aumento della pressione intracranica<br />

ed il trattamento dell’eventuale causa sottostante.<br />

L’evacuazione chirurgica dell’ematoma viene attuata principalmente<br />

nei cani con ematomi di volume elevato o in<br />

quelli in cui lo status neurologico si aggrava. La prognosi<br />

dell’ictus dipende principalmente dalla sua localizzazione<br />

neuroanatomica, dalla presenza di effetti patologici secondari<br />

(edema, emorragia, aumento della pressione intracranica<br />

ed ernia cerebrale) e specialmente dalla causa sottostante,<br />

se se ne identifica una. La maggior parte dei cani con<br />

ictus ischemico tende a riprendersi entro parecchie settimane<br />

semplicemente con la terapia di sostegno. Nelle casistiche<br />

segnalate da Garosi et al. (2005), la presenza di una<br />

condizione medica era un fattore significativo per l’occorrenza<br />

di un successivo infarto.<br />

Bibliografia<br />

Adams RD, Victor M (<strong>19</strong>97) Cerebrovascular diseases. In: Adams RD &<br />

Victor M eds. Principles of neurology. 6th ed. New York: McGraw-<br />

Hill Inc. pp 777-873.<br />

Graves MJ (<strong>19</strong>97). Magnetic resonance angiography. British Journal of<br />

Radiology 70, 6-28.<br />

Garosi LS, McConnell JF (2005) Brain infarct in dog and human: a comparative<br />

review. Journal of Small Animal Practice 46:5<strong>21</strong>-529.<br />

Garosi LS, McConnell JF, Platt SR, Baronne G, Baron JC, de Lahunta A,<br />

Schatzberg SJ (2005) Results of diagnostic investigations and longterm<br />

outcome of 33 dogs with brain infarction (2000-2004). Journal<br />

of Veterinary Internal Medicine<strong>19</strong>:729-731.<br />

Garosi LS, JF McConnell, SR Platt, G Baronne, JC Baron, A de Lahunta,<br />

SJ Schatzberg (2006) Clinical and topographical magnetic resonance<br />

characteristics of suspected brain infarctions in 40 dogs. Journal of<br />

Veterinary Internal Medicine (in press).<br />

Hakim AM (<strong>19</strong>98) Ischaemic penumbra: the therapeutic window. Neurology<br />

51, S44-46.<br />

Heiland S (2003) Diffusion- and perfusion-weighted MR imaging in acute<br />

stroke: principles, methods, and applications. Imaging Decisions in<br />

MRI 4, 13-25.<br />

Kalimo H, Kaste M, Haltia M (2002) Vascular diseases. In: Graham DI &<br />

Lantos PL eds. Greenfield’s neuropathology. 7th ed. London: Arnold.<br />

pp 233-280.<br />

McConnell JF, Garosi LS, Platt SR, Dennis R (2005) MRI findings of presumed<br />

cerebellar cerebrovascular accident in twelve dogs. Veterinary<br />

Radiology and Ultrasound 46, 1-10.<br />

Platt SR, Garosi L (2003) Canine cerebrovascular disease: do dogs have<br />

strokes? Journal of the American Animal Hospital Association 39,<br />

337-342.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laurent S. Garosi<br />

E-mail-Isg@vetspecialists.co.uk


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 1<strong>21</strong><br />

Diagnostica per immagini avanzata<br />

nei problemi vascolari intracranici<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham Gobion, UK<br />

Si definisce col termine di malattia cerebrovascolare qualsiasi<br />

anomalia dell’encefalo che derivi da un processo patologico<br />

capace di comprometterne l’apporto ematico. Da un<br />

punto di vista patologico, le lesioni che colpiscono i vasi<br />

sanguigni cerebrali vengono distinte in due ampie categorie:<br />

(1) ischemia con o senza infarto secondario a ostruzione dei<br />

vasi sanguigni e (2) emorragia causata dalla rottura della<br />

parete dei vasi stessi. Disponendo di limitate riserve, l’encefalo<br />

si basa sull’apporto permanente di glucosio ed ossigeno<br />

per mantenere la funzione di pompa ionica. Quando la pressione<br />

di perfusione cade a livelli critici, si sviluppa un’ischemia<br />

che, se persiste abbastanza a lungo, progredisce<br />

fino all’infarto.<br />

Un infarto è un’area di compromissione del parenchima<br />

cerebrale dovuta ad un’occlusione focale di uno o più vasi<br />

sanguigni. Può essere dovuta ad un’ostruzione vascolare che<br />

si sviluppa all’interno di vasi occlusi (trombosi), oppure ad<br />

un materiale ostruttivo che origina da un altro letto vascolare<br />

e procede sino all’encefalo (tromboembolismo). A seconda<br />

delle dimensioni del vaso colpito, gli infarti si possono<br />

osservare come conseguenza di malattie di vasi piccoli<br />

(infarto lacunare) o grandi (infarto territoriale). Nell’ictus<br />

emorragico, il sangue passa dai vasi direttamente nell’encefalo,<br />

formando un ematoma nel parenchima cerebrale o nello<br />

spazio subaracnoideo. La massa di sangue coagulato provoca<br />

la distruzione fisica del tessuto e la compressione dell’encefalo<br />

circostante. Per escludere le altre cause di insorgenza<br />

acuta di segni neurologici e per confermare il sospetto<br />

di ictus è necessario ricorrere all’esame dell’encefalo<br />

mediante tecniche di diagnostica per immagini. Queste<br />

metodiche vanno impiegate anche per definire il territorio<br />

vascolare coinvolto e l’estensione della lesione e per distinguere<br />

fra ictus ischemico ed emorragico. La risonanza<br />

magnetica è la tecnica di diagnostica per immagini più sensibile<br />

per diagnosticare l’ictus ischemico, con alterazioni<br />

che si osservano entro un’ora dall’insorgenza.<br />

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI<br />

DELL’ICTUS ISCHEMICO<br />

Tomografia computerizzata<br />

La tomografia computerizzata (TC) risulta spesso normale<br />

nella fase acuta dell’ischemia; di conseguenza, la diagnosi<br />

di ictus ischemico con questo mezzo si basa sull’esclusione<br />

di altre condizioni che simulano l’ictus stesso. I primi<br />

segni tomografici dell’ischemia possono essere sottili e dif-<br />

ficili da identificare anche da parte di esaminatori molto<br />

esperti e sono rappresentati da ipodensità del parenchima,<br />

perdita di differenziazione fra sostanza grigia e bianca, lieve<br />

cancellazione dei solchi corticali ed effetto massa locale.<br />

Sino a non molto tempo fa, la tomografia computerizzata è<br />

stata la tecnica di diagnostica per immagini d’elezione nell’uomo<br />

per determinare la presenza di un’emorragia nelle<br />

fasi iniziali dell’ictus, dato che questa lesione si presenta<br />

iperdensa negli stadi di esordio. I recenti sviluppi della risonanza<br />

magnetica hanno determinato un cambiamento della<br />

situazione, per cui e la tomografia computerizzata oggi non<br />

presenta più alcuni vantaggio rispetto alla risonanza magnetica<br />

per la diagnosi dell’ictus ischemico.<br />

Risonanza magnetica convenzionale<br />

La risonanza magnetica convenzionale può venire utilizzata<br />

per illustrare l’ictus ischemico entro 12-24 ore dall’insorgenza<br />

e per distinguere le lesioni emorragiche dall’infarto.<br />

Benché possano essere talvolta difficili da differenziare<br />

da altri processi patologici come le malattie infiammatorie,<br />

gli infarti tendono a presentare certe caratteristiche distintive<br />

nelle immagini ottenute con questa metodica.<br />

1 – Un aspetto diagnostico distintivo dell’ictus ischemico<br />

è la sua localizzazione e distribuzione, che dipende dal territorio<br />

vascolare coinvolto. La conformità di un’area ischemica/infartuata<br />

rispetto ad un territorio vascolare è un elemento<br />

importante per la diagnosi che contribuisce a distinguere<br />

queste lesioni da tumori encefalici, infiammazioni e traumi.<br />

Le ischemie/infarti sono causate da occlusione di un vaso<br />

sanguigno cerebrale. Di conseguenza, si verificano nella<br />

regione dell’encefalo vascolarizzata dal vaso colpito e sono<br />

limitate ad essa e spesso si riscontra una netta demarcazione<br />

rispetto al tessuto cerebrale normale circostante, con un<br />

effetto massa minimo o assente.<br />

2 – Le ischemie/infarti sono causate da un’insufficienza<br />

della perfusione ematica e, quindi, da una deplezione energetica.<br />

La conseguenza per la cellula è l’insufficienza della<br />

pompa Na + /K + e l’accumulo di Na + ed acqua all’interno della<br />

cellula, cioè un edema citotossico. Le alterazioni della<br />

risonanza magnetica osservate nel parenchima ischemico si<br />

basano su un aumento del contenuto tissutale di acqua. Gradualmente,<br />

le immagini T2 pesate o FLAIR (fluid-attenuated<br />

inversion recovery) mostrano una maggiore iperintensità<br />

(prolungamento di T2 che produce segnali più elevati in aree<br />

con un maggior contenuto idrico tissutale) nella regione<br />

ischemica, in particolare nell’arco delle prime 24 ore.


122 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

3 – Le alterazioni della risonanza magnetica si apprezzano<br />

meglio nella sostanza grigia e sono ben visualizzate nelle<br />

strutture profonde formate da quest’ultima, come il talamo<br />

ed i gangli basali, a causa della vulnerabilità selettiva<br />

all’ischemia.<br />

4 – L’accentuazione del contrasto (associata a riperfusione)<br />

di solito non si osserva prima che siano trascorsi almeno<br />

7-10 giorni.<br />

Le immagini T2 pesate e FLAIR (fluid-attenuated inversion<br />

recovery) sono particolarmente utili per visualizzare<br />

l’ictus ischemico ed ottenere una rappresentazione più anatomica<br />

dell’encefalo ed evidenziare l’edema, gli infarti vecchi,<br />

le alterazioni microangiopatiche, i tumori ed altre patologie.<br />

Con queste sequenze, l’infarto ischemico si presenta<br />

come una lesione iperintensa. La differenziazione del core<br />

ischemico dal tessuto in penombra, tuttavia, non è possibile.<br />

Le immagini T2*-pesate (gradient echo) vengono utilizzate<br />

per dimostrare la presenza di un’emorragia intracranica<br />

o per escluderla.<br />

Risonanza magnetica funzionale<br />

Per la diagnosi precoce dell’ictus ed il trattamento di follow-up<br />

nell’uomo sono state sviluppate parecchie tecniche<br />

di risonanza magnetica funzionale (fMRI). Queste comprendono<br />

la visualizzazione per diffusione e perfusione e l’angiografia<br />

mediante risonanza magnetica (MRA). La risonanza<br />

magnetica per diffusione e perfusione sono nuove tecniche<br />

che consentono il monitoraggio del trasporto dell’acqua<br />

nel microambiente a livello cellulare o capillare. Forniscono<br />

informazioni complementari circa i processi fisiopatologici<br />

che seguono all’ischemia cerebrale.<br />

• Immagini diffusion weighted (DWI)<br />

La DWI viene utilizzata comunemente nell’uomo per<br />

migliorare la sensibilità e la specificità della diagnosi dell’ictus<br />

acuto facendone una sequenza ideale per l’identificazione<br />

positiva dell’ictus iperacuto, escludendo le condizioni<br />

che lo simulano. L’evoluzione temporale del segnale DWI<br />

consente anche di discriminare le lesioni acute da quelle croniche.<br />

Inoltre, la sequenza è sensibile, dato che rileva lesioni<br />

di appena 4 mm di diametro.<br />

La risonanza magnetica DWI rileva il movimento molecolare<br />

casuale dell’acqua in vivo. Il grado di questa mobilità<br />

può essere quantificato attraverso un parametro fisico<br />

noto come coefficiente di diffusione apparente (ADC). Nei<br />

sistemi biologici, la libera diffusione è limitata da barriere<br />

fisiche (ad es., membrane cellulari) ed interazioni chimiche<br />

(ad es., legame con macromolecole). L’infarto acuto porta<br />

all’intrappolamento dell’acqua all’interno delle cellule e<br />

determina una riduzione della diffusione. Questo fenomeno<br />

di minore diffusione ed edema citotossico provoca un’iperintensità<br />

regionale alla DWI.<br />

L’intensità dell’immagine della DWI dipende dall’ADC<br />

nonché dal tempo di rilassamento trasversale (T2). Poiché<br />

le DWI sono influenzate dal contrasto T1-T2, le lesioni<br />

dell’ictus diventano anche progressivamente più luminose<br />

a causa del concomitante incremento del contenuto idrico<br />

dell’encefalo, che porta ad un apporto aggiuntivo di segna-<br />

li iperintensi T2-pesati noti come “T2 shine through”. Per<br />

differenziare fra l’autentica restrizione della diffusione e<br />

la T2 shine through, le lesioni brillanti alla DWI devono<br />

essere sempre confermate con mappe di coefficiente di<br />

diffusione apparente, che misurano in modo esclusivo la<br />

diffusione. La mappa ADC contribuisce a rimuovere l’effetto<br />

dell’iperintensità T2-pesata (associata all’edema<br />

citotossico) che può contribuire all’iperintensità diffusione-pesata.<br />

Le immagini diffusion weighted possono essere utilizzate<br />

per migliorare la sensibilità e la specificità della diagnosi<br />

dell’ictus acuto. Questo tipo di studio consente anche di<br />

distinguere le lesioni acute da quelle croniche. L’aspetto<br />

classico dell’infarto acuto è dato da iperintensità nella DWI<br />

e riduzione dell’ADC.<br />

I valori di quest’ultimo restano al di sotto della norma<br />

(riflettendo il rigonfiamento cellulare) per i primi 8-10<br />

giorni e procedono verso valori pseudonormali e supernormali<br />

ai punti temporali cronici oltre i 10 giorni (a causa<br />

della necrosi o lisi cellulare).<br />

• Valutazione della perfusione – Perfusion images (PWI)<br />

Oltre alla tecnica diffusion weighted, per illustrare le<br />

regioni encefaliche con ipoperfusione e dedurne il tessuto a<br />

rischio confrontando i risultati con i riscontri della DWI si<br />

utilizza la tecnica della risonanza magnetica perfusion<br />

weighted. Quest’ultima prevede la ripetuta e rapida acquisizione<br />

di immagini prima e dopo l’iniezione di un mezzo di<br />

contrasto utilizzando una sequenza Epi bidimensionale gradient<br />

echo o spin echo. L’accorciamento della velocità di<br />

rilassamento T1 nel tempo è proporzionale alla concentrazione<br />

del mezzo di contrasto e, quindi, fornisce informazioni<br />

sulla perfusione tissutale.<br />

Le tecniche di risonanza magnetica mediante diffusione e<br />

perfusione (diffusion e perfusion imaging) hanno reso possibile<br />

distinguere fra due comparti (core centrale e penombra<br />

periferica) del tessuto ischemico. Nelle immagini perfusion<br />

weighted è possibile monitorare l’apporto ematico del tessuto<br />

e l’area di ipoperfusione, mentre quelle diffusion weighted<br />

(DWI) riflettono approssimativamente il core infartuato irreversibilmente<br />

danneggiato. La differenza di volume fra le<br />

due, anche detta PWI/DWI-mismatch, presenta una certa correlazione<br />

con la penombra ischemica.<br />

• Angiografia mediante risonanza magnetica (MRA)<br />

Oltre al suo impiego per la valutazione tissutale, la MRA<br />

può consentire di giudicare in modo non invasivo lo status<br />

vascolare intracranico dei pazienti colpiti da ictus. Si possono<br />

utilizzare due tecniche: la MRA TOF (time of flight) e<br />

la MRA ad accentuazione di contrasto. Uno dei principali<br />

limiti della MRA è la sua minore risoluzione in confronto<br />

all’angiografia convenzionale. Questo problema si aggrava<br />

progressivamente man mano che le dimensioni del lume<br />

diminuiscono. Nell’uomo, le tecniche angiografiche sono<br />

particolarmente utili per lo screening della stenosi dell’arteria<br />

carotide, della malformazione vascolare (come la malformazione<br />

arterovenosa o l’angioma venoso) e dell’aneurisma.<br />

L’uso della MRA nel cane è stato descritto e può<br />

consentire l’identificazione di lesioni vascolari sottostanti<br />

in casi di ictus canino.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 123<br />

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI<br />

DELL’ICTUS EMORRAGICO<br />

Tomografia computerizzata (TC)<br />

La TC è particolarmente sensibile per l’identificazione<br />

dell’emorragia acuta. Questa risulta evidente sotto forma<br />

dell’iperdensità nelle immagini topografiche a causa dell’iperattenuazione<br />

dei raggi X da parte della porzione globinica<br />

del sangue. L’attenuazione diminuisce finché l’ematoma<br />

non diviene isodenso, a distanza di circa un mese dall’insorgenza.<br />

La periferia dell’ematoma accentua il contrasto per<br />

un periodo compreso fra 6 giorni e 6 settimane dopo l’insorgenza,<br />

a causa della rivascolarizzazione.<br />

Risonanza magnetica convenzionale<br />

Le due proprietà biosifiche più importanti nella generazione<br />

dei quadri di intensità del segnale della risonanza<br />

magnetica osservati negli ematomi intracranici in via di evoluzione<br />

sono gli effetti paramagnetici del ferro associati alla<br />

modificazione degli stati di ossigenazione dell’emoglobina e<br />

l’integrità delle membrane eritrocitarie che, quando non<br />

sono danneggiate, determinano la compartimentalizzazione<br />

del ferro paramagnetico.<br />

Tuttavia, l’intensità del segnale della risonanza magnetica<br />

dell’emorragia intracranica è anche influenzata da<br />

parecchi fattori intrinseci (tempo trascorso dall’ictus, origine,<br />

localizzazione e dimensione dell’emorragia) ed<br />

estrinseci (sequenza del polso e field strength). Le cause di<br />

queste variazioni intrinseche ed estrinseche dell’intensità<br />

dell’ematoma sono difficili da valutare con gli studi clinici,<br />

dal momento che spesso è impossibile accertare con<br />

precisione l’intervallo fra l’emorragia e la risonanza<br />

magnetica. È stato dimostrato che le sequenze gradient<br />

echo sono le più accurate fra tutte quelle degli impulsi della<br />

MRI e sono più accurate della tomografia computerizzata<br />

per prevedere l’estensione dell’emorragia nell’esame<br />

patologico in un modello canino. In confronto ad altre<br />

sequenze, quelle gradient echo dimostrano facilmente l’i-<br />

pointensità rilevabile, indipendentemente dal tempo trascorso<br />

dall’ictus, dall’origine e dalla localizzazione dell’emorragia<br />

o dal field strenght. Le ipointensità nelle immagini<br />

gradient echo, tuttavia, non sono specifiche per l’emorragia<br />

e si possono anche osservare in caso di calcificazione,<br />

aria, ferro, corpi estranei e melanina. Aria, calcificazione<br />

ed altri corpi estranei, sono normalmente anche ipointensi<br />

anche in tutte le sequenze di impulsi.<br />

Bibliografia<br />

Adams RD, Victor M (<strong>19</strong>97) Cerebrovascular diseases. In: Adams RD &<br />

Victor M eds. Principles of neurology. 6th ed. New York: McGraw-<br />

Hill Inc. pp 777-873.<br />

Graves MJ (<strong>19</strong>97). Magnetic resonance angiography. British Journal of<br />

Radiology 70, 6-28.<br />

Garosi LS, McConnell JF (2005) Brain infarct in dog and human: a comparative<br />

review. Journal of Small Animal Practice 46:5<strong>21</strong>-529.<br />

Garosi LS, McConnell JF, Platt SR, Baronne G, Baron JC, de Lahunta A,<br />

Schatzberg SJ (2005) Results of diagnostic investigations and longterm<br />

outcome of 33 dogs with brain infarction (2000-2004). Journal<br />

of Veterinary Internal Medicine<strong>19</strong>:729-731.<br />

Garosi LS, JF McConnell, SR Platt, G Baronne, JC Baron, A de Lahunta,<br />

SJ Schatzberg (2006) Clinical and topographical magnetic resonance<br />

characteristics of suspected brain infarctions in 40 dogs. Journal<br />

of Veterinary Internal Medicine (in press).<br />

Hakim AM (<strong>19</strong>98) Ischaemic penumbra: the therapeutic window. Neurology<br />

51, S44-46.<br />

Heiland S (2003) Diffusion- and perfusion-weighted MR imaging in acute<br />

stroke: principles, methods, and applications. Imaging Decisions in<br />

MRI 4, 13-25.<br />

Kalimo H, Kaste M, Haltia M (2002) Vascular diseases. In: Graham DI &<br />

Lantos PL eds. Greenfield’s neuropathology. 7th ed. London:<br />

Arnold. pp 233-280.<br />

McConnell JF, Garosi LS, Platt SR, Dennis R (2005) MRI findings of presumed<br />

cerebellar cerebrovascular accident in twelve dogs. Veterinary<br />

Radiology and Ultrasound 46, 1-10.<br />

Platt SR, Garosi L (2003) Canine cerebrovascular disease: do dogs have<br />

strokes? Journal of the American Animal Hospital Association 39,<br />

337-342.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laurent S. Garosi<br />

E-mail-Isg@vetspecialists.co.uk


124 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Patologie infiammatorie del sistema nervoso centrale:<br />

il punto di vista del neurologo, approccio clinico<br />

e terapeutico<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham Gobion, UK<br />

INFETTIVA O NON INFETTIVA?<br />

QUESTO È IL PROBLEMA…<br />

Le malattie infiammatorie del SNC sono un gruppo estremamente<br />

eterogeneo di affezioni che differiscono per quanto riguarda<br />

le cause, i processi patologici coinvolti e la distribuzione delle<br />

lesioni. È possibile riconoscere due distinti gruppi: la meningoencefalomielite<br />

ad eziologia sconosciuta e quella infettiva. La<br />

meningoencefalomielite ad eziologia sconosciuta nel cane viene<br />

comunemente attribuita alla meningoencefalomielite granulomatosa<br />

(GME) ed alle meningoencefaliti razza-specifiche. La<br />

GME è un processo infiltrante angiocentrico di tipo linfoide<br />

misto che colpisce principalmente la sostanza bianca del SNC e<br />

le leptomeningi. I segni clinici sono variabili e riflettono il tipo<br />

morfologico della malattia nonché la sede della lesione. Sulla<br />

base delle anomalie neurologiche, morfologiche e cliniche sono<br />

state descritte tre forme di GME: disseminata, focale ed oculare.<br />

La forma disseminata si manifesta tipicamente con l’insorgenza<br />

acuta di segni clinici rapidamente progressivi indicativi di un disordine<br />

multifocale del SNC, mentre la GME focale è associata a<br />

segni clinici indicativi di una singola massa occupante spazio,<br />

con un’insorgenza insidiosa ed un andamento lentamente progressivo.<br />

La forma oculare della GME si manifesta con l’insorgenza<br />

acuta di una compromissione della visione e dilatazione<br />

pupillare con mancata risposta alla luce a causa di una neurite<br />

ottica. I cani colpiti da una forma oculare possono successivamente<br />

sviluppare lesioni a carico del SNC. La causa della GME<br />

non è nota e sono state ipotizzate come possibili le eziologie<br />

immunomediate, infettive e neoplastiche. Le attuali ipotesi prevedono<br />

una risposta neurologica aspecifica del sistema immunitario<br />

del cane e possono essere coinvolte molteplici eziologie. Le<br />

lesioni associate alle meningoencefaliti razza-specifica differiscono<br />

da quelle della GME per quanto riguarda distribuzione e<br />

gravità. L’encefalite del Carlino e del maltese è caratterizzata da<br />

estesa necrosi ed infiammazione non suppurativa della sostanza<br />

grigia centrale e di quella bianca subcorticale (meningoencefalite<br />

necrotizzante o NME). I segni neurologici sono acuti e progressivi<br />

e riflettono principalmente dei disordini del proencefalo<br />

e, nella maggior parte dei casi, si osservano crisi convulsive.<br />

Un’encefalite necrotizzante viene anche descritta in chihuahua,<br />

Shi tzu e Yorkshire terrier ed è caratterizzata istologicamente da<br />

aree multifocali di infiammazione mononucleare estremamente<br />

grave che circonda un grande centro gliotico malacico che colpisce<br />

principalmente il tronco encefalico e la sostanza bianca cerebrale<br />

periventricolare (leucoencefalite necrotizzante o NLE).<br />

Frequentemente predominano i segni del tronco encefalico, con<br />

una disfunzione vestibolare centrale. È probabile una base gene-<br />

tica. Senza ricorrere all’istopatologia, la diagnosi ante-mortem<br />

della GME o delle meningoencefaliti razza-specifiche può solo<br />

essere sospetta. Per i casi in cui i tessuti cerebrali sono stati sottoposti<br />

ad una valutazione istopatologica si deve quindi utilizzare<br />

il termine di meningoencefalite ad eziologia sconosciuta. Nei<br />

cani e nei gatti con infezione del sistema nervoso centrale si ha<br />

spesso la coesistenza di encefalite e meningite. Sono stati ritenuti<br />

responsabili numerosi agenti infettivi che comprendono virus<br />

(cimurro, rabbia, parvovirus, parainfluenza, herpes, leucemia<br />

felina, immunodeficienza felina), batteri (da inoculazione diretta,<br />

da embolizzazione o da altre fonti per estensione di processi<br />

microbici), rickettsie (Ehrlichia, febbre maculosa delle Montagne<br />

Rocciose), protozoi (Toxoplasma, Neospora), miceti (blastomicosi,<br />

istoplasmosi, criptococcosi, aspergillosi, coccidiomicosi)<br />

e spirochete (malattia di Lyme, leptospirosi). In aggiunta a questa<br />

lista, sono stati segnalati numerosi parassiti capaci di colpire<br />

l’encefalo nel corso di migrazioni aberranti (Toxocara, filarie,<br />

larve di Cuterebra). La loro incidenza dipende principalmente<br />

dalla localizzazione geografica. La malattia tende ad avere un’insorgenza<br />

acuta e ad essere progressiva, spesso con una distribuzione<br />

multifocale o diffusa delle lesioni all’interno del SNC.<br />

DIAGNOSI<br />

È stata segnalata una predisposizione delle femmine alla<br />

GME e la malattia è più comune nei cani giovani o di media<br />

età. La maggior parte dei casi di meningoencefaliti razza-specifiche<br />

descritti finora si è verificata in soggetti giovani ed<br />

adulti (da 6 mesi a 7 anni), senza alcuna predisposizione legata<br />

al sesso. La diagnosi ante-mortem della GME o delle meningoencefaliti<br />

razza-specifiche (NME, NLE) spesso è priva della<br />

conferma istopatologica. I segni al di fuori del sistema nervoso,<br />

come l’ipertermia, sono rari. Gli esami ematochimici<br />

possono essere normali o rivelare un leucogramma da stress.<br />

L’analisi del liquido cefalorachidiano (liquor) mostra una pleocitosi<br />

mononucleare pura o una popolazione cellulare mista (in<br />

particolare nei casi acuti). Benché sia un indicatore sensibile<br />

dell’infiammazione del SNC, la pleocitosi mononucleare del<br />

liquor non consente di distinguere fra le possibile diagnosi differenziali<br />

di origine immunomediata infettiva e neoplastica<br />

della meningoencefalite del cane. L’assenza di anomalie del<br />

liquor non permette di escludere la possibilità di una GME, in<br />

particolare nei cani che sono stati preventivamente trattati con<br />

corticosteroidi o quando le lesioni non sono molto vicine al<br />

sistema ventricolare ed allo spazio subaracnoideo. Anche nei<br />

cani con NME o LNE i riscontri dell’analisi del liquor rivelano<br />

una moderata pleocitosi con elementi mononucleari o di


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 125<br />

tipo misto ed un aumento lieve o marcato della concentrazione<br />

di proteine. L’impiego delle tecniche di diagnostica per immagini<br />

nella meningoencefalite ad eziologia sconosciuta fornisce<br />

risultati aspecifici, ma può essere utile per sostenere il sospetto<br />

formulato su base clinica. La tomografia computerizzata<br />

(TC) può rivelare lesioni iperdense dopo iniezione endovenosa<br />

di mezzo di contrasto. Il riscontro più costantemente rilevato<br />

alla risonanza magnetica nella forma multifocale di GME è la<br />

presenza di molteplici lesioni iperintense T2-pesate o FLAIR<br />

(fluid-attenuated inversion recovery) diffuse in tutta la sostanza<br />

bianca cerebrale. Può essere presente o meno un’accentuazione<br />

del contrasto. Il linfosarcoma del sistema nervoso centrale<br />

e, meno comunemente, le neoplasie gliali e quelle metastatiche<br />

possono presentare segni clinici e di diagnostica per<br />

immagini simili e devono quindi essere prese in considerazione<br />

come possibili diagnosi differenziali di questa forma di<br />

GME. La forma focale della GME si presenta alla tomografia<br />

computerizzata o alla risonanza magnetica come una singola<br />

massa occupante spazio non specifica. La distribuzione più<br />

caratteristica delle lesioni osservata nella meningoencefalite<br />

razza-specifica (NLE o NME) può risultare utile nella diagnosi<br />

di queste condizioni. Per questi motivi, le diagnosi di “GME” o<br />

“meningoencefalite razza-specifica” formulate sulla base di<br />

segni clinici, analisi del liquor, diagnostica per immagini ed<br />

esito negativo dei titoli per la diagnosi delle malattie infettive<br />

sono sospetti diagnostici e per una diagnosi definitiva è necessario<br />

l’esame istologico del tessuto nervoso (biopsia encefalica<br />

o post-mortem). Anche il riscontro della presenza combinata<br />

di elevati livelli di IgA intratecali e sistemici è molto utile per<br />

la diagnosi di meningoarterite suppurativa asettica.<br />

I riscontri degli esami ematochimici in presenza di malattie<br />

infettive possono variare ed evidenziare leucocitosi con<br />

neutrofilia e spostamento a sinistra nelle infezioni batteriche,<br />

eosinofilia con aumento dei livelli degli enzimi muscolari<br />

nelle malattie protozoarie, linfopenia con eventualmente<br />

leucopenia o leucocitosi nel cimurro, o iperglobulinemia<br />

nella peritonite infettiva felina. L’analisi del liquor e le titolazioni<br />

degli agenti infettivi (sierologia e/o PCR) eseguite<br />

su campioni di siero e/o liquor rappresentano i test diagnostici<br />

ante-mortem più affidabili per l’identificazione delle<br />

malattie infettive del SNC. I riscontri a livello di liquor nel<br />

cimurro vanno da lievi alterazioni nella fase acuta a pleocitosi<br />

mononucleare ed aumento del contenuto proteico nella<br />

forma infiammatoria cronica. Una marcata pleocitosi neutrofila<br />

è solitamente presente in casi di infezione batterica,<br />

peritonite infettiva felina (associata a marcato incremento<br />

del contenuto di proteine) o meningoarterite suppurativa<br />

asettica. Nelle malattie protozoarie si osservano spesso una<br />

lieve pleocitosi mista ed un aumento dei livelli di proteine.<br />

Le colture batteriche del liquor e del sangue sono indicate<br />

quando si sospetta una meningoencefalite batterica, ma<br />

spesso risultano infruttuose.<br />

TRATTAMENTO<br />

La somministrazione di corticosteroidi a dosaggi immunosoppressori<br />

ha costituito il caposaldo del trattamento dei casi<br />

sospetti di GME, meningoarterite suppurativa asettica e meningoencefaliti<br />

razza-specifiche. La risposta ai corticosteroidi è<br />

stata frequentemente descritta come variabile e temporanea,<br />

con animali che spesso manifestano una reazione iniziale imponente,<br />

e le recidive sono comuni. Il trattamento a lungo termine<br />

con alte dosi di corticosteroidi provoca frequentemente degli<br />

effetti indesiderati come ulcera gastroenterica, pancreatite ed<br />

iperadrenocorticismo iatrogeno. In alcuni cani con GME è stata<br />

segnalata l’efficacia di radiazioni, azatioprina, procarbazina,<br />

citosina arabinoside e ciclosporina come unico agente o come<br />

trattamento aggiuntivo con prednisone. Nelle malattie protozoarie<br />

sono indicate le associazioni trimethoprim-sulfamidici,<br />

la pirimetamina e/o la clindamicina. Il trattamento delle infezioni<br />

batteriche consiste in alte dosi di antibiotici ad ampio spettro<br />

per i quali sia stata accertata la capacità di attraversare la barriera<br />

ematoencefalica. Durante le prime 48 ore di trattamento,<br />

possono essere indicati i glucocorticoidi. La terapia delle malattie<br />

virali come il cimurro del cane o la peritonite infettiva felina<br />

è essenzialmente palliativa.<br />

PROGNOSI<br />

Secondo quanto viene segnalato in letteratura, la prognosi<br />

per la remissione a lungo termine nei casi accertati di GME e<br />

meningoencefaliti razza-specifiche è sfavorevole. Tuttavia, queste<br />

segnalazioni sono state limitate ai casi di GME confermata<br />

istopatologicamente che sono venuti a morte o sono stati soppressi<br />

eutanasicamente a causa della gravità della malattia, per<br />

cui il significato prognostico di questi studi può essere viziato.<br />

Altri hanno descritto una sopravvivenza superiore all’anno in<br />

cani con sospetta GME trattati con un’aggressiva immunosoppressione<br />

mediante prednisone e azatioprina. La prognosi della<br />

meningoarterite suppurativa asettica è buona, con una terapia<br />

precoce, aggressiva e prolungata.<br />

Bibliografia<br />

Adamo FP, O’Brien RT. Use of cyclosporine to treat granulomatous meningoencephalitis<br />

in three dogs. J Am Vet Med Assoc. 2004;225:1<strong>21</strong>1-1<strong>21</strong>6.<br />

Bailey CS, Higgins RJ. Characteristics of cerebrospinal fluid associated with<br />

canine granulomatous meningoencephalomyelitis: a retrospective study.<br />

J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>96;188:418-4<strong>21</strong>.<br />

Braund KG, Vandevelde M, Walker, TL, et al. Granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

in six dogs. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>78;172:1<strong>19</strong>5-1200.<br />

Braund, K. G. Granulomatous meningoencephalomyelitis. J Am Vet Med<br />

Assoc <strong>19</strong>85;186, 138-141.<br />

Cuddon, P. A., Coates, J. R. & Murray, M. New treatments for granulomatous<br />

meningoencephalomyelitis. American College of Veterinary Internal<br />

Medicine 2002.<br />

Cordy DR, Holliday TA. A necrotizing meningoencephalitis of pug dogs. Vet<br />

Pathol <strong>19</strong>89; 26:<strong>19</strong>1-<strong>19</strong>4.<br />

de Lahunta A. Veterinary Neuroanatomy and Clinical Neurology. 2nd ed. Philadelphia:<br />

WB Saunders Co, <strong>19</strong>83; 384-385.<br />

Dewey, C. W. Encephalopathies: disorders of the brain. In: A Practical Guide<br />

to Canine and Feline Neurology. Ed C. W. Dewey. Iowa State Press,<br />

Ames, Iowa. 2003;pp 99-178.<br />

Kipar A, Baumgartner W, Vogl C, et al. Immunohistochemical characterization<br />

of inflammatory cells in brains of dogs with granulomatous meningoencephalitis.<br />

Vet Pathol <strong>19</strong>98; 35:43-52.<br />

Munana, K. R. & Luttgen, P. J. Prognostic factors for dogs with granulomatous<br />

meningoencephalomyelitis: 42 cases (<strong>19</strong>82-<strong>19</strong>96). J Am Vet Med<br />

Assoc <strong>19</strong>98;<strong>21</strong>2,<strong>19</strong>02-<strong>19</strong>06.<br />

Nuhsbaum, M. T., Powell, C. C., Gionfriddo, J. R. & Cuddon, P. A. Treatment<br />

of granulomatous meningoencephalomyelitis in a dog. Vet Ophthalmol<br />

2002; 5, 29-33.<br />

Tipold, A., Fatzer, R., Jaggy, A., Zurbriggen, A. & Vandevelde, M. Necrotizing<br />

encephalitis in Yorkshire terriers. J Small Anim Pract <strong>19</strong>93;34, 623-628.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laurent S. Garosi<br />

E-mail-Isg@vetspecialists.co.uk


126 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Il trattamento delle fratture e lussazioni<br />

della colonna vertebrale del cane e del gatto.<br />

La nostra esperienza su 25 casi<br />

Raffaele Gilardini<br />

Med Vet, Voghera (PV)<br />

INTRODUZIONE<br />

Le fratture e le lussazioni della colonna vertebrale derivano<br />

dalla rottura traumatica delle vertebre e/o dei tessuti<br />

molli di supporto che stabilizzano la colonna stessa e possono<br />

provocare lesioni al tessuto nervoso di vario grado.<br />

Nella nostra esperienza i traumi più frequenti sono rappresentati<br />

da investimenti, cadute dall’alto, attacchi di altri<br />

animali o dell’uomo e quelli provocati da oggetti in movimento<br />

(cancelli automatici, oggetti che cadono). Nel cane<br />

e nel gatto le lesioni della colonna vertebrale possono interessare<br />

il comparto vertebrale dorsale (arco vertebrale, faccette<br />

articolari, capsula articolare, processi spinosi, legamenti<br />

interspinosi, legamento sopraspinoso e legamento<br />

flavo), quello ventrale (corpo vertebrale, disco intervertebrale,<br />

legamento longitudinale dorsale e ventrale) o ambedue;<br />

quelle che coinvolgono il comparto dorsale o ambedue<br />

i comparti provocano instabilità nel punto di lesione. Le<br />

lesioni combinate dei due comparti sono più gravi ed anche<br />

più frequenti di quelle che colpiscono un solo comparto. Le<br />

fratture/lussazioni spinali possono essere patologiche o<br />

traumatiche. Tra le prime vanno annoverate le instabilità<br />

congenite (ex.:instabilità atlanto-assiale) e le condizioni<br />

patologiche che indeboliscono l’osso vertebrale (neoplasie<br />

primarie o metastatiche, malattie metaboliche). Le condizioni<br />

traumatiche possono essere rappresentate da forze<br />

che provocano gravi iperestensioni, iperflessioni, compressioni<br />

e/o rotazioni della colonna vertebrale. Oltre alle fratture<br />

e lussazioni le suddette forze possono causare estrusioni<br />

e protrusioni traumatiche del disco intervertebrale.<br />

Il tessuto nervoso in seguito al trauma spinale può subire<br />

dalla semplice concussione a compressioni durature,<br />

stiramenti o lacerazioni. La perdita funzionale può essere<br />

totale e permanente perché causata da soluzione di continuo<br />

del tessuto nervoso, o solo temporanea perché il danno<br />

primario (legato al trauma) è stato lieve ed il trattamento<br />

tempestivo ha ridotto il danno secondario (edema, cascata<br />

di eventi biochimici dell’infiammazione, produzione di<br />

radicali liberi, ecc.).<br />

Nei traumi spinali la condizione di emergenza impone al<br />

medico veterinario di saper attuare dei trattamenti tempestivi<br />

sia in caso di gestione diretta del paziente sia nel caso<br />

in cui il paziente venga riferito presso altra struttura. Il<br />

paziente spinale è un paziente traumatizzato per cui altre<br />

lesioni possono metter in pericolo la sua vita e quindi vanno<br />

trattate prioritariamente. Le situazioni di shock, emor-<br />

ragia, pneumotorace, ernia diaframmatica, ad esempio,<br />

vanno affrontate prioritariamente al fine di stabilizzare il<br />

paziente e sottrarlo al pericolo immediato di morte. L’animale<br />

sospetto di lesione spinale, già nella prima fase di stabilizzazione,<br />

dovrebbe essere adagiato in decubito laterale<br />

su supporti rigidi e radiotrasparenti (legno, plexiglass) e<br />

fissato con fasce o cerotti fino alla fine degli accertamenti<br />

diagnostici e delle procedure terapeutiche. Il gatto tollera<br />

poco la costrizione per cui a volte è necessario lasciarlo<br />

solo a riposo in gabbia fino al momento della sedazione.<br />

L’esame neurologico accurato, deve essere effettuato ai<br />

fini di valutare la localizzazione della lesione e la percezione<br />

algica profonda, ma è limitato alle prove che non sono<br />

pericolose per l’instabilità della lesione. Dopo aver localizzato<br />

la lesione ed espresso un giudizio sulla gravità, viene<br />

effettuato l’esame radiografico che, ad animale sveglio, se<br />

non si è dotati di apparecchio radiografico con fascio orientabile,<br />

si può effettuare in proiezione latero-laterale senza<br />

togliere il supporto rigido. L’animale anestetizzato può essere<br />

sottoposto a radiogrammi anche in proiezione sagittale e<br />

a mielografia, ma occorre fare molta attenzione a non peggiorare<br />

la lesione vista la mancanza del tono della muscolatura<br />

circostante la lesione. In un caso su tre esistono più<br />

lesioni della colonna che vanno escluse radiograficamente.<br />

La mielografia va effettuata ogni qualvolta non c’è congruenza<br />

tra l’esame neurologico ed il reperto radiografico.<br />

Alla fine dell’esame radiografico si deve essere in grado di<br />

distinguere una lesione stabile da una instabile e quindi<br />

potenzialmente più pericolosa.<br />

Il trattamento delle lesioni spinali dipende da diversi fattori:<br />

la condizione neurologica del paziente e la sua evoluzione,<br />

la causa della lesione, la stabilità del sito di lesione,<br />

l’esperienza del medico veterinario, la volontà del proprietario.<br />

Il trattamento medico prevede diversi farmaci in letteratura<br />

molti dei quali di dubbia efficacia. Il metilprednisolone<br />

sodio-succinato è il farmaco più utilizzato ed il trattamento,<br />

viene effettuato entro le 8 ore dal trauma al<br />

dosaggio di 30 mg/kg endovena in bolo e poi 5,4 mg/kg/ora<br />

per 12 ore se entro le 3 ore dal trauma e per 24 ore se tra la<br />

3a e la 8a ora. Il trattamento conservativo rappresentato da<br />

riposo in gabbia per 4-6 settimane e/o stabilizzazione esterna<br />

mediante splint rigidi, può essere utilizzato con successo<br />

nei casi di lesioni stabili senza compressione midollare<br />

importante, in animali con pochi deficit neurologici o<br />

comunque movimenti volontari conservati oppure nei<br />

pazienti con sensibilità algica assente o dubbia come alter-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 127<br />

nativa all’eutanasia. Nei pazienti con sensibilità algica profonda<br />

conservata, il trattamento chirurgico può consistere<br />

in una emilaminectomia, nei casi in cui la mielografia indica<br />

una compressione extradurale, oppure nel riallineamento<br />

e stabilizzazione per le dislocazioni vertebrali e le lesioni<br />

instabili o considerate tali. Nei soggetti con sensibilità<br />

algica profonda dubbia o assente, senza evidente interruzione<br />

del midollo spinale, il trattamento chirurgico va<br />

effettuato nei casi in cui il proprietario accetta e possiede le<br />

condizioni idonee per gestire un recupero molto lento o un<br />

non recupero. Le tecniche chirurgiche di stabilizzazione<br />

che si possono applicare sono diverse e la scelta dipende da<br />

molti fattori tra cui il segmento spinale interessato, la compressione<br />

sul tessuto nervoso, la taglia e l’età dell’animale,<br />

l’attrezzatura e l’esperienza del chirurgo ed infine la possibilità<br />

del proprietario di seguire il decorso postoperatorio.<br />

I mezzi di stabilizzazione a disposizione sono placche dorsali<br />

di plastica o placche metalliche sui corpi vertebrali,<br />

chiodi e viti applicati da soli o associati a polimetilmetacrilato<br />

o cerchiaggi e vari tipi di fissatori esterni. Gli scopi<br />

comuni delle tecniche chirurgiche sono la decompressione<br />

del tessuto nervoso e la stabilizzazione della colonna vertebrale<br />

nel punto di lesione. La fissazione transarticolare<br />

già descritta dall’Autore (X <strong>Congresso</strong> annuale Società Italiana<br />

di Neurologia Veterinaria – Cremona <strong>19</strong>98) si applica,<br />

quando possibile, come tecnica ausiliaria della tecnica<br />

adottata per la stabilizzazione definitiva.<br />

La sensibilità algica profonda è un importante dato prognostico<br />

anche nelle lesioni traumatiche spinali ed in generale<br />

quando assente subito dopo il trauma è improbabile il<br />

recupero neurologico.<br />

Lo scopo della relazione è di presentare le varie tecniche<br />

applicate, le relative difficoltà e complicazioni e i risultati<br />

ottenuti in 25 casi di fratture e lussazioni spinali trattati presso<br />

la nostra struttura.<br />

MATERIALI E METODI<br />

Gli animali oggetto del nostro studio sono stati sottoposti<br />

a visita clinica ed accertamenti finalizzati ad escludere lesioni<br />

associate, quindi sono stati effettuati visita neurologica ed<br />

esame radiografico al fine di classificare i pazienti in 5 gradi<br />

di gravità in accordo con la classificazione di Griffiths del<br />

<strong>19</strong>82. Sulla base dell’esame neurologico e della stabilità della<br />

lesione quindi sono stati trattati conservativamente o chirurgicamente.<br />

Sono stati esclusi gli animali sottoposti a<br />

eutanasia o quelli con fratture sacrococcigee o coccigee. Gli<br />

interventi chirurgici adottati sono descritti nei risultati. La<br />

valutazione finale è stata eseguita sulle complicanze, sui<br />

tempi di recupero e sul grado di recupero. Riguardo a questa<br />

ultima voce si sono descritti quattro gradi: pessimo (nessun<br />

recupero e/o dolore e/o deficit funzionali gravi), discreto<br />

(senza dolore e/o con paresi lieve e/o atassia e deficit propriocettivi),<br />

buono (solo leggeri deficit propriocettivi), ottimo<br />

(nessun segno neurologico).<br />

RISULTATI<br />

I <strong>19</strong> cani avevano età compresa tra i 4 mesi ed i 7 anni e<br />

peso tra 1,5 e 24 kg, i 6 gatti avevano età tra i 5 mesi e i 4<br />

anni e peso tra 1,4 e 4,5 kg. In base allo stato neurologico gli<br />

animali erano così ripartiti: 1 di 1° grado, 4 di 2° grado, 15<br />

di 3° grado e 4 di 4° grado. Il 50% dei pazienti presentava<br />

lesioni associate. In 10 soggetti la lesione spinale era rappresentata<br />

da una lussazione/sublussazione di cui 3 erano<br />

atlanto-assiali, 2 nel tratto toracico, 1 tra T13 e L1, 3 nel tratto<br />

lombare, 1 tra L7 e S1. I rimanenti 15 soggetti presentavano<br />

fratture vertebrali di cui 1 cervicale, 3 toraciche e 11<br />

lombari (9 casi di fratture a carico della L7). Il trattamento<br />

conservativo con riposo in gabbia è stato adottato in 1 gatto<br />

con sublussazione C7-T1; mediante splint esterno in 2 cani,<br />

di cui 1 con frattura stabile della T13 ed 1 con sublussazione<br />

vertebrale, ed 1 gatto con sublussazione tra T13 e L1. 1<br />

gatto con frattura consolidata trattata conservativamente e<br />

callo compressivo è stato sottoposto a emilaminectomia<br />

decompressiva. In 13 soggetti sono stati applicati viti e/o<br />

chiodi nei corpi vertebrali e polimetilmetacrilato, 2 gatti<br />

sono stati trattati con chiodo di Kirschner sagomato attorno<br />

ai processi spinosi e cerchiaggi, 2 cani con fissatore esterno.<br />

I tre cani con lussazione atlanto-assiale sono stati trattati uno<br />

con cerchiaggio dorsale tra arco vertebrale di C1 e processo<br />

dorsale di C2, 1 con viti ventrali tra C1 e C2 e 1 con viti e<br />

cemento ventrali. Il cane con cerchiaggio dorsale per la lussazione<br />

atlanto assiale è deceduto durante la chirurgia, un<br />

soggetto di grado quattro trattato chirurgicamente con emilaminectomia<br />

e stabilizzazione con viti e cemento ha ripreso<br />

a deambulare dopo due mesi dalla chirurgia con recupero<br />

discreto, un soggetto ha manifestato dolore per un mese e ha<br />

avuto un recupero discreto dopo la cessazione del dolore,<br />

tutti gli altri soggetti hanno avuto un recupero neurologico<br />

da discreto (1 soggetto) a buono (3 soggetti) e ottimo (18<br />

soggetti) nel tempo di 1 mese dalla chirurgia. La complicazione<br />

più importante è stata nel soggetto che ha avuto dolore<br />

con la perdita di tenuta di parte dei chiodi nei corpi vertebrali<br />

trattato solo con il riposo.<br />

Bibliografia<br />

1. Bruecker KA, Seim III HB,(<strong>19</strong>92), Principles of spinal fracture<br />

management, Seminars in Veterinary Medicine and Surgery (small<br />

animal), Volume 7, numero 1, 71-84.<br />

2. Shores A, (<strong>19</strong>92), Spinal trauma. Pathophysiology and management<br />

of traumatic spinal injuries, in Veterinary Clinics of North America:<br />

Small Animal Practice, WB Saunders Company, Philadelphia, Volume<br />

22, numero 4, 859-888.<br />

3. McKee WM, (<strong>19</strong>90) Spinal trauma in dogs and cats. A review of 51<br />

cases, Veterinary Record, 126, 285-289.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Raffaele Giardini - Clinica Veterinaria”Città di Voghera”<br />

Via Cappelletta 2, 27058 Voghera (PV) - Tel/fax: 0383367226<br />

clinicav3@CLINICAVETERINARIADIVOGHERA.<strong>19</strong>1.it


128 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La comunicazione del gatto<br />

Sabrina Giussani<br />

Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF, Busto Arsizio (MI)<br />

Il territorio<br />

La nozione di territorio è stata inizialmente utilizzata a<br />

proposito del comportamento degli uccelli: Altum nel 1898<br />

verificò che il canto di questi animali permetteva l’organizzazione<br />

e la difesa dello spazio occupato. Successivamente il<br />

concetto di territorio è stato sempre più equiparato a quello di<br />

proprietà privata tanto che Heymer nel <strong>19</strong>77 definì “il territorio<br />

come una superficie posta all’interno del dominio vitale<br />

di un animale delimitata da marcature e difesa dai conspecifici”.<br />

Nel <strong>19</strong>79 Waser e Wiley proposero per un gran<br />

numero di specie animali la definizione di campi territoriali,<br />

un concetto dinamico che si opponeva a quello piuttosto statico<br />

di territorio. Secondo P. Pageat, per quanto riguarda il<br />

gatto domestico, è possibile distinguere tre tipologie di campi<br />

territoriali: i campi di attività, i campi di isolamento e il<br />

campo di aggressione. I campi di attività sono le zone in cui<br />

il gatto svolge una attività precisa come la caccia (comportamento<br />

di alimentazione), il gioco, l’eliminazione. Nei campi<br />

di isolamento l’animale si apparta ed evita il contatto. Di solito<br />

ci sono al massimo due o tre campi di isolamento, dislocati<br />

preferibilmente in alto: il più classico è il luogo di riposo<br />

che serve anche da rifugio in caso di necessità. Il luogo di eliminazione,<br />

soprattutto in soggetti poco socievoli, può essere<br />

considerato un campo di isolamento. Per quanto riguarda il<br />

campo di aggressione, non si tratta di una vera e propria zona<br />

ma di uno spazio di dimensione variabile, incentrato sull’individuo.<br />

Qualsiasi intrusione provoca quasi istantaneamente<br />

un comportamento di aggressione. Le dimensioni di questa<br />

area variano in funzione dello stato emozionale e fisiologico<br />

dell’animale: quando un gatto è ferito o “impaurito” è notevolmente<br />

ampia, mentre quando è “tranquillo” assume<br />

dimensioni molto ridotte. I campi territoriali sono collegati<br />

fra loro per mezzo di “invisibili” sentieri che il gatto organizza<br />

nel corso delle differenti attività di esplorazione e che<br />

si consolidano a partire dalla pubertà.<br />

Il comportamento dei gatti che vivono in condizioni di<br />

semilibertà o in appartamento è stato oggetto di un ridotto<br />

numero di osservazioni. Secondo alcune osservazioni effettuate<br />

da J. W. S. Bradshaw utilizzando radio–collari in alcuni<br />

gatti domestici sterilizzati di sesso maschile e femminile,<br />

la dimensione del territorio si aggira intorno a 0,27 - 0,45<br />

ettari per ciascun soggetto.<br />

La comunicazione territoriale<br />

L’organizzazione e la funzionalità dell’insieme del territorio<br />

sono assicurate da precise segnalazioni che costituiscono<br />

la comunicazione territoriale: i vocalizzi, i segnali visivi (le<br />

posture, le graffiature, le marcature urinarie) e olfattivi (i<br />

segnali di identificazione e di allarme - feromoni percepiti<br />

dalla mucosa olfattiva che tappezza l’organo vomeronasale di<br />

Jacobson -) permettono al gatto di “orientarsi” nell’ambiente<br />

e allo stesso tempo costituiscono il mezzo di comunicazione<br />

con i conspecifici e, secondo alcuni Autori, anche con gli<br />

esseri umani. Affinché un gattino sia correttamente socializzato<br />

ai conspecifici è necessario che venga a contatto con gatti<br />

almeno fino alla quinta – settima settimana di vita e questo<br />

processo sottintende una corretta gestione della comunicazione.<br />

Secondo Turner la socializzazione intraspecifica è raggiunta<br />

con maggior facilità quando il gattino proviene da una<br />

cucciolata di almeno quattro piccoli, rimane con i fratelli fino<br />

all’età di dodici settimane e se, in questo lasso di tempo, viene<br />

frequentemente in contatto con gatti adulti.<br />

Il gatto domestico utilizza un’ampia gamma di suoni<br />

rispetto agli altri Carnivori: secondo J. W. Bradshaw questo<br />

animale è in grado di emettere ben undici tipi di messaggi<br />

vocali differenti che accompagnano soprattutto il comportamento<br />

di aggressione territoriale e il comportamento sessuale.<br />

Fino a qualche anno fa si pensava che questi segnali fossero<br />

frutto della domesticazione e, quindi, rivolti essenzialmente<br />

verso l’uomo. In seguito numerosi Autori hanno<br />

riscontrato che i vocalizzi possiedono una grande importanza<br />

anche all’interno dei gruppi sociali costituiti dai soli conspecifici.<br />

Fino ad oggi però non è stato realizzato alcuno studio<br />

scientifico dei segnali acustici prodotti dal gatto.<br />

Per quanto riguarda i segnali visivi è possibile evidenziare<br />

le posture e i segnali territoriali (le marcature urinarie e le<br />

graffiature). Secondo P. Pageat è possibile suddividere le<br />

posture in “posture significative di per sé” e in “posture di sottolineatura”.<br />

Le prime portano direttamente l’informazione<br />

principale, come la sequenza del comportamento di aggressione<br />

per irritazione e territoriale. P. Leyhausen ha analizzato<br />

soprattutto i comportamenti di aggressione offensivi e difensivi<br />

e la maggior parte delle attuali conoscenze nascono da queste<br />

osservazioni. Il comportamento di aggressione difensiva (o<br />

per irritazione) è caratterizzato dalla flessione degli arti, le<br />

orecchie sono appiattite sul capo e portate lateralmente e il<br />

corpo bascula progressivamente fino a porsi su di un fianco o<br />

in posizione supina. La coda scompare tra gli arti posteriori.<br />

L’Autore ha inoltre evidenziato un grande numero di posizioni<br />

intermedie: il gatto può variare molto rapidamente la propria<br />

postura in relazione alle modificazioni dello stato emozionale.<br />

Quando il gatto effettua un comportamento di aggressione<br />

offensiva (o territoriale) il tronco si solleva sempre più<br />

grazie all’estensione degli arti anteriori e posteriori, il dorso<br />

assume lentamente la forma ad u rovesciata, le orecchie sono<br />

appiattite sulla testa e portate all’indietro. La coda è inizialmente<br />

abbassata mentre in seguito si solleva sempre più fino


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 129<br />

ad assumere la posizione concava. Se l’intruso non si allontana<br />

il gatto può avvicinarsi rapidamente “di traverso”. Non<br />

sono stati effettuati studi scientifici in relazione al messaggio<br />

portato dal movimento della sola punta della coda e dallo<br />

“scodinzolio” mentre la maggior parte degli Autori è concorde<br />

nel ritenere che la coda tenuta in posizione verticale costituisca<br />

un segnale di “saluto” diretto ai conspecifici o agli esseri<br />

umani che fanno parte del gruppo sociale.<br />

I segnali territoriali sono costituiti dalle graffiature e dalle<br />

marcature urinarie. Le graffiature svolgono prevalentemente<br />

una funzione di comunicazione attraverso la combinazione di<br />

segnali visivi (le tracce lasciate dai graffi) e olfattivi (i feromoni<br />

escreti dalle ghiandole interdigitali). Le graffiature sono<br />

realizzate dall’alto verso il basso con le mani e la particolare<br />

postura dell’animale (arti estesi, dorso eretto) viene chiamata<br />

“postura di sottolineatura” poiché evidenzia la presenza di<br />

un messaggio feromonale. Indicano la presenza di un occupante<br />

abituale di quel territorio e vengono effettuate, indipendentemente<br />

dalla presenza di conspecifici, in luoghi strategici<br />

come ad esempio supporti verticali bene in vista in<br />

vicinanza dei campi di isolamento, di caccia (o di alimentazione),<br />

di eliminazione e nei luoghi di passaggio tra l’interno<br />

e l’esterno dell’abitazione. Le marcature urinarie sono realizzate<br />

emettendo uno spot di urina del diametro di 10-20 centimetri<br />

(che costituisce un segnale visivo) circa ad un’altezza<br />

di 30-50 centimetri da terra su di un supporto verticale. Sono<br />

caratterizzate da una specifica sequenza comportamentale<br />

che le differenzia dagli altri tipi di minzione: il gatto ricerca<br />

olfattivamente il luogo in cui effettuerà lo spot, rimane poi in<br />

stazione quadrupedale (non si accuccia), muove alternativamente<br />

i piedi e, mentre la coda tenuta in posizione verticale<br />

vibra, effettua la marcatura urinaria. In seguito esplora olfattivamente<br />

i feromoni emessi grazie al comportamento del<br />

Flehmen. Le marcature urinarie di tipo reattivo indicano la<br />

presenza di un occupante abituale del territorio e sono deposte<br />

nei pressi dell’intersezione tra una via di passaggio (sentiero)<br />

ed un campo di attività mentre quelle di tipo sessuale<br />

sono effettuate in prossimità delle uscite verso l’esterno (porte<br />

e finestre), spesso accompagnate da vocalizzi. Le marcature<br />

urinarie vengono effettuate sia dai maschi sia dalle femmine<br />

anche se la frequenza di questo comportamento è maggiore<br />

negli individui di sesso maschile. L’orchiectomia e l’ovariectomia<br />

sono in grado di inibirne la comparsa solo se effettuate<br />

prima del periodo pubertario. Quando l’intervento chirurgico<br />

di sterilizzazione non è realizzato entro 8 - 15 giorni<br />

dall’esecuzione delle prime marcature da “adulto”, il comportamento<br />

permane anche in seguito. La sterilizzazione<br />

“tardiva” può provocare la diminuzione della frequenza delle<br />

marcature e l’attenuazione dell’odore quando emesse da<br />

un individuo di sesso maschile, poiché legato al deterioramento<br />

di alcuni componenti aromatici presenti nello sperma.<br />

I segnali di identificazione o di familiarità sono costituiti<br />

dai “feromoni facciali” deposti mediante lo sfregamento della<br />

parte laterale del viso (dalla commessura labiale fino alla<br />

zona di cute glabra posta a livello delle tempie), sugli oggetti<br />

e sugli esseri viventi esplorati che in questo modo divengono<br />

conosciuti e non rappresentano più un pericolo. La<br />

maggior parte di questi messaggi non solo agisce sui conspecifici<br />

ai quali sono diretti ma anche sullo stesso individuo<br />

che li ha emessi. Gli studi sinora effettuati hanno permesso<br />

di determinare l’esistenza di almeno tre secrezioni che possono<br />

essere messe in relazione con una situazione funzionale<br />

precisa: F2 è la secrezione deposta durante l’eccitazione<br />

sessuale soprattutto dal gatto maschio in presenza di una<br />

femmina in proestro o in estro, F3 è la secrezione deposta<br />

sugli oggetti che fanno parte dell’ambiente in cui il gatto<br />

vive (soprattutto su quelli che si trovano lungo i sentieri), F4<br />

è la secrezione deposta sui conspecifici appartenenti alla<br />

stessa colonia, sugli animali e sugli esseri umani che fanno<br />

parte “del gruppo famigliare” (allomarcatura). La deposizione<br />

e la successiva percezione della frazione F3 produce nell’individuo<br />

un effetto “rassicurante” e diminuisce la probabilità<br />

di apparizione di risposte comportamentali legate alla<br />

paura. Inoltre rilancia il comportamento alimentare ed esploratorio<br />

mentre inibisce il comportamento di marcatura urinaria<br />

di tipo reattivo e in minor misura sessuale.<br />

I segnali di allarme sono rappresentati da feromoni secreti<br />

dai sacchi anali e dalle ghiandole poste nei cuscinetti plantari.<br />

La percezione di queste molecole provoca reazioni di<br />

evitamento e di fuga. Agiscono sia sull’individuo che li ha<br />

emessi, sia sui conspecifici e possono anche costituire una<br />

comunicazione interspecifica.<br />

Il comportamento sociale<br />

Fino ad alcuni anni fa la maggior parte dei ricercatori considerava<br />

il gatto come un animale solitario, in grado di creare<br />

relazioni con i conspecifici solo in occasione dell’accoppiamento<br />

e della cura della prole. Recenti studi hanno evidenziato<br />

che il sistema sociale del gatto può variare in funzione<br />

della situazione ambientale: individui solitari, piccoli<br />

gruppi, colonie, matriarcati. Kerby e Macdonald hanno evidenziato<br />

la presenza di gruppi di gatti, definiti colonie, che si<br />

costituiscono soprattutto nelle città in relazione alle risorse<br />

alimentari distribuite dagli esseri umani. I gatti che compongono<br />

le colonie sono soprattutto femmine imparentate tra<br />

loro, i piccoli e alcuni maschi non ancora maturi sessualmente<br />

mentre i maschi puberi vivono ai confini del gruppo.<br />

All’interno della colonia le femmine, soprattutto le coppie<br />

madre – figlia, collaborano tra loro per quanto riguarda la<br />

cura dei piccoli mentre nei gruppi composti da un ridotto<br />

numero di individui tutte gli individui di sesso femminile partecipano<br />

alle cure parentali. La madre punisce i morsi “non<br />

controllati”, le corse sfrenate e i vocalizzi eccessivi infliggendo<br />

piccoli colpetti sul naso del gattino o graffiandogli<br />

l’addome con gli arti posteriori P. Leyhausen ha dimostrato<br />

l’esistenza anche di gruppi costituiti da soli maschi adulti.<br />

Anche se il comportamento dei gatti che vivono nelle<br />

nostre case è stato oggetto di un ridotto numero osservazioni,<br />

alcuni Autori hanno evidenziato relazioni stabili e strutturate<br />

tra i componenti del gruppo che fanno supporre l’esistenza<br />

di una società non ancora completamente conosciuta.<br />

All’interno dei gruppi di gatti, sia in condizione di libertà sia<br />

di vita domestica, non sembra presente un’organizzazione<br />

sociale di tipo gerarchico così come invece appare nel cane.<br />

Lehyausen e Dehasse parlano di gerarchia sociale relativa o<br />

statistica: “Primo arrivato, meglio servito”. In funzione del<br />

luogo (campo di attività o di isolamento) e del momento della<br />

giornata il gatto che ha accesso ad una risorsa ne mantie-


130 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ne il possesso fino a quando ha terminato di utilizzarla. In<br />

alcuni gruppi, soprattutto costituiti da più individui, può<br />

instaurasi una relazione di tipo “dispotico”: uno tra i gatti<br />

spesso rivendica l’accesso al cibo e l’occupazione di alcuni<br />

luoghi di riposo allontanandone i “contendenti”. Alcuni<br />

Autori hanno evidenziato la presenza di un individuo definito<br />

omega che svolge il ruolo di “valvola di sfogo” del gruppo<br />

poiché nei suoi confronti vengono effettuati comportamenti<br />

di aggressione che hanno lo scopo di “scaricare la<br />

tensione”. Allo stesso tempo due o più gatti possono creare<br />

una relazione preferenziale: in questo caso condividono il<br />

luogo di riposo ed è presente il comportamento di leccamento<br />

reciproco (allogrooming). Il comportamento di “sfregare<br />

a vicenda” le guance, i fianchi e la coda contribuisce<br />

alla diffusione di un odore caratteristico del gruppo sociale<br />

che inibisce il comportamento di aggressione territoriale.<br />

Crowell-Davis SL. osservando le interazioni esistenti in una<br />

popolazione composta da 28 gatti ha evidenziato che, considerando<br />

la relazione tra due gatti (diade), quello più pesante<br />

aveva più frequentemente un grado più elevato in ogni gerarchia.<br />

Sulla base di informazioni diadiche, il gatto più anziano<br />

era più spesso vincente nelle interazioni agonistiche. I maschi<br />

avevano una media sul livello di dominanza più elevata rispetto<br />

alle femmine; tuttavia il sesso non aveva effetto sulla gerarchia<br />

determinata attraverso le interazioni sulla ciotola del cibo.<br />

Invece, secondo P. Pageat, la dominanza non sembra essere un<br />

concetto rilevante nella descrizione e nella comprensione delle<br />

relazioni sociali feline. Cercare di identificare un dominante<br />

o un sottomesso non ha senso e questa confusione potrebbe<br />

essere responsabile degli scarsi risultati che spesso vengono<br />

ottenuti nel trattamento di alcuni di questi casi.<br />

La comunicazione con l’uomo<br />

Per molto tempo la prova indiscutibile e più antica della<br />

convivenza gatto - uomo risiedeva in Egitto. Soprattutto la<br />

sottospecie africana, Felis sylvestris libyca, è stata l’oggetto<br />

del processo di domesticazione e tale processo sembra essere<br />

avvenuto grazie al lavoro svolto dai gatti come cacciatori<br />

di topi nei granai. Recentemente sull’isola di Cipro è stata<br />

rinvenuta una sepoltura datata 9000 a.c. dove un essere umano<br />

si trova in compagnia di un gatto di taglia abbastanza<br />

importante. Il gatto, così come l’uomo, appare ricoperto da<br />

conchiglie, piante, pietre preziose e questo particolare<br />

potrebbe testimoniare il carattere intimo della relazione. L’origine<br />

della convivenza, quindi, potrebbe non essere di tipo<br />

utilitaristico ma affettivo. Numerosi Autori definiscono il<br />

gatto un animale sociale facoltativo, in grado di creare relazioni<br />

con ciascun componente del gruppo formato da conspecifici,<br />

esseri umani o altri animali.<br />

La socializzazione nei confronti degli esseri umani è fondamentale<br />

al fine di creare una corretta relazione tra il gattino<br />

e il proprietario. Questo processo avviene grazie alla interazione<br />

tattile e vocale con il gattino in un contesto positivo:<br />

somministrare semplicemente il cibo non è sufficiente. Il gattino<br />

dovrà essere ripetutamente manipolato da uomini, donne<br />

e bambini in presenza della madre solamente se quest’ultima<br />

è correttamente socializzata alla specie umana, altrimenti i<br />

piccoli assoceranno le reazioni di evitamento e di fuga alla<br />

presenza dell’uomo. Il processo di apprendimento nel periodo<br />

sensibile raggiunge l’apice dalla seconda alla settima settimana<br />

di vita dei gattini e decresce rapidamente fino alla<br />

decima – undicesima settimana. Al di là della dodicesima –<br />

quattordicesima settimana di vita la socializzazione interspecifica<br />

appare pressoché irrealizzabile. Inoltre, per migliorare<br />

la tolleranza al contatto dei gattini, è consigliabile accarezzare<br />

e massaggiare ripetutamente il ventre della partoriente,<br />

soprattutto nell’ultimo terzo della gravidanza poiché la sensibilità<br />

tattile è già presente al <strong>21</strong>° giorno di gravidanza.<br />

I gatti utilizzano un grande numero di vocalizzi anche nella<br />

relazione con il proprietario. Moelk nel <strong>19</strong>44 ha cercato di<br />

mettere in relazione i messaggi emessi con il significato attribuito<br />

dagli esseri umani ma fino ad oggi non è stato creato<br />

alcun codice che permetta l’identificazione di questi segnali.<br />

Per lungo tempo le fusa sono state considerate la manifestazione<br />

più evidente della relazione con l’essere umano; ancora<br />

oggi il significato di questo suono è conosciuto solo in parte.<br />

Kiley – Worthington ha evidenziato che possono essere emesse<br />

in occasione di un contatto con il proprietario o con un conspecifico,<br />

durante il comportamento di caccia, di aggressione<br />

o sessuale ma anche in occasione della percezione di un dolore<br />

molto intenso. Turner nel <strong>19</strong>91 ha osservato che, in generale,<br />

le interazioni tattili inziate dall’animale durano più a lungo<br />

rispetto a quelle iniziate dal proprietario mentre Mertens<br />

evidenzia che il comportamento di “strusciarsi” sui proprietari<br />

è più frequente nei gatti che vivono in condizioni di libertà<br />

rispetto a quelli che vivono in appartamento. La stessa cosa<br />

accade per quanto riguarda i gatti che vivono soli rispetto a<br />

quelli che convivono con i propri simili.<br />

Frequentemente il gatto crea con un essere umano appartenente<br />

al gruppo famigliare una relazione definita “preferenziale”,<br />

caratterizzata dalla ricerca di prossimità, dalla<br />

condivisione del luogo di riposo, dall’aumento della frequenza<br />

di esecuzione del comportamento di sfregamento<br />

delle guance e dei fianchi. Ritengo che il gatto consideri il<br />

proprietario non come una parte del territorio ma come un<br />

componente (appartenente ad una specie differente) del<br />

gruppo. La comunicazione realizzata nei confronti degli<br />

esseri umani appare simile a quella messa in atto nei confronti<br />

dei conspecifici anche se al momento attuale non ci<br />

sono studi scientifici a questo proposito.<br />

Bibliografia<br />

J. W. S. Bradshaw, “Il comportamento del gatto”, Edagricole, <strong>19</strong>96;<br />

P. M. Waser, R. H. Wiley, “Mechanisms and evolution of spacing in animals”,<br />

<strong>19</strong>90;<br />

P. Pageat, “Is the concept of dominance relevant in cat? Preliminary results<br />

of food competition test” (pg.<strong>19</strong>-23) Atti del “second annual meeting<br />

of the European College of Veterinary Behavioural Medicine-Companion<br />

Animals Marsiglia, ottobre 2005;<br />

R. Colangeli, S. Giussani, “Medicina comportamentale del cane e del gatto”,<br />

Poletto Editore, Gaggiano 2004;<br />

RJ Knowles, Curtis TM, Crowell-Davis SL, “Correlation of dominance as<br />

determined by agonistic interactions with feeding order in cats”, 2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Sabrina Giussani<br />

E-mail: sgiuss@mac.com


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 131<br />

Medicina parodontale: perché la malattia parodontale è così<br />

comune e perché è importante negli animali da compagnia<br />

(ripercussioni sistemiche della malattia parodontale)<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

La “malattia parodontale” o “periodontopatia” indotta dalla<br />

placca viene spesso distinta in gengivite (infiammazione della<br />

gengiva) e periodontite (infiammazione del legamento periodontale<br />

e dell’osso alveolare). La periodontite è un’osteomielite dell’osso<br />

alveolare e viene riconosciuta come “recessione gengivale”<br />

o formazione di tasche profonde. Sino ad oggi, nelle tasche<br />

periodontali del cane e del gatto sono state identificate circa 500<br />

specie batteriche. Quando la pulizia per sfregamento determinata<br />

dall’occlusione è insufficiente, il biofilm della placca dentale<br />

sullo smalto si ispessisce e va incontro a maturazione. Nella sua<br />

parte più profonda, l’ossigeno viene soffocato dalla crescita attiva<br />

dei microrganismi aerobi e si instaura un ambiente anaerobio.<br />

I “periodontopatogeni” sono i batteri anaerobi specifici ritenuti<br />

la causa della gengivite e della periodontite. Un microrganismo<br />

bastoncellare anaerobio negativo, Porphyromonas gingivalis, è<br />

considerato il periodontopatogeno chiave nell’uomo; il suo equivalente<br />

nei mammiferi viene indicato con il nome di Porphyromonas<br />

gulae. Nelle tasche periodontali sono molto comuni le<br />

spirochete. L’effetto patologico iniziale a livello locale è l’infiammazione<br />

dei tessuti gengivali. Nella zona vengono attratti i<br />

neutrofili, che si muovono sulla superficie epiteliale attraverso i<br />

grandi spazi intercellulari dell’epitelio del solco e fagocitano e<br />

digeriscono la placca batterica. Molti di questi neutrofili vanno<br />

incontro ad un’eccessiva replezione e “scoppiano”, rilasciando<br />

tossine batteriche ed enzimi distruttivi e citochine. Quando l’igiene<br />

orale è scarsa, la carica batterica è in costante aumento. Ciò<br />

incrementa la risposta infiammatoria e la miscela di batteri e prodotti<br />

di degradazione cellulare diventa distruttiva, esercitando il<br />

suo effetto sui tessuti periodontali. Lo strato epiteliale del solco<br />

si ulcera, esponendo maggiormente all’invasione batterica il tessuto<br />

connettivo, più vulnerabile,. Man mano che la miscela<br />

distruttiva flogistico-infettiva scende sempre più in profondità<br />

nei tessuti, il riassorbimento indotto dall’infiammazione erode<br />

l’osso alveolare in modo da determinare una periodontite (osteomielite<br />

dell’osso alveolare). Il perdurare della perdita ossea provoca<br />

l’instabilità dell’attacco del dente. Il risultato è la mobilizzazione<br />

del dente, che durante la masticazione viene quindi spinto<br />

contro l’osso rimasto, e poi la sua caduta; quest’ultima avviene<br />

solo quando vicino alle radici del primo dente mandibolare di<br />

alcuni cani di razza toy è rimasta solo una striscia lunga e sottile<br />

di osso mandibolare. È possibile la frattura patologica della mandibola.<br />

Nell’arco di tempo tipicamente lungo che va dall’inizio<br />

della gengivite e l’eliminazione finale del dente, i batteri che si<br />

trovano adiacenti ai capillari possono finire per causare una batteriemia.<br />

Quest’ultima è frequente nei pazienti con gengivite e<br />

periodontite attiva e negli animali altrimenti sani viene rapidamente<br />

eliminata dal sistema reticoloendoteliale. Tuttavia, sia nell’uomo<br />

che nel cane esiste un’associazione fra la gravità della<br />

periodontopatia e le anomalie a carico degli organi distanti e una<br />

recente indagine condotta nella specie canina ha dimostrato che<br />

gli effetti sistemici possono essere fatti regredire dal trattamento<br />

periodontale. Anche nel caso di un cane che collabora non possiamo<br />

effettuare un sondaggio affidabile delle tasche periodontali<br />

in un paziente sveglio. La semplice “profondità della tasca”<br />

è una misura inaffidabile; può sotto- o sovrastimare l’estensione<br />

della periodontite per effetto, rispettivamente, di una recessione<br />

o di un’iperplasia della gengiva. Possiamo riconoscere la gengivite<br />

e la recessione gengivale; tuttavia, nel cane si ha spesso una<br />

scarsa correlazione fra la gravità della gengivite visibile e l’estensione<br />

della periodontite attiva o pregressa. La prevenzione è<br />

volta a ritardare l’accumulo di placca e tartaro o a sopprimere gli<br />

effetti istodistruttivi della risposta infiammatoria. Che cosa è disposto<br />

a fare il proprietario e sino a che punto è in grado di farlo<br />

e che cosa è disposto ad accettare il paziente? Lo standard aureo<br />

resta la spazzolatura giornaliera. La soluzione migliore è una<br />

combinazione di approcci.<br />

Le possibili opzioni sono rappresentate da:<br />

1. Stimolazione dell’attività di masticazione naturale, ad es.<br />

mediante l’uso costante di prodotti e diete da masticare<br />

che siano efficaci per ritardare l’accumulo di placca e tartaro.<br />

Si veda il VOHC Accepted Seal ® (www.VOHC.org)<br />

2. Effetto antiplacca di tipo chimico. L’efficacia a lungo termine<br />

della clorexidina nel cane è ben documentata. In commercio<br />

si trovano anche molti altri prodotti antiplacca, benché la<br />

documentazione sulla loro efficacia sia scarsa o assente.<br />

3. I trattamenti superficiali prolungano il vantaggio dell’ablazione<br />

professionale. La lucidatura della superficie dentale<br />

dopo l’ablazione del tartaro rappresenta lo standard.<br />

Trattamenti più recenti sono l’applicazione di un materiale<br />

al silicone o simil-ceroso sulla superficie del dente.<br />

4. Prevenzione dell’accumulo di tartaro per via meccanica<br />

(mediante ablazione professionale) o tramite un effetto<br />

chimico (i polifosfati sono dotati di un effetto di chelazione<br />

del Ca ++ che ritarda la deposizione dei sali di calcio<br />

della saliva o della dieta sotto forma di tartaro)<br />

5. Correggere i “fattori dell’ospite” che possono esacerbare<br />

la periodontite (ad es., malattia sistemica)<br />

6. Prevenire l’accumulo o ridurre gli effetti dei batteri patogeni.<br />

La terapia antibatterica sistemica non è consigliata per il trattamento<br />

a lungo termine. L’uso di un antibiotico posto in un<br />

carrier in una tasca periodontale ha un’efficacia moderata.<br />

Un recente lavoro su P. gulae nel cane dimostra che l’approccio<br />

mediante un vaccino può essere efficace.<br />

Bibliografia<br />

Harvey CE: Periodontal Disease: Understanding the options. Veterinary Clinics<br />

of North America – Small Animal Practice. 35; 8<strong>19</strong>-836, July 2005.


132 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Prevenzione e trattamento della malattia parodontale<br />

nel cane e nel gatto<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

Il trattamento della malattia parodontale o periodontopatia<br />

consiste nella prevenzione e, quando è presente un’estesa<br />

periodontite (perdita di osso alveolare), nella terapia chirurgica<br />

o di altro tipo per eliminare le tasche o ristabilire un<br />

manicotto gengivale funzionale. Nelle sedi gravemente colpite,<br />

l’unico trattamento praticabile è l’estrazione. Eseguire<br />

un intervento di terapia periodontale non è come castrare un<br />

animale giovane e sano: tutti i pazienti presentano caratteristiche<br />

esclusive per quanto riguarda l’estensione della deposizione<br />

di placca/tartaro, la risposta tissutale e gli effetti locali e<br />

la maggior parte degli animali con periodontopatia è di media<br />

età o anziana. Il trattamento periodontale sotto anestesia,<br />

effettuato senza discutere preventivamente con il proprietario<br />

le potenziali procedure necessarie, è una causa comune di<br />

lamentele e insoddisfazione da parte della clientela ed in molti<br />

casi esita probabilmente in un risultato macroscopicamente<br />

insufficiente perché il tempo dedicato ad ogni dato soggetto<br />

non è abbastanza lungo per attuare le procedure indicate.<br />

Benché alcuni tecnici veterinari possano effettuare in modo<br />

efficace l’ablazione del tartaro dai denti, occorre tenere presente<br />

che la gengivite e la periodontite sono “malattie” e che<br />

la diagnosi e la determinazione del trattamento più indicato<br />

sono funzioni esclusive della professione veterinaria, che<br />

devono essere svolte da un veterinario abilitato.<br />

Prima dell’anestesia occorre determinare due fattori:<br />

1. Il paziente è abbastanza sano da tollerare la durata dell’anestesia<br />

che potrebbe essere necessaria per l’ablazione/<br />

lucidatura dei denti e per il trattamento specifico di ogni<br />

singolo dente gravemente colpito?<br />

2. Se può essere necessario un trattamento periodontale, il<br />

proprietario è disposto ad attuare costantemente e per un<br />

periodo prolungato le cure a casa ed è in grado di farlo?<br />

Una volta che il paziente è sotto anestesia, risulta di<br />

importanza critica l’esame della parte. In alcuni casi, prima<br />

di poter esaminare un dente può essere necessario l’ablazione.<br />

In una bocca con una dentizione completa bisogna prendere<br />

42 decisioni separate – una per ciascun dente –, basate<br />

sulla peggiore fra le radici colpite di quel dente. Ogni dente<br />

deve essere sottoposto ad un triage che permetta di classificarlo<br />

in una delle seguenti categorie:<br />

• Il dente non presenta periodontite moderata o grave: l’unico<br />

intervento professionale richiesto è l’ablazione/lucidatura.<br />

• Il dente può essere conservato, ma necessita di un trattamento<br />

periodontale specifico, oltre all’ablazione/lucidatura<br />

• Il dente è troppo alterato per essere mantenuto: l’unica<br />

opzione è l’estrazione.<br />

È utile distinguere fra le procedure “preventive” e quelle “terapeutiche”,<br />

che rientrano entrambe sotto la voce di “trattamento”<br />

periodontale. L’ablazione/lucidatura dentale è una procedura<br />

preventiva: rimuove la causa dell’infezione e consente ai tessuti<br />

di ripristinarsi per guarire. I moderni apparecchi ad ultrasuoni,<br />

impiegati con punte studiate per l’ablazione sottogengivale, hanno<br />

reso più facile e più piacevole da eseguire questa operazione.<br />

Questi apparecchi non hanno eliminato la necessità di essere<br />

accurati, e l’ablazione dentale in un paziente che presenti anche<br />

solo degli accumuli moderati di tartaro richiede tempo. Una procedura<br />

completa di ablazione/lucidatura prevede l’esame periodontale<br />

(compreso il charting dentale e le radiografie dei denti,<br />

se indicati), l’ablazione sopra- e sottogengivale, l’esame del dente<br />

(corona e radice), la lucidatura di tutte le superfici dentali non<br />

adese ad altri tessuti, l’irrigazione sottogengivale e la prescrizione<br />

delle cure da effettuare a casa. In un paziente umano con grave<br />

periodontite, l’ablazione/ lucidatura è una procedura di pretrattamento<br />

– la decisione relativa all’effettivo trattamento della<br />

periodontite o della perdita di tessuti molli viene spesso rinviata<br />

di un paio di settimane fino a che non sia chiaro l’effetto della<br />

procedura di ablazione/lucidatura. L’esame postablazione indica<br />

se e quale sia lo specifico trattamento chirurgico necessario. La<br />

necessità di ricorrere all’anestesia per poter effettuare un esame<br />

orale/dentale completo negli animali limita ciò che possiamo<br />

sapere dei nostri pazienti prima di indurre l’anestesia. In molti<br />

casi, le procedure da effettuare su più stadi sono poco pratiche o<br />

inaccettabili per il proprietario. Quindi, anche in alcuni pazienti<br />

che collaborano, ai dentisti veterinari viene richiesto di effettuare<br />

la diagnosi e un trattamento completo in un’unica sessione e<br />

l’esame per determinare la necessità di un trattamento chirurgico<br />

viene effettuato su tessuti che non sono sani. I pazienti con periodontite<br />

estesa possono venire trattati con un antibiotico per 7-10<br />

giorni prima dell’anestesia, in modo che al momento della valutazione<br />

i tessuti siano meno infiammati. Quando è presente un’estesa<br />

periodontite o una perdita di tessuti molli, il “trattamento”<br />

è rappresentato dalla correzione della perdita esistente dell’attacco,<br />

in modo da stabilizzare quello che resta e prevenire le ulteriori<br />

perdite tissutali, oppure dall’estrazione del dente. Esistono<br />

molte opzioni terapeutiche che consentono di preservare i denti<br />

che hanno subito gravi perdite dell’attacco. La scelta della specifica<br />

procedura da utilizzare dipende da parecchi fattori, che comprendono<br />

l’estensione e le condizioni di salute della gengiva che<br />

circonda il dente, l’entità della perdita dell’attacco, la mobilità<br />

del dente e l’esposizione della biforcazione (perdita di osso<br />

alveolare fra le radici dei denti che ne hanno più d’una). Il trattamento<br />

chirurgico (diverso dall’estrazione) è sempre accompagnato<br />

da approfonditi interventi di ablazione e lucidatura.<br />

Bibliografia<br />

Harvey CE: Periodontal Disease: Understanding the options. Veterinary Clinics<br />

of North America – Small Animal Practice. 35; 8<strong>19</strong>-836, July 2005.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Colin Harvey - VHUP 3113 -<br />

3900 Delancey Street - Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 133<br />

Chirurgia del cavo orale:<br />

le piccole cose che fanno una grande differenza<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

I tessuti orali sono ben vascolarizzati, guariscono più rapidamente<br />

della cute e prosperano in un ambiente contaminato.<br />

La chirurgia orale dovrebbe essere facile in confronto a<br />

quella che si esegue su altre strutture corporee. Ed è così, se<br />

si superano i problemi derivanti dall’interfaccia fra l’osso ed<br />

i tessuti molli e dagli effetti complicanti dei denti nel campo<br />

operatorio. La maggior parte degli interventi di chirurgia<br />

orale riguarda la gengiva, sia quando si opera nell’ambito di<br />

un trattamento periodontale, sia quando si eseguono riparazioni<br />

di un trauma, estrazioni o rimozioni di tumori. La gengiva<br />

è spessa, non elastica e saldamente adesa all’osso sottostante.<br />

A livello della giunzione mucogengivale, però, si<br />

modifica bruscamente trasformandosi in un epitelio elastico<br />

più sottile e lassamente unito all’osso sottostante; nel tessuto<br />

connettivo sono presenti grandi fasci neurovascolari.<br />

Principi di chirurgia orale<br />

Incisione: pianificate la linea di incisione che intendete effettuare<br />

ed attenetevi a quanto avete pianificato al momento di<br />

tagliare davvero. Quando lavorate intorno ai denti, comprendete<br />

le papille interdentali ed evitate di realizzare lunghi lembi<br />

stretti. Utilizzate una lama da bisturi nuova con un controllo a<br />

due mani – è molto facile che il bisturi venga deviato e cambi<br />

direzione quando viene premuto contro l’osso. Praticate una<br />

sola incisione piuttosto che una serie di tagli frastagliati. Non<br />

usate un elettrobisturi per praticare incisioni destinate ad essere<br />

suturate. Tenete al sicuro le principali strutture neurovascolari<br />

(infraorbitali, mentali) mentre praticate l’incisione.<br />

Dissezione: Servitevi di uno scollaperiostio per separare la<br />

gengiva incisa dall’osso. Ciò richiede una mano ferma unita ad<br />

un controllo eccellente. Mantenete un’angolazione di circa 30°<br />

fra lo strumento e la superficie dell’osso, stirando e separando<br />

la gengiva dai tessuti sottostanti senza lacerarla. Tenete a mente<br />

la localizzazione della giunzione mucogengivale – la mucosa<br />

alveolare è molto più cedevole e lo scollaperiostio può scivolare<br />

e lacerare il tessuto se non viene controllato. Durante<br />

l’intervento che seguirà la realizzazione del lembo, tenete sollevata<br />

la gengiva e mantenete umido l’osso sottostante.<br />

Controllo dell’emorragia: può darsi che non sia possibile<br />

effettuare la legatura locale perché il vaso si trova in un canale<br />

osseo o si è ritirato in un tessuto adiacente che contiene strutture<br />

nervose di importanza critica. Per le arterie mandibolari e<br />

palatine che non sono accessibili per la legatura utilizzare la<br />

compressione. Se il sanguinamento orale è fuori controllo, si<br />

deve ricorrere alla legatura della o delle arterie carotidi. Limitate<br />

l’uso dell’elettrochirurgia alle sedi di tessuto connettivo che<br />

non siano molto vicine a strutture nervose imponenti.<br />

Chiusura: verificate la superficie dell’osso – levigare le prominenze<br />

scabre con una grossa fresa rotonda in modo che non<br />

lacerino i tessuti molli, dal momento che questi si muovono<br />

dopo l’intervento. Pianificare le suture in modo che si riformino<br />

i margini gengivali dei denti superstiti. Se esiste la possibilità<br />

di applicare i punti in modo che l’incisione non si venga a trovare<br />

sopra uno spazio vuoto, utilizzatela, anche se ciò significa<br />

allargare la linea di incisione in modo tale che il tessuto possa<br />

venire ruotato in modo da allontanarlo dalla cavità. Coprite i<br />

difetti ossei suturando i tessuti apponendoli senza tensione. Se<br />

necessario, scollare ulteriormente la mucosa alveolare per ottenere<br />

una quantità di tessuto sufficiente per eseguire la sutura<br />

senza esercitare tensioni. La scelta del materiale o del tipo di<br />

ago è meno importante della cura con cui viene applicato.<br />

Generalmente si utilizza una sutura semplice a punti staccati in<br />

materiale assorbibile 4-0 o 5-0 con un ago triangolare con<br />

tagliente esterno. La gengiva tende a lacerarsi quando viene<br />

manipolata grossolanamente. Far passare un ago attraverso la<br />

gengiva adesa, premere la punta dell’ago stesso sulla superficie<br />

ossea, tirarlo leggermente indietro e poi girarlo in modo che la<br />

punta sia parallela alla superficie dell’osso mentre lo fate scivolare<br />

attraverso il tessuto. Proteggere i tessuti in apposizione –<br />

non legarli strettamente. Rinforzare il nodo con un passaggio di<br />

filo in più e lasciare i capi recisi più lunghi di quanto non fareste<br />

normalmente per una sutura assorbibile, perché la lingua<br />

lavora sui punti e slega quelli con i capi corti.<br />

Procedure radicali: quando si esegue un intervento chirurgico<br />

radicale, non bisogna essere timorosi o lenti. Quando sarà<br />

necessaria la ricostruzione (di solito per separare le cavità nasali<br />

ed orali) pianificare le incisioni in modo da evitare la tensione sulle<br />

linee di sutura. È disponibile del tessuto, ma può darsi che dobbiate<br />

dimostrare una certa creatività per trovarlo. Rimuovere più<br />

osso per lisciare il perimetro di un difetto. Praticare delle grandi<br />

incisioni liberatorie ed utilizzare, se necessario, l’altro labbro.<br />

Trattamento della deiscenza: ripulire i margini dell’incisione;<br />

se necessario, allargare i lembi esistenti per ottenere una<br />

sutura senza tensione.<br />

Spesso non è necessario un trattamento antibiotico; per un<br />

rapido recupero della funzionalità è indicata l’analgesia postoperatoria.<br />

Impedire l’accesso a materiali che si possano masticare<br />

per 2-3 settimane.<br />

Bibliografia<br />

Harvey CE, Emily PP: Small Animal Dentistry. CV Mosby Co, St. Loius, <strong>19</strong>93.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Colin Harvey - VHUP 3113 -<br />

3900 Delancey Street - Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA


134 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Medicina felina cosa c’è di nuovo<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

L’accumulo di placca e tartaro a livello dentale è causa di<br />

gengivite, che comunemente porta a periodontite (osteomielite<br />

alveolare). Le affezioni periodontali nel gatto possono<br />

essere controllate, benché in genere questi animali non collaborino<br />

alle operazioni di cure a casa. Due malattie orali<br />

frustranti, la stomatite e le lesioni da riassorbimento dentale,<br />

sono molto più comuni nel gatto che nel cane.<br />

Stomatite<br />

La stomatite è un’infiammazione localizzata in un punto qualsiasi<br />

della bocca. La dolorosa “stomatite cronica” (infiammazione<br />

o ulcerazione orale non gengivale) è un’entità clinicamente<br />

riconosciuta nel gatto. Si osservano lesioni bilaterali infiammate o<br />

ulcerate adiacenti alla gengiva infiammata o nelle pliche boccali<br />

caudali: lingua e palato duro sono colpiti solo raramente. Diagnosi:<br />

lo scopo dei test diagnostici in questi pazienti è quello di confermare<br />

o escludere la possibile esistenza di cause sottostanti. Nei<br />

gatti con infiammazione orale cronica si raccomanda caldamente<br />

l’esecuzione dei test per la diagnosi dell’infezione da FeLV e FIV,<br />

dal momento che questi agenti virali provocano immunosoppressione.<br />

I test di isolamento virale spesso permettono di identificare<br />

la presenza dei calicivirus nei fluidi orali, benché questi virus si<br />

riscontrino spesso anche in gatti clinicamente normali. È comune<br />

l’ipergammaglobulinemia, conseguente alla produzione di anticorpi<br />

dovuta all’invasione batterica dei tessuti orali. Le biopsie<br />

spesso evidenziano un numero elevato di linfociti e plasmacellule;<br />

tuttavia, questa è una risposta prevista all’invasione batterica<br />

cronica. Sino ad oggi, benché ormai siano state acquisite molte<br />

conoscenze sulla fisiologia della stomatite infettiva felina, non ne<br />

è ancora stata identificata una causa specifica. Attualmente vengono<br />

utilizzati molti trattamenti, con successo variabile. Il trattamento<br />

periodontale (ablazione, cure a casa) fa parte della terapia<br />

medica; di raro è sufficiente di per sé. Nei gatti con dolore orale,<br />

la collaborazione del proprietario è spesso scarsa. La terapia antibiotica<br />

determina spesso un beneficio di breve durata. La soppressione<br />

dell’attività batterica orale riduce l’infiammazione locale,<br />

ripristina l’appetito e diminuisce il disagio; tuttavia, di solito si<br />

osservano rapide recidive. Esami colturali ed antibiogrammi sono<br />

uno spreco di tempo e denaro a causa della ricchezza della flora<br />

orale. I farmaci d’elezione sono l’amossicillina-acido clavulanico,<br />

la clindamicina, il metronidazolo o il pradofloxacin. I farmaci<br />

antinfiammatori spesso determinano un miglioramento che dura<br />

più a lungo di quello ottenuto con un ciclo di antibiotici a breve<br />

termine e possono essere titolati riducendone la posologia sino ad<br />

ottenere un dosaggio minimo; in alcuni pazienti è necessario un<br />

trattamento a lungo termine. Sono stati impiegati sia farmaci<br />

immunosoppressori che molti altri trattamenti. Non esistono risultati<br />

di prove cliniche controllate casuali e condotte alla cieca che<br />

possano aiutare il clinico. Il trattamento più sicuro è l’estrazione<br />

di tutti i premolari ed i molari: nel 70-80% dei gatti colpiti è stato<br />

descritto un significativo miglioramento a lungo termine. È<br />

essenziale rimuovere tutti i frammenti delle radici.<br />

Lesioni da riassorbimento dentale<br />

In questa condizione, si verificano delle cavitazioni in qualsiasi<br />

punto della superficie cementale delle radici dei denti. Le<br />

lesioni localizzate a livello del margine gengivale sono spesso<br />

coperte da tessuto gengivale granulomatoso e possono scalzare<br />

la corona causandone la frattura. Una conseguenza comune è la<br />

ritenzione delle radici. Spesso, effettuando il sondaggio del dente<br />

e della gengiva colpiti si suscita un movimento della mandibola<br />

per cui l’animale “batte i denti”. Poiché questa condizione<br />

è accompagnata da dolore, i gatti possono sviluppare disfagia,<br />

anoressia e disidratazione, benché le lesioni da riassorbimento<br />

(in particolar modo dei canini) si osservino talvolta con scarse o<br />

nulle manifestazioni di flogosi gengivale o evidente dolore. Nella<br />

maggior parte dei casi il riassorbimento dentale coinvolge i<br />

premolari ed i molari. Nel 50% dei gatti domestici di età pari o<br />

superiore ai 4 anni sono colpiti uno o più denti. La condizione<br />

non è una demineralizzazione da carie della sostanza del dente.<br />

La patogenesi è nota (cellule staminali attratte ed attivate come<br />

cellule clastiche). Microscopicamente, si osservano molte lesioni<br />

iniziali senza focolai infiammatori. Recentemente è stata ipotizzata<br />

come possibile eziologia l’ipervitaminosi D, dal momento<br />

che i gatti colpiti presentano livelli sierici più elevati di quelli<br />

dei gatti che non mostrano lesioni clinicamente evidenti. L’applicazione<br />

di un materiale di ricostruzione dentale dopo riparazione<br />

della cavità porta a scarsi risultati a lungo termine perché<br />

spesso la lesione continua a svilupparsi. Attualmente, l’unico<br />

trattamento pratico è l’estrazione dei denti con lesioni da riassorbimento;<br />

non previene lo sviluppo delle alterazioni nei denti<br />

superstiti e spesso risulta difficile perché quelli colpiti si fratturano<br />

facilmente e le radici anchilosate non vengono separate<br />

agevolmente. Un esame radiografico conferma che l’estrazione<br />

è stata completa. La ritenzione pianificata di segmenti radicolari<br />

vitali è accettabile se: il frammento ritenuto si trova al di sotto<br />

del livello dell’osso, non è presente alcuna gengivite-stomatite<br />

in quella parte della bocca, non ci sono segni radiografici di<br />

malattia periapicale e la gengiva viene suturata. Nel gatto, il<br />

70% della totalità delle neoplasie orali (benigne o maligne) è<br />

rappresentato dal carcinoma squamocellulare, che si osserva<br />

tipicamente come una lesione protuberante sulla gengiva o sulla<br />

radice della lingua. Le masse orali asimmetriche del gatto<br />

devono sempre essere sottoposte a biopsia. Recentemente, prove<br />

condotte mediante chemioterapia e/o radioterapia non hanno<br />

portato ad identificare un trattamento di successo.<br />

Bibliografia<br />

Harvey CE: Oral and Dental Diseases. In Feline Medicine and Therapeutics.<br />

E Chandler and CJ Gaskell. 2004.<br />

Reiter AM, Lewis JR, Okuda A: Update on the etiology of tooth resorption in<br />

domestic cats. Vet. Clin Nor Am Sm Anim Pract, 913-942, July 2005.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Colin Harvey - VHUP 3113 -<br />

3900 Delancey Street - Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 135<br />

Meccanismo d’azione degli anestetici locali<br />

e loro razionale utilizzo<br />

Adriano Lachin<br />

Med Vet, Venezia<br />

ATTI NON PERVENUTI


136 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Quando un caso medico diventa un caso chirurgico?<br />

Utilizzo degli antibiotici in chirurgia:<br />

si, no, quando, quanti, quali, per quanto<br />

Monitoraggio del paziente post chirurgia: valutazione<br />

del dolore, gestione di drenaggi, sonde, cateteri<br />

Il trattamento del dolore nel post operatorio:<br />

quali farmaci prima della dimissione<br />

Il trattamento del dolore nel post operatorio:<br />

quali farmaci dopo la dimissione<br />

La fisioterapia: un capitolo ancora sottovalutato<br />

Duncan Lascelles<br />

BSc, BVSc, PhD, MRCVS, Cert VA DSAS(ST), Dipl ECVS, Dipl ACVS, Raleigh, USA<br />

Gli atti non sono pervenuti in tempo utile per la stampa ma saranno disponibili dal 12 giugno 2006<br />

sul sito www.scivac.it/53/atti/


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 137<br />

Determinazione della proteinuria: quali tests<br />

effettuare nel cane e nel gatto e come interpretarli<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, Texas, USA<br />

L’identificazione della proteinuria è importante per almeno<br />

due ragioni. In primo luogo, recenti dati hanno dimostrato che<br />

sia nel cane che nel gatto è associata ad un esito clinico sfavorevole.<br />

In altre parole, il riscontro della proteinuria identifica<br />

gli animali maggiormente esposti al rischio di malattie potenzialmente<br />

letali. In secondo luogo, si vanno raccogliendo sempre<br />

più dati che indicano che il trattamento dei cani e dei gatti<br />

con proteinuria con terapie mediche che riducono l’entità della<br />

proteinuria stessa migliora l’esito clinico di questi pazienti.<br />

Quindi, il trattamento corretto degli animali con proteinuria è<br />

clinicamente importante ed inizia con l’accurata identificazione<br />

della proteinuria mediante i test di screening, che devono<br />

essere eseguiti ed interpretati correttamente.<br />

ESEGUIRE UN’ANALISI COMPLETA<br />

DELL’URINA<br />

Il primo punto importante è che i test per lo screening della<br />

proteinuria devono sempre essere effettuati in associazione con<br />

l’esame completo delle urine (cioè la determinazione delle proprietà<br />

fisico-chimiche come il peso specifico mediante rifrattometria<br />

e i test colorimetrici tramite strisce reattive, nonché l’esame<br />

microscopico del sedimento urinario). Ci sono numerose<br />

ragioni che spiegano l’importanza di questa associazione. Prima<br />

di tutto, un’analisi completa dell’urina consente di effettuare lo<br />

screening anche per alcune importanti malattie non urinarie (ad<br />

es., diabete mellito), nonché di evidenziare parecchi tipi di affezioni<br />

delle basse vie urinarie (ad es., infezione batterica del tratto<br />

urinario, urolitiasi, neoplasia) che si riscontrano comunemente<br />

nel cane e nel gatto. Queste ultime condizioni sono importanti<br />

quanto la proteinuria per la salute del tratto urinario di questi<br />

animali e spesso sono clinicamente occulte (cioè non si manifestano<br />

tramite segni clinici), mentre sono rilevabili sulla base di<br />

anomalie dei riscontri dell’esame delle urine (ad es., ematuria,<br />

piuria e/o batteriuria microscopica). Infine, anche quando si<br />

considerano solo gli argomenti correlati ai test per la proteinuria,<br />

i risultati derivanti da altre parti dell’esame delle urine (in<br />

particolare il peso specifico e i riscontri nel sedimento) forniscono<br />

degli importanti contributi all’iniziale interpretazione ed<br />

alla valutazione di tutti i test di screening per la proteinuria.<br />

Quando effettuare lo screening<br />

per la proteinuria<br />

La raccomandazione generale è quella di eseguire un’analisi<br />

completa dell’urina, prestando attenzione all’identificazione<br />

dell’eventuale proteinuria, in tutte le stesse circostan-<br />

ze in cui si ritiene necessario eseguire degli esami di laboratorio<br />

completi (ad es., esame emocromocitometrico completo<br />

e/o profilo biochimico) per un cane o un gatto. Ciò di solito<br />

avviene in uno dei seguenti due casi: (a) quando si studia<br />

la causa di una malattia in un animale malato e (b) quando si<br />

effettua una valutazione di routine delle condizioni di un<br />

soggetto apparentemente sano. Inoltre, gli animali (in particolare<br />

i cani) con malattie croniche note per essere spesso<br />

complicate da nefropatie proteinuriche devono essere sottoposti<br />

alla ricerca della proteinuria ad intervalli di ≤ 6 mesi.<br />

Analogamente, lo screening periodico per la proteinuria<br />

contribuisce ad identificare precocemente le nefropatie in<br />

animali apparentemente sani, ma noti per essere “a rischio”<br />

di sviluppo di disordini glomerulari (ad es., cani che possono<br />

essere colpiti da una glomerulopatia ereditaria).<br />

TEST PER LA PROTEINURIA<br />

Test colorimetrico mediante strisce reattive<br />

Questo test ha il grande vantaggio di essere relativamente<br />

semplice, economico e già di uso comune come componente<br />

dell’esame convenzionale delle urine. Queste prove effettuate<br />

mediante cuscinetti reattivi sono basati su un fenomeno<br />

detto “errore proteico di coloranti indicatori di pH”. Fondamentalmente,<br />

il test è basato sulla capacità dei gruppi aminici<br />

delle proteine di legarsi ad alcuni indicatori acido-basici<br />

e modificarne il colore anche se il pH del campione viene<br />

mantenuto costante da un tampone contenuto all’interno dello<br />

stesso cuscinetto reattivo. Poiché rispetto alle altre proteine<br />

l’albumina ha un maggior numero di gruppi aminici liberi<br />

disponibili per reagire con il colorante indicatore, il test<br />

mediante strisce reattive evidenzia principalmente l’albumina<br />

urinaria piuttosto che altre proteine (ad es., globuline,<br />

proteine di Bence Jones, mucoproteine). Il limite inferiore<br />

della sensibilità per l’esame delle urine mediante strisce<br />

reattive per la proteinuria è di circa 30 mg/dl.<br />

Il principale difetto di questo test è la sua scarsa specificità<br />

sia nel cane che nel gatto. In altre parole, il test spesso fornisce<br />

risultati falsi positivi. In una recente indagine Grauer<br />

et al. hanno riferito, ad esempio, che la specificità ottenuta<br />

mediante strisce reattive in confronto ai metodi immunometrici<br />

quantitativi specie-specifici per l’albumina era del 69%<br />

(31% di falsi positivi) nel cane e solo del 31% (69% di falsi<br />

positivi) nel gatto. Quando dall’analisi sono stati esclusi i<br />

campioni di urina con pH alcalino (≥ 7,5) e/o ematuria (≥ 10<br />

eritrociti/campo microscopico ad elevato ingrandimento),<br />

piuria (≥ 5 leucociti/campo microscopico ad elevato ingran-


138 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

dimento) o batteriuria, la specificità è migliorata passando<br />

all’84% nel cane ed al 55% nel gatto. Quindi, anche nelle<br />

migliori circostanze, una risposta positiva alla ricerca delle<br />

proteine con il metodo delle strisce reattive nell’urina del gatto<br />

corrisponde in realtà ad un autentico esito positivo solo in<br />

poco più della metà delle volte (e, in tutte le circostanze, in<br />

meno di un terzo dei casi). La ragione di una percentuale così<br />

elevata di reazioni false positive all’esame mediante strisce<br />

reattive dell’urina del cane e del gatto è che l’elevata concentrazione<br />

e/o il pH alcalino dell’urina prodotta da queste specie<br />

animali spesso supera la capacità tampone dei cuscinetti<br />

di reagente (che sono stati formulati per l’urina dell’uomo).<br />

Il test colorimetrico mediante strisce reattive per l’analisi<br />

dell’urina presenta un paio di altri aspetti negativi di cui bisogna<br />

tenere conto. In primo luogo, la “lettura” effettiva dipende<br />

in qualche misura dall’operatore. Vale a dire che quando il test<br />

viene eseguito manualmente, persone differenti possono giudicare<br />

in modo diverso le variazioni di colore. Inoltre, l’alterazione<br />

cromatica dell’urina può modificare il cambiamento di<br />

colore nel cuscinetto reattivo. Una delle potenziali soluzioni a<br />

questi problemi è l’impiego di un apparecchio automatizzato<br />

per la “lettura” della striscia. Questi apparecchi standardizzano<br />

la valutazione colorimetrica e le strisce per l’esame dell’urina<br />

che sono state studiate per l’impiego con questi strumenti di lettura<br />

sono dotate di un “cuscinetto di riferimento” che viene utilizzato<br />

per regolare la valutazione di qualsiasi alterazione cromatica<br />

“di fondo” del campione. Anche se un altro potenziale<br />

difetto dell’uso delle strisce è il fatto che non rilevano la presenza<br />

nell’urina di quantità di albumina basse, ma comunque<br />

anormali, che determinano una condizione detta “microalbuminuria”<br />

(concentrazione di albumina compresa fra 1 e 30<br />

mg/dl). Questo argomento verrà trattato successivamente a proposito<br />

dei test immunologici specie-specifici per l’albuminuria.<br />

Test turbidimetrico con acido solfosalicilico<br />

Il test turbidimetrico con acido solfosalicilico (SSA) è un<br />

altro metodo relativamente semplice e poco costoso. Come la<br />

determinazione mediante strisce reattive, l’SSA-test è semiquantitativo<br />

(i risultati vengono riferiti come negativo, tracce,<br />

1+, 2+, 3+ o 4+), ma è sia più sensibile che più specifico di<br />

quello con le strisce reattive. In effetti, a causa della sua maggiore<br />

specificità, i laboratori di analisi cliniche veterinarie di<br />

maggiori dimensioni (ad es., laboratori commerciali, laboratori<br />

di ospedali veterinari didattici) impiegano di routine l’S-<br />

SA come test “di riserva” per la proteinuria. Ogni volta che la<br />

striscia è positiva, si effettua sul campione un SSA-test, per<br />

stabilire se si tratta davvero di un’autentica positività (positivo<br />

anche il SSA) o di un falso positivo (SSA negativo).<br />

Il test turbidimetrico con SSA si effettua mescolando pari<br />

volumi di surnatante urinario e una soluzione al 5% di acido solfosalicilico<br />

in una provetta di vetro pulita. Il test si basa sul fatto<br />

che il pH acido della soluzione di SSA determina la precipitazione<br />

delle proteine, causando un intorbidamento che è approssimativamente<br />

pari alla quantità di proteine presenti nell’urina.<br />

L’entità dell’intorbidamento viene graduata (da negativo fino a<br />

4+, come sopra) da un operatore, facendo riferimento a standard<br />

descrittivi (scritti) o visivi. Quindi, benché sia meno comodo di<br />

quello delle strisce reattive e sia ancora in qualche misura<br />

“dipendente dall’operatore” (per cui osservatori differenti<br />

potrebbero non assegnare lo stesso grado all’intorbidamento), il<br />

test con SSA ha il vantaggio di essere molto più specifico per la<br />

proteinuria. Inoltre, è più sensibile di quello delle strisce reattive;<br />

il limite inferiore di rilevamento dell’SSA-test è di circa 5<br />

mg/dl e rileva anche le proteine di Bence Jones nelle urine.<br />

Test immunometrico specie-specifico<br />

per l’albumina urinaria<br />

I più recenti metodi di screening per l’esame delle urine nel<br />

cane e nel gatto alla ricerca di proteine anomale utilizzano anticorpi<br />

anti-albumina specie-specifici nell’ambito di prove immunometriche<br />

semiquantitative o quantitative. Questi test sono<br />

molto sensibili e molto specifici; rilevano solo l’albumina. Tuttavia,<br />

quest’ultima di solito è la più abbondante e la più significativa<br />

dal punto di vista diagnostico fra le proteine anormali dell’urina.<br />

I test semiquantitativi (ad es., E.R.D – Screen Urine<br />

Tests, Heska, Ft. Collins, CO, USA) sono destinati all’impiego<br />

diretto accanto al paziente (Point-of-care test) e sono calibrati<br />

principalmente per l’identificazione della microalbuminuria<br />

(concentrazione di albumina nell’urina entro il range di 1-30<br />

mg/dl dopo diluizione dell’urina ad un peso specifico standard<br />

di 1.010). Tuttavia, il risultato “altamente positivo” del test semiquantitativo<br />

di solito corrisponde ad un’albuminuria palese (cioè<br />

una concentrazione di albumina > 30 mg/dl) e non fornisce ulteriori<br />

informazioni su differenti entità di albuminuria, molto superiori<br />

a questa concentrazione. I reagenti contenenti anticorpi<br />

anti-albumina specie-specifici sono stati adattati anche alla realizzazione<br />

di test immunometrici quantitativi (ad es., ELISA)<br />

disponibili presso alcuni laboratori privati. Questi test (da eseguire<br />

effettuando una diluizione secondo necessità, per mantenere<br />

entro la gamma dinamica del test stesso la concentrazione<br />

di albumina nel campione che viene esaminato) possono fornire<br />

una ragionevole stima della effettiva concentrazione di albumina<br />

nell’urina attraverso l’intera gamma dei possibili risultati (cioè<br />

sia per i valori microalbuminurici che per quelli chiaramente<br />

albuminurici). Quando si effettua lo screening per la proteinuria,<br />

i test semiquantitativi (cioè Point-of-care) per la microalbuminuria<br />

trovano principalmente due applicazioni potenzialmente<br />

importanti. Una di queste è l’esame dei campioni di urina risultati<br />

negativi all’analisi mediante strisce reattive, per rilevare la<br />

microalbuminuria nei campioni in cui una proteinuria di questa<br />

entità, bassa ma comunque anormale, sfuggirebbe altrimenti<br />

all’identificazione. Le implicazioni della microalbuminuria isolata<br />

(microalbuminuria senza alcun altro riscontro anormale)<br />

verranno illustrate in una successiva relazione. Una seconda<br />

applicazione del test è il follow-up dei campioni che hanno fornito<br />

risultati debolmente positivi (equivoci) all’esame con le strisce<br />

reattive. In altre parole, poiché i test immunometrici per la<br />

ricerca dell’albumina nell’urina sono altamente specifici, possono<br />

venire utilizzati (come il SSA-test precedentemente descritto)<br />

per distinguere fra le reazioni autenticamente positive e quelle<br />

false positive all’esame con le strisce reattive.<br />

Letture consigliate<br />

1. Osborne CA, Stevens JB. Urinalysis: A Clinical Guide to Compassionate<br />

Patient Care. Bayer Animal Health, Shwanee Mission, Kansas,<br />

USA, <strong>19</strong>99, pp 111-116.<br />

2. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum Consensus<br />

Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-385.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 139<br />

Valutazione della proteinuria: come determinarne<br />

l’origine e valutarne la persistenza e l’importanza<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, Texas, USA<br />

La proteinuria non deve solo essere individuata, ma anche<br />

valutata in modo appropriato per determinare le sue implicazioni<br />

per il paziente. La valutazione della proteinuria comporta<br />

lo studio di tre elementi chiave:<br />

• Localizzazione – il processo di determinazione della probabile<br />

sede o del probabile meccanismo che provoca la<br />

proteinuria.<br />

• Persistenza – determinare se la proteinuria è persistente o<br />

meno nel tempo richiede l’esecuzione di ripetuti test.<br />

• Entità – l’uso di appropriati metodi quantitativi per ottenere<br />

degli indici affidabili dell’entità della perdita di proteine<br />

con l’urina è di importanza cruciale per prendere le<br />

opportune decisioni cliniche e monitorare la tendenza della<br />

condizione, compresa la risposta al trattamento se è<br />

indicata una terapia.<br />

Localizzazione della proteinuria<br />

La proteinuria riconosce numerose cause possibili. Nella<br />

Tabella 1 è riportato lo schema consigliato per la classificazione<br />

delle cause di questa condizione. Una delle caratteristiche<br />

di tale schema è che fornisce una specifica correlazione<br />

per ciascuno dei passi indicati nel processo diagnostico<br />

raccomandato per la localizzazione della proteinuria nel<br />

cane e nel gatto. Quando attraverso l’analisi dell’urina si<br />

rileva la presenza di una quantità eccessiva di proteine, la<br />

localizzazione della probabile fonte della proteinuria richiede<br />

che vengano compiuti i seguenti passi, in sequenza:<br />

Passo 1. Per escludere la proteinuria “extraurinaria postrenale”,<br />

valutare l’urina prelevata mediante cistocentesi.<br />

Passo 2. Per escludere la proteinuria “prerenale”, valutare<br />

la concentrazione plasmatica di proteine (alla ricerca di<br />

segni di disproteinemia che possano spiegare la proteinuria).<br />

Se la proteinuria non è prerenale, né extraurinaria, è “urinaria”<br />

ed il passo successivo consiste nel valutare il sedimento<br />

urinario per rilevare la presenza di segni di infiammazione<br />

o emorragia.<br />

Passo 3. Per escludere la proteinuria “urinaria postrenale”,<br />

rilevare i segni di infiammazione o emorragia, con o senza<br />

segni clinici di affezioni delle vie escretorie (ad es., pollachiuria),<br />

ma senza apparenti segni clinici di nefrite.<br />

Passo 4. Per escludere la proteinuria “patologica interstiziale<br />

renale”, rilevare i segni dell’infiammazione associati a<br />

Tabella 1 - Categorie delle cause di proteinuria<br />

Prerenali – da anormale contenuto plasmatico di proteine<br />

liberamente filtrate dai glomeruli normali.<br />

- Proteine normali (solitamente non libere nel plasma)<br />

- Proteine anormali (ad es., proteine di Bence Jones)<br />

Renali – da anormale elaborazione renale di proteine plasmatiche<br />

normali.<br />

Funzionale: proteinuria lieve e transitoria, che non è<br />

causata da lesioni del parenchima renale<br />

Patologica: proteinuria dovuta a lesioni strutturali o<br />

funzionali all’interno dei reni<br />

Glomerulare: alterazione della permeabilità selettiva<br />

del glomerulo.<br />

Tubulare: riduzione del riassorbimento tubulare<br />

delle proteine filtrate.<br />

Interstiziale: essudazione di proteine dai capillari<br />

peritubulari nell’urina.<br />

Postrenali – da penetrazione di proteine nell’urina dopo<br />

che questa è giunta nel bacinetto renale<br />

- Urinaria: da emorragia o essudazione dalle pareti delle<br />

vie escretorie urinarie<br />

- Extraurinaria: da secrezioni, emorragie o essudati provenienti<br />

dal tratto genitale o dai genitali esterni<br />

manifestazioni cliniche di nefrite attiva (ad es., reni sensibili,<br />

febbre, insufficienza renale).<br />

Se la proteinuria è “urinaria” e non è associata a segni di<br />

infiammazione o emorragia nel sedimento urinario, le possibilità<br />

che rimangono sono quelle di una proteinuria:<br />

• “funzionale renale”, che è di basso grado (cioè di entità<br />

limitata, lieve o “leggera”) e transitoria;<br />

• “patologica, tubulare renale”, anch’essa di basso grado,<br />

ma tipicamente persistente. In alcuni casi questa proteinuria<br />

è accompagnata da glicosuria normoglicemica e/o<br />

anormale escrezione di elettroliti, che indicano la presenza<br />

di molteplici anomalie del riassorbimento tubulare e<br />

contribuiscono ad identificare l’origine tubulare dell’anomalia.<br />

Tuttavia la proteinuria tubulare spesso è presente<br />

in assenza di questi riscontri;<br />

• “patologica glomerulare renale”, che può essere di qualsiasi<br />

entità, da molto bassa (ad es., sola microalbuminuria)<br />

a molto imponente (cioè nel range nefritico), ma anche in<br />

questo caso è tipicamente persistente.


140 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Di conseguenza, gli ultimi passi nel processo di localizzazione<br />

sono:<br />

Passo 5. Confermare la proteinuria “patologica glomerulare<br />

renale”, se la sua entità è sufficientemente elevata da<br />

giustificare questa conclusione (ad es., con un rapporto proteine:creatinina<br />

nell’urina [UPC] ≥ 2,0 nel cane e nel gatto).<br />

Passo 6. Confermare la proteinuria “funzionale renale” se<br />

la condizione è lieve e, attraverso il follow-up, si dimostra<br />

transitoria.<br />

Passo 7. Confermare la proteinuria “patologica glomerulare<br />

renale” (benché di basso grado) o “patologica, tubulare<br />

renale”, se la proteinuria è lieve, ma, attraverso il follow-up, si<br />

dimostra persistente. Questi due tipi di proteinuria non possono<br />

essere differenziati in modo affidabile l’uno dall’altro attraverso<br />

i test convenzionali attualmente disponibili, a meno che<br />

o fino a che gli animali con proteinuria “patologica, glomerulare<br />

renale” non mostrino un aumento dei livelli di proteinuria<br />

di entità sufficiente ad escludere quella “patologica, tubulare,<br />

renale” (UPC ≥ 2,0, come indicato al passo 5).<br />

Proteinuria persistente renale<br />

Si può presumere che la proteinuria che è stata localizzata<br />

come di origine “renale” ed inoltre è di entità sufficiente<br />

ad essere palesemente dovuta all’alterata selettività della<br />

permeabilità glomerulare (UPC ≥ 2,0, ma la prova è tanto<br />

più inoppugnabile quanto più è elevata l’entità della proteinuria)<br />

sia persistente. Invece, quando l’entità della proteinuria<br />

è lieve (UPC < 2,0), è necessario dimostrare che l’anomalia<br />

è persistente per evitare inutili preoccupazioni circa<br />

una proteinuria che in realtà è funzionale e quindi poco<br />

importante, anche se di origine renale. La persistenza della<br />

proteinuria viene dimostrata in modo appropriato dal riscontro<br />

dell’anomalia in tre o più occasioni, a distanza di due o<br />

più settimane. Inoltre, il confronto fra il valore delle misurazioni<br />

in serie richiede che si tenga conto della gamma delle<br />

variazioni che si verificano da un giorno all’altro e che si<br />

possono osservare negli animali con proteinuria generalmente<br />

stabile. Negli pazienti (in particolare nei cani) con<br />

proteinuria imponente, non è necessario aspettare settimane<br />

prima di ripetere il test, ma è ancora consigliabile effettuare<br />

la valutazione di parecchi campioni indipendenti (cioè prelevati<br />

in giorni diversi) per stabilire in modo più accurato<br />

l’entità prevalente della proteinuria.<br />

Valutare l’entità della proteinuria persistente<br />

renale<br />

Le implicazioni cliniche della proteinuria persistente<br />

renale dipendono totalmente dall’entità della proteinuria e<br />

dal fatto che tale entità sia o meno mutevole. Quindi, per la<br />

valutazione della proteinuria risulta di importanza cruciale<br />

l’impiego appropriato di indici quantitativi affidabili che<br />

consentano di misurare la quantità di proteine persa quotidianamente<br />

attraverso l’urina.<br />

La determinazione della quantità totale di proteine in tutta<br />

l’urina prodotta dal paziente durante un intervallo di 24 ore è lo<br />

“standard aureo” per la valutazione dell’entità della proteinuria.<br />

Tuttavia, questo metodo ha molte controindicazioni che ne precludono<br />

l’impiego di routine nella pratica clinica veterinaria.<br />

L’approccio alternativo, il cui uso negli animali oggi è ben<br />

affermato, è quello di misurare la concentrazione urinaria delle<br />

proteine (tutte o solo l’albumina) e poi correggere tale concentrazione<br />

in modo da compensare le differenze del volume urinario<br />

giornaliero, così da ottenere un indice che sia proporzionale<br />

alla perdita giornaliera totale di proteine nell’urina dell’animale<br />

(cioè all’entità della proteinuria). Esistono due modi per<br />

effettuare questa correzione. Uno è quello di dividere la concentrazione<br />

delle proteine per quella della creatinina nello stesso<br />

campione di urina. Quando si effettua questa operazione utilizzando<br />

i livelli urinari delle proteine totali (misurati in mg/dl)<br />

e della creatinina (anch’essi misurati in mg/dl), il risultato è un<br />

valore privo di unità di misura che viene detto rapporto proteine:creatinina<br />

nell’urina (UPC). Quando si divide l’albumina (in<br />

mg/dl) per la creatinina (in mg/dl) il risultato normalmente è<br />

una frazione così piccola che nella pratica convenzionale viene<br />

moltiplicato per 1000, riportando l’indice come xx mg/g (mg di<br />

albumina per g di creatinina). Il secondo modo di correggere la<br />

concentrazione di proteine nell’urina per le variazioni nel volume<br />

urinario giornaliero è quello di esprimere la concentrazione<br />

delle proteine soltanto con il valore che si avrebbe ad un peso<br />

specifico urinario standardizzato di 1.010.<br />

Ciò si può ottenere sia diluendo il campione fino ad un peso<br />

specifico di 1.010 prima di effettuare la valutazione, sia misurando<br />

la concentrazione di proteine (albumina) e il peso specifico<br />

del campione originale per poi “correggere” matematicamente<br />

la concentrazione sino al peso specifico standard<br />

(100 mg/dl in un’urina con un peso specifico di 1.020 corrispondono<br />

ad un valore di 50 mg/dl in un campione diluito a<br />

1.010 e 90 mg/dl in un’urina con un peso specifico di 1.030<br />

corrispondono ad un valore di 30 mg/dl quando la diluizione<br />

è a 1.010, e così via). Attualmente, in medicina veterinaria la<br />

pratica convenzionale più attuata è quella di servirsi dell’indice<br />

totale del rapporto fra proteine e creatinina nell’urina (rapporto<br />

UPC) e indicizzare l’albumina urinaria al peso specifico<br />

dell’urina stessa, ottenendo la concentrazione “normalizzata”<br />

di albumina nell’urina (nUAlb) espressa in mg/dl per un peso<br />

specifico urinario di 1.010. Le concentrazioni di albumina nell’urina<br />

nei campioni con peso specifico ≤ 1.010 vengono<br />

riportate così come sono state misurate nel campione originale<br />

(cioè senza alcuna correzione).<br />

L’UPC è l’indice più approfonditamente studiato e più<br />

ampiamente utilizzato di entità della proteinuria nel cane e<br />

nel gatto; la maggior parte delle raccomandazioni cliniche<br />

sono abbinate alla valutazione dell’entità della proteinuria<br />

mediante UPC. Un approccio alternativo può essere quello<br />

di utilizzare indici basati sulla valutazione immunologica<br />

quantitativa dell’albumina urinaria, ma questa opzione non è<br />

ancora stata ampiamente studiata.<br />

Letture consigliate<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum Consensus<br />

Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-385.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 141<br />

Studio della proteinuria persistente: valutazione clinica dei<br />

pazienti finalizzata all’identificazione delle patologie trattabili<br />

e causa di proteinuria ed alla gestione dei fattori di rischio<br />

che possono determinare progressione della malattia renale<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, Texas, USA<br />

Le risposte appropriate alla proteinuria renale persistente<br />

sono una serie di passi progressivi che costituiscono un’escalation<br />

e dipendono dall’entità della proteinuria e dallo<br />

status dei pazienti (Fig. 1).<br />

• Monitorare – significa ripetere uno o più test che sono stati<br />

effettuati in precedenza per rilevare le modificazioni che<br />

avvengono con il passare del tempo.<br />

• Esaminare – significa effettuare nuovi o ulteriori test per<br />

scoprire una malattia sistemica sottostante o per definire<br />

più esattamente la nefropatia dell’animale.<br />

• Intervenire – significa prescrivere modificazioni della dieta<br />

e/o agenti farmacologici nel tentativo di determinare<br />

una variazione favorevole del decorso della malattia o<br />

migliorare la salute dell’animale.<br />

L’attuazione di questo approccio basato su un’escalation<br />

di risposte deve essere sequenziale e completo. In altre parole,<br />

nelle circostanze meno impellenti bisogna soltanto monitorare<br />

(cioè non esaminare né intervenire). Invece, in altre<br />

situazioni più gravi, si deve esaminare e monitorare (ma non<br />

intervenire). Questa escalation (progressiva) può essere<br />

immediata o sequenziale a seconda della situazione. Infine,<br />

nelle situazioni più pressanti si deve intervenire, oltre che<br />

esaminare e monitorare; anche in questo caso, il compimento<br />

di un successivo passo nell’escalation può essere immediato<br />

o sequenziale, a seconda delle circostanze. È importante<br />

notare che l’uso corretto di questo approccio preclude<br />

l’intervento (trattamento) senza un’appropriata fase di esame<br />

e di monitoraggio, nonché l’esame (specialmente con<br />

test invasivi) in assenza di prove sufficienti, eventualmente<br />

derivate dal monitoraggio, che giustifichino i rischi per l’animale<br />

ed i costi per il proprietario.<br />

La proteinuria renale persistente deve sempre spingere il<br />

clinico ad intervenire, ma la scelta delle azioni più appropriate<br />

dipende dall’entità prevalente della proteinuria e dallo status<br />

clinico del paziente. Per un cane o un gatto apparentemente<br />

sano e non iperazotemico con una lieve proteinuria<br />

renale (ad es. microalbuminuria persistente o valori di UPC<br />

persistentemente ≥ 0,5, ma < 1,0), ad esempio, la risposta<br />

appropriata consiste puramente nel continuare a monitorare le<br />

condizioni dell’animale. Lo scopo del monitoraggio in prospettiva<br />

di questi animali è quello di rilevare le tendenze<br />

preoccupanti (se ci sono) al momento opportuno, in modo da<br />

poter avviare gli ulteriori studi (e, nei casi indicati, il trattamento).<br />

Il punto chiave in questo caso è che non tutti i pazienti<br />

di questa categoria sono colpiti da una nefropatia cronica<br />

progressiva (anzi, è probabile che la maggior parte non lo sia)<br />

Livello di risposta<br />

Monitorare<br />

Figura 1 - Escalation delle risposte alla proteinuria.<br />

e gli animali che non sono affetti da una malattia progressiva<br />

non hanno bisogno di ulteriori indagini e non traggono alcun<br />

beneficio dai trattamenti. Invece, se la proteinuria progredisce<br />

fino a raggiungere un’entità superiore (o se non viene scoperta<br />

sino a che non è quasi progredita fino a tale livello) è necessario<br />

compiere ulteriori studi ed eventualmente intervenire<br />

con un trattamento. Il punto chiave in questo caso è che l’entità<br />

elevata o l’aumento della proteinuria è un marcatore di<br />

malattia progressiva, che deve essere identificata a trattata il<br />

più presto possibile. Tuttavia, un’altra indicazione del fatto<br />

che la nefropatia dell’animale è progressiva è che ha già<br />

determinato un’iperazotemia renale. Di conseguenza, le entità<br />

della proteinuria che devono spingere ad intraprendere ulteriori<br />

azioni sono più basse negli animali iperazotemici rispetto<br />

a quelle degli animali non iperazotemici.<br />

Cosa e come monitorare<br />

Esaminare<br />

Entità della proteinuria<br />

Intervenire<br />

Gli animali con proteinuria renale persistente devono essere<br />

esaminati ad intervalli regolari, ma la durata appropriata<br />

del periodo di tempo che intercorre fra questi controlli dipende<br />

dalle circostanze. Quando le variabili importanti non sono<br />

ancora state ben caratterizzate o si stanno modificando, può<br />

essere necessario programmare degli esami con una frequenza<br />

di una volta ogni 1-2 settimane. All’altro estremo, quando<br />

le condizioni dell’animale sono stabili o sotto un buon controllo,<br />

può darsi che non sia necessario ripetere i controlli con<br />

una frequenza superiore a una volta ogni 4-6 mesi.


142 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Ciascun esame deve prevedere una rivalutazione dell’anamnesi<br />

recente dell’animale (condizioni generali, trattamenti<br />

farmacologici, dieta, ecc…) ed un approfondito esame<br />

clinico, che comprenda un’accurata valutazione del peso e<br />

del punteggio di condizione corporea. Per quanto riguarda i<br />

test, le variabili più importanti da tenere sotto controllo sono<br />

la pressione sanguigna sistemica, l’UPC e la concentrazione<br />

sierica di creatinina (SCr). La valutazione in serie di quest’ultimo<br />

parametro in un singolo animale è un modo ragionevolmente<br />

buono per monitorare le modificazioni della<br />

velocità di filtrazione glomerulare (GFR), a condizione che i<br />

valori di SCr che vengono confrontati siano ottenuti quando<br />

l’animale è euvolemico (cioè normalmente idratato) ed utilizzando<br />

lo stesso metodo di laboratorio. I progressivi<br />

aumenti della SCr sono considerati degni di nota, anche se gli<br />

incrementi delle singole variazioni possono essere piccoli<br />

(“deriva della creatinina”) e i valori possono inizialmente<br />

aumentare restando però entro i limiti normali. È anche<br />

importante la valutazione seriale dell’UPC, ma il riscontro di<br />

piccole differenze fra i valori sequenziali può non indicare<br />

una reale modificazione del valore prevalente dell’entità della<br />

proteinuria dell’animale. Gli studi condotti sulla variabilità<br />

da un giorno all’altro dei valori di UPC nei cani e nei gatti<br />

con proteinuria di entità stabile hanno suggerito che probabilmente<br />

è necessario che i valori seriali presentino una differenza<br />

almeno pari al 35-50% nel cane ed al 90% nel gatto<br />

prima di poter essere interpretati come segno di un’effettiva<br />

modificazione dell’entità della proteinuria. Infine, risulta di<br />

importanza cruciale la valutazione ripetuta della pressione<br />

sanguigna, per due ragioni. In primo luogo, ancor più che per<br />

SCr ed UPC, è necessario stabilire il valore prevalente della<br />

pressione sanguigna sistemica dell’animale effettuando<br />

misurazioni in parecchie occasioni, in parte per consentire al<br />

soggetto di abituarsi alla procedura. In secondo luogo, ed<br />

ancor più importante, tuttavia, l’ipertensione sistemica di per<br />

sé è un fattore di rischio indipendente e trattabile della progressione<br />

della nefropatia, specialmente negli animali altamente<br />

proteinurici. Di conseguenza, l’ipertensione sistemica<br />

è una complicazione comune, ma spesso clinicamente “silente”<br />

delle nefropatie proteinuriche che, quando si verificano,<br />

devono essere accuratamente monitorate e trattate in modo<br />

appropriato al fine di ottenere i migliori esiti clinici possibili.<br />

Cosa e come esaminare<br />

Le nefropatie proteinuriche nel cane e nel gatto spesso<br />

insorgono secondariamente ad alcune malattie sistemiche<br />

infiammatorie di origine infettiva o non infettiva o alle neo-<br />

plasie. Di conseguenza, una delle cose più importanti da<br />

fare quando si scopre una proteinuria renale è quella di<br />

ricercare accuratamente queste malattie, specialmente quelle<br />

che potrebbero essere trattabili. La ricerca di una malattia<br />

sottostante generalmente viene effettuata attraverso<br />

un’associazione di esami di screening di ogni singolo apparato<br />

per rilevare la comparsa di qualsiasi segno di anormalità<br />

utilizzando tecniche specifiche di valutazione clinica<br />

(ad es., esame del fondo dell’occhio), diagnostica per<br />

immagini (ad es., radiografia toracica ed ecografia addominale)<br />

ed esami di laboratorio (ad es. esame emocromocitometrico<br />

completo e profilo biochimico) unitamente a test<br />

sierologici per l’identificazione delle infezioni/infestazioni<br />

parassitarie, virali, batteriche, da Rickettsia, protozoarie o<br />

micotiche rilevanti nelle diverse aree geografiche.<br />

È anche importante stabilire se comprendere o meno la<br />

valutazione di una biopsia renale nello studio diagnostico<br />

dell’animale. L’osservazione convenzionale al microscopio<br />

ottico delle biopsie renali spesso ha consentito di effettuare<br />

poco più che una distinzione fra amiloidosi e “glomerulonefrite”,<br />

che viene tipicamente definita “immunomediata”<br />

senza alcuna prova diretta (ad es., sulla base della valutazione<br />

ultrastrutturale o l’immunocolorazione dei campioni<br />

bioptici) per confermare il sospetto. Storicamente, queste<br />

informazioni si sono dimostrate di scarsa utilità per<br />

definire la prognosi o guidare la terapia nei cani o nei gatti<br />

con nefropatie proteinuriche.<br />

Tuttavia, si ha ragione di aspettarsi che la valutazione<br />

delle biopsie renali con metodi diagnostici più discriminanti<br />

permetterà sempre più ai veterinari di differenziare i<br />

vari tipi di glomerulopatia con particolari implicazioni prognostiche<br />

e/o terapeutiche. Ciò è particolarmente necessario<br />

al fine di formulare razionalmente dei protocolli terapeutici<br />

che siano adeguatamente mirati verso specifiche<br />

entità patologiche piuttosto che limitarsi a trattare tutti gli<br />

animali con glomerulopatia con un protocollo terapeutico<br />

singolo ed aspecifico, basato su una “cura standard” (ad<br />

es., modificazioni della dieta, ACE-inibitore ed acido acetilsalicilico<br />

a basse dosi).<br />

Letture consigliate<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum<br />

Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-<br />

385.<br />

2. Vaden SL. Glomerular diseases. In Ettinger SJ, Feldman EC, Textbook<br />

of Veterinary Internal Medicine, ed 6, Elsevier Saunders, St.<br />

Louis, MO, 2005, pp 1786-1800.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 143<br />

Terapia: come trattare i pazienti<br />

affetti da nefropatia proteinurica<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, Collage Station, Texas, USA<br />

IL TRATTAMENTO DELLA PROTEINURIA<br />

RENALE IN GENERALE<br />

Le basi teoriche per il trattamento della proteinuria renale<br />

possono essere considerate a due livelli. In primo luogo, nella<br />

misura in cui la proteinuria ha effetti diretti tossici proinfiammatori<br />

e profibrotici sui reni, i trattamenti che la riducono<br />

devono alleviare questi processi dannosi e quindi rallentare la<br />

progressione della nefropatia e migliorare l’esito clinico. Tuttavia,<br />

poiché il ruolo della proteinuria come causa diretta di<br />

danno renale è ancora da chiarire, questo presupposto per il<br />

trattamento della condizione rimane indimostrato a livello<br />

meccanicistico. Al secondo livello, maggiormente orientato<br />

all’esito della terapia (cioè focalizzato su ciò che accade, anche<br />

se perché accade rimane poco chiaro) tutti i dati disponibili e<br />

raccolti attraverso gli studi condotti nell’uomo e negli animali<br />

suggeriscono la veridicità delle seguenti affermazioni:<br />

• Nei soggetti con nefropatia cronica, una proteinuria più<br />

elevata è associata ad esiti clinici peggiori.<br />

• Nei soggetti con nefropatia cronica, certi trattamenti rallentano<br />

la progressione della malattia e migliorano l’esito<br />

clinico (cioè sono “nefroprotettori”).<br />

• Quando i trattamenti nefroprotettori sono efficaci, sono<br />

associati ad una riduzione dell’entità della proteinuria come<br />

risposta alla terapia, in particolare in quei soggetti che inizialmente<br />

presentano proteinuria di entità più elevata.<br />

Ciò significa che dovremmo trattare gli animali con forme<br />

progressive di nefropatia cronica, specialmente quelli che<br />

presentano proteinurie di grado più elevato, con interventi<br />

finalizzati ad essere nefroprotettori e che la riduzione della<br />

proteinuria dovrebbe essere uno degli scopi di tali interventi.<br />

L’uso della riduzione della proteinuria come bersaglio<br />

terapeutico è appropriato da questo punto di vista indipendentemente<br />

dal fatto che tale riduzione sia direttamente utile<br />

(perché diminuisce un danno diretto mediato dalle proteine)<br />

oppure sia puramente associato a altri meccanismi, attraverso<br />

i quali gli interventi stanno agendo in modo positivo,<br />

e talvolta costituisca un marcatore degli stessi.<br />

Gli interventi potenzialmente nefroprotettori che modulano<br />

la proteinuria comprendono la somministrazione di agenti farmacologici,<br />

ed in particolare di farmaci che bloccano il sistema<br />

renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), nonché certe<br />

modificazioni della dieta. Benché la riduzione della proteinuria<br />

sia un effetto di ognuno di questi interventi, nessuno di essi<br />

svolge solo questa attività, ed anche i meccanismi con cui viene<br />

determinata tale riduzione sono molteplici ed interagenti.<br />

Inoltre, ognuno degli interventi esercita degli effetti benefici<br />

mediati da meccanismi che sono completamente indipendenti<br />

da quelli sulla proteinuria. Ad esempio, gli inibitori dell’enzima<br />

angiotensina convertente (ACE) diminuiscono la produ-<br />

zione di angiotensina II (ang-II), ma quest’ultima ha molteplici<br />

attività. Fra queste rientrano le azioni emodinamiche che<br />

determinano un aumento della pressione capillare glomerulare<br />

ed un calo della perfusione dei capillari peritubulari. Inoltre,<br />

l’ang-II svolge un ruolo diretto nell’alterazione della permeabilità<br />

del glomerulo alle proteine ed ha numerosi effetti non<br />

emodinamici (ad es., induzione del rilascio di citochine, attivazione<br />

di macrofagi, stimolazione della proliferazione delle<br />

cellule mesangiali e della formazione della matrice mesangiale,<br />

ecc..) che promuovono l’infiammazione e la fibrosi. Gli<br />

effetti dell’ang-II sulla pressione capillare intraglomerulare e<br />

sulla selettività della permeabilità della parete capillare<br />

aumentano la proteinuria e gli ACE-inibitori la riducono, contrastando<br />

questi effetti. Tuttavia, gli effetti nefroprotettori della<br />

somministrazione degli ACE-inibitori possono essere<br />

mediati in modo importante dalla limitazione degli effetti dell’ang-II,<br />

che non ha nulla a che fare con la diminuzione della<br />

proteinuria di per sé (ad es., riducendo l’ipossia peritubulare o<br />

limitando la stimolazione diretta dell’ang-II delle vie che portano<br />

all’infiammazione ed alla fibrosi). Inoltre, alcune modificazioni<br />

della dieta (ad es., restrizione dell’assunzione di sodio,<br />

restrizione dell’assunzione di proteine) hanno effetti che sono<br />

mediati in parte dall’alterazione dell’attività del RAAS. I molteplici<br />

ed interagenti meccanismi attraverso i quali gli interventi<br />

nefroprotettori funzionano in vivo rendono più difficile<br />

definire in modo preciso il ruolo della proteinuria come<br />

mediatore della progressione della nefropatia; tuttavia, ciò non<br />

preclude l’impiego efficace della concentrazione delle proteine<br />

nell’urina come marcatore della risposta terapeutica.<br />

L’individuazione del target terapeutico della proteinuria<br />

richiede una valutazione seriale dell’entità della stessa prima<br />

e durante il trattamento e la specificazione di appropriati<br />

valori di riduzione della proteinuria che ci si prefigge di raggiungere.<br />

Per valutare l’entità della proteinuria viene raccomandato<br />

l’impiego del rapporto proteine:creatinina nell’urina<br />

(UPC), ma, a causa della variabilità di questo parametro<br />

da un giorno all’altro, si deve prendere in considerazione il<br />

ricorso al valore medio di 2-4 determinazioni dell’UPC (in<br />

giorni diversi) come misura più attendibile dell’entità della<br />

proteinuria di un animale nelle condizioni prevalenti (ad es.,<br />

valori basali, durante il trattamento, ecc…). Non sono ancora<br />

state pubblicate le linee guida specifiche e basate sull’evidenza<br />

per stabilire quanto tempo si debba aspettare nei cani<br />

e nei gatti prima di valutare la risposta della proteinuria al<br />

trattamento e quale sia la riduzione della proteinuria che si<br />

intende raggiungere. In uno studio, sono state necessarie<br />

fino a 4 settimane per ottenere pienamente gli effetti delle<br />

modificazioni della dieta sull’UPC nel cane. In un’altra<br />

indagine, la rivalutazione dell’UPC dopo 30 giorni di trattamento<br />

con enalapril è stata utilizzata per determinare se la


144 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

dose iniziale del farmaco fosse sufficiente o dovesse essere<br />

aumentata. Quindi, è ragionevole suggerire che la valutazione<br />

della risposta dell’UPC ad un intervento antiproteinurico<br />

dovrebbe iniziare circa un mese dopo l’avvio del trattamento;<br />

tuttavia, esistono alcuni dati che indicano che nei pazienti<br />

umani il massimo effetto antiproteinurico di una terapia<br />

con un ACE-inibitore può richiedere fino a 3 mesi. Si ignora<br />

se la riduzione della proteinuria debba essere mirata ad<br />

ottenere un valore specificato di UPC (ad es., UPC < 2,0)<br />

oppure una specifica riduzione proporzionale del valore pretrattamento<br />

(ad es., UPC < 50% del valore iniziale). Una<br />

riduzione del 50% dell’UPC è stata utilizzata come target<br />

terapeutico nella prova clinica sul trattamento con enalapril<br />

di cani proteinurici che ha dimostrato benefici effetti, per cui<br />

è ragionevole impiegare una riduzione di questa entità come<br />

traguardo minimo, almeno fino a che non saranno disponibili<br />

maggiori dati. Tuttavia, può anche darsi che l’effetto sul<br />

risultato clinico sia tanto migliore quanto più è elevata la<br />

riduzione della proteinuria (cioè quanto più questo valore di<br />

UPC si avvicini ai limiti dell’intervallo di riferimento normale),<br />

ma non sono disponibili dati derivanti da studi clinici<br />

condotti nel cane e nel gatto su questo argomento.<br />

TRATTAMENTI SPECIFICI<br />

DELLA PROTEINURIA RENALE<br />

NEL CANE E NEL GATTO<br />

Inibitori dell’enzima angiotensina c<br />

onvertente<br />

Nell’uomo, diverse grandi indagini cliniche controllate<br />

condotte utilizzando differenti ACE-inibitori e coinvolgendo<br />

pazienti colpiti da varie nefropatie hanno dimostrato l’esistenza<br />

di effetti nefroprotettori e di un miglioramento degli esiti<br />

clinici attribuibili a questo intervento. Anche se gli ACE-inibitori<br />

hanno molti effetti, le analisi multivarianti dei risultati di<br />

questi studi hanno dimostrato che questi agenti possiedono<br />

degli effetti benefici che sono associati alla loro attività antiproteinurica<br />

e sono indipendenti dalla loro azione antipertensiva.<br />

Gli effetti degli ACE-inibitori sono stati studiati nel cane<br />

e nel gatto con nefropatie ad insorgenza spontanea a sperimentalmente<br />

indotte. È stata segnalata una prova randomizzata<br />

e controllata con placebo sul trattamento con enalapril in<br />

cani con glomerulonefrite idiopatica (UPC > 3,0, livelli sierici<br />

di creatinina < 3,0 mg/dl). I cani trattati con enalapril hanno<br />

ricevuto il farmaco (0,5 mg/kg ogni 12-24 ore) per 6 mesi<br />

e tutti i soggetti dello studio sono stati anche trattati con una<br />

modificazione della dieta e la somministrazione di acido acetilsalicilico<br />

a basse dosi. In questo studio, la terapia con enalapril<br />

ha abbassato la pressione sistolica, ridotto la proteinuria<br />

e migliorato l’esito (cioè ha ridotto la frequenza degli aumenti<br />

della concentrazione sierica di creatinina ≥ 0,2 mg/dl dopo<br />

6 mesi di trattamento). In un’altra indagine, l’enalapril (2<br />

mg/kg ogni 12 ore) ha ridotto la proteinuria e rallentato la progressione<br />

della malattia nei cani con nefropatia ereditaria<br />

legata al cromosoma X (XLHN, X-linked hereditary nephropathy).<br />

In un differente studio su cani con XLHN, tuttavia,<br />

una dose più bassa di enalapril [5 mg per os ogni 12 ore (fino<br />

ad una dose massima di 2 mg/kg), che ha portato ad una dose<br />

media di partenza di 1,85 mg/kg in cuccioli di un mese che è<br />

diminuita sino ad una dose media di 0,2 mg/kg ogni 12 ore<br />

man mano che i cani crescevano durante lo studio] non ha<br />

avuto effetto sulla proteinuria o sulla progressione della<br />

malattia. Presi insieme, questi due studi nei cani con XLHN<br />

dimostrano che la dose dell’ACE-inibitore che viene somministrato<br />

può avere importanti effetti sui risultati ottenuti; tuttavia,<br />

il dosaggio che era efficace in uno studio era più elevato<br />

di quello che spesso viene raccomandato per l’impiego clinico<br />

nel cane. È stato anche dimostrato che l’enalapril (0,5<br />

mg/kg ogni 12 ore) riduce la proteinuria e rallenta la progressione<br />

delle lesioni istologiche nei cani con un modello di rene<br />

residuo di insufficienza renale. Al contrario, la somministrazione<br />

di benazepril (a parecchie dosi, fino a 1-2 mg/kg ogni 24<br />

ore) non ha avuto alcun effetto sulla proteinuria nei gatti con<br />

modello di rene residuo di insufficienza renale, ma il trattamento<br />

con benazepril ha ridotto la pressione sistolica ed ha<br />

modificato favorevolmente le emodinamiche intrarenali. Tuttavia,<br />

i risultati iniziali di una prova clinica in gatti con nefropatie<br />

spontanee hanno indicato che il trattamento con benazepril<br />

(0,5-1,0 mg/kg ogni 24 ore) ha manifestato effetti antiproteinurici,<br />

ma prolungava significativamente la sopravvivenza<br />

solo in un piccolo sottogruppo di gatti che inizialmente<br />

presentavano livelli di proteinuria più elevati (UPC > 1).<br />

Modificazioni della dieta<br />

L’assunzione di proteine è uno dei fattori dietetici che influiscono<br />

sull’entità della concentrazione urinaria di proteine osservata<br />

negli animali con proteinuria glomerulare. In generale, il<br />

consumo di una maggior quantità di proteine aumenta la perdita<br />

delle stesse con l’urina, mentre una riduzione del consumo la<br />

diminuisce, ma bisogna evitare la malnutrizione proteico-calorica.<br />

L’assunzione ottimale di proteine con la dieta nei cani e nei<br />

gatti con nefropatie proteinuriche non è stata ben definita, specialmente<br />

nel contesto della concomitante terapia farmacologica<br />

(ad es., somministrazione di un ACE-inibitore). Inoltre,<br />

ammesso che esistano, non sono stati studiati gli effetti sulla<br />

progressione della nefropatia derivanti dalle correzioni della<br />

dieta volte a limitare la perdita di proteine con le urine nei cani<br />

o nei gatti con un’imponente proteinuria. Al contrario, è stato<br />

dimostrato che l’assunzione con la dieta di lipidi (ed in particolare<br />

le quantità relative ed assolute di acidi grassi n-3 ed n-6<br />

assunti con la dieta) influisce sulla proteinuria e sulla progressione<br />

della nefropatia nel cane.<br />

Letture consigliate<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum Consensus<br />

Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-385.<br />

2. Lefebvre HP, Toutain PL. Angiotensin-converting enzyme inhibitors in<br />

the therapy of renal diseases. J Vet Pharmacol Therap 2004;27:265-281.<br />

3. Grauer GF, Greco DS, Getzy DM, et al. Effects of enalapril versus<br />

placebo as a treatment for canine idiopathic glomerulonephritis. J Vet<br />

Intern Med 2000;14:526-533.<br />

4. Brown SA, Finco DR, Brown CA, et al. Evaluation of the effects of<br />

inhibition of angiotensin converting enzyme with enalapril in dogs with<br />

induced chronic renal insufficiency. Am J Vet Res 2003;64:3<strong>21</strong>-327.<br />

5. Burkholder WJ, Lees GE, LeBlanc, et al. Diet modulates proteinuria<br />

in heterozygous female dogs with X-linked hereditary nephropathy. J<br />

Vet Intern Med 2004;18:165-175.<br />

6. Brown SA, Brown CA, Crowell WA, et al. Effects of dietary polyunsaturated<br />

fatty acid supplementation in early renal insufficiency in<br />

dogs. J Lab Clin Med 2000;135:275-286.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 145<br />

Radiologia del rachide:<br />

la mielografia è ancora l’indagine di elezione?<br />

Francisco J. Llabrés-Diaz<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

La risposta diretta a questa domanda è no. La mielografia<br />

non è più la migliore tecnica di diagnostica per immagini<br />

disponibile per la valutazione dei pazienti con segni clinici<br />

indicativi di una condizione spinale. Tuttavia ciò non significa<br />

automaticamente che non abbia un ruolo da svolgere in<br />

neurologia veterinaria. Tuttavia, è necessario conoscere e<br />

capire a) le indicazioni ed i limiti della radiografia/mielografia,<br />

b) gli artefatti e i riscontri non significativi che si possono<br />

incontrare e c) quando questa tecnica è rilevante nell’ambito<br />

del quadro clinico. Nel corso della relazione verranno<br />

illustrati questi punti importantissimi. Allo stesso<br />

modo, non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza di un<br />

corretto esame clinico e neurologico completo, nonché l’uso<br />

di altri test diagnostici collaterali che, benché non vengano<br />

trattati in questa sede, devono sempre essere tenuti presenti.<br />

Fra le indicazioni per la mielografia possiamo comprendere:<br />

1. Confermare una lesione sospettata nelle radiografie senza<br />

mezzo di contrasto<br />

2. Confermare che una lesione, vista nelle radiografie senza<br />

mezzo di contrasto ma non correlata ai risultati dell’esame<br />

neurologico, è davvero probabilmente insignificante<br />

dal punto di vista clinico<br />

3. Decidere quale delle molteplici lesioni individuate nelle<br />

radiografie senza mezzo di contrasto e che potrebbero<br />

spiegare i segni clinici è/sono più significative.<br />

4. Identificare una lesione che non era visibile nelle radiografie<br />

senza mezzo di contrasto, ma era sospettata sulla<br />

base dei risultati dell’indagine anamnestica, dei segni clinici<br />

e della visita neurologica.<br />

5. Una volta identificata una lesione, determinarne l’esatta<br />

localizzazione e, una volta stabilito che sarebbe appropriato<br />

un trattamento chirurgico, decidere l’approccio migliore.<br />

6. In casi particolari, ad esempio in presenza di una spondilomielopatia<br />

cervicale caudale (sindrome di Wobbler),<br />

determinare se una lesione è statica o dinamica, il che<br />

condiziona il tipo di chirurgia con le maggiori probabilità<br />

di giovare al paziente, se la soluzione operatoria viene<br />

infine considerata necessaria<br />

7. Confermare una diagnosi per esclusione (ad es., mielopatia<br />

ischemica o degenerativa).<br />

Per quanto riguarda la tecnica mielografica, verranno<br />

fornite solo poche indicazioni:<br />

1. Scelta del mezzo di contrasto: nella nostra struttura si utilizza<br />

routinariamente un mezzo di contrasto idrosolubile<br />

iodato non ionico a bassa osmolarità con 300 mg I/ml<br />

(Iohexol, Omnipaque, Amersham Health). Sono disponibili<br />

preparazioni meno concentrate, ma quelle con concen-<br />

trazione più elevata forniscono una migliore opacizzazione<br />

dello spazio subaracnoideo e sono maggiormente sensibili<br />

all’utile effetto della gravità (Kirberger, R.M., <strong>19</strong>94).<br />

2. Dose: 0,3-0,45 ml/kg, con una dose più elevata se la lesione<br />

è probabilmente situata più avanti rispetto al punto di<br />

iniezione e nei gatti e nei cani delle razze di piccola taglia;<br />

si impiega una dose minore nella situazione opposta, con<br />

lesioni più vicine o pazienti più grandi. In letteratura sono<br />

state citate una dose massima di 9 ml (Kirberger, R.M.,<br />

<strong>19</strong>94) e una dose minima di 1 ml. Se si desidera valutare<br />

l’intera colonna vertebrale di un cane gigante è probabilmente<br />

necessaria una dose totale leggermente superiore a<br />

9 ml, tuttavia è vero che 10-11 ml possono essere sorprendentemente<br />

sufficienti nei cani di grossa taglia. Il<br />

paziente deve essere mantenuto adeguatamente idratato<br />

durante l’esame, dato che ciò contribuisce ad eliminare il<br />

mezzo di contrasto dall’organismo. La testa va tenuta sollevata<br />

per evitare l’accumulo del mezzo di contrasto stesso<br />

nello spazio subaracnoideo intracranico.<br />

3. Punto di iniezione:<br />

a. Cisterna cerebellomidollare: tecnicamente più facile;<br />

rischio di gravi complicazioni se si perfora il midollo<br />

spinale; può darsi che la porzione caudale della lesione<br />

non venga visualizzata perché il contrasto segue l’area<br />

di minore resistenza (spazio subaracnoideo encefalico);<br />

l’analisi di un campione di liquor può teoricamente essere<br />

meno utile, dato che si presume che questo liquido<br />

fluisca craniocaudalmente; sono più probabili gli artefatti<br />

associati ad iniezione subdurale del mezzo di contrasto.<br />

Apparentemente, si ha un maggior rischio di crisi<br />

convulsive postmielografia (Barone, G. et al., 2002).<br />

b. Cisterna lombare: tecnicamente più difficile; effetti relativamente<br />

meno gravi se viene perforato il midollo spinale,<br />

ma non bisogna dimenticarsi di questo rischio; la<br />

pressione può consentire il flusso del mezzo di contrasto<br />

intorno alla lesione e, quindi, delinearne meglio i margini;<br />

l’analisi di un campione di liquor è teoricamente più<br />

utile; gli artefatti associati allo spandimento epidurale<br />

del mezzo di contrasto sono più probabili. La sede di<br />

iniezione raccomandata è a livello di L6-7 per i cani di<br />

piccola taglia ed i gatti, ma di L5-6 nei cani più grandi.<br />

4. Uso della gravità: (l’impiego di un tavolo inclinabile può<br />

essere molto utile)<br />

a. Per accelerare il flusso caudale del mezzo di contrasto<br />

dopo puntura della cisterna cerebellomidollare.<br />

b. Per superare la resistenza del mezzo di contrasto a circondare<br />

una lesione dopo puntura della cisterna cerebellomidollare


146 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

c. Per ottenere un buon riempimento delle colonne di contrasto<br />

intorno alle porzioni cervicotoraciche e toracolombari<br />

della colonna vertebrale, che sono aree dove di<br />

routine si osserva uno scarso riempimento del mezzo di<br />

contrasto o in qualsiasi altra area che in un particolare<br />

paziente mostri uno scarso riempimento dello spazio<br />

subaracnoideo<br />

Artefatti nella mielografia<br />

Principalmente, iniezioni subdurali di mezzo di contrasto<br />

nelle mielografie cervicali (Scrivani, P.V. 2000, Penderis J.<br />

et al., <strong>19</strong>99) e fuoriuscita epidurale del mezzo di contrasto<br />

nelle mielografie lombari, benché entrambi i tipi di artefatti<br />

si possano avere nei due tipi di iniezione.<br />

Mezzo di contrasto nei tessuti molli al di fuori del canale vertebrale<br />

o nel parenchima/canale centrale del midollo spinale.<br />

Iniezione iatrogena di bolle di gas nello spazio subaracnoideo,<br />

visibile sotto forma di difetti di riempimento radiotrasparenti<br />

molto ben definiti.<br />

Quando si verifica un’iniezione subdurale/fuoriuscita<br />

epidurale, lo spazio subaracnoideo non riceve la dose completa<br />

di mezzo di contrasto e, inoltre, il contrasto epidurale<br />

o subdurale può essere sovrapposto alla mielografia, rendendone<br />

ancor più difficile la valutazione. Questo è il motivo<br />

per cui può essere molto importante effettuare un’iniezione<br />

di prova, dato che il fatto di riuscire ad aspirare del<br />

liquor non permette di escludere l’eventualità di iniezioni di<br />

mezzo di contrasto a livello subdurale, epidurale o persino<br />

parenchimale, perché per consentire il flusso del liquor è<br />

sufficiente che solo una parte della bietta dell’ago si trovi<br />

nello spazio subaracnoideo.<br />

Se parte del mezzo di contrasto ha raggiunto lo spazio epidurale,<br />

la visualizzazione delle colonne di contrasto subaracnoidee<br />

migliora man mano che la parte restante del mezzo<br />

di contrasto viene eliminata dal normale ritorno venoso.<br />

Ripetere la radiografia dell’area dopo 10 minuti per valutare<br />

questo processo di eliminazione. Se il contrasto scompare<br />

anche dallo spazio subaracnoideo, può essere utile eseguire<br />

una seconda iniezione lombare con una dose leggermente<br />

più bassa, sperando di evitare una nuova fuoriuscita di liquido,<br />

o ricorrere all’iniezione nella cisterna cerebellomidollare.<br />

Nel peggiore dei casi, può essere necessario svegliare il<br />

paziente e ripetere l’esame in un giorno differente.<br />

Il mezzo di contrasto nel canale centrale è un riscontro<br />

poco comune che può essere privo di significato se il canale<br />

misura meno di 1 mm di diametro (Kirberger, R. M., et<br />

al., <strong>19</strong>93), dato che talvolta il canale centrale comunica con<br />

lo spazio subaracnoideo o, occasionalmente, il mezzo di<br />

contrasto riesce ad accedere al canale stesso attraverso il<br />

tragitto dell’ago. Tuttavia, è molto probabile che il canale<br />

centrale sia abnormemente ampliato se esistono comunicazioni<br />

anomale fra esso e lo spazio subaracnoideo (trauma,<br />

neoplasia o in seguito ad iniezione diretta nel canale). Quest’ultima<br />

evenienza ha maggiori probabilità di verificarsi se<br />

l’iniezione viene eseguita più cranialmente nella colonna<br />

lombare, specialmente a livello dell’intumescenza lombare.<br />

La prognosi per l’iniezione nel canale centrale è riservata,<br />

ancor più se il volume del mezzo di contrasto che giunge<br />

nel canale è elevato.<br />

Approccio sistematico all’interpretazione<br />

di una mielografia<br />

1. Valutazione critica della qualità della mielografia (adeguato<br />

riempimento dello spazio subaracnoideo da parte<br />

del mezzo di contrasto, assenza di artefatti, ecc..)<br />

2. Posizione e larghezza delle colonne di mezzo di contrasto<br />

in tutte le proiezioni radiografiche<br />

3. Posizione, diametro e radiopacità del midollo spinale in<br />

tutte le proiezioni radiografiche.<br />

Se si riscontra una lesione, questa deve essere ulteriormente<br />

distinta in a) extradurale, b) intradurale ma extramidollare<br />

o c) intramidollare.<br />

Diagnosi differenziali<br />

a) Extradurali: principalmente protrusioni/estrusioni discali,<br />

ematomi e neoplasie (ossa o tessuti molli, primitive o<br />

secondarie). Considerare anche l’ipertrofia del ligamentum<br />

flavum, le cisti sinoviali, le fratture/lussazioni, le anomalie<br />

di sviluppo delle vertebre (sindrome di Wobbler,<br />

casi gravi di emivertebre, ecc..), empiema, granuloma.<br />

b) Intradurali-extramidollari: principalmente cisti aracnoidi<br />

e neoplasie (meningiomi, tumori delle guaine dei nervi),<br />

ma si devono considerare anche ematomi aracnoidi o granulomi<br />

(rari).<br />

c) Intramidollari: principalmente edema/contusione e neoplasia.<br />

Altre possibilità sarebbero la siringoidromielia o la<br />

mielomalacia<br />

Limiti della mielografia<br />

1. Mielografie normali (mielografia ischemica, mielopatia<br />

degenerativa, meningoencefalomielite granulomatosa,<br />

meningite).<br />

2. Aree dove la mielografia può non essere utile (affezioni<br />

lombosacrali, empiema, estensione retroperitoneale di<br />

una discospondilite, fra le altre).<br />

3. Casi difficili con assenza di una buona delineazione dello<br />

spazio subaracnoideo da parte del mezzo di contrasto<br />

4. Edema/contusione/emorragia midollare<br />

5. Grandi lesioni extradurali (materiale discale ed emorragie,<br />

principalmente)<br />

Bibliografia<br />

Barone, G., Ziemer, L.S., Shofer, F. S. & Steinberg, S. A. (2002) Risk factors<br />

associated with development of seizures after use of iohexol for myelography<br />

in dogs: 182 cases (<strong>19</strong>98). J Am Vet Med Assoc, 220, 1499-1502.<br />

Kirberger, R.M. (<strong>19</strong>94) Recent developments in canine lumbar myelography.<br />

Compendium on Continuing Education for the Practicing<br />

Veterinarian, 16.<br />

Kirberger, R. M. and Wrigley, R. H. (<strong>19</strong>93) Myelography in the dog: review<br />

of patients with contrast medium in the central canal. Veterinary<br />

Radiology and Ultrasound, 34, 253 - 258.<br />

Penderis, J., Sullivan, M., Schwarz, T. & Griffiths, I. R. (<strong>19</strong>99) Subdural<br />

injection of contrast medium as a complication of myelography. J<br />

Small Anim Pract, 40, 173-176.<br />

Scrivani, P. V. (2000) Myelographic artifacts. Vet Clin North Am Small<br />

Anim Pract, 30, 303 - 14, vi.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Llabrés-Diaz, Francisco J.<br />

Davies Veterinary Specialists, Manor Farm Business Park,<br />

Higham Gobion, Herts, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 147<br />

Diagnostica per immagini avanzata del rachide<br />

Francisco J. Llabrés-Diaz<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

Come ricordato nella relazione sulla radiologia del rachide,<br />

la mielografia non è più la migliore tecnica di diagnostica<br />

per immagini per la valutazione dei pazienti veterinari<br />

colpiti da patologie spinali o paraspinali. Sia la tomografia<br />

computerizzata (TC) che la risonanza magnetica (MRI) si<br />

vanno diffondendo sempre di più e, specialmente la MRI,<br />

hanno iniziato a sostituire l’uso della radiografia/mielografia<br />

in alcuni centri di riferimento.<br />

Lo scopo di questa relazione è quello di illustrare l’uso della<br />

MRI per la diagnosi delle condizioni spinali in medicina<br />

veterinaria, dato che l’autore ha una maggiore esperienza clinica<br />

con l’uso di questa tecnica piuttosto che con la TC. Tuttavia,<br />

bisogna comprendere che entrambe queste metodiche<br />

non sono esenti da alcuni limiti e, analogamente a quanto è<br />

stato ricordato per l’impiego della mielografia, è molto<br />

importante capire che una MRI, anche se tecnicamente perfetta,<br />

non può e non deve sostituire un corretto esame clinico<br />

neurologico ed è solo un altro passo verso la diagnosi esatta.<br />

Vantaggi della MRI rispetto alle altre<br />

tecniche radiografiche tradizionali<br />

1. Si possono ottenere immagini di qualsiasi piano (benché<br />

abitualmente si impieghino i tre ortogonali: dorsale, sagittale<br />

e trasversale).<br />

2. La MRI offre informazioni dettagliate sul parenchima midollare,<br />

sullo spazio subaracnoideo pieno di liquor, sullo spazio<br />

epidurale e su tessuti molli perivertebrali (riassumendo, si ha<br />

un ottimo contrasto dei tessuti molli in confronto alle tecniche<br />

di diagnostica per immagini basate sui raggi X).<br />

3. La formazione delle immagini non è ottenuta con l’uso di<br />

radiazioni ionizzanti.<br />

4. Quindi, è molto adatta per lo studio delle condizioni neurologiche<br />

(Dennis, R. 2003).<br />

5. Non c’è bisogno di iniettare un mezzo di contrasto nello spazio<br />

subaracnoideo, il che riduce il rischio di lesioni iatrogene<br />

e crisi convulsive secondarie (Pooya, H. A., et al. 2004).<br />

6. Benché si sia storicamente ritenuto che la TC offra immagini<br />

di qualità superiore delle strutture ossee (le vertebre<br />

nel caso specifico della colonna vertebrale), l’uso di particolari<br />

sequenze di risonanza magnetica, e principalmente<br />

di quelle gradient echo permette lo studio dettagliato,<br />

fra l’altro, delle vertebre (questa metodica è anche utilizzata,<br />

ad esempio, per la conferma della presenza di ematomi<br />

o emorragie) (Dennis, R. 2005).<br />

7. Sono disponibili molte altre sequenze MRI, la cui descrizione<br />

dettagliata esula dai limiti di questo lavoro. Il punto<br />

fondamentale è che il radiologo può acquisire ulteriori<br />

informazioni sulle caratteristiche di alcune lesioni utilizzando<br />

una combinazione delle differenti sequenze ed in<br />

particolare servendosi di un mezzo di contrasto paramagnetico<br />

iniettato per via endovenosa durante l’esame (la<br />

discospondilite e la neoplasia sarebbero ottimi esempi di<br />

casi in cui l’uso del mezzo di contrasto è ritenuto utile).<br />

8. Una delle aree in cui la MRI si va diffondendo è lo studio<br />

dei casi di sindrome della cauda equina, particolarmente<br />

associati alla discopatia lombosacrale. Il sacco durale può<br />

terminare cranialmente al disco lombosacrale e, nei casi<br />

in cui raggiunge questo livello, per il suo minor diametro<br />

e per la sua posizione più dorsale all’interno della porzione<br />

distale del canale vertebrale ostacola una valutazione<br />

mielografica accurata. La MRI può consentire di escludere<br />

oppure di caratterizzare in modo accurato una discopatia,<br />

nonché determinare la presenza e la gravità di altri fattori<br />

complicanti come, ad esempio, la spondilosi deformante<br />

laterale o la stenosi dei fori intervertebrali.<br />

Limiti della MRI<br />

1. Per i clinici che vogliono iniziare ad utilizzarla<br />

a. Il costo di acquisto e manutenzione dell’apparecchiatura,<br />

specialmente se si opta per un magnete a superconduzione<br />

a campo elevato. Inoltre, le apparecchiature di<br />

monitoraggio dell’anestesia devono essere del tutto o in<br />

parte compatibili con la MRI. Presso il nostro centro,<br />

l’impiego di tubi più lunghi consente di effettuare il<br />

monitoraggio dell’anestesia dalla sala di controllo, per<br />

cui è necessaria solo la spesa per l’acquisto di una sonda<br />

pulsossimetrica compatibile con la MRI.<br />

b. Il tempo e l’impegno necessari per acquisire familiarità<br />

con la tecnica e, cosa ancor più importante, con l’interpretazione<br />

delle immagini così generate.<br />

c. La durata dell’esame in confronto ad una TC o ad una mielografia<br />

“rapida” (alcune delle soddisfacenti 4 mielografie<br />

radiografiche < due indagini senza mezzo di contrasto e<br />

due radiografie dopo iniezione dello stesso > quello che<br />

riusciamo a vedere ogni tanto!). Quindi, è possibile che la<br />

MRI non sia la tecnica d’elezione nei pazienti in condizioni<br />

critiche, specialmente se si utilizza un sistema chiuso,<br />

dove il magnete circonda completamente il corpo dell’animale,<br />

per la difficoltà di accesso che questo comporta.<br />

d. Può essere difficile ottenere immagini di alta qualità della<br />

colonna vertebrale dei cani di piccola taglia e dei gatti, a<br />

causa delle ridotte dimensioni del loro midollo spinale.<br />

e. La qualità delle immagini delle porzioni toracica o toracolombare<br />

della colonna vertebrale può essere influenzata<br />

negativamente dai movimenti cardiaci e/o respiratori.<br />

2. Per il proprietario del cane/gatto colpito<br />

a. Il costo dell’esame<br />

3. Per tutti (veterinario/proprietario/animale)


148 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

a. Eseguire una MRI, come qualsiasi altra tecnica di diagnostica<br />

per immagini, non equivale ad effettuare una<br />

diagnosi istopatologica della lesione e per confermare il<br />

sospetto diagnostico saranno necessari ulteriori test che<br />

comporteranno altri costi per il proprietario.<br />

I quadri MRI delle patologie spinali più comunemente<br />

diagnosticate nei piccoli animali:<br />

1. Discopatia<br />

a. Acuta<br />

b. Cronica<br />

c. Emorragica<br />

d. Estrusione intramidollare<br />

e. Alta velocità basso volume<br />

f. Extracanale<br />

Questo è un riassunto di alcune delle lesioni discali più<br />

comunemente osservate. La MRI risulta utile per localizzare<br />

accuratamente i dischi colpiti (bisogna fare attenzione a non<br />

presumere immediatamente che un disco degenerato e non<br />

idratato sia responsabile dei segni clinici) e determinare la<br />

presenza e la gravità della compressione midollare quando si<br />

valuta la quantità di liquor e di grasso epidurale che rimane<br />

intorno al midollo spinale. È anche possibile diagnosticare<br />

facilmente altre modificazioni associate, che non si osservano<br />

in tutti i casi, come le emorragie (di solito epidurali) ed il<br />

danno midollare secondario (talvolta definito come disco da<br />

alta velocità e basso volume). Si deve prendere in considerazione<br />

l’ipotesi di un’emorragia se si osserva una lesione iperintensa<br />

nelle sequenze T1- e T2-pesate e non corrisponde<br />

chiaramente alla presenza di grasso. Tuttavia, per mostrare<br />

questo particolare quadro di intensità nelle sequenze in base<br />

T1 e T2, la lesione deve essere vecchia di 1-7 giorni (Tidwell,<br />

A. S. et al., 2002). Invece, le tecniche gradient echo possono<br />

confermare che una lesione è emorragica poche ore dopo che<br />

si è formata, rivelando un’alterazione ipointensa (Tidwell, A.<br />

S. et al., 2002), (Platt, S.R. et al., 2003).<br />

In caso di disco ad alta velocità e basso volume, l’effetto<br />

traumatico causato dal materiale discale e dall’edema focale<br />

secondario si presenta come un’area iperintensa nelle<br />

sequenze in base T2. In questa sequenza, si può osservare<br />

un’ipointensità all’interno del midollo se una parte di materiale<br />

discale mineralizzato attraversa le meningi per penetrare<br />

nel midollo spinale, ma le estrusioni intramidollari,<br />

pur essendo state descritte (McConnell, F. J, et al., 2004)<br />

sono meno comuni.<br />

2. Mielopatia ischemica: in gran parte indistinguibile da una<br />

lesione midollare intraparenchimale associata ad un disco<br />

ad alta velocità e basso volume basandosi unicamente sulle<br />

immagini MRI, dato che può anche comparire come<br />

un’area iperintensa focale nelle sequenze T2-pesate. Tuttavia,<br />

è necessario studiare la presenza di una discopatia<br />

nei dischi adiacenti, per cercare di giungere alla diagnosi<br />

corretta, benché non si tratti di una soluzione del tutto affidabile.<br />

Il tipo esatto di patologia coinvolta è in una certa<br />

misura un po’ meno importante, dato che clinicamente<br />

entrambi i tipi di lesioni sono probabilmente associati ad<br />

un’insorgenza iperacuta di segni clinici e, quindi, dal punto<br />

di vista pratico, in questo scenario clinico è necessario<br />

solo confermare la presenza di una patologia midollare<br />

non compressiva.<br />

3. Neoplasia<br />

a. Colonna vertebrale<br />

b. Nervi e meningi<br />

c. Affezioni vertebrali e paravertebrali<br />

La MRI, soprattutto se integrata dall’impiego di un mezzo<br />

di contrasto paramagnetico, consente di ottenere immagini<br />

estremamente buone di tutti i tipi di neoplasia, permettendo<br />

anche una buona valutazione dell’estensione del processo<br />

patologico. Talvolta, tuttavia, può essere difficile differenziare<br />

le lesioni intramidollari da quelle intradurali ma extramidollari<br />

se non si riesce ad identificare un chiaro ampliamento<br />

dello spazio subaracnoideo che porta alla lesione.<br />

4. Sindrome di malformazione occipitale caudale e siringoidromielia<br />

associata<br />

Si tratta di una patologia comunemente osservata nel<br />

cavalier king Charles spaniel. L’anormale configurazione<br />

della fossa caudale del cranio porta a compressione cerebellare,<br />

sovraffollamento di strutture nel foramen magnum,<br />

compressione del tronco encefalico ed anomalie del flusso<br />

del liquor con siringoidromielia spinale associata (Lu, D. et<br />

al., 2003; Rusbridge, C. et al. 2003). È interessante notare<br />

che esiste una correlazione relativamente scarsa fra la gravità<br />

delle alterazioni della fossa caudale ed i segni clinici. Si<br />

devono prendere in considerazione anche altre cause di siringoidromielia,<br />

specialmente in altre razze.<br />

5. Discospondilite ed empiema<br />

Le sequenze gradient echo sono molto indicate per stabilire<br />

la presenza o meno di irregolarità della placca terminale.<br />

Allo stesso modo, l’uso di un mezzo di contrasto paramagnetico<br />

si rivela utilissimo per valutare il grado di infiammazione<br />

dei tessuti molli. L’autore ha osservato casi impressionanti<br />

di estensione della patologia all’interno del canale<br />

(empiema) oppure in sede retroperitoneale e la MRI è risultata<br />

molto adatta a rivelare queste alterazioni in confronto<br />

alle immagini radiografiche degli stessi casi.<br />

Bibliografia<br />

Dennis, R. (2005). Use of gradient echo pulse sequences in MRI of the spine<br />

in small animals. EAVDI Annual Congress, Naples, Italy. Abstract<br />

proceedings page 25.<br />

Dennis, R. (2003) Advanced imaging: indications for CT and MRI in veterinary<br />

patients. In Practice, 25, 243-254<br />

Lu, D., Lamb, C. R., Pfeiffer, D. U. & Targett, M. P. (2003) Neurological signs<br />

and results of magnetic resonance imaging in 40 cavalier King Charles<br />

spaniels with Chiari type 1-like malformations. Vet Rec, 153, 260-263.<br />

McConnell, F. J. and Garosi, L. S. (2004) Intramedullary Intervertebral Disk<br />

Extrusion in a Cat. Veterinary Radiology & Ultrasound, 45, 327-330<br />

Platt, S. R. and Garosi, L. S. (2003) Canine cerebrovascular disease: do<br />

dogs have strokes? J Am Anim Hosp Assoc, 39, 337-342.<br />

Pooya, H. A., Seguin, B., Tucker, R., Gavin, P. & Tobias, K. M. (2004)<br />

Magnetic Resonance Imaging in Small Animal Medicine: Clinical<br />

Applications. Compendium on Continuing Education for the Practicing<br />

Veterinarian, 26, 292-302.<br />

Rusbridge, C. and Knowler, S. P. (2003) Hereditary aspects of occipital<br />

bone hypoplasia and syringomyelia (Chiari type I malformation) in<br />

cavalier King Charles spaniels. Vet Rec, 153, 107-112.<br />

Tidwell, A. S., Specht, A., Blaeser, L. & Kent, M. (2002) Magnetic resonance<br />

imaging features of extradural hematomas associated with intervertebral<br />

disc herniation in a dog. Vet Radiol Ultrasound, 43, 3<strong>19</strong>-324.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Llabrés-Diaz, Francisco J. - Davies Veterinary Specialists,<br />

Manor Farm Business Park, Higham Gobion, Herts, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 149<br />

Patologie infiammatorie del sistema nervoso centrale:<br />

il punto di vista del radiologo<br />

Francisco J. Llabrés-Diaz<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

La diagnosi dei processi infiammatori o infettivi che colpiscono<br />

il sistema nervoso centrale può essere facile e agevole<br />

oppure molto frustrante per il radiologo. È questo il<br />

caso tipico, ad esempio, a) di un cane afflitto da dolore dove<br />

è presente un sospetto clinico molto forte di discospondilite<br />

e b) di un cane con manifestazioni algiche dove è presente<br />

un sospetto clinico molto forte di meningoencefalite o<br />

meningomielite. I casi di discospondilite possono essere frustranti,<br />

perché non è raro che i segni radiografici compaiano<br />

con un certo ritardo rispetto alla progressione di quelli clinici,<br />

per cui quando il cane è peggiorato clinicamente le radiografie<br />

possono mostrare scarse o nulle alterazioni, mentre<br />

quando il cane sta migliorando o è persino tornato clinicamente<br />

normale, i segni radiografici possono essere più evidenti<br />

(un quadro radiografico di lisi ossea/irregolarità delle<br />

placche terminali delle vertebre vicine sarebbe tipico di una<br />

fase radiografica cronica della malattia). Il ruolo della MRI<br />

in questo particolare scenario verrà illustrato più oltre.<br />

Le radiografie riprese nei casi di meningoencefalite o meningomielite<br />

molto probabilmente sono normali. L’iniezione di un<br />

mezzo di contrasto radiografico nello spazio subaracnoideo<br />

per eseguire una mielografia influisce sui risultati dell’analisi<br />

del liquor e quindi, la MRI, se disponibile, rappresenta un mezzo<br />

di diagnostica per immagini molto migliore in questo scenario<br />

clinico, dato che è possibile effettuare un esame MRI<br />

completo prima di prelevare ed analizzare un campione di<br />

liquor, sperando di riuscire a giungere ad una diagnosi o, almeno,<br />

di ridurre l’elenco delle possibili diagnosi differenziali del<br />

caso in esame senza bisogno di affrontare i rischi connessi<br />

all’esecuzione di una mielografia. La MRI è probabilmente<br />

normale se sono colpite soltanto le meningi e non l’encefalo o<br />

il parenchima midollare, benché in alcuni casi in quelle T1pesate,<br />

dopo la somministrazione di un mezzo di contrasto<br />

paramagnetico, si identifichi una drastica accentuazione delle<br />

meningi in caso di un loro marcato interessamento. (Mellema,<br />

L. M. et al., 2002). Per dimostrare tutto questo nei casi meno<br />

evidenti possono essere utili le tecniche di sottrazione, che<br />

consentono alla MRI computerizzata di ottenere un’altra serie<br />

di immagini delle aree di postaccentuazione del contrasto<br />

attraverso una postelaborazione delle immagini T1-pesate<br />

riprese prima e dopo la somministrazione del contrasto. Quindi,<br />

un approccio più drastico e critico a questi casi consiste nell’utilizzare<br />

la MRI come primo mezzo di diagnostica per<br />

immagini ricercando la conferma del sospetto clinico o, in<br />

mancanza di questo, cercando di escludere altre possibili diagnosi<br />

differenziali del dolore e di assicurarsi che non vi siano<br />

evidenti ragioni che sconsiglino il prelievo di un campione di<br />

liquor (ad es. nei casi di instabilità atlantoassiale, piccole fratture<br />

delle vertebre cervicali craniali, ecc..).<br />

Anche se questi due esempi corrispondono a scenari clinici<br />

reali e relativamente comuni, è estremamente importante<br />

capire che esistono molte altre condizioni infiammatorie/infettive<br />

che colpiscono il sistema nervoso centrale e possono<br />

venire diagnosticate più facilmente con le radiografie<br />

ed in particolare con la MRI. Tuttavia, nella maggior parte<br />

dei casi ed in particolar modo quando si cerca di diagnosticare<br />

una patologia intracranica, la risonanza magnetica è<br />

superiore alle riprese radiografiche. Come già ricordato,<br />

l’autore non ha esperienza clinica dell’attività con la neuro-<br />

TC e, quindi, dirà ben poco in questa sede circa l’uso di questa<br />

tecnica. Tuttavia, anche altre fonti bibliografiche confermano<br />

il fatto che la MRI è superiore alla TC per la valutazione<br />

del parenchima del SNC (Dennis, R, 2003).<br />

La radiografia/mielografia può essere utile per diagnosticare<br />

casi di discospondilite, spondilite ed alcuni casi di<br />

empiema del canale vertebrale.<br />

- Discospondilite: il quadro radiografico tipico di questa<br />

patologia è già stato illustrato. La MRI può rilevare aree<br />

di anormale intensità del segnale discale e/o aree di accentuazione<br />

postcontrasto nella regione del disco intervertebrale,<br />

nelle placche terminali vertebrali, nel canale vertebrale<br />

e nei tessuti molli perivertebrali, prima che vengono<br />

identificate modificazioni più evidenti delle placche terminali.<br />

Per cercare di identificare gli agenti infettivi sottostanti<br />

e decidere quale sia la migliore linea d’azione da<br />

seguire, tuttavia, saranno necessari ulteriori test.<br />

- Spondilite: solitamente associata a neoformazione ossea che<br />

colpisce la faccia ventrale di una o più vertebre. Una possibile<br />

diagnosi differenziale radiografica sarebbe la diffusione<br />

metastatica di un tumore della parte caudale dell’addome<br />

(prostata, uretra, ghiandole dei sacchi anali, ecc..) alle vertebre<br />

lombari caudali. In altre aree della colonna vertebrale, si<br />

devono ricercare le cause infettive (più probabilmente batteriche).<br />

Sono eziologie tipiche le infezioni associate ad un<br />

corpo estraneo migrante, le ferite da morso o quelle iatrogene.<br />

Può darsi che la MRI non sia necessaria per identificare<br />

la reazione periostale, ma può essere molto utile per valutare<br />

il grado di coinvolgimento dei tessuti molli che la accompagna<br />

e può essere particolarmente indicata nei casi in cui si sia<br />

sviluppato un tragitto fistoloso.<br />

- L’empiema (in questo caso, processo settico che colpisce<br />

lo spazio epidurale) si può osservare (anche se non viene<br />

automaticamente diagnosticato) nella mielografia, specialmente<br />

se la discospondilite è associata a lesioni extradurali,<br />

multifocali o diffuse (Lavely, J. A. et al. 2006). Tuttavia,<br />

talvolta nelle mielografie si possono identificare anche casi<br />

senza discospondilite concomitante e con lesioni compressive<br />

focali e, quindi, nei casi di marcato dolore spinale e


150 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

febbre che presentano questo riscontro mielografico si<br />

deve prendere in considerazione anche questa diagnosi differenziale<br />

poco comune, ma importante. Nell’uomo, la<br />

MRI è considerata superiore per la diagnosi di questa<br />

malattia;, inoltre, è stato affermato che la mielografia<br />

sarebbe potenzialmente in grado di consentire la diffusione<br />

del processo patologico nello spazio subaracnoideo e<br />

pertanto andrebbe evitata in questo quadro clinico tutte le<br />

volte che si può ricorrere alla MRI.<br />

Oltre alle patologie già menzionate, la MRI risulta utile<br />

anche per diagnosticare:<br />

- Malattie dell’orecchio interno: di solito dovute ad un’estensione<br />

delle affezioni dell’orecchio medio, che vengono<br />

raramente diagnosticate con la MRI sulla base della<br />

perdita del normale segnale iperintenso delle strutture dell’orecchio<br />

interno nelle immagini T2-pesate (Allgoewer,<br />

I. et al. 2000; Benigni, L. et al. 2006; Dvir, E. et al. 2000;<br />

Garosi, L. S. et al. 2000; Garosi, L. S. et al. 2003; Lamb,<br />

C.R. et al. 2000).<br />

- Estensione intracranica di una malattia dell’orecchio<br />

interno (che in certi casi può essere drammatica).<br />

- Alcuni casi di meningoencefalomielite granulomatosa,<br />

encefalite necrotizzante e alcuni casi di encefalite infettiva,<br />

specialmente se associata ad una massa patologica<br />

localizzata (ascesso o granuloma micotico).<br />

Applicando i concetti equivalenti ai segni radiografici<br />

(numero, dimensioni, forma, posizione, margine, radiopacità,<br />

aumento o diminuzione della funzione e progressione dei<br />

segni clinici nel tempo, ma sostituendo alla radiopacità il<br />

tipo di intensità) si potrebbe riassumere a grandi linee il quadro<br />

generale delle patologie infiammatorie/infettive (tranne<br />

che nei casi di discospondilite, meningite, infezioni drammatiche<br />

dell’orecchio interno, ascessi e granulomi) definendole<br />

come lesioni intraparenchimali multifocali con margini<br />

di gran lunga meno definiti di quelli che si osservano nella<br />

maggior parte dei tumori e con un quadro di intensità generale<br />

che potrebbe essere riassunto come segue: le lesioni tendono<br />

ad essere iperintense a livello dell’encefalo circostante<br />

e del parenchima midollare nelle sequenze in base T2 (T2pesate<br />

e T2-FLAIR) ma iso- e leggermente ipointense in<br />

quelle gradient echo e T1-pesate, dimostrando un quadro<br />

variabile di accentuazione dopo la somministrazione di un<br />

mezzo di contrasto paramagnetico.<br />

La diagnosi finale di solito richiede quindi l’esame istopatologico,<br />

benché possano risultare utili anche i dati ottenuti<br />

attraverso l’analisi completa del liquor, che deve comprendere<br />

anche altre indagini collaterali come i test sierologici<br />

o la PCR per la ricerca di cimurro, Toxoplasma e Neospora<br />

nel cane e FeLV, FIV, Toxoplasma e Coronavirus nel<br />

gatto per cercare di identificare la presenza di condizioni<br />

infettive. Bisogna stare attenti a non saltare alla conclusione<br />

che un quadro multifocale sia sempre di origine infiammatoria<br />

o infettiva, dal momento che si possono osservare masse<br />

multiple e ben definite in caso di metastasi, mentre nel<br />

linfoma del SNC si possono osservare lesioni multiple e mal<br />

definite con il quadro generale sopradescritto.<br />

Quadri leggermente più tipici si possono osservare nei casi<br />

di encefalite necrotizzante (carlino, Yorkshire terrier, Maltese,<br />

potenzialmente pechinese) (Ducote, J. M. et al. <strong>19</strong>99; Kuwabara,<br />

M. et al. <strong>19</strong>98; Lotti, D. et al <strong>19</strong>99), meningoencefalo-<br />

mielite granulomatosa (questa diagnosi differenziale va presa<br />

in considerazione nelle cagne di media età di una razza terrier)<br />

(Ryan, K. et al. 2001) e FIP nel gatto. Meno frequentemente,<br />

talvolta si può osservar encefalite eosinofilica.<br />

Nell’encefalite necrotizzante, si rilevano aree diffuse di<br />

segnali anormali (solitamente iperintense nelle T2-pesate ed<br />

ipointense in quelle T1-pesate, con accentuazione scarsa o<br />

assente) che interessano la sostanza bianca del proencefalo<br />

dovute alla presenza di sottostanti necrosi ed infiammazione<br />

che possono anche coinvolgere le meningi vicine. Nel maltese<br />

e nel Carlino sono colpite sia la sostanza grigia che quella<br />

bianca. Altri riferimenti bibliografici indicano che l’interessamento<br />

della sostanza grigia e bianca è comune a tutte e tre le<br />

razze. Nello Yorkshire terrier può essere interessato anche il<br />

tronco encefalico (Ducote, M. J. et al., <strong>19</strong>99). Si possono<br />

osservare tre forme di meningoencefalomielite granulomatosa:<br />

diffusa, focale o oculare. Il quadro di intensità è simile a<br />

quello precedentemente descritto, benché alcuni lavori riferiscano<br />

che l’accentuazione del contrasto possa essere una<br />

caratteristica più costante a causa della localizzazione perivascolare<br />

dell’anomalia ad un preciso livello istopatologico<br />

e del fatto che le lesioni tendono a colpire la sostanza bianca<br />

(Ryan, K. et al., 2001). Si osservano frequentemente<br />

lesioni focali che colpiscono il tronco encefalico e sono<br />

impossibili da differenziare dalle neoplasie basandosi unicamente<br />

sulla diagnostica per immagini. In alcuni casi colpiti<br />

da FIP si può riscontrare un quadro di marcata accentuazione<br />

periventricolare dopo somministrazione del contrasto.<br />

Bibliografia<br />

Allgoewer, I., Lucas, S. & Schmitz, S. A. (2000) Magnetic resonance imaging<br />

of the normal and diseased feline middle ear. Vet Radiol Ultrasound,<br />

41, 413-418.<br />

Benigni, L. and Lamb, C. R. (2006) Diagnostic imaging of ear disease in<br />

the dog and cat. In Practice, 28, 122-130.<br />

Dennis, R. (2003) Advanced imaging: indications for CT and MRI in veterinary<br />

patients. In Practice, 25, 243-254.<br />

Ducote, J. M., Johnson, K. E., Dewey, C. W., Walker, M. A., Coates, J. R.<br />

& Berridge, B. R. (<strong>19</strong>99) Computed tomography of necrotizing<br />

meningoencephalitis in 3 Yorkshire Terriers. Vet Radiol Ultrasound,<br />

40, 617 - 6<strong>21</strong>.<br />

Dvir, E., Kirberger, R. M. & Terblanche, A. G. (2000) Magnetic resonance<br />

imaging of otitis media in a dog. Vet Radiol Ultrasound, 41, 46 - 49.<br />

Garosi, L. S., Dennis, R. & Schwarz, T. (2003) Review of diagnostic imaging<br />

of ear diseases in the dog and cat. Vet Radiol Ultrasound, 44, 137-146.<br />

Garosi, L. S., Lamb, C. R. & Targett, M. P. (2000) MRI findings in a dog<br />

with otitis media and suspected otitis interna. Vet Rec, 146, 501-502.<br />

Kuwabara, M., Tanaka, S. & Fujiwara, K. (<strong>19</strong>98) Magnetic resonance imaging and<br />

histopathology of encephalitis in a Pug. J Vet Med Sci., 60, 1353-1355.<br />

Lamb, C. R. and Garosi, L. S. (2000) Two little ducks went swimming one<br />

day. Vet Radiol Ultrasound, 41, 292.<br />

Lavely, J. A., Vernau, K. M., Vernau, W., Herrgesell, E. J. & LeCouteur, R.<br />

A. (2006) Spinal Epidural Empyema in Seven Dogs. Veterinary Surgery,<br />

35, 176-185.<br />

Lotti, D., Capucchio, M. T., Gaidolfi, E. & Merlo, M. (<strong>19</strong>99) Necrotizing<br />

encephalitis in a Yorkshire Terrier: clinical, imaging, and pathologic<br />

findings. Vet Radiol Ultrasound, 40, 622-626.<br />

Mellema, L. M., Samii, V. F., Vernau, K. M. & LeCouteur, R. A. (2002)<br />

Meningeal enhancement on magnetic resonance imaging in 15 dogs<br />

and 3 cats. Vet Radiol Ultrasound, 43, 10-15.<br />

Ryan, K., Marks, S. L. & Kerwin, S. C. (2001) Granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

in dogs.<br />

Compendium on Continuing Education for the Practicing Veterinarian, 23,<br />

644 - 651.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Llabrés-Diaz, Francisco J. - Davies Veterinary Specialists,<br />

Manor Farm Business Park, Higham Gobion, Herts, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 151<br />

Quando lo Staphylococcus si comporta da patogeno<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

INTRODUZIONE<br />

Gli stafilococchi sono batteri coccoidi Gram-positivi e catalasi-positivi<br />

che nei terreni di coltura si trovano tipicamente a<br />

grappoli, benché si possano anche presentare sotto forma di<br />

singole cellule, coppie o corte catene. 1,2 Sono capaci di colonizzare<br />

la cute e le mucose di una gran varietà di animali.<br />

Si riconoscono più di 30 specie di stafilococchi. Vengono<br />

distinti fra stafilococchi patogeni, che sono coagulasi-positivi,<br />

e stafilococchi coagulasi-negativi, ma alcune specie sono<br />

coagulasi-variabili. Nel cane e nel gatto, la più comune specie<br />

patogena è Staphylococcus intermedius, benché talvolta sia<br />

coinvolto Staphylococcus aureus e siano in aumento i riscontri<br />

della forma meticillina-resistente di quest’ultimo (MRSA,<br />

methicillin-resistant S. aureus). 3,4,5 Staphylococcus hyicus,<br />

riconosciuto nella maggior parte dei casi come agente patogeno<br />

del suino, si riscontra occasionalmente nei piccoli animali.<br />

3 Le specie normalmente non considerate patogene ma che<br />

possono svolgere un ruolo in questo senso comprendono S.<br />

lugdunensis, S. schleiferi ed S. felis. È possibile che il ruolo di<br />

questi microrganismi sia stato sottostimato nel passato. 6,7,8<br />

Su agar sangue, gli stafilococchi sono generalmente di colore<br />

bianco grigiastro e formano colonie circolari, lisce e lucenti.<br />

S. aureus produce un pigmento giallo e le colonie possono<br />

apparire dorate, ma la produzione può iniziare tardivamente ed<br />

il riconoscimento di una debole pigmentazione sui terreni colorati<br />

può essere difficile. La differenziazione biochimica e morfologica<br />

di S. intermedius ed S. aureus può essere difficoltosa e<br />

talvolta si verificano errori di identificazione. 9,10<br />

Nel presente lavoro verranno esaminati i meccanismi coinvolti<br />

nella patogenicità degli stafilococchi, focalizzando l’attenzione<br />

su S. aureus ed S. intermedius e trattando le recenti<br />

scoperte relative all’interazione di queste due specie ed alle<br />

modalità di controllo della produzione del fattore di virulenza.<br />

COMPONENTI MORFOLOGICHE<br />

Le componenti della superficie degli stafilococchi possono<br />

essere coinvolte nella promozione della virulenza e nell’induzione<br />

della malattia. La maggior parte degli stafilococchi<br />

è in grado di produrre capsule, che possono proteggerli<br />

inibendo la chemiotassi e la fagocitosi da parte degli<br />

elementi polimorfi e possono anche facilitare l’adesione;<br />

questo sembra essere particolarmente importante nella promozione<br />

dell’adesione alle materie plastiche da parte degli<br />

stafilococchi coagulasi-negativi. La parete cellulare stessa,<br />

che è in gran parte costituita da peptoglicani, può anche<br />

essere portatrice del cosiddetto clumping factor (coagulasi<br />

legata) e della proteina A negli stafilococchi patogeni. 2<br />

FATTORI CHE DETERMINANO<br />

LA VIRULENZA<br />

I determinanti che permettono la virulenza 11,12 consentono<br />

al microrganismo di colonizzare, accumularsi in numero sufficiente<br />

e provocare un danno a carico dei tessuti dell’ospite<br />

evitando al tempo stesso le sue difese immunitarie ed aspecifiche.<br />

13 Fondamentalmente, si tratta di meccanismi di<br />

sopravvivenza, che però non sono essenziali per la crescita e<br />

la sopravvivenza. Quando questi determinanti causano un<br />

danno sufficiente ed i meccanismi di difesa dell’ospite vengono<br />

travolti si ha la malattia.<br />

Si sa relativamente poco della patogenesi dell’infezione<br />

da S. intermedius nel cane e nel gatto. Tuttavia, sono state<br />

dimostrate alcune differenze fra le caratteristiche degli stafilococchi<br />

isolati da casi di infezione cutanea del cane e quelle<br />

dei microrganismi provenienti da portatori sani. 14,15,16 Ciò<br />

nonostante, S. intermedius produce un ampio arsenale di fattori<br />

di virulenza che probabilmente sono fattori eziologici<br />

dell’infezione stafilococcica nei piccoli animali. Si ritiene<br />

che le varie componenti della virulenza condividano ruoli<br />

sovrapposti, agendo sia di concerto che da soli. Sulla base<br />

degli studi condotti su S. aureus, si dispone di una notevole<br />

conoscenza del loro contributo allo sviluppo dell’infezione<br />

nell’uomo.<br />

FATTORI DI VIRULENZA DI S. AUREUS<br />

ED S. INTERMEDIUS<br />

• La stafilocoagulasi promuove la coagulazione del siero.<br />

La coagulasi purificata ottenuta da S. intermedius coagula<br />

il fibrinogeno dell’uomo, del cane e del coniglio, ma<br />

non quello del ratto o della cavia. 17<br />

• I peptidoglicani provenienti dalle pareti cellulari possono<br />

stimolare la produzione di pirogeni endogeni, promuovere<br />

il rilascio di IL-1, attrarre i polimorfonucleati ed inattivare<br />

il complemento. I peptidoglicani e l’acido lipoteicoico<br />

possono agire insieme per indurre lo shock. 2<br />

• La proteina A legata alla parete cellulare è capace di legare<br />

i recettori Fc e prevenire la clearance immunitaria anticorpo-mediata,<br />

mentre la proteina A extracellulare può<br />

formare immunocomplessi e determinare la deplezione<br />

dei livelli di complemento. La frequenza della proteina A<br />

legata alla parete cellulare e di quella secreta fra i vari isolati<br />

di S. intermedius è un argomento controverso. 18,<strong>19</strong><br />

• La leucotossina appartiene alla famiglia delle tossine sinergoimenotropiche<br />

stafilococciche ed è prodotta sia da S.<br />

intermedius che da S. aureus. Agisce formando pori transmembranari<br />

letali nelle cellule bersaglio dei mammiferi. 20


152 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

• Le enterotossine degli stafilococchi (SE) sono tossine<br />

pirogene termostabili che condividono la capacità di agire<br />

da superantigeni, ma differiscono per altre caratteristiche.<br />

Si riconoscono i tipi A, B, C, D, E, G, H, I e J. I dati<br />

relativi alla produzione di queste tossine da parte di S.<br />

intermedius sono limitati. <strong>21</strong>,22<br />

• Le emolisine sono agenti citotossici che possono recare<br />

danno alle pareti cellulari degli eritrociti. La maggior parte<br />

degli isolati di S. intermedius produce emolisine beta e<br />

delta, ma non sono state dimostrate emolisine alfa. 18 Tuttavia,<br />

il loro esatto ruolo è scarsamente compreso. 23<br />

• La tossina esfoliativa è una causa della sindrome di ustione<br />

cutanea stafilococcica nell’uomo. La sua presenza è<br />

stata identificata in un S. intermedius di origine canina<br />

derivato da una piodermite e sperimentalmente si è dimostrata<br />

in grado di causare esfoliazione nel cane. 24,25<br />

CHE COSA INDUCE LA MALATTIA?<br />

Benché gli animali siano comunemente portatori di stafilococchi<br />

patogeni, l’infezione cutanea è poco frequente perché<br />

la cute è molto resistente. L’applicazione di colture alla<br />

cute è raramente causa di malattia, a meno che la cute stessa<br />

non sia danneggiata. La resistenza cutanea è assicurata da<br />

una combinazione di funzione di barriera di superficie, condizioni<br />

ambientali di superficie e comunicazioni da cellula a<br />

cellula che permettono precoci risposte antimicrobiche da<br />

parte della cute. Questi fattori limitano la colonizzazione e la<br />

proliferazione microbica a livello della superficie cutanea.<br />

Quando questi meccanismi di difesa sono compromessi, la<br />

cute può diventare suscettibile alla colonizzazione da parte<br />

degli agenti patogeni che, se sono in grado di moltiplicarsi,<br />

possono iniziare a produrre fattori di virulenza che causano<br />

un ulteriore danno ed il rilascio di principi nutritivi da parte<br />

del tessuto danneggiato. Si instaura così un circolo vizioso<br />

che può promuovere ulteriormente la moltiplicazione e l’invasione.<br />

Nell’infezione stafilococcica superficiale si ha<br />

comunemente l’induzione del prurito, che porta ad autotraumatismo<br />

e ad un’ulteriore invasione microbica.<br />

QUORUM SENSING<br />

Il cosiddetto quorum sensing (rilevamento del quorum) è<br />

un fenomeno in cui le cellule esprimono particolari caratteristiche<br />

solo quando le densità di popolazione superano<br />

certi livelli. In S. aureus, la produzione di tossine viene iniziata<br />

dal quorum sensing attraverso il sistema agr tramite<br />

molecole di segnalazione generate all’aumentare della densità<br />

cellulare.<br />

I nostri studi hanno confermato la presenza in S. intermedius<br />

di sequenze correlate all’agr di S. aureus ed hanno<br />

dimostrato che l’espressione di RNAIII (effettore del sistema<br />

agr) e di due delle esotossine di S. intermedius, la leucotossina<br />

e l’enterotossina C, viene iniziata da un segnale ambienta-<br />

le generato durante la crescita batterica. Al contrario, S. intermedius<br />

era insensibile alle sostanze prodotte da S. aureus. 26<br />

Ciò suggerisce che S. intermedius utilizzi il quorum sensing<br />

per monitorare la prossimità di altre cellule produttrici di<br />

segnali e quindi regoli la propria espressione dei geni della<br />

virulenza per facilitare la comunicazione fra cellula e cellula,<br />

sia specie-specifica che intraspecifica. 26 È probabile che questo<br />

meccanismo sia coinvolto nella determinazione del<br />

momento in cui S. intermedius diventa patogeno.<br />

Bibliografia<br />

1. Hajek, V. Int J Syst Bacteriol <strong>19</strong>76; 26: 401-8.<br />

2. Wilkinson, BJ. In: The staphylococci in human diseases. Crossley,<br />

KB, Archer, GL (eds.), Churchhill Livingstone, New York, pp. 1-38.<br />

<strong>19</strong>97.<br />

3. Saijonmaa-Koulumies, L.E., Lloyd, D. H. Vet Dermatol <strong>19</strong>96; 7: 153-63.<br />

4. Patel, A., Lloyd, D. H., Lamport, A. I. In: Thoday, K. T., Foil, C. S.,<br />

Bond, R. (eds). Advances in Veterinary Dermatology, Vol. 4. Oxford:<br />

Blackwell Science, 2002, 85-91.<br />

5. Duquette RA, Nuttall TJ. J Small Anim Pract 2004; 45: 591-7.<br />

6. Patel A, Lloyd DH, Howell SA, Noble WC. Vet Rec 2002; 150:668-9.<br />

7. Freney J, Brun Y, Bes M et al. N Int J Syst Bacteriol <strong>19</strong>88; 38:<br />

168–172.<br />

8. Leung MJ, Nuttall N, Mazur M et al. J Clin Microbiol <strong>19</strong>99; 37:<br />

3353-6.<br />

9. Wakita Y, Shimizu A, Hajek V et al. J Vet Med Sci 2002; 64: 237-43.<br />

10. Baron F, Cochet MF, Pellerin JL et al. J Food Prot 2004; 67: 2302-5.<br />

11. Smith H. Bacteriol Rev <strong>19</strong>77; 41: 475-500.<br />

12. Projan SJ, Novick RP. In: The staphylococci in human diseases.<br />

Crossley, KB, Archer, GL (eds.), Churchill Livingstone, New York,<br />

pp. 55-81. <strong>19</strong>97.<br />

13. Burne RA, Quivey RG. In: Bacterial pathogenesis. Clark VL, Bavoil<br />

PM (eds.). Academic Press, London. <strong>19</strong>97.<br />

14. Allaker, R.P., Lamport, A.I., Lloyd, D. H., Noble, W.C. Microb Ecol<br />

Hlth Dis <strong>19</strong>91; 4: 169-73.<br />

15. Allaker, R.P., Garrett, N., Kent, L. Noble, W.C., Lloyd, D. H. J Med<br />

Microbiol <strong>19</strong>93; 39: 429-43.<br />

16. Futagawa-Saito K, Sugiyama T, Karube S, Sakurai et al. J Clin<br />

Microbiol 2004; 42: 5324-6.<br />

17. Komori Y, Iimura N, Yamashita Ret al. T. J Nat Toxins. 2001 May;<br />

10(2):111-8.<br />

18. Greene RT, Lammler C. Zentralbl Veterinarmed B <strong>19</strong>93; 40: 206-14.<br />

<strong>19</strong>. Greene RT, Lammler C. Zentralbl Veterinarmed B <strong>19</strong>92; 39: 5<strong>19</strong>-25.<br />

20. Werner S, Colin DA, Coraiola M et al. Infect Immun 2002; 70: 1310-8.<br />

<strong>21</strong>. Hendricks A, Schuberth HJ, Schueler K, Lloyd DH. Res Vet Sci.<br />

2002; 73: 273-7.<br />

22. Becker K, Keller B, von Eiff C et al. Appl Environ Microbiol 2001<br />

67: 5551-7.<br />

23. Bohach GA, Dinges MM, Mitchell DT et al. In: The staphylococci in<br />

human diseases. Crossley, KB, Archer, GL (eds.), Churchill Livingstone,<br />

New York, pp. 83-108. <strong>19</strong>97.<br />

24. Terauchi R, Sato H, Endo Y, Aizawa C, Maehara N. Vet Microbiol<br />

2003; 94(1): 31-8.<br />

25. Terauchi R, Sato H, Hasegawa T et al. Vet Microbiol 2003; 94: <strong>19</strong>-29.<br />

26. Sung. J.M.L., Chantler, P. D., Lloyd, D. H. Vet Dermatol 2004;<br />

15: 41.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College,<br />

Hawkshead Campus, North Mymms, Herts, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 153<br />

La piodermite nel cane<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

INTRODUZIONE<br />

I cani sono suscettibili alle infezioni cutanee di origine batterica.<br />

Queste malattie possono essere classificate in modo<br />

molto soddisfacente in base alla profondità dell’infezione.<br />

Quelle cosiddette “di superficie” colpiscono solo la parte<br />

superficiale dell’epidermide, di norma sono limitate alle regioni<br />

interfollicolari o agli sbocchi dei follicoli piliferi e normalmente<br />

non causano formazione di pustole.<br />

Sono esempi di questo tipo la dermatite umida acuta, la<br />

“piodermite delle pieghe cutanee” e la proliferazione batterica<br />

(Tabella 1).<br />

Le infezioni “superficiali” riguardano l’epidermide e sono<br />

caratterizzate dalla formazione di pustole. L’impetigine provoca<br />

la comparsa di pustole interfollicolari, mentre la piodermite<br />

superficiale determina l’infezione sia dei follicoli<br />

piliferi che delle regioni interfollicolari. La piodermite profonda<br />

si ha quando l’infezione raggiunge il derma portando<br />

foruncolosi, cellulite, malattie granulomatose e pannicolite.<br />

Il termine di “piodermite” viene utilizzato molto genericamente<br />

e non implica l’esistenza di pus visibile in tutti questi<br />

casi. In effetti, le condizioni come la proliferazione batterica<br />

tendono ad essere caratterizzate da infiltrati che sono principalmente<br />

mononucleari.<br />

MICRORGANISMI INFETTANTI<br />

Gli stafilococchi patogeni sono coinvolti nella maggioranza<br />

dei casi di infezione cutanea del cane. In più del<br />

90% di questi si può isolare<br />

Staphylococcus intermedius. Occasionalmente<br />

sono presenti altri stafilococchi<br />

patogeni, quali S. aureus<br />

ed S. hyicus.<br />

Sono sempre più in aumento le<br />

segnalazioni di isolamenti di S.<br />

schleiferi, sia coagulasi-positivo<br />

che coagulasi-negativo, nelle infezioni<br />

cutanee del cane. Nelle infezioni<br />

della piodermite canina è<br />

anche possibile trovare una varietà<br />

di altri batteri.<br />

Gli agenti Gram-negativi come<br />

Proteus spp. ed E. coli sono probabilmente<br />

degli invasori secondari.<br />

L’infezione cutanea dovuta ad<br />

altri microrganismi, come gli attinomiceti<br />

ed i micobatteri, è associata<br />

all’esposizione a fonti di infezione<br />

abbinata a ferite cutanee o malattie intercorrenti, che aprono<br />

la strada all’invasione attraverso la cute o per via sistemica.<br />

La profondità dell’infezione è probabilmente determinata<br />

dalla gravità della depressione dell’immunità indotta dalle<br />

cause sottostanti. Questi fattori probabilmente consento<br />

la proliferazione degli stafilococchi a livello di superficie<br />

cutanea, promuovendo dapprima la colonizzazione e poi<br />

l’infezione.<br />

PIODERMITE DI SUPERFICIE<br />

Si tratta di malattie in cui il mutamento delle condizioni<br />

presenti a livello della superficie cutanea determina un<br />

degrado della funzione di barriera superficiale e promuove<br />

la proliferazione batterica. Un effetto importante è il<br />

prurito.<br />

Nella dermatite umida acuta (dermatite piotraumatica)<br />

il fattore scatenante è il danno autoinflitto; si tratta di una<br />

conseguenza comune dell’allergia da pulci o di altre cause<br />

di prurito. Il danno viene inflitto dalla morsicatura e dal<br />

leccamento e quindi determina il trasferimento della flora<br />

orale sulla cute degradata. Il perdurare del danno garantisce<br />

la progressione della malattia. I microrganismi coinvolti<br />

sono tipicamente rappresentati dalla flora orale, ma<br />

gli isolati predominanti sono ancora gli stafilococchi patogeni,<br />

specialmente S. intermedius. La diagnosi si basa sui<br />

tipici segni clinici ed anamnesi. Un accurato esame delle<br />

lesioni, dopo pulizia, è essenziale nei casi in cui è presente<br />

una piodermite sottostante superficiale o profonda, come<br />

Piodermite di superficie<br />

• Dermatite umida acuta<br />

• Piodermite delle pieghe cutanee<br />

• Proliferazione microbica 1<br />

Piodermite superficiale<br />

• Impetigine (“piodermite del cucciolo”)<br />

• Piodermite mucocutanea<br />

• Piodermite diffusiva superficiale<br />

• Follicolite superficiale<br />

• Dermatofilosi 2<br />

Piodermite profonda<br />

• Foruncolosi e follicolite del muso<br />

• Piodermite profonda localizzata (piodermiti nasali,<br />

podali e dei punti di pressione, foruncolosi e piodermite<br />

traumatica)<br />

• Piodermite profonda generalizzata<br />

• Granulomi batterici<br />

Tabella 1- Classificazione<br />

della piodermite nel cane<br />

1. Comunemente sostenuta sia da<br />

stafilococchi patogeni che da<br />

Malassezia. Non è una piodermite<br />

in senso stretto, perché l’infiltrato<br />

è principalmente mononucleare<br />

2. Molto rara


154 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

la foruncolosi e follicolite piotraumatica. In questi soggetti,<br />

il trattamento deve essere volto a risolvere l’infezione<br />

più profonda.<br />

La piodermite delle pieghe cutanee deriva dal danneggiamento<br />

causato dallo sfregamento abbinato ad un ambiente<br />

umido. Si tratta di un effetto cronico e la riduzione della<br />

funzione di barriera causata dallo sfregamento abbinato ad<br />

alterazioni della secrezione delle ghiandole cutanee ed alla<br />

contaminazione da parte di altre secrezioni (ad es., saliva,<br />

lacrime) determina la formazione di un ambiente caldo ed<br />

umido che favorisce la proliferazione microbica. Gli stafilococchi<br />

patogeni tendono a predominare, ma possono essere<br />

coinvolti anche agenti Gram-negativi e, comunemente,<br />

Malassezia pachydermatis.<br />

I microrganismi promuovono l’irritazione della cute e lo<br />

sfregamento o il leccamento da parte dell’ospite; anche in<br />

questo caso, si determina un circolo vizioso. La diagnosi si<br />

basa sui segni clinici. Bisogna far attenzione ad escludere le<br />

infezioni più profonde ed anche la demodicosi, che talvolta<br />

è presente.<br />

La proliferazione microbica si può avere quando esiste<br />

un disturbo della funzione di barriera superficiale o un’untuosità<br />

in qualsiasi sede. La condizione comprende la dermatite<br />

da Malassezia, ma talvolta è di origine batterica pura.<br />

Questa malattia verrà trattata a parte.<br />

PIODERMITE SUPERFICIALE<br />

Queste malattie richiedono che la funzione di barriera<br />

cutanea e l’immunità siano compromesse in maniera tale<br />

non solo da consentire la proliferazione microbica di superficie,<br />

ma anche da permettere l’invasione dell’epidermide.<br />

L’impetigine si riscontra tipicamente nei cani adolescenti<br />

ed è probabilmente causata dallo squilibrio delle alterazioni<br />

fisiologiche della cute legate alla maturità del cane. La<br />

condizione nei cani giovani coinvolge gli stafilococchi patogeni.<br />

Generalmente si risolve da sola man mano che l’animale<br />

matura, ma può richiedere una terapia minima. Nei<br />

cani anziani con endocrinopatia o altre malattie debilitanti si<br />

osserva una sindrome più grave che può coinvolgere anche<br />

batteri Gram-negativi (Pseudomonas, E. coli). La diagnosi si<br />

fonda sull’anamnesi e sulla presenza di pustole non follicolari<br />

contenenti batteri.<br />

La follicolite si ha quando la proliferazione batterica nei<br />

follicoli piliferi porta alla formazione di pustole all’interno<br />

dei follicoli stessi e dell’epidermide follicolare. Può essere<br />

limitata allo sbocco ed alla parte superiore del follicolo, ma<br />

si può anche estendere più profondamente. Le lesioni papulose<br />

e pustolose che ne derivano sono tipicamente caratterizzate<br />

da un marcato prurito ed il danno autoinflitto può estendere<br />

l’infezione e portare a foruncolosi. Nei casi tipici, sono<br />

coinvolti S. intermedius o altri stafilococchi patogeni. Quando<br />

esiste un marcato autotraumatismo e nei casi gravi si possono<br />

avere infezioni secondarie da microrganismi Gramnegativi.<br />

Le lesioni associate alla follicolite mostrano tipicamente<br />

il cosiddetto aspetto “a bersaglio” circondato da collaretti<br />

epidermici.<br />

La formazione di queste alterazioni può essere associata<br />

alla secrezione di una tossina esfoliativa da parte di S.<br />

intermedius. L’attività secretoria per questa tossina differisce<br />

fra vari cloni di questo microrganismo ed è possibile<br />

che le lesioni che si estendono della “piodermite diffusiva<br />

superficiale” siano associate a cloni dall’elevata capacità<br />

secernente. La diagnosi si fonda sulla presenza di<br />

papule e pustole e sulla dimostrazione di un’infezione batterica<br />

nelle lesioni.<br />

La piodermite mucocutanea si osserva tipicamente a<br />

livello delle labbra, in particolare delle commessure, dove<br />

l’iniziale rigonfiamento è seguito dalla formazione di croste<br />

ed erosioni. Si può osservare la comparsa di papule e<br />

pustole e in alcuni casi può anche essere presente una piodermite<br />

profonda, talvolta associata ad emorragia. La<br />

risposta al trattamento con antibiotici topici o sistemici<br />

conforta l’ipotesi dell’eziologia batterica di questa malattia<br />

e contribuisce a confermare la diagnosi. Se non si ha risposta<br />

ad una terapia antibiotica appropriata, è indicato il<br />

ricorso all’istopatologia.<br />

PIODERMITE PROFONDA<br />

Queste malattie possono essere localizzate (foruncolosi<br />

e follicolite del muso, piodermiti nasali, podali e dei<br />

punti di pressione, foruncolosi e follicolite piotraumatica)<br />

nei casi in cui è presente una distruzione cutanea locale<br />

o generalizzata.<br />

Si manifestano quando esiste una marcata riduzione di<br />

immunità e di funzione di barriera cutanea. Quando questo<br />

processo interessa l’immunità generale dell’organismo, le<br />

lesioni possono essere estese o generalizzate. Nella piodermite<br />

profonda, i microrganismi infettanti sono in grado non<br />

solo di invadere l’epidermide, ma anche il derma e, in alcuni<br />

casi, il sottocute. In genere queste malattie sono una conseguenza<br />

dell’estensione della piodermite superficiale, ma<br />

possono anche essere associate ad altre affezioni che causano<br />

un danno cutaneo o deprimono l’immunità. Il trauma delle<br />

lesioni superficiali può portare a frattura dei follicoli piliferi<br />

con fuoriuscita dei microrganismi infettanti nel derma.<br />

L’inoculazione di stafilococchi patogeni nel derma di cani<br />

sani esita soltanto nella formazione di lesioni transitorie e<br />

quindi, per promuovere la piodermite profonda, sono necessari<br />

altri fattori.<br />

Nella maggior parte dei casi sono coinvolti frammenti di<br />

peli o cheratina follicolare che agiscono da corpi estranei,<br />

promuovendo l’infezione ed inibendo l’attività antimicrobica<br />

da parte delle cellule ospiti. Anche altri agenti possono<br />

determinare questo effetto. La conseguenza è la formazione<br />

di un granuloma.<br />

La diagnosi si basa sulla presenza di grandi lesioni papulose<br />

o nodulari infette, spesso associate ad emorragia o presenza<br />

di tragitti fistolosi. Nelle infezioni granulomatose profonde<br />

può essere coinvolta una gran varietà di microrganismi<br />

ed è sempre di estrema importanza identificare la natura<br />

degli agenti responsabili.<br />

Nelle malattie gravi, sono comunemente presenti molteplici<br />

microrganismi infettanti. È consigliabile ricorrere all’istopatologia<br />

ed alla batteriologia e micologia profonde, che<br />

comprendano il prelievo di campioni di tessuto mediante<br />

biopsia. Nei casi di piodermite profonda ricorrente associati


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 155<br />

a ferite non tendenti alla guarigione, si deve sospettare una<br />

micobatteriosi. Dal momento che per diagnosticare queste<br />

infezioni sono necessari metodi speciali, è importante informare<br />

il laboratorio di questa possibilità quando si inviano<br />

campioni.<br />

La terapia deve essere prolungata per trattare queste<br />

lesioni e, come sempre, occorre identificare ed eliminare le<br />

cause sottostanti.<br />

Queste possono essere rappresentate da demodicosi, malattie<br />

pruriginose che portano ad autotraumatismo, endocrinopatia,<br />

infezioni sostenute da altri microrganismi (ad es., dermatofitosi,<br />

leishmaniosi) ed immunosoppressione. Per alcune<br />

di queste condizioni, come ad esempio la foruncolosi e<br />

follicolite del muso del Dobermann e del bulldog inglese,<br />

esistono delle predisposizioni di razza.<br />

Bibliografia<br />

1. Bond R, Lloyd DH. Vet Dermatol <strong>19</strong>97; 8: 101-106.<br />

2. Frank, LA, Kania, SA, Hnilica, KA, et al. J Am Vet Med Assoc 2003;<br />

222; 451-4.<br />

3. Hendricks, A., Schuberth, H-J., Schueler, K., Lloyd, D. H. Res Vet<br />

Sci. 2002; 73: 273-7.<br />

4. Scott, D. W., Miller, W. H., Griffin, C. E. Small Animal Dermatology.<br />

6th Edition. Philadelphia, W. B. Saunders, 2001.<br />

5. Terauchi R, Sato H, Hasegawa T et al. Vet Microbiol 2003; 94: <strong>19</strong>-29.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences,<br />

Royal Veterinary College, Hawkshead Campus,<br />

North Mymms, Herts, UK


156 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Novità nella gestione terapeutica della piodermite<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

INTRODUZIONE<br />

La piodermite del cane non è una malattia primaria. Quindi,<br />

è sempre importante identificare i fattori sottostanti. Di<br />

solito si tratta di allergie, ma possono anche intervenire<br />

endocrinopatie, immunodeficienze, infestazioni ectoparassitarie,<br />

displasia follicolare e predisposizione di razza. La diagnosi<br />

delle condizioni sottostanti può non essere facile. Il<br />

trattamento durante la fase diagnostica deve essere finalizzato<br />

a far progredire la diagnosi ed evitare di camuffare i segni<br />

clinici di valore diagnostico. La terapia con antibiotici è una<br />

buona strategia diagnostica perché elimina la piodermite e<br />

contribuisce ad esporre le condizioni sottostanti.<br />

Nella presente relazione si partirà dal presupposto che sia<br />

stata formulata una diagnosi e non verrà trattata la terapia<br />

delle cause sottostanti. La proliferazione microbica cutanea<br />

verrà trattata separatamente.<br />

PIODERMITE DELLE SUPERFICI<br />

Dermatite umida acuta. È essenziale la prevenzione di<br />

ulteriori traumi, che talvolta consente di ottenere la guarigione<br />

senza ulteriore terapia. Bisogna assicurarsi che non<br />

siano presenti follicoliti o foruncolosi sottostanti. Poiché il<br />

danno dell’epidermide è una conseguenza del trauma, la<br />

guarigione è rapida. Tuttavia, le lesioni sono spesso dolorose<br />

e la terapia topica, che richiede il contatto diretto con la<br />

cute, può essere pericolosa. I prodotti topici a base di antibiotici<br />

o steroidi in gel o creme sono efficaci, ma è stato<br />

dimostrato che il trattamento spray con preparati astringenti,<br />

antimicrobici ed emollienti (Ascher et al., <strong>19</strong>95) è altrettanto<br />

efficace e probabilmente meno pericoloso. Le lesioni<br />

devono essere sostanzialmente guarite entro 7-10 giorni. Nei<br />

casi in cui è presente un prurito marcato possono essere<br />

necessari i glucocorticoidi sistemici.<br />

Piodermite delle pieghe cutanee. L’ideale è rimuovere<br />

chirurgicamente le pieghe. Se l’intervento non è attuabile, è<br />

necessario ricorrere a misure che rendano inospitale per batteri<br />

e lieviti il microambiente all’interno delle pliche. Risulta<br />

efficace la pulizia ogni due o tre giorni con uno shampoo<br />

antimicrobico. Sono adatti il benzoilperossido e la clorexidina,<br />

da sola e associata al miconazolo. La clorexidina è molto<br />

instabile e, quindi, è consigliabile scegliere preparazioni ben<br />

formulate con un’efficacia nei confronti di batteri e Malassezia.<br />

Il benzoilperossido va utilizzato con cautela perché gli<br />

animali possono sviluppare una sensibilità e può causare irritazione.<br />

Nei casi più lievi può essere efficace l’etil-lattato,<br />

che ha una bassa azione irritante. Gli intervalli fra gli sham-<br />

poo possono essere prolungati ricorrendo a gel e creme antimicrobici.<br />

Può anche essere efficace il trattamento spray con<br />

una preparazione calmante, antimicrobica ed astringente.<br />

PIODERMITE SUPERFICIALE<br />

L’impetigine di norma risponde agli shampoo antimicrobici.<br />

L’impiego in due o tre occasioni nell’arco di un periodo<br />

di 7-10 giorni dovrebbe essere efficace nei casi non complicati.<br />

Si hanno comunemente delle risoluzioni spontanee.<br />

La piodermite mucocutanea può rispondere al trattamento<br />

con shampoo antibatterici, effettuato nel modo precedentemente<br />

descritto, seguito dall’uso di pomate antibatteriche<br />

come la mupirocina. Può avere effetto un trattamento<br />

giornaliero per due settimane e poi una o due volte alla settimana.<br />

Dopo la risoluzione, la malattia può rimanere in<br />

sospeso, ma in genere sono necessari ripetuti trattamenti. In<br />

caso di infezione più profonda o più estesa, o se la terapia<br />

topica è difficile, bisogna ricorrere agli antibiotici sistemici.<br />

Può essere necessario un trattamento per 4 settimane o più.<br />

Se non si ottiene il successo desiderato, sono indicate ulteriori<br />

procedure diagnostiche, compresa la biopsia.<br />

Follicolite superficiale. Si utilizza normalmente una terapia<br />

mediante antibiotici sistemici. Sono efficaci gli agenti<br />

batteriostatici, ma i battericidi possono essere molto più utili.<br />

È consigliabile protrarre il trattamento per almeno una<br />

settimana dopo la guarigione clinica. Quest’ultima può essere<br />

favorita dall’impiego di shampoo antibatterici contenenti<br />

clorexidina o benzoilperossido, che contribuiscono a rimuovere<br />

le croste e ridurre le popolazioni batteriche superficiali.<br />

La piodermite superficiale lieve può venire trattata con questi<br />

shampoo senza antibiotici sistemici, ma è necessario un<br />

notevole lavoro; gli shampoo vanno effettuati ogni 2-3 giorni.<br />

Una volta che si sia ottenuta la risoluzione delle lesioni,<br />

i trattamenti con gli shampoo devono essere ridotti a 1-2 volte<br />

alla settimana; in inverno, può essere sufficiente un trattamento<br />

alla settimana o al mese per mantenere la remissione.<br />

In presenza di un’infezione ricorrente e di cause sottostanti<br />

che non possono essere identificate o controllate, bisogna<br />

prendere in considerazione delle opzioni terapeutiche a<br />

lungo termine. Shampoo regolari con prodotti antibatterici<br />

possono consentire di ottenere il controllo. Altrimenti, le<br />

opzioni principali sono la terapia pulsante con antibiotici e<br />

la vaccinazione antistafilococcica. Quest’ultima è una scelta<br />

migliore. I vaccini autogeni ben preparati (batterine) sono<br />

efficaci nel 50% circa dei casi; i cani che rispondono non<br />

necessitano di altre terapie. È stato anche dimostrato che un


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 157<br />

lisato batterico americano, preparato a partire da S. aureus,è<br />

in grado di ridurre la frequenza della follicolite e la necessità<br />

di ripetuti trattamenti antibiotici. La terapia con un dosaggio<br />

pulsante oppure continuo a basse dosi deve costituire<br />

l’ultima risorsa, perché può promuovere lo sviluppo di<br />

un’antibioticoresistenza, benché recenti dati (Carlotti et al.<br />

2004) indichino che questo rischio possa essere basso.<br />

Alla luce del fatto che l’agente patogeno responsabile<br />

può essere ospitato sulle mucose, in particolare delle vie<br />

aeree superiori e dell’ano, alcuni clinici hanno utilizzato<br />

antibiotici topici per il trattamento delle mucose nasali e/o<br />

anali. Studi sperimentali hanno dimostrato che le popolazioni<br />

di S. intermedius possono venire eliminate con questo<br />

metodo utilizzando acido fusidico (Saijonmaa-Koulumies<br />

et al.). Esistono segnalazioni aneddotiche che riferiscono<br />

che questo trattamento è risultato utile in casi di piodermite<br />

ricorrente.<br />

PIODERMITE PROFONDA<br />

Quando è presente un’infezione profonda vi sono fattori<br />

locali che causano il danno cutaneo e carenze più gravi nel<br />

sistema immunitario dell’animale colpito. Se queste possono<br />

essere risolte, la guarigione dovrebbe essere completa. È<br />

necessario sforzarsi di identificare i fattori sottostanti. Una<br />

causa comune è la demodicosi.<br />

Nelle lesioni essudative, i lavaggi e le spugnature con<br />

agenti antimicrobici sono utili per rimuovere pus e detriti e<br />

possono accelerare la guarigione. Tosare il pelo è utile, permette<br />

di dimostrare l’estensione della lesione e può servire a<br />

persuadere il cliente a collaborare al trattamento. È necessaria<br />

una terapia prolungata con antibiotici sistemici battericidi,<br />

che deve continuare per almeno due settimane dopo la<br />

guarigione clinica. Nei casi in cui le lesioni sono localizzate<br />

in aree con un cattivo apporto ematico o in presenza di grandi<br />

lesioni granulomatose risultano particolarmente utili i<br />

fluorochinoloni, che hanno una buona penetrazione. In rari<br />

casi può essere necessario servirsi di antibiotici inusuali per<br />

ottenere la penetrazione, come la rifampicina.<br />

Talvolta sono coinvolti microrganismi insoliti, come gli<br />

attinomiceti o i micobatteri, e può essere presente una concomitante<br />

infezione micotica. Può darsi che sia necessario<br />

ricorrere a procedure diagnostiche accurate, che comprendano<br />

un colloquio con il laboratorio interessato, perché è possibile<br />

che i metodi di routine non siano efficaci.<br />

SCELTA DEGLI ANTIBIOTICI<br />

E LORO DOSAGGIO<br />

Benché gli antibiotici possano essere scelti su base empirica,<br />

in presenza di infezioni ricorrenti o in mancanza di<br />

risposta è necessario effettuare gli esami colturali e gli antibiogrammi.<br />

Assicuratevi di servirvi di un laboratorio affidabile<br />

e chiedete esiti inusuali, ad esempio una resistenza molto<br />

ampia in un microrganismo identificato come S. interme-<br />

dius; potrebbe rivelarsi un S. aureus meticillina-resistente.<br />

Ricordatevi che su un singolo animale possono essere presenti<br />

parecchi ceppi differenti. Un singolo antibiogramma<br />

può non dare un quadro completo. Il fallimento di un particolare<br />

antibiotico può significare che avete eliminato solo<br />

una parte della popolazione batterica responsabile. Ripetete<br />

sempre il test. Assicuratevi che il vostro campione contenga<br />

il materiale proveniente dagli strati profondi delle lesioni;<br />

allo scopo può essere necessaria la biopsia.<br />

Generalmente, risultano efficaci i dosaggi raccomandati<br />

dai produttori. Occasionalmente sarà necessario impiegare<br />

posologie più elevate per ottenere livelli efficaci di antibiotico<br />

all’interno delle lesioni o per superare resistenze di<br />

basso livello.<br />

Bibliografia<br />

1. Ascher, Madin, Guaguere et al. Interet d’une solution topique non<br />

antibiocorticoide dans le traitement de la dermatite pyotraumatique<br />

du chien. Prat Med Chirurg An Comp. <strong>19</strong>95; 30:345-354.<br />

2. Curtis, C. F., Lamport, A. I., Lloyd, D. H. Blinded, controlled study<br />

to investigate the efficacy of a staphylococcal autogenous bacterin for<br />

the control of canine idiopathic recurrent pyoderma. Proceedings of<br />

the 16th Annual Congress of the ESVD-ECVD, Helsinki, Finland,<br />

August <strong>19</strong>99. p. 148.<br />

3. D. N. Carlotti, P. Jasmin, L. Gardey and A. Sanquer (2004): Evaluation<br />

of cephalexin intermittent therapy (weekend therapy) in the control<br />

of recurrent idiopathic pyoderma in dogs: a randomized, doubleblinded,<br />

placebo-controlled study. Vet Dermato 15 (s1) Page 7-8.<br />

4. D.H. Lloyd, A.I. Lamport. <strong>19</strong>99. Activity of chlorhexidine shampoos<br />

in vitro against Staphylococcus intermedius, Pseudomonas aeruginosa<br />

and Malassesia pachydermatis. The Veterinary Record, 144, 536-<br />

537.<br />

5. De Jaham C. Effects of an ethyl lactate shampoo in conjunction with<br />

a systemic antibiotic in the treatment of canine superficial bacterial<br />

pyoderma in an open-label, non placebo-controlled study. Vet Therap<br />

2003; 4: 94-100.<br />

6. DeBoer, D. J. et al. (<strong>19</strong>90) Evaluation of a commercial staphylococcal<br />

bacterin for management of idiopathic recurrent pyoderma in<br />

dogs. Am J Vet Res 51, 636-639.<br />

7. Frank, LA, Kania, SA, Hnilica, KA, Wilkes, RP, Bemis, DA. Isolation<br />

of Staphylococcus schleiferi from dogs with pyoderma. J Am Vet<br />

Med Assoc 2003; 222 (4); 451-4.<br />

8. Holm, BR, Petersson, U, Mörner, A, Bergström, K, Franklin, A, Greko,<br />

C. Antimicrobial resistance in staphylococci fromcanine pyoderma:<br />

a prospective study of first-time and recurrent cases in Sweden.<br />

Vet Rec 2002; 151: 600-5.<br />

9. Kruse, H, Hofshagen, M, Thoresen, SI, Bredal, WP, Vollset, I, Soli,<br />

NE. The antimicrobial susceptibility of Staphylococcus species isolated<br />

from canine dermatitis. Vet Res Comm <strong>19</strong>96; 20: 205-14.<br />

10. Saijonmaa-Koulumies, L., Parsons, E., Lloyd, D. H. Elimination of<br />

Staphylococcus intermedius in healthy dogs by topical treatment with<br />

fusidic acid. J Small Anim Prac <strong>19</strong>98; 39: 341-7.<br />

11. Scott, D. W., Miller, W. H., Griffin, C. E. Small Animal Dermatology.<br />

6th Edition. Philadelphia, W. B. Saunders, 2001.<br />

12. Special Issue on Antibiotics in Veterinary Dermatology. Vet Dermatol<br />

<strong>19</strong>99; 10: 161-262.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College,<br />

Hawkshead Campus, North Mymms, Herts, UK


158 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Sovracrescita batterica cutanea nel cane<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

INTRODUZIONE<br />

La proliferazione microbica è una condizione cutanea<br />

recentemente descritta nel cane e caratterizzata dalla presenza<br />

di sostanziali aumenti delle popolazioni dei batteri, in<br />

particolare Staphylococcus intermedius, e del lievito Malassezia<br />

pachydermatis. Batteri e lieviti si possono riscontrare<br />

simultaneamente. Quando è presente solo M. pachydermatis<br />

la condizione è equivalente alla dermatite da Malassezia.<br />

Tuttavia, la proliferazione microbica si verifica molto più<br />

comunemente ed in una gamma più ampia di situazioni cliniche<br />

rispetto a quella che è stata descritta per la dermatite<br />

da Malassezia. Spesso, costituisce una causa non riconosciuta<br />

del prurito, in particolare nelle zone più nascoste del<br />

corpo dell’animale, come nelle aree interdigitali. Si riscontra<br />

comunemente nell’atopia o in altre allergie e il successo<br />

del suo trattamento determina spesso una notevole riduzione<br />

delle misure che in questi casi è necessario adottare per porre<br />

sotto controllo il prurito.<br />

EZIOLOGIA E PATOGENESI<br />

Batteri. I batteri sono ospiti della superficie della cute e<br />

delle mucose, ma generalmente le loro popolazioni nella<br />

cute sana si mantengono basse. A livello dermatologico,<br />

questa situazione è una conseguenza del microambiente<br />

superficiale sfavorevole e delle misure difensive mantenute<br />

dalla cute. 1 Quando quest’ultima è danneggiata o le sue difese<br />

sono compromesse da malattie dermatologiche o difetti di<br />

immunità, viene promossa l’adesione ai cheratinociti dei<br />

batteri, che sono quindi in grado di proliferare. Gli stafilococchi<br />

patogeni e, nel cane, in particolare S. intermedius<br />

sembrano particolarmente capaci di trarre vantaggio da queste<br />

modificazioni. Quando si instaurano elevate densità cellulari<br />

locali (formazione di biofilm) di stafilococchi, si può<br />

avere il cosiddetto quorum sensing (rilevamento del quorum).<br />

2 Si tratta di un meccanismo in cui si ha uno scambio<br />

di segnali di densità cellulare fra gli stafilococchi, che permette<br />

loro di produrre tossine che possono irritare e danneggiare<br />

la cute quando le dimensioni della popolazione raggiungono<br />

una certa soglia. Molti fattori possono portare ad<br />

irritazione cutanea favorendo l’adesione batterica, la proliferazione<br />

e la formazione del biofilm, come ad esempio l’atopia,<br />

l’aumento dell’umidità, la compromissione delle barriere<br />

di superficie, i fattori che degradano la superficie cutanea<br />

(sfregamento, autotraumatismo, macerazione), le alterazioni<br />

seborroiche, l’essudazione, la depressione della funzione<br />

immunitaria della cute. Una volta che sia iniziata la produzione<br />

di tossine viene indotto un maggiore danno cutaneo e<br />

l’immunità può essere ulteriormente compromessa portando<br />

ad un circolo vizioso di danno e proliferazione batterica.<br />

Malassezia. M. pachydermatis è presente come commensale<br />

della cute e delle mucose della maggior parte dei cani.<br />

Negli animali sani viene isolato più comunemente a livello<br />

delle labbra e della cute interdigitale (dove presenta anche<br />

una densità di popolazione più elevata) piuttosto che delle<br />

orecchie. L’ano sembra essere la sede più frequentemente<br />

colonizzata fra le mucose. 3 M. pachydermatis agisce da patogeno<br />

opportunista ed i fattori che ne promuovono la patogenicità<br />

possono comprendere l’aumento della temperatura e<br />

dell’umidità, l’eccessiva secrezione di lipidi, le malattie intercorrenti<br />

e la terapia con antibiotici e glucocorticoidi; tuttavia,<br />

questo rimane controverso. 4 L’applicazione di M. pachydermatis<br />

alla cute di beagle può evocare reazioni infiammatorie<br />

che sono più gravi in condizioni di aumento di umidità e portano<br />

ad un ritardo delle risposte di ipersensibilità; 5 inoltre,<br />

questo lievito può produrre una varietà di enzimi come le<br />

lipasi e le esterasi che possono riuscire a danneggiare direttamente<br />

o indirettamente la cute. 6 Nella dermatite da Malassezia<br />

sono importanti i fattori correlati alla razza; risultano particolarmente<br />

predisposti i basset hound ed i west higland<br />

white terrier. Le popolazioni di M. pachydermatis a livello di<br />

cute e mucose sono elevate nei basset sani e l’adesione del<br />

lievito ai corneociti derivati dai basset sani è superiore a quella<br />

che si riscontra nel caso di microrganismi provenienti dal<br />

setter irlandese. Tuttavia, l’adesione nei basset hound colpiti<br />

è inferiore a quella dei cani normali. 7 È possibile che sia la<br />

speciale composizione lipidica della cute del cane ad esercitare<br />

un effetto permissivo sulla colonizzazione e l’infezione<br />

da parte di questo microrganismo che, pur non essendo lipidi-dipendente,<br />

cresce molto più rapidamente in vitro in terreni<br />

arricchiti con lipidi. I basset hound, che tendono ad avere<br />

una cute untuosa, possono offrire un ambiente più favorevole<br />

rispetto ad altre razze meno suscettibili.<br />

S. intermedius ed M. pachydermatis sono ospiti delle mucose,<br />

comprese quelle della cavità orale, e di conseguenza vengono<br />

trasferiti alla cute continuamente, in particolare nelle<br />

aree che richiedono pulizia e toelettatura e in quelle dove è<br />

presente prurito. Quindi, ogni volta che la cute è danneggiata<br />

o è presente una malattia sottostante che ne compromette<br />

la funzione, esiste il potenziale per l’instaurarsi di una proliferazione<br />

microbica.<br />

CARATTERISTICHE CLINICHE<br />

La proliferazione microbica è caratterizzata tipicamente<br />

dalla presenza di eritema, untuosità o essudazione, prurito e


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 159<br />

colorazione da saliva in assenza di papule e pustole. I proprietari<br />

possono non essere consapevoli delle lesioni ed è<br />

necessario un accurato esame clinico con una buona illuminazione.<br />

Nelle lesioni croniche o gravi possono essere presenti<br />

escoriazioni e lichenificazione. È comune il riscontro<br />

di cattivo odore, specialmente quando è coinvolto Malassezia.<br />

La proliferazione si osserva normalmente nelle aree di<br />

cute umida o coperta come le labbra e le zone fra i cuscinetti<br />

plantari e le dita, l’inguine, le aree perivulvari e perianali,<br />

la parte ventrale dell’addome, le ascelle, i padiglioni auricolari<br />

e le pliche cutanee. È frequentemente presente nei cani<br />

con dermatopatia allergica. Può essere molto localizzata o<br />

colpire parecchie sedi differenti in un cane.<br />

DIAGNOSI<br />

La proliferazione microbica va sospettata ogni volta che<br />

siano presenti lesioni compatibili, anche se lievi. La diagnosi<br />

viene confermata citologicamente mediante campioni prelevati<br />

con nastro adesivo, preparati per impronta su vetrino o<br />

strisci di tamponi colorati con Diff-Quick, che evidenziano un<br />

aumento delle popolazioni di batteri o Malassezia. Il metodo<br />

del nastro adesivo è quello d’elezione perché talvolta i<br />

microrganismi non sono localizzati sulla superficie delle<br />

lesioni e la ripetuta applicazione del nastro sullo stesso punto<br />

rivela le popolazioni più profonde. La presenza di un numero<br />

di batteri 8 superiore a 5 o di Malassezia superiore a 2 per campo<br />

microscopico ad immersione ad olio a 1000 ingrandimenti<br />

è indicativa di proliferazione microbica. Il genere le popolazioni<br />

sono molto più elevate, ma i microrganismi si possono<br />

riscontrare a grappoli, per cui è necessario esaminare almeno<br />

20 campi. Il successo del trattamento della proliferazione<br />

microbica consente spesso l’identificazione della malattia sottostante.<br />

Se questi problemi di base non vengono identificati e<br />

controllati, è probabile che la proliferazione recidivi.<br />

TRATTAMENTO E CONTROLLO<br />

La condizione normalmente risponde alla terapia topica<br />

con shampoo antimicrobici, contenenti clorexidina da sola o<br />

associata a miconazolo, due agenti attivi nei confronti di stafilococchi<br />

e Malassezia. L’applicazione di shampoo ogni 2-<br />

3 giorni per due settimane di norma è in grado di portare la<br />

condizione sotto controllo. In seguito, di solito è sufficiente<br />

un trattamento una o due volte alla settimana. Per le lesioni<br />

podaliche localizzate può anche essere utile la clorexidina in<br />

polvere. Recenti studi hanno dimostrato che contro la proliferazione<br />

da Malassezia risulta comodo ed efficace uno<br />

spray astringente, calmante ed antimicrobico. 9 Questo spray<br />

è anche attivo nei confronti dei batteri riscontrati nella proliferazione<br />

microbica e viene utilizzato per il trattamento e la<br />

gestione di questa condizione da parte dell’autore, in particolare<br />

quando le lesioni sono localizzate.<br />

Nei casi gravi o estesi di proliferazione microbica o quando<br />

non è attuabile il lavaggio delle aree colpite, può essere<br />

molto utile la terapia sistemica con cefalexina alla dose di 15<br />

mg/kg due volte al giorno 8 e/o imidazoli, a seconda della<br />

natura dei microrganismi coinvolti. Il ketoconazolo (5-10<br />

mg/kg due volte al giorno con il cibo) o l’itraconazolo (5<br />

mg/kg due volte al giorno o 10 mg/kg una volta al giorno)<br />

sono efficaci quando vengono impiegati per 2-4 settimane.<br />

La valutazione della risposta al trattamento si può ottenere<br />

rapidamente e facilmente mediante campioni prelevati con<br />

nastro adesivo e colorati con Diff-Quick<br />

Bibliografia<br />

1. Lloyd DH, Viac J, Rème CA, Gatto H. Role of monosaccharides in<br />

surface microbe-host interactions and immune reaction modulation.<br />

In: Glycotechnologies in Veterinary Dermatology: a new era. Proceedings<br />

of the 2nd Virbac European Symposium, Chalkidiki, Greece,<br />

September 2005, pp 7-15.<br />

2. Sung, J. M. L., Chantler, P. D., Lloyd, D. H. The accessory gene regulator<br />

locus of Staphylococcus intermedius. Infection and Immunity.<br />

In press.<br />

3. Bond, R., Saijonmaa-Koulumies, L., Lloyd, D. H. Population sizes<br />

and frequency of Malassezia pachydermatis at skin and mucosal sites<br />

in healthy dogs. Journal of Small Animal Practice <strong>19</strong>95; 36: 147-50.<br />

4. Mason, I.S., Mason, K.V., Lloyd, D. H. A review of the biology of<br />

canine skin with respect to the commensals Staphylococcus intermedius,<br />

Demodex canis and Malassezia pachydermatis. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 1<strong>19</strong>-32.<br />

5. Bond R., Patterson-Kane JC, Lloyd D.H. Clinical, histopathological<br />

and immunological effects of exposure of canine skin to Malassezia<br />

pachydermatis. Medical Mycology 2004; 42: 165-75.<br />

6. Bond R, Anthony RM. Characterization of markedly lipid-dependent<br />

Malassezia pachydermatis isolates from healthy dogs. J Appl Bacteriol.<br />

<strong>19</strong>95; 78: 537-42.<br />

7. Bond, R., Lloyd, D. H. Factors affecting the adherence of Malassezia<br />

pachydermatis to canine corneocytes in vitro. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 49-56.<br />

8. Jasmin P, Pin D, Carlotti DN. Efficacy and interest of a systemic antibiotic<br />

treatment with cephalexin in dogs affected with bacterial overgrowth<br />

(BOG). Proceedings of the 7th FECAVA and 47th Annual<br />

Congress of the FK-DVG, Berlin, October 2001, p. 51.<br />

9. Carlotti DN, Rème CA. Efficacy of a soothing astringent topical<br />

spray for the management of Malassezia pododermatitis in dogs: a<br />

preliminary open-label clinical trial. Proceedings of the BSAVA Congress,<br />

Birmingham, April 2004, p. 592.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary<br />

College, Hawkshead Campus, North Mymms, Herts, UK


160 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Resistenza antimicrobica degli stafilococchi<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

INTRODUZIONE<br />

L’uso degli agenti antimicrobici promuove lo sviluppo di<br />

resistenza fra i microrganismi che vengono esposti a questi<br />

farmaci, sia che si tratti di patogeni infettanti che di componenti<br />

della flora normale. 1 La velocità con cui tale resistenza<br />

si sviluppa dipende dalla densità di selezione (la quantità<br />

di antimicrobico utilizzata per individuo in una definita area<br />

geografica). 2<br />

In confronto all’impiego degli antimicrobici in agricoltura<br />

ed in medicina umana, l’uso negli animali da compagnia<br />

(cani, gatti, cavalli) è limitato. Nel Regno Unito, nel 2001,<br />

l’impiego totale degli antimicrobici a scopo terapeutico in<br />

agricoltura è stato di 420 tonnellate. Nel cavallo, nel cane e<br />

nel gatto si sono totalizzate 39 tonnellate (circa il 9%); questo<br />

dato è rimasto intorno a 30-40 tonnellate dal <strong>19</strong>95. 3,4<br />

La stretta prossimità degli animali da compagnia con i<br />

loro proprietari offre le opportunità per uno scambio di<br />

microrganismi di fattori che determinano la resistenza fra<br />

queste popolazioni e si è stabilito che l’uso veterinario degli<br />

antimicrobici nei piccoli animali comporti un rischio per la<br />

popolazione umana. 5<br />

L’INFEZIONE STAFILOCOCCICA<br />

NEL CANE<br />

L’infezione stafilococcica nel cane coinvolge di norma<br />

Staphylococcus intermedius (SI; circa il 90% dei casi).<br />

Occasionalmente viene isolato S. aureus ed occasionalmente<br />

S. hyicus. 6 Il coinvolgimento di S. schleiferi viene riconosciuto<br />

sia nelle malattie cutanee che nelle otiti 7,8 , ma il suo<br />

ruolo come agente patogeno è ancora indefinito.<br />

SI è un commensale del cane 9 ed un residente delle mucose<br />

e quindi viene influenzato dagli antibiotici somministrati<br />

per il trattamento di infezioni di ogni genere. Nel Regno<br />

Unito, Lloyd et al. 6 hanno esaminato la sensibilità in 2.296<br />

isolati canini (costituiti principalmente da SI) ottenuti da<br />

cute, orecchie e mucose, presso strutture veterinarie specialistiche,<br />

durante il periodo <strong>19</strong>80-<strong>19</strong>96. La resistenza alla<br />

penicillina è aumentata dal 69,0% all’89,3%. La resistenza<br />

all’ossitetraciclina è rimasta intorno al 40%; quella all’eritromicina<br />

ed alla lincomicina ed al cotrimossazolo ha raggiunto<br />

un picco prossimo al 20% e 15%, rispettivamente, nel<br />

<strong>19</strong>87-89, ma in seguito ha mostrato una caduta. Fra il <strong>19</strong>86<br />

ed <strong>19</strong>96 è stato riscontrato un solo isolato resistente alla<br />

cefalessina. Non è stata dimostrata alcuna resistenza ad<br />

amossicillina/clavulanato, oxacillina, meticillina ed enrofloxacin.<br />

Da allora, nel Regno Unito sono stati identificati iso-<br />

lati più resistenti. In Francia, uno studio di Nantes 10 ha dimostrato<br />

un aumento della percentuale di SI multiresistenti (≥ 3<br />

antimicrobici) dall’11% nel <strong>19</strong>86-7 al 28% nel <strong>19</strong>95-6. Una<br />

tendenza all’aumento della resistenza antimicrobica è stata<br />

dimostrata anche in Svizzera. 11<br />

I fluorochinoloni sono stati registrati per l’impiego in<br />

Europa nella metà degli anni ’90 del secolo scorso e ci sono<br />

dati che indicano un aumento della resistenza fra SI di origine<br />

canina. È stata segnalata una resistenza dello 0,9% in 858<br />

isolati esaminati fra il <strong>19</strong>96 ed il <strong>19</strong>98 da Lloyd et al. nel<br />

Regno Unito, 12 ma in cani svedesi nel <strong>19</strong>92 e nel 2000 sono<br />

stati osservati livelli più elevati (8-12%). 5<br />

È stato riferito che l’acquisizione della resistenza antimicrobica<br />

da parte di SI è associata a ripetuti trattamenti 13 e può<br />

essere acquisita mediante trasferimento di plasmidi da altri<br />

stafilococchi presenti sulla cute del cane. 14 Tuttavia, in SI si<br />

ha un basso trasporto di plasmidi e la resistenza tende ad<br />

essere cromosomica. 15,16 È possibile che ciò abbia protetto SI<br />

dall’acquisizione di una multiresistenza, come è avvenuto<br />

per S. aureus, S. hyicus ed S. schleiferi. 7,17<br />

In ambito clinico, la scelta degli antibiotici efficaci per<br />

l’infezione da SI nel cane, anche presso le strutture specialistiche,<br />

non è quasi mai un argomento affrontato nel Regno<br />

Unito. Tuttavia, in altri Paesi viene riferita una maggiore<br />

resistenza 10 e l’aumento della mobilità degli animali e dei<br />

proprietari comporta dei rischi per tutti i Paesi. L’errata identificazione<br />

di S. aureus, compresi i ceppi meticillina-resistenti<br />

(MRSA, methicillin-resistant S. aureus), che viene<br />

confuso con SI, è talvolta responsabile di segnalazioni di<br />

resistenza alla meticillina in quest’ultimo.<br />

A differenza di quanto avviene per le infezioni da SI, i problemi<br />

si verificano quando altri stafilococchi patogeni provocano<br />

un’infezione nel cane. Ciò risulta generalmente associato<br />

a ripetuti trattamenti ed infezioni croniche, circostanze in cui i<br />

ceppi multiresistenti, ed in particolare MRSA, vengono sempre<br />

più isolati. 7,18 La resistenza alla meticillina negli stafilococchi<br />

coagulasi-negativi e coagulasi-variabili è relativamente<br />

comune, ad es., S. schleiferi. <strong>19</strong> Tuttavia, la resistenza multifarmacologica<br />

in S. schleiferi non sembra essere un problema.<br />

L’INFEZIONE STAFILOCOCCICA NEL GATTO<br />

Nel gatto, SI sembra essere lo stafilococco patogeno predominante,<br />

sia negli USA che in Gran Bretagna, ma è coinvolto<br />

anche S. aureus. 20,<strong>21</strong> È anche comunemente presente S.<br />

felis, che potrebbe svolgere un ruolo patogeno. 22<br />

I gatti vengono trattati con minore frequenza per le infezioni<br />

cutanee e tendono a manifestare problemi intermit-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 161<br />

tenti che rispondono a brevi cicli di antibiotici. Medleau e<br />

Blue 23 hanno esaminato isolati di stafilococchi ottenuti da<br />

lesioni cutanee di 45 gatti negli Stati Uniti meridionali ed<br />

hanno riscontrato che su 32 isolati ottenuti da 30 di questi<br />

gatti, 23 erano coagulasi-positivi (16 S. aureus, 5 S. intermedius,<br />

2 S. hyicus). Gli isolati erano suscettibili ad amossicillina/clavulanato,<br />

cloxacillina, cefalotina, cloramfenicolo,<br />

gentamicina, eritromicina e trimethoprim-sulfametossazolo;<br />

era frequente la resistenza a penicillina G, ampicillina<br />

e tetraciclina.<br />

Al contrario, Patel et al. <strong>21</strong> hanno esaminato 187 isolati da<br />

11 gatti domestici sani, 9 gatti con lesioni cutanee e 10 gatti<br />

randagi di South London. I 40 isolati patogeni erano costituiti<br />

da SI e da S. aureus, tutti tranne 7 ottenuti da lesioni. Di<br />

tutti gli isolati solo 22 (11,75%) mostravano una resistenza<br />

al cotrimossazolo (3,8%), lincomicina (6,4%), enrofloxacin<br />

(0,05%) o ossitetraciclina (1,6%). È interessante notare che<br />

la resistenza era superiore fra i gatti randagi (p < 0,01), il che<br />

suggerisce che l’esposizione ambientale agli antibiotici fosse<br />

più significativa per determinare la resistenza agli antibiotici<br />

stessi di quanto non fosse il contatto diretto con le<br />

persone o i trattamenti veterinari. 24<br />

TRASFERIMENTO DI STAFILOCOCCHI<br />

RESISTENTI FRA ANIMALI<br />

DA COMPAGNIA E PROPRIETARI<br />

SI è un residente delle mucose della maggior parte dei<br />

cani ed è probabile che venga trasferito alla cute del proprietario<br />

e di altre persone che hanno occasione di toccare<br />

questi animali durante la toelettatura, il gioco ed altre attività.<br />

Quando è presente un’infezione stafilococcica, si può<br />

avere il trasferimento di un numero elevato di batteri multiresistenti.<br />

25 Tuttavia, si hanno scarse prove della persistenza<br />

a lungo termine di questi microrganismi negli ospiti umani e<br />

sembra probabile che SI sia scarsamente adattato alla<br />

sopravvivenza nell’uomo sano.<br />

Le segnalazioni di infezioni nell’uomo sostenute da SI<br />

sono rare. Tuttavia, nel 2000, SI è stato identificato nel fluido<br />

auricolare ottenuto da un paziente con otite esterna. 26 SI<br />

è stato anche isolato dal cane da compagnia del paziente,<br />

benché non sia stato dimostrato che i due isolati fossero lo<br />

stesso microrganismo. In uno studio di 3397 isolati di stafilococchi<br />

coagulasi positivi ottenuti da pazienti ospedalizzati<br />

a Strasbourg, Francia, solo due sono stati identificati come<br />

SI. 27 Tuttavia, gli SI che infettano i pazienti umani possono<br />

essere erroneamente identificati come S. aureus. 28<br />

Sembra che il rischio di infezione umana da SI sia molto<br />

basso, tranne che nei soggetti immunocompromessi. È anche<br />

probabile che sia basso il rischio di trasferimento della resistenza.<br />

Al contrario, il trasferimento di stafilococchi patogeni<br />

umani resistenti, come MRSA, fra cani e persone che vengono<br />

in contatto con loro sembra più comune ed è probabile<br />

che si verifichi quando gli animali vengono trattati con<br />

antibiotici efficaci nei confronti degli stafilococchi residenti,<br />

determinando un ambiente adatto all’instaurarsi di patogeni<br />

resistenti. Talvolta, nell’infezione da MRSA, è possibile stabilire<br />

un legame con la medicina umana e gli isolati ottenuti<br />

da animali da compagnia possono essere indistinguibili dai<br />

ceppi ospedalieri umani epidemici, indicando le infezioni<br />

nosocomiali come possibile fonte. Tuttavia, le segnalazioni<br />

di casi di infezione umana e successivo isolamento di MRSA<br />

dalle mucose di cani familiari sani 29,20,31 indicano che il ruolo<br />

del cane nel trasferimento di MRSA ai proprietari deve<br />

essere valutato, così come il ruolo dei veterinari nell’infezione<br />

dei cani che trattano.<br />

Bibliografia<br />

1. Sørum, H., Sunde, M. Veterinary Research 2001; 32: 227-241.<br />

2. Levy, S. B. In: Chadwick, D.J., Goode, J., eds. Antibiotic Resistance:<br />

Origins, Evolution, Selection and Spread. Chichester John Wiley &<br />

Sons, <strong>19</strong>97: 1-14.<br />

3. DEFRA/VMD.. http://www.vmd.gov.uk/general/publications/amrrpt<br />

2000v51.htm.<br />

4. DEFRA/VMD (2003).. http://www.noah.co.uk/papers/antimicrosales2002.pdf<br />

5. Guardabassi, L., Schwarz, S., Lloyd, D. H. J Antimicrob Chemother.<br />

2004; 54: 3<strong>21</strong>-32.<br />

6. Lloyd, D. H., Lamport, A.I., Feeney, C. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 171-174.<br />

7. Frank L.A., Kania S.A., Hnilica K.A. et al. J Am Vet Med Assoc<br />

2003; 222: 451-454.<br />

8. Igimi S., Takahashi E., Mitsuoka T. Int J Systematic Bact <strong>19</strong>90; 40:<br />

409-411.<br />

9. Saijonmaa-Koulumies, L.E., Lloyd, D. H. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 153-163.<br />

10. Pellerin, J. L., Bourdeau, P., Sebbag, H. et al. (<strong>19</strong>98). Comp Immunol<br />

Microbiol Infect Dis <strong>21</strong>, 115-33.<br />

11. Wissing, A., Nicolet, J. & Boerlin, P. (2001). Schweiz Arch Tierheil<br />

143, 503-10<br />

12. Lloyd, D. H., Lamport, A. I., Noble, W. C. et al. (<strong>19</strong>99). Vet Dermatol<br />

10, 249-51.<br />

13. Noble, W. C., Kent, L. Vet Dermatol <strong>19</strong>92; 3: 71-74.<br />

14. Naidoo, J., Lloyd, D. H. In: Woodbine, M., ed. Antimicrobials and<br />

Agriculture. London, Butterworths, <strong>19</strong>84: 284-292.<br />

15. Green, R. T., Schwarz, S. Zentralbl Bakt <strong>19</strong>92; 276: 380-389.<br />

16. Eady, E. A., Ross, J. I., Tipper, J. L et al. J Antimicrobl Chemother.<br />

<strong>19</strong>93; 31: <strong>21</strong>1-<strong>21</strong>7.<br />

17. Werckenthin, C., Cardoso, M., Martel, J-L et al. Vet Res 2001; 32:<br />

341-362.<br />

18. Boag, A., Loeffler, A., Lloyd, D. H. Vet Rec 2004; 154, 411<br />

<strong>19</strong>. Kania, SA, Williamson, NL, Frank, LA et al. Am J Vet Res 2004; 65:<br />

1265-8.<br />

20. Cox H.U., Hoskins J.D., Newman S.S et al. Am J Vet Res <strong>19</strong>85;<br />

46:1824-1828.<br />

<strong>21</strong>. Patel, A., Lloyd, D. H., Lamport, A. I. Vet Dermatol. <strong>19</strong>99; 10: 257-62.<br />

22. Patel, A., Lloyd, D. H., Howell, S. A et al. Vet Rec 2002; 150: 668-9.<br />

23. Medleau L., Blue J.L. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>88; <strong>19</strong>3: 1080-1081.<br />

24. Kessie, G., Ettayebi, M., Haddad, A. M., et al. J Appl Microbio <strong>19</strong>98;<br />

84: 417-22.<br />

25. Guardabassi, L, Loeber, ME, Jacobsen, A. Vet Microbiol. 2004; 98:<br />

23-7.<br />

26. Tanner M.A., Everett C.L., Youvan D.C. J Clin Microbiol 2000; 38:<br />

1628-1631.<br />

27. Mahoudeau I., Delabranche X., Prevost G et al. J Clin Microbiol<br />

<strong>19</strong>97; 35: <strong>21</strong>53-<strong>21</strong>54.<br />

28. Pottumarthy S, Schapiro JM, Prentice JL et al. J Clin Microbiol.<br />

2004; 42: 5881-4.<br />

29. Cefai C, Ashurst S, Owens C. Lancet <strong>19</strong>94; 344: 539-40.<br />

30. Manian F.A. Clin Infect Dis 2003; 36:e26-28.<br />

31. van Duijkeren E, Box AT, Heck ME et al. Vet Microbiol 2004; 103:<br />

91-7.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College,<br />

Hawkshead Campus, North Mymms, Herts, UK


162 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La malattia cronica in medicina tradizionale cinese<br />

Francesco Longo<br />

Med Vet, Firenze<br />

Secondo l’interpretazione medica dello I CHING, la vita di<br />

ogni essere senziente è esplicata dall’Esagramma 11 – T’AI<br />

(Pace), costituito dai due Trigrammi Ch’ien – Cielo (Trigramma<br />

inferiore) e K’un – Terra (Trigramma superiore); la<br />

chiosa del re Wên afferma: “Il Cielo e la Terra si congiungono:<br />

l’immagine della Pace; così il Sovrano divide e porta a<br />

termine il corso del Cielo e della Terra, amministra e ordina i<br />

doni del Cielo e della Terra e così assiste il Popolo”.<br />

L’Esagramma 11 – T’AI corrisponde agli agopunti HT 4<br />

(Ling Dao), HT 5 (Tong Li), HT 6 (Yin Xi) del canale del Cuore<br />

che intervengono nell’equilibrio che si instaura proprio tra<br />

Cuore e Sangue (agiscono sulle perturbazioni ematiche di<br />

testa, addome, estremità podali). 1<br />

Ch’ien rappresenta il massimo dello Yang, la Yuan Qi, il<br />

Ming Men; K’un rappresenta il massimo dello Yin, il Jing,<br />

il Rene. In effetti tutta la vita degli esseri si svolge tra Cielo<br />

e Terra, grazie a quello spazio virtuale tra i due che gli antichi<br />

medici taoisti chiamavano ‘Vuoto Mediano’.<br />

Il Triplice Riscaldatore svolge un ruolo importante nel mantenimento<br />

dell’equilibrio di queste diverse componenti energetiche,<br />

così come è descritto nel Nan Jing: “I tre Riscaldatori<br />

sono i passaggi dell’acqua e dell’alimento, la fine e l’inizio della<br />

circolazione del Qi. Il Riscaldatore Superiore si estende dal<br />

Cuore e dal Diaframma sino al Cardias, governa le entrate;<br />

esso è regolato da Shan Zhong (CV17). Il Riscaldatore medio<br />

si localizza tra Stomaco e porzione media dell’Addome, governa<br />

le fermentazioni e le elaborazioni degli alimenti e dei liquidi;<br />

esso è regolato da Tian Shu (ST 25) ai lati dell’ombelico. Il<br />

Riscaldatore Inferiore inizia esattamente all’estremità craniale<br />

della vescica, governa le divisioni e le separazioni del puro dall’impuro,<br />

governa le uscite; esso è regolato da Yin Jiao (CV 7)<br />

un dito posteriormente all’ombelico. I tre Riscaldatori svolgono<br />

le mansioni dei passaggi del Qi”. 2<br />

La condizione di salute è perciò considerata uno stato di<br />

armonioso equilibrio tra lo Shen (il complesso psico - comportamentale)<br />

ed il soma del soggetto con le forze naturali<br />

ed ambientali, cioè la salute non è solo l’assenza di malattia<br />

ma lo stato che permette all’animale l’espressione delle<br />

potenzialità che sono intrinseche alla sua natura. Così facendo,<br />

qualsiasi essere riesce a realizzare la vera longevità, che<br />

non è solo il riuscire a vivere il maggior numero di anni possibili,<br />

pure auspicabile, ma significa vivere pienamente e<br />

realizzare totalmente se stessi. 3<br />

La condizione di salute risulta solo quando la Yuan Zhen<br />

dei cinque organi circola normalmente. 4<br />

Al contrario la condizione di patologia è una disarmonia<br />

generale che altera i delicati rapporti tra Yin e Yang,tra Qi (energia),<br />

Xue (sangue), e Jin Ye (liquidi corporei). Tutto questo si<br />

ripercuote sul sistema Zang (organi pieni) / Fu (visceri cavi),<br />

determinando uno squilibrio generale di tutto l’organismo.<br />

Tradizionalmente, come riportato nel Jing Gui Yao<br />

Lue, le cause delle malattie vengono classificate in tre raggruppamenti:<br />

- Cause Endogene (Nei): fattori patogeni che invadono i<br />

canali ed i collaterali e si trasmettono ai Zang ed ai Fu;<br />

- Cause Esogene (Wai): fattori patogeni che invadono le<br />

quattro estremità o i nove orifizi del corpo e circolano<br />

attraverso i vasi ematici ostruendo il normale fluire dell’energia<br />

vitale;<br />

- Cause Varie (Bu Nei Wai): surmenage, traumi di diversa<br />

eziologia, morsi di insetti o di animali. 5<br />

Le patologie croniche rappresentano un esempio evidente<br />

di squilibrio energetico che, prolungandosi nel tempo,<br />

determinano una disarmonia tra le varie componenti organiche<br />

ed incidono sulla vitalità globale del soggetto: il<br />

segno tipico di tale squilibrio è la ‘debolezza’, l’incapacità<br />

del soggetto di vivere pienamente. Peraltro l’aumento<br />

dell’incidenza delle patologie croniche negli animali,<br />

osteoartrosi, artriti, dermatopatie, allergie, patologie respiratorie,<br />

patologie dismetaboliche, problemi cardiaci, spesso<br />

non trova soddisfacente risposta negli interventi della<br />

medicina allopatica la cui interpretazione biochimica ne ha<br />

limitato il campo d’azione ad uno studio analitico – meccanicistico:<br />

i farmaci somministrati, a causa degli effetti<br />

indesiderati, determinano un ulteriore indebolimento della<br />

vitalità dei soggetti.<br />

L’approccio diagnostico – terapeutico della MTC rappresenta,<br />

invece, un modello di medicina olistica, quella medicina<br />

che guarda al soggetto in tutta la sua interezza e complessità,<br />

lo considera un tutto, un unico insieme, un unico<br />

complesso ‘mente–corpo’ e ciò permette una procedura diagnostica<br />

dettagliata ed una terapia consequenziale.<br />

Primo momento importante della diagnostica della MTC<br />

è quindi studiare il soggetto in tutta la sua complessità, partendo<br />

dalla sua ‘suscettibilità congenita’ (Tai Du, letteralmente:<br />

‘la forza morbifera latente nella vita embrionaria’)<br />

per poi considerarne, attraverso la Si Zhen – Diagnosi attraverso<br />

le Quattro Fasi, lo stato in cui versa.<br />

Il principio su cui poggia la Diagnosi attraverso le Quattro<br />

Fasi è esaminare l’Esterno per rilevare le condizioni dell’Interno:<br />

i segni esteriori riflettono la condizione degli organi interni.<br />

Essa comprende:<br />

- Wang Zhen – Ispezione;<br />

- Wén Zhen – Ascultazione ed Olfattazione,<br />

- Wèn Zhen – Interrogatorio Anamnestico<br />

- Chu Zhen – Palpazione.<br />

Di queste quattro fasi, l’esame della Palpazione assume<br />

grande importanza in quanto le osservazioni energetiche che<br />

ne derivano sono essenziali nel definire il tipo e l’andamento<br />

della patologia.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 163<br />

Il medico veterinario agopuntore proprio attraverso questa<br />

fase può ottenere conferma o smentita da quanto rilevato<br />

nelle fasi precedenti, è l’unica modalità di “dialogo diretto”<br />

con l’animale.<br />

L’esame della Palpazione comprende una prima fase di<br />

indagine generale attraverso la quale si valutano diversi<br />

distretti: cute, torace, addome, arti; di tutte le regioni corporee<br />

si cerca di valutare la condizione dei fluidi corporei<br />

(Yin), la temperatura (Yang), la sensibilità (Qi).<br />

Gli squilibri energetici possono essere identificati anche<br />

attraverso il sondaggio di agopunti specifici e del percorso<br />

dei meridiani che rappresentano delle vere e proprie aree di<br />

energia riflessa: tutte le funzioni degli organismi operano<br />

attraverso uno scambio di informazioni tra energia e materia. 6<br />

Infine la fase della Palpazione è completata dall’esame<br />

pulsologico: “La pulsologia è molto sottile; i caratteri e gli<br />

aspetti del polso sono difficili da valutare. Gli aspetti ondulatori<br />

del polso sono mentalmente accessibili, ma delicati da<br />

definire quando sono sotto le dita” avverte Wang Shu He. 7<br />

L’esame del polso va considerato un prezioso dato da<br />

valutare sia a scopo diagnostico che prognostico, nonché<br />

come controllo dell’evoluzione della patologia e della risposta<br />

dell’organismo alla terapia agopunturale, secondo quanto<br />

affermato nel capitolo 17 del Nei Jing So Wen: “Il polso<br />

è la dimora del sangue. La palpazione dei polsi informa<br />

sugli eccessi e le carenze degli Zang, sul vigore e la debolezza<br />

dei Fu, sull’energia e la debolezza del corpo”. 8<br />

Una modalità sintetica di studiare la tipologia del soggetto<br />

è quella prevista dall’Agopuntura Coreana che nell’individuare<br />

quattro categorie principali, ne suggerisce anche gli<br />

agopunti di armonizzazione tipologica:<br />

• Tai Yang In – Diametro toracico maggiore di quello addominale<br />

(Polmone grande / Fegato piccolo) – Sedazione:<br />

LU 9 (Tai Yuan) – Tonificazione: LR 3 (Tai Chong)<br />

• Tai Eum In – Diametro addominale maggiore di quello<br />

toracico (Fegato grande / Polmone piccolo) – Sedazione:<br />

LR 3 (Tai Chong) - Tonificazione: LU 9 (Tai Yuan)<br />

• So Yang In – Diametro toracico maggiore di quello pelvico<br />

(Milza grande / Rene piccolo) – Sedazione: SP 3 (Tai<br />

Bai) – Tonificazione: KI 3 (Tai Xi)<br />

• So Eum In – Diametro pelvico maggiore di quello toracico<br />

(Rene grande / Milza piccola) – Sedazione: LI 4 (He<br />

Gu) – Tonificazione: SP 3 (Tai Bai). 9<br />

Seconda momento diagnostico è studiare la malattia attraverso<br />

i Ba Gang – Le Otto Regole Diagnostiche – che forniscono<br />

tutte le indicazioni relative alle modalità di estrinsecazione<br />

della patologia; ciò si attua attraverso una classificazione<br />

basata su quattro coppie complementari:<br />

- Li / Biao – Interno / Esterno (indica la localizzazione della<br />

patologia ed ha valore prognostico)<br />

- Han / Re – Freddo / Calore (esprime la natura della patologia<br />

ed ha valore nell’impostare la terapia)<br />

- Xu / Shi – Vuoto / Pieno (è una valutazione dei rapporti<br />

reciproci tra Zhen Qi e Xie Qi)<br />

- Yin / Yang – sintesi (permette di raccordare la patologia<br />

entro la legge Wu Xing, e riguarda sia il soggetto che la<br />

malattia).<br />

Di solito le malattie croniche sono inquadrate come patologie<br />

dell’Interno, da Freddo, da Vuoto, di polarità Yin.<br />

Nell’affrontare una patologia cronica è perciò molto<br />

importante stabilire una corretta ‘diagnosi energetica’ che<br />

stabilisca i criteri di stato, cioè la situazione generale in cui<br />

versa l’organismo animale, quadri relativi di eccesso o di<br />

deficit che si esprimono con segni fisici e funzionali.<br />

I principali quadri riferiti a patologie croniche che possono<br />

essere diagnosticati sono:<br />

• Vuoto di Yin: (dovuta Xie Yang aggressiva; condizione di<br />

esaurimento; problemi psico - comportamentali; stati di<br />

esaurimento) genera un conseguente deficit di Jing, Xue e Jin<br />

Ye, che induce sintomi di eccesso relativo di Calore; il soggetto<br />

presenta agitazione, dimagrimento, oliguria, stipsi, secchezza<br />

delle fauci, febbre ciclica, agitazione; la lingua è rossa,<br />

poco umida e con scarso induito, il polso è fine e rapido.<br />

• Vuoto di Yang: (dovuto a malnutrizione; stress) genera un<br />

conseguente prevalere dello Yin che induce sintomi di<br />

eccesso relativo di Freddo; il soggetto presenta astenia,<br />

respirazione superficiale, arti freddi, mucose pallide, poliuria;<br />

la lingua è pallida ed umida, il polso è tenue e sottile.<br />

• Vuoto di Qi: (dovuto a squilibri alimentari, senilità) genera<br />

un conseguente indebolimento di tutte le funzioni dei sistemi<br />

Zang / Fu; il soggetto presenta astenia, respiro corto, mucose<br />

pallide, tutti sintomi che si aggravano con il movimento;<br />

la lingua è pallida e molle, il polso è vuoto e debole.<br />

• Vuoto di Xue: (dovuto a deficit di Milza e Stomaco; problemi<br />

psico - comportamentali; emorragie) in caso di<br />

mancata produzione o di esaurimento dello Xue, il soggetto<br />

presenta mantello opaco, movimenti barcollanti ed<br />

insicuri; la lingua è pallida, il polso è fine e debole.<br />

• Vuoto di Jin Ye: (dovuto ad attacco di Calore; insufficiente<br />

apporto idrico; emorragie; eccessiva sudorazione;<br />

vomito, diarrea) il soggetto presenta cute secca, secchezza<br />

delle fauci, oliguria, stipsi; la lingua è rossa e secca, il<br />

polso è fine e rapido.<br />

Nelle patologie croniche non sono infrequenti anche quadri<br />

di stasi:<br />

• Stasi di Qi: (dovuta a Xie esterna; contusioni e traumi;<br />

squilibri alimentari; problemi psico – comportamentali) si<br />

verifica un’ostacolata circolazione dell’energia ed un suo<br />

blocco che genera gonfiore e dolore localizzato; la lingua<br />

è pallida con induito sottile, il polso è teso.<br />

• Stasi di Xue: (dovuta a deficit di Qi; mancata produzione<br />

di Xue; Freddo, Calore che annoda) si verifica un blocco<br />

della circolazione del sangue che genera astenia, andatura<br />

barcollante, gonfiore dell’addome, corpo freddo; la lingua<br />

è rosso scura, il polso è profondo e ritardato.<br />

• Stasi di Jin Ye: (dovuta ad invasione di una delle energie<br />

patogene: Umidità, Acqua, Calore) si verifica ristagno e<br />

accumulo di liquidi corporei in forma di Shui Yin (edemi),<br />

Yin (mucosità fluide), Tan (mucosità dense) che generano<br />

un coinvolgimento energetico degli organi Milza e Polmone.<br />

10<br />

Nel valutare le malattie croniche e la loro evoluzione,<br />

grande importanza ha il livello energetico coinvolto.<br />

Secondo lo Shang Han Lun, è possibile distinguere sei<br />

diversi quadri clinici in relazione ai sei livelli energetici:<br />

- Tai Yang: la sindrome di questo livello è caratterizzata da<br />

rigidità del collo, timore del Freddo, polso superficiale;<br />

- Shao Yang: la sindrome di questo livello è caratterizzata<br />

da secchezza delle fauci, andatura barcollante, polso a<br />

corda o fine;


164 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

- Yang Ming: la sindrome di questo livello è caratterizzata<br />

da distensione addominale, lieve dispnea, febbre, polso<br />

superficiale o teso;<br />

- Tai Yin: la sindrome di questo livello è caratterizzata da distensione<br />

e dolore addominale, vomito, anoressia, diarrea;<br />

- Jue Yin: la sindrome di questo livello è caratterizzata da<br />

grande sete, minzione frequente, sintomi gastrici, polso<br />

filiforme e superficiale;<br />

- Shao Yin: la sindrome di questo livello è caratterizzata da<br />

astenia, nausea, agitazione, sete, poliuria, polso filiforme<br />

e debole. 11<br />

Questo approccio diagnostico così specifico e capillare<br />

permette di intervenire direttamente sulla causa che ha generato<br />

la patologia cronica, ma anche di affrontare le eventuali<br />

complicazioni e sovrapposizioni di altri quadri clinici.<br />

Afferma Zhang Zhong Jing: “Quando un paziente con<br />

patologia cronica è colpito da una nuova malattia, la nuova<br />

malattia deve avere priorità nel trattamento, solo dopo si<br />

tratterà la patologia cronica.<br />

Le patologie croniche non possono essere curate in breve<br />

tempo, mentre una nuova patologia non deve penetrare profondamente<br />

all’interno. Generalmente parlando, un soggetto<br />

affetto da patologia cronica è carente nelle sue resistenze<br />

corporee, questo permette ai fattori patogeni di invadere<br />

l’Interno in breve tempo. Se il trattamento non è immediatamente<br />

diretto alla nuova patologia, il quadro si aggraverà e<br />

complicherà la malattia cronica”. 12<br />

La terapia è specifica e per ogni differente quadro clinico<br />

è possibile individuare quegli agopunti principali che risultano<br />

essere particolarmente efficaci nel trattare specifiche<br />

condizioni cliniche anche sulla base di ‘formule magistrali’<br />

presenti in testi antichi. 13<br />

“In tutte le patologie l’idea principale non è combattere,<br />

ma armonizzare”. 14<br />

Seguendo le indicazioni di Nguyen Van Nghi, il quale<br />

sostiene che “sul vuoto energetico dell’organismo si instaura<br />

una condizione di pienezza patologica” 15 , e di George<br />

Soulié de Morant, il quale afferma che: “In tutte le malattie<br />

si raccomanda di tonificare, ed anche quando si disperde la<br />

pienezza, è bene tonificare il vuoto sottostante che sovente si<br />

produce” 16 , la terapia è mirata a tonificare l’energia del soggetto<br />

mediante aghi e moxa, ed alla risoluzione delle stasi<br />

mediante massaggio e digitopressione.<br />

La regolarizzazione delle funzioni del Triplice Riscaldatore<br />

si attua mediante l’impiego degli agopunti: GV 4 (Ming<br />

Men) – CV 4 (Guan Yuan) – TH 4 (Yang Chi).<br />

La tonificazione generale dell’organismo si attua mediante<br />

gli agopunti: LI 4 (He Gu) - ST 36 (Zu San Li). 17<br />

Per indurre un cambiamento significativo nel decorso delle<br />

forme croniche si impiega l’agopunto PC 6 (Nei Guan).<br />

Considerando che alla base di ogni patologia vi è un profondo<br />

coinvolgimento dello Shen dell’animale, la sua assuefazione<br />

a quella determinata patologia, l’attitudine a convivere<br />

con quel problema, la ‘stasi energetica’ che ne deriva,<br />

l’oligofrenia che accompagna questi stati, sono efficacemente<br />

trattati dall’agopunto SI 3 (Hou Xi), stimolato a volte<br />

anche solo con il fior di pruno (‘tapping’).<br />

Poiché la vera cura è la prevenzione, questa si realizza fondamentalmente<br />

attraverso la ginnastica funzionale e l’alimentazione:<br />

la prima assicura all’animale, a qualsiasi specie appar-<br />

tenga e con qualunque attitudine, quel giusto grado di movimento<br />

necessario a mantenerlo attivo e vitale ed a favorire lo<br />

scorrimento del Qi; l’alimentazione mantiene costante l’apporto<br />

di sostanze necessarie alle funzioni vitali dell’animale. 18<br />

“Molte malattie possono venir curate solo da una dieta”,<br />

consiglia Hu Sihui, e questa deve essere impostata in maniera<br />

accurata per supportare l’atto medico e promuovere il<br />

benessere degli animali. <strong>19</strong> Secondo i medici taoisti lo ‘stile di<br />

vita’ corretto (Sheng Dao) favorisce il nutrimento della vita<br />

ed il suo rafforzamento contro le malattie (Yang Sheng), ed<br />

attua armoniosamente quel vivere tra Cielo e Terra auspicato<br />

dall’Esagramma 11 – T’AI: “Il piccolo se ne va, il grande<br />

viene; Salute! Riuscita!”.<br />

RIASSUNTO DEGLI OBIETTIVI DIDATTICI<br />

DELLA RELAZIONE. Gestione clinica delle patologie<br />

croniche secondo la Medicina Tradizionale Cinese (MTC)<br />

specificando il particolare approccio diagnostico e terapeutico<br />

olistico.<br />

Bibliografia<br />

1. Prade F. (<strong>19</strong>97): Yi King Médical, Servranx Editions, Bruxelles, 67-68.<br />

2. Bian Que (<strong>19</strong>99): Nan Jing – The Classic of Difficulties, Blue Poppy<br />

Press, Boulder, 66-67.<br />

3. Longo F. (2005): La Medicina Olistica; Professione Veterinaria n. 39,<br />

Cremona, 7.<br />

4. Zhang Zhongjing (<strong>19</strong>87): Jingui Yaolue Fanglun – Synopsis of Prescription<br />

of the Golden Chamber, New World Press, Beijing, 4.<br />

5. Zhang Zhongjing (<strong>19</strong>87): Jingui Yaolue Fanglun – Synopsis of Prescription<br />

of the Golden Chamber, New World Press, Beijing, 4-5.<br />

6. Longo F. (2002): L’Esame della Palpazione in Agopuntura Veterinaria,<br />

Yi Dao Za Zhi n.18, Laveno Mombello (VA), 13-14.<br />

7. Wang Shu-he (<strong>19</strong>97): Mai Jing – The Pulse Classic, Blue Poppy<br />

Press, Boulder, 15.<br />

8. Huang Ti (<strong>19</strong>91): Nei Ching So Wên – Canone di Medicina Interna,<br />

Edizioni Mediterranee, Roma, 187-<strong>19</strong>6.<br />

9. Kyu Lee J. / Kook Bae S. (<strong>19</strong>73): Korean Acupuncture, Lee Publishing<br />

Co., Sam Wha, 249-251.<br />

10. Longo F. (<strong>19</strong>99): Dispensa di Agopuntura Veterinaria II, SIAV, Torino,<br />

39-95.<br />

11. Zhang Zhongjing (<strong>19</strong>98): Shang Han Lun – Trattato sulle Malattie Febbrili,<br />

Quaderni di Medicina Naturale, Civitanova Marche (MC), 5-87.<br />

12. Zhang Zhongjing (<strong>19</strong>87): Jingui Yaolue Fanglun – Synopsis of Prescription<br />

of the Golden Chamber, New World Press, Beijing, 17.<br />

13. Longo F. (2004): Formule Magistrali in Agopuntura Veterinaria, Atti<br />

del 48° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> S.C.I.V.A.C, <strong>Rimini</strong>, 226-227.<br />

14. de Morant G. S. (<strong>19</strong>93): Précis de la Vraie Acupuncture Chinoise,<br />

Mercuri de France, Paris, 79.<br />

15. Longo F. (<strong>19</strong>99): Dispensa di Agopuntura Veterinaria II, SIAV, Torino,<br />

39-95.<br />

16. de Morant G. S. (<strong>19</strong>93): Précis de la Vraie Acupuncture Chinoise,<br />

Mercuri de France, Paris, 79.<br />

17. Longo F. (2002): Hegu – Zusanli, una Combinazione Vincente in Agopuntura<br />

Veterinaria, Yi Dao Za Zhi n.17, Laveno Mombello (VA), 8-9.<br />

18. F. Longo: (2005): L’Alimentazione in MTC, Atti del <strong>Congresso</strong> di<br />

Nutrizione Olistica – Costermano Garda (VR) Percorsi diagnostico –<br />

terapeutici nelle patologie legate all’alimentazione in Veterinaria,<br />

Roma, 35 – 43.<br />

<strong>19</strong>. Needham J. (<strong>19</strong>82). La medicina Cinese, Il Saggiatore, Milano, 99-100.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Francesco Longo - Tel.: 347/1861679<br />

E- mail: longo.agovet@katamail.com


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 165<br />

Diagnostica cito- istopatologica nei pesci ornamentali<br />

Maurizio Manera<br />

Med Vet, Teramo<br />

Premesse<br />

La diagnostica cito- istopatologica rappresenta un prezioso<br />

complemento diagnostico nei pesci ornamentali in virtù<br />

del fatto che, differentemente da altri animali da compagnia,<br />

minori sono le possibilità diagnostiche collaterali disponibili.<br />

Questo è dovuto in parte, e con le debite eccezioni, all’esiguo<br />

valore commerciale e, probabilmente affettivo, dei<br />

pesci ornamentali, alla propensione al “fai da te” di proprietari<br />

ed operatori del settore, all’assenza di una capillare rete<br />

di medici veterinari con specifiche competenze tecnicoscientifiche,<br />

alle ridotte dimensioni degli esemplari ed al<br />

persistere di un certo “empirismo” nel settore per ritardo nel<br />

trasferimento delle acquisizioni scientifiche nella pratica<br />

professionale. Tuttavia tali tecniche diagnostiche, in parte<br />

per le stesse motivazioni precedentemente ricordate, sono<br />

prevalentemente utilizzate a corollario della pratica necroscopica,<br />

quindi su esemplari deceduti, piuttosto che su esemplari<br />

vivi. Ciò non toglie che la diagnostica cito- istopatologica<br />

possa essere applicata, con le accortezze dovute alle<br />

peculiarità delle specie ittiche, anche sugli esemplari in vita,<br />

a completamento della visita clinica.<br />

Di seguito saranno illustrate alcune tecniche di prelievo<br />

per l’allestimento di preparati cito-istopatologici applicabili<br />

sugli animali in vita, nonché alcune nozioni di diagnostica<br />

differenziale comparativa volte ad evitare errori diagnostici<br />

per grossolane e maldestre trasposizioni di nozioni cito- istopatologiche<br />

proprie delle tradizionali specie da compagnia.<br />

Resta inteso che ciò che è eseguibile in vita è ancor più facilmente<br />

eseguibile dopo il decesso, col vantaggio, negli esemplari<br />

morti, di poter accedere ad organi non accessibili in<br />

vita e, soprattutto, ottenere campioni di dimensioni maggiori<br />

quindi più facilmente processabili ed interpretabili.<br />

Tipologie di preparati microscopici<br />

di più frequente utilizzo in diagnostica<br />

ittiopatologica<br />

Il preparato microscopico di più frequente impiego nella<br />

pratica diagnostica cito- istopatologica ittica è quello “a fresco”,<br />

ottenuto per raschiamento (perlopiù cutaneo), schiacciamento<br />

(organi parenchimatosi, cavi, ecc.) o per biopsia<br />

escissionale, perlopiù a carico degli apici lamellari branchiali<br />

o delle estremità delle pinne natatorie. Ciò è legato alla<br />

facilità dell’allestimento di tali preparati, ed al fatto che,<br />

viste le dimensioni medie dei pesci ornamentali, si possono<br />

utilizzare campioni di dimensioni significative ottenendo<br />

preparati con la sufficiente diafanità necessaria alla lettura<br />

microscopica. Inoltre solo utilizzando preparati a fresco è<br />

possibile individuare alcuni patogeni (microparassiti) mobili<br />

di piccole dimensioni, causa comune di patologia nei pesci<br />

ornamentali. A taluni preparati a fresco possono essere successivamente<br />

ed estemporaneamente aggiunte gocce di<br />

sostanze coloranti per aumentare il contrasto di particolari<br />

strutture o parassiti (es: soluzione di Lugol per evidenziare i<br />

granuli d’amido all’interno di Amyloodinium spp.) o possono<br />

essere successivamente processati come un tradizionale<br />

preparato citologico. Il classico preparato istologico, ottenuto<br />

da frammenti di tessuto od organo fissato in formalina od<br />

altro fissativo, disidratato nella serie crescente degli alcoli,<br />

chiarificato ed incluso in paraffina, è particolarmente usato<br />

su biopsie escissionali di grandi dimensioni, nei pesci in vita<br />

o su campioni di tessuto ed organo, in pesci deceduti. I pesci<br />

di piccole dimensioni, possono essere processati ed esaminati<br />

in toto. Per quanto attiene ai vantaggi/svantaggi della<br />

diagnostica citologica, rispetto alla diagnostica istologica,<br />

non c’è nulla da dire in più rispetto quanto noto per gli altri<br />

animali da compagnia. Ad ogni modo, dopo il preparato<br />

microscopico a fresco, il preparato istologico è più comunemente<br />

impiegato nella diagnostica ittiopatologica, anche per<br />

una maggiore disponibilità bibliografica sull’argomento che,<br />

purtroppo e ad oggi, non trova analogo riscontro nella diagnostica<br />

citologica.<br />

Preparazione e manipolazione<br />

degli esemplari<br />

Le comuni procedure eseguibili in vivo sui pesci ornamentali<br />

sono relativamente poco invasive e traumatizzanti,<br />

ciononostante, in considerazione della natura particolare del<br />

paziente ittico, in soggetti particolarmente indocili, di notevoli<br />

dimensioni o veleniferi, potrebbe essere necessario<br />

ricorrere alla sedazione/anestesia degli esemplari, secondo i<br />

protocolli comunemente utilizzati nelle specie ittiche. Al<br />

fine di preservare l’integrità delle mucose esterne non si<br />

deterge/disinfetta normalmente la parte prima e dopo l’operazione<br />

di raschiamento, biopsia od agoaspirazione. Comunque<br />

sia, l’immersione per un tempo indefinito in una soluzione<br />

di sale marino al 1-5‰ (in specie prive di scaglie, particolarmente<br />

sensibili come, ad esempio, alcune specie di<br />

“pesce gatto”, è bene impiegare i dosaggi più bassi) può<br />

risultare particolarmente efficace ad impedire la sovrainfezione<br />

batterica o fungina della parte trattata ed a mitigare<br />

eventuali traumi occorsi alla barriera osmotica cutanea e<br />

branchiale nei pesci d’acqua dolce (stress osmotico) senza<br />

effetto collaterale alcuno. I pesci devono essere manipolati<br />

con guanti di lattice bagnati limitando allo stretto necessario<br />

la permanenza fuori dall’acqua ed i movimenti bruschi.


166 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Principali tecniche di prelievo<br />

Le più comuni tecniche di prelievo, in ordine di frequenza<br />

di esecuzione, sono il raschiamento, la biopsia escissionale<br />

e l’agoaspirazione.<br />

La metodica del raschiamento è praticata a livello cutaneo,<br />

in prossimità di lesioni o, di routine, alla base delle pinne.<br />

Il raschiamento può essere eseguito con un vetrino<br />

coprioggetto o con una lama da bisturi (con la parte opposta<br />

al tagliente), assicurandosi che nel raschiato siano comprese<br />

alcune squame (raschiare con movimento cranio-caudale). Il<br />

materiale così ottenuto è deposto su di un vetrino portaoggetto,<br />

sul quale è aggiunta una goccia d’acqua ed adagiato<br />

un vetrino coprioggetto per l’osservazione.<br />

La biopsia escissionale è comunemente impiegata per<br />

allestire preparati microscopici di tessuto branchiale o<br />

della membrana delle pinne. Per le branchie si opera con<br />

una forbice a branche smusse inserendola delicatamente<br />

in camera branchiale. Si prelevano gli apici di alcune<br />

lamelle primarie, deposte, quindi, su di un vetrino portaoggetto.<br />

Per le pinne si asportano esili frammenti all’apice<br />

delle stesse, possibilmente in prossimità di lesioni. I<br />

frammenti vengono stesi su vetrini portaoggetto. Per il<br />

resto ci si comporta come per i raschiati (goccia d’acqua<br />

e vetrino coprioggetto).<br />

L’agoaspirazione propriamente detta è eseguibile sul<br />

fegato, il pronefro (rene anteriore) e su neoformazioni. L’esecuzione<br />

di tale procedura è normalmente ben tollerata<br />

anche se fortemente limitata dalle dimensioni del pesce e<br />

dalla perfetta conoscenza della topografia addominale della<br />

specie in esame. Per quanto riguarda l’agoaspirazione<br />

del pronefro, l’approccio avviene cranio-ventralmente<br />

accedendo dalla camera branchiale ed infiggendo l’ago in<br />

direzione caudo-dorso-spinale. Si opera, quindi, l’aspirazione<br />

fino ad individuare il sangue penetrare nel cono dell’ago.<br />

Il sangue così ottenuto è assimilabile, in tutto e per<br />

tutto, al sangue midollare dei mammiferi e come tale può<br />

essere processato.<br />

Note di diagnostica cito- istopatologica<br />

comparativa nei pesci ornamentali<br />

I pesci rappresentano il “prototipo” di vertebrato. Ciononostante<br />

le conoscenze del veterinario medio, circa la biologia<br />

di tali organismi, sono pressoché nulle. Di seguito si<br />

riportano alcune note di diagnostica comparativa cito-istopatologica<br />

con il solo scopo di focalizzare l’attenzione su talune<br />

particolarità ittiche.<br />

Uno degli aspetti microscopici che sicuramente può destare<br />

maggior sconcerto ed essere causa di errori interpretativi<br />

è connessa con le tipologie di cellule pigmentate dei pesci.<br />

Nei pesci i melanociti si rinvengono anche negli organi interni,<br />

perlopiù associati ai vasi. Inoltre, possono essere reclutati<br />

in focolai flogistici cronici, in particolar modo parassitari.<br />

In tali focolai possono comparire anche macrofagi contenenti<br />

pigmenti (melanina, cromolipoidi, emosiderina) solitari<br />

o formanti aggregati 1 . Tali aggregati si rinvengono fisiologicamente<br />

nel rene, nella milza, nel fegato e parafisiologicamente<br />

nelle gonadi. Il loro numero, le loro dimensioni ed il<br />

contenuto in pigmenti varia con la stagione, lo stato di nutrizione<br />

e di salute. Inoltre sono stati proposti come promettenti<br />

biomarcatori di esposizione a xenobiotici 1 .<br />

Ulteriore sconcerto possono destare i leucociti dei pesci e<br />

questo perché, purtroppo, la classificazione a suo tempo fatta<br />

nei mammiferi, basata sull’affinità tintoriale piuttosto che<br />

sulla funzione, non può essere trasposta tal quale in ambito<br />

ittico. Infatti, in alcune specie ittiche i granulociti acidofili<br />

(eosinofili, per intenderci) rappresentano la tipologia leucocitaria<br />

dominante pur non rappresentando l’equivalente funzionale<br />

dei granulociti eosinofili dei mammiferi. Di frequente<br />

riscontro, in presenza di parassiti, sono le così dette cellule<br />

granulari eosinofiliche, che a dispetto del nome, non hanno<br />

nulla a che vedere con gli eosinofili che qualsiasi veterinario<br />

si aspetterebbe di ritrovare in presenza di parassiti. In<br />

realtà rappresenterebbero l’equivalente ittico dei mastociti<br />

(di tutt’altra affinità tintoriale nei mammiferi!). Altre cellule<br />

esclusivamente rinvenibili nei pesci ossei sono le rodlet cell,<br />

cellule enigmatiche e dall’aspetto intrigante (inizialmente<br />

furono descritte come parassiti!). Probabilmente costituiscono<br />

una prima linea difensiva epitelio-associata nei confronti<br />

di patogeni e sono stati anche proposte come validi e sensibili<br />

biomarcatori di stress nei pesci 2 .<br />

Bibliografia<br />

1. Manera M, (<strong>19</strong>97), Gli aggregati dei macrofagi dei pesci. Supplemento<br />

“Organismi acquatici e ambiente” a Laguna, 6: 24-33.<br />

2. Manera M, Dezfuli BS, (2004), Rodlet cells in teleosts: new insight<br />

into their nature and functions, J Fish Biol, 65: 597-6<strong>19</strong>.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maurizio Manera<br />

Ricercatore Dipartimento di Scienze degli Alimenti,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Teramo<br />

Viale Crispi, <strong>21</strong>2. I-64100 Teramo<br />

Tel: +39 0861 266964 - Fax: +39 0861 266987<br />

E-mail: mmanera@unite.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 167<br />

Il carcinoma squamoso del muso del gatto:<br />

quale trattamento?<br />

Marina Martano<br />

Med Vet, PhD, Torino<br />

Il carcinoma squamoso del gatto (CS) è la neoplasia<br />

cutanea maligna più frequente in questa specie animale,<br />

rappresentando circa il 15% dei tumori cutanei. 15 Poiché la<br />

radiazione solare è coinvolta nella sua patogenesi, l’incidenza<br />

ha una distribuzione geografica variabile, tanto da<br />

costituire circa il 50% dei tumori cutanei del gatto in<br />

Australia e Nuova Zelanda 9 , percentuale decisamente più<br />

elevata rispetto a quanto riscontrato in nord Europa e in<br />

gran parte degli Stati Uniti. Anche per quanto riguarda l’Italia,<br />

sebbene dati epidemiologici non siano riportati in letteratura,<br />

le segnalazioni sono molto più frequenti al Sud e<br />

nelle regioni costiere. 7 Il rischio di sviluppare la neoplasia<br />

per soggetti a mantello bianco o con aree bianche soprattutto<br />

sul muso e sulla testa è 5-13 volte superiore rispetto a<br />

soggetti a mantello scuro 9 ; per lo stesso motivo il siamese<br />

è poco rappresentato. L’età media di insorgenza è 12 anni<br />

e probabilmente anche in questo caso l’esposizione cronica<br />

ai raggi solari può rappresentare una spiegazione. Non<br />

esiste una predisposizione di sesso, mentre è stato osservato<br />

che in circa il 7-20% dei casi vi è positività per il virus<br />

dell’immunodeficienza felina (FIV), anche questo più<br />

facilmente associato a gatti che conducono vita all’aperto,<br />

poiché più soggetti all’esposizione al contagio.<br />

Si tratta di una neoplasia localmente aggressiva, caratterizzata<br />

dall’insorgenza lenta e subdola, ma dalla progressiva<br />

erosione della cute e dei tessuti sottostanti, fino alla formazione<br />

di ampie e profonde erosioni che deformano il<br />

muso del gatto e ne determinano la morte. La forma erosiva,<br />

infatti, è quella prevalente nel gatto. La localizzazione<br />

più frequente è a carico di padiglioni auricolari, palpebre,<br />

piano nasale e labbro, ma qualsiasi area cutanea può esserne<br />

colpita. In circa il 30% dei casi si osserva la presenza di<br />

lesioni multiple già alla prima presentazione. La lesione<br />

preneoplastica, sotto forma di aree eritematose o crostose<br />

15 , può essere presente per mesi o anni prima della sua<br />

trasformazione maligna, che si manifesta dapprima come<br />

erosioni superficiali, poi come vere e proprie ulcere. La<br />

diffusione metastatica a linfonodi regionali e polmone è<br />

poco frequente e si riscontra generalmente nelle fasi avanzate<br />

della malattia.<br />

Se la chirurgia radicale può essere curativa per lesioni<br />

localizzate ai padiglioni auricolari, più difficile è intervenire<br />

quando viene colpito il piano nasale, o quando sono presenti<br />

lesioni multiple. In questi casi le alternative possibili<br />

sono rappresentate dalla criochirurgia 6 , dalla terapia fotodinamica<br />

11 , o dal trattamento con retinoidi 9 (isotretinoina e<br />

derivati). Tutte queste modalità hanno fornito buoni risultati<br />

su lesioni di piccole dimensioni (inferiori al cm) e mol-<br />

to superficiali, corrispondenti agli stadi T is e T1 della classificazione<br />

WHO. Su stadi più avanzati o forme più estese<br />

migliori risultati si ottengono solo con la chirurgia o la<br />

radioterapia, sia con apparecchi a ortovoltaggio, sia con<br />

quelli a megavoltaggio. 4,6,12 Gli effetti collaterali di questa<br />

terapia a breve e lungo termine non sono generalmente gravi<br />

e di solito autolimitanti. In generale, quando fattibile, la<br />

chirurgia rimane la terapia di scelta. A questo proposito va<br />

detto che interventi quali la nosectomia offrono generalmente<br />

risultati cosmetici migliori nel gatto rispetto al cane.<br />

Si tratta di una chirurgia semplice e poco onerosa che, sebbene<br />

possa apparire mal tollerata nei primi giorni post-chirurgia<br />

a causa della crosta che si forma attorno alle narici,<br />

porta a buoni risultati anche funzionali a lungo termine. Si<br />

tratta però di un intervento chirurgico da riservarsi alle<br />

lesioni limitate al piano nasale in cui si ritiene possibile<br />

eseguire delle escissioni “a margini puliti”. Anche lesioni a<br />

carico delle palpebre possono essere trattate mediante una<br />

chirurgia aggressiva, ricorrendo all’esecuzione di plastiche<br />

per la ricostruzione di ampie soluzioni di continuo risultanti<br />

dall’asportazione completa della palpebra superiore o<br />

inferiore. Il limite, in questi casi, è il coinvolgimento tumorale<br />

di una sola delle due, in quanto l’asportazione completa<br />

delle palpebre implica necessariamente l’enucleazione<br />

del bulbo oculare. Un altro limite della chirurgia è rappresentato<br />

dalle lesioni multiple, come spesso accade in<br />

alcuni gatti che vivono all’aperto e presentano coinvolgimento<br />

di palpebra e regione temporale. Una chirurgia<br />

aggressiva in questi casi non è proponibile per l’impossibilità<br />

di una adeguata ricostruzione, pertanto vanno prese in<br />

considerazione altre opzioni terapeutiche.<br />

La chemioterapia sistemica da sola non ha invece fornito<br />

risultati significativi con nessuno dei farmaci utilizzati (bleomicina,<br />

carboplatino, mitoxantrone). Sebbene la bleomicina<br />

sia un farmaco piuttosto maneggevole e possa fornire effetti<br />

incoraggianti a breve termine, l’efficacia è generalmente<br />

limitata nel tempo e la recidiva locale si ripresenta in fase<br />

molto precoce. 1<br />

Il trattamento intralesionale con cisplatino o carboplatino<br />

13 sembra, per contro, fornire migliori possibilità di controllo<br />

a lungo termine o di cura, soprattutto se associato a<br />

radioterapia. In questo caso il farmaco, somministrato poco<br />

prima del trattamento radiante, ne potenzia l’efficacia. 2<br />

L’inoculazione intralesionale, inoltre, consente l’impiego<br />

del cisplatino, farmaco non utilizzabile nel gatto per via<br />

sistemica a causa dell’estrema tossicità. Per diminuire la<br />

dispersione nel torrente circolatorio e prolungare la permanenza<br />

del farmaco a livello locale, i composti del platino


168 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

sono somministrati in associazione a olio di sesamo sterile,<br />

siero autologo dell’animale o gel proteici a base di collagene<br />

bovino 5,7 , e vasocostrittori (epinefrina) ai quali queste<br />

sostanze (il cisplatino in particolare) si legano. Studi clinici<br />

e di farmacocinetica condotti a tal fine su questo e altri<br />

tipi di neoplasia hanno effettivamente dimostrato la validità<br />

di tale metodo di somministrazione. 3,8,10,12,14 Sebbene<br />

anche per questo trattamento occorra l’anestesia generale<br />

del gatto a causa della stimolazione algica indotta dalla<br />

manualità, il numero complessivo di cicli (4-8, una volta<br />

alla settimana) è inferiore a quello necessario per la radioterapia<br />

e più dilazionato nel tempo, cosa che permette al<br />

soggetto una migliore ripresa ed è generalmente meglio<br />

accettato dal proprietario. Gli effetti collaterali sono solitamente<br />

limitati all’eritema locale e all’edema, che può rendere<br />

necessaria l’applicazione di un collare Elisabetta per<br />

evitare autotraumatismi. Nei casi più gravi si può arrivare<br />

alla comparsa di aree necrotiche nel punto di inoculazione.<br />

Come per la radioterapia, l’effetto è autolimitante e si risolve<br />

con la fine del trattamento. Anche in questo caso i risultati<br />

migliori sono stati ottenuti per le forme più lievi (stadi<br />

T1-T2 del WHO). La positività per il FIV non rappresenta<br />

un fattore prognostico negativo, ma aumenta l’incidenza e<br />

la gravità degli effetti collaterali. Gli studi condotti su tale<br />

metodica riportano la risposta completa nel 73,3% dei soggetti,<br />

con un tempo libero da malattia mediano di 16<br />

mesi 13 , mentre l’associazione con l’ortovoltaggio ha portato<br />

alla remissione della lesione nel 100% dei 6 soggetti<br />

trattati; lo studio in questione era comunque basato su un<br />

follow-up non a lungo termine. 2<br />

In conclusione, il CS del muso del gatto rappresenta<br />

un’entità complessa, per la quale la terapia va scelta in base<br />

al singolo soggetto, alle sue condizioni generali e all’estensione<br />

e alla localizzazione della/e lesione/i. Come spesso<br />

accade in oncologia, il trattamento multimodale fornisce i<br />

risultati migliori, così come lesioni in fase precoce hanno<br />

una prognosi decisamente migliore, anche con trattamenti<br />

poco invasivi. La comparsa di nuove lesioni in punti diversi<br />

del muso non è da interpretare come disseminazione metastatica<br />

del tumore (peraltro poco frequente) quanto piuttosto<br />

come nuove masse primarie, per le quali il trattamento può<br />

essere ripetuto. Trattandosi di una forma per la quale le<br />

radiazioni solari giocano un ruolo importante, inoltre, la<br />

prevenzione della patologia è possibile (almeno entro certi<br />

limiti), sebbene non semplice in alcuni casi; sarebbe infatti<br />

sufficiente evitare l’esposizione diretta ai raggi solari dei<br />

gatti a mantello chiaro.<br />

Bibliografia consultata<br />

1. Buhles WC, Theilen GH, (<strong>19</strong>73), Preliminary evaluation of bleomycin<br />

in feline and canine squamous cell carcinoma. Am J Vet Res, 34:<br />

289-291.<br />

2. De Vos JP, Burm AGO, Focker BP, (2004), Results from the treatment<br />

of advanced stage squamous cell carcinoma of the nasal planum in<br />

cats, using a combination of intralesional carboplatin and superficial<br />

radiotherapy: a pilot study. Vet Comp Oncol, 2: 75-81.<br />

3. Deurloo MJM, Bohlken S, Kop W, Coenraad FL, Hennink H, Begg<br />

AC, (<strong>19</strong>90), Intratumoral administration of cisplatin in slow-release<br />

devices. I. Tumor response and toxicity. Cancer Chemother Pharmacol,<br />

27: 135-140.<br />

4. Fidel JL, Egger E, Blattmann H, Oberhansli F, Kaser-Hotz B, (2001),<br />

Proton irradiation of feline nasal planum squamous cell carcinomas<br />

using an accelerated protocol. Vet Radiol Ultrasound, 42: 569-575.<br />

5. Kitchell BK, Orenberg EK, Brown DM, Hutson C, Ray K, Woods L,<br />

Luck E, (<strong>19</strong>95), Intralesional sustained-release chemotherapy with<br />

therapeutic implants for treatment of canine sun-induced squamous<br />

cell carcinoma. Eur J Cancer, A(12): 2093-2098.<br />

6. Lana SE, Ogilvie GK, Withrow SJ, Straw RC, Rogers KS, (<strong>19</strong>97),<br />

Feline cutaneous squamous cell carcinoma of the nasal planum and<br />

the pinnae: 61 cases. J Am Anim Hosp Assoc, 33: 329-332.<br />

7. Manunta ML, Manconi M, Mollica A, Sanna Passino E, Careddu<br />

GM, Muzzetto P, (2004), Il trattamento del carcinoma squamocellulare<br />

nel gatto: risultati su 25 casi. Veterinaria, 18(4): 47-58.<br />

8. Nagase M, Nomura T, Nakajima T, (<strong>19</strong>97), Effects of intralesional<br />

versus ip administration of cisplatin on squamous cell carcinoma in<br />

mice. Cancer Treat Rep, 71: 825-829.<br />

9. Ogilvie GK, Moore AS, (2001), Feline oncology, Veterinary learning<br />

system, Trenton, NJ, 412-418.<br />

10. Orenberg EK, Luck EE, Brown DM, Kitchell BE, (<strong>19</strong>91), Implant<br />

delivery system: intralesional delivery of chemotherapeutic agents for<br />

treatment of spontaneous skin tumors in veterinary patients. Clin<br />

Dermatol, 9: 561-568.<br />

11. Peaston AE, Leach MW, Higgins RJ, (<strong>19</strong>93), Photodynamic therapy<br />

for nasal and aural squamous cell carcinoma in cats. J Am Vet Med<br />

Assoc, 202: 1261-1265.<br />

12. Theon AP, Madewell BR, Shearn VI, Moulton JE, (<strong>19</strong>95), Prognostic<br />

factors associated with radiotherapy of squamous cell carcinoma of<br />

the nasal plane in cats. J Am Vet Med Assoc, 206: 991-996.<br />

13. Theon AP, VanVechten MK, Madewell BR, (<strong>19</strong>96), Intratumoral<br />

administration of carboplatin for treatment of squamous cell carcinomas<br />

of the nasal plane in cats. Am J Vet Res, 57: 205-<strong>21</strong>0.<br />

14. Van der Vijgh WJF, Klein I, (<strong>19</strong>86), Protein binding of five platinum<br />

compounds. Comparison of two ultrafiltration systems. Cancer Chemother<br />

Pharmacol, 18(2): 129-132.<br />

15. Withrow SJ & MacEwen EG, (2001), Small animal clinical oncology.<br />

3rd ed, W.B. Saunders, Philadelphia, 240-243.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Marina Martano - Dipartimento di Patologia Animale<br />

via Leonardo da Vinci 44, Grugliasco (TO)<br />

Tel. 011 6709058 - E-mail: marina.martano@unito.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 169<br />

I sarcomi felini iniettivi: un problema sempre attuale<br />

Marina Martano<br />

Med Vet, PhD, Torino<br />

I sarcomi iniezione-indotti (SII), seppur considerati una<br />

neoplasia rara nel gatto (incidenza 1-3/10.000 o 1/1.000)<br />

rappresentano uno spinoso problema per il veterinario a causa<br />

della loro origine “iatrogena”. Questo delicato argomento<br />

è ormai da anni oggetto di discussione in tutto il mondo, sebbene<br />

ad oggi la soluzione al problema non sia stata trovata.<br />

Trattandosi di una forma “indotta”, non si riscontra alcuna<br />

predisposizione di razza e di sesso; alcuni Autori descrivono<br />

un andamento bimodale nella distribuzione dell’età di<br />

insorgenza, con un picco intorno ai 6-7 anni e uno intorno ai<br />

10-11, quindi in soggetti più giovani rispetto alla media<br />

riportata per i sarcomi non correlati a iniezioni. Non è riportata<br />

alcuna correlazione con infezioni causate da FeLV,<br />

FeSV o FIV. Il tempo medio che intercorre tra inoculazione<br />

sottocutanea o intramuscolare e comparsa del tumore è<br />

variabile entro un range piuttosto ampio, compreso tra 3<br />

mesi e 3-3,5 anni secondo la maggior parte degli Autori, fino<br />

a 6-7 anni secondo qualcuno. I SII insorgono in sedi tipicamente<br />

utilizzate per l’inoculazione di medicamenti, quali<br />

regione interscapolare, porzione laterale del torace, collo,<br />

regione para-lombare, femorale e glutea; tendono a raggiungere<br />

dimensioni notevoli (>4 cm) in poco tempo, talvolta<br />

sono poco delimitati, cistici, localizzati più profondamente,<br />

fino a interessare, oltre al sottocute, la fascia e i piani muscolari.<br />

Possono presentarsi in forma di unico nodulo più o<br />

meno adeso ai piani sottostanti oppure come nodulini multipli,<br />

di piccole dimensioni ma disseminati su un’ampia superficie.<br />

Sono dotati di una notevole aggressività locale; il tasso<br />

di recidiva può infatti arrivare al 70% entro 6 mesi dall’escissione<br />

chirurgica, mentre altri Autori riportano tassi più<br />

bassi, variabili tra il 30 e il 70%. Il tasso metastatico, invece,<br />

si aggira attorno al 10-25%, prevalentemente a carico del<br />

polmone, ma anche a livello addominale, linfonodale, cutaneo<br />

e oculare. L’istotipo più frequente è il fibrosarcoma, ma<br />

sono descritti anche altre forme mesenchimali (istiocitoma<br />

fibroso maligno, condrosarcoma, osteosarcoma, ecc.). Il<br />

quadro istologico è caratteristico e può permettere la differenziazione<br />

con sarcomi non iniezione-indotti, per la presenza<br />

di un infiltrato linfocitario perilesionale, dell’abbondante<br />

necrosi e cellule multinucleate.<br />

L’eziologia dei SII non è ancora del tutto chiarita, pur<br />

rimanendo l’ipotesi di un’anomala risposta a un processo<br />

infiammatorio cronico la più accreditata. Inizialmente l’associazione<br />

tra interventi vaccinali e comparsa di sarcomi nel<br />

gatto è stata molto semplice, soprattutto negli USA, dove<br />

l’aumento dell’incidenza di questo tumore è corrisposto<br />

all’introduzione dell’obbligo di vaccinazione contro la rabbia<br />

e alla commercializzazione di vaccini con adiuvante per<br />

la FeLV. L’imputato principale è stato quindi l’alluminio utilizzato<br />

come adiuvante in molti preparati immunizzanti e<br />

ritrovato sotto forma di particelle grigio-bluastre nei macrofagi<br />

presenti nelle masse neoplastiche. In realtà attualmente<br />

si ritiene che l’alluminio potrebbe rappresentare solamente<br />

l’indicatore dell’avvenuta vaccinazione. Il quadro si è ulteriormente<br />

complicato con le segnalazioni di casi di SII provocati<br />

dall’inoculazione di medicamenti diversi dai vaccini,<br />

quali antibiotici e corticosteroidi a lento rilascio, e successivamente<br />

anche di sarcomi insorti nella sede di corpi estranei,<br />

quali materiale da sutura non riassorbibile. Manualità di esecuzione<br />

dell’iniezione, dimensione dell’ago, massaggio<br />

dopo la somministrazione si sono invece rivelate ininfluenti<br />

sullo sviluppo del tumore; solo la temperatura del farmaco<br />

potrebbe forse avere un ruolo. Nemmeno la somministrazione<br />

sottocutanea di soluzioni reidratanti isotoniche è in grado<br />

di attivare il processo neoplastico. Ad oggi nessuna marca<br />

specifica di vaccini ha dimostrato una maggior potenzialità<br />

tumorigenica rispetto ad altre.<br />

Alla base della trasformazione neoplastica vi è comunque<br />

la risposta alterata ad uno stimolo infiammatorio cronico,<br />

associata alla predisposizione individuale di alcuni<br />

gatti, all’attivazione o alla soppressione di geni e alla partecipazione<br />

di fattori di crescita. Questo fatto spiegherebbe<br />

la bassa incidenza dei SII rispetto al grande numero di inoculazioni,<br />

soprattutto sottocutanee, praticate nei gatti in<br />

tutto il mondo.<br />

Diagnosi: la regola generale da seguire è di trattare ogni<br />

massa che si sviluppi nella sede di precedenti iniezioni come<br />

se fosse maligna fino a prova contraria. Una lesione deve<br />

pertanto essere esaminata a fondo e trattata in modo aggressivo<br />

se soddisfa almeno uno dei seguenti criteri:<br />

− persiste per più di 3 mesi post-iniezione<br />

− ha un diametro superiore ai 2 cm<br />

− aumenta di volume dopo 1 mese dall’iniezione<br />

Se la massa soddisfa uno o più dei suddetti punti, si raccomanda<br />

di eseguire una biopsia prima dell’escissione chirurgica,<br />

sebbene un solo prelievo potrebbe non essere sufficiente<br />

al raggiungimento di una diagnosi certa. L’esame<br />

citologico mediante biopsia ad ago sottile non è considerato<br />

affidabile per la diagnosi di SII e non è consigliato dalla task<br />

force americana 1 costituitasi appositamente per far fronte a<br />

tale patologia, sebbene la facilità di esecuzione possa renderlo<br />

comunque di valido aiuto, almeno nei casi (50%) di<br />

risposta positiva. Un esito dubbio o negativo può invece<br />

essere dovuto alla colliquazione della porzione centrale del<br />

tumore a causa della rapidità di crescita, ma non per questo<br />

deve tranquillizzare il veterinario. Il rinvenimento di liquido<br />

cistico, infatti, deve sempre indurre a sospettare l’origine<br />

tumorale della lesione.<br />

Gli esami necessari per completare l’iter diagnostico sono<br />

l’esame radiografico del torace in proiezione latero-laterale


170 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

destra e sinistra e dorso-ventrale e, possibilmente, la TAC<br />

con mezzo di contrasto della massa.<br />

Terapia: la chirurgia ad ampia base (3-5 cm di margine<br />

sano su tutti i piani o almeno 2 piani muscolari sottostanti la<br />

lesione) resta la terapia di scelta. Spesso ciò comporta l’escissione<br />

anche di segmenti ossei sottostanti, o l’amputazione<br />

di un arto e l’esecuzione di plastiche per la ricostruzione.<br />

In ogni caso è consigliabile eseguire incisioni di forma geometrica,<br />

più semplici da riparare. Al fine di ottenere le maggiori<br />

garanzie di successo, è utile associare la radioterapia<br />

con apparecchi a megavoltaggio e/o la chemioterapia. La<br />

prima rientra ormai nella maggior parte dei protocolli per<br />

questo tipo di tumore e può essere effettuata sia come neoadiuvante<br />

sia come adiuvante, a seconda delle preferenze delle<br />

diverse scuole. In generale, la radioterapia neoadiuvante<br />

può servire a “delimitare” il successivo campo chirurgico,<br />

permettendo inoltre di irradiare un’area più ristretta, ma<br />

aumenta i problemi di guarigione della ferita chirurgica, talvolta<br />

già condizionata dalla notevole tensione che si crea.<br />

L’irradiazione adiuvante elimina tale inconveniente, ma<br />

aumenta gli effetti collaterali legati alla presenza del tessuto<br />

irradiato. Tali effetti sono però minimi e generalmente autolimitanti.<br />

Il limite, in Italia, è dato dalla mancanza di strutture<br />

veterinarie in grado di fornire un tale servizio. L’impiego<br />

della radioterapia palliativa non è solitamente considerato<br />

per i SII. La chemioterapia da sola o associata a chirurgia<br />

non sembra offrire grandi vantaggi in termini di tasso di<br />

cura, ma potrebbe aumentare il tempo libero da malattia e/o<br />

la sopravvivenza dell’animale. I farmaci più comunemente<br />

utilizzati sono doxorubicina, carboplatino (utilizzato anche<br />

come radiosensibilizzante), ciclofosfamide, mitoxantrone,<br />

da soli o in diversa associazione tra loro. Si tratta di farmaci<br />

(soprattutto i primi due) di solito abbastanza ben tollerati nel<br />

gatto e possono essere somministrati sia prima sia dopo l’asportazione<br />

chirurgica del tumore. Indipendentemente dalla<br />

terapia adottata, il tasso di recidiva locale rimane attorno al<br />

40-45%, mentre la disseminazione metastatica si verifica in<br />

circa il 15-20% dei casi. La recidiva è invece quasi certa e a<br />

rapida insorgenza se la chirurgia è incompleta o marginale.<br />

Importante è quindi richiedere sempre la valutazione dei<br />

margini di escissione e associare preferibilmente la radioterapia<br />

nel caso questi risultassero non indenni.<br />

Altre modalità terapeutiche, quali l’uso di immunomodulatori<br />

o brachiterapia sono stati testati su pochi soggetti e<br />

non se conosce la reale efficacia.<br />

Prognosi: tra tutti i fattori considerati, quelli che sembrano<br />

realmente influenzare la prognosi sono la completezza<br />

della prima escissione chirurgica, l’esecuzione dell’intervento<br />

da parte di chirurghi esperti, la localizzazione del<br />

tumore (l’amputazione di un arto offre maggiori garanzie di<br />

successo), le sue dimensioni e la possibilità di associare<br />

radio- e/o chemioterapia alla chirurgia aggressiva. La prognosi<br />

può invece essere influenzata negativamente da una<br />

prima escissione incompleta o marginale. Il reintervento sulle<br />

recidive locali può ancora essere attuato se la lesione è di<br />

dimensioni contenute e situata in un’area aggredibile chirurgicamente.<br />

In questi casi, comunque, è sempre consigliabile<br />

associare anche la radio- o la chemioterapia.<br />

Per questo tipo particolare di tumore, inoltre, molto<br />

importante diventa la prevenzione. Indipendentemente dalla<br />

patogenesi, sappiamo che l’evento scatenante è rappresentato<br />

quasi sempre dall’inoculazione di farmaci, pertanto spetta<br />

al veterinario valutare secondo coscienza la reale necessità<br />

di eseguire determinati trattamenti, soprattutto vaccinali, e<br />

scegliere la sede di iniezione più facilmente aggredibile con<br />

la chirurgia nel caso si sviluppi il tumore. Andrebbe pertanto<br />

abbandonata la comoda area interscapolare, a favore della<br />

porzione più distale possibile degli arti o delle parti laterali<br />

del tronco, lontano dalla colonna vertebrale e dal cavo<br />

ascellare.<br />

Bibliografia consigliata<br />

1. Vaccine-Associated Feline Sarcoma Task Force: roundtable discussion.<br />

(2005) J Am Vet Med Assoc, 226: 18<strong>21</strong>-1842.<br />

2. McEntee MC, Page RL. Feline vaccine-associated sarcomas.(2001) J<br />

Vet Intern Med, 15: 176-182.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Marina Martano<br />

Dipartimento di Patologia Animale<br />

via Leonardo da Vinci 44, Grugliasco (TO)<br />

Tel. 011 6709058 - E-mail: marina.martano@unito.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 171<br />

Gli Alfa Agonisti: Romifidina, Medetomidina<br />

e Dexmedetomidina<br />

Veronique Martin-Bouyer<br />

Med Vet, Lyon, Francia<br />

Gli atti non sono pervenuti in tempo utile per la stampa ma saranno disponibili dal 12 giugno 2006<br />

sul sito www.scivac.it/53/atti/


172 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Prelievi bioptici nei piccoli mammiferi da compagnia<br />

Alessandro Melillo<br />

Med Vet, Roma<br />

Nonostante i continui progressi nella diagnostica di laboratorio<br />

e per immagini, in molti casi l’esame istopatologico<br />

di un campione di tessuto prelevato direttamente dall’organo<br />

sospetto ammalato resta l’unica via per raggiungere una diagnosi<br />

precisa e poter così impostare una terapia mirata e formulare<br />

una prognosi. Lo standard di cure richieste dai proprietari<br />

di piccoli mammiferi da compagnia per i propri animali<br />

è in costante aumento, per cui questa manualità diagnostica<br />

è sempre più comune anche per Furetti, Conigli,<br />

Cavie, Cincillà ed altri Roditori comunemente tenuti in casa.<br />

Il prelievo di campioni bioptici può avvenire in sede chirurgica<br />

durante una chirurgia esplorativa eseguita appositamente<br />

oppure in corso di altri interventi qualora si notino<br />

alterazioni macroscopicamente evidenti di uno o più organi.<br />

Meno invasivi sono il ricorso al prelievo ecoguidato, che<br />

consente anche di visualizzare i vasi all’interno dell’organo<br />

e quindi di evitarli e quello eseguito con l’ausilio di un endoscopio<br />

che permette di visualizzare bene l’organo e scegliere<br />

accuratamente la zona da campionare ma consente il prelievo<br />

solo di piccole quantità di tessuto.<br />

Il tessuto da analizzare può essere prelevato tramite ago<br />

sottile, ago da biopsia Tru-cut oppure diverse metodiche chirurgiche<br />

oltre naturalmente che attraverso la pinza da biopsia<br />

dell’endoscopio.<br />

La via di accesso e la metodica di prelievo devono essere<br />

scelte accuratamente per ogni caso, valutandola specie e le<br />

condizioni del paziente, le caratteristiche dell’organo da<br />

campionare nonché le capacità dell’operatore e la strumentazione<br />

disponibile.<br />

Nei piccoli Roditori la cute è uno degli organi più frequentemente<br />

oggetto di biopsia anche perché in caso di problemi<br />

dermatologici in queste specie eseguire direttamente<br />

una biopsia cutanea fornisce una diagnosi in tempi più brevi<br />

e a costi più contenuti che iniziare il consueto protocollo diagnostico.<br />

Per eseguire correttamente una biopsia cutanea la<br />

parte interessata va tricotomizzata accuratamente ma è controindicato<br />

ogni tipo di scrub che pregiudicherebbe una corretta<br />

valutazione del campione.<br />

La biopsia dei linfonodi risulta semplice, informativa e<br />

priva di controindicazioni. Frequentissima l’esecuzione di<br />

ago aspirato linfonodale ma in molti casi è più indicata una<br />

linfoadenectomia totale, o parziale a cuneo se l’asportazione<br />

completa del linfonodo è controindicata.<br />

Le biopsie degli organi addominali (fegato, milza, reni,<br />

vescica, tratto digerente) si eseguono frequentemente soprattutto<br />

nel furetto ad esempio per definire le cause di un’organomegalia<br />

o per raggiungere una diagnosi definitiva in caso<br />

di patologie intestinali croniche con malassorbimento<br />

(wasting diseases). Quando possibile è preferibile prelevare<br />

le biopsie tramite laparotomia che consente una visione<br />

complessiva degli organi e il prelievo di campioni a tutto<br />

spessore con il miglior controllo di eventuali emorragie; in<br />

casi particolari però può essere indicato effettuare delle<br />

biopsie ecoguidate, soprattutto se si ha già un sospetto diagnostico<br />

preciso o eventualmente se si evidenzia una lesione<br />

durante un’ecografia eseguita per altri motivi. I prelievi<br />

bioptici tramite accesso laparoscopico hanno il vantaggio<br />

della minima invasività, ma richiedono una preparazione e<br />

un’attrezzatura specialistiche; con un’attrezzatura endoscopica<br />

di base e una più modesta esperienza è possibile eseguire<br />

endoscopie tramite accessi naturali e prelevare biopsie<br />

di organi cavi: quella più comunemente praticata è la biopsia<br />

gastrica tramite gastroscopia ma quando la taglia dell’animale<br />

lo consente è possibile prelevare campioni bioptici<br />

tramite broncoscopia, coloscopia e cistoscopia.<br />

Sempre ecoguidata è la biopsia necessaria per una diagnosi<br />

definitiva delle masse mediastiniche che possono presentarsi<br />

in furetti conigli e roditori.<br />

Infine, soprattutto nel furetto è frequente la necessità di<br />

ottenere biopsie del midollo osseo per indagare la capacità<br />

rigenerativa in caso di anemia o per confermare e valutare una<br />

neoplasia del sistema ematopoietico. Anche in questo caso<br />

possiamo prelevare il campione per aspirazione tramite ago<br />

sottile per un esame citologico oppure per mezzo di un ago di<br />

calibro maggiore se ci serve una valutazione istopatologica.<br />

Fondamentalmente però le manualità di prelievo dei campioni<br />

bioptici nei Piccoli Mammiferi da compagnia sono<br />

simili a quelle in uso per le specie più convenzionali quali il<br />

cane o il gatto: molto più importante è scegliere bene cosa<br />

fare del campione raccolto e interpretare correttamente il<br />

referto dell’istopatologo.<br />

La scelta del professionista con cui collaborare è fondamentale:<br />

la maggior parte dei laboratori lavora principalmente<br />

con tessuti di cani e gatti oppure animali da reddito,<br />

mentre un’esperienza specifica con i tessuti e le patologie<br />

degli animali non convenzionali è necessaria per fornire un<br />

responso appropriato.<br />

Il lavoro del patologo necessita di aiuto da parte del clinico,<br />

cui spetta la responsabilità di fornire campioni significativi<br />

e prelevati correttamente. Quando si preleva un campione<br />

da una lesione visivamente delimitata, è molto utile prelevare<br />

tessuto dalla linea di confine fra il tessuto normale e<br />

quello patologico: questo consente al patologo di confrontare<br />

le alterazioni patologiche con la normalità dello stesso<br />

animale; inoltre il processo patologico ai margini di una<br />

lesione è più probabilmente in fase attiva e non contaminato<br />

da necrosi o infezioni secondarie come frequentemente è il<br />

caso delle zone centrali presenti da più tempo.<br />

I campioni bioptici vanno fissati quanto prima, meglio se<br />

immediatamente: soprattutto alcuni tessuti, come il tessuto


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 173<br />

nervoso, il pancreas e l’intestino, si decompongono molto<br />

rapidamente e bastano poche ore perché perdano di definizione<br />

al microscopio.<br />

La fissazione deve essere eseguita correttamente. La<br />

“regola aurea” impone 10 parti di formalina per 1 parte di<br />

campione, il che significa che un campione di 1 cm cubo ha<br />

bisogno di 10 ml di formalina per essere fissato correttamente.<br />

Un cm cubo è anche la massima dimensione che consente<br />

la penetrazione corretta della formalina all’interno del<br />

tessuto e quindi la fissazione ottimale del campione: campioni<br />

troppo grandi saranno soggetti ad autolisi all’interno e<br />

così anche campioni inseriti in contenitori troppo piccoli per<br />

cui vengono compressi contro le pareti impedendo la circolazione<br />

della formalina. D’altro canto, frammenti molto piccoli<br />

(ad es: insulinomi di furetto) devono essere messi in<br />

contenitori piccoli e separati da eventuali altri tessuti perché<br />

facilmente vengono persi in contenitori troppo grandi.<br />

Ogni qualvolta è possibile, eseguiamo dei vetrini da ago<br />

aspirato o per apposizione dal nostro campione: un esame<br />

citologico “in casa” ci può dare velocemente un’idea della<br />

natura del problema mentre attendiamo i più lunghi tempi<br />

tecnici dell’istopatologia e può essere utile anche al patologo<br />

se gli spediamo i vetrini insieme al campione.<br />

Fondamentale è inserire nel pacco quante più informazioni<br />

possibili sul paziente, sulla sua storia clinica e sintomatologia<br />

nonché sulla sede e modalità di prelievo del campione:<br />

questo per massimizzare le probabilità del patologo di interpretare<br />

correttamente le alterazioni dei tessuti.<br />

Al clinico resta però poi da interpretare correttamente il<br />

referto dell’istopatologo e trasformarlo in informazioni utili<br />

per il suo paziente e ciò non è sempre semplice: un buon rapporto<br />

con l’istopatologo e la disponibilità al confronto sono<br />

i punti chiave per ottenere il massimo risultato dal non indifferente<br />

sforzo di convincere i clienti a sottoporre il loro animale<br />

al prelievo bioptico.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alessandro Melillo<br />

Clinica veterinaria OMNIAVET<br />

Piazza Giovanni Omiccioli 5, 00125 Roma


174 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Diagnostica per immagini comparata della tiroide<br />

Federica Morandi<br />

Dr Med Vet, MS, Dipl ACVR, Dipl ECVDI, Knoxville, USA<br />

Richiami Anatomici e Patofisiologici - La ghiandola<br />

tiroide del cane e nel gatto è formata da due lobi distinti,<br />

fusiformi, che si trovano ventralmente e lateralmente ai<br />

primi 5-8 anelli tracheali. Due ghiadole paratiroidee sono<br />

associate con ciascun lobo tiroideo, una cranialmente e<br />

all’esterno, e una all’interno della tiroide. La ghiandola<br />

tiroide è abbondantemente vascolarizzata da vasi derivanti<br />

dall’arteria tiroidea craniale, che con il nervo laringeo riccorrente<br />

corre lungo il margine dorsale di ciascun lobo e<br />

penetra nella ghiandola a livello dell’estremità craniale.<br />

Sia nel cane che nel gatto, è possibile riscontrare tessuto<br />

tiroideo ectopico lungo una linea mediana dalla base della<br />

lingua fino al mediastino craniale. Neoplasie tiroidee possono<br />

originare sia dalla ghiandola tiroide che da tessuto<br />

ectopico, sia nel cane che nel gatto. La più comune patologia<br />

endocrina riscontrata nel gatto è l’ipertiroidismo, che<br />

risulta in produzione eccessiva di tiroxina (T4) e triiodotironina<br />

(T3). La causa più comune di ipertiroidismo nel<br />

gatto è l’iperplasia adenomatosa della tiroide, o la presenza<br />

di adenomi iperfunzionali. Solo il 3% dei gatti ipertiroidei<br />

sono affetti da carcinomi. L’incidenza di carcinomi<br />

tiroidei è più elevata nel cane, tuttavia la maggior parte dei<br />

cani affetti da questa patologia presentano una normale o<br />

diminuita produzione di ormoni tiroidei; la presenza di<br />

ipertiroidismo è rara.<br />

Radiografia - La radiografia tradizionale è in genere di<br />

scarsa utilità nella valutazione della tiroide. La ghiandola<br />

tiroide di dimensioni normali o leggermente ingrandita non<br />

è visibile radiograficamente, a causa dell’effetto ‘silhouette’<br />

con le circostanti strutture cervicali, che hanno la stessa opacità<br />

dei tessuti molli. In presenza di una massa tiroidea di<br />

grandi dimensioni, la radiografia può rivelare la compressione<br />

o dislocazione di strutture circostanti, quali la trachea, il<br />

laringe o l’apparato ioideo. Nel caso di neoplasie maligne, è<br />

possibile riscontrare la presenza di mineralizzazioni. La<br />

somministrazione di un bolo radiopaco per os (solfato di<br />

bario) può essere di aiuto nell’escusione di una massa di origine<br />

esofagea.<br />

Ecografia - Ideale per la valutazione della tiroide è una<br />

sonda ad alta frequenza, da 7.5 a 10 o 13 MHz. I lobi tiroidei<br />

si localizzano nel piano longitudinale ventralmente e<br />

medialmente all’arteria carotide comune. Ruotando la sonda<br />

di 90º per ottenere una scansione trasversale, è possibile<br />

visualizzare la trachea, tiroide, arteria carotide, e la vena<br />

giugulare nella stessa immagine. I lobi tiroidei sono fusiformi,<br />

omogenei e a margini regolari. Nel piano trasversale,<br />

i lobi tiroidei hanno forma ovale o triangolare e si localizzano<br />

lateralmente alla trachea. L’ecogenicità della tiroi-<br />

de è leggermente superiore a quella dei circostanti corpi<br />

muscolari. Localizzare tessuto ectopico è spesso difficile.<br />

L’uso di Color o Power Doppler è di aiuto per differenziare<br />

le strutture vascolari, e per valutare la vascolarizzazione<br />

di noduli o masse di origine tiroidea. È bene ricordare che<br />

i reperti ecografici possono talora essere normali o equivoci,<br />

anche in presenza di alterata funzionalità della ghiandola.<br />

La diagnosi di ipotiroidismo è particolarmente difficile,<br />

sulle basi della sola ecografia. La differenziazione fra<br />

adenomi e carcinomi tiroidei può essere difficile sulle basi<br />

della sola immagine ecografica. Gli adenomi hanno in<br />

genere margini regolari, possono essere uni- o multi-focali,<br />

e spesso sono ipoecogeni in confronto al tessuto tiroideo<br />

normale. Talvolta lesioni adenomatose presentano una<br />

componente cistica. Le cisti tiroidee si presentano come<br />

strutture anecogene con rinforzo posteriore, talvolta multiloculari.<br />

I carcinomi tiroidei tendono a essere masse unilaterali,<br />

di grandi dimensioni, e a carattere invasivo. Una<br />

massa a margini irregolari, inomogenea, con mineralizzazioni<br />

e/componenti cistiche o lacune vascolari, e con invasione<br />

delle strutture vascolari circostanti e/o dell’esofago è<br />

consistente con una diagnosi di carcinoma. La diagnosi di<br />

certezza si ottiene comunque con un ago aspirato o biopsia.<br />

L’ecografia permette anche la valutazione delle dimensioni<br />

e struttura dei linfonodi regionali.<br />

Tomografia Computerizzata (CT) - La ghiandola tiroide<br />

del gatto mostra normalmente elevata densità (Hounsfiled<br />

Units -HU- valori medi: 123.2 HU pre-contrasto; 168.5 HU<br />

immediatamente post-contrasto; 132.1 HU 4-13 minuti postcontrasto).<br />

La CT è utile soprattutto nella definizione delle<br />

dimensioni ed estensione di un processo neoplastico di origine<br />

tiroidea, in preparazione per un intevento chirurgico. La<br />

CT con mezzo di contrasto permette di differenziare tessuto<br />

vascolarizzato da aree necrotiche o cistiche, e consente di<br />

valutare l’invasione o dislocazione delle strutture circostanti.<br />

La valutazione dei linfonodi regionali è possibile sulle<br />

basi delle dimensioni (normali o aumentate). È bene ricordare<br />

che il mezzo di contrasto utilizzato è a base di iodio;<br />

una CT con contrasto, perciò risulta in una saturazione dei<br />

recettori per lo iodio e uno studio scintigrafico effettuato<br />

subito dopo la CT apparirà negativo. Questa considerazione<br />

è importante soprattutto nei casi in cui si valuti una massa<br />

cervicale o mediastinica e si voglia determinare con la scintigrafia<br />

se questa massa sia di origine tiroidea. Il tempo<br />

necessario per la risoluzione di questo effetto non è stato<br />

determinato con esattezza nel cane e nel gatto. Dopo un CT<br />

con contrasto, tuttavia, pressi la nostra Università si raccomanda<br />

un intevallo di 3-4 settimane prima di effettuare un<br />

eventuale studio scintigrafico.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 175<br />

Scintigrafia - La scintigrafia tiroidea si effettua utilizzando<br />

il 99m Tc0 4 - , o tecnezio pertecnetato, o, più raramente,<br />

lo 123 I, o iodio-123. Il tecnezio pertecnetato ha il vantaggio<br />

di emettere raggi gamma con energia di 140 KeV,<br />

favorevole dal punto di vista di formazione dell’immagine,<br />

ed ha emivita di circa 6 ore. Lo iodio-123 emette raggi<br />

gamma con energia leggermente più elevata (159<br />

KeV), e ha emivita più lunga, pari a 13 ore. Lo iodio-123<br />

si comporta come iodio non radioattivo, e viene intrappolato<br />

nelle cellule follicolari della tiroide mediante meccanismo<br />

di trasporto attivo regolato dal TSH (thyroid stimulating<br />

hormon). Lo iodio viene quindi ossidato e legato<br />

all’aminoacido tirosina per la formazione di mono-iodotirosina<br />

e di-iodotirosina, le quali si combinano a formare<br />

T3 e T4. Questi ormoni vengono poi organificati nella<br />

formazione di tiroglobulina, una proteina che viene secreta<br />

nella colloide. Il tecnezio è un metallo di transizione<br />

(gruppo VIIB della tavola periodica) che imita l’azione<br />

degli alogeni (‘pseudo-alogeno’). Nella forma di pertecnetato,<br />

il tecnezio viene intrappolato e concentrato dalle<br />

cellule follicolari della tiroide. Il pertecnetato, tuttavia,<br />

non è soggetto a organificazione, né viene legato al gruppo<br />

tirosilico per la formazione di tiroglobulina. Il pertecnetato<br />

viene perciò concentrato nella tiroide, ma non partecipa<br />

alla formazione di ormoni tiroidei, né viene trattenuto<br />

all’interno della colloide. Lesioni di piccoli dimensioni<br />

(specie di tipo ectopico o metastatico) sono più<br />

facilmente visibili utilizzando iodio-123, rispetto al pertecnetato,<br />

a causa del più elevato rapporto fra intensità<br />

della lesione e background (in altre parole, il background<br />

viene marcatamente soppresso utilizzando iodio-123<br />

rispetto al pertecnetato).<br />

Scintigrafia Tiroidea nel Gatto - Circa 20 minuti dopo<br />

la somministrazione endovenosa di tecnezio pertecnetato,<br />

si ottengono immagini laterali e ventrali dell’area cervicale<br />

e del torace con collimatore LEAP (‘low-energy, al-purpose’).<br />

Una veduta ventrale della tiroide ottenuta con collimatore<br />

‘pinhole’ fornisce un’immagine ingrandita della<br />

ghiandola con maggiore risoluzione. In un animale normale,<br />

l’intensità dei due lobi tiroidei è simmetrica e leggermente<br />

inferiore all’intensità delle ghiadole salivari. È possibile<br />

calcolare il rapporto ghiandola tiroide:ghiandole<br />

salivari che, dopo 20 minuti dall’iniezione, è pari a circa<br />

0,87:1 (variabile da 0,6:1 a 1,03:1). Il rapporto tiroide:salivari<br />

non cambia significativamente fra 20 minuti e un’ora<br />

dopo l’iniezione; tuttavia, l’intensità dalla tiroide continua<br />

ad aumentare fino a 4 ore dopo l’iniezione. In caso di<br />

acquisizione dell’immagine tre o quattro ore dopo l’iniezione<br />

di pertecnetato, perciò, è possibile diagnosticare<br />

erroneamente un gatto normale come ipertiroideo.<br />

- Quadri Patologici nel Gatto - In caso di iperplasia<br />

nodulare multifocale (o iperplasia adenomatosa), uno<br />

od entrambi i lobi della tiroide possono esibire aumentata<br />

intensità a causa dell’aumentato ‘uptake’ di pertecnetato.<br />

I lobi tiroidei affetti hanno in genere margini<br />

regolari e un pattern di uptake omogeneo, che può essere<br />

simmetrico o asimmetrico. In caso di patologia unilaterale<br />

(circa il 30% dei casi), il lobo controlaterale<br />

viene completamente soppresso dal meccanismo di<br />

feedback negativo attraverso la ghiandola pituitaria.<br />

Nel caso in cui un lobo tiroideo mostri uptake aumentato,<br />

e l’altro intensità normale o diminuita, entrambi i<br />

lobi vanno considerati anormali. L’ipertiroidismo può<br />

anche essere il risultato di adenomi tiroidei iperfunzionanti.<br />

Gli adenomi possono essere singoli o multipli,<br />

uni- o bi-laterali, o originare da tessuto ectopico. In<br />

presenza di un adenoma, il tessuto normale circostante<br />

viene soppresso dal meccanismo a feedback negativo.<br />

Gli adenomi vengono visualizzati al meglio tramite l’uso<br />

di un collimatore ‘pinhole’. I carcinomi tiroidei<br />

sono rari nel gatto. La distinzione definitiva fra un processo<br />

benigno adenomatoso, e un carcinoma, non è possibile<br />

solo sulle basi dell’immagine scintigrafica. In<br />

altre parole, i carcinomi tiroidei possono mostrare un<br />

pattern simile ai processi iperplastici nodulari e adenomatosi.<br />

I carcinomi, tuttavia, tendono ad avere un pattern<br />

di uptake eterogeneo, con margini irregolari e spiculati.<br />

Nel caso in cui l’immagine scintigrafica riveli un<br />

pattern di uptake irregolare, con aree di intensità localizzate<br />

al di fuori dei margini della tiroide, il sospetto di<br />

un processo maligno è elevato. Aree di uptake localizzate<br />

alla base della lingua, lungo i piani cervicali e a<br />

livello del mediastino possono rappresentare metastasi,<br />

ma anche foci ectopici in caso di un processo benigno.<br />

L’accumulo di pertecnetato a livello di noduli o masse<br />

polmonari è indicativo di un processo neoplastico maligno,<br />

tuttavia non solo carcinoma tiroidei, ma anche<br />

tumori primari polmonari e altre metastasi possono<br />

accumulare pertecnetato.<br />

Immagini ottenute circa 20 minuti dopo la somministrazione di 3 mCi<br />

(111 MBq) di 99m Tc0 4 - in un gatto domestico a pelo corto, femmina sterilizzata<br />

di 12 anni: immagine laterale destra (in alto a sinistra), laterale<br />

sinistra (in alto a destra), ventrale con collimatore LEAP (in basso a sinistra),<br />

e ventrale con collimatore ‘pinhole’ (in basso a destra). Notare che<br />

nelle tre immagini ottenute con collimatore LEAP, entrambi i lobi della<br />

ghiandola tiroide sono più intensi delle ghiandole salivari, reperto diagnostico<br />

di ipertiroidismo bilaterale. Nell’immagine ventrale con collimatore<br />

‘pinhole’, notare la preseza di noduli moltifocali a livello di<br />

entrambi i lobi tiroidei, quadro suggestivo di iperplasia multinodulare o<br />

di adenomi multifocali.


176 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Scintigrafia Tiroidea nel Cane - I parametri di acquisizione<br />

di immagine sono simili a quelli descritti per il gatto.<br />

La tiroide normale nel cane è più intensa della tiroide normale<br />

nel gatto: il rapporto ghiandola tiroide:ghiandole salivari,<br />

dopo 20 minuti dall’iniezione, è pari a circa 1,12:1. La<br />

presenza di tessuto ectopico sublinguale è più comune nel<br />

cane che non nel gatto, specie a seguito di una precedente<br />

tiroidectomia.<br />

- Quadri Patologici nel Cane - La maggior parte delle<br />

neoplasie tiroidee nel cane è rappresentata da carcinomi<br />

che non sono metabolicamente attivi (gli animali non<br />

sono ipertiroidei). La scintigrafia permette l’identificazione<br />

di una massa cervicale come originante o meno dalla<br />

tiroide. I tre pattern più comuni in caso di carcinoma<br />

tiroideo nel cane includono: 1) uptake aumentato, diffuso<br />

a livello dell’intero lobo tiroideo (tumore follicolare); 2)<br />

massa a chaiara origine tiroidea, con diminuito uptake del<br />

radionuclide, e con perdita del tessuto tiroideo normale<br />

(tumore a origine stromale); 3) aree irregolari e multifocali<br />

di uptake sia aumentato che diminuito (tumore a<br />

popolazione cellulare mista). La scintigrafia è utile nello<br />

staging tumorale, soprattutto per la valutazione dei linfonodi<br />

retrofaringei, che drenano la ghiandola tiroide, e per<br />

la valutazione dei piani cervicali, del mediastino e di possibili<br />

noduli polmonari. In questi casi, lo studio viene<br />

idealmente effettuato dopo la rimozione del tumore primario.<br />

In genere, lo studio con iodio-123 è superiore a<br />

quello con pertecnetato a causa della capacità di organificazione<br />

dello iodio-123.<br />

Bibliografia<br />

Feldman E, Nelson R. Hyperthyroidism and Thyroid Tumors. In: Feldman<br />

E, ed. Handbook of Canine and Feline Endocrinology and Reproduction.<br />

Philadelphia, Pa: WB Saunders Co; <strong>19</strong>87:91-123.<br />

Wisner ER, Mattoon JS, Nyland TG. Neck. In Small Animal Diagnostic Ultrasound,<br />

2nd ed. Philadelphia, Pa: WB Saunders Co; 2002:285-304.<br />

Wisner ER, Nyland TG. Ultrasonography of the Thyroid and Parathyroid<br />

Glands. Vet Clin North Am Small Anim Pract. <strong>19</strong>98;28:973-991.<br />

Drost Wt, Mattoon JS, Samii VF, et al. Computed Tomography Densitometry<br />

of Normal Feline Thyroid Glands. Vet Radiol Ultrasound.<br />

2004;45:112-116.<br />

Daniel GB, Brawner WR. Thyroid Scintigraphy. In: Daniel GB, Berry CR<br />

editors. Textbook of Veterinary Nuclear Medicine, 2nd ed. ACVR,<br />

2006:181-<strong>19</strong>8.<br />

Beck KA, Hornof WJ, Feldman EC. The Normal feline Thyroid: Technetium<br />

Pertechnetate Imaging and Determination of Thyroid to Salivary<br />

Gland radioactivity Ratios in 10 Normal Cats. Vet Radiol.<br />

<strong>19</strong>85;26:35-38.<br />

Mooney C, Thoday K, Nicoll J, Doxey D. Qualitative and Quantitative<br />

Thyroid Imaging in Feline Hyperthyroidism Using Technetium-99m<br />

as Pertechnetate. Vet Radiol Ultrasound. 2000;33:313-320.<br />

Adams WH, Daniel GB, Petersen MG, Young K. Quantitative 99m-Tc-pertechnetate<br />

Thyroid Scintigraphy in Normal Beagles. Vet Radiol<br />

Ultrasound. <strong>19</strong>97;38:323-328.<br />

Marks SL, Koblik PD, Hornof WJ, et al. 99mTc-Pertechnetate Imaging of<br />

Thyroid Tumors in Dogs: 29 Cases (<strong>19</strong>80-<strong>19</strong>92). J Am Vet Med<br />

Assoc. <strong>19</strong>94;204;756-760.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 177<br />

Diagnostica per immagini comparata<br />

delle neoplasie del torace<br />

Federica Morandi<br />

Dr Med Vet, MS, Dipl ACVR, Dipl ECVDI, Knoxville, USA<br />

Introduzione e Richiami Anatomici - Il torace è composto<br />

da una base scheletrica, formata dalle 13 vertebre toraciche e<br />

rispettive costole, cartilagini costali, sternebre e cartilagini<br />

intersternebrali, nonché dal cingolo scapolare. I tessuti molli a<br />

copertura del torace includono la cute, i piani fasciali, i piani<br />

muscolari superficiali e profondi, nonché la muscolatura intercostale,<br />

e la pleura parietale. Il confine caudale del torace è formato<br />

dal diaframma, quello craniale dal connettivo lasso che<br />

sigilla il mediastino craniale. All’interno del torace, il mediastino<br />

rappresenta uno spazio creato dai due strati della pleura<br />

mediastinica (parietale e viscerale), ed è diviso in mediastino<br />

craniale, medio e caudale. Il mediastino contiene l’esofago, la<br />

trachea, il cuore, i grossi vasi (aorta e principali biforcazioni,<br />

vena cava craniale e caudale, vena azygos), linfonodi (mediastinici<br />

craniali, tracheobronchiali e sternali), il dotto toracico,<br />

trnochi nervosi, nonché il timo. Il mediastino accoglie anche<br />

una quantità variabile di grasso. I polmoni e vasi polmonari<br />

rappresentano l’ultima struttura contenuta nel torace. Considerano<br />

il numero e la complessità delle strutture facenti parte del<br />

torace, non sorprende che la valutazione di tali strutture sia<br />

spesso difficile, e che diverse modalità diagnostiche per immagini<br />

possano svolgere una funzione complementare. Questo è<br />

vero soprattutto nella valutazione di processi neoplastici, che<br />

possono originare virtualmente da ciascuna delle strutture<br />

menzionate in precedenza. Anche se le neoplasie polmonari,<br />

primarie o metastatiche, rappresentano una parte significativa<br />

della casistica, non si dimentichino tumori associati con la<br />

parete toracica, originanti da tessuti molli (ad esempio fibrosarcomi<br />

vaccinali, o altri sarcomi dei tessuti molli), o dalla<br />

base scheletrica (osteosarcomi, condrosarcomi, fibrosarcomi),<br />

nonché neoplasie di origine tracheale (tumori osteocartilaginei<br />

o carcinomi) o esofagea (quali carcinomi a cellule squamose).<br />

Infine, non si dimentichino linfoma, timoma, altre neoplasie<br />

assiciate con la base del cuore (quali tumori tiroidei ectopici,<br />

emagiosarcoma o chemodectoma) e il mesotelioma. Bisogna<br />

ricordare che, mentre per una diagnosi di certezza è necessario<br />

il ricorso all’ago aspirato o alla biopsia, le varie metodiche diagnostiche<br />

per immagini sono essenziali per raggiungere una<br />

diagnosi differenziale, e per lo staging tumorale, soprattutto in<br />

vista di una possibile terapia chirurgica.<br />

Radiografia - La radiografia tradizionale rappresenta tuttora<br />

la metodica diagnostica per immagini di prima scelta nella<br />

la valutazione delle patologie toraciche, inclusi i processi neoplastici.<br />

Uno degli studi più comunemente eseguiti presso la<br />

nostra Università è la radiografia toracica nelle tre proiezioni -<br />

laterali destra, sinistra e ventrodorsale (cossiddetto ’met<br />

check’) -, che è parte integrale dello screening diagnostico per<br />

cani e gatti presentati per la valutazione di un processo neo-<br />

plastico. L’identificazione di noduli polmonari viene tipicamente<br />

letta come presenza di metastasi; la principale diagnosi<br />

differenziale è quella di granulomi, micotici e non. Un nodulo<br />

solitario può anche rappresentare un tumore polmonare primario.<br />

I limiti della radiologia nelle indentificazione di noduli polmonari<br />

sono ben noti: in generale, una lesione nodulare a opacità<br />

dei tessuti molli deve raggiungere dimensioni di circa 5<br />

mm per essere chiaramente identificata radiograficamente.<br />

Noduli di dimensioni anche maggiori possono essere difficili<br />

da identificare se localizzati nei recessi paravertebrali, nel lobo<br />

accessorio, nella porzione apicale dei polmoni in prossimità<br />

del mediastino. Un altro uso importante della radiografia tradizionale<br />

è quello della identificazione dell’origine di una massa<br />

toracica di più grandi dimensioni. A seconda delle dimensioni<br />

e della posizione a livello del torace, può essere difficile determinare<br />

se una lesione sia di origine polmonare, extrapleurica<br />

(ad esempio una massa a origine costale), o mediastinica (ad<br />

esempio linfonodale o esofagea). In casi equivoci, è necessario<br />

ricorrere a proiezioni addizionali, comprese proiezioni tangenziali<br />

che possano rivelare il cosiddetto ‘segno extrapleurico’<br />

(‘extrapleural sign’), alla fluoroscopia (che consente di valutare<br />

se la lesione si muove in sincrono con il polmone), o alla<br />

somministrazione di bario solfato per os (per escludere che una<br />

massa sia di origine esofagea). Proiezioni addizionali (‘horizontal<br />

beam’) con il paziente in posizione quadrupedale o<br />

bipedale sono utili anche nei casi in cui sia presente versamento<br />

pleurico e si sospetti la comcomitante presenza di una massa;<br />

in questi casi, di grande utilità e il ripetere l’esame radiografico<br />

dopo la toracocentesi.<br />

Ecografia - L’uso dell’ecografia per la caratterizzazione di<br />

patologie toraciche è divenuto sempre più comune e diffuso<br />

negli ultimi anni. L’utilità dell’ecografia toracica è massima<br />

quando questa viene utilizzata in congiunzione con la radiografia:<br />

le due metodiche sono quindi non esclusive, ma complementari.<br />

La principale limitazione dell’ecografia nella valutazione<br />

delle strutture toraciche è data dalla incapacità delle<br />

onde acustiche di penetrare il polmone normale: l’interfaccia<br />

fra tessuti molli e aria, infatti, riflette virtualmente il 100% delle<br />

onde acustiche. Per questo motivo, la presenza di versamento<br />

pleurico rappresenta una aiuto nell’esame ecografico del<br />

torace e fornisce una ‘finestra acustica’ per la valutazione di<br />

lesioni medistiniche, pleuriche, polmonari e diaframmatiche.<br />

Se non è vi è versamento pleurico, la valutazione di un massa<br />

polmonare è possibile quando questa sia in contatto con la<br />

parete toracica. La valutazione di masse associate con il lobo<br />

polmonare accessorio è talvolta possibile utilizzando un<br />

approccio trans-addominale, attraverso il feagto e il diaframma.<br />

Una volta identificata una lesione, l’ecografia rappresenta


178 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Due esempi di CT polmonare spirale; le immagini sono in una finestra polmonare (Window Width: 1300, Window Level: -700) e ottenute senza l’uso di contrasto.<br />

A sinistra, notare il nodulo metastatico di piccole dimensioni a livello del lobo polmonare accessorio, indicato dalla freccia (notare anche il processo neoplastico primario<br />

a carico del lobo polmonare caudale sinistro). Altre 3 noduli furono identificati tramite lo studio CT, nessuno dei quali era visibile nello studio radiografico a tre<br />

proiezioni ottenuto il giorno precedente la CT.<br />

A destra, mmagine di un CT toracica in un Basset hound, maschio castrato, di 11 anni, presentato per lo staging e rimozione di un fibrosarcoma della parete toracica.<br />

Il fibrosarcoma è visibile come una massa di grandi dimensioni a livello dell’aspetto dorsale sinistro del torace. Notare anche la massa cavitaria polmonare, a livello<br />

del lobo caudale destro. Questa massa non era visibile nelle radiografie toraciche ottenute un mese prima, e si rivelò essere un adenocarcinoma polmonare primario.<br />

uno strumento utilissimo per l’ottenimento di aghi aspirati e<br />

biopsie, riducendo il rischio di danneggiamento di strutture<br />

normali circostanti e permettendo di guidare l’ago con precisione<br />

a livello della lesione da caratterizzare.<br />

Tomografia Computerizzata (CT) - Rispetto alla radiografia<br />

tradizionale, la CT ha il vantaggio di produrre immagini<br />

tomografiche (a ‘fette’), eliminando la sovrapposizione delle<br />

diverse strutture toraciche che è inevitabile in radiografia. Il<br />

secondo grande vantaggio della CT è la sua superiore capacità<br />

di discriminazione fra tessuti aventi densità solo leggermente<br />

diverse. Queste caratteristiche hanno fatto delle CT la metodica<br />

più accurata, in medicina umana, per la caratterizzazione di<br />

alcune patologie polmonari, quali lesioni nodulari metastatiche.<br />

In medicina veterinaria, la CT è in genere uno studio di<br />

seconda scelta, che si effettua dopo la radiografia tradizionale.<br />

Limitazioni della CT includono la scarsa diffusione e accessibilità<br />

degli scanner in medicina veterinaria, il costo elevato e la<br />

necessità di anestesia generale. La CT è tuttavia insostituibile<br />

qualora sia necessario determinare con la massima precisione<br />

possibile l’origine e l’estensione di un processo neoplastico di<br />

origine polmonare, mediastinica o a carico della parte toracica,<br />

la possibile invasione di strutture circostanti, o la presenza/<br />

assenza di noduli polmonari metastatici.<br />

Considerazioni tecniche - Pur essendo possibile effettuare<br />

una CT polmonare con metodica convenzionale (assiale), l’utilizzo<br />

di uno scanner spirale è ideale. La metodica spirale (o elicoidale)<br />

abbrevia notevolmente i tempi di scansione (30-60<br />

secondi in un cane di taglia media), elimina o riduce significativamente<br />

gli artefatti dovuti al movimento respiratorio e consente<br />

una migliore ricostruzione multiplanare e tridimensionale<br />

(3D). È bene ricordare che, in un animale in anestesia generale<br />

che venga manetnuto in decubito laterale, si instaura assai rapidamente<br />

l’etelettasia del polmone del lato di decubito (ipostasi),<br />

per cui è vitale mantenere l’animale in decubito sternale dal<br />

momento della induzione di anestesia in poi. Al fine di ottenere<br />

un breve periodo di apnea, è bene iperventilare l’animale per<br />

circa un minuto prima dell’inizio dell’acquisizione. Alternativamente,<br />

si può mantenere il polmone insufflato a circa 15 cm<br />

H 20 tramite l’uso di un respiratore o manualmente (il personale<br />

che rimanga nelle stanza durante l’acquisizione dello studio<br />

deve ovviamente indossare indumenti protettivi piomabati e<br />

dosimetri). Presso la nostra Università, si utlizza una collimazione<br />

di 4 mm per animali di peso < 15 kg, e collimazione di 8<br />

mm per animali di peso > 15 kg, con un pitch pari a 1 (equivalente<br />

all’acquisizione di immagini contigue in uno scanner<br />

assiale). Lo studio del polmone necessita l’acquisizione di<br />

immagini con un algoritmo ad alta risoluzione (‘edge-enhancing’,<br />

o ‘sharp’), mentre la valutazione dei tessuti molli del<br />

mediastino e della parete toracica necessita l’acquisizione di<br />

immagini con un algoritmo a basso contrasto (‘standard’). A<br />

seconda del tipo di scanner utilizzato, può essere possibile<br />

riformattare i dati grezzi (‘raw data’) con un algoritmo diverso,<br />

senza dovere ripetere l’acquisizione. In presenza di lesioni equivoche<br />

e/o di piccole dimensioni, è possibile seguire allo studio<br />

spirale uno studio ad alta risoluzione (cosiddetta ‘HRCT’, o<br />

‘high-resolution computed tomography’). In questo caso, si<br />

ottengono immagini assiali con collimazione e incrementi di 1<br />

(massimo 2) mm, minimizzando l’effetto di partial volume<br />

averaging e massimizzando la visualizzazione di una lesione si<br />

piccole dimensioni. Ovviamente lo studio HRCT è limitato a<br />

una piccola porzione del polmone, a causa dell’impossibilità di<br />

ottenere una scansione dell’intero torace a 1 mm di collimazione.<br />

L’uso del mezzo di contrasto iodato a somministrazione<br />

endovenosa non è necessario per lo studi di noduli metastatici;<br />

è tuttavia indispensabile per la caratterizzazione dell’origine e<br />

estensione di processi neoplastici polmonari, mediastinici e della<br />

parete toracica, in preparazione per un intervento chirurgico.<br />

Bibliografia<br />

Mattoon JS, Nyland TG. Thorax. In: In Small Animal Diagnostic Ultrasound,<br />

2nd ed. Philadelphia, Pa: WB Saunders Co; 2002:325-353.<br />

Schwarz LA, Tidwell AS. Alternative Imaging of the Lung. Clin Tech Small<br />

Anim Pract. <strong>19</strong>99;14:187-206.<br />

Reichle JK, Wisner ER. Non-cardiac Thoracic Ultrasound in 75 Feline and<br />

Canine Patients. Vet Radiol Ultrasound. 2000;41:154-162.<br />

Prather AB, Berry CR, Thrall DE. Use of Radiography in Combination with<br />

Computed Tomography for the Assessment of Non-Cardiac Thoracic<br />

Disease in the Dog and Cat. Vet Radiol Ultrasound. 2005;46:114-1<strong>21</strong>.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 179<br />

State-of-the-art nella diagnostica per immagini<br />

dei tumori: la tomografia a emissione di positroni<br />

(Positron Emission Tomography, PET)<br />

e il suo impiego in medicina veterinaria<br />

Federica Morandi<br />

Dr Med Vet, MS, Dipl ACVR, Dipl ECVDI, Knoxville, USA<br />

La Tomografia a Emissione di Positroni (Positron Emission<br />

Tomography, PET) è una metodica diagnostica per<br />

immagini che utilizza un tracciante che emette positroni (il più<br />

comunemente usato è il 2-[ 18 F]-fluoro-2-deossiglucosio, o<br />

[ 18 F]-FDG), e misura la sua distribuzione nel corpo del paziente.<br />

Dal momento che la distribuzione del tracciante è funzione<br />

del metabolismo cellulare, la PET fornisce informazioni<br />

riguardo i processi metabolici e fisiologici dell’organismo. La<br />

tecnologia PET è stata sviluppata all’inizio degli anni ’70, grazie<br />

alle ricerche di Phelps and Hoffman; il primo PET scanner<br />

fu introdotto in commercio nel <strong>19</strong>76. La diffusione di questo<br />

tipo di scanners fu all’inizio limitata a cause della necessità di<br />

avere un ciclotrone in situ, per la produzione dei costosi<br />

radioisotopi a breve emivita. Recentemente, tuttavia, la costruzione<br />

di ciclotroni compatti e schermati (‘self shielding’) e lo<br />

sviluppo di una rete regionale di distribuzione di radioisotopi<br />

ha contribuito all’enorme diffusione di questa metodica diagnostica.<br />

Al momento la PET viene considerata come il più<br />

importante e innovativo strumento per lo staging dei tumori in<br />

medicina umana. L’accuratezza diagnostica e prognostica della<br />

PET utilizzando [ 18 F]-FDG è del 80-90% in numerosi tipi di<br />

tumore, ed è superiore alle metodiche diagnostiche per immagini<br />

tradizionali. La principale limitazione della metodica PET<br />

convenzionale è la sua scarsa risoluzione spaziale. Il recente<br />

(2001) sviluppo da parte di Townsend e la sua equipe del primo<br />

scanner ‘ibrido’, che fonde la PET con la Tomografia<br />

Assiale Computerizzata (Computed Tomography, CT) ha eliminato<br />

questa limitazione. In medicina umana, nel 2004, le<br />

vendite di scanner ibridi PET-CT hanno superato quelle di<br />

scanner PET ‘stand alone’ e nel prossimo futuro si prevede che<br />

il 90% della produzione sarà di sistemi ibridi.<br />

Decadimento Radioattivo: Decadimento β + , o ad Emissione<br />

di Positroni - Un positrone è fondamentalmente un elettrone<br />

con carica positive (β + ) emesso da un atomo in possesso<br />

di un numero troppo elevato di protoni rispetto al numero di<br />

neutroni, e perciò instabile. Per raggiungere uno stato più stabile,<br />

l’atomo in questione trasforma un protone all’interno del<br />

nucleo in un neutrone, eliminando l’eccesso di energia sotto<br />

forma di una coppia di particelle, un positrone (β + ) e un neutrino<br />

(ν). Mentre il neutrino è privo di massa e carica elettrica, il<br />

positrone ha la stessa massa di un elettrone e interagisce con la<br />

material in modo simile a un elettrone. Dopo avere viaggiato<br />

nei tessuti per breve distanza (mean positron range - 1.4 mm<br />

per [ 18 F]-FDG in acqua), il positrone si scintra con un elettrone<br />

orbitale di un atomo circostante, e si annienta quasi istantaneamente<br />

(entro 10 -12 s), con la trasformazione di massa in energia.<br />

L’energia è prodotta sotto forma di due raggi γ, ciascuno pari a<br />

0.511 MeV, che sono emessi a 180° l’uno dall’altro. L’identificazione<br />

di questi due raggi γ (non del positrone in sé) da parte<br />

dello scanner è alla base della formazione dell’immagine PET.<br />

[ 18 F]-FDG - Il 2-[ 18 F]-fluoro-2-deossiglucosio o FDG è il<br />

tracciante più comunemente utilzzato per gli studi PET. Questo<br />

tracciante quantifica l’attività dall’enzima esochinasi nella<br />

prima reazione della glicolisi. Il primo passo della glicolisi, è<br />

il trasporto del glucosio all’interno della cellula, dove viene<br />

fosforilato a glucosio-6-fosfato (G-6-P). Questa reazione, catalizzata<br />

dall’enzima esochinasi, è irrversibile e di fatto intrappola<br />

il glucosio nello spazio intracellulare. Il 2-deossiglucosio<br />

(2-DG) è un analogo del glucosio, substrato dell’enzina esochinasi<br />

che all’interno della cellula viene fosforilato a 2-deossiglucosio-6-fosfato<br />

(2-DG-6-P). A questo punto, però, mentre<br />

il G-6-P procede nella glicolisi, il 2-DG-6-P non è soggetto ad<br />

alcuna ulteriore trasformazione e rimane intrappolato nella cellula.<br />

Un composto radioattivo legato al 2-DG, perciò, fornisce<br />

un modo di misurare l’accumulazione di 2-DG nei tessuti.<br />

L’FDG è semplicemente 2-DG in cui a una molecola di idrogeno<br />

è sostituita da una molecola di fluoro-18. Una volta fosforilato,<br />

l’FDG rimane intrappolato nella cellula e non è soggetto<br />

ad alcuna trasformazione metabolica, di fatto misurando il<br />

tasso di glicolisi del tessuto in cui è intrappolato. L’FDG, come<br />

tutti gli altri traccianti utilizzati per la PET, viene prodotto in<br />

ciclotroni, tramite il bombardamenti di acqua arricchita con<br />

18 O da parte di protoni ad alta energia. Ciò risulta nella produzione<br />

di 18 F, un isotopo instabile con emivita di 109 minuti. A<br />

questo punto, tramite un processo automatizzato e regolato da<br />

computers, FDG viene prodotto utilizzato il 18 F appena sintetizzato.<br />

L’intero porcesso dura meno di 90 minuti.<br />

Scanners PET - Gli scanners PET sono disegnati per localizzare<br />

i raggi γ prodotti nel corpo del paziente durante la reazione<br />

di annichilimento del positrone. La configurazione di uno<br />

scanner PET è simile a quella di uno scanner per CT, con un<br />

anello di detettori entro cui il paziente viene fatto avanzare su<br />

un tavolo. I detettori sono costituiti da cristalli a scintillazione<br />

di grandi dimensioni, che emettono luce dopo esser stati raggiunti<br />

dal raggio γ; il flash luminoso viene poi trasformato in un<br />

segnale elettrico dal fotocatodo che è accoppiato al cristallo. I<br />

raggi γ vengono identificati in concidenza, cioè i due raggi γ<br />

prodotti a 180° dalla stessa reazione di annichilazione devono<br />

raggiungere i detettori entro un intervallo predeterminato (12-<br />

15 nsec) per essere accettati e contribuire all’immagine finale<br />

(cosiddetta ‘collimazione elettronica’). È bene ricordare che


180 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ogni positrone viaggia per breve distanza dal punto di origine a<br />

quello di annichilazione, ma lo scanner posiziona la fonte dei<br />

raggi γ nel punto di annichilazione: ciò risulta in una perdita di<br />

risoluzione (positron range blurring) che limita la risoluzione<br />

spaziale di uno scanner PET a un massimo circa 5 mm.<br />

Tecnica - La preparazione di routine include l’astensione<br />

dal cibo per 6 ore prima dello studio, per minimizzare la<br />

concentrazione del tracciante nel muscolo cardiaco e massimizzare<br />

l’uptake da parte del tessuto tumorale. I pazienti<br />

devono evitare bevande alcoliche, tè e caffè, zuccheri, tabacco,<br />

nonché esercizio fisico nelle 24 ore precedenti lo studio.<br />

La glicemia viene misurata immediatamente prima dello studio<br />

(ideale è


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 181<br />

Principi di trattamento multimodale dei sarcomi<br />

dei tessuti molli<br />

Emanuela Morello<br />

Med Vet, PhD, Grugliasco (To)<br />

Il ricorso alla terapia multimodale sta diventando sempre<br />

più frequente anche in medicina veterinaria. Sebbene la chirurgia<br />

rimanga il trattamento elettivo per la maggior parte<br />

dei tumori, molto spesso nasce la necessità, vuoi per le<br />

dimensioni del tumore, per la sua localizzazione o per il suo<br />

grado istologico, di combinarla ad altre forme terapeutiche,<br />

quali chemioterapia, immunoterapia, ipertermia e radioterapia.<br />

I sarcomi dei tessuti molli (STM) sono un esempio di<br />

tipologia tumorale per la quale si ottengono buoni risultati<br />

ricorrendo all’uso combinato di più presidi terapeutici. Rappresentano<br />

il 14-17% di tutti i tumori del cane e il 7-9% di<br />

quelli del gatto 7 . Hanno origine diversa tra loro, ma vengono<br />

inclusi in un unico grande gruppo a causa delle similitudini<br />

esistenti per comportamento biologico e caratteristiche<br />

istologiche. Li accomuna il fatto che sono avvolti da una<br />

pseudocapsula, hanno margini istologici poco definiti e le<br />

cellule neoplastiche spesso infiltrano i piani fasciali sottostanti.<br />

Il grado istologico del tumore è predittivo del potenziale<br />

metastatico della neoplasia. Sebbene ancora controverso,<br />

il potenziale metastatico delle forme di Grado I, II e III<br />

sembra essere, rispettivamente, del 10%, 20% e 50%. Questi<br />

tumori sono anche accomunati da una scarsa risposta alla<br />

radioterapia e alla chemioterapia, quando utilizzati su una<br />

lesione misurabile (diametro > 5cm). Esistono, però, delle<br />

forme di sarcoma che si differenziano per comportamento<br />

biologico. Tra queste vi sono le localizzazioni spleniche<br />

(emangiosarcoma, fibrosarcoma) e l’osteosarcoma extrasceletrico,<br />

caratterizzati da un alto potenziale metastatico e, di<br />

conseguenza, da peggior prognosi; il condrosarcoma, per il<br />

quale la prognosi sembra dipendere più dalla localizzazione<br />

che dal grado istologico; il sinoviosarcoma caratterizzato da<br />

disseminazione metastatica a carico dei linfonodi; l’emangiopericitoma<br />

dotato di minor potere invasivo. I STM sono<br />

localmente invasivi, e questa caratteristica conferisce loro la<br />

possibilità di recidivare localmente, se non asportati in modo<br />

completo. Non sono caratterizzati da alto potenziale metastatico<br />

(20% circa). Tendono a disseminare per via ematica,<br />

localizzandosi primariamente a carico del parenchima polmonare<br />

e raramente diffondono a livello linfonodale. L’escissione<br />

chirurgica rappresenta l’opzione terapeutica di<br />

scelta e deve prevedere l’asportazione del tumore con margini<br />

di tessuto microscopicamente sano tutto attorno al<br />

tumore. Spesso, questo implica la rimozione dell’osso sottostante<br />

o l’asportazione a pieno spessore di parti di parete<br />

(toracica e/o addominale). Le tecniche più avanzate di diagnostica<br />

per immagini (TAC, RM) hanno assunto un ruolo<br />

importante nella pianificazione del trattamento delle forme<br />

più estese di sarcoma dei tessuti; consentono, infatti, di<br />

determinare, in modo più attendibile rispetto alla sola palpazione<br />

o alla radiologia classica, l’estensione del tumore, di<br />

meglio pianificare l’intervento chirurgico e possono fare la<br />

differenza tra un’escissione chirurgica completa e incompleta<br />

3 . La chirurgia per i sarcomi di grado I e II può avere intento<br />

curativo; spesso, però, a causa delle estese dimensioni<br />

tumorali o della localizzazione anatomica non è possibile<br />

eseguire un’escissione ad ampio margine o questa potrebbe<br />

comportare una chirurgia troppo demolitiva, non compatibile<br />

con una buona qualità di vita dell’animale. Nasce pertanto<br />

la necessità di combinare alla chirurgia altre modalità<br />

terapeutiche che permettano di ridurre le dimensioni tumorali,<br />

onde consentire una chirurgia meno aggressiva (modalità<br />

neoadiuvante), o di sterilizzare il letto chirurgico dopo<br />

un’asportazione incompleta (modalità adiuvante). Buoni<br />

risultati sono stati ottenuti con la radioterapia, irradiando gli<br />

animali dopo escissione a margini “sporchi”; gli studi eseguiti<br />

dimostrano che, nonostante l’incompleta asportazione<br />

della neoplasia, gli animali trattati con chirurgia e radioterapia<br />

possono comunque sopravvivere a lungo (sopravvivenza<br />

mediana 1082-1851 giorni), con percentuali di recidiva locale<br />

contenute (17%). Il controllo locale della malattia è del<br />

95% ad 1 anno, del 92% a 2 anni. I dosaggi totali utilizzati<br />

variano da 42 a 57 Gy, e possono essere erogati in singole<br />

frazioni di 3-4 Gy ognuna, giornaliere o a giorni alterni 4,5,9 .<br />

La combinazione chirurgia/ radioterapia adiuvante può consentire<br />

di controllare bene il tumore, ottimizzando, nel contempo,<br />

i risultati estetici e funzionali rispetto alla sola chirurgia.<br />

Alcuni studi riportano un miglioramento dell’efficacia<br />

della radioterapia adiuvante associando anche la somministrazione<br />

di chemioterapici (doxorubicina), per rendere<br />

più sensibile il tumore agli effetti della terapia radiante. L’utilizzo<br />

della radioterapia a scopo neoadiuvante trova scarso<br />

impiego in veterinaria, contrariamente a quanto accade in<br />

medicina umana. Sono riportate applicazione nel sarcoma<br />

vaccino indotto del gatto. La radioterapia ha, come già ricordato,<br />

azione piuttosto limitata se utilizzata da sola, su lesioni<br />

macroscopiche, in quanto i STM rientrano nel gruppo della<br />

neoplasie radioresistenti; l’irradiazione del tumore primario<br />

con dosi variabili da 47 a 57 Gy è associata a percentuali<br />

di controllo della malattia ad 1 anno del 50-65% e a due<br />

anni del 33%. I tumori non regrediscono rapidamente dopo<br />

trattamento; l’irradiazione solitamente riesce a tenere sotto<br />

controllo la malattia, mantenendo costanti nel tempo le<br />

dimensioni del tumore; talvolta si assiste ad una lenta, ma<br />

modica, diminuzione del volume della massa. I risultati<br />

migliori si ottengono con alte dosi di radiazione, ma gli<br />

effetti collaterali possono essere devastanti. Si è cercato di


182 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

potenziare l’efficacia delle radiazioni combinando la radioterapia<br />

ad altre modalità terapeutiche, quali l’ipertermia e la<br />

chemioterapia. L’associazione calore/radiazioni ha delle<br />

basi razionali. Il primo agisce sulle cellule in fase S e su<br />

quelle ipossiche, cioè su quelle frazioni di tumore più resistenti<br />

all’azione letale delle radiazioni 10 . L’uso combinato di<br />

questi due presidi terapeutici si è dimostrato più efficace, in<br />

termini di controllo del tumore, rispetto all’impiego della<br />

sola radioterapia. La malattia è stata tenuta sotto controllo<br />

(valore mediano) 350 giorni con la sola radioterapia e 750<br />

giorni combinando i due presidi terapeutici. Le difficoltà<br />

incontrate nel riscaldare in modo omogeneo il tumore ne<br />

rappresenta il fattore limitante 8,10 . Come visto la radioterapia<br />

è stata associata a molti presidi nel tentativo di potenziarne<br />

l’efficacia; tra tutte le associazioni quella con la chirurgia<br />

si è dimostrata essere la migliore. Anche la chemioterapia<br />

è stata utilizzata a scopo adiuvante, dopo asportazione<br />

incompleta del tumore, applicata direttamente nella breccia<br />

chirurgica. I risultati ottenuti non sono così incoraggianti e<br />

comunque non migliori rispetto a quelli ottenuti combinando<br />

radioterapia e chirurgia. L’applicazione locale di chemioterapici<br />

è spesso esitata in complicanze, quali ad esempio<br />

l’infezione della ferita 2 . La chemioterapia può trovare applicazione<br />

nei sarcomi di grado III, a più alto rischio di disseminazione<br />

metastatica, con l’intento di prevenire o di ritardare<br />

la comparsa di metastasi. Se somministrata nelle forme<br />

già metastatiche alla presentazione, l’efficacia è limitata o di<br />

breve durata. Tra i farmaci più utilizzati vi sono la doxorubicina<br />

da sola o combinata con ciclofosfamide e vincristina<br />

(VAC), con l’isofosfamide ed il mitoxantrone somministrato<br />

da solo. Viene, inoltre, usata a scopo palliativo, per i tumori<br />

non asportabili chirurgicamente, nel caso i proprietari rifiutino<br />

l’uso combinato di chirurgia e radioterapia 7 .<br />

La prognosi dei sarcomi dei tessuti molli varia molto a<br />

seconda del grado istologico, calcolato in base all’indice<br />

mitotico e alla percentuale di necrosi tumorale, entrambi<br />

correlati in modo significativo al potenziale metastatico del<br />

tumore e alla sopravvivenza dell’animale 6 . Altro importante<br />

fattore prognostico è rappresentato dallo stato dei margini<br />

di escissione chirurgica. I cani con margini chirurgici incompleti<br />

sono 10,5 volte più a rischio di recidiva locale rispetto<br />

ai soggetti nei quali la neoplasia è stata asportata in modo<br />

completo. Sono necessari almeno 2-4 cm di margine attorno<br />

al tumore, anche in profondità. Di recente è stato pubblicato<br />

uno studio su dei sarcomi dei tessuti molli a localizzazione<br />

sottocutanea per definire l’estensione dei margini ai fini di<br />

ottenere un’escissione completa del tumore. È stato visto<br />

che nel 100% dei casi esaminati la neoplasia era stata asportata<br />

in toto rispettando dei margini laterali > a 10 mm e profondi<br />

almeno un piano fasciale. La fascia sembra infatti agire<br />

da barriera biologica nei confronti dell’infiltrazione tumorale;<br />

questo effetto protettivo potrebbe dipendere comunque<br />

dal grado istologico della neoplasia 1 .<br />

Bibliografia<br />

1. Banks T, Straw R, Thomson M et al, (2004), Soft tissue sarcomas in<br />

dogs: a study assessing surgical margin, tumor grade and clinical outcome,<br />

Aust Vet Pract, 34(4):142-147.<br />

2. Dernell WS, Withrow SJ, Powers BE et al, (<strong>19</strong>97), Intracavitary treatment<br />

of soft tissue sarcomas in dogs using cisplatin in a biodegradable<br />

polymer. Anticancer Res, 17(6D):4499-500.<br />

3. Ettinger SN, (2003), Principles of treatment for soft-tissue sarcomas<br />

in dog, Clin Tech Small Anim Pract, 18(2):118-22.<br />

4. Forrest LJ, (<strong>19</strong>97), Combination cancer treatment: surgery and radiation<br />

therapy, Vet Med, 92(12):1043-1049.<br />

5. Forrest LJ, Chun R, Adams WM, et al, (2000), Postoperative radiotherapy<br />

for canine soft tissue sarcoma, J Vet Intern Med, 14(6):578-<br />

582.<br />

6. Kunz CA, Dernell WS, Powers BE et al, (<strong>19</strong>97), Prognostic factors<br />

for surgical treatment of soft-tissue sacomas in dogs:75 cases (<strong>19</strong>86-<br />

<strong>19</strong>96), J Am Vet Med Assoc, <strong>21</strong>1(9):1147-1151<br />

7. Mc Ewen EG, Powers BE, et al., (2001), Small animal clinical oncology,<br />

3th ed, W.B. Saunders Company, Philadelphia, 283-304.<br />

8. McChesney G, Gillette S, Dewhirst MW, Gillette EL et al, (<strong>19</strong>92),<br />

response of canine soft tissue sarcomas to radiation or radiation plus<br />

hyperthermia. A randomized phase II study. Int J Hyperthermia,<br />

8:309-320.<br />

9. McKnight JA, Mauldin N, McEntee MC, et al, (2000), Radiation<br />

treatment for incompletely resected soft tissue sarcomas in dogs. J<br />

Am Vet Med Assoc, <strong>21</strong>7(2):205-10.<br />

10. Page RL, Thrall DE, (<strong>19</strong>90), Clinical indications and applications of<br />

radiotherapy and hyperthermia in veterinary oncology. Vet Clin North<br />

Am Small Anim Pract, 20(4):1075-92.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Emanuela Morello<br />

Ricercatrice presso il Dipartimento di Patologia Animale<br />

Università di Torino<br />

Via Leonardo da Vinci 44, Grugliasco (To)<br />

Tel 011/6709062<br />

E-mail: emanuela.morello@unito.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 183<br />

Approccio alla scarsa compliance dei clienti<br />

alla salute dentale: cosa possiamo fare?<br />

David Morgan<br />

BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, UK<br />

Introduzione<br />

Cosa fareste se il 70% dei vostri clienti lamenta che il loro<br />

cane o gatto presenta gravi forme di dermatopatie, accompagnate<br />

da intenso prurito ed alopecia? Immagino che l’evento<br />

verrebbe da voi considerato con qualche preoccupazione<br />

e che sareste persino portati a prendere in considerazione<br />

l’insorgenza di qualche forma epidemica nelle vicinanze<br />

della vostra struttura. Tuttavia, una simile alta percentuale<br />

corrisponde esattamente alla situazione rilevabile<br />

nei cani e nei gatti affetti da malattie odontoiatriche. Infatti,<br />

più del 70% dei cani e dei gatti sono interessati in genere<br />

dall’età di 2 anni 1 dal più comune disturbo che affligge gli<br />

animali da compagnia.<br />

Ma perché emergono percentuali così alte e come mai il<br />

controllo dei problemi odontostomatologici è tenuto in così<br />

bassa considerazione? Inoltre, aspetto molto importante,<br />

cosa possiamo fare, in qualità di medici veterinari, per indirizzare<br />

i nostri clienti verso una sensibilizzazione in merito<br />

al benessere dei denti e, pertanto, allo stato di salute complessiva<br />

dei loro beniamini?<br />

Propensione dei clienti in merito<br />

al benessere dei propri animali<br />

Come medici veterinari, possiamo constatare che i nostri<br />

clienti sono ligi e seguono correttamente le norme che devono<br />

essere rispettate in almeno una o due aree di gestione del<br />

benessere animale. Per esempio, il rispetto dei protocolli<br />

vaccinali per i cuccioli ed i gattini è di norma molto alto tra<br />

i nostri clienti. Possiamo anche constatare come sterilizzazioni<br />

e castrazioni siano sempre più richiete, la dove spiegazioni<br />

circa le conseguenze positive per la salute dei nostri<br />

pazienti e l’evidenziazione dei benefici dell’intervento, possono<br />

aiutarci a sensibilizzare i clienti. Inoltre, in genere i<br />

clienti sono correttamente informati in merito alle vaccinazioni<br />

ed alla loro importanza, come pure ai rischi associati al<br />

complesso degli aspetti della vita sessuale dei loro animali<br />

(vagabondaggio, gravidanze indesiderate, comportamento<br />

anti-sociale).<br />

Risulta estremamente importante il forte impegno del<br />

medico veterinario nell’informare i clienti circa i vantaggi<br />

della procedura seguita, evidenziando che molti interventi<br />

medici (vaccinazioni o ovarioisterectomie) siano determinanti<br />

nella prevenzione di malattie, quali, ad esempio, le parvovirosi,<br />

il cimurro, la rabbia o nella riduzione del rischio<br />

dei carcinomi mammari e piometre.<br />

Circa le malattie parodontali, in che modo i medici veterinari<br />

possono affrontare lo specifico problema e come<br />

eventuali cambiamenti nel loro atteggiamento possono<br />

migliorare la collaborazione dei nostri clienti? A tal fine,<br />

abbiamo adesso bisogno di riferirci alla 1 a ed alla 2 a fase<br />

della malattia. In una prima fase, si ha un interessamento<br />

gengivale; mediante la pulizia e la levigatura delle superfici<br />

dentali, ricorrendo anche al complesso delle misure di<br />

corretta gestione presso il proprio domicilio (si rimanda in<br />

proposito alle “Cure da attuare in ambito domestico” di<br />

seguito riportate), i denti e le gengive possono essere aiutati<br />

a mantenersi in buone condizioni. In una seconda fase,<br />

vi è un coinvolgimento paradontale con la perdita di più del<br />

25% delle radici dentali (denti con radici singole o multiple).<br />

In questa fase si manifestano danni gengivali, ossei, a<br />

carico dei legamenti e del tessuto paradontale. Tuttavia, il<br />

principale problema è rappresentato dal fatto che la 1 a fase<br />

è reversibile, mentre la 2 a non lo è. Pertanto, se il nostro<br />

intervento si manifesta nel corso della 2 a fase, occorre considerare<br />

che lo stato di salute a lungo termine dei denti è<br />

già compromesso e che, di conseguenza, non resta che<br />

estrarre i denti danneggiati o procedere ad interventi chirurgici<br />

di tipo odontoiatrico.<br />

C’è quindi da chiedersi: perché non interveniamo in<br />

tempo, nel corso della 1 a fase? Un motivo risiede nel fatto<br />

che, poiché i denti e le gengive non evidenziano un cattivo<br />

aspetto, può sembrare improbabile proporre al cliente un<br />

intervento ai denti, con ricorso all’anestesia, comportante<br />

il costo di circa 120-180 Euro, quando la “semplice” ablazia<br />

di placca e tartaro può soddisfare il cliente e contribuire<br />

alla sua fidelizzazione. Sembra talvolta che soltanto in<br />

presenza di problemi più evidenti, quali gravi forme di<br />

gengivite (arretramento gengivale, sanguinamento), di tartaro<br />

e di alitosi, sia conveniente procedere all’intervento.<br />

Qualora, dopo la detartrasi e la lucidatura, il dente risultasse<br />

molto diverso all’occhio del cliente, quest’ultimo troverà<br />

conveniente affrontare la relativa spesa. Tuttavia,<br />

alcuni dei denti potrebbero trovarsi alla 2 a fase. Ed, allora,<br />

il messaggio che ne scaturisce è che è bene intervenire prima<br />

che sia troppo tardi.<br />

Che cosa possono fare i medici veterinari?<br />

Attualmente esistono opportunità di accrescere ancor di<br />

più le nostre conoscenze e le competenze in materia odontostomatologica.<br />

Le associazioni veterinarie, nazionali ed<br />

internazionali, sono in grado di fornire informazioni


184 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

appropriate (si vedano gli atti del <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong><br />

<strong>SCIVAC</strong> 2006 ed i testi del dr. Colin Harvey). In Italia<br />

opera ad esempio una società specialistica <strong>SCIVAC</strong> (la<br />

Società Italiana di Odontostomatologia Veterinaria - SIO-<br />

DOV, Email: socspec@scivac.it) che organizza corsi pratici<br />

nel corso dell’anno. Alcune Aziende (quelle ad esempio<br />

che producono prodotti specifici per prevenire o curare<br />

affezioni orali) mettono a disposizione dei clienti utili<br />

materiali illustrativi. Inoltre, organizzazioni quali la Società<br />

Veterinaria Odontoiatrica Europea (European Veterinary<br />

Dental Society) tengono incontri con cadenza annuale e,<br />

nel contempo, offrono la possibilità di prepararsi all’esame<br />

di Diploma.<br />

Il suo sito Internet (www.evds.org) dispone anche di un<br />

link per informare in merito alla programmazione di corsi<br />

odontostomatologici. Infine, pubblicazioni, quali il Giornale<br />

di Odontoiatria Veterinaria (Journal of Veterinary<br />

Dentistry -www.jvdonline.org), mettono a disposizione<br />

materiali informativi aggiornati e studi su singoli casi.<br />

Se adesso ripensiamo ai motivi per cui i clienti sono molto<br />

propensi alla pratica delle vaccinazioni e delle sterilizzazioni,<br />

possiamo constatare che il nostro impegno a favore di<br />

queste procedure gioca un ruolo importantissimo nell’aiutare<br />

ad educare ed a convincere i clienti circa i benefici effetti<br />

che si ottengono nel lungo periodo. Pertanto, attraverso<br />

una maggiore conoscenza dei problemi relativi alla salute<br />

dentale e ad una crescente condivisione della necessità di<br />

intervenire quanto prima possibile, possiamo aiutare in<br />

maniera efficace i nostri clienti ad accrescere la loro disponibilità<br />

a collaborare ed a maturare le decisioni necessarie<br />

per il benessere dei loro cani e gatti (si rimanda in proposito<br />

al seguente capitolo “Avvertenze per il cliente. Come<br />

possiamo aiutarlo?”).<br />

Avvertenze per il cliente. Come possiamo<br />

aiutarlo?<br />

Un recente studio condotto nel Regno Unito (People’s<br />

Dispensary for Sick Animals; PDSA) ha evi-denziato che il<br />

60% dei clienti dei medici veterinari ritiene naturale per i<br />

propri animali da compagnia la perdita dei denti, in ragione<br />

dell’età avanzata, e che il 71% dello stesso campione valuta<br />

che le malattie paradontali riguardano solo il 2% degli animali.<br />

Tali dati indicano che c’è un bel po’ di lavoro da fare<br />

per aiutare i nostri clienti a convincersi di quanto sia necessario<br />

e importante un (1) intervento precoce (nel corso della<br />

1 a fase), anche in relazione all’inevitabilità del passaggio<br />

della malattia alla 2 a fase, (2) come contribuire ad educare<br />

i clienti sulle loro esigenze e sulle (3) cure da attuare in<br />

ambito domestico.<br />

Emergono alcuni interessanti parallelismi tra questi due<br />

aspetti e quello che rileviamo in noi stessi. I produttori di<br />

dentifrici ad uso umano sanno che, in relazione alla percezione<br />

di limitati immediati vantaggi per le persone come<br />

conseguenza di una quotidiana pulizia dei denti con lo spazzolino,<br />

in genere la gente dubita dell’opportunità di provvedere<br />

a detta pratica in maniera costante. In pratica, se non si<br />

è convinti della necessità del ricorso al dentifricio, ne deriva<br />

un debole convincimento in merito alla regolare e costante<br />

pulizia dei denti con lo spazzolino. Per superare il problema,<br />

sono state attivate efficaci misure per educare la gente a<br />

tenere sotto controllo forme di gengivite (1 a fase), suscettibili<br />

di progredire in maniera tale da provocare problemi più<br />

seri (2 a fase), eventualmente a carattere sistematico. Quindi,<br />

per contribuire all’ulteriore corretta informazione, le Società<br />

interessate puntano sugli igienisti odontoiatrici (in sostegno<br />

ai dentisti) per diffondere il messaggio e per intervenire<br />

efficacemente sul piano preventivo (ricorso al filo interdentale,<br />

istruzioni su come usare lo spazzolino in maniera corretta,<br />

quale dentifricio usare). In tal modo, si può constatare<br />

che gli stessi problemi che emergono per gli esseri umani<br />

possono ripresentarsi ai nostri clienti per quanto si riferisce<br />

ai loro animali da compagnia.<br />

Ma come possiamo trasformare tutto ciò in qualcosa di<br />

più tangibile per i medici veterinari?<br />

(1) Intervento precoce<br />

Esame della bocca dei cuccioli e dei gattini per individuare<br />

eventuali problemi “giovanili” 2 , in coincidenza con le<br />

prime vaccinazioni e successivamente ad intervalli regolari.<br />

Ciò aiuterà ad evidenziare indizi di malattia precoci.<br />

Informare i clienti sul rischio e delle conseguenze di un<br />

passaggio dalla 1 a fase alla 2 a fase 3 . Un articolato studio condotto<br />

negli Stati Uniti ha evidenziato che soltanto il 15% dei<br />

clienti si adegua alle raccomandazioni del medico veterinario<br />

riferiti a malattie rilevate nella 1 a fase e che tale percentuale<br />

si eleva al 35% nella 2 a fase. Questo suggerisce che,<br />

allorché i denti si trovano in uno stato decisamente precario,<br />

siamo più disponibili a seguire le indicazioni del medico<br />

veterinario rispetto a quando la situazione si presenta come<br />

migliore. Tuttavia, la buona notizia è che la stessa ricerca<br />

statunitense ha riportato che soltanto il 7% dei clienti ha<br />

rifiutato il trattamento di tipo odontoiatrico proposta in relazione<br />

al suo costo, così che, se informiamo in merito ai<br />

rischi connessi con le affezioni dentali ed evidenziamo i vantaggi<br />

di un intervento precoce, potremo così sollecitare un<br />

più concreto adeguamento alla pratica corretta.<br />

(2) Come contribuire ad ”educare” i clienti<br />

Contribuire ad “educare” i clienti circa la necessità di prevedere<br />

un intervento precoce, evidenziando che, lasciando<br />

passare troppo tempo, il dente sarà inevitabilmente perso:<br />

1. mostrare ai clienti l’aspetto normale e quello anormale di<br />

una gengiva;<br />

2. concordare regolari controlli periodici, ricorrendo a “promemoria”<br />

inviati via e-mail, tenendo in considerazione<br />

che ai clienti piace ricevere segnalazioni delle scadenze<br />

delle visite;<br />

3. spiegare cosa occorre fare 4 ed illustrare gli aspetti di sicurezza<br />

della anestesia, specialmente per gli animali anziani;<br />

4. affiggere nella sala d’aspetto poster e fotografie con l’evidenziazione<br />

del materiale e della zona dedicata agli interventi<br />

odontostomatologici possibili;<br />

5. mostrare radiografie dentali, utilizzando raggi X che consentano<br />

di mostrare lesioni evidenti (per esempio, assorbimenti<br />

da lesioni odontoclastiche);<br />

6. mostrare fotografie del “prima” (denti ricoperti dal tartaro)<br />

e del “dopo” (denti puliti);


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 185<br />

7. mettere a disposizione della clientela testimonianze scritte<br />

di clienti in merito all’opportunità di provvedere a regolari<br />

detartrasi nei cani e nei gatti (molti clienti si dichiarano<br />

entusiasti dei benefici acquisiti dopo l’effettuazione<br />

della procedura);<br />

8. utili opuscoli e materiale promozionale da distribuire.<br />

(3) Cure da attuare in ambito domestico5<br />

In effetti, i clienti possono attuare molte utili procedure in<br />

ambito domestico per favorire l’igiene orale dei loro animali<br />

da compagnia:<br />

1. la pulizia giornaliera con spazzolino è d’obbligo per il<br />

controllo della placca batterica. Molti animali hanno bisogno<br />

di 3-4 settimane per abituarsi con continuità a detta<br />

operazione. Se necessario, si rivelerà opportuno designare<br />

un membro della struttura veterinaria quale punto di contatto<br />

(specie se facilmente raggiungibile per telefono) in<br />

grado di fornire informazioni aggiuntive ai clienti in fase<br />

di apprendimento dell’uso dello spazzolino. Meglio fissare<br />

una serie di semplici traguardi nel corso di un mese, per<br />

aiutare l’acquisizione della procedura;<br />

2. alimentazione: il grande vantaggio degli alimenti o diete<br />

che pongono attenzione all’aspetto dentale è costituito dal<br />

fatto che esse devono essere somministrate su base giornaliera,<br />

al fine di garantire l’apporto di calorie, la qualcosa<br />

costituisce un bel passo avanti sulla strada dell’aumentata<br />

accondiscendenza dei clienti nello specifico settore. Alcune<br />

di queste diete sono studiate per ridurre sia la placca batterica<br />

che il tartaro; altre puntano solo a ridurre il tartaro;<br />

3. Ausili masticatori: la loro efficacia nel migliorare la salute<br />

della bocca è stata accertata.<br />

Per una spiegazione più dettagliata di questi ed altri protocolli<br />

di cure da attuare in ambito domestico, si rimanda al<br />

testo Roudebush 2005 5 .<br />

Sintesi<br />

Le potenzialità di aumentare la collaborazione e la disponibilità<br />

dei nostri clienti sono molto elevate. Il ruolo dei<br />

medici veterinari nella vicenda è essenziale: anche facendo<br />

pochi semplici passi in avanti, miglioreremmo la disponibilità<br />

dei clienti ed avremmo la soddisfazione di contribuire a<br />

migliorare ulteriormente il benessere degli animali affidati<br />

alle nostre cure.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

1. Niemiec BA. Periodontal disease and therapy, (2005), BSAVA Congress.<br />

BSAVA Congress 2005 Scientific Proceedings: 523-525.<br />

2. Hale FA. Juvenile veterinary dentistry, (2005), Vet Clin N Am. July<br />

2005, Vol 35 (4): 789-817.<br />

3. DeBowes LJ, Mosier D, Logan E et al., (<strong>19</strong>96), Association of periodontal<br />

disease and histologic lesions in multiple organs from 45 dogs,<br />

J Vet Dent, 13 (2):57-60.<br />

4. Colmery B. The gold standard of veterinary health care, (2005), Vet<br />

Clin N Am. July 2005, Vol 35 (4): 781-787.<br />

5. Roudebush P, Logan E, Hale FA, (2005), Evidence-based veterinary<br />

dentistry: a systematic review of homecare for prevention of periodontal<br />

disease in dogs and cats, J Vet Dent, 22 (1):6-15.<br />

Indirizzi Internet utili:<br />

<strong>SCIVAC</strong> (Società Italiana di Odontostomatologia<br />

Veterinaria): www.scivac.it<br />

European Veterinary Dental Society: www.evds.org<br />

Journal of Veterinary Dentistry: www.jvdonline.org<br />

Testo da consultare:<br />

Holmstrom SE (2005), Dentistry. Vet Clin N Am. July 2005,<br />

Vol 35 (4), 763-1072.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

David Morgan - E-mail: morgan.d@pg.com


186 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Gestione nutrizionale del paziente nefropatico<br />

proteinurico<br />

Pier Paolo Mussa<br />

Med Vet, Dipl ECVCN, Grugliasco (TO)<br />

Liviana Prola, Med Vet, PhD, Grugliasco (TO)<br />

Da dati statunitensi, la prevalenza della patologia renale<br />

negli animali d’affezione è risultata essere tra 0,5 e il 2%<br />

nella specie felina e di circa l’1% nel cane. Questa stima<br />

potrebbe non essere utile in una situazione quale quella italiana<br />

o degli altri paesi del bacino del Mediterraneo vista la<br />

più alta incidenza di nefropatie coinvolgenti il reparto glomerulare<br />

come conseguenza della deposizione di immunocomplessi<br />

circolanti che originano da infezioni ed infestazioni<br />

(Leishmaniosi, Ehrlichiosi, Rickettsiosi, Piroplasmosi,<br />

ecc.) ben rappresentate nella nostra area geografica.<br />

I pazienti nefropatici proteinurici possono essere suddivisi<br />

in:<br />

• Nefropatici proteinurici non azotemici<br />

- Affetti da sindrome nefrosica<br />

- Non affetti da sindrome nefrosica<br />

• Nefropatici proteinurici azotemici<br />

La sintomatologia dominante, e pertanto gli elementi da<br />

considerare nella gestione dei pazienti nefropatici proteinurici,<br />

è rappresentata da ipertensione, iperfosfatemia, ipoalbuminemia,<br />

ipercolesterolemia, proteinuria di grado variabile,<br />

ipercoagulabilità, anemia e cachessia.<br />

Iperfosfatemia: la ritenzione del fosfato e l’iperfosfatemia<br />

compaiono precocemente in caso di nefropatia e hanno un<br />

ruolo primario nella genesi e nella progressione di condizioni<br />

come iperparatiroidismo secondario renale, osteodistrofia<br />

renale, carenza relativa o assoluta di 1,25- diidrossivitamina<br />

D e calcificazione dei tessuti molli. Nel controllo dell’iperfosfatemia<br />

si può intervenire, dal punto di vista nutrizionale,<br />

utilizzando diete a basso tenore in fosforo e, nel caso in cui<br />

la sola restrizione dietetica non fosse sufficiente, aggiungendo<br />

alla razione dei chelanti del fosforo (es. idrossido di alluminio<br />

alla dose di 30-90 mg/kg/die). È importante ricordare<br />

che l’utilizzo dei chelanti è inefficace se non sono abbinati a<br />

diete a ridotto tenore di fosforo. La restrizione del fosforo è<br />

stata descritta come uno degli interventi nutrizionali in grado<br />

di aumentare l’aspettativa di vita dei pazienti nefropatici<br />

(Finco, <strong>19</strong>92; Eliott, 2000).<br />

Proteinuria ed ipoalbuminemia: sono, probabilmente, gli<br />

aspetti che richiedono una più attenta gestione nutrizionale.<br />

Da un lato il paziente neuropatico proteinurico va incontro ad<br />

un’ipoalbuminemia per perdita delle proteine attraverso il filtro<br />

renale, dall’altro le proteine perse devono essere cautamente<br />

integrate per non andare a dare un sovraccarico renale.<br />

In pratica, questo aspetto può essere affrontato somministrando<br />

delle razioni con un tenore proteico controllato ma con proteine<br />

di elevato valore biologico in modo da fornire gli ami-<br />

noacidi essenziali con il minor sovraccarico renale possibile.<br />

Sotto questo aspetto potrebbe anche essere utile somministrare<br />

una dieta caratterizzata da un basso tenore proteico (che<br />

consentirà di evitare l’iperfiltrazione proteica) integrata con<br />

aminoacidi essenziali. L’integrazione con aminoacidi deve<br />

essere direttamente proporzionale alle proteine perse attraverso<br />

le urine che possono essere calcolate con la formula:<br />

mg di proteine persi nelle 24 h con le urine =<br />

20 x PU/CU x Kg peso vivo<br />

dove PU/CU è il rapporto proteinuria/creatininuria<br />

Altro elemento di azione per la riduzione della proteinuria<br />

è costituito dal controllo delle condizioni ipertensive<br />

sistemiche e locali. Questo aspetto può essere affrontato da<br />

un punto di vista farmacologico ma un ausilio importante nel<br />

trattamento dell’ipertensione locale ci viene anche fornito<br />

dall’integrazione della razione con acidi grassi della serie<br />

omega-3 (soprattutto ac. eicosapentenoico). Uno dei meccanismi<br />

di induzione dell’ipertensione glomerulare è dato dall’aumento<br />

di produzione di prostaglandina E2 e trombossano<br />

A2. L’EPA, interferendo con la produzione dei suddetti<br />

eicosanoidi, determina una diminuzione della pressione glomerulare.<br />

In particolare si è notato che una dieta con rapporto<br />

omega-6:omega-3 pari a 5:1 diminuisce la produzione<br />

di eicosanoidi e permette di tenere sotto controllo l’ipertensione<br />

glomerulare. La limitazione dell’apporto di sodio per<br />

il controllo dell’ipertensione sistemica negli animali da compagnia<br />

nefropatici è tuttora una questione aperta poiché al<br />

riguardo esistono dati contrastanti. Diversi Autori suggeriscono<br />

di limitare l’apporto di sodio per ridurre l’ipertensione<br />

associata all’incapacità dei reni di eliminare questo elemento.<br />

Altri Autori affermano che ridurre l’apporto di sodio<br />

determina una diminuzione del volume ematico diretto al<br />

rene e, pertanto, potrebbe addirittura risultare controindicato.<br />

Recentemente è stato suggerito che somministrare più di<br />

1,5 g di Na/1000 kcal possa promuovere la progressione della<br />

nefropatia felina negli stati iniziali (Kirk, 2002). Tuttavia,<br />

variare l’apporto di Na da 0,5 a 3,25 g di Na/1000 kcal non<br />

ha influenzato lo sviluppo dell’ipertensione, né influito sulla<br />

velocità di filtrazione glomerulare nel cane con nefropatia<br />

indotta per via chirurgica (Greco et al., <strong>19</strong>94). Inoltre, uno<br />

studio recente condotto su gatti con patologia renale moderata<br />

indotta per via chirurgica, non ha mostrato alcun effetto<br />

avverso dopo la somministrazione di 2 g di Na/1000 kcal<br />

(Burankarl, 2004). Burankarl e coll. hanno anche suggerito<br />

che la restrizione di Na (0,5 g di Na/1000 kcal) possa attivare<br />

le vie neuroumorali che contribuiscono alla progressione


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 187<br />

della patologia renale ed aggravano la deplezione renale del<br />

potassio. Riassumendo, gli apporti alimentari ideali di Na<br />

per il cane e il gatto in condizioni di nefropatia non sono<br />

ancora state chiaramente definiti. Le attuali raccomandazioni<br />

sono di somministrare diete con contenuto normale di<br />

sodio. La capacità di regolare l’escrezione di Na in risposta<br />

alle variazioni dell’apporto alimentare, diminuisce seriamente<br />

con il progredire della patologia. Se l’apporto di sodio<br />

scende rapidamente, si possono avere disidratazione e contrazione<br />

del volume di fluidi con conseguente aggravamento<br />

della situazione renale.<br />

Ipercolesterolemia: nel paziente nefropatico proteinurico<br />

possiamo rilevare alterazioni del metabolismo lipidico caratterizzate<br />

da alti livelli plasmatici di colesterolo. Alti livelli di<br />

lipidi nel sangue stimolano, a livello renale, la proliferazione<br />

delle cellule mesangiali all’interno dei glomeruli, da ciò<br />

consegue un’eccedente produzione di matrice mesangiale<br />

che porta ad una glomerulosclerosi. Attraverso un’integrazione<br />

con acidi grassi polinsaturi si può diminuire la colesterolemia<br />

e l’effetto patologico del suo eccesso.<br />

Ipercoagulabilità: nella malattia renale interviene, in<br />

alcuni casi, una situazione di coagulabilità piastrino-indotta<br />

favorita dall’azione del trombossano A2. Lo stato di ipercoagulabilità<br />

aumenta il rischio di trombosi soprattutto nei<br />

pazienti con bassi livelli di Antitrombina III (dovuti ad una<br />

perdita di questa proteina attraverso le urine). Per diminuire<br />

la situazione di ipercoagulabilità, oltre all’approccio farmacologico,<br />

è di notevole ausilio l’inibizione della produzione<br />

di questa molecola attraverso la competizione con il trombossano<br />

prodotto dall’EPA, dotato di minor capacità aggregante<br />

piastrinica.<br />

Cachessia: la cachessia nel paziente nefropatico proteinurico<br />

ha una duplice origine. Da un lato può derivare da un non<br />

corretto apporto energetico dovuto alla sottostima dei fabbisogni<br />

energetici in una condizione ipermetabolica o alla non<br />

sufficiente assunzione dell’alimento dovuta all’inappetenza;<br />

dall’altro può essere dovuta ad una perdita della massa magra<br />

causata dalla proteinuria. Per quanto riguarda il primo aspetto<br />

ricordiamo che l’apporto energetico deve essere personalizzato<br />

secondo i fabbisogni del paziente e sulla base delle determinazioni<br />

seriali di peso corporeo e BCS (body condition score)<br />

ma una buona base di partenza è costituita dal calcolo del<br />

fabbisogno energetico con le formule:<br />

132 x PV 0,75 = fabbisogno energetico giornaliero cane<br />

60 kcal x PV= fabbisogno energetico giornaliero gatto<br />

Una fonte di energia molto importante da considerare è<br />

rappresentata dai grassi che, fornendo più del doppio delle<br />

kcal/g rispetto a carboidrati e proteine, possono aumentare<br />

la densità energetica della dieta (kcal/100 g SS) e ciò consente<br />

di soddisfare i fabbisogni energetici con una quantità<br />

di cibo inferiore. Fattore importante in pazienti inappetenti<br />

poiché la minore distensione gastrica diminuisce l’incidenza<br />

di nausea e vomito. In alcuni casi, però, nonostante<br />

l’apporto energetico sia corretto si può avere una perdita<br />

della massa magra attraverso il filtro renale. Questo<br />

aspetto può essere contrastato attraverso la somministrazione<br />

di EPA che è risultato in grado di ridurre la degradazione<br />

proteica a livello dei muscoli scheletrici, grazie all’inibizione<br />

della PGE 2.<br />

CARATTERISTICHE DI UNA DIETA<br />

PER SOGGETTI NEFROPATICI PROTEINURICI<br />

(valori sulla sostanza secca)<br />

Proteine 15-17% per il cane e 28% per il gatto.<br />

Fosforo 0,15-0,30% per il cane e 0,40-0,60% per il gatto.<br />

Densità energetica 400-450 kcal/100 g<br />

Vitamine idrosolubili due-tre volte il fabbisogno minimo<br />

Acidi grassi polinsaturi rapporto (omega 6/omega 3) 5:1<br />

Alcalinità dieta eventuale aggiunta di sostanze alcalinizzanti<br />

Nella pratica la gestione nutrizionale del paziente nefropatico<br />

proteinurico è un problema di elevata complessità<br />

che richiede un “equilibrismo” non indifferente tra i vari<br />

elementi da considerare. In prima istanza, l’adozione di<br />

una buona dieta commerciale, specifica per questo stato<br />

patologico, può essere la soluzione più semplice ed affidabile.<br />

Il controllo delle condizioni cliniche del paziente e gli<br />

esami di laboratorio permetteranno di stabilire se il trattamento<br />

dietetico è risultato efficace. In caso di necessità si<br />

potrà intervenire, a seconda dei casi, con l’aggiunta di chelanti<br />

del fosforo, alcalinizzanti, aminoacidi, acidi grassi e<br />

vitamine.<br />

La bibliografia è a disposizione presso l’autore.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia<br />

Via L. da Vinci, 44 - 10095 Grugliasco (TO)<br />

E-mail: pierpaolo.mussa@unito.it<br />

E-mail: liviana.prola@unito.it<br />


188 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La visione nel regno animale<br />

(Prima e seconda parte)<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, Israel<br />

Ai veterinari vengono spesso poste domande come “perché<br />

i gatti ci vedono meglio di notte?” “è vero che i cani non<br />

vedono i colori?” o “quanto è acuta la vista del mio cane?”.<br />

La visione è un senso molto complesso, che viene influenzato<br />

da numerosi fattori, varia notevolmente fra le diverse<br />

specie animali e può essere valutata in numerosi modi diversi,<br />

per cui non è semplice rispondere a queste domande.<br />

Questa relazione non fornirà una trattazione completa e dettagliata<br />

dell’argomento, ma sarà piuttosto messa a fuoco<br />

(gioco di parole voluto) su alcune delle significative differenze<br />

della visione fra uomo, cane e gatto.<br />

PERCHÉ IL MIO ANIMALE SEMBRA NON<br />

AVERE INTERESSE A GUARDARE LA TV?<br />

Le risposte alle luci caratterizzate da un rapido sfarfallio<br />

(flickering) sono generate dai coni. Fra questi sfarfallii, i<br />

coni vanno incontro ad un breve processo di recupero che<br />

consente loro di generare la risposta al lampeggiamento successivo.<br />

Quando lo sfarfallio diventa troppo rapido, i coni<br />

non sono in grado di recuperare in modo sufficiente fra un<br />

lampo e quello successivo. A questo punto, le risposte dei<br />

coni “si fondono”, per cui questi fotorecettori generano solo<br />

una risposta ad una serie di rapidi lampi. Nell’uomo, le<br />

risposte dei coni si fondono a 45 Hz. Di conseguenza, le<br />

immagini generate dagli schermi dei computer o della TV,<br />

che hanno uno sfarfallio di 50 o 60 Hz, vengono percepite<br />

come continue. Invece, nel cane e nel gatto le risposte dei<br />

coni si fondono a 70-80 Hz.<br />

Pertanto, quando guardano la televisione, gli animali da<br />

compagnia sono in grado di percepire lo sfarfallio delle singole<br />

immagini, il che probabilmente influisce in modo considerevole<br />

sul loro interesse per il programma! Analogamente,<br />

gli animali da compagnia sono in grado di rilevare lo sfarfallio<br />

delle luci fluorescenti, un fatto di cui può essere necessario<br />

tenere conto al momento di studiare l’illuminazione<br />

della vostra clinica.<br />

IL MIO ANIMALE VEDE I COLORI?<br />

La visione a colori è il dominio dei coni. Sulla base della<br />

sensibilità alla lunghezza d’onda del fotopigmento contenuto<br />

nei loro segmenti più esterni, sono stati identificati 4<br />

tipi di coni e nelle diverse specie animali possono essere<br />

presenti tutte le possibili combinazioni, da una sola popolazione<br />

a tutte e quattro. Le specie che presentano solo una<br />

popolazione di coni hanno una percezione limitata delle differenti<br />

sfumature di quel dato colore (ad es., i ratti hanno<br />

una sensibilità dei coni alla luce gialla). Nelle specie animali<br />

con più di una popolazione, è possibile una visione a<br />

colori “più ricca” grazie all’attivazione di differenti percentuali<br />

delle varie popolazioni.<br />

Contrariamente all’opinione pubblica prevalente i cani ed<br />

i gatti non “vedono in bianco e nero”. I cani presentano due<br />

popolazioni di coni. Una assorbe la luce nello spettro bluvioletto<br />

(picco di assorbimento– 423 nm), mentre la seconda<br />

assorbe la luce dello spettro giallo (555 nm). Questa<br />

situazione differisce da quella dell’uomo, che presenta una<br />

terza popolazione di coni che assorbe la luce nello spettro<br />

verde. Quindi, i cani possono essere paragonati alle persone<br />

“cieche a un colore” (dicromatiche), che mancano della<br />

popolazione dei coni sensibili al verde, una condizione nota<br />

come deuteranopia.<br />

Possono vedere i colori, ma non sono in grado di distinguere<br />

fra le sfumature rosse e quelle verdi. Ciò significa che<br />

i cani guida non distinguono il rosso ed il verde dei semafori<br />

e si basano sulle modificazioni dell’illuminazione per<br />

attraversare la strada! Analogamente, i bovini presentano<br />

coni che assorbono le lunghezze d’onda del blu e del giallo,<br />

il che significa che i tori non percepiscono il colore della<br />

muleta rossa utilizzata dai toreri.<br />

I gatti, d’altra parte, presentano tre popolazioni di coni,<br />

con picchi di assorbimento a 450, 500 e 550 nm. Tuttavia,<br />

numerosi studi comportamentali non sono riusciti a rivelare<br />

una ricca visione di colori nei felini. In questo contesto<br />

bisogna ricordare che i cani ed i gatti possiedono molto<br />

meno coni degli esseri umani, per cui si può presumere che<br />

la visione dei colori in questa specie animale non sia “ricca”<br />

come nell’uomo. È stato ipotizzato che durante l’evoluzione<br />

il numero dei coni nelle retine delle specie notturne<br />

sia andata incontro ad una riduzione per consentire un<br />

aumento numerico dei bastoncelli, permettendo così una<br />

visione notturna più sensibile.<br />

VISIONE NOTTURNA<br />

Sia i cani che i gatti hanno una visione notturna (scotopica)<br />

molto sensibile. Gli studi condotti hanno dimostrato che<br />

la soglia di intensità luminosa necessaria per suscitare la<br />

visione nell’uomo è 6 volte quella che occorre nel gatto.<br />

Questo miglioramento del rendimento visivo nell’oscurità è<br />

giustificato da diversi meccanismi fisiologici ed anatomici.<br />

Il primo è la quantità di luce che penetra nell’occhio. Il dia-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 189<br />

metro della cornea nel gatto è di 16,3 mm e quello della sua<br />

pupilla dilatata è di 10,1 mm. Nell’uomo, i rispettivi valori<br />

sono di 11,1 e 6,0 mm. Di conseguenza, attraverso la cornea<br />

e la pupilla del gatto può passare più luce per arrivare alla<br />

retina. Ovviamente, queste differenze non hanno alcuna conseguenza<br />

di giorno, quando è presente un’illuminazione sufficiente<br />

per la visione.<br />

Invece, di notte, quando “ogni fotone conta” la capacità<br />

dell’occhio del gatto di accogliere una maggior quantità di<br />

luce è molto importante. È stato stimato che il maggiore diametro<br />

della cornea e della pupilla del gatto determini un<br />

aumento di 5,2 volte dell’entità dell’illuminazione retinica<br />

rispetto all’uomo.<br />

Inoltre, il gatto è maggiormente in grado di sfruttare questa<br />

luce, grazie al tappeto lucido. Questa struttura, localizzata<br />

nella coroide, conferisce al fondo dell’occhio della maggior<br />

parte dei mammiferi (con l’importante eccezione dei<br />

primati) la sua ricca varietà cromatica. Inoltre, svolge un<br />

importante ruolo funzionale agendo come uno specchio che<br />

riflette indietro la luce verso la retina. I fotoni che non vengono<br />

assorbiti dai fotorecettori vanno “sprecati” nell’occhio<br />

perché non contribuiscono alla visione. Il tappeto li riflette<br />

nuovamente verso i fotorecettori, raddoppiando le loro probabilità<br />

di venire assorbiti. Anche in questo caso, questa<br />

capacità di riflessione ha scarsa importanza di giorno (anzi,<br />

determina persino un certo offuscamento della visione), ma<br />

è estremamente importante di notte.<br />

Tuttavia, il fattore più significativo per determinare la sensibilità<br />

ai bassi livelli di luce è la percentuale di bastoncelli<br />

e coni. I primi sono molto sensibili ai bassi livelli luminosi e<br />

possono funzionare con delle intensità pari a 10 -5 volte quelle<br />

richieste dai coni. Inoltre, questa sensibilità può venire<br />

aumentata attraverso meccanismi neuronali e biochimici in<br />

un processo detto adattamento all’oscurità.<br />

Come dimostra la tabella1, i gatti presentano una concentrazione<br />

di bastoncelli molto più elevata di quella dell’uomo<br />

in tutta la retina, il che contribuisce in modo significativo<br />

alla loro visione notturna, mentre sminuisce la loro<br />

acutezza visiva.<br />

QUANTO È ACUTA LA VISTA DEL MIO<br />

ANIMALE?<br />

L’acutezza visiva viene determinata da numerosi fattori.<br />

In che modo mette a fuoco il mio animale?<br />

La luce che entra nell’occhio deve essere messa a fuoco sulla<br />

retina per generare un’immagine ben definita. L’attivo pro-<br />

Tabella 1 - Concentrazione di bastoncelli e coni<br />

cesso di focalizzazione viene detto accomodazione. Nei mammiferi,<br />

questa avviene a livello della lente. Nell’uomo, si ottiene<br />

mediante modificazioni della sua curvatura. Per vedere gli<br />

oggetti distanti, la stimolazione simpatica provoca il rilascio<br />

del nostro muscolo ciliare, che rende più appiattita (discoide)<br />

la lente. Un processo opposto, che porta ad una lente sferoidale,<br />

si ha durante la visione degli oggetti vicini. Date le differenze<br />

anatomiche e fisiologiche della lente, i gatti ed i cani non<br />

sono in grado di modificarne la forma. Piuttosto, ne spostano<br />

la posizione nell’occhio. Quando guardano oggetti distanti, la<br />

lente viene retratta (verso la retina), mentre viene spostata in<br />

avanti per visualizzare gli oggetti vicini. Ciò determina la diminuzione<br />

della capacità di accomodazione. Il potere di accomodazione<br />

dell’occhio umano di un teenager è di circa 15 diottrie<br />

(D), mentre nel cane e nel gatto è di 3-4 D.<br />

Ciò significa che il mio animale ha bisogno<br />

degli occhiali?<br />

No. L’accomodazione è un processo attivo che modifica<br />

la potenza di rifrazione dell’occhio, ma altri meccanismi<br />

anatomici e fisiologici garantiscono che la luce verrà messa<br />

a fuoco sulla retina (emmetropia). Ampie indagini dimostrano<br />

che la maggior parte dei cani e dei gatti rientra entro<br />

0,5 D di emmetropia; anche nell’uomo, è raro che si usino<br />

gli occhiali per correggere un errore di rifrazione così piccolo.<br />

È interessante notare che questo errore nei nostri animali<br />

da compagnia è influenzato da habitat, razza ed altri<br />

fattori.<br />

Ad esempio, i gatti che vivono all’aperto tendono a vedere<br />

meglio da vicino (miopia), mentre quelli che vivono in<br />

casa tendono a vedere meglio da lontano (iperopia). Analogamente,<br />

i cani delle razze di piccola taglia tendono ad<br />

essere miopi, mentre quelli delle razze di grossa taglia tendono<br />

ad essere iperopi.<br />

Effetto dell’anatomia della retina<br />

sull’acutezza visiva<br />

Come già ricordato e dimostrato nella Tabella 1, il “costo<br />

evolutivo” del miglioramento della visione notturna è una<br />

riduzione del numero dei coni e, di conseguenza, dell’acutezza<br />

visiva. Inoltre, l’acutezza delle risposte dei coni dei<br />

felini è pari solo al 25% dei coni dell’uomo. Ancora, il tappeto<br />

lucido, che risulta così utile per la visione notturna, provoca<br />

la diffusione della luce e l’offuscamento della visione<br />

durante il giorno.<br />

UOMO GATTO<br />

Massima concentrazione dei coni (per mm2 ) <strong>19</strong>9.000 27.000<br />

Massima concentrazione dei bastoncelli (per mm2 ) 160.000 460.000<br />

Concentrazione dei coni alla periferia della retina (per mm2 ) 5.000 < 3.000<br />

Concentrazione dei bastoncelli alla periferia della retina (per mm2 ) 40.000 250.000


<strong>19</strong>0 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Allora il mio animale ci vede molto male?<br />

In termini di acutezza visiva, la risposta è “si”. L’acutezza<br />

visiva viene tipicamente espressa dalla frazione di Snellen.<br />

L’acutezza nell’uomo normale è di 20/20 (o 6/6 secondo<br />

il sistema metrico).<br />

I valori riportati negli animali variano notevolmente, dal<br />

momento che esistono numerosi metodi per determinare<br />

l’acutezza visiva (fra i quali i principali sono comportamentali,<br />

elettrofisiologici ed optocinetici). Tuttavia, in<br />

media si stima che l’acutezza visiva del cane sia di 20/75,<br />

il che significa che un cane ha bisogno di trovarsi a 20 piedi<br />

(30,48cm=1 piede ndt) da un oggetto per vederlo bene<br />

come una persona in piedi a 75 piedi di distanza (o 6 e 22<br />

metri, rispettivamente).<br />

L’acutezza stimata nel gatto è peggiore e viene riferita<br />

come pari a 20/150 (o 6/45), il che significa che un gatto<br />

deve essere 7 volte più vicino ad un oggetto per vederlo<br />

bene come noi.<br />

CONCLUSIONI<br />

Rispetto all’uomo, la visione cromatica, quella binoculare<br />

(non trattata in questo lavoro), le capacità di accomodazione<br />

e l’acutezza visiva sono inferiori. Nel gatto, la visione binoculare<br />

e quella cromatica possono essere più simili a quelle<br />

dell’uomo che a quelle del cane. Tuttavia, gli animali di<br />

entrambe le specie presentano una visione notturna superiore<br />

ed una migliore identificazione dello sfarfallio. È probabile<br />

che siano anche meglio capaci di individuare il movimento<br />

ed abbiano una migliore visione a basso contrasto (non trattata).<br />

Queste proprietà consentono ai cani ed ai gatti di vederci<br />

bene di notte, mentre noi restiamo a brancolare nel buio.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ron Ofri - Koret School of Veterinary Medicine<br />

Hebrew University of Jerusalem<br />

PO Box 12, Rehovot 76100, (ofri@agri.huji.ac.il)


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong>1<br />

La cecità in oftalmologia veterinaria:<br />

esame, cause e trattamenti (Prima e seconda parte)<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, Israel<br />

1. Anamnesi<br />

a) La cecità ha un’insorgenza improvvisa o graduale?<br />

ο Spesso, i proprietari riferiscono una cecità ad insorgenza<br />

improvvisa anche se i risultati della visita oculistica<br />

evidenziano alterazioni associate ad una malattia<br />

cronica e di vecchia data. Un’accurata indagine anamnestica<br />

rivela che la cecità è stata notata in seguito ad<br />

un a modificazione dell’ambiente dell’animale (visita<br />

agli amici, trasferimento in una nuova casa). Possiamo<br />

presumere che, anche se l’animale era cieco già da lungo<br />

tempo, l’insorgenza graduale della malattia gli<br />

avesse permesso di imparare a muoversi in un ambiente<br />

familiare. Il mutamento di ambiente ha fatto sì che<br />

urtasse contro degli oggetti portando erroneamente i<br />

proprietari a credere che la cecità fosse acuta.<br />

b) Il deterioramento della visione era associato ad una perdita<br />

preferenziale della visione notturna oppure di quella<br />

diurna?<br />

ο Uno dei primi segni comportamentali delle malattie<br />

degenerative ereditarie della retina esterna (comunemente<br />

nota come Atrofia Progressiva della Retina) è la<br />

perdita della visione notturna (nyctalopia) perché i<br />

bastoncelli vengono colpiti prima dei coni.<br />

➟ State attenti a come formulate la domanda!! Non<br />

“guidate” i proprietari.<br />

➟ Anche altre funzioni dei bastoncelli (come l’identificazione<br />

degli oggetti in movimento o di quelli nel<br />

campo visivo periferico) vengono colpite prima di<br />

quelle dei coni (la visione del colore, l’identificazione<br />

degli oggetti nel campo visivo centrale).<br />

Tuttavia, di solito queste modificazioni sono troppo<br />

sottili per essere rilevate dai proprietari.<br />

ο La perdita della visione notturna è progressiva? Una<br />

malattia nota come “Cecità notturna stazionaria congenita”,<br />

descritta nel cane e nel cavallo, è causa di nictalopia,<br />

ma non influisce sulla visione diurna.<br />

ο Parecchie malattie retiniche (poco frequenti) si possono<br />

presentare con una cecità diurna (hemeralopia).<br />

Rientrano fra queste la degenerazione dei coni (ad es.,<br />

nell’Alaskan malamute) e la distrofia dell’epitelio pigmentato<br />

della retina (già nota come CPRA). Queste<br />

malattie possono essere progressive, ma non necessariamente.<br />

c) L’animale è sano? Ci sono altri segni di malattia, oltre alla<br />

perdita della visione?<br />

ο Come si vedrà in seguito, la cecità può essere causata<br />

da numerose malattie sistemiche o neurologiche. Queste<br />

sono frequentemente accompagnate da altri segni<br />

di malattia clinicamente manifesta.<br />

ο Di conseguenza, il clinico deve effettuare una raccolta<br />

anamnestica completa (non solo oculistica) dei dati del<br />

paziente. Inoltre, fanno parte dell’indagine su qualunque<br />

caso di cecità l’esame clinico completo e la valutazione<br />

neurologica. Tuttavia, questi non verranno trattati<br />

nella presente relazione.<br />

2. Valutazione della visione e<br />

della funzione nell’animale cieco<br />

a) Risposta alla minaccia<br />

La risposta alla minaccia consiste nell’effettuare un<br />

improvviso gesto di minaccia che si presume in grado di<br />

suscitare una risposta di ammiccamento. Il ramo afferente<br />

della risposta è costituito da retina, assoni del nervo ottico,<br />

tratto ottico (che va dal chiasma ottico al nucleo genicolato<br />

laterale nel diencefalo) e radiazione ottica (dal<br />

diencefalo alla corteccia visiva). La componente efferente<br />

della risposta comprende la corteccia motoria primaria, il<br />

cervelletto ed il nucleo del settimo paio di nervi cranici<br />

(nervo facciale).<br />

È importante notare che la risposta alla minaccia riguarda<br />

l’integrazione e l’interpretazione a livello cerebrocorticale<br />

e, quindi, non è un riflesso. Piuttosto, si tratta di una<br />

risposta corticale che, per manifestarsi, richiede l’integrità<br />

delle vie visive periferiche e centrali nonché della corteccia<br />

visiva e del nucleo facciale del VII paio di nervi<br />

cranici.<br />

ο La risposta alla minaccia va valutata in un occhio,<br />

mentre l’altro viene coperto. Bisogna fare attenzione a<br />

non toccare le ciglia/peli del paziente, perché ciò<br />

potrebbe determinare una risposta “falsa positiva”.<br />

ο Anche il movimento dell’aria può causare una risposta<br />

“falsa positiva”.<br />

ο Prendere in considerazione la possibilità di effettuare il<br />

gesto di minaccia dietro una parete di vetro<br />

ο Analogamente, sono anche possibili risultati “falsi<br />

negativi” (mancanza di risposta di minaccia in un animale<br />

che ci vede):<br />

➟ La paralisi del nervo facciale provoca un esito falso<br />

negativo. Di conseguenza, in assenza di una risposta<br />

alla minaccia bisogna sempre esaminare:<br />

• Il riflesso di ammiccamento (toccando il canto)


<strong>19</strong>2 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

• La protrusione della terza palpebra, causata dalla<br />

retrazione dell’occhio (dovuta alla contrazione<br />

del muscolo retrattore del bulbo, mediata dal nervo<br />

abducente) in risposta al gesto di minaccia.<br />

➟ La risposta alla minaccia è assente negli animali<br />

giovanissimi (< 10-12 settimane) e può essere anche<br />

influenzata dallo stato del sensorio del paziente.<br />

ο È importante ricordare che la risposta alla minaccia è<br />

un metodo molto grezzo di valutare la visione e in<br />

effetti richiede solo un’acutezza visiva di 6/600!<br />

b) Ulteriori test visivi<br />

• Percorso ad ostacoli<br />

ο Il percorso ad ostacoli che realizzate deve essere<br />

costante<br />

➟ Assicuratevi che gli animali normali siano in grado<br />

di portarlo a termine!<br />

ο Esaminare il paziente in condizioni fotopiche e scotopiche<br />

ο Considerare la possibilità di coprire un occhio<br />

• Risposta del piazzamento visivo<br />

ο Utile quando i risultati del percorso ad ostacoli e<br />

della risposta alla minaccia sono equivoci<br />

ο Sollevare l’animale verso il tavolo, lasciandogli<br />

vedere la superficie che si avvicina. Un soggetto<br />

normale estende gli arti verso la superficie prima<br />

che le sue zampe tocchino il tavolo<br />

c) Il riflesso pupillare<br />

A differenza della risposta alla minaccia, il riflesso pupillare<br />

è un riflesso subcorticale. Di conseguenza, NON valuta<br />

la visione e può risultare normale anche in animali con cecità<br />

corticale. Inoltre, di solito è presente (benché possa essere<br />

diminuito o rallentato) in animali colpiti da degenerazione<br />

retinica esterna (PRA), cataratte ed altre cause di cecità<br />

subcorticale. Ciò nonostante, il riflesso pupillare è un test<br />

molto importante che aiuta a localizzare la lesione responsabile<br />

della perdita della visione.<br />

La via afferente del riflesso pupillare inizia dalla retina,<br />

attraversa il nervo ottico, giunge al chiasma ottico, dove la<br />

maggior parte degli assoni si incrocia verso il lato controlaterale,<br />

attraversa entrambi i tratti ottici ed ascende ai nuclei<br />

genicolati laterali, per prendere sinapsi ventralmente a livello<br />

dei nuclei pretettali (PTN). Gli assoni provenienti da ciascun<br />

PTN si trasmettono ai nuclei parasimpatici di destra e<br />

di sinistra del nucleo oculomotore (CN III); tuttavia, la<br />

maggior parte degli assoni si incrocia e prende sinapsi nel<br />

nucleo parasimpatico controlaterale, localizzato nel tegmento<br />

del mesencefalo.<br />

Poiché ciascun PTN si mette in connessione con<br />

entrambi i nuclei parasimpatici, in risposta alla stimolazione<br />

luminosa dell’uno o dell’altro occhio si ha la costrizione<br />

luminosa della pupilla sia di destra che di sinistra.<br />

La costrizione che si ha in corrispondenza dell’occhio stimolato<br />

è nota come riflesso pupillare diretto, mentre quella<br />

dell’occhio controlaterale, non stimolato, è detta riflesso<br />

pupillare consensuale (o indiretto). Poiché le vie del<br />

riflesso pupillare afferente contengono due livelli di incro-<br />

cio delle fibre, il primo in corrispondenza del chiasma ottico<br />

ed il secondo dopo l’uscita dai PTN, nella maggior parte<br />

delle specie animali il riflesso pupillare diretto è più<br />

forte di quello indiretto. Più precisamente, il riflesso<br />

pupillare diretto è più forte in quelle specie che hanno più<br />

del 50% di decussazione a livello del chiasma ottico. Al<br />

contrario, nell’uomo, dove la percentuale di decussazione<br />

è del 50%, i riflessi pupillari diretto e consensuale hanno<br />

un’uguale ampiezza.<br />

• Di nuovo, sono possibili risultati falsi negativi, in caso di:<br />

o precedente trattamento con atropina, o altri farmaci<br />

parasimpaticolitici;<br />

o malattia dell’iride, come l’atrofia, le sinechie posteriori<br />

e l’uveite grave.<br />

o Queste condizioni possono essere bilaterali o monolaterali.<br />

In quest’ultimo caso, interessano soltanto il<br />

riflesso pupillare diretto, ma non quello consensuale<br />

dell’occhio non stimolato.<br />

• Il riflesso dell’abbagliamento è un altro riflesso subcorticale.<br />

Si manifesta sotto forma di un ammiccamento<br />

parziale bilaterale in risposta ad una luce intensa.<br />

La via anatomica responsabile di questo riflesso è<br />

scarsamente compresa. Tuttavia, si tratta di un test<br />

molto utile come sostituto per la valutazione del<br />

riflesso pupillare nei casi in cui non è possibile vedere<br />

le pupille, come avviene in presenza di grave edema<br />

corneale o ifema o quando si sospetta un riflesso<br />

pupillare “falso negativo”.<br />

3. Ulteriori test del sistema visivo<br />

a) Come già ricordato, si deve condurre l’esame neurologico<br />

nei casi di cecità. Bisogna prestare attenzione a:<br />

• Deficit dei nervi cranici<br />

• Modificazione dello stato del sensorio: stupore, delirio,<br />

depressione<br />

• Anomalie dell’andatura: atassia, maneggio, paresi<br />

• Anomalie della postura: testa piegata, testa ruotata…<br />

b) Elettrofisiologia: questi test richiedono l’invio ad uno<br />

specialista<br />

• L’elettroretinogramma (ERG) viene utilizzato per registrare<br />

le risposte elettrofisiologiche della retina alla<br />

stimolazione visiva<br />

o È molto utile nella diagnosi dei primi stadi di degenerazione<br />

retinica interna (PRA) ed anche per differenziare<br />

fra neurite ottica ed improvvisa degenerazione<br />

retinica acquisita (SARD, sudden acquired<br />

retinal degeneration) (vedi oltre)<br />

o Poiché misura l’attività retinica, l’ERG sarà normale<br />

nei casi di cecità postretinica (neurite ottica o<br />

cecità corticale). Questi casi vengono valutati<br />

meglio attraverso i potenziali visivi evocati (VEP),<br />

che prevedono la registrazione delle risposte elettrofisiologiche<br />

corticali alla stimolazione visiva.<br />

c) Tecniche di diagnostica per immagini: radiografia,<br />

tomografia computerizzata e risonanza magnetica possono<br />

venire utilizzate nell’ambito delle indagini sui sospetti casi<br />

di cecità centrale.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong>3<br />

4. Localizzazione delle lesioni nel paziente<br />

cieco<br />

Sulla base dei risultati della visita oculistica, il paziente<br />

può essere classificato in una delle seguenti quattro categorie<br />

generali:<br />

a) Riscontri oftalmici anormali associati a riflesso pupillare<br />

normale/diminuito<br />

• Opacità dei mezzi oculari: grave blefarospasmo, edema<br />

corneale, ifema/ipopion, cataratta, emorragia del<br />

vitreo..<br />

• Retinopatia: degenerazione retinica esterna (PRA),<br />

corioretinite<br />

b) Esame oftalmico anormale ed assenza di riflesso pupillare:<br />

• Glaucoma<br />

• Distacco retinico<br />

• Neurite ottica che coinvolge la porzione prossimale del<br />

nervo ottico e causa edema della papilla<br />

o Cause infettive e non infettive di neurite ottica<br />

o Ascesso/cellulite retrobulbare<br />

• Ipoplasia/atrofia del nervo ottico:<br />

• glaucoma congenito, post-traumatico, cronico<br />

c) Esame oftalmico normale e assenza di riflesso pupillare:<br />

• Improvvisa degenerazione retinica acquisita (SARD)<br />

• Neurite ottica che coinvolge la porzione distale del<br />

nervo ottico, nel qual caso la parte craniale di quest’ultimo<br />

avrà un aspetto normale<br />

o Cause infettive e non infettive di neurite ottica<br />

• Neoplasia del nervo ottico o neoplasia che comprime il<br />

nervo ottico o il chiasma<br />

• Lesioni a carico del nervo ottico controlaterale fino a<br />

livello del nucleo genicolato laterale:<br />

o Neoplasia ipotalamica e talamica<br />

o Accidente cerebrovascolare (Ictus)<br />

d) Esame oftalmico normale e assenza di riflesso pupillare:<br />

si tratta di solito di casi neurologici, causati da lesioni<br />

centrali che colpiscono le vie della visione dal nucleo genicolato<br />

laterale alla corticale visiva controlaterale. Le cause<br />

sono rappresentate da:<br />

• Lesioni congenite: specialmente idrocefalia<br />

• Cause metaboliche: encefalopatia epatica, ipoglicemia<br />

• Malattie infiammatorie del SNC: meningoencefalite<br />

granulomatosa<br />

• Malattie infettive del SNC: Neospora, Toxoplasma,<br />

cimurro, Streptococcus…<br />

• Sostanze tossiche: avvelenamento da piombo..<br />

• Malattie del proencefalo: trauma, neoplasia, emorragia,<br />

affezione cerebrovascolare..<br />

DISCUSSIONE DI PARTICOLARI CAUSE<br />

DI CECITÀ<br />

I. CAUSE RETINICHE DI CECITÀ<br />

1. Atrofia progressiva della retina/<br />

degenerazione di coni e bastoncelli<br />

A. Patogenesi<br />

Si tratta della più comune retinopatia acquisita del cane,<br />

nonché della principale causa di cecità in questa specie ani-<br />

male. Nella maggior parte dei casi (vedi oltre, “particolarità di<br />

razza”) viene trasmessa attraverso un gene autosomico recessivo.<br />

La condizione è caratterizzata da un difetto ereditario di<br />

uno degli enzimi della fototrasduzione dei fotorecettori retinici.<br />

Le differenti razze canine sono colpite da diverse forme<br />

della malattia, a seconda della localizzazione della mutazione<br />

e dell’enzima difettoso. Tuttavia, indipendentemente dalla<br />

mutazione/enzima specifico, la via finale di tutte le forme della<br />

malattia è l’atrofia progressiva dei coni e dei bastoncelli.<br />

B. Particolarità di razza<br />

➟ Esperimenti condotti sull’incrocio delle razze, utilizzando<br />

American ed English cocker spaniel, barboni<br />

nani e toy, Labrador retriever e cani da acqua<br />

portoghesi colpiti dalla malattia hanno dimostrato<br />

un’omogeneità genetica della degenerazione progressiva<br />

dei coni e dei bastoncelli (PRCD) in queste<br />

razze. In altre parole, la mutazione genica che le<br />

colpisce è situata nello stesso locus.<br />

➟ È stata anche accertata una modalità di trasmissione<br />

ereditaria autosomica recessiva nell’akita, nel bassotto<br />

nano a pelo lungo, nel papillon, nel tibetan terrier<br />

e nel tibetan spaniel.<br />

➟ Siberian husky: Degenerazione retinica legata al<br />

cromosoma X (comune nei maschi). Il rapporto con<br />

il sesso è stato segnalato anche nei samoiedo.<br />

➟ Lo schnauzer nano può essere colpito da una forma<br />

a dominanza incompleta di PRA. Alcuni cani portatori<br />

(che presentano un gene mutante su un solo cromosoma)<br />

mostrano segni clinici ed elettroretinografici<br />

di PRA.<br />

➟ La PRA è stata descritta anche in setter irlandese,<br />

Gordon e inglese, Norwegian elkhound, mastiff<br />

tibetano ed inglese, Afghan hound, collie, greyhound,<br />

pinscher nano, pointer, saluki, Swiss hound, pastore<br />

delle Shetland, border collie, Cardigan Welsh corgi,<br />

beagle, borzoi, e cairn terrier.<br />

C. Diagnosi<br />

Manifestazioni comportamentali di PRA/PRCD<br />

➟ Malattia bilaterale, benché il cane possa presentare<br />

vari gradi di malattia, nei due occhi.<br />

➟ L’età di insorgenza varia a seconda della razza. Nel<br />

bassotto a pelo lungo, I primi segni si possono osservare<br />

a 6 mesi di vita, mentre nel barbone nano la<br />

malattia si può sviluppare anche a 12 anni (età media<br />

3-5 anni). Nell’English cocker spaniel è insolito<br />

vedere i segni clinici prima dell’età di 8 anni.<br />

➟ Il primo segno comportamentale di solito è la perdita<br />

delle visione notturna o nictalopia, che riflette il<br />

danneggiamento dei bastoncelli. Di conseguenza, la<br />

valutazione comportamentale del cane (risposta alla<br />

minaccia, test del labirinto) va effettuata in varie<br />

condizioni di illuminazione.<br />

➟ La malattia è progressiva e porta invariabilmente<br />

alla cecità<br />

Segni oftalmoscopici di PRA/PRCD<br />

➟ Le prime alterazioni si osservano di solito nella<br />

parte periferica del tappeto, vicino alla giunzione


<strong>19</strong>4 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

non tappetale. Si tratta di attenuazione vascolare<br />

(specialmente delle arteriole) ed assunzione di una<br />

colorazione anomala grigia (lieve iporeflettività).<br />

➟ I casi moderati ed avanzati sono caratterizzati da:<br />

➟ Iperreflettività progressiva del tappeto, dovuta ad<br />

assottigliamento della retina nervosa<br />

➟ Attenuazione dei vasi sanguigni: “vasi fantasma”<br />

➟ Aspetto screziato delle aree non tappetali: pigmento<br />

che si ammassa in posizione adiacente alle aree di<br />

depigmentazione. Questo aspetto è causato dalla<br />

migrazione degli RPE fagocitari.<br />

➟ Atrofia del nervo ottico: pallore che deriva da<br />

demielinizzazione e perdita di circolazione<br />

Riscontri oftalmici aggiuntivi<br />

➟ Di solito il riflesso pupillare è presente, benché possa<br />

essere rallentato ed incompleto<br />

➟ Cataratte: sono davvero una complicazione secondaria?<br />

Elettroretinografia<br />

L’elettroretinogramma (ERG) viene utilizzato per registrare<br />

le risposte elettrofisiologiche dei fotorecettori allo stimolo<br />

luminoso. La sua importanza in oftalmologia veterinaria<br />

deriva da parecchi fattori:<br />

➟ Il lampo ERG fornisce una valutazione obiettiva ed<br />

accurata della funzione della retina esterna, più<br />

affidabile dei segni oftalmoscopici e comportamentali,<br />

soggettivi.<br />

➟ Diagnosi precoce: in molte razze, le anomalie elettrofisiologiche<br />

associate a PRA/PRCD si possono<br />

rilevare molto prima della comparsa delle manifestazioni<br />

comportamentali o delle alterazioni del fondo<br />

dell’occhio. Nel barbone, ad esempio, le anomalie<br />

dell’ERG sono presenti all’età di 8-10 mesi,<br />

benché i segni clinici possano non comparire fino<br />

ad 1-2 anni dopo.<br />

➟ Nei pazienti con cataratta, dove le opacità della<br />

lente impediscono un accurato esame del fondo dell’occhio,<br />

l’ERG trova impiego per determinare la<br />

presenza della funzionalità retinica e la prognosi<br />

chirurgica.<br />

Test del DNA<br />

➟ In commercio si trovano dei DNA test per la diagnosi<br />

di PRA/PRCD in circa 15 razze, presso<br />

www.optigen.com;<br />

➟ I vantaggi dei test sul DNA sono che possono essere<br />

condotti a qualsiasi età e consentono anche di identificare<br />

i portatori eterozigoti;<br />

➟ Tuttavia, la maggior parte dei test attuali identifica i<br />

marcatori genetici piuttosto che il gene mutato, di<br />

per sé, per cui la loro accuratezza è stata messa in<br />

discussione.<br />

2. Distacco retinico<br />

A. Introduzione<br />

➟ Il distacco retinico è una separazione fra retina e<br />

coroide. Una conseguenza di questa separazione è<br />

l’ischemia dei fotorecettori. Se non viene risolta<br />

rapidamente e l’apporto ematico non viene ripristinato,<br />

i fotorecettori iniziano a morire, portando ad<br />

una cecità irreversibile.<br />

➟ I distacchi focali, che coinvolgono una piccola parte<br />

della retina, causano un difetto del campo visivo<br />

(scotoma). Tuttavia, ciò ha scarso impatto sul comportamento<br />

dell’animale e di conseguenza può darsi<br />

che questo tipo di distacco non venga presentato<br />

al clinico.<br />

B. Patogenesi<br />

Esistono tre tipi di distacchi, a seconda del meccanismo<br />

della loro formazione:<br />

➟ Il distacco sieroso è causato dall’accumulo di fluidi<br />

nello spazio sottoretinico, fra retina e coroide.<br />

Questo fluido, che origina dalla coroide, può essere<br />

rappresentato da sangue o essudati.<br />

➟ il distacco da trazione è causato da una forza che<br />

tira la retina lontano dalla coroide. Questa forza può<br />

essere generata da:<br />

o Movimento anterogrado del corpo vitreo (ad<br />

esempio, in seguito a lussazione anteriore della<br />

lente)<br />

o Fibrina. La formazione di filamenti e coaguli di<br />

fibrina è una complicazione frequente dell’infiammazione<br />

oculare. Questi filamenti si possono<br />

anche formare fra la retina e la lente. La loro riorganizzazione<br />

e contrazione può tirare la retina<br />

lontano dalla coroide.<br />

➟ Regmatogeno: Formazione di fori nella retina (come<br />

conseguenza di traumi, interventi chirurgici o alterazioni<br />

senili), associata a liquefazione del corpo vitreo<br />

(conseguente ad infiammazione o alterazioni senili).<br />

L’acqueo liquefatto penetra nello spazio sottoretinico<br />

attraverso i fori della retina e causa il distacco.<br />

C. Cause di distacco retinico<br />

L’elenco delle possibili cause di distacco retinico dipende<br />

dal tipo di distacco.<br />

➟ Il distacco regmatogeno può essere causato da alterazioni<br />

senili, trauma o infiammazione (vedi oltre)<br />

➟ Il distacco da trazione può essere causato da lussazione<br />

della lente o infiammazione (vedi oltre)<br />

➟ I distacchi sierosi possono essere causati da sanguinamenti<br />

o infiammazione.<br />

Cause di distacco essudativo<br />

Un’infiammazione che porta ad un distacco retinico di<br />

solito coinvolge la coroide e la retina (corioretinite o retinocoroidite).<br />

Come nel caso dell’uveite anteriore, si può immaginare<br />

che qualsiasi infiammazione sistemica o oculare porti<br />

a corioretinite. Tuttavia, quest’ultima di solito è un’infiammazione<br />

causata da un agente infettivo. Nella regione<br />

del Mediterraneo, i più comuni sono:<br />

➟ Cause virali – cimurro del cane, FIP, FeLV and FIV<br />

nel gatto


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong>5<br />

➟ Rickettsia – Ehrlichia canis<br />

➟ Protozoi – Leishmania, Toxoplasma<br />

➟ Infezioni micotiche, molto comuni nel Nord America<br />

Cause di distacco emorragico<br />

Qualsiasi causa di sanguinamento sistemico può esitare in<br />

distacco retinico emorragico. Le eziologie più comuni comprendono:<br />

➟ Ipertensione sistemica<br />

➟ Trombocitopenia (Ehrlichia canis)<br />

➟ Coagulopatie<br />

➟ Iperviscosità<br />

➟ Anemia<br />

➟ Trauma<br />

D. Segni clinici di distacco retinico<br />

➟ Occhio cieco (assenza di risposta alla minaccia).<br />

➟ Pupilla fissa e dilatata. La stimolazione dell’occhio<br />

controlaterale evidenzia la presenza di un riflesso<br />

pupillare consensuale.<br />

➟ Quando si effettua un esame oftalmoscopico, il clinico<br />

trova difficile mettere a fuoco la retina (perché<br />

si è spostata dalla sua sede naturale). È possibile<br />

vedere un “foglietto” che fluttua nella parte posteriore<br />

dell’occhio. Questo foglietto, che è la retina,<br />

può essere trasparente, bianco (cioè edematoso) o<br />

emorragico, a seconda della causa del distacco. Su<br />

di esso si possono osservare i vasi sanguigni retinici;<br />

spesso risulta visibile nel segmento posteriore<br />

anche senza l’impiego di un oftalmoscopio.<br />

➟ Ecografia. Una sonda da 10 MHz consente di visualizzare<br />

la retina distaccata. Questa immagine viene<br />

detta “il segno del gabbiano” perché la retina distaccata<br />

di solito rimane ancorata all’occhio a livello<br />

del disco ottico e dell’ora serrata. L’esame ecografico<br />

è particolarmente utile quando non è possibile<br />

effettuare quello oftalmoscopico per la presenza di<br />

grave edema corneale, ifema, cataratta…<br />

E. Trattamento del distacco retinico<br />

➟ È fondamentale diagnosticare la causa primaria del<br />

distacco e trattarla. Quindi, bisogna condurre<br />

un’indagine sistemica. A seconda del tipo di distacco,<br />

questa potrebbe comprendere:<br />

o Valutazione cardiovascolare, compresa la misurazione<br />

della pressione sanguigna, l’ecocardiogramma,<br />

la valutazione della funzione renale…<br />

o L’esclusione delle malattie infettive mediante<br />

esame emocromocitometrico completo, test<br />

sierologici…<br />

➟ Nei casi in cui il distacco è secondario a lussazione<br />

anteriore della lente è indicata l’estrazione chirurgica<br />

di quest’ultima<br />

➟ Coaguli e filamenti di fibrina possono venire disciolti<br />

con l’iniezione intraoculare di attivatore del<br />

plasminogeno tissutale (TPA), evitando così i distacchi<br />

da trazione<br />

➟ Il trattamento dei distacchi sierosi essudativi<br />

prevede il drenaggio del fluido sottoretinico. Allo<br />

scopo è possibile ricorrere ad agenti iperosmotici<br />

(mannitolo, glicerina per os). Si deve prendere in<br />

considerazione anche l’impiego degli inibitori dell’anidrasi<br />

carbonica a livello sistemico. Se la causa<br />

dell’essudato è infiammatoria, si devono somministrare<br />

steroidi per via sistemica.<br />

➟ I centri di riferimento specialistici possono eseguire<br />

il riattacco chirurgico della retina.<br />

➟ Se il distacco è parziale, è possibile prevenirne la<br />

progressione mediante fotocoagulazione laser, che<br />

“salda” la retina in sede e sigilla i fori adiacenti.<br />

3. Improvvisa degenerazione retinica<br />

acquisita (SARD)<br />

A. Patogenesi<br />

➟ Si tratta di una malattia acquisita dall’eziologia<br />

sconosciuta, che si manifesta tipicamente nei cani<br />

(femmine) di media età<br />

➟ L’anamnesi evidenzia una cecità ad insorgenza<br />

improvvisa<br />

➟ Il paziente tipico è “cushingoide”<br />

o In molti cani, i proprietari riferiscono un’anamnesi<br />

di letargia, aumento di peso e/o PU/PD<br />

durante gli ultimi mesi.<br />

o Anche gli esami ematochimici sono indicativi di<br />

morbo di Cushing.<br />

B. Diagnosi<br />

➟ Occhio cieco con pupilla fissa e dilatata<br />

➟ Il fondo si presenta normale durante i primissimi<br />

mesi. In uno stadio più avanzato (pochi mesi) possono<br />

comparire alterazioni degenerative.<br />

➟ L’ERG è piatto, indicando la mancanza di attività<br />

retinica.<br />

Attualmente, non esiste alcun trattamento per la SARD.<br />

Ci si augura che una volta identificata la causa, sia possibile<br />

offrire una terapia.<br />

4. Glaucoma<br />

Si tratta di un’altra importante diagnosi differenziale nei<br />

casi di perdita della visione, solitamente caratterizzata da<br />

presentazione acuta e pupille fisse e dilatate. La discussione<br />

del glaucoma esula dagli scopi di questa relazione.<br />

II. CECITÀ POST-RETINICA<br />

La cecità post-retinica può essere causata da un processo<br />

patologico in un punto qualsiasi della via visiva. Come già<br />

ricordato, i risultati della valutazione del riflesso pupillare<br />

sono molto utili per la localizzazione preliminare della<br />

lesione. L’assenza del riflesso implica che il danno si trova


<strong>19</strong>6 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

nel nervo ottico, nel chiasma o nel tratto. Il riflesso pupillare<br />

è presente nelle lesioni più distali, comprese quelle del<br />

nucleo genicolato laterale, della radiazione ottica e della<br />

corteccia visiva. Ognuna di queste sedi può essere colpita<br />

da differenti segni patologici e deve essere trattata di conseguenza.<br />

1. Malattie del nervo ottico che causano<br />

cecità<br />

La neuropatia ottica comprende condizioni a carattere<br />

degenerativo, ischemico, infiammatorio o compressivo. L’esame<br />

oftalmico del fondo dell’occhio o del disco ottico colpito<br />

da ERG può contribuire a differenziare le affezioni retiniche<br />

primarie da quelle del nervo ottico, dal momento che<br />

il segnale è, rispettivamente, estinto o normale.<br />

Neurite ottica<br />

Si tratta probabilmente della più comune malattia del nervo<br />

ottico capace di causare cecità<br />

A. Causa<br />

Un’infiammazione del nervo ottico che può essere dovuta<br />

a:<br />

➟ Qualsiasi causa di meningite<br />

➟ Eziologie infettive: cimurro, micosi (ad es. Criptococcus,<br />

Toxoplasma, batteriemie… In molte malattie<br />

sistemiche, il motivo della visita può essere rappresentato<br />

dalle manifestazioni oculari.<br />

➟ Neoplasia, trauma o ascesso nelle regioni del SNC<br />

dove decorre il nervo ottico (in particolare a livello<br />

del chiasma ottico!)<br />

➟ Malattie del SNC: GME, reticolosi…<br />

➟ Forme idiopatiche: probabilmente la causa più<br />

comune<br />

B. Diagnosi<br />

➟ Occhio cieco con pupilla fissa e dilatata.<br />

➟ L’ERG è normale, perché la retina non è colpita<br />

(differenziando così la neurite ottica dalla SARD).<br />

➟ Il disco ottico può apparire normale o infiammato<br />

(edematoso, emorragico) a seconda della parte di<br />

nervo coinvolta. Se è interessata quella prossimale,<br />

all’esame del fondo dell’occhio si osservano edema<br />

della papilla e congestione vascolare del disco ottico.<br />

Man mano che la malattia si risolve si rileva<br />

un’atrofia del disco ottico. L’infiammazione delle<br />

parti più distali del nervo si può presentare con un<br />

disco di aspetto normale.<br />

C. Trattamento<br />

Il trattamento si basa sull’identificazione ed il trattamento<br />

della causa primaria. Se non si riscontra alcuna<br />

eziologia sistemica, bisogna somministrare steroidi per<br />

via generale.<br />

D. Prognosi<br />

Molte delle cause sistemiche (ad es., cimurro) comportano<br />

una prognosi grave e possono essere letali. Anche la neurite<br />

ottica idiopatica spesso porta ad una cecità irreversibile.<br />

In uno studio condotto su 12 cani con neurite ottica, solo 7<br />

sono sopravvissuti e 5 di essi rimasero ciechi.<br />

Ulteriori malattie del nervo ottico che causano cecità<br />

• Il tumore, come il linfosarcoma, può infiltrare qualsiasi<br />

parte della via della visione e si può presentare come un<br />

deficit visivo mono- o bilaterale (a seconda della sede<br />

esatta dell’infiltrazione). La compressione del nervo ottico<br />

da parte di un tumore è causa di edema della papilla,<br />

seguito da atrofia del disco ottico.<br />

• La meningoencefalite granulomatosa (GME), un sospetto<br />

processo infiammatorio immunomediato, si può presentare<br />

con segni clinici simili a quelli della malattia neoplastica.<br />

Le lesioni granulomatose possono infiltrare o comprimere<br />

il nervo ottico ed anche essere causa di atrofia o<br />

rigonfiamento del disco ottico.<br />

• L’ipovitaminosi A causa un’abnorme crescita ossea ed un<br />

restringimento del forame ottico, con conseguente compressione<br />

secondaria del nervo ottico. Ciò determina un<br />

iniziale edema della papilla, con successiva degenerazione<br />

retinica. La malattia è più comune nel bovino che in<br />

altre specie animali.<br />

2. Malattie del chiasma ottico<br />

che causano cecità<br />

I tumori dell’ipofisi possono comprimere il chiasma ottico<br />

e causare deficit del campo visivo. La compromissione<br />

della visione di solito viene notata solo molto tardi nello sviluppo<br />

della massa. Tuttavia, la maggior parte dei tumori ipofisari<br />

si accresce dorsalmente nell’ipotalamo piuttosto che<br />

diffondersi rostralmente o caudalmente.<br />

L’encefalopatia ischemica felina è un’altra malattia che si<br />

può riscontrare a livello del chiasma ottico e causa una cecità<br />

bilaterale con pupille dilatate e non reattive.<br />

3. Malattie dei tratti ottici<br />

che causano cecità<br />

La più comune malattia bilaterale dei tratti ottici è la<br />

demielinizzazione, che esita nella perdita della trasmissione<br />

neuronale. La demielinizzazione può essere completa o<br />

incompleta, benché quest’ultima non causi cecità e quindi<br />

venga diagnosticata raramente (a meno che non sia accompagnata<br />

da altri segni clinici).<br />

La demielinizzazione del tratto ottico di solito è causata<br />

da malattie degenerative o infiammatorie (infettive).<br />

Una causa comune è il virus del cimurro del cane, per il<br />

quale è stata riscontrata una predilezione per indurre<br />

malattie in entrambi i tratti ottici simultaneamente.<br />

La malattia non è caratterizzata da ulteriori lesioni<br />

localizzanti: le pupille possono presentare una dilatazione<br />

più ampia ed una risposta lenta ed incompleta alla stimolazione<br />

luminosa e si può rilevare o meno la perdita<br />

della visione.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong>7<br />

La demielinizzazione si può osservare anche nella leucodistrofia<br />

a cellule globoidi che (analogamente alle malattie<br />

da accumulo neuronali) è causata da un’anomalia enzimatica.<br />

Le lesioni si trovano principalmente nel cervelletto e nel<br />

midollo spinale, ma sono state anche descritte la demielinizzazione<br />

delle differenti parti della via della visione, come il<br />

nervo ottico, il tratto ottico e la radiazione ottica. La demielinizzazione<br />

colpisce la trasmissione neuronale attraverso il<br />

tratto ottico e può esitare in cecità completa.<br />

La neoplasia monolaterale dell’ipotalamo o del talamo<br />

causa una emianopia omonima controlaterale. Il riflesso<br />

pupillare diretto sarà lento o assente. Le lesioni in questa<br />

sede influiscono anche sulla capsula interna e sulla parte<br />

rostrale del peduncolo cerebrale, causando alcuni deficit<br />

di reazione posturale.<br />

Manifestazioni analoghe si osservano anche con qualsiasi<br />

evento vascolare, traumatico o ischemico monolaterale,<br />

benché la presentazione di solito sia acuta.<br />

4. Deficit visivi con riflesso pupillare<br />

Le lesioni o le malattie situate oltre il tratto ottico (cioè nel<br />

nucleo genicolato laterale, nella radiazione ottica o nella corteccia<br />

visiva) si presentano con cecità (nelle forme bilaterali)<br />

o emianopia omonima controlaterale (nei casi monolaterali)<br />

con riflesso pupillare normale. Le cause possibili sono rappresentate<br />

da neoplasia, GME, malattia da accumulo, malattie<br />

metaboliche (ipoglicemia, encefalopatia epatica o uremica),<br />

encefalite (ad es., encefalite necrotizzante nel cane di razze<br />

toy), cimurro, idrocefalo, malattie demielinizzanti, eventi<br />

vascolari (traumi, emorragie o infarti), encefalite equina. Questi<br />

casi devono essere esaminati insieme ad un neurologo.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Ron Ofri<br />

Koret School of Veterinary Medicine, Hebrew University of Jerusalem<br />

PO Box 12, Rehovot 76100, (ofri@agri.huji.ac.il)


<strong>19</strong>8 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Progressi nel trattamento di particolari malattie<br />

in oftalmologia veterinaria: il presente ed il futuro<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, Israel<br />

IL TRATTAMENTO DELLA<br />

CHERATOCONGIUNTIVITE SECCA<br />

NEL CANE<br />

La cheratocongiuntivite secca (KCS) è un’infiammazione<br />

progressiva della cornea e della congiuntiva causata da una<br />

carenza della componente acquosa del film lacrimale. Storicamente,<br />

il trattamento di questa malattia si è basato sull’impiego<br />

di lacrime artificiali, agenti mucolitici, antibiotici<br />

(nei casi di infezione/ulcerazione) e pilocarpina, un farmaco<br />

parasimpatico mimetico che stimolerebbe l’innervazione<br />

colinergica della ghiandola lacrimale.<br />

Nel <strong>19</strong>89, il trattamento della KCS nel cane è stato rivoluzionato<br />

quando Kaswan et al. riferirono che l’applicazione<br />

topica di ciclosporina (CsA) rappresentava un metodo<br />

efficace per la terapia della malattia. La maggior parte dei<br />

casi di KCS nel cane è probabilmente causata da un’infiammazione<br />

autoimmune della ghiandola lacrimale e si ritiene<br />

che la CsA eserciti un effetto terapeutico inibendo la proliferazione<br />

dei linfociti T-helper e l’infiltrazione degli acini<br />

della ghiandola lacrimale, consentendo la rigenerazione della<br />

ghiandola stessa e il ritorno della funzione secernente.<br />

Anche se è diventata il trattamento d’elezione della KCS<br />

nel cane, la CsA non è efficace al 100%. È stato riferito che<br />

il farmaco, somministrato topicamente sotto forma di pomata<br />

allo 0,2% e come soluzione a base oleosa all’1% o 2%<br />

migliora la produzione di lacrime nel 71-86% dei cani con<br />

KCS. Di conseguenza, c’è bisogno di trovare nuovi farmaci,<br />

che possono essere utilizzati per il trattamento dei cani che<br />

non rispondono alla CsA o che sono colpiti da effetti collaterali<br />

indesiderati (irritazione topica, ecc…).<br />

Due farmaci fra loro correlati che possono rappresentare<br />

delle promettenti alternative alla CsA sono il pimecrolimus<br />

ed il tacrolimus. A differenza della CsA, che è un farmaco<br />

immunosoppressore, questi vengono considerati immunomodulatori.<br />

Si tratta di macrolidi derivati dalla ascomicina<br />

che si legano specificamente al recettore del citosol, l’immunofilina,<br />

macrofilina-12. Il complesso farmaco-recettore<br />

che ne deriva inibisce la defosforilazione/attivazione calcineurina-dipendente<br />

degli specifici fattori nucleari delle cellule<br />

T attivate, impedendo così la trascrizione delle citochine<br />

pro-infiammatorie. Ciò determina una mancata attivazione<br />

delle cellule T-helper di tipo 1 e 2. Viene anche inibita la<br />

proliferazione delle cellule T e l’attivazione delle mast cell.<br />

Si ipotizza quindi che questi farmaci possano ridurre l’infiammazione<br />

cellulo-mediata della ghiandola lacrimale.<br />

Verranno presentati due studi. Il primo dimostra che il<br />

pimecrolimus è efficace quanto la ciclosporina per migliorare<br />

la produzione di lacrime e più efficace per ridurre i segni<br />

clinici della KCS. Il secondo studio dimostra che il tacrolimus<br />

migliora la produzione di lacrime nei cani resistenti alla<br />

terapia con ciclosporina. Di conseguenza, questi farmaci rappresentano<br />

delle promettenti alternative alla CsA topica per il<br />

trattamento della KCS e possono essere utili nei pazienti in<br />

cui questa terapia risulta inferiore a quella ottimale.<br />

TRATTAMENTO DELLE ULCERE<br />

CORNEALI DA FUSIONE: INIBIZIONE<br />

DELLE METALLOPROTEINASI<br />

DELLA MATRICE<br />

Le abrasioni corneali non complicate (danno superficiale<br />

dell’epitelio) o le ulcere (danno più profondo, che coinvolge<br />

lo stroma corneale) guariscono senza complicazioni, anche<br />

se di solito si effettua un trattamento antibiotico topico per<br />

evitare l’infezione. Tuttavia, a causa dell’infezione microbica<br />

o dell’esteso coinvolgimento dello stroma, alcune ulcere<br />

corneali vanno incontro a “fusione”. Questo processo, anche<br />

noto come cheratomalacia, è caratterizzato dalla rapida e<br />

progressiva degenerazione dello stroma corneale, che può<br />

esitare nella perforazione della cornea stessa entro 24 ore.<br />

Questa rapida degradazione dello stroma corneale è la<br />

conseguenza dell’attività proteinasica. Questi enzimi, anche<br />

noti come metalloproteinasi della matrice (MMP) vengono<br />

secreti da microrganismi infettivi (ad es., Pseudomonas), ma<br />

si trovano anche nel film lacrimale, nei leucociti e nelle cellule<br />

corneali. Le MMP dell’organismo svolgono un ruolo<br />

importante nei normali processi di riparazione della cornea,<br />

ma un aumento dei loro livelli e della loro attività determina<br />

la degradazione del collagene corneale, dell’elastina ecc…<br />

Recentemente, è stato dimostrato che parecchi farmaci e<br />

sostanze esercitano un effetto inibitorio sull’attività delle<br />

MMP. L’effetto di solito è mediato da cofattori chelanti, come<br />

lo zinco o il calcio, necessari per l’attività della MMP. La percentuale<br />

di inibizione dell’attività delle MMP che ne deriva è<br />

di solito > 90%. Quindi, questi farmaci potrebbero diventare<br />

importanti agenti terapeutici per il trattamento della cheratite<br />

ulcerativa e della cheratomalacia. I farmaci comprendono:<br />

1. N - acetilcisteina – applicata come soluzione topica al 10-<br />

20% ogni 1-4 ore<br />

2. Tetraciclina – può venire somministrata per via topica<br />

(0,025-0,1%) o sistemica. All’effetto antimicrobico di<br />

questo farmaco si aggiunge l’attività anti-MMP.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>19</strong>9<br />

3. EDTA – terapia topica con soluzione allo 0,05-0,2%<br />

4. Siero autogeno – il 10% circa delle proteine del siero è<br />

rappresentato da alfa-2 macroglobuline, che sono potenti<br />

inibitori delle MMP. Il siero si ottiene dal sangue, dopo<br />

coagulazione e centrifugazione, e può venire applicato<br />

ogni 1-2 ore. Va rinnovato ogni 8 giorni (per evitare la<br />

contaminazione). Inoltre, i fattori di crescita del siero possono<br />

promuovere la guarigione della cornea.<br />

TRATTAMENTO<br />

DELLA CHERATOCONGIUNTIVITE<br />

ERPETICA DEL GATTO<br />

Il trattamento dell’infezione da herpesvirus nei felini è molto<br />

frustrante, data la limitata disponibilità di farmaci efficaci.<br />

Una delle principali ragioni di ciò è il fatto che molti dei farmaci<br />

efficaci nei confronti degli herpesvirus umani non lo sono verso<br />

quelli felini. Il costo dei farmaci e la necessità di frequenti<br />

somministrazioni sono ulteriori fattori che impediscono ai proprietari<br />

di sottoporre i loro gatti ad un trattamento ottimale.<br />

Farmaci clinicamente dimostrati<br />

1. Trifluridina – Molto efficace nei confronti dell’herpesvirus<br />

felino e disponibile in commercio in molti Paesi. Tuttavia,<br />

determina un’irritazione topica e il dosaggio raccomandato<br />

prevede una somministrazione ogni due ore, il che rende<br />

molto difficile ottenere la collaborazione del proprietario.<br />

2. Idossiuridina – Leggermente meno efficace nei confronti<br />

dell’herpesvirus felino rispetto alla trifluridina. Inoltre,<br />

non è disponibile in commercio e deve essere preparato da<br />

farmacie specifiche. Tuttavia, è meno irritante e richiede<br />

“solo” quattro somministrazioni/giorno.<br />

3. Vidarabina – meno efficace dell’idossiuridina ed anche<br />

più difficile da ottenere (può essere preparata sotto forma<br />

di pomata al 3%), ma ben tollerata nel gatto.<br />

Farmaci inefficaci o controindicati<br />

1. L’aciclovir è un farmaco comunemente utilizzato per il<br />

trattamento delle infezioni erpetiche dell’uomo. Tuttavia,<br />

la dose efficace nei confronti dell’herpesvirus felino è 80<br />

volte quella impiegata nell’uomo, il che rende questo farmaco<br />

inefficace nel gatto.<br />

2. Bromovinildeossiuridina – non efficace nei confronti dell’herpesvirus<br />

felino.<br />

3. Valaciclovir – controindicato nei gatti a causa di soppressione<br />

midollare, nonché tossicità epatica e renale.<br />

4. Gli steroidi non vanno utilizzati nel trattamento della congiuntivite<br />

da herpesvirus felino perché possono aumentare<br />

l’attività dei virus latenti ed esacerbare l’infezione.<br />

E il futuro?<br />

1. Numerosi farmaci si sono dimostrati efficaci nei confronti<br />

dell’herpesvirus felino in vitro, ma non sono ancora sta-<br />

ti testati in vivo, né mediante prove cliniche. Rientrano fra<br />

questi agenti:<br />

• Ganciclovir<br />

• Cidofovir<br />

• Pencicolvir<br />

2. L-lisina. Studi preliminari dimostrano che la L-lisina<br />

somministrata per os (500 mg, due volte al giorno) può<br />

essere efficace per il trattamento dell’herpesvirus felino. Il<br />

farmaco inibisce la replicazione virale mediane la competizione<br />

con l’arginina.<br />

3. Interferon - esistono segnalazioni secondo le quali il farmaco<br />

(somministrato per via orale o topica) può costituire<br />

un trattamento efficace.<br />

IL TRATTAMENTO NEUROPROTETTIVO<br />

NEL GLAUCOMA<br />

Oggi si riconosce sempre più che nella perdita progressiva<br />

della visione che caratterizza il glaucoma intervengono anche<br />

dei fattori aggiuntivi, oltre all’aumento della IOP. Tali fattori<br />

possono essere la ragione per cui in molti pazienti normotesi<br />

si sviluppa una neuropatia glaucomatosa e possono spiegare<br />

perché in altri pazienti la perdita della visione progredisca<br />

anche dopo che la IOP è stata abbassata con successo. In<br />

molti disordini neurologici come l’ictus, l’ipoglicemia, il<br />

trauma e l’epilessia è stata osservata una patogenesi simile<br />

del danno assonale, che progredisce anche dopo che l’insulto<br />

è stato alleviato. Si vanno raccogliendo sempre più prove del<br />

fatto che in queste ed altre malattie il danno assonale progressivo<br />

sia la conseguenza di una degenerazione secondaria.<br />

È stato ipotizzato che gli assoni danneggiati dall’insulto iniziale<br />

rilascino varie sostanze nelle loro immediate circostanze.<br />

La presenza localizzata di elevate concentrazioni di queste<br />

sostanze determina un microambiente ostile. Gli assoni<br />

adiacenti, che non erano stati danneggiati dall’evento patologico<br />

iniziale, vanno incontro ad una degenerazione secondaria<br />

conseguente al fatto di essere immersi in questo ambiente<br />

tossico. Ciò determina un “effetto domino” per cui, nel caso<br />

del glaucoma, gli assoni del nervo ottico continuano a degenerare<br />

anche dopo la IOP è stata abbassata con successo,<br />

determinando un’ulteriore perdita della visione.<br />

Nella ricerca dei mediatori della degenerazione secondaria,<br />

gran parte dell’attenzione è stata focalizzata sul ruolo del<br />

glutammato, un aminoacido che normalmente funziona da<br />

neurotrasmettitore eccitatorio nel sistema nervoso centrale.<br />

Tuttavia, in seguito ad un danno neuronale, si ha un rilascio<br />

di glutammato intracellulare da parte degli assoni danneggiati<br />

nelle zone immediatamente circostanti. L’aumento<br />

locale della concentrazione di glutammato che ne deriva provoca<br />

un’iperstimolazione dei recettori NMDA-glutammato<br />

nei neuroni vicini (non danneggiati). Questa stimolazione<br />

(excitotossicità) a sua volta porta ad un aumento dell’afflusso<br />

di calcio, dando così il via ad una cascata enzimatica<br />

intracellulare che progredisce verso l’apoptosi e la morte<br />

della cellula stessa. Pertanto, ne deriva che i composti che<br />

inibiscono il glutammato possono rallentare o arrestare la<br />

cascata della degenerazione secondaria e proteggere gli<br />

assoni vicini, non danneggiati. Questo approccio terapeutico,<br />

noto come neuroprotezione, viene attualmente studiato


200 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

in numerosi disordini neurologici acuti e cronici. Alcuni<br />

composti neuroprotettori si trovano in stadi avanzati di valutazione<br />

nell’uomo.<br />

Vi sono sempre più prove che indicano che il glutammato<br />

svolge anche un ruolo importante nella progressione della<br />

neuropatia ottica e nella perdita della visione nei pazienti<br />

glaucomatosi e che questo danno può venire attenuato dagli<br />

antagonisti dei recettori del glutammato. Livelli elevati di<br />

quest’ultimo sono stati dimostrati nei ratti con lesione parziale<br />

del nervo ottico. L’inibizione dei recettori NMDA-glutammato,<br />

mediante memantina, è esitata nella diminuzione<br />

della degenerazione secondaria e nella protezione del nervo<br />

ottico. Un’ulteriore prova del ruolo tossico del glutammato<br />

nella neuropatia ottica è stata data dall’iniezione intravitreale<br />

di glutammato in topi e ratti. Queste iniezioni hanno determinato<br />

un danno similglaucomatoso a carico della retina e<br />

del nervo ottico, che anche in questo caso era possibile prevenire<br />

mediante memantina. Il ruolo del glutammato nella<br />

neuropatia ottica non è limitato al danno nervoso indotto.<br />

Elevati livelli di glutammato sono stati dimostrati nel corpo<br />

vitreo di conigli, cani e pazienti umani con glaucoma. Quindi,<br />

è necessario sottoporre a verifica l’impiego dei farmaci<br />

neuroprotettori nei pazienti glaucomatosi. Ovviamente, non<br />

ci si deve aspettare che questi agenti siano in grado di ripristinare<br />

la visione che era andata perduta prima dell’inizio del<br />

trattamento. Tuttavia, ci si augura che la terapia con neuroprotettori<br />

impedisca (o diminuisca) il danno a carico di ulteriori<br />

fibre del nervo ottico e quindi arresti (o rallenti) la progressiva<br />

perdita della visione che costituisce il vero flagello<br />

del glaucoma.<br />

FANTASCIENZA? RESTITUIRE LA VISTA<br />

AL PAZIENTE CIECO<br />

Sono in via di sviluppo parecchi approcci per restituire la<br />

visione ai pazienti ciechi. Tali approcci hanno portato a<br />

risultati promettenti nei soggetti colpiti da malattie (eredita-<br />

rie) della retina esterna. Di conseguenza, potrebbero potenzialmente<br />

venire utilizzati per restituire la vista ai soggetti<br />

colpiti da PRA (PRCD), cecità notturna stazionaria congenita,<br />

ecc…<br />

Sono in corso di valutazione due approcci terapeutici. Il<br />

primo è basato sul ripristino della funzione dei fotorecettori<br />

rimpiazzando il gene difettivo. Ciò si può effettuare<br />

mediante metodi di ingegneria genetica che coinvolgono<br />

l’inserzione del gene perduto in un virus modificato e la sua<br />

inoculazione a livello sottoretinico. Questi studi sono stati<br />

condotti in cani con varie forme di malattie ereditarie dei<br />

fotorecettori da parte del Dr. G. Aguirre (Cornell/Pennsylvania)<br />

e del Dr. K. Narstrom (Missouri). Gli interventi hanno<br />

restituito la vista (dimostrata sia a livello comportamentale<br />

che mediante ERG) in un gran numero di cani, con<br />

alcuni pazienti già monitorati dopo 3-4 anni dopo l’intervento.<br />

La funzione dei fotorecettori può anche venire ripristinata<br />

in seguito a iniezioni sottoretiniche di cellule staminali<br />

o membrana basale RPE.<br />

Un secondo approccio terapeutico prevede l’impiego di<br />

impianti retinici. Si tratta di elettrodi miniaturizzati che vengono<br />

impiantati sulla superficie della retina. L’elettrodo riceve<br />

gli impulsi visivi sia dai diodi sensibili alla luce che da<br />

una videocamera miniaturizzata (montata su occhiali). L’impulso<br />

visivo viene trasformato in correnti elettriche che stimolano<br />

le cellule gangliari e generano un segnale neuronale.<br />

La tecnologia si trova nei suoi stadi preliminari ed è gravemente<br />

limitata dal numero di elettrodi che è possibile<br />

impiantare (influendo così sulla risoluzione della visione),<br />

ma è già stata utilizzata nell’uomo (e nel cane!). Per maggiori<br />

dettagli si veda www.2.sight.com.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ron Ofri<br />

Koret School of Veterinary Medicine,<br />

Hebrew University of Jerusalem<br />

PO Box 12, Rehovot 76100, (ofri@agri.huji.ac.il)


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 201<br />

Un nuovo strumento terapeutico per le principali<br />

malattie da ectoparassiti nel cane e nel gatto<br />

Joy D. Olsen<br />

Med Vet, Leverkusen, Germania<br />

È stata sviluppata una nuova formulazione endectocida<br />

topica, contenente il 10% di imidacloprid e il 2,5% di moxidectina<br />

per i cani o l’1% di moxidectina per i gatti, che è stata<br />

approvata per l’impiego in molti paesi europei. La combinazione<br />

di questi principi attivi fornisce non solo la prevenzione<br />

della dirofilariosi cardiopolmonare ed il trattamento<br />

dei comuni vermi intestinali, ma anche il trattamento di<br />

malattie ectoparassitarie quali l’infestazione da pulci, l’acariasi<br />

dell’orecchio, la rogna sarcoptica e la demodicosi.<br />

L’imidacloprid appartiene ad una delle recenti classi di<br />

insetticidi, le cosiddette cloronicotinilnitroguanidine o neonicotinoidi,<br />

ed è stato il primo di questa classe ad essere stato<br />

sviluppato per l’impiego nella sanità animale. L’attività<br />

dell’imidacloprid nei confronti delle pulci è estremamente<br />

rapida e potente e gli effetti letali sono mediati dal contatto<br />

e dalla penetrazione del composto attraverso le membrane<br />

intersegmentali delle pulci. La rapida eliminazione delle<br />

pulci mediante contatto è di particolare beneficio negli animali<br />

da compagnia che soffrono di dermatite allergica da<br />

pulci (DAP) e l’imidacloprid è stato registrato come parte<br />

della strategia di trattamento della DAP. Oltre alla rapida e<br />

potente attività adulticida nei confronti delle pulci presenti<br />

su cani e gatti, l’imidacloprid ha dimostrato di possedere<br />

anche una significativa attività larvicida, sia in studi in laboratorio<br />

che in studi in ambienti domestici simulati. Le larve<br />

di pulce nell’ambiente circostante gli animali vengono uccise<br />

dopo il contatto con un animale trattato con imidacloprid;<br />

ciò è importante, poiché gli stadi immaturi presenti nell’ambiente<br />

costituiscono un serbatoio per la reinfestazione. L’esposizione<br />

delle larve a minime quantità di imidacloprid si<br />

traduce in una marcata riduzione delle popolazioni di pulci<br />

in via di sviluppo, rispetto ad ambienti in cui vivono animali<br />

non trattati, coadiuvando pertanto l’ulteriore interruzione<br />

del ciclo di vita delle pulci e riducendo rapidamente il livello<br />

d’infestazione delle pulci. È inoltre stato dimostrato che<br />

l’imidacloprid possiede un’attività nei confronti dei pidocchi<br />

pungitori (Trichodectes canis) e dei pidocchi succhiatori<br />

(Linognathus setosus) sui cani.<br />

Dopo applicazione cutanea della formulazione spot-on<br />

imidacloprid/moxidectina, il principio attivo imidacloprid si<br />

distribuisce sulla superficie corporea e su tutto il mantello di<br />

cani e gatti. La posologia e la concentrazione di imidacloprid<br />

sono state adottate in funzione delle formulazioni topiche di<br />

imidacloprid precedentemente registrate. Per dimostrare che<br />

l’associazione dei due principi attivi non producesse alcuna<br />

interazione e che, al contrario, ciascun componente agisse<br />

come se fosse solo, sono state condotte valutazioni controllate<br />

di laboratorio e sul campo. Gli studi, che hanno utiliz-<br />

zato infestazioni settimanali da pulci in cani e gatti in confronto<br />

ad una soluzione topica contenente solo imidacloprid,<br />

hanno dimostrato livelli molto elevati di controllo delle pulci<br />

e che la presenza della moxidectina non interferisce con<br />

l’efficacia dell’imidacloprid.<br />

La soluzione imidacloprid/moxidectina è il primo prodotto<br />

per cani e gatti che contenga moxidectina in una formulazione<br />

topica. La moxidectina è un potente endectocida ad<br />

ampio spettro della classe dei lattoni macrociclici. I lattoni<br />

macrociclici sono costituiti da due gruppi strettamente imparentati:<br />

le avermectine e le milbemicine. La moxidectina è<br />

un lattone pentaciclico a 16 atomi della classe delle milbemicine<br />

ed un derivato semisintetico della nemadectina, un<br />

prodotto di fermentazione del microrganismo Streptomyces<br />

cyanogriseus noncyanogenus. Finora la moxidectina era disponibile<br />

in tutto il mondo in differenti formulazioni: orale,<br />

iniettabile e topica, per l’impiego in cani, cavalli e bestiame.<br />

Come gli altri lattoni macrociclici, la moxidectina possiede<br />

un’elevata affinità e si lega ai canali ionici glutamato-dipendenti<br />

specifici dei parassiti. Il legame con i recettori presenti<br />

sulle membrane neuronali dei nematodi e sulle membrane<br />

muscolari degli artropodi causa l’ingresso di ioni cloro nella<br />

cellula, seguito da iperpolarizzazione, paralisi e morte del<br />

parassita. Si ritiene inoltre che le milbemicine e le avermectine<br />

abbiano un’attività agonista sui complessi recettoriali<br />

dell’acido γ-aminobutirrico (GABA) del sistema nervoso<br />

periferico degli invertebrati. Poiché nei mammiferi i recettori<br />

del GABA sono limitati a sedi all’interno del sistema nervoso<br />

centrale e la barriera ematoencefalica impedisce l’ingresso<br />

di questi farmaci, i mammiferi sono solitamente protetti<br />

da qualsiasi effetto neurologico.<br />

L’ampio spettro d’attività della moxidectina include una<br />

gamma biologicamente eterogenea di parassiti di gatti e<br />

cani, compresi nematodi del tratto gastrointestinale, stadi<br />

di sviluppo di nematodi filaridi (ad es. Dirofilaria immitis)<br />

ed anche, di particolare interesse, aracnidi come gli acari.<br />

Dopo l’applicazione topica della soluzione precostituita<br />

imidacloprid/moxidectina, quest’ultima viene ampiamente<br />

assorbita attraverso il derma. La moxidectina è un composto<br />

altamente lipofilo, con un ampio volume di distribuzione<br />

e un’emivita di eliminazione più prolungata rispetto a<br />

molti altri lattoni macrociclici. Gli studi di farmacocinetica<br />

indicano che dopo applicazione topica, le concentrazioni<br />

seriche di picco della moxidectina vengono raggiunte entro<br />

1 giorno nei gatti ed entro 4-9 giorni nei cani, con emivite<br />

rispettivamente di 15 e 35 giorni circa. Questi studi hanno<br />

inoltre confermato un volume di distribuzione molto<br />

ampio, pari a 80 l/kg nei gatti e a 70 l/kg nei cani, sugge-


202 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

rendo un’ampia distribuzione della moxidectina nei tessuti.<br />

L’estesa distribuzione tissutale e la prolungata emivita di<br />

eliminazione, osservate con l’applicazione della formulazione<br />

topica, forniscono una prolungata attività nei confronti<br />

dei parassiti bersaglio. Le dosi di moxidectina, nelle<br />

formulazioni per cani (2,5%) e per gatti (1%), sono state<br />

determinate mediante numerosi studi di dose-risposta condotti<br />

con differenti concentrazioni di moxidectina aggiunte<br />

alla formulazione al 10% di imidacloprid e in funzione delle<br />

differenti caratteristiche delle specie.<br />

Oltre al trattamento ed alla prevenzione delle infestazioni<br />

da pulci, la soluzione spot-on imidacloprid/moxidectina è<br />

registrata per il trattamento di varie infestazioni da acari,<br />

comprese le acariasi dell’orecchio (Otodectes cynotis) in<br />

cani e gatti, nonché la rogna sarcoptica (Sarcoptes scabiei<br />

var. canis) e la demodicosi (Demodex canis) nei cani. Per<br />

valutare l’efficacia nelle infestazioni da acari dell’orecchio<br />

nei gatti, sono stati condotti tre studi indipendenti di laboratorio<br />

ed uno sul campo, in 30 ambulatori tra Francia e Germania<br />

secondo le linee guida VICH. In tutti gli studi, due<br />

trattamenti mensili consecutivi sono risultati efficaci nel<br />

guarire tutti i gatti colpiti da infestazioni da Otodectes cynotis,<br />

come valutato 22 giorni dopo il secondo trattamento<br />

(Giorno di studio +50). Mentre per un’elevata percentuale di<br />

gatti (≥ 80%) è stata osservata una risoluzione delle infestazioni<br />

da acari dell’orecchio dopo un trattamento mensile,<br />

alcuni gatti possono richiedere un’ulteriore applicazione. In<br />

uno studio di laboratorio simile, condotto nei cani, l’efficacia<br />

dopo un unico trattamento è risultata pari al 98,3%, mentre<br />

dopo due trattamenti a distanza di quattro settimane è<br />

risultata del 98%. In uno studio multicentrico sul campo<br />

condotto in Europa, un solo trattamento o due trattamenti<br />

mensili hanno prodotto nei cani trattati una percentuale di<br />

guarigione parassitologica pari all’86,7%.<br />

Uno studio di laboratorio controllato, effettuato per valutare<br />

l’efficacia della soluzione topica imidacloprid/moxidectina<br />

nel trattamento della rogna sarcoptica in cani infestati<br />

naturalmente, ha dimostrato una percentuale di guarigione<br />

parassitologica del 100% nei cani trattati con due<br />

trattamenti a distanza di 28 giorni, con una tendenza verso<br />

una più rapida e migliorata risposta nella risoluzione dei<br />

segni clinici, rispetto al gruppo di controllo trattato con<br />

selamectina. I risultati dello studio di laboratorio sono stati<br />

confermati da una sperimentazione multicentrica randomizzata<br />

controllata, condotta in Francia, Germania, Gran<br />

Bretagna e Albania, in cui la soluzione imidacloprid/moxidectina,<br />

applicata due volte (a distanza di quattro settimane),<br />

è risultata altamente efficace nella risoluzione delle<br />

infestazioni da Sarcoptes scabiei var. canis nei cani trattati<br />

ed ha prodotto una risoluzione pressoché completa dei<br />

sintomi clinici entro 50-64 giorni dopo l’inizio del trattamento.<br />

Il 100% dei cani non ha presentato alcuna evidenza<br />

di acari Sarcoptes il Giorno 56 (±2 giorni) dopo l’inizio del<br />

trattamento.<br />

Il trattamento della demodicosi canina è stato valutato per<br />

la prima volta in uno studio di laboratorio condotto in sud<br />

Africa in cani affetti da grave demodicosi generalizzata. In<br />

seguito ai risultati incoraggianti della riduzione del numero di<br />

acari grazie all’impiego di un numero di applicazioni mensili<br />

fino a quattro, è stato condotto uno studio multicentrico randomizzato<br />

in cieco, in condizioni di campo europee. I cani<br />

arruolati nello studio erano affetti da demodicosi generalizzata<br />

e sono stati trattati con la soluzione topica imidacloprid/<br />

moxidectina o con la milbemicina ossima orale, alla posologia<br />

di 0,5–2,0 mg/kg di peso corporeo al giorno. Sono stati<br />

monitorati la presenza di acari nei raschiati cutanei ed i<br />

miglioramenti clinici ad intervalli di 4 settimane, fino a sei<br />

volte. Nel gruppo trattato con moxidectina topica, ciascun<br />

cane ha ricevuto da due a quattro trattamenti mensili, mentre<br />

nel gruppo di controllo, i cani hanno ricevuto da due a quattro<br />

periodi di 28 giorni di trattamenti giornalieri con milbemicina.<br />

Il trattamento è stato interrotto in tutti i cani dopo il conseguimento<br />

di due raschiati cutanei negativi consecutivi oppure<br />

dopo il Giorno 84. Al termine dello studio, non è stato possibile<br />

rilevare alcun acaro in 26 su 30 cani trattati con imidacloprid/moxidectina<br />

spot-on e in 29 su 33 cani trattati con milbemicina<br />

ossima orale. Globalmente, il trattamento con la formulazione<br />

imidacloprid/moxidectina è risultato altamente<br />

comodo ed efficace in termini di costo per la demodicosi<br />

generalizzata, rispetto alla terapia orale.<br />

Bibliografia<br />

Arther RG, Bowman DD, McCall JW, Hansen O, Young DR, (2003), Feline<br />

Advantage Heart (imidacloprid and moxidectin) Topical Solution<br />

as monthly treatment for prevention of heartworm infection<br />

(Dirofilaria immitis) and control of fleas (Ctenocephalides felis) on<br />

cats, Parasitol Research, 90: S137-S139.<br />

Fourie LJ, Kok DJ, Heine J, (2003), Evaluation of the efficacy of imidacloprid<br />

10%/moxidectin 1% spot-on against Otodectes cynotis in cats,<br />

Parasitol Research, 90: S112-S113.<br />

Fourie LJ, Du Rand C, Heine J, (2003), Evaluation of the efficacy of imidacloprid<br />

10%/moxidectin 2.5% spot-on against Sarcoptes scabiei<br />

var canis on dogs, Parasitol Res, 90: S135-S136.<br />

Fourie LJ, Heine J, April 2005, Evaluation of the efficacy of Advocate<br />

(moxidectin 2.5% and imidacloprid 10%) spot-on for the treatment of<br />

generalized demodicosis in dogs, Proc 6th Intern Ectoparasite Symp,<br />

BSAVA Congress, Birmingham UK, published by UK-Vet Publications,<br />

p. 32-36.<br />

Hanson I, Mencke N, Asskildt H, Ewald-Hamm D, Dorn H, (<strong>19</strong>99), Field<br />

study on the insecticidal efficacy of Advantage against natural infestations<br />

of dogs with lice, Parasitol Res, 85: 347-348.<br />

Heine J, Krieger K, Dumont P, Hellmann K, (2005), Evaluation of the efficacy<br />

and safety of imidacloprid 10% plus 2.5% spot-on in the treatment<br />

of generalized demodicosis in dogs: results of a European field<br />

study, Parasitol Research, 97: S89-S96.<br />

Krämer F, Mencke N, 2001, Imidacloprid In Flea Biology and Control,<br />

Springer-Verlag. Berlin, Germany.<br />

Krieger K, Heine J, Dumont P, Hellmann K, (2005), Efficacy and safety of<br />

imidacloprid 10% plus moxidectin 2.5% spot-on in the treatment of<br />

sarcoptic mange and otoacariosis in dogs: results of a European field<br />

study, Parasitol Research, 97: S81-S88.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 203<br />

La valutazione della funzione cardiaca attraverso i<br />

test neurormonali: uso corrente e future applicazioni<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

La valutazione della funzione cardiaca nel cane si effettua<br />

tipicamente mediante elettrocardiografia, radiografia ed ecocardiografia.<br />

Questi test sono relativamente costosi, richiedono<br />

tempo e, nel caso dell’ecocardiografia, necessitano di<br />

apparecchiature ed esperienza che spesso non sono facilmente<br />

disponibili. Per gli organi di altri apparati, come il fegato o<br />

i reni, si utilizzano dei marcatori biochimici che contribuiscono<br />

a determinarne la funzionalità (ad es., ALT ed azotemia) e<br />

forniscono un mezzo rapido, relativamente non invasivo ed<br />

economico, per diagnosticare e monitorare le malattie nel<br />

cane e nel gatto. Sino a non molto tempo fa, per il cuore mancavano<br />

analoghi test ematochimici. Nell’uomo, per contribuire<br />

alla diagnosi dell’infarto miocardico acuto sono stati impiegati<br />

parecchi enzimi cardiaci, ed in particolare la creatina chinasi,<br />

la mioglobina e la latticodeidrogenasi. Sfortunatamente,<br />

queste sostanze sono prive di sensibilità e specificità sufficienti<br />

a consentirne con successo l’applicazione clinica nel<br />

cane. Nell’ultimo decennio, è stata sviluppata una nuova<br />

generazione di marcatori cardiaci e neurormonali. Tali marcatori<br />

hanno trovato impiego in medicina umana, non solo per<br />

l’infarto miocardico, ma anche nell’ambito dell’insufficienza<br />

cardiaca cronica. I dati emergenti indicano che è possibile utilizzare<br />

per la valutazione clinica dei cani con cardiopatia fino<br />

a tre differenti marcatori cardiaci biochimici. Tali marcatori, il<br />

peptide natriuretico atriale (ANP), il peptide natriuretico di<br />

tipo B (BNP) e la troponina-I (TnI) possono offrire ai clinici<br />

utili informazioni circa la probabilità dell’insufficienza cardiaca<br />

congestizia, l’identificazione di malattie asintomatiche<br />

(occulte) e la gravità del danno sottostante subito dal tessuto<br />

miocardico. L’autore ed altri cardiologi sono ottimisti nel ritenere<br />

che questi test finiranno per diventare disponibili su vasta<br />

scala, essere utilizzati di routine e risultare dei mezzi clinicamente<br />

utili per la valutazione della cardiopatia nel cane.<br />

Peptide natriuretico atriale<br />

L’attività biologica dell’ANP serve a controbilanciare<br />

quella del sistema renina-angiotensina-aldosterone, nella<br />

misura in cui promuove la vasodilatazione e la natriuresi.<br />

L’ANP viene prodotto dalle cellule del miocardio atriale in<br />

risposta ad un aumento della pressione atriale e del conseguente<br />

stiramento, che si verificano frequentemente durante<br />

l’insufficienza cardiaca congestizia. Quindi, l’applicazione<br />

clinica dell’ANP fa riferimento soprattutto al suo ruolo<br />

come marcatore dell’insufficienza cardiaca congestizia provocato<br />

dagli innalzamenti della pressione atriale. In uno studio<br />

nel corso del quale sono stati presi in esame cani che era-<br />

no stati portati alla visita presso l’ospedale perché presentavano<br />

delle difficoltà respiratorie, l’ANP ha mostrato una<br />

buona sensibilità e specificità per prevedere l’insufficienza<br />

cardiaca come causa primaria della dispnea (differenziandola<br />

da altre cause non cardiache come la polmonite, la neoplasia<br />

e la bronchite cronica). 1 È stato sviluppato un kit ANP<br />

ELISA commerciale destinato specificamente all’impiego<br />

nel cane (Vetsign TM , Guildhay Ltd, Surrey, UK). L’autore<br />

considera l’ANP un mezzo utile per contribuire a diagnosticare<br />

l’insufficienza cardiaca congestizia e, forse, monitorare<br />

l’efficacia del trattamento. Dal momento che non si ha un<br />

rilascio sostanziale di ANP fino ad una fase relativamente<br />

tardiva del decorso della malattia, 2 l’ANP non sembra utile<br />

per rilevare la cardiopatia occulta nei pazienti asintomatici.<br />

Impieghi correnti della determinazione dell’ANP<br />

• Contribuire a diagnosticare l’insufficienza cardiaca congestizia<br />

nel cane<br />

Impieghi potenziali della determinazione dell’ANP<br />

• Contribuire a diagnosticare l’insufficienza cardiaca congestizia<br />

nel gatto<br />

• Monitorare la risposta al trattamento<br />

• Formulare la prognosi<br />

Circostanze in cui è improbabile che il test ANP risulti utile<br />

• Identificazione degli stadi iniziali della cardiopatia<br />

Peptide natriuretico di tipo B<br />

Il BNP è simile al ANP, in quanto promuove la vasodilatazione<br />

e la natriuresi. Il BNP viene prodotto sia dal tessuto<br />

muscolare atriale che da quello ventricolare in risposta allo<br />

stiramento o all’aumento dello stress della parete. La sua<br />

misurazione (BNP test) è diventata un mezzo utile ed ampiamente<br />

utilizzato nei pazienti umani con cardiopatia. Due test<br />

di misurazione del BNP per uso umano sono approvati per<br />

l’identificazione dell’insufficienza cardiaca congestizia.<br />

Inoltre, questi test vengono utilizzati come strumento prognostico<br />

e come guida per ottimizzare la terapia nei singoli<br />

pazienti. L’autore ritiene che il BNP-test troverà un’applicazione<br />

analoga nei cani e nei gatti con cardiopatia. Gli studi<br />

condotti nel cane rivelano che il BNP è elevato in proporzione<br />

alla gravità della malattia e viene anche identificato in<br />

una fase relativamente precoce del suo decorso. 3,4 L’autore<br />

ha portato a termine uno studio che ha indicato che in una<br />

popolazione di 118 cani il BNP-test è stato in grado di iden-


204 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

tificare la malattia occulta con una sensibilità del 95% e una<br />

specificità del 62% e che, da questo punto di vista, il BNP<br />

era superiore sia all’ANP che al TnI. 5 Questo riscontro suggerisce<br />

che il BNP possa essere utile come test di screening<br />

nei cani con malattia occulta. Inoltre, nell’uomo il BNP è un<br />

valido indicatore dell’esito clinico, dal momento che livelli<br />

più elevati consentono di prevedere una prognosi più sfavorevole,<br />

e gli autori stanno attualmente valutando il BNP<br />

come indicatore prognostico nei cani con stenosi subaortica<br />

o con miocardiopatia. I test immunometrici per la determinazione<br />

del BNP nell’uomo, disponibili in commercio, non<br />

danno origine a reazione crociata con il BNP del cane e il<br />

BNP-test in questa specie animale è stato tipicamente condotto<br />

utilizzando una procedura radioimmunometrica relativamente<br />

grezza e che richiede un notevole carico di lavoro.<br />

I nuovi BNP-test specifici per il cane e basati sul metodo<br />

ELISA potranno essere in grado di ridurre le difficoltà tecniche<br />

e migliorare la precisione e l’accuratezza del saggio.<br />

L’autore collabora allo sforzo per sviluppare dei BNP-test<br />

basati sul metodo ELISA e destinati all’impiego commerciale<br />

nel cane e nel gatto.<br />

Impieghi attuali del BNP-test<br />

• Uomo: diagnosi, prognosi, risposta al trattamento<br />

• Medicina veterinaria: non esistono test approvati<br />

Impieghi potenziali del BNP-test sulla base degli studi condotti<br />

in medicina veterinaria<br />

• Differenziazione della dispnea cardiaca da quella non cardiaca<br />

nel cane<br />

• Identificazione della miocardiopatia occulta nel cane<br />

Troponina-I cardiaca<br />

La TnI cardiaca contribuisce a regolare le interazioni fra<br />

actina e miosina insieme alla troponina C ed alla troponina-<br />

T. La TnI inibisce l’interazione fra i filamenti fino a che il<br />

complesso troponinico è legato agli ioni calcio, al che ha inizio<br />

la contrazione. Il danneggiamento della cellula miocardica<br />

provoca la distruzione dell’unità funzionale actina-miosina-troponina<br />

e la TnI viene rilasciata nel citoplasma e passa<br />

nella circolazione generale attraverso il sarcolemma danneggiato<br />

delle cellule. La maggior parte della TnI che viene<br />

rilasciata nei pazienti umani è complessata con la troponina<br />

C o la troponina C e T. Nell’uomo, la TnI è un indicatore<br />

altamente sensibile e specifico del danno subito dal muscolo<br />

cardiaco e costituisce attualmente lo standard aureo fra i<br />

test di laboratorio per l’infarto miocardico. Un danno miocardico<br />

di basso livello dovuto ad altre cause, come un’affezione<br />

miocardica o valvolare, provoca il rilascio di TnI rilevabile<br />

quando si utilizzano TnI-test altamente sensibili. Fortunatamente,<br />

esiste una sufficiente omologia fra la TnI dell’uomo<br />

e quella del cane, per cui i saggi automatizzati per<br />

uso umano funzionano bene anche con il plasma canino. 6<br />

L’autore e altri hanno descritto l’incremento delle concentrazioni<br />

di TnI nei cani colpiti da una varietà di malattie quali<br />

miocardiopatia dilatativa (DCM), rigurgito della valvola<br />

mitrale, trauma, torsione/dilatazione dello stomaco, miocardite<br />

e stenosi subaortica. 7,8 La TnI non è uniformemente elevata<br />

nei cani con cardiopatia, il che ne impedisce l’uso come<br />

test di screening nei soggetti asintomatici o come metodo<br />

diagnostico per l’insufficienza cardiaca congestizia. Come<br />

marcatore del danno e della necrosi del miocardio, la TnI<br />

può essere più adatta come indicatore prognostico nei cani<br />

che hanno subito un grave danno o come guida per la terapia<br />

ottimale. Nei cani con DCM clinicamente evidente, la concentrazione<br />

di TnI è correlata alla sopravvivenza. Rispetto a<br />

quelli con concentrazioni più basse, i soggetti con TnI elevata<br />

avevano una probabilità tre volte superiore di essere<br />

soppressi eutanasicamente o di venire a morte. 7<br />

Impieghi attuali del TnI-test<br />

• Uomo: diagnosi dell’infarto miocardico acuto<br />

• Medicina veterinaria: nessun impiego approvato<br />

Impieghi potenziali del TnI-test sulla base degli studi condotti<br />

in medicina veterinaria<br />

• Valutazione della gravità della malattia nei cani con stenosi<br />

subaortica, miocardiopatia e valvulopatia mitralica<br />

• Valutazione della gravità della malattia nei gatti con miocardiopatia<br />

• Indicatore prognostico nei cani con miocardiopatia<br />

• Monitoraggio della risposta al trattamento<br />

• Valutazione del danno cardiaco dovuto a malattia extracardiaca<br />

(ad es., dilatazione/torsione dello stomaco)<br />

Circostanze nelle quali è improbabile che il TnI-test risulti<br />

utile<br />

• Identificazione degli stadi precoci della cardiopatia<br />

• Differenziazione delle cause cardiache di dispnea da quelle<br />

non cardiache<br />

Bibliografia<br />

1. Prosek R, Sisson D, Oyama M, et al. Use of plasma ANP, BNP, endothelin-1<br />

and troponin-I levels in distinguishing between cardiac and<br />

non-cardiac causes of acute dyspnea in dogs [abstract]. J Vet Intern<br />

Med 2004;18(3):404.<br />

2. Haggstrom J, Hansson K, Karlberg BE, et al. Plasma concentration of<br />

atrial natriuretic peptide in relation to severity of mitral regurgitation in<br />

Cavalier King Charles Spaniels. Am J Vet Res <strong>19</strong>94;55(5):698-703.<br />

3. MacDonald KA, Kittleson MD, Munro C, et al. Brain natriuretic peptide<br />

concentrations in dogs with heart disease and congestive heart<br />

failure. J Vet Intern Med 2003;17:172-177.<br />

4. Asano K, Masuda K, Okumura M, et al. Plasma atrial and brain<br />

natriuretic peptides levels in dogs with congestive heart failure. J Vet<br />

Med Sci <strong>19</strong>99;61(5):523-529.<br />

5. Oyama MA, Sisson DD, Solter PF. Prospective screening for occult<br />

canine dilated cardiomyopathy using B-type and atrial natriuretic<br />

peptide and cardiac troponin-I [abstract]. J Vet Intern Med<br />

2005;<strong>19</strong>(3):in press.<br />

6. Oyama MA, Solter PF. Validation of an immunoassay for measurement<br />

of canine cardiac troponin I. J Vet Cardiol 2004;6:15-22.<br />

7. Oyama MA, Sisson DD. Cardiac troponin-I concentration in dogs<br />

with cardiac disease. J Vet Intern Med 2004;18(6);831-839.<br />

8. Schober KE, Cornand C, Kirbach B, et al. Serum cardiac troponin I<br />

and cardiac troponin T concentrations in dogs with gastric dilatationvolvulus.<br />

J Am Vet Med Assoc 2002;2<strong>21</strong>(3):381-388.<br />

Dichiarazione circa il conflitto di interessi<br />

Il Dr. Oyama presta consulti a pagamento per la IDEXX<br />

Inc., Portland, ME, USA<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Mark A. Oyama - University of Pennsylvania<br />

3850 Spruce St. Philadelphia, PA <strong>19</strong>104<br />

maoyama@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 205<br />

Insufficienza mitralica cronica:<br />

come, quando e perché trattarla<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

La valvulopatia mitralica degenerativa (DMVD, degenerative<br />

mitral valve disease) è la più comune malattia del cane<br />

adulto. Un problema clinico frequente è decidere come,<br />

quando e perché trattare i soggetti colpiti. In questa presentazione<br />

basata su casi clinici, verranno illustrati i dilemmi che<br />

si riscontrano più comunemente e i partecipanti interverranno<br />

nell’analisi dei problemi, apprendendo quale sia il modo<br />

migliore per applicare le loro capacità cliniche e come utilizzare<br />

le nuove informazioni fornite circa questa malattia.<br />

Problema clinico n°1: il vecchio cane di<br />

piccola taglia con la tosse.<br />

Caratteristiche cliniche tipiche: un cane di piccola taglia<br />

con anamnesi di tosse ed occasionali segni respiratori, soffio<br />

mitralico moderato o forte all’esame clinico, suoni polmonari<br />

aspri, tosse facilmente suscitabile alla palpazione tracheale.<br />

Dilemma clinico: insufficienza cardiaca o malattia respiratoria<br />

primaria?<br />

Domande cliniche alle quali rispondere:<br />

• Cosa ci dice l’intensità del soffio circa la probabilità di<br />

un’insufficienza cardiaca?<br />

• Come possiamo determinare se un quadro polmonare<br />

interstiziale sia rappresentativo di insufficienza cardiaca o<br />

di pneumopatia primaria?<br />

• Per formulare la diagnosi corretta è necessario un ECG o<br />

un’ecografia cardiaca?<br />

• Se si sospetta un’insufficienza cardiaca, che trattamento<br />

bisogna somministrare?<br />

• Esistono dei test da eseguire su campioni di sangue che<br />

possano contribuire a differenziare un’insufficienza cardiaca<br />

dalla malattia respiratoria?<br />

• Cosa dobbiamo fare se non è possibile differenziare le due<br />

condizioni?<br />

Problema clinico n°2: Trattare o non trattare?<br />

Caratteristiche cliniche tipiche: cane con un forte soffio<br />

mitralico che risulta asintomatico<br />

Dilemma clinico: devo trattare questo cane? E se sì, con<br />

quali farmaci?<br />

Domande cliniche alle quali rispondere:<br />

• Quanti cani con un soffio finiranno per manifestare un’insufficienza<br />

cardiaca?<br />

• Come posso stabilire il grado e la gravità della malattia?<br />

• Esistono farmaci che rallentano la progressione della<br />

degenerazione mitralica?<br />

• Esistono farmaci che ritardano l’insorgenza dell’insufficienza<br />

cardiaca?<br />

• Se scelgo di non trattare a questo punto, quando dovrò<br />

rivalutare questo paziente?<br />

• Se scelgo di non trattare a questo punto, quali riscontri<br />

futuri mi spingeranno a riprendere in considerazione questa<br />

decisione?<br />

Problema clinico n°3: Fibrillazione atriale<br />

Caratteristiche cliniche tipiche: cane con grave valvulopatia<br />

mitralica, anamnesi di insufficienza cardiaca congestizia<br />

e fibrillazione atriale<br />

Dilemma clinico: Come devo trattare questo cane?<br />

Domande cliniche alle quali rispondere:<br />

• Qual è l’impatto della fibrillazione atriale sulla funzione<br />

cardiaca e sull’insufficienza cardiaca?<br />

• Possono ripristinare il ritmo sinusale in questo paziente?<br />

• Quali farmaci devo utilizzare per trattare la fibrillazione<br />

atriale?<br />

• Come posso monitorare la risposta alla terapia?<br />

• L’esecuzione di un monitoraggio di 24 ore (Holter) ha<br />

qualche valore?<br />

Problema clinico n°4: malattia grave che<br />

non risponde più al trattamento<br />

Caratteristiche cliniche tipiche: cane con grave valvulopatia<br />

mitralica, frequenti episodi di insufficienza cardiaca congestizia<br />

che non rispondono più al trattamento convenzionale.<br />

Dilemma clinico: Come devo trattare questo cane?<br />

Domande cliniche alle quali rispondere:<br />

• Perché i cani diventano refrattari al trattamento?<br />

• Ho davvero sfruttato al massimo la terapia convenzionale?<br />

• Se sì, ci sono altri farmaci che possono contribuire a risolvere<br />

l’insufficienza cardiaca?<br />

• Come devo utilizzare questi nuovi agenti?<br />

• Come devo monitorare la risposta alla terapia?<br />

• Quali sono i potenziali effetti indesiderati legati all’impiego<br />

di questi farmaci?<br />

• Ci sono farmaci extracardiaci che si possano utilizzare per<br />

trattare la perdita di peso cronica e lo scarso appetito?<br />

Letture consigliate e bibliografia<br />

Gry Moesgaard S et al. Neurohormonal and circulatory effects of short-term<br />

treatment with enalapril and quinapril in dogs with asymptomatic<br />

mitral regurgitation. J Vet Int Med 2005:<strong>19</strong>:712-7<strong>19</strong>.<br />

Haggstrom J et al. New insights into degenerative valve disease in dogs. Vet<br />

Clin North Amer Sm Ani Pract 2004:34:1209-1226.<br />

Smith PJ et al. Efficacy and safet of pimobendan in canine heart failure caused<br />

by myxomatous mitral valve disease. J Small Anim Pract.<br />

2005;46(3):1<strong>21</strong>-30.<br />

Olsen LH et al. Early echocardiographic predictors of myxomatous mitral<br />

valve disease in dachshunds. Vet Rec. 2003;152(10):293-7.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Mark A. Oyama - University of Pennsylvania<br />

3850 Spruce St. Philadelphia, PA <strong>19</strong>104<br />

maoyama@vet.upenn.edu


206 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Utilità dell’impiego della metodica Doppler tissutale<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

Esame Doppler tissutale<br />

La metodica Doppler tissutale (TDI, tissue Doppler imaging)<br />

esamina il movimento del tessuto cardiaco. Il movimento miocardico,<br />

in confronto a quello del flusso ematico, rimanda<br />

segnali di ampiezza elevata e bassa velocità. Attraverso l’impiego<br />

di filtri selettivi, le regolazioni disponibili sulle moderne<br />

unità ecografiche consentono di ottimizzare gli studi TDI. La<br />

struttura più comunemente presa in esame con questa metodica<br />

è l’anello della valvola mitrale. La velocità dell’anello rappresenta<br />

la frequenza dei cambiamenti della lunghezza ventricolare<br />

durante lo riempimento diastolico. La TDI misura la velocità<br />

anulare diastolica sia iniziale che finale (E DTI ed A DTI, rispettivamente).<br />

L’interpretazione degli studi TDI è simile a quella<br />

della velocità dell’afflusso mitralico, in quanto una scadente<br />

funzione diastolica viene rivelata da diminuzione di E DTI,<br />

aumento di A DTI e E DTI/A DTI < 1. Il movimento anulare mitrale,<br />

a differenza della velocità di afflusso mitrale, è relativamente<br />

insensibile alle variazioni del precarico. Quindi, nei casi di disfunzione<br />

diastolica moderata o avanzata, l’aumento della pressione<br />

atriale sinistra non influisce sull’equilibrio fra il movimento<br />

anulare iniziale e finale ed il valore di E DTI/A DTI rimane<br />

tipicamente < 1. Indicizzando la velocità di afflusso mitralico a<br />

quella anulare mitrale TDI-derivata, è possibile rimuovere l’effetto<br />

della funzione diastolica ventricolare dall’informazione<br />

sull’afflusso mitralico, lasciando un indice di precarico che può<br />

venire utilizzato per stimare la pressione atriale sinistra. In questo<br />

modo, la TDI offre un indice non invasivo delle pressioni di<br />

riempimento che può venire utilizzato per prendere delle decisioni<br />

cliniche relative alla presenza o assenza di insufficienza<br />

cardiaca congestizia. Recentemente, la TDI è stata usata per<br />

valutare il movimento sistolico del ventricolo sinistro e può<br />

essere più sensibile alle variazioni iniziali della funzione contrattile<br />

rispetto ai tradizionali indici di eiezione bidimensionali<br />

o in M-mode. La completa applicazione clinica della TDI è<br />

ancora da realizzare. La principale promessa di questa metodica<br />

è quella di riuscire a portare allo sviluppo di una misura rapida,<br />

facilmente ottenibile, accurata e quantitativa della funzione<br />

cardiaca diastolica, che in precedenza è mancata in ecocardiografia<br />

clinica. Oltre ad ampliare la nostra conoscenza delle<br />

anomalie diastoliche e della loro progressione durante il decorso<br />

della malattia, si può prevedere che la TDI possa contribuire<br />

a misurare l’efficacia di nuove strategie terapeutiche.<br />

Diagnostica per immagini Doppler<br />

in M-mode a codice di colore<br />

La diagnostica per immagini in M-mode a codice di colore<br />

sovrappone uno studio Doppler a codice di colore ad un<br />

esame convenzionale in M-mode, permettendo la valutazione<br />

del flusso ematico in relazione alle strutture anatomiche.<br />

La valutazione in M-mode a codice di colore dell’afflusso<br />

iniziale del sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro<br />

(afflusso mitrale iniziale), rappresenta la velocità del flusso<br />

ematico (cm/sec) lungo il tratto del ventricolo sinistro<br />

durante l’intera porzione iniziale della diastole. Questa<br />

misura della velocità di propagazione dell’afflusso mitrale,<br />

V p, è relativamente indipendente dalle pressioni di riempimento<br />

capillare e possiede una forte correlazione con il rilasciamento<br />

del ventricolo sinistro. La V p diminuisce nei<br />

pazienti con rilasciamento ventricolare scadente e si riconosce<br />

come una diminuzione del segnale in M-mode a codice<br />

di colore. Nella pratica clinica, la misurazione della V p è<br />

ostacolata da un elevato grado di variazione dell’acquisizione,<br />

della qualità e della misurazione del segnale. In uno studio,<br />

la V p non è risultata utile nei cani con rigurgito mitrale<br />

sperimentalmente indotto. In altri indagini condotte impiegando<br />

dei gatti, il rapporto fra l’afflusso mitrale iniziale e<br />

V p presentava una moderata correlazione con le pressioni<br />

telediastoliche del ventricolo sinistro.<br />

In questa relazione verranno illustrate le tecniche e le<br />

misurazioni della TDI e degli esami in M-mode a codice di<br />

colore. Verrà brevemente passato in rassegna l’impiego in<br />

queste metodiche in medicina umana. Poi se ne illustrerà<br />

l’impiego attuale in medicina veterinaria. Infine, saranno<br />

presentate le future direzioni della TDI e della metodica Mmode<br />

a codice di colore.<br />

Bibliografia<br />

1. Oyama MA. Advances in echocardiography. Vet Clin North Am<br />

Small Anim Pract 2004;35(5):1083-104.<br />

2. Oyama MA, Sisson DD, Bulmer BJ, Constable PD. Echocardiographic<br />

estimation of mean left atrial pressure in a canine model of acute<br />

mitral valve insufficiency. J Vet Int Med 2004;18(5):667-672.<br />

3. Chetboul V et al. Quantitative assessment of regional right ventricular<br />

myocardial velocities in awake dogs by Doppler tissue imaging:<br />

repeatability, reproducibility, effect of body weight and breed, and<br />

comparison with left ventricular myocardial velocities. J Vet Int Med<br />

2005;<strong>19</strong>:837-44.<br />

4. Chetboul V et al. Use of tissue Doppler imaging to confirm the diagnosis<br />

of dilated cardiomyopathy in a dog with equivocal echocardiographic<br />

findings. J Am Vet Med Assoc 2004;225:1877-80.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Mark A. Oyama<br />

University of Pennsylvania<br />

3850 Spruce St. Philadelphia, PA <strong>19</strong>104<br />

maoyama@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 207<br />

L’utilizzo dei Beta-bloccanti per la terapia<br />

della cardiomiopatia dilatativa<br />

e dell’insufficienza mitralica nel cane<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

La miocardiopatia dilatativa (DCM) è la più comune affezione<br />

miocardica che colpisce il cane. Nelle razze come il<br />

dobermann, l’alano, il boxer e l’Irish wolfhound, l’impatto<br />

della malattia è notevole. La sopravvivenza prevista dopo<br />

l’insorgenza dei segni clinici è estremamente breve, in media<br />

di soli 5 mesi, nonostante la terapia con digitale, diuretici ed<br />

inibitori dell’enzima angiotensina convertente (ACE). I betabloccanti<br />

offrono un modo nuovo per potenziare il trattamento<br />

di questa malattia. Nell’uomo, questi farmaci migliorano<br />

la frazione di eiezione più di qualsiasi altro tipo di terapia<br />

medica dell’insufficienza cardiaca. Il trattamento cronico<br />

con beta-bloccanti migliora la funzione sistolica, la tolleranza<br />

all’esercizio (in misura variabile) e la qualità della vita<br />

(in misura variabile) ed aumenta la sopravvivenza. Non è<br />

ancora stata pubblicata una valutazione mediante studi controllati<br />

con placebo dell’impiego di questi farmaci in cani<br />

con DCM ad insorgenza spontanea. Il presente lavoro illustrerà<br />

i presupposti teorici dell’impiego dei beta-bloccanti<br />

nella DCM e nella valvulopatia mitralica, i vari tipi di betabloccanti<br />

disponibili ed i risultati di una prova clinica recentemente<br />

condotta dall’autore per studiare l’uso del carvedilolo<br />

nei cani con DCM.<br />

La caratteristica principale della DCM è la progressiva<br />

perdita della funzione sistolica miocardica, per cui si potrebbe<br />

dedurre che gli agenti inotropi negativi come i beta-bloccanti<br />

possano essere utili. In realtà, per il trattamento dell’insufficienza<br />

cardiaca congestizia causata da una grave<br />

DCM si utilizzano comunemente i beta-agonisti come la<br />

dopamina e la dobutamina. Inoltre, man mano che la funzione<br />

cardiaca si deteriora, l’accentuazione dell’attività dei due<br />

sistemi neurormonali, quello renina-angiotensina-aldosterone<br />

e quello nervoso simpatico, determina una forma di compensazione<br />

aumentando la contrattilità, espandendo il volume<br />

plasmatico e mantenendo la pressione sanguigna. Quindi,<br />

l’aumentata attività del sistema nervoso simpatico fornisce<br />

un supporto al cuore insufficiente e i trattamenti che<br />

interferiscono in questa risposta sono una controindicazione.<br />

Tuttavia, oggi è chiaro che quando viene attivato cronicamente,<br />

il sistema nervoso simpatico inizia ad indurre un danno<br />

cardiaco ed accelera la progressione della malattia. La<br />

presenza cronica di elevati livelli di catecolamine circolanti<br />

è causa di necrosi e apoptosi diretta dei gliociti, rende inefficiente<br />

l’utilizzazione del substrato metabolico e determina<br />

anomalie dell’impiego del Ca 2+ intracellulare da parte del<br />

reticolo sarcoplasmatico. Per contribuire a proteggere da<br />

questi effetti, il miocita si desensibilizza, riducendo la densità<br />

dei beta-recettori sulla sua superficie, nonché disaccop-<br />

piando il complesso proteina G ed AMPc dal meccanismo<br />

recettoriale. Come conseguenza, il cuore perde la propria<br />

capacità di rispondere al supporto simpatico innato durante i<br />

momenti di aumentata necessità (esercizio). Il presupposto<br />

teorico che sta alla base dell’impiego dei beta-bloccanti è<br />

quello di interrompere questo sistema, molto simile all’effetto<br />

degli ACE inibitori sul sistema renina-angiotensinaaldosterone.<br />

Come già ricordato, l’effetto del beta-bloccaggio<br />

dei pazienti umani con DCM comporta un miglioramento<br />

della funzione sistolica, della capacità di esercizio, della<br />

qualità della vita e, più recentemente, della sopravvivenza.<br />

Inoltre, è stato dimostrato che il beta-bloccaggio diminuisce<br />

direttamente i livelli circolanti di noradrenalina, adrenalina e<br />

renina. Gli obiettivi dello studio proposto coinvolgono la tollerabilità,<br />

la funzione sistolica, i livelli neurormonali e la<br />

qualità della vita. Verrà brevemente discussa la letteratura<br />

pertinente associata a questi 4 effetti.<br />

La somministrazione di beta-bloccanti ai pazienti con funzione<br />

miocardica compromessa non è priva di rischi. L’inizio<br />

della terapia può determinare una riduzione acuta del supporto<br />

adrenergico inotropo e cronotropo, peggiorando così la<br />

funzione miocardica. La somministrazione dei beta-bloccanti<br />

di solito richiede un periodo di messa a punto di 4-8 settimane<br />

durante le quali le dosi vengono gradualmente aumentate<br />

sino a livello terapeutico. Il dosaggo di partenza del carvedilolo<br />

corrisponde tipicamente al 12% di quello che si vuole<br />

ottenere. Durante questo periodo iniziale, il 7% dei pazienti<br />

umani dimostra di non tollerare il trattamento con questo<br />

agente. In questi casi, di solito non è necessaria la sospensione<br />

completa del farmaco e il trattamento può continuare alla<br />

massima dose tollerata. Un miglioramento della tolleranza si<br />

può ottenere scegliendo un agente di terza generazione piuttosto<br />

che uno di prima o di seconda. Gli agenti di terza generazione<br />

possiedono proprietà vasoattive collaterali ed il carvedilolo<br />

mostra un lieve alfa-1 antagonismo, che esita in<br />

vasodilatazione periferica. Questa attività contribuisce a<br />

compensare il declino iniziale della funzione miocardica e<br />

può essere la ragione della sua migliorata tollerabilità. Nonostante<br />

ciò, nei pazienti umani la fase di messa a punto del<br />

dosaggio viene condotta con particolare attenzione a pressione<br />

sanguigna, sintomatologia e funzione renale. Si effettua<br />

tipicamente un aumento della posologia alla settimana, raddoppiando<br />

progressivamente il dosaggio del farmaco. I<br />

pazienti che mostrano effetti indesiderati di solito lo fanno<br />

entro le prime due o tre correzioni della dose. È stato dimostrato<br />

che la terapia con beta-bloccanti migliora costantemente<br />

o previene il deterioramento della funzione sistolica e


208 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

delle dimensioni ventricolari. Una recente metanalisi su 18<br />

prove cliniche condotte in doppio cieco e controllate con placebo<br />

relative all’uso dei beta-bloccanti nella popolazione<br />

umana ha preso in considerazione più di 55.000 pazienti con<br />

DCM ed ha rivelato un incremento medio della frazione di<br />

eiezione dal 23% al 31% (p < 10 -9 ). 1 I risultati della prova<br />

CIBIS hanno rivelato che l’accorciamento frazionale aumentava<br />

in seguito al trattamento con un beta-bloccante, il bisoprololo.<br />

1 La frazione di eiezione e l’accorciamento frazionale<br />

sono le misure più comunemente utilizzate della funzione<br />

sistolica, ma anche gli intervalli temporali della sistole<br />

migliorano dopo il trattamento con beta-bloccanti. In associazione<br />

con il miglioramento funzionale, il trattamento esita<br />

nella regressione del rimodellamento cardiaco patologico. I<br />

risultati di pool da quattro prove differenti dimostrano che le<br />

dimensioni telediastoliche e telesistoliche del ventricolo sinistro<br />

erano ridotte, rispettivamente, di un valore medio di 4,6<br />

mm e 2,9 mm. 2 Questi risultati dimostrano che l’impiego di<br />

beta-bloccanti ha la capacità di far regredire il rimodellamento<br />

instaurato, un vantaggio non ottenuto con i farmaci standard<br />

utilizzati per l’insufficienza come i diuretici e la digitale.<br />

In parecchi studi i beta-bloccanti non sono riusciti a<br />

migliorare la frazione di eiezione o le dimensioni ventricolari<br />

rispetto alle misurazioni basali, ma, in confronto ai controlli,<br />

ne hanno prevenuto il deterioramento. Questo effetto<br />

può essere utile quanto un aumento assoluto dei valori.<br />

Studi precedenti hanno rivelato risultati misti circa il livello<br />

di catecolamine circolanti dopo il trattamento con betabloccanti.<br />

Alcuni studi dimostrano che i livelli plasmatici<br />

della noradrenalina diminuiscono ed altri non mostrano<br />

alcuna variazione. 3,4 Uno studio ha evidenziato la capacità di<br />

prevenire l’aumento della noradrenalina che si è invece verificato<br />

nei controlli. La variabilità dei risultati può essere correlata<br />

al processo patologico sottostante. Woodley ha riscontrato<br />

che i livelli di noradrenalina diminuivano nei pazienti<br />

con DCM idiopatica (simile alla malattia riscontrata nel<br />

cane), ma non in quelli con DCM da arteropatia coronarica<br />

ischemica. È anche interessante notare che persino negli studi<br />

in cui il livello di noradrenalina non si è modificato, la frequenza<br />

cardiaca era significativamente più bassa dopo il trattamento<br />

e costituiva un indicatore di efficace blocco recettoriale<br />

ed antagonismo adrenergico.<br />

L’attività della renina plasmatica viene diminuita in seguito<br />

a somministrazione di beta-bloccante. 5 Questo effetto viene<br />

attribuito all’inibizione dei beta 1-recettori che influiscono<br />

sul rilascio di renina dall’apparato iuxtaglomerulare del rene<br />

o al miglioramento della perfusione renale. Gli effetti dan-<br />

nosi del sistema renina-angiotensina-aldosterone sono ben<br />

noti e comprendono la ritenzione idrica, la vasocostrizione<br />

ed il rimodellamento ventricolare patologico. Tipicamente,<br />

per prevenire l’ulteriore formazione di angiotensina II lungo<br />

l’asse renina-angiotensina-aldosterone si utilizzano gli ACE<br />

inibitori ed il valore della riduzione dell’attività plasmatica<br />

della renina è stato messo in discussione; tuttavia, esistono<br />

delle vie alternative per la conversione dell’angiotensina I in<br />

angiotensina II e la riduzione dell’attività plasmatica può<br />

contribuire a determinare una inibizione più completa di<br />

questo sistema.<br />

Durante il trattamento con beta-bloccanti il peptide natruiretico<br />

atriale (ANP) è elevato. Questi aumenti possono essere<br />

dovuti ad un calo della sua escrezione o ad una riduzione<br />

degli effetti inibitori della stimolazione adrenergica sul suo<br />

rilascio. Gli effetti fisiologici dell’ANP contrastano quelli<br />

del sistema renina-angiotensina-aldosterone e del sistema<br />

nervoso simpatico, e possono servire a spiegare alcuni degli<br />

effetti salutari dei beta-bloccanti.<br />

Bibliografia<br />

1. Lechat P, Escolano S, Golmard JL, et al. Prognostic value of bisoprolol-induced<br />

hemodynamic effects in heart failure during the Cardiac<br />

Insufficiency BIsoprolol Study (CIBIS). Circulation <strong>19</strong>97; 96:<br />

2<strong>19</strong>7-2205.<br />

2. Sanderson JE, Chan SK, Yip G, et al. Beta-blockade in heart failure:<br />

a comparison of carvedilol with metoprolol. J Am Coll Cardiol<br />

<strong>19</strong>99;34:1522-1528.<br />

3. Effects of metoprolol CR in patients with ischemic and dilated cardiomyopathy<br />

: the randomized evaluation of strategies for left ventricular<br />

dysfunction pilot study. Circulation 2000;101:378-384.<br />

4. Krum H, Sackner-Bernstein JD, Goldsmith RL, et al. Double-blind,<br />

placebo-controlled study of the long-term efficacy of carvedilol in<br />

patients with severe chronic heart failure. Circulation <strong>19</strong>95;92:1499-<br />

1506.<br />

5. Sabbah HN, Shimoyama H, Kono T, et al. Effects of long-term monotherapy<br />

with enalapril, metoprolol, and digoxin on the progression of<br />

left ventricular dysfunction and dilation in dogs with reduced ejection<br />

fraction. Circulation <strong>19</strong>94;89:2852-2859.<br />

6. Woodley SL, Gilbert EM, Anderson JL, et al. Beta-blockade with<br />

bucindolol in heart failure caused by ischemic versus idiopathic dilated<br />

cardiomyopathy. Circulation <strong>19</strong>91;84:2426-2441.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Mark A. Oyama<br />

University of Pennsylvania<br />

3850 Spruce St. Philadelphia, PA <strong>19</strong>104<br />

maoyama@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 209<br />

Strategie e complicazioni nel trattamento<br />

delle fratture negli animali in accrescimento<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

L’osso negli animali immaturi è biomeccanicamente, anatomicamente<br />

e fisiologicamente diverso da quello dei soggetti<br />

maturi. Il mancato riconoscimento delle caratteristiche<br />

esclusive dell’osso immaturo nel trattamento delle fratture<br />

aumenta il rischio di complicazioni che possono causare<br />

anni di morbilità. Il contenuto in materiale inorganico dell’osso<br />

maturo arriva al 65-70% del suo peso secco e fornisce<br />

all’osso stesso la sua solida consistenza e rigidità. La matrice<br />

extracellulare organica, costituita principalmente da collagene,<br />

conferisce invece all’osso la flessibilità e la capacità<br />

di recupero. Il contenuto minerale dell’osso aumenta rapidamente<br />

durante la crescita scheletrica, per cui la sua rigidità<br />

cresce fino a 20 volte nei primi 6 mesi. In confronto all’osso<br />

maturo, quello immaturo è più duttile, assorbe più energia<br />

e tollera maggiormente la tensione e la deformazione<br />

elastica prima di fratturarsi. Di conseguenza, le fratture<br />

incomplete, “a legno verde”, e la curvatura (deformazione<br />

plastica) delle ossa si osservano quasi esclusivamente nei<br />

cani in accrescimento. La natura fragile dell’osso adulto fa sì<br />

che si fratturi con una scarsa deformazione plastica, per cui<br />

nei casi indicati è fattibile la ricostruzione anatomica dei<br />

segmenti ossei. La natura più duttile dell’osso immaturo,<br />

invece, consente all’osso stesso di subire una deformazione<br />

plastica molto significativa prima di fratturarsi. Inoltre, la<br />

natura morbida dell’osso immaturo rende gli impianti maggiormente<br />

predisposti all’allentamento prematuro.<br />

Le fratture nel cane in accrescimento spesso si localizzano<br />

nella regione della fisi. Sfortunatamente, piuttosto che verificarsi<br />

nella zona ipertrofica, come è tipico dell’uomo, le fratture<br />

fisarie ad insorgenza spontanea nel cane spesso interessano<br />

la zona proliferativa. 1 Ciò può spiegare il rischio relativamente<br />

elevato di disfunzione fisaria dopo un trauma in questa specie<br />

animale. Si deve anche tenere in considerazione l’effetto<br />

determinato sulla funzione della fisi dalla gonadectomia. Questa<br />

ritarda la normale chiusura della fisi ed il ritardo è tanto più<br />

prolungato quanto più precoce è la sterilizzazione. 2<br />

Il periostio dei cani e dei gatti in crescita è relativamente<br />

spesso e vascolarizzato e contribuisce enormemente alla crescita<br />

dell’osso da apposizione ed al rapido sviluppo della<br />

guarigione della frattura per callo. Tuttavia, l’eccessiva enfasi<br />

posta sul potenziale di guarigione della frattura nei cani in<br />

accrescimento spesso distrae l’attenzione del veterinario dal<br />

cercare di ottenere il rapido ripristino della normale funzione<br />

dell’arto.<br />

Ai cani ed ai gatti in accrescimento si possono applicare<br />

diverse strategie generali di trattamento:<br />

• Focalizzare l’attenzione sul rapido e completo ripristino<br />

della funzione dell’arto, nella scelta del trattamento piuttosto<br />

che sulla guarigione della frattura<br />

• Frequenti esami di controllo durante la convalescenza,<br />

osservando attentamente l’uso dell’arto e la mobilità e la<br />

funzione dell’articolazione<br />

• Non applicare attraverso la fisi degli impianti che impediscano<br />

la crescita longitudinale dell’osso<br />

• Inserire nella fisi dei chiodi endomidollari dal diametro<br />

più piccolo possibile per ottenere un’adeguata stabilità e<br />

posizionarli in modo tale che possano essere rimossi una<br />

volta ottenuta l’unione della frattura.<br />

Le fratture pelviche nei cuccioli comportano una prognosi<br />

eccellente per la guarigione con qualsiasi trattamento. Tuttavia,<br />

se una mal unione provoca un eccessivo restringimento<br />

del canale pelvico si può avere la comparsa di una grave<br />

costipazione meccanica e di una disfunzione colorettale<br />

secondaria. La fissazione mediante placca interna delle fratture<br />

dell’ileo si effettua quando esiste il rischio di collasso del<br />

bacino e la placca viene sagomata in modo tale da tenere il<br />

canale pelvico aperto nelle sue normali dimensioni. Quando<br />

è fattibile la ricostruzione anatomica delle fratture longitudinali<br />

dell’ileo, l’applicazione di viti a compressione (inserite<br />

soltanto dalla faccia ventrale a quella dorsale oppure attraverso<br />

una seconda placca da osteosintesi) riduce il rischio di<br />

allentamento delle viti stesse aumentando l’interfaccia fra<br />

impianto ed osso e realizzando un effetto di cerchiaggio di<br />

tensione sulla superficie ventrolaterale dell’impianto. 3-5<br />

Le fratture femorali nei cani e nei gatti in accrescimento<br />

spesso si verificano a livello delle fisi, ma interessano anche<br />

la diafisi. Lo scivolamento dell’epifisi della testa del femore<br />

(SCFE, slipped capital femoral epiphysis) si verifica sia nel<br />

cane che nel gatto. In quest’ultimo, la condizione spesso si<br />

sviluppa nei maschi castrati e sovrappeso di età compresa fra<br />

1,5 e 2,5 anni, anche in assenza di un evento traumatico, ed è<br />

stato ipotizzato che sia la conseguenza del sovraccarico meccanico<br />

cronico della fisi che subisce un ritardo della chiusura<br />

a causa della gonadectomia precoce. 6 Questa condizione può<br />

interessare una o entrambe le anche. Se è colpita una sola<br />

articolazione coxofemorale, quella controlaterale deve essere<br />

accuratamente valutata radiograficamente ed il proprietario<br />

va informato che non è raro lo sviluppo tardivo della condizione<br />

a carico dell’anca controlaterale. Nel gatto, l’SCFE può<br />

venire efficacemente trattato mediante fissazione interna o<br />

escissione della testa/collo del femore. Nel cane, nella maggior<br />

parte dei casi la condizione è la conseguenza di un trauma,<br />

ma sono stati identificati casi non traumatici. 7 Il rischio<br />

di osteoartrite coxofemorale è aumentato quando l’SCFE si<br />

sviluppa nei cani di età inferiore a 4 mesi, perché la chiusura<br />

della fisi esita in un accorciamento del collo femorale. La


<strong>21</strong>0 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

lunghezza normale del collo del femore e l’uso dell’arto sono<br />

importanti per il normale sviluppo dell’articolazione coxofemorale.<br />

La fissazione dell’SCFE con molteplici fili di<br />

Kirschner è più stabile di quella attuata con un singolo filo. 8<br />

La fissazione con una vite compressiva è ancora più stabile,<br />

ma va evitata se si desidera preservare la crescita della fisi. 9<br />

Le fratture del tratto distale della fisi del femore sono comuni<br />

nel cane e nel gatto. I felini sviluppano spesso fratture di<br />

Salter-Harris di tipo I, mentre nel cane sono più comuni<br />

quelle di tipo II. La fissazione interna di queste fratture si<br />

esegue facilmente mediante inserimento di chiodi endomidollari<br />

incrociati o tecniche di applicazione di chiodi dinamici.<br />

L’impiego dei chiodi incrociati assicura una superiore<br />

resistenza alle forze di rotazione, ma entrambi i metodi<br />

garantiscono un’adeguata stabilità. 10 Se le tipiche quattro<br />

interdigitazioni del profilo della fisi distale del femore assicurano<br />

un’adeguata stabilità rotazionale, si può utilizzare un<br />

singolo chiodo endomidollare. Le fratture della diafisi femorale<br />

coinvolgono spesso la metà distale dell’osso. La prognosi<br />

per l’unione delle fratture è eccellente nei casi trattati<br />

in modo appropriato, ma si deve valutare il rischio di contrattura<br />

del quadricipite. I fattori che determinano il rischio<br />

di insorgenza di questa condizione sono la frattura femorale<br />

distale, la diffusa comminuzione o il danneggiamento dei<br />

tessuti molli, l’instabilità della fissazione della frattura, la<br />

riduzione della flessione del ginocchio in seguito alla riduzione/allineamento<br />

della frattura e la stabilizzazione chirurgica<br />

associata alla coaptazione esterna. Quando esiste un<br />

aumento del rischio di contrattura del quadricipite, si deve<br />

utilizzare un bendaggio in flessione 90°/90° nelle prime 48-<br />

72 ore successive all’intervento chirurgico, per poi passare<br />

alla fisioterapia passiva/attiva ogni giorno per le prime 3-4<br />

settimane postoperatorie. L’attenta cura degli animali convalescenti<br />

deve comprendere delle visite di controllo ogni 2-3<br />

giorni nelle prime due settimane dopo l’intervento.<br />

Le fratture tibiali sono relativamente comuni nei cani in<br />

accrescimento e si possono avere a livello delle fisi o nella<br />

diafisi. Il tubercolo tibiale si sviluppa a partire da un centro di<br />

ossificazione separato dall’epifisi tibiale prossimale. La frattura<br />

con avulsione del tubercolo tibiale si può verificare come<br />

danno isolato oppure in associazione con fratture di Salter<br />

Harris di tipo I o II della fisi tibiale prossimale. Le fratture del<br />

tubercolo tibiale possono essere trattate con fili di Kirschner<br />

o fissaggio mediante cerchiaggio di tensione, anche se quest’ultimo<br />

ha maggiori probabilità di determinare la chiusura<br />

permanente della fisi. Le fratture di Salter-Harris della fisi<br />

tibiale prossimale vengono spesso trattate con molteplici fili<br />

di Kirschner. Spesso si riprendono delle radiografie ad intervalli<br />

di due settimane e gli impianti vengono rimossi, se possibile,<br />

ai primi segni di unione della frattura. Le fratture della<br />

diafisi tibiale, a legno verde (incomplete) e con dislocazione<br />

minima sono relativamente comuni nei cani in accrescimento.<br />

Anche se per ottenere l’unione ossea di queste fratture<br />

risulta spesso efficace la coaptazione, mantenere il ginocchio<br />

in una certa flessione, incoraggiare l’uso lento e controllato<br />

dell’arto e ridurre al minimo la coaptazione contribuisce<br />

a preservare la pressione retrorotulea ed evitare la<br />

complicazione rappresentata dalla lussazione della rotula.<br />

Bibliografia<br />

1. Johnson JM, Johnson AL, Eurell JA. Histological appearance of naturally<br />

occurring canine physeal fractures. Vet Surg <strong>19</strong>94;23:81-86.<br />

2. Salmeri KR, Bloomberg MS, Scruggs SL, et al. Gonadectomy in<br />

immature dogs: effects on skeletal, physical, and behavioral development.<br />

J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>91;<strong>19</strong>8:1<strong>19</strong>3-1203.<br />

3. Fitch R, Kerwin, S., Hosgood, G., Rooney, M., et al. Radiographic<br />

evaluation and comparison of triple pelvic osteotomy with and<br />

without additional ventral plate stabilization in forty dogs - part 1. Vet<br />

Compar Orthop Traumatol 2002;15:164-171.<br />

4. VanGundy TE, Hulse, D.A., Nelson, J.K. Mechanical analysis of pelvic<br />

fractures. Vet Orthop Soc <strong>19</strong>88;40.<br />

5. Vangundy TE, Hulse DA, Nelson JK, et al. Mechanical evaluation of<br />

two canine iliac fracture fixation systems. Vet Surg <strong>19</strong>88;17:3<strong>21</strong>-327.<br />

6. McNicholas WT, Jr., Wilkens BE, Blevins WE, et al. Spontaneous<br />

femoral capital physeal fractures in adult cats: 26 cases (<strong>19</strong>96-2001).<br />

J Am Vet Med Assoc 2002;2<strong>21</strong>:1731-1736.<br />

7. Moores AP, Owen MR, Fews D, et al. Slipped capital femoral epiphysis<br />

in dogs. J Small Anim Pract 2004;45:602-608.<br />

8. Belkoff SM, Millis DL, Probst CW. Biomechanical comparison of<br />

three internal fixations for treatment of slipped capital femoral<br />

epiphysis in immature dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>92;53:<strong>21</strong>36-<strong>21</strong>40.<br />

9. Belkoff SM, Millis DL, Probst CW. Biomechanical comparison of 1screw<br />

and 2-divergent pin internal fixations for treatment of slipped<br />

capital femoral epiphysis, using specimens obtained from immature<br />

dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>93;54:1770-1773.<br />

10. Sukhiani HR, Holmberg DL. Ex vivo biomechanical comparison of<br />

pin fixation techniques for canine distal femoral physeal fractures.<br />

Vet Surg <strong>19</strong>97;26:398-407.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>21</strong>1<br />

Accorgimenti pratici per la diagnosi precoce<br />

della displasia del gomito nei cani in accrescimento<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

L’identificazione precoce della displasia del gomito è<br />

molto importante per consentire ai proprietari di animali da<br />

compagnia di avvalersi di tutte le opzioni terapeutiche e<br />

trattare i problemi sottostanti prima dello sviluppo di un’osteoartrite<br />

secondaria. Il riconoscimento precoce della displasia<br />

del gomito richiede che il veterinario sviluppi un<br />

“indice di sospetto” sulla base del segnalamento e dell’anamnesi<br />

del paziente e che poi effettui un accurato esame<br />

clinico per passare infine all’accurata valutazione delle<br />

radiografie alla ricerca di sottili alterazioni a conferma della<br />

diagnosi.<br />

Segnalamento ed anamnesi<br />

La displasia del gomito è più comune in golden retriever,<br />

Labrador retriever, rottweiler e bovaro bernese, ma può colpire<br />

la maggior parte dei cani di qualsiasi razza di grossa<br />

taglia, compresi i meticci. La non unione del processo anconeo<br />

(UAP, un-united anconeal process), in particolare, ha<br />

una prevalenza maggiore nel pastore tedesco. I cuccioli possono<br />

essere portati alla visita perché presentano zoppia dell’arto<br />

toracico, rigidità, intolleranza all’esercizio o problemi<br />

di mobilità aspecifici già a partire dall’età di 4 mesi.<br />

Andatura<br />

Molti cuccioli con displasia del gomito restano in stazione<br />

con le zampe ruotate verso l’esterno (supinazione). Possono<br />

manifestare una zoppia evidente, caratterizzata da<br />

movimenti “su e giù” della testa, oppure poco appariscente.<br />

Far scendere le scale al paziente può servire ad accentuare<br />

una zoppia non molto visibile. Quando è presente un problema<br />

del gomito, è comune un’andatura “a salti da coniglio”<br />

a livello degli arti toracici mentre il cucciolo scende le<br />

scale. Quando questo problema è monolaterale, i cuccioli<br />

spesso scendono ogni gradino con l’arto sano.<br />

Esame clinico<br />

Il versamento articolare si individua più facilmente nel<br />

paziente in stazione sotto forma di una tasca gonfia e piena<br />

di liquido fra l’epicondilo laterale e l’olecrano. La palpazione<br />

per valutare la presenza di dolore e l’escursione articolare<br />

(normale = angolo di flessione di 36-166°) si può eseguire<br />

sia nel soggetto in stazione che in decubito. In condizioni<br />

normali, durante la flessione del gomito i cuccioli riescono<br />

ad appoggiare la parte distale dell’avambraccio contro la<br />

punta della spalla senza alcun disagio. Quando la flessione<br />

del gomito è dolorosa, il cane vi si oppone oppure tira dorsalmente<br />

la spalla per alleviare le sollecitazioni algiche. Man<br />

mano che la displasia progredisce, la flessione del gomito<br />

viene fisicamente impedita dall’osteofitosi e/o dalla fibrosi<br />

periarticolare. I cuccioli normali possono estendere il gomito<br />

senza alcun disagio e mostrano solo un lieve fastidio alla<br />

completa e forzata estensione dell’articolazione. I gomiti<br />

devono essere esaminati specificamente in pronazione e<br />

supinazione, che nella maggior parte dei cuccioli normali<br />

non risultano dolorose. La maggior parte dei cuccioli con<br />

displasia del gomito mostra invece un certo disagio durante<br />

la pronazione e/o supinazione del gomito.<br />

Esame radiografico<br />

La concomitante diagnosi di malattie ortopediche giovanili<br />

come la panosteite è spesso molto semplice, ma non<br />

deve impedire al veterinario di effettuare un’indagine più<br />

approfondita per giungere ad identificare la presenza condizioni<br />

più difficili da riconoscere, come la FMCP (frammentazione<br />

del processo coronoideo mediale). Il riscontro di una<br />

FMCP ha valore diagnostico per la displasia del gomito, ma<br />

è l’eccezione piuttosto che la regola. È difficile che questa<br />

alterazione risulti chiaramente delineata nelle immagini<br />

radiografiche, a causa della sovrapposizione del processo<br />

coronoideo mediale (MCP) sulla testa del radio. Oltre alle<br />

proiezioni standard mediolaterale, mediolaterale in flessione<br />

e craniocaudale ne sono state descritte parecchie speciali<br />

(Cd75M-CrLO, Cr15-CdMO, MEDLAP) per aumentare la<br />

sensibilità diagnostica radiografica per la FMCP. Anche con<br />

le proiezioni speciali, tuttavia, la radiografia manca di sensibilità.<br />

La scintigrafia e la tomografia computerizzata (TC)<br />

hanno un valore diagnostico aggiuntivo, ma l’economicità e<br />

la disponibilità dell’indagine radiografica ne fanno il principale<br />

metodo di screening per la displasia del gomito. L’accurato<br />

posizionamento radiografico e l’attenta valutazione<br />

delle aree specifiche consentono di sfruttare al massimo il<br />

valore diagnostico di questa tecnica:<br />

• Profilo anormale o mancanza di dettaglio del profilo normale<br />

del MCP (proiezione mediolaterale)<br />

• Lieve sclerosi sotto l’incisura trocleare dell’ulna nella<br />

regione dell’MCP (proiezione mediolaterale)<br />

• Osteofiti periarticolari (formazione di “labbra” o “speroni”)<br />

associati all’MCP (proiezione craniocaudale)


<strong>21</strong>2 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

• Osteofiti periarticolari lungo il margine dorsale del processo<br />

anconeo (proiezione mediolaterale in flessione)<br />

• Osteocondrite dissecante (OCD) della faccia mediale del<br />

condilo omerale (proiezione cr-cd)<br />

• Incongruenza delle articolazioni omeroulnari e radioulnari<br />

(proiezione mediolaterale)<br />

• Non unione del processo anconeo (proiezione mediolaterale<br />

in flessione)<br />

Nella proiezione mediolaterale standard, l’MCP deve<br />

essere identificato nei cani di età superiore a 6 mesi come<br />

una struttura a becco, appuntita e completamente ossificata<br />

che corrisponde alla superficie articolare del condilo omerale.<br />

Distalmente, dalla punta dell’MCP, la superficie craniale<br />

del processo e del tratto prossimale dell’ulna deve avere<br />

un profilo concavo e poco profondo. La mancanza della<br />

punta a becco o la presenza di una forma convessa o appiattita<br />

a livello del margine craniale del MCP è fortemente<br />

indicativa di FMCP.<br />

La sclerosi subtrocleare radiografica nelle proiezioni<br />

mediolaterali è una combinazione di sclerosi subcondrale e<br />

formazione di osteofiti periarticolari lungo la base dell’incisura<br />

trocleare dell’ulna. Si tratta di una valutazione soggettiva<br />

e fortemente condizionata da variazioni di minore entità<br />

della tecnica radiografica. Nei pazienti colpiti da una<br />

malattia monolaterale può essere utile l’esame radiografico<br />

di entrambi i gomiti, ma spesso la condizione è bilaterale.<br />

L’area migliore da prendere in considerazione per la ricerca<br />

della sclerosi in un’immagine ripresa in proiezione mediolaterale<br />

e posizionata correttamente si trova sulla parte distale<br />

dell’incisura trocleare, dove non c’è sovrapposizione<br />

del radio. Lievi variazioni del posizionamento radiografico<br />

possono determinare un’obliquità dove la sovrapposizione<br />

della testa del radio o della faccia mediale dell’epicondilo/condilo<br />

omerale può simulare una sclerosi della parte<br />

prossimale dell’ulna.<br />

L’osteofitosi è progressiva e segue tipicamente le alterazioni<br />

radiografiche precedentemente descritte. All’inizio del<br />

decorso della malattia, questi osteofiti si rilevano più facilmente<br />

sul margine dorsale del processo anconeo, specialmente<br />

nelle proiezioni mediolaterali in flessione. In queste<br />

immagini, si può talvolta vedere il margine dell’epicondilo<br />

laterale. La cartilagine articolare della troclea dell’omero si<br />

articola con l’epicondilo laterale formando un sottile margine<br />

a filo di coltello, il che fa sì che la sua visualizzazione<br />

radiografica dipenda in larga misura dal posizionamento e<br />

dalla tecnica di ripresa. Nelle radiografie dove è visibile, si<br />

presenta come una linea appena visibile, con un profilo curvo<br />

e liscio. L’osteofitosi lungo questo margine sembra una<br />

protuberanza su questo profilo liscio.<br />

La proiezione craniocaudale è la più utile per rilevare l’osteocondrite<br />

dissecante della faccia mediale del condilo<br />

omerale (troclea). La lesione si osserva come un’area radiotrasparente<br />

sul margine articolare mediale della troclea omerale.<br />

In una proiezione laterale si può visualizzare come un<br />

appiattimento del margine caudoventrale mediale della troclea<br />

omerale. Nelle proiezioni mediolaterali (standard e in<br />

flessione) bisogna fare attenzione a dirigere il fascio radiografico<br />

lungo l’asse maggiore del “troclea condilare” dell’omero,<br />

determinando la formazione di una serie di anelli concentrici<br />

centrati sul condilo omerale.<br />

La valutazione del modo in cui l’omero, il radio e l’ulna<br />

si adattano reciprocamente è molto soggettiva e molto sensibile<br />

a sottili errori di posizionamento. La proiezione mediolaterale<br />

in flessione forza l’uno contro l’altro i capi dell’articolazione<br />

e può mascherarne l’incongruenza o la sublussazione.<br />

La proiezione mediolaterale in flessione è anche maggiormente<br />

predisposta a sottili spostamenti da obliquità del<br />

condilo omerale. La proiezione mediolaterale standard è la<br />

più facile per posizionare correttamente e valutare accuratamente<br />

l’incongruenza articolare. In questa proiezione, il cerchio<br />

più piccolo del condilo omerale è la porzione ristretta e<br />

scanalata del condilo stesso che si articola con la “nervatura”<br />

centrale dell’incisura trocleare dell’ulna. Queste due<br />

superfici devono essere separate soltanto da due zone cartilaginee<br />

radiotrasparenti e devono risultare uniformemente<br />

parallele per tutta la loro circonferenza. L’incongruenza<br />

omeroulnare si può presentare come un cattivo adattamento<br />

reciproco dell’arco della troclea omerale e della nervatura<br />

dell’incisura trocleare dell’ulna. La mappatura della superficie<br />

di contatto articolare suggerisce la possibilità che esista<br />

una qualche incongruenza omeroulnare normale o fisiologica<br />

nel cane, ma, se è abbastanza grave da venire rilevata<br />

radiograficamente, l’incongruenza può essere patologica. Il<br />

riscontro radiografico di un’incongruenza “a scalino”, in cui<br />

l’MCP sembra sollevato sopra la testa del radio, è stato associato<br />

a FMCP. Questo scalino può essere mascherato nelle<br />

proiezioni mediolaterali in flessione.<br />

La non unione del processo anconeo (UAP) viene diagnosticata<br />

meglio nelle proiezioni mediolaterali in flessione. Il<br />

processo anconeo origina da un centro di ossificazione<br />

secondario del gomito all’età di 11-12 settimane nei cuccioli<br />

delle razze di grossa taglia. Tradizionalmente, è stato<br />

affermato che tale processo non si fonde con l’ulna fino<br />

all’età di 4-5 mesi, per cui non è possibile formulare la diagnosi<br />

di UAP prima di questo periodo, ma recenti dati suggeriscono<br />

che nel pastore tedesco sia possibile una diagnosi<br />

più precoce (A. Vezzoni, comunicazioni personali). È necessario<br />

effettuare la ripresa di immagini radiografiche bilaterali<br />

perché la malattia spesso interessa entrambi gli arti (20-<br />

35% dei casi). La UAP si osserva come una linea radiotrasparente,<br />

di ampiezza e chiarezza variabili, che separa il processo<br />

anconeo dall’ulna.<br />

Alcuni pazienti con forti riscontri anamnestici e clinici di<br />

displasia dell’anca presentano alterazioni radiografiche<br />

minime o non rilevabili. Occasionalmente, per localizzare le<br />

patologie del gomito può essere utile la scintigrafia, che rende<br />

più facile suggerire al proprietario una valutazione TC ed<br />

artroscopica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>21</strong>3<br />

Come diagnosticare la displasia dell’anca<br />

nei cani in accrescimento<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

La displasia dell’anca del cane (CHD, Canine Hip Dysplasia)<br />

è una malattia complessa, multifattoriale e progressiva<br />

che si sviluppa durante la crescita scheletrica postnatale. La<br />

CHD nel cane in crescita è clinicamente caratterizzata dall’aumento<br />

dell’inclinazione della rima acetabolare dorsale<br />

(DAR) e dalla iperlassità funzionale dell’articolazione dell’anca,<br />

che permette la sublussazione coxofemorale patologica<br />

e lo sviluppo di fenomeni secondari di rimodellamento e<br />

degenerazione articolari. I veterinari trovano spesso difficoltà<br />

a diagnosticare la CHD nei cani in crescita prima dell’insorgenza<br />

di queste modificazioni secondarie irreversibili. La diagnosi<br />

precoce ed il trattamento appropriato possono arrestare<br />

la progressione della malattia ed alterarne la patogenesi.<br />

Col termine di lassità passiva dell’anca si indica una lassità<br />

che può essere dimostrata nei cuccioli mediante manipolazioni<br />

veterinarie esterne (test di Ortolani, test di Barden,<br />

PennHIP distraction index). Un certo grado di lassità passiva<br />

dell’anca è rilevabile attraverso il PennHIP in tutti i cani.<br />

È stato dimostrato che l’iperlassità passiva dell’anca è un<br />

fenotipo ereditario della CHD nonché un fattore di rischio<br />

razza-specifico per lo sviluppo dell’osteoartrite (OA). La<br />

lassità passiva dell’anca che si può rilevare non è sempre<br />

correlata direttamente allo sviluppo dei segni clinici della<br />

CHD o dell’OA. Da un punto di vista terapeutico, la difficoltà<br />

incontrata dai veterinari è quella di individuare l’iperlassità<br />

funzionale dell’anca, in cui si ha una sublussazione<br />

dinamica che avviene spontaneamente durante le attività<br />

giornaliere del paziente.<br />

Segnalamento<br />

Praticamente tutti i cani delle razze di grossa taglia possono<br />

sviluppare la displasia dell’anca, ma quelli che vengono<br />

più comunemente portati alla visita per questo problema<br />

sono golden retriever, pastore tedesco, rottweiler, Labrador<br />

retriever, chesapeake bay retriever, samoiedo e mastiff inglese.<br />

È raro che vengano presentati dei cuccioli perché mostrano<br />

delle alterazioni sintomatiche prima dell’età di 4-5 mesi.<br />

Anamnesi<br />

Nella maggior parte dei casi, i cuccioli vengono presentati<br />

al veterinario da un proprietario che esprime vaghe preoccupazioni<br />

per problemi come la debolezza degli arti pelvici,<br />

la riluttanza ad alzarsi su quelli posteriori ed a salire le scale<br />

e l’intolleranza a periodi prolungati di esercizio. È raro<br />

Come diagnosticare la displasia<br />

dell’anca giovanile nel cane<br />

Anamnesi – vaga, aspecifica<br />

Esame clinico – Sublussazione dinamica (vs. sublussazione<br />

indotta – test di Ortolani), test in stazione di Slocum,<br />

“screeening” di Ortolani – decubito laterale<br />

Valutazione completa dell’anca<br />

Ortolani<br />

o Riduzione dell’angolo<br />

o Sublussazione dell’angolo<br />

o Goniometro di Slocum<br />

o Carattere della sublussazione/riduzione<br />

o Grafico di Slocum in funzione del tempo che evidenzia<br />

la natura dinamica<br />

- Radiografie<br />

o Anche in estensione (strette artificialmente) – valutazione<br />

della simmetria<br />

o Anche abdotte<br />

o Proiezione DAR<br />

o Distrazione (PennHIP)<br />

■ Certificazione<br />

■ Ereditabilità (i cani con anche strette generano<br />

cani con anche strette)<br />

■ La “lassità” è un fattore di rischio per l’OA<br />

• razza specifico<br />

• “fattore di rischio non significa rapporto di<br />

causa-effetto<br />

- TC?<br />

Opzioni terapeutiche:<br />

- JPS<br />

- TPO<br />

- Denervazione<br />

- plastica DAR<br />

- Sostituzione totale dell’anca mediante protesi non<br />

cementata (Cementless THR)<br />

- Ostectomia della testa del femore (FHO, Femoral Head<br />

Ostectomy)<br />

che i cuccioli vengano portati alla visita per un’evidente zoppia<br />

dell’arto posteriore. È in progressivo aumento il numero<br />

dei cuccioli asintomatici che vengono presentati per un esame<br />

di screening finalizzato alla valutazione dell’opportunità<br />

della profilassi mediante sinfisiodesi pubica giovanile (JPS,<br />

Juvenile Pubic Symphysiodesis).


<strong>21</strong>4 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Valutazione dell’andatura<br />

Molti cani in crescita con iperlassità funzionale dell’anca<br />

e sublussazione dinamica mostrano un’andatura caratteristica<br />

“da gonna stretta” al passo o al trotto, per cui non sono in<br />

grado di estendere completamente le anche. Alcuni cuccioli<br />

presentano un’andatura “a salti da coniglio” al passo o al<br />

trotto oppure quando salgono le scale. In alcuni cuccioli,<br />

mentre camminano è possibile visualizzare o udire la sublussazione<br />

dinamica dell’anca.<br />

Palpazione dell’anca<br />

Mentre un assistente conduce il cucciolo al passo, l’esaminatore<br />

deve camminare dietro di lui appoggiandogli le<br />

mani sulle anche. In alcuni soggetti si rileva una forma palpabile<br />

di sublussazione e riduzione dinamica dell’anca che<br />

costituisca un indicatore definitivo di iperlassità funzionale<br />

patologica dell’articolazione coxofemorale. È anche utile<br />

per l’esaminatore appoggiare le mani sulle anche del<br />

cucciolo e far oscillare delicatamente il treno posteriore da<br />

un lato all’altro, per rilevare la sublussazione e la riduzione<br />

apprezzabile con la palpazione. L’estensione e l’abduzione<br />

dell’anca sono spesso dolorose nei cuccioli con CHD<br />

in fase iniziale. Se collaborano, nei cuccioli in stazione o in<br />

decubito laterale non sedati è possibile inizialmente effettuare<br />

il test di Ortolani. La negatività di questa prova non è<br />

un riscontro definitivo nell’animale non sedato.<br />

Successivamente, il cucciolo viene sottoposto a sedazione<br />

profonda o anestesia per effettuare la palpazione definitiva<br />

dell’anca e gli esami radiografici. Il test di Ortolani si<br />

può eseguire in decubito laterale e/o dorsale. Si tratta di una<br />

prova di palpazione della lassità passiva dell’anca e richiede<br />

una certa capacità deduttiva per concludere che è presente<br />

un’iperlassità funzionale di questa articolazione.<br />

Quando si esegue il test di Ortolani, l’anca va tenuta secondo<br />

un’inclinazione corrispondente a quella naturale del soggetto<br />

in stazione, in modo che la capsula articolare ed i tessuti<br />

periarticolari si trovino nel loro stato di rilassamento<br />

passivo. Tenere inavvertitamente l’anca in estensione, flessione,<br />

abduzione, adduzione, rotazione interna o esterna<br />

può far stringere la capsula articolare ed i tessuti periarticolari<br />

e far si che una lassità anomala dell’anca passi inosservata.<br />

Il riscontro di una riduzione palpabile della testa del<br />

femore nell’acetabolo durante l’abduzione del femore viene<br />

indicato come “segno di Ortolani positivo”. In sé e per sé,<br />

tale segno non costituisce un’indicazione per la tripla osteotomia<br />

pelvica (TPO).<br />

Quando si identifica un segno di Ortolani positivo, l’esaminatore<br />

deve misurare e registrare gli angoli di riduzione<br />

e sublussazione. La misurazione di questi angoli con un<br />

goniometro elettronico (Slocum Enterprises, Eugene, Oregon,<br />

USA) è quella che ha fornito i risultati maggiormente<br />

ripetibili nella nostra esperienza. L’angolo di riduzione è<br />

un indicatore della lassità dell’anca. L’angolo di sublussazione<br />

è un indicatore dell’inclinazione della rima acetabolare<br />

dorsale. È anche importante la palpazione sensibile<br />

della riduzione e della sublussazione. Una riduzione indistinta<br />

è indicativa di riempimento o rimodellamento dell’a-<br />

cetabolo. Una sublussazione indistinta oppure bifasica è<br />

indicativa di un’erosione della rima acetabolare dorsale. I<br />

riscontri alla palpazione sono integrati dall’esame radiografico<br />

completo dell’anca.<br />

Esame radiografico<br />

Si riprende una radiografia ventrodorsale delle anche<br />

estese (“OFA-simile”) per valutare le alterazioni degenerative<br />

come l’osteofitosi, la scarsa profondità dell’acetabolo,<br />

l’appiattimento della testa del femore e l’ispessimento del<br />

collo femorale. Con questa proiezione si può anche individuare<br />

la sublussazione coxofemorale, ma è importante<br />

ricordare che la marcata estensione dell’anca tende a<br />

“stringere” artificialmente le articolazioni. Di conseguenza,<br />

la sublussazione presente nelle proiezioni ventrodorsali<br />

ad anche estese è reale, ma l’assenza di sublussazione in<br />

questa proiezione non permette di escludere un’iperlassità<br />

dell’anca. La proiezione radiografica laterale standard è<br />

utile per valutare la patologia spinale lombosacrale, l’anteroversione<br />

del collo femorale, la sublussazione ed il rimodellamento<br />

coxofemorali e le relazioni anatomiche regionali.<br />

La radiografia dei femori in abduzione (“a zampe di<br />

rana”) è utile per valutare la profondità dell’acetabolo. Lo<br />

riempimento o il rimodellamento acetabolare è più facile<br />

da rilevare quando le teste dei femori sono compresse negli<br />

acetaboli da questa proiezione.<br />

Una radiografia della rima acetabolare dorsale (DAR) è<br />

essenzialmente una proiezione tangenziale attraverso la<br />

rima acetabolare dorsale. In condizioni normali, quest’ultima<br />

ha un profilo “a becco” e un’inclinazione minima. Nel<br />

cucciolo displasico con degenerazione dell’anca in aumento<br />

si ha uno smorzamento del profilo normale del margine<br />

laterale della rima acetabolare dorsale e un aumento della<br />

sua inclinazione.<br />

La radiografia PennHip comprende parecchie delle<br />

proiezioni sopracitate e un’immagine ottenuta per distrazione<br />

passiva. Sono state descritte anche altre proiezioni<br />

radiografiche mediante distrazione, ognuna delle quali ha<br />

i propri vantaggi e svantaggi. Per la proiezione mediante<br />

distrazione PennHip, si applica fra le cosce del cane in<br />

decubito dorsale un apparato regolabile, imbottito e radiotrasparente.<br />

Le anche vengono poste in modo da assumere<br />

un angolo approssimativamente simile a quello in stazione<br />

e poi delicatamente addotte fino a che le superfici mediali<br />

delle cosce non sono saldamente a contatto dell’apparato,<br />

per cui si verifica una distrazione passiva dell’anca. Le<br />

radiografie vengono inviate al PennHIP per la misurazione<br />

dell’indice di distrazione (DI) e per l’inserimento nel<br />

loro database.<br />

Altri metodi di esame<br />

La tomografia computerizzata (TC) può venire utilizzata<br />

per valutare in modo accuratamente dettagliato l’integrità<br />

della rima acetabolare dorsale e la profondità dell’acetabolo.<br />

Gli studi condotti hanno dimostrato che per ottenere una<br />

precisione costante sono di importanza critica la regolarità


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>21</strong>5<br />

del posizionamento del paziente ed i punti di repere. Recentemente,<br />

è stata descritta la valutazione artroscopica dell’articolazione<br />

coxofemorale, che sembra essere l’indicatore più<br />

sensibile di sinovite, lacerazione del legamento rotondo e<br />

condromalacia.<br />

Scelta dei casi<br />

Per ottenere i massimi risultati, la sinfisiodesi pubica<br />

giovanile (JPS) va effettuata nei cani delle razze di grossa<br />

taglia prima delle 20 settimane di vita. A questa età molti<br />

cuccioli non presentano alcun segno clinico riferibile alla<br />

displasia dell’anca, il che rende difficile valutare l’efficacia<br />

della procedura. Tuttavia, la sua relativa semplicità, il basso<br />

costo e la bassa morbilità hanno fatto sì che molti proprietari<br />

richiedessero la valutazione dei loro animali ai fini<br />

di questo intervento. La JPS viene presa in considerazione<br />

quando i riscontri combinati hanno un valore predittivo per<br />

il futuro sviluppo della CHD: un segno di Ortolani positivo<br />

con angolo di riduzione di 20-40°, un angolo di sublussazione<br />

di 0-15°, ed nessuna alterazione degenerativa palpabile<br />

o radiografica.<br />

La tripla osteotomia pelvica (TPO) è indicata nei cani<br />

giovani (di solito di 4,5-10 mesi di età) che presentano<br />

segni clinici di displasia dell’anca, ma nei quali i riscontri<br />

palpabili o radiografici indicano degenerazioni di minima<br />

entità. I cuccioli presentano un segno di Ortolani positivo,<br />

con un angolo di riduzione di 20-40°, un angolo di sublussazione<br />

di 5-20° e nette transizioni fra la sublussazione e la<br />

riduzione. La proiezione DAR non evidenzia uno smorzamento<br />

significativo.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


<strong>21</strong>6 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Cosa c’è di nuovo nelle osteosintesi con placca -<br />

Placche a compressione bloccante (LCP)<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

L’impiego delle placche da osteosintesi<br />

convenzionali<br />

La guarigione delle fratture richiede che la zona danneggiata<br />

si trovi in condizioni di adeguata stabilità meccanica ed<br />

adeguata vitalità biologica. Soddisfare una condizione ma<br />

non l’altra è causa di morbilità del paziente e mancata unione<br />

della lesione. Per molti anni, la principale difficoltà è stata<br />

quella di ottenere un’adeguata stabilizzazione della frattura.<br />

Un progresso enorme in questa direzione è stato compiuto<br />

nel <strong>19</strong>65, quando sono state introdotte in chirurgia ortopedica<br />

veterinaria le tecniche di osteosintesi mediante placca<br />

AO ASIF. La placca a compressione dinamica (Dynamic<br />

Compression Plate, DCP ® , Synthes) è stata sviluppata in<br />

modo tale che l’inserimento delle viti nei capi eccentrici dei<br />

fori ovali ed inclinati appositamente progettati determinasse<br />

la compressione delle fratture trasversali. Questa “era” dell’osteosintesi<br />

mediante placca era focalizzata sul raggiungimento<br />

di una rigida stabilità. Naturalmente, non tutte le fratture<br />

hanno una configurazione trasversale. Di conseguenza,<br />

non è sempre possibile o auspicabile ottenere la ricostruzione<br />

anatomica della colonna ossea. In realtà, nel tentativo di<br />

ottenere questa ricostruzione in una frattura altamente comminuta<br />

spesso si determina un’enorme distruzione della vitalità<br />

della zona fratturata, che contribuisce alla non unione. Si<br />

è evoluto quindi il concetto di osteosintesi biologica, secondo<br />

il quale le fratture altamente comminute dovevano essere<br />

allineate nello spazio piuttosto che ridotte anatomicamente,<br />

al fine di preservare la vitalità della zona fratturata. In questi<br />

casi, si determina un’enorme concentrazione delle sollecitazioni<br />

a livello dei fori per le viti che non vengono occupati<br />

nella DCP. Inoltre, l’impronta della placca contro la superficie<br />

dell’osso distruggeva la perfusione corticale sotto la<br />

placca. I chirurghi spesso desideravano utilizzare le placche<br />

in associazione con i chiodi endomidollari, al fine di prolungare<br />

la vita delle placche stesse prima che insorgesse il loro<br />

affaticamento, ma la configurazione delle viti di questi<br />

impianti vincolava l’angolazione delle viti stesse entro limiti<br />

relativamente ristretti. È stata quindi studiata la placca a<br />

compressione dinamica a contatto limitato (Limited-Contact<br />

Dynamic Compression Plate, LC-DCP®, Synthes), che presenta<br />

un profilo dentellato sulla sua superficie inferiore in<br />

modo tale che la sua impronta sulla superficie ossea consentisse<br />

una maggiore perfusione corticale (benché questa sia<br />

anche influenzata dal profilo e dalla topografia della superficie<br />

ossea sulla quale la placca stessa viene applicata). Il<br />

profilo dentellato della placca riduce anche l’effetto di concentrazione<br />

delle sollecitazioni nei fori delle viti non occu-<br />

pati. Inoltre, i fori per le viti della LC-DCP sono studiati in<br />

modo tale che sia possibile inserire le viti secondo un numero<br />

di angolazioni molto più elevato di quello concesso dalla<br />

DCP. Questa caratteristica permette alle viti di essere inserite<br />

più facilmente secondo le inclinazioni necessarie per evitare<br />

i mezzi di stabilizzazione intramidollari.<br />

Ognuna di queste evoluzioni delle placche da osteosintesi<br />

utilizza il serraggio delle viti convenzionali all’interno<br />

dell’osso per comprimere saldamente la placca sulla superficie<br />

dell’osso stesso. Non esiste un legame rigido fra la<br />

placca e la vite, per cui se la placca non è saldamente compressa<br />

contro l’osso non si ottiene la rigidità del costrutto.<br />

L’entità della compressione fra la placca e la superficie<br />

ossea è influenzata dal numero di viti inserite, dal diametro<br />

del loro filetto e dalla qualità dell’osso. Se il carico dell’arto<br />

da parte del paziente induce forze superiori alla resistenza<br />

alla frizione a livello dell’interfaccia fra placca e osso si<br />

ha una perdita di stabilità della fissazione della frattura.<br />

Come conseguenza, si pone particolare attenzione al serraggio<br />

delle viti, e si cerca di aumentare al massimo il<br />

numero di quelle utilizzate per comprimere la placca contro<br />

l’osso. Il serraggio delle viti tira i segmenti ossei sottostanti<br />

verso il lato situato sotto la placca, per cui è necessario<br />

che quest’ultima sia sagomata secondo un profilo preciso<br />

corrispondente a quello dell’osso di forma normale. Quando<br />

viti convenzionali vengono serrate attraverso placche<br />

convenzionali sagomate in modo improprio, si induce una<br />

perdita primaria di riduzione della frattura. In alternativa,<br />

l’allentamento prematuro delle viti prima dell’unione della<br />

frattura determina una perdita della stabilità e una perdita<br />

secondaria di riduzione della frattura (Fig. 1).<br />

Figura 1 - Allentamento “a ginocchiera” delle viti convenzionali<br />

dall’osso e dalla DCP → perdita secondaria della<br />

riduzione della frattura.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> <strong>21</strong>7<br />

Placca a compressione bloccante<br />

(LCP ® , Synthes)<br />

La placca a compressione bloccante (Locking Compression<br />

Plate, LCP) rappresenta una drastica differenziazione<br />

rispetto alle placche convenzionali. Infatti, utilizza una vite<br />

bloccante specificamente studiata, che possiede una testa<br />

filettata che si unisce rigidamente alla placca da osteosintesi<br />

attraverso un foro appositamente studiato e realizzato<br />

in modo da adattarsi alla forma della filettatura. Il solido<br />

legame fra le viti e la placca determina la realizzazione di<br />

un costrutto ad angolo fisso che si comporta, dal punto di<br />

vista meccanico, in un modo drasticamente diverso dalle<br />

placche convenzionali. L’interfaccia fra vite bloccante rigida<br />

ed LCP non comprime quest’ultima contro l’osso e<br />

mantiene la riduzione della frattura che era presente al<br />

momento dell’applicazione della placca. Questa sottile<br />

evoluzione nella progettazione delle placche modifica<br />

anche il metodo con cui queste e le viti vengono applicate.<br />

La LCP è studiata con fori per le viti di tipo ad uso combinato<br />

(combi-hole TM ), che accettano sia le viti tradizionali<br />

che quelle bloccanti. Per applicare i costrutti con LCP e viti<br />

bloccanti si utilizzano tecniche diverse da quelle che si<br />

impiegano per i costrutti con LCP ed associazioni di viti<br />

bloccanti e viti convenzionali.<br />

I costrutti realizzati con LCP e viti bloccanti utilizzano<br />

esclusivamente queste ultime e, quindi, non richiedono che<br />

la placca sia sagomata in modo preciso. In determinati casi<br />

il chirurgo può decidere di non sagomarla affatto. Questo<br />

costrutto funziona meccanicamente e biologicamente più<br />

come un fissatore interno che come una placca convenzionale.<br />

La rigida interfaccia fra LCP e vite bloccante assicura<br />

una stabilità angolare delle viti e previene l’allentamento “a<br />

ginocchiera” delle stesse nell’osso. La frattura deve essere<br />

ridotta prima di applicare la placca perché, a differenza delle<br />

placche convenzionali, questo costrutto non determina<br />

alcuna riduzione della lesione. Poiché la LCP non viene<br />

compressa contro la superficie ossea, la distruzione della<br />

perfusione ematica corticale è minima. Questa modalità di<br />

applicazione può essere particolarmente vantaggiosa nell’applicazione<br />

di placche percutanee, dove è indicata l’osteosintesi<br />

biologica. Le viti bloccanti devono essere inserire<br />

secondo un’angolazione fissa che viene determinata dal<br />

foro praticato con il trapano attraverso un’apposita guida che<br />

viene avvitata nel foro predisposto per la vite bloccante.<br />

Bisogna stare attenti ad orientare in modo corretto la placca,<br />

perché non è poi possibile alcuna deviazione, neppure di<br />

minore entità, delle viti bloccanti per centrarle nell’area in<br />

sezione trasversale dell’osso. I costrutti formati da LCP e<br />

viti bloccanti non possono venire utilizzati per ottenere una<br />

compressione dinamica perché le teste delle viti di questo<br />

tipo non scivolano all’interno dei profili dei fori.<br />

Nell’uomo, l’inserimento monocorticale delle viti bloccanti<br />

viene utilizzato più comunemente di quanto non<br />

avvenga per quelle convenzionali. L’applicazione bicorticale<br />

contribuisce ad eliminare l’allentamento a ginocchiera<br />

delle viti convenzionali, ma quelle bloccanti non sono esposte<br />

a questo problema perché sono stabilizzate dall’osso da<br />

una parte e dalla rigida unione con la placca dall’altra. Se<br />

non si ha il consolidamento della frattura per proteggere<br />

Figura 2 - Il Combi-hole TM può accettare viti convenzionali<br />

(lato destro del foro) o bloccanti (lato sinistro del foro).<br />

Figura 3 - Le viti bloccanti (a sinistra) consentono di ottenere<br />

una stabilità angolare nel morbido osso metafisario.<br />

Quelle convenzionali (a destra) vengono utilizzate per comprimere<br />

la linea di frattura.<br />

l’impianto, tutti i costrutti ortopedici cedono a livello del<br />

loro “anello debole”. Se questo è la placca (come può avvenire<br />

quando un foro per una vite viene lasciato vuoto su una<br />

frattura senza distribuzione dei carichi), i costrutti formati da<br />

LCP e viti bloccanti cedono analogamente a quelli realizzati<br />

con placche convenzionali e viti. Quando la placca da<br />

osteosintesi non rappresenta l’anello debole, i costrutti LCPviti<br />

bloccanti cedono in modo differente da quelli convenzionali.<br />

Questi ultimi spesso vengono meno per un allentamento<br />

della vite che consente alla stessa di effettuare liberamente<br />

il movimento a ginocchiera dall’osso e dalla placca.<br />

Questa modalità di cedimento è particolarmente comune<br />

nell’osso morbido (cani in accrescimento, ossa piatte, aree<br />

metafisarie). Al contrario, i costrutti formati da LCP e viti<br />

bloccanti non sono propensi al cedimento per allentamento<br />

della vite neppure nell’osso morbido. Invece, possono venire<br />

meno in seguito al cedimento catastrofico del segmento<br />

osseo in cui le viti sono inserite o a causa di un cedimento<br />

da affaticamento di tutte le viti all’interno di un dato gruppo<br />

(improbabile). Il cedimento catastrofico di un segmento<br />

osseo può essere più probabile quando si utilizzano viti bloccanti<br />

monocorticali nei piccoli animali perché questi hanno<br />

corticali relativamente sottili rispetto a quelle dell’uomo e<br />

dei grandi animali.


<strong>21</strong>8 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

I costrutti realizzati mediante LCP ed associazioni di viti<br />

bloccanti e viti convenzionali vengono spesso utilizzati per<br />

ridurre il costo degli impianti o ottenere una compressione<br />

dinamica della linea di frattura, oppure perché il chirurgo si<br />

trova maggiormente a suo agio con le tecniche più tradizionali<br />

di osteosintesi mediante placca. Tuttavia, il chirurgo<br />

deve fare attenzione, perché le tecniche operatorie per l’applicazione<br />

dei costrutti combinati sono differenti sia da quelle<br />

che si impiegano per le placche convenzionali che da quelle<br />

utilizzate per realizzare costrutti bloccanti. La LCP applicata<br />

come costrutto combinato deve essere sagomata in<br />

modo da adattarsi con precisione all’osso. La distorsione di<br />

un foro da vite impedisce l’applicazione di una vite bloccante<br />

in quel dato foro. È importante applicare viti convenzionali<br />

in ciascun segmento osseo prima dell’inserimento di<br />

quelle bloccanti – “Le viti a compressione prima di quelle<br />

bloccanti” è un utile promemoria. Se si applicano prima le<br />

viti bloccanti, il successivo inserimento di quelle convenzionali<br />

cercherà di comprimere la placca contro l’osso, mentre<br />

le viti bloccanti la mantengono in una posizione fissa rispetto<br />

alla superficie ossea. Le viti convenzionali possono venire<br />

utilizzate per ottenere una compressione dinamica seguita<br />

dall’inserimento di viti bloccanti per realizzare un costrutto<br />

ad angolo fisso. In determinati casi, si può impiegare un<br />

gruppo di LCP-viti bloccanti in uno dei segmenti ossei (per<br />

avere la stabilità angolare delle viti nell’osso morbido) ed un<br />

gruppo di LCP-viti convenzionali nell’altro (per ottenere una<br />

compressione dinamica) (Fig. 3).<br />

Indirizzo dell’autore per la corrispondenza:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 2<strong>19</strong><br />

Conduzione di studi clinici in ortopedia:<br />

evidenza orientata alla malattia<br />

verso l’evidenza orientata al paziente<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

Noi siamo uomini di scienza e, in quanto tali, ricerchiamo dei<br />

dati accurati su cui sia possibile formulare solide raccomandazioni<br />

terapeutiche per la salute, il comfort, il tipo di vita ed il<br />

benessere dei nostri pazienti. Questo è l’intento della medicina<br />

basata sull’evidenza (EBM), che è stata definita come “impiego<br />

coscienzioso, esplicito ed oculato delle migliori evidenze<br />

disponibili per prendere delle decisioni relative alla cura di singoli<br />

pazienti.” Al fine di preparare i clinici ad analizzare in<br />

modo critico le informazioni disponibili, le progettazioni degli<br />

studi sono state distinte in classi che vanno da un valore massimo<br />

di evidenza (classe I) ad uno minimo (classe IV): 1<br />

Classe Descrizione dell’origine dell’evidenza<br />

I Molteplici prove cliniche randomizzate,<br />

alla cieca, controllate con placebo<br />

II Prove cliniche di elevata qualità condotte<br />

utilizzando controlli storici<br />

III Casistiche non controllate<br />

IV Opinioni di esperti, estrapolazione<br />

acritica dalla letteratura (bench research<br />

o ricerca non clinica) o studi fisiologici<br />

Oltre a ricercare forti evidenze (di classe I e II) attraverso<br />

le prove cliniche, i veterinari devono sforzarsi di trovare rilevanti<br />

evidenze significative che gli aiutino a rispondere alle<br />

domande che pongono loro i clienti che possiedono animali<br />

da compagnia. In effetti, uno dei passi essenziali dell’efficace<br />

utilizzazione dell’EBM è quello di preparare i clinici ed i<br />

ricercatori clinici a porsi le domande giuste. Per raggiungere<br />

questo scopo e per valutare la rilevanza, l’utilità e la significatività<br />

dei risultati delle prove cliniche per i pazienti è utile<br />

servirsi dell’acronimo “PICO”. 2<br />

• P Paziente/problema – i risultati dello studio riguardano<br />

il mio paziente?<br />

• I Intervento – gli interventi valutati nello studio possono<br />

essere presi in considerazione per il mio paziente?<br />

• C Confronto – con che cosa sono confrontati i risultati<br />

dell’intervento? Un gruppo di controllo?<br />

• O – esito Ottenuto – quale esito è importante per il<br />

paziente (o, in medicina veterinaria, per proprietario dell’animale)?<br />

Sfortunatamente, spesso ci sono delle incomprensioni fra<br />

noi ed i nostri clienti per quanto riguarda l’importanza dei<br />

risultati ottenuti dalla chirurgia ortopedica. 3 Noi possiamo<br />

spesso farci un’idea di quale esito sia importante per i nostri<br />

singoli clienti ascoltando le loro domande. Perché il proprietario<br />

chiede i nostri servizi per questa condizione? Qual<br />

è l’esito che desidera ottenere? Cosa definirà un “successo”<br />

o un “fallimento” del trattamento? La nostra relazione con i<br />

nostri pazienti e le loro famiglie non è diversa da quella di<br />

un pediatra. Insieme prendiamo decisioni per i nostri pazienti<br />

sul loro benessere, “per procura” se volete.<br />

L’ortopedia presenta caratteristiche esclusive, in quanto è<br />

raro che i nostri trattamenti influiscano sulla mortalità. Piuttosto,<br />

i nostri clienti spesso ci presentano i loro animali nella<br />

speranza che possiamo migliorare la loro qualità della vita<br />

riferita alla salute (HRQL, health related quality of life) contrastando<br />

la naturale progressione della malattia/trauma. Di<br />

conseguenza, uno studio ben progettato e capace di raccogliere<br />

dati obiettivi, ma con uno scarso riferimento diretto ai<br />

problemi dei nostri clienti, potrebbe non avere una grande<br />

utilità reale per consentirci di rispondere alle loro domande.<br />

“Riuscirà a salire le scale?” “Sarà ancora in grado di fare una<br />

camminata di 10 miglia?” “Potrò portarlo alle gare?”; queste<br />

sono le domande che ci pongono i nostri clienti. Per quanto<br />

riguarda la displasia dell’anca del cane in stadio giovanile<br />

(jCHD), i nostri studi clinici spesso misurano parametri come<br />

l’inclinazione della DAR, l’angolo acetabolare, i punteggi<br />

OA radiografici ed i dati rilevati mediante piastre di forza<br />

come misurazioni surrogate di ciò che vogliamo sapere. Ci<br />

vuole uno sforzo di immaginazione relativamente ampio per<br />

passare da una qualsiasi di queste misure a delle risposte<br />

accurate alle domande dei nostri clienti. Questo è spesso il<br />

caso degli studi medici dove prendiamo in considerazione<br />

quella che è stata definita l’evidenza orientata alla malattia<br />

(DOE, disease-oriented evidence). Al contrario, le prove<br />

scientifiche d’interesse per il paziente (POEM, patient-oriented<br />

evidence that matters) misurano la morbilità o mortalità<br />

del paziente, la sua capacità di effettuare alcune attività significative<br />

e misurabili secondo il tipo di vita che conduce o il<br />

suo stato di salute in funzione della qualità della vita.<br />

Poiché eseguire prove cliniche su vasta scala in cieco randomizzate<br />

con placebo (classe I) richiede tempo e denaro,<br />

noi cerchiamo idealmente di mettere a punto degli studi che<br />

forniscano delle risposte significative a domande rilevanti<br />

circa gli interventi applicabili che interessino un grande<br />

gruppo di pazienti. I questionari relativi alla salute in funzione<br />

della qualità della vita vengono usati con frequenza<br />

sempre maggiore negli studi di ortopedia umana per questo<br />

scopo. Essenzialmente, prima di sforzarsi a cercare delle<br />

risposte obiettive attraverso prove cliniche randomizzate,


220 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

dobbiamo valutare le nostre domande per essere sicuri che le<br />

risposte fornite dallo studio abbiano buone probabilità di<br />

risultare significative e rilevanti anche per i nostri clienti.<br />

Cosa vogliamo davvero sapere? Cosa vogliono davvero<br />

sapere i nostri clienti, proprietari di animali da compagnia?<br />

I questionari relativi alla qualità della vita in funzione della<br />

salute sono uno strumento che viene utilizzato nelle prove<br />

cliniche randomizzate per arrivare alle prove scientifiche<br />

d’interesse per il paziente. Lo sviluppo di un simile strumento<br />

è un processo rigoroso. Il questionario deve quindi<br />

essere validato per essere certi che misuri ciò che si intende<br />

misurare attraverso uno spettro demografico di proprietari di<br />

animali e nell’arco di un dato periodo di tempo. Il processo<br />

di sviluppo del questionario HRQL richiede che i ricercatori<br />

identifichino i comportamenti del paziente che un dato<br />

spettro demografico di proprietari di animali definisce come<br />

misurabili, descrivibili e significativi riguardo alla qualità<br />

della vita dei loro compagni dal punto di vista della condizione<br />

sanitaria presa in esame. In questa sede viene descritto<br />

uno di questi metodi attualmente utilizzato presso la Colorado<br />

State University. Il processo inizia con una serie di colloqui<br />

con i clienti al fine di identificare questi comportamenti<br />

significativi e misurabili dei pazienti. Si sviluppa un<br />

elenco di termini positivi e negativi frequentemente utilizzati<br />

dai proprietari per descrivere ognuno di questi comportamenti,<br />

al fine di facilitare la loro misurazione nel questionario<br />

HRQL definitivo. Questi elementi descrittivi vengono<br />

ottenuti dai proprietari di animali ponendo loro dapprima<br />

parecchie domande generiche “di tipo aperto”, incoraggiandoli<br />

a descrivere lo stato di salute attuale del loro animale e<br />

quello normale che aveva prima dell’insorgenza della condizione<br />

medica che lo ha colpito. Successivamente, si conduce<br />

con ciascun proprietario un’intervista semistrutturata.<br />

Questa contiene una serie di domande relative a comportamenti<br />

osservabili degli animali presi in considerazione. Per<br />

ogni domanda si ha una serie di “suggerimenti fluttuanti”<br />

che facilitano la capacità dei proprietari di fornire in caso di<br />

necessità elementi descrittivi positivi e negativi. Lo scopo di<br />

questo processo è quello di sviluppare un elenco di termini<br />

che sia costantemente utilizzato in un dato spettro demografico<br />

di proprietari da compagnia per descrivere i risultati<br />

positivi e negativi riguardo ad ogni comportamento osservabile<br />

da loro ritenuto significativo nelle condizioni di salute<br />

del loro animale con riferimento alla qualità della vita. Una<br />

volta che il questionario HLQR sia stato sviluppato, ci sono<br />

parecchi modi per esaminare la validità dello strumento, uno<br />

dei quali è la validazione “test-ritest”. È importante rendersi<br />

conto che alcuni questionari HLQR possono essere validi<br />

per un gruppo demografico di proprietari ma non per un<br />

altro, a causa delle variazioni nel lessico regionale e/o di<br />

quello che essi considerano significativo e importante per il<br />

tipo di vita che i loro animali conducono.<br />

Secondo la nostra esperienza, nel corso del processo di<br />

sviluppo di questi questionari HLQR diventa rapidamente<br />

evidente se le prove cliniche pubblicate in precedenza e relative<br />

agli interventi terapeutici per una data condizione medica<br />

abbiano risposto o meno alle domande che ogni cliente/proprietario<br />

riteneva significative. Ad esempio, in uno<br />

degli studi HRQL attualmente in corso, si è andato rapidamente<br />

evidenziando che il risultato terapeutico desiderato<br />

era la capacità del cane di tornare ad un livello di attività che<br />

non comportasse delle limitazioni (assenza di dipendenza<br />

fisica dai proprietari per il confinamento del paziente) senza<br />

che ciò determinasse l’insorgenza della zoppia. Gli studi<br />

pubblicati in precedenza sui punteggi radiografici dell’osteoartrite,<br />

sui punteggi di valutazione della zoppia misurati<br />

dai veterinari od anche sui dati ottenuti mediante piastra di<br />

forza al passo non forniscono parametri di misurazione ideali<br />

per questa condizione, perché per presumere che un dato<br />

animale tragga vantaggio in modo significativo da uno qualsiasi<br />

degli interventi valutati è necessario effettuare delle<br />

deduzioni relativamente grandi. I nostri clienti hanno affermato<br />

che il ritorno di ognuno di questi parametri ai livelli<br />

normali “pre-lesione” sarebbe privo di significato a fronte<br />

del riscontro da parte loro del fatto che, in assenza di un confinamento<br />

del paziente, la zoppia ricompare.<br />

Bibliografia<br />

1. Berg AO. Dimensions of evidence, in Geyman JP, Deyo RA, Ramsay<br />

SD (eds): Evidence-based clinical practice, Boston: Butterworth-Heinemann,<br />

2000, pp <strong>21</strong>-27.<br />

2. Turning information needs into questions, Handbook of Evidence-<br />

Based Veterinary Medicine, Cockcroft P, Holmes M (eds), Blackwell<br />

Publishing, 2003<br />

3. Rosenberger PH, et al. Shared decision-making, preoperative expectations,<br />

and postoperative reality: differences in physician and patient<br />

predictions and ratings of knee surgery outcomes. J Arthro Rel Surg<br />

<strong>21</strong>:562-569, 2005.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 2<strong>21</strong><br />

Le più comuni alterazioni ematologiche del gatto:<br />

le anemie<br />

Saverio Paltrinieri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVCP, Milano<br />

Introduzione<br />

Da un punto di vista pratico risulta speso difficile identificare<br />

la causa delle anemie nel gatto. In linea generale,<br />

infatti, l’inquadramento fisiopatologico delle anemie, indispensabile<br />

per risalire alla causa ed impostare una corretta<br />

terapia, prevede una prima classificazione in forme rigenerative<br />

e non rigenerative: tale classificazione, nel gatto, è<br />

complicata dal fatto che parametri classificativi importanti,<br />

come anisocitosi, sferocitosi ed indice di produzione reticolocitaria,<br />

non sono facilmente valutabili. I più recenti contaglobuli<br />

laser possono permettere di risolvere parzialmente<br />

tali problemi, ma la completezza delle informazioni rilevabili<br />

ematologicamente rimane sicuramente inferiore a quella<br />

rilevabile nel cane o in altre specie animali. A ciò si aggiunge<br />

il fatto che sono frequenti le infezioni da virus quali i<br />

virus dell’immunedeficienza felina (FIV) e della leucemia<br />

felina (FeLV), in grado di influenzare l’eritropoiesi sia a<br />

livello midollare che periferico.<br />

La distinzione tra forme rigenerative e non, può essere<br />

basata, su dati clinico-anamnestici e su test quali l’esame del<br />

midollo osseo, il profilo sideremico e biochimico, in corso di<br />

sospette forme non rigenerative, ed il test di Coombs in caso<br />

di sospette forme rigenerative.<br />

A livello ematologico le forme non rigenerative sono<br />

caratterizzate da anemia normocitica normocromica in<br />

assenza di reticolociti e di alterazioni morfologiche eritrocitarie<br />

evidenti, eccezion fatta, in alcuni casi, per un aumento<br />

dei rouleaux eritrocitari. Nelle forme rigenerative l’anemia<br />

tende ad essere macrocitica ipocromica, con presenza<br />

di anisocitosi e policromasia (che a loro volta riflettono la<br />

presenza di reticolociti), e possono essere rilevabili eritrocitari<br />

morfologicamente anomali quali sferociti (eritrociti di<br />

piccole dimensioni e particolarmente colorabili in quanto<br />

ricchi di emoglobina), eccentrociti, corpi di Heinz (segni di<br />

ossidazione dell’emoglobina), corpi di Howell-Jolly (residui<br />

di materiale nucleare), nonché eritrociti nucleati. La<br />

corretta valutazione della reticolocitosi che, come detto, è<br />

indispensabile per classificare come rigenerativa un’anemia,<br />

è complicata dal fatto che già in condizioni fisiologiche<br />

il gatto presenta reticolociti circolanti, caratterizzati,<br />

nelle colorazioni con nuovo blu di metilene o blu brillante<br />

di cresile, dalla presenza di piccole strutture puntiformi e<br />

vengono pertanto definiti “puntati” e vanno differenziati da<br />

quelli “aggregati” o “reticolati”, caratterizzati da grossi reticoli<br />

intracitoplasmatici. I due tipi di reticolociti andrebbero<br />

quindi valutati separatamente, e solo gli aggregati sono<br />

indicativi di rigenerazione.<br />

Anemie non rigenerative<br />

Le forme non rigenerative sono spesso caratterizzate da<br />

anemia da lieve a marcata, a comparsa lenta e progressiva,<br />

tanto che l’organismo ha il tempo di adattarsi a tale situazione,<br />

e la sintomatologia è frequentemente lieve, se paragonata<br />

alla gravità dell’anemia. Le anemie non rigenerative più<br />

frequenti nel gatto sono quelle da infiammazione cronica,<br />

seguite dalla depressione midollare associata a patologie<br />

sistemiche e dalle forme tossiche. Queste ultime sono spesso<br />

diagnosticabili solo per esclusione, e spesso risulta<br />

impossibile giungere alla sostanza chimica responsabile della<br />

patologia. Sono invece rare le forme carenziali, in particolar<br />

modo quelle da carenza di ferro, che possono essere<br />

presenti solo in seguito ad emorragie croniche “a stillicidio”<br />

conseguenti, ad esempio, alla presenza di tumori ulcerati. In<br />

questi casi l’anemia tende ad assumere un aspetto microcitico<br />

ipocromico, e può essere presente trombocitosi, fenomeno<br />

peraltro difficilmente apprezzabile nel gatto, nel quale la<br />

conta automatizzata delle piastrine risulta spesso problematica.<br />

Le forme da infiammazione cronica sono invece particolarmente<br />

frequenti, sia in conseguenza di processi infiammatori<br />

aspecifici sia in corso di patologie specifiche quali la<br />

peritonite infettiva felina (FIP) e le già citate FIV e FeLV. In<br />

tali situazioni si osserva anemia normocitica normocromica<br />

non rigenerativa, associata a leucocitosi neutrofila e linfopenia<br />

(solo in corso di FIV e/o FeLV può contemporaneamente<br />

essere presente leucopenia). Tra le patologie sistemiche in<br />

grado di indurre anemia rientra soprattutto l’insufficienza<br />

renale cronica, caratterizzata da anemia normocitica normocromica<br />

di particolare gravità imputabile alla mancata o<br />

ridotta produzione di eritropoietina da parte del rene, ed i<br />

rari casi di ipotiroidismo ed ipocrticosurrenalismo. Infine,<br />

può essere rilevata anemia non rigenerativa da depressione<br />

midollare in associazione a tumori, soprattutto se di origine<br />

mieloide o eritroide, o in corso di mielodisplasie: anche<br />

tumori non ematologici però possono indurre anemia, nel<br />

quadro della depressione metabolica sistemica che caratterizza<br />

le forme di cachessia neoplastica.<br />

Da quanto sopra esposto si evince che in tutte le forme di<br />

anemia non rigenerativa del gatto è importante eseguire esami<br />

sierologici per FIV e FeLV, e valutare con attenzione non<br />

solo i dati relativi all’eritrogramma ma anche tutte le altre<br />

alterazioni eventualmente presenti nell’esame emocromocitometrico.<br />

L’elettroforesi delle sieroproteine può essere utile<br />

per confermare la presenza di processi infiammatori nonché<br />

per rilevare quadri elettroforetici specifici delle patologie<br />

sopra accennate (es: gammopatia policlonale in corso di


222 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

FIP). Nel caso l’anamnesi o gli aspetti clinici non consentano<br />

di formulare ipotesi concrete circa la patogenesi dell’anemia,<br />

è di fondamentale importanza il ricorso all’esame<br />

citologico del midollo, che può permettere quantomeno di<br />

valutare il rapporto mieloide/eritroide (M:E) e rilevare così<br />

“all’origine” il potenziale rigenerativo midollare, la possibile<br />

presenza di depressioni midollari poli- o pancitopeniche,<br />

o un’eventuale sostituzione dei precursori eritroidi da parte<br />

di elementi mieloidi proliferanti. In presenza di un’aumento<br />

del rapporto M:E è importante poi valutare eventuali segni di<br />

displasia sia a carico della linea eritroide, che della linea<br />

mieloide, in modo da poter classificare l’eventuale alterazione<br />

midollare come reattiva (es. infiammatoria) o displastica/neoplastica<br />

(mielodisplasie o leucemie)<br />

Anemie rigenerative<br />

Tra le forme rigenerative, oltre a quelle conseguenti ad<br />

emorragie acute, rientrano quelle emolitiche, la cui diagnosi<br />

eziologica può risultare particolarmente difficile, proprio per<br />

i problemi metodologici riportati in introduzione. Sono spesso<br />

caratterizzate da sintomatologia particolarmente grave,<br />

nonché da ittero e/o splenomegalia, anche se quest’ultimo<br />

riscontro è sicuramente meno comune nel gatto che nel cane<br />

per la diversa struttura anatomo-funzionale della milza felina,<br />

che la rende meno efficiente nei processi di emocateresi.<br />

Tra le possibili cause di anemia emolitica nel gatto rientrano<br />

quelle chimiche, soprattutto di tipo ossidativo, particolarmente<br />

frequenti nel gatto a causa della particolare struttura<br />

chimico-fisica dell’emoglobina, che, essendo ricca di<br />

ponti disolfuro risulta particolarmente sensibile alle ossidazioni.<br />

Tra le sostanze in grado di ossidare l’emoglobina rientrano<br />

il glicole fino a poco tempo fa contenuto in molti alimenti<br />

umidi, cipolle, farmaci come il propofol o il paracetamolo,<br />

per il quale non è presente, nel gatto, un sistema di<br />

detossificazione epatico simile a quello presente in altre specie<br />

animali, per cui anche dosi non particolarmente elevate<br />

possono risultare tossiche. Oltre ai tipici segni di anemia<br />

rigenerativa (anemia macrocitica ipocromica, con reticolocitosi<br />

evidente), in tali forme si possono rilevare anche segni<br />

di ossidazione dell’emoglobina, rappresentati da metemoglobinemia<br />

(che conferisce una colorazione brunastra al sangue)<br />

e presenza di eccentrociti o, più frequentemente, corpi<br />

di Heinz, rilevabili, questi ultimi, già in sede di colorazione<br />

routinaria con May Grünwald Giemsa, ma meglio apprezzabili<br />

dopo colorazione con nuovo blu di metilene o blu bril-<br />

lante di cresile. Un’elevata concentrazione di corpi di Heinz<br />

è rilevabile anche in corso di linfoma e diabete.<br />

L’altro grosso gruppo di anemie rigenerative nel gatto è<br />

rappresentato dalle forme immunomediate, dovute a produzione<br />

di anticorpi contro farmaci presenti sulla membrana<br />

eritrocitaria o antigenicamente simili ad antigeni eritrocitari,<br />

o ad agenti viventi quali gli emoplasmi felini (Mycoplasma<br />

felis e, in minor misura, M. haemominutum, entrambi precedentemente<br />

classificati come Haemobartonella felis) o,<br />

ancora una volta, il virus FeLV. Esistono poi forme immunomediate<br />

di natura autoimmune, nonché la cosiddetta isoeritrolisi<br />

neonatale, che colpisce gattini con gruppo sanguigno<br />

A o AB che ricevano colostro da madri B.<br />

In tutte queste forme, oltre a rilevare i classici segni di<br />

anemia rigenerativa, può essere importante rilevare sferociti<br />

circolanti (peraltro difficilmente apprezzabili in strisci di<br />

sangue felino) o schistociti (frammenti eritrocitari residuo<br />

della lisi extravascolare). Gli eventuali emoplasmi possono<br />

essere rilevati in strisci colorati con May Grünwald Giemsa<br />

come strutture puntiformi, singole o aggregate a formare<br />

“catenelle” sul bordo esterno dell’eritrocita: il legame degli<br />

emoplasmi con l’eritrocita è però particolarmente labile e<br />

dipendente dalla presenza di ioni calcio, e può venire meno<br />

dopo miscelazione del sangue con EDTA, che chela il calcio:<br />

per tale motivo, in caso di forme rigenerative, può essere<br />

opportuno effettuare uno striscio con sangue fresco (prima<br />

di porlo in provette con EDTA). Nelle forme a sospetta<br />

origine immunomediata, poi, può essere utile ricorrere al test<br />

di Coombs, che rileva la presenza di anticorpi anti-eritrociti<br />

sulla membrana dei globuli rossi circolanti, o alla versione<br />

più “moderna” di tale test, rappresentata dalla ricerca degli<br />

anticorpi anti-eritrocitia mediante citofluorimetria. Va poi<br />

tenuto presente che esistono forme immuno-mediate nelle<br />

quali vengono prodotti anticorpi non tanto contro gli eritrociti<br />

circolanti, quanto contro i loro precursori midollari. In<br />

tali situazioni, frequenti in corso di FeLV, si possono osservare<br />

anemie apparentemente non rigenerative nelle quali,<br />

però il test di Coombs risulta positivo, ed il midollo osseo<br />

evidenzia una notevole iperplasia eritroide, associata ad un<br />

blocco maturativo a livello dello stadio di maturazione contro<br />

il quale si sono generati anticorpi.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dipartimento di Patologia animale, Igiene e<br />

Sanità Pubblica Veterinaria, Via Celoria 10, Milano<br />

Tel. 02 50318103 - saverio.paltrinieri@unimi.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 223<br />

Le più comuni alterazioni ematologiche del gatto:<br />

i disordini linfomieloproliferativi<br />

Saverio Paltrinieri<br />

DVM, PhD, Dipl ECVCP, Milano<br />

Introduzione<br />

Come in tutte le specie animali, anche nel gatto sono rilevabili<br />

sia linfomi che leucemie, le quali possono riguardare sia<br />

la linea linfoide che quella mieloide. Tali forme sono spesso<br />

associate ad infezioni da virus della leucemia felina (FeLV), e<br />

sono caratterizzate da anemia normocitica normocromica non<br />

rigenerativa e, frequentemente, da notevole aumento del<br />

numero di una delle classi leucocitarie circolanti. Sia le leucemie<br />

mieloidi che quelle linfoidi, vengono definite acute quando<br />

le cellule circolanti presentano spiccate caratteristiche di<br />

atipia, e croniche quando le cellule neoplastiche riescono a<br />

completare il loro processo maturativo, per cui in circolo si<br />

rinvengono numeri molto elevati di cellule morfologicamente<br />

normali. Le forme croniche hanno un decorso più lento, anche<br />

se poi tendono a sfociare in “crisi blastiche” indistinguibili<br />

dalle forme acute sia dal punto di vista cito-morfologico che<br />

clinico. I linfomi sono invece associati solo raramente a linfocitosi<br />

periferica o alla presenza di cellule linfoidi atipiche in<br />

circolo. Ciò avviene solo quando il tumore è particolarmente<br />

esteso, e viene ad interessare, oltre agli organi linfoidi secondari,<br />

anche il midollo (linfoma stadio V).<br />

Un’altra alterazione linfomieloproliferativa frequente è<br />

rappresentata dalle mielodisplasie o dismielopoiesi, che possono<br />

essere secondarie a processi periferici (infiammazione,<br />

fenomeni immuno-mediati, ecc..) oppure essere primarie<br />

(MyeloDysplastic Syndrome o MDS). Quest’ultimo fenomeno<br />

è particolarmente frequente nel gatto, ed è spesso associato<br />

a positività a FeLV.<br />

La morfologia delle cellule circolanti è quindi uno degli<br />

elementi chiave per classificare le neoplasie come linfoidi o<br />

mieloidi e come acute o croniche. Nelle forme acute, però,<br />

le atipie morfologiche sono spesso tali per cui la semplice<br />

morfologia non permette di risalire al tipo cellulare coinvolto,<br />

per cui è necessario a ricorrere ad ulteriori approfondimenti<br />

diagnostici quali le colorazioni citochimiche, immunocitochimiche<br />

o la citofluorimetria. Le colorazioni citochimiche,<br />

particolarmente utili nelle forme mieloidi, evidenziano<br />

la presenza nelle cellule di particolari enzimi: le diverse<br />

linee cellulari vengono quindi identificate in base al tipo di<br />

enzima presente. Un potenziale limite all’applicazione delle<br />

tecniche citochimiche deriva dal fatto che le informazioni<br />

circa le caratteristiche citochimiche delle cellule feline sono<br />

scarse, soprattutto in corso di neoplasia, situazione nella<br />

quale, anche in altre specie animali, il pattern citochimico<br />

può risultare differente da quello rilevabile nelle corrispondenti<br />

linee cellulari non neoplastiche. L’immunocitochimica<br />

su vetrino o la citofluorimetria su sangue intero sono invece<br />

particolarmente utili in corso di neoplasie linfoidi, nelle quali<br />

le cellule vengono identificate come appartenenti ad uno<br />

specifico sottotipo linfoide sulla base degli antigeni che<br />

esprimono sulla loro membrana (es: CD5 o CD3 per i linfociti<br />

T, CD<strong>21</strong> o CD79a per i linfociti B, CD4 o CD8 per le<br />

diverse sottopopolazioni dei linfociti T, ecc…). Tali antigeni<br />

vengono riconosciuti grazie ad anticorpi specifici e grazie un<br />

sistema di rilevazione colorimetrico o basato sulla fluorescenza.<br />

Nel gatto, però, l’applicazione di tali tecniche è fortemente<br />

limitata dalla scarsa disponibilità di anticorpi specifici<br />

per gli antigeni felini, per cui è spesso difficile andare al<br />

di là di una classificazione in forme B, T e T4 o T8.<br />

Nel caso i rilievi periferici ottenuti con un esame emocromocitometrico<br />

non permettano di classificare la patologia in<br />

atto, è importante ricorrere all’esame citologico del midollo<br />

osseo ed eventualmente degli organi linfoidi secondari,<br />

soprattutto nel caso questi appaiano interessati dal processo<br />

patologico (es: linfoadenomegalia, splenomegalia). In linea<br />

generale, l’esame del midollo osseo in corso di neoplasie<br />

ematopoietiche permette di rilevare una popolazione relativamente<br />

monomorfa di elementi neoplastici che tendono a<br />

sostituire le altre linee maturative midollari. La diagnosi di<br />

leucemia, nelle forme acuta, viene emessa quando il numero<br />

di blasti a livello midollare supera il 30% e spesso anche<br />

a livello midollare si rilevano atipie morfologiche come<br />

asincronie di maturazione nucleo-citoplasmatiche ed evidenti<br />

caratteri citologici di malignità. Le MDS, invece, presentano<br />

una percentuale di blasti midollare inferiore a quella<br />

delle leucemie (tra il 5 ed il 30%) e possono essere caratterizzate<br />

anche dalla presenza di blasti circolanti (anche in<br />

questo caso in percentuale inferiore al 5%). Anche sul<br />

midollo osseo o sul sangue midollare è poi possibile applicare<br />

le colorazioni citochimiche/immunocitochimiche o la<br />

citofluorimetria per perfezionare la diagnosi e la classificazione<br />

delle forme leucemiche o mielodisplastiche.<br />

Classificazione dei linfomi e delle leucemie<br />

linfoidi<br />

Le forme leucemiche, come in altre specie animali, vengono<br />

classificate modulando il sistema di classificazione<br />

French-American-British (FAB) messo a punto nella specie<br />

umana. Tale classificazione suddivide ulteriormente le forme<br />

linfoidi acute in tre sottoclassi in base alle caratteristiche<br />

morfologiche, mentre le forme linfoidi croniche formano un<br />

unico gruppo omogeneo, caratterizzato dalla presenza di linfocitosi<br />

estrema (fino a 100,000/µl) in assenza di alterazioni


224 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

morfologiche nelle cellule circolanti. Gli esami citofluorimetrici<br />

solitamente evidenziano un immunofenotipo T,<br />

soprattutto nelle forme croniche, ed in particolare T8, mentre<br />

nel caso di linfomi si riscontrano sia immunofenotipi T,<br />

soprattutto nelle forme FeLV correlate, sia immunofenotipi<br />

B, soprattutto nelle forme a partenza dall’apparato digerente.<br />

Per quanto riguarda i sistemi di classificazione dei linfomi,<br />

sono state nel tempo proposti diversi sistemi classificativi,<br />

anche in questo caso derivati dai sistemi di classificazione<br />

dei linfomi non Hodgkin dell’uomo. I sistemi più usati in<br />

questo senso sono quelli basati sulle caratteristiche morfologiche<br />

delle cellule e sul tipo di criteri di malignità presenti<br />

negli aspirati di organi linfoidi o neoformazioni interessate<br />

dalla patologia. A questo sistema di classificazione se ne<br />

affianca un altro, più decisamente clinico, che suddivide i<br />

linfomi in cinque stadi in funzione dell’estensione della<br />

patologia nell’organismo, dallo stadio I, in cui la patologia è<br />

confinata ad un unico linfonodo, allo stadio V, che interessa<br />

più organi linfoidi ed il midollo, con conseguente invasione<br />

ematica da parte delle cellule neoplastiche. Quest’ultimo<br />

stadio è clinicamente ed ematologicamente indistinguibile<br />

dalle leucemie linfoidi acute e in particolare dalla loro<br />

variante linfoblastica, nella quale i linfociti atipici si rilevano<br />

in sangue ed organi linfoidi ma la localizzazione primaria<br />

della neoplasia è a livello midollare.<br />

Un’ultima forma di linfoma e/o leucemia rilevabile con<br />

una certa frequenza nel gatto è la Large Granular Leukemia<br />

(LGL), nella quale si possono rilevare in circolo o in aspirati<br />

di neoformazioni intestinali o spleniche, linfociti che<br />

appaiono, per l’appunto, caratterizzati da grossi granuli<br />

basofili citoplasmatici. Tali cellule sono spesso linfociti non-<br />

T non-B normalmente coinvolte in meccanismi di difesa cellulo-mediata<br />

e possono aumentare in circolo anche in presenza<br />

di stimoli antigenici cronici di diversa natura, per cui<br />

il loro riscontro non è sempre indicativo di leucemia, anche<br />

se, nel gatto, le vere e proprie leucemie LGL presentano di<br />

solito alterazioni morfologiche tali da non lasciare dubbi circa<br />

l’origine neoplastica.<br />

Classificazione dei linfomi e delle leucemie<br />

mieloidi<br />

Anche le leucemie mieloidi vengono classificate secondo<br />

la classificazione FAB: sia le forme acute che quelle croniche<br />

vengono sottoclassificate in base alla linea cellulare di<br />

appartenenza: dato che alla linea “mieloide” vengono ascritti<br />

tutti gli elementi cellulari tranne quelli linfoidi, è possibi-<br />

le sottoclassificare le forme mieloidi acute in leucemie indifferenziate,<br />

granulocitiche (mielocitiche), monocitiche, mielomonocitiche,<br />

megacariocitiche ed eritroleucemie. Tra le<br />

forme croniche vengono invece riconosciute le leucemie<br />

granulocitiche neutrofiliche, eosinofiliche, basofiliche (particolarmente<br />

rare), le leucemie monocitiche, la policitemia<br />

vera e la trombocitemia essenziale (le ultime due a carico di<br />

eritrociti e piastrine, rispettivamente). Come accennato in<br />

precedenza, mentre può non essere difficile classificare le<br />

leucemie mieloidi come acute o croniche, la semplice valutazione<br />

morfologica può non essere sufficiente a differenziare<br />

tra loro le diverse leucemie mieloidi acute e dev’essere<br />

accompagnata da analisi citochimiche. Allo stesso modo,<br />

non è sempre facile differenziare le forme mieloidi croniche<br />

da forme reattive (es: leucemia granulocitica cronica e leucocitosi<br />

neutrofiliche estreme; leucemia eosinofilica cronica<br />

e sindromi ipereosinofiliche). In questo caso sia la forma<br />

leucemica che quella reattiva sono spesso caratterizzate dalla<br />

presenza in circolo di un elevato numero di cellule morfologicamente<br />

normali ed anche a livello midollare si riscontrerà<br />

un iperplasia dei precursori della linea celullare interessata.<br />

La diagnosi differenziale in questo caso deve essere<br />

basata più sull’evidenziazione (o sull’esclusione) di un eventuale<br />

fenomeno primario che può giustificare la presenza di<br />

una forma reattiva.<br />

Classificazione delle sindromi<br />

mielodisplastiche<br />

Le sindromi mielodisplastiche vengono considerate forme<br />

preleucemiche che interessano solitamente una o più linee<br />

cellulari, per cui il sangue periferico presenta di solito una<br />

bi- o tricitopenia con presenza di elementi atipici (fino al 5%<br />

di blasti), mentre il midollo appare ipercellulare. Sulla base<br />

sia dei riscontri ematologici che dell’andamento clinico, si<br />

riconoscono quattro forme di MDS: la forma “con eccesso di<br />

blasti” (MDS-EB), la forma “con citopenia refrattaria”<br />

(MDS-RC), la forma “con predominanza di cellule eritroidi<br />

(MDS-Er) e la leucemia mielomonocitica cronica (CMMol),<br />

un tempo classificata come leucemia, oggi più propriamente<br />

ritenuta una forma mielodisplastica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dipartimento di Patologia animale, Igiene e<br />

Sanità Pubblica Veterinaria, Via Celoria 10, Milano<br />

Tel. 02 50318103 - saverio.paltrinieri@unimi.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 225<br />

La cardiomiopatia ipertensiva nel cane<br />

Marco Poggi<br />

Med Vet, Imperia<br />

Michele Borgarelli, Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Card) Grugliasco TO<br />

INTRODUZIONE<br />

L’ipertensione sistemica è stata da anni descritta in medicina<br />

veterinaria, ma solo recentemente, grazie al diffondersi<br />

di metodiche diagnostiche di facile applicabilità clinica e alla<br />

presenza di una popolazione animale geriatrica in costante<br />

crescita, il suo contributo alla patologia animale inizia ad<br />

essere pienamente compreso.<br />

Le più comuni cause di ipertensione nel cane e nel gatto<br />

sono rappresentate dalle patologie renali e dalle endocrinopatie,<br />

mentre la forma primaria o essenziale rappresenta un<br />

evento raro. Le manifestazioni cliniche possono essere riferibili<br />

sia alla patologia sottostante, sia ai danni dei cosiddetti<br />

“organi- bersaglio” occhio, rene, sistema nervoso e cardiovascolare.<br />

Le alterazioni cardiache in corso di ipertensione<br />

sono state ampiamente studiate e documentate in medicina<br />

umana, dove è riconosciuta una vera e propria patologia<br />

denominata “Miocardiopatia ipertensiva” (McIp) 1 .<br />

In medicina veterinaria esistono lavori che documentano<br />

le modificazioni cardiache in corso di ipertensione nei gatti.<br />

Nel cane, se si escludono gli studi su modelli sperimentali,<br />

non ci sono al momento attuale studi sulla cardiomiopatia<br />

ipertensiva, inoltre nella pratica clinica queste alterazioni<br />

possono essere concomitanti con altre frequenti patologie<br />

cardiache (es. endocardiosi mitralica).<br />

FISIOPATOLOGIA<br />

La patogenesi della McIp è influenzata da diversi fattori:<br />

Fattori emodinamici: tra i principali vi è l’incremento del<br />

carico di pressione, prodotto essenzialmente dalla pressione<br />

sistolica, che determina un aumento dello stress parietale (legge<br />

di Laplace). Vari studi hanno evidenziato che la componente<br />

sistolica della pressione arteriosa è la principale responsabile<br />

dell’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS), mentre la<br />

pressione differenziale sisto-diastolica è il maggior determinante<br />

dell’ipertrofia vascolare (ispessimento medio-intimale).<br />

La rigidità dell’albero arterioso può contribuire a promuovere<br />

il rimodellamento concentrico con meccanismi<br />

però non ancora del tutto noti 2 , la rigidità arteriosa accresce,<br />

infatti, la velocità dell’onda sfigmica e induce un ritorno più<br />

precoce delle onde riflesse causando un aumento del picco<br />

di pressione in telesistole.<br />

Carico di volume e stato contrattile devono inoltre essere<br />

considerati in quanto è dimostrato 3 come le modificazioni<br />

morfologiche evidenziate dal cuore in caso di ipertensione,<br />

riflettono l’interazione fra pressione arteriosa, carico volu-<br />

metrico e stato isotropo del miocardio. Lo stimolo all’IVS è<br />

proporzionale all’elevazione dei valori pressori se la gittata<br />

sistolica e la contrattilità si mantengono costanti, lo stimolo<br />

è invece amplificato se il volume di eiezione aumenta e lo<br />

stato isotropo depresso o al contrario attenuato se il volume<br />

di riempimento si riduce e/o la contrattilità aumenta.<br />

Fattori non emodinamici: nell’uomo numerosi studi hanno<br />

evidenziato l’influenza del sesso, età, obesità, assunzione<br />

di sodio, genotipo ecc. nella patologia cardiovascolare in corso<br />

di ipertensione. Non esistono studi clinici nel cane per confermare<br />

o smentire l’influenza di tali fattori in questa specie.<br />

Il discorso diventa più complesso quando vengono presi in<br />

considerazione i fattori neuro-ormonali. Per meglio comprendere<br />

l’importanza di questi fattori è utile ricordare che: il miocardio<br />

normale è composto da diversi tipi cellulari: i miociti<br />

rappresentano un terzo della popolazione cellulare, mentre i<br />

restanti due terzi sono i non cardiomiociti (cellule endoteliali,<br />

cellule muscolari lisce dei vasi e fibroblasti localizzati sia a<br />

livello interstiziale che negli spazi perivascolari). L’ipertrofia<br />

ventricolare (aumento della massa miocardia) è determinata<br />

dalla crescita dei miociti cardiaci, che può essere accompagnata<br />

o meno dalla crescita dei non cardiomiociti.<br />

L’omogeneità strutturale nel cuore normale adulto è governata<br />

dall’equilibrio di sostanze stimolatrici (AngII, aldosterone,<br />

desossicorticosterone, endoteline e catecolamine) o inibitrici<br />

la crescita cellulare (NO, bradichinine, prostaglandine,<br />

peptidi natriuretici e glucocorticoidi) queste sostanze regolano<br />

la crescita cellulare, l’apoptosi, il fenotipo e il comportamento<br />

metabolico (es. il turnover di collagene). Le sostanze stimolanti<br />

sono attivate in fase di riparazione dei tessuti e includono<br />

infiammazione e fibrogenesi. La capacità di un organo di<br />

determinare la sua composizione cellulare e strutturale è denominata<br />

omeostasi tissutale ed è basata da un equilibrio dinamico<br />

di crescita e morte 4 . Negli atleti la crescita dei compartimenti<br />

muscolari e non muscolari sono tra loro proporzionati e<br />

l’omogenicità tissutale è preservata. In questo caso l’ipertrofia<br />

è adattativa e non è associata al rischio di insufficienza cardiaca<br />

e morte improvvisa. La massa ventricolare sinistra (MVS)<br />

negli atleti è comparabile all’ipertrofia vista nelle forme di<br />

ipertensione lieve o moderata, dove però l’omogenicità tissutale<br />

non è mantenuta e riscontriamo fibrosi perivascolare che circonda<br />

le coronarie e si estende ai contigui spazi interstiziali.<br />

Questo rimodellamento in corso di ipertensione sistemica è<br />

stato riscontrato anche nel ventricolo destro.<br />

Il rimodellamento strutturale della matrice compromette<br />

la reattività delle coronarie, aumenta la rigidità tissutale<br />

(stiffness) e aumenta i rischi di ischemia e infarto, disfunzione<br />

sisto-diastolica insufficienza cardiaca e aritmie che


226 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

possono portare alla morte improvvisa.Non è la quantità, ma<br />

la qualità del miocardio che differenzia l’ipertrofia dell’atleta<br />

dalla cardiomiopatia ipertensiva 4 . La fibrosi del miocardio<br />

in corso di ipertensione è stata evidenziata nel cane in condizioni<br />

sperimentali 5 .<br />

ECOCARDIOGRAFIA<br />

Diagnosi di ipertrofia ventricolare sinistra<br />

Si definisce IVS l’aumento della MVS, sia che essa si sviluppi<br />

intorno ad una cavità ventricolare normale, ridotta o<br />

ingrandita. Gli spessori parietali del ventricolo saranno<br />

aumentati, o potranno essere anche normali ma distribuiti su<br />

una superficie più ampia del normale. Il termine ipertrofia<br />

ventricolare sinistra non è sinonimo di ispessimento parietale,<br />

ma è indicativo di una accresciuta massa miocardia distribuita<br />

intorno alla cavità ventricolare. Il metodo più utilizzato<br />

nella pratica clinica per la valutazione della MVS è<br />

quello ecocardiografico perché consente una stima attendibile<br />

degli spessori parietali e dei diametri ventricolari durante<br />

tutte le fasi del ciclo cardiaco, soprattutto grazie all’impiego<br />

della tecnica M-mode. Migliori risultati sono ottenuti<br />

quando le misurazioni sono fatte con il metodo della convenzione<br />

A.S.E. e il calcolo utilizzando la formula di Devereux<br />

6 . Il limite di questo metodo è l’assunto geometrico iniziale<br />

che attribuisce al ventricolo una forma geometrica<br />

regolare ellissoide, limite che aumenta ulteriormente nelle<br />

condizioni cliniche in cui i ventricolo sinistro ha perso la<br />

forma regolare (IVS asimmetrica, rimodellamento).<br />

Valutazione della funzione sistolica<br />

del ventricolo sinistro<br />

I metodi ecocardiografici più comunemente usati per la valutazione<br />

della funzione sistolica ventricolare sinistra sono la<br />

determinazione della frazione di accorciamento (FA) e della<br />

frazione di eiezione (FE), metodi efficacemente usati in clinica<br />

solo in assenza di anomalie della cinetica segmentaria. Negli<br />

studi clinici, la frazione di accorciamento e la frazione di eiezione<br />

sono abitualmente misurate a livello dell’endocardio, il<br />

che riflette una dinamica di camera ma non necessariamente<br />

una stima diretta dell’accorciamento delle fibre miocardiche.<br />

Le fibre circonferenziali responsabili dell’accorciamento asse<br />

corto del ventricolo sono centroparietali tra due strati di fibre<br />

longitudinali, responsabile dell’accorciamento in asse lungo, il<br />

caso quindi di ipertrofia concentrica le fibre centroparietali possono<br />

mostrare una capacità contrattile ridotta mentre quelle<br />

endocardiche sono ancora integre nella loro funzione e quindi<br />

la FA può sovrastimare la reale funzione miocardica. La frazione<br />

di accorciamento centro parietale (mFA) può essere misurata<br />

con il metodo ecocardiografico utilizzando la formula<br />

descritta da De Simone 7 . L’utilizzo di questo parametro ha permesso<br />

di spiegare la differenza evidenziata tra gli studi sperimentali<br />

che evidenziavano una funzione ventricolare depressa<br />

in corso di IVS secondaria a sovraccarichi pressori, e gli studi<br />

clinici dove questa non veniva rilevata mediante l’utilizzo di<br />

altri indici ecocardiografici (FA e FE).<br />

Valutazione della funzione diastolica<br />

del ventricolo sinistro<br />

L’introduzione dello studio Doppler dei flussi transmitralici<br />

ha consentito di stimare in modo non invasivo la funzione<br />

diastolica ventricolare sinistra, valutazione di particolare<br />

importanza nell’esame di un soggetto iperteso.<br />

Nel soggetto iperteso non complicato, il pattern diastolico<br />

tipico si identifica con l’alterato rilasciamento del ventricolo<br />

sinistro, grado I di disfunzione diastolica (rapporto tra la<br />

velocità massima delle onde E/A < 1 e tempo di decelerazione<br />

dell’onda E e tempo di rilasciamento isovolumetrico<br />

aumentati). Questo stadio si manifesta tipicamente nella<br />

McIp anche prima dello sviluppo di IVS. Sfortunatamente i<br />

flussi transmitralici sono influenzati non solo dalle proprietà<br />

diastoliche del ventricolo sinistro ma da numerosi altri fattori<br />

come la frequenza cardiaca, il precarico, il ritardo atrio<br />

ventricolare, l’interazione ventricolare, le proprietà viscoelastiche<br />

e l’effetto pericardio quindi la corretta interpretazione<br />

dei flussi transmitralici prevede l’analisi di questi fattori 8 .<br />

CONTRIBUTO PERSONALE<br />

Per questo studio sono state presi in considerazione retrospettivamente<br />

tre gruppi di cani, visitati presso il Dipartimento<br />

di Patologia Animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di<br />

Torino e una Clinica Veterinaria Privata da giugno 2004 e settembre<br />

2005. Tutti i soggetti inclusi nello studio sono stati sottoposti<br />

a visita clinica completa, misurazione della pressione e<br />

ad esame ecocardiografico completo. Il primo gruppo comprende<br />

n°53 soggetti con pressione sistemica < 180 mmHg e<br />

senza segni di patologia cardiaca sia all’esame fisico, sia all’esame<br />

ecocardiografico. Il secondo gruppo n°15 soggetti con<br />

pressione sistolica ≥ 180 mmHg senza evidenze di malattie<br />

cardio-vascolari. Il terzo 44 soggetti con pressione sistolica ≥<br />

180 mmHg e con patologie cardiache concomitanti. Il segnalamento<br />

è riassunto in tabella 1. La popolazione è risultata distribuita<br />

normalmente (Shapiro Wilk Normality Test).<br />

Tabella 1 - Segnalamento<br />

1 2 3<br />

Normotesi > 180mmHg > 180mmHg con<br />

patol cardiaca<br />

N° soggetti 53 15 44<br />

Maschi 25 9 28<br />

Femmine 28 6 16<br />

Anni range(mediana) 1-13 (5) 2-16 (12) 3-17 (11)<br />

Kg range (media)<br />

Taglie piccole<br />

1 – 70 (27,7) 3-49 (16) 3-45 (13,9)<br />

< 15Kg (%)<br />

Taglie medio grandi<br />

22,6 60 70,4<br />

> 15kg (%)<br />

Pressione sistemica<br />

77,4 40 29,6<br />

Range mmHg<br />

Pressione sistemica<br />

100-170 180-280 180-260<br />

Media DS mmHg 131 ± 17 208,3 ± 24,6 204,7 ± <strong>21</strong>,4


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 227<br />

I risultati sono schematizzati in tabella 2, tutti i parametri<br />

riferibili agli spessori parietali, alle dimensioni interne e alla<br />

massa ventricolare sono stati indicizzati alla superficie corporea<br />

(BSA) e su questi è stata poi successivamente eseguita l’analisi<br />

statistica. Per ogni variabile considerata è stata calcolata la statistica<br />

descrittiva e i valori sono stati espressi come media ±<br />

deviazione standard. I valori medi relativi alle variabili i gruppi<br />

di animali oggetto di studio sono stati testati con il Test t di Student<br />

per dati indipendenti con un livello di significatività α =<br />

0,05. In accordo con quanto evidenziato in umana e in veterinaria<br />

i soggetti ipertesi hanno evidenziato un’età avanzata sottolineando<br />

come l’ipertensione sia essenzialmente una patologia<br />

tipica di una popolazione geriatrica inoltre nei soggetti ipertesi<br />

sono particolarmente rappresentati i soggetti di piccola<br />

taglia. L’analisi dei risultati tra il gruppo dei normotesi e degli<br />

ipertesi senza patologie cardiache non ha evidenziato segni di<br />

ipertrofia concentrica in quanto tutti gli spessori parietali e le<br />

dimensioni ventricolari in sistole e diastole non hanno evidenziato<br />

differenze statisticamente significative tra i due gruppi,<br />

mentre tra i parametri di funzionalità diastolica i soggetti ipertesi<br />

hanno evidenziato aumenti di velocità dell’onda A e diminuzione<br />

del rapporto E/A con differenze significative rispetto i<br />

soggetti normotesi, in base a questi dati possiamo dire che sebbene<br />

non fosse possibile stabilire da quanto tempo fosse presente<br />

lo stato ipertensivo la disfunzione diastolica appare precedere<br />

anche nel cane l’ipertrofia cardiaca in accordo a quanto già<br />

osservato nell’uomo. Per quanto riguarda il confronto tra il<br />

gruppo dei normotesi e quello degli ipertesi con patologia cardiaca,<br />

differenze significative riguardano i volumi e le pressioni<br />

di riempimento in quanto l’86,2% dei soggetti presentava<br />

endocardiosi e prolasso mitralico.<br />

Tabella 2 - Risultati<br />

1 2 3 1 Vs 2 1 Vs 3 2 Vs 3<br />

Normotesi > 180mmHg > 180mmHg e<br />

patol cardiaca<br />

Pressione Sistemica 131 ± 17 208,3 ± 24,6 204,7 ± <strong>21</strong>,4 p < 0,001 p < 0,001 NS<br />

IVSd/BSA 1,36 ± 0,59 1,63 ± 0,79 1,56 ± 0,57 NS NS NS<br />

IVSs/BSA 1,81± 0,78 2,30 ± 1,24 2,39 ± 1,<strong>19</strong> NS p < 0,05 NS<br />

LVd/BSA 5,09 ± 2,<strong>21</strong> 5,6 ± 1,9 7,3 ± 2,88 NS p < 0,001 p < 0,05<br />

LVs/BSA 3,26 ± 1,15 3,47 ± 1,17 4,29 ± 1,71 NS p < 0,001 p < 0,05<br />

LVPWd/BSA 1,43 ± 0,91 1,91 ± 1,23 1,67 ± 0,60 NS NS NS<br />

LVPWs/BSA 1,93 ± 1,02 2,34 ± 1,40 2,44 ± 0,88 NS p < 0,05 NS<br />

Stress diastol rel 3,77 ± 0,82 3,59 ± 1,53 4,51 ± 1,36 NS p


228 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La comunicazione nel coniglio<br />

Marzia Possenti<br />

Med Vet, Cassano d’Adda (MI)<br />

Il coniglio è una specie sociale fortemente territoriale, e<br />

dunque la comunicazione è molto importante per mantenere<br />

i rapporti con i membri del proprio gruppo familiare e per far<br />

comprendere agli estranei qual è il proprio territorio. I conigli<br />

selvatici vivono in gruppi di 4-10 soggetti con una struttura<br />

fortemente gerarchizzata: il gruppo è controllato da una<br />

coppia dominante e le altre coppie o singoli si trovano tutti<br />

in una posizione gerarchica ben precisa. All’interno del<br />

gruppo i maschi hanno il compito di perlustrare il territorio<br />

per individuare la presenza di estranei. Sarà poi compito del<br />

maschio dominante scacciare gli intrusi. La difesa del territorio<br />

è molto meno decisa al di fuori della stagione riproduttiva<br />

e può capitare che altri conigli, sia maschi che femmine,<br />

entrino a far parte del gruppo, ma in casa le ore luce sono<br />

sempre molte, la disponibilità di cibo è elevata tutto l’anno e<br />

d’inverno il riscaldamento permette di ottenere una temperatura<br />

mite, quindi per molti conigli domestici la stagione<br />

riproduttiva non si arresta con l’autunno, ma prosegue per<br />

tutto l’anno, e così l’esigenza di difendere il territorio. Molto<br />

spesso i primi contatti di un nuovo membro con il gruppo<br />

avvengono durante il pascolo: il momento del pasto ha una<br />

forte accezione “conviviale” per questa specie, i gruppi<br />

familiari si ritrovano nello stesso pascolo e lo condividono<br />

pacificamente. In questo momento è anche possibile la formazione<br />

di nuovi gruppi familiari, se i giovani maschi puberi,<br />

allontanati dal proprio gruppo di appartenenza, scelgono<br />

di corteggiare una giovane femmina di un altro gruppo. Il<br />

pasto rappresenta dunque un buon momento per facilitare<br />

l’ingresso di un nuovo coniglio in un ambiente domestico<br />

che ne ospita già uno o più.<br />

Il comportamento di difesa del territorio è strettamente<br />

legato alla presenza degli ormoni sessuali: sia maschi che<br />

femmine presentano questo comportamento più marcatamente<br />

prima della sterilizzazione. La maggior parte dei<br />

conigli maschi ed anche molte femmine alla pubertà iniziano<br />

a marcare con le urine oggetti e persone. La sterilizzazione<br />

determina l’estinzione di questo comportamento nella<br />

maggior parte dei casi: il comportamento di marcatura può<br />

persistere nel caso in cui si sia instaurata un’abitudine, ovvero<br />

sia trascorso molto tempo tra l’inizio del comportamento<br />

e la sterilizzazione. L marcatura con spruzzi di urina emessi<br />

mentre il coniglio gira attorno ad una persona o ad un altro<br />

coniglio fa parte del rituale del corteggiamento e scompare<br />

dopo la sterilizzazione, a meno che non vi sia stato un rinforzo<br />

su questo comportamento, come permettere al coniglio<br />

di effettuare monte sessuali sul soggetto che viene marcato.<br />

Il coniglio marca con le urine sia oggetti che luoghi che individui,<br />

con le feci, spesso depositate in piccoli mucchietti in<br />

luoghi ben visibili ai limiti del territorio nel coniglio selvatico,<br />

distribuite in giro per la gabbia e nei luoghi che percepi-<br />

sce minacciati nel domestico, ed in particolare con la secrezione<br />

delle ghiandole inguinali che avvolge le feci durante<br />

l’emissione, con la ghiandola del mento più spesso oggetti o<br />

punti strategici del territorio, ma anche i conigli sottomessi<br />

ed i membri del proprio gruppo. In particolare la ghiandola<br />

del mento sembra presentare una composizione particolare<br />

nel coniglio dominante, ovvero una maggior quantità di 2fenossietanolo.<br />

Si tratta di una sostanza comunemente utilizzata<br />

dalle aziende produttrici di profumi per rendere più<br />

persistente l’aroma, in effetti è un fissativo degli odori: il<br />

maschio dominante può marcare con il mento lasciando una<br />

traccia odorosa più persistente degli altri conigli. Il comportamento<br />

di marcatura è più evidente nel maschio ma anche<br />

le femmine lo presentano, soprattutto in relazione con la stagione<br />

riproduttiva e nel caso di soggetti con posizione gerarchica<br />

elevata.. Ogni cambiamento, anche minimo, nel territorio<br />

del coniglio può stimolare la comparsa del comportamento<br />

di marcatura anche in conigli sterilizzati.<br />

Poiché i conigli sono animali fortemente territoriali è<br />

importante comprendere che non è facile far convivere pacificamente<br />

due conigli nella stessa casa se non si attua un corretto<br />

inserimento del nuovo arrivato ed una buona gestione<br />

del territorio. La maggior parte dei conigli “da compagnia”<br />

vive solo con i proprietari, ma spesso viene lasciato solo in<br />

casa per molte ore al giorno e la possibilità di avere un compagno<br />

o una compagna rende più sopportabile questo quotidiano<br />

“abbandono”. Le coppie più facilmente gestibili sono<br />

maschio e femmina, avendo cura di sterilizzare entrambi non<br />

appena raggiungono la pubertà, ma è possibile avere anche<br />

coppie di femmine, soprattutto se sono cresciute assieme. Le<br />

coppie di maschi sono pressoché impossibili da formare se<br />

non sono sterilizzati, ed in ogni caso si consiglia sempre la<br />

sterilizzazione perché rende più semplice l’inserimento di<br />

nuovi membri del gruppo e da stabilità al legame evitando<br />

l’aumento di competitività legato al periodo riproduttivo.<br />

Per inserire un nuovo arrivato è bene:<br />

• non utilizzare un ambiente famigliare al “padrone di<br />

casa”, bensì un territorio neutrale, precedentemente ripulito<br />

dalle tracce odorose.<br />

• attirare entrambi i conigli con dei bocconcini appetitosi<br />

(uno per ciascuno) ed avvicinarli mentre mangiano dalle<br />

mani del proprietario.<br />

• mai mettere le gabbie a contatto se due conigli non hanno<br />

già instaurato un legame affettivo: la gabbia è sempre<br />

troppo piccola perché uno dei due conigli possa allontanarsi<br />

abbastanza da non essere considerato una minaccia<br />

per il proprio territorio dal vicino. Inoltre i conigli, soprattutto<br />

i maschi interi e le femmine in corso di pseudogravidanza,<br />

spesso non tollerano intrusioni nella gabbia e<br />

possono aggredire provocando lesioni anche gravi. Que-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 229<br />

sto comportamento può essere esacerbato dalla presenza<br />

del cibo nella gabbia ed in alcuni casi può comparire<br />

anche soltanto in questo caso.<br />

I conigli sono animali crepuscolari: in natura passano la<br />

maggior parte del giorno nei loro cunicoli ed escono nel tardo<br />

pomeriggio, poco prima del tramonto. Poiché si tratta di<br />

animali fortemente sociali i conigli domestici si adattano<br />

facilmente ai ritmi circadiani dei proprietari, arrivando ad<br />

essere attivi soprattutto durante il giorno ed a dormire di notte.<br />

In ogni caso i picchi di massima attività si verificano la<br />

sera e molti proprietari descrivono corse e salti proprio in<br />

questo momento della giornata. Proprio per questo motivo il<br />

coniglio è un animale che si può adattare alla vita famigliare<br />

laddove i proprietari lavorino durante il giorno e siano<br />

presenti in casa dal tardo pomeriggio.<br />

Poiché un coniglio correttamente socializzato considera<br />

membri del proprio gruppo tutti coloro che convivono con lui<br />

in casa è importante saper leggere i segnali comunicativi di<br />

questa specie per non incorrere in errori ed incomprensioni<br />

che porterebbero a patologie della relazione, che rappresentano<br />

la maggior parte dei problemi comportamentali dei conigli.<br />

Quando due conigli sconosciuti s’incontrano possono presentarsi<br />

tre situazioni:<br />

• nel primo caso uno dei due conigli, di solito colui che si<br />

trova al di fuori del proprio territorio, si allontana<br />

• nel secondo caso uno dei due conigli può presentare un<br />

comportamento di sottomissione, l’altro allora si avvicinerà<br />

con postura alta, arti rigidi ed andatura molto lenta,<br />

sfregando il mento contro gli oggetti che trova sul percorso<br />

e raspando il terreno con gli arti anteriori, potrebbe<br />

arrivare a poggiare il mento sulla nuca del sottomesso<br />

• nel terzo caso entrambi i conigli si fronteggeranno con<br />

numerose dimostrazioni di “forza”, ovvero sfregamenti<br />

del mento, raspare il terreno e avanzando con postura alta<br />

e rigidità degli arti, con le orecchie in avanti e lo sguardo<br />

fisso sull’avversario.<br />

A volte lo scontro si limita a questa fase ed uno dei due<br />

contendenti fugge o assume la posizione di sottomissione,<br />

ma se entrambi insistono si arriva allo scontro, con attacchi<br />

portati con gli incisivi e gli arti anteriori. Questo tipo di<br />

scontri può essere molto pericoloso per la salute di un coniglio,<br />

poiché sia gli artigli che i denti sono molto affilati ed i<br />

colpi sono portati senza risparmiare energie. Purtroppo in<br />

casa molto spesso non c’è spazio sufficiente per un coniglio<br />

per fuggire dal proprio avversario e si arriva facilmente e<br />

direi costantemente allo scontro fisico, peraltro molto rapido<br />

e pressoché impossibile da interrompere per il proprietario<br />

se non con un forte spruzzo di acqua sul muso dei contendenti<br />

o con un intenso rumore che spaventi entrambi (si preferisce<br />

l’acqua per evitare lo sviluppo di fobie).<br />

I conigli possiedono una comunicazione verbale piuttosto<br />

scarna, fatta di brevi grugniti, borbottii e, raramente, grida<br />

acute. La loro comunicazione è prevalentemente legata alla<br />

prossemica ed all’atteggiamento posturale. Molto forte è<br />

anche la componente olfattiva ma delle marcature si è già<br />

parlato precedentemente.<br />

Brevi grugniti possono accompagnare le aggressioni territoriali<br />

o materne, o precederle di poche frazioni di secondo.<br />

I borbottii vengono emessi quando il coniglio si trova in<br />

una situazione emotivamente rilassante e piacevole, una specie<br />

di “fusa” del coniglio, e a volte sono accompagnati da un<br />

leggerissimo digrignamento dei denti. Un digrignamento<br />

forte ed aspro accompagna invece le forti algie.<br />

Spesso i maschi emettono un suono simile al “gugugu”<br />

durante il comportamento di corteggiamento e mantengono<br />

entrambi anche dopo la sterilizzazione, probabilmente con<br />

un diverso significato: viene emesso ogni volta che il coniglio<br />

si trova in una situazione di eccitazione: durante un gioco<br />

molto intenso o quando un membro del gruppo torna a<br />

casa dopo un’assenza oppure quando sta per ricevere del<br />

cibo particolarmente appetito.<br />

Le grida sono estremamente rare e vengono emesse in<br />

situazioni di stress estremo, di forte paura o dolore. Spesso<br />

sono seguite da uno stato stuporoso, quasi un collasso, che<br />

indica l’estrema fragilità dell’apparato cardio-circolatorio di<br />

questa specie e la forte sensibilità che presenta alla liberazione<br />

delle catecolamine: molti conigli gridano prima di morire.<br />

Anche per questo motivo è importante comprendere i<br />

segnali di stress di questa specie: un coniglio può scuotere la<br />

testa o battere il piede in terra con forza quando si sente infastidito<br />

o irritato da qualcosa o qualcuno ed assumerà la posizione<br />

di allerta (orecchie alte girate in avanti, midriasi, palpebre<br />

molto aperte, rigidità dei muscoli e tronco alto) ogni<br />

volta che penserà di percepire un potenziale pericolo. Il leccamento<br />

delle labbra è un segnale di stress anche in questa<br />

specie, spesso seguito dal grooming appena la situazione di<br />

“pericolo” cessa.<br />

Nei coniglietti prepuberi la paura determina il freezing,<br />

ovvero l’assunzione di una posizione “a chioccia” con le<br />

orecchie schiacciate indietro, le palpebre molto dilatate (si<br />

rende visibile la sclera dell’occhio), una forte midriasi e un<br />

irrigidimento di tutti i muscoli. Alla pubertà il freezing viene<br />

sostituito dal comportamento di fuga, che i coniglietti<br />

presentano molto di rado.<br />

In conclusione si può affermare che la comunicazione nel<br />

coniglio è piuttosto complessa, fatta di segnali sottili e difficilmente<br />

percepibili dall’uomo senza un corretto allenamento,<br />

ma è di fondamentale importanza per la formazione di un<br />

buon rapporto uomo-coniglio e per evitare lo sviluppo di<br />

patologie della comunicazione o della relazione, purtroppo<br />

così frequenti in questa specie.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Marzia Possenti<br />

L’Arca ambulatorio veterinario associato,<br />

Cassano d’Adda (MI)<br />

E-mail: grayne@tiscali.it


230 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia epatica: analisi dei concetti di base<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Indicazioni per la biopsia epatica<br />

• L’epatomegalia può essere identificata mediante palpazione<br />

o ricorrendo a radiografia ed ecografia<br />

• Le anomalie della diagnostica per immagini possono<br />

essere presenti sotto forma di ingrossamenti generalizzati<br />

o lesioni focali<br />

• L’aumento dei livelli degli enzimi epatici o degli acidi biliari<br />

indica un danno epatocellulare diretto o indiretto nonché<br />

una disfunzione biliare o circolatoria del fegato. Queste<br />

alterazioni devono essere persistenti, non transitorie<br />

• La stadiazione delle malattie neoplastiche sistemiche, in<br />

particolare del linfoma e del mastocitoma, risulta utile per<br />

un trattamento appropriato.<br />

Controindicazioni per la biopsia epatica<br />

• Le anomalie dell’emostasi possono venire escluse mediante<br />

PT, APTT o ACT, conteggio piastrinico e determinazione<br />

del tempo di emorragia prima di effettuare la biopsia<br />

• L’ipoproteinemia può essere verificata attraverso esame<br />

emocromocitometrico completo e profilo biochimico. È<br />

importante perché la presenza di bassi livelli proteici può<br />

inibire la guarigione delle ferite, il che rappresenta un aspetto<br />

significativo per le biopsie prelevate chirurgicamente<br />

• I rischi anestetici in un paziente vanno tenuti in considerazione,<br />

a seconda della tecnica bioptica utilizzata<br />

Le considerazioni relative alla tecnica bioptica dipendono<br />

dalla necessità di visualizzare il fegato, dall’entità del rischio<br />

anestetico e dalla presentazione della malattia (focale o diffusa).<br />

• La laparotomia richiede l’anestesia generale e consente<br />

una completa visualizzazione del fegato. Questa procedura<br />

permette anche la correzione chirurgica, se indicata. Le<br />

ferite determinate dalla biopsia possono essere facilmente<br />

controllate in caso di sanguinamento eccessivo. Il campione<br />

ottenuto ha valore diagnostico.<br />

• Le incisioni di accesso (Keyhole incisions) vengono utilizzate<br />

per isolare il fegato o con la laparoscopia. Questa tecnica<br />

richiede una sedazione profonda con anestesia locale. Per praticare<br />

una biopsia per incisione si utilizza un ago tagliente e<br />

una volta ottenuto il campione si devono allestire dei preparati<br />

citologici per impronta prima di collocarlo in formalina.<br />

• Il campionamento sotto guida ecografica richiede sedazione<br />

ed anestesia locale. I campioni hanno spesso valore<br />

diagnostico grazie all’assistenza ecografica. Si utilizzano<br />

un ago tagliente e dei metodi di aspirazione come nel<br />

modo precedentemente descritto per le Keyhole incisions.<br />

(SCELTA D’ELEZIONE)<br />

• Le tecniche di campionamento alla cieca possono venire<br />

utilizzate per le lesioni epatiche diffuse, come quelle associate<br />

a lipidosi, epatopatia da steroidi o neoplasia a cellule<br />

rotonde. Questo tipo di campionamento richiede una sedazione<br />

di minima entità per consentire l’aspirazione. Si<br />

impiegano sia aghi taglienti che tecniche per aspirazione<br />

I gruppi citodiagnostici per la citologia epatica comprendono<br />

8 categorie frequentemente utilizzate per classificare<br />

il materiale citologico ottenuto dal fegato. Nota: in un<br />

dato campione può essere presente più di una categoria<br />

1. Cellule epiteliali normali<br />

2. Danno o degenerazione cellulare<br />

3. Iperplasia o adenoma<br />

4. Anomalie della pigmentazione<br />

5. Infiammazione<br />

6. Neoplasia maligna<br />

7. Tessuto emopoietico<br />

8. Campione non diagnostico<br />

Tessuto epatico normale<br />

• Gli epatociti si presentano sotto forma di ammassi o<br />

foglietti di grandi cellule uniformi. Questi elementi sono<br />

caratterizzati da rapporto nucleocitoplasmatico basso,<br />

citoplasma leggermente basofilo e granulare, nucleo<br />

rotondo in posizione centrale con cromatina puntinata e<br />

nucleolo prominente. Occasionalmente, le cellule sono<br />

binucleate ed i nucleoli sono multipli.<br />

• L’epitelio biliare è formato da foglietti di piccole cellule<br />

uniformi, con rapporto nucleocitoplasmatico elevato. I<br />

dotti biliari di grandi dimensioni sono rivestiti da un epitelio<br />

colonnare semplice. I nucleoli sono spesso indistinti.<br />

• Mast cell e macrofagi possono occasionalmente essere<br />

presenti in numero limitato.<br />

Danno o degenerazione epatocellulare<br />

• L’alterazione idropica (degenerazione vacuolare) determina<br />

la comparsa di un aspetto schiumoso all’interno del citoplasma<br />

degli epatociti, che rappresenta la conseguenza del<br />

rigonfiamento del reticolo endoplasmatico imputabile ad un<br />

aumento dell’acqua intracellulare. Questo quadro si può<br />

osservare nell’anossia tissutale e nelle epatopatie tossiche.<br />

• L’alterazione adiposa si presenta sotto forma di vacuoli<br />

chiari isolati all’interno del citoplasma dei epatociti ed è<br />

conseguente all’accumulo di lipidi che possono confluire<br />

liberamente. Questo aspetto ha spesso valore diagnostico<br />

per la lipidosi.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 231<br />

• L’accumulo di glicogeno si osserva in caso di alterazione<br />

del metabolismo del glucosio come quello che si ha nell’epatopatia<br />

da steroidi. Il citoplasma si presenta schiumoso,<br />

simile a quello dell’alterazione idropica. Le modificazioni<br />

indotte dagli steroidi si notano principalmente<br />

nel cane, ma sono state osservate occasionalmente anche<br />

nel gatto.<br />

• La necrosi si può avere come conseguenza di tossicosi,<br />

malattie infettive o neoplasie. Le cellule si presentano<br />

indistinte, con perdita del dettaglio cellulare.<br />

• La fibrosi è correlata ad un aumento della reazione del tessuto<br />

connettivo ad un danno, come quello che si osserva<br />

in caso di cirrosi, epatopatia post-necrosi o infiammazione<br />

cronica.<br />

• La deposizione amiloide è una condizione poco comune<br />

spesso correlata ad una malattia infiammatoria cronica. La<br />

presenza intorno agli epatociti di materiale amorfo eosinofilo<br />

positivo al rosso Congo ha valore diagnostico.<br />

L’iperplasia (rigenerazione) epatica e l’adenoma vengono<br />

riuniti dal momento che hanno un aspetto citologico simile.<br />

• Negli epatociti si nota una frequente binucleazione<br />

• L’aumento del rapporto nucleocitoplasmatico indica una<br />

crescita rapida<br />

• Sono presenti anisocitosi ed anisocariosi di grado lieve o<br />

moderato<br />

• A causa del rapido accrescimento si può notare un veloce<br />

incremento della basofilia del citoplasma<br />

• Si ha un aumento della frequenza delle inclusioni cristalline<br />

intranucleari<br />

• Le condizioni da prendere in considerazione sono l’iperplasia<br />

nodulare, l’epatopatia tossica, l’adenoma epatocellulare,<br />

l’adenoma dei dotti biliari e la cirrosi<br />

Le anomalie del pigmento epatico si osservano all’interno<br />

degli epatociti e si presentano sotto forma di ombre di colore blu<br />

e verde con le colorazioni di routine. L’eziologia di questi pigmenti<br />

può venire differenziata attraverso reazioni citochimiche.<br />

• La stasi biliare all’interno dei canalicoli si presenta sotto<br />

forma di cilindri verdi o materiale granulare fra gli epatociti.<br />

Le condizioni associate alle alterazioni dei pigmenti<br />

biliari sono rappresentate da colangite, distomatosi epatica,<br />

lipidosi, epatopatia da steroidi, epatopatia tossica,<br />

iperplasia nodulare e cirrosi<br />

• L’emosiderosi è una condizione da sovraccarico in cui il<br />

ferro si presenta sotto forma di materiale addensato di<br />

colore blu o blu-verde che si colora positivamente con il<br />

blu di Prussia. L’emosiderosi è associata ad emolisi cronica<br />

ed eccessiva integrazione con ferro<br />

• La lipofuscina si presenta nei preparati colorati con<br />

Wright-Giemsa sotto forma di granuli blu-verdi, che corrispondono<br />

a lipidi degenerati derivanti dall’invecchiamento<br />

cellulare<br />

• L’accumulo di rame si presenta come materiale blu-verde che<br />

si colora positivamente con acido rubeanico. Questo può essere<br />

un accumulo primario o secondario riferito ad epatopatia<br />

Epatite/colangite<br />

• L’infiammazione neutrofila (suppurativa) è associata a<br />

necrosi, infezione batterica e colangioepatite suppurativa<br />

felina. I neutrofili degenerati o non degenerati sono aumentati<br />

rispetto a quelli riscontrati nel sangue periferico<br />

• L’infiammazione linfocitaria o plasmocitaria (non suppurativa)<br />

è comune nella colangioepatite linfocitaria felina.<br />

Le cellule linfoidi sono elementi piccoli e ben differenziati<br />

che risultano associati ad una malattia cronica e possono<br />

essere difficili da distinguere citologicamente da un<br />

linfoma a cellule piccole.<br />

• L’infiammazione eosinofilica può essere associata a distomatosi<br />

epatica o mastocitoma localizzato all’interno del fegato<br />

• L’infiammazione piogranulomatosa è formata da una popolazione<br />

mista di neutrofili e macrofagi. Questo quadro è associato<br />

a micobatteriosi, istoplasmosi e toxoplasmosi.<br />

Le neoplasie maligne del fegato possono essere primarie<br />

e secondarie o metastatiche.<br />

• I tumori primari comprendono: carcinoma epatocellulare,<br />

carcinoma dei dotti biliari ed emangiosarcoma<br />

• I tumori secondari comprendono: leucemie mieloidi (non<br />

linfoidi), carcinomi intestinali e tumori delle cellule degli<br />

isolotti pancreatici<br />

• Il linfoma ed il mastocitoma possono essere primari o secondari<br />

Tessuto emopoietico<br />

• L’emopoiesi extramidollare somiglia ad una popolazione<br />

cellulare midollare di tipo misto e comprende precursori<br />

eritroidi, granulocitari e megacariocitari. Spesso è correlata<br />

ad un’esigenza fisiologica, come avviene nelle malattie<br />

del midollo osseo o in condizioni di ipossia<br />

• Il mielolipoma è un tumore poco comune simile all’emopoiesi<br />

extramidollare, che però contiene anche una quota<br />

considerevole di materiale lipidico. È di natura benigna e<br />

spesso localizzato<br />

Riassunto delle caratteristiche citologiche<br />

delle epatopatie specifiche<br />

• Epatopatia tossica: le caratteristiche osservate comprendono<br />

alterazione idropica, colestasi, necrosi e rigenerazione<br />

con fibrosi (se cronica)<br />

• Lipidosi o epatopatia da steroidi: le caratteristiche comprendono<br />

alterazioni adipose (lipidosi) ed idropiche (epatopatia<br />

da steroidi) nonché colestasi<br />

• Iperplasia nodulare o cirrosi: le caratteristiche comprendono<br />

iperplasia degli epatociti e dell’epitelio biliare, colestasi<br />

e fibrosi.<br />

Bibliografia e letture consigliate<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000.<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99.<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001.<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin - Professor of Veterinary Clinical Pathology<br />

Purdue University, West Lafayette, Indiana, USA


232 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia epatica: casi esemplificativi complessi<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

In questo lavoro, verranno trattati gli aspetti citologici di<br />

specifici esempi di casi che colpiscono il fegato. Saranno<br />

presi in considerazione i gruppi citodiagnostici o di classificazione<br />

generale corrispondenti a iperplasia, infiammazione,<br />

degenerazione epatica, risposta a danno tissutale e neoplasia.<br />

IPERPLASIA<br />

Iperplasia nodulare<br />

Questa condizione è comune nei cani anziani e spesso si<br />

presenta sotto forma di molteplici noduli ben definiti, distribuiti<br />

casualmente. Istologicamente, questi mantengono<br />

una struttura lobulare in contrasto con le condizioni neoplastiche.<br />

Le caratteristiche citologiche di questi epatociti<br />

ingrossati comprendono la vacuolizzazione diffusa o focale.<br />

Si osservano vacuoli isolati contenenti lipidi o schiumosità<br />

citoplasmatiche spesso associate a deposizione di<br />

glicogeno.<br />

Iperplasia rigenerativa<br />

Il fegato danneggiato risponde frequentemente con un’iperplasia<br />

all’esposizione a sostanze tossiche come farmaci,<br />

aflatossine o piante. Si osserva una significativa fibrosi che<br />

non si riscontra nell’iperplasia nodulare del cane anziano e<br />

l’architettura normale va perduta. Queste anomalie possono<br />

essere istologicamente simili, ma non identiche, a quelle<br />

degli adenomi epatocellulari.<br />

Le alterazioni citologiche nell’epatopatia tossica sono<br />

rappresentate da un aumento del rapporto nucleocitoplasmatico<br />

che indica una rapida crescita. Si nota una frequente<br />

binucleazione, unitamente ad un’anisocitosi degli epatociti<br />

lieve o moderata. Inoltre, il citoplasma contiene più proteine<br />

per la proliferazione e, di conseguenza, si ha un<br />

aumento della basofilia citoplasmatica. Gli epatociti possono<br />

mostrare un’alterazione idropica con una riduzione della<br />

colorazione del citoplasma alla periferia della cellula<br />

riferibile al rigonfiamento degli organuli.<br />

Sembra esistere un’associazione fra le inclusioni intranucleari<br />

cristalline e le affezioni iperplastiche del fegato,<br />

benché queste inclusioni siano state notate anche in alcuni<br />

pazienti clinicamente normali. In caso di danno cronico e<br />

conseguente cirrosi, si possono trovare fibrociti e fibroblasti<br />

associati a ciuffi di filamenti eosinofilici di collagene<br />

che si possono presentare sotto forma di aggregati densi.<br />

Questo quadro può essere accompagnato dal riscontro di<br />

cilindri biliari.<br />

INFIAMMAZIONE<br />

Colangite/epatite suppurativa<br />

Questa infiammazione è associata a necrosi, infezione<br />

batterica e colangioepatite suppurativa felina. Neutrofili<br />

degenerati e non degenerati sono aumentati fino a valori<br />

superiori a quelli che si trovano nel sangue periferico. Occasionalmente<br />

si possono riscontrare dei batteri sia all’interno<br />

dei neutrofili che in sede extracellulare.<br />

Colangioepatite linfocitaria<br />

In questa sindrome nel gatto si rileva la presenza di linfociti<br />

piccoli o intermedi o di plasmacellule, spesso in associazione<br />

con una lieve pancreatite. Si può anche notare la<br />

formazione di tappi nei canalicoli biliari. In rari casi, una<br />

popolazione uniforme di piccoli linfociti può somigliare ad<br />

un linfoma ben differenziato, ma il riscontro di una popolazione<br />

cellulare mista suggerisce un processo infiammatorio.<br />

Reazioni parassitarie<br />

La reazione alla presenza di distomi o delle loro uova è<br />

stata notata in rari casi all’esame citologico, sulla base del<br />

riscontro di una risposta infiammatoria eosinofilica e neutrofila<br />

unita a segni di stasi biliare. Le uova dei distomi sono<br />

state identificate all’esame citologico ed appaiono di colore<br />

verde, presumibilmente dovuto alla bile. Platynosomum<br />

concinnum è un parassita dei gatti del Nord America con un<br />

ciclo vitale che coinvolge lucertole e chiocciole. Amphimerus<br />

pseudofelineus è un altro distoma riscontrato nel gatto.<br />

Citauxzoonosis<br />

Si tratta di una malattia trasmessa da zecche che colpisce<br />

il gatto e si riscontra nella parte meridionale degli Stati Uniti.<br />

Il microrganismo infesta organi come il fegato e si può<br />

osservare negli strisci per impronta sotto forma di strutture<br />

intracitoplasmatiche basofile (merozoiti) disposti come schizonti<br />

all’interno dei macrofagi rigonfi.<br />

DEGENERAZIONE EPATICA<br />

Epatopatia da glucocorticoidi<br />

La somministrazione per via esogena di corticosteroidi o il<br />

loro aumento a causa di un incremento della produzione endo-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 233<br />

gena determinano un’alterazione vacuolare indicata col nome<br />

di epatopatia da steroidi. La condizione si può osservare sia nel<br />

cane che nel gatto, con effetti morfologici simili. L’incremento<br />

del glicogeno all’interno degli epatociti sembra simile all’alterazione<br />

idropica con vacuolizzazione indistinta del citoplasma.<br />

L’alterazione può essere diffusa o localizzata alla periferia<br />

cellulare. In questa condizione si possono osservare inclusioni<br />

intranucleari aspecifiche, insieme alla stasi biliare.<br />

Lipidosi epatica del gatto<br />

Si tratta di una condizione comune che si riscontra come<br />

conseguenza dell’accumulo di trigliceridi all’interno degli<br />

epatociti, spesso in seguito ad episodi di anoressia. Dal<br />

momento che la malattia è diffusa in tutto il parenchima, la<br />

biopsia mediante aspirazione con ago sottile ha spesso valore<br />

diagnostico. Gli epatociti possono presentare vacuoli puntati<br />

chiari, singoli o multipli, all’interno del citoplasma. A<br />

volte, i vacuoli possono diventare così numerosi da affollarsi<br />

fino a spingere il nucleo verso uno dei lati della cellula. L’aspetto<br />

di questi epatociti altamente vacuolizzati può essere<br />

difficile da distinguere da quello dei macrofagi schiumosi.<br />

Alla citologia si riscontra anche una stasi biliare, con formazione<br />

di tappi nei canalicoli biliari e aumento di granuli verdi<br />

all’interno degli epatociti. Per confermare la presenza di<br />

lipidi nei vacuoli, è possibile utilizzare pari quantità di oilred-O<br />

e nuovo blu di metilene su strisci non fissati e non<br />

colorati. Dal momento che i lipidi sono incorporati nella cellula,<br />

si osserva una colorazione arancio smorto, mentre a<br />

livello extracellulare sono presenti gocce di arancio brillante.<br />

Epatopatia da rame<br />

Certe razze di cani come il Bedlington ed il west Highland<br />

white terrier, nonché i pazienti che presentano accumuli di<br />

quantità tossiche di rame, sviluppano insufficienza epatica<br />

dovuta alla reazione infiammatoria. Il riscontro di pallidi<br />

granuli rifrangenti verdi che risultano positivi all’acido<br />

rubeanico ha valore diagnostico per l’intossicazione da<br />

rame. Questa può essere dovuta ad un accumulo primario<br />

che porta ad epatopatia o rappresentare la conseguenza di<br />

una malattia epatica. La colorazione di Romanowsky può<br />

conferire un aspetto cromatico simile ai granuli epatocitari<br />

positivi alla colorazione per la bilirubina, che quindi rappresentano<br />

la bile. Tuttavia, è stato notato che in assenza di<br />

cilindri di bile i granuli verdi all’interno degli epatociti sono<br />

molto probabilmente dovuti alla presenza di lipofuscina.<br />

Questo pigmento si riscontra nel normale invecchiamento<br />

delle cellule e nella conseguente degenerazione dei lipidi<br />

cellulari, il cosiddetto “pigmento da logoramento”.<br />

Emosiderosi<br />

Gli animali che vanno incontro alla degradazione cronica<br />

degli eritrociti o che ricevono un’integrazione con ferro sviluppano<br />

una condizione da sovraccarico caratterizzata dall’accumulo<br />

di questo elemento negli epatociti. Questo materiale si presenta<br />

con un aspetto granulare e addensato e con una tonalità blu<br />

o blu-verde che si colora positivamente con il blu di Prussia.<br />

RISPOSTA AL DANNO TISSUTALE<br />

Amiloidosi<br />

Si tratta di una condizione poco comune, spesso correlata<br />

ad una malattia infiammatoria cronica. L’amiloide viene<br />

identificata attraverso la presenza intorno agli epatociti di<br />

materiale amorfo eosinofilico, positivo al rosso Congo. In<br />

questa situazione sono spesso presenti elementi infiammatori<br />

come i neutrofili ed i linfociti.<br />

NEOPLASIA<br />

Adenoma epatocellulare<br />

Si tratta di una condizione neoplastica poco comune che si<br />

presenta sotto forma di una lesione isolata nel cane e nel gatto. I<br />

segni clinici sono generalmente minimi, per cui questi tumori<br />

costituiscono di norma un riscontro incidentale alla necroscopia.<br />

Istologicamente, queste lesioni compressive contengono una<br />

fibrosi minima. Gli epatociti hanno un aspetto uniforme, ma<br />

sono più grandi della norma e contengono una maggior quantità<br />

di lipidi, glicogeno o granuli di lipofuscina nel citoplasma. È<br />

presente una lieve anisocitosi ed anisocariosi nonché un aumento<br />

della basofilia del citoplasma. I nucleoli sono leggermente più<br />

prominenti del normale. Non sono comuni le figure mitotiche.<br />

Carcinoma epatocellulare<br />

È stato detto che il carcinoma epatocellulare è più comune nel<br />

cane rispetto al colangiocarcinoma. Nel gatto quest’ultimo è considerato<br />

più frequente del carcinoma epatocellulare. I segni clinici<br />

riflettono un’epatopatia con un aumento dell’attività di parecchi<br />

enzimi epatici. Istologicamente, le trabecole epatiche si presentano<br />

spesse o di dimensioni variabili in confronto a quelle più<br />

uniformi e più sottili delle lesioni da adenoma. Citologicamente,<br />

le cellule del fegato possono somigliare ad elementi normali, ma<br />

nelle forme scarsamente differenziate gli epatociti si presentano<br />

scarsamente pleomorfici, il che rende più facile la diagnosi di<br />

malignità. In questi casi, sono presenti caratteristiche maligne di<br />

anisocariosi, multinuclearità, rapporto nucleocitoplasmatico elevato<br />

e variabile e molteplici nucleoli. Il riscontro di figure mitotiche<br />

è più frequente nel carcinoma che nell’adenoma.<br />

Colangiocarcinoma<br />

Si tratta di un tumore relativamente poco comune che però,<br />

nel gatto, può essere la neoplasia maligna epatica primaria più<br />

frequente secondo alcuni studi. Istologicamente sono presenti<br />

formazioni acinose, specialmente nei tumori meglio differenziati,<br />

e la quantità di tessuto connettivo fibroso può essere<br />

sostanziale. Spesso il lume è riempito da un fluido cistico<br />

mucillaginoso. Le figure mitotiche sono spesso molto più<br />

abbondanti in confronto al carcinoma epatocellulare. Citologicamente,<br />

le cellule tendono a esfoliare in densi grappoli. I<br />

tumori ben differenziati hanno cellule di dimensioni relativamente<br />

uniformi e di forma cuboidale, con scarso citoplasma.<br />

Alterazioni più anaplastiche come l’anisocariosi, i nucleoli<br />

prominenti ed il rapporto nucleocitoplasmatico elevato si<br />

osservano nel colangiocarcinoma scarsamente differenziato.


234 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia dei liquidi cavitari: analisi dei concetti di base<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Cos’é un versamento?<br />

Un versamento rappresenta un aumento dell’accumulo di<br />

fluidi all’interno di una cavità corporea rivestita da cellule<br />

mesoteliali. Le cavità corporee sono quella addominale o<br />

peritoneale, quella toracica o pleurica e quella pericardica.<br />

La presenza di un versamento viene riconosciuta quando gli<br />

animali mostrano segni clinici di malattia, attenuazione dei<br />

toni cardiaci, ascite o dolore addominale. Questi fluidi relativamente<br />

limpidi si formano attraverso tre meccanismi:<br />

• Elevata pressione idrostatica dall’interno dei vasi o dei<br />

canali linfatici, riferibile ad un’ostruzione del flusso<br />

• Bassa pressione oncotica all’interno dei vasi, dovuta ad<br />

ipoalbuminemia che non trattiene i fluidi<br />

• Aumento della permeabilità di membrana, derivante da<br />

un’infiammazione<br />

Come si raccolgono i versamenti e come<br />

vengono elaborati i fluidi?<br />

Il fluido peritoneale si preleva dall’animale in decubito laterale<br />

sinistro o in stazione. Dopo aver preparato chirurgicamente<br />

la sede tra l’ombelico e la vescica, si utilizza un ago da 20-<br />

22 G per penetrare in addome in un punto situato un po’ lateralmente<br />

alla linea mediana. Il fluido può essere lasciato gocciolare<br />

in una provetta oppure venire aspirato utilizzando siringhe<br />

da 6 o 12 ml. Il liquido pleurico si preleva con il paziente<br />

in stazione o seduto. Si inserisce un catetere flessibile (endovenoso)<br />

nel 7°-8° spazio intercostale dopo aver preparato chirurgicamente<br />

la parte ed aver eseguito un’infiltrazione con un<br />

anestetico locale. Per rimuovere elevati volumi di fluidi e prevenire<br />

la fuoriuscita di aria, è possibile utilizzare una valvola a<br />

tre vie. Il fluido contenuto nel sacco pericardico si preleva con<br />

il paziente in sedazione ed in decubito laterale. Nella porzione<br />

inferiore del 4° spazio intercostale si inserisce un catetere<br />

venoso, procedendo verso il cuore fino a che non si penetra nel<br />

pericardio. Per ognuna di queste sedi, si deve prelevare 1 ml di<br />

fluido da porre in una provetta a tappo rosso da destinare agli<br />

esami colturali e servirsi del resto per realizzare degli strisci<br />

diretti su vetrini porta- o coprioggetto e poi porre la quota<br />

restante in provette con il tappo porpora, contenenti EDTA, per<br />

il conteggio cellulare e l’analisi proteica. Se gli strisci diretti<br />

non possono venire allestiti immediatamente, il fluido può<br />

essere posto in una provetta con EDTA ed esaminato più tardi.<br />

Come vengono valutati i versamenti?<br />

• Si rilevano il colore ed il grado di trasparenza, nonché<br />

ogni eventuale odore apprezzabile<br />

• Si misurano i solidi totali o le proteine mediante rifrattometria,<br />

specialmente dopo centrifugazione in una provetta<br />

da microematocrito se il fluido non è chiaro<br />

• Il conteggio cellulare può venire effettuato con un contatore<br />

automatico, se il materiale è limpido. Altrimenti, la<br />

maggior parte dei fluidi può venire sottoposta a conteggio<br />

mediante emocitometro.<br />

• Si prepara uno striscio (col metodo per schiacciamento) fra<br />

due vetrini coprioggetto o portaoggetto per identificare i tipi<br />

cellulari, la presenza di agenti infettivi o le neoplasie.<br />

• I tipi cellulari che vengono riconosciuti nei versamenti<br />

sono rappresentati da:<br />

1. Grandi cellule mononucleati, che possono essere elementi<br />

mesoteliali o macrofagi. Dato che sono difficili da<br />

distinguere, vengono raggruppati in una sola categoria.<br />

Devono essere le cellule predominanti nei versamenti.<br />

2. I neutrofili sono spesso presenti come tipo cellulare predominante<br />

negli equini, ma non nel cane e nel gatto. L’eventuale<br />

riscontro di degenerazione va registrato. Gli incrementi<br />

numerici indicano l’esistenza di un’infiammazione.<br />

3. Le piccole cellule mononucleate sono linfociti, che in<br />

condizioni normali sono presenti in numero limitato.<br />

4. Gli eosinofili sono raramente presenti nei versamenti, ma,<br />

quando ci sono, devono essere registrati separatamente.<br />

Come vengono classificati i versamenti?<br />

La maggior parte dei fluidi delle cavità corporee viene<br />

distinta in trasudati, trasudati modificati o essudati sulla<br />

base del contenuto proteico e del conteggio cellulare.<br />

• Il trasudato ha una bassa cellularità (< 1000/µl per la maggior<br />

parte degli animali) e un basso contenuto di proteine (< 2,5<br />

g/dl). Generalmente si forma come conseguenza di una bassa<br />

pressione oncotica correlata ad una grave ipoalbuminemia (<<br />

1,0 g/dl) che si può sviluppare ad esempio da una sindrome<br />

nefrosica. Il fluido povero di proteine può anche derivare da<br />

ipertensione portale correlata alla filtrazione di linfa a basso<br />

contenuto proteico dai vasi portali intestinali come conseguenza<br />

di un aumento della pressione idrostatica.<br />

• Il trasudato modificato indica un versamento con cellularità<br />

e contenuto proteico variabili. Spesso si forma come conseguenza<br />

di un aumento della pressione idrostatica. Le cause<br />

comuni sono le affezioni intestinali non settiche degli equini,<br />

come il volvolo e l’insufficienza cardiaca destra.<br />

• L’essudato è un versamento con infiammazione. I conteggi<br />

cellulari sono aumentati (> 5000/µl per la maggior parte<br />

degli animali). Spesso si ha un incremento dei livelli<br />

proteici (> 3,0 g/dl). Dato l’incremento del numero di cellule<br />

presenti, il fluido è spesso torbido.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 235<br />

La definizione di essudato settico indica la presenza di<br />

microrganismi visibili, solitamente batterici o micotici, nelle<br />

cellule dello striscio. Le cause comprendono ferite penetranti,<br />

rotture intestinali o enteriti micotiche.<br />

La definizione di essudato non settico indica la mancanza<br />

di microrganismi visibili all’interno dei neutrofili o macrofagi.<br />

Le cause possono comprendere la peritonite infettiva<br />

felina (FIP), la fuoriuscita della bile, la peritonite da tuorlo<br />

d’uovo e l’uroperitoneo.<br />

Quando è possibile formulare una diagnosi specifica, per<br />

descrivere i versamenti si utilizzano altri termini come emorragico,<br />

chiloso, biliare o neoplastico.<br />

• Il versamento emorragico appare di colore rosso, rosa o<br />

occasionalmente giallo. Questa categoria viene utilizzata<br />

quando il versamento presenta tracce di sangue dovute ad<br />

un’emorragia acuta o cronica senza che vi siano altre anomalie.<br />

Non si usa questo termine per implicare una contaminazione<br />

ematica. È comunemente associato a versamento<br />

pericardico.<br />

L’emorragia acuta è caratterizzata da eritrociti intatti<br />

ingolfati da macrofagi o neutrofili. In caso di sanguinamento<br />

iperacuto e contaminazione ematica si osserva la presenza<br />

di piastrine che possono rimanere intatte per circa mezz’ora<br />

dopo il prelievo. L’emorragia cronica è caratterizzata<br />

da macrofagi ricchi di emosiderina, cellule contenenti granuli<br />

addensati di colore blu-nero che risultano positivi alla<br />

colorazione del ferro con blu di Prussia.<br />

• Il versamento chiloso ha un colore bianco o bianco rosato<br />

senza alcuna trasparenza; di conseguenza viene detto opaco.<br />

Nella maggior parte dei casi è correlato alla presenza<br />

di chilo dovuta alla rottura dei vasi linfatici del dotto toracico<br />

che può essere causata da trauma, neoplasia, infezione<br />

o reazioni idiopatiche. Il chilo è formato da chilomicroni<br />

composti da trigliceridi. La condizione può venire<br />

diagnosticata sulla base della presenza di elevate concen-<br />

Classificazione dei versamenti delle cavità corporee dei piccoli animali<br />

Colore Proteine totali Peso Leucociti Tipo cellulare<br />

/torbidità (g/dl) specifico (n°/µl) predominante<br />

Trasudato Incolore/limpido < 2,5 1.017 < 1000 Mesoteliale<br />

Trasudato Giallo chiaro o albicocca 2,5 - 5,0 1.017- 1.025 500-10.000 Popolazione mista<br />

modificato /limpido o torbido<br />

Essudato Albicocca o marrone > 3,0 > 1.025 > 5.000 Neutrofili<br />

rossiccio/torbido non settico: non degenerati<br />

settico: degenerati<br />

Emorragico Rosa o rosso/torbido > 3,0 > 1.025 > 1.000 Eritrociti Leucociti simili al sangue<br />

Macrofagi che mostrano eritrofagocitosi<br />

Chiloso Bianco/opaco > 3,0 > 1.018 Variabile Acuto: piccoli linfociti<br />

Cronico: popolazione mista<br />

Biliare Giallo scuro o bruno > 3,0 > 1.025 > 5.000 Popolazione mista con materiale<br />

o verde/opaco verde-nero o giallo fagocitato dai macrofagi<br />

Neoplastico Giallo chiaro o albicocca/ 2,5 – 5,0 > 1.018 500 – 10.000 Mesotelio reattivo<br />

limpido o torbido Cellule neoplastiche<br />

trazioni di trigliceridi, spesso > 100 mg/dl nel liquido di<br />

versamento. Il conteggio dei leucociti è aumentato rispetto<br />

ai trasudati, ma < 10.000/µl e le cellule predominanti<br />

sono piccoli o medi linfociti.<br />

• Il versamento neoplastico indica la presenza di una popolazione<br />

cellulare anormale, che mostra caratteristiche di malignità.<br />

Le comuni neoplasie da prendere in considerazione<br />

sono: linfoma, carcinoma o mesotelioma. I conteggi cellulari<br />

e proteici possono essere simili a quelli di un trasudato<br />

modificato o di un essudato. Per i versamenti pericardici è<br />

stata descritta la possibilità di effettuare una distinzione sulla<br />

base del pH. I versamenti alcalini (pH ≥ 7,0 effettuando<br />

la misurazione mediante strisce reattive per l’esame delle<br />

urine) sono associati a neoplasie, mentre quelli con pH <<br />

7,0 si accompagnano a lesioni benigne.<br />

• Il versamento biliare si forma per la rottura del dotto biliare<br />

comune o la fuoriuscita del fluido dai dotti biliari<br />

intraepatici. Il colore è giallo scuro o verde e generalmente<br />

opaco. Talvolta la bile viene detta “bianca” perché è<br />

presente solo un materiale proteico amorfo non colorato.<br />

È comune il riscontro di un’infiammazione con una popolazione<br />

cellulare mista.<br />

Letture consigliate<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin - Professor of Veterinary Clinical Pathology<br />

Purdue University, West Lafayette, Indiana, USA


236 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia dei liquidi cavitari:<br />

casi esemplificativi complessi<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

In questa discussione, verranno trattati gli aspetti citologici<br />

di specifici casi relativi al coinvolgimento delle cavità corporee<br />

rivestite da mesotelio. Verranno presi in considerazione<br />

agenti infettivi, parassiti, materiali estranei e neoplasie.<br />

Actinomicosi<br />

I batteri anaerobi della famiglia Actinomycetaceae si trovano<br />

normalmente nella cavità orale, ma quando vengono<br />

inalati o inoculati in altri tessuti producono una considerevole<br />

emorragia ed una risposta di tipo misto neutrofila e<br />

macrofagica. I neutrofili sono frequentemente degenerati,<br />

con marcata cariolisi. I versamenti si presentano sieroematici<br />

o purulenti e sono spesso accompagnati da granuli<br />

macroscopici di colore giallo-marrone rossiccio (granuli<br />

zolfini) che contengono colonie di microrganismi. Questo<br />

aspetto è stato spesso indicato come “zuppa di pomodoro”.<br />

Schiacciando i frammenti gialli, si ha una migliore opportunità<br />

di vedere i batteri filamentosi pleomorfi che possono<br />

essere sia intra- che extracellulari. Si tratta di batteri sottili,<br />

simili a punti e linee, che assumono l’aspetto di formazioni<br />

eosinofiliche a corona di rosario.<br />

Istoplasmosi<br />

Si tratta di una malattia micotica del cane e del gatto<br />

riscontrata in varie parti del mondo, compresi gli Stati Uniti,<br />

l’Italia, la Croazia, l’Austria, il Giappone e l’Australia.<br />

È presente nel terreno in associazione con escrementi di<br />

uccelli e pipistrelli. La malattia determina la formazione di<br />

noduli polmonari da inalazione dei microconidi della fase<br />

miceliale. All’interno del corpo, la temperatura più elevata<br />

fa sì che il microrganismo si converta nella fase di lievito,<br />

che può andare incontro ad un’ampia disseminazione in<br />

tutto l’organismo interessando il sangue, il midollo osseo,<br />

i linfonodi, la milza, il fegato ed il tratto gastroenterico,<br />

oltre all’apparato respiratorio, specialmente se l’animale è<br />

immunocompromesso.<br />

Tipicamente, si osserva un numero variabile di microrganismi<br />

intracellulari nei macrofagi e nei neutrofili e, raramente,<br />

negli eosinofili. La forma di lievito si riconosce per<br />

la sua conformazione ovale uniforme che misura 2 x 4 µ. Il<br />

centro basofilo ha un alone chiaro causato dal raggrinzimento<br />

durante la colorazione. La tecnica dell’acido periodico<br />

di Schiff può accentuare il suo aspetto, specialmente<br />

nelle sezioni istologiche.<br />

Peritonite infettiva felina<br />

I gatti giovani sono più predisposti all’infezione da parte<br />

di questo coronavirus che può causare due forme della<br />

malattia, essudativa e non essudativa. I gatti colpiti dalla<br />

forma essudativa di FIP vengono portati alla visita con<br />

ascite o versamento toracico. Il fluido in questi casi è limpido,<br />

di colore paglierino o dorato e viscoso. Si tratta di un<br />

essudato con un’elevata cellularità, con conteggi cellulari<br />

variabili da 1000 a 10.000/µl ed occasionalmente fino a<br />

30.000/µl. Anche il contenuto proteico è molto elevato,<br />

spesso superiore a 4,5 g/dl, il che fa si che il fluido formi<br />

una schiuma quando viene agitato.<br />

La maggior parte delle proteine è rappresentata da globuline,<br />

beta o gamma. È stato riferito che il riscontro nel<br />

fluido di un rapporto albumina : globulina inferiore a 0,8 o<br />

di un contenuto di gammaglobuline superiore al 32% sia<br />

indicativo di FIP. Citologicamente, l’elevato contenuto<br />

proteico determina uno sfondo molto granulare e basofilo.<br />

Le cellule presenti in questo fluido sono principalmente<br />

rappresentate da neutrofili non degenerati associati ad un<br />

numero minore di grandi elementi mononucleati costituiti<br />

da mesotelio o macrofagi. Si possono anche osservare<br />

occasionali cellule linfoidi, in particolare piccoli linfociti e<br />

plasmacellule. Non vi è alcun segno di infezione batterica.<br />

Cestodiasi<br />

Gli animali che vivono nella parte occidentale del Nord<br />

America possono essere infestati dalla migrazione aberrante<br />

di cestodi intestinali.<br />

La maggior parte dei soggetti colpiti è rappresentata da<br />

cani che vengono portati alla visita con distensione addominale,<br />

letargia ed anoressia. Macroscopicamente, il fluido<br />

ha l’aspetto di un budino di tapioca dovuto alla presenza<br />

di grandi pezzi di detriti tissutali sospesi nel liquido torbido<br />

e di colore marrone rossiccio. L’analisi citologica del<br />

fluido addominale rivela un essudato infiammatorio di<br />

tipo misto con numerosi corpuscoli calcarei (strutture tondeggianti<br />

o ovali di colore giallo chiaro o ovali) tipici dell’infestazione<br />

da Mesocestoides spp. Meno frequentemente<br />

sono visibili i tetratiridia, che costituiscono la forma<br />

larvale del parassita.<br />

Queste larve presentano ad una estremità delle strutture<br />

ovali che corrispondono alle ventose. Si può effettuare<br />

l’amplificazione mediante reazione a catena della polimerasi<br />

per identificare il DNA dei cestodi.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 237<br />

Uroperitoneo<br />

Questa condizione è dovuta alla rottura di alcune parti del<br />

tratto urinario. L’urina presente nella cavità peritoneale agisce<br />

da irritante chimico determinando una risposta infiammatoria<br />

o un essudato. A causa della diluizione operata dal<br />

fluido, il contenuto proteico è spesso basso. All’inizio dell’evoluzione<br />

della condizione è presente un predominio mononucleare,<br />

ma man mano che l’irritazione perdura, insorge<br />

un’infiammazione.<br />

I neutrofili presenti in questo ambiente tossico mostrano<br />

una cariolisi che conferisce al bordo nucleare un aspetto raggiato.<br />

In alcuni casi è possibile identificare cristalli urinari.<br />

Gli indicatori della presenza di urina sono rappresentati dall’aumento<br />

quantitativo dei livelli di potassio o creatinina nel<br />

fluido, generalmente in rapporto di 2 : 1 rispetto al siero.<br />

Versamento biliare<br />

Il danneggiamento della cistifellea o del dotto biliare<br />

può esitare nel rilascio di bile nel peritoneo. Il colore del<br />

fluido è solitamente bruno, verde o giallo scuro. Il conteggio<br />

cellulare spesso riflette il carattere essudativo del fluido.<br />

Le cellule sono rappresentate principalmente da neutrofili<br />

non degenerati o lievemente cariolitici, nonché da<br />

macrofagi schiumosi o altamente vacuolizzati. Si rileva che<br />

questi macrofagi contengono un materiale amorfo di colore<br />

giallo dorato o blu-verde, simile a quello che si osserva<br />

sullo sfondo. Sempre sullo sfondo può anche essere presente<br />

un materiale amorfo leggermente basofilo che deriva<br />

dal muco prodotto, la cosiddetta “bile bianca”. La fuoriuscita<br />

di bile è ulteriormente confermata dal riscontro di un<br />

aumento della concentrazione di bilirubina fino a livelli<br />

superiori a quelli sierici.<br />

Versamento chiloso<br />

Nella maggior parte dei casi, questo versamento si<br />

riscontra nel torace, ma in rare occasioni può determinare<br />

un’ascite. È caratterizzato da un colore bianco o bianco<br />

rosato e di aspetto opaco, dovuto alla presenza del chilo.<br />

Quest’ultimo è formato dai chilomicroni, composti dai trigliceridi.<br />

La condizione insorge in seguito alla rottura del<br />

dotto linfatico toracico che può essere causata da trauma,<br />

neoplasia, infezione o cause idiopatiche.<br />

Dal punto di vista biochimico, la condizione può essere<br />

diagnosticata in base alla presenza di elevate concentrazioni<br />

di trigliceridi, spesso > 100 mg/dl nel fluido di<br />

versamento.<br />

I leucociti sono elevati, generalmente < 10000/µl e gli<br />

elementi predominanti sono i piccoli e medi linfociti. Il<br />

versamento chiloso di vecchia data può esitare in una<br />

risposta infiammatoria mista con neutrofili e macrofagi.<br />

Linfoma<br />

I segni clinici di una massa associata ad un versamento suggeriscono<br />

una neoplasia o una rottura del dotto toracico con<br />

conseguente comparsa di fluido chiloso. L’esfoliazione di una<br />

neoplasia linfoide nella cavità corporea può essere difficile da<br />

riconoscere se predominano i piccoli o medi linfociti. Gli elementi<br />

linfoidi che raggiungono dimensioni pari o superiori a<br />

tre volte quelle di un eritrocita sono da ritenere anormali per<br />

la loro grandezza. Possono inoltre essere presenti uno o più<br />

nucleoli prominenti. Anche il monomorfismo della popolazione<br />

cellulare e l’aumento numerico degli elementi conteggiati<br />

depone a favore della diagnosi di linfoma. Alcuni linfomi a<br />

cellule T possono essere accompagnati da una popolazione<br />

paraneoplastica di eosinofili. Questi aumenti possono far sì<br />

che il fluido di versamento assuma un aspetto macroscopicamente<br />

verde. Per caratterizzare meglio la neoplasia dal punto<br />

di vista del comportamento biologico e quindi del trattamento<br />

si raccomanda l’immunofenotipizzazione.<br />

Mesotelioma<br />

Il mesotelio è un epitelio specializzato derivato embriologicamente<br />

dal mesoderma. I casi di mesotelioma riscontrati<br />

sono rari. Il sospetto della neoplasia insorge in presenza di<br />

versamenti con grandi cellule mononucleate anormali disposte<br />

in grandi grappoli. Più frequentemente, i versamenti<br />

infiammatori contengono piccoli grappoli cellulari di mesotelio<br />

compatibili con una risposta reattiva. Le cellule del<br />

mesotelioma sono simili a quelle dei carcinomi perché presentano<br />

parecchi criteri nucleari di malignità. Fra questi possono<br />

rientrare l’anisocariosi, il rapporto nucleo/citoplasmatico<br />

variabile ed elevato, la cromatina addensata, la presenza<br />

dinucleoli prominenti e multipli e la multinuclearità. Il<br />

riscontro di grandi “zattere” di cellule di aspetto maligno<br />

senza segni di infiammazione depone notevolmente a favore<br />

di una popolazione neoplastica. È stato riferito che i versamenti<br />

pericardici nei quali utilizzando le strisce reattive per<br />

esame dell’urina si rileva un pH superiore o pari a 7,0 hanno<br />

maggiori probabilità di essere neoplastici, mentre un pH<br />

più acido è associato a forme benigne o a cause infiammatorie.<br />

La migliore determinazione della malignità si basa sull’anamnesi<br />

clinica e sui riscontri istopatologici.<br />

Bibliografia<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000, pp 159-176.<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99, pp 142-158.<br />

Greene CE. Infectious Diseases of the Dog and Cat: WB Saunders Co, Philadelphia;<br />

<strong>19</strong>98, pp 58-69, 378-383.<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001, pp.187-205.


238 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia degli esotici: un nuovo campo di interesse<br />

non ancora ben conosciuto<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Agli animali di compagnia esotici si applicano gli stessi<br />

principi citologici e le medesime categorie generali di citodiagnosi<br />

del cane e del gatto. Le principali differenze sono il<br />

riconoscimento dei tipi cellulari infiammatori e degli agenti<br />

infettivi inusuali che possono colpire queste specie animali.<br />

Le categorie citodiagnostiche generali della citologia sono<br />

rappresentate da infiammazione, risposta al danno tissutale e<br />

neoplasia. Gli esempi dei casi presentati saranno focalizzati<br />

sui rettili e sui piccoli mammiferi domestici.<br />

Cellule infiammatorie dei rettili<br />

L’infiammazione può essere classificata in base al tipo di<br />

cellule che predominano nella lesione, dove si possono trovare<br />

elementi eterofili, macrofagici, eosinofilici o misti. La<br />

risposta eterofila è quella più acuta e comune nelle infezioni<br />

batteriche. Gli eterofili sono grandi (10-23 µ) e contengono<br />

numerosi granuli fusiformi di colore arancio-rosa brillante.<br />

A differenza di quanto avviene negli uccelli, che hanno<br />

nuclei lobati, la maggior parte dei rettili presenta un nucleo<br />

rotondo o ovale, ma alcune lucertole mostrano nuclei con<br />

molteplici lobi. Gli eterofili sono simili ai neutrofili dei<br />

mammiferi per quanto riguarda le loro funzioni di fagocitosi<br />

e di attività microbicida. Durante l’infiammazione acuta si<br />

hanno la degranulazione e la degenerazione cellulare che<br />

provocano la formazione di un centro di tessuto necrotico<br />

che stimola la penetrazione dei macrofagi portando ad una<br />

reazione cellulare mista. In confronto ai mammiferi, l’infiammazione<br />

nei rettili non determina la produzione di un<br />

pus liquido e cremoso, ma piuttosto di un materiale caseoso<br />

di colore bianco giallo. I macrofagi si presentano simili a<br />

quelli dei mammiferi e sono derivati dai monociti. Negli<br />

uccelli, entro poche ore, si può avere la comparsa di cellule<br />

giganti derivate da un raggruppamento di macrofagi ed è<br />

possibile che lo stesso avvenga nei rettili. Quindi, è possibile<br />

che la presenza di cellule giganti non indichi la cronicità<br />

come invece avviene nei mammiferi. Alcuni rettili come l’iguana,<br />

e certe lucertole tegu e dragon, nonché i serpenti, presentano<br />

un sottogruppo di monociti detti azzurrofili. Questi<br />

elementi hanno numerosi fini grunuli eosinofilici dispersi in<br />

tutto il citoplasma. Gli eosinofili si riscontrano con scarsa<br />

frequenza nelle risposte infiammatorie. Possono contenere<br />

granuli tondeggianti di colore verde blu o grigio come nell’iguana,<br />

oppure i più tipici granuli rotondi eosinofilici. Non<br />

è insolito trovare nelle lesioni infiammatorie segni di trombociti<br />

presenti sotto forma di grappoli (cluster) strettamente<br />

raggruppati che indicano un recente sanguinamento.<br />

Corpi di Kurloff nella cavia<br />

Si tratta di strutture uniche che si trovano in una percentuale<br />

di leucociti circolanti che può arrivare fino al 4%. Queste<br />

inclusioni citoplasmatiche mucopolisaccaridiche di<br />

dimensioni variabili si riscontrano in alcuni linfociti delle<br />

cavie o di specie correlate come il capibara. Si presentano<br />

sotto forma di strutture eosinofiliche granulari rotonde, che<br />

si ritiene svolgano la funzione delle cellule natural killer e<br />

siano associate ad alcuni enzimi lisosomiali.<br />

Eterofili nei conigli<br />

I neutrofili del coniglio e, in minor misura, della cavia si<br />

presentano più eosinofilici del citoplasma tipicamente chiaro<br />

o leggermente granulare delle altre specie di mammiferi.<br />

Ciò ha dato origine al termine di “pseudoeosinofili”. L’aumento<br />

della colorazione è correlato alla fusione di molti piccoli<br />

granuli acidofili o granuli primari. Il citoplasma colorato<br />

in contrapposizione all’aspetto neutro o non colorato consente<br />

di indicare più correttamente questi leucociti con il<br />

termine di eterofili. La loro funzione è identica a quella che<br />

svolgono negli mammiferi, ma a differenza di quanto avviene<br />

nella maggior parte di questi ultimi non si colorano citochimicamente<br />

per la mieloperossidasi.<br />

Peritonite da tuorlo d’uovo<br />

In un uccello o un rettile, il riscontro di un versamento<br />

celomatico torbido che al microscopio si presenta con l’aspetto<br />

di un materiale basofilo amorfo sullo sfondo suggerisce<br />

la presenza di tuorlo d’uovo dovuta ad una rottura nella<br />

cavità corporea. Il contenuto proteico è elevato sino a valori<br />

superiori a 3 µg/dl. La risposta infiammatoria è di tipo misto,<br />

con eterofili e macrofagi, alcuni dei quali sembrano contenere<br />

detriti cellulari. Non ci sono segni di infezioni.<br />

Citologia respiratoria<br />

I lavaggi delle vie nasali, della trachea e dei bronchi sono<br />

un metodo frequente di valutazione del tratto respiratorio nei<br />

rettili. L’epitelio è simile a quello dei mammiferi, in quanto<br />

predomina la forma cuboidale nella regione nasale, mentre<br />

lungo la trachea ed i grossi bronchi si trova un epitelio ciliato<br />

colonnare. All’interno dei lavaggi broncoalveolari del pol-


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 239<br />

mone sono presenti macrofagi alveolari. Nella maggior parte<br />

dei casi, si riscontrano infezioni batteriche, tra le quali<br />

risultano più frequenti quelle sostenute da forme bastoncellari.<br />

La presenza di batteri intracellulari all’interno degli eterofili<br />

o dei macrofagi suggerisce un’autentica sepsi e non<br />

una contaminazione. Occasionalmente, è stato possibile<br />

individuare dei parassiti polmonari sulla base della presenza<br />

di uova o larve all’interno dei materiali di lavaggio.<br />

Citologia gastroenterica<br />

I lavaggi gastrici sono un metodo comune di valutazione<br />

delle anomalie del tratto digerente nei serpenti. È possibile<br />

riconoscere la presenza di infezioni sostenute da una proliferazione<br />

di batteri o da agenti protozoari. Nei serpenti con<br />

segni clinici di rigurgito e perdita di peso sono state identificate<br />

piccole strutture basofile leggermente rotonde che<br />

misurano 4-6 µ e presentano una struttura interna granulare<br />

color porpora. Questi microrganismi protozoari sono accompagnati<br />

da una risposta infiammatoria principalmente di tipo<br />

macrofagico. I microrganismi si colorano positivamente con<br />

le tecniche acidoresistenti e vengono diagnosticati come<br />

Cryptosporidium spp. all’immunofluorescenza.<br />

Gotta<br />

Si tratta di una condizione infiammatoria derivata dall’accumulo<br />

di cristalli di acido urico negli organi interni e nelle<br />

articolazioni, spesso secondaria a fattori dietetici come un<br />

aumento dell’assunzione di proteine ed un calo del consumo<br />

di acqua. La diagnosi può venire confortata dall’esame di<br />

materiale cristallino aspirato che microscopicamente appare<br />

sotto forma di caratteristici cristalli aghiformi incolori che<br />

dimostrano una birifrangenza sotto le lenti polarizzate. Spesso<br />

i livelli sierici di acido urico risultano marcatamente elevati.<br />

La possibile diagnosi differenziale per i depositi cristallini<br />

nei tessuti sottocutanei o negli organi è la pseudogotta,<br />

derivante dalla calcificazione metastatica o distrofica<br />

con depositi di fosfato di calcio (idrossiapatite) nelle tartarughe<br />

e nelle lucertole.<br />

Tumori della ghiandola mammaria nel ratto<br />

Il fibroadenoma è una condizione benigna molto comune<br />

nel ratto. Macroscopicamente, le masse possono essere molto<br />

grandi e pesare tanto quanto l’animale, ma non danno origine<br />

a metastasi. Si tratta di lesioni benigne sottoposte ad un<br />

influsso ormonale. Queste tumefazioni sottocutanee spesso<br />

compaiono lungo la parte ventrale dell’addome dalla regione<br />

ascellare a quella inguinale. Un’altra lesione comune è<br />

l’iperplasia fibroadenomatosa che può apparire simile con<br />

cellule epiteliali reattive dotate di un rapporto nucleo/citoplasmatico<br />

più elevato, attività secretoria e poche o nulle<br />

caratteristiche di malignità. Spesso è presente una proliferazione<br />

di tessuto connettivo che esita in una cellularità minima<br />

o nella presenza di fibroblasti reattivi. A differenza di<br />

questo tumore, le cisti mammarie possono essere identificate<br />

citologicamente sulla base dell’aspirazione di un fluido<br />

sieroso proteinaceo a bassa cellularità che presenta principalmente<br />

poche cellule mononucleate come i macrofagi.<br />

Linfoma nei furetti<br />

Il linfoma è una condizione neoplastica comune nei furetti,<br />

dove costituisce il 12% circa della totalità dei tipi tumorali.<br />

La forma più comune negli adulti è caratterizzata da una<br />

presentazione linfonodale multicentrica composta principalmente<br />

da piccoli linfociti. Ciò porta spesso ad una diagnosi<br />

equivoca di linfoma all’esame citologico. In questi casi, si<br />

raccomanda caldamente l’istopatologia. I linfonodi colpiti si<br />

possono trovare nelle regioni cervicali, periferiche o addominali.<br />

Al secondo posto in ordine di frequenza si trova la<br />

forma giovanile, nei furetti con meno di 10 anni di età Questi<br />

spesso vengono portati alla visita perché colpiti da una<br />

malattia acuta caratterizzata da difficoltà respiratoria dovuta<br />

al fatto che la proliferazione mediastinica presente coinvolge<br />

frequentemente il timo. Nella forma giovanile possono<br />

essere colpiti la milza ed il fegato, insieme alla linfocitosi<br />

periferica. Le cellule sono più immature, coinvolgono medi<br />

e grandi linfociti e, nella maggior parte dei casi, appartengono<br />

al fenotipo delle cellule T.<br />

Un’altra forma di linfoma che esiste nel furetto adulto è<br />

costituita da cellule linfoidi immature e si riscontra in una<br />

varietà di sedi. Gli aspirati splenici ottenuti da furetti con<br />

splenomegalia possono essere frustranti, perché, tipicamente<br />

sono più abbondanti i piccoli linfociti. Inoltre, nella maggior<br />

parte dei casi risulta evidente un’emopoiesi extramidollare<br />

per la frequenza dei precursori eritroidi. Nel linfoma<br />

della milza si dovrebbe trovare una popolazione monomorfica<br />

di cellule con nuclei grandi, nucleoli prominenti e assenza<br />

di precursori emopoietici.<br />

Bibliografia<br />

Benirschke K et al (eds). Pathology of Laboratory Animals: Springer-Verlag,<br />

New York. <strong>19</strong>78, pp 1<strong>19</strong>4-1<strong>21</strong>3<br />

Campbell TW. Clinical pathology. In: Mader D (ed): Reptile Medicine and<br />

Surgery. WB Saunders Co, Philadelphia. <strong>19</strong>96, pp 248-251.<br />

Erdman SE et al. Clinical and pathologic findings in ferrets with lymphoma:<br />

60 cases (<strong>19</strong>82-<strong>19</strong>94). J Am Vet Med Assoc. <strong>19</strong>96, 1285-1289.<br />

Harr KE et al. Gastric lavage from a Madagascar tree boa (Sanzinia madagascarensis).<br />

Vet Clin Pathol. 2000, 93-96.<br />

Montali RJ. Comparative pathology of inflammation in the higher vertebrates<br />

(reptiles, birds, and mammals). J Comp Path. <strong>19</strong>88; 99:1-26.<br />

Raskin RE. Reptilian complete blood count, In: Fudge AM (ed): Laboratory<br />

Medicine: Avian and Exotic Pets. Philadelphia, WB Saunders Co,<br />

2000, pp. <strong>19</strong>3-<strong>19</strong>7.<br />

Thrall MA et al (eds). Veterinary Hematology and Clinical Chemistry:<br />

Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia. 2004, pp <strong>21</strong>1-224,<br />

259-276.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University,<br />

West Lafayette, Indiana, USA


240 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Citologia avanzata delle masse cutanee<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Cisti follicolari<br />

Questa lesione non neoplastica può anche essere indicata<br />

come cisti da inclusione epidermica o cisti epidermoide.<br />

Queste formazioni si trovano in un terzo o metà delle lesioni<br />

similtumorali non infiammatorie non neoplastiche asportate,<br />

rispettivamente, nel cane e nel gatto. Le cisti si osservano<br />

con maggiore frequenza nei cani di media età o anziani.<br />

Possono essere singole o multiple, solide o fluttuanti, con<br />

un aspetto liscio, tondeggiante e ben circoscritto. Spesso<br />

sono localizzate sul dorso ed a livello delle estremità. Citologicamente<br />

predominano barre di cheratina, squame o altri<br />

cheratinociti. La degradazione delle cellule all’interno delle<br />

cisti può portare alla formazione di cristalli di colesterolo<br />

che si presentano come placche rettangolari con incisure<br />

irregolari e colorate negativamente, che si osservano meglio<br />

contro lo sfondo formato da detriti cellulari basofili amorfi.<br />

Mucocele o sialocele<br />

La rottura del dotto correlata a trauma o infezione porta ad<br />

un accumulo di saliva nei tessuti sottocutanei. La presenza di<br />

una massa fluttuante contenente un fluido limpido o emorragico<br />

con caratteristiche di filamentosità suggerisce una rottura<br />

del dotto della ghiandola salivare. Il campione istologico<br />

spesso si colora uniformemente di porpora a causa dell’elevato<br />

contenuto proteico. Lo sfondo può contenere pallidi<br />

basofili sparsi e materiale amorfo, compatibile con la saliva.<br />

Il fluido è spesso emorragico, con segni di sanguinamento<br />

acuto e cronico. È comune l’eritrofagocitosi ed occasionalmente<br />

si possono osservare dei cristalli romboidali di colore<br />

giallo. Questi vengono detti cristalli di ematoidina e sono<br />

associati ad emorragia cronica. La popolazione cellulare<br />

nucleata è costituita principalmente da macrofagi altamente<br />

vacuolizzati che mostrano un’attiva fagocitosi. La distinzione<br />

fra questi elementi ed il tessuto ghiandolare secernente<br />

può essere difficile, specialmente quando le cellule presentano<br />

caratteristiche individuali e non sono fagocitarie. Sono<br />

comuni i neutrofili non degenerati, che vanno incontro a<br />

degenerazione quando insorge un’infezione batterica.<br />

Pannicolite nodulare/steatite<br />

Questa condizione può avere un’eziologia infettiva o non<br />

infettiva. Le cause della pannicolite non infettiva sono rappresentate<br />

da traumi, corpi estranei, reazioni vaccinali, condizioni<br />

immunomediate, reazioni da farmaci, malattie pancreatiche,<br />

carenze nutrizionali e forme idiopatiche. La malat-<br />

tia si presenta nel gatto e nel cane sotto forma di lesioni isolate<br />

o multiple, dure o fluttuanti, rilevate e ben demarcate.<br />

Possono lasciar fuoriuscire un fluido oleoso di colore giallo<br />

bruno. Le sedi maggiormente interessate sono la parte dorsale<br />

del collo, il tronco ed il tratto prossimale degli arti. Citologicamente,<br />

predominano i neutrofili non degenerati ed i<br />

macrofagi su uno sfondo vacuolizzato costituito da tessuto<br />

adiposo. I piccoli linfociti e le plasmacellule possono essere<br />

numerosi, specialmente nelle lesioni indotte dalle reazioni<br />

vaccinali. Spesso, i macrofagi si presentano con un abbondante<br />

citoplasma schiumoso o sotto forma di elementi giganti<br />

multinucleati. Quando è cronica, la fibrosi è indicata dalla<br />

presenza di cellule fusiformi rigonfie, con immaturità nucleare.<br />

La fibrosi può essere così estesa da suggerire una neoplasia<br />

mesenchimale.<br />

Neoplasia<br />

La neoplasia viene inizialmente diagnosticata quando è<br />

presente una popolazione cellulare monomorfica e manca<br />

una significativa infiammazione. L’ulteriore distinzione fra<br />

tipi benigni e maligni si basa sulle caratteristiche citomorfologiche.<br />

Le cellule benigne mostrano un’uniformità di<br />

dimensioni, rapporto nucleocitoplasmatico ed altre caratteristiche<br />

nucleari. Quelle maligne spesso presentano tre o più<br />

caratteristiche cellulari anaplastiche.<br />

Le caratteristiche maligne sono rappresentate da variabilità<br />

delle dimensioni e della forma delle cellule o dello stato<br />

di maturazione fra elementi di origine simile (pleomorfismo).<br />

La variazione delle dimensioni del nucleo viene detta<br />

Pleomorfismo<br />

Anisocariosi<br />

Rapporto N : C elevato o variabile<br />

Cromatina addensata e ammassata<br />

Nucleoli grandi o variabili<br />

Attività mitotica anormale<br />

Multinuclearità<br />

Fusione nucleare


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 241<br />

anisocariosi. Il rapporto nucleocitoplasmatico (N : C) è elevato<br />

o variabile. La cromatina può presentare degli ammassi<br />

grossolani. I nucleoli sono ingrossati, multipli e di forma<br />

variabile. Le figure mitotiche anomale mostrano una suddivisione<br />

non uniforme o cromatina isolata. In caso di rapida<br />

crescita delle cellule si ha la fusione nucleare.<br />

Le neoplasie possono essere suddivise in quattro categorie<br />

generali sulla base del loro aspetto morfologico. Tali<br />

categorie sono epiteliale, mesenchimale, a cellule rotonde o<br />

isolate e a nucleo nudo.<br />

Carcinoma squamocellulare<br />

Si tratta di un tumore comune che si presenta sotto forma<br />

di masse proliferative o ulcerative, isolate o multiple. È più<br />

frequente a livello degli arti del cane e nelle aree con mantello<br />

sottile dei padiglioni auricolari o del muso del gatto.<br />

Citologicamente, spesso si osserva un’infiammazione purulenta<br />

che accompagna un epitelio squamoso immaturo o displasico.<br />

Se la superficie è stata erosa, si può avere una sepsi<br />

batterica. La caratteristica forma a girino ed il citoplasma<br />

cheratinizzato di colore blu-verde possono rappresentare utili<br />

criteri per determinare l’origine cellulare. Nei tumori ben<br />

differenziati è frequente il riscontro di squame ed epitelio<br />

squamoso nucleato altamente cheratinizzato, che corrispondono<br />

alle perle di cheratina visibili istologicamente. Il pleomorfismo<br />

cellulare nucleare è marcato. Può essere presente<br />

una vacuolizzazione perinucleare. L’epitelio neoplastico si<br />

può presentare sotto forma di cellule singole o come foglietti<br />

cellulari adesi.<br />

Tumori basocellulari<br />

Si riscontrano comunemente nel cane e nel gatto sotto forma<br />

di singole masse intradermiche dure, elevate e ben<br />

demarcate, tondeggianti, che possono essere ulcerate o cistiche.<br />

Molti tumori appaiono pigmentati per l’abbondante<br />

melanina. Le neoplasie del gatto possono essere cistiche.<br />

Sono localizzate principalmente in prossimità della testa,<br />

con un frequente riscontro a livello del collo e degli arti.<br />

Citologicamente, le cellule basali sono piccole e contraddistinte<br />

da rapporto nucleocitoplasmatico elevato, nuclei<br />

monomorfici e citoplasma intensamente basofilo. Possono<br />

essere disposte a grappoli o in file.<br />

Categorie citomorfologiche di neoplasia<br />

Categoria Caratteristiche generali Esempi<br />

Epiteliale Grappoli di cellule strettamente addossate Carcinoma delle cellule di transizione,<br />

tumori polmonari<br />

Mesenchimale Cellule fusiformi o ovali, singole Emangiosarcoma, osteosarcoma<br />

Cellule rotonde/isolate Singole cellule isolate, tondeggianti Linfoma, tumore venereo trasmissibile<br />

A nucleo nudo Cellule lassamente adese con nuclei tondi liberi Tumori tiroidei, paragangliomi<br />

Adenoma delle ghiandole perianali<br />

Il tumore può essere singolo o multiplo e si localizza<br />

generalmente in prossimità dell’ano, ma si può trovare anche<br />

a livello di coda, perineo, prepuzio, coscia e lungo la linea<br />

mediana dorsale o ventrale. Inizialmente, queste neoplasie si<br />

presentano macroscopicamente come lesioni tondeggianti<br />

lisce e rilevate che diventano lobulate ed ulcerate man mano<br />

che si accrescono. Il tumore origina dall’epitelio modificato<br />

delle ghiandole sebacee. Citologicamente, predominano<br />

foglietti di cellule epatoidi mature rotonde caratterizzate da<br />

un abbondante citoplasma finemente granulare e di colore<br />

blu rosato. I nuclei sono simili a quelli degli epatociti normali<br />

e si presentano tondeggianti e accompagnati spesso da<br />

un nucleolo prominente singolo o multiplo. Può anche essere<br />

presente un numero limitato di cellule di riserva basofile<br />

più piccole con un rapporto nucleocitoplasmatico elevato,<br />

ma questi elementi sono privi delle caratteristiche del pleomorfismo<br />

cellulare.<br />

Fibrosarcoma<br />

Nei gatti giovani questo tumore può essere causato dal<br />

virus del sarcoma felino e può essere multiplo. Nei cani e nei<br />

gatti anziani, i tumori sono isolati con una predilezione per<br />

arti, tronco e testa. Sono scarsamente circoscritti e talvolta<br />

ulcerati. Citologicamente, il fibrosarcoma è costituito da un<br />

abbondante numero di grandi cellule rigonfie che si presentano<br />

singolarmente o come aggregati. Occaq1sionalmente si<br />

possono osservare elementi giganti multinucleati. Il pleomorfismo<br />

nucleare può essere marcato in confronto alla controparte<br />

benigna. Le cellule sono meno uniformi e generalmente<br />

mostrano un rapporto nucleocitoplasmatico più elevato.<br />

Emangiopericitoma canino<br />

Si tratta di un tumore comune generalmente ritenuto in<br />

grado di colpire soltanto il cane. Spesso si tratta di neoplasie<br />

isolate con una predilezione per le articolazioni degli arti,<br />

ma di comune riscontro nel torace e nell’addome. Si riscontrano<br />

formazioni dure o molli, multilobulate e spesso ben<br />

circoscritte. Citologicamente, i preparati sono moderatamente<br />

cellulari. Le cellule sono fusiformi e rigonfie e si possono<br />

presentare singolarmente o disposte sotto forma di


242 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

fascetti, che talvolta si trovano adesi alla superficie dei capillari.<br />

I nuclei sono ovoidali, con uno o più nucleoli centrali<br />

prominenti. Occasionalmente si osservano cellule multinucleate.<br />

Si può osservare uno stroma collageno amorfo di<br />

colore rosa associato alle cellule. Il citoplasma è basofilo e<br />

può contenere numerosi piccoli vacuoli isolati. Cellule linfoidi<br />

sono state riscontrate nel 10% circa dei casi.<br />

Lipoma<br />

Si tratta del più comune tumore del tessuto connettivo del<br />

cane. La neoplasia può essere singola o multipla, localizzata<br />

per la maggior parte a livello del tronco e nel tratto prossimale<br />

degli arti. Si tratta di masse cupoliformi, ben circoscritte,<br />

molli, spesso liberamente mobili, all’interno del sottocute,<br />

che possono crescere lentamente fino a diventare molto grandi.<br />

Citologicamente, i vetrini non colorati appaiono umidi,<br />

con gocce scintillanti che non si asciugano completamente. Il<br />

miglior modo per dimostrare la presenza dei lipidi è quello di<br />

utilizzare una colorazione idrosolubile (nuovo blu di metilene)<br />

associata ad una specifica per i grassi (oil-red-O). Quando<br />

si utilizza una tecnica a base alcolica di tipo Romanowsky,<br />

i lipidi vengono disciolti lasciando spesso i vetrini privi di<br />

cellule. Quando sono presenti, gli adipociti intatti mostrano<br />

un abbondante citoplasma chiaro con un piccolo nucleo compresso<br />

verso uno dei lati della cellula.<br />

Emangiosarcoma<br />

Si tratta di una massa infiltrante maligna del derma o del<br />

sottocute. Le lesioni sono rilevate, scarsamente circoscritte,<br />

ulcerate ed emorragiche. Citologicamente, i preparati su<br />

vetrini hanno una bassa cellularità con numerose cellule ematiche<br />

sullo sfondo. Possono essere presenti segni di emorragia<br />

con macrofagi carichi di emosiderina. Gli elementi neoplastici<br />

sono pleomorfi e vanno da grandi cellule fusate a cellule<br />

stellate. Il citoplasma è basofilo, con margini indistinti ed<br />

occasionali vacuoli puntati. Le cellule presentano un rapporto<br />

nucleocitoplasmatico elevato, nuclei ovali con cromatina<br />

addensata e molteplici nucleoli prominenti.<br />

Melanoma<br />

I tumori benigni sono per la maggior parte rappresentati<br />

da masse di colore bruno scuro o nero, circoscritte, rilevate,<br />

cupoliformi e ricoperte da cute liscia priva di peli. Le neoplasie<br />

maligne sono caratterizzate da una pigmentazione<br />

variabile, infiltranti, spesso ulcerate ed infiammate. Dal punto<br />

di vista citologico si tratta di cellule pleomorfiche che<br />

vanno da epitelioidi a fusiformi o, occasionalmente, si presentano<br />

come cellule rotonde isolate. Nei tumori ben differenziati,<br />

i nuclei possono essere mascherati da numerosi<br />

granuli citoplasmatici fini di colore nero-verde. I tumori<br />

scarsamente differenziati possono contenere pochi granuli<br />

citoplasmatici o esserne privi. I nuclei nelle forme benigne<br />

sono piccoli ed uniformi in confronto alle caratteristiche di<br />

anisocitosi, anisocariosi, cromatina addensata e nucleoli<br />

prominenti che si osservano nei melanomi maligni.<br />

Istiocitoma del cane<br />

Si tratta di un tumore benigno molto comune a rapida crescita<br />

della maggior parte dei cani giovani. La neoplasia si<br />

presenta come una piccola massa isolata, ben circoscritta,<br />

cupoliforme, rossa, ulcerata e priva di peli. Si osserva comunemente<br />

a livello della testa, in particolare del padiglione<br />

auricolare, nonché degli arti posteriori, delle zampe e del<br />

tronco. Citologicamente, le cellule presentano nuclei dentellati<br />

e rotondi con cromatina fine e nucleoli indistinti. Le cellule<br />

mostrano anisocariosi ed anisocitosi di grado minimo. Il<br />

citoplasma è abbondante e chiaro o leggermente basofilo<br />

con margini cellulari indistinti. Nelle lesioni in regressione è<br />

comune il riscontro di un numero variabile di piccoli linfociti<br />

ben differenziati.<br />

Mastocitoma<br />

I tumori nel cane sono generalmente isolati, non incapsulati<br />

ed altamente infiltranti nel derma e nel sottocute. Nel gatto<br />

di solito sono rappresentati da masse dermiche isolate e<br />

ben circoscritte che si riscontrano a livello di testa, collo ed<br />

arti. Nei giovani gatti siamesi sono comuni le masse multiple.<br />

I mastocitomi del gatto sono frequenti anche negli organi<br />

viscerali, nella milza e nel fegato. Dal punto di vista citologico,<br />

le cellule tumorali possono presentare un grado variabile<br />

di granularità con alcuni elementi caratterizzati da numerosi<br />

granuli metacromatici distinti ed altri in cui il numero di queste<br />

formazioni citoplasmatiche è moderato, scarso o del tutto<br />

assente. Nelle forme meno differenziate, possono essere presenti<br />

anisocariosi, cromatina addensata e nucleoli prominenti,<br />

unitamente ad un citoplasma scarsamente granulato. Nelle<br />

forme poco differenziate è più comune il riscontro di cellule<br />

giganti binucleate. Gli eosinofili sono più numerosi nei tumori<br />

del cane che in quelli del gatto.<br />

Bibliografia e letture consigliate<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000.<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99.<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001.<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology<br />

Purdue University, West Lafayette, Indiana, USA


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 243<br />

Trattamento omeopatico di casi cronici a lungo termine:<br />

alcune considerazioni ed esempi clinici<br />

Barbara Rigamonti<br />

Med Vet, Genova<br />

1. Il paziente non è una fotografia ma un film:<br />

monitorizzare l’evoluzione dinamica dei parametri<br />

dal punto di vista tradizionale ed omeopatico.<br />

Non sarà mai sufficientemente sottolineata la necessità di<br />

regolari follow up per la corretta gestione omeopatica del<br />

caso cronico con gestione a lungo termine.<br />

Qualunque fenomeno che si presenti in un paziente che<br />

abbia intrapreso una terapia omeopatica, fa pienamente parte<br />

del film che noi dobbiamo osservare e comprendere nel<br />

suo senso generale. Non vi è fatto nella vita del paziente che<br />

non ci riguardi.<br />

Inoltre interventi terapeutici intercorrenti, sia gestiti autonomamente<br />

dal proprietario che da colleghi, sia con medicamenti<br />

omeopatici che allopatici, possono avere effetto soppressivo<br />

e modificare in modo significativo il corretto andamento<br />

della cura.<br />

Va effettuato un follow up diretto al massimo 30 giorni<br />

dopo la prima prescrizione, e quindi ogni 3-4 mesi finché<br />

non si sia raggiunta una soddisfacente verifica della corretta<br />

azione del medicamento; inoltre occorrono frequenti follow<br />

up telefonici: la comparsa di nuovi sintomi può suggerire<br />

controlli più ravvicinati del previsto.<br />

Caso 1: enterite linfoplasmacellulare<br />

Cane meticcio femmina 1 anno<br />

Al momento della visita omeopatica presenta enterite linfoplasmacellulare<br />

sotto trattamento cortisonico; la diagnosi<br />

è stata posta con gatro/colonscopia; il paziente riceve regolarmente<br />

la terapia prevista dal protocollo, ma presenta<br />

periodicamente importanti sintomi ge.<br />

Osservazione dei fenomeni dal punto di vista omeopatico:<br />

tutti i sintomi fisici sono patognomonici<br />

Fenomeni ricavati dall’anamnesi: carattere diffidente,<br />

molte paure; pregresso episodio di colpo di sole.<br />

Repertorizzazione n 1: comprende sintomi fisici ed alcuni<br />

sintomi mentali;<br />

Prescrizione: Natrum muriaticum<br />

Repertorizzazione n 2: escludendo tutti i sintomi patognomonici<br />

porta a modificare la prescrizione da Nat m a Nat c<br />

Prescrizione: Natrum carbonicum<br />

Considerazioni dopo 2 anni: la terapia omeopatica ha fatto<br />

osservare una diminuzione di efficacia dopo il primo anno<br />

di trattamento; un successivo follow up ha evidenziato come<br />

questo abbia fatto seguito ad una anestesia generale e somministrazione<br />

di terapia antibiotica per il trattamento di un<br />

ascesso dentale; si sono quindi rese necessarie diverse considerazioni<br />

posologiche per ristabilire il corretto funzionamento<br />

della terapia.<br />

Occorre sottolineare al proprietario dell’animale e/o ai<br />

colleghi che inviano il paziente il fatto che ogni trattamento<br />

intercorrente, anche se apparentemente non collegato al<br />

decorso della patologia, ci deve essere segnalato. Attenzione:<br />

molto spesso i proprietari hanno una consolidata abitudine<br />

a somministrare farmaci di ogni genere per propria iniziativa;<br />

le persone che hanno familiarità con le terapie omeopatiche,<br />

spesso somministrano rimedi sintomatici che possono<br />

altrettanto modificare l’andamento; con l’unica eccezione<br />

di Arnica in caso di trauma, l’omeopata deve raccomandare<br />

di non somministrare nulla, e di mettersi sempre in contatto<br />

telefonico in presenza di sintomi acuti o di variazione<br />

nella sintomatologia della patologia cronica. Questo da un<br />

lato permette di gestire l’efficacia della terapia in corso, e<br />

d’altro canto contribuisce alla monitorizzazione dei fenomeni<br />

che dal nostro punto di vista fanno sempre parte dell’evoluzione<br />

globale del paziente, ovvero sono momenti del film<br />

che ci proponiamo di osservare.<br />

2. Il medicamento ideale può accompagnare il<br />

paziente per tutta la vita: verificare sempre l’effetto<br />

del rimedio abituale prima di variare la prescrizione.<br />

Il veterinario ha la fortuna di poter osservare un lungo<br />

tratto di vita del suo paziente, e talvolta la vita intera dalla<br />

nascita alla morte.<br />

Questo permette di verificare su una più estesa base statistica<br />

la teoria omeopatica del simillimum: il medicamento<br />

più simile ovvero più adatto alle caratteristiche dell’individuo,<br />

che lo può accompagnare ed aiutare in ogni fase della<br />

vita, anche in presenza di sintomi diversi.<br />

Come evidenziato dal caso esposto nel filmato n. 2, anche<br />

il rimedio che si sia dimostrato efficace per un lungo periodo<br />

di vita ed in circostanze molto critiche, non ha potere ove<br />

esista una causa meccanica di patologia, che andrà comunque<br />

rimossa chirurgicamente.<br />

Caso n. 2: encefalomielite asettica nel gatto;<br />

Gatto persiano di 6 anni, al momento della visita omeopatica<br />

presenta atassia totale, incontinenza, anoressia; la diagnosi<br />

di encefalomielite asettica è stata posta nel contesto di<br />

accertamenti specialistici approfonditi; da 6 mesi viene effettuato<br />

il previsto protocollo con terapia cortisonica; il quadro è<br />

ingravescente e non più compatibile con una qualità di vita<br />

accettabile, considerata anche la giovane età del gatto.<br />

Osservazione dei fenomeni dal punto di vista omeopatico:<br />

fascicolazione degli arti; insofferenza allo sfioramento; emaciazione


244 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Fenomeni pregressi ricavati dall’anamnesi: ittero; atassia<br />

Repertorizzazione: considera tutti i sintomi attuali e pregressi,<br />

e la sola modalità mentale presente nel contesto della<br />

malattia<br />

Prescrizione: Phosphorus 5 CH 1X<br />

Considerazioni dopo 7 anni: il paziente non ha mai assunto<br />

un medicamento diverso da Phos, tranne nel caso di una<br />

occlusione intestinale dovuta a pilobezoari che si è verificata<br />

durante l’estate del 2004 ed è stata risolta chirurgicamente.<br />

Le indicazioni prognostiche di partenza erano sfavorevoli<br />

in questo caso:<br />

- alto livello gerarchico del tessuto interessato;<br />

- grado lesionale grave/incurabile;<br />

- stato generale gravemente compromesso;<br />

- pregresso importante scompenso metabolico.<br />

Conseguentemente i follow up a lungo termine ci permettono<br />

di dire che il medicamento ha agito in modo profondamente<br />

curativo, dal momento che i fenomeni patologici,<br />

oltre a presentare una remissione sintomatologia prossima al<br />

100%, non hanno dato luogo a patologie vicarianti; l’alterazione<br />

quindi non è stata trasferita ad altro sottosistema, e ha<br />

sempre risposto favorevolmente al medicamento nel corso di<br />

lievi recrudescenze, che si sono verificate nei primi anni di<br />

trattamento per poi stabilizzarsi definitivamente; la qualità<br />

del risultato clinico dal punto di vista neurologico è dimostrata<br />

anche dall’ottima risposta osservata in occasione dell’anestesia<br />

generale.<br />

3. I protocolli posologici non sono prevedibili a<br />

priori: stabilire un programma di follow up telefonici<br />

per adeguarli opportunamente e mantenere<br />

anche la similitudine di potenza.<br />

Le scelte posologiche richiedono costante attenzione da<br />

parte nostra. Vi sono regole generali cui spesso ci possiamo<br />

attenere:<br />

- potenze ascendenti;<br />

- incremento minimo di potenza (metodo delle “plus”);<br />

- ripetizione al bisogno o in base alla sensibilità dimostrata<br />

dal paziente.<br />

In particolari situazioni possiamo valutare l’opportunità di<br />

applicare criteri diversi da quelli appena esposti. Per esempio:<br />

il paziente non reagisce ad un determinato range di<br />

potenza; il paziente è ipersensibile ad un determinato range<br />

di potenza; il paziente attraversa una fase di intenso aggravamento;<br />

il paziente corre pericolo di vita.<br />

Caso 4: rickettsiosi nel cane.<br />

Cane pastore scozzese maschio 8 anni<br />

Al momento della visita omeopatica presenta: forte rigidità<br />

degli arti posteriori, atassia, importante astenia e depressione<br />

del sensorio, polifagia; Alt 111 Alp 451 colesterolo<br />

407; è stata posta diagnosi di Erlichia granulocitica e<br />

Richettzia richettzii nel contesto di accertamenti effettuati in<br />

clinica medica universitaria; il paziente ha ricevuto regolarmente<br />

la terapia prevista nel protocollo prescritto, ma presenta<br />

gravi fenomeni di intolleranza che obbligano all’interruzione<br />

della terapia.<br />

Osservazione dei fenomeni dal punto di vista omeopatico:<br />

stato lesionale grave multiorgano; importante compromissione<br />

energetica;<br />

Fenomeni ricavati dall’anamnesi: carattere timido e pauroso;<br />

atassia e vertigini dal momento di inizio della terapia<br />

antibiotica; desiderio di pesce; intolleranza a molti alimenti;<br />

sintomi emorragici<br />

Repertorizzazione: escludo tutti i sintomi patognomonici<br />

di malattia. Considero le principali caratteristiche mentali ed<br />

i sintomi generali e locali intensi e persistenti nel tempo, più<br />

il sintomo delle vertigini, reazione individuale al trattamento<br />

farmacologico.<br />

Prescrizione: China regia 30 CH 1X.<br />

Considerazioni dopo 4 anni di terapia: il paziente ha reagito<br />

bene alla metodica delle somministrazioni in potenza<br />

ascendente effettuate con il sistema delle “plus”, arrivando<br />

molto gradualmente alla XMCH. Nel mese di febbraio u.s.<br />

ha attraversato una grave crisi, con recidiva dei sintomi<br />

patognomonici, che non ha reagito favorevolmente né al trattamento<br />

omeopatico, né ad un ciclo dell’antibiotico indicato<br />

(che è stato somministrato in questi quattro anni solo due<br />

volte e solo per pochi giorni). Le mie considerazioni in questo<br />

frangente sono state: il cane ha un livello minimo di energia;<br />

lo stato lesionale è grave; le condizioni generali sono<br />

molto compromesse; non vi è risposta adeguata ai dosaggi<br />

assunti con buoni risultati in precedenza. Quindi ho deciso di<br />

somministrare il medicamento a bassa diluizione, dopo una<br />

pausa di alcuni giorni dall’ultima dose in potenza elevata;<br />

quindi ho prescritto China regia 5 CH, una sola somministrazione<br />

di tre granuli e follow up telefonico dopo 12 ore.<br />

Questa somministrazione ha migliorato le condizioni del<br />

paziente in modo evidente, quindi è stata ripetuta nei giorni<br />

successivi riportando un equilibrio che sembrava ormai<br />

compromesso; la 5 CH in quel particolare momento è risultata<br />

essere la potenza in grado di interagire correttamente<br />

con la scarsa energia del paziente.<br />

4. Il proprietario del paziente cronico fa parte<br />

del percorso da governare: comprendere gli scenari<br />

e gestire la comunicazione.<br />

La comunicazione con il proprietario dell’animale fa parte<br />

del metodo omeopatico soprattutto nella gestione del caso<br />

cronico.<br />

Aspetti fondamentali per una comunicazione efficace sono:<br />

- Comprendere lo scenario da cui provengono l’animale e<br />

la famiglia che lo ospita<br />

- Comprendere la danza o interazione relazionale, sviluppare<br />

una autocoscienza emozionale ed un ascolto attivo<br />

- Rendere possibile una chiara comprensione da parte del<br />

proprietario dei parametri di riferimento necessari per la<br />

valutazione dell’evoluzione del caso clinico<br />

- Educare il cliente ad esercitare un ruolo attivo nel governare<br />

il benessere dell’animale, e, possibilmente, renderlo<br />

autonomo al massimo grado in questo ruolo.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Barbara Rigamonti,<br />

Via Oreste De Gaspari 26 r. 16146 Genova<br />

Tel: 010 364178<br />

Fax: 010 8631113<br />

E-mail: omeovet@bonfi.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 245<br />

Anestetici locali e tecniche locoregionali<br />

Attilio Rocchi<br />

Med Vet, Firenze<br />

Le tecniche loco-regionali sono un valido supporto per<br />

generare un’elevata analgesia nel paziente chirurgico, in<br />

genere con minima invasività, e con un impatto sistemico<br />

notevolmente ridoto.<br />

Per poterne correttamente interpretare l’uso è necessario<br />

procedere ad una breve ma essenziale premessa.<br />

A differenza del paziente umano adulto, il nostro non è<br />

assolutamente in grado di darsi o di ricevere spiegazioni per<br />

quanto concerne qualsivoglia procedura gli venga applicata.<br />

Ancora, il nostro paziente non ha capacità di distinguere fra<br />

un dolore ed un fastidio, e di conseguenza interpreterà come<br />

aggressioni anche pratiche non propriamente dolorose, ma<br />

pur sempre fastidiose.<br />

Ne consegue che, mentre in medicina umana alcuni distinguono<br />

fra anestesia locale, quando la procedura sia eseguita<br />

con anestetici locali, e analgesia locale, quando essa preveda<br />

uso di farmaci diversi. In medicina veterinaria è sicuramente<br />

meglio approcciare le tecniche loco-regionali con il<br />

solo termine di analgesia locale, indipendentemente dalla<br />

categoria farmacologia impiegata, intendendo con ciò che<br />

l’uso delle procedure più invasive, che richiedamo immobilità,<br />

o elevate manipolazioni, vada interpretato come un<br />

mezzo per raggiungere analgesia in un paziente possibilmente<br />

già in anestesia generale. Questo concetto, peraltro,<br />

non è estraneo ed anzi sempre più diffuso anche in medicina<br />

umana, soprattutto pediatrica, facendo parte di quella procedura<br />

che prende il nome di blended anesthesia, che prevede<br />

appunto di produrre ipnosi con tecniche classiche prima di<br />

guadagnare analgesia con tecniche locali.<br />

Altra distinzione importante è che se in umana certe tecniche<br />

sono apprezzate dagli amministratori ancor prima che<br />

dagli anestesisti, in quanto riducendo l’ospedalizzazione<br />

riducono sensibilmente i costi, in veterinario questo principio<br />

non è applicabile in molte occasioni. Sarà infatti spesso<br />

necessario seguire e proteggere il paziente al risveglio per il<br />

rischio di autotraumatismi alle zona desensibilizzata, e di<br />

profondo disagio o stress per l’alterata percezione.<br />

Vale la pena di ribadire ancora una volta che il vecchio<br />

pregiudizio per il quale l’anestesia locale ritarderebbe la<br />

guarigione delle lesioni è stato da lungo tempo completamente<br />

sfatato. L’unico inconveniente che gli anestetici locali<br />

oggi in uso, con eccezione della Ropivacaina, possono<br />

produrre durante la chirurgia è l’aumento del sanguinamento<br />

per vasodilatazione.<br />

Non va invece dimenticato che l’inoculazione di anestetici<br />

locali procura notevole bruciore. Questo inconveniente<br />

può essere aggirato nel caso della Lidocaina miscelando una<br />

parte di Sodio Bicarbonato 1 mEq/ml con 9 parti di Lidocaina<br />

2%. Più in venerale può essere di aiuto riscaldare il farmaco<br />

a temperatura corporea prima di iniettarlo.<br />

Infiltrazione<br />

Il più comune uso degli anestetici locali è l’infiltrazione.<br />

Oltre all’applicazione in singolo bottone per la desensibilizzazione<br />

di piccoli punti di incisione, è possibile isolare piccole<br />

aree attraverso una palizzata di inoculazioni. Basterà far penetrare<br />

l’ago in profondità, controllare per aspirazione di non<br />

aver raggiunto un vaso, quindi iniettare mentre si retrae l’ago;<br />

l’operazione viene ripetuta con distanze di circa 1 cm. Se l’area<br />

è sufficientemente ristretta si può tentare di descrivere con<br />

la palizzata un cono rovesciato in modo da isolare completamente<br />

la porzione su cui operare. La scelta di un ago sottile<br />

aumenta il comfort del paziente, qualora sia vigile, e minimizza<br />

i rischi di penetrazione vasale. Prima di eseguire l’inoculazione<br />

bisogna aver cura di assicurarsi che la dose di anestetico<br />

sia inferiore alla dose tossica per la specie (lidocaina:<br />

10 mg/Kg nel cane, 4 mg/Kg nel gatto; bupivacaina 2 mg/Kg).<br />

Va ricordato che tessuti necrotici o purulenti presentano<br />

un pH alterato che limita la possibilità di liberare la base attiva<br />

a partire dal sale presente nella formulazione; di conseguenza<br />

l’applicazione su tali lesione è infruttuosa.<br />

Ring Block<br />

Variante applicabile nelle zone distali quali arti e coda è il<br />

cosidetto Ring Block o blocco ad anello. La palizzata in tal<br />

caso viene eseguita in profondità e seguendo la circonferenza<br />

della parte in questo modo si assume di poter coinvolgere<br />

tutti i nervi passanti in quel distretto, pur senza possedere<br />

elevate conoscenze anatomiche del sito o doversi impegnare<br />

nell’individuazione delle singole branche per ottenere un<br />

blocco più selettivo. In tale maniera si può ottenere la desensibilizzazione<br />

di tutta la parte a valle dell’anello. Cercando,<br />

però, di bagnare tutti i tessuti ed i nervi passanti, si ottiene<br />

anche di bagnare anche tutto il letto vascolare, e di conseguenza<br />

è assolutamente proscritto l’uso di lidocaina addizionata<br />

con adrenalina in tale pratica, pena il rischio di determinare<br />

una così imponente e diffusa vasocostrizione arteriosa<br />

della zona, tale da determinare necrosi della stessa.<br />

Blocco intercostale<br />

Il blocco intercostale permette la desensibilizzazione di<br />

uno spazio intercostale per l’esecuzione di pratiche invasive<br />

quali l’inserimento di un drenaggio toracico su un paziente<br />

anche solamente sedato, o un valido supporto per contrastare<br />

il dolore nel punto di accesso di una chirurgia toracica, o<br />

nel trattamento di fratture costali.


246 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Ciascun nervo intercostale si sfrangia lungo il suo percorso<br />

mandando terminazioni ai due spazi intercostali ad esso<br />

craniali e ai due caudali. Ne consegue che per sviluppare<br />

completa insensibilità di un singolo spazio intercosatale è<br />

necessario bloccare la conduzione anche sui nervi degli spazi<br />

adiacenti. Si procede penetrando con l’ago lungo il bordo<br />

caudale della costa in modo da portarsi più vicino possibile<br />

al fascio pascolo nervoso; superata la costa e verificata l’assenza<br />

di sangue nel punto di inoculo, si deposita il farmaco.<br />

Il punto di inoculo deve essere nel terzo più dorsale dell’arco<br />

costale, in modo da cercare di isolare il nervo prima che<br />

si divida. Sarà necessario trattare 5 spazi per ottenere il risultato<br />

ottimale in quello centrale.<br />

Nel cane, quando lo stato di ingrassamento renda difficile<br />

il rilevamento degli spazi, si può inserire l’ago fino alla<br />

costa, quindi ridirigerlo caudalmente fino a superarne il bordo<br />

ed iniettare.<br />

Splash<br />

Il semplice contatto dell’anestetico locale con le mucose<br />

produce insensibilità. Questa caratteristica è sfruttata non<br />

solo per facilitare l’intubazione o per l’inserimento di sondini<br />

nasali, ma può essere vantaggiosamente usata per produrre<br />

analgesia locale prima della chiusura di una ferita chirurgica,<br />

aspergendo fascia e sottocute, evitando così di dovere<br />

eseguire un’infiltrazione ad intervento finito, come è abitudine<br />

di alcuni anestesisti. È necessario usare un anestetico ad<br />

azione rapida, come la Lidocaina, e lasciarla a contatto con<br />

la superficie il tempo necessario perché eserciti la sua azione<br />

prima di tamponare o rimuovere i liquidi.<br />

Anestesia di superficie cutanea<br />

Le normali pomate a base di lidocaina risultano efficaci<br />

sulla mucosa, ma non sono in grado di penetrare attraverso<br />

la cute integra. Fa eccezione la pomata EMLA ® (Astra-<br />

Zeneca); il suo nome altro non è che l’acronimo per Eutectic<br />

Misture of Local Anestetics: essa è infatti costituita da<br />

lidocaina e prilocaina, entrambe al 2,5%, molecole che se<br />

prese singolarmente non sono in grado di penetrare la<br />

cute, proprietà che acquistano una volta combinate. L’effetto<br />

è tuttavia piuttosto lento; per ottenere il miglio risultato<br />

la pomata va applicata su cute tosata e sgrassata, e<br />

quindi bendata. L’azione si completa in 60 minuti, ma è<br />

già apprezzabile in tempi più ridotti, permettendo manovre<br />

non molto dolorose, che possono andare dall’incannulamento<br />

venoso di animali molto agitati e sensibili, all’applicazione<br />

del microchip nel cucciolo, fino ad altre e più<br />

cruente operazioni cutanee.<br />

Puntura epidurale<br />

La puntura epidurale mira a distribuire il farmaco nel tessuto<br />

grasso altamente vascolarizzato che si trova esternamente<br />

alle meningi, in modo che esso determini analgesia<br />

per attività soprattutto sulla base delle emergenze nervose.<br />

Per l’iniezione si usano in genere aghi spinali di Quinke<br />

con calibro 20-22 gouge e lunghezza fra i 30 ed i 75 mm.<br />

La bietta viene diretta cranialmente durante la penetrazione.<br />

Alcuni anestesisti preferiscono adoperare aghi di Tuohy,<br />

non acuminati, incidendo lievemente la cute per l’introduzione;<br />

l’uso di tali aghi rende meno probabile un’accidentale<br />

perforazione delle meningi, tendendo comunque a<br />

sospingerle.<br />

La puntura si esegue normalmente fra L7 e S1, posizione<br />

in cui è più facile individuare reperi anatomici, la penetrazione<br />

è più facile, e minori sono i rischi di inoculazione spinale<br />

accidentale. A questo livello l’epidurale produce effetto<br />

su tutto il distretto pelvico, arti, cosa, perineo e in misura<br />

variabile sui distretti più caudali dell’addome.<br />

Il paziente viene posto in decubito laterale o sternale, a<br />

seconda delle preferenze. L’estensione craniale degli arti<br />

posteriori permette di allargare lo spazio intervertebrale facilitando<br />

il passaggio dell’ago.<br />

Dopo tosatura e preparazione chirurgica della zona si procede<br />

all’individuazione dei punti di repere, creste iliache e<br />

processi spino di L7 e S1. Nel cane il punto in cui introdurre<br />

l’ago si trova al centro della linea immaginaria che unisce<br />

i due punti più sporgenti della ali iliache, e a metà fra i due<br />

processi spinosi. A questo livello, con eccezione del soggetto<br />

giovane, non è più presente midollo spinale, e quindi è<br />

improbabile un non desiderato approfondimento dell’ago<br />

fino allo spazio spinale.<br />

Nel gatto è sempre valido il riferimento ai punti più sporgenti<br />

delle ali iliache, mentre l’ago si troverà spostato nel<br />

terzo più caudale dello spazio fra i processi spinosi. In questa<br />

specie è a questa altezza è ancora presente il midollo e<br />

pertanto maggior attenzione andrà posta nell’individuare<br />

un’accidentale localizzazione spinale. Una volta posizionato<br />

l’ago ed estratto il mandrino è bene aspettare 30-40<br />

secondi per valutare la fuoriscita di liquor, soprattutto in<br />

pazienti piccoli che potrebbero avere una bassa pressione.<br />

Nel caso di accidentale puntura spinale si può a scelta tentare<br />

un nuovo posizionamento oppure iniettare in questa<br />

sede, possibilmente dopo aver lasciato fuoriuscire un volume<br />

di liquor prossimo a quello del farmaco e avendo cura di<br />

iniettare con estrema lentezza.<br />

La presenza di sangue depone per la perforazione di un<br />

plesso; in questo caso è bene estrarre l’ago e, se si è confidenti<br />

con la tecnica tentare la puntura in altro spazio, altrimenti<br />

rinunciare. È sempre consigliabile fare anche una verifica<br />

per aspirazione.<br />

Molte tecniche sono state descritte per verificare il corretto<br />

posizionamento nello spazio epidurale. La più nota, il<br />

pop effect, ovvero la distinta sensazione di rottura che si<br />

avverte nel passaggio dal ligamentum flavum allo spazio<br />

perdurale, per quanto affidabile, non è sempre percepibile.<br />

La perdita di resistenza con siringa, iniettando della fisiologica,<br />

risulta piuttosto sensibilee permette peraltro di dilatare<br />

lo spazio epidurale; in assenza di siringhe bicomponenti<br />

a bassa resistenza appositamente concepite, si può ricorrere<br />

ad una siringa normale, riempita di fisiologica ma con la<br />

presenza di una bolla di aria ben visibile; alla pressione dello<br />

stantuffo le deformazioni della bolla indicheranno presenza<br />

di resistenze eccessive, per quanto ancora non percepibili<br />

dalla mano dell’operatore.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 247<br />

Anestesia epidurale continua<br />

È possibile posizionare in sede epidurale un catetere per<br />

protrarre nel tempo l’analgesia epidurale.<br />

Per l’inserimento viene posizionate un ago di Tuohy on un<br />

ago a matita come lo Sprotte ® ; questo secondo tipo, a punta<br />

acuminata, permette di usare diametri di ago minori, a parità<br />

di catetere da inserire. Si consiglia di testare le resistenze<br />

che il catetere incontra nell’ago prima dell’inserimento, in<br />

modo da poter meglio apprezzare eventuali mal posizionamenti<br />

durante la procedura. Per facilitare lo scorrimento del<br />

catetere, l’inserimento dell’ago viene fatto con un angolo<br />

incidente più basso. Una volta posizionato l’ago il catetere<br />

viene fatto scorrere fino all’altezza desiderata e precedentemente<br />

misurata.<br />

Avanzare il catetere per percorsi superiori ai 4 spazi vertebrali<br />

comporta un forte aumento dei rischi di malposizionamenti.<br />

Se durante l’avanzamento del catetere si incontrassero<br />

inaspettate resistenze e dovesse essere necessario<br />

ritirarlo, ciò va sempre fatto dopo rimozione dell’ago: per<br />

quanto esso abbia superfici smusse, è già accaduto che il<br />

catetere ne sia risultato tranciato e perso nello spazio epidurale.<br />

Una volta posizionato il catetere l’ago viene sfilato<br />

ed il catetere fissato in posizione, eventualmente con una<br />

breve tunnellizzazione sottocutanea per ridurre i rischi di<br />

contaminazione profonda.<br />

Ad inserimento avvenuto è necessario visualizzare la<br />

posizione del catetere almeno con esame radiografico.<br />

Eventuali mal posizionamenti possono avvenire per fuoriscita<br />

attraverso un foro intervertebrale, con perdita di<br />

effetto analgesico e talvolta dolore; per penetrazione in un<br />

vaso, il che può produrre effetti sistemici indesiderati e<br />

inefficacia dell’analgesia; infine si può penetrare lo spazio<br />

sottodurale, con effetti analgesici variabili a seconda del<br />

farmaco e della localizzazione. Il malposizionamento può<br />

avvenire anche nei giorni successivi all’inserimento avvenuto<br />

correttamente.<br />

Al momento della rimozione del catetere, se si dovessero<br />

riscontrare resistenze, esso non va tirato: potrebbe aver<br />

formato anse intorno ad un’emergenza nervosa durante<br />

l’inserimento, che potrebbero ora venir strozzate. Si rende<br />

in tal caso necessaria una visualizzazione con TAC e la<br />

scelta fra la rimozione chirurgica o abbandonare in sede il<br />

catetere.<br />

Prima di valutare l’inserimento di un catetere epidurale<br />

bisogna valutare la possibilità di assicurarne la gestione in<br />

un ambiente perfettamente pulito; disporre di personale per<br />

controllare che l’animale non causi trazioni del catetere o<br />

riesca a raggiungerlo e lesionarlo o strapparlo; che il catetere<br />

non possa restare impigliato in alcun modo.<br />

Puntura spinale<br />

È possibile inoculare il farmaco direttamente nello spazio<br />

sottodurale; questa metodica permette di produrre ottima<br />

analgesia con una precisa localizzazione al metamero di<br />

interesse, ed eventualmente marcata lateralizzazione se desiderata.<br />

È possibile sfruttare sia aghi di Quicke che aghi a<br />

matita. Con il primo è preferibile entrare con la bietta inse-<br />

rita secondo l’asse rachidiano, in modo da rendere ancora<br />

meno probabili danni al midollo, se si dovesse accidentalmente<br />

penetrarlo. Gli aghi a matita non lasciano quasi nessun<br />

segno sulle meningi dopo retrazione; questo ha comportato<br />

nel paziente umano una riduzione pari al 25% dell’incidenza<br />

di vertigini e gravi emicranie a seguito di fuoriscita di<br />

liquor dopo puntura spinale.<br />

Per quanto la pratica di perferore il midollo e retrarre<br />

poi l’ago non abbia mai prodotto segnalazioni di effetti<br />

collaterali clinicamente apprezzabili, la procedura è sconsigliabile.<br />

L’introduzione dell’ago deve essere eseguita con tecnica<br />

sterile.<br />

La fuoriuscita del liquor permette l’individuazione del<br />

corretto posizionamento. L’iniezione del farmaco deve essere<br />

eseguita con estrema lentezza per ridurre il rischio di<br />

indesiderate migrazioni. Rispetto alla puntura epidurale<br />

infatti, sono con maggior frequenza riportati incidenti quali<br />

arresto respiratorio, sindrome di Horner, riflesso di Shif-<br />

Sherrington, ipoglicemia per blocco del Simpatico, ipotensioni,<br />

tremori, convulsioni e coma.<br />

Intra-articolare<br />

L’introduzione di anestetici locali nello spazio intra-articolare<br />

al momento della capsulorafia o direttamente per puntura<br />

può produrre ottima analgesia di lunga durata. In particolare<br />

l’uso di Bupivacaina ad una dose di 0,5 mg7Kg è in<br />

grado di produrre analgesia per la durata di 24 ore. Vista l’esiguità<br />

dello spazio disponibile si rendono necessarie formulazioni<br />

ad alta concentrazione.<br />

Splash pleurico<br />

È possibile ottenere analgesia di tutta la parete toracica<br />

applicando l’anestetico locale lungo la superficie pleurica.<br />

Ciò può essere archiviato si a mediante l’inserimento con<br />

ago di Tuohy di un catetere di piccolo calibro per via transparietale,<br />

o più comunemente sfruttando il drenaggio inserito<br />

al termine di una procedura chirurgica toracica. La metodica<br />

si presta non solo al contenimento del dolore chirurgico<br />

postoperatorio, ma anche a limitare il fastidio che a volte<br />

consegue alla sola presenza di un drenaggio.<br />

Una volta inserito il farmaco nel catetere ed eseguito un<br />

piccolo flush perché esso raggiunga in toto la pleura, il<br />

paziente deve essere disposto sul fianco della lesione al fine<br />

di ottenere una buon contatto dell’anestetico locale su tutta<br />

la pleura. Se ciò è agevole prima di risvegliare il paziente al<br />

termine dell’intervento, potrebbe successivamente richiedere<br />

il ricorso a lieve sedazione e ad altre forme di analgesia<br />

anche se di breve durata.<br />

Si ricorre in genere all’uso di Bupivacaina con una dose di<br />

2 mg/Kg ogni 4-6 ore e senza superare gli 8 mg7Kg al giorno.<br />

In seconda giornata poi, la dose massima giornaliera<br />

deve essere dimezzata per il rischio di accumulo.<br />

La tecnica è assolutamente controindicata in caso di pericardiectomia<br />

per il rischio di arresto cardiaco che l’anestetico<br />

può produrre per contatto diretto sul cuore.


248 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Blocco del plesso brachiale<br />

L’anatomia del paziente veterinario rende l’utilizzo del<br />

blocco del plesso brachiale meno pratico ed accessibile che<br />

in medicina umana. Nel nostro paziente infatti, il plesso<br />

brachiale è costituito da un amaglia diradata ed estesa di<br />

rami nervosi protetti dalla scapola. L’accesso al plesso può<br />

essere eseguito col paziente in decubito laterale, mantenendo<br />

l’arto sollevato e parallelo al piano mediale, im modo da<br />

cercare un di scostamento della scapola. Prendendo come<br />

riferimento l’articolazione scapolo omerale, l’ago viene<br />

introdotto parallelamente al piano mediale e al rachide, profondamente<br />

fino a raggiungere il margine caudale della scapola,<br />

e ritraendo si inietta il farmaco.<br />

Una miglior probabilità di riuscita risiede nella possibilità<br />

di inoculare il farmaco quanto più possibile in prossimità<br />

dei rami nervosi. Per fare ciò, la vecchia tecnica della<br />

parestesia ha progressivamente lascito posto all’impiego di<br />

neuroelettrostimolatori che sfruttano un elettrodo posizionato<br />

sulla prte distale dell’arto ed un secondo elettrodo sonda<br />

costituito dall punta stessa di appositi aghi a parete isolata.<br />

Lavorando sulle regolazioni dello strumento è possibile<br />

ottenere un maggior avvicinamento.<br />

È da sottolineare come l’impiego stesso dell’elettrostimolatore<br />

risulti estremamente fastidioso e causa di dolore<br />

su un paziente sveglio e pertatnto richieda anestesia e una<br />

modica analgesia generale. Nelle razza brachimorfe e con<br />

torace a botte è stata segnalata la possibilità di accidentale<br />

perforazione pleurica e pneumotorace. Per la stessa conformazione<br />

del plesso è discusso quale volume di farmaco sia<br />

meglio impiegare. L’uso di lidocaina produce effetto con un<br />

on-set di circa 15 minuti e durata di circa 2 ore. La ripresa<br />

della completa funzionalità dell’arto può però richiedere<br />

anche 6 ore.<br />

Anestesia regionale intravenosa<br />

L’anestesia regionale intravenosa è anche nota come Bier’s<br />

Block, dal nome del medico che la propose nel <strong>19</strong>11, ed ha<br />

avuto il suo banco di prova nelle amputazioni sul campo durante<br />

la prima guerra mondiale. Dopo aver preparato l’arto, viene<br />

predisposta una cannula venosa in posizione distale e possibilmente<br />

in direzione prossimo-distale. Si procede quindi ad<br />

esmarchizzazione dell’arto e a bloccarne il circolo arterioso<br />

con un turniquette. Il preventivo posizionamento di un doppler<br />

sotto la fasciatura o l’uso di un afascia con manometro può aiutare<br />

nel verificare l’avvenuto blocco del circolo arterioso.<br />

Rimosso il bendaggio si inietta lidocaina 4-5 mg/Kg per<br />

via endovenosa. La diffusione dal letto vasale ai tessuti circostanti<br />

produce analgesia in 5-10 minuti, con comparsa<br />

disto-prossimale. Nel caso di uso di un laccio emostatico<br />

per causare ischemia, poiché la pressione da esso esercitata<br />

causa notevole fastidio fino a dolore, esso può essere<br />

sostituito alla comparsa dell’analgesia con un secondo laccio<br />

posizionato appena più distalmente, e pertanto in area<br />

già desensibilizzata. Il blocco della circolazione va lasciato<br />

in sede per tutta la durata dell’intervento. Al ripristino<br />

della circolazione l’anestetico locale passa lentamente dai<br />

tessuti al sangue, senza pertanto causare impatto sistemico;<br />

l’analgesia si riduce e scompare rapidamente.<br />

L’uso della tecnica va programmato con attenzione alla<br />

durata della chirurgia, essendo necessario ripristinare il circolo<br />

entro i 90 minuti. L’aggiunta di medetomidina per aumentare<br />

l’analgesia o di bloccati neuromuscolari è stata descritta.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Attilio Rocchi<br />

Clinica Veterinaria 24 Ore - Via Senese 259/B, 50124, Firenze<br />

Tel.: (+39)0552322025 - Fax: (+39)0552323885


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 249<br />

Sarcomi dei tessuti molli:<br />

presentazione clinica, diagnosi e stadiazione<br />

Giorgio Romanelli<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Cusano Milanino (MI)<br />

Introduzione<br />

I sarcomi dei tessuti molli sono un gruppo di tumori<br />

cutanei e viscerali con caratteristiche istologiche diverse<br />

accomunati da un comportamento biologico simile e comprendono<br />

circa il 15% di tutti i tumori cutanei e sottocutanei<br />

del cane ed il 7% nel gatto, se si escludono i sarcomi<br />

indotti da iniezione.<br />

I sarcomi dei tessuti molli comprendono fibrosarcoma,<br />

emangiopericitoma, liposarcoma, rabdomiosarcoma, leiomiosarcoma,<br />

tumori delle guaine nervose periferiche, mixosarcoma<br />

e mesenchimoma. Non sono compresi nel gruppo<br />

osteosarcoma extrascheletrico, emangiosarcoma, condrosarcoma,<br />

sinoviosarcoma e linfangiosarcoma visto il loro<br />

alto tasso metastatico anche se in alcuni casi il sinoviosarcoma<br />

è incluso (Tab. 1).<br />

Tabella 1<br />

Nomenclatura dei tumori mesenchimali<br />

dei tessuti molli<br />

Sarcomi dei tessuti molli<br />

Percentuale metastatica bassa<br />

• Fibrosarcoma<br />

• Tumori delle guaine nervose periferiche<br />

• Emangiopericitoma<br />

• Leiomiosarcoma<br />

• Mesenchimoma<br />

Percentuale metastatica da bassa a media<br />

• Fibrosarcoma high grade<br />

• Mixosarcoma<br />

• Rabdomiosarcoma<br />

• Liposarcoma<br />

Altri tumori mesenchimali<br />

(alta percentuale metastatica)<br />

• Emangiosarcoma<br />

• Osteosarcoma<br />

• Condrosarcoma<br />

• Sinoviosarcoma*<br />

• Linfangiosarcoma<br />

* da alcuni incluso nei sarcomi dei tessuti molli<br />

Segnalamento<br />

Non si conosce nessuna predisposizione razziale o sessuale<br />

anche se la maggior parte dei tumori insorge in cani di<br />

grossa taglia.<br />

Eziologia e comportamento biologico<br />

Anche se istologicamente differenti, i sarcomi dei tessuti<br />

molli hanno alcune caratteristiche in comune che includono:<br />

1. Possibilità di crescere in ogni punto dell’organismo<br />

2. Aspetto pseudoincapsulato con margini istologici scarsamente<br />

definiti<br />

3. Tendenza all’infiltrazione fasciale<br />

4. Recidiva molto comune dopo exeresi troppo conservativa<br />

5. Metastasi ematogena in circa il 10-15% dei casi, ma estremamente<br />

variabile in relazione al grado istologico<br />

6. Metastasi linfonodale rarissima<br />

7. Gradi istopatologico predittivo di metastasi<br />

8. Scarsa risposta a chemioterapia e radioterapia in caso di<br />

tumore misurabile<br />

Generalmente i sarcomi dei tessuti molli dimostrano un<br />

basso potenziale metastatico ma sono molto invasivi localmente.<br />

Presentazione e segni clinici<br />

I sarcomi dei tessuti molli si presentano come neoformazioni<br />

di diverso diametro, da pochi millimetri a molti centimetri,<br />

solitamente a lento accrescimento ma alcune volte a<br />

crescita molto rapida, in parte dovuta alla formazione di cavità<br />

cistiche all’interno o ad improvvisa emorragia intratumorale.<br />

Il più delle volte i segni clinici sono nulli o scarsi, maggiormente<br />

comuni in caso di crescita nel cavo orale od in organi<br />

cavi. I tumori che originano dal plesso sono accompagnati<br />

da dolore, a volte estremo, zoppia e sintomi neurologici ed il<br />

rabdomiosarcoma vescicale può essere accompagnato da<br />

stranguria, pollachiuria ed osteopatia ipertrofica. Alla palpazione,<br />

i sarcomi cutanei sono duri o duro-elastici, non dolenti<br />

se non ulcerati e fissati agli strati più profondi ma ad una indagine<br />

superficiale, possono apparire ben capsulati.<br />

In realtà tali neoplasie non possiedono una capsula vera e<br />

propria ma una pseudocapsula composta di cellule tumorali<br />

compresse, miste a tessuto fibrovascolare.<br />

Questa caratteristica può ingannare e guidare verso una chirurgia<br />

conservativa che non solo lascerà un residuo microscopico<br />

ma complicherà inevitabilmente una terapia definitiva.


250 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Approccio e stadiazione<br />

L’esame citopatologico è molto importante nella diagnostica,<br />

soprattutto per escludere la possibilità di un’altra neoplasia<br />

ma nella diagnosi dei sarcomi dei tessuti molli ha delle<br />

limitazioni che bisogna conoscere, soprattutto nei tumori<br />

meglio differenziati. Molto spesso i sarcomi hanno una<br />

componente cistica o necrotica che possono rendere difficile<br />

o fuorviante l’interpretazione del campione.<br />

Oltretutto una parte dei sarcomi tende a cedere poche cellule<br />

all’aspirazione.<br />

Poiché la conoscenza dell’istotipo è basilare nel planning<br />

terapeutico, si consiglia quindi di procedere sempre ad un<br />

esame bioptico sia strumentale, mediante ago di Tru-Cut o<br />

incisionale con bisturi. È bene ricordare ancora una volta che<br />

quando si esegue una biopsia bisogna essere sicuri di poter<br />

poi includere il tratto bioptico nell’escissione definitiva.<br />

Tabella 2<br />

Sistema di gradazione istologica dei sarcomi dei tessuti molli<br />

Punteggio Grado di differenziazione Numero mitotico % di necrosi<br />

(n° di mitosi/10 HPF)<br />

1 Sembra normale tessuto mesenchimale 0-9 Nessuna<br />

2 Tipo istologico preciso 10-<strong>19</strong> < 50% del tessuto esaminato è necrotico<br />

3 Indifferenziato > 20 > 50% del tessuto esaminato è necrotico<br />

Grado 1 = punteggio cumulativo ≤ 4 per le tre categorie<br />

Grado 2 = punteggio cumulativo 5 o 6<br />

Grado 3 = punteggio cumulativo ≥ 7<br />

Tabella 3<br />

Stadiazione TNM modificata dei sarcomi<br />

dei tessuti molli<br />

T Tumore primario<br />

T 1 < 5 cm di diametro<br />

T 2 > 5 cm di diametro<br />

N Linfonodi regionali<br />

N 0 nessuna metastasi linfonodale accertata<br />

N 1 presenza di metastasi linfonodale<br />

M Metastasi a distanza<br />

M 0 nessuna metastasi a distanza<br />

M 1 presenza di metastasi a distanza<br />

Stadio 1<br />

1a T1 N0 M0 (grado 1 o 2 < 5 cm di diametro)<br />

T2 N0 M0 (grado 1 o 2 > 5 cm di diametro)<br />

1 b<br />

Stadio 2<br />

2a T1 N0 M0 (grado 3 < 5 cm di diametro)<br />

T2 N0 M0 (grado 3 > 5 cm di diametro)<br />

1 b<br />

Stadio 3<br />

3a Tutti i T N1 M0 (tumori di ogni grado,<br />

stato linfonodale verificato)<br />

3b Tutti i T tutti gli N M1 Le radiografie dirette danno solitamente poche indicazioni<br />

se non d’ingrandimento d’organo ma sono poco specifiche<br />

e anche in caso d’aderenza alla parte ossea sottostante<br />

non consentono una valutazione corretta dell’estensione<br />

della malattia.<br />

L’esame ecografico è d’aiuto in pazienti con neoplasia<br />

viscerale ma non da risultati apprezzabili in pazienti con<br />

neoplasia cutanea/sottocutanea od orale.<br />

Le indagini TC e RM sono invece sempre più indispensabile<br />

nella diagnosi e nella stadiazione e possiedono l’indubbio<br />

vantaggio di una risoluzione spaziale superiore sia alla<br />

radiologia diretta che all’ecografia, particolarmente importante<br />

nei sarcomi della testa e del collo, della parete toracica,<br />

della pelvi e degli arti, soprattutto nelle estremità distali.<br />

In casi selezionati anche gli esami endoscopici (rinoscopia,<br />

esofagogastroscopia) possono essere utili per evidenziare<br />

particolari alterazioni d’organo.<br />

La maggior parte dei pazienti con sarcoma dei tessuti<br />

molli non dimostrano alcuna anomalia agli esami ematochimici<br />

e all’emogramma, tranne una piccola parte di pazienti<br />

con leiomioma e leiomiosarcoma intestinale che possono<br />

dimostrare ipoglicemia, dovuta alla produzione da parte del<br />

tumore, di una molecola insulinosimile.<br />

Tutti i pazienti con sarcoma devono poi essere sottoposti<br />

ad esami radiografici del torace in almeno 2 proiezioni laterali<br />

e, se possibile, anche ad una proiezione ventrodorsale,<br />

per escludere la possibilità di metastasi polmonari.<br />

Anche se la metastatizzazione linfonodale è rara, è bene<br />

controllare accuratamente i linfonodi drenanti e sottoporre<br />

ad ago aspirazione quelli aumentati di volume, duri o fissi.<br />

Di particolare importanza clinica sono la stadiazione ed il<br />

grading istologico (Tabb. 2 e 3).<br />

In uno studio, il 13% dei tumori di primo grado ed il 7%<br />

di quelli di secondo grado hanno sviluppato metastasi a<br />

distanza ma la percentuale sale al 43% per tumori di terzo<br />

grado. Il solo numero mitotico si è dimostrato importante<br />

con una sopravvivenza media di 236 giorni per tumori con<br />

più di <strong>19</strong> figura mitotiche x 10 HPF contro i 532 giorni<br />

quando le mitosi erano fra 10 e <strong>19</strong> e 1444 giorni se le figure<br />

mitotiche erano meno di 10.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giorgio Romanelli<br />

E-mail: romanelli@clinicavetnerviano.<strong>19</strong>1.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 251<br />

Nuovi approcci terapeutici nel dolore acuto e cronico<br />

del cane: Altadol (Tramadolo cloridrato)<br />

Nicola Ronchetti<br />

Med Vet, Castelnuovo Rangone (MO)<br />

Il dolore, come sensazione, deve essere considerato e trattato<br />

dal clinico al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti<br />

e delle persone che stanno loro accanto. Focalizzando l’attenzione<br />

sull’evento chirurgico e sulle fasi immediatamente<br />

successive, si evidenzia che tutte le tecniche chirurgiche, seppur<br />

in misura diversa, provocano un danno tissutale rendendo<br />

il dolore parte inscindibile del momento operatorio.<br />

L’anestesia è nata proprio dalla necessità di evitare sofferenze<br />

ai pazienti e, nel corso degli anni, ha evidenziato che, per<br />

ottenere i migliori risultati in questo senso, è necessario associare<br />

ai farmaci anestetici anche sostanze analgesiche. Queste<br />

associazioni farmacologiche assicurano un’analgesia ottimale<br />

per tutta la durata dell’intervento consentendo, altresì, l’uso di<br />

un dosaggio inferiore d’anestetici a parità di piano anestesiologico.<br />

La terapia antidolorifica nel periodo post-chirurgico è<br />

altrettanto importante in quanto consente di diminuire i tempi di<br />

recupero. Questa terapia, peraltro non necessariamente farmacologica,<br />

inizia già dalla fase del risveglio; infatti, recentemente,<br />

è stato introdotto il concetto di Tender Loving Care (T.L.C.)<br />

che consiste nel seguire il paziente in questa fase con contatto<br />

fisico e vocale. Tale procedura sembra essere responsabile della<br />

liberazione d’endorfine che aiutano a superare lo stress del<br />

risveglio e la sensazione dolorifica che lo accompagna. Studi<br />

clinici in campo umano mostrano che questo farmaco si differenzia<br />

dagli altri analgesici centrali in quanto associa ad una<br />

buona efficacia analgesica la rapidità d’azione e, a dosi terapeutiche,<br />

la mancanza di depressione respiratoria, l’assenza<br />

d’induzione d’assuefazione ed un buon profilo di tollerabilità<br />

globale; è inoltre indicato nelle situazioni di dolore d’intensità<br />

medio-forte. La rapidità d’azione (7-15 min.), l’assenza di<br />

depressione respiratoria unita all’assenza d’effetti ipnotici, che<br />

permette al paziente d’essere partecipe fin dai primi momenti<br />

p.o., condizione ottimale per garantire un rapido recupero fisioterapico,<br />

rende il Tramadolo un farmaco di grande importanza.<br />

In Italia non è da sottovalutare anche la possibilità di utilizzare<br />

questo farmaco senza i rigidi controlli che si hanno per le<br />

sostanze stupefacenti; infatti la ricettazione si effettua su ricetta<br />

semplice non ripetibile, la registrazione del farmaco sul normale<br />

registro di carico e scarico farmaci dell’ambulatorio.<br />

FARMACOLOGIA<br />

Il Tramadolo è un analgesico ad azione centrale, frutto di un<br />

ampio screening su strutture molecolari, ottenuto da derivati<br />

amino-metil-cicloesanolici per sostituzione con gruppi fenilici.<br />

Questi composti presentano una struttura di base caratterizzata<br />

da un cicloesanolo con un gruppo fenilico ed un residuo<br />

dimetilamino-metilico in posizione orto, e sono caratterizzati<br />

da un favorevole rapporto tra tossicità acuta e potenza<br />

analgesica; quest’ultima risulta aumentata se l’anello aromatico<br />

è sostituito con un gruppo contenente ossigeno in posizione<br />

meta. La struttura spaziale del Tramadolo presenta affinità<br />

con i recettori per gli oppioidi, dove esercita un puro effetto<br />

agonista. Caratteristiche chimico fisiche: è una polvere bianca,<br />

cristallina, inodore, con gusto amaro, prontamente solubile<br />

in acqua e metanolo. Il Tramadolo è un racemo: due enantioneri,<br />

ovvero due molecole con la stessa formula di struttura<br />

ma speculari. L’enantiomero positivo presenta una maggiore<br />

affinità per i recettori oppioidi µ ed inoltre inibisce la ricaptazione<br />

della serotonina; l’enantiomero negativo è meno efficace<br />

sui recettori oppioidi e sul sistema serotoninergico, ma<br />

agisce inibendo la ricaptazione della noradrenalina. È una<br />

base debole e viene assorbita nel primo tratto intestinale. Per<br />

la buona solubilità acquosa, la sua percentuale d’assorbimento<br />

è elevata, limitata solo dal tempo di transito nello stomaco<br />

(tempo che dipende dalla formulazione). La formulazione<br />

iniettabile, contiene Tramadolo cloridrato nella concentrazione<br />

di 50 mg/ml in una soluzione acquosa tamponata con sodio<br />

acetato, senza conservanti di pH 6.0 – 6.8.<br />

Tossicologia: studi effettuati su il cane mostrano che la tossicità<br />

acuta in DL50 mg/kg è: per os 450, ev > 50, im 50-100.<br />

La tossicità subacuta nel cane è (espressa in mg/kg/die): per<br />

os 60, im 10, ev 10, rettale 20.<br />

FARMACODINAMICA<br />

L’attività analgesica del Tramadolo si articola su due livelli:<br />

1. Azione diretta sui recettori per gli oppioidi: esplica la sua<br />

azione come agonista selettivo sui recettori µ, specifici del<br />

sistema di percezione del dolore; possiede inoltre affinità<br />

debole e priva di significato verso gli altri recettori per gli<br />

oppioidi. L’affinità verso i recettori µ è inferiore a quella<br />

della morfina. Il principale metabolita: l’O-demetil Tramadolo<br />

(M1) ha mostrato affinità e selettività ancora maggiore<br />

per i recettori µ ed una più potente azione farmacologica<br />

rispetto al composto d’origine, non sono a tuttoggi disponibili<br />

studi sulla reale efficacia di questo metabilita nel<br />

cane. Il Tramadolo si è dimostrato privo d’effetti antagonisti<br />

sui recettori oppioidi. Il suo effetto analgesico è antagonizzato<br />

dal pretrattamento con Nalorfina o Naloxone.<br />

2. Attività mediata dalla modulazione del sistema monoaminergico.<br />

Infatti, inibisce la ricaptazione di noradrenalina ed<br />

aumenta la concentrazione intrasinaptica di serotonina. Queste<br />

amine riducono l’eccitabilità nocicettiva dei recettori spinali.<br />

L’affinità di legame del Tramadolo ai recettori oppiodi è molto<br />

debole così come la capacità di inibire il re-uptake di noradrenalina<br />

e serotonina quando queste vengono confrontate alle<br />

molecole di riferimento; nessuno dei meccanismi è determi-


252 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

nante per la potenza del Tramadolo nel trattamento del dolore,<br />

ma in questa molecola sviluppano un’azione sinergica. Effetti<br />

sull’attività respiratoria: l’evento più frequente, in corso di terapia<br />

con farmaci agonisti dei recettori oppioidi, è la depressione<br />

respiratoria; questo è il limite dei farmaci stupefacenti nell’anestesia<br />

degli animali anziani, giovanissimi e della chirurgia<br />

toracica in genere. Il Tramadolo in medicina umana, sia nei<br />

soggetti sani sia anestetizzati per interventi chirurgici, ha<br />

mostrato di non influenzare in maniera significativa l’attività<br />

dei centri respiratori. La dose di 0.5 – 2 mg/kg ha determinato<br />

un incremento non significativo dell’end-tidal CO 2, comparabile<br />

a quello del placebo, a differenza della morfina, che provoca<br />

una significativa variazione di questo parametro. Effetti<br />

sui parametri cardiovascolari: in campo umano si osserva un<br />

lieve aumento della frequenza cardiaca (circa sette battiti/minuto)<br />

pochi minuti dopo la somministrazione del bolo endovenoso,<br />

ed un moderato effetto inotropo positivo, dose dipendente,<br />

sul miocardio. Negli studi effettuati da noi, nei nostri pazienti<br />

la frequenza cardiaca e la ETCO 2 non hanno subito variazioni<br />

significative durante tutto il decorso dell’anestesia. Effetti sulla<br />

muscolatura intestinale e biliari: il Tramadolo mostra scarsi<br />

effetti sulla motilità intestinale, evitando gli sgradevoli effetti<br />

dei farmaci che agiscono sui recettori oppioidi, che causano<br />

stipsi. Negli studi in oggetto, tutti gli animali ripristinavano una<br />

normale attività intestinale entro 24 ore dall’intervento. L’appetito<br />

ritornava quasi sempre normale, entro le 12 ore post<br />

intervento e solo in pochi casi è stato necessario sospendere il<br />

farmaco per la comparsa di vomito. Altri effetti: in medicina<br />

umana non si sono osservate reazioni anafilattiche al farmaco<br />

e/o aumento dei livelli plasmatici d’istamina. Non viene consigliato<br />

l’uso del tramadolo in pazienti epilettici, recenti studi<br />

hanno però dimostrato che il tramadolo non influisce sulla<br />

soglia epilettogena. Effetti sul risveglio: tutti gli animali trattati<br />

con il Tramadolo hanno mostrato un ottimo risveglio e la<br />

totale assenza di dolore. Anche toccando il sito della chirurgia<br />

non si sono osservate reazioni da parte dell’animale.<br />

FARMACOCINETICA<br />

Negli studi effettuati in medicina umana il Tramadolo ha<br />

mostrato un rapido assorbimento: 1.9 h per le compresse, 1.1 h<br />

per le gocce, ed una biodisponibilità del 68 – 72%. In seguito a<br />

somministrazioni ripetute la biodisponibilità aumenta al 98 –<br />

100%. Probabilmente ciò e dovuto alla saturazione delle vie<br />

metaboliche enzimatiche che determinano l’effetto del primo<br />

passaggio epatico. Nel caso della somministrazione intramuscolare,<br />

il raggiungimento del picco plasmatico, avviene dopo 45<br />

minuti ed è assorbito quasi completamente con una biodisponibilità<br />

del 99.8%. Questo farmaco ha una notevole rapidità di effetto:<br />

per via endovenosa circa 5-10’, per via intramuscolare 10-20’,<br />

per le formulazioni orali 20-30’. L’emivita nell’uomo è di 5.1 –<br />

5.9 ore, nel cane sembra sia più lunga. L’assunzione contemporanea<br />

di cibo non influisce sull’assorbimento del Tramadolo.<br />

DISTRIBUZIONE<br />

Il Tramadolo presenta un’elevata affinità per i tessuti, ed un<br />

modesto legame con le proteine plasmatiche (circa del 20%).<br />

Questo farmaco può oltrepassare la barriera placentare, e le<br />

concentrazioni nella vena ombelicale raggiungono quasi l’80%<br />

di quelle sistemiche. Nel latte materno si sono osservate quantità<br />

trascurabili del farmaco e del suo metabolita.<br />

METABOLISMO<br />

Il metabolismo del Tramadolo avviene nel fegato. Il farmaco<br />

viene N- ed O- demetilato e successivamente coniugato<br />

con l’acido glucuronico. Si conoscono 11 metaboliti del<br />

Tramadolo, ma un particolare rilievo viene dato al metabolita<br />

chiamato M1 (è quello ottenuto attraverso l’O-demetilazione),<br />

il quale possiede un’attività farmacologica maggiore<br />

allo stesso Tramadolo di 2-4 volte. Anche l’emivita dei<br />

metaboliti è simile a quella del composto d’origine. A tutt’oggi<br />

non è ancora chiarito se nel cane la formazione dei<br />

metaboliti sia simile a quanto avviene nell’uomo<br />

ELIMINAZIONE<br />

Il Tramadolo viene eliminato tramite il rene per il 90%; il<br />

restante 10% viene escreto con le feci. In campo umano è<br />

stato osservato un aumento dell’emivita del Tramadolo in<br />

pazienti con l’insufficienza renale e cirrosi epatica.<br />

INTERAZIONI CON FARMACI<br />

La Carbamazepina e gli inibitori della MAO causano un<br />

sensibile decremento dei livelli plasmatici del Tramadolo. Nel<br />

caso degli inibitori della MAO, studi effettuati su animali da<br />

laboratorio hanno mostrato che un uso simultaneo dei due farmaci<br />

può essere letale. La Cimetidina rallenta il metabolismo<br />

del Tramadolo; pertanto è consigliabile aumentare i dosaggi<br />

del Tramadolo quando si usa associato a questi farmaci. La<br />

Chinidina può aumentare i livelli plasmatici di Tramadolo.<br />

Per quanto riguarda Digossina e Cumadina, il Tramadolo ne<br />

aumenta l’efficacia, pertanto è necessario correggere il dosaggio.<br />

Sono state segnalate crisi epilettiformi soprattutto in<br />

pazienti che assumevano Inibitori del reuptake della serotonina,<br />

Antidepressivi Triciclici, Oppioidi, Inibitori della MAO e<br />

altri farmaci antiepilettici. È pertanto consigliato il non utilizzo<br />

del Tramadolo in pazienti epilettici o a rischio.<br />

EFFETTI COLLATERALI<br />

Vertigine, male di testa, sonnolenza, stimolazione del CNS,<br />

astenia, nausea, vomito, costipazione (in casi rari), rush<br />

cutanei, prurito, crisi epilettoidi. Non si sono osservate reazioni<br />

anafilattiche al Tramadolo, ma in caso di precedenti<br />

reazioni analoghe a codeina od oppioidi in generale, conviene<br />

usare molta cautela.<br />

ANTAGONISTI<br />

Il Naloxone, antagonizza parzialmente l’analgesia da Tramadolo.<br />

È necessario usare questo farmaco con cautela in quanto<br />

può causare crisi epilettiche, comunque facilmente eliminabili<br />

con barbiturici o benzodiazepine. Anche la yohimbina è in grado<br />

d’antagonizzare l’analgesia da Tramadolo. Lo studio è stato<br />

effettuato su ratti, utilizzando la somministrazione intratecale. Il<br />

Ritanserin antagonizza l’effetto del Tramadolo sulla serotonina.<br />

Bibliografia<br />

Reperibile presso l’autore<br />

Indirizzo per la corrispondenza:Nicola Ronchetti<br />

Clinica Veterinaria San Francesco, Castelnuovo Rangone (MO)<br />

Tel. 059536753 - E-mail: ronchettin@iol.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 253<br />

Diagnosi elettrocardiografica delle tachicardie<br />

sopraventricolari nel cane<br />

Roberto A. Santilli<br />

Med Vet, Dipl ECVIM -C.A. (Cardiology), Samarate, Varese<br />

Introduzione<br />

Le tachicardie sopraventricolari (TSV) includono un<br />

gruppo di aritmie ipercinetiche che nascono negli atri e/o<br />

richiedono l’atrio come parte del circuito di mantenimento.<br />

Nell’uomo sono stati proposti diversi modi per classificarle<br />

in base al meccanismo aritmogenetico, la sede del focolaio o<br />

del circuito responsabile. La classificazione più accredita è<br />

quella descritta nelle linee guida dell’ACC/AHA/ESC che<br />

prevede: 1) Tachicardie senoatriali; 2) Tachicardie reciprocanti<br />

nodali; 3) Tachicardie giunzionali focale e non parossistica;<br />

4) Tachicardie atrioventricolari reciprocanti; 5) Tachicardie<br />

atriali focali; 6) Tachicardie da macrorientro atriale. 1<br />

Questo tipo di classificazione è stato ottenuto attraverso l’utilizzo<br />

dello studio elettrofisiologico, analisi da considerare<br />

il “gold standard” nella diagnosi delle TSV. Con questa<br />

metodica nel cane sono state descritte soltanto tachicardie<br />

atriali focali e tachicardie atrioventricolari ortodromiche<br />

reciprocanti 2-7 che saranno quindi le uniche ad essere valutate<br />

in questa trattazione.<br />

La tachicardia atriale focale (TA) è caratterizzata da un’attivazione<br />

atriale regolare da aree atriali con diffusione centrifuga.<br />

Può essere sostenuta e non, nel primo caso può<br />

indurre tachicardiopatia. La tachicardia atrioventricolare<br />

ortodromica reciprocante (TAVR) è una tachicardia da<br />

macrorientro atrioventricolare che usa in senso anterogrado<br />

il normale sistema nodo atrioventricolare-His-Purkinje ed in<br />

senso retrogrado una via accessoria atrioventricolare. Questa<br />

tachicardia può essere accompagnata da conduzione anterograda<br />

durante il ritmo sinusale e segni elettrocardiografici di<br />

pre-eccitazione ventricolare, in altri casi la via accessoria<br />

conduce solo in senso retrogrado e quindi è detta occulta. La<br />

TAVR è causa spesso di tachicardiopatia, debolezza periodica<br />

o fenomeni sincopali 2-7 .<br />

In accordo con il meccanismo aritmogenico che la caratterizza,<br />

la TA ha solitamente alternanza della lunghezza di<br />

ciclo per la presenza di una dissociazione ventricolo-atriale,<br />

il rapporto RP/PR variabile in base alla conduzione atrioventricolare<br />

sebbene l’intervallo RP sia solitamente lungo,<br />

l’asse dell’onda P che cambia a seconda della sede del focolaio<br />

ectopico atriale. La TAVR presenta un circuito di rientro<br />

ben stabilito perciò possiede una netta regolarità di scarica<br />

facente fede ai tempi di refrattarietà anterogradi del nodo<br />

atrioventricolare e retrogradi della via anomala, tempi necessari<br />

per il suo mantenimento. L’onda P, quando visibile,<br />

essendo retrocondotta in modo eccentrico, presenta sempre,<br />

sul piano frontale, asse infero-superiore, con associazione<br />

atrioventricolare, requisito indispensabile per il suo mantenimento,<br />

l’intervallo RP è solitamente breve per la conduzione<br />

rapida retrograda lungo la via accessoria. Ultimo dato<br />

che spesso nell’uomo è associato alla TAVR è l’alternanza<br />

del QRS, dato che in alcuni lavori è invece relazionato più<br />

che al tipo di tachicardia alla sua frequenza di scarica. Una<br />

possibile spiegazione dell’alternanza del QRS è un minor<br />

grado di ritardo funzionale correlato alla frequenza di scarica<br />

a livello del sistema di conduzione o del ventricolo. È stato<br />

inoltre dimostrato che il periodo di refrattarietà relativo<br />

del sistema His- Purkinje oscilla battito-battito quando c’è<br />

un’improvvisa accelerazione della frequenza, probabilmente<br />

per un’alternanza della durata del potenziale d’azione causata<br />

da oscillazioni dell’intervallo diastolico. Infine altre cause<br />

di alterazioni d’ampiezza dell’onda R possono essere causate<br />

da cambi nel volume cardiaco, ischemia, cambi di contrattilità<br />

e dell’asse elettrico. 8-9<br />

Elettrocardiogramma di superficie<br />

È la metodica di primo impiego per lo studio delle aritmie<br />

sopraventricolari nel cane. Durante tachicardia, in assenza di<br />

aberranza sostenuta di conduzione, l’apparizione dei complessi<br />

QRS nelle 12 derivazioni 9 è del tutto sovrapponibile a<br />

quella dei normali battiti sinusali. Una caratteristica peculiare<br />

delle TSV è la presenza, all’elettrocardiogramma di<br />

superficie, di intervalli QRS stretti: nell’uomo < 120 ms. Da<br />

un nostro studio dove sono stati confrontati 17 tracciati elettrocardiografici<br />

di superficie di TSV con successiva conferma<br />

endocavitaria del tipo di tachicardia (7 TA o 10 TAVR),<br />

è risultato che la durata dell’intervallo QRS è sempre inferiore<br />

a 72 ms (62,94 + 8,44 ms); limite che può essere usato<br />

per definire un complesso a QRS stretto nel cane.<br />

Una volta stabilito che si tratti di una tachicardia a QRS<br />

stretti dal nostro studio è emerso che nel cane per differenziare<br />

una TA da una TAVR si possono usare diversi parametri:<br />

1) la frequenza di scarica atriale e ventricolare; 2) l’alternanza<br />

della lunghezza di ciclo battito-battito > 20 ms; 3) l’alternanza<br />

dell’ampiezza del complesso QRS battito-battino ><br />

1 mm; 4) la presenza di pre-eccitazione ventricolare manifesta;<br />

5) l’evidenza dell’onda P; con relazione atrioventricolare,<br />

l’intervallo RP e PR e l’asse sul piano frontale ed orizzontale<br />

dell’onda P; 6) depressione tratto ST o inversione dell’onda<br />

T durante tachicardia in confronto al ritmo sinusale.<br />

1) Sebbene la frequenza ventricolare a differenza di quanto<br />

succede nell’uomo è solitamente più alta nelle TA 278.57+


254 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

73.80 contro 258.08 + 44,86 nelle TAVR, il dato non risulta<br />

significativo (p 0,<strong>19</strong>) e questo parametro da solo non è<br />

risultato discriminante tra i due tipi di tachicardia. La frequenza<br />

atriale è identica nelle TAVR, requisito indispensabile<br />

per il mantenimento di un rientro atrioventricolare,<br />

mentre può essere diversa nelle TA vista la possibilità di<br />

blocchi atrioventricolari concomitanti o fenomeni di raffraddemanto<br />

e riscaldamento dell’automatismo del focolaio<br />

ectopico.<br />

2) Il 71,42% delle TA ha presentato un’alternanza della lunghezza<br />

di ciclo, mentre le TAVR solo nel 20% dei casi.<br />

Tale ritrovamento è risultato di notevole interesse nella<br />

differenziazione dei due tipi di tachicardia visto che molto<br />

spesso le TA essendo automatiche presentano delle<br />

variazioni intrinseche della frequenza di scarica e la conduzione<br />

atrioventricolare può variare da 1:1 per l’insorgenza<br />

di blocchi atrioventricolari di II°. L’alternanza della<br />

lunghezza di ciclo nelle TAVR, sebbene più rara, può<br />

essere causata da variazioni repentine della velocità di<br />

conduzione e dei periodi refrattari delle normali vie di<br />

conduzione e delle vie accessorie, l’insorgenza di blocchi<br />

di branca o dalla presenza di vie accessorie multiple<br />

con diversi circuiti atrioventricolari.<br />

3) L’alternanza battito-battito dell’ampiezza del complesso<br />

QRS in almeno una delle 12 derivate è risultata presente<br />

nell’80% delle TAVR e nel 28,57% delle TA. La presenza<br />

di questo parametro elettrocardiografico può essere<br />

utilizzata quindi nel diagnostico differenziale tra i due<br />

tipi di tachicardia.<br />

4) Dal nostro lavoro è emerso che solo 1/3 dei pazienti con<br />

TAVR presenta pre-eccitazione ventricolare durante ritmo<br />

sinusale. La conduzione anterograda lungo la via accessoria<br />

è spesso assente per un “mismatch” d’impedenza.<br />

Secondo questa teoria la via accessoria rappresenta uno<br />

stretto istmo muscolare che unisce una piccola massa<br />

atriale con una più grossa massa muscolare ventricolare. Il<br />

voltaggio presente in atrio non è quindi sufficiente a depolarizzare<br />

il ventricolo. 11 Il ritrovamento di pre-eccitazione<br />

ventricolare non depone comunque in assoluto per una<br />

TAVR visto che in corso di sindrome di Wolff-Parkinson-<br />

White diverse altre tachicardie possono essere implicate<br />

nella genesi dei parossismi (fibrillazione atriale, flutter,<br />

tachicardia nodale reciprocante, tachicardia atriale). Nel<br />

nostro campione il 14,28% dei casi di TA presentava<br />

durante ritmo sinusale pre-eccitazione ventricolare.<br />

5) L’evidenza dell’onda P durante tachicardie a QRS stretti<br />

risulta essere il punto cruciale nella diagnosi differenziale<br />

dei diversi tipi. L’onda P deve essere ricercata sia sul piano<br />

frontale che sul piano orizzontale ed in particolar modo da<br />

V4 a V6. L’assenza di onde P visibili in quest’ultime derivate<br />

depone a favore della tachicardia nodale reciprocante<br />

tipo slow-fast. In questo caso, infatti, la retroconduzione<br />

attraverso la via rapida intranodale è talmente veloce da<br />

essere concomitante al complesso QRS. Il ritrovamento<br />

dell’onda P nel tratto ST o sulle branche dell’onda T è facilitato<br />

dal confronto tra complesso QRS-T in ritmo sinusale<br />

ed in tachicardia. Dal nostro lavoro è emerso che nel 100%<br />

delle TAVR e nel 90% delle TA da questo confronto è possibile<br />

riconoscere l’onda P. Il passaggio successivo è la<br />

valutazione dell’asse sul piano frontale: supero-inferiore<br />

nel 71,42% delle TA e infero-superiore nel 90% delle<br />

TAVR. In caso di asse infero-superiore occorre valutare se<br />

l’attivazione atriale è concentrica o eccentrica. La prima è<br />

caratterizzata da onda P positiva in aVl e aVr con derivata<br />

I isodifasica; la seconda può essere eccentrica destra con<br />

DI positiva o eccentrica sinistra con DI negativa. Tutte le<br />

vie accessorie, ad eccezione delle vie anterosettali, sono<br />

disposte in modo eccentrico rispetto al nodo atrioventricolare.<br />

In tutte le TA, l’atrio è attivato in modo eccentrico,<br />

mentre nelle tachicardie nodali reciprocanti tipo slow-fast<br />

in modo concentrico. Nelle TAVR esistendo una normale<br />

associazione ventricolo atriale l’intervallo R-P’ è costante e<br />

solitamente breve (91,10 + 10,5 ms), mentre nelle TA è più<br />

lungo (157 + 34,6 ms) ed incostante (p 0,0010). Il rapporto<br />

RP/PR è generalmente più lungo nelle TAVR (0,6 +<br />

0,10) rispetto alle TA (1,25 + 0,56) (p 0,0016).<br />

6) La depressione del tratto ST durante le TSV sembra causato<br />

da un vero movimento di correnti durante la sistole<br />

per la presenza di differenze nel potenziale d’azione nelle<br />

differenti regioni del cuore. Altra causa di alterazione<br />

del tratto ST durante tachicardia può essere la deformazioni<br />

dello stesso da parte delle onde P retrocondotte. Il<br />

60% dei soggetti con TAVR hanno presentato questa<br />

alterazione. Nel cane le alterazioni di polarità dell’onda<br />

T non hanno presentato importanza clinica.<br />

Bibliografia<br />

1. Blomstrom-Lundqvist C., Scheinman MM, et al. ACC/AHA/ESC<br />

Guidelines for the management of patients with supraventricular<br />

arrhythmias. ACC/AHA/ESC Practice Guideline, 2003<br />

2. Atkins CE, Kanter R, Wright K, et al. Orthodromic reciprocating<br />

tachycardia and heart failure in a dog with a concealed postero-septal<br />

accessory pathway. J Vet Intern Med <strong>19</strong>95;9:43-9.<br />

3. Wright KN, Atkins CE, Kanter R.. Supraventricular tachycardia in<br />

four young dogs. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>96;208:75-9.<br />

4. Wright KN, Mehdirad AA, Giacobbe P et al. Radiofrequency catheter<br />

ablation of atrioventricular accessory pathways in 3 dogs with<br />

subsequent resolution of tachycardia-induced cardiomyopathy. J Vet<br />

Intern Med <strong>19</strong>99;13:361-71.<br />

5. Santilli RA, Bussadori C. Orthodromic incessant atrioventricular<br />

reciprocating tachycardia in a dog. J Vet Cardiol 2000;2:23-7.<br />

6. Santilli R.A., Spadacini G., Moretti P et al. Radiofrequency catheter<br />

ablation of concealed accessory pathways in two dogs with symptomatic<br />

atrioventricular reciprocating tachycardia. J Vet Cardiol (accepted).<br />

7. Sherlag BJ, Wang X, Nakagawa H, et al. Radiofrequency ablation of<br />

a concealed accessory pathway as treatment for incessant supraventricular<br />

tachycardia in a dog. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>93;203:1147-52.<br />

8. Green M, Heddle B, Dassen W et al. Value of QRS alternation in<br />

determining the site of origin of narrow QRS supraventricular tachycardia.<br />

Circulation, <strong>19</strong>83;68:368-373.<br />

9. Morady F, DiCarlo LA, Baerman JM et al. Determinants of QRS<br />

alternans during narrow QRS tachycardia. J Am Coll Cardiol<br />

<strong>19</strong>87;9:489-499.<br />

10. Kraus MS, Moise NS, Rishniw M, et al. Morphology of ventricular<br />

arrhythmias in the Boxer as measured by 12-lead electrocardiography<br />

with pace-mapping. J Vet Intern Med 2002;16:153-158.<br />

11. De La Fuente D, Sasyniuk B, Moe GK. Conduction through a narrow<br />

isthmus in isolated canine atrial tissue: a model of W-P-W syndrome.<br />

Circ <strong>19</strong>71;44:803-09.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Roberto A. Santilli - Clinica Veterinaria Malpensa<br />

Via Marconi, 27 - <strong>21</strong>017 Samarate, Varese - Italy<br />

Tel 0331 228155 - Fax 0331 220255<br />

E-mail: rasantil@tin.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 255<br />

La citologia come ausilio diagnostico<br />

nelle specie non convenzionali<br />

Cristina Schiano<br />

Med Vet, Roma<br />

INTRODUZIONE<br />

La valutazione citologica di un campione, proveniente sia<br />

dalle specie domestiche che dalle specie non convenzionali, si<br />

basa sullo studio morfologico delle cellule ed è sempre da<br />

considerare come un aiuto diagnostico ad altre procedure. La<br />

diagnosi definitiva si basa sull’interpretazione combinata della<br />

storia clinica, dell’esame fisico e sul risultato di altre indagini,<br />

quali la diagnostica per immagini (radiografia, ecografia,<br />

TC e RMN), l’endoscopia, la chirurgia, e l’istopatologia.<br />

I vantaggi della citologia risiedono nel fatto che è di facile<br />

applicazione nella pratica ambulatoriale, può fornire numerose<br />

informazioni e spesso anche la diagnosi; è una pratica semplice,<br />

sicura, rapida ed economica.<br />

Affinché la diagnosi sia attendibile sono necessarie una buona<br />

conoscenza della citologia e delle principali patologie dei<br />

mammiferi esotici (furetto, coniglio, piccoli roditori), degli<br />

uccelli e dei rettili. Ogni campione, per una corretta interpretazione,<br />

deve essere:<br />

- rappresentativo<br />

- di buona qualità<br />

- colorato in maniera idonea<br />

Le colorazioni utilizzate nella routine ambulatoriale sono<br />

le colorazioni di tipo Romanowsky (Giemsa, Wright..) che<br />

permettono una buona visualizzazione dei dettagli cellulari e<br />

delle cellule ematiche.<br />

Le tecniche di prelievo variano a seconda del tessuto:<br />

- agoinfissione o agoaspirazione (FNA fine needle aspiration)<br />

da tumefazioni solide, cistiche, organi interni, raccolte<br />

cavitarie<br />

- impronta da lesioni ulcerate, da biopsie di organi o di<br />

masse<br />

- raschiato da lesioni cutanee, da biopsie di masse o di<br />

organi cavi<br />

- squash technique da biopsie endoscopiche<br />

La citologia ci fornisce tre principali categorie interpretative:<br />

1) infiammazione<br />

2) neoplasia<br />

3) non diagnostico<br />

Infiammazione: è caratterizzata da un aumento delle<br />

cellule infiammatorie, quali i granulociti neutrofili od eterofili<br />

(uccelli e conigli), granulociti eosinofili, linfociti,<br />

plasmacellule e macrofagi. La flogosi acuta è caratterizzata<br />

dalla prevalenza dei neutrofili od eterofili, la forma subacuta<br />

(o attiva cronica) da una popolazione cellulare mista<br />

ed infine nella forma cronica predominano i macrofagi. Le<br />

caratteristiche della flogosi sono diretta conseguenza del-<br />

l’agente eziologico; i possibili segni di degenerazione<br />

(cariolisi, carioressi, picnosi nucleare, vacuolizzazione del<br />

citoplasma nei neutrofili o perdita dei granuli citoplasmatici<br />

negli eterofili) e di attivazione delle cellule infiammatorie<br />

(cellule giganti multinucleate) possono fornire ulteriori<br />

informazioni dirette od indirette.<br />

Neoplasia: forme benigne, caratterizzate dalla presenza di<br />

cellule simili al tessuto di origine, spesso risultato di una<br />

risposta proliferativa in seguito ad insulto cronico della cellula<br />

oppure in seguito a stimoli ormonali.<br />

Le forme maligne derivano da una proliferazione di cellule<br />

che esprimono numerosi caratteri di atipia (aumentato<br />

rapporto nucleo/citoplasma, aniso-macrocitosi, anisomacrocariosi,<br />

pleomorfismo nucleare, cromatina irregolare,<br />

nucleoli multipli, dismetrici ed angolari) oppure cellule differenti<br />

rispetto al tessuto di origine (metastasi).<br />

In base alla morfologia delle cellule possiamo distinguere<br />

neoplasie di origine:<br />

- epiteliale: campione ad elevata cellularità, cellule da tonde<br />

a poligonali, presenza di aggregati o clusters di aspetto<br />

papillare, ghiandolare…<br />

- mesenchimale: campione a cellularità moderata o scarsa,<br />

cellule fusate, stellate o tondeggianti, spesso presente<br />

matrice extracellulare<br />

- a cellule rotonde: campione a buona-elevata cellularità,<br />

cellule tondeggianti con margini citoplasmatici ben definiti<br />

(linfoma, plasmocitoma, mastocitoma).<br />

Non diagnostico: alcune neoplasie mesenchimali tendono<br />

a non cedere cellule, alcuni campioni sono diluiti con<br />

sangue periferico, necrosi..<br />

UCCELLI<br />

I volatili sono pazienti più difficili dei mammiferi, spesso<br />

per le dimensioni ridotte e per le difficoltà di contenzione.<br />

La citologia viene utilizzata per valutare tumefazioni<br />

della cute, del sottocute, lesioni cistiche, materiale contenuto<br />

nel gozzo e nella cloaca, scoli nasali, congiuntivali e<br />

versamenti cavitari.<br />

Inoltre, durante la necroscopia si possono raccogliere<br />

campioni per impronta da polmoni, milza e fegato e raschiati<br />

di stomaco, intestino e cloaca per evidenziare batteri, spore,<br />

protozoi, ife fungine, lieviti, cellule infiammatorie, ecc.<br />

Se si sospettano particolari organismi patogeni è necessario<br />

l’utilizzo di colorazioni specifiche (Gram per i batteri,<br />

Ziehl-Nielsen per Mycobacterium spp., ecc.).


256 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Congiuntiva e cornea<br />

Per ottenere raschiati dalla cornea o dalla congiuntiva i<br />

campioni sono prelevati con tamponi sterili, con cytobrush<br />

oppure con il dorso di una lama da bisturi. Normalmente<br />

sono presenti poche cellule epiteliali squamose non cheratinizzate,<br />

contenenti spesso granuli di pigmento bruno-nerastro<br />

e scarsi batteri extracellulari. Nelle forme infiammatorie<br />

si riscontrano eterofili, linfociti, plasmacellule, macrofagi e<br />

detrito amorfo; talvolta sono presenti batteri fagocitati, ife<br />

fungine o corpi inclusi da Chlamydia o Mycoplasma nelle<br />

cellule epiteliali o nei macrofagi.<br />

Cute e sottocute<br />

La cute è costituita da epitelio squamoso cheratinizzato<br />

stratificato, come nei mammiferi; la sola differenza è data<br />

dalla presenza delle piume.<br />

Le cisti delle piume sono simili alle cisti cheratiniche dei<br />

mammiferi con detrito amorfo, squame cornee e cristalli di<br />

colesterolo. Le cisti acute, invece, sono estremamente vascolarizzate<br />

e si possono ritrovare esclusivamente globuli rossi. Queste<br />

lesioni sono spesso accompagnate da flogosi eterofilica.<br />

La xantomatosi cutanea è caratterizzata da macrofagi di<br />

aspetto schiumoso, cellule giganti multinucleate e cristalli di<br />

colesterolo, spesso associata ad emorragia cutanea e necrosi<br />

dell’epitelio. I lipomi sono frequenti sulle ali dei parrocchetti<br />

ondulati e caratterizzati dalla presenza di adipociti.<br />

Negli ematomi si riscontrano numerosi globuli rossi<br />

nucleati; i sieromi sono raccolte liquide scarsamente cellulari.<br />

Riportati anche neoplasie, quali linfoma, adenoma ed adenocarcinoma.<br />

Versamenti<br />

L’accumulo di liquido si può verificare in addome (ascite,<br />

peritonite, emoperitoneo), isolatamente nei sacchi aerei o<br />

nelle cavità articolari. Sono riportate peritoniti settiche, peritoniti<br />

da rottura dell’uovo in cui si evidenzia un elevato contenuto<br />

in proteine, fondo basofilo, presenza di gocce di diverse<br />

dimensioni omogeneamente basofile. Se la causa del versamento<br />

è di natura tumorale è possibile ritrovare cellule neoplastiche<br />

soprattutto se di origine epiteliale.<br />

La tumefazione delle articolazioni può dipendere da<br />

artriti settiche in cui si repertano numerosi eterofili e batteri;<br />

nelle forme traumatiche e croniche prevalgono macrofagi<br />

ed eritrofagocitosi; nella gotta sono presenti cellule<br />

infiammatorie e cristalli birifrangenti di urati.<br />

Tratto respiratorio<br />

Il prelievo dai seni è indicato ogni volta che un paziente<br />

manifesta sinusite. Negli psittacidi le due cavità sono comunicanti,<br />

mentre non lo sono nelle altre specie, per cui è consigliabile<br />

un doppio prelievo. La sinusite si caratterizza per<br />

un numero variabile di cellule infiammatorie, talvolta si evidenzia<br />

l’agente eziologico.<br />

Con l’anestesia è possibile prelevare campioni dalla trachea,<br />

in cui il riscontro di eterofili e macrofagi sono sufficienti<br />

per fare diagnosi di tracheobronchite, anche negli animali<br />

asintomatici. I prelievi dai sacchi aerei si ottengono con<br />

tecniche di endoscopia laparoscopica. I campioni sono analizzati<br />

per evidenziare batteri, funghi, parassiti..<br />

Organi interni<br />

POLMONE: alla necroscopia i campioni sono preparati<br />

per impronta e si riscontrano emazie, cellule epiteliali colonnari,<br />

cellule cigliate, fibre muscolari striate, occasionali<br />

macrofagi e linfociti. La diagnosi di polmonite si basa sulla<br />

presenza di cellule infiammatorie ed agenti eziologici; di<br />

frequente riscontro parassiti ematici extra- od intracellulari.<br />

MILZA: è un organo emopoietico e contiene tessuto linfoide;<br />

si valuta per infezioni batteriche, parassiti ematici e<br />

inclusi da Chlamydia.<br />

FEGATO: i campioni si ottengono per FNA o per impronta;<br />

è contenuto anche tessuto linfoide. Si valuta infiammazione,<br />

degenerazione, infezione o neoplasia.<br />

MAMMIFERI ESOTICI<br />

Vengono riportate solo alcune delle principali differenze<br />

rispetto ai mammiferi domestici.<br />

Tumori del sistema endocrino<br />

Le neoplasie del pancreas endocrino (insulinoma o tumore<br />

delle cellule beta del pancreas) ed i tumori della ghiandola<br />

surrenale (adenoma, adenocarcinoma) sono estremamente<br />

frequenti nei furetti di media età e molto spesso si possono<br />

riscontrare insieme nel medesimo soggetto, esitando in una<br />

serie di segni clinici evidenti ed indipendenti l’uno dall’altro;<br />

spesso è associata anche splenomegalia secondaria ad<br />

ematopoiesi extramidollare.<br />

I feocromocitomi sono raramente riportati.<br />

Sistema linfatico<br />

Oltre alle forme di iperplasia reattiva e di linfadenite, del<br />

tutto simili a cane e gatto, sono riportate forme di linfoma in<br />

tutte le specie.<br />

Nel furetto si riconoscono:<br />

- L. linfocitico: tipico dell’adulto<br />

- L. linfoblastico: tipico del giovane<br />

- L. immunoblastico polimorfo: tutte le età<br />

- L. cutaneo epiteliotropo o micosi fungoide<br />

Splenomegalia: è una condizione di frequente riscontro<br />

nel furetto e le causa più comune è l’ematopoiesi extramidollare,<br />

forse secondaria a stimoli immunitari cronici o<br />

rappresenta un sistema di compensazione ad una insufficiente<br />

produzione di precursori eritroidi da parte del midollo<br />

osseo. Si consiglia di eseguire sempre una biopsia FNA per<br />

differenziare il linfoma od altre neoplasie.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 257<br />

Nel coniglio si riconoscono:<br />

- L. multicentrico<br />

- L. cutaneo epiteliotropo e non epiteliotropo<br />

- L. timico/timoma<br />

- Leucemia<br />

Durante la relazione verranno esposti dei casi clinici in<br />

cui saranno affrontati alcuni degli aspetti più rappresentativi<br />

della citologia in queste specie.<br />

CONCLUSIONI<br />

Tutte le conoscenze di citologia nelle specie domestiche<br />

possono essere applicate ai “pets” non convenzionali; esistono<br />

alcune differenze morfologiche delle cellule. Il crescente<br />

interesse e il miglioramento delle conoscenze clinico-patologiche<br />

di questi animali ci permette l’applicazione di tutti i<br />

mezzi diagnostici che si utilizzano già da tempo nei cani e<br />

nei gatti, ed in particolare della citologia in quanto è rapida,<br />

sicura e può fornire la diagnosi.<br />

Bibliografia<br />

Quesenberry KE, Carpenter JW, (), Ferrets, rabbits and rodents clinical<br />

Medicine and Surgery, 2nd ed., Saunders, St.Louis, 91-106.<br />

Thrall MA et al., (2004), Veterinary haematology and clinical chemistry,<br />

Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore, <strong>21</strong>1-276.<br />

AltmanRB et al., (<strong>19</strong>97), Avian Medecine and Surgery, WB Saunders Company,<br />

Philadelphia <strong>21</strong>1-222.<br />

Campbell TW, (Ottobre 2000), Diagnosi citologica comparata negli uccelli<br />

e nei mammiferi, Parte I, Supplemento a Veterinaria Anno 14, n.2;<br />

87-91.<br />

Campbell TW, (Dicembre 2000), Diagnosi citologica comparata negli<br />

uccelli e nei mammiferi, Parte II, Supplemento a Veterinaria Anno 14,<br />

n.2; 87-90.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Cristina Schiano<br />

Veterinaria Caffarella<br />

Via A. Crivellucci 36, 00179 Roma<br />

Tel. 06/789732-06/7840355<br />

E-mail: cristinaschiano@tiscali.it


258 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Tecniche endoscopiche e non endoscopiche di raccolta<br />

dei campioni nella citologia ed istologia dei rettili<br />

Paolo Selleri<br />

Med Vet, PhD, Roma<br />

In fondo è solo da soli tre decenni che i rettili ricevono dal<br />

mondo veterinario l’attenzione scientifica che meritano. È forse<br />

per questo motivo che ad oggi sono molti gli aspetti della<br />

medicina dei rettili che continuano a risultare di difficile interpretazione.<br />

In questi ultimi anni abbiamo potuto apprezzare con<br />

quanta velocità siano migliorate le tecniche diagnostiche e terapeutiche<br />

applicate alla medicina di questi animali. Spesso i<br />

risultati delle analisi del sangue non offrono risultati tali da rasserenare<br />

il medico nella completa comprensione del processo<br />

patologico. L’aumento dell’impiego di strumenti diagnostici<br />

non invasivi o minimamente invasivi che consentono di visualizzare<br />

o avvicinarsi a punti specifici di organi per poter raccogliere<br />

cellule o campioni di tessuto sufficientemente grandi da<br />

poter essere sottoposti ad esame istologico ha profondamente<br />

migliorato la qualità del servizio offerto al paziente rettile.<br />

Attraverso gli esami citologici e istologici e l’aiuto di patologi<br />

preparati riusciamo a dare un nome a condizioni morbose che<br />

altrimenti fino a poco tempo fa risultavano incomprensibili. La<br />

diagnostica per immagini è nella medicina dei rettili la svolta<br />

per la vecchia (obsoleta) e la nuova medicina. Per completare il<br />

quadro diagnostico il medico deve sempre cercare di affiancare<br />

a questi esami anche un esame batteriologico e micologico ed<br />

eventuali antibiogramma e micogramma. Tutte le tecniche che<br />

vengono descritte che possono potenzialmente provocare dolore<br />

all’animale devono essere applicate sotto anestesia e dopo<br />

somministrazione di analgesici ai dosaggi indicati. Attraverso<br />

l’impiego di fotografie e video questa presentazione vuole offrire<br />

al pubblico un’idea molto pratica di come deve essere eseguita<br />

la raccolta dei campioni da sottoporre ad esame citologico<br />

o istologico. Le dimensioni dei rettili che possiamo incontrare<br />

sono molto variabili, per questo motivo non ci sono indicazioni<br />

rigide per le dimensioni di un endoscopio flessible. Un<br />

diametro ridotto ci permette di raggiungere tratti profondi dell’apparato<br />

respiratorio mentre una lunghezza notevole anche se<br />

a discapito di un diametro sottile ci permette di raggiungere lo<br />

stomaco di un grosso boide. Riguardo l’endoscopia rigida lo<br />

strumento consigliato per la sua applicazione a così tante situazioni<br />

deve essere lungo 18 cm, avere un angolo di visione di 30°<br />

e un diametro di 2.7 mm senza la camicia operatoria.<br />

Cute<br />

La cute e annessi cutanei dei rettili sono spesso affetti da<br />

processi patologici. Esami microscopici della cute o della muta<br />

possono essere un utile strumento diagnostico nella corretta<br />

interpretazione della malattia. A seconda del tipo di lesione<br />

possiamo usare differenti tecniche di raccolta. Il raschiato cutaneo<br />

non è molto usato nei rettili ma può essere impiegato per<br />

esaminare lesioni da funghi o nelle acariasi. La lama di un<br />

bisturi di misura più o meno grande a seconda delle dimensioni<br />

dell’animale viene posta a contatto con la pelle e spostata in<br />

senso trasversale alla sua lunghezza cercando di grattare materiale<br />

cellulare da sottoporre ad esame citologico.<br />

Lo scotch-test si utilizza per identificare parassiti della<br />

cute come Ophionissus natricis, Hirstiella trombidiformis.<br />

Alcuni stadi larvali di Cestodi (Spirometra, Diphillobotriidae,<br />

ecc) possono determinare in serpenti e sauri la comparsa<br />

di tumefazioni che richiedono un’incisione della cute<br />

con un bisturi per fare la diagnosi. Questi parassiti non sono<br />

quasi mai pericolosi per il rettile che solitamente non è ospite<br />

definitivo ma solo ospite intermedio. È comunque consigliato<br />

evitare di lasciare che il parassita rimanga nel sottocute<br />

del rettile, morendo può comunque determinare forme<br />

infiammatorie che possono generare ascessi.<br />

Midollo osseo<br />

Affiancare all’esame ematologico un esame del midollo<br />

può essere di notevole utilità. I siti per il prelievo del midollo<br />

cambiano in base alla specie e alle dimensioni del soggetto<br />

in esame. Nei serpenti il midollo osseo si ottiene asportando<br />

una costa. Per l’esame citologico la costa viene tagliata<br />

a metà in senso longitudinale e il midollo viene raccolto<br />

senza traumatizzare le cellule. Volendo richiedere un esame<br />

istologico la costa tagliata a metà può venir immersa in formalina.<br />

Nelle tartarughe, il midollo può essere prelevato con<br />

il metodo presentato dal collega Dr Leonardo Brunetti di<br />

Pistoia. Dopo aver praticato un foro con un trapano chirurgico<br />

sullo strato corneo degli scuti più craniali del piastrone,<br />

un ago da biopsia con mandrino viene inserito attraverso<br />

l’osso compatto. Superati i pochi millimetri di strato compatto<br />

si toglie il mandrino ed è possibile aspirare il midollo<br />

osseo. La cavità midollare della tibia può essere impiegata in<br />

sauri, coccodrilli e cheloni. Un ago spinale viene inserito in<br />

direzione prossimodistale dalla cresta tibiale.<br />

Milza<br />

La milza è coinvolta nei processi emopoietici e linfopoietici,<br />

la sua valutazione istologica può essere indicata<br />

nell’interpretazione del suo ruolo nell’emopoiesi e nella linfopoiesi.<br />

Agoaspirati e biopsie della milza possono essere<br />

eseguiti attraverso la celiotomia o per via endoscopica. Nei<br />

sauri l’endoscopia si esegue accedendo al celoma ponendo<br />

l’animale in decubito laterale sinistro ed inserendo l’endoscopio<br />

dal lato destro.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 259<br />

Respiratorio<br />

Una gestione incorretta del terrario rende i rettili particolarmente<br />

esposti alle malattie respiratorie. Temperature troppo<br />

lontane da quelle ideali per la specie, una ventilazione<br />

insufficiente e un’alimentazione inappropriata favoriscono<br />

la comparsa di sindromi respiratorie gravi. I rettili non possedendo<br />

un diaframma non sono in grado di tossire e quindi<br />

non possono espellere meccanicamente il muco che si forma<br />

in corso di processi flogistici. Il lavaggio bronchiale, tracheale<br />

o polmonare è una procedura fondamentale in corso<br />

di malattia respiratoria sia a fini diagnostici che terapeutici.<br />

L’instillazione di soluzione salina sterile riscaldata favorisce<br />

la rimozione del muco aiutando l’animale a respirare meglio.<br />

Per eseguire un lavaggio delle vie aeree superiori una<br />

quantità di liquido pari al 1% del peso dell’animale viene<br />

instillata attraverso un catetere sterile nella trachea degli ofidi<br />

oppure nei bronchi del lato interessato in cheloni o sauri.<br />

Negli ofidi non pericolosi questa procedura può essere eseguita<br />

senza anestesia, in sauri e cheloni è consigliata una leggera<br />

sedazione. Il liquido viene subito recuperato e sottoposto<br />

ad esame citologico e batteriologico. Oltre alle cause<br />

infettive quali batteri e funghi, l’esame del liquido può aiutarci<br />

a diagnosticare cellule neoplastiche o parassitarie che<br />

troppo spesso non vengono prese in considerazione nella<br />

diagnostica differenziale. Mentre negli ofidi sarà sufficiente<br />

inserire un catetere in trachea in tartarughe e lucertole dovremo<br />

indirizzare il catetere verso il polmone interessato. Per<br />

raggiungere l’organo possiamo inserire uno stiletto metallico<br />

all’interno del catetere e controllare radiograficamente di<br />

aver raggiunto il polmone che ci interessa.<br />

Anche in corso di problemi respiratori l’endoscopia si<br />

rivela un ausilio diagnostico fondamentale. Il tratto più craniale<br />

dell’apparato respiratorio può essere esaminato con un<br />

endoscopio flessibile dal diametro ridotto. Oltre all’esame<br />

endoscopico del tratto craniale dell’apparato respiratorio<br />

può essere particolarmente utile esaminare la porzione più<br />

caudale del polmone. Nei serpenti la cute viene incisa al<br />

50% della lunghezza dell’animale per circa 2 cm e viene<br />

eseguita una celiotomia per visualizzare la fine della porzione<br />

vascolarizzata del polmone. La parete polmonare viene<br />

incisa per 2 mm e l’endoscopio rigido viene inserito in cavità<br />

polmonare. I vantaggi di questa procedura sono quelli di<br />

poter raccogliere con una pinza da biopsia dei campioni da<br />

sottoporre ad esame citologico, istologico e colturale. Con<br />

l’endoscopia la diagnosi finale sarà molto più accurata.<br />

Anche la diagnostica differenziale dell’apparato gastroenterico<br />

viene aiutata da esami citologici o istologici.<br />

Gastroenterico<br />

Il lavaggio della cloaca e del tratto terminale del colon è<br />

una procedura piuttosto semplice che si esegue comunemente<br />

per diagnosticare infestioni parassitarie. Un catetere con punta<br />

smussa viene inserito in cloaca in direzione craniale e una<br />

piccola quantità di soluzione salina riscaldata viene instillata<br />

ed immediatamente raccolta ed esaminata al microscopio. Nei<br />

serpenti è molto importante eseguire l’esame a fresco del<br />

liquido di lavaggio cloacale perché spessissimo protozoi flagellati<br />

possono causare forme gastroenteriche gravi. I flagellati<br />

vengono spesso non identificati all’esame delle feci per<br />

flottazione. Una volta raccolto il materiale per le finalità diagnostiche<br />

è buona abitudine lavare abbondantemente la cloaca<br />

al fine di favorire la rimozione di eventuali fecalomi e<br />

migliorare l’idratazione dell’animale. L’esame endoscopico<br />

della cloaca viene eseguito con un endoscopio rigido che viene<br />

inserito attraverso l’apertura cloacale in direzione cranio<br />

caudale. Per migliorare la visione una soluzione salina riscaldata<br />

viene instillata attraverso il canale di lavoro dell’endoscopio.<br />

I vantaggi dell’endoscopia sono evidenti in quanto ci<br />

consentono di valutare lo stato di salute della mucosa di intestino<br />

e cloaca che in specie arboricole quali Morelia può frequentemente<br />

andare incontro a necrosi, ci consente inoltre di<br />

raccogliere campioni di tessuto da eventuali neoformazioni.<br />

Anche lo stomaco può essere esaminato attraverso un<br />

lavaggio della sua parete interna. Frequentemente in questo<br />

modo riusciamo a diagnosticare parassitosi, infezioni batteriche<br />

gravi o infezioni micotiche. La criptosporidiosi è spesso<br />

responsabile di gravi forme di vomito negli ofidi. Oltre<br />

all’esame del liquido di lavaggio della parete dello stomaco<br />

la diagnosi si raggiunge con maggiori probabilità attraverso<br />

l’esame istologico del tessuto raccolto per via endoscopica.<br />

Fegato<br />

Valutare la funzionalità epatica dei rettili solamente attraverso<br />

le analisi del sangue è spesso frustrante perché non<br />

sempre i risultati degli esami biochimici sono esplicativi<br />

anche quando la patologia è già in uno stato avanzato.<br />

L’esame istologico del fegato ci offre invece notevoli chiarimenti.<br />

La biopsia epatica può essere eseguita in celiotomia,<br />

per via ecografica o per via endoscopica. Per l’ecografia di<br />

rettili piccoli sono necessari strumenti di buona qualità. Per<br />

l’esame ecografico delle tartarughe invece sono necessarie<br />

sonde sufficientemente piccole da poter inserire nella cavità<br />

prefemorale. L’esame ecografico a differenza dell’endoscopia<br />

consente di esaminare l’organo nel suo spessore e consente<br />

di visualizzare anche lesioni intraparenchimatose.<br />

Attraverso la via endoscopica si riesce a valutare un tratto<br />

maggiore dell’organo praticando un’incisione molto piccola.<br />

Biopsia renale<br />

Come già detto trattando il fegato gli esami del sangue non<br />

sempre riescono a farci capire completamente cosa stia accadendo.<br />

La biopsia renale è spesso l’unico strumento per completare<br />

la diagnosi di malattia renale. Inserendo l’endoscopio nell’ultimo<br />

quarto della cavità celomatica di un serpente possiamo facilmente<br />

raggiungere il rene. In cheloni si inserisce l’endoscopio in<br />

cavità celomatica incidendo la cute della fossa prefemorale. Nei<br />

sauri la cute è incisa cranialmente alle ossa iliache del bacino al<br />

di sotto dei processi traversi delle vertebre lombari.<br />

Tonsille esofagee<br />

In medicina dei serpenti è molto utile è l’endoscopia dell’esofago<br />

per la raccolta delle tonsille esofagee. L’esame<br />

istologico delle tonsille esofagee può rivelare la presenza di<br />

cellule con corpi inclusi. La diagnosi può ottenersi anche<br />

con la biopsia di altri organi ma quella delle tonsille esofagee<br />

è sicuramente meno invasiva.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Paolo Selleri - E-mail: pseller@tin.it


260 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La comunicazione con il proprietario ovvero la gestione<br />

del colloquio nella medicina comportamentale<br />

Corrado Sgarbi<br />

Med Vet, Torino<br />

Normalmente quando si pensa alle difficoltà che si incontreranno<br />

nella visita, viene in mente di tutto salvo le complicazioni<br />

che potremmo incontrare durante il colloquio che<br />

avremo con il proprietario dell’animale. Probabilmente questo<br />

è dovuto al fatto che, mentre tutte le fasi della visita, della diagnosi,<br />

terapia e prognosi sono state studiate nei molteplici<br />

esami dei trascorsi universitari, il come gestire la comunicazione<br />

e il come rendere fruttuoso un colloquio clinico sono<br />

argomenti non trattati e dati troppo spesso per scontati. Credo<br />

che in ogni attività medica, invece, la comunicazione con i<br />

proprietari rivesta un ruolo considerevole e, nello specifico<br />

della medicina comportamentale, l’importanza è prioritaria:<br />

senza un buon dialogo non si affronta nessun problema.<br />

Il colloquio clinico non è il mero rendersi conto della<br />

situazione o il racconto di quello che è successo ma è un<br />

vero e proprio atto medico dato che racchiude in se almeno<br />

due passaggi fondamentali di ogni visita; la raccolta della<br />

semiologia e l’esame obiettivo sistemico.<br />

Una parte di notevole importanza è la ‘cornice’ in cui si<br />

svolge il colloquio e a questa dobbiamo riservare una particolare<br />

attenzione. Nessuno parla di cose importanti (e il<br />

comportamento del proprio pet lo è sicuramente) in luoghi<br />

caotici o disturbanti. La stanza deve avere una porta che si<br />

chiude e che lasci il resto del mondo fuori dai discorsi che<br />

verranno fatti e tutto l’ambiente deve infondere un senso di<br />

rassicurazione e di incoraggiamento. L’arredamento è per<br />

noi quello che la sala operatoria è per il chirurgo.<br />

Il colloquio può svilupparsi seguendo diverse possibilità.<br />

Può essere caotico, disordinato, improvvisato e libero da<br />

ogni struttura o può essere gestito in modo rigido seguendo<br />

una traccia fissa come una sorta di interrogatorio per ritrovare<br />

poi tutte le parti utili. Chiaramente tutte e due queste<br />

modalità presentano innegabili punti critici e quindi la cosa<br />

più utile è quella di svolgere un colloquio condotto e strutturato<br />

seguendo alcune linee guida senza essere eccessivamente<br />

intransigenti nelle varianti minori.. Il colloquio guidato<br />

deve sviluppare nell’ordine tutti i seguenti punti<br />

1) capire cioè concentrarsi sui bisogni dell’interlocutore e<br />

non sulle prorpie idee<br />

2) pianificare insieme al padrone gli obiettivi che ci si prefigge<br />

ed il tempo da impiegare<br />

3) ascoltare scacciando i preconcetti che ci vengono sulla<br />

persona che parla e gestire le domande<br />

4) chiudere perché ogni cosa deve finire e si deve raggiungere<br />

un accordo<br />

5) analisi dopo l’incontro per preparare il sucessivo<br />

Una tecnica particolare da utilizzare nei colloqui clinici<br />

è l’uso del nostro silenzio. Troppo spesso siamo portati a<br />

riempire il vuoto sonoro che si crea dopo l’iniziale risposta<br />

del padrone ad una nostra domanda con delle nostre dissertazioni<br />

sull’argomento ma dobbiamo ricordarci che se<br />

non diamo il tempo all’interlocutore di cercare le risposte<br />

nel suo profondo ci darà sempre le risposte ovvie e preconfezionate<br />

che non ci aiuteranno a capire i reali bisogni.<br />

Le domande che svolgiamo saranno, a seconda del momento<br />

e dello scopo, domande aperte, cioè cercare informazioni,<br />

o domande chiuse, quelle che cercano conferme. Le<br />

domande aperte sono quelle che cominciano con come –<br />

dove – cosa – quando ecc mentre quelle chiuse, che servono<br />

anche ad indirizzare una conversazione, sono necessariamente<br />

risolvibili solo con un si o un no. I traguardi da<br />

raggiungere che dobbiamo concordare con il cliente devono<br />

avere delle particolarità specifiche per poter essere usati<br />

appieno.Un obiettivo deve necessariamente essere: specifico,<br />

misurabile, realistico, realmente condiviso e con un<br />

tempo stabilito come durata dell’azione. Durante il dialogo<br />

dovremo anche tenere in considerazione gli aspetti posturali<br />

nostri e dell’interlocutore e quelli inerenti alla prossemica<br />

in generale. In sintesi il nostro colloquio servirà a<br />

delimitare le mappe delle nostre conoscenze, avere tutte le<br />

informazioni necessarie, formulare le ipotesi diagnostiche,<br />

proporre una strategia, svolgere una parte di terapia e, cosa<br />

di non minore importanza, costruire una alleanza terapeutica<br />

con il cliente che duri nel tempo.<br />

Letture consigliate<br />

Lai. G: Le parole del primo colloquio. Boringhieri Torino <strong>19</strong>80.<br />

Watzlawick, P: Il linguaggio del cambiamento. Feltrinelli Milano <strong>19</strong>80.<br />

Semi, A: Tecnica del colloquio. Cortina Milano <strong>19</strong>85.<br />

Molcho, S: I linguaggi del corpo. Lyra Como <strong>19</strong>97.<br />

Majello, C: L’arte di comunicare. Franco Angeli Milano <strong>19</strong>93.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 261<br />

I diversi tipi di shock<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Lo “shock” è uno stato di grave alterazione emodinamica<br />

e metabolica caratterizzato da diminuzione della perfusione<br />

tissutale, compromissione dell’apporto di ossigeno ed inadeguata<br />

produzione cellulare di energia. Quando la cellula non<br />

è in grado di generare adeguati apporti energetici, le cellule<br />

stesse, gli organi ed il paziente non svolgono correttamente<br />

le proprie funzioni e infine diventano insufficienti. Ciò si<br />

manifesta clinicamente sotto forma di insufficienza organica<br />

multipla, che costituisce il punto terminale dello shock non<br />

trattato e, talvolta, anche di quello trattato.<br />

La presentazione clinica classica di un animale in stato di<br />

shock è caratterizzata da pallore delle mucose, rallentamento<br />

del tempo di riempimento capillare, tachicardia o bradicardia<br />

(felini), scadente qualità del polso ed ottundimento<br />

del sensorio. Tuttavia, esistono forme vasodilatatorie e cellulari<br />

dello shock che possono non mostrare questi segni<br />

classici. Indipendentemente dalla causa della condizione, le<br />

cellule sono costrette ad andare incontro alla glicolisi anaerobia<br />

quando l’apporto di ossigeno o la funzione mitocondriale<br />

sono alterati, con conseguente produzione di acido lattico.<br />

Verranno illustrate quattro categorie dello shock: cardiogeno,<br />

distributivo, ipossico e metabolico.<br />

Lo shock cardiogeno esita tipicamente in stati caratterizzati<br />

da basso flusso anterogrado a causa di problemi riferibili<br />

al cuore. La cattiva gittata cardiaca deriva dalla scarsa contrattilità<br />

del miocardio o dal basso precarico. Le cause<br />

potenziali di shock cardiogeno comprendono la miocardiopatia<br />

dilatativa che porta a scarsa contrattilità, le tossine o i<br />

farmaci che causano il danno muscolare o la depressione, la<br />

miocardiopatia ipertrofica che esita in un cattivo precarico,<br />

le malattie ostruttive come la stenosi, il rigurgito del postcarico<br />

come si osserva nelle valvulopatie, il tamponamento<br />

pericardico o la fibrosi pericardica che esitano in un basso<br />

precarico o le gravi aritmie che causano un precarico scadente<br />

ed una contrattilità inefficiente.<br />

Il trattamento dello shock cardiogeno spesso dipende dal<br />

processo patologico sottostante. Se la causa dello shock è la<br />

scarsa contrattilità miocardica, è indicato il trattamento con<br />

un beta-agonista. La dobutamina è l’agente più comunemente<br />

utilizzato per la terapia d’emergenza per aumentare la funzionalità<br />

cardiaca. Se l’animale sta ricevendo farmaci che<br />

causano una depressione miocardica, questi vanno sospesi<br />

(anestetici). Alcuni animali con valvulopatia traggono vantaggio<br />

dai farmaci che riducono il postcarico, come il nitroprussiato<br />

o l’idralazina, ± un agente inotropo positivo, a<br />

seconda del grado di contrattilità. Se l’entità del versamento<br />

pericardico è sufficientemente elevata da causare un tamponamento,<br />

bisogna eseguire una pericardiocentesi ed attuare<br />

la fluidoterapia. Le aritmie gravi e persistenti vanno trattate<br />

in modo appropriato con antiaritmici o cardioconversione.<br />

Col termine di shock distributivo si indica una varietà di<br />

anomalie generalmente associata ad una distribuzione inappropriata<br />

della gittata cardiaca ai tessuti. Rientrano in questo<br />

gruppo il calo del volume ematico intravascolare come si<br />

osserva nello shock ipovolemico derivante da un’emorragia,<br />

l’ipoproteinemia, l’aumento della permeabilità vascolare o le<br />

malattie che portano a grave disidratazione. L’ipovolemia è<br />

inclusa nello shock distributivo ed è normalmente associata ad<br />

una vasocostrizione periferica compensatrice che interferisce<br />

con la perfusione periferica (organi viscerali). Se non è associata<br />

a vasocostrizione periferica (come si osserva comunemente<br />

nella sepsi), l’ipovolemia causa ipotensione che provoca<br />

anche una riduzione della perfusione coronarica e cerebrale<br />

e conduce allo shock distributivo. Molti animali vengono<br />

presentati alle strutture di emergenza dopo un trauma e sembrano<br />

essere colpiti da uno shock ipovolemico, anche se non<br />

c’è alcuna perdita di sangue. Ciò è dovuto alla risposta neurormonale<br />

al trauma, che porta a grave vasocostrizione e maldistribuzione<br />

del volume ematico intravascolare disponibile.<br />

Gli shunt arterovenosi provocano una riduzione della gittata<br />

cardiaca netta e della perfusione ai tessuti. L’occlusione<br />

dei vasi da cause esterne, come si osserva in caso di torsione<br />

intestinale, masse o corpi estranei, interferisce con il flusso<br />

sanguigno diretto agli organi coinvolti. Analogamente, le<br />

affezioni tromboemboliche impediscono la normale perfusione<br />

degli organi a valle e i tromboemboli polmonari gravi possono<br />

portare a cor pulmonale e insufficienza cardiaca destra.<br />

Il trattamento dello shock distributivo prevede tipicamente<br />

la fluidoterapia. Può essere necessario ricorrere ad associazioni<br />

di cristalloidi isotonici, colloidi di sintesi, soluzioni<br />

ipertoniche ed emoderivati, a seconda del processo patologico<br />

sottostante.<br />

Gli stati di shock ipossico sono caratterizzati da perfusione<br />

tissutale normale (a differenza dello shock distributivo),<br />

ma anomalie del contenuto di ossigeno o della cessione dell’ossigeno<br />

ai tessuti ed alle cellule. L’ipossiemia (una bassa<br />

pressione parziale di ossigeno o una bassa saturazione emoglobinica<br />

dovuta ad una patologia polmonare) e l’anemia<br />

(basso contenuto di ossigeno) sono le cause più comuni dello<br />

shock ipossico. Altri processi patologici che possono portare<br />

alla medesima condizione sono la metemoglobinemia<br />

(emoglobina ferrica ossidata) e la carbossiemoglobinemia<br />

(avvelenamento da monossido di carbonio), poiché queste<br />

anomalie riducono le capacità di trasporto dell’ossigeno dell’emoglobina.<br />

Il trattamento dello shock ipossico è volto ad incrementare<br />

il contenuto di ossigeno. L’ossigenoterapia va attuata<br />

in tutti i pazienti. Negli animali con grave malattia polmonare<br />

può risultare utile la ventilazione a pressione positiva.<br />

Ai cani o gatti con anemia potenzialmente letale vanno


262 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

somministrati appropriati prodotti eritrocitari o soluzioni<br />

contenenti emoglobina. Gli avvelenamenti come la metemoglobinemia<br />

vanno trattati in modo appropriato (vitamina<br />

C ed N-acetilcisteina).<br />

Ci sono casi in cui i tessuti sono adeguatamente perfusi ed<br />

ossigenati, ma le cellule sono comunque incapaci di produrre<br />

livelli energetici adeguati al mantenimento della vitalità.<br />

Si tratta dello shock metabolico, che è comunemente dovuto<br />

ad un problema intracellulare che interferisce con la produzione<br />

di energia. La sepsi, in aggiunta a tutti i suoi intermedi<br />

vasoattivi ed al danno cellulomediato, interferisce con la<br />

normale funzione cellulare e spesso causa “ipossia citopatica”.<br />

L’intossicazione da cianuro distrugge la normale fosforilazione<br />

ossidativa dei citocromi mitocondriali e porta allo<br />

shock metabolico.<br />

Gli animali con colpo di calore hanno un metabolismo<br />

cellulare che supera la capacità dell’animale di apportare<br />

substrati energetici e spesso esita nello shock metabolico.<br />

L’ipoglicemia porta a un inadeguato substrato energetico per<br />

il normale metabolismo cerebrale e può anche causare uno<br />

shock metabolico.<br />

La diagnosi ed il trattamento dello shock metabolico possono<br />

essere difficili. L’ipoglicemia viene facilmente scoperta<br />

e trattata con un’integrazione con glucosio. La disfunzione<br />

cellulare viene diagnosticata per esclusione delle altre<br />

cause dello shock. Il trattamento in genere è di sostegno, nel<br />

tentativo di ottimizzare l’apporto di ossigeno ai tessuti e trattare<br />

la malattia sottostante.<br />

Lo shock settico è uno stato dello shock circolatorio che<br />

viene causato da un agente infettivo sottostante. La conseguente<br />

risposta infiammatoria all’insulto comprende il rilascio/attivazione<br />

di citochine, proteasi, catalasi ed eicosanoidi<br />

e l’attivazione del complemento e delle reazioni a cascata<br />

della coagulazione e della fibrinolisi. Questi processi interferiscono<br />

con la funzione ed il metabolismo intracellulare.<br />

Successivamente insorgono delle diminuzioni della contrat-<br />

tilità miocardica, della gittata cardiaca e dell’apporto di ossigeno.<br />

Spesso si hanno delle modificazioni inappropriate del<br />

tono vasomotorio che esitano in ipotensione (vasodilatazione)<br />

o compromissione della perfusione tissutale (vasocostrizione).<br />

Si possono sviluppare ulcera o emorragia gastroenterica<br />

ed insufficienza renale oligurica o anurica. L’aumento<br />

della permeabilità endoteliale può esitare in ipoproteinemia<br />

ed ipovolemia. Si hanno anche comunemente coagulopatie,<br />

acidosi lattica ed ipoglicemia. È quindi evidente che la sepsi<br />

può portare a vari tipi di shock: cardiogeno, distributivo,<br />

ipossico e metabolico.<br />

Il trattamento delle varie cause dello shock nei pazienti<br />

con sepsi esula dagli scopi di questa discussione. Sono di<br />

capitale importanza l’identificazione dell’origine della sepsi<br />

e la sua appropriata terapia. Il monitoraggio regolare della<br />

funzione cardiaca, dei parametri cardiovascolari e polmonari<br />

e dei risultati degli esami di laboratorio consente di riconoscere<br />

e trattare precocemente i problemi secondari.<br />

Indipendentemente dalla causa dello shock, la rapida<br />

valutazione di questi pazienti in condizioni critiche, l’identificazione<br />

precoce della malattia sottostante ed il ripristino<br />

della stabilità cardiopolmonare e cellulare sono di importanza<br />

vitale. Conoscendo le varie categorie dello shock e le loro<br />

eziologie comuni, il veterinario sarà in grado di trattare con<br />

più successo questi pazienti in condizioni di emergenza.<br />

Bibliografia disponibile a richiesta<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 263<br />

SIRS, MODS e sepsi nei piccoli animali<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

La sindrome di risposta infiammatoria sistemica (SIRS) è<br />

la manifestazione clinica della risposta dell’organismo a gravi<br />

danni, invasioni microbiche, gravi infiammazioni o neoplasie.<br />

La terminologia utilizzata per trattare della sepsi o<br />

dell’infiammazione è spesso motivo di confusione. Col termine<br />

di batteriemia, si indica la presenza di batteri vitali nel<br />

torrente circolatorio. La sindrome di risposta infiammatoria<br />

sistemica (SIRS) è la manifestazione clinica della reazione<br />

infiammatoria che si ha in risposta ad un insulto infettivo o<br />

non infettivo subito dall’animale (sepsi, ustioni, traumi, colpo<br />

di calore, pancreatite, malattia immunomediata). Non<br />

esiste alcuno standard aureo per la diagnosi di SIRS, ma dalla<br />

letteratura umana sono stati tratti dei parametri per il cane<br />

ed il gatto. La presenza di tre o più dei seguenti segni clinici<br />

è altamente indicativa di SIRS nel cane: tachipnea (frequenza<br />

respiratoria > 40 atti/minuto o PaCO 2 < 30 mm Hg),<br />

tachicardia (frequenza cardiaca > 120 battiti/minuto), leucocitosi<br />

o leucopenia (leucociti > 18000/µl o frazione dei neutrofili<br />

non segmentati > 5-10%), e febbre o ipotermia (temperatura<br />

> 40°C o < 38°C). La presenza di 3 o più dei<br />

seguenti segni clinici è altamente indicativa di SIRS nei felini:<br />

tachipnea (frequenza respiratoria > 30 atti al minuto o<br />

PaCO 2 < 32 mm Hg), bradicardia o tachicardia (frequenza<br />

cardiaca < 140 battiti/minuto o > 225 battiti al minuto), leucocitosi<br />

o leucopenia (leucociti > <strong>19</strong>500/µl o 5-10%) e febbre o ipotermia<br />

(temperatura > 40°C o < 38°C). Un’infezione è una<br />

risposta infiammatoria secondaria alla presenza di microrganismi<br />

o l’invasione di un tessuto normalmente sterile ad opera<br />

dei microrganismi stessi. La sepsi è la SIRS secondaria ad<br />

un microrganismo patogeno (nella maggior parte dei casi di<br />

origine batterica, ma può anche essere dovuta a virus, protozoi<br />

e miceti). Col termine di sepsi grave si indica la sepsi<br />

accompagnata da una combinazione di disfunzioni organiche,<br />

ipoperfusione o ipotensione (pressione sistolica < 90<br />

mm Hg o riduzione > 40 mm Hg rispetto al valore basale).<br />

Lo shock settico si definisce come la sepsi grave con ipotensione<br />

che risulta refrattaria alla rianimazione mediante infusione<br />

intravascolare di fluidi. La sindrome di disfunzione di<br />

più organi (MODS, multiple organ dysfunction syndrome) fa<br />

riferimento all’alterazione delle funzioni cardiovascolari,<br />

polmonari, gastroenteriche e/o epatiche che si verifica<br />

secondariamente alla SIRS.<br />

Cane, cavallo e uomo manifestano una fase iniziale, iperdinamica<br />

della sepsi, caratterizzata da elevata gittata cardiaca,<br />

bassa resistenza vascolare sistemica e pressione sanguigna<br />

normale o aumentata. Queste modificazioni si riconoscono<br />

clinicamente sotto forma di febbre, tachicardia, tachipnea,<br />

mucose di colore rosso mattone o smorto, polso saltellante,<br />

depressione ed inappetenza. Tuttavia, questo stato “iperdina-<br />

mico” è raramente evidente nei felini. Piuttosto, nel gatto i<br />

comuni segni clinici della sepsi comprendono letargia, pallore<br />

delle mucose, dolore addominale diffuso, tachipnea, bradicardia,<br />

cattiva qualità del polso, anemia, ipoalbuminemia,<br />

ipotermia ed ittero. La diagnosi di sepsi si basa sui riscontri<br />

clinici e di laboratorio e sull’identificazione di un focolaio<br />

settico. Se esiste un elevato sospetto di sepsi, i pazienti ad<br />

alto rischio devono essere trattati empiricamente.<br />

La diagnosi definitiva di sepsi nel cane e nel gatto è spesso<br />

difficoltosa. La positività delle emocolture conferma la<br />

batteriemia e la misurazione delle concentrazioni sieriche di<br />

endotossine consente di verificare l’endotossiemia. Questi<br />

test non consentono tipicamente una diagnosi rapida, il che<br />

rende il sospetto clinico particolarmente apprezzabile in<br />

attesa dei risultati degli esami di laboratorio e necrobiologici.<br />

I comuni focolai di sepsi sono rappresentati da peritonite,<br />

polmonite, piotorace e pielonefrite. È quindi importante che<br />

gli animali con segni clinici di sepsi siano sottoposti ad una<br />

valutazione diagnostica completa, che comprenda esame<br />

emocromocitometrico completo, profilo biochimico, profilo<br />

della coagulazione, analisi delle urine con urocoltura ed<br />

antibiogramma, radiografie del torace e/o ecografie addominali,<br />

radiografie addominali ed ecocardiografia. La fonte<br />

dell’infezione va identificata il più rapidamente possibile e<br />

in caso di necessità bisogna intervenire chirurgicamente per<br />

effettuare il drenaggio, la revisione o l’asportazione del<br />

focolaio settico. Se indicati, si devono effettuare gli esami<br />

colturali e gli antibiogrammi del liquido di lavaggio endotracheale,<br />

del liquido pleurico, del fluido addominale, del<br />

liquor e/o del fluido articolare. Nel 20-30% circa dei pazienti<br />

non si riesce a trovare un’origine dell’infezione.<br />

Lo scopo della terapia nei cani e nei gatti con sepsi è quello<br />

di trattare l’infezione in modo appropriato e mantenere un<br />

adeguato apporto di ossigeno ai tessuti. La prevenzione della<br />

MODS è di capitale importanza, perché il tasso di mortalità<br />

è tipicamente superiore al 50%. Nei pazienti settici riveste un<br />

ruolo altamente significativo la terapia antibiotica, in aggiunta<br />

ad un aggressivo trattamento di sostegno. La somministrazione<br />

di antibiotici ad ampio spettro va iniziata in attesa dei<br />

risultati degli esami colturali e degli antibiogrammi. Gli antibiotici<br />

scelti empiricamente dovranno essere efficaci nei confronti<br />

dei microrganismi Gram-positivi e Gram-negativi,<br />

nonché degli anaerobi. Le combinazioni iniziali possono<br />

essere rappresentate da ampicillina ed enrofloxacin, ampicillina<br />

ed amikacina, cefazolina e amikacina, ampicillina e ceftazidime<br />

o clindamicina ed enrofloxacin. Inizialmente si possono<br />

anche utilizzare singoli agenti come la ticarcillina/acido<br />

clavulanico, la cefoxitina o l’imipenem (se si sospetta una<br />

resistenza batterica). I batteri rilasciano endotossina dalle<br />

loro pareti cellulari quando vengono uccisi ed il paziente


264 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

deve quindi essere sottoposto anche ad un’adeguata terapia di<br />

sostegno per mantenere l’apporto di ossigeno.<br />

Il sostegno emodinamico è costituito primariamente dalla<br />

somministrazione di fluidi endovenosi ± una terapia<br />

vasopressoria. Se l’animale si trova in stato di shock, si<br />

deve somministrare un bolo di cristalloidi isotonici ± colloidi<br />

di sintesi. Bisogna impiegare gli emoderivati (emazie<br />

concentrate, plasma fresco congelato o sangue fresco intero)<br />

nella misura necessaria per mantenere l’ematocrito ><br />

24% ed i tempi di coagulazione entro i limiti normali.<br />

Negli animali con grave ipoalbuminemia (< 1,5 g/dl), può<br />

essere utile la terapia con plasma o con albumina umana al<br />

25% per contribuire al trasporto di farmaci, ormoni,<br />

sostanze chimiche, tossine ed enzimi. Il monitoraggio della<br />

pressione venosa centrale (normale = 0-10 cm H 2O) può<br />

essere utile per la valutazione dello status idrico. La fluidoterapia<br />

di mantenimento va determinata in base ai fabbisogni<br />

di mantenimento dell’animale, alla disidratazione ed<br />

alle perdite in atto.<br />

Se un’adeguata fluidoterapia non è in grado di ristabilire<br />

la corretta pressione sanguigna, è indicato un trattamento<br />

con vasopressori. Si utilizzano spesso dopamina, noradrenalina,<br />

dobutamina, adrenalina ± vasopressina (per ulteriori<br />

informazioni si veda la relazione “Utilizzo della vasopressina<br />

per controllare la vasodilatazione durante lo shock”). Gli<br />

animali che non rispondono ad un trattamento aggressivo<br />

possono essere colpiti da un’insufficienza surrenalica transitoria.<br />

Può essere necessario effettuare i test appropriati e gli<br />

interventi terapeutici opportuni.<br />

L’ossigenoterapia è indicata se l’animale presenta una<br />

riduzione del contenuto di ossigeno (SpO 2


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 265<br />

La fluidoterapia durante lo shock:<br />

come ripristinare un circolo efficace<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Lo “shock” è uno stato di grave alterazione emodinamica<br />

e metabolica caratterizzato da diminuzione della perfusione<br />

tissutale, compromissione dell’apporto di ossigeno ed inadeguata<br />

produzione di energia a livello cellulare. I suoi segni<br />

clinici possono variare, in gran parte a causa della condizione<br />

sottostante. Un elevato livello del tono simpatico è comunemente<br />

caratterizzato da pallore delle mucose, prolungamento<br />

del tempo di riempimento capillare, ottundimento del<br />

sensorio, polso di qualità scadente, estremità fredde e tachicardia<br />

(bradicardia nel gatto). Al contrario, lo shock settico<br />

è spesso causa di disfunzione vasomotoria e vasodilatazione<br />

periferica indotta da citochine, elevata gittata cardiaca ed<br />

iperemia delle mucose con riempimento capillare rapido.<br />

La normalizzazione del volume intravascolare, del precarico,<br />

della pressione arteriosa, della gittata cardiaca e del<br />

contenuto di ossigeno è di importanza cruciale per sostenere<br />

la perfusione tissutale, oltre che per porre sotto controllo o<br />

far regredire la causa scatenante dello shock. Un ritardo nel<br />

trattamento di un animale sotto shock può portare ad un<br />

danno organico irreversibile e potenzialmente alla morte.<br />

Il caposaldo della terapia dello shock non cardiogeno prevede<br />

un’aggressiva rianimazione volumetrica. Un aumento<br />

del volume intravascolare determina un incremento del volume<br />

telediastolico del ventricolo sinistro (precarico), della<br />

gittata sistolica e di quella cardiaca al fine di aumentare l’apporto<br />

di ossigeno a livello sistemico. La somministrazione<br />

endovenosa di fluidi attraverso un catetere corto e di grosso<br />

calibro costituisce il metodo più auspicabile per il trattamento<br />

dello shock. Se non è possibile ottenere un rapido<br />

accesso intravascolare, bisogna ricorrere ad una procedura di<br />

cutdown venoso o all’inserimento di un ago intraosseo.<br />

I cristalloidi isotonici, anche detti fluidi di ripristino, sono<br />

i liquidi più comunemente utilizzati per il trattamento dello<br />

shock. Si tratta di soluzioni che contengono elettroliti ed<br />

hanno una composizione simile a quella del fluido extracellulare<br />

(cloruro di sodio allo 0,9%, soluzione di Ringer lattato,<br />

Normosol-R e Plasmalyte-148). Esistono dati che depongono<br />

a favore dell’impiego del cloruro di sodio allo 0,9%<br />

negli animali con trauma cranico per evitare rapide variazioni<br />

dell’osmolalità, poiché questo è il cristalloide isotonico<br />

con il contenuto di sodio più elevato. Una dose di soluzione<br />

di cristalloidi isotonici per il trattamento dello shock corrisponde<br />

approssimativamente ad una volta il volume ematico:<br />

90 ml/kg nel cane e 50 ml/kg nel gatto. Il fluido somministrato<br />

rapidamente si distribuisce nel comparto extracellulare<br />

in modo che solo il 25% circa del volume apportato<br />

rimane nello spazio intravascolare a distanza di 30 minuti<br />

dall’infusione. È importante non somministrare volumi<br />

eccessivi di liquidi per evitare un sovraccarico volumetrico.<br />

Generalmente si raccomanda di somministrare il più rapidamente<br />

possibile 1/3 – 1/2 della dose anti-shock, seguito da<br />

ulteriori boli secondo quanto indicato dai parametri clinici e<br />

da ripetuti esami clinici. Nei pazienti che sanguinano può<br />

anche essere vantaggioso eseguire una “rianimazione ipotensiva”<br />

(fino ad una pressione arteriosa media di circa 60<br />

mm Hg) fino ad ottenere il controllo dell’emorragia, poiché<br />

una fluidoterapia aggressiva in questi casi può aggravare il<br />

sanguinamento e peggiorare l’esito del trattamento.<br />

Le soluzioni di colloidi sintetici facilmente reperibili sono<br />

il destrano 70 (D70) e l’amido eterificato (HES). I colloidi<br />

sono grandi molecole (peso molecolare > 20000 D) che non<br />

passano facilmente attraverso la membrana vascolare. Le<br />

particelle colloidali di queste soluzioni di sintesi sono sospese<br />

in cloruro di sodio allo 0,9%. Sono iperoncotiche rispetto<br />

all’animale normale e di conseguenza attirano il fluido nello<br />

spazio vascolare. Determinano quindi un aumento del volume<br />

ematico che è superiore a quello del volume infuso e<br />

concorre alla ritenzione di questo fluido nello spazio intravascolare<br />

negli animali con permeabilità capillare normale.<br />

La dose raccomandata dei colloidi di sintesi per il trattamento<br />

dello shock arriva fino a 20 ml/kg nel cane e fino a 10<br />

ml/kg nel gatto (Nota: è stato segnalato che la somministrazione<br />

rapida di HES nel gatto è causa di vomito).Volumi<br />

eccessivi possono portare a sovraccarico volumetrico,<br />

coagulopatie ed emodiluizione. Questi fluidi vengono correttamente<br />

utilizzati per la terapia dello shock negli animali<br />

con ipoproteinemia acuta (proteine totali < 3,5 g/dl) con una<br />

diminuita pressione colloidosmotica. Possono anche essere<br />

impiegati con i cristalloidi isotonici per mantenere un’adeguata<br />

espansione volumetrica del plasma con una minore<br />

espansione del volume del fluido interstiziale e per espandere<br />

lo spazio intravascolare con minori volumi in un arco di<br />

tempo più breve. Nonostante molteplici studi clinici condotti<br />

nell’uomo, non esiste alcuna documentazione definitiva<br />

del fatto che l’impiego dei colloidi sia superiore a quello dei<br />

cristalloidi per la rianimazione e il prezzo dei primi è significativamente<br />

superiore a quello dei secondi.<br />

La somministrazione di soluzione salina ipertonica (7,0-<br />

7,5%, HS) provoca uno spostamento osmotico transitorio<br />

dell’acqua dal comparto extravasale a quello intravasale. Si<br />

somministra in piccoli volumi, 5 ml/kg, nell’arco di 5-10<br />

minuti. Oltre allo spostamento del comparto fluido causato<br />

dall’HS, vi sono dati che indicano che può anche essere<br />

utile per ridurre il rigonfiamento endoteliale, aumentare la<br />

contrattilità cardiaca, causare una lieve vasodilatazione<br />

periferica e ridurre la pressione intracranica. A causa della


266 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

diuresi osmotica e della rapida ridistribuzione dei cationi<br />

sodici che si verifica dopo la somministrazione dell’HS,<br />

l’espansione del volume intravascolare è transitoria (< 30<br />

minuti); di conseguenza, all’HS va abbinata una fluidoterapia<br />

aggiuntiva. Al fine di attrarre fluidi nello spazio vascolare<br />

e prolungare l’effetto dell’espansione volumetrica<br />

intravascolare, per la rianimazione in caso di shock si somministra<br />

comunemente una miscela di HS/colloide di sintesi.<br />

Un rapporto 1:2,5 di HS al 23,4% con destrano 70<br />

(HSD) o amido eterificato consente di ottenere una miscela<br />

salina al 7,5% (cioè 17 ml di soluzione salina al 23,4%<br />

aggiunti a 43 ml di destrano 70). In medicina veterinaria<br />

sono stati condotti e pubblicati numerosi studi che depongono<br />

a favore dell’utilità dell’impiego del HSD per la<br />

rianimazione nei cani con shock traumatico, piometra con<br />

shock settico, ustioni, shock emorragico, endotossiemia e<br />

dilatazione/torsione dello stomaco.<br />

La necessità di ricorrere agli emoderivati durante la rianimazione<br />

dipende dal processo patologico del paziente. La<br />

maggior parte dei soggetti con shock che risponde all’infusione<br />

di fluidi tollera un’emodiluizione acuta fino ad un<br />

ematocrito < 20%. Negli animali che non rispondono alla<br />

sola fluidoterapia, l’ematocrito va mantenuto > 30% per<br />

massimizzare la capacità di trasporto di ossigeno. Eccessivi<br />

incrementi dell’ematocrito sono da evitare perché ciò determina<br />

un aumento della viscosità ematica.<br />

La maggior parte degli animali può tollerare una perdita<br />

acuta del 10-15% del volume ematico senza aver bisogno di<br />

una trasfusione di sangue. Un’emorragia acuta superiore al<br />

20% del volume ematico richiede spesso una terapia trasfusionale,<br />

oltre alla rianimazione iniziale mediante fluidi discussa<br />

più sopra. Negli animali con perdita ematica acuta che<br />

necessitano di una terapia trasfusionale bisogna utilizzare<br />

sangue fresco intero o emazie concentrate e plasma fresco<br />

congelato, nel tentativo di stabilizzare i segni clinici dello<br />

shock e mantenere l’ematocrito al di sopra del 25% e i tempi<br />

di coagulazione entro i limiti normali. Le emazie concentrate<br />

ed il plasma fresco congelato si somministrano alla<br />

dose di 10-15 ml/kg ed il sangue fresco intero alla dose di<br />

20-25 ml/kg. Il plasma conservato in frigorifero o quello<br />

congelato da più di un anno non contengono più piastrine né<br />

fattori labili della coagulazione (V, VIII e di von Willebrand).<br />

Le piastrine sono presenti solo nel sangue fresco<br />

entro 6 ore dal prelievo e il loro uso è indicato negli animali<br />

con disordini emorragici indotti da trombocitopenia o<br />

emorragie imponenti. I prodotti plasmatici si utilizzano più<br />

comunemente negli animali con profonde perdite ematiche,<br />

coagulopatie o grave ipoalbuminemia. In confronto a quella<br />

dei colloidi di sintesi iperoncotici, la loro capacità di aumentare<br />

la pressione colloidosmotica è limitata, ma apportano<br />

albumina, un importante carrier di certi farmaci, ormoni,<br />

metalli, composti chimici, tossine ed enzimi. Se non è possibile<br />

effettuare l’emotipizzazione ± le prove di compatibilità<br />

crociata, i cani devono essere sottoposti all’infusione di<br />

sangue DEA 1.1 negativo. I gatti non sottoposti a tipizzazione<br />

non devono ricevere emoderivati perché si possono verificare<br />

reazioni potenzialmente letali.<br />

Negli animali con emorragia eccessiva nella cavità pleurica<br />

o peritoneale, si deve prendere in considerazione il ricorso<br />

alle autotrasfusioni di sangue intero. Questo viene aspirato<br />

delicatamente, trattato con anticoagulanti e filtrato prima<br />

della somministrazione. Le emorragie dovute a processi<br />

neoplastici o settici non devono essere trattate mediante<br />

autotrasfusione.<br />

I fluidi vanno somministrati il più rapidamente possibile,<br />

effettuando una continua rivalutazione e monitoraggio. La<br />

rianimazione iniziale mediante fluidi va completata entro 15<br />

minuti dalla prima visita. Se necessario, si possono impiegare<br />

ripetuti boli, ma bisogna evitare la iperidratazione.<br />

Bibliografia disponibile su richiesta<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 267<br />

Utilizzo della vasopressina per controllare<br />

la vasodilatazione durante lo shock: studio pilota”<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Quando un calo della pressione arteriosa porta ad un’inadeguata<br />

perfusione tissutale, si ha una profonda vasocostrizione.<br />

Tuttavia, gli animali con shock settico presentano<br />

spesso un’insufficienza di questa risposta vasocostrittiva e si<br />

ha un’inappropriata vasodilatazione o vasoplegia, che si<br />

manifesta clinicamente con l’arrossamento delle mucose ed<br />

il riscontro di estremità calde. Lo shock vasodilatatorio che<br />

ne deriva è caratterizzato non solo dall’ipotensione dovuta<br />

alla vasodilatazione periferica (nonostante la rianimazione<br />

mediante l’infusione intravascolare di fluidi), ma anche da<br />

una cattiva risposta alla terapia mediante somministrazione<br />

di farmaci vasopressori, anche detto “shock vasodilatatorio<br />

catecolamino-resistente”.<br />

Lo shock vasodilatatorio catecolamino-resistente è una<br />

complicazione potenzialmente fatale nei pazienti con shock<br />

settico o sindrome da disfunzione di più organi (MODS,<br />

multiple organ dysfunction syndrome). Sembra essere una<br />

via comune finale nei pazienti che riportano gravi stati prolungati<br />

di shock da qualsiasi origine. Di conseguenza, i<br />

pazienti colpiti da ipotensione e diminuzione dell’apporto di<br />

ossigeno ai tessuti secondariamente a shock ipovolemico o<br />

cardiogeno non possono essere “curati” attraverso la correzione<br />

del problema iniziale. Le alterazioni dei normali meccanismi<br />

vasodilatatori e vasocostrittori portano a questa<br />

apparente vasoplegia, nonostante la presenza di elevati livelli<br />

di noradrenalina, endotelina ed angiotensina II. La muscolatura<br />

liscia vascolare tipicamente non risponde alla somministrazione<br />

di catecolamine esogene.<br />

La presenza di livelli elevati di ossido nitrico e l’attivazione<br />

dei canali potassici ATP-sensibili (K ATP) della muscolatura<br />

liscia sembrano essere due delle cause primarie della<br />

vasodilatazione inappropriata, ma la mancanza di una vasocostrizione<br />

riflessa non è chiaramente compresa. Altri<br />

potenziali fattori che contribuiscono alla vasoplegia sono le<br />

lesioni fatali delle cellule vascolari dovute all’ipotensione<br />

prolungata, all’inadeguata estrazione di ossigeno dai tessuti<br />

(che induce una continua vasodilatazione) ed all’incremento<br />

dell’attività delle prostaglandine vasodilatatrici. Tuttavia,<br />

studi clinici e sperimentali finalizzati a valutare l’effetto dell’aumento<br />

dell’apporto di ossigeno o dell’inibizione della<br />

sintesi delle prostaglandine non sono riusciti a dimostrare<br />

alcun vantaggio per il trattamento dello shock vasodilatatorio<br />

catecolamino-resistente.<br />

Un ulteriore meccanismo che, sia negli animali che nell’uomo,<br />

sembra svolgere un ruolo significativo nella patogenesi<br />

dello shock vasodilatatorio refrattario è la carenza di<br />

vasopressina, anche nota come ormone antidiuretico. La<br />

vasopressina svolge molti ruoli nell’organismo, ma la sua<br />

capacità di stimolare la costrizione della muscolatura liscia<br />

vascolare e contribuire a mantenere la pressione arteriosa<br />

risulta particolarmente importante negli stati di ipotensione.<br />

La vasopressina, o ormone antidiuretico, è un peptide<br />

sintetizzato ed immagazzinato, rispettivamente, nell’ipotalamo<br />

e nella parte posteriore dell’ipofisi. È un ormone<br />

importante nella regolazione dell’equilibrio idrico dell’organismo<br />

negli animali sani, nel ripristino del tono vascolare<br />

negli stati ipotensivi e nella stimolazione del rilascio dei<br />

fattori VIII e di von Willebrand e dell’ACTH. Viene comunemente<br />

rilasciata in risposta ad un incremento dell’osmolalità<br />

(percepita nell’encefalo) o dell’ipotensione (percepita<br />

dai barocettori nell’atrio sinistro, nell’arco aortico e nel<br />

seno carotideo), benché siano stati identificati stimoli<br />

aggiuntivi. Gli effetti cellulari della vasopressina sono<br />

mediati dall’interazioni dell’ormone con due tipi principali<br />

di recettori: V 1 e V 2. I recettori V 1 sono localizzati principalmente<br />

nel tratto gastroenterico e nella muscolatura liscia<br />

vascolare, ma anche in vescica, miometrio, reni e sistema<br />

nervoso centrale. I recettori V 2 si trovano primariamente<br />

nelle cellule principali dei dotti collettori renali. È interessante<br />

notare che è stato dimostrato che la vasopressina<br />

determina una vasocostrizione in alcuni letti vascolari ed<br />

una vasodilatazione in altri (renale, polmonare, mesenterico<br />

e cerebrale). Gli effetti pressori (vasocostrittivi) della<br />

vasopressina sono non adrenergici e si ritiene che siano<br />

mediati dalle sue azioni dirette ed indirette sulla muscolatura<br />

liscia arteriosa. Negli animali sani la vasopressina non<br />

svolge un ruolo significativo nel controllo della muscolatura<br />

liscia vascolare, ma risulta di importanza critica quando<br />

si sviluppa un’ipotensione. Ciò è dovuto alla sua capacità di<br />

reimpostare il baroriflesso cardiaco regolandolo ad una<br />

pressione più bassa. In vitro, la vasopressina è un vasocostrittore<br />

più potente dell’angiotensina II, della noradrenalina<br />

o della fenilefrina su base molare. Livelli di vasopressina<br />

superiori a 100 pg/ml sono necessari per stimolare un<br />

incremento significativo della pressione arteriosa media.<br />

Gli stati caratterizzati da bassi livelli di flusso secondari ad<br />

ipovolemia o shock settico sono associati ad una risposta<br />

bifasica nei livelli sierici di vasopressina. Si ha un iniziale<br />

incremento del rilascio della vasopressina dalla neuroipofisi<br />

in risposta a ipossia, ipotensione e/o acidosi, che porta ad<br />

elevati livelli sierici di vasopressina. Ciò svolge un ruolo<br />

nella stabilizzazione della pressione arteriosa e nella perfusione<br />

organica negli stadi iniziali dello shock. È stato dimostrato<br />

che gli agenti che bloccano i recettori V 1 abbassano<br />

la pressione arteriosa sia nello shock emorragico acuto che<br />

in quello settico.


268 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

I livelli di vasopressina in un cane normale ed idratato<br />

sono intorno a 4 pg/ml. L’osmoregolazione raggiunge la<br />

massima efficacia a 20 pg/ml. Studi condotti nel cane hanno<br />

riscontrato concentrazioni di vasopressina nella gamma<br />

di 300-1000 pg/ml durante la fase iniziale dello shock<br />

emorragico e di 500-1200 pg/ml in seguito ad endotossiemia<br />

sperimentalmente indotta. Nell’ultima fase dello<br />

shock, tuttavia, i livelli di vasopressina sono diminuiti, presumibilmente<br />

a causa della degradazione della vasopressina<br />

rilasciata e della deplezione delle riserve neuroipofisarie<br />

che richiedono tempo per essere sintetizzate nuovamente.<br />

La concentrazione di vasopressina nei cani utilizzati<br />

nello studio sperimentale è scesa a 29 pg/ml nell’ultima<br />

fase dello shock emorragico. Nei pazienti umani con shock<br />

vasodilatatorio avanzato è stata riscontrata sia una carenza<br />

di secrezione di vasopressina che un aumento della sensibilità<br />

alle variazioni di pressione sanguigna indotte dalla<br />

vasopressina stessa. Inoltre, i livelli di quest’ultima sono<br />

marcatamente aumentati nei modelli animali di sepsi acuta,<br />

ma questo incremento è seguito da un rapido declino<br />

nell’arco delle poche ore successive. Ulteriori ipotesi per<br />

spiegare i bassi livelli di vasopressina fanno riferimento ad<br />

una diminuzione della stimolazione dei barocettori o il rilascio<br />

di vasopressina secondario a compromissione dei<br />

riflessi autonomi, come si osserva nella sepsi, o inibizione<br />

tonica da parte dei recettori atriali sensibili allo stiramento<br />

secondario al carico volumetrico o alla ventilazione meccanica.<br />

Inoltre, il rilascio di vasopressina può essere inibito<br />

dall’ossido nitrico o dalla presenza di elevati livelli circolanti<br />

di noradrenalina.<br />

Studi preliminari nell’uomo e negli animali hanno dimostrato<br />

risultati promettenti per il trattamento dei pazienti<br />

umani con ipotensione refrattaria utilizzando l’infusione<br />

endovenosa di vasopressina (in aggiunta al suo impiego per<br />

la rianimazione cardiopolmonare e il diabete insipido centrale).<br />

Molti pazienti con ipotensione refrattaria sono stati<br />

successivamente liberati dal supporto catecolaminico con<br />

l’aggiunta di terapia con vasopressina. Le prove sinora condotte<br />

negli animali sostengono i potenziali vantaggi della<br />

vasopressina in soggetti colpiti da stati ipotensivi. Tuttavia,<br />

la terapia con dosi elevate è associata ad eccessiva vasoco-<br />

strizione coronarica e splancnica, nonché ad uno stato di<br />

ipercoagulabilità. La vasocostrizione eccessiva può portare<br />

ad una riduzione della gittata cardiaca o perfino ad eventi<br />

cardiaci fatali, specialmente nei pazienti con ridotta funzione<br />

miocardica.<br />

Un recente studio di Guzman et al. ha confrontato gli<br />

effetti della somministrazione endovenosa di noradrenalina<br />

e di vasopressina sulla circolazione sistemica splancnica e<br />

renale in cani con shock endotossico sperimentalmente<br />

indotto. Le alterazioni del flusso ematico sistemico e splancnico<br />

erano comparabili, tuttavia l’infusione di vasopressina<br />

ha ripristinato la perfusione renale e l’apporto di ossigeno,<br />

mentre la noradrenalina no.<br />

Un altro studio condotto nel cane da Morales et al. ha preso<br />

in esame gli effetti della somministrazione della vasopressina<br />

in animali con shock emorragico sperimentalmente<br />

indotto e la successiva necessità dell’infusione di noradrenalina<br />

(3 µg/kg/min) per mantenere una pressione arteriosa<br />

media di 40 mm Hg. La somministrazione di un’infusione di<br />

vasopressina è esitata in un incremento delle pressioni medie<br />

da 39 ± 6 mm Hg a 128 ± 9 mm Hg. I livelli sierici di vasopressina<br />

erano marcatamente elevati durante l’emorragia<br />

acuta, ma diminuivano da 3<strong>19</strong> ± 66 a 29 ± 9 pg/ml prima della<br />

somministrazione della vasopressina.<br />

Recentemente, è stato portato a termine uno studio pilota<br />

condotto su cani in condizioni cliniche che ha riscontrato<br />

che la vasopressina aumentava la pressione sanguigna negli<br />

animali refrattari alla terapia con dopamina a 10 µg/kg/min.<br />

I dettagli di questo studio verranno ulteriormente illustrati<br />

nella relazione.<br />

Bibliografia disponibile a richiesta<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 269<br />

Utilizzo di sostanze vasoattive nei pazienti<br />

in stato di shock<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

I pazienti in condizioni critiche che rimangono ipotesi<br />

nonostante un adeguato volume intravascolare richiedono<br />

l’uso di una terapia con agenti vasopressori. Dal momento<br />

che sia la gittata cardiaca che la resistenza vascolare sistemica<br />

influiscono sulla cessione dell’ossigeno ai tessuti, la<br />

terapia nei pazienti ipotesi prevede di esaltare al massimo la<br />

funzione cardiaca attraverso la fluidoterapia e gli agenti inotropi<br />

e/o di modificare il tono vascolare con quelli vasopressori.<br />

Fra questi ultimi, quelli comunemente utilizzati sono<br />

rappresentati dalle catecolamine (adrenalina, noradrenalina,<br />

dopamina) e da un farmaco simpaticomimetico, la fenilefrina.<br />

Inoltre, come agenti pressori aggiuntivi sono stati utilizzati<br />

vasopressina, corticosteroidi e glucagone.<br />

I differenti farmaci simpaticomimetici causano modificazioni<br />

del sistema cardiovascolare, in funzione della specifica<br />

stimolazione recettoriale che inducono. Convenzionalmente,<br />

la localizzazione e la funzione dei recettori adrenergici<br />

riguardano quelli alfa-1 e beta-2 situati sulle cellule<br />

muscolari lisce vascolari che conducono, rispettivamente, a<br />

vasocostrizione e vasodilatazione, mentre i recettori beta-1<br />

del miocardio modulano primariamente l’attività inotropa e<br />

cronotropa.<br />

Inoltre, a livello renale, coronarico e della microvascolarizzazione<br />

mesenterica esistono recettori dopaminergici 1<br />

che mediano la vasodilatazione, mentre nelle terminazioni<br />

nervose sinaptiche si trovano recettori dopaminergici 2 che<br />

inibiscono il rilascio di noradrenalina.<br />

La dopamina è dotata di molteplici potenziali azioni sui<br />

recettori adrenergici e dopaminergici. A basse dosi (1<br />

µg/kg/minuto) si osservano effetti primariamente dopaminergici,<br />

a dosaggi moderati (5-10 µg/kg/minuto) si riscontrano<br />

effetti principalmente beta-adrenergici, a dosi elevate<br />

(10-15 µg/kg/minuto) sono presenti effetti adrenergici<br />

misti alfa e beta e a dosi molto elevate (15- 20 µg/kg/minuto)<br />

compaiono effetti primariamente alfa-adrenergici. L’effettiva<br />

relazione fra dose e risposta è imprevedibile in un<br />

dato paziente, perché dipende dalla variabilità individuale<br />

nella desensibilizzazione dei recettori dell’inattivazione<br />

enzimatica della dopamina, e il grado di alterazione del<br />

sistema autonomo.<br />

Per determinare una risposta pressoria sono quindi necessari<br />

dosaggi della dopamina superiori a 10 µg/kg/minuto. La<br />

dopamina può venire utilizzata come singolo agente terapeutico<br />

per garantire un supporto sia inotropo che pressorio<br />

negli animali con vasodilatazione e riduzione della contrattilità<br />

cardiaca. In confronto ad altri farmaci pressori, la dopamina<br />

è un agente inotropo meno potente dell’adrenalina (o<br />

della dobutamina) ed esercita una vasocostrizione minore<br />

della noradrenalina. Gli effetti cardiovascolari della dopamina<br />

possono scomparire dopo parecchi giorni di terapia, forse<br />

a causa della desensibilizzazione dei recettori e/o dell’induzione<br />

di un aumento del rilascio di noradrenalina a livello<br />

postsinaptico. Nonostante i suoi benefici effetti sulla gittata<br />

cardiaca e sulla pressione sanguigna, la dopamina può avere<br />

conseguenze deleterie sulla perfusione gastroenterica. Quando<br />

viene utilizzata come agente vasopressore in cani da<br />

esperimento, si ha una diminuzione del pH della mucosa<br />

gastrica, molto probabilmente secondaria ad una ridistribuzione<br />

del flusso ematico mesenterico perché gli effetti alfamediati<br />

del farmaco ai dosaggi pressori obliterano quelli<br />

vasodilatatori attraverso i recettori splancnici dopaminergici-1.<br />

Per questa ragione, l’impiego prolungato di alte dosi di<br />

dopamina va effettuato con cautela.<br />

La noradrenalina (NE) è dotata di un’azione agonista<br />

mista alfa e beta adrenergica, con una preferenziale attività<br />

sugli alfa-recettori. Di conseguenza, gli effetti sulla frequenza<br />

cardiaca e sulla contrattilità sono lievi e la NE viene<br />

comunemente utilizzata come agente pressorio negli animali<br />

con stati caratterizzati da gittata cardiaca normale o<br />

aumentata. I modelli di shock settico nel cane hanno dimostrato<br />

che gli effetti della NE sulla funzione cardiaca sono<br />

diminuiti in confronto a quanto si riscontra nei controlli, non<br />

settici. Nei pazienti settici con insufficienza cardiaca e vasodilatazione,<br />

può essere auspicabile utilizzare la NE in associazione<br />

con la dobutamina (un potente beta-agonista) per<br />

prevenire gli effetti deleteri dell’aumento del postcarico su<br />

un cuore malato. Negli animali settici che mostrano una normalizzazione<br />

della pressione arteriosa, con l’impiego della<br />

NE si possono avere benefici effetti sulla perfusione renale.<br />

Tuttavia, la somministrazione della NE nei cani con shock<br />

ipovolemico induce una deleteria vasocostrizione renale. È<br />

stato anche dimostrato che la noradrenalina migliora la produzione<br />

di urina e la clearance della creatinina quando viene<br />

aggiunta alla dopamina o alla dobutamina nei pazienti<br />

con shock settico. L’apporto di ossigeno a livello splancnico<br />

e gli aumenti del pH della mucosa gastrica sono evidenti nei<br />

pazienti umani sottoposti ad una terapia con NE per il trattamento<br />

dello shock settico ipotensivo. Il dosaggio vasopressorio<br />

della NE nei pazienti umani (e quello estrapolato al<br />

cane) è di 0,2-3,3 µg/kg/minuto.<br />

L’adrenalina (ADR) è un potente agente pressorio con<br />

un’azione agonista mista alfa e beta. Benché sia ritenuta<br />

dotata di un effetto beta-agonista più potente della NE, l’adrenalina<br />

suscita una risposta individuale molto variabile nei<br />

pazienti con malattie infiammatorie sistemiche ed ipotensione.<br />

Di conseguenza, bisogna agire con cautela anche nei


270 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

soggetti con cardiopatia. L’adrenalina può compromettere<br />

significativamente la perfusione splancnica in confronto alla<br />

noradrenalina ed alla dobutamina in associazione. Ciò è<br />

molto probabilmente dovuto all’intensa attività alfa-adrenergica<br />

dell’adrenalina, con conseguente vasocostrizione dei<br />

letti vascolari regionali, benché l’adrenalina attivi anche i<br />

recettori vasodilatatori beta. L’adrenalina viene raramente<br />

utilizzata come agente vasopressorio di prima linea per i<br />

suoi potenziali effetti collaterali, ma può essere necessaria<br />

negli animali in condizioni critiche. Inoltre, questo agente<br />

inibisce la degranulazione delle mast cell e dei basofili ed è<br />

quindi il farmaco d’elezione nei pazienti colpiti da shock<br />

anafilattico. Viene anche comunemente utilizzata per il trattamento<br />

dell’arresto cardiaco.<br />

La fenilefrina è un alfa-agonista puro che causa una<br />

intensa vasocostrizione. È stato dimostrato che provoca un<br />

incremento della gittata cardiaca e della pressione sanguigna,<br />

presumibilmente dovuto all’aumento del ritorno venoso<br />

al cuore ed all’attivazione degli alfa-1 recettori nel miocardio.<br />

La fenilefrina viene tipicamente utilizzata nei<br />

pazienti che non rispondono ad altri simpaticomimetici,<br />

benché possa essere impiegata come unico agente di prima<br />

linea negli animali vasodilatati ed ipotesi. Poiché non possiede<br />

alcuna attività beta, la fenilefrina è il meno aritmogeno<br />

fra i farmaci pressori simpaticomimetici ed è quindi<br />

desiderabile negli animali che sviluppano tachiaritmia in<br />

risposta ad altri agenti pressori.<br />

La dobutamina è un beta-agonista senza effetti alfa.<br />

Aumenta la gittata cardiaca, l’apporto di ossigeno e il consumo<br />

di ossigeno senza causare vasocostrizione. È quindi<br />

utile negli animali con insufficienza cardiaca. Può aggravare<br />

o scatenare le tachiaritmie.<br />

La vasopressina è un agente vasopressorio non adrenergico<br />

che verrà trattato a fondo in un’altra relazione. Esercita<br />

sia effetti diretti che indiretti sulla muscolatura liscia<br />

vascolare attraverso i recettori V 1 per indurre vasocostrizione<br />

nella maggior parte dei letti vascolari. In vitro, la vasopressina<br />

è più potente della fenilefrina o della noradrenalina.<br />

Questo farmaco provoca vasodilatazione a livello della<br />

vascolarizzazione renale, polmonare, mesenterica e cerebrale<br />

per mantenere la perfusione di questi organi vitali. La<br />

somministrazione di vasopressina è risultata utile negli animali<br />

con shock vasodilatatorio catecolamino-resistenti.<br />

I cani con iperadrenocorticismo e quelli sottoposti a<br />

terapie croniche con corticosteroidi esogeni spesso mostrano<br />

un aumento della pressione sanguigna. Questa risposta<br />

è molto probabilmente dovuta alla soppressione dei vasodilatatori<br />

endogeni come il sistema callicreina-chinina, la<br />

prostaciclina e l’ossido nitrico. Inoltre, i glucocorticoidi<br />

modificano il sistema renina-angiotensina e determinano<br />

un aumento della sensibilità dei recettori dell’angiotensina<br />

2 nella vascolarizzazione. Un aumento della pressione sanguigna<br />

e della resistenza vascolare sistemica si osservano<br />

tipicamente entro 24 ore nei cani sottoposti a terapia con<br />

corticosteroidi. Negli animali ipotesi in condizioni critiche<br />

può risultare utile la somministrazione di dosi fisiologiche<br />

di corticosteroidi, ma per confermare questo dato saranno<br />

necessarie ulteriori ricerche.<br />

Il glucagone viene secreto dal pancreas ed è classificato<br />

come un ormone di “controregolazione”. Il glucagone somministrato<br />

per via esogena provoca inoltre un effetto inotropo<br />

positivo che conduce ad un incremento della gittata cardiaca<br />

e della pressione sanguigna. Il glucagone attiva l’adenilatociclasi<br />

indipendente dalla stimolazione dei beta-recettori<br />

adrenergici ed è stato dimostrato che aumenta la frequenza<br />

cardiaca e la gittata sistolica nei modelli di shock<br />

emorragico nel cane. Questo farmaco può essere utile nei<br />

pazienti in condizioni critiche che non rispondono ai farmaci<br />

beta-agonisti o in quelli trattati con una terapia sintomatica<br />

complicata da agenti beta-bloccanti. Saranno necessarie<br />

ulteriori ricerche.<br />

Bibliografia disponibile a richiesta<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 271<br />

Aggiornamento sul trattamento delle malattie<br />

delle vie urinarie distali nel gatto<br />

Andrew H. Sparkes<br />

BvetMed, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, Newmarket, UK<br />

I gatti colpiti da affezioni delle basse vie urinarie (FLUTD,<br />

feline urinary tract disease) tendono a presentare tutti la<br />

stessa gamma di segni clinici, quali disuria, ematuria, pollachiuria<br />

e minzione inappropriata, indipendentemente dalla<br />

causa sottostante. I maschi talvolta sviluppano stranguria ed<br />

un gatto con uropatia ostruttiva è ad alto rischio di morte<br />

entro 3-4 giorni per insufficienza renale acuta.<br />

Le possibili eziologie alla base della FLUTD sono numerose<br />

e, in generale, la cistite idiopatica è responsabile del 60-<br />

70% dei casi, l’urolitiasi ed i tappi uretrali del 20-40% e l’infezione<br />

batterica di meno del 10%. Altre cause sono le stenosi<br />

uretrali e la neoplasia. A differenza di quanto avviene<br />

nel cane, le infezioni batteriche del tratto urinario (cistite,<br />

uretrite) nel gatto sono molto poco comuni e, secondo quanto<br />

suggerito da numerosi studi, risultano responsabili solo<br />

dell’1-3% dei casi di FLUTD.<br />

L’urolitiasi è una causa importante della comparsa dei<br />

segni clinici. Quella da ossalati e quella di struvite si riscontrano<br />

con frequenza approssimativamente uguale. Mentre<br />

però i calcoli da struvite possono venire disciolti con un<br />

appropriato trattamento dietetico (ad es., Hill’s s/d), quelli<br />

da ossalati non possono essere sciolti e richiedono la rimozione<br />

chirurgica. La prevenzione a lungo termine dell’urolitiasi<br />

ricorrente dipende dalla modificazione della composizione<br />

dell’urina per ridurre il rischio di un’ulteriore cristalluria<br />

e formazione di calcoli. Alcuni fattori di rischio per l’urolitiasi<br />

da ossalati e da struvite possono essere contrastati<br />

efficacemente (pH urinario, concentrazione di magnesio) e,<br />

quindi, le diete studiate per soddisfare le specifiche esigenze<br />

di questi due tipi di calcoli sono ideali per il mantenimento<br />

(ad es., Hill’s c/d ed Hill’s x/d).<br />

Nella maggior parte dei casi, i tappi uretrali sono probabilmente<br />

una manifestazione della cistite idiopatica. I tappi presentano<br />

una matrice proteica (probabilmente costituita in larga<br />

misura da proteine infiammatorie) all’interno della quale<br />

sono intrappolati vari altri elementi (ad es., cellule, detriti cellulari<br />

e cristalli) che contribuiscono a determinare l’ostruzione.<br />

Nella grande maggioranza dei casi, quest’ultima è associata<br />

a cristalli di struvite che, pur non essendo la causa del<br />

problema (verrebbero eliminati normalmente se non fosse<br />

per la matrice proteica), contribuiscono a determinare il blocco.<br />

Il trattamento a lungo termine di questi casi deve prevedere<br />

l’impiego di diete studiate per ridurre al minimo la formazione<br />

di cristalli di struvite (ad es., Hill’s c/d).<br />

La cistite idiopatica determina la maggior parte dei casi di<br />

affezioni delle basse vie urinarie del gatto. Di norma, la<br />

FLUTD idiopatica (iFLUTD) si risolve spontaneamente<br />

entro pochi giorni indipendentemente dal trattamento, ren-<br />

dendo molto difficile valutare la risposta alla terapia. Spesso,<br />

quello che viene considerato un miglioramento dovuto<br />

ad un intervento terapeutico è in realtà semplicemente una<br />

guarigione spontanea. Nei pochi studi ben controllati pubblicati<br />

in letteratura, nessuna terapia medica si è dimostrata<br />

utile nella iFLUTD. Sono stati utilizzati molti farmaci, che<br />

non sono stati oggetto di prove cliniche di qualsiasi tipo.<br />

Sfortunatamente, in molti casi la valutazione dei farmaci<br />

impiegati per il trattamento della cistite idiopatica del gatto<br />

è stata effettuata soltanto mediante studi a breve termine<br />

(della durata di 1-2 settimane). Questi studi non hanno<br />

dimostrato alcun vantaggio dell’impiego di farmaci come il<br />

prednisolone e l’amitriptilina rispetto alla terapia con placebo,<br />

ma, data la natura rapidamente autorisolvente della<br />

malattia, può darsi che non fosse possibile né ragionevole<br />

aspettarsi di riuscire ad accertare un beneficio a breve termine.<br />

Riveste un valore clinico maggiore l’impiego di studi<br />

controllati con placebo a lungo termine, volti a prendere in<br />

considerazione la frequenza e la gravità degli episodi ricorrenti.<br />

Tuttavia, questi studi sono più difficili e più costosi da<br />

condurre, per cui ne sono stati effettuati relativamente pochi.<br />

Recenti dati ottenuti attraverso lo studio dei casi di<br />

iFLUTD hanno rivelato numerose analogie con una forma di<br />

cistite sterile (non infettiva) dell’uomo detta “cistite interstiziale”.<br />

Benché esistano delle differenze fra le due malattie<br />

(ad es, la cistite interstiziale tende ad avere un decorso clinico<br />

prolungato ed intrattabile), ci sono anche molte analogie<br />

impressionanti, come il riscontro di emorragie della sottomucosa<br />

alla cistoscopia (“glomerulazioni”), l’aumento della<br />

permeabilità della parete vescicale, la riduzione dell’escrezione<br />

dei glicosaminoglicani e l’edema e l’infiammazione<br />

della sottomucosa caratterizzati da un aumento numerico<br />

delle mast cell visibili nelle biopsie della parete vescicale.<br />

Sulla base di questi riscontri, nei gatti con iFLUTD sono stati<br />

sperimentati alcuni dei trattamenti che si sono dimostrati<br />

utili per la terapia della cistite interstiziale dell’uomo. L’amitriptilina<br />

rientra in questa categoria ed appartiene ad un<br />

gruppo di farmaci noto come “antidepressivi triciclici”. Certamente,<br />

determina alcuni effetti sul sistema nervoso centrale<br />

che possono risultare utili per il controllo della iFLUTD,<br />

dal momento che si ritiene che nello sviluppo della malattia<br />

almeno in alcuni gatti intervengano fattori stressanti. Tuttavia,<br />

il farmaco è dotato di numerosi altri potenziali effetti<br />

benefici in termini di riduzione dell’infiammazione neurogena<br />

nella vescica e di controllo del disagio associato alla<br />

malattia. Generalmente, l’amitriptilina è stata utilizzata alla<br />

dose di 2,5-10 mg per gatto, somministrati una volta al giorno<br />

alla sera (dal momento che l’assunzione può causare una


272 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

sedazione temporanea). Benché studi a breve termine non<br />

siano stati in grado di dimostrare un beneficio, uno studio<br />

aperto non controllato a lungo termine ha suggerito una vera<br />

utilità in alcuni gatti con cistite intrattabile di vecchia data.<br />

Per il trattamento della iFLUTD, vengono anche diffusamente<br />

raccomandati gli integratori con glicosaminoglicani<br />

(GAG) (ad es., pentosanpolisolfato, glucosamina). Anche in<br />

questo caso, il loro impiego è abbastanza controverso, benché<br />

il riscontro di una significativa riduzione delle concentrazioni<br />

di GAG nell’urina dei gatti colpiti dalla cistite idiopatica<br />

rappresenti un valido presupposto teorico al loro<br />

impiego. L’esperienza clinica con questi farmaci è stata<br />

variabile, ma in due studi controllati a lungo termine, l’uso<br />

dei GAG-replacer non è parso determinare una differenza<br />

significativa circa la ricomparsa della iFLUTD nei gatti colpiti.<br />

Ciononostante, benché in entrambi i casi la ricerca non<br />

sia riuscita a dimostrare un significativo effetto utile dei farmaci<br />

impiegati, in ciascuno dei due studi è stato anche identificato<br />

un ridotto numero di singoli gatti che sembravano<br />

rispondere costantemente al loro impiego, mentre i segni clinici<br />

recidivavano quando la terapia veniva cessata. Benché il<br />

quadro complessivo sia ancora incerto, sembrerebbe quindi<br />

che alcuni dei gatti colpiti (anche se forse non la maggior<br />

parte) possano trarre beneficio da questa terapia.<br />

Anche se l’impiego di diete finalizzate specificamente a<br />

ridurre al minimo la produzione di cristalli urinari ha scarso<br />

o nullo valore scientifico per il trattamento della<br />

iFLUTD, la singola componente più importante nel trattamento<br />

a lungo termine di questa malattia è probabilmente la<br />

modificazione della dieta. Questa è l’unica forma di terapia<br />

che si sia costantemente dimostrata realmente utile nei casi<br />

di iFLUTD e ciò costituisce la parte più importante del trattamento<br />

a lungo termine. In uno dei pochi studi controllati<br />

volti a dimostrare un’utilità a lungo termine nei gatti con<br />

cistite idiopatica, quelli alimentati con una dieta umida presentavano<br />

una significativa riduzione del tasso di recidiva<br />

della malattia in confronto a quelli che consumavano una<br />

dieta secca (senza che venisse effettuato alcun altro intervento)<br />

e la concentrazione di urina prodotta nei due gruppi<br />

era significativamente differente. Questo studio ed alcune<br />

osservazioni successive spingono a concentrare l’attenzione<br />

della ricerca sulla dieta come forma più utile di terapia per<br />

l’iFLUTD. Il consumo di una dieta umida (in lattina/in sacchetto)<br />

piuttosto che secca è sempre consigliato e l’uso di<br />

un prodotto “a pH neutro” come la Hill’s c/d in lattina rappresenta<br />

una scelta appropriata perché esita nella produzione<br />

di un pH urinario intorno a 6,3 – corrispondente a quello<br />

che si riscontra tipicamente nei gatti che consumano una<br />

dieta “naturale” a base di roditori. Inoltre, l’uso di una dieta<br />

con un carico di soluti relativamente basso come questa<br />

dovrebbe favorire la produzione di una bassa concentrazione<br />

urinaria, che probabilmente è uno dei principali meccanismi<br />

che determinano i benefici effetti osservati nella terapia<br />

dietetica. Anche l’aggiunta di sale alla dieta in quantità<br />

sufficienti può determinare la produzione di un’urina con<br />

un peso specifico relativamente basso, ma ci possono essere<br />

numerosi potenziali effetti indesiderati associati all’aumento<br />

del contenuto di sale nella dieta (potenziale contributo<br />

all’espansione volumetrica ed all’ipertensione ed esacerbazione<br />

di ogni eventuale compromissione reale presente),<br />

per cui l’uso di integratori salini e diete con livelli di<br />

sale più elevato viene scoraggiato.<br />

L’uso di “pet fountains”, acque aromatizzate ed altri<br />

metodi per accentuare il consumo di acqua (oltre l’uso delle<br />

diete umide) è altamente raccomandato. Nei casi di FLUTD<br />

ricorrente, uno degli scopi primari dovrebbe essere quello di<br />

ridurre il peso specifico dell’urina a 1.035 o meno ed evitare<br />

acidificazioni o alcalinizzazioni anormali.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 273<br />

Diagnosi e trattamento dell’insufficienza renale<br />

cronica nel gatto<br />

Andrew H. Sparkes<br />

BvetMed, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, Newmarket, UK<br />

L’eziologia che sta alla base dell’insufficienza renale cronica<br />

del gatto è spesso oscura, benché sia stata documentata<br />

una gran varietà di cause. La valutazione istologica dei reni<br />

dei gatti colpiti di solito rivela una nefrite interstiziale cronica<br />

(CIN) come riscontro più comune, ma la causa di questa<br />

alterazione è incerta. È stato ipotizzato che la pielonefrite<br />

cronica o la glomerulonefrite possa spiegare almeno in parte<br />

questi casi di “stadio terminale” della condizione.<br />

Le manifestazioni cliniche dell’insufficienza renale cronica<br />

del gatto sono spesso aspecifiche, ed i segni più comuni<br />

sono rappresentati da disidratazione, anoressia, letargia e<br />

perdita di peso. Polidipsia e poliuria (PU/PD), che sarebbero<br />

considerate le principali manifestazioni dell’insufficienza<br />

renale cronica del cane, vengono segnalate molto meno frequentemente<br />

nel gatto, in parte, forse, a causa dello stile di<br />

vita di questi animali (minore riconoscimento della PU/PD),<br />

ma probabilmente anche perché molti di essi mantengono<br />

una capacità di concentrazione dell’urina in presenza di<br />

insufficienza renale cronica molto superiore a quella del<br />

cane. Inoltre, benché la malattia sia tipicamente associata al<br />

riscontro alla palpazione di reni piccoli ed irregolari, molti<br />

gatti con insufficienza renale cronica presentano un ingrossamento<br />

renale che riflette la presenza di condizioni sottostanti<br />

quali nefropatia policistica e linfoma renale che conducono<br />

alla nefromegalia. Altre manifestazioni comuni della<br />

sindrome uremica nel gatto sono rappresentate da vomito<br />

(dovuto agli effetti centrali delle tossine uremiche, all’ipergastrinemia<br />

ed all’ulcera gastrica uremica), pallore delle<br />

mucose (da anemia) e retinopatia da ipertensione (compresi<br />

distacchi retinici). Il riscontro dell’ipertensione sistemica è<br />

stato segnalato in una percentuale di gatti con insufficienza<br />

renale cronica che può arrivare al 60-70%.<br />

La diagnosi dell’insufficienza renale cronica si basa solitamente<br />

sui segni clinici associati alla dimostrazione della<br />

presenza di iperazotemia e di una non appropriata concentrazione<br />

dell’urina. Poiché i gatti mantengono spesso in parte<br />

la capacità di concentrazione durante l’insufficienza renale<br />

cronica, non si osserva necessariamente un’isostenuria. In<br />

uno studio, quest’ultima è stata riscontrata nel 57% dei gatti<br />

con insufficienza renale cronica, ma nel 42% era presente<br />

un’iperstenuria di grado variabile (peso specifico > 1.015).<br />

In un’altra indagine, il 60% dei gatti con insufficienza renale<br />

cronica mostrava un peso specifico > 1.012. Tuttavia,<br />

pochi gatti con insufficienza renale cronica avanzata sono in<br />

grado di concentrare l’urina a valori superiori a 1.035 e il<br />

riscontro di iperazotemia con un’urina di peso specifico <<br />

1.035-1.040 è solitamente considerato una prova di insufficienza<br />

renale primaria. Oltre all’iperazotemia, nell’insufficienza<br />

renale cronica del gatto si osservano comunemente<br />

altre anomalie degli esami di laboratorio. Fra questi risulta-<br />

no importanti l’iperfosfatemia (da diminuzione della velocità<br />

di filtrazione glomerulare), l’acidosi (incapacità dei reni<br />

insufficienti di effettuare l’escrezione del normale carico<br />

acido), l’anemia ipoproliferativa (da riduzione della vita<br />

media degli eritrociti, soppressione uremica dell’eritropoiesi<br />

e carenza relativa o assoluta di eritropoietina).<br />

La misurazione della velocità di filtrazione glomerulare<br />

(GFR) è possibile e costituisce il test standard della funzione<br />

renale, ma le attuali metodologie per questo tipo di determinazione<br />

sono difficoltose e/o costose e quindi non vengono<br />

impiegate di routine nella pratica clinica. Invece, come indicatore<br />

della funzione renale si usa solitamente la valutazione<br />

dei livelli sierici di urea e creatinina. Se vengono eliminati i<br />

fattori non renali, l’iperazotemia implica una perdita funzionale<br />

del 75% o più dei nefroni. Tuttavia, bisogna fare attenzione<br />

a interpretare i livelli di urea e creatinina, in particolare<br />

quando si tratta di valori ai limiti superiori della norma o leggermente<br />

elevati, dal momento che un deterioramento anche<br />

molto elevato della funzione renale a questo punto determinerà<br />

soltanto degli incrementi relativamente piccoli dei valori di<br />

urea/creatinina. Al contrario, alla fine della nefropatia, un<br />

deterioramento relativamente piccolo della funzione renale<br />

può causare un marcato incremento delle concentrazioni di<br />

urea/creatinina. In generale, la creatininemia riflette la funzione<br />

renale in modo più accurato dell’azotemia.<br />

L’inadeguata assunzione di acqua nell’insufficienza renale<br />

cronica è associata a disidratazione, riduzione della perfusione<br />

renale ed ulteriore compromissione della funzione dell’organo.<br />

Alcuni gatti vengono portati alla visita in stato di<br />

scompenso acuto dell’insufficienza renale cronica dovuto ad<br />

improvvisa deplezione volumetrica, mentre altri, soprattutto<br />

durante il progredire dell’insufficienza, possono andare<br />

incontro a disidratazione cronica o ricorrente ed ipoperfusione<br />

renale. I gatti con scompenso acuto richiedono una<br />

fluidoterapia endovenosa e la rivalutazione dell’iperazotemia<br />

dopo correzione della disidratazione, per consentire una<br />

valutazione accurata della funzione renale. Mantenere adeguata<br />

l’assunzione di fluidi è di primaria importanza nell’insufficienza<br />

renale cronica, ed i proprietari devono essere<br />

informati della poliuria obbligatoria che spesso accompagna<br />

la malattia e, quindi, della conseguente necessità per l’animale<br />

di avere libero accesso all’acqua. L’assunzione di<br />

acqua può venire incrementata in una varietà di modi (ad es.,<br />

ricorrendo agli alimenti umidi piuttosto che secchi, oppure<br />

integrando la dieta con acqua o brodi), ma quando i gatti non<br />

riescono a mantenere un’adeguata ingestione volontaria<br />

molti proprietari possono essere disposti a ricorrere alla<br />

somministrazione a casa per via sottocutanea (ad es., utilizzando<br />

fluidi composti da due parti di destrosio 5% ed una<br />

parte di soluzione di Ringer lattato).


274 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

I vantaggi clinici della restrizione proteica nell’insufficienza<br />

renale cronica sono stati sostenuti da studi condotti sia nel<br />

gatto che in altre specie animali. Si ritiene che i prodotti del<br />

catabolismo proteico contribuiscano in modo significativo a<br />

determinare i segni clinici associati alla sindrome uremica,<br />

per cui la restrizione delle proteine non essenziali nella dieta<br />

dovrebbe ridurre i cataboliti azotati e concorrere ad alleviare<br />

i segni clinici come il vomito, l’anoressia, l’inappetenza, la<br />

perdita di peso, l’anemia e la letargia. Una moderata restrizione<br />

proteica in presenza di iperazotemia è quindi una raccomandazione<br />

standard nei gatti con insufficienza renale cronica;<br />

di solito, questo risultato si ottiene preferibilmente<br />

ricorrendo a diete ipoproteiche del commercio.<br />

Se la restrizione delle proteine nella dieta abbia di per sé<br />

un impatto di qualsiasi tipo sulla progressione dell’insufficienza<br />

renale nel gatto è ancora un argomento controverso.<br />

Come nei cani con riduzione del numero dei nefroni, la<br />

risposta dei nefroni superstiti nel gatto è rappresentata da un<br />

incremento della velocità di filtrazione glomerulare del singolo<br />

nefrone (SNGFR, single nephron GFR) ottenuta<br />

mediante iperfiltrazione glomerulare, ipertrofia glomerulare<br />

ed ipertensione glomerulare, ed è associata ad un incremento<br />

della proteinuria. La restrizione delle proteine della dieta<br />

può contribuire a minimizzare queste modificazioni ed una<br />

recente metanalisi di parecchi studi condotti nell’uomo ha<br />

suggerito che la restrizione proteica può rallentare la progressione<br />

dell’insufficienza renale cronica. Tuttavia, anche<br />

ammesso che ciò si applichi al gatto, l’effetto della restrizione<br />

proteica sulla progressione dell’insufficienza renale è<br />

probabilmente piccolo (benché possa influire notevolmente<br />

sulla qualità della vita).<br />

Ciò nonostante, esistono oggi validissime prove del fatto<br />

che il vantaggio clinico dell’impiego di diete a ridotto tenore<br />

di proteine e di fosfati come la Hill’s k/d non determina<br />

solo un miglioramento della qualità della vita, ma anche un<br />

significativo ritardo della progressione dell’insufficienza<br />

renale. Tuttavia, qesto effetto probabilmente è in larga misura<br />

mediato dalla restrizione dei fosfati. La ritenzione di<br />

fosforo nell’insufficienza renale cronica è un fattore importante<br />

nello sviluppo dell’iperparatiroidismo secondario rena-<br />

le ed anche nella mineralizzazione dei tessuti molli. La<br />

restrizione del fosforo nella dieta può quindi attenuare l’iperparatiroidismo<br />

secondario renale e può contribuire a prevenire<br />

le alterazioni istologiche del rene (mineralizzazione,<br />

fibrosi ed infiammazione) riscontrate nei gatti alimentati con<br />

diete non sottoposte a restrizione. Esiste una chiara evidenza<br />

quindi che porta a raccomandare caldamente l’impiego di<br />

una dieta come la Hill’s k/d in lattina nel trattamento di routine<br />

dei felini con insufficienza renale cronica. Se l’iperfosfatemia<br />

persiste (fosforemia a digiuno > 2 mmol/l) nonostante<br />

la restrizione dietetica, si possono somministrare con<br />

i pasti dei leganti del fosforo per uso orale – a questo scopo<br />

è stato raccomandato l’impiego del sevelamer (Renagel®)<br />

alla dose di 200 mg/gatto bid/tid PO.<br />

Anche l’ipokalemia, probabilmente dovuta soprattutto ad<br />

una kaliuresi inappropriata, costituisce un riscontro comune<br />

nell’insufficienza renale cronica del gatto. La manifestazione<br />

cardine della grave ipokalemia è la polimiopatia, con<br />

debolezza muscolare generalizzata e ventroflessione del collo,<br />

ma anche una lieve ipokalemia (senza polimiopatia associata)<br />

può influire negativamente sulla funzione renale e<br />

contribuire all’insufficienza cronica. Le diete per soggetti<br />

nefropatici devono essere ricche di potassio e nei casi in cui<br />

è presente un’ipokalemia si raccomanda caldamente un’integrazione<br />

con questo elemento.<br />

L’ipertensione sistemica è un riscontro molto comune nell’insufficienza<br />

renale cronica del gatto, con una prevalenza<br />

del 20% circa. È molto probabile che l’ipertensione non controllata<br />

porti ad un’insufficienza renale progressiva ed abbia<br />

anche altri effetti (cardiaci, oftalmici, neurologici). Il controllo<br />

adeguato della pressione sanguigna (valore sistolico <<br />

160-170 mm Hg) è importante nell’insufficienza renale e,<br />

probabilmente, il modo migliore per ottenerlo è la somministrazione<br />

di amlodipina (0,625-1,25 mg/gatto/die PO).<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 275<br />

Supporto nutrizionale nel gatto malato/anoressico<br />

Andrew H. Sparkes<br />

BvetMed, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, Newmarket, UK<br />

L’anoressia è una complicazione significativa dei gatti<br />

ospedalizzati, che non va sottovalutata o ignorata. Il paziente<br />

va valutato accuratamente e bisogna prendere in considerazione<br />

sia le strategie non farmacologiche che quelle farmacologiche<br />

per superare il problema. Non tutti i soggetti<br />

inappetenti necessitano di un supporto nutrizionale, ma, se è<br />

necessario effettuare un sostegno appropriato, bisogna identificare<br />

quelli già colpiti o a rischio di sviluppo di malnutrizione<br />

proteico-energetica (PEM) e trattarli precocemente<br />

durante il decorso della malattia per ridurre al minimo gli<br />

effetti indesiderati potenzialmente gravi. L’identificazione di<br />

questi pazienti non è facile, dal momento che la PEM può<br />

avere un’insorgenza insidiosa e non è caratterizzata da alcun<br />

segno clinico specifico. L’ideale sarebbe utilizzare uno o più<br />

test di laboratorio come marcatori sensibili e specifici di<br />

PEM e quindi servirsene per valutare obiettivamente lo status<br />

nutrizionale, ma, al momento attuale, né in medicina<br />

umana né in medicina veterinaria sono disponibili marcatori<br />

semplici ed affidabili. Nella PEM si riscontrino spesso<br />

anomalie dei risultati degli esami di laboratorio (ad es., linfopenia,<br />

riduzione delle proteine plasmatiche [albumina,<br />

transferrina, prealbumina, ecc…] e anemia) che dovrebbero<br />

far sospettare al clinico la presenza della condizione, ma non<br />

si tratta di marcatori né sensibili né specifici. È necessario<br />

prestare maggior attenzione a vari criteri soggettivi per la<br />

valutazione dei nostri pazienti; quelle che seguono sono<br />

linee guida suggerite per individuare il tipo di paziente che<br />

può aver bisogno di un supporto:<br />

• Perdita di ≥ 10% del peso corporeo nei precedenti 7-14<br />

giorni.<br />

• Anoressia o marcata inappetenza di durata ≥ 3 giorni nel<br />

gatto. Nel cane questo periodo di tempo può essere più<br />

prolungato (≥ 5-6 giorni), ma l’incapacità dei felini di<br />

desensibilizzare le transaminasi epatiche per ridurre i fabbisogni<br />

proteici impone un’identificazione precoce della<br />

PEM in questa specie animale<br />

• Presenza di cachessia<br />

• Presenza di grasso corporeo o massa muscolare inadeguati<br />

• Pazienti colpiti da condizioni che esitano in una perdita<br />

diretta di proteine/energia (ad es., peritonite/pleurite essudativa,<br />

specialmente nei casi in cui vengono drenate).<br />

I gatti che vengono portati alla visita con uno qualsiasi di<br />

questi segni clinici devono essere sottoposti ad un monitoraggio<br />

molto stretto dell’assunzione di cibo e, se i fabbisogni<br />

calorici non vengono soddisfatti, è necessario promuovere<br />

immediatamente il supporto nutrizionale. Oltre a stimolare<br />

l’appetito bisogna anche valutare quali siano i modi<br />

per ridurre al minimo lo stress. Ciò può risultare particolarmente<br />

importante nei gatti ospedalizzati e bisogna tenere<br />

conto dei vari aspetti dell’ambiente come il rumore, la temperatura,<br />

la possibilità di nascondersi (ad es., in una scatola<br />

di cartone nella gabbia), l’attenuazione del dolore, l’uso di<br />

spray ai feromoni come il “Felifriend” e l’abitudine di accarezzare<br />

il gatto per incoraggiarlo a mangiare. In caso di inappetenza<br />

moderata o persistente, se non esiste alcun impedimento<br />

fisico alla prensione ed all’ingestione del cibo e se le<br />

circostanze lo consentono, può essere appropriato tentare di<br />

ricorrere alla stimolazione dell’appetito. Numerosi fattori<br />

possono aumentare l’appetibilità del cibo o il desiderio di<br />

mangiare; rientrano fra questi:<br />

• offrire la dieta utilizzata normalmente a casa – i gatti spesso<br />

sviluppano forti preferenze legate alla familiarità<br />

• lasciare a disposizione ciotole per il cibo larghe e profonde<br />

(che non interferiscano con le vibrisse)<br />

• offrire spesso piccole quantità di alimenti freschi<br />

• impiegare gli alimenti umidi piuttosto che quelli semiumidi<br />

o secchi<br />

• offrire cibo riscaldato (26,6-37,8 °C)<br />

• utilizzare una dieta ricca di grassi e proteine (ad es., Hill’s<br />

a/d, Hill’s c/d, Hill’s m/d, Hill’s p/d)<br />

• impiegare alimenti con odori intensi (specialmente carne,<br />

pesce o formaggio)<br />

• offrire un ambiente confortevole e tranquillo<br />

• assicurare un incoraggiamento fisico (carezze e coccole)<br />

• ripulire le incrostazioni nasali eventualmente presenti<br />

• assicurare un’adeguata analgesia in presenza di dolore<br />

In aggiunta alla manipolazione della dieta, in caso di anoressia<br />

persistente si può ricorrere alla stimolazione farmacologica<br />

dell’appetito prima di prendere in considerazione l’alimentazione<br />

mediante sonda. Più sotto vengono indicati<br />

alcuni degli agenti disponibili e comunemente utilizzati. Gli<br />

effetti collaterali associati a glucocorticoidi ed ai progestinici<br />

generalmente ne precludono l’uso come specifici stimolatori<br />

dell’appetito, mentre gli steroidi anabolizzanti non sono<br />

agenti potenti e risultano di scarso o nessun valore nel trattamento<br />

a breve termine dell’anoressia.<br />

• diazepam (0,05- 0,2 mg/kg BID/TID; 1-2 mg/gatto PO,<br />

BIS/TID)<br />

• oxazepam (0,25- 0,5 mg/kg PO SID/BID<br />

• prednisolone (0,25- 0,5 mg/kg PO/IM SID)<br />

• megestrolo acetato (1 mg/kg PO BID)<br />

• ciproeptadina (2 mg per gatto PO BID)<br />

Le benzodiazepine sono efficaci stimolatori dell’appetito<br />

nella maggior parte dei gatti, ma può darsi che non funzionino<br />

così bene in quelli gravemente ammalati. Probabilmente<br />

agiscono determinando una stimolazione diretta dell’appetito<br />

all’interno del SNC, ma i singoli farmaci non sono<br />

equipotenti, dal momento che la loro attività relativa risulta<br />

struttura-dipendente. Il diazepam è quello più ampiamente


276 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

utilizzato in questa classe; è di gran lunga più efficace se viene<br />

impiegato per via endovenosa piuttosto che intramuscolare<br />

o per os e può venire somministrato fino a due o tre volte<br />

al giorno. Come con tutte le benzodiazepine, la dose necessaria<br />

per indurre l’assunzione del cibo spesso esita in sedazione<br />

ed atassia e la posologia va mantenuta al minimo<br />

necessario. Inoltre, in alcuni gatti la risposta alle benzodiazepine<br />

è scadente (soprattutto nei soggetti malati, come già<br />

ricordato) e le proprietà di stimolazione dell’appetito spesso<br />

vanno incontro ad un declino con l’uso prolungato. Generalmente<br />

si raccomanda di non utilizzare le benzodiazepine per<br />

la stimolazione dell’appetito per più di due o tre giorni. L’oxazepam<br />

può essere un farmaco più efficace per il trattamento<br />

per via orale per periodi più prolungati, ma presso la<br />

nostra clinica noi utilizziamo normalmente la ciproeptadina<br />

come stimolatore dell’appetito per os.<br />

La ciproeptadina è un efficace stimolatore dell’appetito in<br />

molti gatti ed è ampiamente disponibile. Si somministra per<br />

via orale e può essere utilizzata sia in ambito clinico che a<br />

casa. Pur essendo molto efficace come stimolatore dell’appetito,<br />

può tipicamente richiedere 2-3 giorni per ottenere un<br />

effetto completo e, come nel caso del diazepam, probabilmente<br />

è molto meno efficace nei gatti gravemente ammalati.<br />

Nel gatto, i fabbisogni delle vitamine del gruppo B (niacina<br />

e piridossina) sono circa 4 volte più elevati che nel cane<br />

e la deplezione sperimentale delle vitamine B conduce ad<br />

anoressia. È quindi importante assicurare un’adeguata<br />

assunzione di queste vitamine (sia per os che per via paraenterale),<br />

ma vi sono scarse prove che indicano che la loro<br />

somministrazione, da sola, sia adeguata per superare l’anoressia<br />

clinicamente manifesta. L’aggiunta di vitamine del<br />

gruppo B ai fluidi endovenosi è un modo facile per garantire<br />

un’assunzione adeguata.<br />

Indipendentemente dallo stimolatore dell’appetito impiegato,<br />

è essenziale valutare criticamente il successo della<br />

terapia. Come nel caso di monitoraggio di qualsiasi paziente<br />

a rischio di PEM, bisogna calcolare i fabbisogni calorici;<br />

una volta che sia nota la densità calorica dell’alimento<br />

impiegato, può venire determinata la quantità di cibo da consumare<br />

nell’arco di 24 ore. Se l’assunzione calorica è inadeguata,<br />

bisogna ricorrere ad altri mezzi per garantire la nutrizione,<br />

come l’alimentazione mediante sonda enterale.<br />

Nel gatto, una causa significativa di anoressia può anche<br />

essere l’avversione al cibo. Questa si manifesta nei casi in<br />

cui ai gatti viene offerto il cibo nello stesso momento in cui<br />

stanno vomitando o hanno la nausea, sia a causa di una<br />

malattia sottostante che per effetto di trattamenti farmacologici.<br />

I gatti che iniziano a rifiutare un alimento offerto quando<br />

avevano la nausea possono continuare a rifiutarsi di mangiare<br />

anche quando la sensazione di nausea è regredita, perché<br />

continuano ad associare i due eventi. Questa è un’altra<br />

ragione per cui può essere importante garantire il supporto<br />

nutrizionale mediante sonda nei casi dubbi, in modo da evitare<br />

lo sviluppo dell’avversione al cibo ed assicurando al<br />

tempo stesso il supporto nutrizionale.<br />

Per l’alimentazione mediante sonda nel gatto si ricorre<br />

comunemente all’intubazione mediante esofagostomia – che<br />

può venire impiegata in modo intercambiabile con quella<br />

rinoesofagea, oppure in via esclusiva nei casi in cui questa non<br />

è tollerata o non può venire utilizzata. Questa forma di alimentazione<br />

è anche adatta al supporto nutrizionale per periodi<br />

più prolungati (ad es., parecchie settimane o persino mesi).<br />

Le sonde da esofagostomia vengono facilmente inserite e si<br />

sono dimostrate notevolmente utili per il supporto nutrizionale,<br />

con pochissime complicazioni. L’inserimento della sonda<br />

richiede una lieve anestesia generale di breve durata, ma, una<br />

volta in sede, questi tubi sono facili da mantenere. Le sonde<br />

da esofagostomia di diametro maggiore consentono l’impiego<br />

di alimenti standard semiliquidi (ad es., la Hill’s a/d è ideale<br />

per questo scopo) e quindi i disturbi gastroenterici sono meno<br />

comuni di quelli che si hanno quando si utilizzano le sonde<br />

rinoesofagee, attraverso le quali si devono somministrare alimenti<br />

liquidi, che sono inevitabilmente relativamente ricchi di<br />

carboidrati. Quando il tubo viene rimosso, la sede della stomia<br />

guarisce entro due settimane e non sembrano verificarsi problemi<br />

come la formazione di stenosi esofagee. Le sonde da<br />

esofagostomia non vanno utilizzate nei casi di disfunzione<br />

esofagea o vomito ripetuto e incontrollato.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 277<br />

Le più comuni dermatosi e il ruolo della nutrizione<br />

Andrew H. Sparkes<br />

BvetMed, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, Newmarket, UK<br />

Gli acidi grassi essenziali sono un gruppo di acidi grassi<br />

polinsaturi (PUFA, polyunsatured fatty acids) necessari per<br />

mantenere la salute normale ed il metabolismo, dal momento<br />

che rivestono un’ampia gamma di ruoli sia in salute che in<br />

malattia. Gli EFA sono parte della componente di tutte le<br />

membrane cellulari dell’organismo e contribuiscono sia alla<br />

struttura che alla funzione delle cellule stesse; inoltre, sono i<br />

substrati della famiglia enzimatica della ciclossigenasi<br />

(COX) e della lipossigenasi (LOX) e, pertanto, rappresentano<br />

i precursori degli eicosanoidi che svolgono un ruolo in<br />

numerosi processi come l’infiammazione, la coagulazione<br />

del sangue, il mantenimento della pressione sanguigna, la<br />

funzione immunitaria e persino la regolazione dei geni.<br />

Le prime ricerche degli anni ’20 del secolo scorso hanno<br />

identificato che la carenza di EFA esitava in numerose manifestazioni<br />

patologiche quali:<br />

• ritardo della crescita<br />

• ispessimento della cute<br />

• desquamazione, formazione di croste ed infiammazione<br />

• infertilità<br />

• insufficienza organica<br />

• morte<br />

Da allora, sono stati condotti molti studi per identificare<br />

ulteriormente il ruolo degli EFA nella malattia ed il loro<br />

potenziale impiego terapeutico, prestando particolare attenzione<br />

alle affezioni dermatologiche, dal momento che questa<br />

è una delle più precoci, più evidenti e potenzialmente più<br />

gravi manifestazioni della carenza di EFA.<br />

Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) sono acidi grassi con<br />

due o più doppi legami nella loro catena di atomi di carbonio.<br />

Ne esistono due gruppi principali, noti come famiglia<br />

omega-3 ed omega-6. Numerosi PUFA a catena più lunga<br />

possano essere sintetizzati (principalmente nel fegato) attraverso<br />

l’attività degli enzimi desaturasi ed elongasi, ma perché<br />

ciò avvenga i mammiferi hanno una necessità assoluta di<br />

apporto con la dieta di acido linoleico (LA – un PUFA omega-6)<br />

ed alfa-linolenico (ALA – un PUFA omega-3), che<br />

non sono in grado di sintetizzare da soli.<br />

L’LA e l’ALA sono abbondanti in vari materiali di origine<br />

vegetale e possono formare la base per la sintesi di altri<br />

PUFA nella maggior parte dei mammiferi, ma ciò non è<br />

necessariamente vero per i carnivori obbligati come il gatto.<br />

I felini possiedono un livello bassissimo di attività enzimatica<br />

della delta-6 desaturasi (ed eventualmente anche di altri<br />

enzimi desaturasici), il che significa che sono in realtà incapaci<br />

di sintetizzare molti dei PUFA necessari a partire dall’-<br />

LA e dall’ALA. I gatti necessitano quindi di un apporto con<br />

la dieta di acido arachidonico (AA, considerato un altro acido<br />

grasso essenziale in questa specie animale) e, probabilmente,<br />

anche di acido eicosapentenoico (EPA) oltre che di<br />

LA e ALA, benché i fabbisogni assoluti di omega-3 siano<br />

stati poco studiati nel gatto ed in altre specie animali.<br />

È stato ben chiarito che la carenza dietetica di EFA omega-6<br />

(acido linoleico) esita in marcate anomalie cutanee. Gli<br />

EFA sono parte integrante delle membrane cellulari, contribuiscono<br />

in modo significativo alla loro fluidità e, quindi,<br />

concorrono a mantenerne normali struttura e funzioni. L’acido<br />

linoleico è anche incorporato nei ceramidi (una famiglia<br />

di sfingolipidi) che formano la principale componente lipidica<br />

dello strato corneo e agiscono sia da adesivi intercellulari<br />

che per il mantenimento delle normali proprietà di barriera<br />

cutanea, prevenendo la perdita di acqua e principi nutritivi<br />

attraverso la cute. Negli stati carenziali, cani e gatti possono<br />

quindi sviluppare varie anomalie dermatologiche come<br />

la seborrea secca, il mantello secco ed opaco, la diminuzione<br />

dell’elasticità cutanea, l’ipertrofia delle ghiandole sebacee,<br />

l’aumento della viscosità del sebo, l’incremento della<br />

perdita idrica transepidermica e l’incremento della proliferazione<br />

delle cellule dell’epidermide (che porta ad ipercheratosi).<br />

L’integrazione con LA fa rapidamente regredire questi<br />

segni clinici ed esistono ulteriori prove del fatto che tale<br />

integrazione può essere utile in altre forme di seborrea.<br />

Oltre al loro ruolo nel mantenere normali l’integrità, la<br />

struttura e la funzione della cute, gli EFA svolgono una funzione<br />

cardine nell’infiammazione, sia a livello cutaneo che<br />

in altre sedi dell’organismo. Il legame fondamentale fra EFA<br />

e processo flogistico è dato dagli eicosanoidi, una famiglia<br />

di derivati ossigenati di tre specifici EFA a 20 atomi di carbonio<br />

– in particolare DGLA ed AA (entrambi EFA omega-<br />

6) ed EPA (un EFA omega-3). Questi EFA vengono liberati<br />

dalle membrane cellulari sotto l’azione della fosfolipasi<br />

(aumento delle quantità che vengono liberate in caso di danno<br />

tissutale). Sugli EFA agiscono quindi sia la ciclossigenasi<br />

(COX-1 e COX-2) che la lipossigenasi (LOX), con la conseguente<br />

formazione di prostanoidi (prostaglandine e trombossani)<br />

e leucotrieni – questi composti formano collettivamente<br />

gli eicosanoidi. Benché l’acido arachidonico sia il<br />

principale EFA liberato dall’attività della fosfolipasi, ed<br />

anche se gli enzimi COX e LOX hanno una selettività preferenziale<br />

nei confronti dell’AA come substrato, sia il DGLA<br />

che l’EPA competono con l’AA come substrati per questi<br />

enzimi ed il loro metabolismo esita nella produzione di una<br />

serie differente di eicosanoidi.<br />

Gli eicosanoidi della serie 2 (derivati dall’AA attraverso<br />

l’attività della COX) e della serie 4 (derivati dall’AA per<br />

l’attività della LOX) sono considerati fortemente proinfiammatori.<br />

Benché siano importanti nelle normali funzioni tissutali<br />

e svolgano una funzione significativa nei normali processi<br />

di guarigione e nella funzione immunitaria, se vengono<br />

prodotti in quantità eccessive questi eicosanoidi possono


278 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

contribuire agli stati infiammatori patologici. In contrasto a<br />

ciò, quelli delle serie 1, 3 e 5 (prodotti dall’attività di COX e<br />

LOX a partire da DGLA ed EPA) sono generalmente considerati<br />

come prodotti di natura non infiammatoria o lievemente<br />

infiammatoria. Inoltre, si ritiene che gli EFA omega-<br />

3 contribuiscano a proprietà antinfiammatorie dirette, in parte<br />

attraverso prodotti del loro metabolismo (ad es., la produzione<br />

delle cosiddette “risolvine della serie E” attraverso<br />

l’attività COX) ed in parte attraverso la modificazione dell’espressione<br />

dei geni coinvolti nel processo infiammatorio.<br />

Questo concetto è particolarmente importante dal momento<br />

che il DGLA e l’EPA competono con l’AA come substrati<br />

per l’attività di COX e LOX e ciò significa che se il contenuto<br />

di EFA delle membrane cellulari può venire alterato<br />

per aumentare il rapporto di EFA omega-3:omega-6 ed<br />

incrementare la percentuale di DGLA in confronto a quella<br />

di AA, la proporzione che ne deriva dei differenti eicosanoidi<br />

verrà modificata a favore della riduzione delle risposte<br />

infiammatorie. D’altro canto, un contenuto omega-6 più elevato<br />

nella dieta tenderà a promuovere una risposta infiammatoria<br />

più energica. In definitiva, ciò significa che è possibile<br />

utilizzare un’accurata e controllata modificazione della<br />

dieta come mezzo per manipolare le concentrazioni tissutali<br />

di differenti EFA in modo da determinare un ambiente dove<br />

vi sia un minore equilibrio infiammatorio degli eicosanoidi.<br />

Ciò sta alla base dell’alterazione delle concentrazioni di<br />

GLA ed omega-3 della dieta nelle condizioni patologiche<br />

associate a stati infiammatori.<br />

Oggi, l’importanza degli EFA della dieta è chiaramente<br />

andata oltre i concetti iniziali della loro rilevanza nel mantenimento<br />

dell’integrità e della struttura normali della cute. Un<br />

esame dei dati pubblicati in letteratura suggerisce che nella<br />

grande maggioranza delle prove cliniche delle malattie cutanee<br />

allergiche di vario tipo, come l’atopia e l’ipersensibilità<br />

da pulci (sia mediante prove aperte che in cieco) nei cani e<br />

nei gatti ai quali è stata assicurata un’integrazione con EFA<br />

(ed in particolare una percentuale più elevata di EFA omega-<br />

3), si è avuto un miglioramento dei segni clinici, con riduzione<br />

dei livelli di prurito e/o altre manifestazioni come il<br />

calo dell’eritrodermia e dell’edema cutaneo, confermando<br />

l’efficacia di questa forma di terapia come importante intervento<br />

collaterale nelle dermatosi infiammatorie.<br />

In un recente studio multicentrico di grandi dimensioni,<br />

condotto su 89 cani adulti con prurito non stagionale attribuito<br />

ad atopia e/o allergia alimentare (attraverso l’esclusione<br />

di altre cause riconosciute del prurito), è stata valutata<br />

l’efficacia della Hill’s d/d® (salmone e riso o selvaggina e<br />

riso). L’efficacia della dieta nel controllo dei segni della<br />

malattia è stata stabilita valutando i punteggi assegnati dai<br />

proprietari e dai veterinari a distanza di 4 e 8 settimane dal<br />

passaggio alla dieta d/d. Qualsiasi cane che avesse ricevuto<br />

integrazioni omega-3 o fosse stato alimentato con diete con<br />

un elevato contenuto di omega-3 nei tre mesi precedenti è<br />

stato escluso dall’indagine. Altri trattamenti che potessero<br />

influire sulla condizione patologica sono stati concessi soltanto<br />

se i cani erano stati in precedenza sotto terapia e se i<br />

protocolli di somministrazione non erano stati modificati per<br />

tutto il periodo di prova. I risultati di questo studio evidenziano<br />

miglioramenti sostanziali e prolungati sia nelle valutazioni<br />

dei veterinari che in quelle dei proprietari, che dimostrano<br />

l’efficacia clinica di una dieta per uso veterinario formulata<br />

in modo accurato. La manipolazione degli EFA della<br />

dieta non costituisce solo una selezione di una fonte proteica<br />

importante per gli animali con sospetta ipersensibilità<br />

alimentare, ma può svolgere un ruolo significativo nei soggetti<br />

colpiti da qualsiasi forma di malattia cutanea allergica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 279<br />

Moderni approcci alla prevenzione<br />

delle malattie trasmesse da vettori nel cane<br />

Dorothee Stanneck<br />

Med Vet, Dipl ECVP, Leverkusen, Germania<br />

In medicina veterinaria si è solidamente affermato il<br />

principio della prevenzione. La regola di base che la profilassi<br />

sia preferibile alla terapia, che si applica nel caso degli<br />

animali da allevamento, deve essere attuata anche nella pratica<br />

dei piccoli animali, ogniqualvolta siano disponibili<br />

prodotti idonei.<br />

Negli ultimi anni, sta divenendo sempre più evidente<br />

l’importanza di proteggere i nostri amici cani dalle malattie<br />

trasmesse dagli artropodi (CVBD, Canine Vector Borne<br />

Disease), invece di cercare semplicemente di curare le<br />

malattie dopo la loro insorgenza. Il controllo e la prevenzione<br />

delle malattie invece del loro trattamento è una strategia<br />

tradizionalmente ben consolidata negli animali da<br />

allevamento, impiegando strumenti igienici e immunologici.<br />

Negli animali da compagnia, vengono comunemente<br />

impiegate le vaccinazioni preventive nei confronti delle<br />

infezioni virali. Ma la specifica categoria delle malattie<br />

infettive trasmesse da vettori nei cani, che spesso hanno la<br />

caratteristica di essere potenzialmente fatali e difficili da<br />

prevenire, trattare o curare, accresce la necessità, e l’opportunità,<br />

di un differente approccio per la protezione dell’animale<br />

ospite nei confronti dei patogeni.<br />

Le principali CVBD vengono trasmesse da zecche (Borrelia<br />

burgdorferi, Ehrlichia canis, Babesia canis, Hepatozoon),<br />

zanzare (Dirofilaria immitis) e flebotomi (Leishmania<br />

infantum). Le più importanti malattie infettive trasmesse dalle<br />

zecche, che causano gravi malattie cliniche nei cani, sono<br />

la babesiosi e l’ehrlichiosi, e in grado minore, le infezioni da<br />

Borrelia burgdorferi e Rickettsia conorii. Comunemente le<br />

infezioni causate da questi due agenti producono infezioni<br />

subcliniche, diagnosticate mediante sieroconversione, e la<br />

loro associazione alla malattia clinica è difficile da dimostrare<br />

nei cani. Inoltre i cani sembrano essere sensibili all’infezione<br />

da Coxiella burnetii (febbre Q) e alle encefaliti virali<br />

trasmesse dalle zecche, ma le segnalazioni di malattia clinica<br />

non sono frequenti. Altre infezioni canine trasmesse<br />

dalle zecche sono causate da Haemobartonella spp., Bartonella<br />

spp., Francisella tularensis e agenti virali che provocano<br />

ad esempio l’encefalite.<br />

I ditteri che trasmettono la dirofilariosi e la leishmaniosi<br />

sono ben noti nell’Europa mediterranea e causano gravi<br />

malattie; la leishmaniosi è inoltre importante come serbatoio<br />

di infestazioni umane.<br />

Dal punto di vista del metodo di prevenzione, le CVBD<br />

possono essere suddivise in due gruppi: 1) la prevenzione<br />

nei confronti del patogeno è possibile e consolidata o 2) la<br />

prevenzione nei confronti del patogeno è impossibile per<br />

diverse ragioni.<br />

Il primo gruppo è costituito per lo più da una CVBD, la<br />

dirofilariosi. La prevenzione di questo parassita cosmopolita<br />

è ben consolidata mediante il regolare trattamento dei cani a<br />

rischio, con lattoni macrociclici almeno durante la stagione<br />

delle zanzare. Non è disponibile alcun vaccino per i cani<br />

come importante strumento di controllo delle altre malattie<br />

trasmesse dagli artropodi, ad eccezione di un vaccino contro<br />

Babesia canis e, in alcuni paesi del mondo, contro Borrelia<br />

burgdorferi. È da molto tempo che si attende un vaccino<br />

contro Leishmania per il controllo di questa grave malattia<br />

nell’uomo, ma attualmente non è ancora disponibile.<br />

Conformemente, il secondo gruppo è costituito dalla<br />

grande maggioranza delle CVBD. La sola possibilità di proteggere<br />

l’animale da queste malattie è interrompere il processo<br />

di trasmissione dal vettore all’ospite. I cicli dei patogeni<br />

e le specifiche relazioni vettore-patogeno-ospite non<br />

sono in tutti i casi compresi al 100%, ma tutti hanno una<br />

caratteristica in comune: la protezione dai vettori si traduce<br />

in una prevenzione della trasmissione dello stadio infestante<br />

da parte del vettore. Poiché solitamente la trasmissione si<br />

verifica durante l’assunzione di un pasto di sangue da parte<br />

del vettore, un farmaco protettivo nei confronti di una<br />

CVBD deve avere un’efficacia abbastanza rapida da prevenire<br />

il morso o la puntura, e l’assunzione di un pasto di sangue,<br />

da parte di una zecca o un flebotomo infestati. La velocità<br />

di trasmissione è differente per i diversi patogeni nei<br />

diversi ospiti. Per esempio, un flebotomo avrà un contatto<br />

con l’ospite di soli pochi secondi, durante i quali deve avvenire<br />

una trasmissione di successo, contrariamente alle zecche<br />

che in certe fasi mostrano una suddivisione dei pasti e<br />

quindi la trasmissione può verificarsi dopo numerose ore o<br />

anche più tardi. Inoltre, il tempo impiegato affinché avvenga<br />

la trasmissione del patogeno differisce tra i differenti generi<br />

di zecca e da patogeno a patogeno: per esempio la rapida trasmissione<br />

di Babesia ed Ehrlichia, che inizia dopo 2 ore, si<br />

contrappone alla lenta trasmissione di Borrelia, che richiede<br />

circa 18 ore per essere trasmessa. Poiché in molti casi la<br />

cinetica della singola trasmissione non è sufficientemente<br />

nota e una singola zecca può veicolare diversi patogeni, il<br />

trattamento preventivo deve essere abbastanza efficace da<br />

tenere sotto controllo persino lo scenario peggiore.<br />

Esiste un ampio spettro di insetticidi e acaricidi disponibile<br />

negli ambulatori dei piccoli animali, nei negozi di animali<br />

o nei supermercati che afferma di essere efficace nei<br />

confronti di numerosi artropodi. Sebbene sia fuor di dubbio<br />

la loro efficacia parassiticida verso i loro target, è<br />

importante indagare se questi prodotti siano idonei nella<br />

prevenzione delle CVBD nei cani. Un insetticida o un aca-


280 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ricida ad azione lenta può influenzare la quantità di sangue<br />

che viene prelevata da un cane infestato oppure può ridurre<br />

la dimensione di una popolazione parassitaria su un cane<br />

trattato o nell’ambiente in cui questo vive, ma non sarà<br />

efficace nel difendere l’animale dalla trasmissione delle<br />

CVBD. Per quanto riguarda questo aspetto, i repellenti o i<br />

farmaci con un’azione estremamente rapida devono rappresentare<br />

la prima scelta. Le nozioni apprese ad esempio<br />

durante il trattamento della malaria nell’uomo devono<br />

essere applicate anche per casi simili in medicina veterinaria,<br />

tenendo presente i requisiti specifici degli animali<br />

rispetto ai pazienti umani. Non sarà possibile né tenere un<br />

cane costantemente sotto una zanzariera né trattarlo ogni 8<br />

ore con uno spray repellente o costringerlo a stare in casa<br />

dopo il sorgere del sole. Pertanto il cane deve essere protetto<br />

per un periodo prolungato ed essere al sicuro dagli<br />

attacchi degli artropodi. Ciò può essere fornito solo attraverso<br />

principi attivi con spiccate proprietà antifeeding, specialmente<br />

certi piretroidi. Nell’ambito di questo gruppo, il<br />

piretroide sintetico permetrina è ben conosciuto nell’impiego<br />

umano per impregnare tende, abiti o altri fibre tessili<br />

utilizzate nell’ambiente domestico.<br />

Da un lato la permetrina agisce da potente repellente grazie<br />

al suo cosiddetto effetto “hot foot” e d’altro canto possiede<br />

un’efficacia abbattente molto rapida. L’associazione di<br />

questi due effetti previene con successo la puntura e/o il<br />

morso di importanti artropodi vettori.<br />

Negli ultimi anni ciò è stato dimostrato in numerosi parassiti<br />

per una soluzione spot-on contenente permetrina/imidacloprid:<br />

la repellenza, misurata come efficacia antifeeding, è<br />

stata dimostrata in numerosi flebotomi (Phlebotomus papatasi,<br />

P. perniciosus, Lutzomyia longipalpis), mosche (Stomoxys<br />

calcitrans) e zanzare (Aëdes spp. e Culex spp.), per un<br />

periodo di numerose settimane dopo un singolo trattamento<br />

spot-on con permetrina.<br />

Per numerose zecche (Ixodes ricinus, Rhipicephalus sanguineus,<br />

Dermacentor spp.) è stata dimostrata una repellenza,<br />

determinata come rapida rimozione dei parassiti dall’ospite<br />

(2 ore dopo la reinfestazione) per un periodo di 3-4 settimane<br />

dopo il trattamento.<br />

Inoltre, sono stati effettuati numerosi studi sulla trasmissione<br />

vettore-ospite che hanno dimostrato con successo l’efficacia<br />

protettiva del trattamento spot-on: in questi studi i<br />

cani sono risultati completamente protetti dalla trasmissione<br />

di Borrelia burgdorferi e Anaplasma phagocytophilum da<br />

parte di Ixodes scapularis.<br />

Riassumendo, è necessario tenere qualsiasi cane, che viva<br />

in aree endemiche per le zecche e/o per i flebotomi o che<br />

viaggia con il proprio padrone in quelle aree, sotto la costante<br />

protezione di tali potenti agenti antifeeding durante l’intera<br />

stagione in cui gli artropodi sono attivi. Pertanto è necessario<br />

avere tali prodotti in un formato comodo da applicare,<br />

come una soluzione spot-on applicata mensilmente, cosicché<br />

il proprietario sia sempre disposto a trattare l’animale<br />

ogniqualvolta sia necessario.<br />

Un cane protetto da questo scudo repellente avrà migliori<br />

probabilità di vivere indisturbato dalla minaccia prodotta<br />

dalle CVBD.<br />

Bibliografia<br />

Blagburn B.L., Spencer J.A., Billeter S.A., Drazenovich N.L., Butler J.M.,<br />

Land T.M., Dykstra C.C., Stafford K.C., Pough M.B., Levy S.A.,<br />

Bledsoe D.L., (2004), Use of imidacloprid-permethrin to prevent<br />

transmission of Anaplasma phagocytophilum from naturally infected<br />

Ixodes scapularis ticks to dogs, Vet. Therapeutics, 5 (3): <strong>21</strong>2-<strong>21</strong>7.<br />

Breitschwerdt E.B., (2003), Canine and feline Ehrlichiosis: new developments.<br />

In: Proceed. <strong>19</strong>th Annual Congress of ESVD – ECVD Tenerife,<br />

Spain, 66-74.<br />

Breitschwerdt E.B., (2003), Transmission times and prevention of tick-borne<br />

diseases in dogs, Comp of Cont. Educ., 25 (10): 742-751.<br />

Mencke N., Volf P., Volfova V., Stanneck D., (2003), Repellent efficacy of<br />

a combination containing imidacloprid and permethrin against sand<br />

fly (Phlebotomus papatasi) on dogs, Parasitol. Res., 90: S107-110.<br />

Mencke N., Volf P., Volfova V., Stanneck D., Miró G., Gálvez R., Mateo M.,<br />

Montoya A. & Molina R., (2005), Repellent Efficacy of a Imidacloprid/<br />

Permethrin spot-on against sand flies (Phlebotomus papatasi, P.<br />

perniciosus and Lutzomyia longipalpis. In: Proceed. 8th. Internat<br />

Symp Ectoparasit Pets, Hannover, Germany, May 2005, p.<br />

Shaw S.E., Day M.J., Birtles R.J. & Breitschwerdt E.B., (2001), Tick-borne<br />

infectious diseases of dogs, Trends in Parasitol., 17 (2): 74-80.<br />

Spencer J.A., Butler J.M., Stafford K.C., Pough M.B., Levy S.A., Bledsoe<br />

D.L. & Blagburn B.L., (2003), Evaluation of permethrin and imidacloprid<br />

for prevention of Borrelia burgdorferi transmission from blacklegged<br />

ticks (Ixodes scapularis) to Borrelia burgdorferi-free dogs,<br />

Parasitol. Res., 90: S106-107<br />

Stanneck D., Fourie L.J., Emslie R., Krieger K., (2005), Repellent efficacy<br />

of imidacloprid 10%/ Permethrin 50% spot-on (Advantix) against<br />

stable flies (Stomoxys calcitrans) on dogs, In: Proceed. 8th. Internat<br />

Symp Ectoparasit Pets, Hannover, Germany, May 2005, p.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 281<br />

Lavoro o vita privata -<br />

La tua clinica assorbe tutte le tue energie?<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Denmark<br />

Per quanto amiamo il nostro lavoro e la nostra professione,<br />

può arrivare un momento in cui la vita non sembra più<br />

scorrere liscia come al solito. Vi sentite più stanchi, è un sollievo<br />

quando un appuntamento viene cancellato e vi sembra<br />

di non trovare più entusiasmo nella vita quotidiana come<br />

facevate prima. Ciò può significare che siete a rischio di elevati<br />

livelli di stress (o esaurimento), qualcosa che la professione<br />

veterinaria ha in comune con altre attività caratterizzate<br />

da “aiutare e curare” come quelle dei medici, delle infermiere,<br />

degli insegnanti, ecc…<br />

Tre livelli di stress<br />

Livello 1 - nessun effetto negativo evidente. La persona<br />

può persino apprezzare la scarica di adrenalina<br />

che gli deriva dal fatto di essere molto occupata.<br />

Livello 2 - irritabilità, affaticamento ed ansia<br />

Livello 3 - tendenza tirarsi indietro, malattia, cattiva<br />

capacità di giudizio, depressione e senso di colpa 1<br />

Quanto siete stressati?<br />

Lo stress e lo stress estremo (esaurimento) si possono<br />

manifestare con una varietà di sintomi, sia fisici che mentali.<br />

Alcuni dei più comuni sono:<br />

- Insoddisfazione cronica del proprio lavoro<br />

- Costante o frequente senso di urgenza<br />

- Tendenza a disumanizzare i clienti o a perdere facilmente<br />

la paziente con gli animali o con il resto del team<br />

- Pessimismo e scarsa fiducia in sé<br />

- Sintomi clinici fastidiosi come: difficoltà di dormire, stanchezza<br />

costante, mal di testa e disinteresse sessuale<br />

- Problemi di relazione, in particolare con il coniuge o i figli<br />

- Scatti emotivi o tendenza ad isolarsi dagli altri<br />

- Malattie ripetute<br />

- Mancanza di interesse per attività sociali o di altro genere<br />

Gli stadi dello sviluppo della professione<br />

Il modo in cui vedete la vostra professione e quello con<br />

cui la svolgete può influire significativamente sulla quantità<br />

di stress che subite. Steven D. Garner, veterinario ed autentico<br />

guru del management, descrive lo sviluppo di un’attività<br />

professionale con tre livelli:<br />

1. Infanzia<br />

2. Adolescenza<br />

3. Maturità<br />

Nello stadio dell’infanzia, la vita è bella. La professione<br />

non è terribilmente impegnativa, state facendo quello che vi<br />

piace e che vi siete preparati a fare. Le persone vi ascoltano<br />

ed avete il tempo di instaurare dei legami con loro. Siete il<br />

punto di contatto personale con i clienti. Questi vi identificano<br />

con la clinica ed avete la sensazione che se volete che<br />

qualcosa sia fatto bene, dovete farlo personalmente. Man<br />

mano che il successo professionale cresce, diventate sempre<br />

più occupati. Questo vi porta allo stadio dell’adolescenza.<br />

Nello stadio adolescenziale, non riuscite mai a trovare abbastanza<br />

gente. Assumete persone per svolgere i compiti che a voi<br />

non piacciono, ma vi sembra di avere dei problemi a trovare le<br />

persone giuste. Vi identificate ancora con la clinica, ma dato<br />

che siete così impegnati le cose vi possono sfuggire ed il servizio<br />

fornito ai clienti non è buono come era di solito. Potete<br />

guardarvi intorno e pensare: Chi sta curando la formazione dello<br />

staff? Chi sta ordinando i rifornimenti? Chi si occupa degli<br />

aspetti tecnologici? Chi sta pianificando il futuro? Potete cercare<br />

di affrontare questi problemi lavorando sempre di più e<br />

finendo per sovraffaticarvi (esaurimento) oppure potete iniziare<br />

ad assumere nuove persone. Ma in qualche modo non sono<br />

mai abbastanza valide. A questo stadio, la clinica si identifica<br />

ancora con voi, e dal momento che è cresciuta fino al punto in<br />

cui voi, come veterinario non siete in grado di controllarla,<br />

svolgere ogni compito, ispezionare ogni attività ed eseguire<br />

ogni funzione, la clinica non va più bene. Nello stadio della<br />

maturità vi rendete conto che la vostra professione è un’attività<br />

imprenditoriale e che la vostra impresa è di tipo commerciale<br />

ed ha lo scopo di venire venduta un giorno e garantirvi una<br />

buona pensione. Questa impresa riguarda i clienti – che non<br />

vogliono necessariamente voi, vogliono un animale sano. Vi<br />

rendete anche conto che in voi ci sono tre persone:<br />

- L’imprenditore – l’inventore fantasioso che ha una visione<br />

ed un sogno con un fine. Il denaro è partecipazione.<br />

- Il manager - la persona che inventa sistemi per gestire le persone<br />

e che passa attraverso un apprendimento costante. Ogni<br />

attività imprenditoriale è una scuola. Il denaro è profitto.<br />

- Il veterinario – colui che produce la ricchezza e determina<br />

chi siamo e come facciamo le cose e che rappresenta il<br />

marchio dell’impresa. Il denaro è salario.<br />

Portare la vostra attività allo stadio di maturità è un modo<br />

che può aiutarvi ad evitare lo stress e l’esaurimento, dal<br />

momento che vi permette di distinguere chiaramente fra la<br />

vostra professione e voi – e vi insegna a fare un passo indietro<br />

e delegare. Tuttavia, lo stress fa parte della vita di ogni<br />

giorno ed anche in una clinica matura può essere utile prestare<br />

attenzione ai modi per affrontarlo.


282 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Affrontare lo stress<br />

Per determinare quale sia il modo migliore per affrontare<br />

lo stress è necessario capire cosa della vostra vita quotidiana<br />

vi stressa. Ci sono tre esercizi che vi aiuteranno a stabilirlo 2 .<br />

1. Classificare i vostri fattori di stress<br />

Dedicate 5 minuti a scrivere tutto ciò che vi provoca stress<br />

– dalle preoccupazioni di salute ed economiche a quelle relative<br />

all’ambiente ed alla porta sporca dei vostri vicini. Poi,<br />

collocate ognuno di questi fattori stressanti in una delle<br />

seguenti categorie:<br />

- Categoria 1: posso controllarlo, e per me è importante<br />

- Categoria 2: non posso controllarlo, e per me è importante<br />

- Categoria 3: posso controllarlo e non è molto importante<br />

per me<br />

- Categoria 4: non posso controllarlo e non è molto importante<br />

per me<br />

Guardate di nuovo la vostra lista. I fattori elencati nella<br />

categoria 1 vanno trattati preferibilmente con tecniche che<br />

modifichino la situazione. Per quelli della categoria 2 è meglio<br />

ricorrere a tecniche che modifichino la vostra percezione o la<br />

vostra risposta corporea allo stress. Chiedetevi seriamente se<br />

avete bisogno oppure no di occuparvi di quelli della categoria<br />

3 e smettete di occuparvi di quelli della categoria 4! 2<br />

2. I ruoli che svolgete<br />

Elencate tutti i differenti ruoli che svolgete nelle diverse<br />

situazioni, ad es., veterinario, amministratore della clinica,<br />

genitore, ciclista, ecc… Poi, ordinate questi ruoli secondo<br />

l’importanza che hanno per voi e pensate a quanto tempo<br />

destinate loro durante un mese tipo. State dedicando la maggior<br />

parte del tempo ai ruoli che sono più importanti per voi?<br />

Lo stress sarà tanto maggiore quanto più elevato sarà il divario<br />

fra l’importanza di un’attività ed il tempo che le dedicate.<br />

3. Equilibrate le vostre attività<br />

Elencate tre cose che vi piacciono e che fate raramente e<br />

tre cose che odiate, ma fate troppo spesso. Pianificate un<br />

momento specifico per svolgere ognuna delle attività che<br />

amate e sforzatevi di trovare un modo per ridurre al minimo<br />

quelle che odiate. Il passo successivo è quello di cercare di<br />

trovare dei modi per affrontare i vostri fattori stressanti. Da<br />

questo punto di vista ci sono tre cose da considerare:<br />

1. Cambiare la situazione<br />

2. Cambiare la vostra percezione/atteggiamento<br />

3. Aumentare la vostra resistenza ai fattori stressanti<br />

Cambiare la situazione<br />

Nei casi in cui è possibile modificare la situazione, è altamente<br />

consigliabile farlo. In questa sede vengono fornite<br />

alcune idee utili come punti di partenza:<br />

- prendete delle responsabilità – ciò vi consente di cambiare<br />

davvero le cose.<br />

- Chiarite i vostri valori – pensate a quello che volete davvero<br />

ottenere dalla vita. Le vostre attività sono bilanciate<br />

e state svolgendo davvero il ruolo che volete?<br />

- Delegate ogni volta che sia possibile. Molti compiti che vengono<br />

svolti dai veterinari possono essere espletati altrettanto<br />

bene (o meglio) da altri membri del vostro team.<br />

- Siate realistici – distinguete fra la perfezione e l’eccellenza.<br />

La perfezione si ottiene solo raramente ed è frustrante<br />

orientare le vostre aspettative su livelli così alti. L’eccellenza<br />

permette di apprendere dagli errori e dai giorni sbagliati<br />

– significa semplicemente che voi state semplicemente<br />

facendo del vostro meglio in ogni momento. Tutti<br />

sono umani. Accettatelo.<br />

- Pensate in modo creativo. Esiste un approccio alla situazione<br />

differente, che non vi si è mai presentato prima?<br />

- Stabilite dei limiti e spiegateli. Ogni volta che decidete<br />

quali sono i vostri limiti, rendeteli molto chiari e rispettateli.<br />

Se decidete di fare un’eccezione, assicuratevi che<br />

l’altra persona capisca cos’è il limite e perché state piegando<br />

le vostre regole personali.<br />

Cambiate la vostra percezione/<br />

atteggiamento<br />

Una buona regola per gestire il tempo è: “non gestite il<br />

tempo. Gestite VOI STESSI”. Certamente, questo atteggiamento<br />

vi aiuterà ad avere l’impressione di esercitare un controllo<br />

migliore. Qui vengono elencati alcuni suggerimenti<br />

che potrebbero essere utili:<br />

- Siate ben consapevoli di cosa potete controllare e cosa no.<br />

- Non fatene un fatto personale. La situazione al lavoro ha a<br />

che fare con quello che FATE, non con quello che SIETE.<br />

- Pensate positivo!! E parlatevi in modo positivo.<br />

- Stabilite dei compartimenti separati - non lasciate che il lavoro<br />

interferisca con la vita privata. Una volta usciti dalla porta,<br />

la vostra attenzione deve essere diretta alla vostra casa.<br />

- Accettate l’aiuto degli altri. Parlate dei vostri stress da<br />

lavoro con la famiglia e con gli amici e cercate di costruire<br />

un sistema di supporto al lavoro dove possiate ridere<br />

della situazione insieme ad altri.<br />

- Evitate le cose che non potete cambiare.<br />

Aumentate la vostra resistenza ai fattori<br />

stressanti<br />

Lo stress è una reazione dell’organismo, di conseguenza,<br />

ci sono cose che possiamo fare per aiutare l’organismo stesso<br />

ad affrontarlo meglio:<br />

- Effettuate delle respirazioni lente e profonde come metodo<br />

per rilassarvi<br />

- Fate regolarmente esercizio – come minimo, dieci minuti<br />

ogni giorno. La parola chiave è OGNI GIORNO<br />

- Mangiate secondo le corrette indicazioni nutrizionali<br />

- Giocate! Con i figli, con il coniuge e con gli amici. Questo<br />

vi aiuta a rilassarvi ed a pensare in modo più creativo.<br />

Bibliografia<br />

1. McMahon, G. Point of view. Counselling (<strong>19</strong>99) 1, 5.<br />

2. Soares, C.J. Give yourself a breather. Veterinary Economics, Oct<br />

2005, 55-63.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Anne Marie Svendsen, Hill’s Pet Nutrition Ltd.Europe<br />

Sherbourne House, Hatters Lane, Croxley Business Park<br />

Watford, Herts WD 18 8WX


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 283<br />

Aspetti finanziari e clinica -<br />

Produrre reddito e ridurre i costi<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Denmark<br />

Per definizione, “profitto = (ricavo - costi)”. Di conseguenza,<br />

una modificazione del profitto si può ottenere soltanto da<br />

una variazione dei ricavi oppure dei costi. Tuttavia, al fine di<br />

analizzare quali servizi vi diano il massimo profitto, dovete<br />

considerare il fatto che esistono due tipi differenti di costi:<br />

fissi e variabili.<br />

I costi fissi sono quelli che restano costanti in un dato periodo<br />

di attività della struttura come i salari, gli affitti, le assicurazioni,<br />

le attrezzature, i telefoni, le autorizzazioni ecc…<br />

I costi variabili fluttuano direttamente in proporzione con il<br />

livello di attività della struttura e comprendono pellicole radiografiche,<br />

attrezzature mediche e chirurgiche, materiali per ufficio,<br />

alimenti per animali, strumenti di laboratorio, ecc…<br />

Tutto ciò evidenzia anche il fatto che nella maggior parte<br />

delle strutture veterinarie non è realistico aspettarsi di riuscire<br />

ad aumentare significativamente il profitto diminuendo i<br />

costi, dal momento che gran parte di essi è direttamente collegata<br />

ai ricavi. D’altra parte, avete un potenziale illimitato<br />

di aumentare le entrate.<br />

La chiave per aumentare i vostri profitti<br />

è quella di far crescere la vostra topline (ricavi)<br />

Diminuire i costi<br />

Facendo riferimento al benchmark fissato dal US study of<br />

Well-Managed Practices, possiamo indicare i target approssimativi<br />

della percentuale di ricavi che i singoli costi potrebbero dare.<br />

Ricavo totale 100%<br />

Costi variabili <strong>21</strong>%<br />

Costi fissi 8%<br />

Costi non veterinari 23%<br />

Costi di struttura 8%<br />

Totale costi di esercizio<br />

Quota disponibile per compensazione veterinaria<br />

60%<br />

e reinvestimento 40%<br />

Compensazione veterinaria <strong>19</strong>%<br />

Compensazione per l’owner management 3%<br />

Totale compensazione veterinaria e di management 22%<br />

Quantità disponibile per il reinvestimento 18%<br />

Quantità reinvestita nella struttura 3%<br />

Quantità che rimane disponibile per i proprietari 15%<br />

Ci sono quattro aree chiave che vi possono essere utili per<br />

diminuire i costi:<br />

• Ridurre i vostri conti esigibili (denaro che i clienti vi<br />

devono)<br />

• Gestire l’inventario<br />

• Gestire il tempo vostro e del vostro team<br />

• Massimizzare l’uso dello spazio della vostra struttura<br />

Dovete riuscire a capire chi vi deve del denaro e quanto.<br />

Poi stabilite con quali clienti potete lavorare per ottenere un<br />

pagamento. Inviate quelli che non sembrano promettenti al<br />

recupero crediti. Fate del vostro meglio per incoraggiare il<br />

pagamento in contanti al momento dell’appuntamento.<br />

Gestire bene il vostro inventario è uno dei fattori chiave<br />

per liberare cassa da destinare all’attività. Cercate di<br />

ridurre l’inventario a scorte per 2-4 settimane. Considerate<br />

il valore autentico dei singoli prodotti (= profitto del<br />

prodotto x numero di volte in cui viene venduto all’anno)<br />

e considerate se ve ne siano o meno alcuni che potrebbero<br />

essere eliminati.<br />

Certi prodotti con margine più basso possono in realtà<br />

portarvi più denaro, perché vengono venduti più spesso.<br />

Evitate la duplicazione dei prodotti, ad esempio stabilite<br />

quali trattamenti antipulci raccomandate e vendete solo<br />

quella marca o, al massimo, una in più.<br />

Delegate per quanto possibile al vostro team – lasciare<br />

che uno di loro gestisca l’inventario è un buon modo per<br />

cominciare. Identificate quali momenti della giornata<br />

sono particolarmente impegnati e quelli in cui si dispone<br />

di tempo che potrebbe essere utilizzato in modo costruttivo.<br />

Considerate l’impiego di questo tempo per migliorare<br />

direttamente l’aspetto o le capacità della vostra struttura<br />

oppure per generare maggiori entrate focalizzandovi sul<br />

modo migliore per seguire i clienti dopo la visita (follow<br />

through) e migliorando la loro collaborazione.<br />

Stilate una lista di priorità che vi garantisca di utilizzare<br />

saggiamente ogni momento risparmiato per far crescere<br />

la struttura.<br />

Considerate lo spazio che avete. Le sale da visita sono<br />

fattori chiave per le entrate e averne abbastanza vi dà l’opportunità<br />

di sfruttare meglio il vostro team. Valutate se sia<br />

possibile destinare le differenti sale a più usi – una stanza<br />

da visita può fungere anche da area odontoiatrica, mentre<br />

uno sgabuzzino per le scope può funzionare anche da stazione<br />

di lavoro extra nel retro. Utilizzate lo spazio verticale:<br />

cercate di stoccare tutto in ordine sulle pareti. Vedete<br />

anche l’articolo “Migliorare la clinica – suggerimenti pratici<br />

di ristrutturazione”.


284 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Generare delle entrate<br />

Quando si parla di generare delle entrate, le possibilità<br />

sono infinite. La cosa principale da ricordare è quella di<br />

focalizzare l’attenzione sulla soluzione più a portata di<br />

mano, più facilmente attuabile e capace di dare il massimo<br />

ritorno dell’investimento. Alcune delle aree che potete prendere<br />

in considerazione sono:<br />

1. Onorari<br />

2. Servizi attualmente prestati gratis<br />

3. Collaborazione della clientela<br />

4. Entrate passive<br />

5. Servizi offerti<br />

Nessuna altra decisione di marketing impatta sul valore<br />

dei profitti o delle perdite (bottom line) in modo altrettanto<br />

diretto e potente come i prezzi: un aumento dei prezzi del<br />

5% è un aumento del 5% della vostra bottom line. Aggiornate<br />

frequentemente i vostri onorari, almeno due volte<br />

all’anno. Devono essere aumentati ALMENO del tasso di<br />

inflazione. Tenete i prezzi nella fascia alta: la maggior parte<br />

dei veterinari tende a farsi pagare meno del dovuto e non<br />

più del dovuto. L’AAHA compliance study ha riscontrato<br />

che i clienti passano ad un altro veterinario perché “quello<br />

di prima era troppo costoso” solo nel 4% dei casi. 1 Inoltre,<br />

considerate il fatto che potete aumentare i vostri onorari del<br />

20%, perdere il 17% dei clienti ed avere ancora le stesse<br />

entrate di prima. La chiave è quella di utilizzare un sistema<br />

di prezzi basato sui valori e stabilire i vostri onorari facendo<br />

riferimento alla percezione che i clienti hanno del servizio<br />

offerto. Può essere necessario stabilire delle tariffe competitive<br />

per i servizi chiave, come le vaccinazioni e le<br />

castrazioni, mentre quelli come le indagini di laboratorio, le<br />

procedure odontoiatriche non di routine e la dermatologia<br />

possono essere prezzate in modo differente, perché avete<br />

l’opportunità di spiegare al cliente il valore del servizio.<br />

Inoltre, considerate il valore totale della visita del cliente: se<br />

il vostro team conosce la storia di ogni singolo animale di<br />

ogni cliente, si dimostra affezionato e dedito a loro e rende<br />

piacevole ogni visita, sarete in grado di chiedere un onorario<br />

più elevato per i vostri servizi. Stabilite gli onorari sulla<br />

base del 90% dei clienti che sono felici di pagare. Se non<br />

ricevete alcuna lamentela circa i vostri onorari, non state<br />

chiedendo abbastanza.<br />

Chiedete un compenso per quello che fate. Nella sola attività<br />

di visita, i veterinari regalano di routine esami medici<br />

(effettuati sia nel corso della visita stessa che subito dopo) e<br />

valutazioni postoperatorie. Tutto ciò sottrae denaro alla bottom<br />

line e svaluta i vostri servizi agli occhi della clientela. Se<br />

prendete consapevolmente la decisione di gettare via qualcosa,<br />

create un fondo all’inizio dell’anno, con una quota fissa<br />

di denaro specificamente destinato a sconti e servizi gratuiti.<br />

Ogni volta che prestate un servizio senza un compenso,<br />

deducetelo dal fondo, e quando questo sarà terminato,<br />

non effettuate più prestazioni gratuite. Ciò vi aiuterà a rendervi<br />

conto di quanto gettate via.<br />

Aumentare la collaborazione da parte della clientela è<br />

un’opportunità enorme di incrementare le entrate. Il maggiore<br />

ostacolo a questa collaborazione è la mancanza di indicazioni<br />

efficaci. 1 Semplicemente fornendo al cliente raccomandazioni<br />

chiare ed energiche in occasione di ogni visita,<br />

è possibile fare molto per aumentare la collaborazione. Tuttavia,<br />

per ottenere ulteriori incrementi, ci sono alcune cose<br />

che potete fare:<br />

• Educare i membri del vostro team, in modo che ognuno<br />

fornisca le stesse raccomandazioni<br />

• Offrire del materiale illustrativo ai clienti nella sala d’attesa,<br />

nella stanza da visita e da portare a casa. Ricordatevi<br />

che se date un pieghevole ad un cliente, dovete sottolinearne<br />

i messaggi chiave mentre lo stanno guardando. Ciò<br />

aumenta le probabilità che si ricordino delle vostre raccomandazioni<br />

e lo leggano.<br />

• Attivare un sistema di programmazione attivo. Chiedete al<br />

team di fissare, alla fine della visita in atto, un nuovo appuntamento<br />

per verificare la corretta attuazione delle cure raccomandate<br />

all’animale. Se il cliente non può accettare l’appuntamento<br />

per quel giorno, chiamatelo due o tre giorni<br />

dopo e poi seguite il caso con un promemoria scritto.<br />

• Effettuare il follow-up mediante il promemoria. Chiamate<br />

le persone dopo che hanno ricevuto il promemoria scritto<br />

per un servizio per aiutarli a fissare un appuntamento.<br />

Il tempo del veterinario è spesso il fattore limitante nei<br />

redditi creativi. Un modo importante per lavorare su questo<br />

problema è quello di generare delle entrate passive (cioè<br />

generate dal team piuttosto che dal veterinario) nella struttura.<br />

Sono fonti importanti di entrate passive cose come la vendita<br />

di alimenti per animali da compagnia, il taglio delle<br />

unghie, la pulizia delle orecchie, la rimozione dei punti di<br />

sutura, i nuovi programmi per cuccioli e gattini, i programmi<br />

di mantenimento del peso e quelli geriatrici.<br />

Considerate quali servizi volete offrire tenendo presente<br />

che gli animali in età geriatrica contribuiscono per il 50% in<br />

più della loro controparte più giovane, il che suggerisce che<br />

un valido programma geriatrico sia un’opportunità alla quale<br />

prestare attenzione. Un’altra opportunità chiave è il trattamento<br />

profilattico dei denti. Molti dentisti specializzati raccomandano<br />

un trattamento profilattico per le patologie dentali<br />

di grado 1 o più, ma solo il 35% dei cani e dei gatti con<br />

affezioni odontoiatriche di grado 2, 3 o 4 è stato visto nel<br />

corso dell’ultimo anno e ha ricevuto cure dentali. 1<br />

Bibliografia<br />

1. The Path to High-Quality Care. American Animal Hospital Association,<br />

2003.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Anne Marie Svendsen, Hill’s Pet Nutrition Ltd.Europe<br />

Sherbourne House, Hatters Lane, Croxley Business Park<br />

Watford, Herts WD 18 8WX


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 285<br />

Migliorare la clinica -<br />

Suggerimenti pratici di ristrutturazione<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Denmark<br />

Fate un passo indietro e guardate la vostra clinica con<br />

occhi critici. Soddisfa le vostre esigenze? Soddisfa quelle<br />

dei vostri clienti? E lo fa in modo piacevole ed altamente<br />

commercializzabile? Un’indagine condotta dalla Hill’s Pet<br />

Nutrition nel <strong>19</strong>98 presso i proprietari di animali da compagnia<br />

ha stabilito che i clienti vogliono una clinica che:<br />

• Sia pulita<br />

• Abbia un buon odore<br />

• Sia luminosa<br />

• Sia ordinata, curata e spaziosa<br />

• Sembri nuova e moderna (ispiri fiducia)<br />

• Garantisca il comfort e la comodità, ad esempio con aree<br />

di attesa separate per cani e gatti, caffè, riviste, zone di<br />

ristoro per cani e parcheggio disponibile<br />

• Allo stesso tempo, voi avete bisogno di una struttura che<br />

sia studiata per offrirvi la migliore pianta possibile e favorire<br />

il flusso del traffico.<br />

Pianta<br />

Cercate di considerare la vostra clinica in termini di<br />

“zone di lavoro”, individuando ad esempio quella dedicata<br />

ai clienti, quella per il trattamento, quella di abitazione,<br />

ecc… Pensate al modo in cui il traffico fluisce da una zona<br />

all’altra. Disegnate una pianta d’insieme della vostra clinica<br />

e servitevi di penne di colore differente per tracciare il<br />

modo in cui si muovono all’interno di essa il team ed i<br />

clienti – ciò evidenzia rapidamente ogni potenziale area di<br />

ingorgo del traffico e può darvi delle idee sul modo per<br />

riorganizzare l’uso degli spazi.<br />

Poiché la prima impressione della clinica si ha attraverso<br />

l’area della reception, questa è una zona chiave sulla quale<br />

focalizzare l’attenzione. Assicuratevi di disporre di un adeguato<br />

spazio di stoccaggio, in modo che la vostra area di<br />

reception non sia in disordine e piena di molte cose differenti<br />

e tinteggiatela con un colore chiaro e caldo. Lasciando<br />

che l’arredamento sia mobile, potrete adattare la stanza a<br />

molti usi differenti senza averla sempre ingombra. Un altro<br />

suggerimento è quello di utilizzare un’illuminazione di buona<br />

qualità che riduca il bagliore dando alla struttura un<br />

aspetto moderno. La vostra area della reception dice chiaramente<br />

ai vostri clienti chi siete e, quindi, dovete davvero<br />

pensare al livello di qualità che volete trasmettere. Considerate<br />

la possibilità di investire in un banco da reception davvero<br />

bello da utilizzare come punto focale per l’intera area.<br />

La sala da visita è lo spazio successivo che il cliente vede.<br />

Anche in questo caso, assicuratevi che sia tinteggiata con un<br />

colore chiaro e caldo. L’uso di armadietti con gli sportelli di<br />

vetro vi permette di vedere rapidamente dove si trova qualsiasi<br />

cosa ed al tempo stesso di mantenere tutto al riparo<br />

dalla polvere ed assicurare all’ambiente un’atmosfera ordinata.<br />

Tutto ciò che trova posto in un armadietto o in un cassetto<br />

vi deve essere collocato. Valutate l’ipotesi di realizzare<br />

un espositore da parete che evidenzi un servizio ed un<br />

prodotto chiave per incoraggiare il cliente a discuterne con<br />

voi. Potete anche utilizzare dei tavoli da visita pieghevoli, in<br />

modo che la prima impressione data al cliente sia quella di<br />

una stanza spaziosa.<br />

In tutta la struttura è importante prestare attenzione al<br />

controllo degli odori e dei rumori. La pulizia frequente, la<br />

progettazione di pareti e pavimenti in modo da consentire<br />

una sanificazione facile ed efficace ed i tentativi di attutire i<br />

rumori sono tutti interventi utili. L’odore ed il rumore possono<br />

rappresentare una parte importante della decisione di<br />

un cliente di continuare o meno a servirsi della struttura.<br />

Ogni volta che sia possibile, realizzate dei locali multiuso<br />

(ufficio e sala da visita, procedure speciali e sala da visita,<br />

ufficio e stanza per i colloqui telefonici, sala comfort per lo<br />

staff ed area di attesa per l’eutanasia, più area di visita per i<br />

pazienti ospedalizzati, ecc…) e installate delle apparecchiature<br />

su tavolini dotati di ruote, in modo da poterli trasportare<br />

facilmente.<br />

Design<br />

I clienti sono alla ricerca di ambienti moderni e spaziosi –<br />

che si possono ottenere più facilmente di quanto pensiate. Ci<br />

sono un paio di elementi chiave che potete voler ricercare<br />

per quanto riguarda:<br />

• Colori<br />

• Luci<br />

• Vetri<br />

• Zone di stoccaggio<br />

• Piante/decorazione<br />

• Arte/personalità<br />

I colori scuri fanno sembrare le stanze più piccole e soffocanti.<br />

L’impiego di un colore chiaro con una tonalità calda<br />

può dare alle stanze della vostra clinica una marcia in più.<br />

Per ottenere un maggiore effetto, ricorrete a piccoli tocchi di<br />

un colore complementare nelle zone circostanti – stipiti delle<br />

porte, riquadri ecc… Valutate ciò che è di moda ed impiegatene<br />

una versione attenuata – dovete comunque ritinteggiare<br />

le pareti ogni 5 anni, quindi il fatto che il colore passi<br />

di moda non è un grosso problema.


286 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

È indispensabile l’impiego appropriato di luci moderne<br />

per garantire condizioni di lavoro confortevoli, servendosi di<br />

sistemi di illuminazione che proiettino cerchi o scie di luce<br />

per evidenziare quadri, espositori, il banco della reception o<br />

altre zone chiave, realizzando un effetto utile per attirare<br />

l’attenzione del cliente. La migliore fonte di luce possibile è<br />

quella naturale. Lucernari, finestre senza imposte o pareti<br />

vetrate sono soluzioni da prendere in considerazione.<br />

Potete usare pareti, finestre o porte interne di vetro per<br />

dare l’impressione di più spazio e per servirvene come strumento<br />

di marketing – ad esempio, disponendo di una finestra<br />

di vetro che si apre sull’area chirurgica, in modo che i clienti<br />

possano vedere le procedure che vi vengono effettuate.<br />

Un’area di stoccaggio adeguata è una caratteristica importante,<br />

che vi aiuta a mantenere uno spazio aperto ed areato.<br />

Cercate una sede di stoccaggio fuori sede per le vecchie registrazioni<br />

in archivio. Cercate ed utilizzate tutti gli spazi fino<br />

al soffitto. Trovate opportunità di stoccaggio sopra le gabbie,<br />

nei vestiboli e sotto le panche. Non esitate ad investire in<br />

nuovi armadietti o soluzioni di stoccaggio – è denaro ben<br />

speso e potrete molto spesso trovare delle opzioni a buon<br />

mercato presso grandi magazzini come l’Ikea. Anche ricorrere<br />

alle porte scorrevoli ogni volta che sia possibile vi lascerà<br />

maggiore spazio utile. Gli armadietti per le scope possono<br />

essere trasformati nelle cose più stupefacenti, mentre le<br />

scope e gli stracci spesso possono essere conservati efficacemente<br />

appendendoli dietro una porta.<br />

Anche l’uso appropriato di piante (collocate dove i cani<br />

non possano urinarci sopra) e di una o due decorazioni può<br />

dare l’impressione di una clinica di gran lunga più moderna.<br />

Chiedete consiglio a qualcuno che sia abituato ad occuparsi<br />

di design interno e siate pronti a dirgli di no se non vi piacciono<br />

i suoi suggerimenti.<br />

Rimodellamento<br />

Il modo più facile per rinfrescare rapidamente l’aspetto<br />

della vostra clinica è quello di eliminare il disordine!! Guardate<br />

quello che avete accumulato. Se non l’avete utilizzato<br />

negli ultimi quattro anni, è probabile che non vi servirà mai.<br />

Se non volete buttarlo via, trasferitelo in un’area di stoccaggio<br />

fuori sede, in modo che non sia d’ingombro. Tutto quello<br />

che potrebbe stare dietro gli sportelli chiusi di un armadietto<br />

deve essere lì. Gli armadietti con gli sportelli di vetro<br />

vi permettono di vedere quello che c’è dentro, ma dovete<br />

assicurarvi che tutto sia ben disposto ed in ordine. Cercate di<br />

tenere il pavimento il più sgombro possibile. Guardate la<br />

vostra area di reception ed assicuratevi di avere un espositore<br />

appropriato per gli alimenti per animali da compagnia. Se<br />

vale la pena di vendere, vale la pena di sollevarlo dal pavimento<br />

e farne un espositore grazioso. Ciò rende più facile la<br />

pulizia e dà alla clinica un aspetto più spazioso.<br />

Potreste decidere di fotografare le differenti aree della clinica.<br />

Spesso noterete in queste immagini qualcosa che avevate<br />

sottovalutato nel momento in cui eravate fisicamente<br />

presenti. Stilate una chiara lista di priorità: quali aspetti della<br />

clinica bisogna rimodellare di più? Cosa si può fare facilmente<br />

e con il massimo risultato? Cosa può essere fatto con<br />

un budget limitato ed una mente creativa? Fate del vostro<br />

meglio per lavorare intorno ai clienti? o, in alternativa, radunate<br />

abbastanza persone da fare il lavoro che si può portare<br />

a termine nell’arco di un week-end o di un breve periodo di<br />

vacanza. Assicuratevi di scattare molte fotografie di come<br />

era la struttura prima della ristrutturazione. Sia voi che i<br />

vostri clienti apprezzerete la presenza di un album “prima e<br />

dopo” in sala d’attesa, che servirà anche a dimostrare ai<br />

clienti che vi occupate della clinica e cercate di fare in modo<br />

che tutto sia sempre in ordine.<br />

Le cose più facili da cambiare (in quest’ordine) sono i<br />

colori, i pavimenti, i soffitti e l’illuminazione.<br />

Il modo più rapido ed economico per migliorare la vostra<br />

clinica è quello di ritinteggiare la sala da visita e l’area della<br />

reception con un colore invitante ed appendere una piccola<br />

quantità di quadri di buon gusto. Ricordatevi che una<br />

tonalità di colore divertente e rilassante per il retro costa<br />

esattamente come il bianco, ma può migliorare il morale.<br />

Poiché gli animali da compagnia trascorrono gran parte<br />

del tempo sul pavimento della sala d’attesa, i clienti notano<br />

immediatamente un cambiamento di questa superficie.<br />

Assicuratevi di avere dei pavimenti facili da pulire, di colore<br />

caldo e di struttura piacevole. Cercate soluzioni economiche<br />

– questa è un’area dove è una buona idea investire in<br />

buoni materiali.<br />

Date un’occhiata in alto e considerate i soffitti: hanno<br />

bisogno di riparazioni e tinteggiatura/tegole nuove? Mentre<br />

fissate i soffitti, considerate la possibilità di aggiungere dei<br />

pannelli acustici nell’area della reception ed in quella del<br />

canile, per attenuare i rumori. I soffitti piacevoli aggiungono<br />

un importante tocco finale e rappresentano lo sfondo<br />

perfetto per la vostra illuminazione. Utilizzando differenti<br />

livelli di luci e vari tipi di impianti nella vostra area da<br />

reception si può ottenere un effetto teatrale. Nell’area dove<br />

sono collocate le sedie impiegare delle lampade ad incandescenza<br />

per ottenere un’atmosfera più simile a quella di<br />

casa. Poi associate differenti tipi di impianti per creare interesse.<br />

Considerate la possibilità di cambiare il colore delle<br />

luci che utilizzate. Le lampadine vengono commercializzate<br />

con temperature di colori che variano da un blu freddo, al<br />

bianco ad un giallo più caldo.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Anne Marie Svendsen, Hill’s Pet Nutrition Ltd.Europe<br />

Sherbourne House, Hatters Lane, Croxley Business Park<br />

Watford, Herts WD 18 8WX


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 287<br />

Come promuovere la vostra struttura - Cosa funziona?<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Denmark<br />

La prima cosa di cui bisogna rendersi conto nel momento<br />

in cui decidete di promuovere efficacemente la vostra struttura<br />

è che per avere successo dovete focalizzare l’attenzione<br />

sul cliente e su ciò che desidera. Una cosa che tendiamo a<br />

dimenticare nella medicina veterinaria è che i clienti sono<br />

anche consumatori e che il comportamento che apprendono<br />

nel resto del mondo, influisce inevitabilmente sul modo in<br />

cui si comportano, comunicano e “comprano” nelle strutture<br />

veterinarie.<br />

Quindi - prima di dare un’occhiata al marketing – ponetevi<br />

queste domande: I miei orari di apertura sono quelli che i<br />

clienti vogliono? Io offro i servizi che i clienti cercano? Tratto<br />

i miei clienti nel modo che desiderano? Le attrezzature<br />

fisiche della mia struttura sono quelle che i clienti cercano?<br />

Essere in grado di rispondere sì a queste domande vi dà<br />

qualcosa su cui costruire la promozione, e una ragionevole<br />

probabilità di successo.<br />

Attirare i vostri clienti<br />

I nuovi clienti vengono da numerose direzioni differenti.<br />

Possono aver visto la vostra clinica passando, avervi trovato<br />

sulla guida del telefono o su internet, avervi trovato nella<br />

comunità o basarsi sul fatto che qualcuno vi ha raccomandato<br />

a loro.<br />

Un modo chiaro, per ottenere l’attenzione dei potenziali<br />

clienti di passaggio è quello di colorare il rivestimento<br />

esterno dell’edificio o le porte frontali con un colore differente<br />

ogni volta che ritinteggiate. Ciò spinge le persone a<br />

fermarsi e prestare attenzione e, si spera, anche a notare<br />

l’aspetto invitante della struttura ed il chiaro messaggio.<br />

Poi, quando vorranno fissare un appuntamento, potranno<br />

facilmente trovarvi sulla guida del telefono e su internet.<br />

Un’altra area dove probabilmente troverete nuovi clienti è<br />

attraverso i contatti che potete tenere con la comunità.<br />

Questo può avvenire attraverso la vostra chiesa, il vicinato<br />

o altri settori, ma considerate anche qualche intervento un<br />

po’ più risoluto. Potete offrirvi alle aziende che operano<br />

intorno a voi per tenere una breve relazione sulla cura degli<br />

animali durante la loro pausa pranzo e rispondere a tutte le<br />

eventuali domande che potranno sorgere. Potete proporre<br />

degli articoli sulla cura degli animali al giornale locale ed<br />

anche offrirgli di tenere una rubrica dove risponderete alle<br />

domande. Se avete una voce piacevole, un altro elemento<br />

da prendere in considerazione è la radio locale. Anche in<br />

questo caso, non dovete necessariamente spendere il vostro<br />

denaro per far pubblicare degli annunci pubblicitari – cercate<br />

di lavorare con loro per offrirgli qualcosa di valore<br />

molto più elevato: il vostro tempo e la vostra competenza.<br />

Chiedete a tutti i nuovi clienti come hanno sentito parlare<br />

di voi. Se vi dicono che siete stati raccomandati loro da<br />

qualcun altro inviate a quella persona una cartolina di ringraziamento<br />

e un piccolo dono! Se la stessa persona vi raccomanda<br />

a più persone, inviategli un dono più grande o<br />

l’offerta di un controllo sanitario gratuito come ringraziamento!<br />

Fino all’80% dei vostri nuovi clienti può derivare<br />

dalle raccomandazioni di quelli che già avete: sostenete<br />

questa tendenza!<br />

Il contatto iniziale e le prime impressioni<br />

Un primo punto chiave di contatto è il telefono. E se questo<br />

primo contatto non è positivo potrebbe essere anche l’ultimo.<br />

Ci sono due aspetti da considerare per valutare l’efficacia<br />

del vostro sistema promozionale al telefono:<br />

1. Il modo con cui si risponde al telefono<br />

2. Quello che viene comunicato attraverso il telefono<br />

Prendetevi il tempo di valutare le conversazioni telefoniche:<br />

si risponde entro i primi tre squilli? La persona che<br />

risponde al telefono lo fa in modo positivo, allegro e piacevole?<br />

Il nome della clinica e quello della persona che<br />

risponde al telefono vengono indicati chiaramente?<br />

Una recente indagine condotta nel Regno Unito ha utilizzato<br />

la tecnica del “cliente sconosciuto” per esaminare<br />

in dettaglio alcune cliniche. 1,2 I clienti che telefonavano<br />

dovevano aspettare 7 squilli o più quasi nel 75% dei casi,<br />

più del 73% non conosceva il nome della persona con cui<br />

stava parlando, l’88,9% non ne conosceva il ruolo ed al<br />

75% non veniva offerto un appuntamento. Inoltre, il 51%<br />

pensava che il livello di informazioni fornite circa la<br />

struttura, le sue attrezzature ed i servizi offerti fosse al di<br />

sotto della media.<br />

Anche quando i clienti entravano dalla porta della clinica<br />

i risultati non erano molto migliori. È quindi importante<br />

preparare i membri del vostro team (e voi stessi) a<br />

rispondere correttamente al telefono, fornire informazioni<br />

adeguate sulla vostra struttura o su ciò che può offrire e<br />

proporre sempre, sempre un appuntamento. Alcune strutture<br />

hanno realizzato dei pieghevoli che possono essere<br />

consegnati o spediti a chiunque chiami con delle domande:<br />

in questo modo la struttura ha una seconda opportunità<br />

di evidenziare i propri punti di forza e le proprie capacità.<br />

Registrate alcune delle conversazioni telefoniche in<br />

modo da poterle utilizzare a scopi didattici e ricordatevi di<br />

garantire un notevole riscontro positivo quando il team si<br />

comporta correttamente.


288 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La promozione con i clienti già esistenti<br />

Uno studio condotto negli Stati Uniti su 924 clienti ideali<br />

provenienti da 54 strutture ha stabilito che i clienti fedeli che<br />

spendono volentieri il loro denaro per i loro animali erano<br />

orientati ai servizi piuttosto che ai prezzi, avevano aspettative<br />

elevate ed avevano la sensazione che la struttura veterinaria<br />

che avevano scelto offrisse loro un livello di medicina e<br />

chirurgia di qualità elevata. 3 Ciò sottolinea la necessità per la<br />

clinica di mostrare chiaramente quali servizi ha da offrire e<br />

farlo in modo professionale. Una buona idea è quella di chiedere<br />

ad un fotografo professionista di scattare alcune immagini<br />

del team nel corso di interventi chirurgici, pulizia dei<br />

denti o prelievi di sangue, oppure mentre tengono in braccio<br />

alcuni animali ecc… ed esporle nell’area della reception.<br />

Fate in modo che siano personali e consentano di identificare<br />

CHI sta eseguendo la procedura, QUALE è, SU CHI viene<br />

eseguita e CHI è il proprietario dell’animale.<br />

Il fatto che i clienti siano stati con voi per anni non significa<br />

necessariamente che sappiano quali servizi offrite, e se<br />

non lo sanno non possono chiederli. Potete stilare una lista<br />

di tutte le vostre prestazioni con una breve spiegazione dei<br />

vantaggi che ne derivano; ad es. “check up e pulizia dei denti;<br />

aiuta a tenere sana la dentatura e dà al vostro animale un<br />

alito più fresco”. Assicuratevi che il servizio venga indicato<br />

col suo nome e spiegato con un linguaggio di uso quotidiano,<br />

al quale il cliente possa fare riferimento. Se è possibile<br />

stabilire un legame con quanto si effettua nell’uomo, ciò può<br />

anche aumentare l’interesse del cliente.<br />

Sia i prodotti che i servizi possono essere illustrati attraverso<br />

un espositore in sala d’attesa. L’ideale è uno tridimensionale,<br />

che consenta ai clienti di prendere i prodotti, specialmente<br />

se offre anche delle spiegazioni sulla loro utilità.<br />

Siate creativi con gli espositori. Ad esempio, per tornare al<br />

caso dei denti e nell’ipotesi che il vostro prodotto sia una<br />

dieta per i problemi odontoiatrici, potreste trovare utile un<br />

enorme spazzolino da denti facilmente realizzabile con del<br />

cartone ed un po’ di fantasia. Incoraggiate il vostro team a<br />

prendere parte attiva nella realizzazione e nel mantenimento<br />

degli espositori ed a utilizzarli come un modo per iniziare a<br />

illustrare ai clienti il prodotto e/o il servizio.<br />

Se avete preso la decisione di rinnovare l’aspetto della<br />

vostra struttura (vedi anche l’articolo “Migliorare la clinica<br />

– Suggerimenti pratici di ristrutturazione”) invitate tutti<br />

ad una “giornata a porte aperte” (Open Day) e utilizzate<br />

la vostra immaginazione per fare in modo che il maggior<br />

numero di persone possibili ne venga a conoscenza. Dimostrate<br />

come si tagliano le unghie ad un cane, spiegate l’a-<br />

natomia dell’orecchio – siate inventivi e fate in modo che<br />

la giornata risulti ricca di informazioni e divertente. Spesso<br />

i clienti non si rendono conto di quanto accade nel retro<br />

della struttura e terminano questa giornata speciale<br />

impressionati e con un nuovo apprezzamento di tutto ciò<br />

che avete da offrire.<br />

Un approccio più diretto è quello di orientarsi verso specifici<br />

gruppi di clienti ed offrire loro un servizio su misura.<br />

Ciò è facilmente attuabile nel caso dei proprietari con animali<br />

anziani. Si può fare sotto forma di una rivista o un altro<br />

tipo di informazione che descriva come mantenere sano e<br />

felice il proprio animale anche in età avanzata. L’attenzione<br />

va focalizzata su come i check up regolari e le analisi di laboratorio<br />

possano evidenziare precocemente le malattie, permettendo<br />

di trattarle in modo efficace con la dieta giusta e le<br />

cure più appropriate. Proponete ai proprietari delle offerte<br />

speciali, in modo che siano incentivati a prendere un nuovo<br />

appuntamento. Si può decidere ad esempio di effettuare un<br />

check up gratuito, facendo pagare al cliente ogni altra prestazione<br />

effettuata nel corso della stessa visita. La chiave è<br />

far sì che i proprietari attraversino la porta, in modo da<br />

garantirvi una possibilità di parlare con loro e spiegargli<br />

come potete aiutare il loro animale.<br />

Un’altra cosa da fare è utilizzare una macchina fotografica<br />

digitale e scattare delle immagini “prima e dopo” delle<br />

procedure dentarie, del taglio delle unghie, della toelettatura,<br />

dei trattamenti chirurgici antineoplastici ecc… Se<br />

contrassegnate le immagini con il vostro logo ed il vostro<br />

numero di telefono prima di stamparle, avrete realizzato<br />

un biglietto da visita esclusivo, che probabilmente il proprietario<br />

conserverà molto più di qualsiasi altro. Avete<br />

anche dimostrato loro quanta differenza ha fatto il vostro<br />

intervento, spingendoli ad apprezzare il valore del servizio<br />

che fornite.<br />

Bibliografia<br />

1. Onswitch Insight survey, 2004.<br />

2. Mystery shopping: a unique look through your clients’ eyes. Vet Business<br />

J, August/September 2005, 4-8.<br />

3. ‘Ideal’ Clients Have Their Say; What’s Important to Them? J Vet<br />

Econ. Jan <strong>19</strong>95.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Anne Marie Svendsen, Hill’s Pet Nutrition Ltd.Europe<br />

Sherbourne House, Hatters Lane, Croxley Business Park<br />

Watford, Herts WD 18 8WX


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 289<br />

Il mio cane soffre?<br />

Osservazioni e riflessioni sul dolore nascosto<br />

e sottovalutato nel cane<br />

Aldo Vezzoni<br />

Med Vet, SCMPA, Dipl ECVS, Cremona<br />

Introduzione<br />

Nella pratica clinica quotidiana degli animali da compagnia<br />

è molto frequente il riscontro di situazioni cliniche croniche<br />

di cui non riusciamo a valutare l’impatto che hanno<br />

sul benessere dell’animale. Mentre risulta evidente la risposta<br />

del cane ad un dolore acuto ed improvviso, manifestato<br />

da lamenti, guaiti, reazioni aggressive o di fuga, la risposta<br />

al dolore cronico è molto più subdola e difficile da rilevare.<br />

Sembra che l’animale affetto da una condizione patologica<br />

che provoca dolore cronico sia come rassegnato a percepire<br />

la sensazione dolorosa, come se si fosse abituato a convivere<br />

con un problema di cui conosce già l’esistenza. Una sorta<br />

di rassegnazione incosciente che gli comporta certamente<br />

una perdita del suo benessere, un malessere di fondo che<br />

abbassa la qualità della vita, ma che non mostra apertamente<br />

all’esterno. Spesso anche l’occhio attento del suo proprietario<br />

con cui vive, magari in simbiosi, può non avvertire<br />

questa situazione di continuo disagio.<br />

Quando formuliamo diagnosi di malattie osteoartrosiche<br />

o di infezioni croniche o di neoplasie o di altre condizioni<br />

che nell’uomo sono notoriamente associate a dolore cronico,<br />

spesso il proprietario ci domanda se il suo cane soffre,<br />

preoccupato del fatto di non accorgersene e di non fare nulla<br />

per alleviare il suo dolore.<br />

Il criterio della similitudine con l’uomo<br />

Sappiamo che il sistema nervoso del cane è molto simile<br />

a quello dell’uomo e le vie del dolore, i nocirecettori e la<br />

risposta agli analgesici sono in gran parte sovrapponibili a<br />

quelli dell’uomo. Sappiamo anche che quando lo stimolo<br />

algico è improvviso ed acuto, il cane mostra apertamente di<br />

sentire dolore, dimostrando che le sue vie del dolore conducono,<br />

come nell’uomo, alla sensazione cosciente, cerebrale<br />

e spiacevole del dolore. Possiamo quindi ritenere, per<br />

il criterio dell’analogia o della similitudine, che condizioni<br />

patologiche che nell’uomo provocano dolore cronico, lo<br />

provocano anche nel cane.<br />

Dolore cronico e continuo, con momenti di maggior<br />

intensità e momenti di relativa remissione, ma che accompagna<br />

ogni giorno la vita del cane. Chiunque di noi abbia<br />

sperimentato dolori cronici, per condizioni di artrosi, problemi<br />

dentali, dolori addominali od altro, è consapevole del<br />

dolore e del malessere sentito, pur riuscendo a svolgere le<br />

proprie attività quotidiane.<br />

Segnali di un dolore cronico<br />

Se il cane potesse parlare, certamente il problema del riconoscimento<br />

del dolore cronico sarebbe già risolto. Il dolore è<br />

una sensazione soggettiva e solo chi lo sente è in grado di quantificarlo.<br />

Nessuno può “sentire” il dolore di un altro essere. Nell’uomo<br />

il dolore è quello che il paziente dice di sentire e nell’animale<br />

è quello che noi pensiamo lui senta; ma ignorare il<br />

dolore animale solo perché non sappiamo misurarlo con certezza<br />

condannerebbe i nostri pazienti ad una sofferenza non<br />

dovuta ed evitabile. È tipico per la stragrande maggioranza dei<br />

proprietari di cani accorgersi di quanto dolore e fastidio cronico<br />

avesse il loro animale solo dopo aver visto il miglioramento<br />

evidente delle sue condizioni generali e del suo comportamento<br />

una volta eliminato il dolore o la causa del dolore con un trattamento<br />

efficace. Tuttavia, il cane, pur non essendo dotato della<br />

parola, ha la possibilità di mostrarci dei segni indiretti, con il<br />

suo comportamento, che noi dobbiamo imparare a riconoscere<br />

affinando la nostra sensibilità, oltre ad applicare il criterio della<br />

similitudine con l’uomo per l’impatto doloroso delle patologie<br />

riscontrate. Non potendoci basare su quei segni comportamentali<br />

così evidenti che accompagnano il dolore acuto e<br />

improvviso, dobbiamo affinare la nostra osservazione su altri<br />

segni indiretti. Il cane che soffre di un dolore cronico, oltre ad<br />

una rassegnazione incosciente, assume anche degli atteggiamenti<br />

di protezione che nella sua esperienza gli possono servire<br />

per non esacerbare il suo dolore o per sentirlo meno pressante.<br />

Può ad esempio limitare l’attività fisica in caso di dolori<br />

articolari, cercando di sedersi spesso fino ad apparire pigro,<br />

timido od invecchiato agli occhi del proprietario. Così, un cane<br />

affetto da artrosi coxofemorale bilaterale per displasia, prima di<br />

manifestare apertamente delle gravi difficoltà di deambulazione<br />

e ad alzarsi da seduto, può nascondere per anni la sua condizione<br />

cercando di spostare il suo baricentro in avanti, sfruttando<br />

maggiormente le zampe anteriori ed i muscoli della<br />

schiena. Il cane è paragonabile ad un’auto a quattro ruote<br />

motrici e può modulare la trazione od il carico ponderale spostandoli<br />

laddove non ha dolore, agendo quindi sul suo portamento<br />

e sul suo equilibrio muscolare. Nelle forme di dolore<br />

articolare più intenso, come ad esempio in caso di schiacciamento<br />

del menisco in seguito a rottura cronica del legamento<br />

crociato, il cane, a fronte talvolta di una zoppia non particolarmente<br />

intensa, presenta dei tremori muscolari della coscia che<br />

testimoniano il dolore articolare cronico. In altre forme di dolore<br />

cronico, il cane può diventare apatico, svogliato, reattivo alle<br />

manipolazioni e insofferente verso altri cani o verso i bambini<br />

che potrebbero disturbarlo ed esacerbargli il dolore.


290 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Condizioni frequenti di dolore cronico<br />

Sono molteplici le condizioni nel cane che si accompagnano<br />

ad un dolore cronico, latente e persistente, con periodi<br />

di maggior o minor intensità. L’osteoartrosi è la condizione<br />

più frequente, che riguarda oltre il 20% dei cani adulti,<br />

e può interessare in vario grado tutte le articolazioni. In<br />

funzione della razza canina, dell’età e della destinazione<br />

funzionale, sono colpite le articolazioni delle spalle, dei<br />

gomiti, del carpo, delle anche, delle ginocchia e dei garretti.<br />

Molti cani poi soffrono di malattie discali della colonna<br />

vertebrale che oltre a condizioni acute, possono determinare<br />

anche situazioni sub-acute e croniche di dolore neurogenico.<br />

I cani poi possono soffrire di patologie croniche del<br />

cavo orale, per paradontopatie, o per infezioni alveolari. Un<br />

tipico esempio di dolore cronico nascosto è quando il cane<br />

sviluppa un’infezione ossea alveolare a livello del dente<br />

lacerante; questa provoca un’erosione dell’osso mascellare<br />

con formazione poi di una fistola odontopatica che finalmente<br />

permette al proprietario ed al veterinario di rendersi<br />

conto del problema e immaginare quindi il dolore patito dal<br />

cane nelle precedenti settimane per la stimolazione continua<br />

del trigemino. Ci sono infine molteplici situazioni patologiche<br />

croniche che possono essere associate a dolore cronico,<br />

come le cistiti, i calcoli urinari, le enterocoliti, le otiti,<br />

le dermatiti croniche, i corpi estranei da forasacco, e altre<br />

condizioni che sappiamo quale impatto abbiano sugli esseri<br />

umani per condizioni simili. I tumori infine, specialmente<br />

nelle fasi avanzate, per gli effetti invasivi, compressivi ed<br />

istolesivi sulle strutture vascolo-nervose, determinano un<br />

dolore cronico che nell’uomo necessita di una continua ed<br />

efficiente terapia del dolore.<br />

Prove oggettive dell’esistenza di un dolore<br />

cronico e nascosto<br />

Per quanto riguarda l’osteoartosi, la dimostrazione oggettiva<br />

del dolore cronico che essa provoca è la riduzione della<br />

massa muscolare dell’arto interessato, facilmente rilevabile<br />

nelle condizioni monolaterali, per il paragone con l’arto<br />

sano, mentre in quelle bilaterali, come la displasia invalidante<br />

dell’anca, si osserva una diminuzione generale del<br />

tono muscolare di tutto il treno posteriore. Radiologicamente<br />

è possibile valutare la gravità dell’osteoartrosi dal grado di<br />

sclerosi subcondrale, proporzionale ai carichi ponderali concentrati<br />

su aree articolari ridotte, dall’entità delle proliferazioni<br />

ossee periarticolari e dall’assottigliamento della rima<br />

articolare, indicativo della perdita dello strato cartilagineo.<br />

Con il perdurare di una condizione artrosica grave e con il<br />

conseguente risparmio dell’arto o degli arti interessati, si<br />

determina un’osteoporosi da disuso dei segmenti ossei coinvolti,<br />

con grave anchilosi delle articolazioni artrosiche. In<br />

altre condizioni che provocano dolore cronico è più difficile<br />

ottenere delle loro valutazioni oggettive, anche se le modificazioni<br />

comportamentali sono già particolarmente indicative,<br />

come una facile affaticabilità, un’apparente pigrizia e<br />

svogliatezza, un invecchiamento precoce, fino a presentare,<br />

nei casi più gravi, un’espressione del volto tesa che ricorda<br />

l’espressione umana di un volto sofferente.<br />

La prova del nove: eliminare o alleviare<br />

il dolore cronico<br />

La miglior dimostrazione che un cane soffre di un dolore<br />

cronico è quella di osservare il suo comportamento dopo<br />

essere riusciti ad eliminare il dolore o la sua causa con un<br />

trattamento efficace. Dopo intervento di protesi d’anca, ad<br />

esempio, il cambiamento eclatante ed inequivocabile del<br />

comportamento del cane, che passa da apatia e pigrizia a<br />

iperattività ed euforia, in un clima di ritrovata giovinezza, fa<br />

chiaramente capire in tutta la sua entità il dolore cronico che<br />

prima lo affliggeva per le sue anche artrosiche. Dimostrazioni<br />

simili si osservano, oltre che con trattamenti chirurgici<br />

efficaci, anche in seguito a terapie farmacolgiche in grado di<br />

togliere o alleviare grandemente il dolore; il cane mostra<br />

immediatamente il sollievo avuto con una maggior disponibilità<br />

al gioco e ad uscire per le passeggiate, con una maggior<br />

resistenza fisica. Da triste il cane ritorna allegro e vivace,<br />

più disponibile ad interagire con l’ambiente circostante.<br />

Tipicamente poi, sospendendo la terapia e terminato l’effetto<br />

terapeutico, il cane ritorna alla condizione preesistente.<br />

Un impegno per il benessere del cane<br />

Il medico veterinario, nell’immaginario collettivo, deve essere<br />

un esperto in grado di farsi interprete dei bisogni dell’animale,<br />

per evitarne la sofferenza e per migliorarne la qualità di vita.<br />

Affinché quest’aspettativa, che deve essere anche la “mission”<br />

stessa del medico veterinario, non venga delusa, è necessario<br />

che il sanitario sappia cogliere le situazioni patologiche che provocano<br />

dolore cronico, sappia inquadrarne la gravità e l’impatto<br />

sulla qualità della vita del cane, sappia prevenirle quando<br />

possibile e sia in grado di suggerire i trattamenti più indicati<br />

quando sono ormai presenti. Trattamenti che saranno tesi ad eliminare<br />

la causa del dolore con un trattamento eziologico, quando<br />

fattibile, o instaurando una terapia in grado di alleviare al<br />

massimo il dolore. Le conoscenze sulla generazione e la trasmissione<br />

del dolore ha permesso di individuare più punti in cui<br />

intervenire con un trattamento multimodale del dolore, per<br />

ridurre le dosi dei singoli farmaci e quindi anche dei loro effetti<br />

collaterali, come pure per agire a diversi livelli.<br />

E il gatto?<br />

Tutto quanto si è detto per il cane vale anche per il gatto, con<br />

anzi una maggior enfasi, in quanto si tratta di un animale che,<br />

per la sua naturale riservatezza, rende ancor più difficile il riconoscimento<br />

del suo stato di sofferenza cronica. Le condizioni<br />

che più frequentemente provocano dolore cronico nel gatto<br />

sono le patologie orali, le otiti e le riniti croniche, le artropatie e<br />

le cistiti, oltre alle neoplasie nei soggetti più anziani. Il gatto<br />

sofferente mostra una riduzione della sua attività fisica, fino ad<br />

evitare la sua pulizia quotidiana e a sporcare fuori dalla cassetta<br />

per non spostarsi fino a raggiungerla. Il trattamento del dolore<br />

nel gatto deve rispettare le sue peculiarità fisiologiche tenendo<br />

conto della diversa farmacodinamica nel gatto dei comuni<br />

farmaci utilizzati per la terapia del dolore nel cane.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Aldo Vezzoni, Clinica Vterinaria<br />

Via Massarotti 60/A, 26100 Cremona


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 291<br />

Shunt polmonare ed alterazioni dell’emogasnalisi<br />

nel paziente critico<br />

Fabio Viganò<br />

Med Vet, SCMPA, San Giorgio su Legnano (MI)<br />

Una delle cause più spesso sottovalutate di ipossiemia nei<br />

pazienti critici è lo shunt. Lo shunt polmonare (Q s/Q t) consiste<br />

in un passaggio di sangue dal distretto venoso a quello<br />

arterioso in assenza di una adeguata ossigenazione. La conseguenza<br />

è la presenza di sangue venoso misto a quello arterioso<br />

con un deficit del contenuto totale di ossigeno (CaO 2)<br />

responsabile di una diminuzione della disponibilità di ossigeno<br />

(DO 2). Lo studio della funzionalità respiratoria in pazienti<br />

critici umani affetti da ARDS (sindrome da distress respiratorio<br />

acuto) utilizzando gas inerti, ha messo in evidenza la<br />

possibilità di avere zone di shunt pari al 20% del parenchima<br />

ed alterazioni della ventilazione perfusione (V/Q) pari al<br />

50%. In questi pazienti i polmoni vengono ventilati per circa<br />

la metà, mentre il rimanente parenchima è solo perfuso. Le<br />

cause più comuni di shunt polmonare (presenza di aree polmonari<br />

non ventilate ma perfuse) nei nostri pazienti sono: la<br />

presenza di liquido a livello alveolare, l’atelectasia, l’insufficiente<br />

diffusione e gli shunt destro sinistri. Alcuni esempi<br />

tipici di shunt sono: l’edema polmonare (la presenza di zone<br />

polmonari ripiene di liquido è causa di shunt polmonare in<br />

quanto impediscono la normale ventilazione, causando uno<br />

shunt destro-sinistro) la polmonite, la polmonite ab ingestis,<br />

l’atelectasia polmonare, i tumori, le patologie cardiache<br />

caratterizzate da shunt destro sinistro come il dotto arterioso<br />

pervio, la tetralogia di Fallot, la stenosi tricuspidale, le fistole<br />

atrioventricolari, la trasposizione di grandi vasi e gli shunt<br />

vascolari intrapolomonari (es. anastomosi bronchiali). Questi<br />

ultimi sono più rari, gravi e conseguenti ad un’anomalia<br />

vascolare responsabile di aree dove il rapporto V/Q è gravemente<br />

compromesso. Questi pazienti manifestano un’ipossiemia<br />

generalmente refrattaria alla ossigenoterapia e manifestano<br />

ipossiemia anche in assenza di malattie dell’apparato<br />

respiratorio od interessanti gli altri apparati.<br />

La conseguenza di uno shunt polmonare, indipendentemente<br />

dalla causa che lo ha prodotto, è identificabile, specificabile<br />

e quantificabile attraverso l’emogasanalisi arteriosa.<br />

L’emogasanalisi infatti identifica il problema (ad es. ipossiemia<br />

od ipercapnia), lo specifica (ad es. insufficienza ventilatoria<br />

o di ossigenazione) e ne quantifica la gravità.<br />

L’emogasanalisi misura: il pH, la pressione parziale dell’ossigeno<br />

disciolto nel sangue (paO 2), la pressione parziale<br />

dell’anidride carbonica disciolta nel sangue (paCO 2), calcola<br />

invece lo ione bicarbonato (H 2CO 3) e l’eccesso di basi<br />

(BE). L’emogasanalisi può essere effettuata su campioni di<br />

sangue venoso od arterioso. Al fine di valutare gli shunt polmonari<br />

è necessario effettuare campioni arteriosi. Le arterie<br />

più comunemente utilizzate sono la femorale, la metatarsale<br />

dorsale, la brachiale e l’auricolare. La puntura dell’arteria<br />

può risultare dolorosa in quanto la parete arteriosa, a differenza<br />

di quella venosa ha un’innervazione maggiore, specialmente<br />

nei grossi vasi. Per tale motivo molti operatori<br />

preferiscono utilizzare arterie di piccolo e calibro ed aghi<br />

sottili. Quando sono necessari campionamenti ripetuti è consigliabile<br />

posizionare un catetere arterioso per effettuare<br />

campioni seriali. Il prelievo può essere effettuato con siringhe<br />

realizzate all’uopo oppure eparinizzando delle comuni<br />

siringhe da insulina. Per eparinnzare le siringhe può essere<br />

utilizzata dell’eparina sodica aspirandone una piccola quantità<br />

e rimuovendone l’eccesso espellendo il contenuto con lo<br />

svuotamento ottenuto premendo fino in fondo lo stantuffo<br />

della siringa. In questo caso la misurazione della concentrazione<br />

di sodio ematico risulterà non attendibile. Alcuni strumenti<br />

emogasanalitici permettono di utilizzare il sangue<br />

intero non eparinizzato e campionato con siringhe comuni. Il<br />

campione deve essere analizzato il più precocemente possibile<br />

o conservato a temperatura controllata (zero gradi centigradi),<br />

quando il campione deve essere inviato ad un laboratorio<br />

esterno è bene consultarlo circa la modalità di campionamento<br />

e conservazione.<br />

Per riconoscere la presenza di uno shunt polmonare è necessario<br />

conoscere la pressione parziale dell’ossigeno a livello<br />

alveolare ed a livello ematico, quindi calcolando gli indici dell’ossigeno<br />

si identifica la presenza-assenza del deficit.<br />

Indici basati sulla pressione dell’ossigeno<br />

La pressione parziale dell’ossigeno si riferisce alla quantità<br />

di ossigeno misurata in mmHg o in kilopascal (mmHg<br />

x 0,133 = kPa) disciolta nel plasma, non è perciò dipendente<br />

dalla quantità di emoglobina e dalla sua affinità per l’ossigeno,<br />

ma è influenzata dalla percentuale di ossigeno inspirata<br />

(frazione di ossigeno inspirata = FiO 2), dalla pressione<br />

barometrica (mmHg) e dalla umidità relativa dell’aria (%).<br />

I valori normali di paO 2 sono compresi tra 80 e 110 mmHg.<br />

Quando la pressione barometrica diminuisce, come ad<br />

esempio in alta montagna, la quantità di ossigeno disciolta<br />

nel sangue si riduce, tale riduzione è proporzionale alla<br />

riduzione della pressione atmosferica. L’ipossiemia può<br />

essere perciò aggravata o causata da una riduzione della<br />

FiO 2. La pressione barometrica (P b) dipende dal peso dell’atmosfera<br />

a livello del punto di misurazione. A livello del<br />

mare è di circa 760 mmHg, ciò significa che la pressione<br />

presente a tale livello sorregge una colonna di mercurio alta<br />

760 mm. Ad un’altezza sulla terra di circa 8.000 metri di<br />

altitudine è di circa 253 mmHg. Quando si vuole calcolare


292 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

la pressione parziale di un gas (P gas) nell’atmosfera è necessario<br />

moltiplicare la sua percentuale (0,<strong>21</strong> nel caso dell’ossigeno)<br />

per la pressione atmosferica. Per misurare la P gas<br />

dell’ossigeno nell’aria ambiente deve essere sottratta l’umidità<br />

presente nell’aria (normalmente 27 mmHg). Quindi per<br />

conoscere la pressione parziale dell’ossigeno nell’atmosfera<br />

è necessario calcolarla nel modo seguente: P gas = 0,<strong>21</strong> x<br />

(P b-27 mmHg). La P gas dell’ossigeno a livello del mare è di<br />

circa 153 mmHg, mentre ad 3.900 metri di altitudine è di<br />

circa 85 mmHg, nelle camere iperbariche dove la pressione<br />

è di circa 2 atmosfere si otterrà una P gas dell’ossigeno di circa<br />

1520 mmHg (760 x 2 = 1520 mmHg). Per calcolare pressione<br />

parziale dell’ossigeno a livello alveolare è necessario<br />

sottrarre alla quantità di ossigeno inspirata e presente nell’aria<br />

ambiente (vedi formula del P gas) la quantità di anidride<br />

carbonica alveolare veicolata con il pre-carico e rilasciata<br />

dal sangue venoso. La formula per calcolare la pressione<br />

parziale dell’ossigeno alveolare a livello del mare è la<br />

seguente: PAO 2 = 150 – PaCO 2.<br />

Dei gas inalati solo l’ossigeno e l’anidride carbonica diffondono<br />

passivamente attraverso la membrana alveolare e<br />

capillare, perciò la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue<br />

arterioso non potrà mai essere superiore a quella inalata<br />

(PAO 2) ed in condizioni normali corrisponde a circa 5 volte<br />

la FiO 2. Perciò se un paziente respira ossigeno puro (FiO 2 =<br />

1), ad. esempio durante l’anestesia generale in pazienti intubati)<br />

dovrebbe avere una paO 2 di circa 500 mmHg, se invece<br />

sta ricevendo ossigeno attraverso una sonda nasale (FiO 2 =<br />

0,3 – 0,4) dovrebbe avere una paO 2 di circa 150 - 200 mmHg.<br />

Conoscendo la PAO 2 e la paO 2 è possibile calcolare il gradiente<br />

alveolo-arterioso (A-a) con la seguente formula: A-a<br />

= PAO 2 - paO 2. Il A-a è indice della capacità dei polmoni di<br />

trasportare l’ossigeno dagli alveoli al sangue. I valori normali<br />

di A-a dovrebbe essere inferiore a 15 mmHg (K188) se<br />

la FiO 2 è di 0,<strong>21</strong> ed è maggiore di 100 mmHg se la FiO 2 è<br />

pari ad 1. <strong>Maggio</strong>re è il valore di gradiente e maggiore sarà<br />

la difficoltà del paziente ad ossigenarsi e più grave l’ipossiemia.<br />

Dato che l’ossigeno diffonde liberamente attraverso gli<br />

alveoli, in condizioni ideali il gradiente dovrebbe essere<br />

uguale a zero, ma la presenza di shunt presenti in condizioni<br />

normali tale valore si attesta attorno a 10. Valori compresi<br />

tra 10-20 sono considerati come lieve deficit di diffusione,<br />

da a 30 sono considerati di grado medio, mentre valori superiori<br />

a 30 gravi. Il A-a deve essere tenuto sotto stretto controllo,<br />

attraverso prelievi seriali, in quanto il suo monitoraggio<br />

è di notevole ausilio per comprendere la gravità della<br />

patologia e la sua evoluzione nel tempo. Gli shunt polmonari<br />

sono causa di alterato rapporto tra FiO 2 e PaO 2, mentre,<br />

mentre alterazioni del rapporto ventilazione perfusione<br />

(V/Q) non modificano sostanzialmente la concentrazione<br />

dell’ossigeno nel sangue. Il problema si complica quando<br />

vogliamo calcolare il A-a durante l’ossigenoterapia. In queste<br />

condizioni la misurazione del gradiente può non risultare<br />

accurata, si preferisce perciò calcolare il rapporto paO 2/<br />

FiO 2. In condizioni normali tale rapporto deve essere maggiore<br />

di 200-250, in condizioni ideali, se un paziente respirando<br />

aria ambiente ha una paO 2 pari a 100, il rapporto paO 2/<br />

FiO 2 sarà. 100/0,<strong>21</strong> = 476. Valori di paO 2/ FiO 2 inferiori a<br />

200 sono considerate ipossiemia gravi, valori compresi tra<br />

200 e 300 sono considerate come ipossiemia di grado medio,<br />

mentre valori maggiori di 450 sono considerati normali.<br />

Quando si vuole valutare la capacità del paziente di ossigenare<br />

il sangue e di conseguenza alcune patologie polmonari<br />

(ad es. ARDS) oltre all’efficacia della terapia adottata e<br />

la relativa prognosi, risulta di fondamentale importanza<br />

misurare gli indici di tensione dell’ossigeno ed in particolare<br />

il gradiente A-a oppure durante l’ossigenoterapia il rapporto<br />

paO 2/ FiO 2.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Fabio Viganò<br />

Clinica Veterinaria San Giorgio<br />

Via Roma, 54 20010 San Giorgio su Legnano (MI)<br />

Tel 0331-411555 Fax 0331-418525<br />

E mail: fabio.vigano@evet.<strong>19</strong>1.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 293<br />

Valutazione della lattatemia nel paziente<br />

in stato di shock<br />

Fabio Viganò<br />

Med Vet, SCMPA, San Giorgio su Legnano (MI)<br />

Lo shock è una insufficienza circolatoria e della perfusione<br />

tali da non soddisfare i fabbisogni circolatori, di ossigenazione<br />

ed energetici del paziente. Indipendentemente dal<br />

tipo di shock (ad. es. ipovolemico, cardiogeno, distributivo)<br />

ai fini terapeutici e prognostici, è fondamentale identificare<br />

il più precocemente possibile, la tendenza del processo morboso<br />

e la sua gravità. Riconoscerne la gravità con dati oggettivi<br />

ed adottare la strategia terapeutica più adatta costituisce<br />

la chiave del successo terapeutico. La valutazione del<br />

paziente attraverso il solo esame clinico è soggettiva e perciò<br />

più sensibile ad errori, soprattutto per quanto concerne la<br />

perfusione periferica ed il metabolismo cellulare. Per questi<br />

motivi si è cercato di identificare dei metodi di indagine che<br />

fossero particolarmente sensibili alle alterazioni indotte dallo<br />

shock e poco influenzabili dall’operatore. Un indice molto<br />

sensibile in tale senso è rappresentato dal calcolo della<br />

DO 2 (disponibilità di ossigeno) e della VO 2 (estrazione dell’ossigeno).<br />

Per calcolare la DO 2 è necessario misurare la<br />

gittata cardiaca ed il contenuto totale di ossigeno, per la VO 2<br />

è necessario misurare la gittata cardiaca e la differenza tra la<br />

saturazione dell’ossigeno arterioso e venoso. La raccolta di<br />

questi dati può essere effettuata grazie all’ausilio di un catetere<br />

a termodiluizione o di un catetere Schwan-Ganz posizionato<br />

in un’arteria polmonare. Purtroppo entrambe prevedono<br />

una metodica invasiva ed in particolare il posizionamento<br />

del secondo tipo di catetere prevede il passaggio dello<br />

stesso attraverso la vena giugulare, due camere cardiache<br />

(atrio e ventricolo destro) e l’arteria polmonare fino ad una<br />

sua diramazione, oltre all’utilizzo di una tecnologia di non<br />

semplice utilizzo. Tali monitoraggi invasivi e non privi di<br />

rischi, non possono essere applicati a tutti i pazienti; generalmente<br />

sono utilizzati a scopo di ricerca per valutare le<br />

capacità del paziente di ossigenarsi e per monitorare alcuni<br />

parametri emodinamici, pressori dell’ossigeno e della anidride<br />

carbonica. Per i motivi sopra citati la misurazione della<br />

lattatemia ha riscontrato l’interesse di molti reparti di<br />

pronto soccorso e terapia intensiva veterinari ed umani.<br />

Lo ione lattato prodotto in notevoli quantità durante l’acidosi<br />

lattica può derivare da una glicolisi anaerobica (acidosi lattica<br />

tipo A) o da una alterazione biochimica della glicolisi (acidosi<br />

lattica tipo B). L’acidosi di tipo A e B sono causate da una<br />

fisiopatologia paragonabile, infatti in entrambe i casi l’incremento<br />

del lattato ematico deriva da una riduzione del potenziale<br />

red/ox (causato da un deficit del metabolismo aerobico).<br />

Le cause di un’acidosi lattica di tipo A sono:<br />

- shock, necrosi parete gastrica, ischemia di altri visceri,<br />

tromboembolismo aortico, grave ipossiemia, grave anemia<br />

(Hct < 15), attività muscolare eccessiva, epilessia, tremori.<br />

Le cause di un’acidosi lattica di tipo B sono:<br />

B1- sindromi - diabete mellito, grave malattia epatica, tumori<br />

maligni (es. linfoma), sepsi, feocromocitoma, deficit<br />

di tiamina<br />

B2- intossicazioni - da paracetamolo, cianuri, adrenalina,<br />

etanolo, glicole etilenico, insulina, metanolo, morfina,<br />

nitroprussiato, glicole propilenico, salicilati, terbutalina<br />

B3- miopatia mitocondriale (congenita), alcalosi/iperventilazione<br />

ed ipocalcemia.<br />

In entrambe i tipi di acidosi lattica, la capacità mitocondriale<br />

di produrre energia è notevolmente ridotta con conseguente<br />

riduzione nella produzione di ATP e di NADH (nicotinamide<br />

adenosina dinucleotide in forma ridotta) a favore<br />

dell’NAD (NADH in forma ossidata). Quantità sufficienti di<br />

NADH sono prodotte solo in condizioni di aerobiosi.<br />

L’NADH è necessario per convertire il piruvato in lattato<br />

secondo la seguente formula:<br />

Piruvato + NADH ⇔ lattato + NAD + H +<br />

La direzione della formula dipende dalla quantità di<br />

NADH disponibile, maggiore è la quantità di NADH disponibile<br />

maggiore sarà la produzione di piruvato che entra nel<br />

ciclo di Krebs producendo energia. Il lattato prodotto dal<br />

metabolismo anaerobico non può essere riossidato a piruvato,<br />

di conseguenza si ha un incremento della concentrazione<br />

di lattato rispetto al piruvato. <strong>Maggio</strong>re è la quantità di lattato<br />

prodotto, maggiore sarà la quantità di idrogenioni (H + )<br />

presenti, che causano un’acidosi lattica. Le capacità dell’organismo<br />

di tamponare l’acidosi lattica dipendono dalla<br />

quantità di basi disponibili. In condizioni normali (aerobiosi),<br />

il lattato prodotto è convertito in piruvato, ossidato ed<br />

utilizzato nella gluconeogenesi nel fegato e nei reni consumando<br />

(diminuendo) gli H + e producendo anidride carbonica<br />

tamponata od eliminata con la ventilazione.<br />

Durante la glicolisi aerobica da una mole di glucosio vengono<br />

prodotte 36 moli di ATP, viceversa la glicolisi anaerobica<br />

produce soltanto 2 moli di ATP. In condizioni di anaerobiosi,<br />

si ha perciò una riduzione della produzione di ATP,<br />

la quale stimola a sua volta la glicolisi anaerobica incrementando<br />

la produzione di lattato.<br />

I tessuti che producono e rilasciano lattato sono: i muscoli,<br />

l’intestino, la midollare renale, il cervello, la cute ed i<br />

globuli rossi (in questo ultimo caso per l’assenza dei mitocondri).<br />

Mentre i tessuti in grado di metabolizzare il lattato<br />

sono: il fegato (in grado di consumare lattato formando<br />

piruvato e sfruttandolo per la gluconeogenesi), la corticale<br />

renale (in grado di consumare quantità significative di lattato)<br />

ed il tessuto muscolare (converte il lattato in glicogeno<br />

solo in alcune particolari condizioni, vedi muscoli allenati).


294 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Valori di lattatemia compresi tra 0,5-2,5 mmol/L sono considerati<br />

normali, valori compresi tra 3-5 mmol/L sono considerati<br />

lievemente aumentati, valori compresi tra 5-7<br />

mmol/L indicano una ipoperfusione moderata, mentre valori<br />

superiori a 8 mmol/L sono considerati indice di grave ipoperfusione.<br />

La difficoltà o l’impossibilità di correggere<br />

valori elevati nel corso della terapia (almeno fluidoterapia<br />

ed ossigenoterapia) sono indice di gravità del processo<br />

morboso e di una prognosi sfavorevole.<br />

Il lattato prodotto da visceri come lo stomaco e l’intestino<br />

è riversato nel torrente circolatorio. Per questo motivo si<br />

sono correlati gli incrementi della lattatemia con la gravità<br />

delle lesioni a carico di tali organi. Un caratteristico esempio<br />

del suo impiego è fornito dalla valutazione del lattato in corso<br />

di dilatazione torsione dello stomaco (GDV). Durante la<br />

GDV, si è visto che valori inferiori a 6 mmol/L avevano una<br />

prognosi migliore se confrontati con pazienti che avevano<br />

valori maggiori di 6 mmol/L. Il 75% dei pazienti che aveva<br />

valori elevati di lattatemia erano affetti da necrosi della parete<br />

gastrica. La lattatemia, in medicina veterinaria, è stata utilizzata<br />

come fattore prognostico e per stimare il grado di<br />

alterazione del metabolismo anche in altre situazioni come<br />

ad esempio: il tromboembolismo aortico felino, nei pazienti<br />

ricoverati in terapia intensiva e nei cavalli con sindromi<br />

gastrointestinali acute.<br />

I campionamenti per la determinazione della lattatemia<br />

possono essere sia arteriosi che venosi. Nei campionamenti<br />

venosi periferici (cefalica dell’avambraccio) i valori<br />

della lattatemia possono essere maggiori rispetto a quelli<br />

ottenuti prelevando il sangue dall’arteria femorale o dalla<br />

vena giugulare.<br />

Da quanto sopra evidenziato si desume che nello shock<br />

scompensato e terminale spesso si assiste ad una acidosi lattica<br />

causata da una insufficiente perfusione ed ossigenazio-<br />

ne e che la sua gravità (quantificata come incrementi della<br />

lattatemia) è indice di prognosi sfavorevole. La causa è da<br />

ascriversi ad una insufficiente ossigenazione che inibisce il<br />

metabolismo ossidativo mitocondriale con riduzione del<br />

potenziale red/ox (conseguente diminuzione dell’NADH)<br />

ed una minor quantità di energia disponibile sotto forma di<br />

ATP. La compromissione della funzionalità epatica e renale,<br />

che possono essere presente in questi stadi dello shock,<br />

riduce la capacità di tali organi di convertire il lattato in<br />

piruvato aggravandone la già aumentata produzione. La<br />

somministrazione di adrenalina e noradrenalina possono<br />

incrementare l’acidosi lattica a causa di una stimolazione<br />

della glicolisi ed alla eccessiva vasocostrizione che può<br />

aggravare la già compromessa perfusione. In corso di sepsi<br />

e shock settico oltre ad una insufficiente perfusione da<br />

eccessiva vasodilatazione (ipovolemia) si verifica anche un<br />

aumento di richiesta energetica da parte dell’organismo che<br />

può aggravare l’acidosi lattica per incremento della glicolisi<br />

anaerobica. Nel cane e nel gatto, quando la terapia (almeno<br />

fluidoterapia ed ossigenoterapia) è efficace nel correggere<br />

lo shock si assiste ad una riduzione della lattatemia osservabile<br />

già dopo un’ora ma meglio riscontrabile entro le<br />

quattro ore. La determinazione della lattatemia in pazienti<br />

in stato shock è quindi utile nell’identificare tale sindrome,<br />

ma soprattutto nel quantificare il deficit di perfusione e di<br />

ossigenazione, inoltre può costituire un parametro guida per<br />

quantificare l’efficacia della terapia adottata.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Fabio Viganò<br />

Clinica Veterinaria San Giorgio<br />

Via Roma, 54 20010 San Giorgio su Legnano (MI)<br />

Tel 0331-411555 Fax 0331-418525<br />

E mail: fabio.vigano@evet.<strong>19</strong>1.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 295<br />

Diagnostica per immagini comparata<br />

nelle neoplasie dello scheletro<br />

Massimo Vignoli<br />

Med Vet, SRV, Sasso Marconi (BO)<br />

La radiologia tradizionale ha un ruolo di primo piano nello<br />

studio delle neoplasie ossee. Tuttavia negli ultimi anni si<br />

fa sempre più uso di altre tecnologie come l’ecografia, la<br />

tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica<br />

(RM) e la scintigrafia che consentono una migliore valutazione<br />

della lesione primaria, il coinvolgimento di strutture<br />

adiacenti e la ricerca di metastasi.<br />

Per l’interpretazione delle radiografie delle ossa, è necessario<br />

seguire diverse fasi. Innanzitutto se un particolare rilievo<br />

radiografico sia normale o anormale o dovuto allo scorretto<br />

posizionamento. Se si decide che è anormale, bisogna<br />

valutare l’aggressività della lesione. Questo perché una lesione<br />

più osteoaggressiva tende ad essere più probabilmente<br />

maligna rispetto ad una lesione non osteoaggressiva. Vi sono<br />

alcuni parametri per differenziare lesioni benigne da maligne:<br />

a) presenza di distruzione ossea, in particolare coinvolgente<br />

la corticale ossea<br />

b) quadro radiografico della lisi ossea<br />

c) tipo di reazione periostale<br />

d) caratteristica della zona di transizione.<br />

a) Va valutato se la demineralizzazione è localizzata o<br />

generalizzata, la presenza ed il grado di distruzione della<br />

corticale ossea e la presenza di lisi intramidollare.<br />

Inoltre è importante caratterizzare la sede di lesione,<br />

come epifisaria, metafisaria o diafisaria. I tumori ossei<br />

primari sono solitamente localizzati nelle metafisi, e le<br />

metastasi ossee si rilevano più frequentemente nelle diafisi<br />

ossee.<br />

b) Sono stati descritti tre quadri radiografici. Il quadro di<br />

“lisi focale geografica”, dove la lesione litica ha margini<br />

ben distinti, la corticale può essere espansa ma non litica.<br />

È la lisi meno aggressiva ed è tipica delle cisti e degli<br />

ascessi ossei. La “lisi a morso di tarma” presenta numerose<br />

aree litiche di diverse dimensioni. La corticale ossea<br />

può o no essere litica. Questa forma di lisi ossea si rileva<br />

sia in caso di tumore che di infezione ossea. Il tipo più<br />

aggressivo di lisi ossea è la “lisi permeativa” dove si rilevano<br />

piccole e numerose aree di osteolisi, poco distinte<br />

tra loro. Va comunque tenuto in considerazione che vi<br />

possono essere eccezioni per cui la biopsia ossea dovrebbe<br />

essere comunque effettuata.<br />

c) In base all’aggressività della lesione si riconoscono<br />

diversi tipi di reazione periostale. In ordine di crescente<br />

aggressività il periostio si può presentare: liscio, multistratificato<br />

o lamellare, a spicole, a scoppio di granata,<br />

nuovo osso amorfo. Un altro termine utilizzato per la reazione<br />

periostale è il triangolo di Codman. In questo caso<br />

il periostio è sollevato dalla corticale ed un piccolo triangolo<br />

di osso liscio è presente. Benché un tempo si ritenesse<br />

che questa reazione periostale fosse segno di neoplasia<br />

ossea, oggi si sa che è un segno aspecifico e si può<br />

avere sia con lesioni benigne che maligne.<br />

d) Nelle lesioni benigne la zona di transizione si presenta<br />

netta, distinta e breve. Nelle lesioni più osteoaggressive<br />

la zona di transizione si presenta più lunga, permeativa e<br />

meno distinta.<br />

Una volta di fronte ad una lesione osteoaggressiva è<br />

necessario formulare una diagnosi differenziale tra neoplasia<br />

ossea e osteomielite.<br />

Benché difficile differenziare le due diverse condizioni,<br />

una buona conoscenza sul comportamento delle neoplasie e<br />

sulla fisiopatologia delle infezioni associate ad un corretto<br />

segnalamento, anamnesi, visita clinica ed esami di laboratorio<br />

spesso ci consentono di escludere una condizione a favore<br />

dell’altra. Le lesioni ossee possono presentarsi solitarie<br />

oppure multiple.<br />

Nello scheletro appendicolare, la principale sede di lesione<br />

per quanto riguarda le neoplasie osse primarie è la metafisi<br />

delle ossa lunghe. Nel cane e nel gatto il tumore osseo<br />

più frequente è l’osteosarcoma che rappresenta l’85-90% dei<br />

tumori ossei, seguito dal condrosarcoma. Le sedi più comuni<br />

sono la metafisi prossimale dell’omero, distale del radio e<br />

del femore e prossimale della tibia. I cani più colpiti sono in<br />

genere quelli di grossa taglia e di età avanzata, oltre i sette<br />

anni. Alla presentazione sono presenti metastasi circa nel<br />

90% di questi soggetti anche se solamente nel 5% dei casi<br />

sono visibili radiologicamente. In questi casi l’utilizzo di<br />

tecniche d’immagine più sensibili come la TC consentono di<br />

evidenziare le metastasi in fase molto precoce. Questi tumori<br />

possono apparire litici o produttivi o spesso sono misti litici<br />

e produttivi, ma questo è un dato che non dà indicazioni<br />

sull’aggressività della lesione.<br />

Nel cane la reazione periostale associata alle lesioni<br />

osteoaggressive può variare, tuttavia una reazione periostale<br />

molto aggressiva ed amorfa fa propendere per un tumore.<br />

Nel gatto le sedi di lesione più frequente sono gli arti<br />

posteriori. Le lesioni sono prevalentemente osteolitiche in<br />

confronto al cane. Inoltre nel gatto sono meno frequenti le<br />

metastasi polmonari da osteosarcoma. Pur cominciando nelle<br />

metafisi, le lesioni tumorali possono raggiungere le epifisi<br />

ed in caso di patologia avanzata, raramente possono invadere<br />

ossa adiacenti. Talvolta a causa della lisi delle corticali<br />

si riscontrano delle fratture patologiche. Sebbene raro, un<br />

previo traumatismo o l’utilizzo di mezzi di sintesi per una<br />

frattura possono portare ad osteosarcoma. Altre neoplasie


296 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

primarie dell’osso con quadro simile agli osteosarcomi sono<br />

i condrosarcomi, molto meno frequenti dei precedenti.<br />

Lesioni simili a quelle descritte per i tumori ossei si possono<br />

riscontrare in caso di infezione micotica, peraltro molto<br />

rara in Italia. Le infezioni batteriche possono talvolta presentarsi<br />

in maniera singola ed in un solo osso, ma sono legate<br />

o a ferite penetranti o a previa chirurgia. Le osteomieliti<br />

ematogene presentano una maggiore diffusione.<br />

Anche nelle lesioni osteoaggressive multiple, le due diagnosi<br />

differenziali più importanti sono le neoplasie e le<br />

infezioni micotiche. Come detto in precedenza le infezioni<br />

micotiche sono molto frequenti in alcune regioni degli Stati<br />

Uniti d’America, mentre piuttosto infrequenti o rare in<br />

Europa ed Italia. Quindi una lesione osteoaggressiva poliostotica<br />

fa porre come prima diagnosi differenziale una neoplasia<br />

maligna. Tra queste abbiamo dei tumori primitivi<br />

quali il mieloma multiplo ed il linfoma ed i tumori secondari,<br />

metastatici. Le metastasi nello scheletro arrivano per<br />

via ematogena e quindi è possibile raggiungere contemporaneamente<br />

più distretti del corpo. Con le terapie aggressive<br />

che vengono attuate oggigiorno, gli animali hanno un<br />

tempo di sopravvivenza maggiore e non è infrequente trovare<br />

delle metastasi ossee, che un tempo si pensava fosse un<br />

evento raro. Benché qualsiasi tumore possa metastatizzare<br />

nelle ossa, più frequentemente si rilevano metastasi di<br />

tumori epiteliali, come carcinomi tiroidei, prostatici, mammari,<br />

epatici e polmonari. Come per quanto riguarda i<br />

tumori primitivi, anche le metastasi ossee possono presentarsi<br />

osteolitiche od osteoproduttive o miste.<br />

Le osteomieliti batteriche possono anch’esse causare<br />

lesioni osteoaggressive poliostotiche, tuttavia le osteomieliti<br />

batteriche ematogene sono rare nel cane e nel gatto. In<br />

genere sono causate da traumi od interventi chirurgici ed<br />

anche se interessano più ossa, solitamente lo fanno nello<br />

stesso arto. Come detto in precedenza per le lesioni monostotiche,<br />

il segnalamento, l’anamnesi, la clinica e gli esami<br />

di laboratorio permettono agevolmente di differenziare<br />

le osteomieliti dalle neoplasie. Agenti eziologici di osteomielite<br />

poliostotica possono sono la leishmania e l’hepatozoon<br />

canis.<br />

Nel cane va poi considerata una sede particolare, dove la<br />

diagnosi differenziale tra neoplasia ed osteomielite diviene<br />

complessa sulla base della radiografia; si tratta della sede<br />

subungueale, dove sono frequenti tumori quali il carcinoma<br />

squamoso che interessa prevalentemente cani di razza grande<br />

ed a pelo nero ed il melanoma. In questa sede può essere<br />

presente tuttavia anche una pododermatite. Radiograficamente<br />

si può rilevare osteolisi più o meno marcata con presenza<br />

o meno di reazione periostale. È stato riportato che<br />

una marcata osteolisi è più probabilmente causata da neoplasia<br />

ed in particolare carcinoma squamocellulare.<br />

Nello scheletro assiale possiamo trovare numeri processi<br />

neoplastici a carico delle diverse strutture di cranio, colonna<br />

vertebrale e pelvi. I principali sono i tumori nasali.<br />

Le neoplasie delle cavità nasali rappresentano circa<br />

l’1% di tutte le neoplasie del cane e del gatto. Sono più<br />

frequenti in animali dolicocefali, di età solitamente superiore<br />

agli otto anni. Si localizzano nei settori caudali delle<br />

cavità nasali, conche etmoidali e lamina cribrosa dell’etmoide.<br />

Prevalgono le forme maligne, 80% nel cane e 91%<br />

nel gatto. Il tumore nasale più frequente nel cane è l’adenocarcinoma,<br />

seguito da carcinoma squamocellulare e<br />

fibrosarcoma. Più rari sono l’osteosarcoma ed il condrosarcoma.<br />

Nel gatto l’adenocarcinoma è seguito dal linfosarcoma.<br />

Radiologicamente si rilevano aree di osteolisi e<br />

neoproduzione ossea, aumento di radiopacità delle porzioni<br />

caudali delle cavità nasali, spesso con perdita di visualizzazione<br />

degli etmoturbinati; aumento di radiopacità dei<br />

seni frontali dovuto solitamente all’accumulo di essudato<br />

e più raramente ad invasione neoplastica. In fase avanzata<br />

si rileva erosione del setto, invasione delle ossa frontali,<br />

reazione periostale, tumefazione dei tessuti molli. In tutti<br />

i casi di neoplasia cranica l’utilizzo di TC o RM possono<br />

dare informazioni aggiuntive.<br />

I tumori della cavità orale, rappresentano circa il 6% dei<br />

tumori nel cane ed il 3% nel gatto. Le più frequenti condizioni<br />

neoplastiche che si riscontrano sono il carcinoma<br />

squamocellulare, il fibrosarcoma ed il melanoma. I tumori<br />

che originano dal periodonzio sono classificati come: epulide<br />

fibromatosa, epulide ossificante ed epulide acantomatosa.<br />

Mentre i primi due tipi non determinano modificazioni<br />

nell’osso e si può eventualmente notare un aumento dell’opacità<br />

dei tessuti molli, l’epulide acantomatosa si manifesta<br />

con lisi dell’ osso interessato. Questa neoplasia si<br />

manifesta prevalentemente a carico della porzione più<br />

rostrale della mandibola.<br />

Raramente si possono incontrare cisti benigne o tumori<br />

che originano dall’ epitelio della lamina dentaria, quali: ameloblastoma,<br />

odontoma e fibroameloblastoma. In genere si<br />

evidenziano come masse di radiopacità mista, eterogenee.<br />

Nel calvarium è noto l’osteocondrosarcoma multilobulare,<br />

che in genere origina dall’area temporo-occipitale, ma coinvolge<br />

anche altri segmenti ossei. Ha crescita lenta. Radiologicamente<br />

si nota una massa di opacità ossea, eterogenea, a<br />

margini regolari. Queste neoplasie possono crescere anche<br />

all’interno della volta cranica, per cui la TC è ritenuta una<br />

tecnica più adatta rispetto alla radiologia convenzionale per<br />

una valutazione più accurata.<br />

Altre neoplasie sono l’osteosarcoma, l’osteoma che si<br />

presenta come ben delimitato, a margini regolari, radiopaco<br />

e le neoplasie cerebrali che solitamente non determinano<br />

modificazioni radiografiche e si vedono solo con TC e RM.<br />

Tuttavia il meningioma può determinare nel gatto l’ iperostosi<br />

del calvarium visibile radiograficamente.<br />

Le neoplasie vertebrali possono essere benigne o maligne.<br />

Tra le forme benigne si riscontra l’esostosi cartilaginea multipla,<br />

che interessa cani di età inferiore ad un anno. Le esostosi<br />

si formano durante l’ossificazione endocondrale.<br />

Radiologicamente appaiono come masse rotondeggianti, a<br />

margini regolari, di radiopacità eterogenea, che spesso coinvolgono<br />

il processo spinoso o la lamina vertebrale, ma possono<br />

interessare anche il corpo della vertebra.<br />

Nei gatti è associata al virus della leucemia felina e colpisce<br />

animali adulti. Talvolta può esserci trasformazione maligna.<br />

Altre neoplasie vertebrali primarie sono l’osteosarcoma,<br />

il condrosarcoma, il fibrosarcoma, il mieloma multiplo<br />

e l’emangiosarcoma.<br />

Il mieloma multiplo e l’emangiosarcoma danno un quadro<br />

osteolitico particolare, con piccole e numerose aree rotondeggianti<br />

radiotrasparenti.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 297<br />

Inoltre le vertebre possono essere sede di metastasi, solitamente<br />

carcinomi, ma anche sarcomi. In tre cani è stato<br />

descritto un cordoma. Quest’ultimo pare essere frequente<br />

nel furetto. Le neoplasie maligne, primarie o secondare, si<br />

manifestano in genere con lisi e/o produzione ossea. Spesso<br />

si rileva il collasso della vertebra.<br />

Le neoplasie più frequenti nelle ossa pelviche sono l’osteosarcoma<br />

ed il condrosarcoma. Se la massa neoplastica<br />

raggiunge dimensioni considerevoli si possono avere compressioni<br />

a carico delle strutture del canale pelvico. L’aspetto<br />

radiografico è misto osteolitico osteoproduttivo. L’esame<br />

ecografico dello scheletro richiede la possibilità di utilizzare<br />

una sonda lineare di almeno 7.5-10 MHz. Ecograficamente<br />

è possibile notare sia le lesioni ossee, lisi o osso di nuova<br />

formazione, che la possibile invasione dei tessuti molli attorno<br />

al segmento osseo. L’utilizzo del color/power doppler<br />

consente anche di valutare se la struttura oggetto di studio<br />

sia vascolarizzata o meno. Questa indicazione ci consente di<br />

effettuare prelievi bioptici su tessuto vitale ed aumentare<br />

quindi la possibilità di ottenere una diagnosi accurata.<br />

Tecnologie diverse come RM o TC consentono allo stesso<br />

modo di valutare bene sia i tessuti molli che le ossa contemporaneamente.<br />

La TC inoltre consente la ricerca delle metastasi<br />

a distanza e di effettuare biopsie per la diagnosi istopatologica<br />

o trattamento terapeutico con tecniche diverse.<br />

La scintigrafia è una tecnica molto sensibile, utilizzata<br />

sostanzialmente per localizzare le lesioni. L’esecuzione del-<br />

l’esame scintigrafico prevede l’iniezione endovenosa di un<br />

radiofarmaco (99mTc polifosfonato) che viene incorporato<br />

dall’osso e rapidamente eliminato dai tessuti molli, così da<br />

dare immagini dell’osso di buona qualità. Se si volessero<br />

studiare i tessuti molli correlati all’apparato scheletrico, il<br />

99Tc pertecnetato è più adatto in quanto non si lega con aree<br />

di rapido rimodellamento osseo, e quindi non sorge un problema<br />

interpretativo con l’assunzione precoce di radiofarmaco<br />

da parte dell’osso che si può avere nei primi minuti<br />

dopo l’iniezione. La scintigrafia si utilizza anche in pazienti<br />

con neoplasie per la ricerca di metastasi.<br />

Bibliografia<br />

1. Radiologia del cane e del gatto. D.Boscia; L.Baracchini; F.Rossi;<br />

M.Vignoli. Poletto Editore, Milano 2005.<br />

2. Textbook of Veterinary Diagnostic Radiology. DE Thrall. Fourth Edition.<br />

WB Saunders, Philadelphia 2002.<br />

3. Equine scintigraphy. S.J. Dyson; R.C. Pilsworth; A.R. Twardock and<br />

M.J. Martinelli. Equine Veterinary Journal LTD, 2003.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Massimo Vignoli<br />

Clinica Veterinaria dell’Orologio - Sasso Marconi (BO)<br />

Via Gramsci - Tel e fax: 051-6751232<br />

E-mail: maxvignoli@alice.it


298 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Una volta all’anno, propongo ai miei clienti abituali (indipendentemente dal fatto che abbiano risolto del tutto o in parte i loro<br />

problemi o che si trovino ancora di fronte a difficoltà pratiche) ed ai proprietari di cani che desiderano saperne di più sul comportamento<br />

dei loro animali di seguire un corso dal il tema:<br />

La comunicazione intraspecifica del cane<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Io desidero presentare questo corso per spiegare al grande<br />

pubblico come rendere accessibili le nozioni di base sul<br />

comportamento e sulla comunicazione con il cane e, perché<br />

no, incoraggiare dei colleghi ad organizzare lo stesso tipo di<br />

attività con la loro clientela. Desidero inoltre presentare gli<br />

strumenti necessari ad ogni veterinario che voglia organizzare<br />

un corso di questo tipo (luogo, sala, video, traccia scritta<br />

teorica) e rendere tutti partecipi della mia soddisfazione e<br />

del mio entusiasmo, lo stesso di coloro che prendono parte a<br />

questi insegnamenti. Si tratta di strumenti semplici:<br />

1. Una sala per l’insegnamento teorico che consenta di accogliere<br />

una cinquantina di persone e il mio computer, uno<br />

schermo ed un proiettore. Eventualmente, una macchina per<br />

il caffè, un frigorifero per avere a disposizione delle bibite fresche,<br />

delle ciotole per l’acqua ed acqua per abbeverare i cani.<br />

2. Persone competenti nell’insegnamento pratico sul campo,<br />

(siamo un gruppo di 5 persone, fra cui un cameraman) e<br />

uno o due collaboratori per preparare le sedi di incontro,<br />

servire i caffè, assicurare il comfort dei partecipanti. È<br />

auspicabile la presenza di un cane “modello” per dimostrare<br />

gli esercizi e guidare i cani coinvolti.<br />

3. Un terreno attiguo, chiuso, munito di una porta e di pattumiere<br />

con un sistema di raccolta delle feci. Può andare<br />

bene un parcheggio ben ombreggiato o un prefabbricato<br />

con tettoia in legno, sempre all’ombra; in alternativa, i<br />

cani possono essere fatti entrare nella sala di insegnamento<br />

teorico… se sono in grado di restare calmi e silenziosi,<br />

generalmente nella seconda parte del corso.<br />

4. Una traccia teorica scritta, una scheda di valutazione, un<br />

diploma da consegnare alla fine del corso, ad ogni partecipante<br />

(molto gradito), dei badge in cartone con il nome ed il<br />

sesso del cane e quello del proprietario che consentano di collocare<br />

i partecipanti in sala secondo una strategia che permetta<br />

a ciascuno di ritrovarsi alternativamente davanti o dietro.<br />

5. Eventualmente, delle museruole, degli oggetti semplici<br />

da utilizzare per delimitare i percorsi (bottiglie di plastica<br />

piene, ad esempio, di ghiaia), qualche semplice<br />

ostacolo, delle plance, delle borse di plastica, degli<br />

ombrelli, dei palloni, uno skate, una bicicletta ecc…,<br />

secondo la nostra fantasia.<br />

6. Un bosco vicino che consenta una camminata con tutto il<br />

gruppo, una città nei dintorni per la passeggiata in un<br />

ambiente urbano, che abbia possibilità di parcheggio garantite<br />

e un tragitto ben studiato.<br />

Lo stesso tipo di corso si può anche organizzare in una sola<br />

giornata nell’ambito dei club di cinofili e consente di facilitare<br />

enormemente le relazioni fra i veterinari e gli addestra-<br />

tori, nella direzione di una buona collaborazione reciproca.<br />

Questo tipo di corso può essere organizzato o supervisionato<br />

da parecchi di noi. Richiede una disponibilità di 5 giornate<br />

intere o mezze giornate, ognuna distanziata dall’altra di 5-<br />

10 giorni, per lasciare tempo al tempo: ai partecipanti vengono<br />

assegnati dei compiti quotidiani da svolgere con il loro<br />

cane, a casa o in passeggiata, per migliorare la qualità delle<br />

comunicazioni con il proprio animale durante gli esercizi e<br />

situazioni della vita comune di ogni giorno, come<br />

1) situazioni educative semplici: il richiamo, la camminata al<br />

guinzaglio, il comando di seduto o coricato<br />

2) situazioni gerarchiche: mandare a cuccia, accarezzare<br />

come ricompensa, restare sul posto assegnato, ecc…<br />

3) situazioni di incontro, di passeggiate (in città, nel bosco,<br />

in campagna, ecc…)<br />

4) cosa fare negli incontri con i bambini, coloro che praticano<br />

jogging, i ciclisti, altri cani, persone a cavallo, selvaggina,<br />

ecc…<br />

e 5) dei compiti teorici, come la lettura di un fascicolo di circa<br />

50 pagine, pari a circa 10 pagine da leggere ogni settimana…<br />

cosa fattibile per qualsiasi persona.<br />

Questo corso si sviluppa nel tempo… è pianificato su 5<br />

domeniche; è concepito per una cinquantina di famiglie con i<br />

loro cani, sotto forma di insegnamento pratico e teorico. Il<br />

video è utilizzato ampiamente per spiegare le interazioni sul<br />

campo tra i cani ed i partecipanti. L’alternanza di momenti teorici<br />

e pratici consente loro di apprendere meglio, utilizzando ed<br />

integrando le informazioni teoriche nelle situazioni pratiche.<br />

La condivisione e lo scambio di difficoltà ed esperienze tra i<br />

proprietari arricchiscono ognuno di loro e consentono a ciascuno<br />

di superarle. L’atmosfera, che si distende rapidamente,<br />

consente anche ai proprietari di imparare piacevolmente. Le<br />

famiglie sono accompagnate nelle loro difficoltà di ogni giorno,<br />

durante il corso, le situazioni non vengono soltanto ricordate<br />

in teoria, ma rivissute praticamente con un’uscita in città,<br />

nel bosco o un mezzo pubblico; inoltre, fanno parte del proseguimento<br />

del corso anche degli esercizi sul campo.<br />

Mi accingo ad esporre la mia presentazione essenzialmente<br />

con video che mostrino “momenti forti” dell’incontro fra<br />

una cinquantina di cani sul terreno, illustrando i primi istanti<br />

del loro incontro nel corso di quest’anno o degli anni precedenti,<br />

spiegando quale deve essere l’atteggiamento dei proprietari<br />

nel caso di cani liberi per strada ed indicando anche<br />

che cosa accade in incontri di questo tipo sia ai partecipanti<br />

(proprietari, veterinari accompagnati da un’équipe di collaboratori<br />

non professionisti) che ai cani; io cerco di illustrare<br />

i momenti forti per le persone, i cani e gli organizzatori.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 299<br />

Il momento forte principale per i proprietari è rappresentato<br />

dalle prime fasi del corso… fino al termine della seconda<br />

uscita dei cani sul campo; una volta che questa prova sia<br />

stata superata, le persone possono apprezzare il corso e distendersi.<br />

I momenti forti per i cani sono la prima uscita sul<br />

terreno di ogni giornata di corso e la camminata nel bosco.<br />

I momenti forti per gli organizzatori sono quelli compresi<br />

fra i primi istanti di ogni giornata fino alla prima uscita e …<br />

gli ultimi minuti del corso. Nelle due pagine che seguono vi<br />

propongo i documenti illustrativi e l’iscrizione che i clienti<br />

possono trovare nel mio ambulatorio veterinario, durante i<br />

tre mesi prima del corso. Questo documento è stato anche<br />

pubblicato, gentilmente, sul giornale della SPA locale. D’altro<br />

canto, io ho effettuato questo corso nell’ambito della<br />

struttura e in collaborazione con la SPA, che mi ha prestato<br />

i locali e preparato il campo. Se uno di voi desidera buttarsi,<br />

gli fornirò volentieri un modello scritto della mia traccia teorica;<br />

allego qui il modello di iscrizione e l’invito al corso.<br />

Modello di iscrizione:<br />

Iscrizione al corso di comportamento<br />

nelle domeniche di 22 e 29 maggio, 5, 12 e <strong>19</strong> giugno 2005<br />

Questo corso è organizzato come un pacchetto completo.<br />

Deve essere seguito nella sua globalità. Non è possibile<br />

iscriversi per una sola domenica!<br />

È destinato a qualsiasi persona o famiglia che possiedano<br />

un cane da più di due mesi, vaccinato da meno di un anno.<br />

È indicato tanto per i proprietari di cani che desiderano<br />

semplicemente migliorare la loro relazione quotidiana con il<br />

loro amico animale e comprendere meglio o avviare una<br />

relazione ideale con lui quanto per i proprietari in difficoltà<br />

con il loro cane e desiderosi di risolvere la situazione.<br />

Io mi iscrivo a seguire il corso “Comunicare meglio con il<br />

mio cane”. Sarò presente nelle 5 domeniche sopracitate con<br />

il mio cane. Ho saldato la quota di iscrizione oggi (una quota/cane)<br />

e mi impegno a rispettare le istruzioni impartite.<br />

Resto responsabile del mio cane in ogni momento ed in ogni<br />

luogo per tutta la durata del corso<br />

Cognome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Indirizzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Città e codice postale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Telefono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Parteciperò (cerchiare quello che interessa):<br />

❐ Da solo ❐ In due ❐ Con i nostri figli<br />

Nome del coniuge/compagno: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Nome di ogni figlio:<br />

1: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

2: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

3: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Nome del cane: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Sesso: ❐ Maschio ❐ Femmina<br />

Castrato: ❐ si ❐ no<br />

Età: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Razza: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Peso: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Problemi riscontrati: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />

Modello di invito al corso:<br />

Se desiderate sviluppare il vostro rapporto o risolvere le vostre<br />

difficoltà nei confronti del vostro cane, questo corso fa per voi:<br />

Corso di comportamento<br />

“Comunicare meglio con il<br />

proprio cane”<br />

DATE: 5 domeniche, il 22 ed il 29 maggio, il 5, il 12 ed il <strong>19</strong><br />

giugno 2005, fra le ore 10 e le ore 16. Il primo giorno l’incontro<br />

è alle ore 9.<br />

LUOGO: Santa Caterina, forum della SVPA, chalet di Gobet.<br />

È rivolto a tutti i proprietari di cani, accompagnati dal proprio<br />

animale da compagnia e dalla sua famiglia.<br />

Costo del corso, con un testo del corso completo: 300 franchi,<br />

da saldare prima del 30 aprile 2005.<br />

Obiettivi:<br />

1. Scoprire il piacere di comunicare armoniosamente con il<br />

proprio cane, senza dover ricorrere alla brutalità!!<br />

2. Consentire una migliore integrazione del cane con la propria<br />

famiglia e nella vita di tutti i giorni<br />

3. Conoscere i modi di funzionamento sociale del cane e<br />

saperli utilizzare nella sua educazione, nella sua vita quotidiana<br />

4. Imparare le parole chiave del linguaggio dei cani: posture<br />

o mimiche ed intonazioni ed utilizzarle negli esercizi<br />

educativi pratici<br />

5. Demistificare certe “credenze” popolari”<br />

Mezzi:<br />

1. Tempi di formazione teorica interattivi, con supporti<br />

video<br />

2. Alternare delle sedute di educazione pratica sul campo, in<br />

città e nel bosco<br />

3. Momenti di osservazione delle interazioni tra i cani, filmate<br />

e analizzate<br />

4. Il lavoro di richiamo e degli ordini di base, indispensabili<br />

ad una vita senza preoccupazioni con il proprio cane<br />

Condizioni di partecipazione:<br />

Saldo: in caso di annullamento un mese prima dell’inizio del<br />

corso, rimborso del 50%; al di là di questa data la spesa non<br />

verrà più rimborsata.<br />

1. Venire – preferibilmente con la propria famiglia – con il<br />

proprio cane, un collare, un guinzaglio, - il pic nic!-, la<br />

volontà di ascoltare, di partecipare, di imparare e di<br />

rispettare le istruzioni impartite.<br />

2. Dedicare ogni giorno, a casa propria, 20 minuti a ripassare e<br />

ripetere seriamente gli insegnamenti appresi ogni domenica<br />

3. Venire con una museruola se il vostro cane è stato morsicato<br />

o pizzicato<br />

4. Reinviare al più presto (numero di iscrizioni limitato,<br />

accettazione in ordine di arrivo) il tagliando di iscrizione<br />

qui allegato e saldare la somma di iscrizione (300 franchi)<br />

prima del 30 aprile<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dr Anne-Marie Villars - Rue du Simplon 3 D<br />

Mail: anne-marie@citycable.ch - CH- Lausanne


300 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Particolarità della comunicazione del cane<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Ogni comunicazione richiede la partecipazione di un soggetto<br />

trasmittente, che emetta dei segnali, e di uno ricevente.<br />

“Non si può non comunicare” ha detto Bateson.<br />

La prima funzione della comunicazione è il riconoscimento<br />

della propria specie. Il messaggio inviato è sempre<br />

eterogeneo, ovvero non utilizza mai un solo canale di comunicazione,<br />

ma sempre molteplici. Tutto il corpo del cane è<br />

coinvolto nell’emissione di segnali che servono alla comunicazione<br />

intraspecifica. Distingueremo tra l’emissione di<br />

segnali involontari e volontari.<br />

Le basi della comunicazione canina si apprendono nel<br />

corso del periodo sensibile, mediante un fenomeno d’imprinting<br />

che corrisponde ad un’ipercomunicazione parentale<br />

primaria. Questa condiziona in modo durevole il comportamento<br />

del soggetto ricevente, rappresentato dal cucciolo,<br />

e gli consente di riconoscere i suoi partner privilegiati<br />

(madre, genitori) di attaccamento, di giochi (fratelli) e<br />

di attrazione sessuale, mentre apprende di appartenere alla<br />

specie canina.<br />

L’approccio e poi il contatto all’interno della specie<br />

diventano possibili mediante l’apprendimento delle posture,<br />

delle mimiche e dei rituali durante il primo periodo di vita.<br />

Tutto ciò consentirà l’ulteriore sviluppo dei comportamenti<br />

di corteggiamento specie-specifici. L’apprendimento dei<br />

segnali di sottomissione, d’accoglienza e di pace, che servono<br />

a mantenere un rapporto durevole, inizia ad apparire<br />

all’incirca nelle prime settimane di vita.<br />

Le emissioni olfattive e feromonali vengono prodotte<br />

dalle ghiandole facciali, podali e perianali. Sono percepite a<br />

livello della cavità nasale, dell’organo vomero-nasale per i<br />

feromoni ed i recettori gustativi. Si trovano anche nell’urina,<br />

il sebo e le secrezioni vaginali. L’animale non ha alcun controllo<br />

su queste emissioni che possono tradire il suo stato<br />

emozionale di fronte ad un altro soggetto appartenente allo<br />

stesso genere (ad es., in caso di emozione da paura).<br />

Le emissioni sonore involontarie, non vocali, sono costituite<br />

da ansimi, sbadigli e schiocchi di denti, sempre emessi<br />

in una condizione di emozione, senza il controllo volontario<br />

dell’animale.<br />

Le emissioni olfattive involontarie possono essere di<br />

origine ghiandolare (che esprimono paura) oppure dipendere<br />

da emissioni di feromoni attraverso l’urina, il sebo o le<br />

secrezioni vaginali.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dr Anne-Marie Villars - Rue du Simplon 3 D<br />

Mail: anne-marie@citycable.ch - CH- Lausanne


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 301<br />

La scuola dei cuccioli<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Ovvero dal mito del cucciolo perfetto alla realizzazione<br />

pratica di una scuola per cuccioli.<br />

Cos’è una scuola per cuccioli?<br />

È un luogo di raccolta in cui si pratica un insegnamento,<br />

con spirito, intelligenza e molta comprensione. Questo comporta<br />

un bagaglio di conoscenze e, forse, anche delle attitudini<br />

naturali nel condividere il proprio sapere ed provare piacere<br />

a trasmetterlo. La scuola per cuccioli è destinata a proprietari<br />

di cuccioli con la loro famiglia, o ad allevatori con i<br />

loro cuccioli, ma, soprattutto, ai cuccioli con i loro insegnanti,<br />

anche esperti, che siano al loro primo o decimo cucciolo!<br />

L’insegnamento è duplice. In primo luogo, imparano qualcosa<br />

gli insegnanti: regole etologiche e principi educativi.<br />

Bisogna garantire uno sviluppo armonioso al proprio cucciolo,<br />

imparare ed insegnare la “posizione di sottomissione”. Poi,<br />

imparano i cuccioli, i quali arrivano per divertirsi fra di loro<br />

ed, anche, per diventare socievoli con l’uomo e le altre specie<br />

amiche; per potersi integrare in una gerarchia (né in posizione<br />

troppo dominante, né troppo sottomessa), adattarsi alla vita di<br />

città, essere capaci di autocontrollarsi, non essere né troppo<br />

attivi, né troppo aggressivi, non abbaiare troppo e non essere<br />

eccessivamente paurosi, diventare puliti, obbedienti e capaci<br />

di rimanere da soli qualche ora al giorno. Gli obiettivi di una<br />

scuola per cuccioli sono quelli di rispettare il profilo comportamentale<br />

del cucciolo ed insegnare a sviluppare al massimo<br />

la socializzazione, con una base di educazione.<br />

Così, il richiamo verrà imparato utilizzando il riflesso<br />

naturale del cucciolo a seguire sua madre, con un rafforzamento<br />

positivo, ed insegnando agli istruttori a saper essere<br />

capaci di attirare a sé gli animali!<br />

Per favorire la socializzazione dei cuccioli, noi dobbiamo<br />

moltiplicare i loro contatti con persone di varia natura, durante<br />

la fase di socializzazione, per mezzo di uscite con la scuola!<br />

È importante moltiplicare e mantenere questi contatti per<br />

ottenere una socializzazione duratura. E per favorire la familiarizzazione<br />

con l’ambiente, bisogna esporre i cuccioli a stimoli<br />

(uditivi, visivi, olfattivi, tattili) di vario tipo, sia in casa<br />

che fuori. È anche necessario arricchire il contesto in cui vive<br />

il cucciolo nelle prime 14 settimane di vita. Inoltre, la scuola<br />

è un meraviglioso luogo di incontri, in cui si possono svolgere<br />

dei giochi fra cuccioli dello stesso genere, un’esperienza<br />

istruttiva per gli insegnanti del cucciolo, per la sua famiglia e<br />

per i bambini che ne fanno parte. Questo incontro consente<br />

un interscambio tra esseri umani e cuccioli.<br />

Il ruolo degli animatori di una scuola per cuccioli non è solo<br />

quello di inquadrare il gruppo, ma anche quello di prevenire e<br />

diagnosticare delle patologie comportamentali della giovane<br />

età (come la HSHA, syndrome hypersensibilité-hyperactivité,<br />

sindrome dell’ipersensibilità-iperattività, la sindrome da privazione)<br />

ed attuare la profilassi delle affezioni più tardive (per<br />

esempio, le sociopatie e gli iperattaccamenti secondari). Noi<br />

abbiamo anche un ruolo educativo, un dovere di socializzazione<br />

intra- ed interspecifico e con l’ambiente. La presenza di cani<br />

adulti che fungano da moderatori equilibrati è necessaria e<br />

deve essere controllata dagli animatori della scuola.<br />

L’importanza dei giochi tra cuccioli consente una continuità<br />

di contatti e di interazioni. Insegna anche ai cuccioli a<br />

scoprire i riti ed agli uomini di individuarli, farseli spiegare<br />

e acquisirne la conoscenza. Lo stesso dicasi per l’importanza<br />

del mantenimento dell’acquisizione dell’inibizione del<br />

morso attraverso un insegnamento adeguato nell’ambito della<br />

scuola. Perché, spesso, il cucciolo lo ha acquisito più o<br />

meno a 8 settimane! E lo disimpara poi … nella sua nuova<br />

famiglia (dove si pensa che si faccia i denti).<br />

Insegnare agli istruttori ad intervenire immediatamente<br />

da quando i cuccioli iniziano a mordere è di capitale importanza!<br />

Noi mostriamo loro anche come dosare la punizione<br />

ed il rafforzamento positivo, per saper consolidare l’acquisizione<br />

degli autocontrolli e l’apprendimento del segnale d’arresto.<br />

Talvolta, i giochi degenerano a causa di comportamenti<br />

troppo impulsivi o delle morsicature, che occorre<br />

saper bloccare, generalmente in posizioni di sottomissione e<br />

restando molto calmi.<br />

Bisogna saper dar prova di dolcezza, fermezza e pazienza.<br />

Non ci si deve innervosire, occorre fornire delle indicazioni<br />

tranquille. Saper ricompensare un comportamento positivo<br />

piuttosto che punire quello negativo.<br />

Dar prova di fermezza significa semplicemente esigere<br />

che l’ordine sia eseguito sino in fondo. Il nostro compito è<br />

anche quello di prevenire le aggressioni; così, per impedire<br />

l’insorgenza di aggressioni competitive bisogna:<br />

- evitare di accordare le prerogative dei dominanti!<br />

La prevenzione delle aggressioni di autodifesa avviene:<br />

- attraverso un processo di socializzazione intensivo, di<br />

adattamento e con il contatto<br />

Mentre per la prevenzione dell’aggressione da predazione<br />

è necessario:<br />

- insegnare quali sono le specie amiche, come i gatti e le<br />

galline<br />

Si conoscono tre classi d’aggressione:<br />

❐ 1. Aggressione da competizione (o gerarchica)<br />

❐ 2. Aggressione da autodifesa:<br />

- Per irritazione<br />

- Per paura<br />

- Territoriale<br />

- Materna


302 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

❐ 3. Aggressione da predazione:<br />

- su piccole prede<br />

- su grandi prede<br />

Lo svolgimento pratico:<br />

A livello sanitario: è necessaria una preventiva vaccinazione.<br />

Gruppo:<br />

- da 4 a 10 cuccioli (differenti per età, razza, ecc..)<br />

- da 4 a 25 persone: dal nonno a tutta la famiglia.<br />

Si deve tenere obbligatoriamente una prima lezione informativa.<br />

Il ritmo della mia scuola: una lezione settimanale da 90<br />

minuti/classe. I cuccioli vengono accettati dall’età di 6<br />

settimane sino a 6 mesi per l’ultima lezione. Gli animatori<br />

della scuola dei cuccioli devono possedere buone capacità<br />

carismatiche, perché si tratta di animare un gruppo<br />

molto disparato, e questo comporta calma e capacità pedagogiche,<br />

il saper comunicare con semplicità con parole<br />

adatte alla clientela presente. Il mio gruppo è composto da<br />

5 animatrici e ne sono presenti al minimo due per una classe,<br />

spesso tre!<br />

Alla scuola dei cuccioli è indispensabile la presenza di<br />

cani adulti equilibrati, calmi e competenti: questo è necessario<br />

per monitorare? i cuccioli isterici o mal controllati. Un<br />

maschio adulto regolerà ed identificherà l’inizio puberale ?<br />

dei maschi giovani e insegnerà loro a rispettare la gerarchia.<br />

Se ha dimensioni rispettabili, consentirà ai proprietari di<br />

cani di piccola taglia di accettare in ogni caso le interazioni<br />

iniziali con questi stessi cuccioli.<br />

La versione attuale:<br />

due corsi: 1,5 ore<br />

Una lezione informativa: 30 minuti<br />

Un ciclo successivo di nove lezioni con quattro argomenti<br />

sul comportamento e quattro sulla comunicazione<br />

La nona lezione: un video<br />

Il programma:<br />

J 1. Comportamento 1: Alimentazione, luogo di riposo e<br />

di carezze; che senso ha questo per il cane?<br />

J 2. Comunicazione 1: La pulizia ed i primi insegnamenti<br />

J 3. Comportamento 2: Posture e rituali gerarchici: passeggiare<br />

con il proprio cane e processi di interazione<br />

di un gruppo di cani<br />

J 4. Comunicazione 2: Punire, ricompensare, educare<br />

J 5. Comportamento 3: Socializzazione<br />

J 6. Comunicazione 3: Le basi del richiamo e la passeggiata<br />

al guinzaglio<br />

J 7. Comportamento 4: Giochi ed autocontrollo<br />

J 8. Comunicazione 4: insegnare al cucciolo a restare<br />

solo, sedersi e coricarsi<br />

J 9. Teoria: video per tutti alle h 18<br />

Le precauzioni da prendere:<br />

Un contratto<br />

L’assenza di oggetti pericolosi<br />

Eliminare tutti i rischi nelle zone dove il cucciolo verrà<br />

lasciato libero<br />

Usare il guinzaglio in occasione delle uscite nel traffico<br />

Terreno, locali e materiale:<br />

Dove ha sede una scuola per cuccioli?<br />

1. In ambienti chiusi: nei locali del mio ambulatorio<br />

2. All’esterno:<br />

- Un giardino recintato: con degli ostacoli, privo di pericoli<br />

- Delle uscite attraverso la città<br />

- Un terreno della città<br />

Materiale:<br />

Videocamera, TV o proiettore per la lezione video<br />

Dei giochi di vario tipo, qualche accessorio (asciugacapelli,<br />

aspirapolvere, palloni, petardi, ecc..)<br />

Sede di allestimento:<br />

Perché non presso un allevatore? O in club di cinofili?<br />

Oppure, come nel mio caso, in uno spazio ottenuto dalle<br />

autorità della mia città: un terreno per l’educazione adattato<br />

e recintato.<br />

Le uscite indispensabili:<br />

La prima uscita:<br />

Con degli stimoli limitati<br />

Insegnare un passo al guinzaglio morbido<br />

Con l’aiuto di un rinforzo positivo<br />

Pensare alla pulizia della propria città: i sacchetti per le feci<br />

Insegnare dei rudimenti di educazione<br />

E dei riflessi condizionati semplici: sedersi prima di attraversare<br />

una strada<br />

La seconda e terza uscita:<br />

Prendere un autobus in gruppo, invitare le persone ad<br />

accarezzare i cuccioli<br />

Passeggiata ed esercitare il richiamo<br />

Incitare ad incontri diversi con degli stimoli più importanti:<br />

recandosi in luoghi sempre più rumorosi<br />

L’effetto gruppo:<br />

L’effetto stimolante del gruppo consente ai cuccioli più<br />

timidi di lasciarsi trascinare per imitazione a seguire rapidamente<br />

i più audaci<br />

Le conclusioni<br />

Dal mito alla realtà<br />

Le sbandate ed i rischi d’eccesso<br />

di una scuola di cuccioli<br />

L’assenza:<br />

- Di familiarizzazione con l’ambiente di città e di contatti<br />

con l’incontro di una moltitudine di persone, luoghi rumorosi,<br />

di uscite in città ecc…: Attenzione ai pericoli di un<br />

unico ambiente! Rischio di non individuare, o addirittura<br />

di alimentare una sindrome da privazione.<br />

- Di cani adulti: Alcune scuole si limitano a semplici giochi<br />

tra cuccioli! …o addirittura talvolta separano per classe di<br />

età o per razza! E senza cani adulti coeducatori! La competenza<br />

del cane adulto rappresenta un contributo immenso.<br />

Consente spesso di individuare e regolare i cuccioli


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 303<br />

iperattivi. Permette inoltre di abituare gli insegnanti e eviterà<br />

loro di essere elitari o iperprotettivi!<br />

- Di educazione di base: È importante insegnare, come<br />

minimo, il richiamo, a sedersi, coricarsi e la posizione di<br />

sottomissione e l’inibizione del morso!<br />

- Di conoscenza del linguaggio e del funzionamento gerarchico:<br />

assenza di un’organizzazione gerarchica, l’apprendimento<br />

del concetto di quelle che sono le prerogative di<br />

un dominante:<br />

Alimentari<br />

Di spazio<br />

Sessuali<br />

Sociali<br />

“Nella vita non c’è niente gratis”<br />

Conclusioni:<br />

Esperienza arricchente e positiva<br />

Consigli di gruppo<br />

Migliorare il contatto<br />

Fidelizzare la propria clientela senza fare concorrenza<br />

Strumento profilattico<br />

Prevenire i problemi della comunicazione e gerarchici<br />

Aspettative dei vari insegnanti<br />

Profilassi delle malattie comportamentali<br />

Dialoghi e contatti simpatici<br />

Serve all’inserimento dell’animale nella società<br />

Farsi conoscere/supervisionare<br />

Fare in modo che i cuccioli siano felici di ritornare!<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dalla Docteur Anne-Marie VILLARS<br />

Médecin Vétérinaire<br />

Comportementaliste diplômé D.E.N.F.<br />

Cabinet Vétérinaire<br />

Rue du Simplon 3 D<br />

CH 1006 LAUSANNE<br />

Tél: +41<strong>21</strong>/616.10.66<br />

Fax: +41<strong>21</strong>/ 616.68.65<br />

Mail: anne-marie.villars@citycable.ch<br />

Potete consultare le mie indicazioni dettagliate sulla scuola dei cuccioli<br />

sul sito www.zoopsy.com


304 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

La gestione economica della struttura veterinaria<br />

(Prima e seconda parte)<br />

Marco Viotti<br />

Med Vet, Torino<br />

ATTI NON PERVENUTI


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 305<br />

Diagnosi delle patologie prostatiche<br />

Daniele Zambelli<br />

Med Vet, Dipl ECAR, Bologna<br />

Le patologie prostatiche sono sempre più frequentemente<br />

riscontrate nella pratica quotidiana probabilmente per una<br />

maggiore attenzione da parte dei proprietari più attenti alla<br />

salute del proprio animale, per una durata relativamente<br />

maggiore della vita dei soggetti, e il possibile mancato guadagno<br />

in caso di ridotta fertilità in riproduttori di pregio.<br />

Le patologie prostatiche riscontrate più di frequente sono<br />

acquisite, di tipo proliferativo o infiammatorio, ed in particolare<br />

sono l’iperplasia prostatica benigna (IPB) e le prostatiti<br />

(acute,croniche, ascessi). Altre patologie, meno frequenti,<br />

sono la metaplasia squamosa, i traumi e le neoplasie. A<br />

tutte queste patologie possono inoltre essere associate cisti<br />

prostatiche. Solo una diagnosi rapida e precisa, effettuata<br />

sulla base di una accurata visita clinica e di esami collaterali<br />

come l’ecografia, la radiografia e la citologia, permette<br />

spesso di acquisire importanti dati consentendo così al clinico<br />

di intervenire in maniera mirata.<br />

Nei casi di iperplasia prostatica benigna (IPB) non<br />

complicata, gli animali si presentano, di solito, in buone<br />

condizioni generali di salute, anche se, a volte, si osserva un<br />

graduale dimagramento. Manifestazioni più gravi quali,<br />

letargia e anoressia, si riscontrano invece nei casi in cui l’iperplasia<br />

sia associata a cisti prostatiche infette. La mancanza<br />

di una reazione febbrile o di dolore alla palpazione ci<br />

permettono di differenziare le cisti dagli ascessi prostatici.<br />

La sintomatologia clinica completa, comunque, si manifesta<br />

solo nelle fasi avanzate della patologia, quando la ghiandola<br />

raggiunge un volume tale da comprimere la vescica ed<br />

occludere parzialmente il lume rettale, determinando disuria,<br />

costipazione e tenesmo. La compressione sul retto, a<br />

volte, può comportare la ritenzione della sola porzione solida<br />

delle feci, determinando una sintomatologia simile a<br />

quella osservata in caso di diarrea del grosso intestino. In<br />

altri casi, la parziale occlusione del lume rettale, indotta<br />

dalla prostata iperplastica, provoca una deformazione delle<br />

feci che possono apparire di diametro ridotto o assumere il<br />

caratteristico aspetto nastriforme.<br />

I disordini osservati a carico dell’apparato urinario, comprendono<br />

invece stranguria, disuria, incontinenza oppure<br />

ostruzione delle vie urinarie. Frequentemente si riscontra<br />

uno scolo uretrale emorragico intermittente associato o<br />

meno ad ematuria, ma è opportuno porre in diagnosi differenziale<br />

problemi di altra natura, quali lesioni uretrali o prepuziali.<br />

Ematuria, stranguria e piuria si osservano in caso di<br />

prostatite o di cisti infette. L’incontinenza urinaria, descritta<br />

in soggetti affetti da IPB, è probabilmente causata da una<br />

compressione cronica, sui nervi o sui vasi del collo della<br />

vescica o dell’uretra prostatica, esercitata dalle cisti prostatiche.<br />

Molto spesso la diagnosi di iperplasia prostatica è<br />

casuale o comunque tardiva e viene emessa soltanto quando<br />

si manifestano i sintomi causati dalla compressione esercitata,<br />

sulle strutture circostanti, dalla ghiandola aumentata di<br />

volume. Per emettere diagnosi di IPB, è necessario, ricorrendo<br />

all’esame di palpazione digito-rettale, valutare il<br />

volume, la forma, la simmetria, la consistenza e la mobilità<br />

dell’organo oltre alla presenza o all’assenza di disagio da<br />

parte dell’animale. In caso di presenza di cisti di grosse<br />

dimensioni, alla palpazione per via rettale si riscontrerà la<br />

presenza di una massa compatta situata nell’addome posteriore,<br />

o di un aumento asimmetrico della ghiandola associato<br />

ad aree molli e fluttuanti nel caso in cui si tratti di cisti di<br />

piccole dimensioni. Tra gli esami collaterali, l’esame ecografico,<br />

non invasivo e di facile esecuzione si presenta assolutamente<br />

indicativo in caso di patologie prostatiche. Ecograficamente<br />

l’IPB mostra oltre ad un aumento di volume<br />

dell’organo anche una lieve disorganizzazione parenchimale<br />

associata spesso a formazioni microcistiche diffuse. Le<br />

cisti prostatiche di piccole dimensioni appaiono come aree<br />

ipoecogene o anecogene in sede parenchimale. Generalmente<br />

le cisti hanno un contenuto liquido nettamente anecogeno<br />

e appaiono spesso come strutture rotondeggianti, a<br />

contenuto omogeneo. Le cisti devono essere distinte dagli<br />

ascessi prostatici, il cui contenuto normalmente presenta<br />

echi mobili per la presenza di materiale corpuscolato, con<br />

una superficie interna della cavità molto più irregolare.<br />

Altro mezzo d’indagine è rappresentato dalla radiografia<br />

che può essere eseguita in bianco, oppure con mezzo di contrasto<br />

negativo o positivo. All’esame radiografico la prostata<br />

normale appare di forma ovoidale con un contorno liscio<br />

e struttura omogenea.<br />

L’aumento di volume della ghiandola può determinare lo<br />

spostamento della vescica in senso craniale o ventrale e la<br />

dislocazione dorsale del colon. Per l’evidenziazione delle<br />

cisti prostatiche la proiezione latero-laterale permette di<br />

distinguerle come masse sferiche a superficie regolare con<br />

la stessa opacità dei tessuti molli.<br />

In caso di IPB gli esami di laboratorio sul sangue e sulle<br />

urine sono, di solito, nella norma. Ai fini diagnostici<br />

riveste grande importanza, oltre all’esame batteriologico,<br />

l’esame citologico che può essere eseguito sulla liquido<br />

prostatico, ottenibile con l’aspirazione ecoguidata, il massaggio<br />

prostatico e l’impronta ottenuta da un campione<br />

bioptico. Il quadro citologico riscontrabile in caso di IPB è<br />

simile a quello di un cane sano anche se le cellule possono<br />

risultare più numerose ed aggregate in ammassi più grandi.<br />

Nei cani affetti da IPB, l’esame dell’eiaculato evidenzia<br />

una riduzione del volume ed una frequente presenza di sangue<br />

specie nella terza frazione.


306 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Anche le patologie infiammatorie, rappresentate da prostatiti<br />

acute, croniche o ascesso prostatico, sono di frequente<br />

rilievo. L’ascesso prostatico si sviluppa in seguito ad una<br />

prostatite acuta o secondariamente ad una infezione ascendente,<br />

solitamente sostenute da Escherichia coli, associata<br />

ad IPB. I soggetti manifestano anoressia, disuria, dischezia,<br />

ipertermia ed tenesmo vescicale e rettale associato a deambulazione<br />

incerta. La palpazione rettale, alle volte dolorosa,<br />

evidenzia una certa asimmetria ghiandolare per la presenza<br />

di aree nodulari. Tali aree appaiono ecograficamente come<br />

aree ipoecogene o anecogene. Nelle immagini radiografiche<br />

in bianco si evidenzia l’aumento di volume della prostata e<br />

occasionalmente aree di mineralizzazione. Dal punto di vista<br />

diagnostico riveste una notevole importanza anche l’esame<br />

citologico e batteriologico del liquido prostatico che spesso<br />

contiene numerosi batteri, leucociti e talvolta eritrociti.<br />

I soggetti affetti da forme acute di prostatite possono<br />

presentare anoressia, febbre, disuria, dischezia, perdite<br />

ematiche ed tenesmo rettale e vescicale. Possono inoltre<br />

manifestare una certa difficoltà deambulatoria associata a<br />

dolorabilità alla palpazione dell’addome. La diagnosi di<br />

prostatite si basa principalmente sulla sintomatologia, su<br />

test ematologici e sull’analisi delle urine e del liquido prostatico.<br />

Le prostatiti croniche possono, a differenza delle<br />

precedenti, risultare asintomatiche se non per lievi perdite<br />

ematiche associate a disuria e dischezia. Dal punto di vista<br />

diagnostico risultano utili l’esame ecografico della ghiandola<br />

che può mettere in risalto un aumento dell’ecogenicità<br />

(prostatiti croniche) o un calo (prostatiti acute) dell’organo<br />

e l’analisi batteriologica del liquido prostatico. L’esame<br />

citologico dei campioni ottenuti tramite ago-aspirazione o<br />

lavaggi prostatico, presenterà elevata cellularità ed una<br />

notevole numero di neutrofili e batteri.<br />

Il tumore prostatico descritto con maggior frequenza è<br />

l’adenocarcinoma. Tale neoplasia colpisce in genere soggetti<br />

anziani e metastatizza con maggiore frequenza a carico<br />

dei linfonodi iliaci, polmoni, vescica urinaria, mesentere,<br />

retto e ossa. Nonostante la sintomatologia manifestata<br />

sia simile a quella di altre patologie prostatiche, i soggetti<br />

colpiti possono presentare una progressiva perdita di peso e<br />

una notevole difficoltà di deambulazione. All’esame rettale<br />

è generalmente presente un aumento di volume dell’organo<br />

associato ad un certo grado di asimmetria per la presenza di<br />

formazioni nodulari ed aree cistiche. L’esame radiografico<br />

evidenzierà la presenza di una massa nella porzione caudale<br />

dell’addome, reperto che potrà essere confermato dall’esecuzione<br />

di un esame ecografico che insieme all’esame<br />

citologico risulterà fondamentale per una corretta diagnosi.<br />

All’esame citologico si evidenzieranno la presenza di<br />

numerose cellule epiteliali.<br />

In seguito ad un trauma, le lesioni che si possono riscontrare<br />

a carico della prostata possono essere: ematomi, lacerazioni<br />

e contusioni della capsula. I traumi che richiedono<br />

una maggiore attenzione sono emorragie quelli che determinano<br />

la lacerazione uretrale con perdita di urina. Si possono<br />

avere anche con conseguente emoperitoneo. La presenza<br />

inoltre di i di fratture delle ossa del bacino possono causare<br />

fenomeni compressivi di ostruzione urinaria che con il tempo<br />

favoriscono l’insorgenza di stati di iperazotemia ed uremia<br />

gravi ed una possibile rottura della vescica sovradistesa.<br />

In seguito alla somministrazione esogena di estrogeni o in<br />

seguito alla presenza di Sertoliomi, la ghiandola prostatica<br />

può andare incontro a fenomeni di metaplasma squamosa.<br />

La sintomatologia riscontrata in questi casi è limitata ad una<br />

lieve ematuria, ad alterazioni cutanee riferibili ad un quadro<br />

di iperestrogenismo e a possibili cambiamenti di carattere del<br />

soggetto. La palpazione rettale rivela anche in questi casi,<br />

l’aumento di volume ghiandolare e l’esame citologico eseguito<br />

sul liquido prostatico evidenzia la presenza di voluminose<br />

cellule epiteliali squamose singole o a gruppi. Anche<br />

l’esecuzione di un tampone prepuziale può essere utile al fine<br />

di evidenziare l’esistenza di neoplasie testicolari estrogenosecernenti<br />

che possono provocare metaplasma prostatica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Prof. Daniele Zambelli<br />

Dipartimento Clinico Veterinario Sez. Ostetrico-Ginecologica<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

Alma Mater Studiorum - Università di Bologna<br />

via Tolara di Sopra, 50, 40064 Ozzano Emilia (Bo) Italia<br />

Tel. -39-51-2097572/989 - Fax. -39-51-2097568<br />

E-Mail: zambelli@vet.unibo.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 307<br />

Chirurgia prostatica nel cane e nel gatto<br />

Daniele Zambelli<br />

Med Vet, Dipl ECAR, Bologna<br />

Le terapie oggi a disposizione per la risoluzione delle<br />

patologie prostatiche sono sicuramente più efficaci rispetto<br />

al passato, permettendo non solo di ottenere un elevato<br />

numero di guarigioni riducendo il numero delle recidive, ma<br />

anche di salvaguardare l’attività riproduttiva dell’animale.<br />

Sia le terapie di tipo medico, con l’utilizzo del finasteride,<br />

che quelle di tipo chirurgico, come l’omentalizzazione prostatica,<br />

consentono di evitare la classica terapia consigliata<br />

in passato per tutte le patologie prostatiche: l’orchiectomia.<br />

Tale procedura, sicuramente molto utile in alcuni casi come<br />

ad esempio forme di iperplasia benigna particolarmente gravi,<br />

può essere a volte evitata al fine di non perdere, dal punto<br />

di vista riproduttivo, soggetti di elevato valore.<br />

Vengono di seguito trattate le varie tecniche chirurgiche<br />

per il trattamento delle principali patologie prostatiche.<br />

In caso di iperplasia prostatica benigna clinicamente<br />

manifesta la terapia chirurgica consigliata è l’orchiectomia.<br />

Mancando infatti lo stimolo ormonale viene favorita con il<br />

tempo la riduzione del volume della prostata evitando così<br />

l’insorgenza di eventuali recidive. Tale terapia viene comunque<br />

consigliata in tutti i casi di patologia prostatica associata<br />

ad eventuali altre terapie di tipo medico-chirurgiche. Nella<br />

pratica è stato dimostrato che l’utilizzo del finasteridein<br />

alternativa all’orchictomia, soprattutto nei casi meno gravi<br />

permette di ottenere ottimi risultati clinici, salvaguardando<br />

nel contempo il valore riproduttivo di questi soggetti.<br />

Le tecniche chirurgiche utilizzate per la risoluzione di cisti<br />

e ascessi prostatici prevedono il drenaggio e la loro resezione<br />

accompagnata se necessario da prostatectomia parziale o<br />

totale associata ad intervento di orchiectomia.<br />

La tecnica del drenaggio di Penrose, ormai superata,<br />

prevedeva dopo l’incisione della cavità asessuale, l’inserimento<br />

di uno o più drenaggi attraverso le facce ventrolaterali<br />

dei lobi prostatici al di sopra dell’uretra. Il drenaggio<br />

terminava attraverso l’incisione della parete addominale a<br />

livello della regione inguinale e veniva lasciato in situ generalmente<br />

per 2-3 settimane.<br />

La marsupializzazione in genere veniva utilizzata per il<br />

trattamento delle cisti prostatiche ricorrenti solitamente<br />

abbinata ad interveto di orchiectomia al fine di evitare possibili<br />

recidive. Una volta eseguita una incisione addominale<br />

parapeniena dall’ombelico fino all’ingresso del bacino veniva<br />

isolata la ghiandola prostatica ed individuate le lesioni.<br />

Sulla parete addominale, lateralmente al prepuzio ed in corrispondenza<br />

della lesione, veniva quindi praticata una seconda<br />

incisione. La parete della cisti veniva poi suturata alla<br />

fascia esterna del muscolo retto quindi incisa e tramite una<br />

siringa sterile il suo contenuto veniva aspirato. Una seconda<br />

sutura era infine applicata tra il margine della cute ed il mar-<br />

gine della cisti. Il drenaggio poteva quindi chiudersi in modo<br />

permanente o persistere per diverse settimane con il rischio<br />

di infezioni secondarie.<br />

Per tale motivo questa tecnica è stata ormai abbandonata e<br />

sostituita dalla più sicura omentalizzazione. Questa metodica<br />

chirurgica di recente impiego è stata inizialmente proposta<br />

nell’uomo e successivamente impiegata anche nei carnivori<br />

domestici per il trattamento di cisti e ascessi prostatici. Tale<br />

procedura, permette di ottenere buoni risultati anche a lungo<br />

termine fornendo inoltre al paziente un periodo postoperatorio<br />

migliore ed al proprietario una migliore gestione dell’animale.<br />

Tale metodica offre inoltre il vantaggio di essere di semplice<br />

esecuzione e di presentare un’incidenza molto bassa di<br />

complicanze post-operatorie. L’omento grazie alle sue caratteristiche<br />

angiogeniche ed immunogene fornisce un supporto<br />

ideale nei processi riparativi. Esso fornisce infatti un incremento<br />

nell’apporto vascolare e linfatico ai tessuti danneggiati,<br />

favorendone così la ricostruzione. Per queste proprietà l’omento<br />

viene utilizzato nella risoluzione chirurgica di diverse<br />

patologie. Dopo inserimento di un catetere urinario viene eseguita<br />

una incisione addominale parapeniena dall’ombelico<br />

fino all’ingresso del bacino. Una volta completato l’isolamento<br />

della ghiandola ed individuate le lesioni si procede tramite<br />

una siringa sterile a rimuovere il materiale contenuto nalla/e<br />

cavità al fine di ridurre la pressione interna. Viene quindi praticato<br />

tramite una o più incisioni il drenaggio completo del<br />

materiale purulento ed una volta terminato il “curettage” dei<br />

margini delle lesioni si provvede al lavaggio della stesse con<br />

tintura di iodio e soluzione fisiologica. A questo punto un lembo<br />

di omento viene introdotto all’interno della lesione ed infine<br />

fissato alla capsula prostatica con punti di ancoraggio non<br />

stretti in materiale riassorbibile.<br />

L’alcolizzazione ecoguidata, tecnica per-cutanea utilizzata<br />

per il trattamento di cisti ed ascessi prostatici permette il<br />

drenaggio ed il successivo trattamento della cavità; è stata<br />

proposta come tecnica non invasiva e relativamente indolore<br />

e come tale può essere eseguita anche in assenza di anestesia.<br />

L’alcolizzazione consente di evitare interventi chirurgici<br />

diretti sulla prostata e/o di orchiectomia in soggetti anziani o<br />

di posticipare, se necessario, tali trattamenti in soggetti<br />

riproduttori. L’alcol, come agente terapeutico è già stato utilizzato<br />

in passato in medicina umana per il trattamento delle<br />

lesioni neoplastiche del fegato. L’effetto tossico dell’alcol<br />

sarebbe legato ad un danno diretto sulla cellula per un meccanismo<br />

di disidratazione ed un danno indiretto per l’ischemia<br />

da arresto o riduzione del flusso ematico in seguito alla<br />

formazione di trombi endovasali. Il tessuto danneggiato<br />

andrebbe quindi incontro ad una immediata necrosi coagulativa<br />

seguita dalla formazione di tessuto fibrotico.


308 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Dopo depilazione e disinfezione cutanea, si procede all’aspirazione<br />

ecoguidata del liquido contenuto all’interno delle<br />

lesioni prostatiche mediante l’utilizzo di aghi spinali. Nella<br />

cavità residua viene successivamente introdotta una quantità di<br />

alcol assoluto pari ad 1/3 circa del contenuto precedentemente<br />

aspirato. Alla fine delle iniezioni, l’ago viene lasciato in sede<br />

per circa 30 secondi e poi estratto lentamente al fine di evitare<br />

il reflusso dell’alcol nella cavità peritonale. Quest tipo di trattamento<br />

permette di ottenere ottimi risultati in caso di ascessi<br />

prostatici soprattutto se di piccole dimensioni e mono cavitari.<br />

Risultati inferiori si ottengono nel trattamento delle formazioni<br />

cistiche che più di frequente recidivano.<br />

La prostatectomia totale può essere utilizzata nei casi di<br />

neoplasia prostatica, traumi o ascessi ricorrenti anche se per<br />

questi ultimi tale procedura risulta meno consigliabile a causa<br />

dell’elevato tasso di incontinenza che ne consegue. La<br />

prostatectomia totale richiede l’asportazione anche del tratto<br />

di uretra prostatica. Dopo aver inserito un catetere urinario si<br />

procede con una accurata dissezione dell’organo. In particolare<br />

è necessario evidenziare, allacciare e poi tagliare tutti i<br />

vasi che arrivano alla prostata e che sono situati dorso lateralmente<br />

all’organo. Particolare attenzione deve essere fatta<br />

nel non ledere le arterie prostatiche uretrali e vescicali e le<br />

terminazioni nervose che servono la vescica urinaria e l’uretra<br />

membranosa. L’intervento procede con l’asportazione<br />

dell’organo incidendo a tutto spessore cranialmente e caudalomente<br />

all’organodopo aver retratto momentaneamente il<br />

catetere. L’applicazione di punti di sutura in filo riassorbibile,<br />

tra uretra e collo della vescica, permette di eseguire l’anastomosi<br />

tra queste due strutture.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Daniele Zambelli<br />

Dipartimento Clinico Veterinario Sez. Ostetrico-Ginecologica<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

Alma Mater Studiorum - Università di Bologna<br />

via Tolara di Sopra, 50, 40064 Ozzano Emilia (Bo) Italia<br />

Tel. -39-51-2097572/989 - Fax. -39-51-2097568<br />

E-Mail: zambelli@vet.unibo.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 309<br />

La biopsia renale: quando e come effettuare<br />

una biopsia renale che possa avere massima<br />

utilità nella gestione del paziente affetto<br />

da nefropatia proteinurica<br />

Andrea Zatelli<br />

Med Vet, Reggio Emilia<br />

Paola D’Ippolito, Med Vet, Reggio Emilia<br />

Con il termine nefropatia si identifica ogni malattia renale;<br />

per insufficienza renale (IR) si intende la riduzione di<br />

funzionalità che viene determinata tramite il Tasso di Filtrazione<br />

Glomerulare (TFG). La quantificazione del TFG<br />

richiede iter diagnostici non sempre attuabili a livello ambulatoriale<br />

e spesso di difficile fruibilità sul territorio. Fortunatamente,la<br />

creatinina sierica si correla molto bene al TFG ed<br />

è diventata nel tempo un importante marker di insufficienza<br />

renale. La nefropatia può coincidere o meno con una condizione<br />

di IR. L’individuazione di una nefropatia richiede<br />

quindi l’utilizzo di markers diversi dalla creatinina sierica; i<br />

markers maggiormente utilizzati in medicina veterinaria<br />

sono quelli urinari e tra questi un ruolo di primaria importanza<br />

è svolto dalle proteine. Le proteine presenti nelle urine<br />

possono essere di origine glomerulare (proteine di PM ≥<br />

69000 Dalton) e/o di origine tubulare (proteine di PM <<br />

69000 Dalton) e la loro determinazione può essere quantitativa<br />

o qualitativa. Con la determinazione quantitativa viene<br />

calcolato quante proteine sono presenti nelle urine del<br />

paziente e con la determinazione qualitativa si risale al tipo<br />

di proteine presenti nel campione e conseguentemente alla<br />

loro origine. Nel caso di un paziente nefropatico proteinurico<br />

si ha evidenza, in medicina veterinaria, della difficile<br />

individuazione del tipo di nefropatia solo sulla scorta dei<br />

parametri clinici e laboratoristici senza l’ausilio della biopsia<br />

renale. Se l’importanza della biopsia renale è oggi unanimente<br />

riconosciuta, devono essere tenuti ben presenti gli<br />

obiettivi da raggiungere per l’esecuzione di tale indagine in<br />

termini di:<br />

• adeguatezza del campione<br />

• accuratezza diagnostica<br />

• rischio<br />

Numerosi Autori hanno tentato di definire l’adeguatezza<br />

del campione in termini di numero minimo di glomeruli nel<br />

campione da sottoporre ad indagine istologica in ottica convenzionale.<br />

In medicina veterinaria, il numero minimo di<br />

glomeruli per considerare adeguato un campione bioptico è<br />

di 5 per sezione istologica. Sono stati eseguiti studi relativi<br />

all’utilizzo dello strumentario e correlazione con il numero<br />

di glomeruli campionati che hanno permesso di evidenziare<br />

una sostanziale sovrapposizione nel numero di glomeruli<br />

ottenuto con strumenti automatici e semiautomatici. L’adeguatezza<br />

del campione e l’indice di rischio durante l’esecu-<br />

zione di un intervento bioptico per via transcutanea sono<br />

direttamente correlati alla corretta identificazione del rene.<br />

La tecnica di identificazione del rene durante il campionamento<br />

è oggi ottenuta per via ecografica nella quasi totalità<br />

delle biopsie effettuate in sede non chirurgica anche se è<br />

possibile ricorrere a varie modalità di localizzazione dell’organo<br />

(Tab. 1). La biopsia eco-assistita od eco-guidata<br />

offre il vantaggio della facile reperibilità dello strumentario<br />

sul territorio, della velocità di esecuzione e riduzione del<br />

rischio anestesiologico, non necessita della somministrazione<br />

di mezzi di contrasto, permette il controllo del paziente<br />

dopo l’intervento bioptico. Possiamo quindi affermare che<br />

la tecnica eco-assistita od eco-guidata riduce complessivamente<br />

il costo e l’indice di rischio dell’intervento bioptico<br />

renale. È inolte opportuno che ogni paziente che viene sottoposto<br />

a biopsia renale venga preliminarmente valutato clinicamente<br />

ed ecograficamente per escludere altre cause di<br />

proteinuria non renale o condizioni patologiche che non lo<br />

rendano idoneo all’intervento o limitino le possibilità di<br />

applicazione dello stesso (Tab. 2). Il paziente candidato<br />

all’esecuzione della biopsia renale deve essere sottoposto a<br />

preliminare valutazione del profilo emocoagulativo (aPTT,<br />

PT, Fibrinogeno), esame emocromocitometrico o determi-<br />

Tabella 1<br />

Vie di accesso e tecniche di localizzazione<br />

del rene durante intervento bioptico renale<br />

Vie di accesso Percutanea<br />

Chirurgica a cielo aperto<br />

Laparoscopica<br />

Tecniche di localizzazione Addome a vuoto<br />

Ecografia intermittente<br />

Ecografia continua<br />

TAC/TAC intermittente<br />

Fluoroscopia durante urografia<br />

Urografia


310 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Tabella 2<br />

Controindicazioni all’intervento bioptico renale<br />

Paziente monorene<br />

Sospetta pielonefrite<br />

Rene policistico<br />

Idronefrosi/Pionefrosi<br />

Neoplasia a rischio di metastatizzazione per intervento<br />

bioptico<br />

Alterazioni gravi, non correggibili della coagulazione<br />

Rene terminale (End stage kidney)<br />

nazione dell’ematocrito, stima piastrinica. Le trombocitopatie<br />

che possono essere presenti in corso di malattie infettive<br />

o condizioni patologiche di altre origini (es. malattia di<br />

V. Willebrand) possono essere valutate associando agli esami<br />

precedentemente elencati il tempo di sanguinamento<br />

buccale (MBT). Il paziente ideale da sottoporre ad intervento<br />

bioptico renale sarà quello proteinurico, con parametri<br />

di funzionalità renale nei limiti di normalità, con esame<br />

ecotomografico renale normale, profilo emocoagulativo<br />

normale, non anemico, con stima piastrinica adeguata e senza<br />

segni di trombocitopatia.<br />

Il paziente da biopsare viene sottoposto ad anestesia di<br />

breve durata dopo premedicazione con farmaci ad azione<br />

analgesica; un protocollo utilizzabile nel cane è quello che<br />

prevede la somministrazione di Tramadolo al dosaggio di 2<br />

mg/kg IM 30 minuti prima della induzione tramite Propofolo<br />

(6,5 mg/kg EV). Dopo l’esecuzione dell’intervento bioptico<br />

il paziente viene monitorato per un periodo di 90-180<br />

minuti. Durante il periodo di monitoraggio viene effettuata<br />

fluidoterapia con somministrazione endovenosa di cristalloidi<br />

(solitamente soluzione fisiologica) a dosaggio di mantenimento<br />

(60 ml/kg/24 ore nel cane e 40 ml/kg/24 ore nel gatto)<br />

e vengono rivalutati a 30 e 90 (180) minuti l’ematocrito<br />

e la stima piastrinica.<br />

Bibliografia<br />

1. Rawlings CA, Howerth EW. Obtaining quality biopsies of the liver<br />

and kidney, JAAHA 2004 Sep-Oct; 40: 352-358.<br />

2. Vaden SL. Renal biopsy of dogs and cats. Clin Tech Small Anim<br />

Pract. 2005 Feb;20(1):11-22.<br />

3. Vaden SL, Levine JF, Lees GE, Groman RP, Grauer GF, Forrester SD.<br />

Renal biopsy: a retrospective study of methods and complications in<br />

283 dogs and 65 cats. J Vet Intern Med. 2005 Nov-Dec;<strong>19</strong>(6):794-801.<br />

4. Zatelli A, Borgarelli M, Santilli R, Bonfanti U, Nigrisoli E, Zanatta<br />

R, Tarducci A, Guarraci A. Glomerular lesions in dogs infected with<br />

Leishmania organisms. Am J Vet Res. 2003 May;64(5):558-61.<br />

5. Zatelli A, Bonfanti U, Santilli R, Borgarelli M, Bussadori C. Echoassisted<br />

percutaneous renal biopsy in dogs. A retrospective study of<br />

229 cases. Vet J. 2003 Nov;166(3):257-64.<br />

6. Zatelli A, D’Ippolito P, Zini E. Comparison of glomerular number<br />

and specimen length obtained from 100 dogs via percutaneous echoassisted<br />

renal biopsy using two different needles. Vet Radiol Ultrasound.<br />

2005 Sep-Oct;46(5):434-6.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrea Zatelli<br />

Clinica Veterinaria Pirani - Reggio Emilia<br />

E-mail: clinvet-pirani@libero.it


COMUNICAZIONI<br />

LIBERE<br />

Le comunicazioni sono elencate in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 313<br />

UTILIZZO DELL’ECOGRAFIA E DELLA TC NELLA DIAGNOSI E TRATTAMENTO<br />

DEI CORPI ESTRANEI VEGETALI<br />

Gabriela Attanasi Dr Med Vet*, Massimo Vignoli Dr Med Vet, SRV*, Giorgia Vizzardelli Dr Med Vet°,<br />

Paola Laganga Dr Med Vet*, Paolo Cortelli Panini Dr Med Vet#, Federica Rossi Dr Med Vet, SRV, Dipl. ECVDI*,<br />

Rossella Terragni Dr Med Vet, SPCAA-Gastroenterologia*<br />

*Libero Professionista – Sasso Marconi (BO)<br />

° Libero Professionista - Perugia<br />

# Libero Professionista - Terni<br />

Introduzione. La patologia da corpo estraneo migrante è una condizione frequente e spesso risulta essere frustrante sia per le<br />

difficoltà diagnostiche, a causa della sua difficile localizzazione, sia per quanto riguarda la rimozione chirurgica. Al momento<br />

l’ecografia e la TC come ausilio per lo studio dei corpi estranei migranti sono stati citati in alcuni lavori, dei quali uno solamente<br />

descrive in maniera consistente l’utilizzo dell’ecografia come apporto diagnostico e come guida durante la terapia chirurgica.<br />

Materiali e metodi. Nel presente studio sono stati considerati 41 cani di diversa razza, età ed attitudine, presentati presso le<br />

nostre strutture da settembre 2004 a ottobre 2005 per sospetto di corpo estraneo vegetale. 35 cani sono stati ecografati con sonda<br />

lineare 7.5-10 MHz (Esaote Megas GPX) e 4 di questi sottoposti a TC spirale del torace (GE Pro-Speed Power). Altri 6 soggetti<br />

sono stati sottoposti solo a TC del torace o addome. Tutti i soggetti sono stati trattati chirurgicamente. Durante la chirurgia<br />

la guida ecografica è stata utilizzata in 28 casi.<br />

Risultati. Uno o più corpi estranei vegetali sono stati individuati ecograficamente in 32 casi su 35. L’ombra acustica distale non<br />

è stata un reperto costante. I corpi estranei sono stati localizzati: 6 nella parete toracica, 5 perineali/perivaginali, 4 inguinali, 15<br />

spazio retroperitoneale/fianco, 1 retrobulbare, 1 mediastinico. In 10 casi, la TC spirale di torace ed addome ha messo in evidenza<br />

1 mediastinite localizzata, 1 ispessimento pericardico, 1 broncopatia (dei bronchi lobari caudali dx e sx e del lobo accessorio),<br />

1 bolla polmonare, 1 pneumatocele, 2 casi di atelettasia polmonare, 1 versamento pleurico, 2 casi di pneumotorace, 5 lesioni<br />

polmonari circoscritte, 1 aumento di volume dei linfonodi sternali, lesioni ascessuali nella regione lombare con tragitti fistolosi<br />

multipli ed 1 periostite del corpo vertebrale di L4. Nei 4 soggetti studiati con entrambe le tecniche il corpo estraneo è stato visualizzato<br />

in 2 casi solo per mezzo dell’ecografia. Chirurgicamente sono stati asportati tutti i corpi estranei visualizzati ecograficamente.<br />

La guida ecografia durante la chirurgia è stata un utile ausilio o addirittura fondamentale nella visualizzazione del corpo<br />

estraneo in 28 casi.<br />

Discussione. Dal seguente studio, risulta che l’ecografia è uno strumento estremamente utile nell’identificazione dei corpi estranei<br />

vegetali. Inoltre, grazie alla guida ecografica si è riusciti ad asportare chirurgicamente corpi estranei altrimenti difficilmente<br />

visibili. L’esame TC spirale del torace e dell’addome ha consentito nei casi in cui è stata eseguita di evidenziare patologie<br />

concomitanti e meglio definire il tragitto che il corpo estraneo ha seguito. In 1 caso ha permesso di visualizzare il corpo estraneo<br />

stesso. In conclusione, uno studio associato con ecografia e TC aumenta la sensibilità nel rilevamento dei corpi estranei<br />

vegetali e dà indicazioni migliori sull’approccio chirurgico. La chirurgia eco-guidata consente di risparmiare tempo e di aumentare<br />

la percentuale di successo, quindi dovrebbe essere considerata come tecnica elettiva di fronte a questa patologia.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Clinica Veterinaria dell’Orologio<br />

Via Gramsci 1/4<br />

40037 Sasso Marconi<br />

g.attanasi_27@virgilio.it


314 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

TRATTAMENTO CON PROTESI TOTALE D’ANCA NON CEMENTATA<br />

DI UNA FRATTURA INVETERATA S.H. TIPO 1, MALCONSOLIDATA DELLA FISI DELLA TESTA<br />

DEL FEMORE E PSEUDOARTROSI DEL COLLO FEMORALE IN UN CANE<br />

Ermenegildo Baroni Med Vet°*, Giuliana Bonetti Med Vet°, Matteo Gobbo Med Vet°, Maurizio Isola Med Vet*<br />

*Istituto di Scienze Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Padova<br />

°Clinica Veterinaria Baroni, Rovigo<br />

Introduzione. Le fratture articolari non prontamente trattate creano sempre un quadro degenerativo a carico dell’articolazione<br />

interessata spesso invalidante per la vita del soggetto.<br />

L’avvento delle protesi articolari in medicina veterinaria permette il trattamento di alcuni tipi di fratture che fino ad oggi avrebbero<br />

avuto esito poco soddisfacente dal punto di vista funzionale, permettendo un recupero ottimale dell’attività del soggetto.<br />

Materiali e metodi. Un cane di razza Labrador, di sesso maschile, dell’età di 14 mesi e del peso di 40 kg, con Body Contro<br />

Score (BCS) 4, veniva sottoposto a visita clinica a causa di una zoppia cronica a carico dell’arto posteriore sinistro. La zoppia<br />

era persistente da diversi mesi e le terapie antinfiammatorie eseguite precedentemente avevano sortito un effetto negativo. Alla<br />

visita clinica si evidenziava una zoppia di 2° all’arto posteriore sinistro. I movimenti passivi dell’articolazione coxo femorale<br />

evidenziavano una dolorabilità con esacerbazione dell’algia alla iperestensione e compressione trocanterica. L’indagine radiografica<br />

eseguita nella proiezione standard metteva in evidenza una frattura inveterata di S.H. tipo 1 a carico della fisi della testa<br />

articolare del femore, consolidata in varo, e pseudoartrosi del collo femorale. L’eziopatogenesi della frattura suggeriva che il distacco<br />

fiseale era avvenuto attorno al 6° mese d’età, quando le fisi erano ancora aperte. La frattura del collo del femore che ha<br />

poi portato alla formazione della pseudoartosi potrebbe essere avvenuta nello stesso momento della frattura fiseale o anche in<br />

un secondo tempo, ma dal punto di vista prognostico la cosa risulta ininfluente.<br />

In presenza di tale lesioni si prendono in considerazione principalmente tre opzioni terapeutiche:<br />

1) terapia conservativa;<br />

2) Escissione artroplastica di testa e collo femorale (FHNO);<br />

3) Protesi totale d’anca (THR).<br />

In un soggetto giovane pesante ed esuberante come il soggetto in questione, la terapia conservativa risulta essere controindicata,<br />

in quanto bisognerebbe tenere il soggetto in terapia con FANS per tutta la vita, non arrestando minimamente l’alterazione<br />

degenerativa già presente. L’ostectomia della tesa e del collo femorale in un soggetto pesante (BCS 4) e molto esuberante può<br />

portare a benefici limitati, se non nulli, ed è quindi poco è indicata. In questo caso, quindi, la protesi totale d’anca rappresenta,<br />

a nostro avviso, la scelta terapeutica ottimale. Si è quindi deciso per un intervento di protesi totale d’anca. In particolare il modello<br />

protesico utilizzato e di tipo non cementato commercializzato dalla Biomedtrix, modello BFX. Il planning radiografico preoperatorio<br />

ha permesso di valutare le misure proteiche femorali e acetabolari utilizzate: stelo dell’8, testa 17+3 e coppa acetabolare<br />

del 28. Durante l’alesatura del canale midollare femorale per il posizionamento dello stelo si è evidenziata la necessità di<br />

posizionare uno stelo di dimensioni minori. In particolare è stato inserito uno stelo del 6.<br />

Risultati. 24 ore dopo l’intervento il cane appoggiava l’arto in punta e dopo due giorni cominciava già ad appoggiare con più<br />

sicurezza e riusciva ad espletare normalmente le sue funzioni organiche. Dimesso in settima giornata il soggetto veniva sottoposto<br />

a restrizione del movimento per 25 giorni. Al controllo dopo 30 giorni la deambulazione appariva quasi normale e il soggetto<br />

appoggiava sugli arti posteriori senza esitazione. Al controllo radiografico non si notavano ne mobilizzazione delle componenti<br />

protesiche ne aree di lisi. Il quadro supportava la sintomatologia clinica del soggetto. Il quadro radiografico eseguito nei<br />

successivi controlli a 3 e 6 mesi restava inalterato mentre si aveva una risoluzione della sintomatologia clinica.<br />

Conclusione. Lo stelo del 6 è senza dubbio, considerate le misurazioni pre operatorie, sottodimensionato per un femore di tali<br />

dimensioni, ma la fibrosi creatasi nella zona sottotrocanterica in seguito alla pseudoartrosi del collo ha impedito di poter inserire<br />

uno stelo più adatto alla dimensione reale del canale midollare del femore (prob.num.8). La lesione specifica non comportava<br />

particolari complicazioni applicative rispetto al protocollo chirurgico per un’anca artrosica. L’unica differenza riscontrata è<br />

stata nel variare l’inclinazione della linea di ostectomia del collo del femore. In questo caso la linea ostectomica è stata fatta eseguita<br />

al di sotto della pseudoartrosi, per eliminare più tessuto fibroso possibile. Le lesioni articolari non trattate prontamente e<br />

con la maggior precisione possibile portano sempre ad un esito degenerativo con conseguente invalidità della funzione articolare<br />

e peggioramento della qualità di vita dell’animale. La chirurgia protesica è sicuramente in grado di ovviare a tutto questo.<br />

Resta punto fermo che l’approccio a questo tipo di interventistica comporta una curva di apprendimento lunga nell’ambito della<br />

chirurgia ortopedico traumatologica per poter ovviare a eventuali difficoltà che possono insorgere durante l’intervento considerato<br />

che si interviene su strutture morfologicamente alterate.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Ermenegildo Baroni<br />

Clinica Veterinaria Baroni<br />

Via Martiri di Belfiore 69/d<br />

45100 Rovigo<br />

E-mail: gildo_baroni@libero.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 315<br />

IPOPLASIA DEL PALATO MOLLE IN UN GIOVANE GATTO<br />

Massimo Beccati, Laura Barachetti<br />

Liberi professionisti, Capriate SG (BG)<br />

Introduzione. Le malformazioni congenite del palato secondario possono interessare sia il palato duro che il palato molle, non<br />

raramente entrambi. I difetti del palato duro sono relativamente frequenti per contro le anomalie congenite del palato molle sono<br />

state segnalate molto sporadicamente.<br />

Va tuttavia sottolineato che i difetti del palato molle sono più comuni di quanto si creda, poiché i meccanismi compensatori come<br />

l'ipertrofia o/e iperplasia dei muscoli dorsali della faringe e le successive modificazioni dei movimenti della lingua e della faringe<br />

durante la deglutizione minimizzano il possibile quadro sintomatologico a questi conseguente.<br />

Nel presente lavoro viene descritto un caso di ipoplasia del solo palato molle in un gatto di 6 mesi, affetto da rinite purulenta<br />

cronica. A seguito di tale diagnosi si è adottato un approccio terapeutico chirurgico.<br />

Caso clinico. Una gatta di sei mesi circa veniva posta alla nostra attenzione per una sintomatologia rinoraggica presente oramai<br />

da 4 mesi circa. Pregresse terapie antibiotiche avevano sortito solamente un transitorio miglioramento sintomatologico ma mai<br />

una guarigione definitiva. All’esame obbiettivo generale la gatta si presentava in buone condizioni; l’esame obbiettivo particolare<br />

metteva in evidenza uno scolo nasale emo-muco-purulento bilaterale, difficoltà respiratorie delle alte vie, starnuti e rumori nasali<br />

respiratori. La visita clinica con animale vigile consentiva di evidenziare una ostruzione delle vie respiratorie nasali da parte del<br />

materiale purulento; la visualizzazione rapida (paziente non accondiscendente) della cavità buccale non metteva in luce alterazioni<br />

macroscopiche. Non riuscendo ad ottenere una effettiva visualizzazione sia delle cavità nasali che di tutta la cavità buccale<br />

si provvedeva ad una indagine endoscopica delle suddette aree anatomiche. La sola visualizzazione diretta con animale sedato<br />

della cavità buccale con estroflessione della lingua metteva in evidenza l’alterazione anatomica del solo palato molle, il quale si<br />

presentava cribrato bilateralmente. Tale anomalia seppur macroscopicamente “bizzarra” può essere classificata come ipoplasia<br />

bilaterale del palato molle. La successiva endoscopia delle cavità nasali evidenziava una rinite cronica iperplastica/ipertrofica. L’ispezione<br />

dell’area rinofaringea non evidenziava lesioni o masse occupanti spazio riferibili a polipi infiammatori. Vista la giovane<br />

età del soggetto si optava per una approccio terapeutico chirurgico del palato molle adottando la tecnica dei lembi mucosali<br />

sovrapposti. Il follow up a distanza di 10 giorni evidenziava un netto miglioramento della sintomatologia respiratoria e nessuna<br />

atteggiamento disfagica. L’aspetto macroscopico del palato risultava nella sua totalità di aspetto normale ma di dimensioni ridotte<br />

in lunghezza. A 60 giorni il paziente manteneva una situazione respiratoria ottimale (senza scolo, assenza di starnuti, assenza<br />

di suoni respiratori). Successivamente il paziente è stato perso per il follow up.<br />

Discussione. Le malformazioni congenite del palato secondario costituiscono un entità clinica rilevante, benché poco diffusa e<br />

di conseguenza poco conosciuta dal punto di vista eziopatogenetico e terapeutico. Molto spesso, tuttavia soprattutto nel gatto la<br />

presenza di rinorree croniche sono motivo di “pigrizia” diagnostica e spesso questi pazienti vengono dimessi come affetti da<br />

rino-tracheite infettiva cronica. Lo stesso approccio terapeutico permane controverso quando si tratta di anomalie congenite.<br />

Nelle ipoplasie del palato molle la terapia può essere conservativa/farmacologia oppure chirurgica a seconda del grado del difetto<br />

stesso. Nel nostro caso la terapia chirurgica ha dato risultati soddisfacenti, tuttavia le diverse tecniche descritte in letteratura<br />

denotano come l’approccio chirurgico debba essere adattato alla tipologia di malformazione presente.


316 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

SOMMINISTRAZIONE DI ESTRATTO SECCO DI TRIGONELLA FOENUM-GRECUM<br />

NEL CANE SPORTIVO AI FINI DEL MANTENIMENTO E<br />

DEL MIGLIORAMENTO DELLA PERFORMANCE<br />

Andrea Beni 1 Med Vet, specialista in “Farmacologia Applicata” (Università di Firenze),<br />

perfezionato in “Fitoterapia” (Università di Siena)<br />

Con la collaborazione di Claudio Nencini allevatore di Setter Inglesi (Firenze)<br />

1 Libero professionista, Firenze<br />

Riassunto. Questo studio si è proposto di indagare gli effetti della somministrazione di estratto secco di Fieno greco sulla capacità<br />

prestativa e sullo stato di forma di un gruppo di cani sportivi ad alto livello. Hanno partecipato allo studio 12 cani di razza<br />

setter inglese impegnati in competizioni di grande cerca di alto livello.<br />

I soggetti sono stati divisi in due gruppi randomizzati. A sei di essi (gruppo FG) veniva somministrato per una durata di 120<br />

giorni dall’inizio della preparazione agonistica 330 mg di ex di Fieno greco. Ai controlli (gruppo PLA) venivano somministrati<br />

opercoli vuoti.<br />

Descrizione della pianta. Il Fieno greco (Trigonella foenum-graecum), è una pianta erbacea annuale, alta dai 30 ai 60 cm. La<br />

droga utilizzata è rappresentata dall’estratto secco dei semi. Il fitocomplesso dotato di attività considerata in Trigonella foenumgraecum<br />

è rappresentato da un gruppo di saponine furostanoliche (5-6%). Nei semi di Fieno greco sono state identificate almeno<br />

una dozzina di saponine differenti 3 , la principale di queste è la Diosgenina, insieme ai suoi isomeri. Le proprietà biologiche<br />

delle saponine contenute nei semi del Fieno greco ne fanno un ottimo anabolizzante naturale. I suoi componenti possono essere<br />

particolarmente utili nei momenti in cui l’organismo va incontro a cambiamenti anche profondi, come ad esempio la vecchiaia,<br />

la convalescenza, l’impegno sportivo.<br />

Materiali e metodi. Hanno partecipato allo studio 12 cani di razza SETTER INGLESE impegnati in competizioni di “grande<br />

cerca” di alto livello agonistico. Tutti i soggetti appartenevano allo stesso allenatore\allevatore ed erano allenati insieme al fine<br />

di ottenere una maggiore uniformità della prestazione. Nel periodo dello studio tutti i soggetti hanno ricevuto lo stesso tipo di<br />

mangime completo in quantità proporzionali al peso. Venivano allenati in gruppi mescolati con gli stessi tempi e modi. I soggetti<br />

sono stati divisi in due gruppi randomizzati.<br />

A sei di essi (gruppo FG) veniva somministrato per una durata di 120 giorni dall’inizio della preparazione agonistica 330 mg di<br />

ex di Fieno greco con le seguenti modalità: una volta al giorno in opercoli aromatizzati con miele. Ai controlli (gruppo PLA)<br />

venivano somministrati opercoli vuoti aromatizzati con miele a scopo placebo. Il proprietario era al corrente del contenuto degli<br />

opercoli. All’inizio (T0) ed alla fine (T120) del periodo di supplementazione è stata effettuata una serie di test e di esami per la<br />

valutazione della capacità prestativa dei cani atleti.<br />

Valutazione della prestazione. Per confrontare i due gruppi ci siamo serviti di alcuni parametri che potessero individuare lo<br />

stato di forma di un cane atleta.<br />

PESO (vedi tabelle pag. seguente)<br />

VALORI EMATICI ED EMATOCHIMICI (vedi tabelle pag. seguente)<br />

VALUTAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA (vedi tabelle pag. seguente)<br />

Test della performance. Eseguito su treadmill computerizzato con cardiofrequenzimetro a telemetria breve.<br />

Analisi statistica. Le variazioni all’interno di ogni gruppo sono state analizzate con un test “t di Student” per dati appaiati. Il<br />

confronto tra i due gruppi è stato effettuato mediante il test “t di Student” per dati non appaiati, applicato alle variazioni percentuali<br />

rilevate in ogni soggetto nel test T0 rispetto a T120. Si è considerata significativa una p


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 317<br />

TABELLE<br />

TEST DELLA FREQUENZA CARDIACA<br />

(SU TREADMILL CON CARDIOFREQUENZIMETRO A TELEMETRIA BREVE)<br />

HR A RIPOSO HR PROVA HR REC(POST 10’)<br />

GRUPPO FG T 0 89+/- 4,5 <strong>19</strong>3+/-5,8 118+/-2,7<br />

T 120 91+/-3 184+/-4 97+/-3,3<br />

GRUPPO PLA T 0 88+/-3,9 <strong>19</strong>1+/-4,2 106+/-5<br />

T 120 83+/-4,2 186+/-6 111+/-9<br />

Sono riportati i valori medi dei due gruppi e la variazione standard.<br />

Analisi con test del “t di Student” per dati appaiati: T0 vsT120 con p


318 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ASPETTI DI PRONTO SOCCORSO E GESTIONE<br />

DI UN CUCCIOLO DI GRAMPUS GRISEUS (RISSO’S DOLPHIN)<br />

Alessandro Benvenuti 1 DVM, Manuel Garcia Hartmann 2 DVM, Federica Rossi 3 DVM SVIDI, Julia Scharpegge 2 DVM<br />

1 Libero Professionista, Roma; 2 Zoo di Duisburg;<br />

3 Libero Professionista, Bologna<br />

Introduzione. Il Grampo (Risso’s Dolphin o Grampus Griseus) è un mammifero marino che appartiene all’ordine dei Cetacei,<br />

sottordine Odontoceti, famiglia Delfinidi. Questo delfino può superare i quattro metri di lunghezza, pesare più di quattrocento<br />

chili e presenta una livrea caratteristica della specie; infatti il colore grigio uniforme dei soggetti giovani tende gradualmente a<br />

schiarirsi con il tempo, fornendo anche un’indicazione per determinare l’età, per la presenza sempre maggiore di cicatrici bianche<br />

ed irregolari, dovute alla depigmentazione di zone colpite da ferite accidentali e da morsi di altri individui dello stesso gruppo<br />

durante le interazioni sociali. Morfologicamente è tipica la mancanza di un rostro evidente, capo rotondeggiante, con una corporatura<br />

più tozza che non limita comunque le sue notevolissime capacità natatorie. La pinna dorsale si presenta alta e falcata<br />

situata sulla metà del corpo. Si nutre prevalentemente di calamari (teutofaga); la gestazione dura dai tredici ai quattordici mesi<br />

con il raggiungimento della maturità sessuale intorno ai due metri e mezzo di lunghezza (circa sette anni nella femmina, nel<br />

maschio è sconosciuta). Il piccolo quando nasce può misurare circa un metro e mezzo. Si presume che i cuccioli vivono con la<br />

madre per circa quattro anni ed il loro rapporto è molto forte. Come habitat predilige acque profonde fino a mille metri. Come<br />

distribuzione è diffuso nelle acque profonde tropicali e caldo-temperate oceaniche; nel Mediterraneo è presente in prevalenza<br />

nella parte occidentale. I Grampi vivono normalmente in gruppi di una o due dozzine di soggetti di tutte le età e sesso. Si possono<br />

riscontrare in natura gruppi di Grampi che si sono aggregati ad altri di Globicefali o Tursiops truncatus.<br />

Il caso clinico. Il <strong>19</strong> Giugno 2005 venivo contattato dai responsabili della Fondazione Cetacea e dalle Autorità militari locali<br />

preposte, per l’avvistamento di due Grampi all’interno del porto di Ancona. I due soggetti, un adulto di oltre tre metri di lunghezza<br />

e un piccolo di meno di due metri, erano presenti nelle acque del porto dal giorno prima ed erano stati vani i tentativi<br />

delle Autorità e dei biologi di riportarli al largo. Dopo aver osservato gli animali (era chiaro che si trattasse di una femmina adulta<br />

perché il cucciolo si allattava ancora dalla madre) per circa due ore ed aver preso tutte le informazioni necessarie dalle persone<br />

preposte per la loro osservazione, esprimevo il mio parere in qualità di esperto veterinario per l’intervento e per la loro<br />

ospedalizzazione, in accordo con gli organi ministeriali e della pubblica sanità presenti: gli elementi di osservazione in mio possesso,<br />

la profondità e le pessime condizioni dell’acqua del porto rendevano improponibile il ricovero in un’area portuale stessa.<br />

Infatti le gravi condizioni cliniche della madre ma anche del cucciolo erano evidenziate dalla frequenza dei loro atti respiratori,<br />

dalla tipologia e dalla frequenza delle apnee, dai problemi di bilanciamento (del soggetto adulto) e dal comportamento del cucciolo<br />

nei confronti della madre e viceversa. Ci siamo attivati per la cattura decidendo di ricoverarli in una piscina dove avremmo<br />

potuto effettuare tutti gli accertamenti del caso.<br />

Metodi impiegati. Gli animali venivano sottoposti ad una prima visita clinica completa all’atto del trasporto per poi provvedere<br />

ai primi prelievi che prevedevano gli esami del sangue (emato-biochimico completo, elettroliti, elettroforesi, ormoni), ricerche<br />

dallo sfiatatoio (colture per batteri e miceti con antibiogramma), esame delle feci ed anche ricerche strumentali come un<br />

ecografia completa e l’auscultazione digitale computerizzata.<br />

Risultati ottenuti. Anche se purtroppo non ci fu niente da fare per la madre, la cucciola di Grampo nonostante le sue gravi condizioni<br />

cliniche (polmonite, gravi lesioni della cute con ferite profonde ed infette e gravi sofferenze gastroenterica ed epatica)<br />

ed il passaggio ad una alimentazione forzata artificiale (formula speciale a base di latte composto, calamari, aringhe, ed integratori),<br />

è stata portata al completo svezzamento e si è riusciti a supplire all’improvvisa mancanza della madre.<br />

Conclusioni. Mary G, così è stata chiamata la cucciola, dopo più di due mesi di terapie intensive è stata trasportata in una nuova<br />

piscina più tecnologica dove ha potuto, oltre a continuare le terapie, anche avere un’interazione intraspecifica con dei tursiopi<br />

che vivono in ambiente controllato. Non essendoci pressoché nulla in letteratura veterinaria sul trattamento, sullo svezzamento,<br />

sul comportamento e sulla gestione di un cucciolo di Grampo spiaggiato ospedalizzato e mantenuto in vita, questo caso<br />

ha avuto una risonanza mondiale nella comunità scientifica mondiale che opera nel campo dei mammiferi marini per la quantità<br />

di dati e di osservazioni che si sono potute raccogliere in questo anno di cure.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alessandro Benvenuti<br />

Tel. 06-86205454<br />

E-mail: benvet@tiscali.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 3<strong>19</strong><br />

RADICOLOPATIA ASSOCIATA A PRESENZA DI GAS NEL CANALE SPINALE:<br />

VALUTAZIONE MEDIANTE TC MULTISTRATO<br />

Giovanna Bertolini 1 Med Vet, Nicola Ottolini 1 Med Vet, Gianluca Ledda 1 Med Vet<br />

1 Libero Professionista, Padova<br />

Obiettivo. La presenza di gas all’interno di articolazioni periferiche o negli spazi articolari vertebrali è un segno radiografico<br />

documentato nell’uomo e negli animali sia in radiologia convenzionale che in tomografia computerizzata (TC) ed è conosciuto<br />

con il termine “vacuum” fenomeno. La presenza di gas, prevalentemente nitrati, negli spazi intersomatici della colonna avviene<br />

in diverse circostanze fisiologiche e patologiche, ad esempio nella degenerazione discale, frattura vertebrale, in corso di metastasi<br />

o infezioni. Il gas può interessare anche le faccette articolari, i corpi vertebrali e lo spazio epidurale. In quest’ultimo caso<br />

è descritto associato al “vacuum” fenomeno discale oppure a seguito di interventi chirurgici e procedure diagnostiche (es. mielografia).<br />

Nell’uomo esistono pochi casi descritti di gas nello spazio peridurale, non associata ad altri segni radiografici, in<br />

pazienti con sintomatologia riferibile a compressione midollare e radicolare. Non esistono pari segnalazioni nel cane.<br />

Nel presente lavoro vengono descritti 3 casi di accumulo di gas epidurale, non accompagnato da altre alterazioni, in cani sottoposti<br />

ad indagine tomografica per dolore toraco-lombare.<br />

Materiali e metodi. Sono state valutate le immagini TC di 250 cani sottoposti ad esame della colonna cervicale e/o toraco-lombare<br />

e/o lombo-sacrale presso la nostra struttura tra ottobre 2003 ed ottobre 2005, con la finalità di individuare la presenza di<br />

gas spinale, in assenza di altre lesioni. I cani con patologie infiammatorie o neoplastiche note sono stati esclusi dal lavoro, così<br />

come i pazienti traumatizzati. Sono stati esclusi i cani con presenza di gas associata a degenerazione discale. Infine, non sono<br />

stati considerati i soggetti precedentemente sottoposti ad interventi chirurgici o analgesici spinali.<br />

Gli esami sono stati eseguiti con TC multistrato 16 (GE Medical Systems, Milwaukee, WI, USA) con il paziente in anestesia generale,<br />

in decubito dorsale per le scansioni toraco-lombari e lombo-sacrali e decubito sternale per l’esame della colonna cervicale.<br />

Il protocollo utilizzato è il seguente: 120 kVp, 180-200 mA (a seconda della taglia del cane), 0,625-1,2 mm spessore di strato,<br />

pitch of 0.562:1, con 0.7-1.0 sec di rotazione.<br />

È stata effettuata la valutazione quantitativa densitometrica (Housfiled Units -HU) mediante apposizione di una regione di interesse<br />

(ROI) sull’area gassosa evidenziata.<br />

Risultati. Tre cani maschi interi sono stati inclusi nel presente studio. L’età media (±SD) è 6,3 ± 4,04 anni ed il peso medio<br />

(±SD) è di <strong>21</strong> ± <strong>19</strong>,15 kg. Le razze interessate: Rottweiler (n=1), Beagle (n=1) e meticcio (n=1). I valori di attenuazione delle<br />

lesioni gassose variano da -478 HU a -970 HU.<br />

Il gas è stato rilevato a livello toracico in tutti e tre i casi con interessamento dei segmenti toracici da T8 a T11, sia destro che<br />

sinistro, con interessamento foraminale e non sono stati evidenziati altre anomalie all’esame tomografico.<br />

Conclusioni. È stata documentata con TC multistrato la presenza di gas epidurale nella colonna toracica di cani con dolore toraco-lombare,<br />

in assenza di alterazioni associate. La compressione causata dal gas localizzato in prossimità del forame può causare<br />

sintomi clinici riferibili a radicolopatia compressiva, come documentato nell’uomo.<br />

Bibliografia<br />

Weber W.J, Berry C.R, Kramer R.W. Vacuum phenomenon in twelve dogs. Vet. Radiol. Ultrasound <strong>19</strong>95;36(6):493-498.<br />

Hathcock J.T.Vacuum phenomenon of the canine spine: CT findings in 3 patients. Vet. Radiol. Ultrasound <strong>19</strong>94;35(4):285-289.<br />

Bree H van.Vacuum phenomenon associated with osteochondrosis of the scapulohumeral joint in dogs:100 cases (<strong>19</strong>85-<strong>19</strong>91) JAVMA <strong>19</strong>92; 201(12):<strong>19</strong>16-<strong>19</strong>17.<br />

Schwarz T, Owen M.R, Sullivan M. Vacuum disk and facet phenomenon in a dog with cauda equina syndrome JAVMA 2000;<strong>21</strong>7(6):862-864.<br />

Larde D, Mathieu D, Frija J, Gaston A, Vasile N. Spinal vacuum phenomenon: CT diagnosis and significance. J Comput Assist Tomogr <strong>19</strong>82 Aug; 6(4):671-6.<br />

Stallenberg B, Madani A, Burny F, Genevois PA. The vacuum phenomenon: CT sign of a nonunited fracture AJR. 2001 May;176(5):1161-4.<br />

Gulati A.N, Weinstein Z.R. Gas in the spinal canal in association with the lumbosacral vacuum phenomenon: CT findings. Neuroradiology<strong>19</strong>80 Dec; 20(4):<strong>19</strong>1-2.<br />

Nay PG, Milaszkiewicz R, Jothilinham S. Extradural air as cause of paraplegia following lumbar analgesia. Anaesthesia<strong>19</strong>93 May;48(5):402-4.<br />

Kaymaz M, Oztanir N, Emmez H, Ozkose Z, Pasaoglu A.Epidural air entrapment after spinal surgery. Clin Neurol Neurosurg. 2005Aug;107(5):4<strong>21</strong>-4.<br />

Giraud F, Fontana A, Mallet J, Fisher LP, Meunier PJ. Sciatica caused by epidural gas. Four cases reports. Joint Bone Spine 2001 Oct; 68(5):437-7.<br />

Tsitouridis I, Sayeg FE, Papapostolou P et al. Disc-like herniation in association with gas collection in the spinal canal: CT evaluation.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giovanna Bertolini<br />

Clinica Veterinaria Privata San Marco<br />

Via Sorio 114/c - 35141 PADOVA<br />

Tel. +390498561098<br />

Fax +3902700518888<br />

E-mail: bertolini@sanmarcovet.it


320 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

ELETTROMIOGRAFIA IN UN CONIGLIO CON LESIONE DEL NERVO SCIATICO<br />

Pierfrancesco Bo Med Vet<br />

Libero professionista, Bologna<br />

Scopo del lavoro. Dimostrare la validità dell’esame elettromiografico nel coniglio. Per far ciò consideriamo il caso clinico di<br />

una coniglietta nana di quattro mesi, portata alla visita in quanto schiacciata accidentalmente dal proprietario. Alla visita il soggetto,<br />

pur avendo un buono stato generale, presentava lieve difficoltà alla deambulazione, con una tendenza alla deviazione laterale<br />

dell’arto posteriore sinistro; alla palpazione di tutte le estremità ossee e della colonna vertebrale non si evidenziavano né<br />

dolore né parvenza di fratture o lussazioni. Le articolazioni, compresa quella del ginocchio, erano stabili ed anche i riflessi dolorifici<br />

erano presenti. Veniva in ogni modo effettuato uno studio radiografico, con soggetto non sedato, consistente in due lastre<br />

eseguite in proiezione ventro-dorsale e latero-laterale, che non evidenziavano nulla di rilevante. Eseguita una prima somministrazione<br />

di antidolorifico, antibiotico, cortisone con dosaggio a scalare e gastroprotettore, si rimandava il caso ad una più approfondita<br />

valutazione dopo diciotto ore di riposo essendovi anche la possibilità che la sintomatologia derivasse da un trauma moderato<br />

del midollo spinale con edema localizzato. Al successivo controllo non si evidenziavano ulteriori miglioramenti, ma il proprietario<br />

optava per tenere il soggetto a riposo senza effettuare nuovi accertamenti. Dopo quindici giorni il coniglio però, oltre<br />

a peggiorare la deambulazione (accentuando la deviazione laterale del posteriore), incominciava a presentare un’abrasione da<br />

leccamento a livello del tarso sinistro. L’arto presentava in ogni caso sensibilità profonda e superficiale e la manipolazione dello<br />

stesso non evocava dolore.<br />

Metodo impiegato. A settembre il soggetto veniva sottoposto ad una visita neurologica visto anche il perdurare della zoppia.<br />

Il controllo evidenziava assenza di dolore profondo e ipotrofia di tutti i gruppi muscolari dell’arto interessato con facile lussazione<br />

della rotula. L’articolazione del ginocchio appariva però funzionante. Nella stessa seduta veniva quindi compiuta un’elettromiografia<br />

(EMG). Per l’esecuzione della stessa, il coniglio è stato dapprima premedicato usando ketamina, medetomidina<br />

e butorfanolo, inoculati sottocute in cocktail nella medesima siringa, proseguendo, in seguito, impiegando isofluorano in<br />

maschera. Non si è ritenuto opportuno, poiché sconsigliato in questo tipo d’animale, far precedere l’anestesia ad un periodo di<br />

digiuno. L’esame è stato effettuato con animale in decubito laterale con pulizia ed antisepsi della parte da esaminare eseguita<br />

con clorexidina.<br />

Risultati ottenuti. La procedura diagnostica evidenziava attività spontanea in tutti i muscoli dell’arto posteriore sinistro innervati<br />

dal nervo sciatico. Tali potenziali risultavano molto più evidenti distalmente al ginocchio che a livello di muscolatura posteriore<br />

della coscia come a testimoniare una lesione medio-distale del nervo, anche se non si poteva escludere che si trattasse di<br />

un primo segno di reinnervazione. Il medesimo esame, effettuato sull’arto controlaterale, non mostrava invece alterazione alcuna.<br />

Per favorire il risveglio del soggetto e ridurre l’insorgenza di effetti collaterali, è stato quindi somministrato atipamezolo,<br />

enrofloxacin e metoclopramide. Alla visita successiva, effettuata dopo quarantacinque giorni, l’arto appariva però stabilmente<br />

deviato lateralmente a causa di un’anchilosi dell’articolazione femoro-tibio-rotulea. Al peggioramento dell’ipotrofia dei gruppi<br />

muscolari dell’arto e all’assenza di dolore sia superficiale sia profondo, si aggiungevano alle preesistenti escoriazioni sul tarso<br />

nuove lesioni presenti in alcune falangi. Pur prendendo in considerazione l’esecuzione di una successiva elettromiografia per<br />

meglio valutare la possibilità di una reinnervazione, veniva prospettata anche la possibilità di amputazione dell’arto ma, visto<br />

anche la discutibilità sull’etica di questo intervento in un coniglio, il proprietario preferiva aspettare successivi sviluppi. All’ultimo<br />

controllo, eseguito in dicembre, le lesioni da leccamento sull’arto sono in parte regredite, l’arto posteriore sinistro rimane<br />

stabilmente deviato verso l’esterno, e la coniglietta si è adattata a questa sua nuova condizione tanto da rimanere gravida e partorire,<br />

senza necessità d’intervento chirurgico, un coniglietto sano.<br />

Conclusioni. L’elettromiografia può essere considerata come una valida estensione dell’esame neurologico anche negli animali<br />

non convenzionali.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Pierfrancesco Bo<br />

Via Marino Dalmonte 7<br />

40135 Bologna<br />

Tel. 051 6153393 - Cell. 333 6505381<br />

E-mail: fraecol@libero.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 3<strong>21</strong><br />

UN CASO INSOLITO DI OSTEOPATIA CRANICA IN UN LABRADOR RETRIEVER<br />

S. Boiocchi 1 Med Vet, A. Jacchetti 1 Med Vet, C.M. Mortellaro 1 Med Vet Prof, M. Di Giancamillo 2 Med Vet Prof,<br />

M. Silkstone 3 BVSc, MRCVS Dipl ACVP, D. Olivero 4 Med Vet<br />

1 Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria, Università degli Studi di Milano.<br />

2 Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Seazione di Radiologia Clinica e Sperimentale Veterinaria, Università degli<br />

Studi di Milano. 3 Abbey Veterinary Services, Devon, UK. 4 Medico Veterinario libero professionista, BiEsseA, Milano<br />

Introduzione. Fibroma aponeurotico calcificante, displasia fibrosa monostotica, fibroma ossificante, osteoma, osteopatia craniomandibolare<br />

(OCM) e iperostosi idiopatica del calvario (IIC) costituiscono un gruppo di affezioni ossee benigne, di raro<br />

riscontro, spesso non diagnosticate sia a causa delle similitudini di presentazione clinica che della caratterizzazione istopatologica.<br />

Lo scopo del presente lavoro è di segnalare un caso di lesione ossea proliferativa del neurocranio di difficile inquadramento.<br />

Caso clinico. Un cucciolo di Labrador retriever dell’età di 8 mesi è stato riferito presso la nostra struttura per la comparsa di 2<br />

tumefazioni a carico delle regioni frontale destra ed occipitale sinistra. All’età di 6 mesi il soggetto aveva presentato un episodio<br />

di zoppia anteriore sinistra di IV grado per il quale era stata emessa la diagnosi presuntiva di osteomielite ematogena a carico<br />

della metafisi omerale. A distanza di 2 settimane era stata rilevata la presenza di una tumefazione a carico della regione frontale<br />

destra, saltuariamente dolente ed accompagnata da episodi di depressione del sensorio e disoressia, seguita dopo 15 giorni<br />

da un episodio di zoppia anteriore destra. Pochi giorni prima della nostra visita era comparsa una seconda tumefazione a carico<br />

della regione occipitale sinistra. All’esame obiettivo generale il soggetto non presentava alterazioni di rilievo, all’esame obiettivo<br />

particolare si riscontrava la presenza di 2 tumefazioni ovoidali delle dimensioni di 4 cm x 3 cm, a carico delle regioni frontale<br />

destra ed occipitale sinistra, a cute integra, di consistenza dura, non mobili rispetto ai piani sottostanti, non calde e non<br />

dolenti; inoltre, si evocava algia alla palpazione profonda delle metafisi omerali prossimali. L’esame emocromocitometrico metteva<br />

in evidenza una marcata leucocitosi. Il soggetto veniva sottoposto ad esame radiografico e tomografico del cranio dai quali<br />

si evidenziava un uniforme ed omogeneo aumento della radiopacità/densità della corticale dai seni frontali alla protuberanza<br />

occipitale esterna e un lieve ed omogeneo aumento della densità dei tessuti molli della regione occipitale. Nella stessa sede si<br />

eseguiva biopsia incisionale dalla tumefazione occipitale, l’esito della quale ci ha consentito di formulare la seguente diagnosi:<br />

displasia osteofibrosa, diagnosi differenziale con fibroma ossificante e osteoma. Circa 10 giorni dopo la dimissione, la tumefazione<br />

frontale subiva un notevole aumento di volume ed il paziente manifestava algia e depressione del sensorio. Nel mese successivo<br />

i segni e i sintomi sopradescritti si presentavano e regredivano più volte al giorno nell’arco di un’ora. Ciò ci ha condotto<br />

alla decisione di eseguire una seconda biopsia, 2 distinti prelievi, a carico della tumefazione frontale. I 2 referti mostravano<br />

una discordanza diagnostica, il primo suggeriva la diagnosi di fibroma ossificante evoluto in osteoma, mentre il secondo proponeva<br />

l’ipotesi che si trattasse di un raro caso di OCM coinvolgente il solo neurocranio. Sulla scorta dei dati in nostro possesso,<br />

di un’approfondita analisi della letteratura ed a seguito di un confronto con i patologi si emettevano le seguenti diagnosi: IIC,<br />

in ciò confortati dalle analogie della nostra lesione con questa condizione patologica recentemente segnalata in 5 Bullmastiff e<br />

OCM atipica. Dall’epoca della seconda biopsia ad oggi il soggetto non ha più manifestato sintomi sistemici; al momento dello<br />

scritto le tumefazioni appaiono di minor volume pur permanendo una lieve asimmetria del cranio.<br />

Discussione/Conclusioni. Il fibroma aponeurotico calcificante, la displasia fibrosa monostotica, il fibroma ossificante e l’osteoma<br />

differiscono dal caso segnalato sia per la presentazione clinica che per le caratteristiche istopatologiche. Le manifestazioni<br />

cliniche, l’aspetto radiografico, tomografico e istopatologico del nostro caso presentano più spiccate analogie con quanto<br />

descritto in letteratura in riferimento all’OCM e l’IIC. Tuttavia l’OCM pur mostrando le medesime caratteristiche istologiche e<br />

la stessa evoluzione clinica, difficilmente interessa le sole ossa del neurocranio senza concomitante coinvolgimento della mandibola<br />

e le lesioni caratteristicamente risultano essere pari e simmetriche. Per contro l’IIC, pur essendo segnalata in letteratura<br />

solo nel Bullmastiff, per la presentazione clinica, l’evoluzione, l’aspetto radiografico/tomografico e istopatologico risulta essere<br />

l’ipotesi diagnostica più accreditata. Inoltre è riportato come entrambe le patologie possano interessare lo scheletro appendicolare<br />

ed indurre una sintomatologia sistemica, avvalorando l’ipotesi di un’eziopatogenesi multifattoriale che include disordini<br />

di tipo infettivo, nutrizionale, genetico e metabolico. Infine sino a che non saranno disponibili ulteriori informazioni sull’esatta<br />

eziologia delle malattie in parola, visto il carattere autolimitante delle stesse, non si propone nessuna terapia specifica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Silvia Boiocchi, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie,<br />

Sezione di Clinica Chirurgica, Facoltà di Medicina Veterinaria,<br />

Università degli Studi di Milano, Via Celoria 10, 20100 Milano<br />

Fax 02-89404987 - E-mail: silvia.boiocchi@fastwebnet.it


322 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

EFFETTI DELL’ASSOCIAZIONE DI UN GEL MUCOADESIVO A BASE DI ADELMIDROL<br />

ALLA PROCEDURA DI DETARTRASI NEL CANE: STUDIO CLINICO CONTROLLATO<br />

Dea Bonello 1 MedVet, SRV, PhD, Dipl EVDC; Paolo Squarzoni 2 MedVet<br />

1 Libero professionista, Torino (Italy); 2 Libero professionista, Molinella (Ferrara) (Italy)<br />

Introduzione. La gengivite è un’infiammazione acuta reversibile indotta dalla placca che rappresenta una delle più frequenti<br />

diagnosi di malattia del cavo orale nel cane. Il trattamento di elezione consiste nella detartrasi sopra e sottogengivale e nella lucidatura<br />

dei denti. Se non opportunamente controllata, la gengivite evolve in una flogosi cronica irreversibile sito-specifica: la<br />

parodontite 1 . Attualmente, le recenti acquisizioni sul ruolo svolto dai mastociti nell’innesco e nella progressione della flogosi<br />

della mucosa orale 2 hanno aperto la strada ad un nuovo approccio “disease-oriented”, basato sull’utilizzo di una classe di molecole<br />

– le aliamidi – dimostratesi capaci di ripristinare l’omeostasi tissutale tramite la down-modulazione dell’eccessiva degranulazione<br />

mastocitaria 3, 4 .<br />

Scopo. Valutare gli effetti dell’uso combinato di un gel topico mucoadesivo contenente l’aliamide Adelmidrol (Restomyl ® ,<br />

Innovet Italia S.r.l.) e della detartrasi sopra e sottogengivale e lucidatura dei denti in cani affetti da gengivite di vario grado.<br />

Materiali e metodi. In uno studio clinico controllato in aperto, 20 cani con diagnosi di gengivite, di età compresa tra 3 e 13 anni,<br />

sono stati sottoposti in anestesia generale a disinfezione ed ispezione completa del cavo orale. La valutazione del grado di gengivite<br />

è stata formulata utilizzando due indici specifici di infiammazione gengivale, rispettivamente di natura invasiva (GI, Gingival Index)<br />

e puramente ispettiva (PMGI, Papillary-Marginal-Gingival Index). In seguito, i cani sono stati sottoposti a detartrasi sopra e sottogengivale<br />

e lucidatura dei denti. Gli animali sono stati, poi, suddivisi in due gruppi: quello di controllo (n=10) che non ha ricevuto<br />

trattamenti aggiuntivi; e quello trattato (n = 10) sottoposto, subito dopo la detartrasi, ad applicazione del gel odontostomatologico<br />

sulle gengive. Il gel è stato successivamente applicato dal proprietario 3 volte al giorno per l’intero periodo dello studio (45 gg.). Per<br />

tutta la durata dello studio, i cani di entrambi i gruppi sono stati alimentati con una dieta secca (Hill’s Maintenance) e non sono sono<br />

stati sottoposti a manovre atte a mantenere l’igiene orale. Gli animali sono stati rivisitati dopo 15, 30 e 45 gg. Il PMGI è stato rilevato<br />

ad ogni controllo; il GI solo ad inizio e fine studio. L’analisi statistica dei risultati si è avvalsa del test T di Student.<br />

Risultati. A differenza del gruppo di controllo, nei trattati il valore medio di GI a T45 era significativamente diminuito<br />

(P


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 323<br />

Bibliografia<br />

1. Harvey CE, 2005, Management of periodontal disease: understanding the options, Vet Clin North Am Small Anim Pract. 35(4):8<strong>19</strong>-36.<br />

2. Walsh LJ, 2003, Mast cells and oral inflammation, Crit Rev Oral Biol Med 14(3): 188-<strong>19</strong>8.<br />

3. Re G, Barbero R, Miolo A, Di Marzo V, 2006, Palmitoylethanolamide, endocannabinoids and related cannabimimetic compounds in protection against<br />

tissue inflammation and pain: potential use in companion animals, Vet J, in press.<br />

4. Bonello D, Squarzoni P, Miolo A, 2004, Aliamides: rationale for use in inflammatory diseases of the oral cavity of dogs and cats, Proceedings 13 th European<br />

Congress of Veterinary Dentistry, Krakow, pp. 52-53.<br />

5. Abramo F, Salluzzi D, Leotta R, Noli C, Auxilia S, Mantis P, Lloyd D, 2004, Mast cell morphometry of cutaneous wounds treated with an autacoid gel:<br />

a placebo-controlled study, Vet Derm 15(Suppl.1): FC-59.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Dea Bonello<br />

Strada Ponte Isabella a San Vito 116/12<br />

10133 Torino<br />

Tel. 011 660 11 <strong>21</strong><br />

E-mail: dea.bonello@alice.it


324 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

FREE PAD PUNCH GRAFTING COME TECNICA DI SALVATAGGIO DELL’ARTO IN LESIONI PODALI:<br />

VALUTAZIONE PRELIMINARE IN TRE GATTI<br />

Giuliana Bonetti Med Vet, Luca Lideo Med Vet, Matteo Gobbo Med Vet,<br />

Roberto Milan Med Vet, Ermenegildo Baroni Med Vet<br />

Liberi professionisti, Rovigo<br />

Introduzione. Le lesioni delle estremità degli arti causano a volte la perdita completa delle falangi; qualora non sia possibile<br />

praticare l’avanzamento del cuscinetto carpale/metacarpale/metatarsale viene spesso proposta l’amputazione dell’arto in quanto<br />

il tessuto cicatriziale non è adatto a sopportare i carichi; la tecnica microvascolare risulta poi, a nostro avviso, poco proponibile<br />

nella pratica clinica.<br />

Scopo. questo lavoro propone l’applicazione nel gatto di una tecnica di salvataggio dell’arto descritta nel cane; tale tecnica, pur<br />

avendo ottenuto un buon risultato funzionale, è stata tuttavia poco usata.<br />

Materiali e metodi. Sono stati portati a visita tre gatti con traumatismo all’estremità distale degli arti. Caso 1: gatto europeo<br />

maschio castrato di 2 anni con trauma alla zampa posteriore destra; permanenza del solo secondo dito. Caso 2: gatto europeo<br />

femmina sterilizzata di 3 anni con trauma alla zampa anteriore sinistra; rimaneva in sede mediale una parcella di cuscinetto metacarpale<br />

che veniva suturato, in occasione del primo curettage, al tessuto sano rimasto. Caso 3: gatto europeo maschio di 2 anni<br />

con trauma all’arto posteriore destro; perdita di falangi e cuscinetti in toto. Come alternativa all’amputazione dell’arto è stata<br />

proposta una tecnica di free grafting usando come siti donatori i cuscinetti metacarpali/metatarsali sani. Dopo aver ottenuto un<br />

tessuto di granulazione sano a carico dell’arto colpito, la tecnica chirurgica ha previsto l’innesto, in sede di presunto futuro<br />

appoggio dell’arto, di free grafts (2 nei casi 1 e 2 e 3 nel caso 3) prelevati dai cuscinetti metacarpali/metatarsali sani; il prelievo<br />

avveniva mediante biopsy punch di 4 millimetri di diametro e la lesione risultante veniva suturata con un punto incrociato di<br />

polidiossanone 4 – 0. Il letto ricevente veniva preparato asportando il tessuto di granulazione con biopsy punch di 6 mm e tamponando<br />

con bastoncini cotonati sterili fino a cessazione dell’emorragia; dopo asportazione del tessuto sottocutaneo i free grafts<br />

venivano alloggiati in sede. Nei casi 1 e 2 nella stessa seduta chirurgica sono stati impiantati anche dei free grafts cutanei mentre<br />

nel terzo caso è stato eseguito, in un secondo momento, un innesto cutaneo a lembo libero a rete. Agli arti oggetto di trapianto<br />

veniva applicato un bendaggio semiocclusivo, sostituito inizialmente in quarta, e poi in settima ed undicesima giornata.<br />

I gatti 1 e 2 sono stati dimessi tra la quindicesima e ventesima giornata, a seconda dell’aspetto dei trapianti; al terzo animale in<br />

ventesima giornata veniva applicato il lembo libero. I bendaggi venivano sostituiti bisettimanalmente fino al raggiungimento della<br />

completa epitelizzazione; i soggetti mantenevano un collare elisabettiano fino a 3-4 giorni dopo la “liberazione” dell’arto.<br />

Risultati. Caso 1: ripresa funzionale dell’arto; il proprietario riferisce che a tre mesi di distanza dal trapianto il gatto zoppica<br />

sul terreno accidentato. Caso 2: completa ripresa funzionale dell’arto. Caso 3: buona ripresa funzionale iniziale; in seguito ad<br />

un ulteriore traumatismo si è assistito alla perdita quasi completa dei pad grafts per cui si è reso necessario un altro intervento.<br />

Al momento il gatto è in fase di guarigione. Discussioni e conclusioni: la tecnica di trapianto cutaneo mediante punch grafts è<br />

stata ampiamente studiata e documentata; l’esigua dimensione dei frammenti da trapiantare ne rende poco utile l’impiego in<br />

difetti cutanei di grande entità. La tecnica di trapianto di frammenti liberi di cuscinetto per ricostruire una superficie supportante<br />

il peso è già stata applicata nel cane con buoni risultati.<br />

Con questa comunicazione si è valutato l’uso di tale tecnica chirurgica anche nel gatto. Si sono riscontrate tre tipi di difficoltà:<br />

l’immobilizzazione degli arti oggetto di trapianto, soprattutto nel caso 2 dove il gatto era obeso e poco collaborativo, la necessità<br />

di sedare l’animale almeno per le prime due medicazioni e la scelta del sito di innesto dei cuscinetti, che devono essere<br />

impiantati nelle zone di massimo carico. Dal nostro punto di vista, tenendo comunque in considerazione l’esiguo numero di casi,<br />

questa tecnica si è dimostrata una valida alternativa all’amputazione degli arti; è sicuramente un intervento da programmare con<br />

cura, soprattutto per la scelta del sito di innesto dei grafts.<br />

Bibliografia<br />

Slatter: Textbook of small animal surgery, 3th ed 2003, Saunders, pp 3<strong>21</strong>-39.<br />

Fossum TW: Chirurgia dei piccoli animali, <strong>19</strong>97 Masson, pp 150-52.<br />

Pavletic m M.: Atlas of small animal reconstructive surgery, 2nd ed, Saunders, pp275-95 365-79.<br />

Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B: Tecnica chirurgica vol 1, 2001 UTET, pp 558-61.<br />

Shahar R et al: free skin grafting for treatment of distal limb skin defects in cats, J Small Anim Pract, <strong>19</strong>99 Aug; 40 (8): 378-82.<br />

Swaim SF et al: Free segmental paw pad grafts in dogs, Am J Vet Res <strong>19</strong>93 Dec;54(12):<strong>21</strong>61-70.<br />

Bradley DM et al: Contruction of a weight bearing surface on a dog’s distal pelvic limb, J Am Anim Hosp Assoc <strong>19</strong>98 Sep-Oct;34(5):378-94.<br />

Swaim SF et al: healing of segmental grafts of digital pad skin in dogs, Am J Vet Res <strong>19</strong>92 Mar;53(3):406-10.<br />

Olsen D et al: Digital pad transposition for replacement of the metacarpal or metatarsal pad in dogs J Am Anin Hosp Assoc <strong>19</strong>97 Jul-Ago; 33(4):337-41.<br />

Barclay CG et al: Use of the carpal pad to salvage the forelimb in a dog and cat: an alternative to total limb amputation, J Am Anin Assoc <strong>19</strong>87; 23:527-32.<br />

Basher AW et al: Microneurovascular freee digitasl pad transfer in the dog Vet Surg <strong>19</strong>90;<strong>19</strong>:226-31.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giuliana Bonetti, Clinica Veterinaria Baroni E.<br />

Via Martiri di Belfiore 69/D - 45100 Rovigo<br />

Tel. 0425/471076 - Fax 0425/404918<br />

E-mail: aratinga@virgilio.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 325<br />

LESIONI CUTANEE PAPULARI CON RISCONTRO CITOLOGICO DI ORGANISMI LEISHMANIA SPP.<br />

IN 10 SOGGETTI GIOVANI<br />

Enrico Bottero 1 Med Vet, Marco Poggi 2 Med Vet, Monica Viglione 3 Med Vet, Manuela Mangiola 2 Med Vet<br />

1 Libero professionista, Cuneo; 2 Libero professionista, Imperia; 3 Libero professionista, Arma di Taggia<br />

Scopo del lavoro. Descrivere un riscontro clinico dermatologico indotto da Leishmania spp. in 10 cani di età inferiore ad un<br />

anno. Tutti i soggetti presentano lesioni papulari per lo più sulle zone glabre della testa. L’esame citologico a carico di tali lesioni<br />

evidenzia la presenza di forme amastigoti di Leishmania spp. Vengono descritti i dati epidemiologici, clinici, le indagini diagnostiche<br />

e l’evoluzione clinica.<br />

Materiali e metodi. Tutti i soggetti sono sottoposti a visita clinica, esame citologico delle papule eseguito per agoinfissione con ago<br />

da 22 G° e colorato con colorazione rapida Diff Quick, esame sierologico tramite metodica di immunofluorescenza indiretta ed elettroforesi<br />

sierica. In due soggetti è stata eseguita l’intradermoreazione con leishmanina.<br />

Descrizione del caso e risultati ottenuti. I dieci soggetti sono tutti di età compresa tra 4 e 10 mesi; tutti sono nati in zona endemica<br />

per leishmaniosi. L’esame obiettivo generale evidenzia una lieve linfoadenomegalia sottomandibolare in uno dei quattro soggetti condotti<br />

alla visita per le lesioni cutanee papulari; per gli altri 6 cani il riscontro delle papule è occasionale durante visite routinarie. In tutti<br />

i soggetti le lesioni sono presenti da almeno tre settimane e sono comparse nel periodo autunnale, mentre in tre soggetti erano già<br />

presenti nel periodo estivo. Le papule sono localizzate per lo più sulle zone glabre della testa (superficie dorsale del naso e superficie<br />

interna del padiglione auricolare), tranne che in due soggetti in cui sono rispettivamente a livello carpale e penieno. L’esame fisico dermatologico<br />

rileva papule del diametro variabile da 0,5 ad 1 cm, alopeciche ed ombelicate alla loro sommità, la cute in corrispondenza<br />

di questa infossatura varia da eritematosa con lieve esfoliazione a quadri erosivi più o meno accentuati ed ulcerati. Il quadro citologico<br />

evidenzia flogosi piogranulomatosa con presenza di neutrofili plurisegmentati, alcuni in attiva fagocitosi batterica, macrofagi e<br />

numerose plasmacellule. Durante la visione ad immersione vengono evidenziate, sempre in numero esiguo, forme amastigoti di Leishmania,<br />

queste sono per lo più extracellulari, ma in due casi si evidenziano anche fagocitate all’interno dei macrofagi. Tutti i cani sono<br />

sottoposti ad indagine IFAT ed elettroforesi, in due soggetti si evidenzia un titolo debolmente positivo ed in uno di questi soggetti anche<br />

l’elettroforesi evidenzia un aumento delle gamma globuline; tutti gli altri risultano Ifat negativi e con elettroforesi normale. Dei dieci<br />

soggetti, cinque sono sottoposti a terapia con antimoniato di metilglucamina ed allopurinolo per un mese, alla fine del quale viene ripetuto<br />

un esame Ifat che risulta negativo e una l’elettroforesi che risulta normale. Gli altri soggetti non vengono sottoposti ad alcuna terapia<br />

medica per indisponibilità dei proprietari. Complessivamente dopo un periodo variabile da 3 a 5 mesi in tutti i soggetti non trattati<br />

le lesioni sono scomparse, in due soggetti permane un exitus cicatriziale sul sito della lesione.<br />

Conclusioni. ll quadro clinico, il basso o nullo titolo anticorpale, la risposta alla terapia e la remissione spontanea delle lesioni ci fanno<br />

supporre che i soggetti portatori siano probabilmente dotati di immunità cellulare protettiva (Th1). L’esame citologico ha dimostrato<br />

buona sensibilità diagnostica, ma è molto importante eseguire test diagnostici specifici (es. istologico con immunoperossidasi / PCR)<br />

in caso di riscontro citologico di flogosi piogranulomatosa, in quanto spesso le forme amastigoti di Leishmania sono in numero esiguo.<br />

Infine, essendo la leishmaniosi una zoonosi ed essendo difficoltoso valutare e prevedere la condizione immunitaria dei cani, riteniamo<br />

opportuno eseguire la terapia leishmanicida nei soggetti portatori di lesioni papulari secondarie a Leishmania.<br />

Bibliografia essenziale<br />

1. Blavier A., Keroack S., Denerolle P., et al: Atypical forms of canine Leishmaniosis. The Veterinary Journal 162: 108-120, 2001.<br />

2. Ordeix L., Solano-Gallego L., Fondevilla D., et al: Papular dermatitis due to Leishmania spp infection in dogs with parasite-specific cellular immune<br />

responses. Veterinary Dermatology 16: 187-<strong>19</strong>1, 2005.<br />

FIGURA 1 - Lesione papulare, crateriforme sulla superficie interna del<br />

padiglione auricolare.<br />

FIGURA 2 - Esame citologico allestito con colorazione rapida (diff-quick); 100<br />

x: neutrofili plurisegmentati, materiale cromatinico e presenza di una forma<br />

amastigote di Leishmania libera nell’angolo inferiore destro dell’immagine.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Enrico Bottero - Via Sale San Giovanni n. 1 - 12073 Ceva (CN) - Tel. 0173 35122 - E-mail: botvet@libero.it


326 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

APPLICAZIONE DELLA MEDICINA TRADIZIONALE CINESE<br />

NEL NON CONVENZIONALE SETTORE DEI RETTILI<br />

Nadia Cappai, Med Vet<br />

Libero professionista, Macomer (Nuoro)<br />

Scopo del lavoro. Negli ultimi anni si è verificata in Medicina Veterinaria una rapida espansione della clinica e delle pratiche<br />

mediche nel settore degli animali esotici. Sono infatti sempre più diffusi come pets animali di varie specie e, in modo particolare,<br />

Rettili. Serpenti, Iguane, Tartarughe e altri sono aumentati a dismisura nei Paesi occidentali e se la tendenza di crescita continuerà<br />

ad essere questa fra pochi anni il loro numero avrà superato quello di cani e gatti. D’altro canto nell’ultimo decennio anche<br />

le medicine non convenzionali si sono affiancate all’allopatia integrandola e potenziandola anche nell’ambito medico veterinario.<br />

Il presente lavoro cerca perciò di indagare il range d’azione dell’Agopuntura nel non convenzionale settore dei Rettili.<br />

Metodi impiegati. Data la totale assenza di bibliografia riguardo l’Agopuntura nei Rettili nella prima fase del lavoro è stata<br />

fatta una raccolta di Case Reports. Alcuni colleghi esperti di esotici e agopuntori al tempo stesso (Dr. Oh Soon Hock – Singapore<br />

Zoo; Dr. Sagiv Ben Yakir – Israele; Dr. Andreas Röesti – Health Balance, Svizzera; Dr.ssa Cristina Stocchino - Sassari)<br />

hanno riferito alcuni casi clinici in cui è stata applicata con successo l’agopuntura nei Rettili semplicemente riportando la propria<br />

esperienza dall’ambito dei carnivori domestici all’ambito degli animali esotici. Nella seconda fase del lavoro è stata fatta<br />

la mappatura degli agopunti nei Rettili con particolare riferimento all’ordine dei Cheloni, e ai sottordini dei Sauri e degli Ofidi<br />

(ordine Squamati). La mappatura è stata fatta in base a un approfondito studio delle caratteristiche anatomiche e fisiologiche<br />

di ciascuna specie impiegando una metodologia transposizionale dei principali agopunti, selezionati sulla base della loro<br />

localizzazione e della loro funzione energetica. Sono stati infine selezionati gli agopunti base per le principali patologie delle<br />

specie oggetto di studio.<br />

Risultati. Lo studio sulla topografia e sul reale utilizzo degli agopunti nei Rettili è stato poi applicato a vari casi clinici seguendo<br />

una metodologia clinica specifica per ciascuna specie, di cui ne sono stati selezionati due. Il primo caso riguarda l’uso della<br />

Medicina Tradizionale Cinese in una Iguana affetta da MOM. È stata selezionata una sequenza di punti ed applicata per tre sedute<br />

con completa remissione dei sintomi. Il secondo caso riguarda un Biacco con frattura e lussazione di una vertebra e conseguente<br />

paresi a valle della lesione. Entrambi i casi presentati rappresentano un modello clinico di medicina integrata.<br />

Conclusioni. Nonostante le varie difficoltà che si possono riscontrare, sia per quanto riguarda la gestione del paziente che la<br />

localizzazione di alcuni punti, l’agopuntura nei Rettili presenta numerosi vantaggi. Infatti la medicina allopatica ha spesso dei<br />

limiti in questo settore. Talvolta le dimensioni estremamente piccole dei soggetti determinano restrizioni nel dosaggio di alcuni<br />

farmaci, o, a volte, alcuni farmaci non possono essere utilizzati poiché estremamente tossici. Da questo punto di vista la Medicina<br />

Tradizionale Cinese può senz’altro costituire un valido contributo per la medicina occidentale. Dai casi clinici trattati si è<br />

potuto inoltre constatare come il trattamento agopunturale determinasse nei pazienti una rapida ripresa delle principali funzioni<br />

vitali e, soprattutto, una ripresa dello Shen. Questo è molto importante in quanto i decessi degli esotici sono molto spesso dovuti<br />

a depressione del ‘mentale’, determinato da vari fattori stressanti, primo fra tutti la patologia in atto. La perdita di appetito, la<br />

mancanza di stimoli ad interagire con l’ambiente esterno, portano ad un rallentamento delle funzioni vitali fino al grave depauperamento<br />

di Energia e Sangue. Il movimento dell’energia che si manifesta in seguito alla seduta agopunturale porta sicuramente<br />

al superamento della fase di atassia ed al recupero delle principali funzioni vitali. È questo il punto cardine del successo dell’Agopuntura<br />

in queste specie.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Nadia Cappai, Via B.Salaris, 11<br />

08015 Macomer (NU)<br />

Tel. 0785 20268 - Cell. 329 9732444<br />

E-mail: veterinadia@libero.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 327<br />

ANEMIA EMOLITICA IMMUNOMEDIATA NEL CANE: UN’ESPERIENZA ITALIANA<br />

Erika Carli Med Vet, Silvia Tasca Med Vet, Tommaso Furlanello Med Vet,<br />

Carlo Patron Med Vet, Marco Caldin Med Vet<br />

Laboratorio d’Analisi Veterinarie “San Marco”, Padova<br />

L’anemia emolitica immunomediata (IMHA) è un’anemia che si realizza in seguito alla produzione di anticorpi contro i globuli<br />

rossi che, legandosi a questi, ne determinano la rimozione da parte degli organi emocateretici (emolisi). Tale anemia è, in genere,<br />

fortemente rigenerativa e può essere primaria o secondaria in funzione della possibilità di individuarne una causa scatenante.<br />

Scopo. L’obiettivo di questo studio retrospettivo è quello di valutare gli aspetti clinico-patologici di casi di anemia emolitica<br />

immunomediata (Immune-Mediated Hemolytic Anemia, IMHA) nel cane raccolti in Italia.<br />

Materiali e metodi. Sono stati analizzati 51 casi di IMHA osservati nel periodo compreso tra il 17/10/2004 e il 30/11/2005. Per<br />

ciascun paziente erano disponibili segnalamento, anamnesi, esame fisico, esami di base (esame emocromocitometrico compresa<br />

la valutazione citomorfologica di uno striscio di sangue eseguito a fresco, profilo biochimico, profilo coagulativo, elettroforesi ed<br />

esame delle urine) e, dove possibile, ulteriori accertamenti allo scopo di individuare la patologia che potenzialmente si associava<br />

all’IMHA. La gravità dell’anemia è stata determinata sulla base del numero totale dei globuli rossi e non del valore dell’Hct che,<br />

in corso di IMHA, potrebbe subire dei falsi incrementi a causa della rigenerazione e della macrocitosi. La diagnosi di IMHA si è<br />

basata sulla determinazione degli anticorpi anti-eritrociti mediante citometria a flusso. I soggetti con percentuale di anticorpi anti-<br />

IgG >0,7% e di anticorpi anti-IgM >1,5% sono stati considerati affetti da IMHA e sono stati inclusi nel presente studio.<br />

Risultati. I 51 casi di IMHA sono stati osservati in cani appartenenti a razze diverse, 20 maschi (39%) e 31 femmine (61%) con<br />

un valore della mediana per l’età pari a 8 anni e 4 mesi (10 mesi-16 anni). Tutti i soggetti presentavano anemia: in nessun caso<br />

si manifestava anemia lieve (RBC>5x10 6 /µl), in 26 cani (51%) l’anemia era moderata (RBC 3-5x10 6 /µl), in 13 (25%) era grave<br />

(RBC 2-3x10 6 /µl) e in 12 (24%) era gravissima (RBC


328 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

IMPIEGO DI POLIMETILMETACRILATO E FILI DI KIRSCHNER NEL TRATTAMENTO<br />

DELLE FRATTURE/LUSSAZIONI VERTEBRALI TORACICHE, LOMBARI E LOMBO-SACRALI:<br />

PROPOSTA TERAPEUTICA (8 CANI E 3 GATTI)<br />

Liliana Carnevale Med Vet, PhD<br />

Libero professionista, Milano<br />

Scopo del lavoro. Descrizione di una tecnica di fissazione interna di fratture/lussazioni vertebrali del segmento toracico, lombare<br />

e lombo-sacrale mediante l’impiego di cemento da ossa e chiodi di acciaio posizionati nel comparto dorsale del rachide<br />

senza coinvolgimento dei corpi vertebrali.<br />

Materiali e metodi. Durante il periodo <strong>19</strong>99-2005 sono stati portati alla visita clinica 26 soggetti (18 cani e 8 gatti) affetti da<br />

frattura/lussazione vertebrale a carico del tratto toracico, lombare o lombo-sacrale del rachide. 8 cani sono stati trattati chirurgicamente,<br />

1 per via conservativa e 9 venivano sottoposti a eutanasia, mentre per quanto concerne i gatti, 4 venivano gestiti con<br />

l’intervento chirurgico (1 soggetto perso al follow up), e 4 con l’eutanasia. Tra i soggetti operati, 5 (4 cani e 1 gatto) presentavano<br />

la lesione a carico del tratto toraco-lombare della colonna vertebrale, e 6 (4 cani e 2 gatti) a livello lombo-sacrale. Il peso<br />

corporeo dei cani era compreso tra 4 kg e 40 kg, mentre nei gatti variava tra 3 kg e 7 kg. In 2 cani prima della chirurgia veniva<br />

condotta una mielografia lombare. La tecnica chirurgica consisteva nella riduzione anatomica della frattura/lussazione vertebrale<br />

a cui faceva seguito la stabilizzazione mediante due fili di Kirschner inseriti attraverso i processi articolari delle vertebre sede di<br />

lussazione. Di seguito si inserivano 1 o 2 fili di kirschner alla base dei processi spinosi di 1 o 2 vertebre craniali e caudali alla<br />

sede di lesione, inclinando i chiodi verso la sede di frattura. La fissazione era completata dall’applicazione del cemento da ossa<br />

che includeva i chiodi applicati e i rispettivi processi spinosi.<br />

Risultati. Non si osservava nessuna complicanza durante l’intervento chirurgico in tutti i pazienti. 1 cane veniva sottoposto a<br />

eutanasia 1 mese dopo l’intervento chirurgico in quanto persisteva la paraplegia con assenza di percezione del dolore profondo<br />

a carico degli arti posteriori. 1 gatto decedeva 4 giorni dopo l’intervento chirurgico a causa di complicazioni cardiopolmonari.<br />

Il follow up dei rimanenti 9 casi variava da un periodo di 6 mesi a 72 mesi post-intervento avvalendosi di controlli clinici, radiografici<br />

e riprese videoassistite. In ciascun caso, all’esame radiografico condotto durante il follow p, si osservava il mantenimento<br />

dell’allineamento vertebrale a livello della sede di frattura/lussazione vertebrale. In 3 cani e 1 gatto si verificava la migrazione<br />

di 1 filo di Kirschner a livello sottocutaneo che veniva poi rimosso. 2 cani con lesione rispettivamente a livello T12-T13 e L1-<br />

L2 manifestavano un recupero neurologico completo. 1 soggetto con lussazione vertebrale T11-T12, paraplegico senza percezione<br />

del dolore profondo precedente all’intervento, si avvaleva dell’uso del carrello. 3 cani con lussazione vertebrale lombosacrale<br />

riprendevano la loro normale attività deambulatoria a carico del treno posteriore, in 1 soggetto si verificava il ripristino<br />

della normale funzionalità della vescica, in un altro il proprietario doveva provvedere all’espressione manuale bigiornaliera della<br />

stessa e in un altro paziente persisteva solo un parziale controllo della funzione urinaria. Il quarto cane con lussazione lombo-sacrale<br />

manteneva una lieve atassia a carico dell’arto posteriore sinistro. In 1 gatto con lussazione lombo-sacrale si osservava<br />

il recupero neurologico completo dell’attività deambulatoria e della minzione mentre in un secondo soggetto con la stessa<br />

lesione si aveva il ripristino della deambulazione con atteggiamento plantigrado bilaterale degli arti posteriori e necessità da parte<br />

del proprietario di provvedere all’espressione manuale della vescica.<br />

Conclusioni. La tecnica chirurgica proposta si è rivelata efficace nel mantenere l’allineamento vertebrale nel sito di lesione nell’immediato<br />

periodo postoperatorio e a distanza di tempo, sia a livello del segmento toraco-lombare che lombo-sacrale, nonostante<br />

siano distretti che richiedono generalmente tecniche di stabilizzazione differenti. La migrazione dei chiodi è dovuta in parte all’assenza<br />

di filettatura e in parte alla mancanza di copertura della estremità prossimale da parte del cemento. Il coinvolgimento del<br />

solo comparto dorsale della colonna vertebrale nella fissazione, rende la tecnica abbastanza semplice e sicura nell’esecuzione e<br />

consente presumibilmente di mantenere una parziale mobilità funzionale delle vertebre adiacenti il sito di lesione.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Liliana Carnevale<br />

Corso S. Gottardo n. 18, 20136 Milano<br />

Tel. 3357031520 - Fax 0248202742<br />

E-mail: lilianacarnevale@tiscali.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 329<br />

PENILE HAEMANGIOSARCOMA IN A LABRADOR RETRIEVER<br />

EMANGIOSARCOMA DEL PENE IN UN LABRADOR RETRIEVER<br />

Barbara Carobbi 1 Med Vet, MRCVS;<br />

Samantha S. Taylor 2 BVetMed (hons), MRCVS;<br />

Avi Avner 3 BSc, BVSc, CertVR, MRCVS;<br />

Richard A.S. White 4 PhD, Dipl ACVS, DSAS (soft tissue), MRCVS<br />

1,2,3,4 “Dick White Referrals”, Six Mile Bottom, Suffolk (United Kingdom)<br />

Introduction. Penile neoplasms in dogs are uncommon. Reported canine penile tumors include: fibrosarcoma, histiocytic reticulocytoma,<br />

papilloma, squamous cell carcinoma, and transmissible venereal tumor. Other reported genital neoplasms include<br />

squamous cell carcinoma of penile, preputial, and urethral mucosa, hemangiosarcoma of the prepuce, and lymphosarcoma of<br />

the penis. Osteosarcoma, ossifying fibroma, and mesenchymal chondrosarcoma involving the os penis have also been reported<br />

in dogs.<br />

The case reported here is a primary haemangiosarcoma involving the corpus cavernosum, and to our knowledge it has never<br />

been reported before.<br />

Case report. A 7 years old, neutered male Labrador Retriever was referred for investigation of dysuria, characterised by unproductive<br />

urinary straining and passing either dribbles or spurts of urine. The dysuria had been gradually worsening in the past<br />

5 months.<br />

The dog was quiet, but alert and responsive. Temperature, pulse and respiration were all within normal range. Physical examination<br />

revealed a large swelling in the region of the bulbourethral gland which was painful on palpation. Abdominal palpation<br />

revealed a distended, hard, and painful bladder. Compression of the bladder produced an intermittent stream of urine.<br />

Complete blood count, biochemistry, electrolytes and urinalysis were unremarkable, and thoracic radiographs were within normal<br />

limits. Abdominal ultrasound revealed no significant abnormalities other than a distended urinary bladder and a mass close<br />

to the bulbourethral glands. Ultrasonography of the mass revealed multiple, interrupted, hyperechoic boney remants of the os<br />

penis casting acoustic shadows. The corpus cavernosum penis had a heterogenous hypoechoic to isoechoic texture with irregular<br />

borders, surrounded by pockets of fluid with hyperechoic specks. The abnormal tissue extended into the corpus spongiosum.<br />

The penile urethra appeared structurally unaffected but subjectively narrowed. Enlargement of lumbar lymph nodes was not<br />

observed. On abdominal radiographs the os penis was barely visible due to extensive ‘moth eaten’lysis while the adjacent penile<br />

soft tissue was prominent. Retrograde urethrography did not demonstrate any disruption of the pelvic urethra, and a smooth column<br />

of contrast, with no filling defects, highlighted the penile urethra.<br />

The dog was scheduled for penile amputation. The penis was surgically removed, and scrotal urethrostomy was performed<br />

according to standard technique. Recovery from the anaesthesia was uneventful, and the dog urinated spontaneously through<br />

the stoma 9 hours after surgery. When the dog was discharged 4 days later urination was normal.<br />

Histopathology on the submitted specimens was consistent with a diagnosis of haemangiosarcoma involving the corpus cavernosum.<br />

The prognosis is unknow, but it seems reasonable it would behave in a similar way to cutaneous rather than visceral<br />

haemangiosarcoma. Nevertheless chemotherapy treatment was suggested, but the owner declined this option.<br />

One month after surgery there was no recurrence at the surgical site, and no abnormalities on urination could be detected. At<br />

that time no clinical signs of metastasis were apparent. Survey radiographs are due in one month time.<br />

Conclusion. To our knowledge an haemangiosarcoma involving the corpus cavernosum has never previously been reported in<br />

dogs, although it can occur as a primary tumor of the penis. Our findings suggest that haemangiosarcoma should be considered<br />

a differential diagnosis for dysuria in dogs.<br />

Address for correspondence:<br />

Barbara Carobbi<br />

“Dick White referrals”<br />

London Road<br />

Six Mile Bottom<br />

Suffolk CB8 0UH<br />

United Kingdom<br />

E-mail: barbaracarobbi@msn.com


330 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

COMPLICANZE LOCALI DI MALATTIA ENDODONTICA:<br />

REVISIONE DELLA LETTERATURA ED ESPERIENZE PERSONALI<br />

Katty Casazza, Med Vet 1 ; Margherita Gracis, Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDC 2<br />

1 Libero professionista, Vercelli<br />

2 Libero professionista, Milano<br />

La polpa dentale ha funzione nutritiva, sensoriale, e difensiva. Inoltre è deputata, attraverso l’attività di cellule specifiche, gli<br />

odontoblasti, a produrre dentina durante la vita del soggetto. La polpa è contenuta nel sistema pulpare, costituito dal canale pulpare<br />

nella radice e dalla camera pulpare a livello coronale, e comunica con i tessuti periapicali attraverso il delta apicale. La<br />

malattia endodontica è definita come l’infiammazione (pulpite reversibile o irreversibile) o la necrosi (parziale o completa) del<br />

tessuto pulpare. L’endodontopatia può instaurarsi:<br />

- senza esposizione della polpa, in seguito a traumi ottusi, eventi ischemici, e eventi iatrogeni (uso improprio degli strumenti<br />

odontoiatrici meccanici quali l’ablatore a ultrasuoni, le turbine, ecc.)<br />

- in seguito ad esposizione della polpa, come in caso di fratture coronali e coronoradicolari complicate, attrito, carie, riassorbimento<br />

esterno<br />

- come estensione di malattia parodontale<br />

Traumi dentali senza esposizione pulpare, se di entità sufficiente, possono causare edema ed emorragia pulpare. Spesso in questi<br />

casi si sviluppa una discromia (variazione di colore) coronale dovuta all’invasione dei tubuli dentinali da parte del sangue e<br />

alla degradazione dei pigmenti ematici. L’intensità del colore dipende dall’entità del trauma e dallo spessore delle pareti dentinali.<br />

L’aumento della pressione intracanalare può portare a necrosi ischemica dei tessuti, a cui può seguire una contaminazione<br />

batterica per anacoresi. In seguito ad esposizione pulpare, invece, si sviluppano processi infiammatori che sono inevitabilmente<br />

accompagnati da contaminazione da parte della flora batterica orale. Il mancato trattamento tempestivo di questi casi porta<br />

invariabilmente a morte pulpare. Il sistema endodontico può essere invaso dai batteri anche per via retrograda, attraverso il delta<br />

apicale, in seguito a dislocazione dentale (lussazione laterale, avulsione) o a lesioni parodontali gravi (lesioni perio-endo di<br />

classe II). Il processo infiammatorio ed infettivo pulpare non rimane limitato al sistema endodontico, ma attraverso il delta apicale<br />

invade i tessuti periradicolari causando parodontite periapicale acuta o cronica, ascesualizzazione, o osteite periapicale.<br />

L’infiammazione cronica esita frequentemente nella formazione di granulomi o di cisti periapicali. Radiograficamente si possono<br />

evidenziare discontinuità della lamina dura, aumento di dimensioni dello spazio parodontale e radiotrasparenza periapicale.<br />

In caso di necrosi pulpare il normale processo di dentinogenesi e ispessimento delle pareti dentinali si interrompe, cosicché con<br />

il tempo il canale pulpare del dente endodonticamente compromesso risulterà di dimensioni maggiori rispetto al dente controlaterale<br />

o ai denti viciniori. Clinicamente si possono osservare mancata integrità dentale, discromia coronale, e tumefazione dei<br />

tessuti molli in prossimità del dente interessato. I segni e i sintomi clinici sono però spesso minimi o assenti. Tuttavia, l’assenza<br />

di sintomatologia non giustifica un approccio di tipo conservativo. I denti interessati vanno trattati endodonticamente o estratti.<br />

Infatti, se non trattati, possono causare complicanze locali e possibilmente anche sistemiche. Tra le più comuni complicanze<br />

locali si annoverano cellulite, osteomielite e fistolizzazione esterna. A seconda del dente interessato e dei suoi rapporti anatomici,<br />

si possono sviluppare fistole nasali, antrali, orbitali, gengivali, vestibolari, o cutanee. La localizzazione delle fistole è legata<br />

anche a caratteristiche di specie e di razza. Si presenteranno gli aspetti salienti delle complicanze locali di malattia endodontica<br />

in 20 casi. In particolare verranno descritte: fistole oronasali sviluppatesi attraverso la mucosa vestibolare a partenza dal<br />

canino e dagli incisivi mascellari (2 cani); fistole oro-orbitali a partenza dal quarto premolare e dal secondo molare mascellare<br />

(2 cani); fistole cutanee a partenza dal canino (1 gatto e 1 cane) e dal quarto premolare mascellare (1 gatto e 2 cani, di cui una<br />

di probabile origine iatrogena, senza frattura dentale); fistole mucogengivali a partenza dal canino mascellare, dal canino mandibolare,<br />

e dal quarto premolare mascellare (4 cani); cellulite a partenza dai canini mandibolari (1 cane); cisti radicolari a carico<br />

degli incisivi mascellari (3 cani); osteomielite a partenza dai canini mandibolari (2 gatti) e dal primo molare mandibolare (1<br />

cane). In tutti i casi il trattamento chirurgico o endodontico ha determinato la risoluzione dei segni clinici.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Margherita Gracis<br />

Clinica Veterinaria Gran Sasso<br />

Via Donatello 26 - 20131 Milano<br />

Tel. 338 1874498<br />

email: margherita.gracis@fastwebnet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 331<br />

IL PATTO COMUNICATIVO TRA UOMO E ANIMALI: CONDIVISIONE SEMIOTICA,<br />

SEMANTICA E PRAGMATICA<br />

Maria Chiara Catalani 1 , Roberto Marchesini 2<br />

1 Med Vet comportamentalista,Senigallia (AN)<br />

2 Med Vet, Professore Universitario a contratto, Bologna<br />

Introduzione. Molto spesso la relazione con gli animali poggia su tentativi di comunicazione destinati a fallire in quanto antropocentrati,<br />

ovvero fondati sul pattern comunicativo umano ed ignoranti i pattern di comunicazione dell’individuo animale.<br />

Nell’ambito della medicina comportamentale questo aspetto non è secondario essendo notevole la frustrazione reciproca che<br />

provano uomo e animale quando convivono senza riuscire a comprendersi.<br />

Una situazione di incapacità comunicativa non può essere di aiuto per affrontare la terapia comportamentale o per strutturare un<br />

protocollo per il miglioramento della relazione uomo-animale.<br />

Pertanto, al momento della valutazione di una coppia uomo-animale, è necessario prendere in considerazione la modalità comunicativa,<br />

il livello di intesa e conoscenza reciproca e i piani su cui potrebbe essere necessario intervenire per migliorare la qualità<br />

della relazione ed eventuali problemi riscontrati.<br />

Comunicazione e informazione. La comunicazione rappresenta una delle più importanti caratteristiche del mondo animale,<br />

essendo indispensabile in diverse attività biologiche come il corteggiamento, la distribuzione della popolazione sul territorio, il<br />

comportamento parentale, il comportamento sociale. Gli animali inevitabilmente per il fatto stesso di vivere lasciano indizi della<br />

loro presenza ossia sono informativi per il mondo esterno. Essere informativi ossia lasciare indizi a disposizione dei possibili<br />

riceventi non è quasi mai vantaggioso in natura cosicché il processo selettivo ha premiato quei soggetti che erano meno informativi:<br />

una preda non deve farsi scorgere dal predatore e viceversa. Al contrario, la comunicazione rappresenta un grande vantaggio<br />

e spesso un’esigenza imprescindibile: in questo caso la selezione ha premiato quei soggetti che erano più comunicativi.<br />

Da un punto di vista biologico la struttura evoluzionistica della comunicazione è profondamente diversa da quella dell’informazione:<br />

nel primo caso, infatti, il processo è coevolutivo, vale a dire che la selezione lavora con lo stesso segno sulla coppia<br />

emittente-destinatario, nel secondo caso il processo è una sorta di corsa agli armamenti tra emittente e ricevente. Gli animali<br />

hanno pertanto dovuto affrontare il problema di essere quanto più comunicativi e contemporaneamente quanto meno indiziari.<br />

Per fare questo hanno dovuto trasformare il segnale in un’entità fortemente correlata al target (il destinatario) in grado cioè di<br />

segregare la comunità dei comunicanti dalla comunità dei possibili riceventi. Si è evoluto così il “segno”, una struttura arbitraria<br />

o, meglio, con differenti livelli di arbitrarietà nel rapporto designante-designato.<br />

Lo studio dei segni e più in generale della comunicazione animale prende il nome di zoosemiotica, termine coniato da Thomas<br />

Sebeok. Nella comunicazione possiamo distinguere tre differenti livelli di analisi: a) la semiotica ossia lo studio dei segni utilizzati<br />

da una particolare specie; b) la semantica ossia lo studio dei significati; c) la pragmatica ossia lo studio degli obiettivi di<br />

comunicazione. Nella comunicazione con l’animale l’uomo spesso commette errori di zoosemiosi passando da uno stato comunicativo<br />

a uno informativo, vale a dire che mentre ritiene di stare comunicando col proprio cane si pone semplicemente in maniera<br />

indiziaria nei suoi confronti. Gli errori di zoosemiosi possono investire: 1) la semiotica quando utilizza segni che per l’animale<br />

sono solo segnali e parimenti quando non fa attenzione a segnali che per l’animale sono segni; 2) la semantica quando utilizza<br />

un segno che ha un diverso significato nell’uomo e nell’animale; 3) la pragmatica quando utilizza finalità comunicative e<br />

modalità di rapporto emittente-destinatario non in linea con le caratteristiche di specie. Perché vi sia comunicazione è necessario<br />

che vi sia un patto comunicativo tra i due interlocutori ovvero condivisione di semiotica, semantica e pragmatica.<br />

Conclusioni. Comprendere e verificare l’esistenza del “patto comunicativo” in una coppia uomo-animale significa acquisire uno<br />

strumento di lavoro in più per intervenire sul benessere dei componenti della coppia.<br />

Istruire il proprietario di un animale su semiotica, semantica e pragmatica significa, di fatto, fornirgli degli strumenti concreti di<br />

comprensione dell’animale con cui si rapporta e dargli modo di impostare con questo una comunicazione efficace ed una relazione<br />

migliore.<br />

Bibliografia<br />

Sebeok T.A. (a cura di), Zoosemiotica, Bompiani, Milano, <strong>19</strong>73.<br />

Tabossi P., Il linguaggio, il Mulino, <strong>19</strong>99.<br />

Pinker S., L’istinto del linguaggio, Mondadori, <strong>19</strong>97.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maria Chiara Catalani<br />

Str.da del Giardino - S. Angelo, 164<br />

600<strong>19</strong> Senigallia (An)<br />

mchiaracatalani@libero.it


332 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

SINDROME DA INAPPROPRIATA SECREZIONE DI ADH<br />

Sara Coan Med Vet, Tommaso Furlanello Med Vet Dip ECVCP, Gianluca Ledda Med Vet, Francesca Fiorio Med Vet,<br />

Michela De Lucia Med Vet, Marco Caldin Med Vet Dip ECVCP<br />

Liberi professionisti, Padova<br />

Obiettivo. La SIADH (Syndrome of Inappropriate Antidiuretic Hormone Secretion) è una sindrome ben nota in medicina umana,<br />

raramente descritta in ambito veterinario. Consiste in una sindrome da inappropriata (eccessiva) secrezione di ADH in assenza<br />

di stimoli appropriati che ne giustifichino la liberazione (ad es. riduzione del volume circolante effettivo e/o ipernatriemia).<br />

In medicina umana l’ADH ipofisario (o una molecola ADH-simile) viene inappropriatamente liberato in pazienti portatori di<br />

neoplasie, in corso di patologie polmonari o neurologiche, in presenza di stati dolorifici e successivamente all’uso di numerosi<br />

farmaci, quali ad es. ciclofosfamide, vincristina e FANS.<br />

L’eccessiva secrezione di ADH porta ad un aumento del riassorbimento di acqua a livello renale, causando diluizione plasmatica<br />

e conseguente iponatriemia. Se i meccanismi fisiologici sono integri, la risposta alla diminuzione del sodio plasmatico (Na<br />

S) dovrebbe essere la produzione di urine massimamente diluite, con osmolalità urinaria (Osm U) 100 mOsm/kg) e natriuria [concentrazione sodio urinario (Na U) >30<br />

mEq/L]. La condizione di natriuria si viene dunque ad instaurare nonostante l’iponatriemia sierica. È nostra opinione che la<br />

SIADH sia un fenomeno clinico presente anche nei nostri animali e per tale motivo abbiamo eseguito uno studio retrospettivo<br />

su cani e gatti affetti da iponatriemia.<br />

Materiali e metodi. Nel periodo compreso tra il 5 Marzo e il 5 Dicembre 2005 sono stati eseguiti 2820 profili biochimici in<br />

cani e 559 biochimici in gatti portati a visita nella nostra struttura. Tra questi sono stati individuati 410 cani e 52 gatti iponatriemici.<br />

Per selezionare i pazienti affetti da SIADH abbiamo escluso la presenza di fattori concomitanti che possono provocare<br />

un abbassamento del sodio sierico. In altri termini abbiamo considerato esclusivamente pazienti iponatriemici e con osmolalità<br />

sierica bassa (Osm S) dotati di valori di glicemia, BUN, creatinina nella norma e non colpiti da squilibri elettrolitici imputabili<br />

all’uso di farmaci o a patologie particolari (ad es. morbo di Addison). Tramite il profilo urinario abbiamo poi selezionato<br />

i soggetti iponatriemici che presentavano contemporanea natriuria (Na U>30 mEq/L) e inappropriata osmolalità urinaria (osm<br />

U>100 mOsm/kg). Sono state poi prese in esame le schede cliniche dei pazienti scelti, valutando il motivo della visita, le condizioni<br />

cliniche e le diagnosi raggiunte. Dei pazienti portati a visita due sono stati riferiti per vomito saltuario e dolore addominale<br />

(uno affetto da grave IBD, uno presentava un corpo estraneo in sede digiunale); in due pazienti è stata diagnosticata polmonite;<br />

due erano affetti da piometra; uno da avvelenamento da metaldeide. Un paziente presentava febbre d’origine sconosciuta<br />

e dolore articolare generalizzato, uno anemia emolitica immuno mediata e uno linfoma di fenotipo B in chemioterapia. Di tutti<br />

questi pazienti era stato valutato lo stato di idratazione e pressorio.<br />

Risultati. Con i criteri sopra descritti sono stati raccolti 10 casi di SIADH. Si tratta di 2 gatti (1 maschio e 1 femmina) e 8 cani<br />

(4 maschi e 4 femmine) di età compresa tra gli 11 mesi e i 10 anni. Si riportano i dati raccolti indicando il valore minimo e massimo<br />

rilevati, il valore medio (VM), gli intervalli di riferimento (IR) per i parametri ematici.<br />

Gatti: Na S: 138, 139 (IR: 141-155mmol/L). Osm S: 286, 290 (IR: 301-314mOsm/kg). Na U: 65, 97 mEq/L. Osm U: 810, 509<br />

mOsm/kg.<br />

Cani: Na S:131-138 (VM 136; IR: 140-150mmol/L). Osm S: 261-287 (VM 281, IR: 288-298mOsm/kg). Na U: 35.1-201 (VM<br />

101.1 mEq/L). Osm U: 202-1179 (VM 577 mOsm/kg).<br />

Conclusioni. Con questo studio abbiamo stimato che l’iponatriemia è uno squilibrio elettrolitico piuttosto frequente, rilevato nel<br />

13.6% dei nostri pazienti. Nell’ambito dei pazienti iponatriemici il 2% è risultato affetto da SIADH. Le cause determinanti sono<br />

sovrapponibili a quelle ben note in medicina umana. Il riconoscimento di questa sindrome, seppur rara, è di grande importanza<br />

clinica, perché questi pazienti presentano un volume circolante espanso ed ogni fluidoterapia (o anche la semplice disponibilità<br />

ad libitum dell’acqua da bere) può essere molto pericolosa.<br />

Bibliografia<br />

Feldman E, Nelson R. Canine and Feline Endocrinology and Reproduction, 3ed edition, Saunders, 2004: 41-42.<br />

Freda B et al: Evaluation of hyponatriemia. Cleve Clin Journal Med 71, 8: 639-650, 2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Sara Coan, Clinica veterinaria San Marco<br />

Via Sorio 114/c, Padova<br />

Tel. 0498561098 - Fax 02 700 518888<br />

E-mail: clinica@sanmarcovet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 333<br />

NEOPLASIA CUTANEA AD INSOLITA PRESENTAZIONE:<br />

QUANDO SOLO L’IMMUNOISTOCHIMICA PERMETTE DI FORMULARE UNA DIAGNOSI DEFINITIVA<br />

Barbara Dedola 1 DMV, Silvio Soliani 1 DMV, Monica Gandini 1 DMV, Stefano Negri 2 DM<br />

1 Libero professionista, Mantova; 2 Istituto di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Carlo Poma, Mantova<br />

Scopo del lavoro. Valutare l’utilità della citologia, dell’istologia e soprattutto dell’imunoistochimica nella diagnosi di una neoplasia<br />

cutanea ad insolita presentazione.<br />

Materiali e metodi. Orazio, un cane Bassotto maschio di circa 10 anni; fu condotto alla visita in quanto, i proprietari avevano<br />

notato, da alcune settimane, la comparsa, in rapida successione, di due piccole neoformazioni cutanee e la presenza di una massa<br />

posta sulla spalla. Alla visita clinica Orazio si presentava in buone condizioni di salute e pure l’esame obiettivo generale risultava<br />

nella norma. L’esame obiettivo particolare dell’apparato tegumentario evidenziava la presenza di una massa sottocutanea,<br />

di circa 2 X 3 cm di diametro, posta sulla punta della spalla sx e adesa elle fasce muscolari. Erano, inoltre, visibili due piccole<br />

neoformazini cutanee nodulari di diametro inferiore ad 1 centimetro poste rispettivamente su collo e dorso. Vennero eseguiti<br />

esami di laboratorio, radiografie toraciche, ecografia addominale ed agoaspirati alle tre neoformazioni. Emocromo e profilo<br />

biochimico risultavano sostanzialmente nella norma. Le radiografie LL dx e sx del torace come pure l’ecogafia addomminale<br />

non evidenziavano la presenza di ulteriori masse interne. Citologicamente, mentre nella massa della spalla erano visibili poche<br />

cellule di forma variabile da tondeggiante a fusata, dotate di citoplasma basofilo, nuclei ovalari e nucleoli a volte prominenti,<br />

dalle due neoformazioni cutanee si ottenevano numerose cellule di aspetto tondeggiante-ovalare disposte sia singolarmente che<br />

in aggregato.A maggiore ingrandimento, le cellule presentavano variabile rapporto N:C, nuclei ovali o tondeggianti, nucleoli di<br />

dimensioni variabili, modesta anisocariosi, citoplasma moderatamente basofilo; mitosi praticamente assenti. Non potendo, visto<br />

le caratteristiche poco peculiari di questa neoplasia, emettere una diagnosi citologica definitiva, vennero prese in esame una<br />

serie di diagnosi differenziali che comprendevano, in ordine di probabilità, le neoplasie istiocitarie, le neoplasie mesenchimali<br />

scarsamente differenziate, il melanoma amelanotico e i carcinomi anaplastici. Poiché, nelle due settimane che seguirono l’esame<br />

citologico, si ebbe la comparsa di altre piccole masse cutanee, i proprietari rifiutarono ogni forma di terapia. Nonostante la<br />

continua e costante comparsa di nuove neoformazioni cutanee le condizioni dell’animale si conservarono buone per circa quattro<br />

mesi, dopodiché, a causa di un progressivo decadimento dello stato generale di salute, Orazio fu sottoposto ad eutanasia.<br />

L’esame autoptico permise di constatare la presnza di centinaia di masse, per lo più inferiori al centimetro, disseminate su tutta<br />

la superficie corporea, cavità orale e nasale comprese, oltreché in polmoni, intestino, peritoneo, pancreas e ghiandole surrenali.<br />

Istologicamente, in tutte le sedi esaminate, era evidenziabile la proliferazione di elementi cellulari di medie-grosse dimensioni,<br />

di forma tondeggiante o fusata, con alto rapporto N/C e nucleo atipico con prominente nucleolo; il citoplasma, discretamente<br />

rappresentato, era debolmente eosinofilo e contenente all’interno raro pigmento brunastro negativo alla colorazione istochimica<br />

per il ferro di Pearls. Numerose figure mitotiche. Le cellule non presentavano secrezione di muco, né di glicogeno (alla<br />

colorazione istochimica Alcian PAS). Con le indagini immunoistochimiche si riscontrava positività per vimentina ed S100; le<br />

cellule risultavano negative per fattore XIII, actina, desmina, cheratine (pool), antigene leucocitario comune. La diagnosi<br />

fu:localizzazioni multiple di melanoma.<br />

Discussione e conclusioni. Nel cane i melanomi si dividono in benigni e maligni e rappresentano rispettivamente il 4% e l 1,6%<br />

dei tumori cutanei. In questa specie la localizzazione della neoplasia è generalmente correlata al grado di malignità, infatti, contrariamente<br />

a questo caso, i melanomi cutanei hanno di solito un comportamento benigno ed un discreto grado di pigmentazione,<br />

al contrario quelli del cavo orale, delle giunzioni mucocutanee e delle dita, oltre ad essere meno pigmentati, hanno tendenza a<br />

metastatizzare e comportano una prognosi infausta. Citologicamente, le cellule possono presentare forma da rotonda a fusata,<br />

anche all’interno dello stesso aspirato; la presenza di pigmento malanico, in varia quantità, permette comunque una facile diagnosi<br />

di neoplasia melanocitaria. Per contro, i melanomi maligni amelanotici procurano al citologo seri dubbi diagnostici in quanto<br />

difficilmente distinguibili da neoplasie istiocitarie, mesenchimali ed epiteliali scarsamente differenziate; in questi casi l’immunocitochimica<br />

e l’immunoistochimica rappresentano un importante ausilio diagnostico. Il caso da noi presentato ci è apparso interessante<br />

sia per l’insolita presentazione sia per l’evoluzione; in oltre, testimonia che sebbene la citologia rivesta un ruolo fondamentale<br />

nella valutazione delle neoplasie cutanee, in alcuni casi necessita il supporto di ulteriori tecniche diagnostiche.<br />

Bibliografia<br />

Baker R., Lumsden J.H.: Citologia del cane e del gatto atlante a colori. Masson SpA, Milano, Edizioni Veterinarie, Cremona, 2001.<br />

Cowell R. L., Tyler R.D.: Diagnostic cytology of the dog and cat. American Veterinary Publications, Inc., California, <strong>19</strong>89.<br />

Bibbo M.: Comprehensive citopatohology. W.B. Saunders company, Philadelphia,<strong>19</strong>97.<br />

Enzinger and Weiss’s: Soft tissue tumors. The C.V. Mosby Company, St. Louis, Toronto, Washington, fourth edition.<br />

Marcato P.S.: Anatomia e istologia patologica speciale dei mammiferi domestici. Ed. agricole, Bologna, <strong>19</strong>81.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Barbara Dedola<br />

Via Levatella 14, 46031 Bagnolo S. Vito (MN)<br />

Tel. 0376.415640 - 348.365<strong>19</strong>22<br />

E-mail: detagu@tin.it


334 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

GRANULOMA CEREBRALE DA TOXOPLASMA GONDII IN UN GATTO:<br />

ASPETTI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI<br />

Cristian Falzone, Med Vet, Foligno (PG) Massimo Baroni, Med Vet, Dipl. ECVN, Monsummano terme (PT),<br />

Davide De Lorenzi, Med Vet, Dipl. ECVCP, Forlì, Maria Teresa Mandara, Med Vet, Perugia<br />

Toxoplasma Gondii, parassita protozoario intracellulare, è ben riconosciuto agente di malattia multisistemica negli animali<br />

domestici. L’infezione rimane, nella maggioranza dei casi, del tutto asintomatica e solo in caso di non efficace risposta immunitaria,<br />

è causa di malattia clinicamente manifesta.<br />

Seppur non frequentemente, la toxoplasmosi nel gatto può causare segni clinici di tipo neurologico, riferibili ad una meningoencefalomielite<br />

non suppurativa.<br />

Lo scopo della presente comunicazione è quello di illustrare gli aspetti clinici, diagnostici e terapeutici di un caso di toxoplasmosi<br />

cerebrale in un gatto, ritenuto degno di nota per i suoi aspetti di atipicità.<br />

Un gatto maschio Europeo a pelo raso, di 12 anni di età, fu riferito per valutazione neurologica con anamnesi di depressione del<br />

sensorio, debolezza generalizzata, tendenza ai movimenti in circolo e un episodio riferibile a crisi convulsiva parziale. 4 mesi prima<br />

della presentazione il gatto aveva presentato anoressia, vomito e diarrea con risoluzione spontanea nel giro di alcuni giorni.<br />

All’esame fisico venivano segnalate cattive condizioni generali, lieve disidratazione, lieve ipotermia.<br />

L’esame neurologico confermava il sensorio depresso e evidenziava circling verso sinistra, deficit propriocettivo all’anteriore<br />

destro, minaccia depressa bilateralmente. In base a tali segni clinici veniva sospettata una localizzazione neuroanatomica focale<br />

al cervello anteriore sinistro. Gli esami ematologici successivamente eseguiti evidenziavano ipoalbuminemia, iperglobulinemia<br />

e iposideremia. Test sierologici per FIV e FeLV davano esito negativo.<br />

L’esecuzione di uno studio RM al cranio, condotto con sequenze SE T1 e T2 pesate, sui tre piani dello spazio, prima e dopo<br />

somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico, consentiva l’evidenziazione di una massa occupante spazio, a margini<br />

netti, (dimensioni 8x12mm) in regione temporale sinistra. Nell’emisfero di destra era inoltre presente notevole edema perilesionale.<br />

La lesione assumeva contrasto in maniera decisa ed omogenea, prendeva contatto con la dura madre delineando anche<br />

“meningeal tail” ed era ben evidente un anello perilesionale ipointenso in sequenza T1 pesata, a delimitazione della patologia<br />

dal parenchima sano. Veniva emesso sospetto diagnostico di neoplasia cerebrale e tra gli istotipi più probabili veniva considerato<br />

il meningioma ed il linfoma.<br />

La patologia è stata quindi affrontata chirurgicamente con approccio rostrotentoriale craniale sinistro. Intraoperatoriamente è<br />

stata accertata la natura intrassiale della lesione ed è stato proceduto alla sua asportazione contestualmente a parte del lobo temporale<br />

sinistro. Il decorso postoperatorio non ha mostrato complicanze.<br />

L’esame citologico del tessuto asportato, effettuato su vetrini allestiti per schiacciamento e colorati con May-Grunwald Giemsa,<br />

ha consentito di effettuare diagnosi di granuloma infiammatorio da Toxoplasma. La diagnosi è stata confermata istologicamente<br />

e immunoistochimicamente.<br />

È stata quindi instaurata una terapia farmacologica a base di clindamicina (20 mg/kg bid x 7 settimane).<br />

I segni clinici neurologici sono gradualmente scomparsi, persistendo solamente un deficit propriocettivo destro e una depressione<br />

della reazione di minaccia. Un esame RM effettuato a distanza di 8 mesi non ha evidenziato segni di patologia in atto.. Ad<br />

un controllo clinico eseguito a distanza di un anno, il gatto è stato trovato in buone condizioni generali e non sono stati evidenziati<br />

segni di recidiva.<br />

Il caso clinico descritto offre diversi spunti di discussione. Una localizzazione neuroanatomica focale, sebbene più tipica per<br />

altre etiologie, non esclude una lesione infiammatoria. Tuttavia l’evidenziazione in sede di esame RM di una lesione occupante<br />

spazio fa propendere nel gatto la diagnosi differenziale verso cause neoplastiche. La conferma diagnostica di granuloma da toxoplasma<br />

avuta nel presente caso, suffragata da una recente segnalazione bibliografica, consente di inserire tale patologia nel quadro<br />

diagnostico differenziale. È inoltre da sottolineare la diagnosi citologica ottenuta da prelievo chirurgico, a nostra conoscenza<br />

mai segnalata in letteratura veterinaria. La combinazione tra diagnostica per immagini e citologia/istologia su prelievo chirurgico/bioptico<br />

è sicuramente tecnica da tenere in considerazione per una diagnosi etiologica. Infine si segnala il follow-up<br />

favorevole dopo associazione di terapia chirurgica e farmacologica. Sebbene ulteriori dati in merito siano necessari, l’approccio<br />

chirurgico-farmacologico potrebbe essere indicato in caso di lesioni focali di tipo granulomatoso.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Cristian Falzone<br />

Clinica Veterinaria Valdinievole, Via Nigra 123<br />

51015 Monsummano Terme, Pistoia<br />

E-mail: CRISFALZ@LIBERO.IT


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 335<br />

AVVELENAMENTO DA RODENTICIDI: SOLO EMORRAGIA?<br />

Francesca Fiorio 1 Med Vet, Marco Caldin 1 Med Vet, Dipl ECVP, Tommaso Furlanello 1 Med Vet, Dipl ECVP<br />

1 Libero professionista, Padova<br />

Obiettivo. Vogliamo descrivere alcune alterazioni emato-biochimiche in corso di avvelenamento da rodenticidi (vitamin K antagonist<br />

poisoning, VKAP) che permettono di ipotizzare che all’azione anticoagulante del tossico si affianchi la presenza di emolisi<br />

intravascolare.<br />

Materiali e metodi. Tra il mese di gennaio 2004 e il mese di novembre 2005 sono stati diagnosticati presso il nostro centro 31<br />

casi di VKAP. Tale reperto diagnostico è stato fondato su opportune considerazioni anamnestiche, fisiche e idonei test di laboratorio<br />

(PT e aPTT). Tra i casi diagnosticati ne sono stati presi in considerazione 20, poiché presentavano i criteri di inclusione<br />

richiesti, rappresentati da esame emocromocitometrico, profilo biochimico, elettroforesi sierica e profilo emostatico. In alcuni<br />

casi sono state eseguite indagini radiografiche, ecografiche e tomografiche, qualora indispensabili ai fini diagnostici. L’esame<br />

delle urine e del relativo sedimento è stato spesso reso impossibile dal rischio di emorragie nel sito di prelievo. Tra tutti i dati<br />

raccolti il presente studio fa riferimento in particolare ad alcuni marker di emolisi (rilievi visibili diretti di emolisi sierica, presenza<br />

di eccentrocitosi e dosaggio dell’aptoglobina) ed alcuni analiti infiammatori. Tra questi sono stati presi in considerazione<br />

la neutrofilia, la proteina C reattiva (PCR), l’aptoglobina (HP), il fibrinogeno (FI) e alcuni marcatori negativi dell’infiammazione<br />

come albumina e transferrina. Tali marker infiammatori sono stati utilizzati al fine di una migliore comprensione della dinamica<br />

aptoglobinica.<br />

Risultati e discussione. In base all’emogramma 13 soggetti (65%) erano anemici. In funzione dell’ematrocrito l’anemia veniva<br />

classificata come lieve in 4 casi (Hct 30-37%), moderata in 6 casi (Hct 20-30%), grave in 2 casi (Hct 15-20%) e gravissima<br />

in 1 caso (Hct < 15%). L’esame morfologico dello striscio di sangue individuava eccentrocitosi in 8/20 soggetti (40%), indicativa<br />

di un danno ossidativo pre-emolitico alla membrana eritrocitaria 1 . Le alterazioni riscontrate nei restanti accertamenti erano<br />

soprattutto di carattere infiammatorio, probabilmente legate alla presenza di emorragie multiple. In quattordici soggetti (70%) il<br />

leucogramma rivelava neutrofilia, con valore medio (VM) di 1<strong>21</strong>52 cellule/µl e intervallo di riferimento (IR) 3900-8800 cellule/µl.<br />

L’albumina era diminuita nel 40% dei casi, con VM 2,7 g/dl e IR 2.6-3.8 g/dl; la transferrina era diminuita nel 25% dei<br />

casi, con VM 307 µg/dl e IR 270-460 µg/dl. La PCR era aumentata in 16/20 soggetti (80%), con VM 2.27 mg/dl e IR 0.0-0.15<br />

mg/dl. Il FI era aumentato in 18/20 soggetti (90%), con VM 431 mg/dl e IR 130-242 mg/dl, mentre l’HP era aumentata in 10/20<br />

soggetti (50%), con VM 130 mg/dl e IR 20-120 mg/dl. Il valore di HP si presentava normale in 7 casi e sotto l’IR in 3 animali.<br />

In medicina umana la diminuzione dell’aptoglobina identifica la presenza di emolisi, anche se in corso di flogosi concomitante<br />

il valore di HP può risultare normale 2 . Nei nostri soggetti le variazioni dell’HP dimostravano una scarsa adesione al comportamento<br />

delle altre proteine della fase acuta dell’infiammazione. In particolar modo è stata osservata una scarsa correlazione tra<br />

HP e FI, che normalmente hanno la medesima tendenza all’aumento in corso di flogosi (proteine moderate della fase acuta) 3 .<br />

Infine in 5 cani il siero aveva aspetto emolitico e in 6/20 casi vi era aumento dell’MCHC (VM 35,1 g/dl e IR 32-37 g/dl), sovente<br />

presente in corso di emolisi, mentre solo un caso presentava lieve iperbilirubinemia (VM 0.20 mg/dl e IR 0.15-0.26 mg/dl).<br />

In tutti i casi in cui si ritrovava l’aumento di MCHC vi era la presenza di eccentrocitosi.<br />

Conclusioni. L’evidenza nel siero di colorazione rosata nel 25% dei casi, l’eccentrocitosi nel 40% dei casi e la diminuzione dell’aptoglobina<br />

nel 15% dei soggetti rendono plausibile l’ipotesi che in corso di avvelenamento da rodenticidi l’evento emolitico<br />

si associ a quello emorragico. Il marcatore emolitico per eccellenza è rappresentato dall’aptoglobina, che è altresì una proteina<br />

della fase acuta dell’infiammazione. La discrepanza con altri marker flogistici sembra aprire la strada all’ipotesi che la diminuzione<br />

di tale analita in corso di VKAP rappresenti una manifestazione concomitante di emolisi. In un solo caso è stata riscontrata<br />

iperbilirubinemia; tale rilievo è potenzialmente spiegabile nel ritardo tra emolisi e formazione della bilirubina. La conferma<br />

di un evento emolitico in questi casi va ricercata dosando alcuni parametri che non aumentano in corso di infiammazione,<br />

come ad esempio l’emopessina.<br />

Bibliografia<br />

1. Caldin et al., 2005. A retrospective study of 60 cases of eccentrocytosis in the dog. Vet. Clin. Path. 34(3), pp. 224-231.<br />

2. Thomas. Haptoglobin(Hp)/Hemopexin(Hx). In Thomas (ed): Clinical Laboratory Diagnostics. TH-Books, <strong>19</strong>98, pp. 663-667.<br />

3. Ceròn et al., 2005. Acute phase proteins in dogs and cats: current knowledge and future perspectives. Vet. Clin. Path. 34(2), pp. 85-98.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Francesca Fiorio, Clinica Veterinaria Privata San Marco<br />

Via Sorio 114/C 35141 Padova<br />

Tel. 049 8561098 - Fax 02 700 518888<br />

E-mail: francesca@sanmarcovet.it


336 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

COMPORTAMENTO E METODO DI EDUCAZIONE DI UN CALOPSITTE<br />

Federica Furlani 1 , Giuseppe Pallante 2 Med Vet<br />

1, 2 Centro Studi Interdisciplinari di Zooantropologia<br />

Scopo del lavoro. Lo studio comportamentale e l’educazione del calopsitte rappresentano gli obiettivi primari di questo lavoro,<br />

sviluppato dalla sezione di Ricerca ed Attività Didattica del Centro Studi Interdisciplinare di Zooantropologia. Il primo obiettivo<br />

funge da premessa per il secondo ed è necessario affinché si possano creare le condizioni ottimali per l’instaurasi di una relazione<br />

basata sulla fiducia tra educatore ed animale. L’educazione del pappagallo, che coinvolge ogni comportamento e aspetto<br />

di questi (dall’educazione alimentare alla socializzazione con le persone estranee) e che ha come punto di partenza e di ritorno<br />

l’educatore (inizia e si conclude per ricominciare passando attraverso la riflessione), si rende interessante a molteplici fini: favorisce<br />

una corretta relazione tra l’animale e il suo proprietario, previene determinate forme di aggressività (appresa, sociale, da<br />

eccitamento, da frustrazione), previene gli incidenti sia domestici sia igienici, rende l’animale prevedibile e più facile da gestire.<br />

Educare significa dare una guida e delle regole sociali all’animale, sviluppare le sue capacità e stimolare le sue intelligenze,<br />

promuovere la sua crescita e la sua piena evoluzione. In futuro l’animale coinvolto nel progetto assieme all’educatore potrà essere<br />

portato in contesti di attività e terapia assistita con gli animali.<br />

Metodi impiegati. I presupposti di cui ci si è serviti per l’educazione del calopsitte sono stati la conoscenza della specie in questione<br />

(comportamento in natura e linguaggio del corpo), l’osservazione dell’animale (motivazioni e cause del comportamento)<br />

e l’osservazione di sé (riflessione sui propri pensieri/comportamenti/metodologie), l’analisi di queste osservazioni nel loro relazionarsi.<br />

Sono state rispettate le condizioni favorevoli per l’educazione: giovane età dell’animale ed esperienze pregresse positive,<br />

allevamento e svezzamento non traumatici, alimentazione corretta, buono stato di salute e benessere psico-fisico dell’animale,<br />

rispetto dei tempi e creazione di ambienti stabili e adatti, disponibilità cognitiva/emozionale sia della calopsitta sia dell’educatore;<br />

si sono utilizzate tecniche didattiche competenti.<br />

Si è educato l’animale attraverso il metodo gentile, fornendo ad ogni occasione il rinforzo positivo qualora l’animale si comportava<br />

nel modo desiderato. Si sono predisposte delle situazioni ad hoc affinché il calopsitte potesse agire nella maniera prevista.<br />

Ogni azione degna di interesse è stata associata ad una determinata parola o suono per facilitare la comunicazione interspecifica<br />

e l’apprendimento. Nei casi in cui l’animale arrecava danno a sé o agli altri andava incontro alla perdita di attenzione da<br />

parte del suo referente. L’attenzione verso l’animale e verso i suoi comportamenti si componeva del contatto vocale, visivo ed<br />

affettivo. Sono stati fornite diverse tipologie di situazione-stimolo in modo da far emergere diverse abilità/predisposizioni e intelligenze<br />

e si è tenuta alta la motivazione del calopsitte ricorrendo a compiti creativi.<br />

Risultati. Il calopsitte, che attualmente ha otto mesi d’età, è fiducioso e ricerca il contatto e la comunicazione verso persone di<br />

qualsiasi sesso ed età, anche in ambienti differenti dalla sua abitazione, sempre alla presenza del suo educatore. Si dimostra<br />

socievole e non aggressivo nei confronti delle persone elicitando disposizioni positive. La calopsitta è in grado di rispondere<br />

adeguatamente a determinate richieste verbali comportandosi nella maniera corretta. Inoltre ha imparato a portare piccoli oggetti<br />

nel palmo della mano e riporli in determinati contenitori. L’animale si comporta come richiesto perché è motivato a restare in<br />

relazione con la persona e ottenere l’apprezzamento e il contatto affettivo di questa. Il pappagallo desidera imitare i suoni e le<br />

parole pronunciate dalle persone con le quali instaura una relazione in quanto è desideroso di comunicare con loro. Affinché l’animale<br />

sia più facilmente accettabile all’interno delle istituzioni in cui viene portato è stato educato a fare le proprie deiezioni<br />

solo in determinati spazi.<br />

Conclusioni. Le capacità comunicative, relazionali ed affettive del calopsitte sono di grande interesse a patto che si tengano presenti<br />

la grande sensibilità, intelligenza e capacità di creare forti legami sociali propri della specie.<br />

Bibliografia<br />

Gismondi E., Il grande libro dei pappagalli e dei pappagallini, De Vecchi Editore, Milano <strong>19</strong>92.<br />

Heidenreich B., The parrot problem solver: finding solution to aggressive behavior, T.F.H.Publications, Neptune City, 2005.<br />

Low R., Why does my bird do that?, 2000, trad.it Perché il mio pappagallo fa così?, Alberto Perdisa Editore, Bologna 2005.<br />

Low R., Parrots. A complete guide, <strong>19</strong>88, trad.it I pappagalli. Guida completa, Gruppo Ugo Mursia Editore, Milano <strong>19</strong>91.<br />

Menassè V., Come allevare, ammaestrare ed educare alla parola pappagalli e pappagallini, De Vecchi Editore, Milano <strong>19</strong>85.<br />

Ravazzi G., Il grande libro degli inseparabili. La classificazione, le specie, l’allevamento, la riproduzione, l’alimentazione e le cure, De Vecchi Editore, Milano, 2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giuseppe Pallante<br />

Centro Studi Interdisciplinari di Zooantropologia<br />

secondo vicolo Bristol n. 7, 38015 Lavis, Trento<br />

Tel. 3403784689 - E-mail: kkokp@tin.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 337<br />

UTILIZZO DELLA PORTOGRAFIA RETROGRADA TRANSCUTANEA NELLA DIAGNOSI<br />

DELLE COMUNICAZIONI PORTOSISTEMICHE CONGENITE DEL CANE E DEL GATTO<br />

Roberto A. Santilli Dr Med Vet D.E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology),<br />

Massimo Olivieri Dr Med Vet, GianMarco Gerboni Dr Med Vet,<br />

Perego Manuela Dr Med Vet, Simona Voghera Dr Med Vet<br />

Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate, Varese, Italy<br />

La portografia retrograda transcutanea (PRT) è stata descritta come metodo alternativo per diagnosticare la sede delle comunicazioni<br />

portosistemiche (CPS) e per valutarne la modalità di chiusura. Lo scopo del lavoro è stato quello di dimostrare l’utilità<br />

della PRT nella localizzazione anatomica delle CPS del cane e del gatto. Sono state analizzate in modo retrospettivo le cartelle<br />

cliniche di 9 cani ed 1 gatto con CPS congenita diagnosticata attraverso rilievi clinici, esami ematologici ed esame ecotomografico.<br />

Ogni soggetto è stato poi successivamente sottoposto a PRT.<br />

Descrizione della tecnica. Previa anestesia generale con paziente in decubito laterale viene inserito un catetere a doppio lume<br />

dotato di pallone terminale nel sistema venoso centrale attraverso un introduttore giugulare da 7 Fr. Dalla vena giugulare esterna<br />

il catetere viene prima indirizzato nella vena cava craniale e poi spinto e posizionato dorsalmente nel lume della vena azygos.<br />

Dopo aver insufflato il palloncino e aver determinato l’occlusione del lume vascolare è possibile, sotto visione fluoroscopica,<br />

iniettare il contrasto iodato in modo retrogrado evidenziando le vene intercostali e intervertebrali. Questa prima iniezione<br />

di contrasto è utile ad evidenziare le comunicazioni porta-azygos. Successivamente per studiare eventuali comunicazioni portacava<br />

si procede posizionando il catetere in vena cava caudale attraverso l’atrio destro. Dopo aver dilatato il palloncino in posizione<br />

craniale alla linea diaframmatica si esegue la contrastografia retrograda. Questa seconda iniezione permette di studiare la<br />

porzione addominale della vena cava caudale e le eventuali comunicazioni anomale con la vena porta. Con il pallone posizionato<br />

nel lume della vena cava caudale o della vena azygos a seconda del tipo di anomalia vascolare è possibile effettuare le rilevazioni<br />

della pressione pre- e post-occlusione e visto il diretto collegamento esistente tra sistema portale e circolazione venosa<br />

sistemica stabilire la pressione di chiusura in acuto della CPS.<br />

Sono stati sottoposti a PRT 9 cani di differenti razze ed 1 gatto di razza persiana. Tutti presentavano segni clinici ed esami di<br />

laboratorio compatibili con CPS. L’ecotomografia ha consentito di definire la sede anatomica del vaso anomalo in 9/10 casi. Nei<br />

cani 7 sono risultati compatibili con comunicazione extraepatica porto cavale gastrica sinistra, 1 con comunicazione extraepatica<br />

porta-azygos ed 1 di origine dubbia. Nel gatto la comunicazione è risultata extraepatica gastrica sinistra.<br />

L’esame angiografico ha permesso di identificare l’anatomia del vaso anomalo in tutti i pazienti. Nei 9 cani ha evidenziato la<br />

presenza di 8 comunicazioni extraepatiche porto-cavali gastriche sinistre ed 1 comunicazione porta-azigos. Il gatto ha evidenziato<br />

una comunicazione extraepatica gastrica sinistra. In uno dei cani affetti da comunicazione porta-cava si è evidenziata la<br />

contemporanea presenza di una comunicazione cava-azygos. La pressione media pre occlusione è risultata di 9 mm Hg e post<br />

di 20 mm Hg. Il tempo medio di scopia è stato di 10,4 minuti. Il tempo medio di anestesia di 51 minuti. Un solo soggetto ha<br />

riportato ipertermia e lieve leucocitosi nella 24 ore successive. Nessun soggetto ha avuto complicanze anestesiologiche. Tutti i<br />

pazienti sono stati monitorati e ospedalizzati nelle 24 ore successive.<br />

Il vantaggio maggiore della tecnica trans-giugulare è stato quello di non richiedere celiotomia e di conseguenza ridurre i tempi<br />

di anestesia ed i rischi ad essa connessi, quali dolore, ipotermia, ipoglicemia e coagulopatie. È stato possibile identificare e<br />

visualizzare l’anatomia del vaso anomalo nel 100% dei soggetti indagati. La possibilità di eseguire misura diretta della pressione<br />

pre- occlusione e post- occlusione ha permesso di meglio discriminare la scelta del trattamento chirurgico terapeutico. In caso<br />

di possibile chiusura in acuto della CPS è stato possibile posizionare nella stessa seduta strumenti per l’attenuazione intravascolare<br />

progressiva e l’occlusione del vaso anomalo.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Clinica Veterinaria Malpensa<br />

viale Marconi 27, <strong>21</strong>017 Samarate - Varese Italia<br />

Tel. (39)0331-228155<br />

Fax (39) 0331-220255<br />

E-mail: r.santilli@edbusiness.it<br />

E-mail: gerbonig@tin.it


338 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

UN CASO DI PALATOSCHISI CONGENITA DEL PALATO SECONDARIO IN UN CANE BOXER<br />

TRATTATA MEDIANTE ESTRAZIONE DENTALE E LEMBO MUCOGENGIVALE DI AVANZAMENTO<br />

Margherita Gracis, Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDC<br />

Libero professionista, Milano<br />

Introduzione. I difetti palatali congeniti possono interessare le strutture del palato primario (il labbro superiore e l’osso incisivo),<br />

o del palato secondario (palato duro e molle). I difetti del palato secondario si sviluppano per lo più lungo la linea mediana<br />

e possono avere estensione variabile. Si annoverano cause genetiche e cause ambientali, che possono influire negativamente<br />

sullo sviluppo embrionale e fetale del soggetto. Poiché è spesso impossibile determinare se la causa sia ereditaria o meno, va<br />

sempre raccomandata l’esclusione del soggetto dalla riproduzione.<br />

Caso clinico. Veniva portato alla visita clinica un cane di razza Boxer, femmina, di 7 mesi di età, e kg 18,750 di peso. Il soggetto<br />

era nato con un difetto completo del palato secondario. Era stato allattato con latte artificiale per i primi due mesi di età,<br />

e quindi svezzato con l’uso di diete commerciali inizialmente morbide e poi secche. Veniva riportato un lieve scolo nasale bilaterale<br />

cronico e sternuti occasionali. Alla visita il cane si presentava sottopeso, ma vigile ed attivo. All’esame obiettivo particolare<br />

si evidenziava lieve linfoadenopatia mandibolare bilaterale simmetrica, morso inverso anteriore causato da un brachignatismo<br />

mascellare spinto (30 mm), atrofia bilaterale dei muscoli della masticazione, e una ridotta estensione mandibolare (60 mm).<br />

Il difetto del palato secondario si estendeva lungo la linea mediana dalla papilla incisiva al margine caudale del palato molle,<br />

con massima ampiezza nella zona tra i canini mascellari (17 mm). L’esame emocromocitometrico, il profilo biochimico completo<br />

e lo studio radiografico del torace risultavano nella norma. Lo studio radiografico del cranio evidenziava un ispessimento<br />

della parete delle bolle timpaniche indicativo di malattia dell’orecchio medio. A causa delle dimensioni del difetto e scarsità dei<br />

tessuti viciniori utilizzabili per la riduzione chirurgica, si optava per l’uso di un lembo mucogengivale di avanzamento a base<br />

labiale. Si eseguiva a questo scopo un primo intervento chirurgico di estrazione semplice, non chirurgica di tutti i denti mascellari<br />

di destra e del primo e secondo incisivo mascellare di sinistra. Il soggetto veniva concomitantemente sottoposto ad intervento<br />

di ovarioisterectomia. Dopo un periodo di 4 settimane, necessario per la guarigione dei tessuti gengivali, il soggetto veniva<br />

nuovamente posto sotto anestesia generale per l’esecuzione dell’intervento di palatoraffia. La mucosa palatale veniva incisa<br />

a circa 5 mm dal margine del difetto palatale lungo tutta la sua estensione. Un’incisione verticale veniva eseguita al margine<br />

rostrale del difetto del palato duro. Veniva quindi sollevato un ampio lembo mucogengivale sul lato di destra scollando dal piano<br />

osseo la mucosa palatale, i tessuti gengivali, e la mucosa vestibolare per un estensione di circa 3 cm dorsalmente al margine<br />

alveolare. Il lembo veniva poi scollato per via smussa dai tessuti profondi del labbro. Si otteneva così un lembo tissutale a spessore<br />

misto, la cui vascolarizzazione veniva assicurata dalle arterie palatina maggiore, palatina minore e nasale laterale. Una<br />

membrana biologica veniva posta a ponte tra i margini del difetto osseo, tra il piano osseo e la mucosa palatale, e suturata in<br />

sede come supporto per il lembo. Il lembo mucogengivale veniva poi avanzato a raggiungere senza tensione il margine opposto<br />

del difetto, a cui veniva suturato mediante punti di sutura staccati. La palatoraffia del palato molle veniva completata mediante<br />

sutura a due strati. A tre settimane di distanza si evidenziava deiscenza completa del lembo mucogengivale lungo il difetto del<br />

palato duro (55 mm), e al margine caudale del palato molle (10 mm). Tre mesi dopo si ripeteva lo stesso intervento chirurgico<br />

di palatoraffia mediante lembo mucogengivale di avanzamento a base labiale, senza però l’interposizione della membrana biologica.<br />

Veniva inoltre inserita una sonda esofagostomica per alimentare il soggetto per circa 10 giorni by-passando il cavo orale.<br />

A 6 settimane di distanza, dopo la dissoluzione completa del materiale di sutura, il lembo appariva intatto, eccetto un piccolo<br />

difetto residuo all’altezza del secondo premolare. La riduzione chirurgica di questo e del difetto residuo del palato molle veniva<br />

consigliata ma non eseguita.<br />

Conclusioni. L’estrazione dei denti posti in vicinanza di difetti palatali permette l’estensione dei lembi tissutali alla mucosa<br />

vestibolare, ampliando in maniera significativa la superficie dei tessuti utilizzabili per la palatoraffia. L’estrazione dentale deve<br />

essere eseguita con estrema cautela per minimizzare i danni ai tessuti gengivali. È bene attendere almeno 4 settimane dall’estrazione<br />

dentale prima di procedere alla preparazione del lembo e all’intervento di riduzione del difetto palatale.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Clinica Veterinaria Gran Sasso<br />

Via Donatello 26 - 20131 Milano<br />

Tel. 338 1874498<br />

E-mail: margherita.gracis@fastwebnet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 339<br />

AURAL CHOLESTEATOMA IN THE DOG: 7 CASES (2001-2005)<br />

COLESTEATOMA AURICOLARE NEL CANE: 7 CASI CLINICI (2001-2005)<br />

C.M. Mortellaro*, V. Greci*, C. Giudice**, M. Di Giancamillo***, O. Travetti***<br />

* Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Clinica Chirurgica,<br />

** Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviarie, *** Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie,<br />

Sezione di Radiologia Veterinaria Clinica e Sperimentale; Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Italia<br />

Introduction. Cholesteatoma is an important and potentially serious complication of otitis media occurring in human beings<br />

and animals. In dog it is sporadically reported and, however, no large case series have been published so far.<br />

Aim of the work. Review of six records where final diagnosis was cholesteatoma.<br />

Material and methods. In all cases history, clinical signs, CT features, histological findings, therapy and outcome were evaluated.<br />

Six dogs were presented with history of recurrent external/middle otitis, lasting from 30 days up to 1 year, unresponsive to<br />

topical and systemic therapy. Physical examination, computed tomography (CT) and video-otoscopy were performed on all<br />

dogs. Seven ears were treated with Total Ear Canal Ablation and Lateral Bulla Osteotomy (T.E.C.A.L.B.O.) and the material<br />

found into the tympanic cavity was sampled for the histological exam.<br />

Results. Seven cases of cholesteatoma in 6 dogs (4 left ears and 3 right ears), 5 male and 1 spayed female. No breed predisposition<br />

was observed, mean age was 8 years. Physical examination revealed the presence of: otodinia (5 dogs), dysphagia (3<br />

dogs), pain opening the mouth (2 dogs), otorrhea (2 dogs). Few neurological abnormalities were detected: head tilt (3 dogs),<br />

facial palsy (2 dogs).<br />

In all cases, CT and histological findings were consistent with cholesteatoma, while video-otoscopy was highly suspicious of it.<br />

CT revealed the presence of an expansive and invasive unvascularised lesion involving the tympanic cavity and the bulla. Histological<br />

exam was characterised by a cyst lined by a pluristratified keratinized epithelium (up to 25) and filled by keratin debris.<br />

Outcome. Few post-operative complications were detected: two dog showed facial palsy, one spontaneously solved. Two recurrences<br />

occurred: one dog was treated surgically with V.B.O. (Ventral Bulla Osteotomy) while the other one was euthanized and<br />

necropsy was not allowed.<br />

Discussion and conclusion. Cholesteatoma is a rare condition but should be suspected when a dog is presented with history of<br />

recurrent otitis unresponsive to conservative therapy and CT reveals the presence of an expansive and invasive unvascularised<br />

lesion involving the tympanic cavity and the bulla. Neurological signs can be present as well.<br />

CT is the most sensitive tool for diagnosis of cholesteatoma because of its distinctive features, and histology works as a supportive<br />

complementary exam.<br />

Surgery is the only therapy and T.E.C.A.L.B.O. proved to be effective.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Carlo Maria Mortellaro<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />

Sezione di Clinica Chirurgica<br />

Via Ponzio 7, 20131 Milano


340 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

CASE REPORT: LEFT AURAL INFLAMMATORY POLYP CONCOMITANT<br />

TO AURAL RIGHT LYMPHOMA IN A YOUNG DSH CAT<br />

POLIPO AURICOLARE SINISTRO CONCOMITANTE A LINFOMA AURICOLARE DESTRO IN UN GATTO<br />

V. Greci *, C.M. Mortellaro *, A. Jacchetti *, M. Di Giancamillo **, O. Travetti **<br />

* Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Clinica Chirurgica,<br />

** Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Radiologia Veterinaria Clinica e Sperimentale;<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Italia<br />

History. A 2.5 years old neutered male DSH cat was referred because of a problem of recurrent otitis unresponsive to topical<br />

therapy.<br />

Physical examination. Physical examination revealed presence of left head tilt, left Horner’s syndrome (enophthalmos), shacking<br />

head, aural itchiness and scratching.<br />

Collateral exams. X-rays of the bulla showed loss of air contrast into the left tympanic cavity while the right one appeared<br />

normal.<br />

Video-otoscopy revealed the presence of new greyish tissue in the horizontal tract of both ear canals.<br />

Left lesion was managed conservatively by traction alone and biopsies sampled for histological exam. No biopsy were performed<br />

on the right aural lesion.<br />

Diagnosis. Due to the young age, first diagnosis was of bilateral aural inflammatory polyp. The histological exam confirmed<br />

the suspicious on left ear.<br />

Therapy. A therapy with Prednisone 1 mg/kg BID for 7 days, then 1 mg/kg SID for 7 days, then 1 mg/kg SID every other day<br />

for 7 days and Enrofloxacyn 7.5 mg/kg SID for <strong>21</strong> days was started.<br />

Follow-up. The owner referred an improvement of the general condition of the cat.<br />

A month later the cat was brought for right aural lesion traction.<br />

Physical examination revealed Horner’s syndrome on the right eye (third eyelid protrusion and miosis) and right head tilt, but<br />

the owner did not allow to perform computed tomography (CT) of the bulla.<br />

During traction, an accidental fracture of the right bulla occurred, confirmed by X-rays shots. Traction was interrupted. The<br />

fragment previously collected were processed for histological exam.<br />

Five days later, due to a worsening general condition of the animal, the owner agreed to perform CT of the bulla.<br />

The CT findings were consistent of a mass lesion into the tympanic cavity involving the neighbour tissues with positive enhancement<br />

after iv injection of contrast solution.<br />

Histological diagnosis was Lymphoma.<br />

The cat was euthanized.<br />

Conclusion. Though inflammatory polyp is the main cause of recurrent otitis in cats and only few cases of aural Lymphoma are<br />

described in cats, aural Lymphoma should be suspected as cause of external/media/internal otitis even in young cats.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Carlo Maria Mortellaro<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />

Sezione di Clinica Chirurgica<br />

Via Ponzio 7, 20131 Milano


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 341<br />

CUSTOMER RELATIONSHIP MANAGEMENT (CRM) IN MEDICINA VETERINARIA,<br />

ESPERIENZA DI UNA CLINICA VETERINARIA<br />

Luca Lideo, Med Vet; Roberto Milan, Med Vet; Matteo Gobbo, Med Vet;<br />

Giuliana Bonetti, Med Vet; Ermenegildo Baroni, Med Vet<br />

Clinica Veterinaria Baroni, Rovigo<br />

Introduzione e scopo del lavoro. In medicina veterinaria molta attenzione viene posta nella definizione diagnostica delle patologie<br />

affrontate nella pratica clinica, tuttavia sono ancora molto scarsi gli elementi che ci permettono di definire il nostro operato<br />

di qualità, intesa come il grado in cui un insieme di caratteristiche del servizio offerto soddisfano i requisiti del cliente.<br />

Scopo di questo lavoro è quello di analizzare i risultati di un questionario di valutazione proposto ai nostri clienti.<br />

Metodi impiegati. Questionario, composto da 26 domande suddiviso in: 18 domande a risposta multipla (5 possibilità di risposta);<br />

6 domande conoscitive e 2 a risposta aperta. Non avendo a disposizione modelli specifici per servizi veterinari privati, è<br />

stato seguito il percorso proposto da Clerfeuille in cui, partendo dall’insegna, venivano richieste informazioni riguardo alla possibilità<br />

di parcheggio, la sala d’attesa, la reception, l’accoglienza telefonica, la sala visite e la degenza. Tale modello è stato integrato<br />

chiedendo informazioni riguardo: le prestazioni sanitarie (diagnostica di laboratorio, diagnostica per immagini, chirurgia);<br />

l’impatto emotivo in momenti come l’eutanasia del proprio animale; il rapporto qualità/prezzo delle prestazioni offerte; e chiedendo<br />

suggerimenti sulla possibilità di eseguire controlli più frequenti ed approfonditi in animali considerati anziani. Al termine<br />

è stata posta una domanda aperta per avere proposte da parte dei clienti. Il questionario è stato somministrato a clienti abituali<br />

nel periodo autunnale.<br />

Risultati. 47 clienti hanno risposto al nostro questionario. La presenza di un’insegna evidente, la possibilità di parcheggio, la<br />

sala d’attesa, la reception, l’accoglienza telefonica, la sala visite e le prestazioni sanitarie (diagnostica di laboratorio, diagnostica<br />

per immagini, chirurgia) hanno avuto una valutazione molto buona/buona superiore al 50%.<br />

Le domande in cui si trovano una maggior variabilità di risposta sono la valutazione sul locale degenza che ha avuto un giudizio<br />

buono/molto buono complessivamente inferiore agli altri locali della struttura; il rapporto qualità/prezzo ritenuto buono nel<br />

59% dei casi e sufficiente nel 30% dei casi; e la frequenza dei controlli da eseguire in un cane anziano che, secondo in nostri<br />

clienti, dovrebbe avvenire annualmente nel 47% dei casi e semestralmente nel 35% dei casi.<br />

Conclusioni. Le informazioni raccolte ci offrono delle conferme sulla linea seguita nei miglioramenti professionali e ci permettono<br />

di porre dei correttivi laddove si è vista una variabilità di risposta. Dal punto di vista strutturale bisognerà implementare<br />

il servizio degenza, mentre dal punto di vista manageriale si nota una congruità tra le prestazioni offerte ed il prezzo richiesto<br />

per esse.<br />

Va posta molta attenzione riguardo i controlli da eseguire nel cane anziano, che vengono richiesti annualmente/semestralmente<br />

dall’82% dei clienti: questo dato ci indica che dobbiamo insistere molto di più nel proporre tali controlli come una pratica sanitaria<br />

routinaria, come le vaccinazioni e le profilassi.<br />

Per il futuro ci si propone di apportare delle correzioni ai punti indicati dai clienti e di ripresentare loro il questionario per valutare<br />

l’indice di gradimento di tali miglioramenti.<br />

In conclusione riteniamo il questionario di valutazione uno strumento utile nella pratica lavorativa; auspichiamo una maggior<br />

diffusione tra i colleghi veterinari allo scopo di confrontare le esperienze e di far crescere il marketing sanitario veterinario sull’onda<br />

di quanto già avviene per la medicina umana.<br />

Bibliografia consultata<br />

1. F. Clerfeuille. Fare la diagnosi del marketing di una clinca. Atti del 48° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong>. 2004. pp 101-102.<br />

2. A. Miolo. Risultati di un’indagine conoscitiva sulla geriatria in Italia. Atti del 50° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong>. 2005. pp 359.<br />

3. M. Viotti, G. W. Crotti, R. Tovini. La sala visite: usi e abusi. Atti del 50° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong>. 2005. pp 3<strong>19</strong>.<br />

4. G. W. Crotti, R. Tovini, M. Viotti. La sala d’aspetto: usi e abusi. Atti del 50° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong>. 2005. pp 65.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Lideo Luca<br />

Clinica Veterinaria Baroni<br />

Via Martiri di Belfiore, 69/D, 45100 Rovigo<br />

Tel. 0425/471076-0425/404918<br />

E-mail: lucalideo@libero.it


342 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

DISTURBO NEUROLOGICO IN UN GATTO CON DEMINERALIZZAZIONE OSEEA<br />

Andrea Malgeri Med Vet<br />

Libero Professionista, Salerno Italia<br />

Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare l’efficacia della terapia omeopatica classica in corso di una sindrome neurologica<br />

correlata ad un dismetabolismo del calcio.<br />

Segnalamento: gatto maschio europeo castrato di 4 anni circa.<br />

Il gatto in questione sottoposto a visita clinica in data 11 marzo 2004, evidenzia difficoltà di deambulazione, debolezza ed incoordinazione<br />

motoria degli arti posteriori. Dalla visita neurologica non si evidenzia perdita della sensibilità superficiale e profonda,<br />

ma si evidenzia debolezza muscolare specialmente agli arti posteriori. Effettuata una radiografia della colonna in toto si evidenzia<br />

una marcata demineralizzazione del tratto cervicale e dell’omero (vedi Fig. 1). Al termine<br />

della visita preliminare ho effettuato un breve filmato che mette in evidenza lo stato<br />

paraplegico. Dopo aver supposto che la demineralizzazione fosse la causa scatenante della<br />

sindrome in atto, ho ritenuto opportuno fare un approccio terapeutico con l’omeopatia classica.<br />

In seguito al colloquio omeopatico ho raccolto i seguenti sintomi repertoriali:<br />

• estremità - incoordinazione<br />

• estremità - debolezza<br />

• estremità - paralisi - inferiori: arti<br />

• sintomi generali - osteomalacia, rammollimento osseo<br />

• sintomi generali - freddo - aggr.<br />

• stomaco - appetito - aumentato<br />

• sintomi generali - cibi e bevande - carne - desiderio - deve mangiare<br />

che hanno portato alla diagnosi del rimedio Calcarea Carbonica 30 CH, da somministrare<br />

in ragione di 5 granuli 2 volte al giorno per <strong>21</strong> giorni.<br />

I sintomi repertoriali altro non sono che la raccolta dei sintomi derivanti dalla sperimentazione<br />

pura sull’uomo sano, eseguita secondo le regole stabilite da Samuel Hahnemann.<br />

Mentre il repertorio è il testo di consultazione con cui l’omeopata fa diagnosi. Cioè<br />

mediante la visita omeopatica, composta da visita semeiotica clinica e colloquio omeopatico.<br />

Tutto questo per mettere in evidenza i sintomi del paziente nella sua totalità, in quanto<br />

ogni paziente è uguale solo a se stesso, e quindi oltre ai sintomi di malattia dobbiamo<br />

mettere in evidenza le modalità soggettive. Tra i vari sintomi scelti per questo paziente<br />

possiamo vedere che il freddo aggrava (sintomi generali), e questa è la traduzione da<br />

repertorio che il gatto è freddoloso. Se fosse stato invece caloroso, tradotto in il caldo<br />

aggrava (sintomi generali), non avremmo potuto scegliere la Calcarea Carbonica in quan-<br />

to dalla sperimentazione sappiamo che è freddoloso. Queste semplici affermazioni possono far intuire che l’omeopatia classica<br />

non può essere applicata secondo protocolli terapeutici basati sui sintomi soli della malattia, perché soltanto questi non rispecchiano<br />

l’individualità del malato. Come ulteriore esempio voglio riportare la differenza che ci può essere tra un artrite che<br />

migliora con il movimento ed una che aggrava con il movimento: nella medicina convenzionale questo dato può essere osservato<br />

ma comunque la scelta terapeutica sarà sempre basata su molecole antinfiammatorie della stessa categoria con le stesse<br />

indicazioni per tutti, mentre in omeopatia classica nel primo caso daremo Rhus Toxicodendron e nel secondo daremo Bryonia<br />

Alba, i quali se invertiti non daranno nessun effetto terapeutico perché mancanti della modalità soggettiva dell’individuo malato.<br />

Il 27 marzo 2004 la proprietaria mi ha comunicato telefonicamente che il gatto dal punto di vista motorio stava migliorando<br />

ma che adesso sulla guancia sinistra era comparso una gonfiore caldo a contenuto molle. Il 29 marzo alla visita di controllo il<br />

gonfiore si era rivelato un ascesso maturato e scoppiato (vedi Fig. 2).<br />

Questo, tecnicamente, in omeopatia viene definito processo di esonerazione che prelude alla guarigione. Infatti la paraplegia stava<br />

nettamente migliorando, mettendo in evidenza una maggior forza nella levata degli arti posteriori e una miglior coordinazione<br />

motoria. Il secondo follow up a un mese dalla prima visita ha messo in evidenza un ritorno alla quasi normalità della deambulazione<br />

(miglioramento valutabile intorno al 70 – 80%) e un miglioramento nella reattività e umore del gatto. La proprietaria<br />

riferisce che il gatto ha ripreso a giocare come non faceva da circa 2 anni. A distanza di oltre un anno il gatto gode di ottima<br />

salute, conduce una vita felina normale compreso fare salti sul lavello di cucina per rubare il cibo. In conclusione posso affermare<br />

che l’omeopatia classica in questo caso neurologico felino è stata efficace ed ha guarito il paziente.<br />

Bibliografia<br />

Schroyens Fredric -Syntesis 8.0.<br />

George Vitholkas -La scienza dell’omeopatia.<br />

George Vitholkas –Materia Medica Viva.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Andrea Malgeri - Via F. Sorrentino <strong>19</strong> - 84013 Cava de’Tirreni (SA) - E-mail: maland@alice.it<br />

FIGURA 1<br />

FIGURA 2


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 343<br />

IMPIEGO DELLA MUCOSA LABIALE NELLA REALIZZAZIONE DI UNA CISTOSTOMIA<br />

CONTINENTE E CATETERIZZABILE<br />

Maria Lucia Manunta Med Vet, Giovanni Mario Careddu Med Vet, Gerolamo Masala Med Vet,<br />

Nicola Columbano Med Vet 1 , Paolo Cossu Rocca Med Chir 2, Antonio Dessanti Med Chir 3 , Eraldo Sanna Passino Med Vet<br />

Istituto di Patologia Generale, Anatomia Patologica e Clinica Ostetrico - Chirurgica Veterinaria,<br />

Settore di Clinica Chirurgica - Università degli Studi - Sassari<br />

1 Dottorando in Anestesiologia Veterinaria - Sassari<br />

2 Istituto di Anatomia Patologica - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di Sassari<br />

3 Cattedra di Chirurgia Pediatrica - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi - Sassari<br />

La diversione urinaria permanente è una procedura impiegata per consentire l’eliminazione delle urine quando non sia possibile<br />

utilizzare il cateterismo intermittente. Le principali indicazioni sono rappresentate da neoplasie delle basse vie urinarie, ostruzioni<br />

intra o extra luminali, gravi traumatismi, il cui trattamento impedisce il normale deflusso di urine.<br />

Numerose sono le tecniche impiegate e, tra queste, la più usata è la cistostomia antepubica il cui principale limite è rappresentato<br />

da infezioni ascendenti delle vie urinarie e dalla gestione del catetere. Anche l’impiego di un tratto di apparato digerente<br />

(stomaco, digiuno, ileo) per la deviazione urinaria non è consigliato nella pratica clinica veterinaria a causa di complicanze di<br />

natura metabolica ed infettiva. Un’interessante alternativa è rappresentata dalla realizzazione di una cistostomia continente e<br />

cateterizzabile che elimina la necessità di un sistema di raccolta delle urine. In medicina umana, a tale scopo, viene realizzato<br />

un condotto costruito con l’appendice vermiforme le cui estremità, impiantate rispettivamente sulla cupola e sulla parete addominale,<br />

assicurano il contenimento delle urine e garantiscono un condotto facilmente cateterizzabile. Tale procedura è utilizzata<br />

soprattutto per il trattamento di patologie congenite delle basse vie urinarie ma non è scevra da rischi e complicazioni. La<br />

nostra ipotesi è che l’impiego di un lembo libero di mucosa buccale, ampiamente usato in medicina umana per la ricostruzione<br />

dell’uretra, possa essere adatto per costruire un condotto nella realizzazione di una cistostomia continente.<br />

Materiali e metodi. La ricerca ha previsto l’utilizzo di 6 maialini di 30 giorni d’età e del peso medio di 10 kg che, in regime di<br />

anestesia generale, sono stati sottoposti al prelievo della mucosa del labbro superiore per il confezionamento di un tubo di circa 6<br />

cm di lunghezza e 2 cm di diametro: le due estremità del tubulo sono state anastomizzate rispettivamente sulla cupola vescicale e,<br />

tramite un tunnel intramuscolare e sottocutaneo costruito nello spessore della parete addominale, sulla cute della fossa iliaca destra.<br />

Gli animali hanno mantenuto all’interno del condotto un catetere di Foley per 2 settimane successive all’intervento. Nel periodo<br />

postoperatorio i soggetti sono stati valutati clinicamente per evidenziare segni riferibili a difficoltà sia nella prensione degli alimenti<br />

e nell’assunzione dei liquidi che, soprattutto, nella minzione e nella fuoriuscita di urine in corrispondenza della stomia.<br />

Risultati. In tutti gli animali, che non hanno manifestato alterazioni della prensione degli alimenti, la mucosa buccale si è riepitelizzata<br />

in 2-3 settimane. Cinque settimane dopo l’intervento, ad un esame in anestesia generale, la cistostomia è risultata continente<br />

e cateterizzabile in 5 maialini. In un solo animale un’infezione del tunnel ha impedito l’impianto della mucosa sulla<br />

cupola vescicale. Nella stessa seduta di controllo i condotti sono stati asportati per le valutazioni istopatologiche che hanno consentito<br />

di apprezzare l’integrità della mucosa e la buona vascolarizzazione dell’impianto.<br />

Conclusioni. Nonostante la cistostomia continente sia stato applicata con risultati abbastanza soddisfacenti utilizzando oltre<br />

l’appendice anche le tube e l’uretere, non mancano i riferimenti a complicazioni quali stenosi o perforazioni del condotto durante<br />

il cateterismo. La mucosa buccale offre molteplici vantaggi rappresentati dallo spessore dell’epitelio che la protegge da traumi<br />

iatrogeni, una lamina propria sottile che facilita la vascolarizzazione e l’innesto del lembo. Inoltre, la mucosa buccale è facilmente<br />

prelevabile, presenta un ridotto tasso di contrazione cicatriziale, è adatta al continuo contatto con i liquidi, è priva di peli<br />

e presenta una buona resistenza alle infezioni. Nella nostra esperienza sperimentale questa tecnica è apparsa rapida e di semplice<br />

esecuzione. La stomia è risultata continente e facilmente cateterizzabile. Nonostante siano da valutare le applicazioni cliniche<br />

nei nostri animali, la ricerca sembra validare questa tecnica come alternativa alle metodiche attualmente in uso in medicina<br />

umana anche perché in grado di evitare procedure chirurgiche più complesse.<br />

Bibliografia consultata<br />

1. Mollard P: Rèsultats de la cystostomie ètanche pour vessie neurologique de l’enfant et de l’adolescent (56 observations entre <strong>19</strong>78 en <strong>19</strong>93). Rass. It.<br />

Chir. Ped. 37: 84-87, <strong>19</strong>95.<br />

2. Zommick JN, Simoneau AR, Skinner DG, Ginsberg DA: Continent lower urinary tract reconstruction in the cervical spinal cord injured population. J.<br />

Urol. 169: <strong>21</strong>84-7, 2003.<br />

3. Kochakarn W, Muangman V: Mitrofanoff procedure in combination with enterocystoplasty for detrusor hyperreflexia with external sphincter dyssynergia:<br />

one-year experience of 12 cases. J. Med. Assoc. Thai. 84: 1046-50, 2001.<br />

4. Hakenberg OW, Ebermayer J, Manseck A, Wirth MP: Application of the Mitrofanoff principle for intermittent self-catheterization in quadriplegic patients.<br />

Urology 58: 38-42, 2001.<br />

5. Shimada K, Matsumoto F, Tohda A, Harada Y, Naitoh Y: Surgical management of urinary incontinence in children with anatomical bladder-outlet anomalies.<br />

Int. J. Urol. 9: 561- 6, 2002.<br />

6. Frimberger D, Lakshmanan Y, Gearhart JP: Continent urinary diversions in the extrophy complex: why do they fail?. J. Urol.170: 1338-42, 2003.<br />

7. Mitrofanoff P: Cystostomie continente trans appendiculaire dans le traitment des vessies neurologiques. Chir. Pediatr. <strong>21</strong>: 297-305, <strong>19</strong>80.<br />

8. Liard A, Seguier-Lipszyc E, Mathiot A, Mitrofanoff P: The Mitrofanoff procedure: 20 years later. J. Urol. 165: 2394- 8, 2001.<br />

9. Da Silva EA: Appendicovesicostomy: the Mitrofanoff procedure -a 15-year perspective. J. Urol. 164: 2029, 2000.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maria Lucia Manunta - via Vienna, 2 07100 Sassari - Tel. 079/229422 - E-mail: lmanu@uniss.it


344 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

SCAPULECTOMIA TOTALE NEL GATTO CON SALVATAGGIO DELL’ARTO: 6 CASI<br />

Salvatore Maugeri Med Vet<br />

Libero professionista, Pisa<br />

Introduzione. Nel caso di tumori a carico della scapola o di grave artrite degenerativa dell’articolazione scapolo-omerale, la<br />

scapulectomia totale con salvataggio dell’arto rappresenta un’alternativa all’amputazione o all’artrodesi.<br />

Lo scopo di questo lavoro è quello di riportare l’esperienza di sei casi clinici e di valutare la ripresa funzionale dell’arto e la qualità<br />

di vita dei soggetti trattati.<br />

Metodi impiegati. Nell’arco di 7 anni (<strong>19</strong>98-2005) sono stati trattati 6 gatti (5 di razza europea e 1 persiano), 4 maschi e 2<br />

femmine, sterilizzati, di età compresa tra 2 e 10 anni (media: 6 anni), di peso variabile tra 4 e 6 kg (media: 5 kg) con un follow-up<br />

da 1 a 13 mesi. La scapulectomia totale è stata eseguita per l’asportazione di due neoplasie ossee (una primaria e una<br />

di origine metastatica), in tre casi di fibrosarcoma interscapolare (strettamente connesso alla base ossea) e un caso di grave<br />

artrosi a carico dell’articolazione scapolo-omerale conseguente ad artrite settica di vecchia data. La tecnica chirurgica verrà<br />

illustrata durante la presentazione ma il punto fondamentale per non avere deficit funzionali dell’arto è avere durante l’intervento<br />

il massimo rispetto di: muscoli, vena cefalica, plesso brachiale, nervi sopra e sottoscapolare e vasi ascellari. I muscoli<br />

della cuffia rotatoria (muscoli sottoscapolare, infraspinato, sopraspinato e teres minor) vengono interamente scollati dalla base<br />

ossea e suturati tra loro ed alla muscolatura adiacente; in par-<br />

RAZZA ETÀ SESSO PESO MOTIVO DELLA<br />

4kg) SCAPULECTOMIA TOTALE<br />

Europeo 8 Maschio 4 Colangiocarcinoma<br />

metastatico<br />

Europeo 2 Maschio 5 Osteosarcoma<br />

Europeo 6 Femmina 4 Fibrosarcoma<br />

interscapolare<br />

Europeo 7 Maschio 6 Fibrosarcoma<br />

interscapolare<br />

Europeo 10 Femmina 6 Fibrosarcoma<br />

interscapolare<br />

Persiano 3 Maschio 5 Artrosi deformante<br />

CASO 1 1° giorno 7° giorno 15° giorno 3° mese<br />

Dolore postoperatorio (sì-no) No No No ✝<br />

R.O.M. (da 0 a 3) 0 2 3 ✝<br />

Grado di zoppia (0 a 4) 4 2 1 ✝<br />

Deficienza neurologica sensoriale no no no ✝<br />

(no - parziale - totale)<br />

Deficienza neurologica motoria parziale parziale parziale ✝<br />

Atrofia muscolare no no no ✝<br />

Soddisfazione del proprietario sì sì sì ✝<br />

Si espande la superficie<br />

mediale della scapola<br />

scontinuando il muscolo<br />

romboide e scontinuando<br />

il muscolo serrato<br />

della scapola<br />

ticolare il muscolo deltoide deve essere suturato ai muscoli<br />

scapolare e trapezio e l’origine del tendine del muscolo bicipite<br />

brachiale alla capsula articolare. Se vengono rispettate e<br />

ricostruite in questo modo tutte le strutture anatomiche non<br />

comparirà alcun deficit funzionale nel postoperatorio.<br />

Risultati. I risultati ottenuti con questa procedura sono stati<br />

decisamente incoraggianti. Per ogni singolo paziente sono stati<br />

valutati vari parametri a tempi determinati. Tutti i pazienti trattati<br />

hanno ripreso le normali funzioni quotidiane dal primo<br />

giorno post-intervento. Nell’arco di un mese circa i pazienti<br />

hanno riacquistato il 100% dell’ampiezza di movimenti (r.o.m.)<br />

originale e l’utilizzo dell’arto con appoggio e carico sia in stazione<br />

che nelle varie andature. Nessun paziente ha riportato<br />

neuropatie riferibili a danneggiamento del plesso brachiale.<br />

Cinque proprietari su sei si sono dichiarati soddisfatti del risul-<br />

Scontinuare il<br />

muscolo coracobrachiale<br />

e i<br />

muscoli piccolo<br />

rotondo, infraspinato,sopraspinato<br />

e sottoscapolarevicino<br />

alla loro origine<br />

omerale.<br />

Media 6 casi (%) 1° giorno 7° giorno 15° giorno 3° mese<br />

Dolore postoperatorio 16,7 0 0 0<br />

Recupero del R.O.M. 0 83,3 100 100<br />

Zoppia grave – 16,7 0 0<br />

Deficienza neurologica sensoriale 0 0 0 0<br />

Deficienza neurologica motoria – 33,3 16,7 0<br />

Atrofia muscolare – 0 0 33,3<br />

Soddisfazione del proprietario 83,3 83,3 83,3 83,3


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 345<br />

tato ottenuto, il sesto ha mostrato qualche riserva nel primo periodo per un fattore estetico e manca una valutazione obiettiva a<br />

causa del rapido decesso del gatto. Uno dei pazienti è attualmente in vita, i restanti cinque sono deceduti, di questi: tre per l’evoluzione<br />

della neoplasia e due per cause diverse dalla patologia primaria.<br />

Conclusioni. La scapulectomia totale nel gatto e nel cane (razze toy), anche se poco descritta in letteratura, può essere considerata<br />

una valida alternativa chirurgica all’amputazione dell’arto anteriore o all’artrodesi scapolo-omerale nelle diverse patologie<br />

in quanto permette il salvataggio dell’arto, una minore deturpazione estetica e può garantire una ottima qualità di vita con<br />

una ripresa funzionale dell’arto trattato da buona a eccellente. Rispetto allo stesso tipo di intervento eseguito nell’uomo il gatto<br />

sembra mantenere di più la gamma di movimenti della spalla mentre sembra avere un uso più limitato della mano.<br />

Bibliografia<br />

Trout N.J., Pavletic M.M., Kraus K.H., Partial scapulectomy for management of sarcomas in three dogs and two cats. J. Am. Vet. Med. Assoc. <strong>19</strong>95 Sep.<br />

1;207(5):585-7.<br />

Fossum T.W., Caroll G.L., Hedlund C.S., Hulse D.A., Johnson A.L., Seim H.B., Willard M.D., Capitolo 37. In Fossum T.W.: Chirurgia dei Piccoli Animali.<br />

Masson, Milano, seconda edizione, 2004, p 1168-1169.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Salvatore Maugeri, Via I Gioielli n° 33<br />

Località I Gioielli - 56042 Crespina Pisa<br />

Tel. 050/634091 - Cell. 335/6303749<br />

E-mail: maugeri@clinicaveterinaria.net


346 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

TIBIAL WEDGE OSTEOTOMY (TWO) NELLA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO<br />

ANTERIORE DEL CANE - ESPERIENZA PERSONALE IN 35 CASI<br />

Marco Melosi 1 , Med Vet; Stefano Giannini 2, Med Vet<br />

1-2 Libero Professionista, Cecina (LI)<br />

Introduzione. La rottura del Legamento Crociato Anteriore (LCA) del ginocchio rappresenta la lesione di più frequente riscontro<br />

nella zoppia posteriore del cane. Risultano maggiormente colpiti da questa patologia i soggetti di taglia grande, i soggetti<br />

particolarmente attivi, quelli in sovrappeso e quelli appartenenti a razze con un appiombo del ginocchio particolarmente diritto.<br />

La patogenesi della rottura del LCA è di tipo traumatico e di tipo non traumatico. Nel primo caso è generalmente causata da una<br />

iperestensione forzata del ginocchio, con torsione interna della tibia, mentre nel secondo caso intervengono diversi fattori che<br />

portano ad una progressiva lacerazione del legamento, sottoposto ad un carico eccessivo e continuo, come l’inclinazione eccessiva<br />

del plateau tibiale, l’appiombo eccessivamente diritto del ginocchio, il peso corporeo e la torsione interna del piede nei cani<br />

con le zampe posteriori arcuate. Nel ginocchio in cui il legamento crociato ha perso la sua funzione di stabilizzazione articolare,<br />

le forze di carico che agiscono sul plateau tibiale provocano la sublussazione craniale della tibia e lo schiacciamento del<br />

menisco mediale da parte del condilo femorale. Tra le molte tecniche proposte per il trattamento chirurgico di questa lesione, le<br />

tecniche finalizzate a modificare la biomeccanica articolare e quindi a neutralizzare la sublussazione craniale della tibia, sembrano<br />

quelle che garantiscono i migliori risultati sia nell’immediato post-operatorio (rapido recupero funzionale dell’articolazione)<br />

che in tempi più lunghi (limitazione dell’evoluzione artrosica). Le tecniche che modificano la biomeccanica del ginocchio<br />

sono la TWO (tibial wedge osteotomy, osteotomia a cuneo della tibia), la TPLO (tibial plateau levelling osteotomy, osteotomia<br />

livellante del plateau tibiale) e la TTA (tibial tuberosity advancement, avanzamento della tuberosità tibiale). Il presente<br />

lavoro espone l’esperienza personale utilizzando una propria modifica della TWO.<br />

Materiali e metodi. Sono stati trattati con TWO modificata 35 cani appartenenti a razze diverse, del peso compreso tra 15 e 45<br />

kg e che alla diagnosi clinica presentavano la rottura del LCA, con test del cassetto e test di compressione tibiale positivi. L’esame<br />

radiografico è stato utilizzato, oltre che per valutare le condizioni articolari, per misurare l’inclinazione del plateau tibiale<br />

e per effettuare la scelta per la misura della placca da utilizzare per fissare l’osteotomia. La tecnica chirurgica è consistita in<br />

una esplorazione articolare mediante miniartrotomia mediale per il trattamento di eventuali lesioni meniscali, seguita da una<br />

osteotomia a cuneo chiuso cranialmente della tibia, eseguita a livello della parte distale della tuberosità tibiale. Per poter ottenere<br />

due superfici osteotomiche combacianti, l’osteotomia veniva eseguita in modo che il triangolo del cuneo fosse un triangolo<br />

isoscele, con la base rivolta cranialmente, utilizzando un’apposita maschera-guida. La maschera-guida serviva anche per effettuare<br />

le osteotomie perpendicolarmente alla tibia, in modo da evitare il rischio di possibili deviazioni in varo o in valgo una volta<br />

ridotti i capi ossei. L’angolo del cuneo doveva corrispondere alla misurazione dell’inclinazione del plateau tibiale cui venivano<br />

sottratti 5 o 7 gradi per ottenere un’inclinazione finale di tale valore. L’angolo calcolato veniva riportato nel campo chirurgico<br />

utilizzando apposite mascherine presagomate. La riduzione dell’osteotomia veniva mantenuta provvisoriamente con una pinza<br />

da riduzione appuntita finché veniva fissata stabilmente con una placca a T di misura adeguata alla taglia del cane. Nella parte<br />

craniale della tibia veniva talvolta aggiunto un cerchiaggio di tensione per contrastare le forze in direzione craniale esercitate<br />

dal quadricipite nei cani pesanti o molto attivi. La chiusura dei piani scontinuati e l’applicazione di un bendaggio imbottito<br />

leggero concludevano l’intervento. Nel periodo post-operatorio veniva raccomandato il riposo per almeno un mese, permettendo<br />

unicamente brevi passeggiate al guinzaglio. I controlli ortopedici e radiografici sono stati effettuati a 30, 60 e 180 giorni.<br />

Risultati. Nei controlli post-operatori, l’inclinazione ottenuta del plateau tibiale è risultata variabile da 3 a 12 gradi, con negativizzazione<br />

del test di compressione tibiale. Nei controlli a 60 giorni, 27 cani su 35 (77,2%) presentavano un appoggio deciso, con solo un<br />

lieve scarico del peso in stazione quadrupedale, mentre 8 cani (22,8%) presentavano una zoppia da 1° a 2° grado. Di questi, 2 presentavano<br />

un’infezione profonda risoltasi con la rimozione degli impianti e con trattamento antibiotico, 3 presentavano l’allentamento di<br />

una o più viti della placca, 1 presentava la frattura della cresta tibiale e 2 mostravano una progressione dell’artrosi, già grave al momento<br />

dell’intervento a causa della cronicità della lesione. Nel controllo a 6 mesi, effettuato su 22 soggetti (63% dei cani trattati) solo 3<br />

continuavano a mostrare una zoppia saltuaria, mentre gli altri cani avevano ripreso una piena funzionalità dell’arto.<br />

Discussione. Nella nostra esperienza, questa tecnica si è dimostrata relativamente semplice e la sua esecuzione non ha richiesto<br />

il possesso di una strumentazione complessa e costosa come quella necessaria per eseguire la TPLO; a differenza della TPLO,<br />

però, questa tecnica è risultata meno versatile, specie per la difficoltà di ottenere la correzione di condizioni di malallineamento<br />

dell’arto pelvico, frequenti in certe razze, come la torsione interna del piede. Il livellamento del plateau tibiale ottenuto con<br />

la TWO si è dimostrato in grado di neutralizzare la spinta craniale della tibia nelle ginocchia con rottura del legamento crociato<br />

anteriore, permettendo un recupero funzionale costante e soddisfacente. La modifica personale della tecnica, con un’osteotomia<br />

a cuneo formante un triangolo isoscele ha permesso un miglior accostamento dei capi ossei e favorito una guarigione ossea<br />

più pronta. L’abbassamento relativo della rotula che si verifica con la TWO non è sembrato influire sulla ripresa funzionale e<br />

sulla progressione dell’artrosi. Il grado di artrosi ai controlli eseguiti a distanza è parso limitato e comunque in funzione del grado<br />

di artrosi già presente al momento dell’intervento. La precocità dell’intervento per ristabilire la stabilità articolare appare<br />

quindi, come per tante altre patologie articolari, una condizione indispensabile per limitare lo sviluppo dell’artrosi.<br />

Indirizzo per la corrispondenza: Marco Melosi, Via Circonvallazione,25 -57023- Cecina (LI)<br />

Fax e Tel. 0586-683649 - E-mail: marco.melosi@tiscali.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 347<br />

UN CASO DI PERITENITE CRONICA ADESIVA DEL TENDINE<br />

DEL MUSCOLO ESTENSORE RADIALE DEL CARPO IN UN CANE<br />

E RELATIVO TRATTAMENTO FISIOTERAPICO<br />

Carlo Miola1 , Med Vet, Pier Mario Piga2 , Med Vet, Emanuela Revel Nutini3 1,2 Libero professionista, Torino<br />

3 Titolare del Centro Villa Beria, Mathi, Torino<br />

Introduzione. La guarigione delle lacerazioni tendinee può risultare difficile se si sottovaluta l’importanza di un corretto svolgimento<br />

del processo riparativo. Durante la maturazione del tessuto cicatriziale, che avviene da 3 a 6 settimane dopo il trauma,<br />

i sistemi fibrillari si dispongono in modo da fornire alla cicatrice la resistenza sufficiente a sopportare le sollecitazioni funzionali.<br />

In 3 mesi la perdita di sostanza è completamente rimpiazzata dal collagene. La maturazione definitiva della cicatrice necessita<br />

di almeno un anno; al termine di questa fase la resistenza del tendine alla trazione corrisponde comunque solo al 50-70% di<br />

quella del tessuto originale. Sollecitazioni in fase precoce possono determinare un’essudazione fibrinosa che può tramutarsi in<br />

aderenza fibrosa con i tessuti contigui. In particolare ciò può avvenire se l’arto non viene immobilizzato per almeno 2-3 settimane<br />

dopo il trauma e se successivamente non si provvede ad una graduale ripresa dell’attività fisica. L’aderenza formatasi può<br />

diventare responsabile del perpetuarsi del processo flogistico: se sollecitata, essa può produrre una peritenite cronica, una paratenite<br />

iperplastica o andare incontro ad ossificazione metaplastica.<br />

Materiali e metodi. Un Golden Retriever femmina di 2 anni è stato portato a visita perché dopo esercizio di minima intensità<br />

manifestava una zoppia di 2°-3° all’arto anteriore sinistro. L’anamnesi rivelava un trauma avvenuto 35 giorni prima: una profonda<br />

ferita da taglio alla faccia dorsale del carpo sinistro. La ricostruzione dei tessuti lacerati è stata eseguita da un collega che<br />

non ci è stato possibile contattare per ottenere informazioni più dettagliate sull’estensione della lesione e sulla tecnica chirurgica<br />

utilizzata. Nel post-operatorio l’arto non è stato immobilizzato e non è stato prescritto il riposo. Alla visita clinica, accanto<br />

alla cicatrice, si evidenziava una tumefazione di 4 cm di diametro, di consistenza fibrosa, calda e dolente alla palpazione, a livello<br />

della quale la cute era adesa ai piani sottostanti. Il paziente manifestava algia alla flessione del carpo e dita e l’escursione articolare<br />

del carpo era notevolmente ridotta in flessione, raggiungendo un angolo di soli 90°, e lievemente diminuita in estensione,<br />

raggiungendo i <strong>19</strong>0° (valori del controlaterale: 32°-<strong>19</strong>6°). L’esame radiografico in proiezione medio-laterale evidenziava la<br />

presenza di una piccola area radiodensa 0,5 cm cranialmente all’articolazione mediocarpica, interpretabile come un principio di<br />

ossificazione metaplastica del tendine nell’area lesionata. La diagnosi formulata sulla base dei reperti clinici era di peritenite<br />

cronica e pseudoanchilosi del carpo in seguito alla formazione di un’aderenza tra il tendine del muscolo estensore radiale del<br />

carpo ed i tessuti contigui. Il trattamento medico ha previsto il riposo assoluto del paziente con confinamento in spazio ristretto<br />

e attività al guinzaglio solo per brevi passeggiate. È stato somministrato prednisone 0,75 mg/kg s.i.d. per 1 settimana, poi con<br />

dosi scalari per i successivi 9 giorni, allo scopo di arrestare il processo flogistico e rallentare la maturazione delle aderenze, inibendo<br />

la proliferazione dei fibroblasti. La settimana successiva, la tumefazione non aveva più i caratteri della flogosi acuta: non<br />

era calda né dolente. La flessione del carpo, anche se provocava una manifestazione algica, era aumentata di 15°. È stato instaurato<br />

un protocollo fisioterapico volto a sbrigliare le aderenze e a favorire la corretta maturazione del tessuto. Per 12 giorni è sta-<br />

FOTO 1 - Lesione come evidenziata alla prima visita. FOTO 2 - Lesione al termine dei trattamenti.


348 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

Arto<br />

Tabella 1<br />

Valori relativi alle misurazioni goniometriche effettuate<br />

VALORI RELATIVI ALL’ARTO PATOLOGICO (CARPO SINISTRO)<br />

Giorni<br />

sano<br />

Valori di<br />

trascorsi<br />

dopo la<br />

35 43 55 85 97 240<br />

controllo lesione<br />

Evento Prima visita Inizio 1° ciclo Fine 1° ciclo Inizio 2° ciclo Fine 2° ciclo Controllo<br />

di terapie di terapie di terapie di terapie follow-up<br />

32 Flessione 90 75 60 60 40 60<br />

<strong>19</strong>6 Estensione <strong>19</strong>0 <strong>19</strong>0 <strong>19</strong>0 185 <strong>19</strong>5 <strong>19</strong>5<br />

164 ROM 100 115 130 125 160 135<br />

ta applicata quotidianamente l’ultrasuonoterapia per 7 minuti con onda a 3 Mhz, ciclo di funzionamento al 20% e intensità di<br />

1,2 Watt/cm 2. . Le sedute erano seguite da una sessione di chinesioterapia passiva, stretching e massaggi di frizione con direzione<br />

ortogonale all’orientamento della cicatrice cutanea. Veniva inoltre applicata a scopo preminentemente antalgico e antinfiammatorio<br />

la magnetoterapia a radiofrequenza multipla con sedute quotidiane della durata di 30 minuti, onda smorzata 900 MHz-<br />

18 MHz, impulsi di ampiezza picco/picco di 70 volt emessi a 2500 pps.<br />

Risultati. Al termine di questo ciclo di terapia la flessione del carpo era pari a 60°, il paziente non manifestava più algia alla<br />

flessione del carpo e la cute appariva meno adesa alla fascia sottostante.Le stesse terapie sono state ripetute dopo 1 mese e anche<br />

questo secondo ciclo ha dato ottimi risultati: al termine la flessione del carpo era di 40° e l’estensione di <strong>19</strong>5°, valori pressoché<br />

sovrapponibili a quelli del controlaterale.<br />

Passati 3 mesi dal trauma, è stato consentito un graduale ritorno ad un normale regime di esercizio, concordando un programma<br />

di attività con il proprietario.<br />

Al controllo clinico 8 mesi dopo il trauma la cagna non mostrava zoppia a caldo né a freddo, non aveva algia alla flesso-estensione<br />

del carpo e l’escursione articolare raggiunta mesi prima era parzialmente conservata (flessione 60°, estensione: <strong>19</strong>5°).<br />

Bibliografia<br />

1. Brinker WO, Piermattei DL, Flo GL: Traumi dei muscoli, tendini e legamenti. In Brinker WO, Piermattei DL, Flo GL: Manuale di ortopedia e trattamento<br />

delle fratture nei picoli animali. Torino, UTET, <strong>19</strong>89, pp 501-510.<br />

2. A. Autefage: “La cicatrizzazione dei tendini e dei legamenti”. Summa, 1: 29-34, <strong>19</strong>99.<br />

3. I. Valin: “Studio delle lesioni tendinee nel cane”. Summa, 1: 7-18; <strong>19</strong>99.<br />

4. D. Levine, R.A. Taylor, D.L. Millis: Common orthopedic conditions and their physical rehabilitation. In D. Levine, R.A. Taylor, D.L. Millis: Canine rehabilitation<br />

and physical therapy. Philadelphia, WB Saunders Co, 2004, pp 335-387.<br />

5. B. Micheletto: Patologia dei tendini e delle guaine sinoviali. In B. Micheletto: Patologia chirurgica veterinaria e podologia. UTET, Torino, <strong>19</strong>80, pp 326-342.<br />

6. G. Jaegger, D.J. Marcellin Little, D. Levine: “Reliability of goniometry in Labrador Retrievers”. Am. J. Vet. Res. 63; 7: 979-986, 2002.<br />

7. D. Levine, R.A. Taylor, D.L. Millis: Therapeutic modalities. In D. Levine, R.A. Taylor, D.L. Millis: Canine rehabilitation and physical therapy. Philadelphia,<br />

WB Saunders Co, 2004, pp 228-354.<br />

8. E. Sanna Passino, G.M. Careddu, M.L. Manunta, P. Muzzetto: Le onde elettromagnetiche a radiofrequenza multipla nella terapia del mal di stinchi nel<br />

cavallo da corsa. Atti XI <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> SICV, 2004, pp. 251-253.<br />

9. D.E. Hudson, D.O. Hudson: Magnetic field therapy. In M.A. Schoen, S.G. Wynn: Complementary and alternative veterinary medicine, principles and pratice.<br />

St. Louis, Mosby, <strong>19</strong>98, pp 275-298.<br />

10. J. E. Steiss: Canine rehabilitation. Publisher International Veterinary Information Service (www.ivis.org), Ithaca, New York, 2003.<br />

11. M. Porter, M. Bromiley: Massage therapy. In M.A. Schoen, S.G. Wynn: Complementary and alternative veterinary medicine, principles and pratice. St.<br />

Louis, Mosby, <strong>19</strong>98, pp <strong>21</strong>3-<strong>21</strong>6.<br />

12. D. Grandejean: “Patologia del cane sportivo II: Le affezioni della locomozione”. Summa, 3: 9-20; <strong>19</strong>96.<br />

13. B. Micheletto: Patologia delle articolazioni. In B. Micheletto: Patologia chirurgica veterinaria e podologia. UTET, Torino, <strong>19</strong>80, pp 263-3<strong>19</strong>.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Carlo Miola<br />

Via Lanzo 4/A fr. Monasterolo Torinese<br />

10070 Cafasse (TO)<br />

Tel. 3384696670<br />

E-mail: miolacarlo@tiscali.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 349<br />

EFFETTI DI UN NUTRACEUTICO NEUROPROTETTIVO<br />

A BASE DI FOSFATIDILSERINA (SENILIFE ® )<br />

SULLA MEMORIA A BREVE TERMINE DI CANI ANZIANI:<br />

STUDIO SPERIMENTALE CONTROLLATO<br />

Joseph Araujo*° BSc, Gary Landsberg § DMV Dipl. ACVB, Alda Miolo #<br />

*Dipartimento di Farmacologia, Università di Toronto, Toronto, Ontario, Canada<br />

°CanCog Technologies, Toronto, Ontario, Canada<br />

§ Libero professionista, Thornhill, Ontario, Canada<br />

# CeDIS Innovet Italia, Rubano, Italia<br />

Introduzione. La neurodegenerazione dei neuroni corticali ed ippocampali rappresenta un naturale processo dell’invecchiamento,<br />

tanto nell’uomo, quanto nel cane. Ne consegue un fisiologico rallentamento di tutte quelle funzioni presiedute dal cervello, apprendimento<br />

e memoria in particolare. Tali processi neurodegenerativi possono rimanere nella soglia della normalità, ovvero portarsi a<br />

livelli patofisiologici o francamente patologici. Nell’uomo, si parla allora di demenza senile, la cui forma più frequente è il morbo<br />

di Alzheimer. Anche il cane anziano può andare incontro ad invecchiamento cerebrale patologico, con caratteristiche istologiche,<br />

neurofisiologiche e cliniche sovrapponibili all’Alzheimer umano. L’individuazione dei segni clinici di demenza senile del cane è<br />

assai complessa e transita in maniera obbligata attraverso il proprietario, con tutta la soggettività che ciò comporta. L’unica opzione<br />

farmacologica ad oggi disponibile è la selegilina, attiva su molti, ma non tutti, i pazienti trattati. Al fine di bypassare tali problematiche,<br />

sono stati messi a punto alcuni test cognitivi di laboratorio, recentemente validati nel cane anziano, e capaci sia di definire<br />

la gravità del deficit cognitivo, sia di valutare l’efficacia di trattamenti per la neurodegenerazione senile.<br />

Scopo. Scopo del presente studio è valutare l’effetto di un nutraceutico neuroprotettivo a base di fosfatidilserina 1 (Senilife ® ,<br />

Innovet Italia) sulla memoria visuospaziale a breve termine di cani anziani.<br />

Materiali e metodi. In base a specifici criteri di inclusione, sono stati selezionati 10 cani Beagle di età superiore ai 7 anni e peso<br />

compreso tra 8 e 17 kg. Prima di iniziare lo studio, i soggetti sono stati suddivisi in due gruppi equivalenti, sulla base delle capacità<br />

dimostrate durante 5 sessioni preliminari del test di memoria varDNMP (variable delayed-non-matching-to-position). Il test consiste<br />

nel presentare al soggetto un vassoio con tre alloggiamenti, uno dei quali è inizialmente occupato da un cubo, che nasconde una<br />

ricompensa in cibo. Dopo che il soggetto ha spostato il cubo ed ha trovato la ricompensa, il vassoio viene allontanato e quindi ripresentato<br />

al cane, dopo 20 o 90 sec, con due cubetti identici, uno nella medesima posizione iniziale, l’altro in uno degli altri due alloggiamenti<br />

possibili. L’animale deve imparare che la ricompensa è situata sotto il cubo collocato nella nuova posizione. Uno dei due<br />

gruppi riceveva il nutraceutico nascosto in una polpetta di carne, l’altro solo la polpetta (controllo). Dopo 60 giorni di trattamento, i<br />

soggetti venivano ritestati per 10 sessioni di varDNMP. Quindi i gruppi venivano invertiti (studio cross-over): i soggetti che avevano<br />

assunto il nutraceutico nella prima parte dello studio fungevano da controllo e viceversa. Per la valutazione statistica è stata utilizzata<br />

l’analisi della varianza a misure ripetute, dove la variabile dipendente era l’accuratezza della performance.<br />

Risultati. Rispetto al valore basale, il trattamento migliora la performance cognitiva in modo statisticamente significativo. Inoltre,<br />

i soggetti trattati migliorano la propria performance nel corso delle 10 sessioni del test in maniera maggiore rispetto ai soggetti<br />

di controllo, a suggerire che il trattamento interviene anche sulle capacità di apprendimento. I risultati ottenuti indicano che<br />

i soggetti raggiungevano il picco di performance durante il trattamento e che il nutraceutico in studio migliorava sia i comportamenti<br />

legati all’apprendimento che quelli legati alla memoria.<br />

Conclusioni. I risultati ottenuti nel presente studio suggeriscono che il nutraceutico testato potrebbe promuovere la funzionalità<br />

cognitiva del cane anziano, migliorando, in particolare, l’apprendimento e la memoria dei comportamenti appresi. Ciò è in<br />

accordo con la nota capacità della fosfatidilserina di mantenere e/o ripristinare la plasticità della membrana neuronale e di ottimizzare<br />

i principali sistemi neurotrasmettitoriali, variamente compromessi nell’invecchiamento cerebrale fisiopatologico e francamente<br />

patologico. I risultati ottenuti avvalorano, infine, recenti studi clinici sull’efficacia del Senilife ® nel trattamento dei<br />

segni comportamentali età-correlati nel cane.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

Chan ADF, Nippak P, Murphey H, et al: Visuospatial Impairments in Aged Canines: The Role of Cognitive-Behavioral Flexibility. Behavioral Neuroscience 116:<br />

443-54, 2002.<br />

Landsberg G, Araujo JA: Behavior problems in geriatric pets. Vet Clin North Am Small Anim Pract 35(3):675-98, 2005.<br />

Landsberg G: Therapeutic agents for the treatment of cognitive dysfunction syndrome in senior dogs. Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry 29(3):471-<br />

479, 2005.<br />

Colangeli R, Antoni A, Cena F et al: Valutazione dell’effetto e della tollerabilità di un nutraceutico neuroprotettivo contenente fosfatidilserina e Ginkgo biloba<br />

sui segni clinici di invecchiamento cerebrale nel cane: studio pilota multicentrico. Veterinaria (in press).<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alda Miolo - CeDIS Innovet - Innovet Italia srl - Viale Industria 8, 35030 Rubano<br />

Tel. 049.898.73.<strong>19</strong> - Fax 049.898.73.<strong>21</strong> - E-mail: cedis@innovet.it<br />

1 Il prodotto contiene anche estratto standardizzato di Ginkgo biloba, vitamina E e piridossina.


350 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

EFFICACIA DEL PALMIDROL (INN) SUI SEGNI CLINICI DI DERMATITE ATOPICA DEL CANE<br />

Alda Miolo<br />

CeDIS Innovet Italia, Rubano, Italia<br />

Introduzione. Nel cane la dermatite atopica rappresenta la manifestazione più comune di atopia. Nell’ambito di questa patologia<br />

cutanea a primaria sintomatologia pruriginosa il mastocita dermico sembra giocare un ruolo patogenetico di primo piano.<br />

Palmidrol (INN) è la denominazione internazionale della palmitoiletanolamide, una aliamide ad effetto cannabimimetico, prodotta<br />

in vari tessuti dell’organismo, fra cui la cute, in risposta a pericoli attuali o potenziali. Recentemente viene considerata parte<br />

integrante dei sistemi difensivi dell’organismo, entrando a pieno titolo nella schiera dei mediatori endogeni direttamente coinvolti<br />

nel controllo del dolore, dell’infiammazione e del prurito. Il suo principale meccanismo d’azione risiede nella modulazione<br />

dell’eccessiva degranulazione mastocitaria, anche noto con l’acronimo ALIA (Autacoid Local Injury Antagonism). Il suo uso<br />

nelle dermatopatie da ipersensibilità gode di una forte copertura brevettuale nazionale ed internazionale.<br />

Scopo. Valutare gli effetti della somministrazione orale di Palmidrol (INN) sullo sviluppo di segni clinici in un modello di dermatite<br />

atopica canina.<br />

Materiali e metodi. Venivano selezionati sei cani Beagle ipersensibilizzati all’acaro della polvere (house dust mites, HDM).<br />

Una volta entrati in contatto epicutaneo con l’HDM (3 ore/die per 3 gg consecutivi), i soggetti sviluppavano lesioni cutanee analoghe<br />

- per profilo clinico, istologico ed immunologico - a quelle della malattia naturale, anche se di gravità superiore. I cani<br />

venivano quindi suddivisi a random in due gruppi, di cui uno (n = 3) trattato con Palmidrol per os al dosaggio di 15<br />

mg/kg/die/7gg (4 gg di pre-trattamento + i 3 gg seguenti, corrispondenti alle tre esposizioni ambientali all’acaro) e l’altro (n =<br />

3) con placebo (gruppo di controllo). Dopo un mese di wash-out, i due gruppi venivano invertiti: i cani che avevano ricevuto<br />

Palmidrol assumevano il placebo e viceversa (studio cross-over). I segni clinici di dermatite atopica venivano valutati tramite un<br />

indice CADESI (Canine Atopic Dermatitis Extent and Severity Index) modificato e rilevato prima e dopo (6, 24, 48, 72 e 96 ore)<br />

l’esposizione all’acaro. Tutti gli esperimenti ivi descritti sono stati condotti presso il Department of Small Animal Clinical Sciences<br />

della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università della Florida.<br />

Risultati. Se pure nell’arco delle 96 ore di osservazione i punteggi CADESI dei due gruppi non risultavano statisticamente differenti,<br />

nel gruppo trattato le lesioni cutanee si sviluppavano solo dopo la terza esposizione ambientale all’acaro (48 ore), vale<br />

a dire con un ritardo di 24 ore rispetto al gruppo di controllo (placebo) (vedi Fig.).<br />

Conclusioni. Questo è il primo studio che utilizza la colonia di Beagle ipersensibilizzati all’HDM per valutare gli effetti di<br />

una molecola potenzialmente attiva sulla dermatite atopica. I risultati suggeriscono che Palmidrol (INN) - nonostante la breve<br />

durata del trattamento e l’intensità della risposta dermatologica tipica del modello adottato – sia utilmente impiegabile nella<br />

dermatite atopica del cane. È probabile che il ritardo osservato nello sviluppo delle lesioni cutanee nel gruppo trattato sia riconducibile<br />

alla modulazione esercitata dal Palmidrol sull’iper-degranulazione dei mastociti cutanei, già ampiamente dimostrata<br />

in precedenti studi.<br />

Ringraziamenti. Si desidera ringraziare la prof. Rosanna Marsella ed il suo staff per aver condotto gli esperimenti sui Beagle.<br />

Nel gruppo trattato con Palmidrol (INN) le lesioni cominciano a comparire<br />

dopo 48 ore dalla prima esposizione all’acaro, mentre nel gruppo di controllo<br />

si manifestano già a partire dalla ventiquattresima.<br />

Riferimenti bibliografici<br />

De Mora F, Torres R. Mast cells in the immunopathogenesis of canine atopic<br />

dermatitis. Proceedings <strong>19</strong>th Annual Congress ESVD-ECVD, Tenerife,<br />

2003, pp. 92-95.<br />

Re G, Barbero R, Miolo A, Di Marzo V: Palmitoylethanolamide, endocannabinoids<br />

and related cannabimimetic compounds in protection against tissue<br />

inflammation and pain: Potential use in companion animals. Vet J [Epub<br />

- doi:10.1016/j.tvjl.2005.10.003], 2005.<br />

Scarampella F, Abramo F, Noli C: Clinical and histological evaluation of an analogue<br />

of palmitoylethanolamide, PLR 120 (comicronized Palmidrol INN)<br />

in cats with eosinophilic granuloma and eosinophilic plaque: a pilot study.<br />

Vet Dermatol 12(1):29-39, 2001.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alda Miolo<br />

CeDIS Innovet - Innovet Italia srl<br />

Viale Industria 8 - 35030 Rubano<br />

Tel. 049.898.73.<strong>19</strong> - Fax. 049.898.73.<strong>21</strong><br />

E-mail: cedis@innovet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 351<br />

ESPERIENZA CLINICA NELLA STABILIZZAZIONE DEL GINOCCHIO<br />

AFFETTO DA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE NEL CANE<br />

MEDIANTE TRASPOSIZIONE DELLA TUBEROSITÀ TIBIALE<br />

Mario Modenato 1 Med Vet, PhD, SMPA, Luciano Borghetti 2 Med Vet,<br />

Consuelo Ballatori 1 Med Vet<br />

1 Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa<br />

2 Libero Professionista, Marina di Carrara (MS)<br />

Introduzione. Negli ultimi 15 anni è aumentata l’attenzione alla biomeccanica del ginocchio, per identificare nuove soluzioni<br />

al problema dell’incompetenza del Legamento Crociato Anteriore (LCA). Sono nate quindi l’Osteotomia a cuneo chiuso anteriore<br />

(CCWO), l’Osteotomia di Livellamento del Piatto Tibiale (TPLO) e, più recentemente ad opera della Scuola Veterinaria di<br />

Zurigo, l’Avanzamento della Tuberosità Tibiale (TTA). Entrambe hanno come fine ultimo la neutralizzazione della funzione del<br />

legamento stesso, annullando attraverso meccanismi diversi l’effetto traslante anteriore sulla tibia esercitato dalle diverse forze<br />

agenti sul ginocchio, e trasferendo al legamento crociato posteriore l’azione di stabilizzazione durante la fase propulsiva.<br />

Il lavoro presenta la tecnica ed i risultati clinici ottenuti in 33 pazienti nel periodo ottobre 2004 – ottobre 2005.<br />

Materiali e metodi. Nel periodo indicato, fra i soggetti presentati alla visita clinica con rottura totale o parziale del legamento<br />

anteriore, i cui proprietari optassero consapevolmente per un intervento di stabilizzazione mediante osteotomia (TPLO o TTA),<br />

ne sono stati selezionati casualmente 33 che sono stati sottoposti TTA. Di questi 3 sono stati operati bilateralmente, per un totale<br />

di 36 ginocchia operate (12 dx, 24 sx). I soggetti appartenevano a razze diverse, con età compresa fra 1 e 13 anni, suddivisi<br />

in 20 maschi e 13 femmine. Esame clinico ed analisi di laboratorio hanno escluso la presenza di patologie concomitanti. In anestesia<br />

generale è stato eseguito un esame radiografico dell’arto posteriore in proiezione posteroanteriore e mediolaterale estesa<br />

a 135°, che comprendesse il ginocchio e l’intera gamba per studiare l’allineamento dell’arto e consentire le misurazioni per la<br />

scelta degli impianti da utilizzare.<br />

Dopo artrotomia mediale, il ginocchio è stato esplorato per confermare la rottura totale (28 casi, 80%) o parziale (8 casi, 20%),<br />

verificare la presenza di una lesione meniscale (8 casi, 22%) o altre lesioni associate (OCD condilo mediale 1 caso). In 12 casi<br />

è stato eseguito un meniscal release secondo la tecnica descritta da Slocum. Dopo scheletrizzazione della metà prossimale<br />

mediale della tibia si procede all’osteotomia ed alla trasposizione della tuberosità tibiale, mantenuta in sito da una placca idonea<br />

a cui viene solidarizzata una forchetta con un numero variabile di rebbi (da 3 a 8). Questi trovano alloggio in un analogo<br />

numero di fori praticati con un apposita maschera nella tuberosità prima dell’osteotomia. La dislocazione è ottenuta con l’aiuto<br />

di un cestello in titanio, di larghezza pari all’entità della trasposizione che si vuole ottenere. Il cestello e lo spazio residuo sono<br />

poi riempiti con un innesto spongioso. Cestello e placca sono fissati con viti corticali di idonee dimensioni.<br />

Nel postoperatorio non viene applicato nessun contenimento. Al paziente viene imposto un regime di attività limitato a passeggiate<br />

al guinzaglio per le prime 6 settimane, al termine delle quali si esegue un controllo radiografico per verificare lo stato di<br />

cicatrizzazione del sito osteotomico. Al paziente è quindi concessa una graduale ripresa dell’attività fisica.<br />

Risultati. Tutti i soggetti hanno ripreso l’appoggio dell’arto in 2 a -4 a giornata. Si è osservato un modesto edema locale che si<br />

è sempre risolto spontaneamente in 4 a giornata. In generale, dopo una fase iniziale di rapido miglioramento clinico, si è assistito<br />

ad una progressione più lenta ma sempre positiva, A distanza di 6 settimane comunque 27 soggetti (85%) presentavano<br />

una deambulazione pressoché regolare, con pieno carico sull’arto operato, ROM conservato e sit test negativo. I test del cassetto<br />

e della compressione tibiale si mantenevano positivi. A 10 settimane tutti i soggetti hanno riacquisito una buona funzione<br />

deambulatoria.<br />

È stata registrata una complicanza intraoperatoria, dovuta ad un errore di valutazione dell’allineamento dei fori per la forchetta.<br />

Questo ha comportato l’impossibilità di mantenere il contatto della tuberosità osteotomizzata con la diafisi nella porzione distale.<br />

Non si sono comunque registrate complicanze nel periodo postoperatorio ed al controllo a 6 settimane la cicatrizzazione<br />

del sito di osteotomia si presentava leggermente ritardata rispetto alla norma. È stata registrata una complicanza postoperatoria<br />

nel cane affetto contemporaneamente da OCD del condilo mediale, che ha comportato una deviazione in varo del ginocchio, non<br />

compensata adeguatamente durante la chirurgia, che ha indotto una lussazione rotulea mediale.<br />

Conclusioni – La TTA si presenta come una tecnica interessante per la stabilizzazione del ginocchio con rottura del LCA. Restano<br />

da valutare gli esiti sul lungo periodo (2-4 anni) ed i limiti di applicazione, ove ve ne fossero, per poterla considerare una<br />

eventuale alternativa od un possibile complemento alla TPLO.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Mario Modenato, Dipartimento di Clinica Veterinaria,<br />

Università di Pisa, Via Livornese lato monte,<br />

56010 S. Piero a Grado - Pisa<br />

Tel. 050.3135145 - Fax 050.3135182<br />

Cell. 335.8302<strong>19</strong>7<br />

E-mail: modenato@vet.unipi.it


352 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

UNA “STRANA” LESIONE CUTANEA<br />

Maria Luce Molinari Med Vet, Monica Serenari* Med Vet<br />

Libero professionista Salerno<br />

* Libero professionista Ravenna<br />

Anamnesi. Wiston è un cane meticcio, di circa 12 anni. Il motivo della visita è una lesione che il cane presenta da circa 1<br />

anno alla palpebra inferire sinistra. Si tratta di una neoformazione nodulare ulcerata, dura, alopecica, da cui fuoriesce un<br />

secreto sanguinolento. Il cane è stato trattato sia per via generale che localmente con antibiotici e antinfiammatori, senza alcun<br />

risultato per molti mesi. All’esame clinico si riscontra una linfoadenomegalia regionale sottomandibolare. L’esame oculistico<br />

è nella norma, così come l’emogramma, il profilo biochimico e l’ecografia addominale.<br />

Diagnosi. Tra le possibili diagnosi differenziali vanno considerati: carcinoma, adenocarcinoma, basalioma, mastocitoma, melanoma,<br />

linfoma, piogranuloma….. Si decide di effettuare un ago aspirato ed una biopsia. Il referto dell’ago aspirato è il seguente:<br />

vetrino infiammatorio con popolazione prevalente costituita da neutrofili e macrofagi. Non si evidenziano cellule neoplastiche.<br />

La biopsia dà il seguente risultato: Flogosi cronica attiva piogranulomatosa. Non sono presenti cellule neoplastiche.<br />

Colloquio omeopatico. Si decide quindi d’accordo col proprietario di effettuare una terapia omeopatica.<br />

Il colloquio omeopatico fornisce i seguenti elementi:<br />

Il cane è molto aggressivo con gli altri maschi, e per questo è stato sottoposto ad orchiectomia. È affettuoso, ma pone precisi<br />

limiti alle coccole. Ha paura dei tuoni e dei rumori forti. È molto geloso, in particolare detesta i bambini, perché gli tolgono l’attenzione<br />

generale, cosa per lui estremamente importante. Si isola quando è malato, ma assiste i proprietari quando sono malati<br />

loro. Desidera dolci, soprattutto gelato, e anche prosciutto. È molto caloroso e d’estate diventa apatico. Beve molto. Non ama<br />

essere lavato, e desidera l’aria aperta.<br />

Metodo di presa del caso. Il caso è stato preso per Essenza.<br />

Repertorizzazione. Scegliamo per la repertorizzazione questi sintomi:<br />

Mente: gelosia<br />

Mente: dittatoriale<br />

Occhi: infiammazione palpebre<br />

Sintomi generali: caldo <<br />

Sintomi generali: aria aperta ><br />

Sintomi generali: Cibi e bevande: desiderio di dolci<br />

Sintomi generali: Ascessi<br />

Stomaco: sete<br />

Livello di salute. Il cane appartiene ad un primo gruppo di salute strati bassi, e quindi ci aspettiamo da lui un preciso aggravamento<br />

sintomatologico prima della guarigione, cosa della quale è stato avvertito il proprietario.<br />

Terapia. Sulla base dei sintomi e del livello di salute è stato scelto per Wiston il rimedio Calcarea Sulphurica, ed è stata somministrata<br />

una dose alla 200 k. Dopo 20 giorni dall’assunzione del rimedio, la lesione è peggiorata, ed il cane ha presentato uno<br />

scolo giallastro purulento dall’occhio sinistro. Dopo 40 giorni la lesione si presenta molto ridotta e lo scolo è scomparso. A 60<br />

giorni Wiston è perfettamente guarito, ne ha più, fino ad oggi a distanza di un anno, manifestato alcun problema.<br />

Discussione. Il caso di Wiston, di per sé molto semplice, ci permette di fare alcune interessanti riflessioni di natura omeopatica.<br />

Infatti in questo caso il valore della diagnosi clinica è di importanza rilevante per arrivare ad una terapia omeopatica valida.<br />

Il rimedio somministrato è un rimedio che suppura in modo notevole, ma la semplice visita clinica non ci permette di rilevare<br />

nessun segno di suppurazione, anzi poiché la lesione si presenta ad occhio come un’ulcera, fa pensare ad un rimedio con tendenza<br />

distruttiva, cioè ad un rimedio sifilitico, non ad un rimedio sicotico come è appunto Calcarea Sulphurica, di cui invece il<br />

cane ha bisogno. È quindi sempre necessario prima di somministrare un rimedio procedere a tutti gli accertamenti diagnostici<br />

utili per la diagnosi, in modo da non farsi depistare dalle semplici apparenze, cosa che a volte viene trascurata, privilegiando l’aspetto<br />

puramente omeopatico e affidandosi semplicemente ai sintomi espressi dal proprietario del paziente. Inoltre ci sembra<br />

interessante notare che, tentata inutilmente la terapia allopatica, al cane non restava altro che la strada chirurgica per risolvere<br />

la lesione; strada difficile da percorrere, data la sede della lesione stessa, senza procurare danni all’apertura e chiusura dell’occhio,<br />

o sofferenze prolungate in seguito a chirurgia plastica all’animale.<br />

Conclusioni. In conclusione, la strada omeopatica, dopo la scelta oculata del rimedio adatto al caso, si è rivelata essere la via di<br />

minor danno e sofferenza per Wiston, procurando una guarigione dolce e duratura.<br />

Bibliografia<br />

G. Vithoulkas: la scienza dell’omeopatia; materia medica viva.<br />

F. Schroyens Syntesis 8.0.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maria Luce Molinari<br />

Via F. Sorrentino n° <strong>19</strong>, 84013 Cava de’Tirreni (SA)<br />

E-mail: ml.molinari@aimov.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 353<br />

RADIOLOGIA DIGITALE NELLE PATOLOGIE ODONTOIATRICHE DEL CONIGLIO<br />

Mirko Radice Med Vet<br />

Libero professionista, Milano<br />

Le alterazioni degli elementi dentali nel coniglio sono ormai da anni considerate una causa scatenante di malattie sistemiche; la<br />

componente genetica nell’insorgenza di tali patologie è universalmente accettata, anche se è ormai evidente, la compartecipazione<br />

di differenti fattori. Indipendentemente da quale sia l’origine della patologia si giunge al risultato costante di una alterazione<br />

occlusiva; questa può coinvolgere uno o più elementi dentali, che non essendo più soggetti al consumo masticatorio,<br />

andranno incontro ad una crescita anomala. La possibilità di valutare queste alterazioni è sovente affidata alla visita clinica, che<br />

nella maggior parte dei casi, non è però in grado di darci informazioni soddisfacenti sia dal punto di vista diagnostico che prognostico.<br />

Per tale motivo una visita clinica generale ed una obiettiva particolare del cavo orale non possono essere considerate<br />

esaustive, se non associate ad una adeguata indagine radiografica.<br />

Scopo del lavoro. L’utilizzo della radiologia convenzionale ci fornisce sicuramente molte indicazioni sulle patologie dentali del<br />

coniglio, ma nello stesso tempo presenta diverse problematiche; prima fra tutte la sovrapposizione di più strutture all’interno della<br />

proiezione radiografica. In secondo luogo la difficoltà di visualizzazione del legamento parodontale e della zona apicale le cui valutazioni<br />

ci forniscono indicazioni utili sull’insorgere di una patologia frequente ed estremamente grave in questi animali: l’ascesso<br />

dentale. Lo scopo di questo lavoro è la valutazione radiografica delle patologie odontoiatriche del coniglio, con l’ausilio della radiologia<br />

digitale odontoiatrica, usufruendo dei molteplici vantaggi che essa offre e mettendone in luce eventuali limiti.<br />

Metodi impiegati. Raccolta anamnestica, visita clinica, anestesia, indagine radiografica.<br />

Sono stati indagati soggetti con patologie d’entità variabile, correlando le informazioni ottenute dalla visita clinica a quelle dall’indagine<br />

radiografica, per arrivare a formulare una prognosi che fosse la più attendibile possibile.<br />

Le proiezioni standard effettuate sono:<br />

- latero-laterale obliqua destra e sinistra per le emiarcate mandibolari.<br />

- latero-laterale destra e sinistra per le emiarcate mascellari.<br />

- latero-laterale destra e sinistra per incisivi mascellari e mandibolari.<br />

- dorso ventrale per gli incisivi mascellari<br />

- ventro-dorsale per gli incisivi mandibolari<br />

Per effettuare lo studio radiografico è stato utilizzato un sistema di radiologia<br />

digitale endorale ad alta definizione (Sensori CCD VisualiX HDI). Un apparecchio<br />

radiografico odontoiatrico 15 mA-70 kv.<br />

Risultati ottenuti. La tecnica utilizzata ha permesso di rivelare con precisione:<br />

- la presenza di patologie periapicali localizzate sui premolari e molari mandibolari<br />

e mascellari.<br />

- la presenza di lesioni periapicali su incisivi mascellari e mandibolari.<br />

- la presenza di alterazioni dello spazio parodontale sugli incisivi mascellari e<br />

mandibolari.<br />

- la valutazione di eventuali anomalie di forma o dimensione di uno o più elementi dentali.<br />

- la valutazione della dacriocistografia.<br />

Figura 1 - Proiezione lat-lat incisivi superiori.<br />

È risultata invece piuttosto difficoltosa la valutazione degli spazi parodontali di premolari e molari sia mascellari che mandibolari.<br />

Conclusioni. L’utilizzo di questa tecnica radiografica presenta sicuramente dei vantaggi evidenti, dovuti alla sua alta definizione<br />

e alla rapidità di esecuzione. L’alta definizione di tale sistema ci permette infatti una valutazione accurata di tutte le strutture<br />

anatomiche: corticale mandibolare, apice radicolare, spazio parodontale. Una buona valutazione delle simmetrie tra i vari elementi<br />

dentali e una loro eventuale alterazione di forma o dimensione. Una cosiddetta “panoramica”, intendendo per tale la radiografia<br />

di tutti gli elementi dentali presenti, richiede infatti circa 5 minuti, permettendo con tale tempistiche la raccolta di una<br />

quantità di informazioni estremamente rilevante e non ottenibile con altre tecniche. Per contro si ha invece un costo rilevante<br />

delle attrezzature. Il sensore utilizzato per cani e gatti ha infatti una dimensione non ottimale in soggetti al disotto del kg di peso,<br />

si dovrebbe quindi procedere all’acquisto di un secondo sensore di dimensioni inferiori, facendo ulteriormente aumentare i costi.<br />

Sicuramente i vantaggi ottenuti fanno del sistema digitale un efficace e preciso mezzo di indagine radiografica, la cui attendibilità<br />

e precisione può essere sorpassata solamente dall’utilizzo della tomografia assiale computerizzata, che come però dimostrato<br />

(F.J.M. Verstraete: Diagnsotic Imagining of dental Disease in Rabbits) ha anch’essa dei limiti diagnostici precisi.<br />

Bibliografia<br />

Crossley, DA: Clinical aspects of rodent dental anatomy. J Vet Dent, 12(4):131-135, <strong>19</strong>95.<br />

Crossley, DA: Clinical aspects of lagomorph dental anatomy: the rabbit. J Vet Dent, 12(4):137-140, <strong>19</strong>95.<br />

F.J.M. Verstraete: Diagnsotic Imagining of dental Disease in Rabbits, 14 th European Congress of Veterinary Dentistry Ljubljana 2005.<br />

Heidi L. Hoefer, Atlantic Coast Veterinary Conference 2001 Small Mammal Dentistry.<br />

Donald H Deforge An Atlas of Veterinary Dental Radiology.<br />

Sam Silverman, Lisa Tell Radiology Of Rodents, Rabbits, And Ferrets: An Atlas Of Normal Anatomy And Positioning.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Mirko Radice - Via A. Volta n° 7 - 20030 Palazzolo Milanese (MI) - Tel. 338/3074414 - E-mail: mirko.radice@tiscalinet.it


354 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

I CHERATINOCITI CUTANEI E MUCOSALI DEL CANE<br />

ESPRIMONO IL RECETTORE PER I VANILLOIDI TRPV-1<br />

Raffaella Barbero 1 Med Vet, PhDs; Alda Miolo 2 ; Giovanni Re 3 Med Vet, PhD, Dipl ECVPT<br />

1 Med Vet, Dottorando di Ricerca in Farmacologia e Tossicologia, Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino<br />

2 Centro di Documentazione e Informazione Scientifica (CeDIS), Innovet Italia srl, Rubano (Padova)<br />

3 Professore Ordinario di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino<br />

Introduzione. Negli ultimi anni il sistema endocannabinoide è stato particolarmente studiato in funzione dei suoi potenziali effetti<br />

antinfiammatori ed antidolorifici. Esso comprende ligandi endogeni, loro specifici recettori (recettori per i cannabinoidi, CB) e<br />

sostanze ad effetto cannabimimetico, appartenenti alla classe delle aliamidi, cioè N-acil-lipidi ad effetto ALIA (Autacoid Local<br />

Injury Antagonism), tra cui la palmitoiletanolamide (PEA). Di recente, è stato ipotizzato che gli endocannabinoidi siano intimamente<br />

legati ad un altro importante sistema di regolazione endogena, quello degli endovanilloidi, e che entrambi tali sistemi siano<br />

direttamente implicati nel controllo dell’infiammazione e del dolore. In Medicina Veterinaria, le aliamidi hanno ricevuto importanti<br />

conferme sperimentali e cliniche, a differenza del sistema degli endovanilloidi che non è stato finora indagato.<br />

Scopo. Studio sperimentale volto ad individuare su colture di cheratinociti di cane il recettore per i vanilloidi TRPV-1, già precedentemente<br />

identificato in colture di cellule epiteliali (MCF-7), dotate anche di recettori per i cannabinoidi CB1 e CB2.<br />

Materiali e metodi. La metodica di binding per la caratterizzazione del recettore TRPV-1 è stata messa a punto su colture espanse<br />

di cellule epiteliali MCF-7. Per tale caratterizzazione, sono state utilizzate concentrazioni scalari di resiniferatossina ([ 3 H]-<br />

RTX) marcata, agonista specifico ad alta affinità per il TRPV-1, mentre per il legame aspecifico è stata utilizzata la resiniferatossina<br />

non marcata. I valori delle concentrazioni dei recettori TRPV-1 e delle relative costanti di dissociazione (Kd) sono stati<br />

determinati mediante analisi di Scatchard utilizzando un programma computerizzato (Graph Pad Prism). Inoltre, sono state effettuate<br />

prove di competizione utilizzando 3 agonisti (capsaicina, resiniferatossina, anandamide) e 3 antagonisti (capsazepina, 5’iodo-resiniferatossina,<br />

SB-366791) del recettore. I cheratinociti di cane sono state ottenuti da espianti bioptici primari di cute<br />

del padiglione auricolare, della parte ventrale dell’addome e delle mammelle, nonché di mucosa della bocca e del velo palatino.<br />

Sulle colonie di cheratinociti sono state eseguite le determinazioni in precedenza effettuate sulle cellule MCF-7. Il substrato di<br />

partenza era composto da 4 pool di circa 180 x 10 6 cellule sulle cui membrane sono stati approntate 8 serie di Scatchard (n=8).<br />

Risultati. Sulle cellule MCF-7 si sono evidenziati recettori TRPV-1 in concentrazioni pari a 14<strong>19</strong> ± <strong>19</strong>2 fmol/mg di proteina (media<br />

± SEM), con valori di Kd pari a 0,03 ± 0,004 nM (media ± SEM) e coefficiente di correlazione lineare (r) compreso tra 0,9 e 1. Le<br />

prove di competizione hanno consentito l’individuazione di una scala di affinità del recettore per le diverse sostanze utilizzate, sia<br />

agoniste (anandamide>capsaicina>resiniferatossina) che antagoniste (iodo-resiniferatossina≥capsazepina>SB-366791). Sui cheratinociti<br />

di cane si sono evidenziati recettori TRPV-1 in concentrazioni pari a 1240 ± 120 fmol/mg di proteina (media ± SEM), con<br />

valori di Kd pari a 0,01 ± 0,004 nM (media ± SEM) e coefficiente di correlazione lineare (r) compreso tra 0,9 e 1.<br />

Conclusioni. La metodica di binding specifico descritta nel presente lavoro ha consentito di identificare, per la prima volta in assoluto,<br />

il recettore TRPV-1 non solo sulle membrane di cellule epiteliali MCF-7, ma anche su quelle dei cheratinociti di cane. La presenza<br />

di questi recettori a livello di cute e mucose si rivela un dato scientifico molto importante che non solo contribuisce a caratterizzare<br />

il sistema endovanilloide nel comparto muco-cutaneo del cane, ma, più in generale, aggiunge un nuovo tassello alla comprensione<br />

di quei meccanismi che, attraverso le complesse interazioni molecolari tra sistema endovanilloide ed endocannabinoide,<br />

controllano infiammazione e dolore. Inoltre, le evidenze sperimentali ottenute aprono interessanti prospettive terapeutiche basate<br />

sull’utilizzo di molecole che, come le aliamidi, siano in grado di interagire con entrambi questi sistemi protettivi e, così facendo, di<br />

controllare la flogosi, il prurito ed il dolore che caratterizza numerose dermatopatie degli animali da compagnia.<br />

Bibliografia<br />

1. Walker JM et al. (2002) Chem Phys Lipids, 1<strong>21</strong>, 159-172.<br />

2. Levi-Montalcini R et al. (<strong>19</strong>96) Trends Neurosci, 9, 514-520.<br />

3. Di Marzo V et al. (2002) Prostagland Leuk Essent Fatty Acids, 66, 377-391.<br />

4. Di Marzo V et al. (2002) Curr Opin Neurobiol, 12, 372-379.<br />

5. Stander S et al. (2004) Exp Dermatol, 13, 129-139.<br />

6. Scarampella F et al. (2001) Vet Dermatol, 12, 29-39.<br />

7. Abramo F et al. (2004) Vet Dermatol, 15,(suppl.1), 13.<br />

8. Melck D et al. (2000) Endocrinology, 141, 118-126.<br />

9. De Petrocellis L et al. (2002) Fundam Clin Pharmacol, 16, 297-302.<br />

10. Scarampella F et al. (2001) Vet Dermatol, 12, 29-39.<br />

11. Abramo F et al. (2004) Vet Dermatol, 15, (suppl.1), 13.<br />

12. Banvolgyi A et al. (2005) J Neuroimmunol, 169 (1,2): 86-96.<br />

13. Re G et al. (2006) Vet J, in press.<br />

Ringraziamenti. Il presente lavoro è stato finanziato con fondi erogati da INNOVET Italia s.r.l. e dall’Università di Torino (ex 60%).<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giovanni Re - Dipartimento di Patologia Animale, Sezione Farmacologia & Tossicologia - Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino<br />

Via Leonardo da Vinci 44 - 10095 - Grugliasco, TO - Tel. 011 - 6709014 - Fax: 011- 6709017 - E-mail: giovanni.re@unito.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 355<br />

CARATTERIZZAZIONE DI LESIONI FOCALI DELLA MILZA<br />

MEDIANTE L’UTILIZZO DI UN MEZZO DI CONTRASTO ECOGRAFICO: <strong>21</strong> CASI<br />

Federica Rossi Med Vet, Dipl ECVDI<br />

Massimo Vignoli*, Med Vet, SRV, Leone VF*, Med Vet, Terragni R*, Med Vet<br />

Sasso Marconi (BO)<br />

Spec. Pat. e Clin. degli animali d’affezione<br />

Scopo del lavoro. Lo scopo di questo lavoro era di valutare la possibile applicazione di un mezzo di contrasto di seconda generazione<br />

nello studio della perfusione di lesioni focali della milza. L’obiettivo era di verificare se questa metodica potesse aumentare<br />

la caratterizzazione delle lesioni spleniche differenziando lesioni benigne e maligne e identificando specifici pattern di perfusione<br />

per i diversi istotipi studiati.<br />

Materiali e metodi. sono stati studiati <strong>19</strong> cani e 2 gatti con lesioni focali della milza che all’esame ecografico in B-mode avevano<br />

aspetto diverso, variando da lesioni ipo- a iperecogene a lesioni di tipo complex. Attraverso un catetere endovenoso posizionato<br />

nella vena cefalica dell’avambraccio è stata iniettata una quantità variabile tra 0,3 e 1 ml di un mezzo di contrasto ecografico<br />

di seconda generazione (Sonovue ® , Bracco).<br />

Per l’esame ecografico è stato utilizzato un sistema armonico dedicato (CnTI, Megas Esatune, Esaote), che ha consentito di studiare<br />

il flusso di mezzo di contrasto all’interno della lesione e nel parenchima splenico circostante. I video registrati sono stati<br />

valutati in modo soggettivo ed inoltre analizzati oggettivamente mediante un software commerciale.<br />

15 cani sono stati sottoposti a splenectomia e successivo esame istologico delle lesioni. In 6 casi (tutte lesioni benigne) è stato<br />

eseguito un esame citologico della milza ed i soggetti sono stati ricontrollati ecograficamente a distanza di tempo per valutare<br />

eventuali evoluzioni della lesione.<br />

Risultati. 2 casi sono stati esclusi dallo studio perché non è stato possibile raggiungere una diagnosi definitiva, nonostante l’istologia.<br />

I rimanenti <strong>19</strong> casi comprendevano 10 lesioni maligne (3 emangiosarcomi, 1 sarcoma indifferenziato, 3 linfosarcomi,<br />

1 istiocitosi maligna, 1 istiocitoma fibroso maligno, 1 mastocitoma), 1 istiocitoma fibroso benigno, 1 ematoma e altre 7 lesioni<br />

spleniche benigne.<br />

Gli emangiosarcomi e il sarcoma indifferenziato apparivano come lesioni omogenee anecogene (non perfuse) circondate da<br />

parenchima splenico molto vascolarizzato. Erano visibili sottili setti di tessuto iperecogeno che entravano nelle aree anecogene<br />

e il margine tra queste due parti era molto ben differenziato.<br />

L’istiocitoma fibroso maligno appariva come una lesione ipoperfusa omogenea con veloce wash in e wash out rispetto alla milza<br />

circostante.<br />

I linfosarcomi e l’istiocitosi maligna presentavano un tempo al picco ed un wash out più breve rispetto alla milza, erano ipoecogeni<br />

al picco e nella fase di wash out. Si visualizzava una rete di sottili vasi distribuiti in modo uniforme nella lesione. Nella<br />

fase di wash out comparivano piccole aree ipoecogene rotondeggianti.<br />

L’ematoma era rappresentato da un’area ipoecogena con scarsa perfusione in tutte le fasi.<br />

7 delle lesioni benigne presentavano wash in e wash out simile alla milza, 2 di queste erano leggermente iperecogene nella fase<br />

di wash in ma diventavano rapidamente omogenee con la milza. L’istiocitoma fibroso benigno era l’unica lesione chiaramente<br />

iperperfusa rispetto alla milza e presentava numerosi vasi nella parte centrale della lesione.<br />

Conclusioni. L’ecocontrastrografia è un valido metodo per studiare la perfusione ed aiuta nella caratterizzazione delle lesioni<br />

focali della milza. Tutte le lesioni maligne si presentavano ipoperfuse nella fase di wash out, si sono osservate aree iperperfuse<br />

solo in associazione a lesioni benigne. Gli emangiosarcomi ed i linfosarcomi hanno presentato un pattern di perfusione specifico.<br />

Bibliografia a disposizione presso l’Autore.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Federica Rossi<br />

Clinica Veterinaria dell’Orologio<br />

Via Gramsci - 40037 Sasso Marconi - Bologna (Italy)


356 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

UN CASO DI ORCHIEPIDIDIMITE ACUTA CON REAZIONE LEUCEMOIDE<br />

Monica Serenari Med Vet, Maria Luce Molinari* Med Vet<br />

Libero professionista Ravenna<br />

* Libero professionista Salerno<br />

Il segnalamento. Lucky è un barbone nano maschio intero di 8 anni.<br />

L’anamnesi. Il proprietario ci riferisce che Lucky non mangia da tre giorni, è rapidamente dimagrito, rimane nella sua cesta tutto<br />

il giorno, perde gocce di urina, non vuole muoversi e grida appena lo si tocca.<br />

L’esame clinico. Il cane presenta depressione, sonnolenza, riluttanza al movimento, cifosi, gonfiore della zona scrotale, dolorabilità<br />

alla palpazione di entrambi i testicoli, il testicolo destro non è perfettamente disceso in sede scrotale, blefarite bilaterale<br />

con scolo oculare, lieve opacità corneale e fotofobia.<br />

Le indagini cliniche. L’emogramma mostra una lieve anemia arigenerativa (5.010.000 globuli rossi, Hb 9.6), reazione leucemoide<br />

(46.400 globuli bianchi) con left shift, linfopenia e monocitosi. Il profilo biochimico e l’esame urine sono nella norma.<br />

Al laboratorio analisi è stato richiesto anche il test di microagglutinazione per la brucellosi che ha dato esito negativo. L’esame<br />

ecografico rende evidente una ipoecogenicità uniforme del parenchima di entrambi i testicoli e presenza di una discreta quantità<br />

di liquido a livello della vaginale. L’esame neurologico è nella norma. Alla visita oculistica Lucky mostra blefarite e cheratocongiuntivite<br />

secca bilaterale (Schirmer 0.3 mm a destra, 0.8 mm a sn).<br />

Diagnosi allopatica. Lucky ha orchiepididimite acuta con reazione leucemoide, lieve anemia arigenerativa, blefarite bilaterale<br />

e cheratocongiuntivite secca.<br />

La repertorizzazione. Con la visita omeopatica abbiamo raccolto i seguenti sintomi<br />

MASCHILI GENITALI infiammazione testicoli Grado 3<br />

MASCHILI GENITALI dolore testicoli Grado 3<br />

MASCHILI GENITALI gonfiore scroto Grado 1<br />

MENTE INDIFFERENZA apatia Grado 2<br />

SONNO SONNOLENZA Grado 2<br />

OCCHI SECCHEZZA Grado 2<br />

OCCHI AGGLUTINATI mattina Grado 3<br />

OCCHI INFIAMMAZIONE palpebre-bordi Grado 3<br />

VESCICA MINZIONE sgocciolamento involontario Grado 3<br />

SINTOMI GENERALI movimento aggrava Grado 1<br />

SINTOMI GENERALI, aria aperta migliora Grado 1<br />

SINTOMI GENERALII, emaciazione Grado 2<br />

La prognosi omeopatica. Lucky è un primo livello di salute, prescriveremo il rimedio sulla totalità dei sintomi e ci aspetteremo<br />

un netto miglioramento dei sintomi senza aggravamento.<br />

La prescrizione. Il rimedio che copre meglio il caso è Clematis erecta e la potenza scelta per Lucky è la 30 CH che abbiamo<br />

somministrato in plus per 7 giorni.<br />

Clematis è un rimedio vegetale della famiglia delle ranuncolaceae, appartenente al miasma luetico che ha un forte tropismo per<br />

il parenchima testicolare, la pelle, le vie urinarie e gli occhi .<br />

L’evoluzione del caso. Il cane dopo 2 ore dalla somministrazione del rimedio è stato meglio ha mangiato, ha iniziato a muoversi<br />

e non ha più guaito. Dopo cinque giorni dall’assunzione di Clematis il cane è stato sottoposto ad una visita di controllo e<br />

a nuove indagini cliniche. L’emogramma mostra una notevole diminuzione dei globuli bianchi (20.800) e un incremento dei globuli<br />

rossi (5.830.000), dell’emoglobina (11.2), l’anemia è ora rigenerativa. Il test di Schirmer si è normalizzato. Il gonfiore e il<br />

dolore a livello dello scroto si è notevolmente ridotto. Ecograficamente è ancora presente una uniforme ipoecogenicità del parenchima<br />

testicolare. Dopo sedici giorni dall’inizio dell’assunzione di Clematis l’anemia è rientrata e i globuli bianchi si sono ridotti<br />

a 13.000. L’ecogenicità di entrambi i testicoli è aumentata. Alla visita oculistica il cane mostra un notevole miglioramento della<br />

blefarite e la produzione lacrimale è normale.<br />

Conclusioni. Il rimedio simillimum agisce non solo sulla sintomatologia clinica evidente ma tocca in profondità l’organismo<br />

andando ad agire anche sulle patologie e sui sintomi che fanno da corollario al caso, curando il disturbo centrale e lo squilibrio<br />

energetico del soggetto. Clematis è conosciuto dagli omeopati per essere un rimedio della sfera genitale maschile, ma in Lucky<br />

ha normalizzato dati di laboratorio veramente preoccupanti come una reazione leucemoide e una anemia arigenerativa.<br />

Possiamo dire con ogni certezza che l’omeopatia classica ha guarito e non solo curato il piccolo Lucky<br />

Bibliografia<br />

F. Schroyens Syntesis 8.0.<br />

G. Vithoulkas - Materia Medica Viva e La scienza dell’omeopatia.<br />

J. T. Kent - Materia medica omeopatica.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Monica Serenari via Canalazzo 111 - 48100 Ravenna - E-mail monicase@libero.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 357<br />

UROLITIASI IN UN CONIGLIO DA COMPAGNIA<br />

Sergio Silvetti Med Vet 1 , Mattia Bielli Med Vet 2<br />

1 Libero professionista, Miasino (No)<br />

2 Libero professionista Novara<br />

Introduzione. Le cause dell’urolitiasi nel coniglio da compagnia non sono state ancora esattamente chiarite; si riconoscono<br />

numerosi fattori predisponenti nutrizionali, anatomici, fisiologici e, raramente, infettivi; non si riconosce una predisposizione di<br />

razza e di sesso. Si descrive di seguito un caso di urolitiasi vescicale in un coniglio da compagnia<br />

Caso clinico. Un coniglio da compagnia maschio castrato di circa 6 anni è portato per una visita di routine. Vive in casa con una<br />

femmina intera coetanea ed entrambi sono alimentati con miscele di semi, pellettato per conigli, biscotti e pochissima verdura;<br />

non viene offerto fieno. A parte le scorrettezze nell’alimentazione, l’anamnesi non riporta nulla di particolare e l’unica alterazione<br />

che si rileva alla palpazione addominale è la presenza di una massa dura, a superficie liscia, delle dimensioni di un uovo<br />

di piccione, localizzata nell’area prepubica in assenza di manifestazioni dolorifiche o di particolare disagio alla manovra. La<br />

radiografia nelle proiezioni LL e DV permette di evidenziare un singolo grosso urolita e la calcificazione della papilla renale del<br />

rene sinistro. Un prelievo ematico evidenzia un lieve aumento dell’azotemia e si programma l’intervento di cistotomia. Nell’attesa<br />

si consiglia un graduale cambio di alimentazione mantenendo un buono stato d’idratazione stimolando il consumo di liquidi<br />

e si inizia una terapia antibiotica con enrofloxacina 10 mg/kg s.i.d. e procinetica con cisapride 5 mg/kg s.i.d. Il giorno dell’intervento<br />

non viene riferito nessun problema collegato con la minzione se non l’aumento della frequenza; il paziente peraltro<br />

non sembra per niente disturbato dal suo problema. Si provvede all’anestesia con una miscela di Medetomidina 120 µg/kg, Ketamina<br />

15 mg/kg e Butorfanolo 0.6 mg/kg IM e viene somministrata enrofloxacina 10 mg/kg i.m. Incannulata la vena cefalica si<br />

somministrano carprofen 5 mg/kg e RLS 8ml/kg/ora. Non avendo avuto successo l’intubazione oro-tracheale, l’anestesia viene<br />

mantenuta tramite maschera con una miscela di O 2 1.5 l/min ed isofluorano al 2,5 - 3%. Preparata la parte, si guadagna l’accesso<br />

in addome attraverso un’incisione mediana della cute in regione prepubica All’apertura della parete muscolare si rende subito<br />

evidente la vescica che viene esteriorizzata e mantenuta in situ con due suture di posizionamento. Un’incisione mediana di circa<br />

2 cm sulla sua faccia dorsale rivela una parete fortemente ispessita e permette di estrarre l’urolita senza difficoltà; un lavaggio<br />

della cavità vescicale con soluzione salina sterile tiepida per eliminare eventuali residui completa l’operazione. La parete<br />

vescicale viene richiusa in tre strati con sutura continua in Polidioxanone monofilamento riassorbibile 5/0 e se ne controlla la<br />

tenuta riempiendo la vescica con soluzione salina sterile. La parete addominale e il sottocute vengono suturati con Polidioxanone<br />

monofilamento 4/0 con sutura continua semplice mentre la cute con tecnica intradermica in monofilamento 5/0. Al termine<br />

si somministra Atipamezolo (1.12 mg/kg) e si segue il risveglio in gabbia con lampada riscaldante. Il paziente viene dimesso<br />

dopo 5 ore con enrofloxacina 10 mg/kg s.i.d per una settimana, cisapride 5 mg/kg s.i.d. per 3-4 giorni e carprofen 4 mg/kg<br />

s.i.d. per 2 giorni. Il controllo telefonico il giorno successivo riferisce che il soggetto ha cominciato a mangiare la sera stessa e<br />

di conseguenza si è sospesa la somministrazione di cisapride. Il controllo a 3 giorni rivela il paziente in ottimo stato, appetito<br />

buono, produzione fecale buona e cicatrizzazione della ferita quasi completa; residua solo un lieve disagio alla palpazione dell’area<br />

prepubica. L’analisi quali/quantitativa del calcolo ha permesso di determinarne la composizione in ossalato di Calcio.<br />

Discussione. L’urolitiasi, comprendente anche il fenomeno di “fango vescicale” nel coniglio, non ha ancora un’eziologia ben<br />

definita come in altri mammiferi. Un ruolo che sembra essere fondamentale è dato dal particolare metabolismo del Ca del coniglio<br />

che viene assorbito prevalentemente con meccanismo passivo dall’intestino ed escreto in elevate quantità nelle urine, a differenza<br />

di altri mammiferi che lo eliminano per via biliare. Il caso illustrato dimostra a volte la difficoltà, da parte dei proprietari,<br />

di riuscire ad evidenziare i sintomi dei loro animali o forse a non riuscire ad interpretarli correttamente nonché la capacità<br />

di questi animali, considerati prede in Natura, di saper nascondere sintomatologie anche importanti per apparire sempre al<br />

meglio della condizione.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Sergio Dr. Silvetti<br />

Via Umberto I n° 30<br />

28010 Miasino (No)<br />

Tel. 3401441276<br />

E-mail: sergio_74@tiscali


358 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

GRANULOMA TRACHEALE DA MYCOBACTERIUM XENOPI IN UN GATTO<br />

Davide De Lorenzi 1 , DMV, SCMPA, DECVCP; Laia Solano-Gallego 1 , DVM; Alessandra Tosini 2 ,DVM<br />

1 Libero professionista, Padova; 2 Libero professionista, Brescia<br />

Introduzione. Le neoformazioni tracheali rappresentano una rara evenienza nel gatto; si tratta in generale di neoplasie maligne<br />

primarie anche se esiste una segnalazione bibliografica di proliferazione tracheale polipoide multipla ad origine infiammatoria;<br />

il presente lavoro descrive un caso di granuloma tracheale nel gatto causato da Mycobacterium xenopi. A conoscenza degli autori<br />

si tratta del primo caso segnalato di questa patologia nel gatto.<br />

Segnalamento, segni clinici, diagnosi e terapia. Tigre, un gatto maschio sterilizzato di 15 anni viene portato alla visita a causa<br />

di un episodi di dispnea acuta preceduta da 5 giorni di tosse progressivamente ingravescente. La valutazione clinica premette<br />

di rilevare dispnea inspiratoria, rumore inspiratorio aspro localizzato a livello della porzione inferiore della trachea cervicale,<br />

anisocoria appena evidenziabile e diffusa gengivite associata a depositi di tartaro dentale. L’emogramma mostra leucocitosi<br />

(40.620/µL, valori di riferimento 6300-<strong>19</strong>.600/µL) con neutrofilia matura, monocitosi, linfopenia ed eosinopenia mentre le valutazioni<br />

biochimiche presentano diminuzione della sideremia totale (14 µg/dL, valori di riferimento 110-17014µg/dL) ed aumento<br />

del lattato (37.3mg/dL, 0-9 mg/dL) e del glucosio (275 mg/dL, valori di riferimento 75-130mg/dL). La ricerca su siero dell’antigene<br />

del virus della leucemia felina e degli anticorpi per il virus della immunodeficienza felina (Snap test ® IDEXX) è risultata<br />

rispettivamente negativa e positiva. I radiogrammi toracici evidenziano una neoformazione rotondeggiante, di circa 1 cm di<br />

diametro, apparentemente localizzata a livello del lume tracheale, in corrispondenza della 6-7 vertebra cervicale; la valutazione<br />

broncoscopica conferma il sospetto radiologico. Viene evidenziata una neoformazione intratracheale occludente circa l’85% del<br />

lume tracheale, a base di appoggio ridotta, che viene rimossa endoscopicamente. Dalla neoformazione vengono eseguiti numerosi<br />

campioni citologico per impressione ed il pezzo viene fissato in formalina tamponata al 10%. Il quadro citologico è riferibile<br />

a flogosi granulomatosa sostenuta da Mycobacterium sp. ed analoga diagnosi viene formulata istologicamente.<br />

Per potere individuare con precisione l’agente eziologico viene eseguita la PCR da tessuto incluso in paraffina che conferma il<br />

genere Mycobacterium e mostra una corrispondenza del 90% con Mycobacterium xenopi. Il gatto viene tratta con enrofloxacina<br />

alla dose di 5 mg/kg per os SID per la durata di un mese. Tigre muore circa 6 mesi dopo la sospensione della terapia a causa<br />

di insufficienza renale apparentemente non collegata al problema infettivo, senza mai avere ripresentato segno clinici riferibili<br />

a patologia respiratoria.<br />

Discussione. A tutt’oggi sono riportati in letteratura 17 casi di neoformazioni intratracheali nel gatto: di questi 16 sono neoplasie<br />

maligne (8 linfomi, 5 adenocarcinomi, 1 carcinoma non meglio definito, 1 carcinoma squamocellulare, 1 carcinoma sieromucinoso)<br />

ed una è risultata essere una proliferazione benigna di natura polipoide. Mycobacterium xenopi fa parte dei micobatteri<br />

cd opportunisti che possono causare, in determinate situazioni cliniche, infezioni generalmente localizzate. Questo agente<br />

eziologico, segnalato come causa di lesione granulomatosa cutanea e di linfoadenite in 2 gatti, può determinare nell’uomo<br />

immunodepresso lesioni localizzate per lo più all’apparato respiratorio inferiore, alla pelle ed al sistema osteo-articolare. In analogia<br />

con quanto segnalato in medicina umana, anche in Tigre possono essere riconosciuti due importanti fattori di immunodepressione:<br />

la positività al virus dell’immunodeficineza felina e l’età avanzata.<br />

Conclusioni. Sulla base di quanto descritto, il presenza di una neoformazione intratracheale nel gatto, deve essere inserito nell’elenco<br />

delle possibili diagnosi differenziali anche il granuloma da Mycobacterium.<br />

Bibliografia<br />

Brown MR, Rogers KS, Mansell KJ, Barton C. Primary intratracheal lymphosarcoma in four cats. J Am Anim Hosp Assoc. 2003 Sep-Oct;39(5):468-72.<br />

Gunn-Moore DA, Jenkins PA, Lucke VM. Feline tuberculosis: a literature review and discussion of <strong>19</strong> cases caused by an unusual mycobacterial variant.Vet<br />

Rec. <strong>19</strong>96 Jan 20;138(3):53-8.<br />

Sheaffer KA, Dillon AR. Obstructive tracheal mass due to an inflammatory polyp in a cat. J Am Anim Hosp Assoc. <strong>19</strong>96 Sep-Oct;32(5):431-4.<br />

Tomasovic AA, Rac R, Purcell DA. Mycobacterium xenopi in a skin lesion of a cat. Aust Vet J. <strong>19</strong>76 Feb;52(2):103.<br />

MacWilliams PS, Whitley N, Moore F. Lymphadenitis and peritonitis caused by Mycobacterium xenopi in a cat. Vet Clin Pathol. <strong>19</strong>98;27(2):50-53.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Davide De Lorenzi<br />

Clinica Veterinaria S.Marco<br />

Via Sorio 114/C Padova<br />

Tel. 0498561098<br />

E-mail: davide.delorenzi@fastwebnet.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 359<br />

INSUFFICIENZA RENALE NEL CANE ANZIANO E TERAPIA OMEOPATICA<br />

Maria Cristina Stocchino MedVet<br />

Scuola Superiore Internazionale di Medicina Veterinaria Omeopatica “Dott. Rita Zanchi” Cortona (Ar)<br />

Segnalamento. Cane yorkshire terrier femmina ohe di 11 anni.<br />

Alimentazione. Passato di verdura, pasta, carne. All’inizio non le piaceva poi si è adattata. Non ha mai digerito le ossa, quando<br />

le mangia fa le feci bianche come gesso. Le piacciono i dolci, il cioccolato, l’insalata belga, le arance,il cetriolo, la mela, tutto<br />

il cibo fresco e croccante. Beve pochissimo. Le piace più il salato.<br />

Generali. È freddolosa ma in estate non sta al sole. Non le piace farsi lavare, non sopporta il rumore del phon. Si prende subito<br />

le pulci.<br />

Storia patobiografica. Sempre stata tendenzialmente stitica. Ha avuto due gravidanze e durante la seconda ha manifestato costipazione<br />

ostinata. Per il resto i parti e il puerperio hanno avuto un normale decorso. Poi ha avuto false gravidanze ad ogni calore<br />

ed è stata ovarioisterectomizzata. Caduta da una finestra si era “infilzata” nelle sbarre del cancello. Suturata in più punti sono<br />

residuate aderenze e un’ernia inguinale di piccole dimensioni. Lussazione rotulea congenita con sporadici attacchi artrosici. Lieve<br />

insufficienza valvorare cardiaca.<br />

Temperameno e comportamento. Ha paura di tutto. Sente il temporale che arriva e inizia a tremare; trema e salta in braccio e<br />

continua a tremare.ha paura di tutti gli animali e delle persone. Abbaia a qualunque rumore. È gelosa e dispettosa, fa pipì sul<br />

letto del figlio quando viene a fare visita alla madre. Anche col nipotino manifesta un po’ di gelosia. Da sola ha paura.<br />

Problema attuale. Ha mangiato un pezzo di osso e carne d’agnello; da allora ha cominciato a star male, polidipsia e poliuria.<br />

Le analisi hanno svelato l’insufficienza renale. In concomitanza con questi sintomi ha manifestato barcollamenti, perdita di equilibrio<br />

e tics.<br />

Kissy insuf. Renale<br />

Tabella riassuntiva esami ematochimici-logici da gennaio 03 a maggio 03<br />

DATA EMOCROMO UREA CREA PHOS<br />

02-01-03 Lieve disidr. Lieve granulocitosi 2,28 g/l 24,77 mg/l 75.55 mg/l<br />

13-01-03 Norm. 0,72 g/l 20,18 mg/l 49.99 mg/l<br />

14-03-03 Norm. 0,70 g/l 29,34 mg/l 30,73 mg/l<br />

30-05-03 norm 0,25 g/l 5,00 mg/l 35,00 mg/l<br />

L’analisi delle urine effettuata a gennaio rivela e conferma l’insufficienza renale cronica, con presenza di sedimento urinario<br />

inattivo.<br />

Somma dei sintomi (+ gradi)<br />

Questa analisi contiene <strong>21</strong>8 rimedi e 5 sintomi.<br />

Intensità considerata<br />

1 1234 1 mente - paura - tremante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40<br />

2 1234 1 mente - paura - temporale, del - prima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />

3 1234 1 mente - gelosia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59<br />

4 1234 1 sintomi generali - cibi e bevande - verdura - desiderio . . . . . . . . . . . . . . 4<br />

5 1234 1 retto - stitichezza - difficile, defecazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174<br />

Gels. Lach. Op. Nat-c. Plat. Calc-s. Phos. Puls. Sep. Cham. Positr.<br />

4/6 3/8 3/7 3/6 3/6 3/5 3/5 3/5 3/5 3/4 3/3<br />

1: 3 1 3 2 2 - 1 1 1 2 -<br />

2: 1 - - 2 - - 2 - - - -<br />

3: 1 4 1 - 1 2 - 2 1 1 1<br />

4: - - - - - 1 - - - - 1<br />

5: 1 3 3 2 3 2 2 2 3 1 1<br />

Commento. Kissy è un cane che ho in cura da diversi anni. In virtù di alcuni suoi sintomi “storici” come il morboso attaccamento<br />

alla proprietaria, la stitichezza, l’assenza di sete, e le false gravidanze, le era stata prescritta la pulsatilla che però, in questo<br />

frangente non ha portato nessun beneficio al cane.


360 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

In abbinamento alla fluidoterapia, all’utilizzo di integratori a base di omega 3 e 6, e ad una dieta commerciale con ginseng e<br />

ananas monoproteica al pesce, la repertorizzazione ha condotto alla prescrizione di gelsemium sempervirens 200 ch una volta<br />

al dì per tre giorni.<br />

Note su Gelsemium sempervirens. Rimedio di origine vegetale appartenente alla famiglia delle loganiacee. L’andamento prostrato<br />

della pianta la fa usare come rampicante ma non è in grado di reggersi da sola e deve essere legata a sostegni per alzarsi<br />

e stare dritta.<br />

Contiene alcaloidi tossici, come la semprevirina ad azione curarosimile.<br />

Tropismo: sistema nervoso e apparato cardiovascolare.<br />

Eziologie: cattive notizie, dispiaceri. Impegni importanti.<br />

Sintomi fisici: estremità: incoordinazione motoria. Lussazione rotulea.<br />

Sintomi generali. Tremore esterno generalizzato. Difficoltà di movimento.<br />

Sintomi mentali: paura di tutto. Tipologia: soggetti bisognosi di stabilità, emotivi, paurosi, timidi, tremebondi. La loro necessità<br />

di protezione li induce alla dipendenza da altre persone.<br />

Tematiche: responsabilità, paralisi, caduta.<br />

Archetipo: don abbondio.<br />

D/d:<br />

Nat.c. De natrum possiede una sorta di tristezza, l’avversione al temporale e la sensibilità al rumore, ma l’immagine generale<br />

del rimedio non è sovrapponibile. Mancano totalmente i sintomi neurologici, i tics e il tremore caratteristici di questo cane.<br />

Puls. È sicuramente un rimedio similare; il suo attaccamento alla figura della madre (in questo caso la proprietaria), la stitichezza,<br />

l’assenza di sete, le false gravidanze. Ma è un cane che non si lamenta, non piange, e la sua richiesta di attenzioni non<br />

è plateale, è discreta.<br />

Lach. Questo soggetto non è così “intenso” come la prescrizione di lachesis richiederebbe, il quadro mentale è molto differente,<br />

anche la gelosia non è violenta e plateale come in lach.<br />

In seguito alla somministrazione del rimedio, si è avuto, come testimoniano le analisi di maggio, il ripristino dei normali parametri<br />

ematici.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

M. Cristina Stocchino c/o Amb. Vet. Ass.to Doro, Pilo, Stocchino<br />

Via Luna e Sole 42 07100 Sassari<br />

Tel. 079298692 - Fax: 1782201899 - E-mail: dopistovet@tiscali.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 361<br />

UN CASO DI LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA CON INFILTRAZIONE CUTANEA<br />

Silvia Tasca 1 Med Vet, Roberta Gai 2 Med Vet, Romina Giannotti 2 Med Vet, Erika Carli 1 Med Vet,<br />

Carlo Patron 1 Med Vet, Marco Caldin 1 Med Vet<br />

1 Laboratorio d’Analisi Veterinarie “San Marco”, Padova<br />

2 Libero professionista, Dogana (RSM)<br />

Le manifestazioni cutanee rilevabili in corso di leucemie sono convenzionalmente divise in lesioni benigne aspecifiche e lesioni<br />

maligne specifiche (leucemia cutis). Le prime sono principalmente secondarie alla neutropenia, che si osserva frequentemente<br />

in soggetti leucemici, come espressione di una mancata produzione midollare per infiltrazione d’organo; le seconde invece, sono<br />

infiltrazioni cutanee di cellule neoplastiche, localizzate o disseminate, che possono coinvolgere più strati della cute.<br />

Nella pratica clinica le lesioni benigne aspecifiche sono rilievi comuni in corso di eventi leucemici, mentre quelle maligne sono<br />

rare. Il coinvolgimento cutaneo ad opera di cellule neoplastiche si registra frequentemente in corso di neoplasie solide con interessamento<br />

primario della cute (linfoma cutaneo, mastocitoma, istiocitoma…), mentre nelle leucemie è un reperto eccezionale.<br />

A nostra conoscenza in letteratura veterinaria si riporta un unico caso di leucemia linfocitica cronica (CLL) con coinvolgimento<br />

cutaneo (Couto et al., <strong>19</strong>86), mentre non esistono segnalazioni bibliografiche, che descrivano infiltrazioni cutanee in corso di<br />

leucemie mieloidi, contrariamente a quanto riportato in medicina umana.<br />

Nel presente studio si descrive un caso di leucemia mieloide acuta senza maturazione (AML-M0), con interessamento cutaneo.<br />

Un pastore tedesco, maschio intero di 8 anni di età, viene portato a visita per una neoformazione sottocutanea (1,5x4 cm), adesa<br />

ai piani sottostanti, a carico della mascella destra. Al successivo controllo, nonostante una settimana di terapia antibiotica,<br />

si registra un ulteriore aumento della massa; il cane, poco collaborativo, viene quindi posto in anestesia e sottoposto a prelievo<br />

di sangue, esame citologico ed istologico della neoformazione. All’esame emocromocitometrico si evidenzia leucocitosi<br />

[31.9*10 3 /µl (6.2-14.0 *10 3 /µl)] formata da un 82% (26.158 cell/µl) di elementi di incerta classificazione (cellule rotondeggianti<br />

di dimensioni medio-grandi, con rapporto nucleo:citoplasma elevato, margini citoplasmatici e nucleari irregolari, cromatina<br />

finemente dispersa, citoplasma scarso e chiaro). Alla prima valutazione citologica e istologica il quadro complessivo<br />

appare suggestivo di un linfoma cutaneo. Si prosegue quindi a citologia midollare ed immunofenotipo su sangue e succo midollare:<br />

il midollo emopoietico è ipercellulato e vede le tre filiere residenti (eritroide, granulo-monocitaria e megacariocitaria) in<br />

gran parte sostituite da elementi rotondeggianti, di dimensioni medio-grandi, con rapporto nucleo:citoplasma elevato, margini<br />

citoplasmatici e nucleari irregolari, nucleo eccentrico mono o multinucleolato, citoplasma moderatamente abbondante e basofilo.<br />

All’immunofenotipo, ottenuto mediante metodica citofluorimetrica, sia su sangue che su midollo, si osserva una netta<br />

positività al CD34 (marcatore specifico per i blasti) e negatività ai marcatori specifici per la serie linfoide T e B (CD3 e CD79<br />

rispettivamente).<br />

Data la discrepanza tra i rilievi cutanei e quelli ematologici si opta per un approfondimento immunoistochimico sulla biopsia<br />

cutanea, dove di nuovo emerge la mancata espressione dei marcatori della serie linfoide, dimostrando le medesime caratteristiche<br />

fenotipiche delle cellule sovradescritte.<br />

In conclusione, sulla scorta dei risultati, la diagnosi definitiva è di leucemia mieloide acuta senza maturazione (AML-M0), con<br />

infiltrazione cutanea.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laboratorio San Marco<br />

Via Sorio n. 114/c - 35141 Padova<br />

Tel. 049-8561039 - Fax 02-700518888<br />

E-mail: st@sanmarcovet.it


362 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

STUDIO CONTROLLATO SU EFFICACIA E TOLLERABILITÀ DELLA CEFALESSINA<br />

IN SOMMINISTRAZIONE MONOGIORNALIERA PER VIA ORALE<br />

NEL TRATTAMENTO DELLA PIODERMITE SUPERFICIALE DEL CANE<br />

Stefano Toma 1 DMV, Silvia Colombo 2 DMV Dipl ECVD, Chiara Noli 3 DMV Dipl ECVD<br />

1 Libero professionista, Parma; 2 Libero professionista, Milano; 3 Libero professionista, Cuneo<br />

Introduzione. La piodermite superficiale è una infezione cutanea di comune riscontro nel cane, sostenuta da batteri piogeni, nel<br />

90% dei casi da Staphiloccoccus intermedius, e che necessita di terapia antibiotica di durata variabile dalle tre alle otto settimane.<br />

La cefalessina, cefalosporina di prima generazione, è considerata l’antibiotico di prima scelta per il trattamento delle piodermiti<br />

superficiali, grazie alla sua ottima efficacia e tollerabilità, anche per somministrazioni protratte, e minima capacità di<br />

indurre resistenza batterica. La posologia standard per il trattamento di questa malattia è 15-30 mg/kg BID per os, e la durata<br />

del trattamento consigliata è di un periodo superiore a quello di guarigione clinica di una settimana per le piodermiti superficiali<br />

e di due settimane per le piodermiti profonde.<br />

Scopo. Questo studio ha valutato l’efficacia e la tollerabilità della somministrazione della cefalessina alla dose di 30 mg/kg SID<br />

per os per il trattamento della piodermite superficiale sostenuta da S. Intermedius, come confermato da coltura batterica, confrontandola<br />

con la posologia standard.<br />

Materiali e metodi. Nello studio sono stati inclusi 16 cani affetti da piodermite superficiale. Otto sono stati trattati con cefalessina<br />

(Rilexine ® , Virbac) alla posologia di 15 mg/kg BID e otto con 30 mg/kg SID. Non sono stati inclusi cani che avevano<br />

ricevuto terapie antibiotiche per bocca o localmente nei 15 giorni precedenti l’inclusione, animali affetti da piodermite profonda,<br />

interdigitale, recidivante, cronica, cani affetti da malattie parassitarie, neoplastiche o immunomediate, e animali affetti da<br />

dermatite da Malassezia. Inoltre non sono stati inclusi animali con insufficienza renale cronica o acuta e quelli con nota allergia<br />

alle penicilline o alle cefalosporine. Il giorno dell’inclusione è stato eseguito un esame clinico completo ed è stata compilata<br />

una cartella clinica con la descrizione e la valutazione della gravità delle lesioni, prendendo in esame i seguenti parametri: 1)<br />

natura delle lesioni, 2) estensione delle lesioni, 3) prurito, 4) dolore alla palpazione delle lesioni, 5) ripercussioni sullo stato<br />

generale dell’animale. La somma totale dei valori attribuiti a ciascun parametro è stata utilizzata come indice per la valutazione<br />

della gravità della malattia ad ogni visita. Il tasso di miglioramento di questo indice, il tempo necessario per la risoluzione delle<br />

lesioni e la percentuale di ricaduta sono stati confrontati fra i due gruppi in esame. Inoltre è stato prelevato un campione di<br />

pus dalle lesioni cutanee mediante tampone sterile, inserito immediatamente in apposito terreno di trasporto e inviato al laboratorio<br />

per l’esecuzione della coltura batterica e dell’antibiogramma. Dopo l’inclusione e l’inizio della somministrazione del farmaco<br />

gli animali sono stati controllati a scadenze quindicinali sino a due settimane dopo la sospensione della terapia, per la valutazione<br />

di eventuali ricadute. Per la valutazione statistica dei risultati è stato utilizzato il metodo ANOVA (analisi della varianza)<br />

per misure ripetute nel tempo fra i due gruppi. La percentuale delle guarigioni cliniche è stata comparata utilizzando il test<br />

esatto di Fisher. Il tempo necessario per la guarigione nei due gruppi è stato analizzato tramite il test Log-rank.<br />

Risultati. In tutti i cani si è ottenuta la completa risoluzione dei sintomi in 14-42 giorni, senza differenza fra i gruppi. Cinque<br />

animali, uno nel gruppo a somministrazione bigiornaliera e quattro nel gruppo a somministrazione monogiornaliera, hanno<br />

mostrato fenomeni di vomito, non tali da dovere sospendere la terapia. Solo in un animale, i cui batteri avevano mostrato sensibilità<br />

intermedia alla cefalessina e che aveva mostrato vomito, ha avuto una ricaduta della piodermite dopo 14 giorni.<br />

Conclusione. In conclusione, secondo i risultai dello studio, la somministrazione monogiornaliera di cefalessina (Rilexine ® ,Virbac)<br />

è efficace quanto quella standard bigiornaliera per il trattamento della piodermite superficiale del cane.<br />

Indirizzo per la corrispondenza<br />

(preferibilmente via posta elettronica):<br />

Stefano Toma<br />

Bgo del Correggio 20, 43100 PARMA<br />

Tel. 328/17302905<br />

E-mail: stefanotoma77@hotmail.com


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 363<br />

ERNIE DISCALI MULTIPLE: CHARLIE UN CASO RISOLTO<br />

Maurizio Tomassini Med Vet<br />

Via Milano, <strong>21</strong>4 - 20033 Desio (Mi)<br />

Introduzione. Il lavoro prende in considerazione un caso di ernie discali multiple in un cane maschio intero di razza Dalmata<br />

di 11 anni.<br />

Scopo del lavoro. Dimostrare che la terapia Agopunturale ha avuto parte fondamentale nel recupero totale di un soggetto che<br />

con le terapie allopatiche non aveva avuto miglioramenti decisivi cosa che comprometteva la qualità della vita ed il proseguimento<br />

di una vita normale.<br />

Cenni anatomici ed eziopatogenetici. Si descrive brevemente l’anatomia della colonna vertebrale, l’eziopatogenesi dell’ernia<br />

discale e la lesione nel suo complesso ed il trattamento clinico e chirurgico in medicina allopatica.<br />

Descrizione della lesione secondo la Medicina Tradizionale Cinese. Si presenta la lesione dal punto di vista della Medicina<br />

Tradizionale Cinese, inquadrando la patologia secondo la sindrome di appartenenza con una breve descrizione della stessa,<br />

secondo le otto regole, ed i sei livelli energetici.<br />

Materiali e metodi. Si sono usati aghi cinesi monouso sterili di misura 0.30x25 mm. e di misura 0.35x40 mm. È stata usata<br />

anche la moxa su tutta la colonna e su punti di Agopuntura. Si sono effettuate dieci sedute di venti minuti l’una con cadenza settimanale.<br />

I punti usati sono stati variati secondo i miglioramenti ottenuti.<br />

Descrizione del caso clinico. La sintomatologia esordisce con una paraparesi al treno posteriore, atassia e impossibilità alla stazione.<br />

Il soggetto viene sottoposto ad indagini radiografiche, con Rx in bianco, Mielografia e Tomografia Assiale Computerizzata.<br />

Dalle indagini radiologiche emerge un quadro di ernie discali plurime e calcificazioni in varie sezioni della colonna vertebrale.<br />

Dato il numero delle ernie, il soggetto viene giudicato inoperabile e viene sottoposto a terapia dapprima con FANS poi<br />

con corticosteroidi. La terapia ha un effetto parziale in quanto la situazione dopo la somministrazione dei farmaci è la seguente:<br />

difficoltà a rimanere in stazione per periodi di tempo mediamente lunghi, difficoltà alla deambulazione, sensorio depresso,<br />

appetito capriccioso. I proprietari decidono come ultima spiaggia di provare con l’Agopuntura, pur essendo molto scettici sui<br />

risultati di una terapia non convenzionale. Si decide di effettuare sedute settimanali. Nelle prime sedute si usano punti volti a far<br />

riprendere lo scorrimento dell’energia: Top Tail, GV 4, GV 14, GB 34 con ago secco. Dopo due sedute non essendoci variazioni<br />

notevoli, si passa anche all’uso della moxa, si impiegano punti quali BL 60 in transfissione con KI 3 e BL 62 sempre con ago<br />

secco. Da questo momento c’è un notevole miglioramento, si nota che il cane reagisce di più agli stimoli esterni, è più interessato<br />

al cibo, inizia a muoversi con più sicurezza sugli arti posteriori. Si effettuano altre sette sedute sempre con gli stessi punti<br />

e l’applicazione di moxa. Alla fine del percorso terapeutico il soggetto si presenta con un sensorio normale, ha ripreso ad alimentarsi<br />

normalmente, vuole uscire per la passeggiata, riesce addirittura ad urinare alzando la gamba. Il follow up a 11 mesi<br />

mostra che i miglioramenti sono duraturi e che il soggetto non ha più presentato problemi riferibili alla patologia trascorsa.<br />

Conclusioni. Viene dimostrata l’utilità della terapia agopunturale in questo caso che non aveva ottenuto pieni riscontri positivi<br />

con la terapia convenzionale. Da rimarcare la assoluta mancanza di effetti collaterali con i punti utilizzati, la pronta ripresa dell’animale<br />

e l’effetto duraturo della terapia.<br />

Bibliografia<br />

Done, Goody, Evans, Stickland - Atlante di anatomia veterinaria 3 cane, gatto - UTET <strong>19</strong>97.<br />

Evans, deLahunta - Guide to the dissectoine of the dog 5° edition - Saunders 2000.<br />

Bojrab, Ellison, Slocum - Tecnica chirurgica - UTET 2001.<br />

Bojrab - Current tecniques in small animal surgery 4° edition - William & Wilkins <strong>19</strong>98.<br />

Slatter - Textbook of small animals surgery - Saunders <strong>19</strong>93.<br />

Allen M. Schoen - Veterinary Acupuncture - Mosby 2001.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maurizio Tomassini<br />

Via Milano, <strong>21</strong>4 - 20033 Desio (Mi)<br />

Tel. 0362/629375 - Fax 0362/300081<br />

E-mail: clinvetdesio@tomassinimaurizio.<strong>19</strong>1.it


364 <strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong><br />

LA CITOLOGIA DEI LIQUIDI DI VERSAMENTO NEI CARNIVORI DOMESTICI:<br />

ESPERIENZE SU 126 CASI<br />

Vanessa Turinelli 1 Med Vet, PhD; George Lubas 2 Med Vet, Dipl ECVIM-CA;<br />

Corinne Fournel-Fleury 3 Med Vet, PhD, Dipl ECVCP<br />

1 Libero professionista Livorno, Italia<br />

2 Dip. di Clinica Veterinaria, Università di Pisa, Italia<br />

3 Laboratoire d’Hématologie-Cytologie-Immunologie, Ecole Nationale Vétérinaire de Lyon, France<br />

Scopo. L’esame citologico è sempre indicato di fronte ad un versamento cavitario, sia esso pericardico, toracico o addominale<br />

poiché permette nella maggior parte dei casi di emettere una diagnosi.<br />

Metodi. Questo studio è stato effettuato in una Istituzione pubblica di ricerca e insegnamento dal 2002 al 2004 e comprende l’analisi<br />

citologica di 126 liquidi di versamento di pazienti presentati alla consultazione clinica nell’Istituzione o di prelievi spediti<br />

da colleghi veterinari (al suo laboratorio). Sono compresi liquidi di versamento toracici, addominali e pericardici di cani e gatti,<br />

per i quali è stata realizzata una conta cellulare, una conta differenziale delle cellule nucleate e un dosaggio delle proteine<br />

totali refrattometriche, prima dell’analisi morfologica. Tutti i prelievi sono stati sottoposti a citocentrifugazione, colorati con<br />

May Grunwal-Giemsa e analizzati sempre da due patologi clinici. I liquidi di versamento sono stati classificati in tre tipi principali:<br />

trasudati, trasudati modificati ed essudati, in base all’aspetto fisico, la conta cellulare, la concentrazione delle proteine<br />

totali e l’aspetto citologico, così come descritto in letteratura.<br />

Risultati. Si sono ottenuti 28 trasudati, 32 trasudati modificati e 66 essudati. I trasudati modificati e gli essudati sono stati ulteriormente<br />

classificati in base a criteri puramente morfologici in versamenti infiammatori/reattivi, versamenti emorragici e versamenti<br />

tumorali. Sono stati diagnosticati 49 versamenti infiammatori/reattivi, 18 emorragici, 18 tumorali ed è stato formato un<br />

ulteriore sottogruppo comprendente i versamenti a predominanza linfoide (13 casi) per i quali erano necessariamente fornite più<br />

ipotesi diagnostiche. I versamenti di tipo trasudato erano caratterizzati dalla presenza di poche cellule, soprattutto cellule macrofagiche<br />

e rare cellule mesoteliali normali, senza anomalie morfologiche. I versamenti di tipo infiammatorio erano caratterizzati<br />

da una cellularità elevata e comprendevano cellule infiammatorie con predominanza di neutrofili, degenerati o meno, associati<br />

a cellule macrofagiche, realizzanti talvolta immagini di leucofagocitosi, linfociti e plasmacellule e cellule mesoteliali, talvolta<br />

displastiche e potevano essere settici o meno. I versamenti a predominanza linfoide, diagnosticati soprattutto nella specie felina<br />

(11/13), erano caratterizzati da una maggioranza di piccoli linfociti normali, associati a cellule macrofagiche e cellule mesoteliali<br />

ben differenziate; per questo tipo di versamento non è possibile fornire un’unica ipotesi diagnostica. I versamenti di tipo<br />

emorragico erano caratterizzati dalla presenza di eritrociti, numerosi macrofagi, realizzanti talvolta immagini di emofagocitosi,<br />

cellule mesoteliali normali o degenerate. I versamenti tumorali presentavano aspetti variabili e si sono osservati: 5 mesoteliomi<br />

(conferma istologica in 4 casi e in un caso si è potuto ripetere solo il prelievo e l’esame citologico a distanza di tre settimane,<br />

confermando la prima diagnosi), caratterizzati da una predominanza di cellule mesoteliali presentanti sempre le medesime atipie<br />

morfologiche; 3 emangiosarcomi (conferma istologica in 2/3 casi, un caso è sfuggito al follow up), caratterizzati dalla presenza<br />

di un fondo emorragico e infiammatorio nel quale si potevano ritrovare rare cellule atipiche isolate o formanti piccoli raggruppamenti<br />

pseudo-epiteliali; 2 adenocarcinomi (conferma istologica in 1/2 casi ma entrambi PAS+), caratterizzati da un background<br />

infiammatorio con predominanza di cellule macrofagiche e cellule mesoteliali talvolta displastiche, associato a cellule<br />

atipiche formanti raggruppamenti coesivi a carattere ghiandolare; 2 sarcomi (conferma istologica 1/2 di emangiosarcoma mentre<br />

l’altro è risultato lisozima+ quindi istiocitosi maligna), poco differenziati, caratterizzati dalla presenza in un background<br />

infiammatorio e/o emorragico di cellule d’aspetto fibro/istiocitico a carattere maligno; 1 chemodectoma (conferma istologica)<br />

caratterizzato da un fondo emorragico e rari nuclei liberi, senza citoplasma e nucleoli prominenti; 5 versamenti tumorali maligni<br />

per i quali non è stato possibile fare diagnosi differenziale tra mesotelioma anaplastico e carcinoma (esame istologico in 3/5<br />

con 2 mesoteliomi e un carcinoma per gli altri due l’immunofenotipo ha rilevato che si trattava di mesotelioma).<br />

Conclusioni. Questo studio evidenzia le caratteristiche citologiche che hanno condotto alla diagnosi dei vari liquidi di versamento<br />

e le difficoltà diagnostiche nel differenziare i versamenti tumorali, per i quali si è dovuto ricorrere all’ausilio di altri esami<br />

quali l’istologia, le colorazioni citochimiche (Periodic acid Schiff,) e l’immunofenotipo attraverso l’utilizzo dei markers per<br />

il riconoscimento dei filamenti intermedi dei vari tipi cellulari (citocheratina, vimentina, lisozima).<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Vanessa Turinelli, Via Sarti 11, 57128 Livorno<br />

Tel: 335 5383251<br />

E-mail: vanessa.turinelli@virgilio.it


<strong>53°</strong> <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>Multisala</strong> <strong>SCIVAC</strong> 365<br />

CHEMIOTERAPIA INTRALESIONALE NEL CARCINOMA SQUAMOSO FELINO<br />

DEL PLANUM NASALE, CASI CLINICI<br />

Fabio Valentini, Med Vet, MS<br />

Libero professionista, Roma<br />

Introduzione. Nel gatto, il carcinoma squamo-cellulare (CSC) rappresenta una delle neoplasie cutanee più comuni. Si tratta di<br />

un tumore maligno delle cellule dell’epitelio squamoso; è localmente invasivo ma poco prono a dare metastasi a distanza. L’eziologia<br />

è multifattoriale ma le radiazioni ultraviolette (UV) svolgono, di certo, un ruolo chiave a causa della loro capacità di<br />

danneggiare il DNA ed, in particolare, il gene p53, fondamentale nei processi di controllo e riparazione degli acidi nucleici. I<br />

soggetti maggiormente colpiti sono quelli a mantello bianco (rischio 5 volte maggiore rispetto agli altri gatti) e le lesioni si sviluppano<br />

principalmente in zone depigmentate e più esposte ai raggi ultravioletti come il planum nasale (sede colpita più frequentemente),<br />

le palpebre ed i padiglioni auricolari. Nel gatto il CSC si presenta sotto due forme cliniche principali: ulcerativa<br />

(più comune) e proliferativa. Vi sono diverse possibilità terapeutiche nel trattamento del CSC del planum nasale nel gatto come<br />

la chirurgia, la crio-chirurgia, la terapia fotodinamica, la radioterapia, la chemioterapia sistemica ed intra-lesionale e, anche se<br />

non supportato da una robusta letteratura, l’utilizzo dei retinoidi. In questa comunicazione breve verranno presentati alcuni casi<br />

di CSC del planum nasale trattati con chemioterapia intra-lesionale a base di carboplatino e siero autologo.<br />

Materiali e metodi. Sono stati presi in considerazione quattro casi di CSC del planum nasale diagnosticato per mezzo di esami<br />

citologici e/o istologici; vi erano tre femmine ed un maschio, tutti di razza europea e di età superiore ai dieci anni. Gli animali<br />

sono stati sottoposti al minimum data base ed è stata effettuata la stadiazione clinica delle lesioni (T1, T1, T2 e T3). Questi<br />

animali, previa anestesia, hanno ricevuto carboplatino alla dose di 3-4 mg/cm 3 di lesione addizionato ad una quantità uguale<br />

di siero autologo. Le sedute avvenivano ogni 15 giorni con un minimo di quattro somministrazioni. Le infiltrazioni sono state<br />

eseguite con la tecnica “a blocco di campo”.<br />

Risultati. Dopo quattro somministrazioni di carboplatino intra-lesionale i gatti con T1 hanno ottenuto una remissione parziale<br />

(RP) ed una remissione completa (RC); il gatto con stadio T2 ha ottenuto un periodo di malattia stabile (MS) durato circa tre<br />

mesi per poi passare a malattia progressiva (MP); il gatto con T3 ha manifestato da subito refrattarietà alla terapia sviluppando<br />

MP. Il T1 con RP è stato eutanasizzato a tre mese dalla diagnosi per cause non correlate al CSC; l’altro gatto con T1 è stato in<br />

RC per sei mesi dalla diagnosi ed ha sviluppato poi un’altra lesione carcinomatosa sul lato opposto del planum rispetto alla lesione<br />

precedente; è tutt’ora in cura e la sua qualità di vita è ottima; il gatto con T2 e MP è tutt’oggi vivo a quattro mesi dalla diagnosi<br />

con qualità di vita accettabile mentre il gatto con T4 è stato eutanasizzato a sei mesi dalla diagnosi per grave MP che aveva<br />

compromesso la qualità di vita dell’animale.<br />

Discussione. La chemioterapia intralesionale con carboplatino e siero autologo rappresenta un trattamento conservativo che va<br />

inserito nella lista delle opzioni terapeutiche per il CSC del planum nasale del gatto. È indicata se si verificano tre condizioni<br />

contemporaneamente: proprietario contrario all’intervento chirurgico, lesione singola allo stadio T is, T1 e T2 e impossibilità di<br />

usufruire di altre forme di trattamento. La logica di questo tipo di terapia è quella di ridurre gli effetti collaterali riscontrabili in<br />

corso di chemioterapia sistemica ed aumentare, invece, la concentrazione del farmaco a livello della lesione e nelle sue immediate<br />

vicinanze. Gli effetti collaterali legati alla terapia intra-lesionale sono trascurabili, va considerato però che ad ogni somministrazione<br />

il gatto deve subire una sedazione profonda o, più spesso, una vera e propria anestesia. Sulla base della letteratura<br />

corrente e dell’esperienza personale dell’autore, è importante sottolineare il fatto che le lesioni più responsive a tale trattamento<br />

sono quelle precoci e di piccole dimensioni appartenenti agli stadi precedentemente menzionati.<br />

La bibliografia è disponibile presso l’autore.<br />

Indirizzo dell’autore presentatore:<br />

Fabio Valentini, Via Benaco 07, 00<strong>19</strong>9 Roma<br />

Tel. 339/1464685<br />

E-mail: f.valentini@email.it


INGLESE-FRANCESE<br />

Le comunicazioni sono elencate in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.


Urinary incontinence in the dog:<br />

clinical workup and differential diagnosis<br />

Susi Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera<br />

Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

Continence is an expression which refers to the condition<br />

during the filling phase of the urinary bladder. The physical<br />

condition for continence requires that the urethral closure<br />

pressure is higher than that of the bladder pressure. It follows<br />

that in the reverse situation, when the bladder pressure<br />

exceeds the urethral closure pressure, will result in the loss<br />

of urine. This situation occurs at micturition. But, if the bladder<br />

pressure exceeds the urethral closure pressure during the<br />

filling phase of the bladder an uncontrollable loss of urine<br />

occurs, this is urinary incontoninence,.<br />

If the anatomical conditions are normal, two pathophysiologically<br />

different mechanisms can result in urinary incontinence:<br />

An increased bladder pressure with a normal urethral<br />

closure function or an insufficient urethral closure<br />

function with a normal bladder pressure (= sphincter incompetence).<br />

Rosin and Barsanti (1) proved for the first time,<br />

that urinary incontinence after spaying is caused by sphincter<br />

incompetence.<br />

Urinary continence is the ability to control voluntarily<br />

micturition. For an animal to be continent several different<br />

functions of the nervous system and the urinary tract have to<br />

be co-ordinated in the following manner (2):<br />

1. The ureters must lead into the bladder.<br />

2. The urinary bladder has to serve as a reservoir and to have<br />

the ability to expand without elevating the intravesical<br />

pressure.<br />

3. The urethra has to generate the necessary “resting-pressure”<br />

in order to prevent urinary loss during the filling<br />

phase of the bladder.<br />

4. Once the bladder has reached the limit of its capacity the<br />

efferent neurons must send a signal to the spinal cord and<br />

from there to the central nervous system.<br />

5. The central nervous system has to react with an appropriate<br />

return signal.<br />

6. The impulse must be transmitted by the spinal cord to<br />

efferent neurons, which in turn initialize the contraction of<br />

the abdominal muscles and the detrusor muscle.<br />

7. As soon as the bladder contracts, the bladder neck has to<br />

relax, and the reflex, which leads to a reduced urethral<br />

tonus, has to occur.<br />

A complex and functionally coherent system is the<br />

requirement for continence. There are many possible causes<br />

for urinary incontinence. Urinary incontinence is classified<br />

as either neuregenic or non-neurogenic. But in many cases<br />

this grouping is unsuitable. For example urinary incontinence<br />

in bitches after spaying is classified as non-neuro-<br />

genic, because the the neurological examination is normal.<br />

In spite of that most cases respond to treatment with alphaadrenergica,<br />

which act like a neurotransmitter.<br />

Although sphincter incompetence due to spaying is the<br />

most common, a thorough examination should be performed<br />

on every incontinent animal. First, a detailed history is necessary<br />

as it provides important clues on the type of incontinence,<br />

and in turn assists in decisions on the diagnostic<br />

work-up. If urinary incontinence was present before the<br />

operation, an insufficient education or a congenital malformation<br />

(ectopic ureters, persistent urachus, intersex) of the<br />

urogenital tract should be considered. If the onset of urinary<br />

incontinence occurred immediately after surgery, an iatrogenic<br />

ureterovaginal fistula could be the cause. If incontinence<br />

exclusively occurs after a walk then a urovagina has to<br />

be considered. Affected bitches mainly loose urine where<br />

they sit down. Urovagina can also be caused by a vaginal<br />

neoplasia, which prevents urine passing by the vestibulum.<br />

In many cases urine collects in the vagina when the bitch urinates,<br />

in the absence of a pathological condition. If, by history,<br />

the bitch is incontinent after long walks an instability of<br />

the detrusor could be the underlying cause. This may be due<br />

to a persistent urachus, which prevents a complete retraction<br />

of the empty bladder. Thus, the bladder is forced into a certain<br />

position that may result in a transient instability of the<br />

detrusor, in particular after heavy exercise. If incontinence<br />

exclusively occurs during sleep and the bed is wet, it is most<br />

likely a urethral sphincter incompetence. If spots of urine are<br />

found far away from the bed it rather points out an emergency<br />

urination, which has nothing to do with incontinence.<br />

Dogs with polyuria and polydypsia are more prone to urinate<br />

during the night and are erroneously presented as incontinent.<br />

Therefore, information on the daily water intake is<br />

required. In many cases a bacterial cystitis causes contractions<br />

of the detrusor during the filling phase of the bladder,<br />

leading to an involuntary urine loss. Because sphincter<br />

incompetence predisposes the bitch to bacterial cystitis, the<br />

urinary incontinence may remain in spite of a successful<br />

treatment of the cystitis. For very young bitches presented<br />

for urinary incontinence, an intravenous contrast study<br />

should be performed, in order to rule out congenital malformations.<br />

An urethrocystogram combined with a pyelogram<br />

is suitable for ruling out iatrogenic ureterovaginal fistulas, in<br />

bitches which became incontinent immediately after surgery.<br />

Possible neoplasia of the urinary tract in elderly bitches<br />

can usually be verified by endoscopy or radiography.<br />

1


If the history, or the physical exam, is suggestive of a neurological<br />

problem, a thorough neurological exam should be<br />

performed. Depending on the location of the lesion, radiological<br />

procedures or cerbrospinal fluid analysis is indicated<br />

to determine the underlying cause (degeneration, neoplasia<br />

or inflammation). If a spayed incontinent bitch is presented<br />

with a typical history (urinary loss while asleep), and the<br />

above mentioned causes for incontinence can be ruled out, it<br />

is then most likely a urethral sphincter mechanism incompetence<br />

(USMI) due to neutering.<br />

Minimal data base in a bitch presented for urinary incontinence:<br />

• Physical exam (including careful examination of the lumbar<br />

spine!)<br />

• Neurological exam (in particular examination of the anal<br />

and patellar reflexes)<br />

• Vaginoscopy<br />

• Serum biochemical profile<br />

• Hematology<br />

• Bacterial culture of urine<br />

• Urinalysis<br />

• (Radiological examination if necessary)<br />

In addition in male dogs:<br />

• Thorough examination of the prostate (digital palpation,<br />

ultrasonography, radiography)<br />

• Exclusion of ectopic ureters (at any age, also in sexually<br />

intact males!)<br />

The general risk for urinary incontinence is low (0-1%) in<br />

intact bitches (3-5). In contrast, urinary incontinence is a<br />

common problem in spayed bitches affecting up to 20% (6).<br />

The underlying pathophysiological mechanism is a reduction<br />

of the urethral closure function after spaying (7-9). It is<br />

believed that there is a direct relationship between the<br />

removal of the ovaries and urinary incontinence (10). This<br />

was clearly demonstrated by the epidemiological study of<br />

Thrusfield (11).<br />

References<br />

1. Rosin AE, Barsanti JA. Diagnosis of urinary incontinence in dogs:<br />

Role of the urethral pressure profile. J Am Vet Med Assoc<br />

<strong>19</strong>81;178(8): 814-822.<br />

2. Barsanti, J. A., Finco, D. R. (<strong>19</strong>83). Hormonal responses to urinary<br />

incontinence. In: R. W. Kirk (Hrsg.): Current Veterinary Therapy<br />

VIII. Philadelphia: W. B. Saunders Co., 1086-1087.<br />

3. Holt PE, Thrusfield MV. Association in bitches between breed, size,<br />

neutering and docking, and acquired urinary incontinence due to<br />

incompetence of the urethral sphincter mechanism. Vet Rec <strong>19</strong>93;<br />

133: 177-180.<br />

4. Krawiec DR. Diagnosis and treatment of acquired canine urinary<br />

incontinence. Comp Anim Pract <strong>19</strong>89; <strong>19</strong>: 12-20.<br />

5. Thrusfield MV. Association between urinary incontinence and spaying<br />

in bitches. Vet Rec <strong>19</strong>85; 116: 695.<br />

6. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilk <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

7. Holt PE: Simultaneous urethral pressure profilometry: Comparison<br />

between continent and incontinent bitches. J Small Anim Pract <strong>19</strong>88;<br />

29: 761-769.<br />

8. Nickel RF. Studies on the function of the urethra and bladder in continent<br />

and incontinent female dogs. PhD thesis, Utrecht: University<br />

Press; <strong>19</strong>98.<br />

9. Arnold S: Urinary incontinence in castrated bitches. Part 1: Significance,<br />

clinical aspects and etiopathogenesis. EJCAP <strong>19</strong>99; 9: 125-<br />

129.<br />

10. Joshua JO. The spaying of bitches. Vet Rec <strong>19</strong>65; 77: 642-647.<br />

11. Thrusfield MV, Holt PE, Muirhead RH. Acquired urinary incontinence<br />

in bitches: its incidence and relationship to neutering practices. J<br />

Small Anim Pract <strong>19</strong>98; 39: 559-566.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol<br />

Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260<br />

8057 Zurich - Switzerland<br />

2


of patterns, distribution of the pattern (asymmetric vs. symmetric),<br />

and intensity of patterns. Other findings of importance<br />

include bronchiectasis, pneumothorax, pleural effusion,<br />

diaphragmatic hernia, mass lesions, bullae or cysts,<br />

megaesophagus, or thoracic foreign bodies. Lack of radiographic<br />

abnormalities in an animal with respiratory signs<br />

does not definitively rule out pulmonary disease. Metastatic<br />

nodules may be too small to identify, recent inflammatory<br />

lesions may not be visible, and thromboembolism (PTE)<br />

may not cause radiographic change.<br />

Ultrasonography has limited utility in pulmonary medicine<br />

since air is an extremely poor media for sound waves.<br />

Ultrasound is used to examine pulmonary mass lesions, consolidated<br />

lungs lobes, vascular patency, and to guide aspiration<br />

of lesions. It may also rule out cardiac, pleural, and<br />

mediastinal disease. Ultrasonography is widely available,<br />

safe and does not result in exposure to radiation. It is very<br />

operator dependent and requires animal restraint.<br />

Computerized tomography (CT) is the gold standard for<br />

detection of pulmonary metastasis. It can be used to detect<br />

vascular lesions or to demonstrate location and extent of<br />

parenchymal, interstitial and bronchial lesions. CT provides<br />

excellent detail on anatomic relationships and can be<br />

used to guide aspirates and biopsies. Contrast allows evaluation<br />

of vascularized structures. Unlike conventional<br />

radiography, CT requires heavy sedation or general anesthesia<br />

and equipment is more expensive (although increasingly<br />

available). There are a variety of types of CT imaging,<br />

each with its unique ideal usages, advantages, and disadvantages.<br />

Specialized imaging techniques that have some use in pulmonary<br />

medicine include fluoroscopy, angiography, nuclear<br />

scintigraphy, magnetic resonance imaging, and positron<br />

emission tomography. Familiarity with the utility of these<br />

techniques will allow for appropriate referral<br />

VISUALIZATION<br />

12<br />

All forms of direct visualization of the lungs and airways<br />

are to some degree invasive. Bronchoscopy allows a scope to<br />

be passed through the airways. Mucosal condition, amount<br />

of mucus, presence of hemorrhage, structural airway integrity,<br />

mass lesions, or foreign bodies can be visualized. Bronchoscopy<br />

can also be used to guide sample collection for<br />

culture and cytologic evaluation and to remove foreign<br />

material. Bronchoscopy allows separate evaluation of different<br />

lung lobes. It requires general anesthesia and will<br />

occlude airway lumen. Supplemental oxygen provided<br />

through the biopsy channel of the scope or via catheter<br />

passed along the side of the scope may minimize hypoxemia.<br />

The technique requires special equipment and some<br />

degree of expertise. Respiratory distress is a relative but not<br />

absolute contraindication to bronchoscopy.<br />

The pulmonary parenchyma can be visualized directly via<br />

thoracotomy or thoracoscopy. Both are invasive procedures<br />

but allow directed tissue biopsy and removal of abnormal<br />

lung tissue. Thoracoscopy may allow shorter recovery times,<br />

but requires specialized equipment and some degree of<br />

expertise. These techniques will mentioned again in part II.<br />

SUGGESTED READING<br />

Textbook of Veterinary Diagnostic Radiology. Thrall D, editor. 4th ed.<br />

Saunders (Elsevier), 2002.<br />

Textbook of Respiratory Disease in Dogs and Cats. King LG, editor. 1st edition,<br />

Missouri, Saunders (Elsevier), 2004.<br />

Author’s Address for correspondence<br />

Leah Cohn - University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Acquired incontinence (usmi urethral sphincter<br />

mechanism incontinence) in the spayed bitch:<br />

etiology and pathophysiology<br />

Susi Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera<br />

Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

Urinary incontinence is the most frequent side effect of<br />

spaying, embarrassing not only to the owner but to the affected<br />

dog itself. The underlying pathophysiological mechanism<br />

of urinary incontinence after spaying is a reduced closure<br />

pressure of the urethra, known as “urethral sphincter mechanism<br />

incompetence (USMI). Within one year after spaying<br />

the urethral closure pressure is significantly reduced.<br />

Because many bitches only become incontinent years after<br />

surgery it took a long time until spaying was considered to be<br />

the cause. In one study, 83 (=20%) of 412 bitches, incontinence<br />

occurred 3 to 10 years after surgery (1).<br />

Risk factors<br />

In <strong>19</strong>78 it was already pointed out that the tendency towards<br />

incontinence after spaying is significantly higher in large dogs<br />

compared to small dogs (5). This was confirmed in our own<br />

study: of 205 bitches with a body weight of less than 20 Kg, <strong>19</strong><br />

(=9%) became incontinent, whereas 64 bitches (=31%) out of<br />

207, weighing more than 20 Kg, were affected (1).<br />

Breed disposition<br />

In one study (1) on the incidence of urinary incontinence<br />

after spaying, 7 breeds were represented by more than 10<br />

animals: German Shepherd (47), Dachshund (36), Boxer<br />

(20), Poodle (15), Spaniel (14), Appenzeller (13) and<br />

Bernese Mountain Dog (12). The incidence of incontinence<br />

in Boxers was very high (65%), but among German Shepherds<br />

(11%) and Dachshunds (11%) was less than the average<br />

for all dogs (20%). Remarkably, there was no incontinence<br />

recorded for the 14 Spaniels and the 12 Bernese<br />

Mountain Dogs (1). Due to the small numbers in other<br />

breeds, no statement can be made about their predisposition<br />

to urinary incontinence. Of the numerous bitches referred to<br />

the Veterinary Animal Hospital in Zurich for the endoscopic<br />

injection of collagen, Doberman Pinschers and Giant<br />

Schnauzers were obviously well represented.<br />

Method of surgery<br />

Some authors assumed that after ovariohysterectomy,<br />

adhesions around the uterine stump could cause some neu-<br />

ronal damage, leading to urinary incontinence (6; 7). However,<br />

there was no significant difference in the incidence of<br />

urinary incontinence between ovarectomised and ovariohysterectomised<br />

bitches. Of 260 ovarectomised bitches <strong>21</strong>%<br />

had urinary incontinence after surgery, whereas of 152 ovariohysterectomised<br />

bitches <strong>19</strong>% became affected (1).<br />

Therefore, the hypothesis of a neuronal damage due to<br />

surgery can be disregarded.<br />

Time of neutering<br />

The question of whether the timing of neutering, before or<br />

after the first heat, or the increasing age of the bitch will alter<br />

the risk of incontinence, is of importance to the practitioner.<br />

An English study showed that 3 (<strong>21</strong>%) of 14 bitches<br />

spayed after puberty became incontinent, but only 1 (0.5%)<br />

of 180 bitches neutered before puberty was affected (8).<br />

Regarding these results, early spaying seems to be advantageous<br />

for urinary incontinence. A study was therefore done<br />

to evaluate the risk of urinary incontinence after spaying<br />

before the first heat (9). 206 owners of early spayed bitches<br />

were questioned on the side effects. The average age of the<br />

bitches was 7 years at the time of the survey. Urinary incontinence<br />

occurred in 9.7% of bitches.<br />

Conclusion:<br />

As a result of early spaying the incidence of incontinence<br />

was greatly reduced. This result was confirmed by a recent<br />

study (10). But, when/if early spayed bitches became incontinent<br />

the degree of severity was markedly increased. This<br />

relative disadvantage of early spaying is negligible when<br />

compared to the benefits, such as lower incidence of urinary<br />

incontinence and the well known protection against mammary<br />

tumours.<br />

Etiology<br />

The causal relationship between the removal of the ovaries<br />

and UI is clearly demonstrated (11). It is still unknown what is<br />

the triggering mechanism of UI after spaying. Initially an estrogen<br />

deficiency after spaying was assumed to be the underlying<br />

cause (6). This hypothesis is contradictory to several observations.<br />

For example bitches treated with depot preparations of<br />

3


gestagens, for suppressing the estrus, have not an increased risk<br />

of UI, although this treatment results in ovarian atrophy and the<br />

estrogen level remains on a basal level (12). Another side effect<br />

after spaying is the increase of plasma gonadotropin levels,<br />

because of the lack of the negative feed back of the ovaries (13).<br />

About 42 weeks after the removal of the ovaries the<br />

gonadotropin levels reach a plateau, whereas the plasma FSHlevel<br />

is 17 times and the plasma LH- level is 8 the initial concentration<br />

(14).<br />

One could therefore ask of whether the elevated FSH- and<br />

LH plasma levels are responsible for the increased risk of UI in<br />

spayed bitches. If this were correct, then affected bitches could<br />

be successfully treated with depot preparations of GnRHanalogs,<br />

through a down-regulation of GnRH-receptors of the<br />

hypophysis and this in turn decreasing the plasma gonadotropin<br />

levels. Indeed, in 7 of 13 bitches suffering from USMI continence<br />

was achieved, for an average of 247 days, with the injection<br />

of GnRH-analogs (15). However, it is questionable whether<br />

the success of this treatment is due to a decrease in<br />

gonadotropin levels as the levels between responders and nonresponders<br />

are not different (16). It is possible that GnRH has a<br />

direct effect on the lower urinary tract, but the success of therapy<br />

is not based on of a normalisation of the urethral sphincter<br />

competence (16). Recent studies in Beagle bitches have given<br />

rise to the assumption that GnRH modulates the bladder function<br />

(16).<br />

References<br />

1. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilk <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

2. Richter KP, Ling GV (). Effects of xylazine on the urethral pressure<br />

profile of healthy dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>85; 46: 1881-1886.<br />

Incidence of incontinence in bitches spayed before / after the first heat:<br />

Comparison of two analogous studies<br />

Examined parameters Incidence after early spaying (9) Incidence after later spaying (1) Statistical analysis early/later spaying<br />

Incidence of incontinence:<br />

- < 20kg body weight 5.1% 9.3%<br />

- > 20kg body weight 12.5% 30.9% SD (p= 0.001)<br />

Type of incontinence:<br />

- only during sleep 35% 98%<br />

- in sleep and awake 60% 2%<br />

- only when awake 5% -- SD (p= 0.000)<br />

Frequency of incontinence<br />

- daily 90% 57%<br />

- 1 x per week 10% 30%<br />

- 1 x per month -- 13% SD (p= 0.018)<br />

Type of operation:<br />

- ovariectomy 8% <strong>21</strong>%<br />

- ovariohysterectomy 15% <strong>19</strong>% NS (p= 0.9)<br />

Time after spaying until<br />

occurrence of incontinence 2.8 years 2.9 years NS (p= 0.9)<br />

SD= Significantly different (p


Medical and surgical treatment of USMI<br />

Susi Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera<br />

Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

The medical treatment of USMI is the method of choice<br />

and should always precede a surgical therapy. The action of<br />

the used substances implies an increase of the urethral closure<br />

pressure. In the first line alpha-adrenergic agonists are<br />

used. The effect of these sympathomimetic drugs ia<br />

explained by the fact, that 50% of the urethral closure pressure<br />

is generated by the sympathetic nervous system. Alphaadrenergic<br />

agonists improve the urethral closure pressure by<br />

stimulation of the alpha-receptors of the smooth urethral<br />

musculature (1-6). The treatment with alpha-adrenergic agonists<br />

results in continence in 75% of incontinent bitches.<br />

An alternative is the treatment with estrogens, which is<br />

successful in 65% (7-9). But with estrogens unwanted side<br />

effects can occur such as swelling of the vulva and attractiveness<br />

for male dogs (8). Nowadays only short-acting<br />

estrogens are used (10). The depot preparations used in the<br />

past are obsolete, in part because they can potentially cause<br />

a bone narrow depression (11). Estrogens indirectly increase<br />

the urethral closure pressure; they sensitise the alpha-receptors<br />

for endogenous and exogenous catecholamines (12). If<br />

therapy with alpha-adrenergic agonists is unsatisfactory, a<br />

combination with estrogens may potentiate the effect.<br />

The alpha-receptors are divided in alpha1- and alpha2subtypes.<br />

These receptor subtypes are distributed differently<br />

in each single effector. Alpha-1 receptors are found in many<br />

target organs of the sympathetic nervous system. With a few<br />

exceptions, alpha-2 receptors are not present in target organs<br />

of the sympathetic nervous system, but in neuronal synapses.<br />

It is now known, that the alpha-receptors at the bladder<br />

neck and proximal urethra of the bitch, which are responsible<br />

for continence, belong to the subtype 1 (13).<br />

The side effects of alpha-adrenergic agonists is explained<br />

by the fact that alpha-1 receptors are not just found at the<br />

bladder neck, but also in other organs, especially in the wall<br />

of blood vessels. Phenylpropanolamine (PPA) acts selectively<br />

on alpha-1 receptors.<br />

The older substance Ephedrine is less selective than PPA.<br />

It also stimulates beta-receptors and therefore has the tendency<br />

to have more side effects (1,2). In contrast to PPA a<br />

habituation to Ephedrine occurs. Because of these reasons<br />

PPA is the therapy of first choice.<br />

In humans treatment with PPA sometimes causes side<br />

effects, such as an increase in blood pressure and headache.<br />

It may occasionally trigger a stroke or a heart attack and is<br />

therefore no longer used. With PPA used in dogs, at the recommended<br />

dose of 1.5 mg/Kg BW bid or tid, an increase in<br />

blood pressure was not observed (4, 14). The side effects<br />

observed in dogs were never life threatening and usually<br />

were self-limiting; diarrhoea, vomiting, anorexia, apathy,<br />

nervousness and aggressiveness (6,7,15).<br />

For refractory cases different surgical therapies are available,<br />

of which colposuspension (16), urethropexie (17) and<br />

the endoscopic injection of collagen (18) are mainly used,<br />

with a success rate of 50 – 75%. With all three techniques a<br />

deterioration in the response rate was seen over time. At our<br />

clinic, we prefer the endoscopic injection of collagen as this<br />

method is least invasive, with a minimal rate of complications<br />

and the results are as good as the more invasive techniques.<br />

Colposuspension (16): The bitch is placed in dorsal<br />

recumbency with the hind limbs flexed. A Foley catheter is<br />

used to empty the bladder. The catheter cuff is inflated with<br />

air and drawn into the neck of the bladder. A caudal, midline,<br />

abdominal skin incision is made. The prepubic tendon<br />

is exposed on both sides of the mid-line. The external pudendal<br />

vessels are identified and avoided. Traction on the bladder<br />

allows the bladder neck to be identified due to the presence<br />

of the inflated Foley catheter cuff. An index finger is<br />

inserted through the vulva and used to displace the vagina<br />

cranially. The fat and fascia around the ventral bladder neck<br />

and proximal urethra are separated until the vaginal wall is<br />

exposed dorso-lateral to the urethra. The vaginal wall is<br />

grasped with Allis tissue forceps on each side of and approximately<br />

one centimetre away from the proximal urethra. The<br />

surgeon withdraws the finger from the vagina and changes<br />

his gloves. The vagina on each side of the proximal urethra<br />

is anchored to the prepubic tendon using two 0 or 1 monofilament<br />

nylon sutures. Sutures are taken through the full<br />

thickness of the vaginal wall and are pre-placed. Before<br />

tying, tension is placed on the sutures to determine that<br />

strangulation of the urethra between the vagina and pubis<br />

would not occur. Once the sutures are tied, a final examination<br />

is performed to confirm that the urethra is freely moveable<br />

between the vagina and pubis and is not compressed in<br />

any way. The beneficial effect of the operation may be the<br />

resultant re-location of the bladder, bladder neck and proximal<br />

urethra into an intra-abdominal position.<br />

Urethropexy (17): A caudal midline celiotomy is performed.<br />

Blunt dissection in the midline is used to visualise<br />

the ventral aspect of the urethra at the level of the cranial<br />

pubic brim. A suture of 2/0 or 0 polypropylene is placed caudal<br />

to one prepubic tendon so that it enters the caudal<br />

5


abdomen. While traction is applied to the bladder neck and<br />

urethra via the bladder neck stay suture, the polypropylene<br />

suture is passed transversely through the muscular layers of<br />

the adjacent urethra. Once placed trough the urethra, the<br />

suture is passed caudal to the opposite prepubic tendon and<br />

out of the abdominal cavity. The suture ends are hold together<br />

wit a pair of haemostatic forceps. The procedure is repeated,<br />

with a second polypropylene suture being placed through<br />

the urethral wall approximately 3 to 5 mm cranial to the first.<br />

Both the polypropylene sutures are now tied. This results in<br />

the closure of the most caudal aspect of the celiotomy incision<br />

and fixation of the urethra to the ventral abdominal wall<br />

at the end of the cranial pubic brim. The mechanism of<br />

action remains uncertain, although re-location of the bladder<br />

neck into an intra-abdominal position and the production of<br />

a localised increase in urethral resistance are likely consequences<br />

of the procedure.<br />

Urethral submucosal injection of collagen (18): The<br />

goal of treatment is to enhance the closure of the proximal<br />

urethra. Under general anaesthesia, the patient is placed in<br />

dorsal recumbency with the hindlimbs extended cranially.<br />

Then under cystoscopic control three collagen deposits<br />

(Zyplast®, Collagen International Inc. Lausanne, Switzerland)<br />

are injected in a circular manner approximately 1.5 cm<br />

caudal to the bladder neck (18). In <strong>19</strong> of 32 (=59%) bitches<br />

urinary incontinence resolved with a single collagen injection,<br />

but 5 bitches still needed phenylpropanolamine for<br />

complete continence. A second injection was performed in 9<br />

dogs, of which 5 became continent, including two bitches<br />

with additional medication. The final success rate was 75%.<br />

An aim of a recent study was to evaluate the long-term success<br />

of the endoscopic injection of collagen. After a mean<br />

observation period of 33 months the final success rate was<br />

68% (<strong>19</strong>).<br />

References<br />

1. Awad SA, Downie JW, Kirulata HG. Alpha-adrenergic agents in urinary<br />

disoders of the proximal urethra. Part I Sphincteric incontinence.<br />

Br J Urol <strong>19</strong>78; 50: 332-335.<br />

2. Awad SA, Downie JW. The effect of alpha-adrenergic drugs and<br />

hypogastric nerve stimulation on the canine urethra. A radiologic and<br />

urethral pressure study. Invest Urol <strong>19</strong>76; 13: 298-301.<br />

3. Gillberg PG, Fredrickson MG, Öhman BM, Alberts P. The effect of<br />

Phenylpropanolamine on the urethral pressure and heart rate is retained<br />

after repeated short-term administration in the unanaesthetized,<br />

conscious Dog. Scand J Urol Nephrol <strong>19</strong>97; 32: 171-176.<br />

4. Hensel P, Binder H, Arnold S. Einfluss von Phenylpropanolamin<br />

und Ephedrin auf den urethralen Verschlussdruck und den arteriellen<br />

Blutdruck bei kastrierten Hündinnen. Kleintierpraxis 2000; 45:<br />

569-656.<br />

5. Richter KR, Ling GV. Clinical response and urethral pressure profile<br />

changes after Phenyolpropanolamine in dogs with primary sphincter<br />

incompetence. JAVMA <strong>19</strong>85; 187: 605-610.<br />

6. White RAS, Pomeroy CJ. Phenylpropanolamine: an α-adrenergic<br />

agent for the management of urinary incontinence in the bitch associated<br />

with urethral sphincter mechanism incompetence. Vet Rec<br />

<strong>19</strong>89; 125: 478-480.<br />

7. Arnold S, Arnold P, Hubler M, Casal M, Rüsch P. Incontinentia urinae<br />

bei der kastrierten Hündin: Häufigkeit und Rassedisposition.<br />

Schweiz Arch Tierheilkd <strong>19</strong>89; 131: 259-263.<br />

8. Mandingers RJ, Nell T. Treatment of bitches with acquired urinary<br />

incontinence with Oestriol. Vet Rec 2001; 149:764-767.<br />

9. Nendick PA, Clark WT. Medical therapy of urinary incontinence in<br />

ovariectomised bitches: a comparison of the effectiveness of Diethylstilboestrol<br />

and Pseudoephedrin. Aust Vet J <strong>19</strong>87; 64(4): 117-118.<br />

10. Janszen BPM, van Laar PH, Bergman JGHE. Treatment of urinary<br />

incontinence in the bitch: A pilot field study with Incurin®. Vet Q<br />

<strong>19</strong>97; <strong>19</strong>: 42.<br />

11. Teske E. Estrogen-induced bone marrow toxicity. In: R.W. Kirk<br />

(Ed.). Current Veterinary Therapy IX, Philadelphia, W.B. Saunders<br />

Co., <strong>19</strong>84; pp.495-498.<br />

12. Schreiter F, Fuchs P, Stockamp K. Estrogenic sensitivity of alphareceptors<br />

in the urethra musculature. Urol int <strong>19</strong>76; 31: 13-<strong>19</strong>.<br />

13. Shapiro E, Lepor H. Alpha1-adrenergic receptors in canine lower<br />

genitourinary tissues: Insight into development and function. Urology<br />

<strong>19</strong>87; 138:979-983.<br />

14. Scott L, Leddy M, Berney F, Davot JL. Evaluation of Phenypropanolamine<br />

in the treatment of urethral sphincter mechanism incompetence<br />

in the bitch. J Small Anim Pract 2002; 43: 493-496.<br />

15. Blendinger C, Blendinger K, Bonstedt H. Die Harninkontinenz nach<br />

Kastration bei der Hündin. 2. Mitteilung: Therapie. Tierarztl Prax<br />

<strong>19</strong>95; 23: 402-667.<br />

16. Holt, PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: surgical treatment. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85, 26:<br />

237-246.<br />

17. White RN. Urethropexy for the management of urethral sphincter<br />

mechanism incompetence in the bitch. J Small Anim Pract 2001, 42:<br />

481-486.<br />

18. Arnold S, Hubler M, Lott-Stolz GH, Rüsch P. Treatment of urinary<br />

incontinence in bitches by endoscopic injection of glutaraldehyde<br />

cross-linked collagen. J Small Anim Pract <strong>19</strong>96, 37: 163-168.<br />

<strong>19</strong>. Barth A, Reichler IM, Hubler M, Haessig M, Arnold S. Evaluation of<br />

long-term effects of endoscopic injection of collagen into the urethral<br />

submucosa for treatment of urethral sphincter incompetence in female<br />

dogs: 40 cases (<strong>19</strong>93-2000). JAVMA 2005, 226: 73-76.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol<br />

Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260<br />

8057 Zurich - Switzerland<br />

6


Urinary incontinence in male dogs<br />

Susi Arnold<br />

Prof Dr Med Vet, Dipl ECAR, Zurigo, Svizzera<br />

Reichler Iris, Med Vet, Zurigo, Svizzera<br />

Hubler Madeleine, Med Vet, Dipl ECAR Zurigo, Svizzera<br />

In contrast to bitches, urinary incontinence in male dogs<br />

is rarely observed. In a study of 65 dogs with USMI only 5<br />

patients (7.5%) were male (1).<br />

The clinical workup of incontinent male dogs is principally<br />

performed according to the same schedule for incontinent<br />

bitches, but some sex specific features have to be evaluated.<br />

For example, the loss of prostatic secretions can mimic<br />

urinary incontinence. Prostate diseases, such as prostatitis,<br />

prostatic cyst, neoplasia and cystitis, must be first ruled out.<br />

Also to be ruled out are ectopic ureters in male dogs, a congenital<br />

malformation that often first causes urinary incontinence<br />

when the dog is of an advanced age. Another congenital<br />

malformation resulting in urinary incontinence, already<br />

during puppyhood, is a megaurethra. Most often this malformation<br />

is accompanied by prostatic aplasia.<br />

In male dogs USMI represents only 13% of the cases with<br />

urinary incontinence, while in bitches it makes up 44% (1).<br />

As in bitches the clinical examination and laboratory analyses<br />

are also normal in male incontinent dogs. Also, as in<br />

bitches urinary incontinence is an acquired disease whose<br />

underlying cause is unclear (2).<br />

In contrast to bitches about half of the male dogs affected<br />

by USMI are intact.<br />

In bitches the entire urethra is responsible for the generation<br />

of the urethral closure (3, 4). However, in males has<br />

been found, through clinical experience, that only the proximal<br />

quarter, represented by the pars prostatica and pars<br />

membranacea, is responsible for continence.<br />

Thus, voluntary control of urination is maintained, even<br />

patients affected by urolithiasis of the lower urinary tract<br />

where a permanent urethrostomy has to be performed at the<br />

pars spongiosa, or even at a perineal location (5). Surgery at<br />

the transition from the pars membranacea to the pars spongiosa<br />

normally does not result in incontinence. Nevertheless,<br />

surgery performed in the area of the pars membranacea may<br />

lead to a transient incontinence (6) and operations of the<br />

proximal urethra, for example removal of the prostate, are<br />

regularly accompanied by incontinence (7).<br />

USMI in male dogs is not exclusively observed in association<br />

with surgery of the urethra. For unknown reasons the<br />

urethral closure function spontaneously deteriorates, leading<br />

to uncontrolled loss of urine.<br />

The diagnosis of USMI is established by ruling out other<br />

causes, or it may be confirmed through a urethral pressure<br />

profile. In a study of 5 continent male dogs, the maximum<br />

urethral closure pressure within the area of the<br />

prostate was 20.0 + 10.3 cm H2O. In 14 male dogs affect-<br />

ed by USMI the maximum urethral closure pressure was<br />

significantly lower, 13.9 + 5.7 cm H2O. In contrast, in the<br />

area of the pars membranacea the maximum urethral closure<br />

pressure was not significantly different (7.5 + 3.8 cm<br />

H2O vs.7.4 + 3.1 cm H2O) (8). These results support the<br />

diagnosis of „urethral sphincter incompetence“ in incontinent<br />

male dogs and are in agreement with clinical experience,<br />

and indicate that the functional integrity of the prostatic<br />

area is especially important for continence.<br />

Neither in male dogs, nor in bitches, is the urethral closure<br />

generated by an anatomically defined urethral sphincter. It is<br />

entirely dependent upon the co-operation of different physiological<br />

mechanisms. These can be divided into neuromuscular<br />

and non-neuromuscular components. About 60% of<br />

the urethral closure function is attributed to neuromuscular<br />

components (9) and is mainly controlled by the sympathetic<br />

nervous system. The remaining 40% is attributed to the nonneuromuscular<br />

components. Because of the relatively large<br />

contribution of the sympathetic nervous system to the urethral<br />

closure it is obvious why the treatment with alphaadrenergic<br />

substances is often successful in bitches. Similar<br />

success rates would be expected in male dogs as there are no<br />

significant differences between the two sexes in the urethral<br />

wall anatomy or the physiological mechanisms. However,<br />

the clinical experience does not correspond to the expectations:<br />

In a study of 12 incontinent dogs (8) only 4 of them<br />

responded to the treatment with phenypropanolamine. The<br />

treatment with sex-steroids also showed questionable<br />

results. The last hope is therefore often surgery.<br />

Deferentopexy / prostatopexy: An effect similar to colposuspension<br />

in bitches can be obtained in male dogs by fixating<br />

the deferent ducts or the prostate to the abdominal wall.<br />

This technique is reported in 8 dogs (10, 11). Using classical<br />

surgery with a caudal midline approach, the distal ends of<br />

both deferent ducts are located at the internal os of the<br />

inguinal canal and then gently pulled forward (thus stretching<br />

the urethra cranially) and moved laterally reaching an angle<br />

of 60° to the midline. The deferent ducts are then pexied to<br />

the lateral abdominal wall in a position perpendicular to the<br />

celiotomy and 1/3 of the distance between the midline and<br />

the lateral aspect of the vertebral column. The pexying technique<br />

includes making an incision in the rectus abdominis<br />

muscle, then penetrating bluntly the abdominal wall with a<br />

hemostatic forcep, grasping the end of the deferent, pulling it<br />

through the abdominal wall and anchoring it to the body wall<br />

under a moderate degree of tension so that the prostate gland<br />

is moved about 1 cm cranially. A pexying technique for the<br />

7


prostate, which is anchored to the prepubic tendon on either<br />

side of the urethra, is also reported in 2 dogs (12).<br />

Following prostatopexy (12) or deferentopexy (10) both<br />

the success rate (4/9 dogs were fully continent without medical<br />

treatment, 4/9 still needed some medical treatment to<br />

achieve full continence, with no improvement in one case),<br />

as well as the cranial shift of the bladder neck (from 5 to 50<br />

mm), were similar when compared to colposuspension (13).<br />

At our clinic we treated male dogs suffering from USMI<br />

with an endoscopic collagen injection into the urethral submucosa.<br />

For this a midline incision and a cystotomy are necessary<br />

as the endoscope is not flexible and cannot be introduced<br />

via the penis. The collagen depots are placed at the<br />

middle of the prostatic area, which is well recognised at the<br />

intraluminally elevated culicula seminalis. To prevent the<br />

risk of an iatrogenically caused prostatitis, intact male dogs<br />

with USMI have to be castrated 3 weeks before the procedure.<br />

The success rate of the collagen injection is similar to<br />

the more invasive surgical techniques, but with a much lower<br />

rate of complications.<br />

References<br />

1. Holt PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: prevalence in referred dogs and retrospective<br />

analysis of sixty cases. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85; 26: 181-<strong>19</strong>0.<br />

2. Barsanti JA, Finco, DR (<strong>19</strong>83). Hormonal responses to urinary incontinence.<br />

In: R. W. Kirk (Hrsg.): Current Veterinary Therapy VIII. Philadelphia:<br />

W. B. Saunders Co., 1086-1087.<br />

3. Tanagho EA, Meyers FH, Smith DR. Urethral resistance: Its components<br />

and implications. I. Smooth muscle component. Invest Urol<br />

<strong>19</strong>69: 7: 136-149.<br />

4. Tanagho EA, Meyers FH, Smith DR. Urethral resistance: Its components<br />

and implications. II. Striated muscle component. Invest Urol<br />

<strong>19</strong>69: 7: <strong>19</strong>5-205.<br />

5. Stone EA (<strong>19</strong>90): Urethra. In: M.J. Bojrab (Ed.). Current techniques<br />

in small animal surgery. Philadelphia: Lea and Febiger, 379-392.<br />

6. Yoshioka MM, Carb A. Antepubic urethrostomy in the dog. JAAHA<br />

<strong>19</strong>82; 18: 290-294.<br />

7. Basinger RR, Rawlings CA, Basanti JA Urodynamic alterations after<br />

prostatectomy in dogs without clinical prostatic disease. Vet Surg<br />

<strong>19</strong>87; 16; 405-410. 87.<br />

8. Kupper JR. Urethradruckprofile bei gesunden und harninkontinenten<br />

Rüden. Inaugural-Dissertation Universität Zürich, <strong>19</strong>95.<br />

9. Downie JW, Awad SA. Role of neurogenic factors in canine urethral<br />

wall tension and urinary continence. Invest Urol <strong>19</strong>76; 14: 143-147.<br />

10. Weber U, Arnold S, Hubler M, Kupper JR. Surgical treatment of male<br />

dogs with urinary incontinence due to urethral sphincter mechanism<br />

incompetence. Vet Surg <strong>19</strong>97; 26: 51-56.<br />

11. Salomon JF, Cotard JP, Viguier E. Management of urethral sphincter<br />

mechansim incompetence in a male dog with laparoscopic-guided<br />

deferentopexy. J Small Anim Pract 2002; 43: 501-505.<br />

12. Aaron A, Eggleton K, Power C, Holt PE. Urethral sphincter mechanism<br />

incompetence in male dogs: a retrospective analysis of 54 cases.<br />

Vet Rec <strong>19</strong>96; 139: 542-546.<br />

13. Holt, PE. Urinary incontinence in the bitch due to sphincter mechanism<br />

incompetence: surgical treatment. J Small Anim Pract <strong>19</strong>85, 26:<br />

237-246.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Prof. Dr. Susi Arnol - Dept. of Animal Reproduction<br />

Vetsuisse-faculty University of Zurich<br />

Winterthurerstr, 260 - 8057 Zurich Switzerland<br />

8


Inhalational delivery of medications to dogs and cats<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Inhalational therapies have widespread use in human<br />

medicine but are used less often in veterinary medicine.<br />

Interestingly, most published studies of inhalational therapy<br />

in veterinary medicine focus on equine medicine. Advantages<br />

of inhaled delivery of medication include reduced systemic<br />

side effects when medications are applied directly to<br />

target respiratory tissues, higher drug concentrations at targeted<br />

respiratory tissues than might be achieved through<br />

systemic administration, a rapid onset of action, and avoiding<br />

hepatic first pass metabolism. Inhalational therapies<br />

have become the therapies of choice for treating asthma in<br />

humans largely because far fewer systemic side effects occur<br />

after inhalational as opposed to systemic therapy.<br />

Of course, the inhalational route of administration is not<br />

perfect. A major function of the respiratory defenses is to<br />

prevent particulates from reaching the lower airways. Efficient<br />

removal of particulates means that only a small proportion<br />

of the administered medication reaches the lower<br />

airways with much drug lost in the device or in the oropharynx.<br />

The drug administration devices are designed to be<br />

used by humans on a voluntary basis, and several require<br />

purposeful respiration and breathe holding. Additionally,<br />

respiratory depth and rate, tidal volume, and airflow rates all<br />

impact drug delivery by the aerosol route and all may be<br />

impacted by respiratory disease. Drugs themselves or<br />

preservatives contained in the drug preparation may cause<br />

airway irritation and possible bronchoconstriction.<br />

There are two major categories of devices designed to<br />

deliver drugs by aerosolization and subsequent inhalation.<br />

These include nebulizers and metered dose inhalers (MDI).<br />

The two are quite distinct devices, and have distinct uses. In<br />

general, nebulizers deliver much smaller particles allowing<br />

deeper respiratory penetration and provide fluid along with<br />

drug. Uses for inhalation therapy include systemic disease as<br />

well as respiratory disease. Recently inhaled insulin has<br />

been approved for the management of diabetes mellitus in<br />

people. Aerosolized delivery has also been used for targeted<br />

chemotherapy of metastatic and primary lung tumors, for<br />

vaccine deliver, for gene therapy, and even to treat pulmonary<br />

hypertension.<br />

Nebulizers<br />

Nebulizers utilize compressors to generate relatively high<br />

air pressures and flow rates; modifications of the basic system<br />

exist to improve delivery or modulate particle size. Standard<br />

nebulizers are available in portable sizes of a modest<br />

price, certainly suitable for use in veterinary hospitals and<br />

even practical for at-home use by owners (e.g., Nebulair Vet-<br />

erinary Portable Ultrasonic Nebulizer®, DVM Pharmaceuticals,<br />

and many portable products for the human market).<br />

In veterinary medicine, the predominant use of nebulizers<br />

is for treatment of respiratory infection. Nebulizers have<br />

long been used to provide airway humidification or to<br />

administer antimicrobials directly into the respiratory tract.<br />

Mucolytic agents (e.g., N-acetylcysteine) have also been<br />

nebulized to treat animals with respiratory infection. Sterile<br />

saline nebulization without antimicrobial drugs for 15-30<br />

minutes at a time, administered 3-4 times per day, is safe and<br />

the author’s impression is that this is a useful therapy for<br />

pneumonia. There are antimicrobial drugs which do not contain<br />

potentially reactive additives or preservatives made<br />

especially for nebulization to people with pneumonia but<br />

these are expensive. Veterinarians sometimes nebulize<br />

aminoglycoside antibiotics made for parenteral use. There<br />

are no well established guidelines for dosing but typically<br />

the dose that would be used systemically is diluted in saline<br />

and nebulized over a single 15-30 minute session. From 5 to<br />

10% of patients may experience bronchoconstriction. Therefore,<br />

bronchodilators may be administered by parenteral<br />

routes 15 minutes prior to nebulization or via an initial period<br />

of nebulization with the bronchodilator added directly to<br />

the nebulized fluid before the addition of the antimicrobial<br />

drug. Delivery of antimicrobials should not replace systemic<br />

antimicrobials in animals with pneumonia.<br />

Nebulization can be accomplished by face mask, by tent,<br />

in a closed aquarium type container into which the animal is<br />

placed, or into a tracheotomy tube. The device must be kept<br />

meticulously clean to avoid causing iatrogenic respiratory<br />

infection. Nebulization of a nosocomial Pseudomonas, for<br />

instance, could have devastating consequences for an animal<br />

with compromised respiratory function.<br />

Metered dose inhalers<br />

Metered dose inhalers (MDI) are designed for at home use<br />

and are the preferred route of delivery for glucocorticoid and<br />

bronchodilator medications in humans with asthma. They<br />

are also used to treat cats with bronchopulmonary diseases<br />

(eg, asthma) and dogs with chronic bronchitis. Particles<br />

delivered by MDI are larger than those created by nebulization<br />

and thus do not penetrate as deeply. A MDI consists of<br />

a mouthpiece and an actuator (holder) into which a canister<br />

of medication is inserted. Manually depressing the canister<br />

results in the release of a single dose of medication. People<br />

shake the canister, exhale deeply, insert the mouth piece, and<br />

simultaneously depress the canister and inhale deeply. They<br />

then hold their breath, exhale, and rinse the mouth and spit<br />

9


to remove the majority of the drug deposited in the oropharynx<br />

(only ~10% of each dose reaches the airways).<br />

Devices called spacers designed to fit the MDI have<br />

allowed their adaptation for use in animals. These devices<br />

were not designed for veterinary use but rather for young<br />

children, the elderly, or others with less than ideal coordination.<br />

The spacer also has the advantage of allowing the<br />

largest particles to fall out and not enter the patient’s<br />

mouth. Several types of spacers are available, from simple<br />

tubes to holding chambers with one-way valves activated<br />

by inhalation.<br />

Until recently, all MDI used chlorofluorocarbons as propellants.<br />

Concerns about the ozone layer have led to new<br />

technologies, including alternate propellants and the use of<br />

dry powder inhalers (DPI). The DPI devices contain no propellant<br />

but rely on the patient’s inhalation through a reservoir<br />

containing the dry power dose. These devices will likely<br />

be less useful for veterinary patients since they do not use<br />

a spacer and require voluntary inhalation of a certain rate to<br />

deliver the drug.<br />

For veterinary patients, the most common use of MDI is<br />

delivery of corticosteroids (e.g., fluticasone propionate;<br />

Flovent 110 or 220 µg/actuation) or albuterol bronchodilators<br />

(e.g., Ventolin or Proventil 90 µg/actuation). Not all<br />

MDI fit all spacers, so it is important to be sure the device<br />

will work with the MDI prescribed. There are spacer devices<br />

made specifically for veterinary patients (Aerokat®;<br />

aerokat.com), or devices for people can be adapted for veterinary<br />

use. In the author’s experience, few owners have<br />

trouble administering the inhaled medication in this fashion.<br />

10<br />

In fact, many owners have commented that aerosol therapy<br />

is far simpler than “pilling” their cat.<br />

There are no scientific studies reporting on the efficacy of<br />

either steroids or albuterol delivered by MDI in animals.<br />

There is only a single published study demonstrating the<br />

ability to deliver particles to the lower airways in conscious,<br />

unsedated cats via aerosol, and this study used a nebulizer<br />

device designed to create smaller (and therefore more deeply<br />

penetrable) particles than would a MDI. Because of the<br />

many questions still surrounding efficacy of delivery by<br />

MDI, these drugs should be used as adjuncts in the treatment<br />

of animals with more than mild disease symptoms. Concomitant<br />

use of inhaled and systemic steroids may allow<br />

minimization of systemic dosages. Once signs are controlled,<br />

a trial of aerosolized medications without concurrent<br />

systemic medications can be attempted.<br />

SUGGESTED READINGS<br />

Schulman RL, et al. Investigation of pulmonary deposition of a nebulized<br />

radiopharmaceutical agent in awake cats. Am J Vet Res. 65(6):806-<br />

809. 2004.<br />

Pongracic JA. Asthma medications and how to use them. Curr Opin Pul<br />

Med. 6(1):55-8, 2000.<br />

Padrid P. Feline asthma: diagnosis and treatment. Vet Clin N Am. 30(6);<br />

1279-1294, 2000.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn - University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Diagnostic investigation of lung disease - I part<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

There are many techniques available for diagnosis of animals<br />

with pulmonary disease. Before deciding which techniques<br />

are most appropriate, the first question must be<br />

whether pulmonary disease is present at all. Extrapulmonary<br />

respiratory disease, neurologic disorders, acid-base disturbances,<br />

metabolic and endocrine disease can mimic pulmonary<br />

disease. History and physical examination are key in<br />

localization of disease to the pulmonary parenchyma. Additionally,<br />

routine laboratory data base information such as<br />

CBC, serum biochemistry profile, urinalysis, fecal examinations,<br />

and even serologic tests will help rule out non-pulmonary<br />

causes of disease and occasionally identify a specific<br />

pulmonary diagnosis.<br />

There are a variety of testing methodologies that provide<br />

information directly relevant to pulmonary disease. These<br />

tests include functional studies, imaging studies and direct<br />

visualization of the airways, and invasive studies to collect<br />

samples for cytologic and microbiologic analysis.<br />

FUNCTIONAL ASSESSMENT<br />

Oxygenation is assessed by observation of mucus membrane<br />

color, measurement of arterial blood oxygen tension,<br />

or measurement of hemoglobin – oxygen saturation.<br />

Hypoxemia exists when arterial oxygen tension falls below<br />

85%. Observation of mucus membranes for cyanosis is<br />

safe, non-invasive, and cost free, but is insensitive.<br />

Cyanosis is not apparent until PaO 2 falls to 50% or less.<br />

Because cyanotic membrane color depends on an absolute<br />

amount of unsaturated hemoglobin, anemic animals may<br />

not ever become cyanotic.<br />

Arterial blood gas assay is a more sensitive way to detect<br />

hypoxemia. Measurement of PaO 2 provides assessment of<br />

hypoxemia and the need for supplemental oxygen support,<br />

can be used to monitor response to therapy, and can provide<br />

evidence of ventilation/perfusion mismatching when the<br />

alveolar-arterial gradient is increased ((150 - PaCO 2) -<br />

PaO 2) >20). Additional useful information provided by arterial<br />

blood gas measurement includes acid-base status and<br />

evaluation of ventilation. Arterial blood obtained for blood<br />

gas measurement must be assayed quickly, and thus<br />

requires special equipment. Coagulopathy is a relative contraindication.<br />

Pulse oximetry assesses the oxyhemoglobin content of<br />

perfused tissues and can be used to asses the need for and<br />

response to oxygen therapy. It is completely non-invasive,<br />

risk free, and affordable. Results are nearly immediate, and<br />

continuous monitoring of pulse oximetry is possible. Interference<br />

is possible due to motion, probe positioning, and<br />

other factors. Normal SpO 2 should be >95%. A SpO 2 of 90%<br />

is roughly equivalent to a PaO 2 of 60%, but the information<br />

generated by pulse oximetry is not identical to the information<br />

generated by arterial blood gas assay.<br />

True pulmonary function tests assess the ability to move<br />

air and exchange gasses. Techniques include tidal breathing<br />

flow volume loops, plethysmography, spirometry, capnograpy,<br />

and others. These types of test are widely used in<br />

human medicine but rarely in veterinary medicine. Pulmonary<br />

function tests require specialized equipment and<br />

many of the most important measures cannot be performed<br />

on conscious animals.<br />

Capnography does enjoy widespread use in veterinary<br />

medicine to assay breath carbon dioxide concentration as a<br />

measure of hypoventilation and physiologic dead space in<br />

anesthetized or ventilated patients.<br />

IMAGING<br />

11<br />

The single most useful tool in the evaluation of animals<br />

with lung disease is radiographic imaging. Radiography is<br />

simple, safe, and cost efficient and offers tremendous potential<br />

information with only severe dyspnea as a contraindication.<br />

Images can be stored indefinitely allowing for consultation<br />

with experts.<br />

There are minimum sizes before lesions are noticeable,<br />

and differences in opacity between the lesion and surrounding<br />

tissue must exist to visualize lesions. Radiation exposure<br />

is a disadvantage.<br />

Radiography requires attention to detail and technique.<br />

Techniques appropriate to lungs require a longer gray-scale<br />

(i.e., short MAS, high KVP). A too dark or too light technique<br />

can easily hide lesions. Positioning should include the<br />

entire thorax. Inspiratory images are best for evaluation of<br />

pulmonary parynchema, but both inspiratory and expiratory<br />

images may be required to demonstrate intrathoracic airway<br />

collapse. When trying to demonstrate pulmonary mass<br />

effects, both right and left lateral views as well as a DV or<br />

VD view are required since the “down” lung is somewhat<br />

compressed. Computerized or digital radiography uses<br />

smaller amounts of radiation and produces images on a computer<br />

screen. Contrast and brightness can be adjusted and<br />

images can be shared immediately via internet or can be<br />

printed to radiographic film.<br />

Interpretation of thoracic radiographs begins with assessment<br />

of positioning and technique. Extrapulmonary structures<br />

are evaluated. When evaluating the lung fields themselves,<br />

note should be made of the lung patterns (alveolar,<br />

bronchiolar, interstitial, vascular, combination), the location


Diagnostic investigation of lung desease - II part<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

There are several ways to obtain samples from the lower<br />

respiratory tract for cytologic evaluation and microbiologic<br />

culture. Samples should be handled quickly and gently to<br />

avoid damaging cells. Lavage samples should be sedimented<br />

and a gentle line smear prepared and allowed to air dry.<br />

Cultures should be performed quantitatively since airways<br />

are not necessarily sterile. It is important to interpret culture<br />

in light of cytologic findings because bacterial growth in the<br />

absence of inflammation may be unimportant. Special<br />

requests and/or sample handling are required for anaerobic<br />

culture and culture of Mycoplasma sp. or fungal organisms.<br />

SAMPLING TECHNIQUES<br />

Tracheal lavage is indicated for diagnosis of large airway<br />

disease or to obtain microbiologic and cytologic samples in<br />

animals with productive pneumonia. It is rarely useful in<br />

the diagnosis of interstitial lung disease. It is a relatively<br />

safe, simple, inexpensive technique that requires no special<br />

equipment.<br />

Endotracheal lavage is best for cats and small dogs. It<br />

requires a brief general anesthesia but is simple to perform<br />

and complications are rare. The animal is intubated and a<br />

sterile rubber catheter is advanced through the endotracheal<br />

tube until its tip is at the level of the carina (~ 4th intercostal<br />

space). Five ml of sterile saline is injected rapidly then aspirated<br />

back. The procedure is repeated 2-3 times. As soon as<br />

adequate diagnostic samples (1-2 ml of turbid fluid) are<br />

recovered, anesthesia is discontinued. Oxygen is administered<br />

via the endotracheal tube until a laryngeal reflex has<br />

returned, and the animal is observed afterwards.<br />

Transtracheal lavage is used instead of endotracheal<br />

lavage in larger dogs and does not require anesthesia. A SQ<br />

injection of lidocaine is used, and sometimes a mild sedative.<br />

Rare complications include tracheal lacerations, SQ<br />

emphysema, pneumomediastinum, and possible tracheal<br />

foreign body if the catheter tip is sliced. The dog is<br />

restrained in a sitting position with the nose tilted towards<br />

the ceiling at a 45 o angle. The ventral neck is clipped and<br />

cleaned, and a small bleb of lidocaine placed. A “through the<br />

needle” jugular catheter is used. Needle insertion can be<br />

between any two tracheal rings depending on catheter length<br />

to allow it to reach the carina. Grasping the trachea to stabilize<br />

it, insert the needle (bevel downward) through the lidocaine<br />

skin bleb first and then between the cartilage rings<br />

with a rapid stabbing motion. The needle is held downward<br />

into the tracheal lumen and the catheter advanced through<br />

the needle. The dog should cough rather than gag. NEVER<br />

back the catheter out through the needle as it may be sheared<br />

13<br />

off by the needle bevel. Once the catheter has reached level<br />

of the carina, the needle is backed out of the trachea and the<br />

guard clamped while leaving the catheter in place. A syringe<br />

containing 5-8 ml of sterile saline is attached to the catheter<br />

and rapidly injected. If the dog fails to cough an assistant<br />

should coupage the chest. Fluid should be aspirated back<br />

quickly. This is repeated several times with the goal to<br />

recover only a small fraction of the injected fluid (1-2 ml).<br />

After removing the needle and catheter the neck is loosely<br />

wrapped and the dog observed.<br />

Bronchoalveolar lavage (BAL) is indicated for the diagnostic<br />

evaluation of small airway disease and alveolar disease,<br />

and sometimes interstitial lung disease. The samples<br />

produced by BAL come from deeper areas of lung and distal<br />

airways (as demonstrated by foamy surfactant). They<br />

provide excellent samples for cytologic and microbiologic<br />

evaluation but BAL requires general anesthesia, causes transient<br />

hypoxemia, and can induce bronchospasm. Respiratory<br />

distress is a relative contraindication.<br />

BAL may be accomplished in a blinded method or bronchoscopically<br />

guided. The blinded method requires no special<br />

equipment and is simple and inexpensive. The bronchoscopically<br />

guided method allows lavage of specific areas of<br />

the lung and also allows direct observation of the airways but<br />

requires special equipment and expertise. Blinded BAL is<br />

most useful for generalized lung disease (eg, asthma). As<br />

with endotracheal lavage, the animal is anesthetized and preoxygenated<br />

before cleaning passing a sterile tube through<br />

the endotracheal tube. Instead of a rubber catheter, a stiff<br />

polypropylene catheter (7-8 Fr for cats) is inserted past the<br />

carina until it encounters resistance indicating that it is<br />

wedged in a bronchus. There is no way of guiding it to a specific<br />

bronchus or even a specific lung lobe. Sterile saline is<br />

injected and recovered in the same fashion as for endotracheal<br />

wash. Fluid recovery may be facilitated by the use of<br />

a mucus suction trap. A foamy liquid indicates surfactant<br />

which is evidence of a good wash. Supplemental oxygen<br />

should be given during anesthetic recovery and cats should<br />

receive a bronchodilator. Bronchoscopically guided BAL<br />

uses the scope to collected guided samples from a specific<br />

lung lobes and is therefore preferred with regional disease.<br />

Instead of using a catheter scope itself is lodged into a distal<br />

airway and used to both inject and collect fluid. Aliquots<br />

from different lobes can be kept separate.<br />

Sterile bronchial brush samples can be used for both culture<br />

and cytology of the airways and can be obtained in a<br />

blinded or bronchoscopically guided fashion. The samples,<br />

which are vastly smaller than those produced by BAL, are<br />

only useful for airway or productive alveolar disease. The<br />

brush itself is expensive making this procedure more costly


than BAL. The only advantage over BAL is that the quick<br />

procedure does not cause hypoxemia.<br />

Transthoracic (fine) needle aspiration of the lung is most<br />

useful for cytologic evaluation of pulmonary nodules, consolidated<br />

lung or masses, or for diffuse severe lung disease.<br />

Cytology may confirm neoplasia or infection but tiny samples<br />

are often non-diagnostic. Contraindications include<br />

coagulopathy, abscess, pulmonary hypertension, and cystic<br />

lesions. Ideally, aspirate is guided by imaging studies but if<br />

disease is diffuse the caudal lobes are targeted. Aspiration<br />

requires only manual restraint and is quick, simple and inexpensive.<br />

A 22 ga needle attached to syringe is inserted<br />

through the skin caudal to the intended site of aspiration.<br />

The needle is advanced in the subcutaneous tissue to the<br />

front of the next rib then quickly inserted through the intercostal<br />

muscles into the pulmonary parenchyma. Negative<br />

pressure is applied to the syringe several times in quick succession<br />

without moving the needle. The needle is pulled out<br />

and the aspirated material is used to prepare a gentle smear<br />

for cytologic examination. Samples are usually inadequate<br />

for culture. Complications are rare but may include pneumothorax,<br />

hemothorax, hemorrhage, and organ, vessel, or<br />

nerve laceration.<br />

HISTOLOGIC SAMPLING<br />

Lung biopsy is used when less invasive methods fail to<br />

produce a diagnosis and can be combined with lobectomy<br />

when a single lobe is diseased. Biopsy is especially useful in<br />

the diagnosis of interstitial lung disease. Only biopsy can<br />

provide information on architecture of the lung, including<br />

fibrosis. There are several techniques but all are invasive and<br />

14<br />

require anesthesia. These include open thoracotomy (ventral<br />

or lateral), keyhole surgery, or thoracoscopy. Coagulopathy<br />

and anesthetic intolerance are relative contraindications to<br />

any type of lung biopsy. Complications include laceration,<br />

hemorrhage, and pneumothorax as well as surgical site<br />

infection.<br />

Thoracotomy allows optimum visualization and tactile<br />

evaluation of tissue as well as the best control of hemorrhage<br />

or bronchial leakage. It is preferred if removal of a lobe is<br />

anticipated. It is the most expensive, invasive procedure and<br />

requires the longest post-operative recovery.<br />

Lateral keyhole thoracotomy uses a much smaller incision<br />

and requires less anesthetic and recovery time. However, it<br />

does not allow full exploration of the lungs and lobectomy is<br />

more difficult with a key hole approach.<br />

Thoracoscopy is less invasive than thoracotomy but may<br />

require longer anesthesia time than the keyhole biopsy<br />

method. It allows visualization of much of the lung surface<br />

but is not recommended if removal of a lobe is anticipated.<br />

If hemorrhage occurs during thoracoscopy it may necessitate<br />

thoracotomy.<br />

Suggested Reading<br />

Textbook of Respiratory Disease in Dogs and Cats. King LG, editor. 1st edition,<br />

Missouri, Saunders (Elsevier), 2004.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Pleural effusion in the dog and cat<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Pleural effusion is a relatively common cause of respiratory<br />

distress in the dog and cat. Both species are affected by<br />

a variety of types of effusion with numerous causes and variable<br />

prognosis. Pleural effusion may be discovered incidentally<br />

or may cause respiratory distress. Small amounts of<br />

effusion may not result in changes on physical examination.<br />

If fact, it requires approximately 10 ml/kg off effusion to<br />

result in radiographic detection of pleural fluid, and more<br />

than 30 ml/kg of effusion to result in altered physical examination.<br />

Respiratory distress may not be severe until more<br />

than 50-60 ml/kg of effusion have accumulated. Clinical<br />

signs related to pleural effusion include tachypnea, respiratory<br />

distress (primarily on inspiration), shallow respiration,<br />

decreased bronchovesicular lung sounds in dependant portions<br />

of the thorax and/or increased bronchovesicular sounds<br />

in the remainder of the thorax, and hyporesonance on percussion<br />

of the dependant portions of the thorax (detection of<br />

“fluid line”). Cough is uncommonly associated with pleural<br />

disease but is found in association with disease extension to<br />

or from the lungs or airways. Because pleural effusion may<br />

be associated with systemic illness, clinical findings may be<br />

related to systems other than the respiratory system or may<br />

be related to an underlying respiratory pathology (eg, infectious<br />

pneumonia, lung cancer).<br />

Confirmation of pleural effusion may be obtained radiographically<br />

or via thoracocentesis. Animals presenting with<br />

inspiratory distress and quiet dependent lung sounds may be<br />

harmed by the restraint required to obtain radiographs; in<br />

such cases, thoracocentesis may prove life-saving as well as<br />

providing crucial diagnostic information. Even if radiographs<br />

are obtained first to document pleural fluid, an<br />

aliquot of the fluid will be required for further diagnosis.<br />

Analysis of the collected fluid varies with differential diagnosis.<br />

In general, samples should be submitted for fluid and<br />

cytologic analysis with aliquots saved for aerobic and anaerobic<br />

culture if needed. Other tests may be appropriate<br />

depending on signalment, clinical signs, and ancillary evidence<br />

of disease.<br />

Pleural fluid may be classified as hemorrhagic, transudative,<br />

or exudative. Frank hemorrhage in the pleural space is<br />

most often associated with trauma or defects in secondary<br />

hemostasis (eg, vitamin K antagonist rodenticide exposure).<br />

Transudates are poorly cellular fluids (


inflammation centered around vessels leads to leakage of a<br />

high protein fluid. Effusion may occur in the peritoneal<br />

cavity, pleural space, or both. Cats are frequently systemically<br />

ill with fever, hyperglobulinemia, and neutrophilia.<br />

The effusive fluid is often clear straw or yellow in color<br />

and viscous. Polymerase chain reaction performed on the<br />

effusive fluid is supportive but not diagnostic of FIP; PCR<br />

cannot discriminate between the enteric corona and its<br />

mutated virulent form. Serology is seldom useful as it may<br />

be negative in an infected cat or positive in a cat that does<br />

not have FIP. The gold standard method of diagnosis relies<br />

on tissue biopsy, but the combination of classical signalment<br />

and history (young cat from a cattery or shelter setting)<br />

with compatible signs, supportive laboratory findings,<br />

and typical effusion is persuasive evidence of disease. Supportive<br />

care, immune suppression, and therapies such as<br />

pentoxifylline or IFN omega are often used in treatment<br />

but prognosis remains very poor.<br />

Transudate/modified transudate<br />

Transudates are typically due to increased hydrostatic<br />

pressure or less commonly, decreased oncotic pressure. With<br />

time the mesothelial cells become proliferative and both protein<br />

and cell content of the transudate may increase.<br />

Increased hydrostatic pressure resulting in pleural transudate<br />

is most often associated with heart failure. In cats, both right<br />

and left heart failure may cause pleural effusion but in dogs<br />

only right heart failure does so. Decreased oncotic pressure<br />

(albumin of


Update on feline asthma<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Introduction<br />

Feline asthma is one of the most common bronchopulmonary<br />

diseases in cats and is responsible for substantial<br />

morbidity and occasional mortality. It is an IgE mediated<br />

hypersensitivity response against what otherwise would be<br />

harmless environmental aeroallergens. Exposure to an allergen<br />

allows for production of allergen-specific IgE formation.<br />

Those IgE antibodies then bind to mast cells on respiratory<br />

mucosal surfaces. Upon re-exposure to allergen, IgE<br />

on the surface of the mast cell bind allergen and send an<br />

intracellular signal to trigger mast cell degranulation. Mediators<br />

that are either immediately released from granules, or<br />

later synthesized within mast cells are major contributors to<br />

signs of asthma. Inflammation in the airways leads to cellular<br />

infiltration (mostly eosinophils), increased mucus production,<br />

bronchoconstriction, and creates permanent architectural<br />

changes in the lung called airway remodeling. All of<br />

these lead to clinical signs of asthma.<br />

Clinical presentation of the asthmatic cat<br />

Any cat may have asthma, although it is most commonly<br />

diagnosed in young to middle aged cats and may be more<br />

common and/or severe in Siamese cats. Typical clinical<br />

signs include some combination of coughing, wheeze, and<br />

intermittent respiratory effort or distress. Signs are often<br />

slowly progressive but can cause severe bronchoconstriction<br />

and sudden dyspnea. Differential diagnosis for respiratory<br />

distress include congestive heart failure or pleural effusion,<br />

while differential diagnosis for cough include pulmonary<br />

parasites and infectious or non-infectious bronchitis.<br />

Although routine blood, urine, and fecal tests help evaluate<br />

overall health and rule out other disease, radiography and airway<br />

lavage are the most useful tests. Peripheral eosinophilia<br />

is common (~20%) but non-specific. Asthma cannot be ruled<br />

out because of normal thoracic radiographs but many cats<br />

have some combination of a bronchial lung pattern and evidence<br />

of hyperinflation (eg, increased lucency or flattening<br />

and caudal displacement of the diaphragm). Airway lavage<br />

typically demonstrates increased numbers of eosinophils<br />

and sometimes neutrophils. Lavage samples should be cultured<br />

(including Mycoplasma).<br />

Therapeutic options for feline asthma<br />

Therapeutic strategies for the treatment of asthma can either<br />

focus on suppressing the inflammation and bronchoconstric-<br />

tion once they have developed, or can attempt to turn off the<br />

aberrant hypersensitivity reaction before it causes airway<br />

inflammation and bronchoconstriction.<br />

Traditional therapies<br />

17<br />

Traditional therapy for asthmatic cats has relied on environmental<br />

modulation as well as injectable and oral corticosteroids<br />

and bronchodilators. If the allergen causing asthma<br />

can be identified, and it is possible to remove it from the<br />

environment, the driving force for the induction of asthmatic<br />

events is removed. More often than not, the allergen is<br />

either ubiquitous or the patient is sensitized to multiple<br />

allergens, making it impossible to completely remove all<br />

allergens. Hepa-type filters can be beneficial in reducing the<br />

load or indoor aeroallergens. It is also important to decrease<br />

exposure to environmental airborne irritants, especially<br />

smoke, dusts (eg, kitty litter), and aerosols.<br />

The mainstay of therapy for asthmatic cats or people is the<br />

reductions of inflammation, most often via treatment with<br />

glucocorticosteroids (GC). The inflammatory component of<br />

asthma must be addressed to prevent progression of disease<br />

and irreparable damage to the lungs. GC should be used in<br />

the initial management of this disease and with flare-ups, but<br />

GC actions are not immediate. Because GC can produce<br />

serious adverse effects they should be tapered to the lowest<br />

effective dose to control clinical signs and may be discontinued<br />

during periods of disease remission. For routine oral<br />

use prednisolone is preferred over prednisone for cats.<br />

Inhalant GC therapy allows direct application of GC to airways<br />

with minimal systemic absorption, allowing maximal<br />

respiratory effect with minimal systemic effect. Metered<br />

dose inhalers containing GC (eg, fluticasone or flunisolide)<br />

can be adapted for use in asthmatic cats. Inhalant therapy<br />

should be used in cats with mild symptoms or as an adjunct<br />

to systemic GC in more severely effected cats.<br />

Bronchodilators enhance airflow to the lungs. However,<br />

the use of bronchodilators as monotherapy is not advocated.<br />

Asthma is not just a disease associated with airway hyperreactivity;<br />

inflammation plays a key role in both clinical manifestations<br />

as well as permanent airway remodeling. Bronchodilators,<br />

including methylxanthines like aminophylline<br />

and theophylline, or beta-2 agonists like terbutaline, can be<br />

administered to cats orally or parenterally. Parenteral terbutaline<br />

can be life-saving during asthmatic crisis. More<br />

recently, administration of the beta-2 agonist albuterol by<br />

metered dose inhaler has been advocated. In people with<br />

asthma, overuse of inhalant bronchodilators may increase<br />

morbidity and mortality. Inhalant albuterol is composed of


two racemic enatimores, one of which causes bronchodilation<br />

while the other may cause paradoxic inflammation and<br />

bronchoconstriction. For now, it seems wise to use inhaled<br />

albuterol only as needed and to focus routine treatment on<br />

inflammation.<br />

Alternative therapies<br />

Alternative therapies are available to people with asthma<br />

but investigation of these therapies in cats is lacking. Serotonin<br />

is a mediator of smooth muscle contractility in feline<br />

airways. Antagonizing the effects of serotonin by using<br />

cyproheptadine has theoretical promise, but ongoing studies<br />

at my institution have failed to support a benefit from cyproheptadine.<br />

Leukotriene (LT) antagonists such as zafirlukast<br />

and montelukast are useful in many but not all people with<br />

asthma. Although these drugs have been used in cats, there is<br />

no proven utility for these drugs in feline asthma. Unlike in<br />

humans, cysteinyl LTs do not appear to be an important<br />

mediator in feline asthma. Also, administration of zafirlukast<br />

to cats with experimentally induced asthma had no beneficial<br />

effects on reducing airway inflammation or hyperreactivity.<br />

Other methods can be used to suppress or alter the<br />

immune response. Cyclosporin decreases IL-2 production,<br />

leading to inhibition of T cell proliferation. It has been used<br />

in severely asthmatic people as a GC sparing anti-inflammatory<br />

drug but its routine use is not advocated because of<br />

the potential for severe adverse effects. Tricking the<br />

immune response into believing that it must deal with bacterial<br />

infection by administering CpG motifs may turn the<br />

immune system away from a Th2 response that promotes<br />

asthma. In the future, CpG motifs may be used as “adjuvants”<br />

for other forms of immunotherapy.<br />

18<br />

To date, allergen-specific immunotherapy is the only<br />

treatment associated with a cure of allergic disease. Identification<br />

of allergens to which the patient has been sensitized<br />

is critical but difficult in practice. Concurrent medications<br />

(especially steroids) can interfere with both blood and skin<br />

testing. Additionally, presence of IgE to a particular allergen<br />

does not mean that that specific allergen is responsible<br />

for disease.<br />

Suggested readings<br />

1. Padrid P. Feline asthma - Diagnosis and treatment. Vet Clinics North<br />

Am - Small Anim Pract. 30:1279, 2000.<br />

2. Costello J, et al. Summary: the pharmacology of leukotrienes in asthma.<br />

Adv in Prostaglandin, Thromboxane and Leukotriene Res<br />

<strong>19</strong>94;22:263-268.<br />

3. Padrid P, et al. Cyproheptadine-induced attenuation of type-I immediate-hypersensitivity<br />

reactions of airway smooth muscle from<br />

immune-sensitized cats. Am J Vet Res <strong>19</strong>95;56:109-115.<br />

4. Mellema M, et al. Urinary leukotriene levels in cats with allergic<br />

bronchitis. American College of Veterinary Internal Medicine Forum<br />

<strong>19</strong>98;724.<br />

5. Norris C, et al. Cysteinyl leukotrienes in urine and bronchoalveolar<br />

lavage fluid in an experimental model of feline asthma. Am J Vet Res<br />

2003;64:1449-1453.<br />

6. Broide D, et al. Systemic administration of immunostimulatory<br />

sequences mediates reversible inhibition of Th2 responses in a mouse<br />

model of asthma. J Clin Immunol 2001;<strong>21</strong>:175-182.<br />

7. Reinero CR, et al. Effects of drug treatment on inflammation and<br />

hyperreactivity of airways and on immune variables in cats with<br />

experimentally induced asthma. Am J Vet Res. 66:11<strong>21</strong>-1127, 2005.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Update on serologic testing for infectious<br />

disease in cats<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

SEROLOGIC TESTING CONCEPTS<br />

Serology is the measurement of antigen-antibody interactions<br />

for diagnostic purposes. These interactions can be used<br />

in one of two ways. First, detection of specific antibody can<br />

provide evidence that an animal has been exposed to a given<br />

antigen. Most often, this is used as circumstantial evidence<br />

of infectious disease. Second, specific antibody can be used<br />

to detect or identify a particular antigen. This can be used as<br />

direct evidence of infection, but not necessarily of disease.<br />

Serologic tests can be classified as tests of primary antigen-antibody<br />

interaction, secondary tests of interaction, or<br />

tertiary tests of interaction. In primary binding tests, antigen<br />

and antibody are allowed to interact and form complexes.<br />

The resulting complexes are quantified using reagents<br />

labeled with radioisotopes, fluorescent dyes, or enzymes.<br />

Common examples of these sensitive diagnostic techniques<br />

include indirect fluorescent antibody tests (IFA) and<br />

enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA). Secondary<br />

binding tests measure the results of antigen-antibody interaction<br />

(agglutination, hemagglutination, precipitation, neutralization,<br />

or complement fixation) in vitro. Examples<br />

include Coomb’s test, gel immunodiffusion (e.g., Coggin’s<br />

test) and immunoelectrophoresis. Tertiary binding assays are<br />

not commonly used for clinical disease diagnosis, but measure<br />

the actual protective effect of antibody in an animal.<br />

Feline practitioners employ serology to evaluate the likelihood<br />

that a given cat has a particular infectious disease.<br />

Although useful, there are limitations to serologic testing.<br />

The first deals with meaning of a positive antibody test. The<br />

presence of antibody indicates exposure to an antigen, but<br />

does not necessarily indicate active infection or disease. In<br />

some cases, the antigen may be cleared from the animal<br />

without causing disease, and yet result in a positive antibody<br />

titer. Such is often the case for fungal antibody titers to<br />

Histoplasmosis, for example. In other cases, the antibody<br />

detected may not be pathognomonic for a given infection.<br />

For example, antibody generated in response to feline infectious<br />

peritonitis (FIP) is indistinguishable from antibody<br />

generated against feline enteric corona virus. In yet other<br />

cases, the antibody may be found as a result of passive transfer<br />

rather than as a result of the cat having a given infection.<br />

Such may be the case with kittens allowed to nurse feline<br />

immunodeficiency virus (FIV) infected queens. On the other<br />

hand, antibody is not always detected in the presence of<br />

active infection. The most common reason for antibody tests<br />

to be negative despite infection is that insufficient time has<br />

elapsed between infection and measurement of an antibody<br />

<strong>19</strong><br />

response. For example, serologic testing for cytauxzoonosis<br />

would be relatively useless because the peracute nature of<br />

the illness means that illness precedes antibody production.<br />

Alternatively, immunocompromised animals may fail to produce<br />

detectable antibody despite longstanding infection.<br />

This may be the case during the terminal stages of either FIV<br />

or FIP infection. Even those tests that detect the presence of<br />

antigen instead of antibody have limitations. For instance,<br />

although detection of feline leukemia virus (FeLV) antigen<br />

does denote infection, the animal may be able to clear the<br />

infection without becoming ill.<br />

Immunoassays can be designed to reflect the presence of<br />

any and all antibodies to a given antigen, or they may specifically<br />

detect antibodies of a given isotype (i.e., IgM, IgG,<br />

IgA, IgE). Because antibody isotype varies in relation to<br />

onset and duration of antigen exposure, it is important to<br />

know what isotypes of antibody are being measured by a<br />

given test. Initial antibody response to infectious agents is<br />

predominantly IgM mediated, but the response later switches<br />

to IgG and/or IgA. For agents like Toxoplasma gondii,<br />

capable of causing chronic infection without resulting in illness,<br />

an IgG response may be chronic in nature. Therefore,<br />

simple detection of a positive antibody titer, even a high titer,<br />

is not proof of active infection. In such cases, documentation<br />

of active infection requires either a positive IgM titer, or<br />

proof of an increase in IgG titer (2 doublings, or a 4-fold<br />

increase) over a period of several weeks. Because of variability<br />

inherent in immunoassay, titers should be run by the<br />

same laboratory, and samples should ideally be banked in<br />

order to run assays simultaneously.<br />

An additional set of limitations pertains to the likelihood<br />

that a given test accurately reflects disease presence or<br />

absence. Any test, no matter how good, is subject to both<br />

false positive and false negative results. These are reflected<br />

in the diagnostic sensitivity and specificity of the test. Diagnostic<br />

sensitivity refers to the proportion of tests run on<br />

infected animals that are positive, while diagnostic specificity<br />

refers to the proportion of tests run on uninfected animals<br />

that are negative. It is apparent then that to “rule out” a diagnosis,<br />

a test with a high sensitivity is desired, while to “rule<br />

in” a diagnosis, a test with a high specificity is desired. Even<br />

more important to the clinician than a given test’s sensitivity<br />

and specificity are the test’s positive and negative predictive<br />

values. The positive predictive value is the probability<br />

that an animal that tests positive actually has the disease in<br />

question, while the negative predictive value is the probability<br />

that an animal that tests negative is free of disease. While<br />

positive predictive value certainly is related to the sensitivi-


ty and specificity of the diagnostic assay, it is also related to<br />

the prevalence of disease in the population of animals tested.<br />

This means that a positive test result in a population with a<br />

low incidence of disease, even when the test is very sensitive<br />

and specific, has a greater chance of being a false-positive<br />

than when the same test is applied to a population with a<br />

high disease prevalence. Remember that no test is perfectly<br />

accurate all the time. Serologic test results should be viewed<br />

as one piece of the puzzle, not as the entire picture!<br />

SPECIFIC USE OF SEROLOGIC TESTS<br />

IN FELINE MEDICINE<br />

Feline Leukemia Virus (FeLV)<br />

Feline leukemia virus is a retroviral infection of cats that<br />

results in immune suppression, oncogenesis, and hematologic<br />

dyscrasia, among other sequelae. Diagnosis of FeLV clinically<br />

most often relies on serologic assays designed to<br />

detect viral antigen (specifically, viral p27 antigen). Primary<br />

binding assays, including both ELISA type immunochromatographic<br />

assays and IFA tests, are the mostly commonly<br />

performed diagnostic assays. Despite similarities in the<br />

assays, there are important differences. Most in-house detection<br />

kits use some variant of ELISA methodology. Importantly,<br />

ELISA tests detect soluble (free) viral p27, while IFA<br />

test detects antigen incorporated into cells. For this reason,<br />

ELISA may detect p27 antigen in transiently or persistently<br />

viremic cats, whereas detection of p27 in an IFA test implies<br />

persistent viremia. A positive ELISA result should be confirmed<br />

before concluding that the cat has FeLV infection.<br />

Confirmation may consist of repetition of the ELISA test in<br />

2 to 3 months, or by IFA testing immediately. A cat with a<br />

positive ELISA and negative IFA typically either becomes<br />

IFA positive within weeks, or reverts to a negative ELISA<br />

status. Cats that revert to a negative status may maintain<br />

latent infection, and it is possible that FeLV could cause disease<br />

at some future time.<br />

Generally, the IFA test is regarded as more specific but<br />

less sensitive than ELISA tests. Testing by ELISA should<br />

use serum or plasma rather than whole blood. Tests using<br />

tears or saliva are available, but have a large risk of false positive<br />

or negative results and should not be used. Whole blood<br />

is used in FA testing. Additionally, bone marrow may be FA<br />

tested to help rule out latent infection in a serologically negative<br />

cat suspected of being FeLV infected. Neither vaccination<br />

nor maternal antibody will interfere with testing for<br />

FeLV infection.<br />

Feline Immunodeficiency Virus (FIV)<br />

Feline Immunodeficiency Virus is a retrovirus also, but it<br />

is of the lente-viral subgroup. Like other lente virus infections<br />

(e.g., HIV), viral burden in FIV infection is typically<br />

small. For this reason, FIV infection is not documented by<br />

assaying for antigen as is done for FeLV retroviral infection.<br />

Instead, FIV reactive antibody response is assayed. The typical<br />

tests for FIV infection include ELISA type immunochro-<br />

20<br />

matographic assays, IFA, and Western Blot analysis; inhouse<br />

detection kits utilize the ELISA type methodology. As<br />

with FeLV, positive in-house test results should be confirmed.<br />

Confirmation of FIV infection typically relies on Western<br />

blot detection of antibody. Any serologic test that identifies<br />

antibody rather than antigen is subject to unique interpretive<br />

dilemmas. For instance, antibody response may not be<br />

detectable early in infection or late in the course of infection,<br />

particularly in an immunosuppressed animal. Although most<br />

cats seroconvert within 60 days of infection with FIV, seroconversion<br />

may take considerably longer in some cases.<br />

False positive results may also be detected using antibody<br />

assays. Two causes of false positive FIV tests are particularly<br />

important. The first is a positive test in a young kitten. Kittens<br />

can be infected by the queen, but this means of transmission<br />

is relatively uncommon. It is at least as likely that a<br />

positive antibody test in a young kitten is the result of passive<br />

transfer of FIV antibody from the queen as it is that the<br />

queen has infected her offspring. Because maternal antibody<br />

can result in a false positive test, positive kittens should be<br />

re-tested every 60 days or until 6 months of age to confirm<br />

infection. A second reason for false positive antibody test<br />

results is prior vaccination. A FIV vaccine was introduced in<br />

July of 2002, and this vaccine results in FIV antibody production.<br />

To date, there are no serologic testing methods that<br />

can distinguish between FIV antibody resulting from infection<br />

or from vaccination.<br />

Feline Infectious Peritonitis (FIP)<br />

Feline Infectious Peritonitis is an infectious disease<br />

caused by mutation of an otherwise relatively benign enteric<br />

coronavirus. Mutation allows for dissemination of the virus,<br />

and the resulting host immune response results in disease<br />

development. Diagnosis of FIP has long been problematic,<br />

and tissue biopsy or necropsy remain the only ways to definitively<br />

arrive at this diagnosis. Serologic tests marketed for<br />

the diagnosis of FIP actually detect antibody to corona virus,<br />

and cannot distinguish between the mutated corona resulting<br />

in clinical FIP and the enteric feline coronavirus. For that<br />

matter, they can not distinguish between antibody generated<br />

to FIP and antibody generated to any other coronavirus,<br />

including canine coronavirus. Most available tests are of the<br />

“send out” variety, but there are in-house ELISA tests available.<br />

Vaccination for FIP can rarely result in a positive systemic<br />

antibody response, as can some unrelated modified<br />

live vaccines. For all these reasons, a positive antibody test<br />

does NOT prove that a cat has FIP. Because cats can be<br />

infected with coronavirus and never develop FIP, corona<br />

antibody testing is not useful in predicting what cats in an<br />

exposed household will develop FIP in the future.<br />

At the other end of the spectrum, not all cats with FIP<br />

have a positive antibody response. This is particularly<br />

problematic in terminal stages of the disease, when antibody<br />

production may be poor or antibody may be complexed<br />

with antigen.<br />

Does this mean that there is no use for corona viral titers<br />

in feline medicine? Although a positive test does not prove<br />

FIP, and a negative test does not rule out FIP, there can be


limited utility in testing. Those tests that produce a titer<br />

rather than a simple “yes” or “no” answer hold implications<br />

for the likelihood of diagnosis. A very high, positive titer in<br />

a cat with clinical symptoms of FIP is more likely to have<br />

FIP than is a similar cat with a negative or low positive titer.<br />

Antech laboratories markets a ELISA test described as<br />

“FIP specific”. The company states that a protein named 7B<br />

is produced only by pathogenic, FIP producing coronavirus.<br />

This specialized ELISA tests identifies antibody reactive to<br />

the 7B protein. Recent experimental evidence suggests that<br />

this 7B protein is not found on all FIP causing coronavirus,<br />

and that at least some non-FIP causing coronavirus do produce<br />

the 7B protein. So, once again, it appears that serologic<br />

testing cannot prove or disprove that a cat has FIP.<br />

Cryptococcosis<br />

Cryptococcus neoformans is an important cause of fungal<br />

infection in the cat, and is particularly likely to result in<br />

feline nasal infection. Although serologic titers to many fungal<br />

infections rely on detection of antibody and are of poor<br />

diagnostic predictive value, serologic tests for cryptococcosis<br />

are unique. Although cryptococcal antibody titers are<br />

available, a more reliable diagnostic test is the latex agglutination<br />

test for cryptococcal capsular antigen, or alternatively<br />

immunochromatographic assay for capsular antigen.<br />

While cytologic identification of organisms is ideal, capsular<br />

antigen tests can be a more sensitive means of diagnosis.<br />

Because the test detects antigen rather than antibody, it can<br />

be used not only diagnostically, but can be used to monitor<br />

response to treatment of established cryptococcal infection.<br />

Successful treatment is expected to result in decreasing titer.<br />

Capsular antigen testing is usually performed on serum, but<br />

infection of the central nervous system may lead to positive<br />

CSF results.<br />

Heartworm<br />

Diagnosis of heartworm disease in cats is often difficult;<br />

microfilaria are rarely observed, worm burdens are low, and<br />

radiographic indication of infection may be lacking. Often,<br />

serologic assays including assays for both antibody and<br />

antigen are used simultaneously to achieve this diagnosis.<br />

When antibody assays are used, species specific testing is<br />

mandatory. Although these tests are quite sensitive, in areas<br />

of low disease incidence positive tests should be interpreted<br />

with caution. Again, detection of antibody identifies exposure<br />

but does not prove that the animal has an adult heartworm<br />

infection; exposure to larval stages can cause a positive<br />

test without persistent heartworm infection. As always,<br />

antibody tests require some time (i.e., 2-3 months) after<br />

infection to become positive.<br />

The other commonly used serologic test is the adult heartworm<br />

antigen test. Because this test identifies antigen rather<br />

than antibody, it is not species specific and the same test that<br />

<strong>21</strong><br />

is run on dogs may be run on cats. Although this test is quite<br />

specific (meaning a positive is likely really positive), the<br />

sensitivity is less than ideal. Poor sensitivity is often related<br />

to low worm burdens or to single sex infection. Cats typically<br />

have lower worm burdens than dogs, meaning that sensitivity<br />

in cats is worse than that in dogs.<br />

Toxoplasmosis<br />

Toxoplasma gondii infection is common in cats, but the<br />

disease toxoplasmosis is far less common. Once infected,<br />

the organism remains in the tissues for life. On occasion,<br />

serious illness or even death may result from active disease<br />

in cats. Because serologic assays for feline toxoplasmosis<br />

are generally assays for antibody, and because many (or even<br />

most) cats have been exposed to the organism, serologic<br />

diagnosis of active disease is somewhat complicated. Identification<br />

of a single elevated IgG titer, even a very high IgG<br />

titer, indicates infection but not disease. Healthy cats can<br />

maintain high IgG titers for years after infection, and maybe<br />

even for life. Documentation of active infection in a sick cat<br />

requires either a 4-fold increase in IgG titer, or more typically,<br />

documentation of an elevated IgM titer. Serum IgM<br />

titers do not remain elevated for life but typically decrease to<br />

very low levels within 16 week in healthy but infected cats.<br />

Bartonellosis<br />

Cats can be infected with several species of Bartonella,<br />

including B. henselae and B. Clarridgeiae. Bartonellosis in<br />

cats is quite prevalent, with up to 50% of tested cats<br />

seropositive in some studies. Until recently, bartonellosis<br />

was considered an asymptomatic infection only of concern<br />

because of zoonotic implications (transmission of cat<br />

scratch disease). More recently, bartonellosis has been<br />

associated with a variety of disease manifestations in the<br />

cat, including as a possible cause of stomatitis, uveitis, and<br />

lymphadenitis. The full spectrum of clinical feline bartonellosis<br />

as well as the frequency of disease caused by bartonellosis<br />

remains to be defined.<br />

Serologic assays for bartonellosis detect antibody.<br />

Because antibodies are cross reactive, the test antigen is generally<br />

B. henselae. As an antibody test, some time will be<br />

required from infection to seroconversion. Also, a positive<br />

test in a kitten less than 6 months of age may indicate either<br />

infection or simply may reflect the presence of maternal<br />

antibody. Kittens are not infected in utero or through milk,<br />

and infection only occurs following exposure to arthropod<br />

vectors. Routine testing of healthy cats is not recommended.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Update on feline retroviral infections<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

Introduction<br />

Feline retroviral infections are found worldwide, and still<br />

represent an important cause of morbidity and mortality for<br />

pet cats. These diseases affect anywhere from 0 to 44% of<br />

cats in a given population, depending on geographic region<br />

and life-style of the cat. Indoor-only cats from closed breeding<br />

facilities are seldom infected, while free roaming cats are<br />

more often infected. Feral cats are not more likely to be<br />

infected than owned cats, but outdoor cats are much more<br />

likely to be infected than cats housed completely indoors.<br />

These differences are largely due to the availability of convenient<br />

testing methods which have allowed removal of<br />

infected cats from closed populations. Vaccination may also<br />

play some role in the decreased incidence of infection in<br />

well cared for pet cats.<br />

Feline Retroviruses<br />

Retroviruses have the unique ability to use a “reverse transcriptase”<br />

to turn there genetic material from RNA to DNA<br />

within an infected host cell. These viruses integrate their<br />

genetic material with that of the host for the remainder of the<br />

host’s life. There are several subtypes of retrovirus, including<br />

oncornoviradae (named for there propensity for neoplastic<br />

transformation of infected tissues), lentiviradea (named<br />

for their slow onset of disease), and spumaviridae. These<br />

virus types are host species specific, and cats are susceptible<br />

to several different retroviral infections. Clinically, Feline<br />

Leukemia Virus (FeLV; an oncoviradae) and Feline Immunodeficiency<br />

Virus (FIV; a lentiviradeae) are the most important<br />

cause of disease in cats.<br />

Feline Leukemia Virus<br />

FeLV was first discovered in <strong>19</strong>64. Diagnostic testing<br />

became readily available in the early <strong>19</strong>70’s, and commercial<br />

FeLV vaccines became available in the mid <strong>19</strong>80’s.<br />

FeLV is most often a disease of young cats and kittens,<br />

although cats of any age or gender can be affected. Clinical<br />

syndromes include immunodeficiency with secondary infection,<br />

bone marrow suppression, and neoplastic disease. Both<br />

horizontal and vertical transmission occur. Close contact<br />

involving mutual grooming is typically involved in transmission<br />

while fomites play only a very minimal role. There<br />

are several possible outcomes of exposure; recovery, latent<br />

infection, or persistent viremia. Kittens are more likely to<br />

become persistently viremic than are adult cats, but outcome<br />

22<br />

of exposure depends on many factors. Latent infection<br />

implies that the viral particles are sequestered in the marrow<br />

without causing viremia. It is possible for these infections to<br />

become manifest after many years, thus accounting for cats<br />

that have been kept indoors without other cats for years but<br />

which develop FeLV-related disease later in life. Persistently<br />

viremic cats are likely to develop overt disease within a<br />

relatively short period after infection, with about 1/3 of all<br />

infected cats dying each year after infection.<br />

Clinical disease varies greatly, in part depending on the<br />

subgroup of FeLV causing infection. Although mild illness<br />

may be seen near the time of infection, cats recover and<br />

remain healthy for some period of time. Persistently infected<br />

cats eventually develop either secondary infection with a<br />

variety of organisms, develop anemia or pancytopenia, or<br />

develop neoplastic disease including thymic, renal, and CNS<br />

lymphoma. Other manifestations are seen on occasion (eg,<br />

glomerulonephritis, infertility, abortion).<br />

Findings on CBC, biochemical profile, and urinalysis<br />

depend on secondary disease manifestation and are not specific<br />

for FeLV. Macrocytic anemia is suggestive of FeLV, but<br />

anemias may be normocytic, regenerative or non-regenerative<br />

in nature. Circulating blast cells are identified in cats<br />

with overt secondary leukemia. Diagnostic testing for FIV<br />

should be performed on any sick cat, and should also be<br />

advised at adoption of a new cat into the household or periodically<br />

on outdoor cats. The most commonly used diagnostic<br />

test for FeLV is an ELISA to detect the viral core antigen<br />

p27. Because this test becomes positive before incorporation<br />

of viral genetic material into marrow stem cells, + cats<br />

may clear the infection and revert to a negative status. Therefore,<br />

all cats that test positive by ELISA should either be<br />

retested in 2 to 3 months or the presence of cell incorporated<br />

viral genetic material should be confirmed by fluorescent<br />

antibody (FA) testing. Latent infection cannot be detected<br />

using either blood ELISA or FA tests. Only bone marrow<br />

aspirate with FA testing or cell culture can demonstrate<br />

latent infection. There are no reliable commercial PCR<br />

assays for FeLV infection.<br />

There is no cure. Healthy FeLV infected cats should be<br />

kept indoors both to prevent exposure of other cats and to<br />

protect them from secondary infection. Vigilant provision of<br />

routine health maintenance including vaccination and dental<br />

care are essential. Secondary infections should be identified<br />

as to source and treated aggressively with appropriate microbicidal<br />

agents. FeLV associated neoplasia may be treated<br />

with either chemotherapy or radiation as appropriate for<br />

tumor type. FeLV associated anemia is often difficult to<br />

treat. Secondary infection with M. haemofelis should be<br />

ruled out, and proven immune mediated anemia should be


treated with immune suppression. Blood transfusion may be<br />

used supportively. Some cats respond to human recombinant<br />

erythropoietin (100 units/kg SQ three times per week).<br />

Immunomodulation has often been attempted, but there are<br />

few controlled clinical trials to demonstrate utility of such<br />

therapies. Staphylococcus protein A (10 µg/kg IP twice<br />

weekly) has resulted in subjective improvement in ill FeLV<br />

infected cats. Cats dually infected with FeLV and FIV<br />

showed some improvement after treatment with recombinant<br />

feline IFN omega (1 [M}/kg/day SQ for 5 days, in 3<br />

series at day 0, 14, and 60).<br />

Ideally, uninfected cats should be housed indoors with only<br />

other non-infected cats. Vaccination is available for FeLV<br />

infection but should only be administered to FeLV negative<br />

cats. As with all vaccines, there are potential risks of vaccination<br />

(including vaccine site sarcoma) and risk:benefit ratio<br />

must be individually weighed; FeLV is not a core vaccine for<br />

low risk adult cats. Both killed and subunit vaccines seem to<br />

be equally efficacious, but vaccine is never completely effective<br />

and vaccine failures occur for a variety of reasons.<br />

Feline Immunodeficiency Virus<br />

FIV was first discovered in <strong>19</strong>87, and routine diagnostic<br />

testing was available very soon thereafter. The first FIV vaccine<br />

was released in 2002. FIV is primarily a disease of adult<br />

cats, with males more frequently infected than females.<br />

Although vertical transmission can occur, it is not epidemiologically<br />

important. Instead, the disease is typically spread<br />

by close contact between cats, especially associated with<br />

fighting behaviors of adult male cats. After initial infection,<br />

the virus replicates in lymphoid (including thymic) and salivary<br />

tissue, with subsequent dissemination to other sites. As<br />

the cat mounts a partially effective immune response, the<br />

number of circulating viral particles lessens and the cat<br />

appears healthy. Eventually (often after many years), there is<br />

a gradual deterioration in immune function. Finally, secondary<br />

infections and associated illness occur, resulting in the<br />

terminal phase of disease.<br />

As with FeLV, clinical signs vary greatly. The acute infection<br />

is usually silent but may causes self-limiting fever, neutropenia,<br />

and lymphadenopathy. Cats typically remain well<br />

for many years before eventually developing secondary<br />

infections or complications of disease. Common presenta-<br />

23<br />

tions include recurrent fevers, anorexia, weight loss,<br />

malaise, inflammatory ocular disease, gingivitis and stomatitis,<br />

secondary infections of the GI, respiratory, and urinary<br />

tracts, or even malignancy. Occasionally, neurologic<br />

manifestations of FIV are identified without other infectious<br />

or neoplastic disease of the nervous system.<br />

Diagnostic testing for FIV should be performed on any<br />

sick cat, and should also be advised at adoption of a new cat<br />

into the household or periodically on outdoor cats. While<br />

lymphopenia, neutropenia, anemia and thrombocytopenia<br />

may be seen in late stages of infection they are certainly nonspecific.<br />

Likewise, biochemical or urinalysis abnormalities<br />

are non-specific and likely to reflect secondary disease<br />

processes. Routine testing for FIV assays for serum antibodies<br />

rather than antigen. ELISA tests are readily available and<br />

have good sensitivity and specificity. Unfortunately, detection<br />

of antibody cannot distinguish between antibody<br />

formed to true infection or antibody acquired via passive<br />

transfer from the queen or via vaccination. Positive kittens<br />

should be retested after a minimum of 6 months of age. As<br />

with any test, false + and false – results do occur. Western<br />

blot can be used to confirm the presence of FIV antibody, but<br />

still do not determine if the source of antibody is actually<br />

response to infection. Recently infected cats or severely<br />

immunosuppressed cats may test negative despite infection.<br />

Virus detection via PCR is not routinely available.<br />

There is no cure for FIV. Healthy, FIV infected cats<br />

should be kept indoors and routine health care should be<br />

maintained, including routine dental care and vaccination.<br />

Sick cats require prompt diagnosis and treatment of secondary<br />

complications. Immunomodulation has been attempted,<br />

but controlled trials are lacking. Neurologic manifestations<br />

may respond to antiretroviral therapy (AZT, 15 mg/kg PO<br />

BID), but side effects are common.<br />

Vaccinations exist for FIV, but once vaccinated cats are<br />

expected to test positive for infection and should therefore<br />

be clearly identified (microchips or tattoos). The necessity of<br />

vaccination in cats unlikely to fight, such as indoor cats, is<br />

debatable.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


Bacterial respiratory infections of the cat<br />

Leah A. Cohn<br />

DVM, BS, PhD, Dipl ACVIM, Columbia, USA<br />

For purposes of discussion, the respiratory tract can be<br />

divided into sections; the nasal and nasopharyngeal passages,<br />

the conducting airways, the pulmonary parenchyma,<br />

and the pleural space. Each of these sections is susceptible<br />

to a variety of diseases, including bacterial infection. This<br />

talk will focus specifically on bacterial respiratory infections<br />

in cats.<br />

Infection of the nasal and nasophargyneal<br />

passages<br />

In nearly every case, bacterial infection of the nasal passages<br />

is secondary to some underlying disease process.<br />

Antibiotic therapy can result in remission of clinical signs,<br />

but a cure is highly unlikely. The best approach to cats with<br />

chronic nasal signs is to perform a thorough diagnostic<br />

evaluation for a primary nasal disease in hopes of identifying<br />

a directly treatable problem. Unfortunately, extensive<br />

diagnostic evaluation will fail to identify a specific underlying<br />

disease in cats with chronic nasal discharge in as many<br />

as half the cats. In such cases, a diagnosis of “chronic idiopathic<br />

rhinosinusitis” is made. This syndrome is typically<br />

characterized by either lymphoplasmacytic or suppurative<br />

inflammation on nasal biopsy. Susceptibility of cats to<br />

infection with calicivirus or herpesvirus may explain the<br />

frequent occurrence of this syndrome. It is speculated that<br />

these infections lead to manifestations of feline chronic rhinosinusitis<br />

later on due to either viral reactivation, viral<br />

cytolysis with resultant damage to nasal tissue, or nasal tissue<br />

damage resulting from immune response to viral<br />

pathogens. Damaged nasal tissues would be more susceptible<br />

to secondary bacterial infection, or even osteomyelitis<br />

of the nasal turbinates.<br />

A variety of bacteria, including Pseudomonas aeruginosa,<br />

can be isolated by nasal swab from healthy cats and cats with<br />

chronic rhinitis. Elucidating the role of bacteria in chronic<br />

rhinosinusitis is made more difficult because readily<br />

obtained nasal swabs are poor specimens for culture. Bacteria<br />

obtained from nasal swabs reflect surface contamination<br />

rather than tissue infection.<br />

Although bacterial rhinitis is likely to be a secondary<br />

event in most of cases, treatment with antibiotics is sometimes<br />

successful in controlling the clinical sign of nasal discharge<br />

in cats with chronic rhinosinusitis. Short courses of<br />

multiple different antibiotics should be avoided. In the<br />

absence of tissue culture based proof of the need for a specific<br />

type of antibiotic, empiric choices should have a broad<br />

therapeutic index. Amoxicillin or amoxicillin-clavulanic<br />

acid are reasonable choices. I generally prescribe a minimum<br />

course of 4-6 weeks, presuming that secondary infection<br />

will involve the turbinates and that fibrosis may be present<br />

(i.e., complicated rather than simple infection, as when<br />

treating osteomyelitis). However, if improvement has not<br />

occurred within 5-7 days it is unlikely to be effective with<br />

longer treatment.<br />

Mycoplasma sp. and Bordetella bronchiseptica may be<br />

primary or secondary nasal pathogens. For this reason, some<br />

clinicians recommend a 2-3 week course with antibiotics<br />

with a spectrum of action more effective for these organisms.<br />

Choices include doxycycline, azithromycin, or fluoroquinolones<br />

(note: fluoroquinolones are associated with retinal<br />

degeneration in cats). A study comparing the clinical<br />

response to amoxicillin or azithromycin in shelter cats with<br />

signs of rhinitis (typically acute rather than chronic disease)<br />

found no significant differences between these treatments.<br />

Infection of the conducting airways<br />

24<br />

Infectious tracheobronchitis is less common in cats than<br />

dogs, and when it does occur is often associated with viral<br />

upper respiratory infections. B. bronchiseptica can be isolated<br />

from both healthy cats and cats with evidence of respiratory<br />

disease. The true incidence of infection of the respiratory<br />

tract due to B. bronchiseptica in cats is unknown. In those<br />

cats believed to be infected rather than colonized with this<br />

potential pathogen, cough is reported as the predominant<br />

clinical sign. Unlike infectious tracheobronchitis in dogs, the<br />

cough in cats is not particularly loud or in other ways “different”<br />

than cough due to other causes. Infection in cats is<br />

usually documented in very young cats or kittens housed in<br />

multi-cat environments. Although vaccines are available for<br />

prevention of B. bronchiseptica infection in cats they are not<br />

considered routinely indicated for most cats.<br />

Feline bronchopulmonary disease such as asthma or<br />

chronic bronchitis is not infectious. Rarely, these cats develop<br />

secondary bacterial infections. Because the airways are<br />

not sterile even in health, bacterial culture of airway lavage<br />

should be interpreted carefully in light of cytologic findings<br />

and clinical signs. Occasionally, cats with a heavy growth of<br />

Mycoplasma species will be identified and may benefit from<br />

appropriate antibiotic therapy. Mycoplasma require special<br />

culture conditions; these organisms can also be isolated via<br />

polymerase chain reaction. They are resistant to many commonly<br />

used antibiotics, but are generally susceptible to<br />

macrolides, tetracyclines, chloramphenicol, and fluoroquinolones.


Infection of the pulmonary parenchyma<br />

Cats are subject to bacterial pneumonia far less frequently<br />

than are dogs. Bacterial pneumonia is a life-threatening<br />

disease, but occurs very rarely in otherwise healthy animals.<br />

Most bacterial pneumonia occurs in ill, debilitated, or<br />

immunodeficient animals, or when physical defenses have<br />

been breached. Efforts should be made in any animal with<br />

bacterial pneumonia to identify a predisposing cause such as<br />

regurgitation or immunodeficiency states. Profound differences<br />

exist in the presentation of animals with pneumonia<br />

depending on the severity of disease. Interestingly, many<br />

cats with pneumonia lack signs referable to respiratory compromise;<br />

cough is apparently uncommon in cats with pneumonia.<br />

Pathogens incriminated are usually opportunistic,<br />

and include anaerobes as well as aerobes. Polymicrobial<br />

infections are possible, especially in cats with aspiration prior<br />

to pneumonia. Transoral wash or bronchoalveolar lavage<br />

provides material for cytologic exam and culture prior to initiation<br />

of broad-spectrum antibiotics. Identification of<br />

degenerative neutrophils containing bacterial debris is highly<br />

supportive of the diagnosis of bacterial pneumonia. Culture<br />

and sensitivity should tests for aerobic organisms,<br />

anaerobic organisms, and Mycoplasma.<br />

Therapy for bacterial pneumonia depends somewhat on<br />

severity of illness. Antimicrobial therapy should ideally be<br />

based on culture and sensitivity results, but is not withheld<br />

pending culture. Initial therapy should be broad spectrum.<br />

Combination therapy with a beta lactam and a fluoroquinolone<br />

is often the initial empiric therapy. Supportive<br />

therapy is imperative in the treatment of bacterial pneumonia,<br />

and includes maintenance of hydration (systemically<br />

and airway hydration via nebulization), oxygenation, and<br />

nutrition. Physiotherapy can also prove helpful. Suppression<br />

of cough is contraindicated in animals with pneumonia as<br />

the goal should be to promote clearance of infected mucus.<br />

Non-traditional pathogens may sometimes cause pneumonia<br />

in cats. Mycoplasma, fastidious microbes that lack a<br />

25<br />

cell wall, may play a primary or secondary role in pulmonary<br />

infection of cats. Cats are rarely diagnosed with<br />

acid-fast mycobacterial infections. Siamese and Abyssinian<br />

cats are reported to have M. avium infections more often<br />

than other cat breeds.<br />

Infection of the pleural space<br />

Pyothorax is a bacterial infection of the pleural space leading<br />

to accumulation of purulent fluid. In cats it is often associated<br />

with fight wound inoculation of bacteria into the chest.<br />

Despite this association, pyothorax may occur in cats kept<br />

indoors without other cats in the household. The most common<br />

pathogens identified in feline pyothorax are Pasteurella,<br />

Bacteroides, Actinomyces, and Clostridium. Infections are<br />

often mixed and may contain several bacterial species. The<br />

purulent fluid is usually off white, beige, pink, or red (“cream<br />

of tomato soup” color) and malodorous. With or Actinomyces<br />

or Nocardia infections, it may contain white or yellow granular<br />

material (sulfur granules). Degenerate neutrophils are the<br />

predominate cells type and bacteria are often observed cytologically.<br />

If measured, both glucose and pH in these fluids is<br />

low. Both aerobic and anaerobic cultures should be requested<br />

from the fluid. Animals with pyothorax are usually systemically<br />

ill and may have complications of sepsis. Although<br />

aggressive, broad spectrum antibiotics including anaerobic<br />

coverage is mandatory for therapy of pyothorax, it is not adequate.<br />

The purulent fluid must be drained, ideally by continuous<br />

evacuation. Although exploratory thoracotomy in dogs<br />

with pyothorax is beneficial to survival, surgical impact on<br />

survival has not been investigated in cats.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Leah Cohn<br />

University of Missouri<br />

College of Veterinary Medicine, Columbia, MO, USA, 65<strong>21</strong>1


“Stroke” in small animal: does it exist?<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham, England<br />

Cerebrovascular accident (or stroke)<br />

The term cerebrovascular disease is defined as any abnormality<br />

of the brain resulting from a pathological process<br />

compromising its blood supply. Pathological processes that<br />

may result in cerebrovascular disease include (1) occlusion<br />

of the lumen by thrombus or embolus, (2) rupture of the<br />

blood vessel wall, (3) lesion or altered permeability of the<br />

vessel wall and (4) increased viscosity or other changes in<br />

the quality of the blood. Stroke or cerebrovascular accident<br />

(CVA) is the most common clinical presentation of cerebrovascular<br />

disease and is defined as a sudden onset of nonprogressive<br />

focal brain signs secondary to cerebrovascular<br />

disease. By convention, these signs must continue for more<br />

than 24 hours to qualify for the diagnosis of stroke, which is<br />

usually associated with permanent damage to the brain. If<br />

the clinical signs resolve within 24 hours, the episode is<br />

called a transient ischaemic attack. From a pathological<br />

point of view, the lesions affecting the cerebral blood vessels<br />

are divided into two broad categories: (1) ischaemia with or<br />

without infarction secondary to obstructed blood vessels and<br />

(2) haemorrhage caused by rupture of the blood vessel wall.<br />

Ischemic stroke<br />

With limited stores, the brain relies on a permanent supply<br />

of glucose and oxygen to maintain ionic pump function.<br />

When perfusion pressure falls to critical levels, ischemia<br />

develops, progressing to infarction if it persists long enough.<br />

An infarct is an area of compromised brain parenchyma<br />

caused by a focal occlusion of one or more blood vessels. It<br />

may be due either to vascular obstruction that develops within<br />

the occluded vessels (thrombosis) or to obstructive material<br />

that originates from another vascular bed and travels to the<br />

brain (thromboembolism). Depending on the size of vessel<br />

involved, infarcts can be seen as being the consequence of<br />

small vessel disease (lacunar infarct) or large vessel disease<br />

(territorial infarct). In contrast to the core where ischaemia is<br />

severe and infarction develops rapidly, areas surrounding the<br />

core (called the penumbra) show a more moderate decrease<br />

of cerebral blood flow and can tolerate longer durations of<br />

ischaemic stress. In the penumbra, neurons are still viable but<br />

at risk of becoming irreversibly injured. The penumbra<br />

changes as the infarct evolves. Penumbra tissue has the<br />

potential for recovery and therefore is the target for interventional<br />

therapy in acute ischaemic stroke. The factors causing<br />

the evolution of the penumbra to irreversible injury are multiple<br />

and complex. The time window during which the<br />

penumbra is no longer viable depends on the degree of blood<br />

flow reduction, and the region of the brain involved.<br />

Ischaemic strokes have been reported infrequently in the<br />

veterinary medical literature when compared with the medical<br />

literature. Apart from recent reports by Garosi and others<br />

(2005), most have been based on postmortem results in<br />

dogs that died or were euthanized as a result of the severity<br />

of the ischaemic stroke and/or the suspected underlying<br />

cause of the stroke. This may affect the prevalence and type<br />

of underlying causes, as it is likely that only the most severely<br />

affected dogs, or dogs in which infarction occurred secondarily<br />

to a disease with a poor prognosis, would die or be<br />

euthanased. Suspected underlying causes identified in<br />

histopathologically-confirmed cases included: septic thromboemboli,<br />

atherosclerosis associated with primary hypothyroidism,<br />

migrating parasite or parasitic emboli (Dirofilaria<br />

immitis), embolic metastatic tumor cells, intravascular lymphoma,<br />

and fibrocartilaginous embolism. In a recent large<br />

multicentre study based on clinical and MRI-based suspicion<br />

of ischaemic stroke, a concurrent medical condition<br />

was detected in just over 50 percent of dogs with brain<br />

infarcts with chronic kidney disease and hyperadrenocorticism<br />

being most commonly encountered. Hypertension was<br />

documented in 30 percent of dogs. Chronic kidney disease<br />

and hyperadrenocorticism were the most commonly suspected<br />

underlying cause for this hypertension.<br />

Haemorrhagic stroke<br />

26<br />

In haemorrhagic stroke, blood leaks from the vessel<br />

directly into the brain, forming a haematoma in the brain<br />

parenchyma, or into the sub-arachnoid space. The mass of<br />

clotted blood causes physical disruption of the tissue and<br />

pressure on the surrounding brain. This alters CNS volume/pressure<br />

relationships with the possibility of increasing<br />

intracranial pressure and decreasing cerebral blood flow. In<br />

contrast to the high incidence in man, intracerebral haemorrhage<br />

resulting from spontaneous rupture of vessels is considered<br />

rare in dogs. Secondary haemorrhage had been<br />

reported in dogs in association with various causes such as<br />

rupture of congenital vascular abnormalities, haemorrhage<br />

into primary and secondary brain tumours, inflammatory<br />

disease of the arteries and veins or intravascular lymphoma,<br />

brain infarction (hemorrhagic infarction) or impaired coagulation.<br />

Non-traumatic subarachnoid haemorrhage has been<br />

reported in dogs but remains very rare when compared to its<br />

occurrence in man, where aneurysmal rupture is the most<br />

common underlying cause.


Diagnosis of stroke<br />

In all forms of stroke, the denominative feature is the temporal<br />

profile of neurological events. It is the abruptness with<br />

which the neurological deficits develop that stamps the disorder<br />

as being vascular. The other important aspect of the<br />

temporal profile is the arrest and then regression of the neurological<br />

deficit in all except the fatal strokes. Worsening of<br />

oedema (associated with secondary injury phenomena) can<br />

result in progression of neurological signs for a short period<br />

of 24-48 hours. Haemorrhage might make exception to this<br />

description and be presented with a more progressive onset<br />

over a very short period of time. Clinical signs usually<br />

regress after 24-48 hours; this is attributable to diminution of<br />

the mass effect secondary to haemorrhage and reorganisation<br />

or oedema resorption. Neurological deficits depend on<br />

the neurolocalisation of the vascular insult (forebrain vs<br />

brainstem). Infarct of an individual brain region is associated<br />

with specific clinical signs that reflect the loss of function<br />

of that specific region. With hemorrhagic stroke, the total<br />

clinical picture is different as the haemorrhage usually<br />

involves the territory of more than one artery and pressure<br />

effects cause secondary signs. Neurological signs are largely<br />

related to increasing intracranial pressure, which gives<br />

rise to non-specific signs of forebrain or brainstem disease.<br />

Imaging studies of the brain (computed tomography or<br />

magnetic resonance imaging) are necessary to confirm suspicion<br />

of stroke, to define the vascular territory involved and<br />

the extent of the lesion and distinguish between ischaemic<br />

and hemorrhagic stroke. It is also necessary to rule-out other<br />

causes of neurological deficit such as tumour and<br />

encephalitis.<br />

Ancillary diagnostic tests in ischaemic stroke should<br />

focus on evaluating the animal for hypertension (and potential<br />

underlying cause), endocrine disease (hyperadrenocorticism,<br />

hypothyroidism, hyperthyroidism, diabetes mellitus),<br />

kidney disease, heart disease and metastatic disease. In case<br />

of haemorrhagic stroke, diagnostic tests should be targeted<br />

to screen the animal for clotting disorder (and potential<br />

underlying cause), hypertension (and potential underlying<br />

cause) and metastatic disease.<br />

Treatment and prognosis of stroke<br />

Once the diagnosis of stroke has been made, potential<br />

underlying causes should be investigated and treated accordingly.<br />

Most cases of ischaemic stroke recover within several<br />

weeks with only supportive care. In terms of neuroprotection<br />

in stroke therapy, there is no evidence that glucocorticoid<br />

treatment provides any beneficial effect. Treatment strategy<br />

for ischaemic stroke considered in man with other neuroprotective<br />

agents (NMDA antagonists, Ca2+ channel antagonists,<br />

sodium channel modulators) or thrombolytic therapy<br />

27<br />

remains to be evaluated in clinical setting in dogs. The medical<br />

management of dogs with intracerebral haemorrhage<br />

commonly includes stabilisation of the patient (airway protection<br />

and control of vital signs), assessment of the neurological<br />

status, determination of potential underlying cause of<br />

the haemorrhage, and assessment for the need for specific<br />

treatment measures including management of raised<br />

intracranial pressure and treatment of the eventual underlying<br />

cause. Surgical evacuation of the haematoma is<br />

employed mostly in dogs with large haematoma volume or<br />

in those with a worsening neurologic status. The prognosis<br />

of stroke depends mainly on the neuroanatomic location of<br />

the stroke, the presence of secondary pathological effects<br />

(oedema, haemorrhage, increased intracranial pressure and<br />

brain herniation) and especially the underlying cause if one<br />

is identified. Most dogs with ischaemic stroke tend to recover<br />

within several weeks with only supportive care. The presence<br />

of a medical condition was a significant factor in the<br />

occurrence of subsequent infarct in the case series reported<br />

by Garosi and other (2005).<br />

Bibliography<br />

Adams RD, Victor M (<strong>19</strong>97) Cerebrovascular diseases. In: Adams RD &<br />

Victor M eds. Principles of neurology. 6th ed. New York: McGraw-<br />

Hill Inc. pp 777-873.<br />

Graves MJ (<strong>19</strong>97). Magnetic resonance angiography. British Journal of<br />

Radiology 70, 6-28.<br />

Garosi LS, McConnell JF (2005) Brain infarct in dog and human: a comparative<br />

review. Journal of Small Animal Practice 46:5<strong>21</strong>-529.<br />

Garosi LS, McConnell JF, Platt SR, Baronne G, Baron JC, de Lahunta A,<br />

Schatzberg SJ (2005) Results of diagnostic investigations and longterm<br />

outcome of 33 dogs with brain infarction (2000-2004). Journal<br />

of Veterinary Internal Medicine<strong>19</strong>:729-731.<br />

Garosi LS, JF McConnell, SR Platt, G Baronne, JC Baron, A de Lahunta,<br />

SJ Schatzberg (2006) Clinical and topographical magnetic resonance<br />

characteristics of suspected brain infarctions in 40 dogs. Journal of<br />

Veterinary Internal Medicine (in press).<br />

Hakim AM (<strong>19</strong>98) Ischaemic penumbra: the therapeutic window. Neurology<br />

51, S44-46<br />

Heiland S (2003) Diffusion- and perfusion-weighted MR imaging in acute<br />

stroke: principles, methods, and applications. Imaging Decisions in<br />

MRI 4, 13-25.<br />

Kalimo H, Kaste M, Haltia M (2002) Vascular diseases. In: Graham DI &<br />

Lantos PL eds. Greenfield’s neuropathology. 7th ed. London: Arnold.<br />

pp 233-280.<br />

McConnell JF, Garosi LS, Platt SR, Dennis R (2005) MRI findings of presumed<br />

cerebellar cerebrovascular accident in twelve dogs. Veterinary<br />

Radiology and Ultrasound 46, 1-10.<br />

Platt SR, Garosi L (2003) Canine cerebrovascular disease: do dogs have<br />

strokes? Journal of the American Animal Hospital Association 39,<br />

337-342.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Laurent Garosi<br />

lsg@vetspecialists.co.uk


Advance diagnostic imaging in cerebrovascular<br />

accident<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham, England<br />

The term cerebrovascular disease is defined as any abnormality<br />

of the brain resulting from a pathological process<br />

compromising its blood supply. From a pathological point<br />

of view, the lesions affecting the cerebral blood vessels are<br />

divided into two broad categories: (1) ischaemia with or<br />

without infarction secondary to obstructed blood vessels<br />

and (2) haemorrhage caused by rupture of the blood vessel<br />

wall. With limited stores, the brain relies on a permanent<br />

supply of glucose and oxygen to maintain ionic pump function.<br />

When perfusion pressure falls below critical levels,<br />

ischemia develops, progressing to infarction if it persists<br />

long enough. An infarct is an area of compromised brain<br />

parenchyma caused by a focal occlusion of one or more<br />

blood vessels. It may be due either to vascular obstruction<br />

that develops within the occluded vessels (thrombosis) or to<br />

obstructive material that originates from another vascular<br />

bed and travels to the brain (thromboembolism). Depending<br />

on the size of vessel involved, infarcts can be seen as being<br />

the consequence of small vessel disease (lacunar infarct) or<br />

large vessel disease (territorial infarct). In haemorrhagic<br />

stroke, blood leaks from the vessel directly into the brain,<br />

forming a haematoma in the brain parenchyma, or into the<br />

sub-arachnoid space. The mass of clotted blood causes<br />

physical disruption of the tissue and pressure on the surrounding<br />

brain. Imaging studies of the brain are necessary<br />

to rule-out other causes of acute onset of neurological signs<br />

and to confirm a suspicion of stroke. They are also necessary<br />

to define the vascular territory involved, the extent of<br />

the lesion, and to distinguish between ischaemic and haemorrhagic<br />

stroke. MRI is the most sensitive imaging modality<br />

for diagnosing ischaemic stroke with changes seen within<br />

an hour of onset.<br />

IMAGING OF ISCHAEMIC STROKE<br />

COMPUTED TOMOGRAPHY<br />

Computed tomography (CT) images are frequently normal<br />

during the acute phase of ischaemia; therefore the diagnosis<br />

of ischaemic stroke using CT relies upon the exclusion<br />

of mimics of stroke. Early CT signs of ischaemia can be subtle<br />

and difficult to detect even by very experienced readers<br />

and include parenchymal hypodensity, loss of gray-white<br />

matter differentiation, subtle effacement of the cortical sulci,<br />

and local mass effect. CT has until recently been the preferred<br />

imaging modality in man to determine the presence of<br />

haemorrhage in early stroke, with haemorrhage appearing<br />

hyperdense in the early stages. Recent developments in MRI<br />

mean this is no longer the case and CT now has no advantage<br />

over MRI in the diagnosis of ischaemic stroke.<br />

CONVENTIONAL MAGNETIC RESONANCE<br />

IMAGING<br />

28<br />

Conventional magnetic resonance imaging can be used to<br />

depict ischaemic stroke within 12 to 24 hours of the onset<br />

and to distinguish haemorrhagic lesions from infarction.<br />

Although infarcts can sometimes be difficult to differentiate<br />

from other pathologic processes such as inflammatory diseases,<br />

they tend to have certain distinguishing characteristics<br />

on conventional MR images.<br />

1- A distinctive diagnostic aspect of ischemic stroke is their<br />

location and distribution, which depends on the vascular<br />

territory involved. The conformity of an ischemic/infarct<br />

to a vascular territory is an important element in the diagnosis<br />

that helps in distinguishing these lesions from brain<br />

tumours, inflammation, and trauma. Ischemic/infarcts are<br />

caused by occlusion of a cerebral blood vessel. They<br />

therefore occur and are limited to the region of the brain<br />

vascularized by the affected vessel with often sharp<br />

demarcation with the surrounding normal brain tissue and<br />

minimal or no mass effect<br />

2- Ischemic/infarct are caused by blood perfusion failure and<br />

therefore energy depletion. The consequence for the cell<br />

is failure of the Na + /K + pump and accumulation of Na +<br />

and water within the cell, i.e. cytotoxic oedema. The MRI<br />

changes seen in ischaemic parenchyma rely on an<br />

increase in tissue water content. Gradually the T2-weighted<br />

or FLAIR images become more hyperintense (T2 prolongation<br />

which produces higher signal in areas of<br />

increased tissue water content) in the ischaemic region<br />

particularly over the first 24 hours<br />

3- MRI changes are best appreciated in the grey matter and<br />

are well visualised in deep grey matter structures such as<br />

the thalamus and basal ganglia due to the selected vulnerability<br />

to ischemia<br />

4- Contrast-enhancement (associated with reperfusion) is<br />

not usually seen until at least 7 to 10 days<br />

T2-weighted and fluid-attenuated inversion recovery<br />

(FLAIR) images are particularly useful in imaging of<br />

ischaemic stroke to give a more anatomical image of the<br />

brain and depict edema, old infarcts, microangiopathic<br />

changes, tumors and other pathology. With these sequences,<br />

ischaemic infarction appears as a hyperintense lesion. Dif-


ferentiation of ischaemic core from penumbral tissue is however<br />

not possible. T2*-weighted (gradient echo) images are<br />

use to show the presence of or exclude intracranial hemmorhage.<br />

FUNCTIONAL MAGNETIC RESONANCE<br />

IMAGING<br />

Several functional magnetic resonance imaging (fMRI)<br />

techniques have been developed in the early diagnosis of<br />

stroke and follow-up stroke treatment in human. They<br />

include diffusion and perfusion imaging and magnetic<br />

resonance angiography (MRA).<br />

Diffusion and perfusion MRI are new techniques that<br />

monitor water transport in the microenvironment at cellular<br />

or capillary levels. They provide complementary<br />

information about the pathophysiological processes following<br />

cerebral ischaemia.<br />

• Diffusion weighted images (DWI)<br />

DWI is used commonly in humans to improve the sensitivity<br />

and specificity for the diagnosis of acute stroke<br />

making it an ideal sequence for positive identification of<br />

hyperacute stroke, excluding stroke mimics. The temporal<br />

evolution of the DWI signal also allows the discrimination<br />

of acute versus chronic lesions. Moreover, the sequence is<br />

sensitive, detecting lesion as small as 4 mm in diameter.<br />

Magnetic resonance DWI detects the random molecular<br />

motion of water in vivo. The degree of this mobility can be<br />

quantified by a physical parameter known as the apparent<br />

diffusion coefficient (ADC). In biological systems, free<br />

diffusion is restricted by physical barriers (e.g. cell membranes)<br />

and chemical interactions (e.g. binding to macromolecules).<br />

Acute infarction leads to water trapping within<br />

the cells and causes reduced diffusion. This phenomenon<br />

of decreased diffusion and cytotoxic edema produces a<br />

regional hyperintensity on DWI. The image intensity on<br />

DWI is dependent on the ADC as well as the transverse<br />

relaxation time (T2). Because DWI are affected by T1 and<br />

T2 contrast, stroke lesions also become progressively<br />

brighter owing to concurrent increases in brain water content,<br />

leading to the added contribution of hyperintense T2weighted<br />

signal known as “T2-shine through”. To differentiate<br />

between true restricted diffusion and “T2 shine<br />

through”, bright lesions on DWI should always be confirmed<br />

with apparent diffusion coefficient maps, which<br />

exclusively measure diffusion. The ADC map helps to<br />

remove the effect of T2-weighted hyperintensity (associated<br />

with cytotoxic edema) that can contribute to diffusionweighted<br />

hyperintensity. Diffusion weighted images can be<br />

used to improve the sensitivity and specificity for the diagnosis<br />

of acute stroke. This type of study also permits the<br />

discrimination of acute versus chronic lesions. The classic<br />

appearance of acute infarction is hyperintensity on DWI<br />

and reduced ADC. The ADC values remain below normal<br />

(reflect cellular swelling) over the first 8 to 10 days and<br />

progress to pseudonormal and supernormal values at<br />

chronic time points beyond 10 days (due to cellular necrosis<br />

or lysis).<br />

29<br />

• Perfusion images (PWI)<br />

In addition to diffusion-weighted imaging, MR perfusionweighted<br />

imaging is employed to depict brain regions of<br />

hypoperfusion and derives the tissue at risk by comparing<br />

the results with the findings on DWI. Perfusion-weighted<br />

imaging involves the repeated and rapid acquisition of<br />

images before and after the injection of a contrast agent<br />

using a two-dimensional gradient-echo or spin-echo EPI<br />

sequence. The shortening of the T1-relaxation rate over time<br />

is proportional to the concentration of the contrast agent and<br />

thus provides information on tissue perfusion.<br />

Diffusion and perfusion MRI techniques have made it<br />

possible to distinguish between the two compartments (central<br />

core and peripheral penumbra) of ischaemic tissue. With<br />

perfusion-weighted images, the blood supply of the tissue<br />

and area of hypoperfusion can be monitored, whereas diffusion-weighted<br />

images (DWI) approximately reflects the irreversibly<br />

damaged infarcted core. The volume difference<br />

between the two, also termed PWI/DWI-mistmatch, has<br />

some correlation with the ischaemic penumbra.<br />

• Magnetic resonance angiography (MRA)<br />

In addition to its use for tissue evaluation, MRA can noninvasively<br />

assess the intracranial vascular status of stroke<br />

patients. Two techniques can be used: time of flight (TOF)<br />

MRA and contrast-enhanced MRA. One of the main limitations<br />

of MRA is its lower resolution compared with conventional<br />

angiography. This becomes progressively worse as the<br />

luminal size decreases. In human, angiographic techniques<br />

are particularly used for screening of carotid artery stenosis,<br />

vascular malformation (such as arteriovenous malformation,<br />

venous angioma) and aneurysms. The use of MRA in dogs<br />

has been described and may allow identification of underlying<br />

vascular lesions in cases of canine stroke.<br />

IMAGING OF HEMORRHAGIC STROKE<br />

COMPUTED TOMOGRAPHY (CT)<br />

CT is exquisitely sensitive for detection of acute haemorrhage.<br />

Acute haemorrhage is evident as a hyperdensity on<br />

CT due to hyperattenuation of X-rays by the globin portion<br />

of blood. The attenuation decreases until the hematoma is<br />

isodense at about 1 month after the onset. The periphery of<br />

the hematoma contrast enhances from 6 days to 6 weeks<br />

after the onset due to revascularisation.<br />

CONVENTIONAL MAGNETIC RESONANCE<br />

IMAGING<br />

The two most important biophysical properties in the generation<br />

of MR signal intensity patterns seen in evolving<br />

intracranial haematomas are the paramagnetic effects of iron<br />

associated with the changing oxygenation states of haemoglobin<br />

and the integrity of red blood cell membranes that,<br />

when intact, compartmentalise the paramagnetic iron. However,<br />

the MR signal intensity of intracranial haemorrhage is<br />

also influenced by several intrinsic (time from ictus, source,


size and location of haemorrhage) and extrinsic (pulse<br />

sequence and field strength) factors. The causes of these<br />

intrinsic and extrinsic variations in haematoma intensity are<br />

difficult to evaluate with clinical studies since it is frequently<br />

impossible precisely to ascertain the interval between<br />

haemorrhage and MR imaging.<br />

Gradient echo sequences have been proven to be the most<br />

accurate of all of the MR pulse sequences, and more accurate<br />

than computed tomography, in predicting the extent of<br />

haemorrhage on pathologic examination in a dog model.<br />

Compared to other sequences, gradient echo scans demonstrate<br />

readily detectable hypointensity regardless of the time<br />

from ictus, the source and location of haemorrhage, or the<br />

field strength.<br />

Hypointensities on gradient echo images is however not<br />

specific for haemorrhage and may also be seen with calcification,<br />

air, iron, foreign bodies and melanin. Air, calcification<br />

and often foreign bodies would also be normally<br />

hypointense on all the pulse sequences.<br />

Bibliography<br />

Adams RD, Victor M (<strong>19</strong>97) Cerebrovascular diseases. In: Adams RD &<br />

Victor M eds. Principles of neurology. 6th ed. New York: McGraw-<br />

Hill Inc. pp 777-873<br />

30<br />

Graves MJ (<strong>19</strong>97). Magnetic resonance angiography. British Journal of<br />

Radiology 70, 6-28<br />

Garosi LS, McConnell JF (2005) Brain infarct in dog and human: a comparative<br />

review. Journal of Small Animal Practice 46:5<strong>21</strong>-529<br />

Garosi LS, McConnell JF, Platt SR, Baronne G, Baron JC, de Lahunta A,<br />

Schatzberg SJ (2005) Results of diagnostic investigations and longterm<br />

outcome of 33 dogs with brain infarction (2000-2004). Journal<br />

of Veterinary Internal Medicine<strong>19</strong>:729-731<br />

Garosi LS, JF McConnell, SR Platt, G Baronne, JC Baron, A de Lahunta,<br />

SJ Schatzberg (2006) Clinical and topographical magnetic resonance<br />

characteristics of suspected brain infarctions in 40 dogs. Journal of<br />

Veterinary Internal Medicine (in press)<br />

Hakim AM (<strong>19</strong>98) Ischaemic penumbra: the therapeutic window. Neurology<br />

51, S44-46<br />

Heiland S (2003) Diffusion- and perfusion-weighted MR imaging in acute<br />

stroke: principles, methods, and applications. Imaging Decisions in<br />

MRI 4, 13-25<br />

Kalimo H, Kaste M, Haltia M (2002) Vascular diseases. In: Graham DI &<br />

Lantos PL eds. Greenfield’s neuropathology. 7th ed. London: Arnold.<br />

pp 233-280<br />

McConnell JF, Garosi LS, Platt SR, Dennis R (2005) MRI findings of presumed<br />

cerebellar cerebrovascular accident in twelve dogs. Veterinary<br />

Radiology and Ultrasound 46, 1-10<br />

Platt SR, Garosi L (2003) Canine cerebrovascular disease: do dogs have<br />

strokes? Journal of the American Animal Hospital Association 39,<br />

337-342<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Laurent Garosi - lsg@vetspecialists.co.uk


Cns inflammatory (UK) problems: the neurologist’s<br />

viewpoint, clinical approach and treatment<br />

Laurent S. Garosi<br />

Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Higham, England<br />

INFECTIOUS OR NON-INFECTIOUS?<br />

THAT IS THE QUESTION…<br />

Inflammatory CNS diseases are an extremely heterogenous<br />

group of diseases as far as their causes, pathological<br />

process involved and lesion distribution is concerned. Two<br />

distinct groups can be made: the meningoencephalomyelitis<br />

of unknown etiology and the infectious meningoencephalomyelitis.<br />

Meningoencephalomyelitis of unknown etiology in the<br />

dog is commonly attributed to granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

(GME) and the breed-specific meningoencephalitides.<br />

GME is an angiocentric, mixed lymphoid,<br />

infiltrative process that predominantly affects the CNS<br />

white matter and leptomeninges. The clinical signs are<br />

variable and reflect the morphologic type of disease and<br />

the site of the lesion. Three forms of GME have been<br />

described based on both morphological and clinical neurological<br />

abnormalities: disseminated, focal, and ocular. The<br />

disseminated form typically manifests with acute onset of<br />

rapidly progressive clinical signs suggestive of multifocal<br />

CNS disorder whereas focal GME is associated with clinical<br />

signs suggestive of a single space-occupying mass with<br />

an insidious onset and slowly progressive course. Ocular<br />

form of GME manifests with acute onset of visual impairment<br />

and dilated non-responsive pupils caused by optic<br />

neuritis. Dogs with the ocular form can subsequently<br />

develop CNS lesions. The cause of GME is not known with<br />

immune-mediated, infectious and neoplastic causes proposed<br />

as possible causes. Current thoughts are a non-specific<br />

neurotropic response of the canine immune system<br />

and multiple etiologies may be involved. The lesions associated<br />

with the breed-specific meningoencephalitides differ<br />

from those in GME in distribution and severity. Pug dog<br />

and Maltese encephalitis is characterized by extensive<br />

necrosis and non-suppurative inflammation of the cerebral<br />

gray and subcortical white matter (necrotizing meningoencephalitis<br />

or NME). The neurological signs are acute and<br />

progressive and reflect mostly forebrain disorder with<br />

seizures observed in most dogs. A necrotizing encephalitis<br />

is also described in Chihuahua, Shi Tzu and Yorkshire Terrier<br />

and characterized histologically by multifocal area of<br />

extremely severe mononuclear inflammation surrounding<br />

large malacic gliotic center predominantly affecting the<br />

brainstem and periventricular cerebral white matter (necrotizing<br />

leukoencephalitis or NLE). Brainstem signs with<br />

central vestibular dysfunction predominate frequently. A<br />

genetic basis is probable. Without histopathology, the antemortem<br />

diagnosis of GME or breed-specific meningoencephalitides<br />

is often presumptive. The terminology meningoencephalitis<br />

of unknown etiology should therefore be<br />

used for cases in which brain tissues have not been subject<br />

to histopathological evaluation.<br />

Encephalitis and meningitis often exist concurrently in<br />

dogs and cats with infection of the central nervous system.<br />

Numerous infectious agents have been incriminated and<br />

include viral (distemper, rabies, parvovirus, pararinfluenza,<br />

herpes, feline leukaemia, feline immunodeficiency virus),<br />

bacterial (from direct inoculation, embolism from other<br />

source or extension of bacterial processes), rickettsial<br />

(Ehrlichia, Rocky Mountain spotted fever), protozoal (Toxoplasma,<br />

Neospora), fungal (Blastomycosis, histoplasmosis,<br />

cryptococcosis, aspergillosis, coccidiomycosis) and<br />

spirochaetes (Lyme disease, leptospirosis) agents. Adding to<br />

this list, a number of parasites have been reported to affect<br />

the brain during aberrant migration (Toxocara, heartworm,Cuterebra<br />

larvae). Their incidence depends mainly on<br />

geographic location. Disease tends to be acute on onset and<br />

progressive, with often a multifocal or diffuse distribution of<br />

lesions seen within the CNS.<br />

DIAGNOSIS<br />

31<br />

A female predisposition for GME has been reported and<br />

the disease is most common in young to middle-aged dogs.<br />

Most cases of breed-specific meningoencephalitides<br />

described so far occurred in young and adult (6 months to 7<br />

years) with no gender predisposition. Antemortem diagnosis<br />

of GME or breed-specific meningoencephalitides<br />

(NME, NLE) often lacks histopathological confirmation.<br />

Extraneural signs such as hyperthermia are rare. Blood<br />

examination may be normal or reveal a stress leukogram.<br />

CSF findings include a pure mononuclear pleocytosis or a<br />

mixed cell population (particular in acute cases). Although<br />

CSF mononuclear pleocytosis is a sensitive indicator for<br />

CNS inflammation, it cannot discriminate between<br />

immune-mediated, infectious, and neoplastic differential<br />

considerations for canine meningoencephalitis. The<br />

absence of CSF abnormality does not rule-out the possibility<br />

of GME, particularly in dogs pre-treaded with corticosteroids<br />

or where the lesions are not in close proximity to the<br />

ventricular system and subarachnoid space. CSF findings in<br />

dogs with NME or NLE reveal as well a moderate pleocy-


tosis with mononuclear cells or mixed cell pleocytosis and<br />

mild to marked elevation of protein concentration. Imaging<br />

findings in meningoencephalitis of unknown etiology are<br />

non-specific but can help to support the suspected clinical<br />

diagnosis. CT-scan may reveal hyperdense lesions after<br />

injection of contrast medium intraveinously. The most consistent<br />

MR imaging findings in dogs with multifocal form<br />

of GME are the presence of multiple hyperintense T2W or<br />

FLAIR lesions scattered throughout the cerebral white matter.<br />

Contrast-enhancement may or may not be present. Central<br />

nervous system lymphosarcoma, and less commonly<br />

glial neoplasms and metastatic neoplasia can present with<br />

similar clinical and imaging findings and should therefore<br />

enter in the differential diagnosis of this form of GME. The<br />

focal form of GME presents on CT or MR imaging as a<br />

non-specific single space-occupying mass. The more characteristic<br />

distribution of the lesions observed in breed-specific<br />

meningoencephalitis (NLE or NME) may aid in the<br />

imaging diagnosis of these conditions. As such, diagnoses<br />

of “GME” or “breed-specific meningoencephalitis” made<br />

from clinical signs, CSF, imaging and negative infectious<br />

disease titers are presumptive and histologic examination of<br />

the nervous tissue (brain biopsy or postmortem) is required<br />

for a definitive diagnosis. Combined intrathecal and systemic<br />

high IgA levels are also very useful for the diagnosis<br />

of aseptic suppurative meningo-arteritis.<br />

Blood examination findings with infectious disease can<br />

range from leucocytosis with neutrophilia and left shift with<br />

bacterial infection, eosinophilia with increased muscle<br />

enzymes with protozoal diseases, lymphopenia with eventually<br />

leucopenia or leucocytosis with canine Distemper,<br />

hyperglobulinemia with feline infectious peritonitis. CSF<br />

and infectious titre (serology and/or PCR) performed on<br />

serum and/or CSF are the most reliable antemortem diagnostic<br />

test for identifying infectious CNS diseases. CSF<br />

findings in canine Distemper range from little changes in the<br />

acute phase to mononuclear pleocytosis and increased protein<br />

content in chronic inflammatory form. A marked neutrophilic<br />

pleocytosis is usually present with bacterial infection,<br />

feline infectious peritonitis (associated with marked<br />

increase in protein content) or aseptic suppurative meingoarteritis.<br />

A mild mixed pleocytosis and increase protein is<br />

often seen with protozoal disease. Bacterial cultures of CSF<br />

and blood are indicated on suspicion of bacterial meningoencephalitis<br />

but are often unsuccesfull.<br />

TREATMENT<br />

Immunosuppressive doses of corticosteroids have been<br />

the mainstay of treatment for presumptive GME, aseptic<br />

suppurative meningo-arteritis and the breed-specific meningoencephalitides.<br />

Response to corticosteroids has frequently<br />

been reported as variable and temporary with animals<br />

often having a dramatic initial response, but relapses are<br />

common. Long-term, high-dose corticosteroids treatment<br />

commonly causes adverse effects such as gastrointestinal<br />

ulceration, pancreatitis and iatrogenic hyperadrenocorticism.<br />

Radiation, azathioprine, procarbazine, cytosine arabinoside<br />

and cyclosporine as sole agent or as an adjunctive<br />

32<br />

treatment with prednisone have been reported to be effective<br />

in some dogs with GME. Combined trimethoprim-sulfonamide,<br />

pyrimethamine and/or clindamycin are indicated<br />

for protozoal disease. Treatment of bacterial infection consists<br />

of high doses of broad-spectrum antibiotics known to<br />

penetrate the blood brain barrier. Glucocorticoids may be<br />

indicated during the first 48 hours of treatment. Treatment<br />

of viral diseases such as canine distemper or feline infectious<br />

peritonitis is essentially palliative.<br />

PROGNOSIS<br />

The prognosis for long-term remission in proven cases of<br />

GME and the breed-specific meningoencephalitides has<br />

been reported as being poor. However, such reports have<br />

been limited to histopathologically confirmed cases of GME<br />

that died or were euthanized as a result of the severity of<br />

their disease, so the poor prognosis in these studies may be<br />

biased. Others have reported greater than one year survival<br />

in dogs with suspected GME treated with aggressive<br />

immunosuppression including prednisone and azathioprine.<br />

The prognosis of aseptic suppurative meningo-arteritis is<br />

good with an early aggressive and sustained therapy.<br />

Bibliography<br />

Adamo FP, O’Brien RT. Use of cyclosporine to treat granulomatous meningoencephalitis<br />

in three dogs. J Am Vet Med Assoc. 2004;225:1<strong>21</strong>1-<br />

1<strong>21</strong>6<br />

Bailey CS, Higgins RJ. Characteristics of cerebrospinal fluid associated<br />

with canine granulomatous meningoencephalomyelitis: a retrospective<br />

study. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>96;188:418-4<strong>21</strong><br />

Braund KG, Vandevelde M, Walker, TL, et al. Granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

in six dogs. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>78;172:1<strong>19</strong>5-<br />

1200<br />

Braund, K. G. Granulomatous meningoencephalomyelitis. J Am Vet Med<br />

Assoc <strong>19</strong>85;186, 138-141<br />

Cuddon, P. A., Coates, J. R. & Murray, M. New treatments for granulomatous<br />

meningoencephalomyelitis. American College of Veterinary<br />

Internal Medicine 2002<br />

Cordy DR, Holliday TA. A necrotizing meningoencephalitis of pug dogs.<br />

Vet Pathol <strong>19</strong>89; 26:<strong>19</strong>1-<strong>19</strong>4<br />

De Lahunta A. Veterinary Neuroanatomy and Clinical Neurology. 2nd ed.<br />

Philadelphia: WB Saunders Co, <strong>19</strong>83; 384-385<br />

Dewey, C. W. Encephalopathies: disorders of the brain. In: A Practical Guide<br />

to Canine and Feline Neurology. Ed C. W. Dewey. Iowa State<br />

Press, Ames, Iowa. 2003;pp 99-178<br />

Kipar A, Baumgartner W, Vogl C, et al. Immunohistochemical characterization<br />

of inflammatory cells in brains of dogs with granulomatous<br />

meningoencephalitis. Vet Pathol <strong>19</strong>98; 35:43-52<br />

Munana, K. R. & Luttgen, P. J. Prognostic factors for dogs with granulomatous<br />

meningoencephalomyelitis: 42 cases (<strong>19</strong>82-<strong>19</strong>96). J Am Vet<br />

Med Assoc <strong>19</strong>98;<strong>21</strong>2,<strong>19</strong>02-<strong>19</strong>06<br />

Nuhsbaum, M. T., Powell, C. C., Gionfriddo, J. R. & Cuddon, P. A. Treatment<br />

of granulomatous meningoencephalomyelitis in a dog. Vet Ophthalmol<br />

2002; 5, 29-33<br />

Tipold, A., Fatzer, R., Jaggy, A., Zurbriggen, A. & Vandevelde, M. Necrotizing<br />

encephalitis in Yorkshire terriers. J Small Anim Pract <strong>19</strong>93;34,<br />

623-628<br />

Author’s Address for correspondence<br />

Laurent Garosi<br />

lsg@vetspecialists.co.uk


Periodontal disease - Why it is so common,<br />

and why it is important in our patients<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

Plaque-induced “Periodontal Disease” is often separated<br />

into: Gingivitis - inflammation of the gingiva; and Periodontitis<br />

- inflammation of the periodontal ligament and alveolar<br />

bone. Periodontitis is alveolar bone osteomyelitis, and is recognized<br />

as ‘gingival recession’ or deep pocketing.<br />

Around 500 bacterial species have been identified to date<br />

in periodontal pockets in dogs and cats. When occlusal<br />

scrubbing is insufficient, the dental plaque biofilm on the<br />

enamel thickens and matures. In the deeper part of the<br />

biofilm, the oxygen is strangled out by active growth of aerobic<br />

organisms and an anaerobic environment is established.<br />

“Periodontopathogens” are the specific anaerobic bacteria<br />

that are the putative cause of gingivitis and periodontitis.<br />

The Gram negative anaerobic rod Porphyromonas gingivalis<br />

is considered to be the key human periodontopathogen; the<br />

carnivore equivalent is named Porphyromonas gulae. Spirochetes<br />

are very common in periodontal pockets.<br />

The initial pathological effect locally is inflammation of<br />

the gingival tissues. Neutrophils are attracted to the site,<br />

move onto the epithelial surface through the large intercellular<br />

spaces of the sulcular epithelium, and engulf and digest<br />

the plaque bacteria. Many of these neutrophils become overfull<br />

and burst, releasing bacterial toxins and destructive<br />

enzymes and cytokines. When oral hygiene is poor, the bacterial<br />

load is constantly enlarging. This ratchets up the<br />

inflammatory response, and the mixture of bacterial and cell<br />

degradation products becomes destructive in its effect on the<br />

periodontal tissues. The sulcular epithelial layer ulcerates,<br />

exposing the more vulnerable connective tissue more fully to<br />

bacterial invasion. As the destructive inflammatory-infective<br />

mixture descends deeper into the tissue, inflammationinduced<br />

resorption nibbles away the alveolar bone to produce<br />

periodontitis (alveolar bone osteomyelitis).<br />

Continuing bone loss causes instability of the attachment<br />

of the tooth. The result is mobility, which causes the tooth to<br />

be pushed against the remaining bone during chewing, and<br />

finally loss of the tooth, but not before there is only a matchstick<br />

of mandibular bone present adjacent to the roots of the<br />

first mandibular tooth in some toy-bree dogs. Pathological<br />

fracture of the mandible is possible. In the typically long<br />

period between the initial gingivitis and the final exfoliation<br />

of the tooth, bacteria that find themselves adjacent to capillaries<br />

may end up causing bacteremia. Bacteremia is frequent<br />

in patients with gingivitis and active periodontitis, and<br />

it is rapidly cleared by the reticulo-endothelial system in otherwise<br />

healthy patients. However, there is an association<br />

between severity of periodontal disease and distant organ<br />

abnormalities in both humans and dogs, and a recent study<br />

in dogs has shown that systemic effects can be reversed by<br />

periodontal treatment. Even in a cooperative dog, we cannot<br />

reliably probe the pockets of an awake patient. Simple<br />

‘pocket depth’ is an unreliable measure; it may under or<br />

over-estimate the extent of periodontitis as a result of gingival<br />

recession or gingival hyperplasia, respectively. We can<br />

recognize gingivitis and gingival recession; however, in dogs<br />

there is often poor correlation between the severity of visible<br />

gingivitis and the extent of active or prior periodontitis.<br />

Prevention is directed at retarding accumulation of plaque<br />

and calculus, or by suppressing the tissue-destructive effects of<br />

the inflammatory response. What is the owner willing and able<br />

to do and the patient willing to accept? Daily brushing remains<br />

the gold standard. A combination of approaches is best.<br />

Options include:<br />

1. Stimulation of natural chewing activity, e.g. consistent use<br />

of chew products and diets that are effective in retarding<br />

accumulation of plaque and calculus. Look for the VOHC<br />

Accepted Seal ® (www.VOHC.org).<br />

2. Chemical anti-plaque effect. The long-term effectiveness<br />

of chlorhexidine in dogs is well documented. Many other<br />

‘anti-plaque’ products are also marketed, though little or<br />

no documentation of effectiveness is available.<br />

3. Surface treatments extend the benefit of professional scaling.<br />

Polishing the tooth surface after scaling is the standard.<br />

Newer treatments include application of a silicone<br />

or wax-like material to the surface of the tooth.<br />

4. Prevent accumulation of calculus mechanically (by professional<br />

scaling) or by a chemical effect (polyphosphates<br />

have a Ca ++ chelating effect that retards deposition of salivary<br />

or dietary calcium salts as calculus).<br />

5. Correct ‘host factors’ that may exacerbate periodontitis<br />

(e.g. systemic disease).<br />

6. Prevent accumulation or reduce the effects of pathogenic<br />

bacteria. Systemic antibacterial treatment is not recommended<br />

for long-term use. An antibiotic drug placed in a<br />

carrier in a periodontal pocket does is moderately effective.<br />

Recent work with P. gulae in dogs shows that a vaccine<br />

approach may be effective.<br />

Reference<br />

Harvey CE: Periodontal Disease: Understanding the options. Veterinary Clinics<br />

of North America – Small Animal Practice. 35; 8<strong>19</strong>-836, July 2005.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Colin Harvey - VHUP 3113 - 3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA<br />

33


Periodontal disease<br />

Prevention and treatment in dogs and cats<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

Management of periodontal disease consists of prevention<br />

and, when there is extensive periodontitis (alveolar bone<br />

loss), surgical or other treatment to eliminate pockets or reestablish<br />

a functional gingival cuff. In severely affected locations,<br />

extraction is the only practical treatment. Periodontal<br />

management is not like neutering a healthy young animal -<br />

every patient is unique in the extent of plaque/calculus deposition<br />

and in the tissue response and effects, and most periodontal<br />

patients are middle-aged or old. Periodontal management<br />

under anesthesia without discussion of the potential<br />

procedures required with the owner is a common causes of<br />

consumer complaints about veterinary care, and likely<br />

results in grossly insufficient care in many patients because<br />

the time alloted for that patient is not long enough for the<br />

indicated procedures. Although some veterinary technicians<br />

can scale teeth effectively, keep in mind that gingivitis and<br />

periodontitis are ‘diseases’ and that diagnosis and determination<br />

of the indicated treatment are functions limited by<br />

veterinary practice acts to a licensed veterinarian.<br />

Prior to anesthesia, two factors need to be determined:<br />

1. Is the patient healthy enough for the duration of anesthesia<br />

that may be required for dental scaling/polishing and<br />

specific treatment of any severely affected teeth?<br />

2. If involved periodontal treatment may be required, is<br />

the owner willing and able to apply home care consistently<br />

over the long-term?<br />

Once the patient is under anesthesia, examination is critical.<br />

In some cases, scaling may be necessary before a tooth<br />

can be examined. In a mouth with complete dentition, there<br />

are 42 separate decisions to be made – one for each tooth,<br />

based on the worst affected root of that tooth. Triage each<br />

tooth as:<br />

• No moderate or severe periodontitis - scaling/polishing is<br />

the only professional procedure required.<br />

• The tooth can be retained, but requires specific periodontal<br />

treatment in addition to scaling/polishing.<br />

• The tooth is too diseased to retain – extraction is the only<br />

option.<br />

It is useful to differentiate between ‘preventive’ procedures<br />

and ‘treatment’ procedures, both of which fit under the<br />

term periodontal ‘management’.<br />

Dental scaling/polishing is a preventive procedure – it<br />

removes the cause of the inflammation and infection and<br />

allows the tissues to restore themselves to health. Modern<br />

ultrasonic instruments, used with tips designed for subgingival<br />

scaling, have made dental scaling easier and more pleasant<br />

to perform. These instruments have not replaced the need<br />

to be thorough, and dental scaling in a patient with even<br />

moderate accumulations of calculus takes time. A complete<br />

scaling/polishing procedure includes periodontal examination<br />

(including charting and dental radiographs, if indicated),<br />

supra- and sub-gingival scaling, examination of the<br />

tooth (crown and root), polishing all non-attached tooth surfaces,<br />

sub-gingival irrigation and recommendations for<br />

home care.<br />

In a human patient with severe periodontitis, scaling/polishing<br />

is a pre-treatment procedure – a decision on the actual<br />

‘treatment’ of the periodontitis or soft tissue loss is often<br />

delayed for a couple of weeks until the effect of the scaling/polishing<br />

procedure is clear. Post-scaling examination<br />

indicates what specific surgical treatment, if any, is required.<br />

The need for anesthesia for complete oral/dental examination<br />

in veterinary patients limits what we know about our<br />

patients prior to induction of anesthesia. In many veterinary<br />

patients, staged procedures are impractical or unacceptable<br />

to the owner. Thus, even in some cooperative patients, veterinary<br />

dentists are required to diagnose and complete treatment<br />

at one session, and the examination to determine need<br />

for surgical treatment is made on unhealthy tissues. Patients<br />

with extensive periodontitis can be treated with an antibiotic<br />

drug for 7-10 days prior to anesthesia, so that the tissues<br />

are less inflamed when they are examined.<br />

When there is extensive periodontitis or soft-tissue loss<br />

present, ‘treatment’ is either: correction of existing loss of<br />

attachment so that remaining attachment is stabilized and<br />

further tissue loss is prevented; or extraction of the tooth.<br />

There are many treatment options that will permit retention<br />

of teeth that have severe loss of attachment. Which specific<br />

procedure to use depends on several factors, including extent<br />

and health of gingiva surrounding the tooth, extent of loss of<br />

attachment, mobility of the tooth, and furcation exposure<br />

(loss of alveolar bone between the roots of multi-rooted<br />

teeth). Surgical treatment (other than extraction) is always<br />

accompanied by thorough scaling and polishing.<br />

Reference<br />

Harvey CE: Periodontal Disease: Understanding the options. Veterinary Clinics<br />

of North America – Small Animal Practice. 35; 8<strong>19</strong>-836, July 2005.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Colin Harvey - VHUP 3113 - 3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA<br />

34


Oral surgery<br />

The little things that make a big difference<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

Oral tissues are well-vascularized, heal more rapidly than<br />

skin and thrive in a contaminated environment. Oral surgery<br />

should be easy compared with surgery on other body structures.<br />

It is, if the interface between bone and soft tissue and<br />

the complicating effects of teeth in the surgical site are<br />

accomodated. Most oral surgical procedures involve the<br />

gingiva, whether the procedure is part of periodontal treatment,<br />

trauma repair, extractions or tumor removal. The gingiva<br />

is thick, non-elastic, and firmly attached to underlying<br />

bone. There is an abrupt change at the mucogingival junction<br />

to a thinner elastic epithelium that is loosely attached<br />

to underlying bone; there are large neurovascular bundles in<br />

the connective tissue.<br />

Principles of oral surgery:<br />

Incision: Plan and your proposed incision line and follow<br />

the plan as you are making the incision. When working<br />

around teeth, include the interdental papillas and avoid making<br />

long narrow flaps. Use a new scalpel blade under twohand<br />

control - it is very easy for the scalpel to veer off when<br />

it is pressed against bone. Make one incision instead of a<br />

series of jagged incisions. Do not use an electroscalpel to<br />

make incisions that will be sutured. Keep major neuro-vascular<br />

structures (infraorbital, mental) out of harms way as<br />

you are make the incision.<br />

Dissection: Use a periosteal elevator to separate the<br />

incised gingiva from the bone. This requires a firm hand<br />

combined with excellent control. Maintain an angle of about<br />

30° between the elevator and the surface of the bone, stretching<br />

and separating the gingiva from the bone without lacerating<br />

it. Keep the location of the mucogingival junction in<br />

mind - alveolar mucosa is much more yielding and the elevator<br />

can slip and lacerate the tissue if it is not controlled.<br />

During the procedure that will follow creation of the flap,<br />

keep the raised gingiva and underlying bone moist.<br />

Control of hemorrhage: Local ligation may not be an<br />

option because the vessel is in a bony canal or has retracted<br />

into adjacent tissue containing critical neural structures. For<br />

mandibular and palatal arteries that are not accesible to ligation,<br />

use pressure. If oral bleeding is out of control, ligate<br />

the carotid artery/ies.<br />

Limit use of electrosurgery to connective tissue sites with<br />

no major neural structures in close proximity.<br />

Closure: Check the surface of the bone – smooth rough<br />

prominences with a large round bur so they will not tear the<br />

soft tissues as the tissues are moving post-operatively. Plan<br />

the sutures so that the gingival margin of remaining teeth<br />

will be reformed. If there is an option for placement of the<br />

sutures so that the incision will not lie over a void, use it,<br />

even if it means enlarging the incision line somewhat so that<br />

the tissue can be rotated away from the void. Cover bony<br />

defects by suturing the tissues into apposition without tension.<br />

If necessary, undermine the alveolar mucosa further to<br />

provide sufficient tissue for suturing without tension. The<br />

choice of material or type of needle is less important than the<br />

care with which it is placed. Generally, a simple interrupted<br />

pattern of 4-0 or 5-0 absorbable material is used with a<br />

reverse cutting needle. Gingiva tends to tear when roughly<br />

handled; to place a needle through attached gingiva, press<br />

the needle point onto the bone surface, back off slightly, then<br />

turn the needle so that the point is parallel to the bone surface<br />

as you are sliding the needle through the tissue. Snug<br />

the tissues into apposition – do not tie them tightly. Place<br />

one extra throw on the knot and leave the cut ends longer<br />

than you normally would for an absorbable suture, as the<br />

tongue will work on the sutures and untie short ends.<br />

Radical procedures: When performing a radical surgical<br />

procedure, do not be shy or slow. When reconstruction will<br />

be needed (usually to separate the nasal and oral cavities),<br />

plan the incisions so as to avoid tension on the suture lines.<br />

There is tissue available, but you may have to think creatively<br />

to find it. Remove more bone to smooth out the<br />

perimeter of a defect. Make large releasing incisions, and<br />

use the other lip if necessary.<br />

Management of dehiscence: clean up the incision edges,<br />

enlarge existing flaps if necessary to create a tension-free<br />

closure. Antibiotic treatment often is not necessary; postoperative<br />

analgesia is necessary for quick recovery of function.<br />

Prevent access to chewing materials for 2-3 weeks.<br />

Reference<br />

Harvey CE, Emily PP: Small Animal Dentistry. CV Mosby Co, St. Loius,<br />

<strong>19</strong>93.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Colin Harvey - VHUP 3113 - 3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA<br />

35


Feline oral and dental conditions -<br />

What’s New Colin Harvey<br />

Colin Harvey<br />

DVM, BVSc, MRCVS, Dipl ACVS, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Philadelphia, USA<br />

Accumulation of dental plaque and calculus causes gingivitis,<br />

which commonly leads to periodontitis (alveolar<br />

osteomyelitis). Periodontal disease in cats can be controlled,<br />

though cats generally do not cooperate with home care procedures.<br />

Two frustrating oral diseases, stomatitis and dental<br />

resorptive lesions, are much more common in cats than in dogs.<br />

Stomatitis<br />

Stomatitis is inflammation anywhere in the mouth. Painful<br />

“chronic stomatitis” (non-gingival oral inflammation or ulceration)<br />

is recognized clinically in cats. Bilateral inflamed or<br />

ulcerated lesions are seen adjacent to inflamed gingiva or in<br />

the caudal buccal folds; tongue and hard palate are rarely<br />

affected. Diagnosis: The purpose of diagnostic tests in these<br />

patients is to confirm or eliminate possible underlying causes.<br />

FeLV and FIV testing of cats with chronic oral inflammation<br />

is strongly recommended, as these viral infections cause<br />

immune suppression. Viral isolation tests often identify presence<br />

of calicivirus in oral fluids, though caliciviruses are often<br />

also found in clinically normal cats. Hypergammaglobulinemia<br />

is common, as a result of antibody production following<br />

bacterial invasion into oral tissues. Biopsy often shows large<br />

numbers of lymphocytes and plasma cells; however, these are<br />

an expected response to chronic bacterial infection. To date,<br />

although much is now known about the pathophysiology, no<br />

specific cause for feline stomatitis has been identified. Many<br />

treatments are currently used, with mixed success. Periodontal<br />

management (scaling, home care) is part of medical treatment;<br />

it is rarely sufficient by itself. Owner compliance is<br />

often poor in a cat with oral pain. Antibiotic therapy often produces<br />

short term benefit. Suppression of oral bacterial activity<br />

reduces oral inflammation, restores appetite and reduces<br />

discomfort; however there is usually rapid recurrence. Culture<br />

and susceptibility testing is a waste of time and money<br />

because of the rich oral flora. The drugs of choice are amoxicillin-clavulanic<br />

acid, clindamycin, metronidazole or pradofloxacin.<br />

Anti-inflammatory drugs often produce improvement<br />

that lasts longer than does a short-term course of antibiotics,<br />

and can be titrated down to achieve the minimum<br />

dosage; long term treatment is required in some patients.<br />

Immune-suppressive drugs and many other treatments have<br />

been used. There are no blinded, controlled random clinical<br />

trial results to assist the clinician. Extraction of all premolars<br />

and molar teeth is the most dependable treatment: significant,<br />

long-term improvement is reported in 70-80% of affected<br />

cats. Removal of root fragments is essential.<br />

Dental Resorptive Lesions<br />

In this condition, cavitations occur anywhere on the cemental<br />

surface of tooth roots. Lesions located at the gingival margin<br />

are often covered by granulomatous gingival tissue, and the<br />

lesion can undermine the crown, causing it to fracture. Retained<br />

roots are a common result. Jaw chattering often is elicited upon<br />

probing affected teeth and gingiva. Because of the pain accompanying<br />

this condition, cats can become dysphagic, anorectic<br />

and dehydrated, though resorptive lesions (especially of canine<br />

teeth) are sometimes seen with little or no accompanying gingival<br />

inflammation or obvious pain. Dental resorption most frequently<br />

involves premolar and molar teeth. One or more teeth<br />

are affected in about 50% of domesticated cats aged 4 years or<br />

more. The condition is not caries demineralization of tooth substance.<br />

The pathogenesis is known (stem cells are attracted and<br />

activated as clastic cells). Microscopically, many early lesions<br />

with no inflammatory foci are seen. Recently, hypervitaminosis<br />

D has been suggested as a possible etiology, as affected cats<br />

have higher serum levels than do cats with no clinically evident<br />

lesions. Application of a dental restorative material following<br />

preparation of the cavity has poor long-term results because the<br />

lesion often continues to develop. Currently, extraction of teeth<br />

with resorptive lesions is the only practical treatment; it does<br />

not prevent the development of lesions in remaining teeth and<br />

is often difficult because affected teeth fracture easily and ankylosed<br />

roots are hard to separate. A radiograph confirms that<br />

extraction is complete. Planned retention of vital root segments<br />

is acceptable if: the retained fragment is below bone level; there<br />

is no gingivitis-stomatitis present in that part of the mouth; there<br />

is no radiographic evidence of periapical disease; and the gingiva<br />

is sutured. In the cat, 70% of all oral neoplasms (benign or<br />

malignant) are squamous cell carcinoma, typically seen as a<br />

protuberant lesion on the gingiva or root of the tongue. Always<br />

biopsy asymmetrical oral masses in cats. Recent chemotherapy,<br />

radiation therapy or combination trials have not identified a successful<br />

treatment.<br />

References<br />

Harvey CE: Oral and Dental Diseases. In Feline Medicine and Therapeutics.<br />

E Chandler and CJ Gaskell. 2004.<br />

Reiter AM, Lewis JR, Okuda A: Update on the etiology of tooth resorption in<br />

domestic cats. Vet. Clin Nor Am Sm Anim Pract, 913-942, July 2005.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Colin Harvey - VHUP 3113 - 3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104, USA<br />

36


When a case become a surgical case?<br />

Use of antibiotics in surgery between myth<br />

and reality: yes, no, when, how many, for how long?<br />

Monitoring of the post-surgical patient:<br />

guidelines based upon severity<br />

Post-op pain management: drugs to be used during<br />

intensive care before dismissal<br />

Post-op pain management:<br />

drugs to be used after dismissal<br />

Physiotherapy: an underestimated item<br />

for the small animal surgeon<br />

Duncan Lascelles<br />

BSc, BVSc, PhD, MRCVS, Cert VA DSAS(ST), Dipl ECVS, Dipl ACVS, Raleigh, USA<br />

Abstracts will be available after 12th of June 2006 on the web site www.scivac.it/53/atti/<br />

37


Radiology of the spine: is myelography still the<br />

“gold standard”?<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

The direct answer to this question is “no”. Myelography<br />

is no longer the best imaging technique available<br />

when evaluating patients with clinical signs indicative of<br />

a spinal condition.<br />

However, this does not automatically mean that it does not<br />

have a role to play in veterinary neurology.<br />

One needs to know and understand, however, a) the indications<br />

and limitations of radiographymyelography, b) the<br />

artefacts and non-significant findings that can be encountered<br />

and c) when this technique is relevant to the clinical<br />

scenario. These very important points will be discussed during<br />

the presentation. Equally, the importance of a correct<br />

complete clinical and neurological examination, as well as<br />

the use of other ancillary diagnostic tests, cannot be overemphasised<br />

and, although it will not be discussed here, should<br />

always be taken into account.<br />

Among the indications for myelography we can include:<br />

1. To confirm a lesion suspected on survey radiographs.<br />

2. To confirm that a lesion seen on survey radiographs but<br />

that does not correlate with the results of the neurological<br />

examination is indeed likely to be clinically<br />

insignificant.<br />

3. Decide which of multiple lesions detected on survey radiographs<br />

and that could explain the clinical signs is/are<br />

more significant.<br />

4. Identify a lesion that was not visible on survey radiographs<br />

but was suspected from the history, clinical signs<br />

and neurological examination.<br />

5. Once a lesion is identified, to determine its exact location<br />

and once it has been decided that surgical treatment would<br />

be appropriate, to determine the best surgical approach.<br />

6. In particular cases, for instance in cases of caudal cervical<br />

spondylomyelopathy (Wobbler’s syndrome), to determine<br />

whether a lesion is static or dynamic, which will determine<br />

the type of surgery that is most likely to benefit the<br />

patient, if surgery is finally considered necessary.<br />

7. Confirm a diagnosis of exclusion (e.g. ischaemic or<br />

degenerative myelopathy).<br />

Regarding myelographic technique, only few comments<br />

will be included:<br />

1. Choice of contrast medium: water soluble iodinated, non<br />

ionic, low osmolar medium of 300mgI/ml is routinely<br />

used in our practice (Iohexol, Omnipaque, Amersham<br />

Health). Less concentrated preparations are available, but<br />

higher concentrations provide better subarachnoid space<br />

opacification and are more susceptible to the useful effect<br />

of gravity (Kirberger, R. M. <strong>19</strong>94).<br />

38<br />

2. Dose: 0.3-0.45 ml/kg, with a higher dose if the lesion is<br />

likely to be further away from the injection site and in<br />

smaller breeds of dogs and cats; lower dose in the opposite<br />

situation, closer lesion or larger patients. A maximum<br />

dose of 9ml (Kirberger, R. M. <strong>19</strong>94) and a minimum<br />

dose of 1ml have been mentioned in the literature.<br />

A slightly larger total dose than 9ml is likely to be needed<br />

if one is interested in evaluating the whole spine in a<br />

giant dog, however, it is true that 10 to 11mls can be<br />

surprisingly enough in large dogs. The patient needs to<br />

be maintained properly hydrated during the examination<br />

as this will help clearing of the contrast medium from<br />

the body. The head should be raised to avoid accumulation<br />

of the contrast medium in the intracranial subarachnoid<br />

space.<br />

3. Injection site:<br />

a. Cerebellomedullary cistern: technically easier; risk of<br />

severe complications if piercing the spinal cord; the<br />

caudal portion of the lesion may not be seen as contrast<br />

will follow to the area of less resistance (brain’s subarachnoid<br />

space); analysis of a CSF sample may theoretically<br />

be less useful as it is assumed that CSF flows<br />

craniocaudally; artefacts associated with subdural<br />

injection of contrast medium are more likely. Apparently<br />

higher risk of seizures post myelogram (Barone, G.<br />

and others 2002).<br />

b. Lumbar cistern: technically more challenging; relatively<br />

less severe effects if the cord is pierced, but not to be<br />

forgotten; pressure can allow contrast flow around the<br />

lesion, and therefore a better delineation of its margins;<br />

analysis of a CSF sample will theoretically be more<br />

useful; artefacts associated with epidural leakage of<br />

contrast medium are more likely. The recommended<br />

injection site is L6-7 for small dogs and cats but L5-6<br />

in larger dogs.<br />

4. Use of gravity: (use of a tilting table can be very useful)<br />

a. To speed up the caudal flow of contrast medium after<br />

cerebellomedullary cistern puncture.<br />

b. To overcome the resistance of the contrast medium to<br />

surround a lesion after cerebellomedullary cistern<br />

puncture.<br />

c. To achieve good filling of the contrast columns<br />

around the cervicothoracic and thoracolumbar portions<br />

of the spine, which are areas that routinely<br />

show poor contrast filling, or any other area that in<br />

a particular patient shows poor filling of the subarachnoid<br />

space.


Artefacts in myelography<br />

Mainly subdural injection of contrast medium in cervical<br />

myelograms (Scrivani, P. V. 2000), (Penderis, J. and others<br />

<strong>19</strong>99) and epidural leakage of contrast in lumbar myelograms,<br />

although both artefacts can occur with both types of<br />

injection.<br />

Contrast medium whithin soft tissues outside the vertebral<br />

canal or in the spinal cord parenchyma/central canal.<br />

Iatrogenic injection of gas bubbles in the subarachnoid<br />

space, seen as very well defined radiolucent filling defects.<br />

When subdural injection/epidural leakage occurs, the subarachnoid<br />

space does not receive the full dose of contrast<br />

medium and, in addition, the epidural or subdural contrast<br />

can be superimposed to the myelogram, making its evaluation<br />

even harder. This is why performing a test injection can<br />

be very important, as retrieving CSF does not rule out the<br />

possibility of subdural, epidural or even parenchymal injections<br />

of contrast medium, as only part of the needle bevel<br />

needs to be in the subarachnoid space for CSF to flow.<br />

If part of the contrast medium has reached the epidural<br />

space, the visualisation of the subarachnoid contrast<br />

columns will improve as the rest of the contrast is cleared<br />

up by normal venous return. Reradiograph the area in 10<br />

minutes to evaluate the clearing process. If the contrast disappears<br />

also from the subarachnoid space, performing a<br />

second lumbar injection with a slightly lower dose, hoping<br />

to avoid re-leakage, or injecting into the cerebellomedullary<br />

cistern, can be helpful. In the worse case scenario,<br />

it may be necessary to wake up the patient and repeat<br />

the study in a different day.<br />

Contrast medium in the central canal is an uncommon<br />

finding that can be of no significance if the canal measures<br />

less than 1mm in diameter (Kirberger, R. M. and others<br />

<strong>19</strong>93), as sometimes the central canal communicates with<br />

the subarachnoid space or, on occasions, the contrast medium<br />

gains access to the canal through the needle tract. However,<br />

the central canal is very likely to be abnormally wide<br />

if abnormal communications between the subarachnoid<br />

space and the central canal exist (trauma, neoplasia or after<br />

direct injection in the canal). The latter is more likely to<br />

occur if the injection is performed further cranially in the<br />

lumbar spine, especially at the level of the lumbar intumescence.<br />

The prognosis of central canal injection is<br />

guarded, even more so as higher volumes of contrast reach<br />

the central canal.<br />

Systematic approach to interpretation of<br />

a myelogram<br />

1. Critical evaluation of the quality of the myelogram (adequate<br />

filling of the subarachnoid space by contrast medium,<br />

absence of artefacts, etc).<br />

2. Position and width of the contrast columns on all radiographic<br />

views.<br />

39<br />

3. Position, diameter and opacity of the spinal cord on all<br />

radiographic projections.<br />

If a lesion is found, this should be further classified as a)<br />

extradural b) intradural but extramedullary or c) intramedullary<br />

Differential diagnoses<br />

a) Extradural: mainly disc protusions/extrusions, haematomas<br />

and neoplasia (bone or soft tissue, primary or secondary).<br />

Consider also, hypertrophy of ligamentum flavum, synovial<br />

cysts, fracture/luxation, abnormally developed vertebrae<br />

(wobbler’s syndrome, severe cases of hemivertebrae,<br />

etc), empyema, granuloma.<br />

b) Intradural-extramedullary: mainly arachnoid cysts and<br />

neoplasia (meningiomas, nerve sheath tumours), but consider<br />

also arachnoid haematoma or granuloma (rare).<br />

c) Intramedullary: mainly oedema/contusion and neoplasia.<br />

Other possibilities would include syringohydromyelia or<br />

myelomalacia.<br />

Limitations of myelography<br />

1. Normal myelograms (ischaemic myelopathy, degenerative<br />

myelopathy, granulomatous meningoencephalomyelitis,<br />

meningitis).<br />

2. Areas where a myelogram may not be useful (lumbosacral<br />

disease, empyema, retroperitoneal extension of discospondylitis,<br />

among others).<br />

3. Difficult cases with a lack of good delineation of the subarachnoid<br />

space by the contrast medium<br />

a. Cord odema/contusion/haemorrhage<br />

b. Large extradural lesions (disc material and haemorrhage,<br />

mainly)<br />

References<br />

Barone, G., Ziemer, L. S., Shofer, F. S. & Steinberg, S. A. (2002) Risk factors<br />

associated with development of seizures after use of iohexol for<br />

myelography in dogs: 182 cases (<strong>19</strong>98). J Am Vet Med Assoc, 220,<br />

1499-1502.<br />

Kirberger, R. M. (<strong>19</strong>94) Recent developments in canine lumbar myelography.<br />

Compendium on Continuing Education for the Practicing<br />

Veterinarian, 16, Kirberger, R. M. and Wrigley, R. H. (<strong>19</strong>93) Myelography<br />

in the dog: review of patients with contrast medium in the<br />

central canal. Veterinary Radiology and Ultrasound, 34, 253-258.<br />

Penderis, J., Sullivan, M., Schwarz, T. & Griffiths, I. R. (<strong>19</strong>99) Subdural<br />

injection of contrast medium as a complication of myelography. J<br />

Small Anim Pract, 40, 173-176.<br />

Scrivani, P. V. (2000) Myelographic artifacts. Vet Clin North Am Small<br />

Anim Pract, 30, 303-14, vi.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

Davies Veterinary Specialists, Manor Farm Business Park,<br />

Higham Gobion, Herts, UK


Advanced diagnostic imaging of the spine<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

As mentioned in the presentation regarding spinal radiography,<br />

myelography is no longer the best diagnostic imaging<br />

technique for the evaluation of veterinary patients affected<br />

by spinal or paraspinal pathology. Both CT and MRI are<br />

becoming more widely available and, especially MRI, has<br />

started to displace the use of radiography-myelography in<br />

some referral centres.<br />

The aim of this presentation is to illustrate the use of MRI<br />

for the diagnosis of spinal conditions in veterinary medicine,<br />

as the author has greater clinical experience with the use of<br />

this technique than with CT. It must be understood, however,<br />

that both CT and MRI are not free of some limitations<br />

and, similarly to what was mentioned for the use of myelography,<br />

it is very important to understand that an MRI, even<br />

if technically perfect, cannot and will not substitute a correct<br />

clinical and neurological examination and is only another<br />

step to a correct diagnosis.<br />

Advantages of MRI versus traditional<br />

radiographic techniques<br />

1. Images can be obtained on any plane (although images on<br />

the three orthogonal planes: dorsal, sagittal and transverse,<br />

are routinely obtained).<br />

2. MR will offer detailed information about the spinal cord<br />

parenchyma, the CSF filled subarachnoid space, the<br />

epidural space and the perivertebral soft tissues (as a summary,<br />

very good soft tissue contrast when compared to<br />

imaging techniques based on X-rays).<br />

3. Image formation is not based on the use of ionising radiation.<br />

4. It is therefore very suitable for the investigation of neurological<br />

conditions (Dennis, R. 2003).<br />

5. There is no need to inject contrast into the subarachnoid<br />

space, decreasing the risk of iatrogenic lesions and secondary<br />

seizures (Pooya, H. A. and others 2004).<br />

6. Although it was historically considered that CT offered<br />

higher quality images of osseous structures (the vertebrae<br />

in the particular case of the spine), the use of particular<br />

MR sequences, mainly gradient echo sequences, allows<br />

detailed investigation of the vertebrae, among other things<br />

(also used for the confirmation of the presence of<br />

haematomas or haemorrhage, for instance) (Dennis, R.<br />

2005).<br />

7. Multiple other MRI sequences are available, a detailed<br />

description of which is beyond the limits of this summary.<br />

As a bottom line, the radiologist can gain further information<br />

regarding the characteristics of some lesions using<br />

a combination of the different sequences, and especially<br />

using paramagnetic contrast medium injected intravenously<br />

during the examination, (discospondylitis and<br />

neoplasia would be good examples where the use of contrast<br />

medium is considered useful).<br />

8. One of the areas where MRI is becoming widely used is<br />

for the investigation of cases of cauda equina syndrome<br />

particularly associated with lumbosacral disc pathology.<br />

The dural sac may end cranial to the lumbosacral disc and,<br />

in those cases where it reaches this level, its decreased<br />

diameter and its more dorsal position within the distal<br />

portion of the vertebral canal hinders an accurate myelographic<br />

evaluation. MRI can rule out or accurately characterise<br />

disc pathology as well as determine the presence<br />

and severity of other complicating factors like lateral<br />

spondylosis deformans or intervertebral foraminal stenosis,<br />

for instance.<br />

Limitations of MRI<br />

40<br />

1. For the clinician wanting to start using MRI<br />

a. Expense of acquiring and maintaining the equipment,<br />

especially if a high field superconducting magnet is<br />

chosen. In addition, part or all of the anaesthesia monitoring<br />

equipment needs to be MRI compatible. In our<br />

centre longer tubes allow anaesthesia monitoring from<br />

the control room, needing only to go through the<br />

expense of acquiring a MR compatible pulsoximetry<br />

probe.<br />

b. Time and effect needed to become familiar with the<br />

technique and, more importantly, the interpretation of<br />

the generated images.<br />

c. Length of the examination when compared to CT or a<br />

“quick” myelogram (some of the gratifying four radiograph<br />

myelogram that we manage to see every so often!).<br />

Therefore, MRI may not be the technique of choice in<br />

critically ill patients, especially if a closed MR system,<br />

where the magnet completely surrounds the patient, is<br />

used, due to the difficulty of gaining access to the<br />

patient.<br />

d. It may be difficult to obtain high quality images of the<br />

spine of small dogs and cats due to the small size of<br />

their spinal cords.<br />

e. The quality of the images of the thoracic or thoracolumbar<br />

portions of the spine may be negatively<br />

affected by cardiac and/or respiratory movements.<br />

2. For the owner of the affected dog/cat<br />

a. Expense of the examination<br />

3. For all (vet/owner/pet)


a. Performing an MRI, like any other diagnostic imaging<br />

technique, is not equivalent to obtaining a histopathological<br />

diagnosis of the lesion and further tests will be<br />

needed to confirm the suspected diagnosis, incurring in<br />

further expense for the owner.<br />

MRI patterns of the most commonly<br />

diagnosed spinal pathologies in small animals<br />

1. Disc disease<br />

a. Acute<br />

b. Chronic<br />

c. Haemorrhagic<br />

d. Intramedullary extrusion<br />

e. High velocity low volume<br />

f. Extracanal<br />

This is a summary of some of the disc lesions more commonly<br />

seen. MRI will be useful to accurately localise diseased<br />

discs (care must be applied not too immediately<br />

assume that a degenerated, non-hydrated disc is causing the<br />

clinical signs) and to determine the presence and severity of<br />

spinal cord compression when assessing the amount of CSF<br />

and epidural fat that remain around the spinal cord. Other<br />

associated changes, not seen in every case, like haemorrhage<br />

(usually epidural) and secondary cord damage (sometimes<br />

defined as high velocity low volume disc) can also be readily<br />

diagnosed. Haemorrhage should be considered if a hyperintense<br />

lesion is seen on both T1 and T2 weighted sequences<br />

and it does not obviously correspond to fat. However, the<br />

lesion needs to be 2 to 7 days old to show this particular<br />

intensity pattern on T1 and T2 based sequences (Tidwell, A.<br />

S. and others 2002). However, gradient echo techniques can<br />

confirm that a lesion is haemorrhagic few hours after the<br />

lesion has formed, revealing a hypointense lesion (Tidwell,<br />

A. S. and others 2002), (Platt, S. R. and others 2003).<br />

With a high velocity low volume disc, the traumatic effect<br />

caused by the disc material and the secondary focal oedema<br />

appears as a hyperintense area on T2 based sequences. A<br />

focal hypointensity may be seen within the cord on this<br />

sequence if some mineralised disc material crosses the<br />

meninges to get into the spinal cord, but intramedullary<br />

extrusions, although described (McConnell, F. J. and others<br />

2004), are less common.<br />

2. Ischaemic myelophathy: Largely indistinguishable from<br />

an intraparenchymal cord lesion associated with a high<br />

velocity low volume disc purely on MR images, as it can<br />

also appear as a focal hyperintense area on T2 weighted<br />

sequences. However, one should investigate the presence<br />

of disc pathology on the neighbouring discs to try to reach<br />

the correct diagnosis, although this is not completely reliable.<br />

The exact type of pathology involved is somehow<br />

slightly less important, as clinically both types of lesions<br />

are likely to be associated with a peracute onset of clinical<br />

signs and therefore, being practical, one only needs to<br />

confirm the presence of a non-compressive cord pathology<br />

in this clinical scenario.<br />

3. Neoplasia<br />

a. Spine<br />

b. Nerves and meninges<br />

41<br />

c. Vertebral and paravertebral disease<br />

MRI, especially aided with the use of paramagnetic<br />

contrast medium, offers extremely good images of all<br />

types of neoplasia, allowing also a good assessment of<br />

the extension of the pathology. Sometimes, however, it<br />

may be difficult to differentiate intramedullary from<br />

intradural but extramedullary lesions if a clear widening<br />

of the subarachnoid space leading to the lesion is<br />

not identified.<br />

4. Caudal occipital malformation syndrome and associated<br />

syringohydromyelia Pathology commonly seen in the<br />

Cavalier King Charles Spaniel. The abnormal conformation<br />

of the caudal fossa of the skull leads to cerebellar<br />

compression, foramen magnum overcrowding, brain stem<br />

compression and abnormal CSF flow with associated<br />

spinal syringohydromyelia (Lu, D. and others 2003; Rusbridge,<br />

C. and others 2003). Interestingly, there is relatively<br />

poor relationship between the severity of the caudal<br />

fossa changes and the clinical signs. Other causes of<br />

syringohydromyelia need to be considered, especially in<br />

other breeds.<br />

5. Dyscospondylitis and empyema<br />

Gradient echo sequences will be very useful to determine<br />

whether endplate irregularity is present. Equally, the use of<br />

paramagnetic contrast medium will be very useful to<br />

assess the degree of soft tissue inflammation. The author<br />

has seen dramatic cases of both intracanal extension of the<br />

pathology (empyema) or retroperitoneal extension of the<br />

pathology, and MRI has been very useful to reveal these<br />

changes when compared to radiographs of the same cases.<br />

References<br />

Dennis, R. (2005). Use of gradient echo pulse sequences in MRI of the spine<br />

in small animals. EAVDI Annual Congress, Naples, Italy. Abstract<br />

proceedings page 25.<br />

Dennis, R. (2003) Advanced imaging: indications for CT and MRI in veterinary<br />

patients. In Practice, 25, 243-254.<br />

Lu, D., Lamb, C. R., Pfeiffer, D. U. & Targett, M. P. (2003) Neurological<br />

signs and results of magnetic resonance imaging in 40 cavalier King<br />

Charles spaniels with Chiari type 1-like malformations. Vet Rec, 153,<br />

260-263.<br />

McConnell, F. J. and Garosi, L. S. (2004) Intramedullary Intervertebral<br />

Disk Extrusion in a Cat. Veterinary Radiology & Ultrasound, 45, 327-<br />

330.<br />

Platt, S. R. and Garosi, L. S. (2003) Canine cerebrovascular disease: do<br />

dogs have strokes? J Am Anim Hosp Assoc, 39, 337-342.<br />

Pooya, H. A., Seguin, B., Tucker, R., Gavin, P. & Tobias, K. M. (2004)<br />

Magnetic Resonance Imaging in Small Animal Medicine: Clinical<br />

Applications. Compendium on Continuing Education for the Practicing<br />

Veterinarian, 26, 292-302.<br />

Rusbridge, C. and Knowler, S. P. (2003) Hereditary aspects of occipital<br />

bone hypoplasia and syringomyelia (Chiari type I malformation) in<br />

cavalier King Charles spaniels. Vet Rec, 153, 107-112.<br />

Tidwell, A. S., Specht, A., Blaeser, L. & Kent, M. (2002) Magnetic resonance<br />

imaging features of extradural hematomas associated with<br />

intervertebral disc herniation in a dog. Vet Radiol Ultrasound, 43,<br />

3<strong>19</strong>-324.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

Davies Veterinary Specialists, Manor Farm Business Park,<br />

Higham Gobion, Herts, UK


CNS inflammatory problems:<br />

the view of the radiologist<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

DVM, DVR, Dipl ECVDI, MRCVS, Higham Gobion, Herts, UK<br />

Inflammatory or infectious processes affecting the central<br />

nervous system can be both easy and straight forward or<br />

very frustrating to diagnose for the radiologist. Some typical<br />

examples of this would be: a) a painful dog where there is a<br />

very strong clinical suspicion of discospondylitis and b) a<br />

painful dog where there is a very strong clinical suspicion of<br />

menigoencephalitis or meningomyelitis.<br />

Discospondylitis cases may be frustrating because it is not<br />

uncommon for the radiographic signs to show some delay<br />

with respect to the progression of the clinical signs, i.e. when<br />

the dog is worse clinically the radiographs may show little or<br />

nothing whereas when the dog is improving or clinically<br />

even back to normal is when the radiographic signs may be<br />

more obvious (a radiographic pattern of bone lysis/irregularity<br />

of the endplates of the neighbouring vertebrae would be<br />

typical of a chronic radiographic phase of the disease). The<br />

role of MR in this particular scenario will be discussed later.<br />

Radiographs of a case with menigoencephalitis or<br />

meningomyelitis are very likely to be normal. The injection of<br />

radiographic contrast medium into the subarachnoid space to<br />

perform a myelogram will affect the results of the CSF analysis<br />

and therefore MR, if available, is a much better diagnostic<br />

imaging tool in this clinical scenario as a complete MRI study<br />

can be performed before a CSF sample is analysed, hopefully<br />

offering a diagnosis, or, at least decreasing the list of possible<br />

differential diagnoses of the case without the need to go<br />

through the risk of performing a myelogram.<br />

MR is likely to be normal if only the meninges and not the<br />

brain or spine parenchyma are affected, although in some<br />

cases dramatic meningeal enhancement is identified on T1<br />

weighted images after the administration of paramagnetic<br />

contrast medium if the meninges are markedly affected<br />

(Mellema, L. M. and others 2002). Subtraction techniques,<br />

which allow the MR computer to obtain another set of<br />

images of areas of post contrast enhancement through post<br />

processing of the- pre and post-contrast T1 weighted images,<br />

can be useful to demonstrate this in less obvious cases.<br />

Therefore, a more practical and critical approach to these<br />

cases consists of using MR as the first imaging diagnostic<br />

tool, looking for confirmation of the clinical suspicion or,<br />

failing this, looking to rule out other possible differential<br />

diagnosis of pain and to make sure that there is no obvious<br />

reason why a CSF sample should not be taken (for instance,<br />

in cases of atlanto axial instability, small fractures of the cranial<br />

cervical vertebrae, etc).<br />

Although these two examples correspond to real and relatively<br />

common clinical scenarios, it is very important to<br />

understand that there will be many other inflammatory/ infec-<br />

42<br />

tious conditions affecting the central nervous system that can<br />

be more readily diagnosed with radiographs and especially<br />

with MRI. The latter is, however, superior to the former in<br />

most cases and especially when trying to diagnose intracranial<br />

pathology. As mentioned previously, the author does not<br />

have clinical experience working with neuro-CT and therefore<br />

very little will be included here regarding the use of this<br />

technique. Other references, however, also support the fact<br />

that MR is superior to CT to evaluate the CNS parenchyma<br />

(Dennis, R. 2003).<br />

Radiography-myelography can be useful to diagnose<br />

cases of discospondylitis, spondylitis and some cases of vertebral<br />

canal empyema.<br />

- Dyscospondylitis: the typical radiographic pattern of this<br />

pathology has already been explained. MRI can detect<br />

areas of abnormal disc intensity signal and/or areas of post<br />

contrast enhancement in the region of the intervertebral<br />

disc, the vertebral endplates, the vertebral canal and the<br />

perivertebral soft tissues, before the more obvious end<br />

plate changes are identified. Further tests will be needed to<br />

try to identify the underlying infectious agent and decide<br />

the best course of action, however.<br />

- Spondylitis: usually associated with new bone formation<br />

affecting the ventral aspect of one or more vertebra(e). A<br />

radiographic differential diagnosis would be metastatic<br />

spread of a caudal abdominal (prostate, urethral, anal sac<br />

glands, etc) tumour to the caudal lumbar vertebrae. In other<br />

areas of the spine, infectious (more likely bacterial)<br />

causes should be investigated. Typical causes would be<br />

infection associated with a tracking foreign body, bite<br />

wounds or iatrogenically introduced infections. MR may<br />

not be needed to detect the periosteal reaction, but can be<br />

very useful to assess the degree of soft tissue involvement<br />

associated with it and can be especially useful in cases<br />

where a discharging<br />

sinus has developed.<br />

- Empyema (septic process affecting the epidural space in<br />

this case) can be seen (although not automatically diagnosed)<br />

on myelograms, especially if discospondylitis is<br />

associated with multifocal or diffuse extradural lesions<br />

(Lavely, J. A. and others 2006). However, cases without<br />

concurrent discospondylitis and with focal compressive<br />

lesions can also be sometimes identified on myelograms<br />

and therefore this uncommon but important differential<br />

diagnosis needs to be considered in cases with marked<br />

spinal pain and fever and that myelographic finding. MRI<br />

is considered superior in humans for the diagnosis of this<br />

disease, and, in addition, is commented that myelography


could potentially allow for the spread of the pathology into<br />

the subarachnoid space and therefore it would make sense<br />

to avoid myelography in this clinical scenario, if MRI is<br />

available.<br />

In addition to the already mentioned pathologies, MRI<br />

will also be useful to diagnose:<br />

- Inner ear disease: usually an extension of middle ear disease<br />

and readily diagnosed with MRI through loss of the<br />

normal hyperintense signal of the inner ear structures on<br />

T2 weighted images (Allgoewer, I. and others 2000;<br />

Benigni, L. and others 2006; Dvir, E. and others 2000;<br />

Garosi, L. S. and others 2000; Garosi, L. S. and others<br />

2003; Lamb, C. R. and others 2000)<br />

- Intracranial extension of inner ear disease (which can be<br />

dramatic in certain cases).<br />

- Some cases of granulomatous meningoencephalomyelitis,<br />

necrotising encephalitis and some cases of infectious<br />

encephalitis, especially if associated with a focal mass<br />

lesion (abscess or fungal granuloma).<br />

Applying the equivalent to the radiographic roentgen<br />

signs (number, size, shape, position, margination, radiopacity,<br />

plus or minus function and progression of the signs over<br />

time, but changing radiopacity for intensity pattern) one<br />

could very broadly summarise the general pattern of inflammatory/infectious<br />

pathologies (except in cases of discospondylitis,<br />

meningitis, dramatic inner ear infections,<br />

abscesses or granulomas) as multifocal intraparenchymal<br />

lesions with far less well defined margins than those seen<br />

with the majority of tumours and with a general intensity<br />

pattern that could be summarised as follows: the lesions will<br />

tend to be hyperintense to the surrounding brain or cord<br />

parenchyma on T2 based sequences (T2 weighted and T2<br />

Flair) but iso- to slightly hypointense on gradient echo and<br />

T1 weighted sequences, showing a variable pattern of<br />

enhancement after the administration of paramagnetic contrast<br />

medium.<br />

The final diagnosis therefore usually requires histopathology,<br />

although a complete CSF analysis, including also other<br />

ancillary tests like serology or PCR for distemper, toxoplasma<br />

and neospora in dogs and Felv, FIV, toxoplasma and<br />

coronavirus in cats to try to identify infectious conditions,<br />

can help to reach a diagnosis. Care must be applied not to<br />

jump into a conclusion that a multifocal pattern is going to<br />

be always inflammatory or infectious, as multiple well<br />

defined masses could be seen with metastases and multiple<br />

ill defined lesions with the general pattern described above<br />

could be seen with CNS lymphoma.<br />

Slightly more typical patterns can be seen with cases of<br />

necrotising encephalitis (Pug, Yorkshire terrier, Maltese,<br />

potentially Pekingese) (Ducote, J. M. and others <strong>19</strong>99;<br />

Kuwabara, M. and others <strong>19</strong>98; Lotti, D. and others <strong>19</strong>99),<br />

granulomatous meningoencephalomyelitis (consider this<br />

differential in a middle aged female dog of a terrier breed)<br />

(Ryan, K. and others 2001) and FIP in cats.<br />

Less frequently, eosinophilic encephalitis can sometimes<br />

be seen.<br />

With necrotising encephalitis diffuse areas of abnormal<br />

signal (usually hyper on T2W, hypo on T1W, with no or faint<br />

enhancement) are detected affecting the white matter of the<br />

forebrain due to the presence of underlying necrosis and<br />

43<br />

inflammation, which can also affect the neighbouring<br />

meninges. In the Maltese and Pug both grey and white matter<br />

are affected. Other references will quote that both grey<br />

and white matter will be affected on all three breeds. The<br />

brain stem can also be affected in the Yorkshire Terrier<br />

(Ducote, J. M. and others <strong>19</strong>99).<br />

Three forms of granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

can be seen: diffuse, focal or ocular forms. The intensity pattern<br />

will be similar to the previously described, although<br />

some reference will mention that contrast enhancement may<br />

be a more consistent feature because of the perivascular<br />

location of the abnormality at an histopathological level and<br />

the fact that the lesions tend to affect the white matter (Ryan,<br />

K. and others 2001). Focal lesions are frequently seen affecting<br />

the brain stem and<br />

are impossible to differentiate from neoplasia based purely<br />

on imaging.<br />

A pattern of marked periventricular enhancement after<br />

contrast administration can be seen in some cases affected<br />

by FIP.<br />

References<br />

Allgoewer, I., Lucas, S. & Schmitz, S. A. (2000) Magnetic resonance imaging<br />

of the normal and diseased feline middle ear. Vet Radiol Ultrasound,<br />

41, 413-418.<br />

Benigni, L. and Lamb, C. R. (2006) Diagnostic imaging of ear disease in<br />

the dog and cat. In Practice, 28, 122-130.<br />

Dennis, R. (2003) Advanced imaging: indications for CT and MRI in veterinary<br />

patients. In Practice, 25, 243-254.<br />

Ducote, J. M., Johnson, K. E., Dewey, C. W., Walker, M. A., Coates, J. R.<br />

& Berridge, B. R. (<strong>19</strong>99).<br />

Computed tomography of necrotizing meningoencephalitis in 3 Yorkshire<br />

Terriers. Vet Radiol Ultrasound, 40, 617-6<strong>21</strong>.<br />

Dvir, E., Kirberger, R. M. & Terblanche, A. G. (2000) Magnetic resonance<br />

imaging of otitis media in a dog. Vet Radiol Ultrasound,<br />

41, 46-49.<br />

Garosi, L. S., Dennis, R. & Schwarz, T. (2003) Review of diagnostic<br />

imaging of ear diseases in the dog and cat. Vet Radiol Ultrasound,<br />

44, 137-146.<br />

Garosi, L. S., Lamb, C. R. & Targett, M. P. (2000) MRI findings in a dog<br />

with otitis media and suspected otitis interna. Vet Rec, 146, 501-502.<br />

Kuwabara, M., Tanaka, S. & Fujiwara, K. (<strong>19</strong>98) Magnetic resonance imaging<br />

and histopathology of encephalitis in a Pug. J Vet Med Sci., 60,<br />

1353-1355.<br />

Lamb, C. R. and Garosi, L. S. (2000) Two little ducks went swimming one<br />

day. Vet Radiol Ultrasound, 41, 292.<br />

Lavely, J. A., Vernau, K. M., Vernau, W., Herrgesell, E. J. & LeCouteur, R.<br />

A. (2006) Spinal Epidural Empyema in Seven Dogs. Veterinary Surgery,<br />

35, 176-185.<br />

Lotti, D., Capucchio, M. T., Gaidolfi, E. & Merlo, M. (<strong>19</strong>99) Necrotizing<br />

encephalitis in a Yorkshire Terrier: clinical, imaging, and pathologic<br />

findings. Vet Radiol Ultrasound, 40, 622-626.<br />

Mellema, L. M., Samii, V. F., Vernau, K. M. & LeCouteur, R. A. (2002)<br />

Meningeal enhancement on magnetic resonance imaging in 15 dogs<br />

and 3 cats. Vet Radiol Ultrasound, 43, 10-15.<br />

Ryan, K., Marks, S. L. & Kerwin, S. C. (2001) Granulomatous meningoencephalomyelitis<br />

in dogs. Compendium on Continuing Education for<br />

the Practicing Veterinarian, 23, 644-651.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Llabrés-Díaz, Francisco J.<br />

Davies Veterinary Specialists,<br />

Manor Farm Business Park,<br />

Higham Gobion, Herts, UK


Detection of proteinuria - how to perform<br />

and interpret screening tests to detect proteinuria<br />

in dogs and cats<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, College Station, Texas, USA<br />

Detection of proteinuria is important for at least 2 reasons.<br />

First, recent data have shown that proteinuria is associated<br />

with untoward clinical outcomes in both dogs and cats. That<br />

is, detection of proteinuria identifies animals that are at<br />

increased risk for life-threatening illnesses. Secondly, there<br />

is emerging evidence to suggest that treatment of proteinuric<br />

dogs and cats with medical interventions that reduce the<br />

magnitude of their proteinuria improves their clinical outcomes.<br />

Thus, proper management of animals with proteinuria<br />

is clinically consequential and begins with accurate<br />

detection of proteinuria using screening tests that are performed<br />

and interpreted correctly.<br />

PERFORM A COMPLETE URINALYSIS<br />

The first important point is that tests to screen for proteinuria<br />

should always be performed in conjunction with a complete<br />

urinalysis (ie, examination of physiochemical properties<br />

including specific gravity by refractometry and dipstick<br />

colorimetric tests, as well as microscopic examination of<br />

urine sediment). There are numerous reasons why this is<br />

important. First of all, a complete urinalysis also screens for<br />

some important non-urinary diseases (eg, diabetes mellitus),<br />

as well as for evidence of several types of lower urinary tract<br />

disease (eg, bacterial urinary tract infection, urolithiasis, neoplasia)<br />

that occur commonly in dogs and cats. These latter<br />

conditions are just as important to the urinary tract health of<br />

these animals as proteinuria, and they often are clinically<br />

occult (ie, not manifested by clinical signs) when they are<br />

nonetheless detectable by abnormal urinalysis findings (eg,<br />

hematuria, pyuria, and/or microscopic bacteriuria). Finally,<br />

even when considering only issues related to testing for proteinuria,<br />

results from other parts of the urinalysis (especially<br />

the specific gravity and sediment findings) make important<br />

contributions to the initial interpretation and assessment of all<br />

screening tests for proteinuria.<br />

WHEN TO SCREEN FOR PROTEINURIA<br />

The general recommendation is to perform a complete<br />

urinalysis, with attention to detection of proteinuria if it is<br />

present, in all of the same circumstances when you are<br />

prompted to perform comprehensive laboratory testing (eg,<br />

complete blood count and/or serum biochemical profile) for<br />

a dog or cat. This usually occurs in 1 of 2 settings; (a) when<br />

investigating the cause of illness in a sick animal, and (b)<br />

when performing a routine health evaluation in an apparently<br />

healthy animal. In addition, animals (especially dogs)<br />

with chronic illnesses that are known to often become complicated<br />

by proteinuric renal disease should be tested for<br />

proteinuria at ≤ 6-month intervals. Similarly, periodic<br />

screening for proteinuria aids early detection of renal disease<br />

in apparently healthy animals that are known to be ‘at risk’<br />

for development of glomerular disorders (eg, dogs that<br />

might have an inherited glomerular disease).<br />

TESTS FOR PROTEINURIA<br />

Dipstick colorimetric test<br />

44<br />

This test has the great advantages of being relatively simple,<br />

inexpensive, and already in common use as a component<br />

of conventional urinalyses. This reagent pad test is based on<br />

the phenomenon called the “protein error of pH indicator<br />

dyes.” Fundamentally, the test is based on the ability of<br />

amino groups of proteins to bind with and alter the color of<br />

some acid-base indicators even though the sample pH us<br />

kept constant by a buffer that the test pad also contains.<br />

Because albumin has more free amino groups available to<br />

react with the indictor dye than other proteins, the dipstick<br />

test mainly detects albumin in the urine, rather than other<br />

proteins (eg, globulins, Bence Jones proteins, mucoproteins).<br />

The lower limit of sensitivity for the urine dipstick<br />

test for proteinuria is about 30 mg/dL.<br />

The greatest shortcoming of the dipstick test for proteinuria<br />

is its poor specificity in both dogs and cats. That is, the<br />

test often gives false-positive results. In a recent study<br />

reported by Grauer and colleagues, for example, the specificity<br />

of dipstick tests as compared with quantitative speciesspecific<br />

immunoassays for albumin was 69% (31% falsepositives)<br />

in dogs and only 31% (69% false-positives) in<br />

cats. When urine samples with an alkaline pH (≥ 7.5) and/or<br />

hematuria (≥ 10 RBC/hpf), pyuria (≥ 5 WBC/hpf), or bacteriuria<br />

were excluded from the analysis, specificity<br />

improved to 84% in dogs and 55% in cats. Thus, even under<br />

the best of circumstances, a positive dipstick reaction for<br />

protein in cat urine actually was a true-positive result only<br />

slightly more than half the time (and, under all circumstances,<br />

less than one-third of the time). The reason for such<br />

a high rate of false-positive dipstick reactions in urine of<br />

dogs and cats is that the high concentration and/or alkaline


pH of urine produced by these species often exceeds the<br />

buffer capacity in the reagent test pads (which were formulated<br />

for human urine).<br />

The urine dipstick colorimetric test has a couple of other<br />

short-comings that should be considered. First, the actual<br />

‘reading’ is somewhat operator dependant. That is, when the<br />

test is performed manually, different people may judge the<br />

color change differently. In addition, discoloration of the<br />

urine may alter the apparent color change of the reagent pad.<br />

One potential solution to these problems is to use an automated<br />

device to ‘read’ the urine dipstick. Such a device standardizes<br />

the colorimetric assessment, and the urine dipsticks<br />

that are designed for use with such devices include a ‘reference<br />

pad’ that is used to adjust the assessment for any ‘background’<br />

discoloration of the sample. Yet another potential<br />

short-coming of the dipstick is that it does not detect the low,<br />

but nonetheless abnormal, amounts of urine albumin that are<br />

termed ‘microalbuminuria’ (ie, albumin concentrations in<br />

the 1 to 30 mg/dL range). This issue will be discussed subsequently<br />

under the heading of species-specific immunoassays<br />

for albuminuria.<br />

Sulfasalicylic acid turbidometric test<br />

The sulfasalicylic acid (SSA) turbidometric test also is<br />

relatively simple and inexpensive. Like the dipstick, the SSA<br />

test is semiquantitative (results are reported as neg, trace, 1+,<br />

2+, 3+, or 4+), but the SSA test is both more sensitive and<br />

more specific than the dipstick. Indeed, because of its<br />

greater specificity, most large veterinary clinical pathology<br />

laboratories (eg, commercial labs, veterinary teaching hospital<br />

labs) routinely use the SSA as a ‘back-up’ test for proteinuria.<br />

Whenever the dipstick is positive, a SSA test is performed<br />

on the sample to determine whether the result is a<br />

true-positive (SSA also positive) or a false-positive (SSA<br />

negative).<br />

The SSA turbidometric test is conducted by mixing equal<br />

volumes of urine supernatant and a 5% solution of sulfasalicylic<br />

acid in a clear, glass test tube. The test is based on the<br />

fact that the acid pH of the SSA solution will cause the proteins<br />

to precipitate, causing turbidity that is approximately<br />

equal to the amount of protein in the urine. The amount of<br />

turbidity is graded (ie, negative to 4+, as above) by an<br />

observer, using either descriptive (written) or visual standards.<br />

Thus, although the SSA test is less convenient than<br />

the dipstick and it also is somewhat ‘operator dependent’ (ie,<br />

different observers might not always grade the turbidity the<br />

same), it has the advantage of being a much more specific<br />

test for proteinuria. In addition, the SSA is more sensitive<br />

than the dipstick; the lower limit of detection for the SSA<br />

test is about 5 mg/dL, and it also will detect Bence Jones<br />

proteins in the urine.<br />

Species-specific immunoassay for urine<br />

albumin<br />

45<br />

The newest methods for screening dog and cat urine for<br />

abnormal protein content utilize species-specific anti-albumin<br />

antibodies in semi-quantitative or quantitative<br />

immunoassays. These tests are very sensitive and very specific;<br />

they just detect albumin. However, albumin usually is<br />

the most abundant and diagnostically significant abnormal<br />

urine protein. The semi-quantitative tests (eg, E.R.D.-<br />

Screen Urine Tests, Heska, Ft. Collins, CO, USA) are<br />

intended for point-of-care testing and are calibrated mainly<br />

for detection of microalbuminuria (ie, urine albumin concentration<br />

in the 1-30 mg/dL range after diluting the urine to<br />

a standard specific gravity of 1.010). However, the ‘high<br />

positive’ result for the semi-quantitative test usually indicates<br />

overt albuminuria (ie, an albumin concentration > 30<br />

mg/dL), and the test does not give further information about<br />

different magnitudes of albuminuria much greater than that<br />

concentration. Species-specific anti-albumin antibody<br />

reagents also have been adapted to quantitative (eg, ELISA)<br />

immunoassays that are available from some commercial laboratories.<br />

Such tests (with dilution, as needed, to keep the<br />

concentration of albumin in the sample that is tested within<br />

the dynamic range of the assay) can provide a reasonable<br />

estimate of the actual urine albumin concentration across the<br />

full range of possible results (ie, in both the microalbuminuric<br />

and overtly albuminuric ranges).<br />

When screening for proteinuria, the semi-quantitative (ie,<br />

point-of-care) tests for microalbuminuria mainly have two<br />

potentially important applications. One such application is<br />

for testing of urine samples that were negative by dipstick<br />

analysis to detect microalbuminuria in samples in which that<br />

low, but nonetheless abnormal, amount of proteinuria would<br />

otherwise escape detection. The implications of isolated<br />

microalbuminuria (ie, microalbuminuria without any other<br />

abnormal findings) will be discussed in a subsequent lecture.<br />

A second application of the test is for follow-up testing of<br />

samples that have yielded weakly positive (equivocal) dipstick<br />

reactions. That is, because immunoassays for urine<br />

albumin are highly specific tests, they also can be used (ie,<br />

like the SSA test, as described above) to discriminate<br />

between true-positive and false-positive dipstick reactions.<br />

Recommended reading<br />

1. Osborne CA, Stevens JB. Urinalysis: A Clinical Guide to Compassionate<br />

Patient Care. Bayer Animal Health, Shwanee Mission, Kansas,<br />

USA, <strong>19</strong>99, pp 111-116.<br />

2. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum<br />

Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-<br />

385.


Assessment of proteinuria – how to localize<br />

the origin of proteinuria and evaluate its persistence<br />

and magnitude<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, College Station, Texas, USA<br />

Proteinuria not only must be detected, it must be assessed<br />

appropriately to determine its implications for the patient.<br />

Assessment of proteinuria involves investigation of three<br />

key elements:<br />

• Localization – the process of determining the likely site or<br />

mechanism that is causing the proteinuria<br />

• Persistence – determining whether or not proteinuria persists<br />

over time requires repeated testing.<br />

• Magnitude – use of appropriate quantitative methods to<br />

obtain reliable indices of the magnitude of urine protein<br />

loss is crucial for clinical decision making and for monitoring<br />

trends, including response to treatment if therapy is<br />

indicated<br />

Localization of proteinuria<br />

Proteinuria has numerous possible causes. The recommended<br />

scheme for classifying causes of proteinuria is outlined<br />

in Table 1.<br />

One attribute of this classification scheme is that it provides<br />

a specific correlate for each step in the recommended<br />

diagnostic process for localization of proteinuria in dogs and<br />

cats. When an excessive amount of protein is detected by<br />

urinalysis, localization of the likely source of the proteinuria<br />

involves these sequential steps:<br />

Step 1. To exclude “extraurinary postrenal,” evaluate<br />

urine obtained by cystocentesis.<br />

Step 2. To exclude “prerenal,” evaluate plasma protein<br />

concentration (seeking evidence of dysproteinemia that<br />

might explain the proteinuria.<br />

If the proteinuria is not prerenal and not extraurinary, it is<br />

“urinary,” and the next task is to evaluate the urine sediment<br />

for evidence of inflammation or hemorrhage.<br />

Step 3. To rule in “urinary postrenal,” find evidence of<br />

inflammation or hemorrhage, with or without clinical signs<br />

of excretory pathway disease (eg, pollakiuria) but without<br />

apparent clinical signs of nephritis.<br />

Step 4. To rule in “pathologic, interstitial renal,” find evidence<br />

of inflammation associated with clinical signs of<br />

active nephritis (eg, tender kidneys, fever, renal failure).<br />

Table 1 - Categories of causes of proteinuria<br />

Prerenal – due to abnormal plasma content of proteins<br />

freely filtered by normal glomeruli<br />

- Normal proteins (not usually free in plasma)<br />

- Abnormal proteins (eg, Bence Jones proteins)<br />

Renal – due to abnormal renal handling of normal plasma<br />

proteins<br />

Functional – mild, transient proteinuria that is not<br />

caused by lesions of renal parenchyma<br />

Pathological – proteinuria due to structural or functional<br />

lesions within the kidneys<br />

Glomerular – ie, altered glomerular permselectivity<br />

Tubular – ie, reduced tubule reabsorption of filtered<br />

proteins<br />

Interstitial – ie, exudation of proteins from peritubular<br />

capillaries into the urine<br />

Postrenal – due to entry of protein into the urine after it<br />

enters the renal pelvis<br />

- Urinary; due to hemorrhage or exudation from the<br />

walls of the urine excretory pathway<br />

- Extraurinary; due to secretions, hemorrhage, or exudates<br />

emanating from the genital tract or external<br />

genitalia<br />

If the proteinuria is “urinary” and not associated with urine<br />

sediment evidence of inflammation or hemorrhage, the<br />

remaining possibilities are:<br />

• “functional renal,” which is low-grade (ie, of low magnitude,<br />

mild, or “light”) and transient.<br />

• “pathologic, tubular renal,” which also is low-grade but<br />

typically persistent. In some cases such proteinuria is<br />

accompanied by normoglycemic glucosuria, abnormal<br />

electrolyte excretion, or both that indicate presence of<br />

multiple tubular reabsorptive abnormalities and help to<br />

identify the tubular origin of the proteinuria, but tubular<br />

proteinuria often occurs in the absence of such findings.<br />

• “pathologic, glomerular renal,” which can be of any magnitude<br />

from very low-grade (eg, microalbuminuria alone)<br />

to very substantial (ie, nephritic range) but also typically<br />

is persistent.<br />

46


Consequently, the final steps in the localization process<br />

are:<br />

Step 5. To rule in “pathologic, glomerular renal” if the<br />

magnitude of proteinuria is sufficiently high to justify this<br />

conclusion (eg, with a urine protein to creatinine (UPC) ratio<br />

≥ 2.0 in dogs and cats).<br />

Step 6. To rule in “functional renal” if the proteinuria is<br />

mild and proves, with follow-up evaluation, to be transient.<br />

Step 7. To rule in “pathologic, glomerular renal” (albeit<br />

low-grade) or “pathologic, tubular renal” if the proteinuria is<br />

mild but proves, with follow-up evaluation, to be persistent.<br />

These 2 types of proteinuria cannot be reliably distinguished<br />

from one another by conventional testing that is currently<br />

available unless or until animals with “pathologic, glomerular<br />

renal” experience an increase in the magnitude of proteinuria<br />

that is sufficient to rule out “pathologic, tubular<br />

renal” (ie, UPC ≥ 2.0, as in Step 5).<br />

Persistent renal proteinuria<br />

Proteinuria that is localized as being of “renal” origin and<br />

also is of sufficient magnitude to be self-evidently due to<br />

altered glomerular permselectivity (UPC ≥ 2.0, but the<br />

greater the magnitude of proteinuria, the more compelling<br />

the evidence) can be presumed to be persistent. However,<br />

when the magnitude is proteinuria is mild (UPC < 2.0), it is<br />

necessary to demonstrate that the abnormality is persistent to<br />

avoid undue concern about proteinuria that actually is functional<br />

and thus inconsequential, albeit of renal origin. Persistence<br />

of proteinuria is properly demonstrated by finding<br />

the abnormality on 3 or more occasions, 2 or more weeks<br />

apart. Additionally, comparison of serial values requires<br />

appreciation of the range of day-to-day variation that may be<br />

observed in animals with generally stable proteinuria. In animals<br />

(especially dogs) with heavy proteinuria, it is not necessary<br />

to wait weeks before retesting, but it is still advisable<br />

to evaluate several independent samples (ie, obtained on separate<br />

days) to more accurately establish the prevailing magnitude<br />

of proteinuria.<br />

Assessing the magnitude of persistent<br />

renal proteinuria<br />

The clinical implications of persistent renal proteinuria<br />

depend entirely on the magnitude of proteinuria and whether<br />

or not that magnitude is changing. Therefore, proper use of<br />

reliable quantitative indices of the amount of daily urine protein<br />

loss is a crucial component of the assessment of proteinuria.<br />

Determination of the total amount of protein in all the<br />

urine produced by a patient during a 24-hour interval is the<br />

47<br />

‘gold standard’ method for assessing magnitude of proteinuria.<br />

However, this method has many drawbacks that preclude<br />

its routine use in clinical veterinary practice. The alternative<br />

approach, which is now well established for veterinary<br />

applications, is to measure the concentration of protein<br />

(either all proteins or just albumin) in the urine, and then<br />

adjust that concentration in a way that compensates for differences<br />

in daily urine volume to produce an index that is<br />

proportional to the animal’s total daily urine protein loss (ie,<br />

magnitude of proteinuria). There are 2 ways to adjust the<br />

concentration. One way is to divide the protein concentration<br />

by the creatinine concentration in the same urine sample.<br />

When this is done for total urine protein (measured in<br />

mg/dL) and urine creatinine (also measured in mg/dL), the<br />

result is a unit-less value that is called the urine protein to<br />

creatinine ratio (UPC). When this is done for albumin (in<br />

mg/dL) and creatinine (in mg/dL), the result normally is<br />

such a small fraction that the conventional practice is to multiply<br />

the result by 1,000 and report the index as xx mg/gm<br />

(mg of albumin per gram of creatinine). The second way to<br />

adjust the urine protein concentration for variations in daily<br />

urine volume is to express the protein concentration only as<br />

the value that it would be at a standardized urine specific<br />

gravity of 1.010.<br />

This can be done either by diluting the sample to a specific<br />

gravity of 1.010 before it is assayed, or by measuring<br />

the protein (albumin) concentration and specific gravity in<br />

the original sample and then mathematically ‘correcting’ the<br />

concentration to the standard specific gravity (ie, 100 mg/dL<br />

in urine with 1.020 specific gravity would equate to a value<br />

of 50 mg/dL in that sample diluted to 1.010, and 90 mg/dL<br />

in urine with 1.030 specific gravity would equate to a value<br />

of 30 mg/dL when diluted to 1.010, and so on). Currently in<br />

veterinary medicine, the most conventional practice is to<br />

index total urine protein to urine creatinine (ie, the UPC<br />

ratio) and to index urine albumin to urine specific gravity,<br />

producing the ‘normalized’ urine albumin concentration<br />

(nUAlb) in mg/dL at a urine specific gravity of 1.010. Urine<br />

albumin concentrations in urine specimens with specific<br />

gravity values ≤ 1.010 are reported as measured in the original<br />

sample (ie, without any adjustment).<br />

The UPC is the most thoroughly studied and widely used<br />

index of magnitude of proteinuria in dogs and cats; most<br />

clinical recommendations are coupled to assessments of<br />

magnitude proteinuria using the UPC. An alternative<br />

approach may be to use indices based quantitative<br />

immunoassays of urine albumin, but that option has not yet<br />

been widely studied.<br />

Recommended reading<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum<br />

Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-<br />

385.


Investigation of persistent renal proteinuria -<br />

how to evaluate animals that have persistent renal<br />

proteinuria to identify treatable underlying diseases or<br />

risk factors that promote renal disease progression<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, College Station, Texas, USA<br />

Proper responses to persistent renal proteinuria are a<br />

series of escalating steps that depend on the magnitude of<br />

proteinuria and patient status (Fig. 1).<br />

• Monitor – refers to repeating 1 or more tests that have<br />

been done previously to detect changes with passing time.<br />

• Investigate – refers to performing new or additional tests<br />

to discover an underlying systemic disease or to define the<br />

animal’s renal disease more exactly.<br />

• Intervene – refers to prescribing dietary changes, use of<br />

pharmacologic agents, or both in an attempt to beneficially<br />

modify the course of disease or improve the animal’s<br />

health.<br />

Implementation of this approach of escalating responses<br />

should be sequential and inclusive. That is, one should only<br />

monitor (ie, not investigate or intervene) in circumstances<br />

that are the least compelling. But, in other more compelling<br />

circumstances, one should investigate and monitor (ie, but<br />

not intervene). This escalation (step up) might be immediate<br />

or sequential depending on the situation. Further, one should<br />

intervene as well as investigate and monitor in the most<br />

compelling situations, and again, this step up might be<br />

immediate or sequential depending on the circumstances.<br />

Importantly, correct use of this escalating approach precludes<br />

intervention (treatment) without appropriate investigation<br />

and monitoring, as well as investigation (especially<br />

invasive tests) without sufficient evidence, which might arise<br />

from monitoring, to justify the risk to the animal and the cost<br />

to the owner.<br />

Persistent renal proteinuria always should prompt action,<br />

but appropriate actions depend on the prevailing magnitude<br />

of proteinuria and clinical status of the patient. For a seemingly<br />

healthy, nonazotemic dog or cat with mild renal proteinuria<br />

(eg, persistent microalbuminuria or UPC values persistently<br />

≥ 0.5 but < 1.0), for example, the appropriate<br />

response is to merely continue to monitor the animal’s condition.<br />

The purpose of prospective monitoring of such an<br />

animal is to detect worrisome trends (if they occur) in a<br />

timely manner, so that further investigation (and treatment,<br />

if indicated) can be pursued. The key point here is that not<br />

all patients in this category have progressive chronic kidney<br />

disease (actually, it is likely that the majority do not), and the<br />

animals that do not have progressive disease will not require<br />

further investigation nor benefit from treatment. However, if<br />

the proteinuria progresses to a higher magnitude (or is not<br />

Figure 1 - Escalating, step-wise responses to proteinuria.<br />

discovered until it has already progressed to such magnitude),<br />

further investigation and possibly treatment is warranted.<br />

The key point here is that the high or rising magnitude<br />

of proteinuria is a marker of progressive disease, which<br />

does need to be detected and treated as early as possible. Yet<br />

another indication that an animal’s renal disease is progressive<br />

is that it has already produced renal azotemia. Consequently,<br />

the magnitudes of proteinuria that should prompt<br />

further action are lower in azotemic animals than they are in<br />

nonazotemic animals.<br />

What and how to monitor<br />

Animals with persistent renal proteinuria should be examined<br />

at regular intervals, but the appropriate length of time<br />

between rechecks depends on the circumstances. When<br />

important variables have not yet been characterized or are<br />

changing, rechecks may need to be scheduled as frequently<br />

as every 1-2 weeks. At the other extreme, when the animal’s<br />

condition is stable or under good control, rechecks may not<br />

be required more often than every 4-6 months.<br />

Each examination should include a review of the animal’s<br />

recent history (review of systems, medications, diet, etc.)<br />

and a thorough physical examination, including an accurate<br />

weight and careful assessment of body condition score. With<br />

48


egard to testing, the most important variables to monitor are<br />

systemic blood pressure, UPC, and serum creatinine concentration<br />

(SCr). Serial evaluation of SCr within a single<br />

animal is a reasonably good way to monitor for changing<br />

GFR, provided that the SCr values that are being compared<br />

are obtained when the animal is euvolemic (ie, normally<br />

hydrated) and using the same laboratory method. Progressive<br />

increases in SCr are noteworthy, even though the increments<br />

of change may be small (“creatinine creep”) and the<br />

values may initially be rising within the normal range. Serial<br />

evaluation of the UPC also is important, but small differences<br />

between sequential values may not indicate a real<br />

change in the animal’s prevailing magnitude of proteinuria.<br />

Studies of day-to-day variability of UPC values in dogs in<br />

cats with stable magnitudes of proteinuria have suggested<br />

that serial values probably need to differ by at least 35-50%<br />

in dogs and 90% in cats before they can be confidently interpreted<br />

to mean that an actual change in the magnitude of<br />

proteinuria has occurred. Finally, repeated evaluation of<br />

blood pressure (BP) is crucial for 2 reasons. First, even more<br />

so than for SCr and UPC, the animal’s prevailing systemic<br />

BP should be established by obtaining measurements on<br />

several occasions, partly to permit the animal to become<br />

acclimated to the procedure. Secondly and even more importantly,<br />

however, systemic hypertension is itself a treatable<br />

independent risk factor for renal disease progression, especially<br />

in highly proteinuric animals. Therefore, systemic<br />

hypertension is a common, but often clinically ‘silent’, complication<br />

of proteinuric nephropathies that must be carefully<br />

monitored and treated appropriately when it occurs in order<br />

to attain the best available clinical outcomes.<br />

What and how to investigate<br />

Proteinuric nephropathies in dogs and cats often occur secondary<br />

to some underlying systemic infectious or non-infectious<br />

inflammatory disease or neoplasia. Consequently, one<br />

of the most important things to do when renal proteinuria is<br />

discovered is to carefully search for such a disease, especial-<br />

49<br />

ly one that might be treatable. Seeking for an underlying disease<br />

generally is approached by a combination of screening<br />

each individual body system for any evidence of an abnormality<br />

using relevant physical examination techniques (eg,<br />

fundic exam), diagnostic imaging (eg, thoracic radiography<br />

and abdominal sonography), and laboratory testing (eg, comprehensive<br />

hematologic and biochemical profiles) with serologic<br />

testing for parasitic, viral, bacterial, rickettsial, protozoal,<br />

or fungal infections of geographic relevance.<br />

Another important decision is whether or not to include<br />

evaluation of a renal biopsy in the animal’s diagnostic<br />

investigation. Conventional light microscopic evaluation of<br />

renal biopsies often has accomplished little more than to<br />

discriminate between amyloidosis and ‘glomerulonephritis’<br />

that is typically said to be ‘immune-mediated’ without any<br />

direct evidence (ie, from immunostaining or ultrastructural<br />

evaluation of the biopsy specimen) to substantiate that presumption.<br />

Historically, such information has proven to be of<br />

limited utility for refining prognosis or guiding therapy for<br />

dogs or cats with proteinuric nephropathies. However, there<br />

is reason to expect that evaluation of renal biopsies with<br />

more discriminating diagnostic methods will increasingly<br />

permit veterinarians differentiate types of glomerular disease<br />

with particular prognostic and/or therapeutic implications.<br />

This is especially needed in order to rationally formulate<br />

treatment protocols that are appropriately targeted<br />

for specific disease entities, rather than just treating all animals<br />

with glomerular disease with a single nonspecific<br />

‘standard care’ therapeutic protocol (eg, diet change, ACE<br />

inhibitor, and low-dose aspirin).<br />

Recommended reading<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum<br />

Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-<br />

385.<br />

2. Vaden SL. Glomerular diseases. In Ettinger SJ, Feldman EC, Textbook<br />

of Veterinary Internal Medicine, ed 6, Elsevier Saunders, St.<br />

Louis, MO, 2005, pp 1786-1800.


Treatment of renal proteinuria -<br />

how to treat animals with proteinuric nephropathies<br />

George E. Lees<br />

Med Vet, MS, Dipl ACVIM, College Station, Texas, USA<br />

TREATMENT OF RENAL PROTEINURIA<br />

IN GENERAL<br />

The rationale for treating renal proteinuria can be considered<br />

on 2 levels. First, to the extent that proteinuria has<br />

direct toxic, pro-inflammatory or pro-fibrotic effects in kidneys,<br />

treatments that reduce proteinuria should ameliorate<br />

these harmful processes and thus slow renal disease progression<br />

and improve clinical outcome. Because the role of<br />

proteinuria as a direct cause of renal injury is still uncertain,<br />

however, this rationale for treating proteinuria remains<br />

unproven at the mechanistic level. On a second, more outcome-oriented,<br />

level (ie, focused on what happens, even if<br />

why it happens remains uncertain), all the available evidence<br />

from studies in human beings and animals suggests that the<br />

following statements are true:<br />

• In subjects with chronic kidney disease, greater proteinuria<br />

is associated with worse clinical outcomes.<br />

• In subjects with chronic kidney disease, certain treatments<br />

slow disease progression and improve clinical outcomes<br />

(ie, are “renoprotective”).<br />

• When renoprotective treatments are effective, they are<br />

associated with a reduction in magnitude of proteinuria as<br />

a response to treatment, especially in those subjects with<br />

greater magnitudes of proteinuria initially.<br />

This means that we should be treating animals with progressive<br />

forms of chronic kidney disease, especially those<br />

with greater magnitudes of proteinuria, with interventions<br />

that are intended to be renoprotective and that reduction of<br />

proteinuria should be one of the goals of such interventions.<br />

The use of proteinuria reduction as a therapeutic target is<br />

appropriate in this setting regardless of whether reduction of<br />

proteinuria is directly beneficial (because it reduces direct,<br />

protein-mediated injury) or it merely is associated with, and<br />

thus a marker of, other mechanisms by which the interventions<br />

are acting beneficially.<br />

Potentially renoprotective interventions that modulate<br />

proteinuria include administration of pharmacologic agents,<br />

especially drugs that block the renin-angiotensin-aldosterone<br />

(RAAS) system, as well as certain dietary modifications.<br />

Although reduction of proteinuria is an effect of each<br />

intervention, none of these interventions reduces proteinuria<br />

as its sole effect and even the mechanisms by which they<br />

reduce proteinuria are multiple and interacting. Moreover,<br />

each of the interventions has beneficial effects mediated<br />

mechanisms that are completely independent of effects on<br />

proteinuria. For example, angiotensin converting enzyme<br />

50<br />

(ACE) inhibitors decrease angiotensin-II (Ang-II) production,<br />

but ang-II has multiple effects. These include hemodynamic<br />

effects that both increase glomerular capillary pressure<br />

and decrease perfusion of peritubular capillaries. Ang-<br />

II also has a direct role in altering glomerular permeability<br />

to proteins and has numerous non-hemodynamic effects (eg,<br />

induction of cytokine release, activation of macrophages,<br />

stimulation of mesangial cell proliferation and mesangial<br />

matrix formation, etc.) that promote inflammation and fibrosis.<br />

Effects of ang-II on intra-glomerular capillary pressure<br />

and on capillary wall permselectivity increase proteinuria<br />

and ACE inhibitors reduce proteinuria by countering these<br />

effects. However, the renoprotective effects of ACE inhibitor<br />

administration might be importantly mediated by limiting<br />

the effects of ang-II that have nothing to do with reduction<br />

of proteinuria, per se (eg, by reducing peritubular hypoxia,<br />

or by limiting direct ang-II stimulation of pathways leading<br />

to inflammation and fibrosis). In addition, some dietary<br />

modifications (eg, restricting sodium intake, restricting protein<br />

intake) have effects that are mediated in part by altering<br />

RAAS activity. The multiple and interacting mechanisms by<br />

which renoprotective interventions work in vivo confound<br />

efforts to precisely define the role of proteinuria as a mediator<br />

of renal disease progression; however, this does not preclude<br />

effective use of proteinuria as a marker of therapeutic<br />

response.<br />

Therapeutic targeting of proteinuria requires serial evaluations<br />

of the magnitude of the proteinuria before and during<br />

treatment, and specification of appropriate proteinuria<br />

reduction goals. Use of the UPC is the recommended way to<br />

assess magnitude of proteinuria, but due to day-to-day variability<br />

of UPC values, consideration should be given to<br />

using the average of 2-4 UPC determinations (ie, on separate<br />

days) as the most reliable measure of an animal’s magnitude<br />

of proteinuria under the prevailing conditions (eg, baseline,<br />

during treatment, etc.). Specific, evidence-based guidelines<br />

for how long to wait in dogs or cats before evaluating<br />

response of proteinuria to treatment and for what the desired<br />

proteinuria reduction goal should be have not been promulgated.<br />

In one study, up to 4 weeks was required to achieve<br />

the full effects of diet changes on the UPC in dogs. In another<br />

study, re-evaluation of UPC after 30 days of enalapril<br />

treatment was used to determine whether the enalapril starting<br />

dose was sufficient or needed to be increased. Thus, it is<br />

reasonable to suggest that evaluation of the UPC response to<br />

an anti-proteinuric intervention should begin about 1 month<br />

after treatment is started; however, there is some evidence


suggesting that in human beings the maximum anti-proteinuric<br />

effect of ACE inhibitor therapy may take up to 3 months<br />

to develop. Whether proteinuria reduction should be targeted<br />

to achieve a specified UPC value (eg, UPC < 2.0) or a<br />

specified proportional reduction of the pre-treatment value<br />

(eg, UPC < 50% of initial value) is unknown. A 50% reduction<br />

of UPC was used as the therapeutic target in the clinical<br />

trial enalapril treatment of proteinuric dogs that demonstrated<br />

beneficial effects, so it is reasonable to use that amount of<br />

reduction as the minimum goal, at least until more data<br />

become available. However, it may well be that the greater<br />

the reduction of proteinuria (ie, the more closely that the<br />

UPC approaches the normal reference range) the better the<br />

effect on clinical outcome, but data from clinical studies of<br />

dogs and cats addressing this issue are not available.<br />

SPECIFIC TREATMENTS OF RENAL<br />

PROTEINURIA IN DOGS AND CATS<br />

Angiotensin Converting Enzyme Inhibitors<br />

In human beings, several large controlled clinical trials<br />

using different ACE inhibitors and involving patients with<br />

various nephropathies have demonstrated renoprotective<br />

effects and improved clinical outcomes attributable to this<br />

intervention. Although ACE inhibitors have many effects,<br />

multi-variant analyses of the results of such studies have<br />

shown ACE inhibitors to have beneficial effects that are<br />

associated with their anti-proteinuric effects and are independent<br />

of their anti-hypertensive effects. Effects of ACE<br />

inhibitors have been studied in dogs and cats with naturally<br />

occurring and experimentally induced renal diseases. A randomized,<br />

placebo-controlled trial of enalapril treatment in<br />

dogs with idiopathic glomerulonephritis (UPC > 3.0, serum<br />

creatinine concentrations < 3.0 mg/dL) has been reported.<br />

The enalapril-treated dogs received the drug (0.5 mg/kg q12-<br />

24h) for 6 months, and all dogs in the study were also treated<br />

with a diet modification and low-dose aspirin. Enalapril<br />

treatment lowered systolic blood pressure, reduced proteinuria,<br />

and improved outcome (ie, reduced the frequency of<br />

serum creatinine concentration increases ≥ 0.2 mg/dL after 6<br />

months of treatment) in this study. In another study, enalapril<br />

(2 mg/kg q12h) reduced proteinuria and slowed disease progression<br />

in dogs with X-linked hereditary nephropathy<br />

(XLHN). In a different study of dogs with XLHN, however,<br />

a lower enalapril dose [5 mg orally q12h (up to a maximum<br />

dose of 2 mg/kg), which yielded an average starting dose of<br />

1.85 mg/kg in 1-month-old puppies that diminished to an<br />

average dose of 0.22 mg/kg q12h as the dogs grew larger<br />

during the study] had no effect on proteinuria or disease progression.<br />

Taken together, these 2 studies in dogs with XLHN<br />

show that the dose of ACE inhibitor that is administered can<br />

have important effects on the results obtained; however, the<br />

dose that was effective in 1 study was higher than what is<br />

51<br />

often recommended for clinical use in dogs. Enalapril (0.5<br />

mg/kg q12h) also has been shown to reduce proteinuria and<br />

slow the progression of histologic lesions in dogs with the<br />

remnant kidney model of renal failure. By contrast administration<br />

of benazepril (at several doses up to 1-2 mg/kg q24h)<br />

had no effect on proteinuria in cats with the remnant kidney<br />

model of renal failure, but benazepril treatment did reduce<br />

systolic blood pressure and favorably altered intrarenal<br />

hemodynamics. However, initial results from a clinical trial<br />

in cats with spontaneous renal diseases indicated that<br />

benazepril treatment (0.5-1.0 mg/kg q24h) exhibited antiproteinuric<br />

effects but that the treatment significantly prolonged<br />

survival only a small subgroup of cats with higher<br />

levels of proteinuria (UPC > 1) initially.<br />

Dietary Modifications<br />

Protein intake is one dietary influence on the magnitude<br />

of proteinuria observed in animals with glomerular proteinuria.<br />

In general, feeding more protein increases the urinary<br />

protein loss, and feeding less protein reduces the urinary<br />

protein loss, but protein and caloric malnutrition must be<br />

avoided. The optimum dietary protein intake for dogs and<br />

cats with proteinuric renal diseases has not been well<br />

defined, especially in the context of concomitant pharmacologic<br />

therapy (eg, ACE inhibitor administration). Moreover,<br />

effects on renal disease progression, if any, that arise from<br />

making dietary adjustments that limit proteinuria in dogs or<br />

cats that have heavy proteinuria have not been studied. In<br />

contrast, dietary intake of lipids, particularly the relative and<br />

absolute amounts of dietary n-3 versus n-6 fatty acids, has<br />

been shown to affect proteinuria and renal disease progression<br />

in dogs.<br />

Recommended reading<br />

1. Lees GE, Brown SA, Elliott J, Grauer GF, Vaden SL. Assessment and<br />

management of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM Forum<br />

Consensus Statement (Small Animal) J Vet Intern Med 2005;<strong>19</strong>:377-<br />

385.<br />

2. Lefebvre HP, Toutain PL. Angiotensin-converting enzyme inhibitors<br />

in the therapy of renal diseases. J Vet Pharmacol Therap 2004;27:265-<br />

281.<br />

3. Grauer GF, Greco DS, Getzy DM, et al. Effects of enalapril versus<br />

placebo as a treatment for canine idiopathic glomerulonephritis. J Vet<br />

Intern Med 2000;14:526-533.<br />

4. Brown SA, Finco DR, Brown CA, et al. Evaluation of the effects of<br />

inhibition of angiotensin converting enzyme with enalapril in dogs<br />

with induced chronic renal insufficiency. Am J Vet Res 2003;64:3<strong>21</strong>-<br />

327.<br />

5. Burkholder WJ, Lees GE, LeBlanc, et al. Diet modulates proteinuria<br />

in heterozygous female dogs with X-linked hereditary nephropathy. J<br />

Vet Intern Med 2004;18:165-175.<br />

6. Brown SA, Brown CA, Crowell WA, et al. Effects of dietary polyunsaturated<br />

fatty acid supplementation in early renal insufficiency in<br />

dogs. J Lab Clin Med 2000;135:275-286.


Staphylococcus as a pathogen<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

Introduction<br />

The staphylococci are gram-positive, catalase positive,<br />

coccoid bacteria that are typically found growing in clusters<br />

although they may also appear a single cells, pairs or short<br />

chains. 1,2 They are able to colonise the skin and mucous<br />

membranes of a wide variety of animals.<br />

Over 30 species of staphylococci are recognised. They<br />

are divided into the pathogenic staphylococci, which are<br />

coagulase-positive, and the coagulase-negative staphylococci<br />

but some species are coagulase-variable. In dogs and<br />

cats, the most common pathogenic species is Staphylococcus<br />

intermedius although Staphylococcus aureus is sometimes<br />

involved and is increasingly found in the form of<br />

methicillin-resistant S. aureus (MRSA). 3,4,5 Staphylococcus<br />

hyicus, most commonly recognised as a pathogen of the pig,<br />

is involved occasionally in small animals. 3 Species not generally<br />

regarded as pathogenic but which may play a role as<br />

pathogens include S. lugdunensis, S. schleiferi and S. felis.<br />

The role of such organisms may have been underestimated<br />

in the past. 6,7,8<br />

The staphylococci are generally greyish white in colour<br />

and form circular, smooth, shiny colonies on blood agar; S.<br />

aureus produces a yellow pigment and colonies may appear<br />

golden although pigment production may be delayed and<br />

recognition of weak pigment production on coloured media<br />

may be difficult. Biochemical and morphological differentiation<br />

of S. intermedius and S. aureus can be difficult and<br />

incorrect identification sometimes occurs. 9,10<br />

This presentation will examine the mechanisms involved<br />

in staphylococcal pathogenicity, focusing on S. aureus and<br />

S. intermedius and dealing with recent discoveries relating to<br />

the interaction of these two species and the modes of control<br />

of virulence factor production.<br />

Morphological components<br />

Components of the surface of the staphylococci can be<br />

involved in promoting virulence and induction of disease.<br />

Most staphylococci are able to produce capsules, which<br />

can protect them by inhibiting chemotaxis and phagocytosis<br />

involving polymorphs, and can also facilitate adherence;<br />

this seems to be of particular importance in promoting<br />

attachment to plastics by coagulase-negative<br />

staphylococci.<br />

The cell wall itself, which is largely composed of peptidoglycan,<br />

may also bear clumping factor (bound coagulase)<br />

and protein A in pathogenic staphylococci. 2<br />

Virulence determinants<br />

Virulence determinants 11,12 allow the organism to colonise,<br />

accumulate in sufficient numbers and elicit host tissue damage<br />

whilst avoiding the immune and non-specific defences of<br />

the host. 13 In essence, they are survival mechanisms but they<br />

are not essential to growth and survival. When these determinants<br />

cause sufficient damage and the host’s defence mechanisms<br />

are overwhelmed, disease occurs. Relatively little is<br />

known about the pathogenesis of S. intermedius infection in<br />

dogs and cats. However, some differences have been demonstrated<br />

between the characteristics of isolates from cases of<br />

canine skin infection and those from healthy carriers. 14,15,16<br />

Nevertheless, S. intermedius produces a diverse arsenal of<br />

virulence factors that are likely to be causative factors of<br />

staphylococcal infection in small animals. The virulence<br />

components are thought to share overlapping roles, acting<br />

either in concert or alone. Based on studies of S. aureus, considerable<br />

knowledge is available about their contribution to<br />

the development of infection in humans.<br />

Virulence factors of S. aureus<br />

and S. intermedius<br />

52<br />

• Staphylocoagulase promotes coagulation of serum. Purified<br />

coagulase from S. intermedius coagulates human,<br />

canine and rabbit fibrinogen but not that of rats or guinea<br />

pigs. 17<br />

• Peptidoglycan from the cell walls can stimulate production<br />

of endogenous pyrogens, promote release of IL- 1,<br />

attract polymorphs and activate complement. Peptidoglycan<br />

and lipoteichoic acid can act together to induce<br />

shock. 2<br />

• Cell wall bound protein A is capable of binding Fc receptors<br />

and preventing antibody-mediated immune clearance<br />

whilst extracellular protein A can form immune complexes<br />

and deplete complement levels. There is controversy<br />

about the frequency of cell wall bound and secreted protein<br />

A amongst S. intermedius isolates. 18,<strong>19</strong><br />

• Leucotoxin is a member of the staphylococcal synergohymenotropic<br />

toxin family and is produced by both S. intermedius<br />

and S. aureus. It acts by forming lethal transmembrane<br />

pores in target mammalian cells. 20<br />

• Enterotoxins of staphylococci (SE) are heat stable, pyrogenic<br />

toxins which share the ability to act as superantigens<br />

but differ in other characteristics. Types A, B, C, D,<br />

E, G, H, I, and J are recognised. Data regarding the production<br />

of these toxins by S. intermedius are limited. <strong>21</strong>,22


• Haemolysins are cytotoxic agents that can damage erythrocyte<br />

cell walls. Most isolates of S. intermedius produce<br />

beta and delta haemolysins but alpha haemolysin has<br />

not been demonstrated. 18 However, their exact role is<br />

poorly understood. 23<br />

• Exfoliative toxin is a cause of staphylococcal scalded skin<br />

syndrome in humans. It has been demonstrated in canine<br />

S. intermedius derived from pyoderma and shown experimentally<br />

to cause exfoliation in dogs. 24,25<br />

What Induces Disease?<br />

Although animals commonly carry pathogenic staphylococci,<br />

cutaneous infection is infrequent because the skin is<br />

very resistant to disease. Application of cultures to the skin<br />

rarely causes disease unless the skin is damaged. Cutaneous<br />

resistance is provided by a combination of surface<br />

barrier function, surface environmental conditions and cell<br />

to cell communication enabling early antimicrobial<br />

responses by the skin.<br />

These factors limit colonisation and microbial proliferation<br />

at the surface of the skin. When these defence mechanisms<br />

are impaired, the skin may become susceptible to<br />

colonisation by pathogens and if such pathogens are able to<br />

multiply, they may then begin to produce virulence factors,<br />

causing further damage and the release of nutrients from<br />

the damaged tissue. A vicious circle is now established<br />

which can promote further multiplication and invasion. In<br />

superficial staphylococcal infection, induction of pruritus<br />

commonly occurs, leading to self-trauma and further<br />

microbial invasion.<br />

Quorum sensing<br />

Quorum sensing is a phenomenon in which cells express<br />

particular characteristics only when population densities<br />

exceed certain levels. In S. aureus, toxin production is initiated<br />

by quorum sensing via the agr system through signalling<br />

molecules generated as cell density increased.<br />

Our studies have confirmed the presence of sequences in<br />

S. intermedius related to the agr of S. aureus and have shown<br />

that expression of RNAIII (effector of the agr system) and<br />

two of the S. intermedius exotoxins, leukotoxin and enterotoxin<br />

C, is initiated by an environmental signal generated<br />

during bacterial growth. In contrast, S. intermedius was<br />

insensitive to substances produced by S. aureus. 26<br />

This suggests that S. intermedius uses quorum sensing to<br />

monitor proximity of other signal-producing cells and there-<br />

53<br />

by adjusts its expression of virulence genes to facilitate<br />

species-specific and intraspecies cell-cell communication. 26<br />

It is likely that this mechanism is involved in determining<br />

when S. intermedius becomes pathogenic.<br />

Bibliography<br />

1. Hajek, V. Int J Syst Bacteriol <strong>19</strong>76; 26: 401-8.<br />

2. Wilkinson, BJ. In: The staphylococci in human diseases. Crossley,<br />

KB, Archer, GL (eds.), Churchhill Livingstone, New York, pp. 1-38.<br />

<strong>19</strong>97.<br />

3. Saijonmaa-Koulumies, L.E., Lloyd, D. H. Vet Dermatol <strong>19</strong>96; 7: 153-<br />

63.<br />

4. Patel, A., Lloyd, D. H., Lamport, A. I. In: Thoday, K. T., Foil, C. S.,<br />

Bond, R. (eds). Advances in Veterinary Dermatology, Vol. 4. Oxford:<br />

Blackwell Science, 2002, 85-91.<br />

5. Duquette RA, Nuttall TJ. J Small Anim Pract 2004; 45: 591-7.<br />

6. Patel A, Lloyd DH, Howell SA, Noble WC. Vet Rec 2002; 150:668-9.<br />

7. Freney J, Brun Y, Bes M et al. N Int J Syst Bacteriol <strong>19</strong>88; 38:<br />

168–172.<br />

8. Leung MJ, Nuttall N, Mazur M et al. J Clin Microbiol <strong>19</strong>99; 37: 3353-6.<br />

9. Wakita Y, Shimizu A, Hajek V et al. J Vet Med Sci 2002; 64: 237-43.<br />

10. Baron F, Cochet MF, Pellerin JL et al. J Food Prot 2004; 67: 2302-5.<br />

11. Smith H. Bacteriol Rev <strong>19</strong>77; 41: 475-500.<br />

12. Projan SJ, Novick RP. In: The staphylococci in human diseases.<br />

Crossley, KB, Archer, GL (eds.), Churchill Livingstone, New York,<br />

pp. 55-81. <strong>19</strong>97.<br />

13. Burne RA, Quivey RG. In: Bacterial pathogenesis. Clark VL, Bavoil<br />

PM (eds.). Academic Press, London. <strong>19</strong>97.<br />

14. Allaker, R.P., Lamport, A.I., Lloyd, D. H., Noble, W.C. Microb Ecol<br />

Hlth Dis <strong>19</strong>91; 4: 169-73.<br />

15. Allaker, R.P., Garrett, N., Kent, L. Noble, W.C., Lloyd, D. H. J Med<br />

Microbiol <strong>19</strong>93; 39: 429-43.<br />

16. Futagawa-Saito K, Sugiyama T, Karube S, Sakurai et al. J Clin Microbiol<br />

2004; 42: 5324-6.<br />

17. Komori Y, Iimura N, Yamashita Ret al. T. J Nat Toxins. 2001<br />

May;10(2):111-8.<br />

18. Greene RT, Lammler C. Zentralbl Veterinarmed B <strong>19</strong>93; 40: 206-14.<br />

<strong>19</strong>. Greene RT, Lammler C. Zentralbl Veterinarmed B <strong>19</strong>92; 39: 5<strong>19</strong>-25.<br />

20. Werner S, Colin DA, Coraiola M et al. Infect Immun 2002; 70: 1310-8.<br />

<strong>21</strong>. Hendricks A, Schuberth HJ, Schueler K, Lloyd DH. Res Vet Sci. 2002;<br />

73: 273-7.<br />

22. Becker K, Keller B, von Eiff C et al. Appl Environ Microbiol 2001 67:<br />

5551-7.<br />

23. Bohach GA, Dinges MM, Mitchell DT et al. In: The staphylococci in<br />

human diseases. Crossley, KB, Archer, GL (eds.), Churchill Livingstone,<br />

New York, pp. 83-108. <strong>19</strong>97.<br />

24. Terauchi R, Sato H, Endo Y, Aizawa C, Maehara N. Vet Microbiol<br />

2003; 94(1): 31-8.<br />

25. Terauchi R, Sato H, Hasegawa T et al. Vet Microbiol 2003; 94: <strong>19</strong>-29.<br />

26. Sung. J.M.L., Chantler, P. D., Lloyd, D. H. Vet Dermatol 2004; 15: 41.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary<br />

College, Hawkshead Campus, North Mymms, Herts, UK


Canine pyoderma<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

Introduction<br />

Dogs are susceptible to cutaneous bacterial infection. These<br />

diseases can be classified quite satisfactorily according to the<br />

depth of infection. So-called “surface” infections affect only<br />

the superficial part of the epidermis, are normally restricted to<br />

the interfollicular regions or mouths of hair follicles and normally<br />

do not cause formation of pustules. Examples are acute<br />

moist dermatitis, “skin fold pyoderma” and bacterial overgrowth<br />

(Table 1). “Superficial” infections involve infection of<br />

the epidermis with the formation of pustules. Impetigo causes<br />

interfollicular pustules whereas superficial pyoderma infects<br />

both the hair follicles and the interfollicular regions. Deep<br />

pyoderma occurs when infection reaches the dermis leading to<br />

furunculosis, cellulitis, granulomatous disease and panniculitis.<br />

The term “pyoderma” is used quite loosely and does not<br />

imply that pus is visible in all such cases. Indeed, conditions<br />

such as microbial overgrowth tend to have infiltrates, which<br />

are primarily mononuclear.<br />

Infecting Organisms<br />

Pathogenic staphylococci are involved in the great<br />

majority of cases of canine cutaneous infection. Staphylococcus<br />

intermedius can be isolated in over 90% of these.<br />

Occasionally, other pathogenic staphylococci are present<br />

including S. aureus and S. hyicus. Increasingly, there are<br />

reports of isolation of both coagulase-positive and coagulase<br />

negative S. schleiferi in canine cutaneous infection.<br />

A variety of other bacteria may<br />

also be found in the lesions of canine<br />

pyoderma. Gram-negatives, such as<br />

Proteus spp. and E. coli are probably<br />

secondary invaders. Cutaneous infection<br />

by the other organisms, such as<br />

the actinomycetes and mycobacteria,<br />

is associated with exposure to sources<br />

of infection coupled with cutaneous<br />

wounds or intercurrent disease, which<br />

pave the way for invasion through the<br />

skin or via the systemic route.<br />

The depth of the infection is probably<br />

determined by the severity of<br />

the depression of immunity induced<br />

by the underlying cause(s). These<br />

factors probably permit proliferation<br />

of the staphylococci at the skin surface<br />

promoting first colonisation<br />

and then infection.<br />

Surface Pyoderma<br />

These are diseases in which changed conditions at the<br />

cutaneous surface degrade surface barrier function and promote<br />

bacterial proliferation; pruritus is an important effect.<br />

In acute moist dermatitis (pyotraumatic dermatitis) selfinflicted<br />

damage is the trigger; this is commonly a consequence<br />

of flea allergy or other causes of pruritus. The damage<br />

is inflicted by biting and licking and thus transfers oral<br />

flora to the degraded skin. Continuing damage ensures that<br />

the disease progresses. Microbes involved include typical<br />

oral flora but pathogenic staphylococci, especially S. intermedius<br />

are still the predominant isolates. Diagnosis is based<br />

on typical clinical signs and history. Careful examination of<br />

the lesions, after cleaning, is essential in case underlying<br />

superficial or deep pyoderma, including pyotraumatic folliculitis<br />

and furunculosis, is present. In such cases treatment<br />

must be directed at the deeper infection.<br />

Skin fold pyoderma results from damage caused by rubbing<br />

coupled with a moist environment. This is a chronic effect<br />

and reduced barrier function caused by rubbing coupled with<br />

changes in secretion by the cutaneous glands and contamination<br />

by other secretions (e.g. saliva, tears) provide a warm<br />

moist environment favouring microbial proliferation. Pathogenic<br />

staphylococci tend to predominate but gram-negatives<br />

and commonly, Malassezia pachydermatis, may be involved.<br />

The microbes promote irritation of the skin and rubbing or licking<br />

by the host; again a vicious circle is created. Diagnosis is<br />

based on clinical signs. Care must be taken to exclude deeper<br />

infections and also demodecosis which is sometimes present.<br />

Surface pyoderma<br />

• Acute moist dermatitis<br />

• Skin fold pyoderma<br />

• Microbial overgrowth 1<br />

Superficial pyoderma<br />

• Impetigo (“puppy pyoderma”)<br />

• Mucocutaneous pyoderma<br />

• Superficial spreading pyoderma<br />

• Superficial folliculitis<br />

• Dermatophilosis 2<br />

Deep pyoderma<br />

• Muzzle folliculitis & furunculosis<br />

• Localised deep pyodermas (nasal, pedal & pressure<br />

point pyodermas, pyotraumatic folliculitis & furunculosis)<br />

• Generalised deep pyoderma<br />

• Bacterial granulomas<br />

Table 1. Classification<br />

of Canine Pyoderma<br />

1. Commonly both pathogenic<br />

staphylococci and Malassezia.<br />

Not strictly pyoderma as infiltrate<br />

primarily mononuclear.<br />

2. Very rare<br />

54


Microbial overgrowth may occur where there is disturbance<br />

to surface barrier function or greasiness at any site. It<br />

includes Malassezia dermatitis but sometimes is purely bacterial.<br />

This condition will be considered separately.<br />

Superficial Pyoderma<br />

These diseases require cutaneous barrier function and<br />

immunity to be impaired to an extent which not only allows<br />

surface microbial proliferation but also permits invasion of<br />

the epidermis.<br />

Impetigo classically occurs in adolescent dogs and is<br />

probably caused by imbalance of physiological changes in<br />

the skin as the dog matures. The condition in young dogs<br />

involves pathogenic staphylococci; it is generally selfresolving<br />

as the dog matures but may require minimal therapy.<br />

In older dogs with endocrinopathy or other debilitating<br />

diseases a more severe syndrome is seen and may involve<br />

gram-negative bacteria (Pseudomonas, E. coli) as well.<br />

Diagnosis is based on the history and presence of non-follicular<br />

pustules containing bacteria.<br />

Folliculitis occurs when bacterial proliferation in the hair follicles<br />

leads to pustules within the hair follicle and follicular epidermis.<br />

It may be restricted to the mouth and upper part of the<br />

follicle but may extend more deeply. The papular and pustular<br />

lesions, which result, are typically markedly pruritic and selfinflicted<br />

damage may extend the infection and lead to furunculosis.<br />

In typical cases, S. intermedius or other pathogenic staphylococci<br />

are involved. Where there is marked self-trauma and in<br />

severe cases, secondary infection with gram-negatives may<br />

occur. Lesions associated with folliculitis typically display socalled<br />

“target” lesions surrounded by epidermal collarettes. Formation<br />

of these may be associated with secretion of exfoliative<br />

toxin by S. intermedius. Secretory activity for this toxin differs<br />

amongst clones of this organism and it is possible that the<br />

extending lesions of “superficial spreading pyoderma” are<br />

associated with clones with elevated secretory ability. Diagnosis<br />

is based on the presence of papules and pustules and the demonstration<br />

of bacterial infection in the lesions.<br />

Mucocutaneous pyoderma is typically seen at the lips,<br />

particularly the commissures, where initial swelling is followed<br />

by crusting and erosion. Papule and pustule formation<br />

may be seen and deep pyoderma, sometimes associated with<br />

haemorrhage, may also be present in some cases. Response<br />

to topical or systemic antibiotics supports the bacterial aetiology<br />

of this disease and helps confirm the diagnosis. If<br />

there is no response to appropriate antibiotic therapy,<br />

histopathology is indicated.<br />

Deep Pyoderma<br />

These diseases may be localised (muzzle folliculitis &<br />

furunculosis; nasal, pedal & pressure point pyodermas,<br />

pyotraumatic folliculitis & furunculosis) when there is<br />

local cutaneous disruption, or generalised.<br />

55<br />

They occur when there is marked reduction in cutaneous<br />

barrier function and immunity. When this affects general body<br />

immunity lesions may be extensive or generalised. In deep<br />

pyoderma infecting organisms are able not only to invade the<br />

epidermis but also the dermis and, in some cases, the subcutis.<br />

Commonly, these diseases are a consequence of extension of<br />

superficial pyoderma but they may be associated with other<br />

diseases causing skin damage or depressing immunity. Trauma<br />

to superficial lesions may lead to fracture of hair follicles<br />

with escape of the infection organisms into the dermis. Inoculation<br />

of pathogenic staphylococci into the dermis of healthy<br />

dogs results only in transient lesions and thus other factors are<br />

required to promote deep pyoderma. In most cases, fragments<br />

of hair or follicular keratin are involved and act as foreign<br />

bodies, promoting infection and inhibiting antimicrobial<br />

activity by host cells. Other agents can also have this effect.<br />

The result is formation of a granuloma.<br />

Diagnosis is based on the presence of large papular or<br />

nodular infected lesions, often associated with haemorrhage<br />

or the presence of sinuses. A variety of organisms may be<br />

involved in the deep granulomatous infections and it is<br />

always of great importance to identify the nature of the<br />

infecting agent(s). In severe disease, multiple infecting<br />

organisms are commonly present. Histopathology and deep<br />

bacteriology and mycology, including sampling from tissue<br />

obtained by biopsy, is advisable. In cases of recurrent deep<br />

pyoderma associated with non-healing wounds, mycobacterial<br />

infection should be suspected. As special diagnostic<br />

methods are required for such infections, it is important to<br />

inform the diagnostic laboratory of this possibility when<br />

submitting specimens.<br />

Therapy must be prolonged to deal with such lesions<br />

and, as always, the underlying causes must be identified<br />

and eliminated. Causes include demodicosis, pruritic diseases<br />

leading to self-trauma, endocrinopathy, infection by<br />

other organisms (e.g. dermatophytosis, leishmaniosis) and<br />

immunosuppression.<br />

There are breed predispositions for some of these conditions<br />

e.g. muzzle folliculitis & furunculosis in Doberman<br />

pinschers and English bulldogs.<br />

Bibliography<br />

1. Bond R, Lloyd DH. Vet Dermatol <strong>19</strong>97; 8: 101-106.<br />

2. Frank, LA, Kania, SA, Hnilica, KA, et al. J Am Vet Med Assoc 2003;<br />

222; 451-4.<br />

3. Hendricks, A., Schuberth, H-J., Schueler, K., Lloyd, D. H. Res Vet<br />

Sci. 2002; 73: 273-7.<br />

4. Scott, D. W., Miller, W. H., Griffin, C. E. Small Animal Dermatology.<br />

6th Edition. Philadelphia, W. B. Saunders, 2001.<br />

5. Terauchi R, Sato H, Hasegawa T et al. Vet Microbiol 2003; 94: <strong>19</strong>-29.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences,<br />

Royal Veterinary College, Hawkshead Campus,<br />

North Mymms, Herts, UK


Update on medical management of pyoderma<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

Introduction<br />

Canine pyoderma is not a primary disease. Thus it is<br />

always important to identify underlying factors. Commonly<br />

these are allergies but endocrinopathy, immunodeficiency,<br />

ectoparasitic infestation, follicular dysplasia and breed predisposition<br />

may be involved. Diagnosis of underlying conditions<br />

may not be easy. Treatment during the diagnostic<br />

phase should be designed to advance diagnosis and avoid<br />

camouflaging diagnostic clinical signs. Antibiotic therapy is<br />

a good diagnostic strategy as it eliminates pyoderma and<br />

helps expose underlying conditions.<br />

This presentation will assume that a diagnosis has been<br />

made and treatment of underlying causes will not be covered.<br />

Cutaneous microbial overgrowth will be covered separately.<br />

Surface Pyoderma<br />

Acute Moist Dermatitis. Prevention of further trauma is<br />

essential and will sometimes allow healing without further<br />

therapy. Ensure that there is no underlying folliculitis or<br />

furunculosis. Because the epidermal damage is a consequence<br />

of trauma, healing is rapid. However, lesions are<br />

often painful and topical therapy, requiring direct contact<br />

with skin, can be hazardous. Topical antibiotic and steroid<br />

gels or creams are effective but spraying with a soothing,<br />

antimicrobial, astringent preparation (Ascher et al <strong>19</strong>95) has<br />

been shown to be as effective and is likely to be less hazardous.<br />

Lesions should be substantially healed in 7-10 days.<br />

Where there is marked pruritus, systemic glucocorticoids<br />

may be required.<br />

Skin Fold Pyoderma. Ideally, folds are removed surgically.<br />

If surgery is not feasible, measures to render the<br />

microenvironment within the fold inhospitable to bacteria<br />

and yeasts are required. Cleansing every 2-3 days with an<br />

antimicrobial shampoo is effective. Benzoyl peroxide,<br />

chlorhexidine, and chlorhexidine and miconazole are effective.<br />

Chlorhexidine is quite unstable and so it is advisable to<br />

select well-formulated preparations with published efficacy<br />

against both bacteria and Malassezia. Benzoyl peroxide<br />

must used with care as animals may develop sensitivity and<br />

it can be irritatant.<br />

Ethyl lactate may be effective in milder cases and has low<br />

irritancy. Intervals between shampooing may be extended by<br />

the use of antimicrobial creams and gels. Spraying with a<br />

soothing, antimicrobial, astringent preparation may also be<br />

effective.<br />

Superficial Pyoderma<br />

56<br />

Impetigo normally responds to antimicrobial shampoos.<br />

Use on two or three occasions over a period of 7-10 days<br />

should be effective in uncomplicated cases. Spontaneous<br />

resolution commonly occurs.<br />

Mucocutaneous Pyoderma may respond to treatment<br />

with antibacterial shampoos, as described above, followed<br />

by the use of antibacterial ointment, such as mupirocin.<br />

Daily treatment for two weeks and then once or twice a<br />

week may be effective. Following resolution, the disease<br />

may remain in abeyance but commonly repeated treatment<br />

is required. With deeper or more extensive infection, or if<br />

topical treatment is difficult, systemic antibiotic is required.<br />

Treatment for 4 weeks or more may be necessary. If not<br />

successful, further diagnostic procedures, including biopsy,<br />

are required.<br />

Superficial Folliculitis. Normally systemic antibiotic<br />

therapy is used. Bacteriostatic antibiotics are effective but<br />

bactericides may be more effective. Treatment for at least<br />

one week beyond clinical cure is advisable. Recovery may<br />

be promoted by use of antibacterial shampoos containing<br />

chlorhexidine or benzoyl peroxide, which aid removal of<br />

crusts and reduce surface bacterial populations. Mild superficial<br />

pyoderma can be treated with such shampoos without<br />

systemic antibiotic but this is labour-intensive; shampooing<br />

every 2-3 days is required. Once lesion resolution occurs,<br />

shampooing can be reduced to once or twice a week; in<br />

winter weekly to monthly shampooing may be sufficient to<br />

maintain remission.<br />

Where there is recurrent infection and underlying causes<br />

cannot be identified or controlled, long-term treatment<br />

options need to be considered. Regular shampooing with<br />

antibacterial shampoo may give control. Otherwise, the<br />

main options are pulse therapy with antibiotics and staphylococcal<br />

vaccination. Vaccination is a better choice. Wellprepared<br />

autogenous vaccines (bacterins) are effective in<br />

about 50% of cases; responding dogs do not need other<br />

therapy. An American bacterial lysate prepared from S.<br />

aureus, has also been shown to reduce the frequency of folliculitis<br />

and decrease the need for repeated antibiotic therapy.<br />

Pulse or continual low dose therapy should be a last<br />

resort as it may promote development of antibiotic resistance,<br />

although recent evidence (Carlotti et al 2004) indicates<br />

that this risk may be low.<br />

In view of the fact that the causative pathogen may be<br />

harboured on the mucosae, particularly of the upper respiratory<br />

tract and anus, some clinicians have used topical antibiotic<br />

to treat the nasal and or anal mucosae. Experimental


studies have shown that S. intermedius populations can be<br />

eliminated by this method using fusidic acid (Saijonmaa-<br />

Koulumies et al). Anecdotally, this has helped in some cases<br />

of recurrent pyoderma.<br />

Deep Pyoderma<br />

When deep infection occurs, there are local factors<br />

causing skin damage and more serious deficiencies in the<br />

immune system of the affected animal. If these can be<br />

resolved, recovery should be complete. Determined<br />

efforts to identify the underlying factors should be made.<br />

Demodecosis is a common cause.<br />

With discharging lesions, antimicrobial washes and soaks<br />

are useful to remove pus and debris, and may accelerate recovery.<br />

Clipping is helpful, enables the extent of lesions to be<br />

demonstrated and can be useful in persuading clients to comply<br />

with treatment. Prolonged systemic antibiotic treatment<br />

with bactericidal antibiotic is necessary and must continue for<br />

at least two weeks beyond clinical cure. Where lesions are in<br />

areas with poor blood supply or large granulomatous lesions,<br />

fluoroquinolones, which penetrate well, are particularly useful.<br />

On rare occasions it may be necessary to use unusual antibiotics<br />

to achieve penetration, such as rifampicin.<br />

In some cases, unusual organisms such as actinomycetes<br />

or mycobacteria are involved, and there may be concurrent<br />

infection with fungi. Careful diagnostic procedures, including<br />

discussion with the laboratory concerned, may be<br />

required as routine methods may not be effective.<br />

Choice of Antibiotics and Dosage<br />

Although antibiotics can be selected empirically, where<br />

recurrent infection occurs or there is a lack of response,<br />

microbiological culture and sensitivity should be carried out.<br />

Ensure that you use a reliable laboratory and question<br />

unusual result e.g. very broad resistance in an organism<br />

identified as S. intermedius; this could turn out to be a methicillin-resistant<br />

S. aureus.<br />

Remember that several different strains may be present on<br />

a single animal. Thus a single sensitivity test may not give<br />

the full picture. Failure of a particular antibiotic may mean<br />

you have only eliminated part of the causative bacterial population.<br />

If in doubt always retest. Ensure your sample contains<br />

material from deep within the lesions; biopsy may be<br />

necessary for this.<br />

57<br />

Generally, manufacturer’s recommended dose rates will<br />

be effective. Occasionally you will need to use higher doses<br />

to achieve effective levels of antibiotic within lesions or to<br />

overcome low level resistance.<br />

Bibliography<br />

1. Ascher, Madin, Guaguere et al. Interet d’une solution topique non<br />

antibiocorticoide dans le traitement de la dermatite pyotraumatique<br />

du chien. Prat Med Chirurg An Comp. <strong>19</strong>95; 30:345-354<br />

2. Curtis, C. F., Lamport, A. I., Lloyd, D. H. Blinded, controlled study<br />

to investigate the efficacy of a staphylococcal autogenous bacterin for<br />

the control of canine idiopathic recurrent pyoderma. Proceedings of<br />

the 16th Annual Congress of the ESVD-ECVD, Helsinki, Finland,<br />

August <strong>19</strong>99. p. 148.<br />

3. D. N. Carlotti, P. Jasmin, L. Gardey and A. Sanquer (2004): Evaluation<br />

of cephalexin intermittent therapy (weekend therapy) in the control<br />

of recurrent idiopathic pyoderma in dogs: a randomized, doubleblinded,<br />

placebo-controlled study. Vet Dermato 15 (s1) Page 7-8<br />

4. D.H. Lloyd, A.I. Lamport. <strong>19</strong>99. Activity of chlorhexidine shampoos<br />

in vitro against Staphylococcus intermedius, Pseudomonas aeruginosa<br />

and Malassesia pachydermatis. The Veterinary Record, 144,<br />

536-537.<br />

5. De Jaham C. Effects of an ethyl lactate shampoo in conjunction with<br />

a systemic antibiotic in the treatment of canine superficial bacterial<br />

pyoderma in an open-label, non placebo-controlled study. Vet Therap<br />

2003; 4: 94-100.<br />

6. DeBoer, D. J. et al. (<strong>19</strong>90) Evaluation of a commercial staphylococcal<br />

bacterin for management of idiopathic recurrent pyoderma in<br />

dogs. Am J Vet Res 51, 636-639.<br />

7. Frank, LA, Kania, SA, Hnilica, KA, Wilkes, RP, Bemis, DA. Isolation<br />

of Staphylococcus schleiferi from dogs with pyoderma. J Am Vet<br />

Med Assoc 2003; 222 (4); 451-4.<br />

8. Holm, BR, Petersson, U, Mörner, A, Bergström, K, Franklin, A, Greko,<br />

C. Antimicrobial resistance in staphylococci fromcanine pyoderma:<br />

a prospective study of first-time and recurrent cases in Sweden.<br />

Vet Rec 2002; 151: 600-5.<br />

9. Kruse, H, Hofshagen, M, Thoresen, SI, Bredal, WP, Vollset, I, Soli,<br />

NE. The antimicrobial susceptibility of Staphylococcus species isolated<br />

from canine dermatitis. Vet Res Comm <strong>19</strong>96; 20: 205-14.<br />

10. Saijonmaa-Koulumies, L., Parsons, E., Lloyd, D. H. Elimination of<br />

Staphylococcus intermedius in healthy dogs by topical treatment with<br />

fusidic acid. J Small Anim Prac <strong>19</strong>98; 39: 341-7.<br />

11. Scott, D. W., Miller, W. H., Griffin, C. E. Small Animal Dermatology.<br />

6th Edition. Philadelphia, W. B. Saunders, 2001.<br />

12. Special Issue on Antibiotics in Veterinary Dermatology. Vet Dermatol<br />

<strong>19</strong>99; 10: 161-262.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences,<br />

Royal Veterinary College, Hawkshead Campus,<br />

North Mymms, Herts, UK


Canine cutaneous microbial overgrowth<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

Introduction<br />

Microbial overgrowth is a newly described skin condition<br />

of dogs characterised by the presence of substantially<br />

increased populations of bacteria, particularly Staphylococcus<br />

intermedius, and the yeast Malassezia pachydermatis.<br />

Both bacteria and yeasts may be present simultaneously.<br />

When only M. pachydermatis is present the condition is<br />

equivalent to Malassezia dermatitis. However, microbial<br />

overgrowth occurs much more commonly and in a wider<br />

range of clinical situations than has been described for<br />

Malassezia dermatitis. It is often an unrecognised cause of<br />

pruritus, particularly in occluded areas such as the pedal<br />

webs. It commonly occurs in atopy or other allergies and<br />

successful treatment will often greatly reduce the measures<br />

needed to bring pruritus in such cases under control.<br />

Aetiology and pathogenesis<br />

Bacteria. Bacteria are inhabitants of the skin surface and<br />

mucosae but generally maintain low populations on healthy<br />

skin. On the skin, this situation is a consequence of the<br />

unfavourable surface microenvironment and defensive measures<br />

maintained by the skin 1 . When the skin is damaged or its<br />

defences are impaired by skin diseases or defects in immunity,<br />

bacterial adherence to the keratinocytes is promoted and<br />

the bacteria are able to proliferate. The pathogenic staphylococci<br />

and, in dogs, particularly S. intermedius seem particularly<br />

able to take advantage of such changes. When high local<br />

cell densities (biofilm formation) of staphylococci are established,<br />

quorum sensing can take place 2 . This is a mechanism<br />

in which cell density signals are exchanged amongst the<br />

staphylococci allowing them to initiate the production of toxins<br />

that can irritate and damage the skin when population<br />

sizes reach a certain threshold. Many factors can lead to cutaneous<br />

irritation favouring bacterial adherence, proliferation<br />

and biofilm formation e.g. atopy, increased moisture,<br />

impaired surface barriers, factors that degrade the skin surface<br />

(rubbing, self trauma, maceration), seborrhoeic changes,<br />

exudation, depressed cutaneous immune function. Once toxin<br />

production has been initiated, more cutaneous damage is<br />

induced and immunity may be further impaired leading to a<br />

vicious circle of damage and bacterial proliferation.<br />

Malassezia. M. pachydermatis is present as a commensal<br />

of the skin and mucosae of most dogs. In healthy animals it<br />

is more commonly isolated from and exists at higher population<br />

densities at the lips and interdigital skin than at the<br />

ears. The anus seems to be the most frequently colonised<br />

mucosal site 3 . M. pachydermatis acts as an opportunistic<br />

pathogen and factors promoting its pathogenicity may<br />

include increased temperature and humidity, excessive lipid<br />

secretion, intercurrent diseases, and therapy with antibiotics<br />

and glucocorticoids; however, this remains controversial 4 .<br />

Application of M. pachydermatis to the skin of beagles can<br />

evoke inflammatory reactions which are more severe under<br />

conditions of increased humidity and lead to delayed hypersensitivity<br />

responses 5 and this yeast can produce a variety of<br />

enzymes including lipases and esterases which may be able<br />

to damage the skin directly or indirectly 6 . Breed-related factors<br />

are important in Malassezia dermatitis; basset hounds<br />

and West Highland white terriers are particularly predisposed.<br />

Skin and mucosal populations of M. pachydermatis<br />

are elevated in healthy bassets and adherence of the yeast to<br />

corneocytes from healthy bassets is greater than to Irish setters.<br />

However, adherence in affected basset hounds is lower<br />

than in normal dogs 7 . It may be that it is the special lipid<br />

composition of canine skin which exerts a permissive effect<br />

on colonisation and infection by this organism which,<br />

although not lipid dependent, grows much more rapidly in<br />

vitro in media supplemented with lipid. Basset hounds,<br />

which tend to have greasy skin, may provide a more<br />

favourable environment than other less-susceptible breeds.<br />

Since S. intermedius and M. pachydermatis are inhabitants<br />

of the mucosae, including the oral cavity, and will<br />

therefore be transferred to the skin continually, particularly<br />

in areas which require cleaning or grooming and which are<br />

pruritic. Thus there is potential for the establishment of<br />

microbial overgrowth whenever the skin is damaged or there<br />

is underlying disease impairing cutaneous function.<br />

Clinical Features<br />

58<br />

Microbial overgrowth is characterised typically by the<br />

presence of erythema, greasiness or exudation, pruritus and<br />

saliva staining in the absence of papules and pustules. Owners<br />

may be unaware of the lesions and careful clinical examination<br />

with good illumination is necessary. In chronic or<br />

severe lesions there may be excoriation and lichenification.<br />

There is commonly malodour, especially when Malassezia<br />

is involved. Overgrowth is normally seen in areas of skin<br />

that are moist or occluded such as the lips, between the pads<br />

and digits, in the groin, perivulvar and perianal areas, on the<br />

ventral abdomen, in the axillae, on the pinnae of the ears,<br />

and in skin folds. It is frequently present in dogs with allergic<br />

skin disease. It can be very localised or may affect several<br />

sites on a dog.


Diagnosis<br />

Microbial overgrowth should be suspected whenever<br />

compatible lesions are present, even if they are mild. Diagnosis<br />

is confirmed by cytology using tape strip samples,<br />

glass slide impressions or swab smears stained with DiffQuik<br />

showing elevated populations of bacteria or<br />

Malassezia. Tape strips are preferred because they organisms<br />

are sometimes not located at the surface of the lesions<br />

and repeated application of the tape to the same site will<br />

reveal deeper populations. The presence of numbers of bacteria<br />

8 above 5 or Malassezia above 2 per x1000 oil immersion<br />

field is suggestive of microbial overgrowth. Commonly<br />

populations are very much higher but the organisms may be<br />

found in clusters so at least 20 fields should be examined.<br />

Successful treatment of microbial overgrowth will often permit<br />

underlying diseases to be identified. Unless such underlying<br />

problems are identified and controlled, overgrowth is<br />

likely to recur.<br />

Treatment and Control<br />

The condition normally responds to topical therapy with<br />

antimicrobial shampoos containing chlorhexidine, or<br />

chlorhexidine and miconazole that are active against staphylococci<br />

and Malassezia. Shampooing every 2-3 days for 2<br />

weeks will normally bring the condition under control. Then<br />

treatment once or twice a week is usually sufficient.<br />

Chlorhexidine powder may also be useful for localised pedal<br />

lesions. Recent studies have shown that an astringent,<br />

soothing antimicrobial spray is convenient and effective<br />

against Malassezia overgrowth 9 . This spray is also effective<br />

against bacteria found in microbial overgrowth and is used<br />

for the treatment and management of this condition by the<br />

author, particularly when lesions are localised.<br />

In severe or extensive cases of microbial overgrowth or<br />

when washing of the affected areas is not practicable, systemic<br />

therapy with cefalexin at 15 mg/kg twice daily 8 and or<br />

imidazoles can be very helpful, depending on the nature of the<br />

microbes involved. Ketoconazole (5-10 mg/kg twice daily<br />

59<br />

with food) or itraconazole (5 mg/kg twice daily or 10 mg/kg<br />

once daily) are effective when used for 2-4 weeks. Evaluation<br />

of the response to treatment can quickly and easily be<br />

achieved using tape strip specimens stained with DiffQuik.<br />

Bibliography<br />

1. Lloyd DH, Viac J, Rème CA, Gatto H. Role of monosaccharides in<br />

surface microbe-host interactions and immune reaction modulation.<br />

In: Glycotechnologies in Veterinary Dermatology: a new era. Proceedings<br />

of the 2nd Virbac European Symposium, Chalkidiki, Greece,<br />

September 2005, pp 7-15.<br />

2. Sung, J. M. L., Chantler, P. D., Lloyd, D. H. The accessory gene regulator<br />

locus of Staphylococcus intermedius. Infection and Immunity.<br />

In press.<br />

3. Bond, R., Saijonmaa-Koulumies, L., Lloyd, D. H. Population sizes<br />

and frequency of Malassezia pachydermatis at skin and mucosal sites<br />

in healthy dogs. Journal of Small Animal Practice <strong>19</strong>95; 36: 147-50.<br />

4. Mason, I.S., Mason, K.V., Lloyd, D. H. A review of the biology of<br />

canine skin with respect to the commensals Staphylococcus intermedius,<br />

Demodex canis and Malassezia pachydermatis. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 1<strong>19</strong>-32.<br />

5. Bond R., Patterson-Kane JC, Lloyd D.H. Clinical, histopathological<br />

and immunological effects of exposure of canine skin to Malassezia<br />

pachydermatis. Medical Mycology 2004; 42: 165-75.<br />

6. Bond R, Anthony RM. Characterization of markedly lipid-dependent<br />

Malassezia pachydermatis isolates from healthy dogs. J Appl Bacteriol.<br />

<strong>19</strong>95; 78: 537-42.<br />

7. Bond, R., Lloyd, D. H. Factors affecting the adherence of Malassezia<br />

pachydermatis to canine corneocytes in vitro. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 49-56.<br />

8. Jasmin P, Pin D, Carlotti DN. Efficacy and interest of a systemic antibiotic<br />

treatment with cephalexin in dogs affected with bacterial overgrowth<br />

(BOG). Proceedings of the 7th FECAVA and 47th Annual<br />

Congress of the FK-DVG, Berlin, October 2001, p. 51.<br />

9. Carlotti DN, Rème CA. Efficacy of a soothing astringent topical<br />

spray for the management of Malassezia pododermatitis in dogs: a<br />

preliminary open-label clinical trial. Proceedings of the BSAVA Congress,<br />

Birmingham, April 2004, p. 592.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd<br />

Department of Veterinary Clinical Sciences,<br />

Royal Veterinary College, Hawkshead Campus,<br />

North Mymms, Herts, UK


Antimicrobial resistance in Staphylococci<br />

David H. Lloyd<br />

Professor B, Med Vet, PhD, FRCVS, Dipl ECVD, Herts, UK<br />

Introduction<br />

Use of antimicrobials promotes development of resistance<br />

amongst micro-organisms which become exposed to these<br />

agents whether they are infecting pathogens or members of<br />

the normal flora 1 . The rate at which resistance develops<br />

depends on selection density (the amount of antimicrobial<br />

used per individual in a defined geographic area) 2 .<br />

Compared with use of antimicrobials in agriculture and<br />

human medicine, companion animal use (dogs, cats, horses)<br />

is small. In the UK, in 2001, total therapeutic antimicrobial<br />

use in agriculture was 420 tonnes. In horses, dogs and cats it<br />

totalled 39 tonnes (about 9%); this figure has remained<br />

around 30-40 tonnes since <strong>19</strong>95 3,4 .<br />

Close proximity of pets and owners provides opportunities<br />

for exchange of micro-organisms and resistance determinants<br />

amongst these populations, and veterinary use of<br />

antimicrobials in small animals has been assumed to carry a<br />

risk towards the human population 5 .<br />

Staphylococcal infection in dogs<br />

Staphylococcal infection in the dog normally involves<br />

Staphylococcus intermedius (SI; about 90% of cases). S.<br />

aureus is occasionally isolated and, rarely, S. hyicus 6 . Involvement<br />

of S. schleiferi is being recognised both in skin disease<br />

and otitis 7,8 but its role as a pathogen is still undefined.<br />

SI is a commensal of the dog 9 and resident of mucosae and<br />

thus influenced by antibiotics administered for infections of all<br />

kinds. In the UK, Lloyd et al. 6 examined sensitivity in 2,296<br />

canine isolates (predominantly SI) from the skin, ears and<br />

mucosae in referral practice during <strong>19</strong>80-<strong>19</strong>96. Resistance to<br />

penicillin increased from 69.0 to 89.3&. Oxytetracycline<br />

resistance remained at about 40%; resistance to erythromycin<br />

and lincomycin, and to co-trimoxazole peaked at about 20 and<br />

15% respectively in <strong>19</strong>87-89 but then fell. Only one cefalexin<br />

resistant isolate was found between <strong>19</strong>86 and <strong>19</strong>96. No resistance<br />

to co-amoxiclav, oxacillin, methicillin and enrofloxacin<br />

was demonstrated. Since then, more resistant isolates have<br />

been identified in the UK. In France, a study from Nantes 10<br />

showed an increase in the proportion of multiresistant (≥3<br />

antimicrobials) SI from 11% in <strong>19</strong>86-7 to 28% in <strong>19</strong>95-6. A<br />

rising trend of antimicrobial resistance has also been demonstrated<br />

in Switzerland 11 . Fluoroquinolones were registered for<br />

use in Europe in the mid <strong>19</strong>90s and there is evidence of<br />

increasing resistance amongst canine SI. Resistance was<br />

reported at 0.9% amongst 858 isolates examined between <strong>19</strong>96<br />

and <strong>19</strong>98 by Lloyd et al. in the UK 12 but higher levels have<br />

been observed in Swedish dogs (8-12%) in <strong>19</strong>92 and 2000 5 .<br />

Acquisition of antimicrobial resistance by SI has been<br />

reported to be associated with repeated treatment 13 and<br />

resistance may be acquired by plasmid transfer from other<br />

staphylococci on canine skin 14 . However, in SI there is low<br />

carriage of plasmids and a tendency for resistance to be<br />

chromosomal 15,16 . This may have protected SI from acquisition<br />

of multi-resistance, as has happened with S. aureus, S.<br />

hyicus and S. schleiferi 7,17 .<br />

In the clinic, selection of effective antibiotics for canine SI<br />

infection, even in referral practice, is almost never an issue in<br />

the UK. However, more resistance is reported in other countries<br />

10 and increasing mobility of animals and owners creates<br />

risk in all countries. Misidentification of S. aureus, including<br />

methicillin-resistant S. aureus (MRSA), as SI is sometimes<br />

responsible for reports of methicillin resistance in SI.<br />

In contrast to SI infections, problems do occur when other<br />

pathogenic staphylococci cause canine infection. This is generally<br />

associated with repeated treatment and chronic infection,<br />

circumstances when multi-resistant strains, especially<br />

MRSA, are increasingly isolated 7,18 . Methicillin resistance in<br />

coagulase negative and coagulase variable staphylococci is<br />

relatively common e.g. S. schleiferi <strong>19</strong> . However, multidrug<br />

resistance in S. schleiferi does not appear to be a problem.<br />

Staphylococcal infection in cats<br />

60<br />

In cats, SI appears to be the predominant pathogenic<br />

staphylococcal species both in the USA and in Britain, but S.<br />

aureus is also involved 20,<strong>21</strong> . S. felis is also commonly present<br />

and may play a pathogenic role 22 .<br />

Cats are less often treated for cutaneous infections and<br />

tend to have intermittent problems that respond to short<br />

courses of antibiotics. Medleau and Blue 23 examined isolates<br />

of staphylococci from skin lesions of 45 cats in the Southern<br />

United States and found that of 32 isolates from 30 of the<br />

cats, 23 were coagulase positive (16 S. aureus, 5 S intermedius,<br />

2 S hyicus). The isolates were susceptible to coamoxiclav,<br />

cloxacillin, cephalothin, chloramphenicol, gentamicin,<br />

erythromycin, and trimethoprim-sulphamethoxazole;<br />

resistance to penicillin G, ampicillin, and tetracycline<br />

was frequent.<br />

In contrast, Patel et al. <strong>21</strong> examined 187 isolates from 11<br />

healthy domestic cats, 9 with skin lesions and 10 feral cats<br />

in South London. The 40 pathogenic isolates consisted of SI<br />

(90%) and S. aureus, all but 7 from lesions. Of all the isolates,<br />

only 22 (11.75%) showed resistance to co-trimoxazole<br />

(3.8%), lincomycin (6.4%), enrofloxacin (0.05%) or oxytetracycline<br />

(1.6%). Interestingly, resistance was greater<br />

amongst the feral cats (p


tal exposure to antibiotics was more significant in driving<br />

antibiotic resistance than direct contact with people or veterinary<br />

treatment 24 .<br />

Transfer of resistant staphylococci<br />

between pets and owners<br />

SI is a resident of mucosal sites in most dogs and is likely<br />

to be transferred to the skin of the owner and others handling<br />

them, during grooming, play and other activities.<br />

When staphylococcal infection is present, large numbers of<br />

multi-resistant bacteria may be transferred 25 . However, there<br />

is little evidence of long-term persistence of such organisms<br />

in human hosts and it seems likely that SI is poorly adapted<br />

to survival in healthy humans.<br />

Reports of infection in humans by SI are rare. However, in<br />

2000, SI was identified in ear fluid from a patient with otitis<br />

externa 26 . SI was also isolated from the patient’s pet dog<br />

although the two isolates were not shown to be the same. In<br />

a study of 3,397 isolates of coagulase-positive staphylococci<br />

from hospitalised patients in Strasbourg, France, only two<br />

were identified as SI 27 . However, SI infecting humans can be<br />

mis-identified as S. aureus 28 .<br />

It would seem that risk of human infection with SI is<br />

very low, except in immunocompromised individuals.<br />

Transfer of resistance is also likely to be at low risk. In<br />

contrast, transfer of resistant human pathogenic staphylococci,<br />

such as MRSA, between dogs and associated<br />

humans seems more common and is likely to occur when<br />

the dogs are treated with antibiotics effective against resident<br />

staphylococci, providing an avenue for establishment<br />

of resistant pathogens. Sometimes, in MRSA infection, a<br />

link to human medicine can be established and isolates<br />

from pets may be indistinguishable from epidemic human<br />

hospital strains, pointing to hospital infection as a source.<br />

However, case reports of human infection and subsequent<br />

MRSA isolation from mucosae of healthy family<br />

dogs 29,30,31 indicate that the role of dogs in transfer of<br />

MRSA to owners needs to be assessed as does the role of<br />

veterinarians in infection of dogs they treat.<br />

Bibliography<br />

1. Sørum, H., Sunde, M. Veterinary Research 2001; 32: 227-241.<br />

2. Levy, S. B. In: Chadwick, D.J., Goode, J., eds. Antibiotic Resistance:<br />

Origins, Evolution, Selection and Spread. Chichester John Wiley &<br />

Sons, <strong>19</strong>97: 1-14.<br />

61<br />

3. DEFRA/VMD.http://www.vmd.gov.uk/general/publications/amrrpt2<br />

000v51.htm.<br />

4. DEFRA/VMD (2003).. http://www.noah.co.uk/papers/antimicrosales2002.pdf<br />

5. Guardabassi, L., Schwarz, S., Lloyd, D. H. J Antimicrob Chemother.<br />

2004; 54: 3<strong>21</strong>-32.<br />

6. Lloyd, D. H., Lamport, A.I., Feeney, C. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 171-174.<br />

7. Frank L.A., Kania S.A., Hnilica K.A. et al. J Am Vet Med Assoc<br />

2003; 222: 451-454.<br />

8. Igimi S., Takahashi E., Mitsuoka T. Int J Systematic Bact <strong>19</strong>90; 40:<br />

409-411.<br />

9. Saijonmaa-Koulumies, L.E., Lloyd, D. H. Veterinary Dermatology<br />

<strong>19</strong>96; 7: 153-163.<br />

10. Pellerin, J. L., Bourdeau, P., Sebbag, H. et al. (<strong>19</strong>98). Comp Immunol<br />

Microbiol Infect Dis <strong>21</strong>, 115-33.<br />

11. Wissing, A., Nicolet, J. & Boerlin, P. (2001). Schweiz Arch Tierheil<br />

143, 503-10<br />

12. Lloyd, D. H., Lamport, A. I., Noble, W. C. et al. (<strong>19</strong>99). Vet Dermatol<br />

10, 249-51.<br />

13. Noble, W. C., Kent, L. Vet Dermatol <strong>19</strong>92; 3: 71-74.<br />

14. Naidoo, J., Lloyd, D. H. In: Woodbine, M., ed. Antimicrobials and<br />

Agriculture. London, Butterworths, <strong>19</strong>84: 284-292.<br />

15. Green, R. T., Schwarz, S. Zentralbl Bakt <strong>19</strong>92; 276: 380-389.<br />

16. Eady, E. A., Ross, J. I., Tipper, J. L et al. J Antimicrobl Chemother.<br />

<strong>19</strong>93; 31: <strong>21</strong>1-<strong>21</strong>7.<br />

17. Werckenthin, C., Cardoso, M., Martel, J-L et al. Vet Res 2001; 32:<br />

341-362.<br />

18. Boag, A., Loeffler, A., Lloyd, D. H. Vet Rec 2004; 154, 411<br />

<strong>19</strong>. Kania, SA, Williamson, NL, Frank, LA et al. Am J Vet Res 2004; 65:<br />

1265-8.<br />

20. Cox H.U., Hoskins J.D., Newman S.S et al. Am J Vet Res <strong>19</strong>85;<br />

46:1824-1828.<br />

<strong>21</strong>. Patel, A., Lloyd, D. H., Lamport, A. I. Vet Dermatol. <strong>19</strong>99; 10:<br />

257-62.<br />

22. Patel, A., Lloyd, D. H., Howell, S. A et al. Vet Rec 2002; 150: 668-9.<br />

23. Medleau L., Blue J.L. J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>88; <strong>19</strong>3: 1080-1081.<br />

24. Kessie, G., Ettayebi, M., Haddad, A. M., et al. J Appl Microbio <strong>19</strong>98;<br />

84: 417-22.<br />

25. Guardabassi, L, Loeber, ME, Jacobsen, A. Vet Microbiol. 2004; 98:<br />

23-7.<br />

26. Tanner M.A., Everett C.L., Youvan D.C. J Clin Microbiol 2000; 38:<br />

1628-1631.<br />

27. Mahoudeau I., Delabranche X., Prevost G et al. J Clin Microbiol<br />

<strong>19</strong>97; 35: <strong>21</strong>53-<strong>21</strong>54.<br />

28. Pottumarthy S, Schapiro JM, Prentice JL et al. J Clin Microbiol.<br />

2004; 42: 5881-4.<br />

29. Cefai C, Ashurst S, Owens C. Lancet <strong>19</strong>94; 344: 539-40.<br />

30. Manian F.A. Clin Infect Dis 2003; 36:e26-28.<br />

31. van Duijkeren E, Box AT, Heck ME et al. Vet Microbiol 2004; 103:<br />

91-7.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

David H. Lloyd - Department of Veterinary Clinical Sciences,<br />

Royal Veterinary College, Hawkshead Campus,<br />

North Mymms, Herts, UK


Alfa Agonisti: Romifidina, Medetomidina<br />

e Dexmedetomidina<br />

Veronique Martin-Bouyer<br />

Med Vet, Lyon, Francia<br />

Abstracts will be available after 12th of June 2006 on the web site www.scivac.it/53/atti/<br />

62


Vision in the animal kingdom<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, ISRAEL<br />

Veterinarians are frequently confronted by questions such<br />

as “Why do cats see better at night?”, “Is it true that dogs are<br />

color blind?”, or “How sharp is my dog’s eyesight?”. Vision<br />

is a very complex sense that is affected by numerous factors,<br />

varies greatly between species and can be evaluated in<br />

numerous ways, so there is no simple answer to these questions.<br />

This talk will not provide a comprehensive and<br />

detailed discussion of the subject, but instead will focus (pun<br />

intended) on some of the significant differences in vision<br />

between humans, dogs and cats.<br />

WHY DOES MY PET SEEM TO<br />

BE UNINTERESTED IN WATCHING TV?<br />

Responses to rapidly flickering lights are generated by<br />

cones. In between flickers, cones undergo a brief process of<br />

recovery that enables them to generate the response to the<br />

next flicker. When the flickers become too rapid, the cones<br />

are unable to recover sufficiently between flashes. At this<br />

point, the responses of the cones “fuse”, and they generate<br />

just one response to a series of rapid flashes. In humans,<br />

cone responses fuse at 45 Hz. Therefore, pictures generated<br />

by computer or TV screens, which flicker at 50 or 60 Hz, are<br />

perceived as one continuous image. However, in dogs and<br />

cats, cone responses fuse at 70-80 Hz. Therefore, when<br />

watching television, pets can perceive individual flickering<br />

images, which probably has a dramatic effect on their interest<br />

in the program! Similarly, pets can detect the flickering<br />

of fluorescent lights, a fact that may be taken into account<br />

when designing the lighting of your clinic.<br />

DOES MY PET HAVE COLOR VISION?<br />

Color vision is the domain of the cone photoreceptors.<br />

Based on wavelength sensitivity of the photopigment contained<br />

in their outer segments, four types of cones have been<br />

identified, with animals having anywhere from one to all 4<br />

populations. Species that have just one cone population are<br />

limited to perceiving different shades of that one color (e.g.,<br />

rats, with cones sensitive to yellow light). In species with<br />

more than one population, “richer” color vision is possible<br />

through activation of different proportions of the various<br />

populations. Contrary to prevalent public opinion, dogs and<br />

cats do not “see in black and white”. Dogs have two populations<br />

of cones. One population absorbs light in the blue-violet<br />

spectrum (peak absorption - 432 nm), while the second<br />

population absorbs light in the yellow spectrum (555 nm).<br />

This contrasts with humans who have a third population of<br />

cones, absorbing light in the green spectrum. Therefore,<br />

dogs can be likened to “color blind” (dichromatic) people<br />

who lack the green cone population, a condition known as<br />

deutranopia: they can see colors, but are unable to distinguish<br />

between red and green shades. This means that guide<br />

dogs do not distinguish between red and green traffic lights,<br />

and rely on changes of illumination to cross streets! Similarly,<br />

cattle have cones absorbing in blue and in yellow wavelengths,<br />

which means that bulls do not perceive the color of<br />

the red cloth used by bullfighters. Cats, on the other hand,<br />

have 3 cone populations, with peak absorptions at 450, 500<br />

and 550 nm. However, numerous behavioral studies failed to<br />

reveal rich color vision in felines. In this context one should<br />

remember that dogs and cats have far fewer cones than<br />

humans, so one can assume that color vision in these species<br />

is not as “rich” as it is in humans. It is hypothesized that during<br />

evolution the number of cones in the retinas of nocturnal<br />

species was reduced to allow an increased number of rods,<br />

thus enabling more sensitive night vision.<br />

NIGHT VISION<br />

63<br />

Both dogs and cats have very sensitive night (scotopic)<br />

vision. Studies show that the threshold light intensity needed<br />

to elicit vision in humans is X6 the threshold intensity in<br />

the cat. Several physiological and anatomical mechanisms<br />

account for this improved visual performance in the dark.<br />

The first is the amount of light entering the eye. The corneal<br />

diameter in the cat is 16.3 mm, and the diameter of the dilated<br />

feline pupil is 10.1 mm. In humans, the respective figures<br />

are 11.1 and 6.0 mm. Therefore more light can pass through<br />

the cat cornea and pupil and reach the retina. Obviously,<br />

these differences are inconsequential at daytime, when there<br />

is sufficient illumination for vision. However, at night, when<br />

“every photon counts”, the ability of the cat eye to admit<br />

more stray light is very important. It is estimated that the<br />

larger corneal and pupillary diameters of the cat cause a 5.2<br />

fold increase in the amount of retinal illumination, compared<br />

to humans. Furthermore, the cat is more capable of exploiting<br />

this light, thanks to the tapetum lucidum. This structure,<br />

located in the choroid, gives the fundus of most mammals<br />

(with the notable exception of primates) its rich color variety.<br />

It also has an important functional role, acting as a mirror<br />

that reflects light back to the retina. Photons that are not<br />

absorbed by photoreceptors are “wasted” in the eye, as they<br />

do not contribute to vision. The tapetum reflects these photons<br />

back towards the photoreceptors, thus doubling the<br />

probability that they will be absorbed. Once again, such<br />

reflectance is of little importance at daytime (and indeed


even causes some blurring of vision), but is extremely<br />

important at night. However, the most important factor in<br />

determining sensitivity to low light levels is the proportion<br />

of rods and cones. Rods are very sensitive to low light levels,<br />

and can function in intensities that are 10 -5 those<br />

required by cones. Furthermore, this sensitivity can be<br />

increased through neuronal and biochemical mechanisms, in<br />

a process called dark adaptation. As Table 1 demonstrates,<br />

cats have a much higher concentration of rods than humans<br />

throughout the retina, thus contributing significantly to their<br />

night vision, while detracting from their visual acuity.<br />

HOW SHARP IS MY PET’S EYESIGHT?<br />

Sharpness of vision, or visual acuity, is determined by a<br />

number of factors.<br />

How well does my pet focus?<br />

Incoming light must be focused on the retina in order to<br />

generate a sharp image. The active focusing process is called<br />

accommodation. In mammals, accommodation takes place<br />

in the lens. In humans, it is accomplished through changes in<br />

the lens curvature. To view distant objects, sympathetic<br />

stimulation causes relaxation of our ciliary muscle, resulting<br />

in a flatter (discoid) lens; an opposite process, resulting in<br />

spheroid lens, takes place when viewing nearby objects. Due<br />

to differences in anatomy and physiology of the lens, cats<br />

and dogs are incapable of changing the shape of their lens.<br />

Instead, they change its position in the eye. When viewing<br />

distant objects, the lens is retracted (towards the retina), and<br />

it is moved forward for viewing nearby objects. This results<br />

in a diminished accommodative capability. The accommodative<br />

power of a human teenager is around 15 diopters<br />

(D), compared to 3-4 D in the dog and cat.<br />

Does this mean that my pet requires<br />

glasses?<br />

No. Accommodation is an active process that changes the<br />

refractive power of the eye, but other anatomical and physiological<br />

mechanisms ensure that light will be focused on the<br />

retina (emmetropia). Large surveys show that the majority of<br />

both dogs and cats are within 0.5 D of emmetropia; even in<br />

humans, glasses are rarely used to correct such a small<br />

refractive error. It is interesting to note that the refractive<br />

error of our pets changes is affected by habitat, breed and<br />

Table 1 - Concentrations of rods and cones<br />

HUMAN CAT<br />

Maximal cone concentration (per mm2 ) <strong>19</strong>9,000 27,000<br />

Maximal rod concentration (per mm2 ) 160,000 460,000<br />

Cone concentration in retinal periphery (per mm2 ) 5,000


Blindness in veterinary ophthalmology:<br />

examination, causes and treatment<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, ISRAEL<br />

I. EXAMINATION OF THE BLIND ANIMAL<br />

1. History<br />

a) Is the blindness of sudden onset, or gradual onset?<br />

o Frequently, owners will report sudden onset blindness,<br />

even though the results of the ophthalmic examination<br />

will reveal changes associated with chronic, long<br />

standing disease. Careful questioning will reveal that<br />

the blindness was noticed when the animal’s environment<br />

was changed (visiting friends, moving to a new<br />

house). We can assume that even though the animal<br />

has been blind for a long time, the gradual onset of the<br />

disease enabled it to learn to navigate in a familiar<br />

environment. The change in environment will cause it<br />

to bump into objects, misleading the owners into<br />

believing that the blindness is acute.<br />

b) Was deterioration of vision associated with preferential<br />

loss of night vision or day vision?<br />

o One of the first behavioral signs of inherited, degenerative<br />

diseases of the outer retina (commonly known as<br />

Progressive Retinal Atrophy) is loss of night vision<br />

(nyctalopia) as rods are affected before cones.<br />

➟ Be careful of how you phrase the question!! Do not<br />

“lead” the owners.<br />

➟ Other rod functions (such as detection of moving<br />

objects, or objects in the peripheral visual field) are<br />

also affected before cone functions (color vision,<br />

detection of objects in the central visual field).<br />

However, these changes are usually too subtle to be<br />

detected by owners.<br />

o Is the loss of night vision progressive? A disease<br />

known as “Congenital Stationary Night Blindness”,<br />

reported in dogs and horses, causes nyctalopia, but<br />

does not affect daytime vision.<br />

o Several (infrequent) retinal diseases may present with<br />

day blindness (hemeralopia). These include inherited<br />

cone degeneration (e.g., in the Alaskan malamute) and<br />

retinal pigment epithelium dystrophy (formerly known<br />

as CPRA). These diseases may be progressive, but not<br />

necessarily so.<br />

c) Is the animal healthy? Are there other signs of illness,<br />

besides loss of vision?<br />

o As will be seen later, blindness may be caused by<br />

numerous systemic or neurological diseases. These<br />

will frequently be accompanied by additional signs of<br />

clinical disease.<br />

o Therefore, the clinician must take a complete (nonophthalmic)<br />

history of the patient. Furthermore, a<br />

complete physical examination and a thorough neurological<br />

assessment are part of the workup of every case<br />

of blindness. However, these will not be discussed in<br />

this lecture.<br />

2. Assessing Vision & Function in the<br />

Blind Animal<br />

a) Menace Response<br />

65<br />

This involves making a sudden threatening gesture which<br />

is supposed to elicit a blink response. The afferent arm of the<br />

response consists of the retina, optic nerve axons, the optic<br />

tract (leading from the optic chiasm to the lateral geniculate<br />

nucleus in the diencephalon) and the optic radiation (from<br />

the diencephalon to the visual cortex). The efferent component<br />

of the response includes the primary motor cortex, cerebellum,<br />

and the nucleus of cranial nerve VII (facial nerve).<br />

It is important to note that the menace response involves<br />

cerebral cortical integration and interpretation and therefore<br />

is not a reflex. Rather, it is a cortical response that requires<br />

the entire peripheral and central visual pathways, as well as<br />

the visual cortex and the facial nucleus of cranial nerve VII,<br />

to be intact for the response to occur.<br />

o The menace response should be evaluated in one eye,<br />

while the other eye is being covered.<br />

o Be careful not to touch the eyelashes/hair of the<br />

patient, as this may cause a “false positive” response.<br />

o Wind movement may also cause a “false positive” response<br />

➟ Consider making the menace gesture behind a glass<br />

partition<br />

o Likewise, “false negative” results (lack of a menace<br />

response in a visual animal) are also possible:<br />

➟ Facial nerve paralysis will cause a false negative<br />

result. Therefore, in the absence of a menace<br />

response always test:<br />

• The blinking reflex (touching of the canthus)<br />

• Protrusion of the third eyelid, caused by retraction<br />

of the eye (due to contraction of the retractor<br />

bulbi muscle, mediated by the abducens nerve) in<br />

response to the menacing gesture<br />

➟ The menace response is absent in very young (


) Additional Visual Tests<br />

• Obstacle course<br />

o Be consistent in the obstacle course that you construct<br />

➟ Make sure it can be navigated by normal animals!<br />

o Test the patient in photopic and scotopic conditions<br />

o Consider patching one eye<br />

• Visual placing response<br />

o Useful when results of the obstacle course and menace<br />

response are equivocal<br />

o Lift the animal towards the table, allowing it to see<br />

the approaching surface. A normal animal will<br />

extend its leg towards the surface before its paw<br />

touches the table<br />

c) The Pupillary Light Reflex (PLR)<br />

Unlike the menace response, the PLR is a subcortical<br />

reflex. Therefore, it does NOT test vision, and a normal PLR<br />

may be found in a cortically blind animal. Furthermore, the<br />

PLR is usually present (though it may be diminished or<br />

slow) in animals suffering from outer retinal degeneration<br />

(PRA), cataracts, and other causes of subcortical blindness.<br />

Nevertheless, the PLR is a very important test, which helps<br />

localize the lesion which causes loss of vision.<br />

The afferent pathway of the PLR runs from the retina<br />

through the optic nerve to the optic chiasm, where most of<br />

the axons cross over to the contralateral side, through both<br />

optic tracts, and over the lateral geniculate nuclei, to synapse<br />

ventrally at the pretectal nuclei (PTN). Axons from each<br />

PTN relay to both the left and the right parasympathetic<br />

nuclei of the oculomotor nerve (CN III); however, the majority<br />

of axons will cross over and synapse in the contralateral<br />

parasympathetic nucleus, located in the tegmentum of the<br />

midbrain.<br />

Because each PTN relays to both parasympathetic nuclei,<br />

both the right and the left pupils will constrict in response to<br />

light stimulation of either eye. The constriction that occurs<br />

in the stimulated eye is known as the direct PLR and the constriction<br />

of the contralateral, unstimulated eye is called the<br />

consensual (or indirect) PLR. Since the afferent PLR pathway<br />

contains two levels of fiber crossings, first at the optic<br />

chiasm and later after exiting the PTN, in most species the<br />

direct PLR is stronger than the indirect one. More precisely,<br />

the direct PLR is stronger in those species that have more<br />

than 50% decussation at the optic chiasm. On the other hand,<br />

in humans, where the decussation rate is 50%, the direct and<br />

consensual pupillary light reflexes are of equal amplitude.<br />

• Once again, false negative results are possible:<br />

o Previous treatment with atropine, or other parasympatholytic<br />

drugs<br />

o Iris disease, including iris atrophy, posterior<br />

synechia and severe uveitis<br />

o These conditions may be bilateral or unilateral. If<br />

unilateral, they will affect only the direct PLR, but<br />

not the consensual PLR of the unstimulated eye.<br />

• The dazzle reflex is another subcortical reflex. It is<br />

manifested as a bilateral, partial blink reflex in<br />

response to a bright light. The anatomical pathway<br />

66<br />

responsible for this reflex is poorly understood. However,<br />

this test is a very useful substitute for the PLR in<br />

cases when the pupils can’t be seen, such as in cases of<br />

severe corneal edema or hyphema, or in cases when a<br />

“false negative” PLR is suspected.<br />

3. Additional Tests of the Visual System<br />

a) As noted, a neurological examination should be conducted<br />

in cases of blindness. Attention should be paid to:<br />

• Cranial nerve deficits<br />

• Change in mental status-stupor, delirium, depression<br />

• Abnormal gait – ataxia, circling, paresis<br />

• Abnormal body posture – head tilt, head turn…<br />

b) Electrophysiology – these tests require a referral to a<br />

specialist<br />

• The electroretinogram (ERG) is used to record electrophysiological<br />

responses of the retina to visual stimulation.<br />

o It is very useful in diagnosing early stages of outer<br />

retinal degeneration (PRA), and also in differentiating<br />

between optic neuritis and sudden acquired retinal<br />

degeneration (SARD) (see below).<br />

o Since the ERG measures retinal activity, it will be<br />

normal in cases of post-retinal blindness (optic neuritis<br />

or cortical blindness). Such cases are best<br />

assessed by the visual evoked potentials (VEP),<br />

which involve recording cortical electrophysiological<br />

responses to visual stimulation.<br />

c) Imaging techniques – radiography, CT and MRI may<br />

be used to workup suspected cases of central blindness.<br />

4. Localizing the Lesion in the Blind<br />

Patient<br />

Based on the results of the ophthalmic examination, the<br />

patient may be categorized into one of 4 general categories:<br />

a) Abnormal ophthalmic findings combined with a normal/diminished<br />

PLR<br />

• Opacity of the ocular media: severe blepharospasm,<br />

corneal edema, hyphema/hypopyon, cataract, vitreal<br />

hemorrhage….<br />

• Retinal disease – outer retinal degeneration (PRA),<br />

chorioretinitis<br />

b) Abnormal ophthalmic examination and an absence of<br />

PLR:<br />

• Glaucoma<br />

• Retinal detachment<br />

• Optic neuritis involving the proximal portion of the<br />

optic nerve, and causing papilledema<br />

o Infectious and non-infectious causes of optic neuritis<br />

o Retrobulbar abscess/cellulitis<br />

• Optic nerve hypoplasia/atrophy:<br />

• congenital, post-traumatic, chronic glaucoma<br />

c) Normal ophthalmic examination and an absence of<br />

PLR:<br />

• Sudden Acquired Retinal Degeneration (SARD)


• Optic neuritis involving the distal portion of the optic<br />

nerve, in which case the optic nerve head will be normal<br />

looking<br />

o Infectious and non-infectious causes of optic neuritis<br />

• Neoplasia of the optic nerve or neoplasia compressing<br />

the optic nerve or chiasm<br />

• Lesions affecting the contralateral optic tract, up to the<br />

level of the lateral geniculate nucleus:<br />

o Hypothalamic and thalamic neoplasia<br />

o Cerebrovascular accident<br />

d) Normal ophthalmic examination, and absence of PLR:<br />

These are usually neurological cases, caused by central lesions<br />

affecting the visual pathways from the lateral geniculate nucleus<br />

to the contralateral visual cortex. Causes include:<br />

• Congenital lesions - especially hydrocephalus<br />

• Metabolic causes – hepatic encephalopathy, hypoglycemia…<br />

• Inflammatory CNS disease – granulomatous meningoencephalitis<br />

• Infectious CNS disease – neospora, toxoplasma, distemper,<br />

Cryptococcus…<br />

• Toxins – lead toxicity…<br />

• Forebrain disease – trauma, neoplasia, hemorrhage,<br />

cerebrovascular disease…<br />

DISCUSSION OF SELECT CAUSES OF<br />

BLINDNESS<br />

I. RETINAL CAUSES OF BLINNESS<br />

1. Progressive Retinal Atrophy/<br />

Rod-Cone Degeneration<br />

A. Pathogenesis<br />

This disease is the most common inherited retinal disease<br />

in dogs, and the leading inherited cause of canine blindness.<br />

In most cases (see below “Breed particulars”) it is transmitted<br />

as an autosomal recessive disease. The disease is characterized<br />

by an inherited defect in one of the phototransduction<br />

enzymes of the retinal photoreceptors. Different canine<br />

breeds have different forms of the disease, depending on the<br />

location of the mutation, and the defective enzyme. However,<br />

regardless of the specific mutation/enzyme, the final<br />

pathway of all forms of the disease is progressive atrophy of<br />

rods and cones.<br />

B. Breed Particulars<br />

➟ Cross breeding experiments, using affected American<br />

& English cocker spaniels, miniature & toy<br />

poodles, Labrador retrievers and Portuguese water<br />

dogs have shown genetic homogeneity of prcd in<br />

these breeds. In other words, the gene mutation that<br />

affects these breeds is at the same locus.<br />

➟ An autosomal recessive mode of inheritance has<br />

also been established in the akita, miniature long<br />

haired dachshund, papillon, Tibetan terrier and<br />

Tibetan spaniel.<br />

67<br />

➟ Siberian huskies - X-linked retinal degeneration<br />

(common in males). Sex linkage also reported in<br />

samoyeds<br />

➟ The miniature schnauzer may have an incompletelydominant<br />

form of PRA. Some carrier dogs (which<br />

have a mutant gene on one chromosome only) have<br />

clinical and electroretinographic signs of PRA<br />

➟ PRA has also been described in the Irish, Gordon &<br />

English setter, Norwegian elkhound, Tibetan & English<br />

mastiff, Afghan hound, collie, greyhound, miniature<br />

pinscher, pointer, saluki, Swiss hound, Shetland<br />

sheepdog, border collie, Cardigan Welsh corgi, beagle,<br />

borzoi, and cairn terrier.<br />

C. Diagnosis<br />

Behavioral signs of PRA/prcd<br />

➟ Bilateral disease, though the dog may present with<br />

varying degrees of disease in the 2 eyes<br />

➟ Age of onset varies, according to breed. In the longhaired<br />

dachshund, initial signs may be observed at 6<br />

months of age, while in the miniature poodle the disease<br />

may develop as late as 12 years of age (mean<br />

age 3-5 years). In the English cocker spaniel, it is<br />

unusual to see clinical signs before the age of 8 years.<br />

➟ The initial behavioral sign is usually loss of night<br />

vision, or nyctalopia, reflecting damage to the rods.<br />

Therefore, behavioral evaluation of the dog (menace<br />

response, maze test) must be performed under<br />

varying light conditions<br />

➟ The disease is progressive, invariably leading to<br />

blindness<br />

Ophthalmoscopic signs of PRA/prcd<br />

➟ Initial changes are usually observed in the peripheral<br />

tapetum, near the non-tapetal junction. These<br />

include vascular attenuation (especially of arterioles)<br />

and gray discoloration (mild hyporeflectivity).<br />

➟ Moderate and advanced cases are characterized by:<br />

➟ Progressive tapetal hyperreflectivity, due to thinning<br />

of neural retina<br />

➟ Blood vessel attenuation - “ghost vessels”<br />

➟ Mottling of the non-tapetum - areas of pigment<br />

clumping adjacent to areas of depigmentation. This<br />

appearance is caused by migration of phagocytic RPE<br />

➟ Optic nerve atrophy-pallor resulting from demyelination<br />

and loss of circulation<br />

Additional ophthalmic findings<br />

➟ Pupillary light response is usually present, though it<br />

may be slow and incomplete<br />

➟ Cataracts - are they really a secondary complication?<br />

Electroretinography<br />

The electroretinogram (ERG) is used to record the electrophysiological<br />

responses of the photoreceptors to light<br />

stimulus. Its importance in veterinary ophthalmology results<br />

from several factors:


➟ The flash ERG provides an objective and accurate<br />

assessment of outer retinal function, more reliable<br />

than subjective ophthalmoscopic and behavioral signs<br />

➟ Early diagnosis - in many breeds, electrophysiological<br />

abnormalities associated with PRA/prcd may be<br />

detected long before the appearance of behavioral or<br />

funduscopic signs. In the poodle, for example, ERG<br />

abnormalities are present at age 8-10 months, though<br />

clinical signs may not appear till 1-2 years later.<br />

➟ In cataract patients, where lenticular opacities prevent<br />

a thorough fundus examination, the ERG is<br />

used to determine the presence of retinal function<br />

and the surgical prognosis.<br />

DNA testing<br />

➟ Commercial DNA tests for PRA/prcd are available<br />

in ~15 breeds at www.optigen.com<br />

➟ The advantages of DNA tests are that they can be<br />

conducted at any age, and can also identify heterozygous<br />

carriers<br />

➟ However, most of the current tests identify genetic<br />

markers, rather than the mutated gene itself, so their<br />

accuracy has been questioned<br />

2. Retinal Detachment<br />

A. Introduction<br />

➟ Retinal detachment is a separation between the retina<br />

and choroid. A result of the separation is<br />

ischemia of the photoreceptors. If the separation is<br />

not quickly resolved, and blood supply restored,<br />

photoreceptors will begin dying, leading to irreversible<br />

blindness.<br />

➟ Focal detachments, involving a small part of the<br />

retina, will cause a defect in the visual field (scotoma).<br />

However, this will have little impact on the<br />

animal’s behavior, and therefore this kind of detachment<br />

may not be presented to the clinician.<br />

B. Pathogenesis<br />

There are 3 types of detachments, depending on the mechanism<br />

of their formation:<br />

➟ Serous detachment is caused by accumulation of<br />

fluid in the subretinal space, between the retina and<br />

choroid. This fluid, which originates in the choroid,<br />

may be blood or exudates.<br />

➟ Traction detachment is caused by a force which<br />

pulls the retina off the choroid. This force may be<br />

generated by:<br />

o Forward movement of the vitreous body (for<br />

example, following anterior lens luxation)<br />

o Fibrin. Formation of fibrin strands and clots is a<br />

frequent complication of ocular inflammation.<br />

These strands may also form between the retina<br />

and lens. Re-organization of the strands, and their<br />

contraction, may pull the retina off the choroid.<br />

➟ Rhematogenous – Formation of holes in the retina<br />

(as a result of trauma, surgery or senile changes),<br />

68<br />

combined with liquefaction of the vitreous body (as<br />

a result of inflammation or senile changes). The liquefied<br />

aqueous penetrates the subretinal space<br />

through the retina holes, and causes detachment.<br />

C. Causes Of Retinal Detachment<br />

The list of possible causes for retinal detachment depends<br />

on the type of detachment.<br />

➟ Rhematogenous detachment may be caused by<br />

senile changes, trauma or inflammation (see below)<br />

➟ Traction detachment may be caused by lens luxation,<br />

or by inflammation (see below)<br />

➟ Serous detachments may be caused by bleeding or<br />

inflammation.<br />

Causes of exudative detachment<br />

An inflammation that leads to retinal detachment is usually<br />

one that involves the choroid and retina (chorioretinitis or<br />

retinochorioditis). As is the case for anterior uveitis, it is<br />

conceivable that any systemic or ocular inflammation will<br />

lead to chorioretinitis. However, chorioretinitis is usually an<br />

inflammation caused by an infectious agent. In the Mediterranean<br />

region, the most common ones include:<br />

➟ Viral causes – distemper in the dog. FIP, FeLV and<br />

FIV in the cat<br />

➟ Rickettsia – Ehrlichia canis<br />

➟ Protozoa – Leishmania, Toxoplasma<br />

➟ Fungal infections are very common in North America<br />

Causes of hemorrhagic detachment<br />

Any cause of systemic bleeding could result in a hemorrhagic<br />

retinal detachment. Common causes include:<br />

➟ Systemic hypertension<br />

➟ Thrombocytopenia (Ehrlichia canis)<br />

➟ Caogulopathies<br />

➟ Hyperviscosity<br />

➟ Anemia<br />

➟ Trauma<br />

D. Clinical Signs Of Retinal Detachment<br />

➟ Blind eye (no menace response)<br />

➟ Fixed dilated pupil. A consensual PLR will be present<br />

when stimulating the contralateral eye.<br />

➟ When performing an Ophthalmoscopic examination,<br />

the clinician will find it difficult to focus on the<br />

retina (since it moved from its natural place). It is<br />

possible to see a “sheet” floating in the posterior<br />

part of the eye. This sheet, which is the retina, may<br />

be transparent, white (i.e., edematous), or hemorrhagic,<br />

depending on the cause of detachment. Retinal<br />

blood vessels may be seen on it, and it is frequently<br />

seen in the posterior segment even without<br />

the use of an ophthalmoscope.<br />

➟ Ultrasound. A 10 MHz probe can image the<br />

detached retina. This image is called “the seagull<br />

sign”, because the detached retina usually remains<br />

anchored to the eye in the optic disc and to the ora


serrata. An ultrasound examination is particularly<br />

useful when an ophthalmoscopic examination can<br />

not be conducted due to severe corneal edema,<br />

hyphema, cataract…<br />

E. Treatment Of Retinal Detachment<br />

➟ It is imperative to diagnose the primary cause of the<br />

detachment, and to treat it. Therefore, systemic<br />

workup has to be performed. Depending on the type<br />

of detachment, this workup could include:<br />

o Cardiovascular evaluation, including measurement<br />

of blood pressure, echocardiogram, renal<br />

function….<br />

o Rule out of infectious diseases – CBC, serology…<br />

➟ Lens extraction surgery is indicated in cases where<br />

the detachment is secondary to anterior lens luxation<br />

➟ Fibrin clots and strands can be dissolved by injecting<br />

tissue plasminogen activator (TPA) into the eye,<br />

thus preventing traction detachments.<br />

➟ Treatment of exudative serous detachments involves<br />

draining the subretinal fluid. This may be done<br />

using hyperosmotic agents (mannitol, oral glycerine).<br />

Systemic carbonic anhydrase inhibitors should<br />

also be considered. If the cause of the exudate is<br />

inflammatory, systemic steroids should be administered.<br />

➟ Specialized referral centers may perform surgery to<br />

re-attach the retina.<br />

➟ If the detachment is partial, its progression may be<br />

prevented with laser photocoagulation, which<br />

“welds” the retina in place and seals adjacent holes.<br />

3. Sudden Acquired Retinal Degeneration<br />

(SARD)<br />

A. Pathogenesis<br />

➟ An acquired disease of an unknown cause, typically<br />

appearing in middle-aged (female) dogs<br />

➟ The history provided is one of sudden onset blindness.<br />

➟ The typical patient is “cushinoid”:<br />

o In many dogs, owners will report a history of<br />

lethargy, weight gain and PU/PD during the last<br />

few months.<br />

o Bloodwork is also suggestive of Cushing’s disease<br />

B. Diagnosis<br />

➟ Blind eye with a fixed, dilated pupil<br />

➟ Fundus appears normal during the first few months.<br />

Degenerative changes may appear at a later stage<br />

(few months)<br />

➟ ERG is flat, indicating lack of retinal activity.<br />

Currently there is no treatment for SARD. It is hoped that<br />

once the cause is identified, treatment can be offered.<br />

4. Glaucoma<br />

69<br />

This is another important differential diagnosis for loss of<br />

vision, usually characterized by acute presentation and<br />

fixed, dilated pupils. Discussion of glaucoma is outside the<br />

scope of this lecture.<br />

II. POST-RETINAL BLINDNESS<br />

Post retinal blindness can be caused by a disease process<br />

anywhere along the visual pathway. As noted earlier, results<br />

of the PLR test will be very helpful in preliminary localization<br />

of the lesion.<br />

Absence of PLR implies that the lesion is in the optic<br />

nerve, chiasm or tract. The PLR will be present in more<br />

distal lesions, including those of the lateral geniculate<br />

nucleus, optic radiation and the visual cortex. Each of these<br />

locations may be affected by different diseases, and should<br />

be addressed accordingly.<br />

1. Optic nerve diseases causing blindness<br />

Optic neuropathy includes degenerative, ischemic,<br />

inflammatory or compressive condition. Opthalmic examination<br />

of the fundus and optic disk followed by ERG can<br />

help differentiate primary retinal from optic nerve disease,<br />

as the signal is extinguished or normal, respectively.<br />

Optic Neuritis<br />

Probably the most common optic nerve disease that causes<br />

blindness<br />

A. Cause<br />

An inflammation of the optic nerve that can be caused by:<br />

➟ Any cause of meningitis<br />

➟ Infectious causes – distemper, fungal diseases (e.g.,<br />

Cryptococcus), toxoplasma, bacteremia… In many<br />

of the systemic disease, the ocular signs may be the<br />

presenting complaint.<br />

➟ Neoplasia, trauma or an abscess in CNS regions<br />

where the optic nerve passes (especially at the optic<br />

chiasm!)<br />

➟ CNS diseases – GME, reticulosis…<br />

➟ Idiopathic – probably the most common cause<br />

B. Diagnosis<br />

➟ Blind eye with a fixed, dilated pupil<br />

➟ ERG is normal, since the retina is not affected (thus<br />

distinguishing optic neuritis from SARD)<br />

➟ The optic disc may appear normal or inflamed (edematous,<br />

hemorrhagic) depending on which part of<br />

the nerve is involved. If the proximal part of the<br />

optic nerve is involved, papilledema and vascular<br />

congestion of the optic disc are seen on examination<br />

of the fundus. Atrophy of the optic disc is noticed as


C. Treatment<br />

the disease resolves. Inflammation of more distal<br />

parts of the nerve may present with a normal-looking<br />

disc.<br />

Treatment is based on identifying and treating the primary<br />

cause. Systemic steroids should be administered if no systemic<br />

cause is found.<br />

D. Prognosis<br />

Many of the systemic causes (e.g., distemper) carry a<br />

grave prognosis, and may be lethal. Even idiopathic optic<br />

neuritis often leads to irreversible blindness. In a study of 12<br />

dogs with optic neuritis, only 7 survived, among which 5<br />

remained blind.<br />

Additional optic nerve diseases causing<br />

blindness<br />

• Tumor, such as lymphosarcoma, can infiltrate any part<br />

of the visual pathway and can present as a unilateral or<br />

bilateral visual deficit (depending on the exact site of<br />

infiltration). Compression of the optic nerve by a<br />

tumor will cause papilledema, followed by atrophy of<br />

the optic disc.<br />

• Granulomatus meningoencephalitis (GME), a suspected<br />

immune mediated inflammatory process, can present<br />

with clinical signs similar to a neoplastic disease.<br />

Granulomatus lesions can infiltrate or compress the<br />

optic nerve and also cause atrophy or swelling of the<br />

optic disc.<br />

• Hypovitaminosis A causes abnormal bone growth and<br />

narrowing of the optic foramen, resulting in secondary<br />

compression of the optic nerve. This produces initial<br />

papilledema, with subsequent retinal degeneration.<br />

The disease is more common in cattle than in other<br />

species.<br />

2. Diseases of the optic chiasm causing<br />

blindness<br />

Tumors of the pituitary gland may compress the optic chiasm,<br />

and cause visual field deficit. Compromised vision will<br />

usually only be noticed very late in the development of the<br />

mass. However, most pituitary gland tumors grow dorsally<br />

into the hypothalamus instead of spreading out rostrally or<br />

caudally.<br />

Feline ischemic encephalopathy is another disease that<br />

may occur at the optic chiasm and cause bilateral blindness<br />

with dilated and unresponsive pupils.<br />

3. Diseases of the optic tract causing<br />

blindness<br />

70<br />

The most common bilateral optic tract disease is demyelination,<br />

resulting in loss of neuronal transmission. Demyelination<br />

may be complete or incomplete, though incomplete<br />

demyelination will not cause blindness, and therefore is seldom<br />

diagnosed (unless accompanied by other clinical signs).<br />

Demyelination of the optic tract is usually caused by<br />

degenerative or inflammatory (infectious) diseases. A common<br />

cause is canine distemper virus, which was found to have<br />

a predilection for causing disease in both optic tracts simultaneously.<br />

The disease is not characterized by additional localizing<br />

lesions - the pupils may be more widely dilated, sluggish,<br />

and incomplete in their response to light stimulation, and<br />

vision loss may, or may not, be apparent.<br />

Demyelination may also be observed in globoid cell<br />

leukodystrophy, which (similar to neuronal storage diseases)<br />

is caused by an enzymatic abnormality. The lesions will be<br />

mainly in the cerebellum and spinal cord, but demyelination<br />

of different parts of the visual pathway, including the optic<br />

nerve, optic tract and optic radiation were also reported. The<br />

demyelination will affect neuronal transmission through the<br />

optic tract, and may result in complete blindness.<br />

Unilateral neoplasia of either the hypothalamus or the<br />

thalamus will cause contralateral homonymous hemianopia.<br />

The direct PLR will be sluggish or absent. Usually, lesions<br />

at this location will also affect the internal capsule and the<br />

rostral part of the cruse cerebri, causing some postural reaction<br />

deficits. Similar signs are also seen with any unilateral<br />

vascular, traumatic or ischemic event, though the presentation<br />

will usually be acute.<br />

4. Visual Deficits with PLR<br />

Lesions and diseases beyond the optic tract (i.e., in the<br />

Lateral Geniculate Nucleus, optic radiations or visual cortex)<br />

will present with blindness (in bilateral diseases) or contralateral<br />

homonymous hemianopia (in unilateral cases) with<br />

normal PLR. Possible causes include neoplasia; GME; storage<br />

disease; metabolic diseases (hypoglycemia, hepatic or<br />

uremic encephalopathy); encephalitis (e.g., necrotizing<br />

encephalitis in toy dog breeds); canine distemper; hydrocephalous;<br />

demyelinating diseases; vascular events (trauma,<br />

hemorrhage or infarcts); equine encephalitis. Such cases<br />

should be worked up in consultation with a neurologist.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ron Ofri - Koret School of Veterinary Medicine,<br />

Hebrew University of Jerusalem<br />

PO Box 12, Rehovot 76100, (ofri@agri.huji.ac.il)


Advances in treatment of select diseases<br />

veterinary ophthalmology: present and future<br />

Ron Ofri<br />

Med Vet, PhD, Dipl ECVO, Rehovot, ISRAEL<br />

TREATMENT OF CANINE<br />

KERATOCONJUNCTIVITIS SICCA<br />

Keratoconjunctivitis sicca (KCS) is a progressive inflammation<br />

of the cornea and conjunctiva caused by a deficiency<br />

in the aqueous component of the tear film. Historical treatment<br />

of the disease included artificial tears, mucolytic<br />

agents, antibiotics (in cases of infection/ulceration) and pilocarpine,<br />

a parasympathomimetic agent which would stimulate<br />

cholinergic innervation of the lacrimal gland.<br />

In <strong>19</strong>89, treatment of canine KCS was revolutionized when<br />

Kaswan et al reported that topical cyclosporine (CsA) is an<br />

efficacious drug in the treatment of the disease. Most cases of<br />

canine KCS are probably caused by an autoimmune inflammation<br />

of the tear gland, and it is believed that CsA exerts a<br />

therapeutic effect by inhibiting T-helper lymphocyte proliferation<br />

and infiltration of lacrimal gland acini, allowing for<br />

regeneration of the gland and the return of secretory function.<br />

Even though CsA has become the treatment of choice for<br />

canine KCS, it is not 100% effective. It has been reported<br />

that the drug, administered topically as a 0.2% ointment and<br />

as a 1% or 2% oil-based solution, improved tear production<br />

in 71–86% of dogs with KCS. Therefore, there is a need to<br />

find new drugs, which can be used to treat dogs that do not<br />

respond to CsA treatment, or dogs that suffer adverse effects<br />

(topical irritation, etc.).<br />

Two related drugs that may be promising alternatives to<br />

CsA are pimecrolimus and tacrolimus. Unlike CsA, which<br />

is an immunosuppressive drug, these are considered<br />

immunomodulating drugs. They are ascomycin-derived<br />

macrolides that bind specifically to the cytosolic receptor,<br />

immunophilin macrophilin-12. The resulting drug-receptor<br />

complex inhibits calcineurin-dependent dephosporylationactivation<br />

of specific nuclear factors in activated T cells,<br />

thus preventing transcription of pro-inflammatory<br />

cytokines. This results in lack of activation of T helper<br />

cells types 1 and 2. T cell proliferation and mast cell activation<br />

are also inhibited. It is hypothesized therefore that<br />

these drugs could reduce cell-mediated inflammation of<br />

the lacrimal gland.<br />

Two studies will be presented. The first shows that pimecrolimus<br />

is just as effective as cyclosporine in improving<br />

tear production, and more effective in reducing clinical signs<br />

of KCS. The second study shows that tacrolimus improves<br />

tear production in dogs that are resistant to cyclosporine<br />

therapy. Therefore, these drugs are a promising alternative to<br />

topical CsA for treatment of KCS and may be beneficial in<br />

patients with less than optimal response to topical CsA.<br />

TREATMENT OF MELTING CORNEAL<br />

ULCERS: INHIBITING MATRIX<br />

METALLOPROTEINASES<br />

Uncomplicated corneal abrasions (superficial damage to<br />

epithelium) or ulcers (deeper damage, involving corneal<br />

stroma) will heal uneventfully, though topical antibiotic<br />

treatment is usually provided, to avoid infection. However,<br />

due to microbial infection or to extensive stromal involvement,<br />

some corneal ulcers undergo “melting”. This process,<br />

also known as keratomalacia, is characterized by rapid and<br />

progressive degeneration of the corneal stroma, which may<br />

result in corneal perforation within 24 hours.<br />

This rapid degradation of corneal stroma is the result of<br />

proteinase activity. These enzymes, also known matrix metalloprtoeinases<br />

(MMP’s) are secreted by the infective microorganisms<br />

(e.g., Pseudomonas), but are also found in the tear<br />

film, white blood cells and corneal cells. The body’s own<br />

MMP’s play an important role in normal corneal repair and<br />

healing, but an increase in their levels or activity will cause<br />

degradation of the corneal collagen, elastin, etc.<br />

Several drugs and substances have recently been shown to<br />

have an inhibitory effect on MMP activity. The effect is usually<br />

mediated by chelating co-factors, such as zinc or calcium,<br />

required for MMP activity. The resulting inhibition rate<br />

of MMP activity is usually > 90%. Therefore, these drugs<br />

could become important therapeutic agents in the treatment<br />

of ulcerative keratitis and keratomalacia. The drugs include:<br />

1. N-acetyl cysteine – applied as a 10%-20% topical solution<br />

every 1-4 hours.<br />

2. Tetracycline – may be administered topically (0.025-<br />

0.1%0 or systemically. The anti-MMP activity is in addition<br />

to the drug’s antimicrobial effect.<br />

3. EDTA – topical treatment with 0.05-0.2% solution<br />

4. Autogenous serum – about 10% of the proteins in the<br />

serum are α2-macro globulins, which are potent MMP<br />

inhibitors. Serum is obtained from blood, following clotting<br />

and centrifugation, and can be applied every 1-2<br />

hours. It should be replaced every 8 days (to avoid contamination.<br />

Growth factors in the serum may also promote<br />

corneal healing.<br />

TREATMENT OF FELINE HERPES<br />

KERATOCONJUNCTIVITIS<br />

71<br />

Treatment of feline herpes virus is very frustrating, due to<br />

the limited availability of effective drugs. One of the main


easons for this is the fact that many of the drugs that are<br />

effective against human herpes virus are not effective against<br />

feline herpes virus. The cost of the drugs and the need for<br />

frequent administration are additional factors that prevent<br />

owners from providing optimal treatment to their cats.<br />

Clinically proven drugs<br />

1. Trifluridine – Very effective against feline herpes, and is<br />

available commercially in many countries. However, it is<br />

topically irritating and the recommended dose is every 2<br />

hours, which makes compliance very difficult.<br />

2. Idoxuridine – Slightly less effective against feline herpes<br />

virus than trifuridine. Also, it is not available commercially,<br />

and must be compounded by special pharmacists.<br />

However, it is less irritating and needs to be given “only”<br />

4 times/day.<br />

3. Vidarabine – less effective than idoxuridine, and even<br />

more difficult to obtain (can be compounded as a 3% ointment),<br />

but well-tolerated in cats.<br />

Ineffective or contraindicated drugs<br />

1. Acyclovir is a commonly-used drug in the treatment of<br />

human herpes infections. However, the effective dose<br />

against feline herpes is x80 the dose in humans, making<br />

this drug ineffective in cats.<br />

2. Bromovinyldeoxyuridine – not effective against feline<br />

herpes virus<br />

3. Valacyclovir – contraindicated in cats due to bone marrow<br />

supporession, s well as hepatic and renal toxicity.<br />

4. Steroids should not be used in the treatment of feline herpes<br />

conjunctivitis, as they may increase the activity of<br />

latent viruses and exacerbate the infection.<br />

The future?<br />

1. A number of drugs have been shown to be effective<br />

against feline herpes in vitro, but have yet to be tested in<br />

vivo or in clinical trials. These include:<br />

• Ganciclovir<br />

• Cidofovir<br />

• Pencicolvir<br />

2. L-lysine – preliminary studies show that L-lysine given<br />

orally (500 mg, twice daily) may be effective in treatment<br />

of feline herpes virus. The drug inhibits viral replication<br />

by competing against arginine.<br />

3. Interferon – there are reports that the drug (administered<br />

orally or topically) may be an effective treatment.<br />

NEUROPROTECTIVE TREATMENT<br />

IN GLAUCOMA<br />

Today there is increasing recognition that additional factors,<br />

besides elevated IOP, also play a role in the progressive<br />

loss of vision that characterizes glaucoma. These factors<br />

may be the reason why glaucomatous neuropathy develops<br />

in many normotensive patients, and may account for the fact<br />

72<br />

that in other patients loss of vision progresses even after IOP<br />

has been successfully lowered. Similar pathogenesis of<br />

axonal damage, which progresses even after the initial insult<br />

has been alleviated, is observed in many neurologic disorders<br />

including stroke, hypoglycemia, trauma and epilepsy.<br />

There is growing evidence that in these, and other, diseases,<br />

progressive axonal damage is the result of secondary degeneration.<br />

It is suggested that axons damaged by the initial<br />

insult release various substances into their immediate surroundings.<br />

The localized high concentrations of these substances<br />

create a hostile micro-environment. Adjacent axons,<br />

which were not damaged during the initial insult, undergo<br />

secondary degeneration as a result of being immersed in this<br />

toxic milieu. This creates a “domino effect” in which (in the<br />

case of glaucoma) optic nerve axons will continue to degenerate<br />

even after IOP has been successfully lowered, resulting<br />

in further loss of vision.<br />

In searching for mediators of secondary degeneration,<br />

much of the attention has focused on the role of glutamate,<br />

an amino acid that normally functions as an excitatory neurotransmitter<br />

in the central nervous system. However, following<br />

neuronal injury, intracellular glutamate is released by<br />

damaged axons into the immediate surroundings. The resulting<br />

locally-elevated concentration of glutamate causes overstimulation<br />

of NMDA glutamate receptors in neighboring<br />

(undamaged) neurons. This stimulation (excitotoxicity), in<br />

turn, leads to increased calcium influx, thereby starting an<br />

intracellular enzymatic cascade progressing to apoptosis and<br />

cell death.<br />

Therefore, it follows that compounds which inhibit glutamate<br />

may slow or stop the cascade of secondary degeneration,<br />

and protect the undamaged neighboring axons. This<br />

therapeutic approach, known as neuroprotection, is being<br />

studied in a number of acute and chronic neurological disorders;<br />

some neuroprotective compounds are in advanced testing<br />

stages in humans.<br />

There is growing evidence that glutamate also plays an<br />

important role in the progression of optic neuropathy and<br />

loss of vision in glaucomatous patients, and that this damage<br />

may be attenuated by glutamate receptor antagonists. Elevated<br />

glutamate levels have been demonstrated in rats with<br />

partial optic nerve lesion.<br />

Inhibition of glutamate NMDA receptors, using memantine,<br />

resulted in decreased secondary degeneration and protection<br />

of the optic nerve. Further proof for the toxic role of<br />

glutamate in optic neuropathy was the intravitreal injection<br />

of glutamate in mice and rats. These injections resulted in<br />

glaucomatous- like damage to the retina and optic nerve,<br />

damage which was once again prevented by memantine Glutamate’s<br />

role in optic neuropathy is not restricted to induced<br />

nerve damage. Elevated glutamate levels have been demonstrated<br />

in the vitreous of glaucomatous rabbits, dogs and<br />

humans. Therefore, the testing of neuroprotective drugs in<br />

glaucomatous patients is warranted.<br />

Obviously, such drugs are not expected to restore vision<br />

which has been lost prior to initiation of treatment. However,<br />

it is hoped that neuroprotective therapy will prevent (or<br />

decrease) damage to additional optic nerve fibers, and thereby<br />

halt (or slow down) the progressive loss of vision that is<br />

the scourge of glaucoma.


SCIENCE FICTION? RESTORTING VISION<br />

IN THE BLIND PATIENT<br />

Several approaches are being developed to restore vision<br />

to blind patients. These approaches have yielded promising<br />

results in patients suffering from (inherited) diseases of the<br />

outer retina. Therefore, they could potentially be used to<br />

restore vision in patients suffering from PRA (prcd), congenital<br />

stationary night blindness, etc.<br />

Two therapeutic approaches are being tested. The first<br />

approach is based on restoring function to the photoreceptor<br />

by replacing the defective gene. This can be done using<br />

genetic engineering methods, which involve inserting the<br />

missing gene onto a modified virus and injecting it subretinally.<br />

Such studies have been conducted in dogs with various<br />

forms of inherited photoreceptor diseases by Dr. G<br />

Aguirre (Cornell/Pennsylvania) and Dr. K Narfstrom (Missouri).<br />

The operations have restored vision (proven both<br />

behaviorally and using ERG) in a large number of dogs, with<br />

some patients already monitored for 3-4 years post-surgery.<br />

73<br />

Photoreceptor function can also be restored following subretinal<br />

injections of stem cells or RPE basement membrane.<br />

A second therapeutic approach involves use of retinal<br />

implants. These are miniaturized electrodes that are implanted<br />

on the surface of the retina. The electrode receives visual<br />

input either from light sensitive diodes or from a miniature<br />

camera (mounted on glasses). The visual input is translated<br />

into electrical currents that stimulate the ganglion cells and<br />

generate a neuronal signal. The technology is in its preliminary<br />

stages, and is severely limited by the number of electrodes<br />

that can be implanted (thus affecting visual resolution),<br />

but has already been used on humans (and dogs!). See<br />

www.2-sight.com for more details.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ron Ofri<br />

Koret School of Veterinary Medicine,<br />

Hebrew University of Jerusalem<br />

PO Box 12, Rehovot 76100, (ofri@agri.huji.ac.il)


Imidacloprid plus moxidectin topical solution - a novel<br />

therapeutic for ectoparasitic diseases in dogs and cats<br />

Joy D. Olsen<br />

Med Vet,, Leverkusen, Germania<br />

A new topical endectocide formulation containing 10%<br />

imidacloprid and 2.5% moxidectin for dogs, or 1% moxidectin<br />

for cats, has been developed and approved for use in<br />

many European countries. The combination of these active<br />

ingredients provides not only for the prevention of heartworm<br />

disease and treatment of common intestinal worms,<br />

but also treatment for ectoparasitic diseases such as flea<br />

infestation, ear mites, sarcoptic mange and demodicosis.<br />

Imidacloprid belongs to one of the newer class of insecticides<br />

called chloronicotinyl nitroguanidines or neonicotinoids,<br />

and was the first of this class developed for use in animal<br />

health The activity of imidacloprid against fleas is highly<br />

potent and rapid, and the lethal effects are mediated on<br />

contact and through penetration of the compound through<br />

the flea intersegmental membranes. The rapid killing of fleas<br />

on contact is especially beneficial for pets that suffer from<br />

flea allergy dermatitis (FAD), and imidacloprid is approved<br />

to be used as part of a treatment strategy for FAD. In addition<br />

to potent and rapid adulticidal activity against fleas on<br />

dogs and cats, imidacloprid has also been shown to have significant<br />

flea larvicidal activity, both in laboratory studies as<br />

well as in simulated home environments. Flea larvae in the<br />

pet’s surroundings are killed after contact with a pet treated<br />

with imidacloprid, which is important as immature stages in<br />

the environment are a reservoir of reinfestation. Exposure of<br />

larvae to minute quantities of imidacloprid results in marked<br />

reduction of developing flea populations in comparison to<br />

environments of untreated animals, thus helping further to<br />

break the flea life cycle and rapidly reduce the level of flea<br />

infestation. Imidacloprid has also been shown to have activity<br />

against biting (Trichodectes canis) and sucking lice<br />

(Linognathus setosus) on dogs.<br />

Following application of the imidacloprid/moxidectin<br />

spot-on formulation to the skin, the imidacloprid active<br />

spreads over the body surface and throughout the hair coat<br />

of dogs and fur of cats. The dose-rate and concentration of<br />

imidacloprid was adopted from previously-approved topical<br />

formulations of imidacloprid. Controlled laboratory<br />

and field evaluations were conducted to demonstrate that<br />

the combination of the two active ingredients do not interact<br />

and instead perform as single components. Studies<br />

using weekly flea infestations in dogs and cats, and in<br />

comparison to a imidacloprid topical solution alone,<br />

demonstrated very high levels of flea control and that the<br />

presence of moxidectin does not interfere with the efficacy<br />

of imidacloprid.<br />

The imidacloprid/moxidectin solution is the first product<br />

for dogs and cats to incorporate moxidectin in a topical for-<br />

74<br />

mulation. Moxidectin is a potent broad-spectrum endectocide<br />

of the macrocyclic lactone class. The macrocyclic lactones<br />

consist of two closely related groups – avermectins<br />

and milbemycins. Moxidectin is a 16-member pentacyclic<br />

lactone of the milbemycin class and a semisynthetic derivative<br />

of nemadectin, a fermentation product of the Streptomyces<br />

cyanogriseus noncyanogenus organism. Moxidectin<br />

has been previously available throughout the world in different<br />

oral, injectable and topical formulations for use in<br />

dogs, horses and livestock animals. Like other macrocyclic<br />

lactones, moxidectin has high affinity for and binding of<br />

receptors at glutamate-gated ion channels specific to parasites.<br />

Binding of receptors on the neuronal membranes of<br />

nematodes and muscle membranes of arthropods leads to<br />

influx of chloride ions, followed by hyperpolarization,<br />

paralysis and death of the parasite. Milbemycins and avermectins<br />

are also thought to have agonist activity at the gamma-amino<br />

butyric acid (GABA) receptor complexes in the<br />

peripheral nervous system of invertebrates. Because GABA<br />

receptors are restricted to sites within the central nervous<br />

system in mammals and the blood-brain barrier prevents<br />

access of these drugs, mammals are generally protected<br />

from any neurologic effects.<br />

The broad spectrum of activity of moxidectin includes a<br />

biologically diverse range of parasites in cats in dogs<br />

including nematodes of the gastrointestinal tract, developmental<br />

stages of filarial nematodes (e.g. Dirofilaria imitis)<br />

and also, of special interest, arachnids such as mites. Following<br />

topical application of the moxidectin and imidacloprid<br />

combination solution, moxidectin is extensively<br />

absorbed through the dermis. Moxidectin is a highly<br />

lipophilic compound with a higher volume of distribution<br />

and longer elimination half-life than many other macrocyclic<br />

lactones. Pharmacokinetic studies indicate that following<br />

topical application, peak serum concentrations of<br />

moxidectin are reached by one day in cats and within 4 – 9<br />

days in dogs, with half-lives of approximately 15 days and<br />

35 days, respectively. These studies also confirmed the<br />

very high volume of distribution of 80 l/kg in cats and 70<br />

l/kg in dogs, suggesting that moxidectin distributes widely<br />

in the tissues. The extensive tissue distribution and long<br />

elimination half-life observed with application of the topical<br />

formulation provides for prolonged activity against target<br />

parasites. The doses of moxidectin in the dog (2.5%)<br />

and cat (1%) formulations were determined by a number of<br />

dose-response studies with different concentrations of<br />

moxidectin added to a 10% imidacloprid formulation and<br />

based on differing species characteristics.


In addition to treatment and prevention of flea infestation,<br />

the imidacloprid/moxidectin spot-on is approved for the<br />

treatment of various mites including ear mite infestations<br />

(Otodectes cynotis) in dogs and cats, and sarcoptic mange<br />

(Sarcoptes scabiei var. canis) and demodicosis (Demodex<br />

canis) in dogs. In evaluation of the efficacy for ear mite<br />

infestations in cats, three independent laboratory studies and<br />

one field study, in 30 practices across France and Germany,<br />

were conducted under VICH guidelines. In all studies, two<br />

consecutive monthly treatments were efficacious in curing<br />

all cats from Otodectes cynotis infestations as assessed 22<br />

days following the second treatment (Study Day +50). While<br />

a high percentage of cats (≥ 80%) had resolution of their ear<br />

mite infestations following one monthly treatment, some<br />

cats may require an additional application. In a similar laboratory<br />

study in dogs, efficacy following a single treatment<br />

was found to be 98.3% and 98% following two treatments<br />

four weeks apart. In a multicenter field study in Europe,<br />

treatment with either one or two monthly treatments resulted<br />

in an 86.7% parasitological cure rate in treated dogs.<br />

A controlled laboratory study to evaluate the efficacy of<br />

imidacloprid/moxidectin topical solution for treatment of<br />

sarcoptic mange in naturally infested dogs demonstrated<br />

100% parasitological cure rate in treated dogs with two<br />

treatments 28 days apart, with a trend toward a more rapid<br />

and improved response in resolution of clinical signs as<br />

compared to the selamectin-treated control group. The<br />

results of the laboratory study were confirmed in a controlled,<br />

randomized multicenter trial conducted in France,<br />

Germany, UK and Albania, wherein the imidacloprid/moxidectin<br />

solution applied twice (four weeks apart) was highly<br />

efficacious in resolving Sarcoptes scabiei var. canis infestations<br />

on treated dogs and resulted in almost complete resolution<br />

of clinical symptoms within 50 to 64 days after the<br />

start of treatment. One-hundred percent of dogs had no evidence<br />

of Sarcoptes mites on Day 56 (±2 days) after the start<br />

of treatment.<br />

Treatment of canine demodicosis was first evaluated in a<br />

laboratory study in South Africa in dogs with severe generalized<br />

demodicosis. Following encouraging results in<br />

reduction of mite number with up to four monthly applications,<br />

a multicenter, controlled, randomized and blinded<br />

field study was conducted under European field conditions.<br />

Dogs entered into the study had generalized demodicosis<br />

and were treated with either imidacloprid/moxidectin topical<br />

solution or oral milbemycin oxime at 0.5 – 2.0 mg/kg<br />

body weight daily. Presence of mites in skin scrapings and<br />

75<br />

clinical improvements were monitored at 4 week intervals,<br />

up to six times. In the moxidectin topical group, each dog<br />

received two to four monthly treatments, while in the control<br />

group, dogs received two to four 28-day-periods of daily<br />

medication with milbemycin. Treatment was discontinued<br />

in all dogs either upon achieving two consecutive negative<br />

skin scrapings, or after Day 84. At study end, no mites<br />

could be detected in 26 of 30 dogs treated with imidacloprid/moxidectin<br />

spot-on and in 29 of 33 dogs treated with<br />

oral milbemycin oxime. Overall, the treatment with the imidacloprid/moxidectin<br />

formulation was found to be highly<br />

convenient and cost-effective in comparison to the oral therapy<br />

for generalized demodicosis.<br />

References<br />

Arther RG, Bowman DD, McCall JW, Hansen O, Young DR. Feline Advantage<br />

HeartTM (imidacloprid and moxidectin) Topical Solution as<br />

monthly treatment for prevention of heartworm infection (Dirofilaria<br />

immitis) and control of fleas (Ctenocephalides felis) on cats. Parasitol<br />

Research (2003) 90:S137-S139.<br />

Fourie LJ, Kok DJ, Heine J. Evaluation of the efficacy of imidacloprid 10%<br />

/ moxidectin 1% spot-on against Otodectes cynotis in cats. Parasitol<br />

Research (2003) 90:S112-S113.<br />

Fourie LJ, Du Rand C, Heine J. Evaluation of the efficacy of imidacloprid<br />

10% / moxidectin 2.5% spot-on against Sarcoptes scabiei var canis on<br />

dogs. Parasitol Res (2003) 90:S135-S136.<br />

Fourie LJ, Heine J. Evaluation of the efficacy of Advocate (moxidectin<br />

2.5% and imidacloprid 10%) spot-on for the treatment of generalized<br />

demodicosis in dogs. Proc 6th Intern Ectoparasite Symp, BSAVA<br />

Congress, April 2005, Birminham UK, p. 32-36, published by UK-<br />

Vet Publications.<br />

Hanson I, Mencke N, Asskildt H, Ewald-Hamm D, Dorn H. Field study on<br />

the insecticidal efficacy of Advantage against natural infestations of<br />

dogs with lice. Parasitol Res (<strong>19</strong>99) 85:347-348.<br />

Heine J, Krieger K, Dumont P, Hellmann K. Evaluation of the efficacy and<br />

safety of imidacloprid 10% plus 2.5% spot-on in the treatment of<br />

generalized demodicosis in dogs: results of a European field study.<br />

Parasitol Research (2005) 97:S89-S96.<br />

Krämer F, Mencke N. Imidacloprid. In Flea Biology and Control. Springer-<br />

Verlag. Berlin, Germany, 2001.<br />

Krieger K, Heine J, Dumont P, Hellmann K. Efficacy and safety of imidacloprid<br />

10% plus moxidectin 2.5% spot-on in the treatment of sarcoptic<br />

mange and otoacariosis in dogs: results of a European field<br />

study. Parasitol Research (2005) 97:S81-S88.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Joy D. Olsen<br />

Bayer HealthCare AG, Animal Health Division,<br />

Leverkusen Germany


Evaluation of heart function using blood-based tests:<br />

current use and future applications<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

The evaluation of heart function in dogs is typically<br />

accomplished by electrocardiography, radiography, and<br />

echocardiography. These tests are relatively expensive, timeconsuming,<br />

and in the case of echocardiography, require<br />

equipment and expertise that is often not readily available.<br />

Other organ systems, such as the liver or kidneys, use biochemical<br />

markers to help determine function (eg. ALT and<br />

BUN) and provide a rapid, relatively non-invasive, and inexpensive<br />

way to diagnose and monitor disease in dogs and<br />

cats. Until recently, the heart has lacked similar blood-based<br />

tests. In humans, several cardiac enzymes have been used to<br />

assist in the diagnosis of acute myocardial infarction, namely<br />

creatine kinase, myoglobin, and lactate dehydrogenase.<br />

Unfortunately, these substances lack sufficient sensitivity<br />

and specificity for successful clinical application in dogs.<br />

Over the past decade, a new generation of cardiac markers<br />

and neurohormones has been developed. These markers<br />

have found use in human medicine, not only for myocardial<br />

infarction, but also in the setting of chronic heart failure.<br />

Emerging data indicate that as many as three different biochemical<br />

cardiac markers could be useful in the clinical<br />

evaluation of dogs with heart disease. These markers, atrial<br />

natriuretic peptide (ANP), B-type natriuretic peptide (BNP),<br />

and troponin-I (TnI) could provide clinicians with valuable<br />

information regarding likelihood of congestive heart failure,<br />

detection of asymptomatic (occult) disease, and severity of<br />

underlying injury to the myocardial tissue. The author and<br />

other cardiologists are optimistic that these tests will eventually<br />

become widely available, routinely used, and clinically<br />

useful tools to assess heart disease in the dog.<br />

Atrial Natriuretic Peptide<br />

ANP’s biologic activity serves as a counterbalance to that<br />

of the renin-angiogtensin-aldosterone system, insofar as it<br />

promotes vasodilation and natriuresis. ANP is produced by<br />

atrial myocardiocytes in response to increased atrial pressure<br />

and resultant stretch as frequently occurs during congestive<br />

heart failure. Thus, the clinical application of ANP best<br />

relates to its role as a marker of congestive heart failure<br />

brought on by elevations in atrial pressure. In a study examining<br />

dogs that presented to the hospital for respiratory distress,<br />

ANP possessed good sensitivity and specificity for<br />

predicting heart failure as the primary cause of the dyspnea<br />

(versus other non-cardiac causes such as pneumonia, neoplasia,<br />

and chronic bronchitis). 1 A commercial ANP ELISA<br />

kit has been developed specifically for use in dogs (Vetsign<br />

TM , Guildhay Ltd, Surrey, UK). The author views ANP<br />

as useful in helping diagnose congestive heart failure and<br />

perhaps in monitoring efficacy of treatment. Since substantial<br />

release of ANP does not occur until relatively late in the<br />

course of disease 2 , ANP does not appear useful in detecting<br />

occult heart disease in asymptomatic patients.<br />

Current Uses of ANP Testing<br />

• Aid to diagnose congestive heart failure in dogs<br />

Potential Uses of ANP Testing<br />

• Aid to diagnosis congestive heart failure in cats<br />

• Monitoring response to treatment<br />

• Providing prognosis<br />

Circumstances in which ANP Testing is Unlikely to be<br />

Useful<br />

• Detection of early stages of heart disease<br />

B-Type Natriuretic Peptide<br />

76<br />

BNP is similar to ANP in that it promotes vasodilation<br />

and natriuresis. BNP is produced by both the atrial and ventricular<br />

muscle tissue in response to stretch or increased wall<br />

stress. BNP testing has become a valuable and widely used<br />

tool in humans with heart disease. Two human BNP assays<br />

are approved for detection of congestive heart failure. In<br />

addition, these tests are used as a prognostic tool and as a<br />

guide for optimizing therapy in individual patients. The<br />

author believes that BNP testing will have similar application<br />

in dogs and cats with heart disease. Studies in dogs<br />

reveal that BNP is elevated in proportion to severity of disease<br />

and is also detected relatively early in the course of disease.<br />

3,4 The author has completed a study, which indicated<br />

that in a population of 118 dogs, BNP assay prospectively<br />

detected occult disease with sensitivity of 95% and specificity<br />

of 62%, and in this regard, BNP was superior to both<br />

ANP and TnI. 5 This finding suggests that BNP could be useful<br />

as a screening test for dogs with occult disease. Furthermore,<br />

in humans, BNP is a strong indicator of clinical outcome,<br />

with higher levels predicting a poorer prognosis, and<br />

the authors are currently evaluating BNP as a prognostic<br />

indicator in dogs with subaortic stenosis or with cardiomyopathy.<br />

Commercially-available human BNP immunoassays<br />

do not cross-react with canine BNP, and BNP assay in dogs<br />

has been typically performed using a relatively crude and<br />

labor-intensive radioimmunoassay procedure. Newer<br />

canine-specific ELISA-based BNP tests may have the capacity<br />

to reduce technical difficulties and improve test precision


and accuracy. The author is part of an effort to develop both<br />

canine and feline BNP ELISA tests for commercial use.<br />

Current Uses of BNP Testing<br />

• Humans: diagnosis, prognosis, response to treatment<br />

• Veterinary medicine: no approved tests available<br />

Potential Uses of BNP Testing based on Veterinary Studies<br />

• Differentiation of cardiac vs. non-cardiac dyspnea in<br />

the dog<br />

• Detection of occult cardiomyopathy in dogs<br />

Cardiac Troponin-I<br />

Cardiac TnI is helps regulate actin and myosin interaction<br />

along with troponin-C and troponin-T. TnI inhibits the<br />

interaction between the filaments until the troponin complex<br />

is bound to calcium ion whereupon contraction is initiated.<br />

Injury to the myocardial cell causes disruption of<br />

the actin-myosin-troponin functional unit, and TnI is<br />

released into the cytoplasm and enters the general circulation<br />

through the cell’s damaged sarcolemmal membrane.<br />

The majority of TnI that is released in humans is complexed<br />

with either troponin-C or troponin C and T. In<br />

humans, TnI is a highly sensitive and specific indicator of<br />

cardiac muscle damage and is the current gold standard<br />

laboratory test for myocardial infarction. Low-level injury<br />

to the myocardium from other causes, such as myocardial<br />

or valvular disease, causes release of detectable TnI when<br />

highly sensitive TnI assays are used. Fortunately, there is<br />

sufficient homology between human and canine TnI so that<br />

automated human assays function well with canine plasma.<br />

6 The author and others have reported increased TnI<br />

concentrations in dogs with a variety of diseases including<br />

DCM, mitral valve regurgitation, trauma, gastric dilation<br />

and volvulus, myocarditis, and subaortic stenosis. 7,8 TnI is<br />

not uniformly elevated in dogs with heart disease, preventing<br />

the use of TnI as a screening test in asymptomatic dogs<br />

or as a diagnostic test for congestive heart failure. As a<br />

marker of myocardial injury and necrosis, TnI may be better<br />

suited as a prognostic indicator in dogs with severe<br />

injury or as a guide towards optimal therapy. In dogs with<br />

clinically apparent DCM, the TnI concentration correlated<br />

with survival. Dogs with elevated TnI were three times<br />

more likely to be euthanized or die versus dogs with lesser<br />

TnI concentrations. 7<br />

Current Uses of TnI Testing<br />

• Humans: diagnosis of acute myocardial infarction<br />

• Veterinary species: no approved use<br />

77<br />

Potential Uses of TnI Testing based on Veterinary Studies<br />

• Assessment of disease severity in dogs with subaortic<br />

stenosis, cardiomyopathy, and mitral valve disease<br />

• Assessment of disease severity in cats with cardiomyopathy<br />

• Prognostic indicator in dogs with cardiomyopathy<br />

• Monitoring response to treatment<br />

• Assessment of cardiac damage due to extra-cardiac<br />

disease (e.g. gastric dilation and volvulus)<br />

Circumstances in which TnI Testing is Unlikely to be<br />

Useful<br />

• Detection of early stages of heart disease<br />

• Differentiation of cardiac vs. non-cardiac causes of<br />

dyspnea<br />

References<br />

1. Prosek R, Sisson D, Oyama M, et al. Use of plasma ANP, BNP, endothelin-1<br />

and troponin-I levels in distinguishing between cardiac and<br />

non-cardiac causes of acute dyspnea in dogs [abstract]. J Vet Intern<br />

Med 2004;18(3):404.<br />

2. Haggstrom J, Hansson K, Karlberg BE, et al. Plasma concentration of<br />

atrial natriuretic peptide in relation to severity of mitral regurgitation in<br />

Cavalier King Charles Spaniels. Am J Vet Res <strong>19</strong>94;55(5):698-703.<br />

3. MacDonald KA, Kittleson MD, Munro C, et al. Brain natriuretic peptide<br />

concentrations in dogs with heart disease and congestive heart<br />

failure. J Vet Intern Med 2003;17:172-177.<br />

4. Asano K, Masuda K, Okumura M, et al. Plasma atrial and brain<br />

natriuretic peptides levels in dogs with congestive heart failure. J Vet<br />

Med Sci <strong>19</strong>99;61(5):523-529.<br />

5. Oyama MA, Sisson DD, Solter PF. Prospective screening for occult<br />

canine dilated cardiomyopathy using B-type and atrial natriuretic<br />

peptide and cardiac troponin-I [abstract]. J Vet Intern Med<br />

2005;<strong>19</strong>(3):in press.<br />

6. Oyama MA, Solter PF. Validation of an immunoassay for measurement<br />

of canine cardiac troponin I. J Vet Cardiol 2004;6:15-22.<br />

7. Oyama MA, Sisson DD. Cardiac troponin-I concentration in dogs<br />

with cardiac disease. J Vet Intern Med 2004;18(6);831-839.<br />

8. Schober KE, Cornand C, Kirbach B, et al. Serum cardiac troponin I<br />

and cardiac troponin T concentrations in dogs with gastric dilatationvolvulus.<br />

J Am Vet Med Assoc 2002;2<strong>21</strong>(3):381-388.<br />

Conflict of Interest Statement<br />

Dr. Oyama performs paid consulting for IDEXX Inc,<br />

Portland, ME, USA.


Canine mitral valve disease:<br />

how, when, and why to treat<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

Degenerative mitral valve disease (DMVD) is the most<br />

common disease of adult dogs. A common clinical problem<br />

is deciding how, when, and why to treat dogs with this disease.<br />

In this case-based presentation, commonly encountered<br />

clinical dilemmas will be presented and attendees will<br />

participate in working through the problems, learning how to<br />

best apply their clinical skills and how to use new information<br />

presented about this disease.<br />

Clinical Problem #1: The Old Small Breed<br />

Coughing Dog<br />

Typical presentation and physical examination: small<br />

breed dog with history of coughing and occasional respiratory<br />

signs, moderate to loud mitral valve murmur on physical<br />

examination, harsh lung sounds, cough easily elicited on<br />

tracheal palpation.<br />

Clinical dilemma: Heart failure or primary respiratory disease?<br />

Clinical questions to be answered:<br />

♦ What does the intensity of the murmur tell us about the<br />

likelihood of heart failure?<br />

♦ How can we determine if an interstitial pulmonary pattern<br />

is representative of heart failure or primary lung disease?<br />

♦ Is an ECG or cardiac ultrasound necessary to make the<br />

correct diagnosis?<br />

♦ If heart failure is suspected, what treatments should be<br />

administered?<br />

♦ Are there blood-based tests that can help differentiate<br />

between heart failure and respiratory disease?<br />

♦ What should we do if we cannot differentiate between the<br />

two?<br />

Clinical Problem #2: To Treat or Not to<br />

Treat?<br />

Typical presentation and physical examination: dog with<br />

a loud mitral murmur that is asymptomatic<br />

Clinical dilemma: Do I treat this dog? And if so, with<br />

what medications?<br />

Clinical questions to be answered:<br />

♦ How many dogs with a murmur will eventually experience<br />

heart failure?<br />

♦ How do I grade the severity of disease?<br />

♦ Are there medications that slow the progression of mitral<br />

valve degeneration?<br />

♦ Are there medications that delay the onset of heart failure?<br />

♦ If I choose not to treat at this time, when do I reevaluate<br />

this patient?<br />

♦ If I choose not to treat at this time, what future findings<br />

would make me reconsider this decision?<br />

Clinical Problem #3: Atrial Fibrillation<br />

Typical presentation and physical examination: dog with<br />

severe mitral valve disease, history of congestive heart failure,<br />

and atrial fibrillation<br />

Clinical dilemma: How do I treat this dog?<br />

Clinical questions to be answered:<br />

♦ What is the impact of atrial fibrillation on heart function<br />

and heart failure?<br />

♦ Can I restore sinus rhythm in this patient?<br />

♦ What medications should be used to treat atrial fibrillation?<br />

♦ How do I monitor response to therapy?<br />

♦ Is there value in performing 24-hour ambulatory (Holter)<br />

monitoring?<br />

Clinical Problem #4: Severe Disease that<br />

is No Longer Responding to Treatment<br />

Typical presentation and physical examination: dog with<br />

severe mitral valve disease, frequent episodes of congestive<br />

heart failure that are no longer responding to conventional<br />

treatment<br />

Clinical dilemma: How do I treat this dog?<br />

Clinical questions to be answered:<br />

♦ Why do dogs become refractory to treatment?<br />

♦ Have I truly maximized conventional therapy?<br />

♦ If so, are there other drugs that can help resolve heart<br />

failure?<br />

♦ How do I use these new drugs?<br />

♦ How do I monitor response to therapy?<br />

♦ What are the potential adverse effects of using these new<br />

drugs?<br />

♦ Are there extra-cardiac drugs that can be used to address<br />

chronic weight loss and poor appetite?<br />

Suggested Readings and References<br />

78<br />

Gry Moesgaard S et al. Neurohormonal and circulatory effects of short-term<br />

treatment with enalapril and quinapril in dogs with asymptomatic<br />

mitral regurgitation. J Vet Int Med 2005:<strong>19</strong>:712-7<strong>19</strong>.<br />

Haggstrom J et al. New insights into degenerative valve disease in dogs. Vet<br />

Clin North Amer Sm Ani Pract 2004:34:1209-1226.<br />

Smith PJ et al. Efficacy and safet of pimobendan in canine heart failure caused<br />

by myxomatous mitral valve disease. J Small Anim Pract.<br />

2005;46(3):1<strong>21</strong>-30.<br />

Olsen LH et al. Early echocardiographic predictors of myxomatous mitral<br />

valve disease in dachshunds. Vet Rec. 2003;152(10):293-7.


Cardiac Doppler tissue imaging<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

Tissue Doppler Imaging<br />

Tissue Doppler imaging (TDI) examines the motion of<br />

cardiac tissue. Myocardial motion, as compared to blood<br />

flow, returns high amplitude and low velocity signals. By<br />

use of selective filters, TDI settings on modern ultrasound<br />

units optimize TDI studies. The most common structure<br />

interrogated by TDI is the mitral valve annulus. The velocity<br />

of the annulus represents the rate of change of ventricular<br />

length during diastolic filling. TDI measures both early<br />

and late diastolic annular velocity (E DTI and A DTI, respectively).<br />

The interpretation of DTI studies is similar to that<br />

of mitral inflow velocity, in that poor diastolic function is<br />

revealed by decreased E DTI, elevated A DTI, and E DTI / A DTI<br />


Use of beta-blockers for the treatment of canine<br />

dilated cardiomyopathy and mitral valve disease<br />

Mark A. Oyama<br />

DVM, Dipl ACVIM-Cardiology, Philadelphia, USA<br />

DCM is the most common cardiomyopathy afflicting<br />

canine patients. In breeds such as the Doberman pinscher,<br />

Great Dane, Boxer, and Irish Wolfhound, the impact of<br />

DCM is profound. The expected survival after the onset of<br />

clinical signs is extremely short, an average of only 5<br />

months; this despite therapy with digitalis, diuretics, and<br />

angiotensin converting enzyme (ACE) inhibitors. B-blockers<br />

offer a novel way to improve treatment of this disease. In<br />

people, B-blockers improve ejection fraction more than any<br />

other type of medical heart failure treatment. Chronic therapy<br />

with B-blockers improves systolic function, exercise tolerance<br />

(variably), quality of life (variably), and increases<br />

survival. Prospective placebo-controlled evaluation of Bblockers<br />

in dogs with naturally occurring DCM has not been<br />

reported. This presentation will discuss the rationale for Bblocker<br />

use in both DCM and mitral valve disesae, the various<br />

types of B-blockers that are available, and results from a<br />

prospective clinical trial recently completed by the author<br />

investigating the use of carvedilol in dogs with DCM.<br />

The cardinal feature of DCM is the progressive loss of<br />

myocardial systolic function, and it seems counterintuitive<br />

that negative inotropes such as B-blockers would be useful.<br />

Indeed, B-agonists such as dopamine and dobutamine are<br />

commonly used to treat congestive heart failure caused by<br />

severe DCM. Moreover, as cardiac function deteriorates,<br />

heightened activity of two neurohormonal systems, the<br />

renin-angiotensin-aldosterone system and the sympathetic<br />

nervous system, compensates by increasing contractility,<br />

expanding plasma volume, and maintaining blood pressure.<br />

Thus, increased activity of the sympathetic nervous system<br />

provides support to the failing heart, and treatments, which<br />

interfere with this response, a contraindication. However, it<br />

is now clear that when chronically activated, the sympathetic<br />

nervous system begins to induce cardiac damage and hasten<br />

the progression of disease. Chronically elevated levels of<br />

circulating catacholamines cause direct myocyte necrosis<br />

and apoptosis, inefficient metabolic substrate utilization, and<br />

abnormalities in intracellular Ca 2+ handling by the sarcoplasmic<br />

reticulum. To help protect against these effects,<br />

the myocyte desensitizes itself by reducing the density of Breceptors<br />

on its surface, as well as uncoupling the G protein<br />

and cAMP complex from the receptor mechanism. As a<br />

result, the heart loses its ability to respond to native sympathetic<br />

support during times of increased need (i.e. exercise).<br />

The rationale behind the use of B-blockers is to interrupt this<br />

system, much like the effect of ACE inhibitors on the reninangiotensin-aldosterone<br />

system. As previously mentioned,<br />

the effect of B-blockade in human DCM patients includes an<br />

80<br />

improvement in systolic function, exercise capacity, quality<br />

of life, and most recently, survival. In addition, B-blockade<br />

has been shown to directly decrease circulating levels of norepinephrine<br />

epinephrine, and renin. The objectives of the<br />

proposed study involve tolerability, systolic function, neurohormone<br />

levels, and quality of life. The pertinent literature<br />

associated with these 4 effects will be briefly discussed.<br />

Administration of B-blockers to patients with compromised<br />

myocardial function is not without risk. Initiation of<br />

therapy can acutely reduce adrenergic inotropic and<br />

chronotropic support, thereby worsening myocardial function.<br />

Administration of B-blockers usually requires a 4 to 8<br />

week titration period during which doses are gradually<br />

increased to a therapeutic level. Staring doses of carvedilol<br />

are typically 12% of the target dose. During this initial period,<br />

7% of human patients do not tolerate carvedilol treatment.<br />

In these instances, complete withdrawal from drug is<br />

usually not required and treatment can be continued at the<br />

highest dose tolerated. Improved tolerance can be achieved<br />

by selecting a third generation agent versus a first or second<br />

generation agent. Third generation agents possess ancillary<br />

vasoactive properties, and carvedilol exhibits mild 1-antagonism,<br />

resulting in peripheral vasodilation. This activity<br />

helps offset the initial decline in myocardial function and<br />

may be the reason for its improved tolerability. Despite this,<br />

titration in people is carried out with careful attention to<br />

blood pressure, symptomatology, and renal function. Uptitration<br />

is typically performed every week when the medication<br />

dosage is progressively doubled. Patients who experience<br />

adverse effects usually do so within the first 2 or 3<br />

dose adjustments.<br />

B-blocker therapy has been shown to consistently<br />

improve or prevent deterioration of systolic function and<br />

ventricular dimensions. A recent meta-analysis of 18<br />

prospective double-blinded placebo-controlled clinical trials<br />

involving use of B-blockers in people included over 55,000<br />

DCM patients and revealed a mean increase in ejection fraction<br />

from 23% to 31% (p


locker use has the capacity to reverse established remodeling,<br />

a benefit not achieved with standard heart failure drugs<br />

such as diuretics and digitalis. In several studies B-blockers<br />

failed to improve ejection fraction or ventricular dimensions<br />

versus the baseline measurement, but as compared to controls,<br />

prevented their deterioration. This effect may be just as<br />

beneficial as an absolute increase in values.<br />

Previous studies have revealed mixed results involving the<br />

level of circulating catecholamines following treatment with<br />

B-blockers. Some studies show that plasma levels of norepinephrine<br />

decrease and some show no change. 3,4 One study<br />

prevented the increase in norepinephrine that occurred in the<br />

controls. The variable results may be related to the underlying<br />

disease process. Woodley found that norepinephrine levels<br />

decreased in patients with idiopathic DCM (similar to<br />

disease found in dogs) but did not in patients with DCM due<br />

to ischemic coronary artery disease. It is also interesting to<br />

note that even in the studies where the norepinephrine level<br />

did not change, heart rate was significantly lower after treatment,<br />

an indicator of effective receptor blockade and adrenergic<br />

antagonism.<br />

Plasma renin activity is decreased after B-blocker administration.<br />

5 This effect is attributed to inhibition of B 1-receptors<br />

that effect renin release from the renal juxtaglomerular<br />

apparatus, or to improved renal perfusion. The detrimental<br />

effects of the renin-angiotensin-aldosterone system are well<br />

known and include fluid retention, vasoconstriction, and<br />

pathologic ventricular remodeling. Typically, ACE inhibitors<br />

are used to prevent the formation of angiotensin II further<br />

along the renin-angiotensin-aldosterone axis, and the value<br />

of decreasing plasma renin activity has been questioned;<br />

however, there are alternative pathways for the conversion of<br />

81<br />

angiotensin I to angiotensin II, and reduction of plasma<br />

renin activity may help provide a more complete inhibition<br />

of this system.<br />

ANP is elevated during treatment with B-blockers. These<br />

elevations may be due to decreased excretion or a reduction<br />

in the inhibitory effect of adrenergic stimulation on ANP<br />

release. The physiologic effects of ANP counteract the<br />

effects of the renin-angiotensin-aldosterone and sympathetic<br />

nervous systems, and may account for some of the salutary<br />

effects of B-blockers.<br />

References<br />

5. Lechat P, Escolano S, Golmard JL, et al. Prognostic value of bisoprolol-induced<br />

hemodynamic effects in heart failure during the Cardiac<br />

Insufficiency BIsoprolol Study (CIBIS). Circulation<br />

<strong>19</strong>97;96:2<strong>19</strong>7-2205.<br />

6. Sanderson JE, Chan SK, Yip G, et al. Beta-blockade in heart failure:<br />

a comparison of carvedilol with metoprolol. J Am Coll Cardiol<br />

<strong>19</strong>99;34:1522-1528.<br />

7. Effects of metoprolol CR in patients with ischemic and dilated cardiomyopathy<br />

: the randomized evaluation of strategies for left ventricular<br />

dysfunction pilot study. Circulation 2000;101:378-384.<br />

8. Krum H, Sackner-Bernstein JD, Goldsmith RL, et al. Double-blind,<br />

placebo-controlled study of the long-term efficacy of carvedilol in<br />

patients with severe chronic heart failure. Circulation <strong>19</strong>95;92:1499-<br />

1506.<br />

9. Sabbah HN, Shimoyama H, Kono T, et al. Effects of long-term monotherapy<br />

with enalapril, metoprolol, and digoxin on the progression of<br />

left ventricular dysfunction and dilation in dogs with reduced ejection<br />

fraction. Circulation <strong>19</strong>94;89:2852-2859.<br />

10. Woodley SL, Gilbert EM, Anderson JL, et al. Beta-blockade with<br />

bucindolol in heart failure caused by ischemic versus idiopathic dilated<br />

cardiomyopathy. Circulation <strong>19</strong>91;84:2426-2441.


Fracture treatment strategies and complications<br />

in growing dogs and cats<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

Bone in immature animals is biomechanically, anatomically,<br />

and physiologically distinct from mature bone. Failure<br />

to recognize the unique features of immature bone when<br />

treating fractures increases the risk of complications that<br />

may cause years of morbidity. Mature bone’s inorganic<br />

mineral content accounts for 65 to 70% of its dry weight<br />

and gives bone its solid consistency and rigidity. The organic<br />

extracellular matrix, composed primarily of collagen,<br />

gives bone its flexibility and resiliency. The mineral content<br />

of bone rapidly increases during skeletal growth such that<br />

its stiffness increases up to 20 fold in the first 6 months.<br />

Compared to mature bone, immature bone is more ductile,<br />

absorbs more energy, and tolerates more strain and elastic<br />

deformation prior to fracture. Accordingly, incomplete<br />

“greenstick” fractures and bent (plastically deformed)<br />

bones are almost exclusively seen in growing dogs. The<br />

brittle nature of adult bone causes it to fracture with little<br />

plastic deformation such that anatomic reconstruction of<br />

bony segments is feasible when indicated. The more ductile<br />

nature of immature bone, however, can plastically deform<br />

quite significantly prior to fracture. Additionally, the soft<br />

nature of immature bone makes implants more prone to premature<br />

loosening.<br />

Fractures in the growing dog often occur in the region of<br />

the physis. Unfortunately, rather than occurring in the hypertrophic<br />

zone as is typical in humans, naturally occurring<br />

physeal fractures in the canine often occur in the proliferative<br />

zone. 1 This may account for the relatively high risk of<br />

physeal dysfunction following injury in dogs. The effect of<br />

gonadectomy on physeal function should also be considered.<br />

Gonadectomy delays normal physeal closure and the earlier<br />

gonadectomy is performed, the more prolonged is the delay. 2<br />

The periosteum of growing dogs and cats is relatively<br />

thick and vascular and contributes dramatically to appositional<br />

bone growth and the rapid development of callus fracture<br />

healing. However, excessive emphasis on the fracture<br />

healing potential of growing dogs often distracts veterinary<br />

attention from the goal of rapid restoration of normal limb<br />

function.<br />

Several general treatment strategies are applicable to<br />

growing dogs and cats:<br />

• Focus upon rapid, full restoration of limb function in<br />

treatment selection rather than on fracture healing.<br />

• Frequent convalescent recheck examinations with attentive<br />

observation of limb use and joint mobility and function.<br />

• Do not span physes with implants that prevent longitudinal<br />

bone growth.<br />

82<br />

• Pins spanning a physis should be of as small a diameter as<br />

possible to achieve proper stability and should be positioned<br />

such that they can be removed when fracture union<br />

is achieved.<br />

Pelvic fractures in puppies have an excellent prognosis for<br />

healing with most any treatment. However, severe mechanical<br />

constipation and secondary colo-rectal dysfunction may result<br />

if malunion causes excessive pelvic canal narrowing. Internal<br />

plate fixation of ilial fractures is performed when there is risk<br />

of pelvic collapse and the plate is contoured such that pelvic<br />

canal is opened to its normal dimension. When anatomic<br />

reconstruction of longitudinal ilial fractures is feasible, lag<br />

screws placed from ventral to dorsal alone or through a second<br />

bone plate reduces the risk of screw loosening by increasing<br />

the implant-bone interface and creating a tension band<br />

effect on the ventro-lateral tension band surface. 3-5<br />

Femoral fractures in growing dogs and cats often occur<br />

at the physes, but also occur in the diaphysis. Slipped capital<br />

femoral epiphysis (SCFE) occurs in both dogs and cats.<br />

In cats, this condition often develops in overweight, neutered<br />

males between 1.5 and 2.5 years of age despite the lack of a<br />

traumatic incident and is theorized to be the result of chronic<br />

mechanical overload of the physis that is delayed on closure<br />

because of early gonadectomy. 6 This condition may<br />

involve one or both hips. If only one hip is involved, the contralateral<br />

hip should be closely evaluated on radiographs and<br />

the pet owner informed that delayed development of the condition<br />

in the contralateral hip is not uncommon. In cats,<br />

SCFE can be effectively treated with internal fixation or<br />

femoral head/neck excision. In dogs, SCFE is most commonly<br />

the result of trauma, but nontraumatic cases have<br />

been identified. 7 The risk of coxofemoral osteoarthritis is<br />

increased when SCFE develops in dogs < 4 months of age<br />

because physeal closure results in a shortened femoral neck.<br />

Normal femoral neck length and limb use are important in<br />

the normal development of the coxofemoral joint. Fixation<br />

of SCFE with multiple Kirschner wires is more stable than<br />

a single wire. 8 Fixation with a lag screw is even more stable,<br />

but should be avoided if preservation of physeal growth<br />

is desired. 9 Distal femoral physeal fractures are common in<br />

dogs and cats. Cats often develop Salter-Harris I fractures<br />

and dogs most commonly have Salter-Harris II fractures.<br />

Internal fixation of these fractures is easily performed with<br />

cross-pinning or dynamic pinning techniques. Cross-pinning<br />

provides superior to resistance to rotational forces, but<br />

either fixation provides adequate stability. 10 A single


intramedullary pin can be used if the interdigitation of the<br />

unique “four pegs in four cups” contour of the distal femoral<br />

physis provides adequate rotational stability. Femoral diaphyseal<br />

fractures often involve the distal half of the bone.<br />

While the prognosis for fracture union is excellent in properly<br />

treated fractures, the risk of quadriceps contracture<br />

should be assessed. Risk factors for quadriceps contracture<br />

include distal femoral fracture, extensive comminution or<br />

soft tissue injury, unstable fracture fixation, reduced stifle<br />

flexion upon fracture reduction/alignment, surgical stabilization<br />

combined with external coaptation. When there is<br />

increased risk of quadriceps contracture, a 90º/90º flexion<br />

sling should be used during the first 48-72 hours after surgery<br />

followed by passive/active physical therapy each day<br />

for the first 3-4 weeks after surgery. Attentive convalescent<br />

care should include recheck examinations every 2-3 days<br />

during the first two weeks following surgery.<br />

Tibial fractures are relatively common in growing dogs<br />

and may occur at the physes or within the diaphysis. The tibial<br />

tubercle develops from a separate ossification center from<br />

the proximal tibial epiphysis. Avulsion fracture of the tibial<br />

tubercle may occur as an isolated injury or in combination<br />

with Salter-Harris I or II fractures of the proximal tibial<br />

physis. Tibial tubercle fractures may be treated with<br />

Kirschner wires or tension band fixation, though the latter is<br />

more likely to permanently close the physis. Salter-Harris<br />

fractures of the proximal tibial physis are often treated with<br />

multiple Kirschner wires. Radiographs are often made in<br />

2week intervals and implants are removed, if feasible, at the<br />

earliest sign of fracture union. Greenstick (incomplete) and<br />

minimally displaced fractures of the tibial diaphysis are relatively<br />

common in growing dogs. While coaptation is frequently<br />

effective in achieving bony union of such fractures,<br />

maintaining the stifle in some flexion, encouraging slow,<br />

controlled limb use and keeping the duration of coaptation to<br />

a minimum helps maintain retropatellar pressure and avoid<br />

the complication of patellar luxation.<br />

References<br />

83<br />

1. Johnson JM, Johnson AL, Eurell JA. Histological appearance of naturally<br />

occurring canine physeal fractures. Vet Surg <strong>19</strong>94;23:81-86.<br />

2. Salmeri KR, Bloomberg MS, Scruggs SL, et al. Gonadectomy in<br />

immature dogs: effects on skeletal, physical, and behavioral development.<br />

J Am Vet Med Assoc <strong>19</strong>91;<strong>19</strong>8:1<strong>19</strong>3-1203.<br />

3. Fitch R, Kerwin, S., Hosgood, G., Rooney, M., et al. Radiographic<br />

evaluation and comparison of triple pelvic osteotomy with and<br />

without additional ventral plate stabilization in forty dogs - part 1. Vet<br />

Compar Orthop Traumatol 2002;15:164-171.<br />

4. VanGundy TE, Hulse, D.A., Nelson, J.K. Mechanical analysis of pelvic<br />

fractures. Vet Orthop Soc <strong>19</strong>88;40.<br />

5. Vangundy TE, Hulse DA, Nelson JK, et al. Mechanical evaluation of<br />

two canine iliac fracture fixation systems. Vet Surg <strong>19</strong>88;17:3<strong>21</strong>-327.<br />

6. McNicholas WT, Jr., Wilkens BE, Blevins WE, et al. Spontaneous<br />

femoral capital physeal fractures in adult cats: 26 cases (<strong>19</strong>96-2001).<br />

J Am Vet Med Assoc 2002;2<strong>21</strong>:1731-1736.<br />

7. Moores AP, Owen MR, Fews D, et al. Slipped capital femoral epiphysis<br />

in dogs. J Small Anim Pract 2004;45:602-608.<br />

8. Belkoff SM, Millis DL, Probst CW. Biomechanical comparison of<br />

three internal fixations for treatment of slipped capital femoral<br />

epiphysis in immature dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>92;53:<strong>21</strong>36-<strong>21</strong>40.<br />

9. Belkoff SM, Millis DL, Probst CW. Biomechanical comparison of 1screw<br />

and 2-divergent pin internal fixations for treatment of slipped<br />

capital femoral epiphysis, using specimens obtained from immature<br />

dogs. Am J Vet Res <strong>19</strong>93;54:1770-1773.<br />

10. Sukhiani HR, Holmberg DL. Ex vivo biomechanical comparison of<br />

pin fixation techniques for canine distal femoral physeal fractures.<br />

Vet Surg <strong>19</strong>97;26:398-407.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


Clinical tips for early detection of elbow dysplasia<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

Early detection of elbow dysplasia is very important in<br />

order to avail pet owners of all treatment options and to treat<br />

underlying problems prior to the development of secondary<br />

osteoarthritis. Early detection of ED requires that the veterinarian<br />

develop an “index of suspicion” based upon patient<br />

signalment and history, then carefully perform a physical<br />

examination, and finally closely scrutinize radiographs for<br />

subtle supportive findings.<br />

Signalment and History<br />

ED is most common in Golden Retrievers, Labrador<br />

Retrievers, Rottweilers and Bernese Mountain dogs, but can<br />

affect most any large breed of dog including mongrels. Ununited<br />

anconeal process (UAP), specifically, is most prevalent<br />

in German Shepherds. Puppies may present for thoracic<br />

limb lameness, stiffness, exercise intolerance, or non-specific<br />

mobility problems as early as 4 months of age.<br />

Gait<br />

Many puppies with ED stand with their paws externally<br />

rotated (supination). They may display an obvious “headbobbing”<br />

lameness or the lameness may be subtle. Having<br />

the patient descend stairs may be helpful in exacerbating<br />

subtle lameness. A “bunny-hopping” gait in the thoracic<br />

limbs is common as the pup descends stairs when bilateral<br />

elbow discomfort is present. When unilateral elbow discomfort<br />

is present, puppies will often lead down to each step<br />

with the comfortable limb.<br />

Physical Examination<br />

Joint effusion is most easily detected in the standing<br />

patient as a puffy, fluid pouch between the lateral epicondyle<br />

and the olecranon. Palpation to assess for pain and range of<br />

motion (normal = flexion angle of 36º to 166º) can be performed<br />

in the standing or recumbent patient. Normally, during<br />

elbow flexion, puppies can place their distal antebrachium<br />

against the point of their shoulder with no discomfort.<br />

When elbow flexion is painful, dogs resist full flexion or pull<br />

their shoulder joint dorsally to relieve the elbow flexion. As<br />

ED progresses, elbow flexion is physically restricted by<br />

osteophytosis and/or periarticular fibrosis. Normal puppies<br />

can extend their elbow with no discomfort and display only<br />

mild discomfort upon forced, full elbow extension. The<br />

elbows should specifically be tested in pronation and in<br />

supination and this is not painful in most normal puppies.<br />

Most puppies with ED will display some discomfort during<br />

elbow pronation and/or supination.<br />

Radiographic Examination<br />

84<br />

Concurrent diagnosis of juvenile orthopedic diseases such<br />

as panosteitis is often quite simple, but should not prevent<br />

the veterinarian from closely scrutinizing for a more challenging<br />

diagnosis of FMCP. Detection of a FMCP is diagnostic<br />

for elbow dysplasia, but detection of an FMCP is the<br />

exception rather than the rule. Clear radiographic delineation<br />

of an FMCP is difficult due to the superimposition of<br />

the medial coronoid process (MCP) upon the radial head. In<br />

addition to standard medio-lateral, flexed medio-lateral, and<br />

cranio-caudal views, various special views have been<br />

described (Cd75M-CrLO, Cr15-CdMO, MEDLAP) to<br />

increase radiographic diagnostic sensitivity for FMCP. Even<br />

with special views, however, radiography lacks sensitivity.<br />

While scintigraphy and computed tomography (CT) are of<br />

additional diagnostic value, the economy and availability of<br />

radiography make it the primary screening tool for ED.<br />

Accurate radiographic positioning and scrutiny of specific<br />

areas maximizes its diagnostic value:<br />

• Abnormal contour or lack of detail of the normal contour<br />

of the MCP (medio-lateral view)<br />

• Mild sclerosis below the trochlear notch of the ulna in the<br />

region of the MCP (medio-lateral view)<br />

• Periarticular osteophytes (“lipping”, “spurring”) associated<br />

with the MCP (cranio-caudal view)<br />

• Periarticular osteophytes along the dorsal margin of<br />

anconeal process (flexed medio-lateral view)<br />

• Osteochondritis dissecans (OCD) of the medial aspect of<br />

the humeral condyle (cr-cd view)<br />

• Incongruity of the humero-ulnar and/or radio-ulnar joints<br />

(medio-lateral view)<br />

• Un-united anconeal process (flexed medio-lateral view)<br />

On the standard medio-lateral view, the MCP should be<br />

identified in dogs > 6 months of age as a completely ossified,<br />

pointed, beak-shaped structure that meets the articular surface<br />

of the humeral condyle. Distally, from the point of the MCP,<br />

the cranial surface of the process and the proximal ulna should<br />

have a shallow concave contour. Lack of the beak-shaped<br />

point or presence of a convex or flattened shape to the cranial<br />

margin of the MCP is strongly suggestive of FMCP.<br />

Radiographic subtrochlear sclerosis on the medio-lateral<br />

views is a combination of subchondral sclerosis and periar-


ticular osteophyte formation along the base of the trochlear<br />

notch of the ulna. This is a subjective evaluation and is very<br />

subject to minor variations in radiographic technique. Radiographic<br />

evaluation of both elbows can be helpful in patients<br />

with unilateral disease, but often the disease is bilateral. The<br />

best area to evaluate for sclerosis on a properly positioned<br />

medio-lateral view is on the distal aspect of the trochlear<br />

notch where there is no superimposition of the radius. Slight<br />

variations in radiographic positioning can produce obliquity<br />

where superimposition of the radial head or medial aspect of<br />

the humeral condyle/epicondyle can mimic sclerosis of the<br />

proximal ulna.<br />

Osteophytosis is progressive and typically follows the<br />

radiographic changes described above. Early in the course of<br />

the disease, these osteophytes are most easily detected on the<br />

dorsal margin of the anconeal process, especially on the<br />

flexed medio-lateral view. On the medio-lateral view, the<br />

ridge of the lateral epicondyle can sometimes be seen. The<br />

articular cartilage of the trochlea of the humerus joins the<br />

lateral epicondyle as a thin, knife-edge, making its radiographic<br />

visualization very dependent on positioning and<br />

radiographic technique. On radiographs where it can be<br />

seen, it appears as a faint line with a smooth, curved contour.<br />

Osteophytosis along this border appear as a bump along this<br />

smooth contour.<br />

The cranio-caudal view is the most helpful for detecting<br />

OCD of the medial aspect of the humeral condyle (trochlea).<br />

The lesion is seen as a radiolucent area on the medial articular<br />

edge of the humeral trochlea. On a lateral view it may<br />

be seen as a flattening of the medial caudo-ventral edge of<br />

the humeral trochlea. Care must be taken on the medio-lateral<br />

views (standard and flexed) to direct the radiographic<br />

beam down the long axis of the humeral “condylar spool”,<br />

producing a set of concentric rings centered on the humeral<br />

condyle.<br />

Evaluation of how the humerus, radius and ulna fit together<br />

is very subjective and very susceptible to subtle positioning<br />

errors. The flexed medio-lateral view forces the joint together<br />

and can mask joint incongruity or subluxation. The flexed<br />

medio-lateral view also is more prone to subtle obliquity shifts<br />

of humeral condyle. The standard medio-lateral view is the<br />

85<br />

easiest to properly position and to accurately evaluate for joint<br />

incongruity. In this view, the smallest circle of the humeral<br />

condyle is the narrow, grooved portion of the condyle that<br />

articulates with the central “keel” of the trochlear notch of the<br />

ulna. These 2 surfaces should be separated only by 2 radiolucent<br />

cartilage surfaces and should be uniformly parallel<br />

throughout their circumference. Humero-ulnar incongruence<br />

can be detected as the arc of the humeral trochlea and the keel<br />

of the trochlear notch of the ulna not fitting well together.<br />

Joint surface contact mapping suggests that there may be<br />

some normal or physiologic humero-ulnar incongruity in<br />

dogs, but it may be that incongruity severe enough to be<br />

detected radiographically is pathologic. Radiographic detection<br />

of a “step” incongruity, where the MCP appears elevated<br />

above the radial head, has been associated with FMCP. This<br />

step can be masked on the flexed medio-lateral view.<br />

Un-united anconeal process (UAP) is best diagnosed on<br />

the flexed medio-lateral view. The anconeal process arises<br />

from a secondary center of ossification in the elbow at 11-12<br />

weeks of age in large breed puppies. Traditionally it has<br />

been stated that the anconeal process does not fuse with the<br />

ulna until 4-5months of age such that the diagnosis of UAP<br />

cannot be made prior to this time, but recent data suggests<br />

that earlier diagnosis can be made in German Shepherds (A.<br />

Vezzoni, personal communications). Bilateral radiographs<br />

should be made because the disease is often bilateral (20-<br />

35% of cases). UAP is seen as a lucent line of variable width<br />

and clarity separating the anconeal process from the ulna.<br />

Some patients with a strong history and physical examination<br />

findings of ED have very minimal or no detectable<br />

radiographic findings. On occasion, scintigraphy can be<br />

helpful in localizing pathology to the elbow such that CT<br />

and arthroscopic evaluation can be more easily recommended<br />

to pet owner.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


How do I diagnose hip dysplasia in growing dogs?<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

Canine hip dysplasia (CHD) is a complex, multifactorial,<br />

progressive disease that develops during postnatal skeletal<br />

growth. CHD in the growing dog is clinically characterized<br />

by increased dorsal acetabular rim (DAR) slope and functional<br />

hip joint hyperlaxity that permit pathologic coxofemoral<br />

subluxation and the development of secondary<br />

joint remodeling and degeneration. Veterinarians are frequently<br />

challenged to diagnose CHD in growing dogs prior<br />

to the onset of these irreversible secondary changes. Early<br />

diagnosis and proper treatment can arrest the progression of<br />

the disease and alter its pathogenesis.<br />

Passive hip joint laxity refers to laxity that can be demonstrated<br />

in puppies by means of external veterinary manipulations<br />

(Ortolani test, Barden test, PennHIP distraction<br />

index). Some degree of passive hip joint laxity is detectable<br />

via PennHIP in all dogs. Passive hip joint hyperlaxity has<br />

been shown to be a heritable phenotype of CHD as well as<br />

a breed-specific risk factor for the development of<br />

osteoarthritis (OA). Detectable passive hip joint laxity does<br />

not always relate directly to the development of CHD symptoms<br />

or OA. From a therapeutic standpoint, the challenge<br />

faced by veterinarians is to detect functional hip joint<br />

hyperlaxity in which dynamic subluxation occurs spontaneously<br />

during daily patient activities.<br />

Signalment<br />

Most any large breed dog may develop CHD, but commonly<br />

presented breeds include Golden Retrievers, German<br />

Shepherds, Rottweilers, Labrador Retrievers, Chesapeake<br />

Bay Retrievers, Saint Bernards, and English Mastiffs. Puppies<br />

are seldom presented because of symptomatic concerns<br />

prior to 4 to 5 months of age.<br />

History<br />

Puppies are most often presented to the veterinarian by<br />

the pet owner for vaguely expressed concerns such as pelvic<br />

limb weakness, reluctance to rise in hind end, reluctance to<br />

climb stairs, and intolerance of extended periods of exercise.<br />

Puppies are seldom presented for discrete pelvic limb lameness.<br />

Assymptomatic puppies are presented for screening<br />

evaluation in consideration of prophylaxis via juvenile pubic<br />

symphysiodesis (JPS) with increasing frequency.<br />

Gait Evaluation<br />

Many growing dogs with functional hip joint hyperlaxity<br />

and dynamic subluxation display a unique “tight skirt”<br />

gait at a walk or trot in which they do not fully extending<br />

their hips. Some puppies display a “bunny-hopping” gait at<br />

a walk or trot or when ascending stairs. Dynamic hip subluxation<br />

can be visualized and/or heard in some puppies<br />

while they walk.<br />

Hip Palpation<br />

86<br />

While an assistant leads the puppy at a walking gait, the<br />

examiner should walk behind the patient while resting<br />

his/her hands on the pup’s hips. Palpable dynamic hip subluxation<br />

and reduction is detected in some patients and is a<br />

definitive indicator of pathologic functional hip joint hyperlaxity.<br />

It is also helpful for the examiner to place his/her<br />

hands on the puppy’s hips and gently sway the hind end from<br />

side to side in order to detect palpable subluxation and<br />

reduction. Hip extension and hip abduction are often painful<br />

in puppies with early CHD. The Ortolani test can initially be<br />

performed in the unsedated standing or laterally recumbent<br />

puppy if it is cooperative. A negative Ortolani test is not a<br />

definitive finding in the unsedated animal.<br />

Next, the puppy is heavily sedated or anesthetized for<br />

definitive hip palpation and radiography. The Ortolani test<br />

can be performed in lateral or dorsal recumbency or both.<br />

The Ortolani test is palpation test for passive hip joint laxity<br />

and requires some inference to conclude that functional<br />

hip joint hyperlaxity is present. When performing the<br />

Ortolani test, the hip should be held in a neutral standing<br />

angle so that the joint capsule and periarticular tissues are<br />

in their passively relaxed state. Inadvertently holding the<br />

hip in extension, flexion, abduction, adduction, internal or<br />

external rotation may tighten the joint capsule and periarticular<br />

tissues and cause abnormal hip joint laxity to go<br />

undetected. A palpable reduction of the femoral head into<br />

the acetabulum during abduction of the femur is referred to<br />

as a “positive Ortolani sign”. In and of itself, a positive<br />

Ortolani sign is not an indication for Triple Pelvic Osteotomy<br />

(TPO). When a positive Ortolani sign is detected, the<br />

examiner should measure and record the angles of reduction<br />

and subluxation. Measurement of these angles with an electronic<br />

goniometer (Slocum Enterprises, Eugene, Oregon,<br />

USA) has been most repeatable in our hands. The angle of<br />

reduction is an indicator of hip joint laxity. The angle of<br />

subluxation is an indicator of the slope of the dorsal acetabular<br />

rim. Sensitive palpation of reduction and subluxation is<br />

also important. Indistinct reduction is suggestive of acetabular<br />

filling or remodeling. Indistinct subluxation or a biphasic<br />

subluxation is suggestive of dorsal acetabular rim erosion.<br />

The palpation findings are complemented by comprehensive<br />

radiographic evaluation of the hip.


Radiographic Examination<br />

A ventro-dorsal hips extended (“OFA-like”) radiograph<br />

is made to evaluate for degenerative changes such as<br />

osteophytosis, shallow acetabula, femoral head flattening<br />

and thickening of the femoral necks. Coxofemoral subluxation<br />

may also be detected on this view, but it is important<br />

to remember that the marked hip extension tends to artificially<br />

“tighten” the hip joints. Therefore, subluxation present<br />

on ventro-dorsal hips extended views is real, but the<br />

absence of subluxation on this view does not rule-out hip<br />

joint hyperlaxity. A standard lateral radiographic view is<br />

useful to evaluate for lumbosacral spinal pathology,<br />

femoral neck anteversion, coxofemoral subluxation and<br />

remodeling and regional anatomic relationships. A femurs<br />

abducted (“frog leg”) radiograph is helpful to assess<br />

acetabular depth. Acetabular filling or remodeling is easier<br />

to detect when the femoral heads are compressed into<br />

the acetabula with this view. A dorsal acetabular rim<br />

(DAR) radiograph is essentially a skyline view across the<br />

dorsal acetabular rims.<br />

The normal dorsal acetabular rim has a “beak-shaped”<br />

contour and minimal slope. In the dysplastic puppy with<br />

advancing hip degeneration, there is blunting of the normal<br />

contour of the lateral margin of the dorsal acetabular<br />

rim and increased DAR slope. PennHIP radiography<br />

includes several of the views mentioned above and a passive<br />

distraction view. Other distraction radiography views<br />

have been described and each have their own advantages<br />

and disadvantages. For the PennHIP distraction view an<br />

adjustable, padded, radiolucent apparatus is placed<br />

between the thighs of the dorsally recumbent dog. The<br />

hips are placed in an approximate standing angle and gently<br />

adducted until the medial thigh surfaces are firmly in<br />

contact with the apparatus such that passive hip joint distraction<br />

occurs. The radiographs are sent to PennHIP for<br />

measurement of distraction index (DI) and for inclusion in<br />

their database.<br />

Other Examination Tools<br />

87<br />

Computed tomography (CT) can be used for high detail<br />

evaluation of dorsal acetabular rim integrity and acetabular<br />

depth. Studies have shown that consistency in patient positioning<br />

and scan landmarks are critical for consistent accuracy.<br />

Recently arthroscopic evaluation of the coxofemoral<br />

joint has been described and appears to be the most sensitive<br />

indicator of synovitis, round ligament tearing and chondromalacia.<br />

Case selection<br />

Juvenile Pubic Symphysiodesis (JPS) must be performed<br />

prior to 20 weeks of age in large breed dogs in order to maximize<br />

it effectiveness. Many puppies are asymptomatic for<br />

CHD at this time making the efficacy of this procedure is difficult<br />

to assess. However, the procedure’s relative simplicity,<br />

low cost, low morbidity have caused many pet owners to be<br />

proactive in seeking evaluation of their pet for JPS. JPS is considered<br />

when the combined findings are predictive of future<br />

CHD development: a positive Ortolani sign with angle of<br />

reduction of 20º to 40º, an angle of subluxation of 0º to 15º,<br />

and no palpable or radiographic degenerative changes.<br />

Triple Pelvic Osteotomy (TPO) is indicated for young<br />

dogs (usually 4.5 to 10 months old) with symptoms of CHD,<br />

but minimal palpable or radiographic evidence of degeneration.<br />

Puppies have a positive Ortolani sign with an angle of<br />

reduction of 20º to 40º, an angle of subluxation of 5º to 20º,<br />

and distinct transitions between subluxation and reduction.<br />

The DAR view does not show significant blunting.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


What’s new in bone plating?<br />

The Locking Compression Plate (LCP)<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

Conventional Bone Plating<br />

Fracture healing requires that the fracture zone have conditions<br />

of both adequate mechanical stability and adequate<br />

biologic viability. Satisfying one condition, but not the other<br />

leads to patient morbidity and nonunion of the fracture.<br />

For many years the primary challenge was to accomplish<br />

adequate fracture stability. One tremendous leap toward this<br />

goal was accomplished in <strong>19</strong>65 when AO ASIF bone plating<br />

techniques were introduced to veterinary orthopedic surgery.<br />

The dynamic compression plate (DCP®, Synthes) was<br />

developed such that insertion of screws into the eccentric<br />

ends of the specially designed sloping, oval holes accomplished<br />

compression of transverse fractures. This era of bone<br />

plating focused on accomplishing rigid stability. Of course,<br />

not all fractures are of transverse configuration; therefore,<br />

anatomic reconstruction of the bony column is not always<br />

possible or desired. In fact, in effort to achieve anatomic<br />

reconstruction of the highly comminuted bony column,<br />

tremendous disruption of fracture zone viability often contributed<br />

to nonunion. The concept of biologic osteosynthesis<br />

evolved in which highly comminuted fractures were spatially<br />

aligned rather than anatomically reduced in order to preserve<br />

fracture zone viability. In such instances, there is<br />

tremendous stress concentration at unfilled screw holes<br />

within the DCP. Further, the footprint of the plate against the<br />

surface of the bone disrupted cortical bone blood flow under<br />

the plate. Surgeons often desired to use plates in combination<br />

with intramedullary pins in order to extend the fatigue<br />

life of bone plates, but the screw hole configuration of these<br />

plates restricted screw angulation to a relatively narrow<br />

spectrum. The limited-contact dynamic compression plate<br />

(LC-DCP®, Synthes) was designed with a scalloped contour<br />

on its underneath surface such that the footprint of the plate<br />

upon the bony surface permits greater cortical blood flow<br />

(though this is also influenced by the contour and topography<br />

of the bony surface to which the plate is applied). The<br />

scalloped contour of the plate also reduces the stress concentrating<br />

effect of unfilled screw holes. Additionally, the<br />

screw holes of the LC-DCP are designed such that screws<br />

can be inserted at much greater angles than with the DCP.<br />

This feature permits screws to be more easily inserted at<br />

angles to avoid intramedullary devices.<br />

Each of these evolutions of the bone plating utilizes tightening<br />

of conventional screws within the bone to firmly<br />

compress the bone plate to the surface of the bone. There is<br />

no rigid link between the bone plate and the screw such that<br />

construct rigidity is not achieved when the bone plate is not<br />

firmly compressed against the bone. The amount of compression<br />

between the plate and the bone surface is influenced<br />

by the number of screws inserted, thread diameter of<br />

screws, and bone quality. If patient loading of the limb<br />

induces forces in excess of the frictional hold at bone platebone<br />

interface there is a loss of stable fracture fixation. As<br />

a result, there is emphasis on screw tightening and maximizing<br />

the number of screws used to compress the plate<br />

against the bone. Screw tightening pulls underlying bone<br />

segments to the under side of the bone plate such that precise<br />

contouring of the plate to the contours of the normally<br />

shaped bone is required. When conventional screws are<br />

tightened through improperly contoured conventional bone<br />

plates a primary loss of fracture reduction is induced. Alternatively,<br />

premature screw loosening prior to fracture union<br />

causes a loss of stability and secondary loss of fracture<br />

reduction (Fig. 1).<br />

Locking Compression Plate (LCP ® , Synthes)<br />

The LCP is a dramatic shift from conventional bone plating.<br />

The LCP utilizes a specially designed locking screw that<br />

has a threaded screw head that rigidly links to the bone plate<br />

through specially designed screw hole with matching thread<br />

form. The rigid link between the screws and the plate creates<br />

a fixed angle construct with dramatically different mechanical<br />

behavior than conventional bone plating. The rigid locking<br />

screw-LCP interface does not compress the LCP against<br />

the bone and maintains the fracture reduction present during<br />

plate application. This subtle evolution in bone plate design<br />

also alters the method of bone plate and screw application.<br />

Figure 1 - “Toggle” loosening of conventional screws from<br />

bone and DCP ➠ secondary loss of fracture reduction.<br />

88


The LCP is designed with combination-use screw holes<br />

(combi-hole) that accept traditional screws or locking<br />

screws. Different surgical techniques are used to apply locking<br />

screw-LCP constructs as compared to combination locking<br />

screw and conventional screw-LCP constructs.<br />

Locking screw-LCP constructs utilize exclusively locking<br />

screws throughout the construct and therefore do not<br />

require precise plate contouring. In selected instances the<br />

surgeon may elect not to contour the plate at all. This construct<br />

functions mechanically and biologically more as an<br />

internal fixator rather than as a conventional bone plate. The<br />

rigid locking screw-LCP interface ensures angular stability<br />

of the screws and prevents “toggle” loosening of the screws<br />

in the bone. The fracture must be reduced prior to plate<br />

application because this construct will not reduce the fracture<br />

as can be performed with conventional plating.<br />

Because the LCP is not compressed against the bony surface<br />

there is minimal disruption of cortical blood flow. This<br />

mode of application may be particularly advantageous in<br />

percutaneous plating where biologic osteosynthesis is indicated.<br />

Locking screws must be inserted in a fixed angle that<br />

is determined by drilling through a drill guide that is threaded<br />

into the locking screw hole. Care must be used to properly<br />

orient the bone plate because even minor angulations of<br />

locking screws to center them in the cross-sectional area of<br />

the bone are not possible. Locking screw-LCP constructs<br />

cannot be used to achieve dynamic compression because<br />

the screw heads of the locking screws do not slide within<br />

the contours of the screw holes.<br />

In humans, unicortical placement of locking screws is<br />

more commonly employed than with conventional screws.<br />

Whereas bicortical placement helps eliminate toggle loosening<br />

of conventional screws, locking screws are not prone to<br />

toggle because they are stabilized by the bone on one end<br />

and the rigid link to the plate on their other end. All orthopedic<br />

constructs will fail at their “weak link” if fracture consolidation<br />

does not occur to protect the implant system. If<br />

the plate is the weak link (such as may occur when a screw<br />

hole is left unfilled over a non-load-sharing fracture), locking<br />

screw-LCP constructs fail similar to conventional screwplate<br />

constructs. When the bone plate is not the weak link,<br />

locking screw-LCP constructs fail differently than conventional<br />

constructs. Conventional constructs often fail by<br />

screw loosening that allows the screws to toggle free from<br />

the bone and bone plate. This mode of failure is particularly<br />

common in soft bone (growing dogs, flat bones, metaphyseal<br />

areas). Conversely, locking screw-LCP constructs are<br />

not prone to failure by screw loosening even in soft bone.<br />

Locking screw-LCP constructs may fail by catastrophic failure<br />

of the bone segment in which the screws are inserted or<br />

by fatigue failure of all screws within a cluster (unlikely).<br />

Catastrophic failure of a bone segment may be more likely<br />

when unicortical locking screws are used in our small animal<br />

patients because they have relatively thin cortices as<br />

compared to humans and large animal patients.<br />

Combination locking screw and conventional screw-LCP<br />

constructs are often employed to reduce implant costs, to<br />

accomplish dynamic fracture line compression or because<br />

surgeons are more comfortable with more traditional bone<br />

Figure 2 - Combi-hole can accept conventional screws<br />

(right side of hole) or locking screws (left side of hole).<br />

89<br />

Figure 3 - Locking screws (left) have angular stability in soft<br />

metaphyseal bone. Conventional screws (right) used to compress<br />

the fracture line.<br />

plating techniques. Surgeons must be cautious however,<br />

because surgical techniques for application of combination<br />

constructs are different from both conventional and locking<br />

constructs. LCP’s applied as combination constructs must be<br />

precisely contoured to the bone. Distortion of a screw hole<br />

will prevent application of a locking screw to that hole. It is<br />

important to place conventional screws into each bone segment<br />

prior to inserting locking screws – “lag before you<br />

lock” is a helpful reminder. If locking screws are placed first,<br />

subsequent placement conventional screws will attempt to<br />

compress the plate against the bone while the locking screws<br />

maintain the plate at a fixed position relative to the bone surface.<br />

Conventional screws can be used to achieve dynamic<br />

compression followed by insertion of locking screws to<br />

achieve a fixed angle construct. In selected instances, a locking<br />

screw-LCP cluster may be used in one bone segment for<br />

angular stability of screws in soft bone while a conventional<br />

screw-LCP cluster is used in the other bone segment to<br />

achieve dynamic compression (Fig. 3).<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


Conducting clinical trials:<br />

disease-oriented vs. patient-oriented evidence<br />

Ross H. Palmer<br />

DVM, MS, Dipl ACVS, Fort Collins, Colorado USA<br />

We are scientists and, as such, we seek accurate data upon<br />

which we can form solid treatment recommendations with<br />

regard to our patients’ health, comfort, lifestyle and wellbeing.<br />

Such is the intent of evidence-based medicine (EBM),<br />

which has been defined as “the conscientious, explicit and<br />

judicious use of current best evidence in making decisions<br />

about the care of individual patients.” 1 For the purpose of<br />

training clinicians to critically analyze available information,<br />

study designs have been stratified into classes ranging<br />

from strongest (Class I) to weakest (Class IV) evidence: 1<br />

Class Description of evidence source<br />

I Multiple, randomized, blinded, placebo<br />

or sham-controlled clinical trials<br />

II High quality clinical trials using<br />

historical controls<br />

III Uncontrolled cases series<br />

IV Expert opinion, extrapolation from<br />

bench research or physiologic studies<br />

In addition to seeking strong (class I and II) evidence<br />

through clinical trials, veterinarians should seek meaningful,<br />

relevant evidence that helps them to answer the questions<br />

that their pet owning clients are asking. Indeed, one of the<br />

essentials steps of effective utilization of EBM is training<br />

clinicians and clinical researchers to ask the right questions.<br />

The acronym “PICO” is helpful in guiding clinicians to ask<br />

the right questions and to evaluate the relevance, usefulness,<br />

and meaningfulness of clinical trial results to their patient. 2<br />

• P Patient/problem – do the results of the study pertain to<br />

my patient?<br />

• I Intervention – are the interventions evaluated in the<br />

study a consideration for my patient?<br />

• C Comparison– to what are the results of the intervention<br />

compared? A control group?<br />

• OOutcome – what outcome is important to the patient<br />

(pet owner)?<br />

Unfortunately, there is often a misunderstanding between<br />

ourselves and our clients with regard to what outcomes from<br />

orthopedic surgery are important. 3 We can often get a sense<br />

of what outcome is of importance to our individual clients by<br />

listening to their questions. Why did the pet owner seek our<br />

services for this condition? What is their desired outcome?<br />

What will they use to define “success” or “failure” of treatment?<br />

Our relationship with our patients and our patients’<br />

90<br />

families is not unlike that of a pediatrician. Together we<br />

make decisions for our patients on their behalf, “by proxy”<br />

if you will.<br />

Orthopedic care is unique in that our treatments seldom<br />

impact mortality. Instead, our clients often present their pets<br />

to us in hopes that we can improve their health related quality<br />

of life (HRQL) as compared to natural progression of the<br />

disease/injury. As such, a well-designed study that collects<br />

objective data points that are of little direct concern to our<br />

clients may be of little real help in our answering their questions.<br />

“Will he be able to climb the stairs”? “Will she still be<br />

able to go on 10 mile hikes”? “Can I keep her in competition”?<br />

These are the questions asked by our clients. With<br />

regard to juvenile-stage canine hip dysplasia (jCHD), our<br />

clinical studies often measure parameters such as DAR<br />

slope, acetabular angle, radiographic OA scores, and forceplate<br />

data as surrogate measures for what we really want to<br />

know. It takes a relatively large leap to get from any of these<br />

measures to accurate answers to our clients’ questions. This<br />

is often the case in medical studies where we study what has<br />

been called Disease-Oriented Evidence (DOE). In contrast,<br />

Patient-Oriented Evidence that Matters (POEM) measures<br />

patient morbidity or mortality, the patients’ ability perform<br />

some meaningful and measurable lifestyle task or health<br />

related quality of life.<br />

Because executing large-scale, prospective, blinded and<br />

placebo or sham-controlled randomized clinical trials<br />

(class I) is time-consuming and costly, we ideally seek to<br />

design studies that will provide meaningful answers to relevant<br />

questions regarding applicable interventions that pertain<br />

to a large group of patients. Health related quality of<br />

life questionnaires are being used with increasing frequency<br />

in human orthopedic studies for this purpose. In<br />

essence, before we leap into randomized clinical trials in<br />

search of objective answers, we should first evaluate our<br />

questions to be sure that the answers yielded by the study<br />

are likely to be meaningful and relevant to our clients.<br />

What do we really want to know? What do our pet owning<br />

clients really want to know?<br />

Health related quality of life questionnaires are one instrument<br />

being used in randomized clinical trials to arrive at<br />

patient-oriented evidence that matters. Development of such<br />

an instrument is a rigorous process. The questionnaire then<br />

requires validation to be certain that the questionnaire measures<br />

that which it intends to measure across a demographic<br />

spectrum of pet owners and across a spectrum of time. The<br />

process of developing a HRQL questionnaire requires<br />

researchers to identify patient behaviors that a demographic


spectrum of pet owners defines as measurable, describable,<br />

and meaningful with regard to their pets’ quality of life as it<br />

is related to the health condition in question. One such<br />

method currently being employed at Colorado State University<br />

is described herein: The process is initiated by a series<br />

of client interviews in order to identify these meaningful,<br />

measurable patient behaviors. A list of positive and negative<br />

terms frequently used by pet owners to describe each of<br />

these behaviors is developed in order to facilitate their<br />

measurement in the eventual HRQL questionnaire. These<br />

descriptors are elicited from pet owners by first asking them<br />

several general “open-ended” questions encouraging them to<br />

describe their pet’s current health status and their pet’s normal<br />

health status prior to developing the medical condition.<br />

Next, a semi-structured interview is conducted with each pet<br />

owner. The semi-structured interview contains a set of questions<br />

regarding observable pet behaviors under consideration.<br />

For each question there is a set of “floating prompts” to<br />

facilitate pet owners’ ability to provide positive and negative<br />

descriptors if needed. The goal of this process is to a develop<br />

a list of terms that are consistently used across a demographic<br />

spectrum of pet owners to describe positive or negative<br />

outcomes with regard to each observable behavior that<br />

they regard as meaningful in their pet’s health related quality<br />

of life. Once the HRQL questionnaire is developed, there<br />

are several ways to test the validity of the instrument, one of<br />

which is called “test-retest” validation. It is important to<br />

realize that some HRQL questionnaires may be valid for one<br />

pet owner demographic, but not for another due to variation<br />

in regional lexicon and/or what they regard as meaningful<br />

and important for their pets’ lifestyles.<br />

In our experience, it rapidly becomes evident during this<br />

HRQL questionnaire development process as to whether or<br />

not previously published clinical trials of therapeutic interventions<br />

for a given medical condition have answered the<br />

91<br />

questions that are meaningful to one’s client pet-owners. As<br />

an example, in one of our HRQL studies currently in<br />

progress, it quickly became apparent that the ability to<br />

return dogs to an unrestricted level of activity (absence of<br />

physical dependence upon the owners for patient confinement)<br />

without ensuing lameness was the desired therapeutic<br />

outcome. Previously published studies of radiographic<br />

osteoarthritis scores, veterinarian-measured lameness<br />

scores, and even force plate data at a walking gait are not<br />

ideal measurement parameters for this condition because<br />

relatively large assumptions or inferences are required to<br />

assume that a given pet will benefit in a meaningful way<br />

from any of the interventions evaluated. Our clients stated<br />

that return of each of these parameters to normal “preinjury”<br />

levels would be meaningless in the face of owner<br />

observations that lameness resulted whenever patient confinement<br />

by the owner was not instituted.<br />

References<br />

1. Berg AO. Dimensions of evidence, in Geyman JP, Deyo RA, Ramsay<br />

SD (eds): Evidence-based clinical practice, Boston: Butterworth-Heinemann,<br />

2000, pp <strong>21</strong>-27.<br />

2. Turning information needs into questions, Handbook of Evidence-<br />

Based Veterinary Medicine, Cockcroft P, Holmes M (eds), Blackwell<br />

Publishing, 2003<br />

3. Rosenberger PH, et al. Shared decision-making, preoperative expectations,<br />

and postoperative reality: differences in physician and patient<br />

predictions and ratings of knee surgery outcomes. J Arthro Rel Surg<br />

<strong>21</strong>:562-569, 2005.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Ross H. Palmer<br />

Colorado State University Veterinary Medical Center<br />

Fort Collins, Colorado USA


Cytology of the liver: review of basic changes<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Indications for Liver Biopsy<br />

• Hepatomegaly may be detected by palpation or by radiography<br />

and sonography.<br />

• Imaging abnormalities may present as a generalized enlargement<br />

or focal lesions.<br />

• Elevated liver enzymes or bile acids signify direct or indirect<br />

hepatocellular damage as well as biliary or circulatory<br />

dysfunction of the liver. These should be persistent, not<br />

transient changes.<br />

• Staging systemic neoplastic diseases, especially lymphoma<br />

and mast cell tumor, is helpful for proper treatment.<br />

Contraindications for Liver Biopsy<br />

• Hemostatic abnormalities may be ruled out with PT, APTT or<br />

ACT, platelet count, and bleeding time tests prior to biopsy.<br />

• Hypoproteinemia can be checked by CBC and chemistry<br />

tests. It is important because low protein can inhibit<br />

wound healing which is important for surgically obtained<br />

biopsies.<br />

• Anesthetic risks in a patient should be considered, depending<br />

on biopsy technique used.<br />

Biopsy Technique Considerations are dependent<br />

on the need to visualize the liver, the degree of anesthetic<br />

risk, and the presentation of disease (focal vs. diffuse).<br />

• Laparotomy requires general anesthesia and allows for<br />

full visualization of the liver. This procedure also permits<br />

surgical correction, if indicated. Wounds made by the<br />

biopsy can be easily checked for excess bleeding. The<br />

sample obtained is diagnostic.<br />

• Keyhole incisions are used to isolate the liver or with<br />

laparoscopy. This technique requires heavy sedation with<br />

local anesthesia. A cutting needle is used for an incisional<br />

biopsy and cytologic imprints should be made when the<br />

sample is obtained before it is placed into formalin.<br />

• Ultrasound-guided sampling requires sedation and local<br />

anesthesia. Samples are often diagnostic due to the assistance<br />

of sonography. A cutting needle and aspirations are<br />

utilized as above under keyhole incisions. (PREFERRED).<br />

• Blind sampling techniques may be used for diffuse liver<br />

lesions, such as those associated with lipidosis, steroid<br />

hepatopathy, or round cell neoplasia. This type of sampling<br />

requires minimal sedation for the aspiration. Both<br />

cutting needles and aspiration techniques are used.<br />

Cytodiagnostic Groups for Liver Cytology<br />

include eight categories frequently used to classify cytologic<br />

material from the liver. Note: There may be more than one<br />

category in a given sample.<br />

1. Normal epithelial cells<br />

2. Cellular degeneration or injury<br />

3. Hyperplasia or adenoma<br />

4. Pigment abnormalities<br />

5. Inflammation<br />

6. Malignant neoplasia<br />

7. Hematopoietic tissue<br />

8. Nondiagnostic sample<br />

Normal Hepatic Tissue<br />

• Hepatocytes consist of clumps or sheets of large uniform<br />

cells. Cells are characterized by low nuclear to cytoplasmic<br />

ratios, lightly basophilic and granular cytoplasm, centrally<br />

placed round nucleus that has stippled chromatin<br />

and a prominent nucleolus. Occasionally cells are binucleated<br />

and nucleoli are multiple.<br />

• Biliary epithelium consists of sheets of small uniform<br />

cells with high nuclear to cytoplasmic ratios. Large biliary<br />

ducts are lined by a simple columnar epithelium. Nucleoli<br />

are often indistinct.<br />

• Mast cells and macrophages may be occasionally found<br />

in low numbers.<br />

Hepatocellular Degeneration or Injury<br />

92<br />

• Hydropic change (vacuolar degeneration) produces a<br />

foamy appearance within the cytoplasm of hepatocytes<br />

that is the result of swelling of endoplasmic reticulum<br />

related to increased intracellular water. This may be seen<br />

in tissue anoxia and toxic hepatopathies.<br />

• Fatty change appears as discrete clear vacuoles within the<br />

hepatocyte cytoplasm that is the result of accumulation of<br />

lipids that can freely coalesce. This appearance is often<br />

diagnostic for lipidosis.<br />

• Glycogen accumulation occurs with altered glucose<br />

metabolism such as seen in steroid hepatopathy. Cytoplasm<br />

appears foamy, similar to hydropic change. Steroid<br />

induced change is most notable in the dog, but occasionally<br />

has been observed in the cat.<br />

• Necrosis may occur as a result of toxicosis, infectious disease,<br />

or neoplasia. Cells appear indistinct, with loss of cellular<br />

detail.<br />

• Fibrosis is related to increased connective tissue reaction<br />

to damage, such as that seen in cirrhosis, post-necrosis<br />

hepatopathy, or chronic inflammation.


• Amyloid deposition is an uncommon condition often related<br />

to a chronic inflammatory disease. Presence of Congo<br />

red positive eosinophilic amorphous material around<br />

hepatocytes is diagnostic.<br />

Hepatic Hyperplasia (Regeneration) or Adenoma are<br />

grouped together since they have a similar cytologic appearance.<br />

• Frequent binucleation is noted within hepatocytes.<br />

• Increased nuclear to cytoplasmic ratio indicates rapid<br />

growth.<br />

• Mild to moderate anisocytosis and anisokaryosis is present.<br />

• Increased cytoplasmic basophilia may be noted due to<br />

rapid growth.<br />

• Increased frequency of intranuclear crystalline inclusions.<br />

• Conditions to consider include nodular hyperplasia, toxic<br />

hepatopathy, hepatocellular adenoma, bile duct adenoma,<br />

and cirrhosis.<br />

Hepatic Pigment Abnormalities are observed within<br />

hepatocytes appearing as shades of blue and green with routine<br />

stains. The etiology of these pigments may be differentiated<br />

by the cytochemical reactions.<br />

• Biliary stasis within canniculi appears as green casts or<br />

granular material between hepatocytes. Conditions associated<br />

with bile pigment changes include cholangitis, liver<br />

flukes, lipidosis, steroid hepatopathy, toxic hepatopathy,<br />

nodular hyperplasia, and cirrhosis.<br />

• Hemosiderosis is an overload condition in which iron appears<br />

as blue or blue-green coarse granular material that stains positive<br />

with Prussian blue. Chronic hemolysis and excessive<br />

iron supplementation are associated with hemosiderosis.<br />

• Lipofuscin appears as blue-green granules on Wright-<br />

Giemsa stained preparations which represent degenerated<br />

lipids resulting from cellular aging.<br />

• Copper accumulation appears blue-green material which<br />

stains positive with rubeanic acid. This may be a primary<br />

accumulation or secondary related to liver disease.<br />

Hepatitis/Cholangitis<br />

• Neutrophilic (suppurative) inflammation is associated<br />

with necrosis, bacterial infection, and feline suppurative<br />

cholangiohepatitis. Degenerate or nondegenerate neutrophils<br />

are increased over that found in peripheral blood.<br />

• Lymphocytic or plasmacytic (nonsuppurative) inflammation<br />

is common in feline lymphocytic cholangiohepatitis.<br />

Lymphoid cells are small, well-differentiated forms associated<br />

with chronic disease that may be difficult to distinguish<br />

on cytology from a small cell lymphoma.<br />

• Eosinophilic inflammation may be associated with liver<br />

flukes or mast cell tumor occurring within the liver.<br />

93<br />

• Pyogranulomatous inflammation consists of a mixed population<br />

of neutrophils and macrophages. This is associated<br />

with mycobacteriosis, histoplasmosis, and toxoplasmosis.<br />

Malignant Neoplasms of the Liver include primary and<br />

secondary or metastatic cancers.<br />

• Primary tumors include: hepatocellular carcinoma, bile<br />

duct carcinoma, and hemangiosarcoma<br />

• Secondary tumors include: myeloid (nonlymphoid)<br />

leukemias, intestinal carcinomas, and pancreatic islet cell<br />

tumor<br />

• Lymphoma and mast cell tumor may be primary or secondary<br />

Hematopoietic Tissue<br />

• Extramedullary hematopoiesis resembles a mixed bone<br />

marrow cell population including erythroid, granulocytic,<br />

and megakaryocytic precursors. It is often related to a<br />

physiologic need, such as in bone marrow disease or<br />

hypoxic conditions.<br />

• Myelolipoma is an uncommon tumor resembling<br />

extramedullary hematopoiesis, but also contains considerable<br />

lipid material. It is benign and often localized.<br />

Summary of Specific Hepatic Disease Cytologic Characteristics<br />

• Toxic hepatopathy: features seen include hydropic<br />

change, cholestasis, necrosis, and regeneration with fibrosis<br />

(if chronic)<br />

• Lipidosis or steroid hepatopathy: features include fatty<br />

change (lipidosis) and hydropic change (steroid hepatopathy)<br />

and cholestasis<br />

• Nodular hyperplasia or cirrhosis: features include hyperplastic<br />

hepatocytes, hyperplastic biliary epithelium,<br />

cholestasis, and fibrosis<br />

Suggested Cytology References<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University<br />

West Lafayette, Indiana, USA


Cytology of the liver: advanced case examples<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

In this discussion, we will cover the cytologic aspects of<br />

specific case examples that affect the liver. These will<br />

involve the cytodiagnostic or general classification groups of<br />

hyperplasia, inflammation, hepatic degeneration, response<br />

to tissue injury, and neoplasia.<br />

HYPERPLASIA<br />

Nodular Hyperplasia<br />

This condition is common in aged dogs and often presents<br />

with multiple randomly distributed well-defined nodules.<br />

Histologically, these retain a lobular structure in contrast to<br />

neoplastic conditions. The cytologic features of these<br />

enlarged hepatocytes include diffuse or focal vacuolization.<br />

There are discrete vacuoles containing lipid or cytoplasmic<br />

foaminess that is often associated with glycogen deposition.<br />

Regenerative Hyperplasia<br />

Damaged livers respond frequently with hyperplasia<br />

related to exposure to toxins such as drugs, aflatoxins, or<br />

plants. There is significant fibrosis that is not found in<br />

nodular hyperplasia of older dogs and the normal architecture<br />

is lost. These may be similar but not identical histologically<br />

to hepatocellular adenomas. Cytologic changes<br />

with toxic hepatopathy include an increased nuclear to<br />

cytoplasmic ratio indicating rapid growth. Frequent binucleation<br />

is noted along with mild to moderate anisocytosis<br />

of hepatocytes. In addition, the cytoplasm contains more<br />

proteins for proliferation and therefore increased cytoplasmic<br />

basophilia. Hepatocytes may display hydropic change<br />

with decreased cytoplasmic staining around the cell<br />

periphery related to organelle swelling. There appears to be<br />

an association between intranuclear crystalline inclusions<br />

and hyperplastic liver conditions although these inclusions<br />

have been noted in some clinically normal patients. With<br />

chronic injury and resulting cirrhosis, fibrocytes and<br />

fibroblasts along with wispy eosinophilic strands of collagen<br />

can be found in dense aggregates. This may be accompanied<br />

by the presence of bile casts.<br />

INFLAMMATION<br />

Suppurative Hepatitis/Cholangitis<br />

This inflammation is associated with necrosis, bacterial<br />

infection, and feline suppurative cholangiohepatitis. Degen-<br />

erate or nondegenerate neutrophils are increased over that<br />

found in peripheral blood. Bacteria may be occasionally<br />

found within neutrophils or extracellularly.<br />

Lymphocytic Cholangiohepatitis<br />

The presence of small to intermediate sized lymphocytes<br />

and plasma cells is found in this syndrome in cats often in<br />

association with a mild pancreatitis. Plugged bile canniculi<br />

may be noted in addition on cytology in this syndrome.<br />

Uncommonly, a uniform population of small lymphocytes<br />

may resemble a well-differentiated lymphoma but a mixed<br />

cell population suggests an inflammatory process.<br />

Parasitic Reaction<br />

Reaction to the presence of flukes or their eggs has been<br />

rarely noted on cytology with evidence of an eosinophilic<br />

and neutrophilic inflammatory response along with evidence<br />

of biliary stasis. Fluke eggs have been found on cytology and<br />

appear green, presumably from the bile. Platynosomum<br />

concinnum is a parasite of cats in North America with a life<br />

cycle involving lizards and snails. Amphimerus pseudofelineus<br />

is another fluke found in cats.<br />

Cytauxzoonosis<br />

This is a tick-borne disease of cats that occurs in the southern<br />

part of the United States. The organism infects organs<br />

such as the liver and can be observed from impression smears<br />

as basophilic intracytoplasmic structures (merozoites)<br />

arranged as schizonts within the swollen macrophages.<br />

HEPATIC DEGENERATION<br />

Glucocorticoid Hepatopathy<br />

94<br />

Corticosteroids that are administered exogenously or<br />

which occur in increased amounts endogenously produce a<br />

vacuolar change referred to as steroid hepatopathy. The condition<br />

can occur in both dogs and cats with similar morphologic<br />

effects. The increase in glycogen within the hepatocytes<br />

appears similar to hydropic change with indistinct vacuolization<br />

of the cytoplasm. It may be diffuse or localized to<br />

the cell periphery. Intranuclear inclusions may be observed<br />

in this condition nonspecifically along with biliary stasis.


Feline Hepatic Lipidosis<br />

This common condition occurs as a result of the accumulation<br />

of triglycerides within hepatocytes often following<br />

bouts of anorexia. As the disease is diffuse throughout the<br />

parenchyma, fine needle biopsy is often diagnostic. Hepatocytes<br />

may have single or multiple clear punctate vacuoles<br />

within the cytoplasm. At times, the vacuoles may become so<br />

numerous as to crowd the nucleus to one side of the cell. The<br />

appearance of these highly vacuolated hepatocytes can be<br />

difficult to distinguish from foamy macrophages. Also present<br />

on cytology is biliary stasis with plugged bile canniculi<br />

and increased green granules within hepatocytes. To confirm<br />

the presence of lipid within the vacuoles, one can use equal<br />

amounts of oil-Red-O and new methylene blue on unstained,<br />

unfixed smears. As the lipid is incorporated into the cell, it<br />

is a dull orange color compared to the extracellular bright<br />

orange droplets.<br />

Copper-Associated Hepatopathy<br />

Certain breeds of dogs such as Bedlington and West Highland<br />

White Terriers as well as patients with accumulations of<br />

toxic amounts of copper develop liver failure from the<br />

inflammatory reaction. Pale green refractile granules that are<br />

positive with rubeanic acid are diagnostic for copper. This<br />

may be a primary accumulation that leads to liver disease or<br />

the result of liver disease. Romanowsky staining can produce<br />

a similar stain appearance of hepatocytes granules that<br />

are positive for a bilirubin stain and therefore represent bile.<br />

However it has been noted that green granules within hepatocytes<br />

without bile casts are most likely lipofuscin. This<br />

pigment occurs with the normal aging of cells and the subsequent<br />

degeneration of cellular lipids, the so-called “wear<br />

and tear pigment”.<br />

Hemosiderosis<br />

Animals that undergo chronic breakdown of erythrocytes<br />

or receive supplemental iron develop an overload condition<br />

in which iron accumulates within hepatocytes. This material<br />

appears as blue or blue-green coarse granular material that<br />

stains positive with Prussian blue.<br />

RESPONSE TO TISSUE INJURY<br />

Amyloidosis<br />

This is an uncommon condition often related to a chronic<br />

inflammatory disease. Amyloid is identified by the presence<br />

of Congo red positive eosinophilic amorphous material<br />

around hepatocytes. Inflammatory cells such as neutrophils<br />

and lymphocytes are often present in this situation.<br />

NEOPLASIA<br />

Hepatocellular Adenoma<br />

95<br />

This uncommon neoplastic condition usually presents as a<br />

solitary lesion in dogs and cats. Clinical signs are generally<br />

minimal so these tumors are generally found incidentally at<br />

necropsy. Histologically, these compressive lesions contain<br />

minimal fibrosis. Hepatocytes are uniform in appearance but<br />

larger than normal containing increased amounts of lipid,<br />

glycogen, or lipofuscin granules within the cytoplasm. There<br />

is mild anisocytosis and anisokaryosis as well as increased<br />

basophilia of the cytoplasm. Nucoleoli are slightly more<br />

prominent than normal. Mitotic figures are not common.<br />

Hepatocellular Carcinoma<br />

It is said that hepatocellular carcinoma is more common<br />

in dogs than cholangiocarcinoma. In the cat, cholangiocarcinoma<br />

is considered to occur more frequent than hepatocellular<br />

carcinoma. Clinical signs reflect liver disease with<br />

increased activity of several hepatic enzymes. Histologically,<br />

hepatic trabeculae appear thick or variable in size<br />

compared with more uniform and thinner trabeculae of<br />

adenoma lesions. Cytologically, hepatocytes may resemble<br />

normal hepatocytes but in poorly differentiated forms,<br />

hepatocytes appear highly pleomorphic making diagnosis<br />

of malignancy easier. In these cases, malignant features of<br />

anisokaryosis, multinucleation, high and variable nuclear<br />

to cytoplasmic ratio, and multiple nucleoli are present.<br />

Mitotic figures are more frequent in the carcinoma compared<br />

with the adenoma.<br />

Cholangiocarcinoma<br />

This is a relatively uncommon tumor but in cats it may be<br />

the most frequent primary hepatic malignancy according to<br />

some studies. Histologically, there are acinar formations<br />

especially in the more well-differentiated tumors and fibrous<br />

connective tissue may be substantial. A mucinous cystic fluid<br />

often fills the lumen. Mitotic figures are often much more<br />

abundant compared with hepatocellular carcinoma. Cytologically,<br />

the cells tend to exfoliate in dense clusters. The welldifferentiated<br />

tumors have relatively uniform size and<br />

cuboidal shape with scant cytoplasm. More anaplastic<br />

changes such as anisokaryosis, prominent nucleoli, and high<br />

nuclear to cytoplasmic ratio are seen with the poorly-differentiated<br />

cholangiocarcinoma.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University,<br />

West Lafayette, Indiana, USA


Cytology of body cavity fluids: review of basic changes<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

What is an effusion?<br />

An effusion represents increased accumulations of fluid<br />

within a mesothelial cell-lined body cavity. The body cavities<br />

included are the abdominal or peritoneal, thoracic or<br />

pleural, and pericardial. The presence of an effusion is recognized<br />

when animals display clinical signs of dyspnea,<br />

muffled heart sounds, ascites, or abdominal pain. These relatively<br />

clear fluids are formed generally by three mechanisms.<br />

• High hydrostatic pressure from within blood or lymph<br />

channels related to obstruction to flow<br />

• Low oncotic pressure within vessels due to hypoalbuminemia<br />

which won’t retain fluids<br />

• Increased membrane permeability resulting from inflammation<br />

How are effusions collected and fluids<br />

processed?<br />

Peritoneal fluid is collected from the animal in left lateral<br />

recumbency or in a standing position. Following surgical<br />

preparation of the site between the umbilicus and urinary<br />

bladder, a 20-22 g needle is used to penetrate the abdomen<br />

slightly lateral to the midline. Fluid may drip into a tube or<br />

be suctioned using 6 or 12 ml syringes.<br />

The pleural fluid is collected with the patient standing or<br />

sitting. A flexible (intravenous) catheter is placed in the 7 th or<br />

8 th intercostal space following surgical preparation and infiltration<br />

with a local anesthetic. A 3-way stopcock may be used<br />

to remove large volumes of fluid and prevent air leakage.<br />

The pericardial sac fluid is removed with the patient<br />

sedated and in lateral recumbency. A venous catheter is<br />

placed into the lower portion of the 4 th intercostal space<br />

towards the heart until it penetrates the pericardium.<br />

For each of the sites, one ml of fluid should be placed into<br />

a red top tube for culture with the remainder used to make<br />

direct smears by coverslip or glass slide and then placed into<br />

purple EDTA tubes for cell counts and protein analysis. If<br />

direct smears cannot be made immediately the fluid can be<br />

placed into an EDTA tube and processed later.<br />

How are effusions evaluated?<br />

• Color and degree of transparency is recorded along with<br />

any noticeable odor<br />

• Total solids or protein is measured by refractometer, especially<br />

after centrifugation in a microhematocrit tube if the<br />

fluid is not clear<br />

• Cell counts may be made by automated counter, if clear.<br />

Otherwise most fluids are counted by hemocytometer<br />

• A smear (squash method) is performed between two coverslips<br />

or two glass slides for identification of cell types,<br />

presence of infectious agents or neoplasia.<br />

• Cell types often recognized in effusions include:<br />

1. Large mononuclear cells may be mesothelial cells or<br />

macrophages. These cells are difficult to distinguish<br />

and are therefore grouped into one category. These<br />

should be the predominant cells in effusions.<br />

2. Neutrophils are often present as the predominant cell<br />

type in horses but not in dogs and cats. Record the presence<br />

of degeneration if seen. Increased numbers signifies<br />

the presence of inflammation.<br />

3. Small mononuclear cells are lymphocytes which are<br />

present in low numbers normally.<br />

4. Eosinophils are rarely present in effusions, but should<br />

be recorded separately, if present.<br />

How are effusions classified?<br />

96<br />

Most body cavity fluids are classified as transudates,<br />

modified transudates, or exudates based on protein content<br />

and cell counts.<br />

• Transudate has low cellularity (< 1000/µl for most animals)<br />

and low protein content (< 2.5 g/dl). It is generally formed<br />

as a result of low oncotic pressure related to severe hypoalbuminemia<br />

(< 1.0 g/dl) that can develop from nephrotic<br />

syndrome, for example. Low protein fluid may also develop<br />

from portal hypertension related to the leakage of lymph<br />

with low protein content from the intestinal portal vessels<br />

as a result of increased hydrostatic pressure.<br />

• Modified Transudate indicates an effusion of variable cellularity<br />

and protein content. It is often formed as a result<br />

of increased hydrostatic pressure. Nonseptic intestinal<br />

disease in horses such as volvulus and right-sided heart<br />

failure are common causes.<br />

• Exudate is an effusion with inflammation. Cell counts are<br />

increased (> 5000/µl for most animals). Protein is often<br />

increased (> 3.0 g/dl). Due to the increased cell count, the<br />

character of the fluid is often cloudy.<br />

Septic Exudate indicates a visible microorganism, usually<br />

bacterial or fungal, is present in the cells of the smear.<br />

Causes include penetrating wounds, gut rupture, or mycotic<br />

enteritis.<br />

Nonseptic Exudate indicates the lack of a visible microorganism<br />

within neutrophils or macrophages. Causes may<br />

include Feline Infectious Peritonitis (FIP), bile leakage, egg<br />

yolk peritonitis, or uroperitoneum.


When a specific diagnosis is possible, other terms are<br />

used to describe the effusions such as hemorrhagic, chylous,<br />

bilious, or neoplastic.<br />

• Hemorrhagic effusion is colored red, pink, or occasionally<br />

yellow. This category is used when the effusion is<br />

bloody due to acute or chronic hemorrhage without the<br />

presence of another abnormality. It is not used to imply<br />

blood contamination. It is commonly associated with pericardial<br />

effusion.<br />

Acute hemorrhage is characterized by intact erythrocytes<br />

engulfed by macrophages or neutrophils. Peracute bleeding<br />

and blood contamination are associated with platelets which<br />

can remain intact for about one-half hour following collection.<br />

Chronic hemorrhage is characterized by hemosiderinladen<br />

macrophages, cells containing coarse blue-black granules<br />

which are positive for iron using Prussian blue stain.<br />

• Chylous effusion has a white or pink white color with no<br />

transparency; therefore termed opaque. This is most often<br />

related to the presence of chyle from rupture of the thoracic<br />

duct lymphatics which may be caused by trauma,<br />

neoplasia, infection, or idiopathic reasons. Chyle consists<br />

of chylomicrons which are composed of triglycerides. The<br />

condition can be diagnosed by the presence of high<br />

triglyceride concentrations, often > 100 mg/dl in the effusion<br />

fluid. WBC counts are increased over transudates,<br />

but < 10,000/µl and the predominant cells are small to<br />

medium lymphocytes.<br />

• Neoplastic effusion indicates an abnormal cell population<br />

is present, displaying features of malignancy. Common<br />

neoplasms to consider include: lymphoma, carcinoma, or<br />

Classification of Body Cavity Effusions in Small Animals<br />

Color/Turbidity Total Protein Specific WBC Predominant Cell Type<br />

(g/dl) Gravity (# per µl)<br />

Transudate Colorless/Clear < 2.5 < 1.017 < 1000 Mesothelial<br />

Modified Light yellow to apricot/ 2.5 - 5.0 1.017 - 1.025 500 - 10,000 Mixed population<br />

Transudate Clear to Cloudy<br />

Exudate Apricot to tan/Cloudy > 3.0 > 1.025 > 5,000 Neutrophils<br />

nonseptic: nondegenerative<br />

septic: degenerative<br />

Hemorrhagic Pink to red/Cloudy > 3.0 > 1.025 > 1,000 Erythrocytes<br />

WBCs similar to blood<br />

Macrophages display<br />

erythrophagocytosis<br />

Chylous White/Opaque > 3.0 > 1.018 Variable Acute: Small lymphocytes<br />

Chronic: Mixed population<br />

Bilious Dark yellow or brown > 3.0 > 1.025 > 5,000 Mixed population with green-black<br />

or green/Opaque or yellow material phagocytized<br />

by macrophages<br />

Neoplastic Light yellow or apricot/ 2.5 - 5.0 > 1.018 500 - 10,000 Reactive mesothelium<br />

Clear or Cloudy Neoplastic cells<br />

97<br />

mesothelioma. Cell counts and protein may be similar to<br />

a modified transudate or an exudate. Pericardial effusions<br />

have been reported to be distinguished by pH. Alkaline<br />

effusions (pH ≥ 7.0) measured by a urine reagent dipstick<br />

are associated with neoplasia while effusions pH < 7.0 are<br />

associated with benign lesions.<br />

• Bilious effusion is formed from the rupture of the common<br />

bile duct or leakage from intrahepatic bile ducts. The color<br />

is dark yellow or green and generally opaque. Some<br />

bile is termed “white” since only amorphous noncolored<br />

protein material is present. Inflammation by a mixed cell<br />

population is common.<br />

Suggested Cytology References<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000.<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99.<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001.<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University<br />

West Lafayette, Indiana, USA


Cytology of body cavity fluids: advanced case examples<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

In this discussion, we will cover the cytologic aspects of<br />

specific case examples that involve the body cavities lined<br />

by mesothelium. These will involve infectious agents, parasites,<br />

foreign material, and neoplasia.<br />

Actinomycosis<br />

The anaerobic bacteria from the family Actinomycetaceae<br />

are normally found in the oral cavity but when inhaled or<br />

inoculated into other tissues produce considerable hemorrhage<br />

and a mixed neutrophilic and macrophagic response.<br />

Neutrophils are frequently degenerate with marked karyolysis.<br />

Effusions appear serosanguineous to purulent with often<br />

macroscopic yellow-tan granules (sulfur granules) that contain<br />

colonies of the organisms. This appearance has been<br />

often called “tomato soup”. By crushing the yellow fragments,<br />

one has a better chance of seeing the pleomorphic filamentous<br />

bacteria which are both intracellular and extracellular.<br />

These slender bacteria resemble dots and dashes with<br />

a beaded eosinophilic appearance.<br />

Histoplasmosis<br />

This is a fungal disease of dogs and cats found in various<br />

parts of the world including the United States, Italy, Croatia,<br />

Austria, Japan, and Australia. It is present in the soil<br />

associated with bird and bat excrement. The disease produces<br />

pulmonary nodules from inhalation of the microconidia<br />

of the mycelial phase. Within the body the higher temperature<br />

causes the organism to convert to the yeast phase<br />

which can disseminate widely throughout affecting the<br />

blood, bone marrow, lymph nodes, spleen, liver, and gastrointestinal<br />

tract in addition to the respiratory tract especially<br />

if the animal is immunocompromised.<br />

Typically, there are a variable number of intracellular<br />

organisms within macrophages and neutrophils and rarely<br />

eosinophils. The yeast form is recognized by its uniform<br />

oval shape measuring 2x4 microns. The basophilic center<br />

has a clear halo caused by shrinkage during staining. Periodic<br />

acid-Schiff staining can enhance its appearance especially<br />

in histologic sections.<br />

Feline Infectious Peritonitis<br />

Young cats are most prone to infection by this coronavirus<br />

leading to effusive and noneffusive forms of the disease.<br />

Cats with the effusive form of FIP present with ascites or<br />

thoracic effusion. The fluid in these cases is clear, straw to<br />

golden colored, and viscous. It is an exudate with high cellularity,<br />

counts that range from 1,000-10,000/ul and occasionally<br />

up to 30,000/ul. The protein content is also very<br />

high, often greater than 4.5 g/dl causing the fluid to froth<br />

upon shaking. Most of the protein is globulin, beta or gamma.<br />

It is reported that an albumin to globulin ratio of less<br />

than 0.8 on the fluid is suggestive of FIP or if the gamma<br />

globulin content is greater than 32%. Cytologically, the high<br />

protein content produces a very granular and basophilic<br />

background. Cells present in this fluid are predominantly<br />

nondegenerate neutrophils with lower numbers of large<br />

mononuclear cells which are mesothelium or macrophages.<br />

Occasional lymphoid cells namely small lymphocytes and<br />

plasma cells also may be seen. There is no evidence of bacterial<br />

infection.<br />

Cestodiasis<br />

Animals living in the western part of North America may<br />

be infected by aberrant migration of intestinal tapeworm<br />

parasites. Most affected are dogs which present with abdominal<br />

distension, lethargy, and anorexia. Grossly, the fluid has<br />

a tapioca pudding appearance due to the large pieces of tissue<br />

debris suspended in the cloudy tan-colored fluid. Cytologic<br />

analysis of the abdominal fluid reveals a mixed inflammatory<br />

exudate with numerous calcareous corpuscles (clear<br />

yellow-gold, round to oval structures) typical of Mesocestoides<br />

species infection. Less often seen are visible<br />

tetrathyridia which are the larval form of the parasite. These<br />

larvae have oval structures at one end that represent suckers.<br />

Polymerase chain reaction amplification can be performed<br />

to identify cestode DNA.<br />

Uroperitoneum<br />

98<br />

Rupture of parts of the urinary tract is responsible for this<br />

condition. Urine in the peritoneal cavity acts as a chemical<br />

irritant producing an inflammatory response or exudate. Due<br />

to the dilution by the fluid, the protein content is often low.<br />

Early in the condition, a mononuclear predominance is present<br />

but as the irritation continues inflammation results. Neutrophils<br />

present in this toxic environment display karyolysis<br />

giving the nuclear border a ragged appearance. In some cases<br />

urine crystals can be identified. Indicators for the presence<br />

of urine include increased amounts of potassium or creatinine<br />

in the fluid, generally in the ratio of 2:1 compared<br />

with that in serum.


Bilious Effusion<br />

Injury to the gall bladder or bile duct can result in release<br />

of bile into the peritoneum. The fluid color is usually brown,<br />

green, or dark yellow. The cell count often reflects the exudative<br />

character of the fluid. The cells include mostly nondegenerate<br />

or mildly karyolytic neutrophils as well foamy or<br />

highly vacuolated macrophages. These macrophages are noted<br />

to contain golden yellow to blue-green amorphous material,<br />

similar to that seen in the background. Also present in<br />

the background may be evidence of a lightly basophilic<br />

amorphous material that results from the mucus produced,<br />

the so called “white bile”. Additional support for biliary<br />

leakage is measurement of increased concentration of bilirubin<br />

above levels in serum.<br />

Chylous Effusion<br />

This effusion is most often found in the thorax but rarely<br />

produces an ascites. It is characterized by a white or pink<br />

white color that is opaque related to the presence of chyle.<br />

Chyle consists of chylomicrons which are composed of<br />

triglycerides.<br />

The condition arises from rupture of the thoracic duct<br />

lymphatics which may be caused by trauma, neoplasia,<br />

infection, or idiopathic reasons. Biochemically, the condition<br />

can be diagnosed by the presence of high triglyceride<br />

concentrations, often > 100 mg/dl in the effusion fluid. WBC<br />

counts are elevated generally < 10,000/:l and the predominant<br />

cells are small to medium lymphocytes. Long-standing<br />

chylous effusions may result in a mixed inflammatory<br />

response with neutrophils and macrophages.<br />

Lymphoma<br />

Clinical signs of a mass with associated effusion suggest<br />

neoplasia versus rupture of thoracic duct with resulting chylous<br />

fluid. The exfoliation of a lymphoid neoplasm into the<br />

body cavity can be difficult to recognize if small or medium<br />

size lymphocytes predominate. Lymphoid cells measuring 3<br />

or more times the size of a red cell are abnormal by their large<br />

size. There may be one or more prominent nucleoli as well.<br />

The monomorphism of the cell population and increased cell<br />

99<br />

count will also support a diagnosis of lymphoma. Some Tcell<br />

lymphomas may be accompanied by a paraneoplastic<br />

population of eosinophils. Such increases may cause the<br />

effusion fluid to appear grossly green. Immunophenotyping<br />

is recommended to better characterize the neoplasm for biological<br />

behavior and hence treatment.<br />

Mesothelioma<br />

Mesothelium is specialized epithelium derived embryologically<br />

from the mesoderm. Rare instances of mesothelioma<br />

are encountered. Effusions with abnormal large<br />

mononuclear cells arranged in large clusters raise suspicion<br />

for neoplasia. Most frequently, inflammatory effusions contain<br />

small cell clusters of mesothelium consistent with a<br />

reactive response. Mesothelioma cells resemble carcinomas<br />

as several nuclear criteria for malignancy are present. These<br />

may include anisokaryosis, variable and high nuclear to<br />

cytoplasmic ration, coarse chromatin, prominent and multiple<br />

nucleoli, and multinucleation. Large rafts of malignant<br />

appearing cells without evidence of inflammation provide<br />

strong support for a neoplastic population. It has been<br />

reported that pericardial effusions with a pH greater than or<br />

equal to 7.0 as determined by urine reagent dipstick are<br />

more likely neoplastic whereas a more acid pH is associated<br />

with benign or inflammatory causes. The best determination<br />

of malignancy is best made on clinical history and<br />

histopathology.<br />

Bibliography<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000, pp 159-176.<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99, pp 142-158.<br />

Greene CE. Infectious Diseases of the Dog and Cat: WB Saunders Co, Philadelphia;<br />

<strong>19</strong>98, pp 58-69, 378-383.<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001, pp.187-205.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University,<br />

West Lafayette, Indiana, USA


Exotic pet cytology:<br />

a new and not well known field of interest<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

The same cytologic principles and general categories of<br />

cytodiagnosis apply in exotic pets similar to those in dogs<br />

and cats. The major differences are the recognition of<br />

inflammatory cell types and the unusual infectious agents<br />

that can affect these species. General cytodiagnostic categories<br />

of cytology include inflammation, response to tissue<br />

injury, and neoplasia. Examples of cases presented will<br />

focus on reptiles and small domestic mammals.<br />

Reptile Inflammatory Cells<br />

Inflammation can be classified by the type of cells that<br />

predominant in the lesion such as heterophilic, macrophagic,<br />

eosinophilic, or mixed cell. The heterophilic response is<br />

the most acute and common with bacterial infections. The<br />

heterophil is large (10-23 microns) and contains numerous<br />

fusiform, bright orange-pink granules. In contrast to birds<br />

which have lobed nuclei, most reptiles have a round to oval<br />

nucleus, but some lizards have nuclei with multiple lobes.<br />

The heterophil is similar to the mammalian neutrophil in its<br />

functions of phagocytosis and microbiocidal activity. During<br />

acute inflammation degranulation and cellular degeneration<br />

occurs causing a center of necrotic tissue that incites<br />

macrophages to enter leading to a mixed cell reaction. Compared<br />

with mammals, inflammation in reptiles does not produce<br />

liquid creamy pus but rather a yellow-white caseous<br />

material. Macrophages appear similar to those of mammals<br />

and are derived from monocytes. Giant cells, derived from a<br />

grouping of macrophages, may occur within hours in birds,<br />

and possibly the same is true in reptiles. Therefore the presence<br />

of giant cells may not indicate chronicity as it does in<br />

mammals. Some reptiles such as the iguana and certain tegu<br />

and dragon lizards as well as snakes have a subset of monocytes<br />

termed azurophils. These cells have numerous fine<br />

eosinophilic granules dispersed throughout the cytoplasm.<br />

Eosinophils are infrequently found in inflammatory responses.<br />

They may contain round green blue to gray granules as in<br />

the iguana or contain the more typical eosinophilic round<br />

granules. It is not unusual to find in inflammatory lesions<br />

evidence of thrombocytes present as tight clusters indicating<br />

recent bleeding.<br />

Kurloff Bodies in Guinea Pigs<br />

These are unique structures found in up to 4% of leukocytes<br />

in blood. These variably sized mucopolysaccharide<br />

cytoplasmic inclusions occur within some lymphocytes of<br />

guinea pigs or of related species, such as the capybara. They<br />

appear as round granular eosinophilic structures that are<br />

thought to provide natural killer cell function and are associated<br />

with some lysosomal enzymes.<br />

Heterophils in Rabbits<br />

The neutrophil of the rabbit and to a lesser degree in the<br />

guinea pig appear more eosinophilic than the typical clear or<br />

lightly granular cytoplasm of other mammalian species. This<br />

has given rise to the term “pseudoeosinophil”. The increase<br />

in staining is related to the fusion of many small acidophilic<br />

granules or primary granules. The colored cytoplasm as<br />

opposed to the neutral or nonstaining appearance allows<br />

these leukocytes to be best termed as heterophils. Their<br />

function is identical to other mammals but they do not stain<br />

cytochemically for myeloperoxidase as most mammals.<br />

Egg Yolk Peritonitis<br />

The appearance of a cloudy coelomic effusion in a bird or<br />

reptile with the microscopic appearance of amorphous<br />

basophilic material in the background suggests the presence<br />

of egg yolk following rupture into the body cavity. The protein<br />

content is elevated above 3 g/dl. The inflammatory<br />

response is mixed with heterophils and macrophages some<br />

of which appear to contain cellular debris. There is no evidence<br />

of infection.<br />

Respiratory Cytology<br />

100<br />

Washes of the nasal passages, trachea, and bronchi are a<br />

frequent method of evaluation of the respiratory tract in reptiles.<br />

The epithelium is similar to that of mammals in that<br />

cuboidal shape predominates in the nasal region whereas<br />

columnar ciliated epithelium is found along the trachea and<br />

larger bronchi.<br />

Alveolar macrophages are present within bronchoalveolar<br />

washes of the lung. Most frequently bacterial infections<br />

are encountered with rods being most frequent. The presence<br />

of intracellular bacteria within heterophils or<br />

macrophages suggests true sepsis and not contamination.<br />

Occasional lung parasites have been identified by the presence<br />

of ova or larva within the washes.


Gastrointestinal Cytology<br />

Gastric lavages are a common method of evaluation of<br />

digestive tract abnormalities in snakes. The presence of<br />

infections by an overgrowth of bacteria or by protozoal<br />

agents can be recognized. Small round lightly basophilic<br />

structures measuring 4-6 microns with purple granular internal<br />

structure have been identified in snakes with clinical<br />

signs of regurgitation and weight loss. These protozoal<br />

organisms are accompanied by an inflammatory response by<br />

macrophages predominantly. The organisms stain positive<br />

for acid-fast staining and are diagnosed as Cryptosporidium<br />

sp. by fluorescent antibody technique.<br />

Gout<br />

This is an inflammatory condition derived from the build<br />

up of uric acid crystals in internal organs or joints often to<br />

dietary factors such as increased protein intake and<br />

decreased water consumption. Support for the diagnosis can<br />

be made by examining aspirated crystalline material microscopically<br />

looking for characteristic needle-shaped colorless<br />

crystals that demonstrate birefringence through polarized<br />

lenses. Serum levels of uric acid concentration are often<br />

markedly elevated. The differential for crystalline deposits<br />

in the subcutaneous tissues or organs is pseudogout derived<br />

from metastatic or dystrophic calcification with the deposit<br />

of calcium phosphate (hydroxyapatite) in turtles and lizards.<br />

Mammary gland tumors in rats<br />

Fibroadenoma is a very common benign condition in the<br />

rat. Grossly, the masses may be very large and weigh as<br />

much as the animal but do not metastasize. These are benign<br />

lesions under hormonal influence. These subcutaneous<br />

swellings often appear along the ventral abdomen from the<br />

axillary to the inguinal region. Another common lesion is the<br />

fibroadenomatous hyperplasia which may appear similar<br />

with reactive epithelial cells having a higher nuclear to cytoplasmic<br />

ratio, secretory activity and few if any malignant<br />

features. There is often connective tissue proliferation resulting<br />

in minimal cellularity or the presence of reactive fibroblasts.<br />

In contrast to this tumor, mammary cysts can be identified<br />

cytologically by aspiration of a proteinaceous serous<br />

fluid of low cellularity with mostly a few mononuclear cells<br />

such as macrophages.<br />

Lymphoma in ferrets<br />

101<br />

Lymphoma is a common neoplastic condition in ferrets<br />

accounting for approximately 12% of all tumor types. The<br />

most common type in adults is a multicentric lymph node<br />

presentation composed of small lymphocytes predominantly.<br />

This leads to often an equivocal diagnosis of lymphoma<br />

on cytology. In these cases histopathology is highly recommended.<br />

Affected lymph nodes may be found in the cervical,<br />

peripheral, or abdominal regions. The next most common is<br />

the juvenile form in ferrets less than 2 years of age. This<br />

often presents acutely with respiratory distress as mediastinal<br />

proliferation is present frequently involving the thymus.<br />

The spleen and liver may be affected in the juvenile forms<br />

along with peripheral lymphocytosis. Cells are more immature<br />

involving medium to large lymphocytes and most often<br />

of T-cell phenotype. Another form of lymphoma that exists<br />

in the adult ferret consists of immature lymphoid cells and<br />

occurs in a variety of locations. Splenic aspirates from ferrets<br />

with splenomegaly can be frustrating as small lymphocytes<br />

are typically most abundant. Furthermore, in the<br />

majority of instances extramedullary hematopoiesis will be<br />

evident by the frequency of erythroid precursors. In lymphoma<br />

of the spleen one should find a monomorphic population<br />

of cells with large nuclei, prominent nucleoli, and an<br />

absence of hematopoietic precursors.<br />

Bibliography<br />

Benirschke K et al (eds). Pathology of Laboratory Animals: Springer-Verlag,<br />

New York. <strong>19</strong>78, pp 1<strong>19</strong>4-1<strong>21</strong>3<br />

Campbell TW. Clinical pathology. In: Mader D (ed): Reptile Medicine and<br />

Surgery. WB Saunders Co, Philadelphia. <strong>19</strong>96, pp 248-251.<br />

Erdman SE et al. Clinical and pathologic findings in ferrets with lymphoma:<br />

60 cases (<strong>19</strong>82-<strong>19</strong>94). J Am Vet Med Assoc. <strong>19</strong>96, 1285-1289.<br />

Harr KE et al. Gastric lavage from a Madagascar tree boa (Sanzinia madagascarensis).<br />

Vet Clin Pathol. 2000, 93-96.<br />

Montali RJ. Comparative pathology of inflammation in the higher vertebrates<br />

(reptiles, birds, and mammals). J Comp Path. <strong>19</strong>88; 99:1-26.<br />

Raskin RE. Reptilian complete blood count, In: Fudge AM (ed): Laboratory<br />

Medicine: Avian and Exotic Pets. Philadelphia, WB Saunders Co,<br />

2000, pp. <strong>19</strong>3-<strong>19</strong>7.<br />

Thrall MA et al (eds). Veterinary Hematology and Clinical Chemistry: Lippincott<br />

Williams & Wilkins, Philadelphia. 2004, pp <strong>21</strong>1-224, 259-276.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology Purdue University,<br />

West Lafayette, Indiana, USA


Advanced Cytology on Skin Mass<br />

Rose E. Raskin<br />

DVM, PhD, Dipl ACVP, West Lafayette, Indiana, USA<br />

Follicular cyst<br />

This nonneoplastic lesion may also be termed epidermal<br />

inclusion cyst or epidermoid cyst. These cysts are found in a<br />

third to a half of the nonneoplastic noninflammatory tumorlike<br />

lesions removed in dogs and cats, respectively. The cyst<br />

occurs most frequently in middle to older aged dogs. They<br />

may be single or multiple, firm to fluctuant, with a smooth,<br />

round, well circumscribed appearance. These are often<br />

located on the dorsum and extremities. Keratin bars,<br />

squames, or other keratinocytes predominate on cytology.<br />

Degradation of cells within the cyst may lead to the formation<br />

of cholesterol crystals which appear as negative stained,<br />

irregularly notched, rectangular plates best seen against the<br />

amorphous basophilic cellular debris of the background.<br />

Mucocele or Sialocele<br />

Duct rupture related to trauma or infection leads to an<br />

accumulation of saliva within the subcutaneous tissues. The<br />

presence of a fluctuant mass containing clear to bloody fluid<br />

with string-like features suggests a salivary gland duct<br />

rupture. The cytologic specimen often stains uniformly purple<br />

from the high protein content. The background may contain<br />

scattered, pale basophilic, amorphous material, consistent<br />

with saliva. The fluid is often bloody with evidence of<br />

both acute and chronic hemorrhage. Erythrophagocytosis is<br />

common and occasional yellow rhomboid crystals may be<br />

seen. These are termed hematoidin crystals and are associated<br />

with chronic hemorrhage. The nucleated cell population<br />

consists predominately of highly vacuolated macrophages<br />

displaying active phagocytosis. Distinction between these<br />

cells and secretory glandular tissue may be difficult, especially<br />

when cells are individualized and nonphagocytic.<br />

Nondegenerate neutrophils are common, becoming degenerate<br />

when bacterial infection occurs.<br />

Nodular panniculitis/steatitis<br />

This condition may have an infectious or noninfectious etiology.<br />

Causes of noninfectious panniculitis include trauma,<br />

foreign bodies, vaccination reactions, immune-mediated conditions,<br />

drug reactions, pancreatic conditions, nutritional deficiencies,<br />

and idiopathic. The condition appears in the cat and<br />

dog as solitary or multiple, firm to fluctuant, raised, well<br />

demarcated lesions. These may ooze an oily yellow-brown<br />

fluid. Sites of prevalence involve the dorsal trunk, neck, and<br />

proximal limbs. Cytologically, nondegenerate neutrophils and<br />

macrophages predominate against a vacuolated background<br />

composed of adipose tissue. Small lymphocytes and plasma<br />

may be numerous, especially in lesions induced by vaccination<br />

reactions. Frequently, macrophages present with abundant<br />

foamy cytoplasm or as giant multinucleated forms. When<br />

chronic, evidence of fibrosis is indicated by the presence of<br />

plump fusiform cells with nuclear immaturity. The fibrosis<br />

may be so extensive as to suggest a mesenchymal neoplasm.<br />

Neoplasia<br />

102<br />

Neoplasia is initially diagnosed when a monomorphic cell<br />

population is present and significant inflammation is lacking.<br />

Further division into benign and malignant types is<br />

based on cytomorphologic characteristics. Benign cells display<br />

uniformity in size, nuclear to cytoplasmic ratio, and<br />

other nuclear features. Malignant cells often display three or<br />

more anaplastic cellular features.<br />

Malignant features include variation in cell size, cell<br />

shape, or state of maturation between cells from a similar<br />

origin (pleomorphism). Variation in nuclear size is termed<br />

anisokaryosis. The nuclear to cytoplasmic ratio (N:C) is<br />

high or variable. Chromatin may be coarsely clumped.<br />

Nucleoli are enlarged, multiple, and variably-shaped. Abnormal<br />

mitotic figures have uneven divisions or isolated chromatin.<br />

Nuclear molding occurs with rapid growth of cells.<br />

Neoplasms can be divided into four general categories<br />

based on their morphologic appearance. These categories of<br />

neoplasms are: epithelial, mesenchymal, round or discrete,<br />

and naked nuclei.


Squamous cell carcinoma<br />

This is a common tumor occurring as solitary or multiple<br />

proliferative or ulcerative masses. It is most common on the<br />

limbs of dogs and thinly haired areas of the pinnae or face of<br />

cats. Cytologically, purulent inflammation often accompanies<br />

immature or dysplastic squamous epithelium. Bacterial<br />

sepsis may occur if the surface has eroded.<br />

Characteristic tadpole shape and keratinized blue-green<br />

cytoplasm may be helpful criteria in determining the cell of<br />

origin.<br />

Squames and highly keratinized nucleated squamous<br />

epithelium are frequent in well-differentiated tumors corresponding<br />

to the keratin pearls seen histologically. Cellular<br />

and nuclear pleomorphism is marked. Perinuclear vacuolation<br />

may be present. The neoplastic epithelium may appear<br />

as individual cells or as adherent sheets of cells.<br />

Basal cell tumor<br />

Found commonly in dogs and cats as typically a single,<br />

firm, elevated, well demarcated round intradermal mass<br />

that may be ulcerated or cystic. Many tumors appear pigmented<br />

due to abundant melanin. Tumors in cats may be<br />

cystic. They are located mostly about the head with frequent<br />

occurrence on the neck and limbs. Cytologically,<br />

basal cells are small cells characterized by high nuclear to<br />

cytoplasmic ratios, monomorphic nuclei, and deeply<br />

basophilic cytoplasm. They may be arranged as clusters or<br />

in row formation.<br />

Perianal gland adenoma<br />

The tumor may be single or multiple occurring generally<br />

near the anus, but may also be found on the tail, perineum,<br />

prepuce, thigh, and along the dorsal or ventral midline. Initially<br />

they grossly appear as smooth, raised round lesions<br />

which become lobulated and ulcerated as they enlarge. The<br />

tumor arises from modified sebaceous gland epithelium.<br />

Cytologically, sheets of mature round hepatoid cells predominate<br />

characterized by abundant finely granular pinkish-blue<br />

cytoplasm. Nuclei resemble those of normal hepatocytes<br />

appearing round with an often single or multiple,<br />

prominent, nucleolus. A low number of smaller basophilic<br />

reserve cells having a high nuclear to cytoplasmic ratio may<br />

also be present, but these lack features of cellular pleomorphism.<br />

Cytomorphologic Categories of Neoplasia<br />

Category General Features Examples<br />

Epithelial Clustered, tight arrangement of cells Transitional cell carcinoma, lung tumors<br />

Mesenchymal Individualized, spindle to oval cells Hemangiosarcoma, osteosarcoma<br />

Round/Discrete Cell Individualized, round, discrete cells Lymphoma, transmissible venereal tumor<br />

Naked Nuclei Loosely adherent cells with free round nuclei Thyroid tumors, paragangliomas<br />

Fibrosarcoma<br />

103<br />

In young cats this tumor may be caused by the feline sarcoma<br />

virus and may be multiple. In older dogs and cats,<br />

tumors are solitary with a predilection for the limbs, trunk,<br />

and head. They are poorly circumscribed and sometimes<br />

ulcerated. Cytologically, fibrosarcoma consists of abundant<br />

numbers of large plump cells occurring individualized or in<br />

aggregates.<br />

Multinucleated giant cells may be present occasionally.<br />

Nuclear pleomorphism may be marked compared with the<br />

benign counterpart. Cells are less uniform and generally<br />

have high nuclear to cytoplasmic ratios.<br />

Canine hemangiopericytoma<br />

This is a common tumor generally considered to affect<br />

dogs only. These are often solitary tumors with a predilection<br />

for the joints of the limbs, but are found commonly on<br />

the thorax and abdomen. They are firm to soft, multilobulated,<br />

and often well circumscribed. Cytologically, preparations<br />

are moderately cellular. Plump spindle cells may be<br />

individualized or arranged in bundles, sometimes found<br />

adherent to the surface of capillaries. Nuclei are ovoid, with<br />

one or more prominent central nucleoli. Multinucleated cells<br />

are occasionally seen.<br />

Associated with cells may be a pink amorphous collagenous<br />

stroma. The cytoplasm is basophilic and may contain<br />

numerous small discrete vacuoles. Lymphoid cells have<br />

been found in approximately 10% of cases.<br />

Lipoma<br />

This is the most common connective tissue tumor in dogs.<br />

The tumor may be single or multiple, occurring mostly on<br />

the trunk and proximal limbs.<br />

These are dome-shaped, well circumscribed, soft, often<br />

freely moveable masses within the subcutis which can grow<br />

slowly becoming quite large.<br />

Cytologically, unstained slides appear wet with glistening<br />

droplets that do not dry completely. Lipid may be best<br />

demonstrated with a water soluble stain (new methylene<br />

blue) and a fat stain (oil-red-O). When stained with alcoholbased<br />

Romanowsky stains, lipid is dissolved leaving slides<br />

often void of cells. When present, intact adipocytes have<br />

abundant clear cytoplasm with a small compressed nucleus<br />

to one side of the cell.


Hemangiosarcoma<br />

This is a malignant infiltrative mass of the dermis or subcutis.<br />

Lesions are raised, poorly circumscribed, ulcerated,<br />

and hemorrhagic. Cytologically, slide preparations are of<br />

low cellularity with numerous blood cells within the background.<br />

Evidence of hemorrhage with hemosiderin-laden<br />

macrophages may be present. Neoplastic cells are pleomorphic<br />

ranging from large spindle to stellate. Cytoplasm is<br />

basophilic, having indistinct cell borders and occasional<br />

punctate vacuolation. Cells have high nuclear to cytoplasmic<br />

ratios, oval nuclei with coarse chromatin and prominent<br />

multiple nucleoli.<br />

Melanoma<br />

Benign tumors are mostly dark brown to black, circumscribed,<br />

raised, dome-shaped masses covered by smooth<br />

hairless skin. Malignant tumors are variably pigmented,<br />

infiltrative, frequently ulcerated and inflamed. Cytologically,<br />

cells are pleomorphic ranging from epitheloid to<br />

fusiform, or occasionally as discrete round cells. In well-differentiated<br />

tumors, nuclei may be masked by numerous fine<br />

black-green cytoplasmic granules. Poorly differentiated<br />

tumors may contain few or no cytoplasmic granules. Nuclei<br />

in benign forms are small and uniform compared with characteristics<br />

of anisocytosis, anisokaryosis, coarse chromatin,<br />

and prominent nucleoli seen in the malignant melanomas.<br />

Canine histiocytoma<br />

This is a very common benign rapidly growing tumor of<br />

mostly young dogs. The tumor appears as a small solitary,<br />

well circumscribed, dome-shaped, red ulcerated, hairless<br />

mass. It occurs commonly on the head, especially ear pinna,<br />

as well as on the hindlimbs, feet, and trunk. Cytologically,<br />

cells have round to indented nuclei with fine chromatin and<br />

indistinct nucleoli. Cells exhibit minimal anisocytosis and<br />

anisokaryosis. The cytoplasm is abundant and clear to light-<br />

104<br />

ly basophilic with indistinct cell borders. A variable number<br />

of small well-differentiated lymphocytes are common in<br />

regressing lesions.<br />

Mast cell tumor<br />

Tumors in dogs are generally solitary, nonencapsulated<br />

and highly infiltrative into dermis and subcutis. Mast cell<br />

tumors in cats are usually solitary, well circumscribed, dermal<br />

masses that occur on the head, neck, and limbs. Multiple<br />

masses are common in young Siamese cats. Mast cell<br />

tumors in cats are common also in visceral organs, spleen,<br />

and liver. Cytologically, tumor cells may vary in the degree<br />

of granularity with some cells having numerous distinct<br />

metachromatic stained granules while others contain moderate<br />

numbers of granules or few to no cytoplasmic granules.<br />

In less differentiated forms, anisokaryosis, coarse chromatin,<br />

and prominent nucleoli may be present along with a<br />

poorly granulated cytoplasm. Giant binucleated cells are<br />

more commonly found in poorly differentiated forms.<br />

Eosinophils are more numerous in canine tumors than feline<br />

tumors.<br />

Suggested Cytology References<br />

Baker R, Lumsden JH. Colour Atlas of Cytology of the Dog and Cat:<br />

Mosby, St. Louis; 2000<br />

Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH. Diagnostic Cytology and Hematology<br />

of the Dog and Cat: Mosby, St. Louis; 2nd Ed. <strong>19</strong>99<br />

Radin MJ, Wellman ML. Interpretation of Canine and Feline Cytology:<br />

Ralston Purina Company Clinical Handbook Series. The Gloyd<br />

Group, Inc, Wilmington, DE; 2001<br />

Raskin RE, Meyer DJ (eds). Atlas of Canine and Feline Cytology: WB<br />

Saunders Co, Philadelphia; 2001<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Rose E. Raskin<br />

Professor of Veterinary Clinical Pathology<br />

Purdue University, West Lafayette, Indiana, USA


The different types of shock<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

“Shock” is a state of severe hemodynamic and metabolic<br />

derangements characterized by decreased tissue perfusion,<br />

impaired oxygen delivery, and inadequate cellular energy<br />

production. When the cell is unable to generate adequate<br />

energy supplies, the cells, organs, and patient will not function<br />

properly and eventually fail. This manifests clinically as<br />

multiple organ failure, the ultimate endpoint of untreated,<br />

and sometimes even treated shock.<br />

The classic clinical presentation of an animal in shock<br />

includes pale mucous membranes, slow capillary refill time,<br />

tachycardia or bradycardia (felines), poor pulse quality, and<br />

mental dullness. There are vasodilatory and cellular forms of<br />

shock that may not display these classic signs, however.<br />

Regardless of the cause of shock, cells are forced to undergo<br />

anaerobic glycolysis when oxygen delivery or mitochondrial<br />

function is deranged, resulting in the production of lactic<br />

acid. The four categories of shock that will be discussed<br />

include cardiogenic, distributive, hypoxic, and metabolic.<br />

Cardiogenic shock typically results in low-forward flow<br />

states due to heart-related problems. The poor cardiac output<br />

stems from poor contractility of the myocardium or low preload.<br />

Potential causes of cardiogenic shock include dilated<br />

cardiomyopathy leading to poor contractility, toxins or drugs<br />

that cause myocardial damage or depression, hypertrophic<br />

cardiomyopathy which results in poor preload, obstructive<br />

diseases such as stenosis, backload regurgitation as seen<br />

with valvular disease, pericardial tamponade or pericardial<br />

fibrosis resulting in low preload, or severe arrhythmias causing<br />

poor preload and inefficient contractility.<br />

The treatment of cardiogenic shock often depends on the<br />

underlying disease process. If poor myocardial contractility<br />

is the cause of shock, treatment with a beta-agonist is indicated.<br />

Dobutamine is the most common emergent treatment<br />

to increase cardiac function. If the animal is receiving drugs<br />

that cause myocardial depression, these should be discontinued<br />

(ie anesthetics). Some animals with valvular disease will<br />

benefit from afterload-reducing drugs such as nitroprusside<br />

or hydralazine +/- a positive inotrope depending on the<br />

degree of contractility. If the amount of pericardial effusion<br />

is large enough to cause tamponade, a pericardiocentesis<br />

should be performed and fluid therapy administered. Severe,<br />

persistent arrhythmias should be treated appropriately with<br />

antiarrhythmics or cardioconversion.<br />

Distributive shock encompasses a variety of abnormalities<br />

that are generally associated with an inappropriate distribution<br />

of cardiac output to the tissues. This includes a decrease<br />

in intravascular blood volume as seen with hypovolemic<br />

shock resulting from hemorrhage, hypoproteinemia,<br />

increased vascular permeability, or diseases leading to<br />

severe dehydration. Hypovolemia is included with distribu-<br />

105<br />

tive shock sine it is normally associated with a compensatory<br />

peripheral vasoconstriction that that interferes with peripheral<br />

(ie visceral organ) perfusion. If hypovolemia is not associated<br />

with peripheral vasoconstriction (as commonly seen<br />

with sepsis), it causes hypotension which also causes<br />

reduced coronary and cerebral blood flow and leads to distributive<br />

shock. Many animals are presented to the emergency<br />

service following trauma and appear to be in hyopvolemic<br />

shock, even if there is no blood loss. This is because<br />

of the neurohormonal response to trauma that leads to severe<br />

vasoconstriction and maldistribution of the available<br />

intravascular blood volume.<br />

Arteriovenous shunts cause a reduction in the net cardiac<br />

output and blood flow to the tissues. Occlusion of vessels<br />

from external sources, as seen with intestinal torsions, masses,<br />

or foreign bodies, interfere with blood flow to the<br />

involved organ. Similarly, thromboembolic disease prevents<br />

normal blood flow to the downstream organs and severe pulmonary<br />

thromboemboli can lead to cor pulmonale and right<br />

heart failure.<br />

The treatment of distributive shock typically includes shock<br />

fluid therapy. Combinations of isotonic crystalloids, synthetic<br />

colloids, hypertonic solutions, and blood products might be<br />

necessary, depending on the underlying disease process.<br />

States of hypoxic shock are characterized by normal tissue<br />

perfusion (unlike distributive shock), but abnormal oxygen<br />

content or oxygen unloading to the tissues and cells.<br />

Hypoxemia (a low partial pressure of oxygen or low hemoglobin<br />

saturation due to pulmonary pathology) and anemia<br />

(low oxygen content) are the most common causes of<br />

hypoxic shock. Additional disease processes that might lead<br />

to hypoxic shock include methemoglobinemia (oxidized,<br />

ferric hemoglobin) and carboxyhemoglobin (carbon monoxide<br />

poisoning) since these abnormalities decrease the oxygen<br />

carrying capacity of hemoglobin.<br />

The treatment of hypoxic shock is aimed at increasing<br />

oxygen content. Oxygen therapy should be provided to all<br />

patients. Animals with severe pulmonary disease may benefit<br />

from positive pressure ventilation. Dogs or cats with lifethreatening<br />

anemia should be administered appropriate red<br />

cell blood products or hemoglobin-containing solutions.<br />

Toxicities such as methemoglobinemia should be treated<br />

appropriately (vitamin C and N-acetylcysteine).<br />

There are instances when the tissues are adequately perfused<br />

and oxygenated, but the cells are still unable to produce<br />

adequate energy levels to maintain viability. This is<br />

metabolic shock and it commonly occurs due to an intracellular<br />

problem that interferes with energy production. Sepsis,<br />

in addition to all of its vasoactive intermediates and cellmediated<br />

injury, interferes with normal cellular function and


often causes “cytopathic hypoxia.” Cyanide intoxication disrupts<br />

normal mitochondrial cytochrome oxidative phosphorylation<br />

and leads to metabolic shock.<br />

Animals with heat stroke have a cellular metabolic rate<br />

that exceeds the animal’s ability to deliver energy substrates<br />

and often results in metabolic shock. Hypoglycemia leads to<br />

inadequate energy substrate for normal cerebral metabolism<br />

and can also cause metabolic shock.<br />

Diagnosis and treatment of metabolic shock can be difficult.<br />

Hypoglycemia is easily discovered and treated with<br />

glucose supplementation. Cellular dysfunction is diagnosed<br />

via exclusion of other causes of shock. The treatment is generally<br />

supportive in an attempt to optimize oxygen delivery<br />

to the tissues and treat the underlying disease.<br />

Septic shock is a state of circulatory shock that is caused<br />

by an underlying infectious agent. The resulting inflammatory<br />

response to the insult includes the release/activation<br />

cytokines, proteases, catalases, eicosanoids, and activation<br />

of the complement, coagulation, and fibrinolytic cascades.<br />

These processes interfere with intracellular metabolism and<br />

function. Subsequent decreases in myocardial contractility,<br />

cardiac output, and oxygen delivery ensues. Inappropriate<br />

changes in vasomotor tone often occur resulting in either<br />

hypotension (vasodilation) or impaired tissue perfusion<br />

(vasoconstriction). Gastrointestinal ulceration or hemorrhage<br />

and oliguric or anuric renal failure may develop.<br />

Increased endothelial permeability may result in hypopro-<br />

106<br />

teinemia and hypovolemia. Coagulopathies, lactic acidosis,<br />

and hypoglycemia also commonly result. It is therefore<br />

apparent that sepsis can lead to various types of shock: cardiogenic,<br />

distributive, hypoxic, and metabolic.<br />

The treatment of the various causes of shock in patients<br />

with sepsis is beyond the scope of this discussion. Identification<br />

of the source of sepsis and appropriate therapy are paramount.<br />

Monitoring cardiac function, cardiovascular and pulmonary<br />

parameters, and labwork values regularly will allow<br />

early recognition and treatment of secondary problems.<br />

Regardless of the cause of shock, rapid assessment of these<br />

critical patients, early identification of the underlying disease,<br />

and restoration of cardiopulmonary and cellular stability is<br />

vital. By understanding the various categories of shock and<br />

common etiologies of these categories, the veterinarian will<br />

be able to more successfully treat these emergent patients.<br />

References available upon request.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


SIRS, MODS, and sepsis in small animals<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

The systemic inflammatory response syndrome (SIRS) is<br />

the clinical manifestation of the body’s response to severe<br />

injury, microbial invasion, severe inflammation, or neoplasia.<br />

The terminology used to discuss sepsis and inflammation<br />

is often confusing. Bacteremia refers to the presence of<br />

viable bacteria in the bloodstream. The systemic inflammatory<br />

response syndrome (SIRS) is the clinical manifestation<br />

of the inflammatory response that occurs in response to<br />

an infectious or non-infectious insult to the animal (ie sepsis,<br />

burns, trauma, heatstroke, pancreatitis, immune-mediated<br />

disease). There is no gold standard for the diagnosis of<br />

SIRS, but parameters have been derived from the human literature<br />

for dogs and cats. The presence of three or more of<br />

the following clinical signs is highly suggestive of SIRS in<br />

dogs: tachypnea (RR>40 breaths per minute or PaCO <strong>21</strong>20 beats per minute), leukocytosis<br />

or leukopenia (WBC>18,000/µl or 5-10%), and fever or hypothermia<br />

(T>104˚F or 30 breaths per minute or<br />

PaCO 2<strong>19</strong>,500/µl or 5-10%), and fever or hypothermia<br />

(T>104˚F or 24% and clotting times within normal limits<br />

In animals with severe hypoalbuminemia (


to aid in the transport of drugs, hormones, chemicals, toxins,<br />

and enzymes. Central venous pressure monitoring<br />

(normal 0-10 cm H 20) may be helpful in the assessment of<br />

fluid status. Maintenance fluid therapy should be determined<br />

based on the animal’s maintenance needs, dehydration,<br />

and ongoing losses.<br />

If adequate fluid therapy is unable to reestablish adequate<br />

blood pressure, vasopressor therapy is indicated. Dopamine,<br />

norepinephrine, dobutamine, epinephrine, +/- vasopressin<br />

are often used (see notes on “Vasopressor Therapy in Shock”<br />

for further information). Animals that are not responding to<br />

aggressive therapy may have a transient adrenal insufficiency.<br />

Appropriate testing and treatment may be required.<br />

Oxygen therapy is indicated if the animal has a decreased<br />

oxygen content (SpO2


Shock fluid therapy:<br />

restoring an effective circulating volume<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

“Shock” is a state of severe hemodynamic and metabolic<br />

derangements characterized by decreased tissue perfusion,<br />

impaired oxygen delivery, and inadequate cellular energy<br />

production. The clinical signs of shock can vary, largely due<br />

to the underlying condition. A high level of sympathetic tone<br />

is commonly characterized by pale mucous membranes, prolonged<br />

capillary refill time, dull mentation, poor pulse quality,<br />

cold extremities, and tachycardia (or bradycardia in<br />

cats). In contrast, septic shock often causes vasomotor dysfunction<br />

and cytokine induced peripheral vasodilation, high<br />

cardiac output, and hyperemic mucous membranes with a<br />

brisk capillary refill.<br />

Normalization of intravascular volume and preload, arterial<br />

blood pressure, cardiac output, and oxygen content are<br />

crucial to support tissue perfusion, in addition to controlling<br />

or reversing the initiating cause of shock. A delay in the<br />

treatment of an animal in shock can lead to irreversible<br />

organ damage and, potentially, death.<br />

The cornerstone of therapy for non-cardiogenic shock<br />

includes aggressive volume resuscitation. An increase in<br />

intravascular volume will increase left ventricular end-diastolic<br />

volume (preload), stroke volume, and cardiac output in<br />

order to increase systemic oxygen delivery. Intravenous<br />

administration of fluids through a short, large bore catheter is<br />

the most desirable method of administration for shock. If rapid<br />

intravascular access is not possible, a venous cut-down procedure<br />

or intraosseous needle placement should be performed.<br />

Isotonic crystalloids, also called replacement fluids, are the<br />

most commonly used fluid for the treatment of shock. These<br />

are electrolyte-containing fluids with a composition similar to<br />

that of the extracellular fluid (ie 0.9% sodium chloride, lactated<br />

Ringer’s solution, Normosol-R, and Plasmalyte-148).<br />

There is evidence to support the use of 0.9% sodium chloride<br />

in animals with head trauma to avoid rapid changes in osmolality<br />

since this is the highest sodium-containing isotonic crystalloid.<br />

A shock dose of isotonic crystalloid solution is<br />

approximately one blood volume: 90 mL/kg in the dog and 50<br />

mL/kg in the cat. The fluid administered rapidly distributes<br />

into the extracellular fluid compartment so that only ~25% of<br />

the delivered volume remains in the intravascular space by 30<br />

minutes after infusion. It is important that excessive fluid volumes<br />

are not administered to avoid volume overload. It is generally<br />

recommended to administer 1/3-1/2 of the shock dose<br />

as quickly as possible, followed by additional boluses as indicated<br />

by clinical parameters and repeated physical examination.<br />

It may even be advantageous to perform “hypotensive<br />

resuscitation” (to a mean arterial pressure of ~60 mmHg) in<br />

patients that are bleeding until the hemorrhage is controlled,<br />

109<br />

since aggressive fluid therapy in this setting can worsen bleeding<br />

and outcome.<br />

Readily available synthetic colloid solutions include dextran-70<br />

(D70) and hetastarch (HES). Colloids are large molecules<br />

(molecular weight >20,000daltons) that do not readily<br />

sieve across the vacular membrane. The colloidal particles<br />

in these synthetic solutions are suspended in 0.9% sodium<br />

chloride. They are hyperoncotic to the normal animal and<br />

therefore pull fluid into the vascular space. They cause an<br />

increase in blood volume that is greater than that of the<br />

infused volume and help to retain this fluid in the intravascular<br />

space in the animal with normal capillary permeability.<br />

The recommended dose of synthetic colloids for the treatment<br />

of shock is up to 20 mL/kg in the dog and up to 10<br />

mL/kg in the cat (note: rapid administration of HES in the<br />

cat has been reported to cause vomiting). Excessive volumes<br />

can lead to volume overload, coagulopathies, and hemodilution.<br />

These fluids are appropriately used for shock therapy in<br />

acutely hypoproteinemic animals (total protein < 3.5 gm/dL)<br />

with a decreased colloid osmotic pressure. They can also be<br />

used with isotonic crystalloids to maintain adequate plasma<br />

volume expansion with lower interstitial fluid volume<br />

expansion and to expand the intravascular space with smaller<br />

volumes over a shorter time period. Despite multiple clinical<br />

studies in humans, there is no definitive documentation<br />

that the use of colloids is superior to the use of crystalloids<br />

for resuscitation, and the price of colloids is significantly<br />

greater than that of crystalloids.<br />

Hypertonic saline (7.0-7.5%, HS) administration causes a<br />

transient osmotic shift of water from the extravascular to the<br />

intravascular compartment. It is administered in small volumes,<br />

5 mL/kg, over 5-10 minutes. In addition to the fluid<br />

compartment shift caused by HS, there is evidence that it<br />

may also be beneficial to reduce endothelial swelling,<br />

increase cardiac contractility, cause mild peripheral vasodilation,<br />

and decrease intracranial pressure. Due to the osmotic<br />

diuresis and rapid redistribution of the sodium cations that<br />

ensue following the administration of HS, the intravascular<br />

volume expansion is transient (


septic shock, burns, hemorrhagic shock, endotoxemia, and<br />

gastric dilatation-volvulus.<br />

The need for blood products during resuscitation is<br />

dependent on the patient’s disease process. Most fluidresponsive<br />

shock patients will tolerate acute hemodilution to<br />

a hematocrit of 30% to<br />

maximize oxygen carrying capacity. Excessive increases in<br />

hematocrit should be avoided since this will increase blood<br />

viscosity.<br />

Most animals can tolerate an acute loss of 10-15% of<br />

blood volume without requiring a blood transfusion. Acute<br />

hemorrhage exceeding 20% of the blood volume often<br />

requires transfusion therapy in addition to the initial fluid<br />

resuscitation discussed above. In animals with acute blood<br />

loss requiring transfusion therapy, fresh whole blood or<br />

packed red blood cells and fresh frozen plasma should be<br />

used in an attempt to stabilize clinical signs of shock and<br />

maintain the hematocrit above 25% and the clotting times<br />

within the normal range. Packed red blood cells and fresh<br />

frozen plasma are administered at a dose of 10-15 mL/kg<br />

and fresh whole blood at a dose of 20-25 mL/kg. Refrigerator-stored<br />

plasma or frozen plasma that is more than 1 year<br />

old no longer contains platelets or the labile coagulation factors<br />

(V, VIII, and vonWillebrands). Platelets are only present<br />

in fresh blood within 6 hours of collection and are their use<br />

is indicated in animals with thrombocyotpoenia-induced<br />

bleeding disorders or massive hemorrhage. Plasma products<br />

are most commonly used in animals with profound blood<br />

110<br />

loss, a coagulopathy, or severe hypoalbuminemia. Its ability<br />

to increase colloid osmotic pressure is limited compared to<br />

the hyperoncotic synthetic colloids, but it does supply albumin,<br />

an important carrier of certain drugs, hormones, metals,<br />

chemicals, toxins and enzymes. If blood typing +/- crossmatching<br />

is not possible, dogs should receive DEA 1.1 negative<br />

blood. Cats that are not typed should not receive blood<br />

products since potentially lethal reactions may occur.<br />

In animals with excessive hemorrhage into the pleural or<br />

peritoneal cavity, autotransfusion of whole blood should be<br />

considered. The blood is gently aspirated, anticoagulated,<br />

and filtered prior to administration. Hemorrhage due to neoplastic<br />

or septic processes should not be autotransfused.<br />

Fluids should be administered as rapidly as possible with<br />

continuous reassessment and monitoring. The initial fluid<br />

resuscitation should be completed within 15 minutes of the<br />

original examination. Repeated boluses may be repeated as<br />

necessary, but overhydration should be avoided.<br />

References available upon request.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


The use of vasopressors in shock patients<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Critically ill patients that remain hypotensive despite adequate<br />

intravascular volume require the use of vasopressor<br />

therapy. Since both cardiac output and systemic vascular<br />

resistance affect oxygen delivery to the tissues, therapy in<br />

hypotensive patients includes maximizing cardiac function<br />

with fluid therapy and inotropic drugs and/or modifying<br />

vascular tone with vasopressor agents. Commonly use pressors<br />

include catecholamines (epinephrine, norepinephrine,<br />

dopamine) and the sympathomimetic drug phenylephrine. In<br />

addition, vasopressin, corticosteroids, and glucagon have<br />

been used as adjunctive pressor agents.<br />

Different sympathomimetics cause various changes in the<br />

cardiovascular system, depending on the specific receptor<br />

stimulation caused by the drug. Conventionally, adrenergic<br />

receptor location and function involves the alpha-1 and beta-<br />

2 receptors located on the vascular smooth muscle cells that<br />

lead to vasoconstriction and vasodilation, respectively, while<br />

beta-1 receptors in the myocardium primarily modulate<br />

inotropic and chronotropic activity. In addition, there are<br />

dopaminergic-1 receptors in the renal, coronary, and mesenteric<br />

microvasculature that mediate vasodilation and<br />

dopaminergic-2 receptors in the synaptic nerve terminals<br />

that inhibit the release of norepinephrine.<br />

Dopamine has multiple potential actions on adrenergic<br />

and dopaminergic receptors. Primarily dopaminergic effects<br />

are seen at low doses (1-5 mcg/kg/min), mainly beta-adrenergic<br />

effects are seen at moderate doses (5-10 mcg/kg/min),<br />

mixed alpha and beta adrenergic effects are present at high<br />

doses (10-15 mcg/kg/min), and primarily alpha adrenergic<br />

effects are seen at very high doses (15-20 mcg/kg/min). The<br />

actual dose response relationship is unpredictable in a given<br />

patient because it is dependent on individual variability in<br />

enzymatic dopamine inactivation receptor down regulation,<br />

and the degree of autonomic derangement.<br />

Dopamine dosages greater than 10 mcg/kg/min are therefore<br />

required to produce a pressor response. Dopamine can<br />

be used as a single agent therapy to provide both inotropic<br />

and pressor support in animals with vasodilation and<br />

decreased cardiac contractility. In comparison to other pressor<br />

drugs, dopamine is less potent inotrope than epinephrine<br />

(or dobutamine) and less vasoconstricting than norepinephrine.<br />

The cardiovascular effects of dopamine may dissipate<br />

after several days of therapy, perhaps due to receptor down<br />

regulation and/or induction of increased post synaptic norepinephrine<br />

release. Despite dopamine’s beneficial effects<br />

on cardiac output and blood pressure, it may have deleterious<br />

effects on gastrointestinal blood flow. When dopamine is<br />

used as a vasopressor agent in experimental dogs, gastric<br />

mucosal pH is decreased; most likely secondary to a redistribution<br />

of mesenteric blood flow as the alpha mediated<br />

111<br />

effects of the drug at pressor dosages obliterates the vasodilating<br />

effects via splanchnic dopamine-1 receptors. For this<br />

reason, the use of prolonged, high dose dopamine should be<br />

used with caution.<br />

Norepinephrine (NE) has mixed alpha and beta-adrenergic<br />

receptor agonism with preferential alpha receptor activity.<br />

Therefore, the effects on heart rate and contractility are<br />

mild, and NE is commonly used as a pressor agent in the animals<br />

with normal or increased cardiac output states. Canine<br />

septic shock models have demonstrated that the effects of<br />

NE on cardiac function are diminished compared to nonseptic<br />

controls. In septic patients with cardiac insufficiency and<br />

vasodilation, it may be desirable to use NE in conjunction<br />

with dobutamine (a potent beta agonist) to prevent the deleterious<br />

effects of increasing afterload on a diseased heart.<br />

Septic animals that display normalization of arterial blood<br />

pressure with the use of NE may have beneficial effects on<br />

renal blood flow. However, NE administration in dogs with<br />

hypovolemic shock will induce deleterious renal vasoconstriction.<br />

Norepinephrine was also shown to improve urine<br />

output and creatinine clearance when added to dopamine or<br />

dobutamine in patients with septic shock. Splanchnic oxygen<br />

delivery and increases in gastric mucosal pH are evident<br />

in humans that receive NE therapy for the treatment of<br />

hypotensive septic shock. The vasopressor dose of NE in<br />

humans (and extrapolated to dogs) is 0.2-3.3 mcg/kg/min.<br />

Epinephrine (epi) is a potent pressor with mixed alpha and<br />

beta agonism. Although epi is thought to have more potent<br />

beat-agonist effects than NE, individual response is quite<br />

variable in patients with systemic inflammatory diseases and<br />

hypotension. Therefore, caution should also be exercised in<br />

patients with heart disease. Epi may significantly impair<br />

splanchnic blood flow compared to norepinephrine and<br />

dobutamine in combination. This is most likely because of<br />

epi’s strong alpha-adrenergic activity with subsequent vasoconstriction<br />

in regional vascular beds, although epi does also<br />

activate vasodilatory beta receptors. Epi is rarely used as a<br />

sole first-line vasopressor agent due to it s potential side<br />

effects, but may be necessary in critically ill animals. Epi<br />

also inhibits the mast cell and basophil degranulation and is<br />

therefore the drug of choice in patients suffering from anaphylactic<br />

shock. It is also commonly used for the treatment<br />

of cardiac arrest.<br />

Phenylephrine is pure alpha agonist drug that causes profound<br />

vasoconstriction. It has been shown to cause an<br />

increase in cardiac output and blood pressure, presumably<br />

due to increased venous return to the hear and activation of<br />

alpha 1 receptors in the myocardium. Phenylephrine is typically<br />

used in patients that are unresponsive to other sympathomimetics,<br />

although it can be used as a sole first-line agent


in vasodilated, hypotensive animals. Since phenylephrine<br />

has no beta activity, it is the least arrhythmogenic of the<br />

sympathomimetic pressor drugs and is therefore desirable in<br />

animals that develop tachyarrhythmias in response to other<br />

pressor agents.<br />

Dobutamine is a beat agonist with no alpha effects. It<br />

increases cardiac output, oxygen delivery, and oxygen consumption<br />

without causing vasoconstriction. It is therefore<br />

useful in animals with cardiac insufficiency. It may worsen<br />

or precipitate tachyarrhythmias.<br />

Vasopressin is a non-adrenergic vasopressor agent that<br />

will be discussed in full detail in another lecture. Vasopressin<br />

has both direct and indirect effects on the vascular<br />

smooth muscle via the V1 receptors to induce vasoconstriction<br />

in most vascular beds. In vitro, vasopressin is more<br />

potent than phenylephrine or NE. This drug causes vasodilation<br />

in renal, pulmonary, mesenteric, and cerebral vasculature<br />

to maintain perfusion to these vital organs. Vasopressin<br />

administration has been found useful in animals with catecholamine-resistant<br />

vasodilatory shock.<br />

Dogs with hyperadrenocorticism and those chronically<br />

receiving exogenous corticosteroids often exhibit an increase<br />

in blood pressure. This response is most likely due to suppression<br />

of endogenous vasodilators such as the kallikreinkinin<br />

system, prostacyclin, and nitric oxide. Glucocorticoids<br />

also modify the rennin-angiotensin system and upregulate<br />

angiotensin II receptors in the vasculature. An increase in<br />

112<br />

blood pressure and systemic vascular resistance are typically<br />

seen within 24 hours in dogs that receive corticosteroid therapy.<br />

Critically-ill, hypotensive animals may benefit from<br />

physiologic doses of corticosteroids, but further research is<br />

required to confirm this.<br />

Glucagon is typically secreted from the pancreas and is<br />

classified as a “counter-regulatory” hormone. Exogenously<br />

administered glucagon also causes a positive inotropic effect<br />

that leads to an increase in cardiac output and blood pressure.<br />

Glucagon activates adenylate cyclase independent of<br />

beta-adrenergic receptor stimulation and has been shown to<br />

increase heart rate and stroke volume in canine hemorrhagic<br />

shock models. This drug may be useful in critically ill<br />

patients that are unresponsive to beta agonist drugs or those<br />

receiving sympathomimetic therapy that is complicated by<br />

beta blocker agents. Further research is needed.<br />

References available upon request.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


Vasopressin therapy for vasodilatory shock:<br />

a pilot study<br />

Deborah Silverstein<br />

DVM, Dipl ACVECC, Philadelphia, USA<br />

Profound vasoconstriction occurs when a decrease in arterial<br />

blood pressure leads to inadequate tissue perfusion.<br />

However, animals with septic shock often have failure of this<br />

vasoconstrictive response and an inappropriate vasodilation<br />

or vasoplegia occurs, as evidenced clinically by red mucous<br />

membranes and warm extremities. The ensuing vasodilatory<br />

shock is characterized not only by hypotension from the<br />

peripheral vasodilation (despite intravascular fluid resuscitation),<br />

but also by a poor response to therapy with vasopressor<br />

drug administration, also termed “catecholamine-resistant<br />

vasodilatory shock.”<br />

Catecholamine-resistant vasodilatory shock is a potentially<br />

fatal complication in patients with septic shock or multiple-organ<br />

dysfunction syndrome (MODS). It appears to be a<br />

final common pathway in patients that sustain severe, prolonged<br />

shock states of any origin. Therefore, patients suffering<br />

from hypotension and decreased oxygen delivery to the<br />

tissues secondary to hypovolemic or cardiogenic shock may<br />

not be “cured” by correction of the initial problem. Derangements<br />

of normal vasodilatory and vasoconstrictor mechanisms<br />

lead to this apparent vasoplegia, despite elevated levels<br />

of norepinephrine, endothelin, and angiotensin II. The<br />

vascular smooth muscle is typically non-responsive to<br />

exogenously administered catecholamines as well.<br />

Elevated levels of nitric oxide and activation of the<br />

smooth muscle ATP-sensitive potassium (K ATP) channels<br />

appear to be two of the primary causes for the inappropriate<br />

vasodilation, but the lack of reflex vasoconstriction is not as<br />

clearly understood. Other potential contributors to the vasoplegia<br />

include fatal injuries to the vascular cells from prolonged<br />

hypotension, inadequate oxygen extraction from the<br />

tissues inducing continued vasodilation, and an increase in<br />

the activity of vasodilatory prostaglandins. However, experimental<br />

and clinical studies investigating the effect of<br />

increasing oxygen delivery or inhibiting prostaglandin synthesis<br />

have failed to show benefit for the treatment of catecholamine<br />

resistant vasodilatory shock.<br />

One additional mechanism that appears to play a significant<br />

role in the pathogenesis of refractory vasodilatory<br />

shock in both animals and people is the deficiency of vasopressin,<br />

also known as antidiuretic hormone. Vasopressin<br />

has many roles in the body, but its ability to stimulate constriction<br />

of the vascular smooth muscle and help to maintain<br />

arterial blood pressure is especially important in states of<br />

hypotension.<br />

Vasopressin, or anti-diuretic hormone, is a peptide synthesized<br />

and stored in the hypothalamus and posterior pituitary,<br />

respectively. It is an important hormone in the regula-<br />

113<br />

tion of body fluid balance in healthy animals, restoration of<br />

vascular tone in hypotensive states, and stimulating the<br />

release of factors VIII, von Willebrand, and ACTH. It is<br />

commonly released in response to an increase in osmolality<br />

(sensed in the brain) or hypotension (sensed by baroreceptors<br />

in the left atrium, aortic arch, and carotid sinus),<br />

although additional stimuli have been identified. The cellular<br />

effects of vasopressin are mediated by interactions of the<br />

hormone with two principal types of receptors: V 1 and V 2. V 1<br />

receptors are predominantly located in the gastrointestinal<br />

tract and vascular smooth muscle, but also in the bladder,<br />

myometrium, kidneys, and central nervous system. V 2 receptors<br />

are primarily found in the principal cells of the renal<br />

collecting ducts. Interestingly, vasopressin has been shown<br />

to produce vasoconstriction in some vascular beds and<br />

vasodilation in others (renal, pulmonary, mesenteric, and<br />

cerebral). The pressor (vasoconstrictive) effects of vasopressin<br />

are non-adrenergic and thought to be mediated by its<br />

direct and indirect effects on arterial smooth muscle. In<br />

healthy animals, vasopressin does not play a significant role<br />

in the control of vascular smooth muscle, but it is critical<br />

when hypotension develops. This is due to its ability to reset<br />

the cardiac baroreflex to a lower pressure. In vitro, vasopressin<br />

is a more potent vasoconstrictor than angiotensin II,<br />

norepinephrine, or phenylephrine on a molar basis. Vasopressin<br />

levels greater than 100 pg/mL are necessary to stimulate<br />

a significant increase in mean arterial pressure. Low<br />

flow states secondary to hypovolemia or septic shock are<br />

associated with a biphasic response in serum vasopressin<br />

levels. There is an early increase in the release of vasopressin<br />

from the neurohypophysis in response to hypoxia,<br />

hypotension, and/or acidosis which leads to high levels of<br />

serum vasopressin. This plays a role in the stabilization of<br />

arterial pressure and organ perfusion in the initial stages of<br />

shock. Agents that block the V1 receptor have been shown to<br />

lower arterial pressure in both acute hemorrhagic shock and<br />

septic shock.<br />

Vasopressin levels in a normal, hydrated dog are around 4<br />

pg/mL. Osmoregulation is maximally effective at 20 pg/mL.<br />

Studies in dogs have found concentrations of vasopressin in<br />

the range of 300-1000 pg/mL during the early phase of hemorrhagic<br />

shock and 500-1200 pg/mL following experimentally<br />

induced endotoxemia. In the later phase of shock, however,<br />

the vasopressin levels are decreased, presumably due to<br />

degradation of released vasopressin and a depletion of the<br />

neurohypophyseal stores that take time to resynthesize. The<br />

vasopressin concentration in the experimental dogs<br />

decreased to 29 pg/mL in the late phase of hemorrhagic


shock. Humans with advanced vasodilatory shock have been<br />

found to have both a deficiency of vasopressin secretion and<br />

an enhanced sensitivity to vasopressin-induced blood pressure<br />

changes. Additionally, vasopressin levels are markedly<br />

increased in animal models of acute sepsis, but this increase<br />

is followed by a rapid decline over the ensuing few hours.<br />

Additional hypotheses for the low levels of vasopressin<br />

include a decrease in baroreceptor stimulation of vasopressin<br />

release secondary to impaired autonomic reflexes, as<br />

seen in sepsis, or tonic inhibition by atrial stretch receptors<br />

secondary to volume loading or mechanical ventilation. In<br />

addition, vasopressin release may be inhibited by nitric<br />

oxide or high circulating levels of norepinephrine.<br />

Preliminary studies in humans and animals have demonstrated<br />

promising results in the management of people<br />

with refractory hypotension using a vasopressin intravenous<br />

infusion (in addition to its use for CPR and central<br />

diabetes insipidus). Many patients with refractory<br />

hypotension are subsequently weaned off of catecholamine<br />

support by the addition of vasopressin therapy. Animal trials<br />

thus far support the potential benefits of vasopressin in<br />

animals suffering from hypotensive states. However, high<br />

dose therapy is associated with excessive coronary and<br />

splanchnic vasoconstriction, as well as a hypercoagulable<br />

state. The excessive vasoconstriction can lead to a reduction<br />

in cardiac output or even fatal cardiac events, especially<br />

in patients with decreased myocardial function. A<br />

recent study by Guzman et al compared the effects of intravenous<br />

norepinephrine to that of intravenous vasopressin<br />

on systemic splanchnic and renal circulation in dogs with<br />

114<br />

experimental endotoxic shock. The systemic and splanchnic<br />

blood flow changes were comparable, however the<br />

vasopressin infusion restored renal blood flow and oxygen<br />

delivery, but the norepinephrine did not.<br />

Another canine study by Morales et al studied the effect<br />

of vasopressin administration in dogs with experimental<br />

hemorrhagic shock and subsequent requirement for a norepinephrine<br />

infusion (3 mcg/kg/min) to maintain a mean arterial<br />

pressure of 40 mm Hg. The administration of a vasopressin<br />

infusion resulted in an increased in mean pressures<br />

from 39 +/-6 mm Hg to 128 +/- 9 mm Hg. The serum vasopressin<br />

levels were markedly elevated during the acute hemorrhage,<br />

but decreased from 3<strong>19</strong> +/-66 to 29 +/-9 pg/mL prior<br />

to administration of vasopressin.<br />

A pilot study was recently completed in clinical dogs and<br />

found that vasopressin did increase the blood pressure in<br />

dogs that were refractory to dopamine therapy at 10<br />

mcg/kg/min. The details of this study will be further presented<br />

in the lecture.<br />

References available upon request.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Deborah Silverstein<br />

Matthew J Ryan Veterinary Hospital<br />

University of Pennsylvania<br />

3900 Delancey Street<br />

Philadelphia, PA <strong>19</strong>104-6010<br />

E-mail: dcsilver@vet.upenn.edu


An update on management<br />

of feline lower urinary tract desease<br />

Andrew H. Sparkes<br />

Bvet Med, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, New Market, UK<br />

Cats with lower urinary tract disease tend to present with<br />

the same spectrum of clinical signs irrespective of the underlying<br />

cause including dysuria, haematuria, pollakiuria and<br />

inappropriate urination. Male cats will sometimes develop<br />

stranguria and a cat that develops obstructive uropathy is at<br />

high risk of death within 3-4 days due to acute renal failure.<br />

There are a number of potential underlying aetiologies for<br />

FLUTD and in general, idiopathic cystitis accounts for 60-<br />

70% of cases, urolithiasis and urethral plugs for 20-40%,<br />

and bacterial infection for less than 10%. Other causes<br />

include urethral strictures and neoplasia. In contrast to dogs,<br />

bacterial urinary tract infections (cystitis, urethritis) are very<br />

uncommon in cats, with a number of studies suggesting that<br />

this accounts for only 1-3% of FLUTD cases.<br />

Urolithiasis is an important cause of clinical signs.<br />

Oxalate and struvite uroliths occur with approximately equal<br />

frequency. While struvite stones can be dissolved with<br />

appropriate dietary management (eg, Hills s/d), oxalate cannot<br />

be dissolved and require surgical removal. Long-term<br />

prevention of recurrent urolithiasis depends on modifying<br />

the urine composition to reduce the risk of further crystalluria<br />

and stone formation. Some risk factors for oxalate and<br />

struvite urolithiasis are effectively contradictory (urine pH,<br />

magnesium concentration), and thus diets designed to<br />

address the specific requirements of these two types of stone<br />

are ideal for maintenance (eg, Hills c/d and Hils x/d).<br />

Urethral plugs are probably a manifestation of idiopathic<br />

cystitis in most cases. The plugs have a protein matrix (probably<br />

largely inflammatory proteins) within which various<br />

other elements are trapped (eg, cells, cellular debris and<br />

crystals) which contribute to the blockage. In the vast majority<br />

of cases, the blockage is associated with struvite crystals,<br />

and although the crystals are not the cause (they would be<br />

passed normally if it were not for the protein matrix), they<br />

contribute to the blockage. Long-term management of such<br />

cases should involve the use of diets designed to minimise<br />

struvite crystal formation (eg Hills c/d).<br />

Idiopathic cystitis accounts for the majority of FLUTD<br />

cases. The majority of cases of idiopathic FLUTD<br />

(iFLUTD) spontaneously resolve within a few days irrespective<br />

of treatment, making response to treatment very<br />

hard to assess. Often, what is taken to be improvement due<br />

to therapy is in fact simply spontaneous recovery. Of the few<br />

published well-controlled studies, no interventional medical<br />

therapy has been shown to be of benefit in iFLUTD. Many<br />

drugs have been used that have not been the subject of any<br />

clinical trials.<br />

115<br />

Unfortunately, a number of drugs that have been evaluated<br />

for therapy in feline idiopathic cystitis have only been<br />

evaluated in short-term studies (lasting 1-2 weeks). While<br />

these studies have shown no benefit for the use of drugs such<br />

as prednisolone and amitriptyline in comparison with placebo<br />

therapy, because of the rapidly self-resolving nature of<br />

the disease it may not be possible or reasonable to expect<br />

that a short-term benefit would be established. Of more clinical<br />

value is the use of long-term placebo controlled studies<br />

looking at frequency and severity of recurrent episodes.<br />

However, such studies are more difficult and more expensive<br />

to conduct so relatively few have been performed.<br />

Recent evidence from investigation of iFLUTD cases has<br />

revealed a number of similarities to a form of sterile (noninfective)<br />

cystitis in humans termed ‘interstitial cystitis’.<br />

Although differences between the two diseases exist (interstitial<br />

cystitis for example tends to have a prolonged,<br />

intractable clinical course), there are many striking similarities<br />

such as the finding of sub-mucosal haemorrhages on<br />

cystoscopy (‘glomerulations’), increased bladder wall permeability,<br />

reduced excretion of glycosaminoglycans, and<br />

submucosal oedema and inflammation characterised by<br />

increased numbers of mast cells seen on bladder wall biopsy.<br />

On the basis of these findings, some of the treatments that<br />

have been shown to be useful for the management of interstitial<br />

cystitis in humans have been tried in cats with<br />

iFLUTD. Amitriptyline falls into this category, and belongs<br />

to a group of drugs known as the ‘tricyclic antidepressants’.<br />

It certainly has some central nervous system effects which<br />

may help in controlling iFLUTD, as it is thought that stress<br />

factors may be involved in the development of disease in at<br />

least some cats. However, the drug has a number of other<br />

potential beneficial effects in terms of reducing neurogenic<br />

inflammation in the bladder and controlling the discomfort<br />

associated with the disease. Generally, amitriptyline has<br />

been used at a dose of 2.5-10 mg per cat, given once daily in<br />

the evening (as administration may cause temporary sedation).<br />

Although short-term studies have not been able to<br />

demonstrate a benefit, one long-term open uncontrolled<br />

study did suggest genuine benefit in some cats with longstanding<br />

intractable cystitis.<br />

Glycosaminoglycan (GAG) replacements (e.g. pentosan<br />

polysulphate, glucosmaine) are also widely recommended in<br />

the management of iFLUTD. Again, their use is somewhat<br />

controversial although the finding of significantly reduced<br />

concentrations of GAG’s in the urine of cats affected with<br />

idiopathic cystitis provides a strong rationale for their use.


Clinical experience with these drugs has been variable, but<br />

in two long-term controlled studies, the use of GAG replacers<br />

did not appear to make a significant difference to the<br />

recurrence of iFLUTD in affected cats. Nevertheless,<br />

although both studies failed to show a significant beneficial<br />

effect of GAG replacers, both studies also identified a few<br />

individual cats that seemed to consistently respond to their<br />

use and have recurrent signs when therapy was stopped.<br />

Although still uncertain, it would therefore appear that some<br />

cats may benefit from this therapy although possibly not<br />

most affected cats.<br />

Although the use of diets to specifically to minimise production<br />

of urinary crystals has little or no scientific rationale<br />

in the management of iFLUTD, dietary manipulation is<br />

probably the single most important component of long-term<br />

management of this disease. Dietary change is the only form<br />

of therapy that has consistently shown to be of real benefit in<br />

cases of iFLUTD, and this forms the most important part of<br />

long-term management. In one of the few controlled studies<br />

to show a long-term benefit in cats with idiopathic cystitis,<br />

those fed a wet diet had a significantly reduced rate of recurrence<br />

of disease compared to those fed a dry diet (no other<br />

interventions were given), and the urine concentration produced<br />

in the two groups was significantly different. This<br />

study and subsequent observations lends strong support to<br />

concentrating on diet as the most valuable form of therapy<br />

for iFLUTD. Feeding a wet (tinned/sachet) diet rather than a<br />

116<br />

dry diet is always recommended and the feeding of a ‘pH<br />

neutral’ diet such as Hills c/d tinned is an appropriate choice<br />

as this results in production of a urine pH in the region of 6.3<br />

– the range typically found in cats on a ‘natural’ diet of<br />

rodents. Furthermore the use of a relatively low solute-load<br />

diet like this should help in the production low urine concentration,<br />

which is probably one of the major mechanisms<br />

for the benefit seen in dietary therapy. Although adding salt<br />

to the diet, in sufficient quantities, can also result in production<br />

of a relatively low urine SG, there may be a number of<br />

potential adverse effects associated with increasing the salt<br />

content of the diet (potentially contributing to volume<br />

expansion and hypertension, and exacerbating any renal<br />

compromise present), so the use of salt supplementation and<br />

diets with higher salt levels is discouraged.<br />

The use of ‘pet fountains’, flavoured waters and other<br />

methods of enhancing water intake (beyond just the use of<br />

wet diets) is highly recommended. In cases of recurrent<br />

iFLUTD, a primary aim should be to reduce the urine SG<br />

to 1.035 or less, and avoid abnormal acidification or alkalinisation.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


Diagnosis and management of chronic renal failure<br />

Andrew H. Sparkes<br />

Bvet Med, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, New Market, UK<br />

The underlying aetiology of feline CRF is often obscure<br />

although a variety of causes have been documented. Histological<br />

evaluation of kidneys from affected cats usually<br />

reveals chronic interstitial nephritis (CIN) as the most common<br />

finding, but the cause of this uncertain. It has been<br />

speculated that chronic pyelonephritis or glomerulonephritis<br />

may account for at least some of these ‘end stage’ cases of<br />

chronic renal failure.<br />

The clinical manifestations of feline chronic renal failure<br />

are often non-specific, with dehydration, anorexia, lethargy<br />

and weight loss being the most common signs. Polydipsia<br />

and polyuria (PU/PD), which would be regarded as major<br />

clinical signs in canine CRF are reported much less frequently<br />

in cats partly, perhaps, because of their lifestyle<br />

(decreased recognition of PU/PD) but probably also<br />

because many cats retain much greater urine concentrating<br />

ability in the face of CRF than is the case in dogs. Furthermore,<br />

although CRF is typically associated with palpably<br />

small and irregular kidneys, many cats with CRF have<br />

enlarged kidneys reflecting underlying conditions such as<br />

polycystic kidney disease and renal lymphoma that lead to<br />

renomegaly. Other common manifestations of the uraemic<br />

syndrome in cats include vomiting (due to central effects of<br />

uraemic toxins, hypergastrinaemia and uraemic gastric<br />

ulceration), pale mucous membranes (due to anaemia), and<br />

hypertensive retinopathy (including retinal detachments).<br />

Systemic hypertension has been reported to occur in up to<br />

60-70% of cats with CRF.<br />

Diagnosis of CRF is usually based on clinical signs with<br />

the demonstration of azotaemia and inappropriately concentrated<br />

urine. Because cats often retain some concentrating<br />

ability during CRF, isosthenuria is not necessarily observed.<br />

In one study, isosthenuria was found in 57% of cats with<br />

CRF, but degrees of hypersthenuria (SG >1.015) in 42%. In<br />

another study, 60% of cats with CRF had a SG >1.012. Few<br />

cats with advanced CRF can concentrate urine above 1.035<br />

though, and azotaemia with a urine SG


tion, glomerular hypertrophy and glomerular hypertension,<br />

and is associated with increased proteinuria. Restriction of<br />

dietary protein may help minimise such changes and a recent<br />

meta-analysis of several studies in humans did suggest that<br />

protein restriction may slow the progression of CRF. However,<br />

even if this applies to cats, the effect of protein restriction<br />

of the progression of renal failure is likely to be small<br />

(although it can impact greatly on quality of life).<br />

Nevertheless, there is now very strong evidence for the<br />

clinical benefit of using protein and phosphate restricted<br />

diets such as Hill’s k/d, not only to provide a better quality<br />

of life, but also to significantly delay the progression of<br />

renal failure. This effect though, is probably largely mediated<br />

through phosphate restriction. Phosphorus retention in<br />

CRF is an important factor in the development of renal secondary<br />

hyperparathyroidism and also soft-tissue mineralisation.<br />

Dietary phosphorus restriction may therefore blunt<br />

renal secondary hyperparathyroidism, and may help prevent<br />

renal histological changes (mineralisation, fibrosis and<br />

inflammation) found in cats fed unrestricted diets. There is<br />

clear evidence therefore to strongly recommend the use of a<br />

diet such as tinned Hill’s k/d in the routine management of<br />

feline CRF patients. If hyperphosphataemia persists (fasting<br />

serum phosphorus >2 mmol/l) despite dietary restriction,<br />

oral phosphate binders may be given with meals – seve-<br />

118<br />

lamer (Renagel ®) has been recommended at a dose of<br />

200mg bid/tid per cat PO for this.<br />

Hypokalaemia, probably mainly from inappropriate kaliuresis,<br />

is also a common finding in feline CRF. The cardinal<br />

sign of severe hypokalaemia is polymyopathy, with generalised<br />

muscle weakness and ventroflexion of the neck, but<br />

even mild hypokalaemia (without associated polymyopathy),<br />

may adversely affect renal function and contribute to<br />

CRF. Renal diets need to be replete in potassium and where<br />

hypokalaemia exists, potassium supplementation of is<br />

strongly recommended<br />

Systemic hypertension is a very common finding in feline<br />

CRF with a prevalence of around 20%. Uncontrolled hypertension<br />

is highly likely to lead to progressive renal failure<br />

and will have other (cardiac, ophthalmic, neurological)<br />

effects as well. Adequate control of blood pressure (systolic<br />

pressure


Nutritional support for sick and anorexic cats<br />

Andrew H. Sparkes<br />

Bvet Med, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, New Market, UK<br />

Anorexia is a significant complication in hospitalized cats<br />

that should not be overlooked or ignored. Careful patient<br />

evaluation and both non-pharmacological and pharmacological<br />

strategies to overcome anorexia should be considered.<br />

Not all inappetent patients require nutritional support,<br />

but if appropriate support is to be given, patients with, or at<br />

risk of developing PEM, must be identified and managed<br />

early during the course of the disease to minimise the<br />

potentially serious adverse effects. Identification of these<br />

patients is not easy as PEM may have an insidious onset<br />

and it is not characterised by any specific clinical signs.<br />

Ideally, one or more laboratory tests could be used as sensitive<br />

and specific markers of PEM, and thus be employed<br />

to objectively assess nutritional status, but no simple reliable<br />

markers are available either in human or veterinary<br />

medicine at present. Although abnormal results of laboratory<br />

tests are often encountered in PEM (e.g. lymphopenia,<br />

reduced plasma proteins - albumin, transferrin, prealbumin<br />

etc., anaemia) which should alert the clinician to the possibility<br />

of PEM, they are neither sensitive nor specific markers.<br />

More emphasis has to be placed on various subjective<br />

criteria to assess our patients, and the following are suggested<br />

as guide-lines to indicate the type of patient that<br />

may require support:<br />

• Loss of ≥10% bodyweight during the preceding 7-14 days<br />

• Anorexia or marked inappetence of ≥3 days duration in<br />

the cat. This time can be longer in dogs (≥5-6 days) but<br />

the inability of cats to down-regulate liver transaminases<br />

to reduce protein requirements dictates an earlier onset of<br />

PEM in this species).<br />

• Presence of cachexia<br />

• Presence of inadequate body fat or muscle mass<br />

• Patients with conditions resulting in direct protein/energy<br />

loss (e.g. exudative peritonitis/pleuritis, especially when<br />

being drained)<br />

Cats presented with any of these signs should have their<br />

dietary intake monitored very closely, and if caloric requirements<br />

are not being met, nutritional support should be instigated<br />

immediately.<br />

Appetite stimulation should include consideration of ways<br />

to minimise stress. This may be particularly important in a<br />

hospitalised cat and consideration should be given to various<br />

aspects of the environment including noise, temperature,<br />

ability to hide (eg, cardboard box in cage), pain relief, the<br />

use of pheromone sprays such as ‘Felifriend’ and<br />

petting/stroking to encourage the cat to eat. With persistent<br />

moderate inappetence, if there is no physical impediment to<br />

prehension and ingestion of food, and if circumstances<br />

allow, attempts at appetite stimulation may be appropriate. A<br />

1<strong>19</strong><br />

number of factors may increase the palatability of food or<br />

the desire to eat including:<br />

• Feed the normal home diet - cats often develop strong<br />

preferences linked to familiarity<br />

• Provide wide, shallow food bowls (no interference with<br />

whiskers)<br />

• Offer small amounts of fresh food frequently<br />

• Feed moist rather than semi-moist or dry food<br />

• Feed warm food (80-100°F)<br />

• Feed a high fat, high protein diet (e.g. Hill’s a/d, Hills c/d,<br />

Hills m/d, Hills p/d)<br />

• Feed foods with strong (especially meat, fish or cheese)<br />

odours<br />

• Provide a comfortable, quiet environment<br />

• Provide physical encouragement (petting and stroking)<br />

• Clean encrustations from the nose if present<br />

• Provide adequate analgesia if pain is present<br />

In addition to manipulating the diet, with persistent<br />

anorexia pharmacological stimulation of appetite may be<br />

employed prior to considering tube feeding. Some of the<br />

agents available and commonly used are listed below. The<br />

side-effects associated with glucocorticoids and progestagens<br />

generally preclude their use as specific appetite stimulants,<br />

while anabolic steroids are not potent agents and are of<br />

little or no value in the short-term management of anorexia.<br />

• Diazepam (0.05-0.2 mg/kg IV BID/TID; 1-2mg/cat PO,<br />

BID/TID)<br />

• Oxazepam (0.25-0.5 mg/kg PO SID/BID)<br />

• Prednisolone (0.25-0.5 mg/kg PO/IM SID)<br />

• Megoestrol acetate (1mg/kg PO BID)<br />

• Cyproheptadine (2mg per cat PO BID)<br />

Benzodiazepines are effective appetite stimulants in most<br />

cats, but may not work so well in the severely ill. They probably<br />

act by direct appetite stimulation within the CNS, but<br />

individual drugs are not equipotent, their relative activity<br />

being structure-dependent. Diazepam is the most widely<br />

used drug in this class; it is far more effective given intravenously<br />

than either intramuscularly or orally, and may be<br />

administered up to two or three times daily. As with all benzodiazepines<br />

the dose needed to induce eating will frequently<br />

result in sedation and ataxia and doses should be kept to<br />

the minimum necessary. Furthermore in some cats the<br />

response to benzodiazepines is poor (especially sick cats as<br />

noted above), and the appetite-stimulant properties frequently<br />

decline with continual use. It is generally recommended<br />

that benzodiazepines are not used for appetite stimulation<br />

for longer than 2 to 3 days. Oxazepam may be a more effective<br />

drug for longer term oral use, but in our clinic we normally<br />

use cyproheptadine as an oral appetite stimulant.


Cyproheptadine is an effective appetite stimulant in many<br />

cats and is widely available. It is given orally and can be used<br />

both within a clinic setting and also in the home environment.<br />

Whilst very effective as an appetite stimulant, it may typically<br />

take 2-3 days to have full effect and as with diazepam it is<br />

likely to be much less effective in severely ill cats.<br />

In cats, the requirements for some B-vitamins (niacin and<br />

pyridoxine) is approximately four-times higher than dogs,<br />

and experimental depletion of B vitamins does lead to<br />

anorexia. It is important therefore to ensure adequate intake<br />

of B vitamins (orally or parenterally), but there is little evidence<br />

that supplementation of these alone is adequate to<br />

overcome clinical anorexia. Addition of B vitamins to intravenous<br />

fluids is an easy way of ensuring adequate intake.<br />

Whenever appetite stimulation is employed, it is essential<br />

to evaluate critically the success of the therapy. As with the<br />

monitoring of any patient at risk of PEM, caloric requirements<br />

should be calculated, and the amount of food to be<br />

consumed over 24 hours can be determined once the caloric<br />

density of the food is known. If caloric intake is inadequate<br />

then other means of providing nutrition such as enteral tube<br />

feeding should be used.<br />

Food aversion can also be a significant cause of anorexia<br />

in cats. This can happen when cats are offered food at the<br />

same time that they are vomiting or feeling nauseous, either<br />

as a result of an underlying disease, or as a result of medications.<br />

Cats that begin to refuse a food offered when they feel<br />

nauseous may continue to refuse to eat that food even when<br />

the feeling of nausea has subsided, due to the continued<br />

association between the two. This is another reason why it<br />

120<br />

may be important to provide nutritional support via tube<br />

feeding when in doubt so that food aversion can be avoided<br />

while nutritional support still provided.<br />

Oesophagostomy intubation is commonly used for tubefeeding<br />

cats – it can be used inter-changeably with nasooesophageal<br />

intubation but also where these tubes are not<br />

tolerated or cannot be used. This form of tube feeding is also<br />

suitable for longer-term nutritional support (e.g. several<br />

weeks or even months). Oesophagostomy tubes are easily<br />

inserted and have proved to be remarkably valuable in nutritional<br />

support with very few complications. Placing the tube<br />

requires a short, light general anaesthetic but once in place,<br />

these tubes are easy to maintain. The larger diameter of<br />

oesophagostomy tubes allow feeding of standard semi-liquid<br />

food types (eg Hills a/d is ideal for this purpose) and thus<br />

gastrointestinal disturbances are less common than when<br />

using naso-oesophageal tubes where liquid foods that are<br />

inevitably relatively high in carbohydrates must be used..<br />

When the tube is removed, the ostomy site will heal within<br />

two weeks, and problems such as oesophageal stricture formation<br />

do not seem to occur. Oesophagostomy tubes should<br />

not be used in cases of oesophageal dysfunction or repeated<br />

uncontrolled vomiting.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


Common dermatoses and the impact of nutrition<br />

Andrew H. Sparkes<br />

Bvet Med, PhD, Dipl ECVIM, MRCVS, New Market, UK<br />

Essential fatty acids are a group of polyunsaturated fatty<br />

acids (PUFA) that are required to maintain normal health<br />

and metabolism, having wide ranging of roles in health and<br />

disease. The EFA’s are part of the component of all cell<br />

membranes in the body contributing to both cellular structure<br />

and function, and they are also the substrates for the<br />

cyclo-oxygenase (COX) and lipoxygenase (LOX) family of<br />

enzymes and thus the precursors of eicosanoids which play<br />

a role in numerous processes including inflammation, blood<br />

clotting, maintaining blood pressure, immune function and<br />

even gene regulation.<br />

Early research in the <strong>19</strong>20’s identified that EFA deficiency<br />

resulted in numerous disease manifestations including:<br />

• Growth retardation<br />

• Skin thickening, scaling, crusting and inflammation<br />

• Infertility<br />

• Organ failure<br />

• Death<br />

Since that time, many studies have been conducted to further<br />

identify the role of EFAs in disease and their potential<br />

therapeutic use, with much attention being focussed on dermatological<br />

disease as this is one of the earliest, most obvious,<br />

and potentially most severe manifestations of EFA deficiency.<br />

Polyunsaturated fatty acids (PUFA) are fatty acids with<br />

two or more double bonds in their chain of carbon atoms.<br />

There are two major groups of PUFA known as the omega-<br />

3 and omega-6 families. Although a number of the longerchain<br />

PUFAs can be synthesised (primarily in the liver)<br />

through the activity of desaturase and elongase enzymes,<br />

for this to occur, mammals have an absolute requirement<br />

for a dietary supply of linoleic acid (LA – an ω-6 PUFA)<br />

and alpha-linolenic acid (ALA – an ω-3 PUFA) which they<br />

cannot synthesise.<br />

While LA and ALA are abundant in various plant materials,<br />

and can form the basis for the synthesis of other PUFAs<br />

in most mammals, this is not necessarily true of obligate carnivores<br />

such as the cat. Cats possess a very low level of ∆6desaturase<br />

enzyme activity (and possibly also other desaturase<br />

enzymes) meaning they are effectively unable to synthesise<br />

many necessary PUFAs from LA and ALA sources.<br />

Cats thus require a dietary source of arachidonic acid (AA,<br />

regarded as another essential fatty acid in this species) and<br />

probably also eicosapetaenoic acid (EPA), in addition to LA<br />

and ALA, although absolute omega-3 requirements have<br />

been poorly investigated in cats and other species.<br />

It has become well established that dietary deficiency in<br />

ω-6 EFAs (linoleic acid) results in marked cutaneous<br />

abnormalities. The EFAs are an integral part of cell membranes,<br />

contributing significantly to their fluidity and thus<br />

1<strong>21</strong><br />

helping to maintain normal structure and function. Linoleic<br />

acid is also incorporated into ceramides (a family of<br />

sphingolipids) which form the major lipid component of<br />

the stratum corneum and function both as inter-cellular<br />

adhesives and to maintain normal cutaneous barrier properties,<br />

preventing loss of water and nutrients from the skin.<br />

In deficiency states, dogs and cats may therefore develop<br />

various cutaneous abnormalities including seborrhoea sicca,<br />

a dry dull coat, decreased skin elasticity, sebaceous<br />

gland hypertrophy, increased sebum viscosity, increased<br />

transepidermal water loss, and increased epidermal cell<br />

proliferation (leading to hyperkeratosis). Supplementation<br />

with LA will rapidly reverse these signs, and there is additional<br />

evidence that LA supplementation can be beneficial<br />

in other forms of seborrhoea.<br />

Beyond their role in maintaining the normal integrity,<br />

structure and function of skin, EFAs have a pivotal role in<br />

inflammation, both in the skin and elsewhere in the body.<br />

The key link between EFAs and inflammation is through<br />

eicosanoids, which are a family of oxygenated derivates of<br />

three specific 20-carbon EFAs – namely DGLA and AA<br />

(both ω-6 EFAs), and EPA (an ω-3 EFA). These EFAs are<br />

liberated from cell membranes under the action of phospholipase<br />

(increased amounts being liberated with tissue injury).<br />

The EFAs are then acted upon by either cyclo-oxygenase<br />

(COX-1 and COX-2) enzymes, or lipoxygenase (LOX)<br />

enzymes with the resultant formation of prostanoids<br />

(prostaglandins and thromboxanes), and leukotriene – these<br />

compounds collectively forming the eicosanoids. Although<br />

arachidonic acid is the major EFA liberated by phospholipase<br />

activity, and although COX and LOX enzymes have a<br />

preferential selectivity towards AA as a substrate, both<br />

DGLA and EPA will compete with AA as substrates for<br />

these enzymes, and their metabolism results in production of<br />

a different series of eicosanoids.<br />

Eicsoanoids of the 2-series (derived from AA by COX<br />

activity) and the 4-series (derived from AA by LOX activity)<br />

are regarded as strongly pro-inflammatory. Although<br />

these eicosanoids are important in normal tissue responses<br />

and serve an important function in the normal healing<br />

processes and immune function, if they are produced in<br />

excessive quantities they can contribute to pathological<br />

inflammatory states. In contrast to this, eicosanoids of the<br />

1-, 3-, and 5-series (produced by COX and LOX activity<br />

from DGLA and EPA) are generally regarded as either noninflammatory<br />

or mildly-inflammatory in nature. Furthermore,<br />

ω-3 EFAs are thought to contribute direct antiinflammatory<br />

properties, partly through products of their<br />

metabolism (for example the production of so-called ‘E


series resolvins’ via COX activity) and partly through modifying<br />

the expression of genes involved in the inflammatory<br />

process.<br />

This concept is especially important as DGLA and EPA<br />

will compete with AA as substrates for COX and LOX activity,<br />

and this means that if the EFA content of cell membranes<br />

can be altered to increase the ratio of ω-3 : ω-6 EFAs, and to<br />

increase the proportion of DGLA compared with AA, the<br />

resultant proportion of different eicosanoids will be modified<br />

in favour of reduced inflammatory responses. Conversely,<br />

and higher ω-6 content in the diet will tend to promote<br />

a more vigorous inflammatory response.<br />

Ultimately this means that careful and controlled dietary<br />

modification can be used as a means of manipulating tissue<br />

concentrations of different EFAs to form an environment<br />

where there is a less inflammatory balance of eicosanoids.<br />

This is the basis of altering the GLA and ω-3 concentration<br />

of diets in conditions associated with pathological inflammatory<br />

states.<br />

The importance of dietary EFAs has clearly now gone way<br />

beyond the initial concepts of their relevance in maintaining<br />

the normal structure and integrity of the skin. A review of<br />

published data suggests that in the vast majority of clinical<br />

trials of allergic skin disease of a variety of types including<br />

atopy and flea hypersensitivity (both open and blinded trials),<br />

dogs and cats provided with EFA supplementation (specifically<br />

a greater proportion of ω-3 EFAs) have improvement in<br />

their clinical signs, with reduction in levels of pruritus and or<br />

other signs such as reduced erythroderma and skin oedema,<br />

122<br />

confirming the efficacy of this form of therapy as an important<br />

adjunct in inflammatory dermatoses.<br />

In a recent large, multi-centre study of 89 adult dogs with<br />

non-seasonal pruritus thought to be due to atopy and/or food<br />

allergy (by excluding other recognised causes of the pruritus),<br />

the efficacy of Hill’s d/d ® (salmon and rice or venison<br />

and rice varieties) was assessed. The efficacy of the diet in<br />

controlling signs of disease was assessed by evaluating owner<br />

and veterinary clinical scores at four and eight weeks after<br />

the switch to d/d. Any dog that had received ω-3 supplements<br />

or had been on diets with a high ω-3 content within<br />

the previous three months was excluded from the trial. Other<br />

treatments that could affect the condition were only permitted<br />

if the dogs had previously been on the treatment and<br />

if administration regimes were not changes throughout the<br />

trial period. The results of this study showing substantial and<br />

sustained improvements in both veterinary- and ownerobserved<br />

clinical scores demonstrate the clinical efficacy of<br />

a carefully formulated veterinary diet. Not only is selection<br />

of a protein source important for animals with suspected<br />

food hypersensitivity, but in animals suffering with any form<br />

of allergic skin disease, manipulation of dietary EFA’s may<br />

have a significant<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

Andrew H. Sparkes<br />

The Feline Unit Center for Small Animal Studies<br />

Animal Health Trust, New Market, UK


Modern approaches to prevent Canine Vector<br />

Borne Diseases (CVBD)<br />

Dorothee Stanneck<br />

Med Vet, Dipl ECVP, Leverkusen, Germany<br />

The principle of prevention has become firmly established<br />

in veterinary medicine. The basic rule that prophylaxis is<br />

preferable over therapy, which applies in the case of farm<br />

animals, should also be practised in small animal practice,<br />

whenever suitable products are available.<br />

During recent years the importance of protecting our companion<br />

dogs against diseases transmitted by arthropods<br />

(canine vector borne diseases, CVBD) instead of simply try<br />

to cure the diseases after their outbreak became more and<br />

more evident. Disease management and prevention instead<br />

of therapy is traditionally well known in farm animals using<br />

hygienical and immunological tools. In companion animals<br />

preventative vaccinations against viral infections are commonly<br />

used. But the specific category of vector transmitted<br />

infectious diseases in dogs that are often characterized as to<br />

be life threatening and difficult to prevent, treat or cure rise<br />

the need – and the chance – of a different approach for protection<br />

of the host animal against the pathogens.<br />

The main CVBDs are transmitted by ticks (Borrelia<br />

burgdorferi, Ehrlichia canis, Babesia canis spec., Hepatozoonon),<br />

mosquitoes (Dirofilaria immitis) and sand flies (Leishmania<br />

infantum spec.). The most important tick-transmitted<br />

infectious diseases causing severe clinical illness in dogs are<br />

babesiosis and ehrlichiosis. and, to a lesser extent, Borrelia<br />

burgdorferi and Rickettsia conorii infections. Infections with<br />

these two agents commonly produce subclinical infection, as<br />

diagnosed by seroconversion, their association with clinical disease<br />

in dogs is difficult to prove. Dogs also appear to be susceptible<br />

to infection with Coxiella burnetii (Q-fever) and tickborne<br />

viral encephalitides, but reports of clinical illness are not<br />

common. Other canine tick-transmitted infections include<br />

Haemobartonella spp., Bartonella spp., Francisella tularensis<br />

and viral agents causing e.g. encephalitis.<br />

The diptera transmitted Dirofilariosis and Leishmaniosis<br />

are well known in the Mediterranean Europe, causing severe<br />

diseases with the latter even being important as a reservoir<br />

of human infections.<br />

From the method of prevention standpoint, the CVBDs<br />

can be categorized in two groups: 1.) prevention against the<br />

pathogen is possible and established or 2.) prevention<br />

against the pathogen is impossible for several reasons.<br />

The first group contents mainly one CVBD, the dirofilariosis.<br />

Prevention of this cosmopolitan parasite is well established<br />

by regular treatment of the exposed dogs with macrocyclic<br />

lactones at least during the mosquito season. Vaccination<br />

of dogs as important tool to control other arthropodborne<br />

diseases is not available, with the exception of a vaccine<br />

against Babesia canis and in parts of the world Borrelia<br />

burgdorferi. A vaccine against Leishmania esp. to control<br />

123<br />

this serious disease in humans is long been hoped for, while<br />

currently still not available.<br />

Accordingly the second group contains the vast majority<br />

of CVBDs. The only chance to protect the animal against<br />

these diseases is to interrupt the transmission process from<br />

vector to host. The pathogen cycles and specific vectorpathogen-host<br />

relations are not 100% understood in all cases<br />

but they have one thing in common: protection against<br />

them means prevention of the vector transmitting the infectious<br />

stage. Since transmission occurs usually during the<br />

vector’s blood feeding activity, a CVBD protective drug has<br />

to be quick enough in efficacy to prevent the infected tick or<br />

sand fly from successfully biting and taking a blood meal.<br />

The speed of transmission is different for several pathogens<br />

in the several hosts. A sand fly for example will have only a<br />

few seconds host contact during which a successful transmission<br />

has to be managed in opposite to ticks which show<br />

feeding split up in certain phases and in which transmission<br />

may occur after several hours or even later. Moreover, sometimes<br />

the duration until onset of transmission differs within<br />

the tick genus from pathogen to pathogen, for example the<br />

quick transmission of Babesia and Ehrlichia, starting after 2<br />

hours compared the slow transmission of Borrelia which<br />

needs obviously about 18 hours to be initialized. Since the<br />

single transmission kinetic is in many cases not sufficiently<br />

known and a single tick may carry several pathogens, preventional<br />

treatment should be efficacious enough to keep<br />

even the worst case scenario under control.<br />

There is a broad range of insecticides and acaricides available<br />

in the small animal practice, pet shop or supermarket<br />

that claim to be efficacious against several arthropods.<br />

Although their killing efficacy towards their targets may be<br />

undoubted, it is important to investigate if they are suitable<br />

to prevent dogs from CVBD.<br />

An insecticide or acaricide with slow action may influence<br />

the amount of blood removed from a infested dog or may<br />

reduce the size of a parasite’s population on a treated dog or<br />

in the dog’s surroundings but will not be effective in defending<br />

the animal against CVBD transmission. In this respect,<br />

either repellents or drugs with extremely quick action have to<br />

be the first choice. The lessons learned e.g. during human<br />

Malaria management should be applied also for similar cases<br />

in Veterinary Medicine while keeping in mind the specific<br />

requirements in animals compared to human patients. It will<br />

neither possible to keep a dog living in a mosquito tent nor to<br />

treat it every 8 hours with a repellent spray or make him stay<br />

at home after dawn. Therefore the dog itself has to be protected<br />

long lasting and safe against arthropod attacks. That only<br />

can be provided by active ingredients with strong antifeeding


properties, especially certain pyrethroids. From this group the<br />

synthetic pyrethroid permethrin is well established for human<br />

use for impregnation of tents, clothing and other environmental<br />

textiles.<br />

Permethrin on the one hand acts as strong repellent by it’s<br />

so called “hot foot effect” and has on the other hand a very<br />

quick knock down killing efficacy. Both effects combined prevent<br />

the important vector arthropods successfully from biting.<br />

This has been shown for a permethrin/imidacloprid containing<br />

spot on in several parasites during the last years:<br />

repellency measured as antifeeding efficacy has been shown<br />

in several sand flies (Phlebotomus papatasi, P. perniciosus,<br />

Lutzomyia longipalpis), flies (Stomoxys calcitrans) and<br />

mosquitoes (Aedes spec., Culex spec.) for the duration of<br />

several weeks after a single permethrin spot on treatment.<br />

Repellency measured as quick removal of the parasites<br />

from the host (2 hours after reinfestation) has been shown<br />

for several ticks (Ixodes ricinus, Rhipicephalus sanguineus,<br />

Dermacentor spec.) for the duration of three to four weeks<br />

after treatment.<br />

Moreover, several vector-host transmission studies have<br />

been run and have shown successfully the protectional efficacy<br />

of the spot on treatment: in theses studies dogs were<br />

fully protected from transmission of Borrelia burgdorferi<br />

and Anaplasma phagocytophilum by Ixodes scapularis.<br />

In summary, it is necessary to keep any dog living in tick<br />

and/ or sand fly endemic areas or travelling with their owners<br />

to those regions under the consistent protection of such<br />

strong antifeeding agents during the whole arthropod activity<br />

season. Therefore it is necessary to have them in a form<br />

convenient to apply, such as a monthly spot on, to keep the<br />

owner’s compliance to treat the animal as often as necessary.<br />

A dog protected by this shield of repellency will have the<br />

best chance to live undisturbed by the threat of CVBDs.<br />

References<br />

124<br />

Blagburn B.L., Spencer J.A., Billeter S.A., Drazenovich N.L., Butler<br />

J.M., Land T.M., Dykstra C.C., Stafford K.C., Pough M.B., Levy<br />

S.A., Bledsoe D.L. (2004) Use of imidacloprid-permethrin to prevent<br />

transmission of Anaplasma phagocytophilum from naturally<br />

infected Ixodes scapularis ticks to dogs. Vet. Therapeutics Vol. 5,<br />

No. 3 <strong>21</strong>2 – <strong>21</strong>7.<br />

Breitschwerdt E.B. (2003) Canine and feline Ehrlichiosis: new developments.<br />

In: Proceed. <strong>19</strong>th Annual Congress of ESVD – ECVD Tenerife,<br />

Spain, 66 – 74.<br />

Breitschwerdt E.B. (2003) Transmission times and prevention of tick-borne<br />

diseases in dogs. Comp of Cont. Educ. Vol25(10):742 - 751.<br />

Mencke N., Volf P., Volfova V., Stanneck D. (2003) Repellent efficacy of<br />

a combination containing imidacloprid and permethrin against<br />

sand fly (Phlebotomus papatasi) on dogs. Parasitol. Res. 90: S 107<br />

– 110.<br />

Mencke N., Volf P., Volfova V., Stanneck D., Miró G., Gálvez R., Mateo M.,<br />

Montoya A. & Molina R. (2005) Repellent Efficacy of a Imidacloprid/<br />

Permethrin spot-on against sand flies (Phlebotomus papatasi, P.<br />

perniciosus and Lutzomyia longipalpis. In: Proceed. 8th. Internat<br />

Symp Ectoparasit Pets, Hannover, Germany,May 2005, p.<br />

Shaw S.E., Day M.J., Birtles R.J. & Breitschwerdt E.B. (2001) Tickborne<br />

infectious diseases of dogs. Trends in Parasitol. Vol. 17 No.<br />

2 74 - 80.<br />

Spencer J.A., Butler J.M., Stafford K.C., Pough M.B., Levy S.A., Bledsoe<br />

D.L. & Blagburn B.L. (2003) Evaluation of permethrin and imidacloprid<br />

for prevention of Borrelia burgdorferi transmission from blacklegged<br />

ticks (Ixodes scapularis) to Borrelia burgdorferi-free dogs.<br />

Parasitol. Res. 90: S 106-107.<br />

Stanneck D., Fourie L.J., Emslie R., Krieger K. (2005) Repellent efficacy<br />

of imidacloprid 10%/ Permethrin 50% spot-on (Advantix) against<br />

stable flies (Stomoxys calcitrans) on dogs. In: Proceed. 8th. Internat<br />

Symp Ectoparasit Pets, Hannover, Germany,May 2005, p.<br />

Author’s Address for correspondence:<br />

D. Stanneck<br />

Bayer HealthCare, Animal Health Division, Leverkusen, Germany


Business or personal – is your clinic draining you?<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Danimarca<br />

As much as we enjoy our work and our profession there<br />

might come a time where life just doesn’t seem to run as<br />

smoothly as it used to. You seem more tired, it is a relief<br />

when an appointment is cancelled and you just don’t seem to<br />

be as excited about every day work as you used to. This<br />

might mean that you are at risk for high level stress or<br />

burnout, something that the veterinary profession have in<br />

common with other ‘helping and caring’ professions such as<br />

doctors, nurses, teachers etc.<br />

How stressed are you?<br />

Stress and extreme stress (burnout) may show in a variety<br />

of symptoms – both physical and mental. Here are some of<br />

the most common ones:<br />

- Chronic job dissatisfaction<br />

- A constant or frequent sense of urgency<br />

- Tendency to dehumanise clients or easily loose patience<br />

with animals or the rest of the team<br />

- Pessimism and self-doubt<br />

- Troubling physical symptoms such as: difficulty sleeping,<br />

constant tiredness, headaches and sexual disinterest<br />

- Relationship problems, especially with your spouse or<br />

children<br />

- Emotional outbursts or withdrawal from others<br />

- Repeated illness<br />

- Lack of interest in social or other activities<br />

The stages of practice development<br />

The way your see your practice and the way you run it can<br />

have a significant influence on how much stress you experience.<br />

Veterinarian and management guru Steven D. Garner<br />

describes practice development as 3 levels:<br />

1. Infancy<br />

2. Teenager<br />

3. Maturity<br />

In the infancy stage life is good. The practice isn’t terribly<br />

busy, you are doing what you like to do and what you<br />

were trained to do. People listen to you and you have the<br />

time to bond with them. You are the personal contact point<br />

for the clients. The clients think of you as the practice, and<br />

you have the attitude that if you want something done<br />

right you must do it yourself. As a successful practice you<br />

grow and then you become busier. This takes you to the<br />

teenager stage.<br />

Three levels of stress<br />

Level 1 – no obvious ill effects. The person may even<br />

enjoy the adrenaline buzz of being busy<br />

Level 2 – irritability, fatigue and anxiety<br />

Level 3 – withdrawal, illness, poor judgement, depression<br />

and guilt 1<br />

125<br />

In the teenager stage you can never find enough people.<br />

You hire people to do the stuff you do not like to do, but you<br />

seem to have problems with finding the right people. You are<br />

still the practice, but because you are busy things might slip<br />

and client service is not as good as it used to be. You might<br />

look around and think: Who is training the staff? Who is<br />

ordering the supplies? Who is keeping up with technology?<br />

Who is planning for the future? You might try to cope by<br />

working harder and ending up with a burnout, or you might<br />

start hiring in new people – but somehow they are never<br />

good enough.<br />

At this stage the practice is still you – and since it has<br />

grown to a point where you as a veterinarian are unable to<br />

control it, to do every task, to inspect every job and to perform<br />

every function, the practice is no longer doing well.<br />

In the maturity stage you realise that your practice is a<br />

business – and that your business is a commercial enterprise<br />

that has the purpose of some day being sold and providing<br />

you with a good pension. This business is about the<br />

customers – and they do not necessarily want you, they<br />

want a healthy pet. You also recognise that there are 3 people<br />

in you:<br />

- The Entrepreneur – the imaginative inventor that has a<br />

vision and a dream with a purpose. Money is equity<br />

- The Manager – the person who invents systems that manage<br />

people and that goes through constant learning. Every<br />

business is a school. Money is profit<br />

- The Veterinarian – the wealth producer that determines<br />

who we are and how we do things and that represents the<br />

brand of the business. Money is the salary.<br />

Taking your business to the maturity stage is one way<br />

that may help you avoid stress and burnout, as it allows<br />

you to clearly differentiate between your practice and your<br />

self – and it trains you to take a step backward and delegate.<br />

However, stress is a part of every day life and even in<br />

the mature practice it can be helpful to look at ways to<br />

cope with it.


Coping with stress<br />

In order to determine how you can best cope with stress,<br />

it is necessary to understand what about your daily life<br />

stresses you. There are 3 exercises that will help you do this 2.<br />

1. Categorise your stressors<br />

Spend 5 minutes writing down everything that causes<br />

you stress – from health and financial concerns to worries<br />

about the environment and your neighbour’s dirty front<br />

door. Next, place each stressor in one of the following categories.<br />

- Category 1: I can control it, and it’s important to me<br />

- Category 2: I can’t control it and it’s important to me<br />

- Category 3: I can control it and it isn’t very important to<br />

me<br />

- Category 4: I can’t control it, and it isn’t very important<br />

to me<br />

Now look at your lists. Stressors in category 1 are best<br />

addressed with techniques that change the situation. Those<br />

in category 2 are best addressed with techniques that<br />

change your perception or your body’s stress response.<br />

Seriously question whether or not you need to worry about<br />

the ones in category 3 and stop worrying about the ones in<br />

category 4! 2<br />

2. The roles you play<br />

List all the different roles you play in different situations<br />

e.g. veterinary professional, practice administrator, parent,<br />

bicyclist etc.<br />

Next, put the roles you listed in order of importance to<br />

you, and think about how much time you spend during a typical<br />

month on each. Are you spending the most time on the<br />

roles that are most important to you? The greater the mismatch<br />

between the importance of an activity and the time<br />

spent on it, the greater the stress.<br />

3. Balancing your activities<br />

List three things you enjoy but seldom do and three things<br />

you hate but do too often. Plan a specific time to do one of<br />

the activities you enjoy – and brainstorm ways to minimise<br />

the things you hate.<br />

The next step is to look at ways to cope with your stressors.<br />

There are 3 things to consider here:<br />

1. Change the situation<br />

2. Change your perception / attitude<br />

3. Increase your resistance to stressors<br />

Changing the situation<br />

Where it is possible to change the situation it is highly<br />

recommended to do so. Here are some ideas on how to get<br />

started:<br />

- Take responsibility – this allows you to actually change<br />

things.<br />

126<br />

- Clarify your values – think about what you really want out<br />

of life. Are your activities balanced and are you playing<br />

the roles you want to<br />

- Delegate wherever possible. Many tasks being done by<br />

veterinarians can be performed just as well (or better…)<br />

by other members of your team.<br />

- Get realistic – differentiate between what is perfect and<br />

what is excellent. Perfection is only achieved very rarely<br />

and it is frustrating to set your expectations that high.<br />

Excellence allows for learning mistakes and for bad days<br />

– it simply means that you are doing the best you can at<br />

that time. Everybody is human. Get used to it.<br />

- Think creatively. Is there a different approach to the situation<br />

that never occurred to you before?<br />

- Set limits and explain them. Whatever you decide that<br />

your limits are, make them very clear and stick to them. If<br />

you decide to make an exception, be sure the other person<br />

understands what the limit is and why you are bending<br />

your personal rule<br />

Changing your perception/attitude<br />

A good rule of time management is: ‘You don’t manage<br />

time. You manage YOURSELF’. Certainly this attitude will<br />

help you feel more in control. Here are some ways that<br />

might help:<br />

- Be aware – what can you control and what can you not<br />

- Don’t take it personal. The situation at work deals with<br />

what you DO, not with whom you ARE<br />

- Think positive!! And talk to yourself positively.<br />

- Compartmentalise – don’t let work interfere at home.<br />

Once you walk out the door, your focus needs to be on<br />

your home<br />

- Get help from others. Talk about your work stress with<br />

family and friends and try to build a support system at<br />

work where you can laugh at the situation with others<br />

- Avoid the things you can’t change<br />

Increase your resistance to stressors<br />

Stress is a reaction of the body. Therefore there are things<br />

we can do to help the body cope better:<br />

- Practice slow, deep breathing as a means to relax yourself<br />

- Exercise regularly – a minimum of 10 minutes every day.<br />

The key words here are EVERY DAY<br />

- Eat nutritiously<br />

- Play! With your children, with your spouse and with your<br />

friends. This helps you relax and think more creatively<br />

References<br />

1. McMahon, G. Point of view. Counselling (<strong>19</strong>99) 1, 5.<br />

2. Soares, C.J. Give yourself a breather. Veterinary Economics, Oct<br />

2005, 55-63.


Finances of the practice – generating income<br />

and slowing down costs<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Danimarca<br />

By definition, profit = (revenues – costs). Therefore a change<br />

in profit can only result from either a change in revenue or<br />

a change in costs. However, in order to analyse what services<br />

give you the most profit, you need to consider the fact<br />

that there are 2 different types of costs: fixed costs and<br />

variable costs.<br />

Fixed costs are those costs that remain constant within a<br />

range of business activity e.g. salaries, rent, insurance, utilities,<br />

telephones, licenses etc.<br />

Variable costs fluctuate directly in proportion to the level<br />

of business activity and include x-ray film, medical and<br />

surgical supplies, office supplies, pet foods, laboratory supplies<br />

etc.<br />

This also highlights the fact that in most veterinary practices<br />

it is unrealistic to expect to be able to significantly<br />

increase your profit by decreasing your costs, as a lot of<br />

them are directly tied to your revenue.<br />

On the other hand you have unlimited potential for increasing<br />

your revenue.<br />

Slowing down costs<br />

Looking at benchmarks set by the US study of Well-Managed<br />

Practices, we can give approximate targets for how<br />

many percent of revenue the individual costs could be.<br />

Total revenue 100%<br />

Variable costs <strong>21</strong>%<br />

Fixed costs 8%<br />

Nonveterinary costs 23%<br />

Facility costs 8%<br />

Total operating costs<br />

Amount available for veterinary<br />

60%<br />

compensation and reinvestment 40%<br />

Veterinary compensation <strong>19</strong>%<br />

Owner management compensation 3%<br />

Total veterinary and management compensation 22%<br />

Amount available for reinvestment 18%<br />

Amount reinvested into practice 3%<br />

Remaining amount available to owners 15%<br />

The key way to increase your profits<br />

is to grow your topline!<br />

127<br />

There are 4 key areas that can be helpful to you in slowing<br />

down your costs:<br />

• Reduce your accounts receivable (money owed to you by<br />

clients)<br />

• Manage your inventory<br />

• Manage the time of you and your team<br />

• Maximise the use of your practice space<br />

Figure out who owes you money – and how much. Then<br />

determine which clients you could work with to achieve payment.<br />

Send the ones that don’t seem promising to collections.<br />

Do your best to encourage cash payment at the time of<br />

the appointment.<br />

Managing your inventory well is a key factor in liberating<br />

cash for the business. Aim to reduce your inventory to a 2-4<br />

weeks supply. Look at the true value of the individual products<br />

= (profit of product)x(number of times it is sold per<br />

year), and consider whether or not there are some products<br />

that could be discontinued. Some products with a lower<br />

margin may actually make you more money, because they<br />

sell more often. Avoid duplication of products e.g. determine<br />

which flea products you will recommend and sell just that<br />

brand or at most one extra.<br />

Delegate as much as possible to your team – letting one<br />

of them manage the inventory is a good place to start.<br />

Identify what times of the day are busy times and where<br />

there is down time that may be utilised constructively.<br />

Consider using the down time to either directly improve<br />

the look or the skills of your practice or to generate more<br />

income by focusing on following through with your<br />

clients and improving compliance. Have a prioritised list<br />

in place that ensures that any spare time is used wisely to<br />

grow the practice.<br />

Look at the space you have. Exam rooms are key drivers<br />

of income and having enough of them gives you the<br />

opportunity to leverage your team better. Consider multiusage<br />

of the different rooms – an exam room might work<br />

as a dental area as well, while a broom closet could function<br />

as an extra work station in the back. Use vertical<br />

space – look at orderly storage use on your walls. See also<br />

the article on ‘Improving the practice – layout, design and<br />

remodelling tips’.


Generating income<br />

The possibilities are endless when it comes to generating<br />

income. The main thing to remember is to focus on the low<br />

hanging fruit – that which is easy to implement and gives<br />

you the biggest return on investment. Here are some of the<br />

areas you may want to look at:<br />

1. Fees<br />

2. Services currently given away for free<br />

3. Compliance<br />

4. Passive income<br />

5. Services offered<br />

No other single marketing decision impacts your bottom<br />

line as directly and powerfully as pricing: a 5% price<br />

increase is a 5% increase to your bottom line. Adjust your<br />

fees frequently – at least twice a year. They should be<br />

increased by AT LEAST the inflation rate. Price on the high<br />

side – most veterinarians are undercharging, not overcharging.<br />

The AAHA compliance study found that clients<br />

switched to another veterinarian because ‘the prior veterinarian<br />

was too expensive’ only 4% of the time 1 . Also consider<br />

the fact that you could raise your fees by 20%, lose<br />

17% of your clients, and still make the same revenue as<br />

before. The key is to use value-based pricing and set your<br />

fees based on the clients’ perception of the service provided.<br />

Key services, such as vaccinations and castrations, might<br />

need to be priced competitively, while services such as laboratory<br />

work, non-routine dental procedures and dermatology<br />

can be priced differently, because you have the opportunity<br />

to explain the value of the service to the client. Also<br />

consider the total value of the client’s visit – if your team<br />

know the life history of every pet and client, show their<br />

affection and dedication and make every visit pleasant, you<br />

will be able to ask a higher fee for your services. Set the fees<br />

on the basis of the 90% of clients that are happy to pay. If<br />

you do not receive any complaints on your fees, you are not<br />

charging enough.<br />

Charge for what you do. In exam services alone, veterinarians<br />

routinely give away medical progress exams, extended<br />

exams and post-surgical evaluations. This cheats the bottom<br />

line and devalues your services to the client. If you<br />

make a conscious decision to give something away, create a<br />

fund at the beginning of the year with a set amount of money<br />

specifically for discounts and free services. Every time<br />

you give a service away, deduct it from the fund, and when<br />

128<br />

the fund is used up – no more freebies. This will help you<br />

manage how much you give away.<br />

Increasing compliance is a huge opportunity for increased<br />

revenue. The biggest barrier to compliance is the lack of an<br />

effective recommendation 1 . Simply providing the client with<br />

a strong, clear recommendation at every visit will go a long<br />

way to increasing compliance. However, to increase the<br />

compliance futher there are things you can do:<br />

• Educate your team members, so everybody gives the same<br />

recommendations<br />

• Provide educational materials to the clients – in the waiting<br />

room, in the exam room and to take home. Remember<br />

that if you are giving a leaflet to a client, underline key<br />

messages while they look on – this increases the likelihood<br />

of them remembering your recommendation and<br />

reading the leaflet<br />

• Practice proactive scheduling. Ask the team to schedule<br />

the pet’s next appointment for recommended care at the<br />

end of the current visit. If the client can’t schedule that<br />

day, call two or three days later, and then follow up with<br />

a written reminder<br />

• Follow up on reminders. Call people after they have<br />

received a written reminder for a service to help them set<br />

up an appointment<br />

Veterinary time is often the limiting factor in creating revenue.<br />

An important way to work around this is to create passive<br />

income (income generated by the team rather than by<br />

the vet) in the practice. Important sources of passive income<br />

are things like pet food sales, nail trims, ear cleanings, suture<br />

removals, new puppy or kitten programmes, weight management<br />

programmes and geriatric programmes.<br />

Looking at what services you might want to offer, consider<br />

the following: Geriatric pets contribute 50% more than<br />

their younger counterparts, suggesting that a strong geriatric<br />

programme is an opportunity to focus on. Another key<br />

opportunity is dental prophylactic treatment. Many boardcertified<br />

dentists recommend prophylactic treatment for dental<br />

disease grade 1 and higher, but only 35% of dogs and cats<br />

that had grade 2, 3 or 4 dental disease and had been seen<br />

within the last year had received dental care 1 .<br />

References<br />

1. The Path to High-Quality Care. American Animal Hospital Association,<br />

2003.


Improving the practice -<br />

layout, design and remodelling tips<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Danimarca<br />

Take a step back and look at your practice with critical<br />

eyes. Does it meet your needs? Does it meet the needs of<br />

your clients? And does it do so in a pleasing and highly marketable<br />

way? A survey of pet owners conducted by Hill’s Pet<br />

Nutrition in <strong>19</strong>98 identified that clients want a practice that:<br />

• Is clean<br />

• Smells clean<br />

• Is bright<br />

• Is neat, tidy and spacious<br />

• Looks new and modern (inspires confidence)<br />

• Provides comfort and convenience such as separate dog<br />

and cat waiting areas, coffee, magazines, dog refreshments<br />

and available parking<br />

At the same time you need a practice that is designed to<br />

give you the best possible lay out and traffic flow.<br />

Layout<br />

Try to consider your practice in terms of ‘work zones’<br />

such as the client zone, the treatment zone, the dwelling<br />

zone etc. Think about how traffic flow runs from zone to<br />

zone. Draw an overview of your practice and use different<br />

colour pens to draw out how the team and the clients move<br />

around – this will quickly highlight any potential traffic jam<br />

areas and may give you ideas about how to reorganise the<br />

use of the space.<br />

Because the first impression of the practice is through the<br />

reception area, this is a key area to focus on. Make sure you<br />

have adequate storage space, so your reception area is not<br />

cluttered and filled up with many different things, and paint<br />

it in a light, warm colour. By letting the furniture be<br />

portable, you can adapt the room to many different uses<br />

without having it filled up the whole time. Another tip is to<br />

use high-quality lighting that reduces glare while giving the<br />

practice a modern look.<br />

Your reception area makes a statement to your clients<br />

about who the practice is, and therefore you need to really<br />

think about what qualities you want to convey. Consider<br />

investing in a really nice reception desk to use as the focal<br />

point for the area.<br />

The exam room is the next area the client sees. Again,<br />

make sure that it is painted in a light, warm colour. Using<br />

glass fronted cabinets allows you to quickly see where<br />

everything is while keeping it dust free and maintaining an<br />

uncluttered atmosphere in the room. Anything that will fit in<br />

a cabinet or a drawer should be placed there. Consider creating<br />

a wall display that highlights a key service and product<br />

to encourage discussion with the client. You can also use<br />

folding exam tables, so the first impression the client has is<br />

of a spacious room.<br />

Throughout the practice it is important that there is focus<br />

on odour and noise control. Frequent cleanings, floors and<br />

walls designed for easy and effective cleaning, and sound<br />

dampening efforts will all help. Odour and noise can be a<br />

big part of a client’s decision on whether or not to stay with<br />

the practice.<br />

Wherever possible make the rooms multipurpose (office<br />

and exam room, special procedures and exam room, office<br />

and answering telephones room, comfort room for staff and<br />

attended euthanasia area + visiting area for hospitalised<br />

patients etc) and install equipment on rolling tables, so it can<br />

be transported around easily.<br />

Design<br />

129<br />

Clients are looking for modern, spacious surroundings –<br />

all something that can be accomplished more easily than you<br />

might think. There are a couple of key elements that you<br />

might want to look at:<br />

• Colour<br />

• Lights<br />

• Glass<br />

• Storage<br />

• Plants / decorations<br />

• Art / personality<br />

Dark colours make rooms seem smaller and more cramped.<br />

Using a light colour with a warm tone to it can give your<br />

practice rooms an extra lift. For more effect, use small<br />

touches of complementary colour in the surroundings –<br />

door trimmings, panels etc.<br />

Consider what is trendy and use a mild version of it – you<br />

should repaint your walls every 5 years anyway, so becoming<br />

dated is less of an issue.<br />

Appropriate use of modern lights to provide comfortable<br />

working conditions is a must, while using spot lighting or<br />

track lighting to highlight paintings, displays, the reception<br />

desk or other key focuses can help focus the attention of the<br />

clients. The best light source possible is natural light. Skylights,<br />

un-shuttered windows or glass walls are all things to<br />

consider.<br />

You can use internal glass walls, windows or doors to give<br />

the impression of more space and to use as a marketing tool<br />

– e.g. having a glass window to the surgery area, so waiting<br />

clients can see the procedures being carried out.


Appropriate storage is an important feature that will help<br />

you maintain an open and airy space. Look for storage off<br />

site for old records or files. Look up – and use the space all<br />

the way to the ceiling. Find storage opportunities over cages,<br />

in hallways and under benches. Don’t hesitate to invest in<br />

new cabinets or storage solutions – it is money well spent,<br />

and you can quite often find cheap options from stores like<br />

Ikea. Using sliding doors wherever possible will also provide<br />

you with more useful space. Broom closets can be converted<br />

into the most amazing things, while brooms and mops<br />

often can be stored effectively by hanging them on the back<br />

side of a door.<br />

Appropriate use of plants (placed where dogs cannot pee<br />

on them) and one or two decorations can also give the<br />

impression of a far more modern clinic. Ask someone who<br />

is comfortable with interior design – and be prepared to say<br />

no if you don’t like the suggestion!<br />

Remodelling<br />

The easiest way to quickly freshen up the look of your practice<br />

is to clean up the clutter!! Look at what you have accumulated.<br />

If you haven’t used it in the last 4 years, the likelihood<br />

is that you won’t use it ever. If you don’t want to throw<br />

it out – move it into off-site storage, so it is out of the way.<br />

Anything that possibly can go behind closed cabinet doors<br />

should do so. Glass fronted cabinets will allow you to see<br />

what you have – but do be sure that everything is well placed<br />

and orderly. Try to keep the floor as free as possible. Look at<br />

your reception area and make sure that you have an appropriate<br />

rack for the pet food. If it is worth selling, it is worth getting<br />

it off the floor and making a nice display. This makes<br />

cleaning easier and makes the practice look more spacious.<br />

You might want to take a picture of the different areas of<br />

the practice. You will often notice things on a picture that<br />

you overlook when you are physically present. Set a clear<br />

130<br />

list of priorities – what aspects of the practice needs remodelling<br />

the most? What can be done easily and with maximum<br />

impact? What can be done with a limited budget and a creative<br />

mind? Do your best to work around your clients, or<br />

alternatively get enough people to do the job that it can be<br />

done over a weekend or a short holiday. Make sure that you<br />

take lots of pictures of what the practice looked like before<br />

you do the remodelling. Both you and clients will love a<br />

‘Before and after’ book in the waiting area, and it will point<br />

out to the clients that you care about the practice and about<br />

keeping things nice.<br />

The easiest things to change (in order) are colours, floorings,<br />

ceilings and lighting.<br />

The quickest and cheapest way to improve your practice<br />

is to repaint the exam room and the reception area in an<br />

inviting colour and hang a small amount of tasteful artwork.<br />

Remember that a fun and relaxing shade of colour for the<br />

back costs just the same as a white colour – but might<br />

improve morale.<br />

Because pets spend a lot of time on the floor in the waiting<br />

area, clients will notice a change in flooring immediately.<br />

Make sure your floors are easy to clean, has a warm<br />

colour and a nice texture. Watch out for economy solutions<br />

– this is one area where it is a good idea to invest in good<br />

materials.<br />

Take a look upwards and consider your ceilings – are they<br />

in need of repair and painting / new tiles? While fixing your<br />

ceilings consider adding acoustic ceiling baffles in the<br />

reception area and kennel area to muffle sounds. Nice ceilings<br />

add that important finishing touch – and they provide<br />

the perfect background for your lighting. Using different<br />

levels of light and light fixtures in your reception area creates<br />

drama. In the seating area, use incandescent lamps to set<br />

a homier mood. Then combine different kinds of lighting<br />

fixtures to create interest. Consider changing the colour of<br />

the lights you use. Light bulbs come in colour temperatures<br />

that range from a cool blue, to white, to a warmer yellow.


Marketing your practice – what works?<br />

Anne-Marie Svendsen<br />

DVM, MRCVS, Copenhagen, Danimarca<br />

The first thing to realise as you set out to market your practice<br />

effectively is that in order to succeed you need to focus on<br />

the client and what they want. One thing that we tend to forget<br />

in veterinary practice is that clients are also consumers –<br />

and that the behaviour they learn in the rest of the world<br />

inevitably gets carried over to how they behave, communicate<br />

and ‘shop’ in the veterinary practice. So – before you even<br />

look at marketing – ask yourself these questions: Are my<br />

opening hours the ones that the clients want? Do I offer the<br />

services that the clients are looking for? Do I treat my clients<br />

in the way they like? Are the physical premises of the practice<br />

what the clients are looking for? Being able to answer yes to<br />

these questions give you something to build your marketing<br />

on – and a reasonable chance of success.<br />

Attracting new clients<br />

New clients come from a number of different directions.<br />

They may have seen your practice as they pass by, they<br />

have found you in the phone book / on the internet, they<br />

have met you in the community or someone has recommended<br />

you to them.<br />

A key way to gain the attention of potential clients as they<br />

pass by is to paint the trim of the building or the front door<br />

in a different colour whenever you repaint. This causes people<br />

to stop and pay attention and hopefully notice the inviting<br />

look of the practice and the clear signage. Then when<br />

they want to book an appointment they can easily look you<br />

up in the phone book and on the internet.<br />

Another area where you probably find new clients is<br />

through the contacts your get in the community. This can be<br />

through your church, your neighbourhood or other areas, but<br />

consider doing something a bit more purposeful. You may<br />

offer businesses that you will come around and give a short<br />

talk on pet care in their lunch period and answer any questions<br />

they may have. You can offer articles on pet care to the<br />

local newspaper and even offer to run a column where you<br />

answer questions. If you have a pleasant speaking voice, the<br />

local radio is another thing to consider. Again, don’t necessarily<br />

spend your money on placing advertising – try to work<br />

with them to provide something of far more value – your<br />

time and your knowledge.<br />

Ask all your new clients how they heard of you. If they tell<br />

you that you were recommended by someone else – send<br />

that person a thank you card and a small gift! If the same<br />

person recommends you to multiple people, send them a<br />

bigger gift or the offer of a free health check as a thank you!<br />

Up to 80% of your new clients can come from recommendations<br />

from existing clients – support that trend!<br />

The initial contact and impressions<br />

A key first point of contact is the phone. And if that first<br />

contact isn’t positive it may be the last one as well. There are<br />

2 aspects to consider when looking at how effective your<br />

marketing is over the phone:<br />

1. The way the phone is answered<br />

2. What is communicated on the phone<br />

Take the time to consider the phone conversations. Is the<br />

telephone answered within the first 3 rings? Is the person<br />

answering the phone doing so in a positive, smiling and<br />

pleasant manner? Are the name of the practice and the name<br />

of the person answering the phone stated clearly?<br />

A recent survey in the UK used mystery shopping to look<br />

at practices in some detail 1,2 . When clients phoned up almost<br />

75% had to wait seven rings or more, more than 73% didn’t<br />

know the name of the person they were talking to, 88.9%<br />

didn’t know their role and 75% of them were not offered an<br />

appointment. In addition 51% thought that the level of information<br />

offered about the practice, its capabilities and the<br />

services it offered were below average.<br />

Even when clients walk through the door the results are<br />

not that much better. It is therefore important to train your<br />

team members (and yourself) in answering the phone correctly,<br />

providing adequate information about the practice<br />

and what it can offer and always, always offer an appointment.<br />

Some practices create a practice leaflet that can be<br />

given or send out to anyone that calls with questions – this<br />

way the practice has a second chance of highlighting its<br />

strengths and capabilities. Tape some of the phone conversations<br />

so they can be used for training purposes and<br />

remember to give lots of positive feedback when the team<br />

gets it right.<br />

Marketing to existing clients<br />

131<br />

A US study of 924 ideal clients from 54 practices identified<br />

that loyal clients that will happily spend money on their<br />

pets were service-oriented rather than price-conscious, had<br />

high expectations and perceived that their veterinary practice<br />

offered them high-quality medicine and surgery 3 . This highlights<br />

the need for the practice to clearly display what services<br />

they have to offer and to do so in a professional manner.<br />

A good idea is to get a professional photographer in to take<br />

pictures of the team doing surgery, cleaning teeth, drawing<br />

blood, cuddling pets etc. and to post those in the reception<br />

area. Make them personal – identify WHO is doing the procedure,<br />

WHAT is it, WHO is it being performed on and<br />

WHO owns the pet.


Even though clients may have been with you for years that<br />

does not necessarily mean that they know what services you<br />

offer – and if they don’t know they can’t ask for them. You<br />

can make a list of all the services you offer with a short<br />

explanation of the benefits of the service, e.g. ‘Check-up and<br />

cleaning of teeth – helps keep the teeth healthy and gives<br />

your pet fresher breath’. Make sure that the service is named<br />

and explained in every day language that the client can relate<br />

to. If it is possible to make a link to what is being done for<br />

people, it can also increase the interest of the client.<br />

Both products and services can be focused on with a display<br />

in the waiting area. A three-dimensional display that<br />

allows clients to pick up the products is ideal, especially if<br />

it also provides explanations of the benefits of the product.<br />

Be creative with your displays. E.g. if we stay with the dental<br />

example and your product is a dental diet, you might<br />

want to have a huge toothbrush – easily made with some<br />

cardboard and a bit of fantasy. Encourage your team to take<br />

an active part in creating and maintaining the displays and<br />

to use them as an opening to discuss the product and/or the<br />

service with the clients.<br />

If you have taken the decision to shape up the look of<br />

your practice (see also the article on ‘Improving the practice’),<br />

invite everyone to an open house and use your imagination<br />

to let as many people as possible know about the<br />

open day. Demonstrate how to clip the nails of a dog,<br />

explain the anatomy of the ear – be inventive and make the<br />

day informative and fun. Often clients don’t realise how<br />

much happens in the back of the practice, and they leave<br />

the open day being impressed and having a new appreciation<br />

of all you can offer.<br />

132<br />

A more direct approach is to target specific groups of<br />

clients and offer them a tailor made service. This could easily<br />

be done with owners that have geriatric pets. It could be<br />

done in the form of a newsletter or other type of information<br />

describing how to keep your elderly pet happy and healthy.<br />

The focus could be on how regular health check ups and lab<br />

analysis can catch diseases early so they could be managed<br />

effectively with the right diet and the right treatment. Provide<br />

the pet owners with special offers, so they have an<br />

incentive to book an appointment right now. Maybe the<br />

health check up is for free – and you just charge for anything<br />

else done. The key is to get those owners through the door,<br />

so you have a chance to talk to them and educate them on<br />

how you can help their pet.<br />

Another easy thing to do is to use a digital camera and<br />

take before and after pictures of dental procedures, nail clippings,<br />

grooming, cancer surgeries etc. If you brand the pictures<br />

with your logo and your telephone number before you<br />

print them out, you have created a unique business card that<br />

the owner is far more likely to keep than anything else. You<br />

have also proven to them just how much of a difference you<br />

have made – and that means that they appreciate the value of<br />

the service you provide.<br />

References<br />

1. Onswitch Insight survey, 2004.<br />

2. Mystery shopping: a unique look through your clients’ eyes. Vet Business<br />

J, August/September 2005, 4-8.<br />

3. ‘Ideal’ Clients Have Their Say; What’s Important to Them? J Vet<br />

Econ. Jan <strong>19</strong>95.


Une fois par année, je propose à mes clients de comportement ayant partiellement résolu- ou résolu, ou encore face à des difficultés<br />

pratiques… de même qu’à des clients possédants des chiens et juste désireux d’en savoir plus sur leurs chiens un cours<br />

de comportement dont le thème est:<br />

“Mieux communiquer avec son chien”<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Je souhaite présenter ce cours afin d’illustrer comment<br />

rendre accessible les notions de base de comportement et de<br />

communication avec le chien au grand public, et pourquoi<br />

pas encourager des confrères à organiser le même type d’activité<br />

dans leur clientèle.<br />

Je souhaite aussi présenter les moyens nécessaires à<br />

chaque vétérinaire, désireux de bâtir un tel cours (terrain,<br />

salle, vidéo, support écrit théorique) leur faire partager mon<br />

plaisir et mon enthousiasme, de même que celui des participants<br />

au cours de ce type d’enseignement.<br />

Ces moyens sont simples:<br />

1.- Une salle pour l’enseignement théorique permettant<br />

d’accueillir une cinquantaine de personnes avec mon<br />

ordinateur, un écran et un beamer. Une éventuelle<br />

machine à café, un frigo éventuel pour servir des boissons<br />

fraîches, des gamelles à eau, de l’eau pour abreuver<br />

les chiens.<br />

2.- S’entourer de personnes compétentes pour l’enseignement<br />

pratique sur le terrain, (nous sommes une équipe<br />

de 5 personnes, dont un cameraman) et d’une ou deux<br />

personnes supplémentaires pour préparer les lieux, servir<br />

les cafés, assurer le confort des gens. La présence<br />

d’un chien “modèle” pour montrer les exercices et réguler<br />

les chiens participants est souhaitable.<br />

3.- Un terrain attenant, clôturé, équipé d’une porte et de poubelles<br />

avec distributeurs à crottes.<br />

Un parking bien ombragé ou un couvert boisé et ombragé<br />

et/ou la possibilité d’accepter les chiens dans la salle<br />

d’enseignement théorique…si ils sont capables de rester<br />

calmes et silencieux, généralement dans la deuxième<br />

partie du cours.<br />

4.- Un support technique écrit, une feuille d’évaluation, un<br />

diplôme à remettre en fin de cours à chaque participant<br />

(très apprécié), des badges sous forme de cartons avec<br />

nom et sexe du chien du chien et du propriétaire permettant<br />

de placer les gens dans la salle selon une stratégie<br />

permettant à chacun de se retrouver alternativement<br />

devant ou derrière dans la salle.<br />

5.- D’éventuelles muselières, des ovni (bouteilles de pet<br />

remplies de gravier par exemple), quelques obstacles<br />

simples, des planches, des cabas en plastic, des parapluies,<br />

des ballons, un skate, un vélo etc… selon notre<br />

fantaisie..<br />

6.- Une forêt attenante permettant une balade avec tout le<br />

groupe, une ville à proximité pour la promenade en ville<br />

avec des possibilités de parquer assurées et un trajet<br />

bien étudié.<br />

133<br />

Le même type de cours peut aussi s’organiser sur une<br />

seule journée au sein de clubs cynologiques et permettent de<br />

grandement faciliter les relations entre vétérinaires et éducateurs<br />

dans le sens d’une bonne collaboration mutuelle.<br />

Ce type de cours peut être organisé ou supervisé par beaucoup<br />

d’entre nous. Il demande la disponibilité de 5 journées<br />

ou demi-journées espacées chacune de 5 à 10 jours afin de<br />

laisser du temps au temps: les participants reçoivent des<br />

devoirs quotidiens à pratiquer à la maison ou en promenade<br />

avec leur chien afin d’améliorer la qualité de leur communication<br />

avec leur chien dans des exercices et des situations de<br />

la vie de tous les jours telles que<br />

1) des situations éducatives simples: le rappel, la marche en<br />

laisse, l’assis ou le coucher<br />

2) des situations hiérarchiques: envoyer au panier, caresses<br />

salariées, rester à la place attribuées etc<br />

3) des situations de rencontres, de promenades (en ville, en<br />

forêt, en campagne etc.)<br />

4) quoi faire dans les rencontres avec des enfants, des joggers,<br />

des cyclistes, d’autres chiens, des cavaliers, du<br />

gibier etc…<br />

et 5) des devoirs théoriques, soit la lecture du support d’environ<br />

50 pages qui représente environ 10 pages de lecture<br />

par semaine…ce qui reste réalisable pour chacun.<br />

Ce cours est un apprentissage dans le temps… Il est bâti<br />

sur 5 dimanches; il est conçu pour une cinquantaine de<br />

familles et leurs chiens sous une forme d’apprentissages pratiques<br />

et théoriques. La vidéo est largement utilisée pour<br />

expliquer les interactions entre les chiens des participants sur<br />

le terrain. L’alternance de moments théoriques et pratiques<br />

permet aux participants de mieux apprendre en utilisant et<br />

intégrant les informations théoriques dans les situations pratiques.<br />

Le partage et l’échange de difficultés et d’expériences<br />

entre propriétaires enrichissent et permettent à chacun de<br />

surmonter celles-ci. L’ambiance rapidement détendue permet<br />

aussi des apprentissages dans le plaisir pour les participants.<br />

Les familles sont accompagnées dans leurs difficultés de tous<br />

les jours, les situations sont non seulement évoquées en théorie<br />

mais pratiquées dans le cadre du cours: une sortie en ville,<br />

en forêt, un transport public, en plus des exercices sur un<br />

terrain font partie du suivi de ce cours.<br />

Je vais illustrer ma présentation essentiellement de vidéos<br />

présentant des “moments forts” de la rencontre de cette cinquantaine<br />

de chiens sur le terrain, montrer les premiers instants<br />

de la rencontre entre chiens du cours de cette année ou<br />

d’années précédentes, expliquer quelle doit être l’attitude des<br />

propriétaires lors de rencontres de chiens libres sur un terrain,


montrer ce qui se passe dans une rencontre de ce type tant<br />

pour les participants (propriétaires, vétérinaire accompagnés<br />

d’une équipe de collaborateurs non vétérinaires) que pour les<br />

chiens; je vais essayer d’illustrer les temps forts pour les<br />

gens, pour les chiens et pour les organisateurs.<br />

Le temps fort le plus important pour les propriétaires sont<br />

les premiers moments du cours…jusqu’à la fin du deuxième<br />

lâcher de chiens sur le terrain; une fois cette épreuve franchie<br />

les gens peuvent apprécier leur cours et se détendre.<br />

Les temps forts pour les chiens sont le premier lâcher de<br />

chaque nouvelle journée et la balade en forêt.<br />

Les temps forts pour les organisateurs sont également les<br />

premiers instants de chaque journée jusqu’au premier lâcher<br />

et…. les dernières minutes du cours.<br />

Je vous propose sur les 2 pages suivantes, les documents<br />

explicatifs et l’inscription que les clients peuvent trouver à<br />

mon cabinet vétérinaire durant les trois mois précédent le<br />

cours. Ce document a aussi été publié, gracieusement, dans<br />

le journal de la SPA locale. J’ai d’ailleurs donné ce cours<br />

dans le cadre de la structure et en collaboration avec la SPA<br />

qui m’a prêté les locaux et préparé le terrain.<br />

Si l’un d’entre vous désire se lancer, je lui fournis volontiers<br />

un modèle écrit de mon support théorique; ci-joint, le<br />

modèle de l’inscription et de l’invitation au cours.<br />

Modèle de l’inscription:<br />

Inscription au cours de comportement des dimanches 22 et<br />

29 mai, 5, 12 et <strong>19</strong> juin 2005<br />

Ce cours est compris comme un cours - bloc. Il doit être suivi<br />

dans son intégralité. Il n’est pas possible de s’inscrire<br />

pour un seul dimanche!<br />

Il est destiné à toute personne ou famille possédant un chien<br />

de plus de deux mois, vacciné depuis moins d’une année.<br />

Il s’adresse aussi bien aux propriétaires de chiens simplement<br />

désireux d’améliorer leur relation quotidienne avec<br />

leur compagnon, de mieux le comprendre ou de démarrer<br />

une relation idéale avec lui qu’à des propriétaires en difficultés<br />

avec leur chien et désireux de les résoudre.<br />

Je m’inscris à suivre le cours “ Mieux communiquer avec<br />

mon chien ”. Je serai présente les 5 dimanches sus – mentionnés<br />

avec mon chien. Je me suis acquitté de la finance<br />

d’inscription ce jour (une finance/chien) et je m’engage à<br />

respecter les consignes données.<br />

Je reste en tout temps et en tout lieu, responsable de mon<br />

chien tout au long de ce cours.<br />

Mon nom:…………………………………………………………<br />

Mon prénom:……………………………………………………<br />

Mon adresse:……………………………………………………<br />

Ville et numéro postal:…………………………………………<br />

Mon téléphone:…………………………………………………<br />

Mon téléphone portable:………………………………………<br />

Je viendrai (entourer ce qui convient):<br />

❐ Seul ❐ Nous sommes 2 ❐ Nous venons avec nos enfants<br />

Le nom de mon mari/compagnon:……………………………<br />

De chaque enfant:<br />

1:…………………………………………………………………<br />

2:…………………………………………………………………<br />

3:…………………………………………………………………<br />

134<br />

Le nom de mon chien:……………………………………………<br />

Son sexe: ❐ mâle ❐ femelle<br />

Est-il castré: ❐ oui ❐ non<br />

Son âge:……………………………………………………………<br />

Sa race:……………………………………………………………<br />

Son poids:……………………………………………………….<br />

Ses difficultés:……………………………………………………<br />

………………………………………………………………………<br />

Modèle d’invitation au cours:<br />

Si vous souhaitez développer votre<br />

relation ou résoudre vos difficultés,<br />

avec votre chien, ce cours est pour<br />

vous:<br />

DATES: 5 dimanches, les 22 et 29, mai, les 5, 12 et <strong>19</strong> juin<br />

2005, entre 10h et 16h.<br />

Le premier jour le rendez-vous est à 9h00.<br />

LIEU: Ste-Catherine, forum de la SVPA, Chalet à Gobet.<br />

Il est destiné à tout propriétaire de chien, accompagné de<br />

son chien et de sa famille.<br />

Coût cours, avec un texte de cours complet: 300 francs, à<br />

régler avant le 30 avril 2005,<br />

Objectifs:<br />

1.- Découvrir le plaisir de communiquer harmonieusement<br />

avec son chien, sans brutalité<br />

2.- Permettre une meilleure intégration du chien dans sa<br />

famille et dans la vie de tous les jours<br />

3.- Connaître les modes de fonctionnement sociaux du chien<br />

et savoir les utiliser dans l’éducation de son chien, dans<br />

sa vie quotidienne<br />

4.- Apprendre les clefs du langage canin: postures ou<br />

mimiques et intonations et les utiliser dans des exercices<br />

éducatifs pratiques<br />

5.- Démystifier certaines “croyances” populaires.<br />

Moyens:<br />

1.- Des temps de formation théoriques interactifs, avec support<br />

vidéo<br />

2.- Alternés de séances d’éducation pratiques sur le terrain,<br />

en ville et en forêt<br />

3.- Des temps d’observation des interactions entre chiens filmées<br />

et analysées<br />

4.- Le travail du rappel et des ordres de bases indispensables<br />

à une vie sans soucis avec son chien<br />

Conditions de participation:<br />

Fermes, en cas d’annulation un mois avant le début du<br />

cours, 50% remboursés, au delà de ce délai les frais ne sont<br />

pas remboursés.<br />

1.- Venir –de préférence en famille- avec son chien, un collier,<br />

une laisse, - le pic-nic !-, la volonté d’écouter, de<br />

participer, d’apprendre et de respecter les consignes<br />

2.- Consacrer chaque jour, chez soi, 20 minutes à réviser et travailler<br />

avec sérieux, les devoirs appris chaque dimanche<br />

3.- Venir avec une muselière si votre chien a déjà mordu ou pincé<br />

4.- Renvoyer au plus vite (nombre d’inscriptions limitées,<br />

prises dans l’ordre d’arrivée) le coupon d’inscription cijoint<br />

et s’acquitter de la finance d’inscription (300fr)<br />

avant le 30 avril<br />

Pour tout renseignement supplémentaire: +41<strong>21</strong>/616.10.66<br />

Cabinet Vétérinaire Dr Anne-Marie VILLARS<br />

Comportementaliste DENVF diplômée<br />

Rue du Simplon 3 D - CH 1006 Lausanne


La communication canine<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Toute communication nécessite la participation d’un<br />

émetteur, émettant des signaux à un récepteur. “ On ne peut<br />

pas ne pas communiquer ” a dit Bateson.<br />

La première fonction de la communication est la reconnaissance<br />

de sa propre espèce. Le message envoyé est toujours<br />

hétérogène, c’est-à-dire qu’il n’utilise jamais un seul<br />

canal de communication, toujours plusieurs.Tout le corps du<br />

chien est impliqué dans l’émission de signaux servant à la<br />

communication intra spécifique. On distinguera l’émission<br />

de signaux involontaires et volontaires.<br />

Les bases de la communication canine s’apprennent au<br />

cours de la période sensible, par un phénomène d’empreinte<br />

qui correspond à une hyper communication primaire parentale.<br />

Celle-ci façonne de manière durable le comportement<br />

du récepteur que représente le chiot. Elle permet au chiot de<br />

reconnaître ses partenaires privilégiés (mère, parents) d’attachement,<br />

de jeux (fratrie) et d’attirance sexuelle, le chiot<br />

apprend ainsi qu’il appartient à l’espèce canine.<br />

L’approche, puis le contact au sein de l’espèce devient<br />

possible par l’apprentissage des postures, des mimiques et<br />

des rituels durant cette première période de vie. Ils permettront<br />

ultérieurement des comportements de cour spécifiques<br />

à l’espèce apprise. L’apprentissage des gestes de soumission,<br />

d’accueil et d’apaisement, servant à maintenir un<br />

contact durable vont apparaître au fil des premières semaines<br />

de vie du chiot.<br />

Les émissions olfactives et phéromonales sont produites<br />

par les glandes faciales, podales ou péri anales. Elles sont<br />

perçues au niveau de la cavité nasale, de l’organe voméronasal<br />

pour les phéromones et des récepteurs gustatifs. Elles<br />

se trouvent aussi dans l’urine, le sébum et les sécrétions<br />

vaginales. L’animal n’a aucun contrôle sur ces émissions qui<br />

peuvent trahir son état émotionnel face à un congénère (par<br />

ex. lors d’une émotion de peur).<br />

Les émissions sonores involontaires, non vocales sont<br />

constituées des halètements, des bâillements et des claquements<br />

de dents, toujours émis dans une émotion sans le<br />

contrôle volontaire de l’animal.<br />

Les émissions olfactives involontaires: sont émises par<br />

des glandes soit, elles expriment la peur, soit il s’agit<br />

d’émissions phéromonales, ou d’urine, ou de sébum, ou de<br />

sécrétions vaginales.<br />

Les émissions visuelles involontaires sont: la piloérection,<br />

la mydriase, ou le myosis, les tremblements, et les sursauts.<br />

Les signaux volontaires sont les émissions sonores vocales<br />

et les postures spécifiques motrices et volontaires. Des éléments<br />

morphologiques, consistants essentiellement en<br />

taches de couleur, disposées par effet de contraste, telles<br />

que les tâches (sur la face), l’écusson (région ano génitale)<br />

servent à souligner la communication visuelle, chez les<br />

races originelles. Par contre, la sélection de certaines races<br />

modernes peut altérer fortement la communication: face lisse<br />

des bull-terriers, caudectomie, coupe des oreilles, pilosités<br />

excessives, plis excessifs !<br />

Les postures et les émissions visuelles involontaires exprimant<br />

les émotions appartiennent à la communication visuelle.<br />

Les émissions sonores vocales sont le moyen de communiquer<br />

à longue distance, elles peuvent servir à coordonner<br />

une chasse en groupe, ou viennent appuyer une posture spécifique,<br />

tel qu’un aboiement dans l’invite au jeu ou le grognement<br />

dans la menace. Elles peuvent être constituées de<br />

jappements, de hurlements, de toussotements, de cris aigus,<br />

de grognements et d’aboiements. Elles sont perçues par le<br />

chien entre 65 Hz et 15000 Hz. En milieu naturel, elles sont<br />

plus intensives les trois premières semaines de la vie du chien<br />

(période néonatale + transition) sous forme de gémissements<br />

et de miaulements, puis elles diminuent en intensité pour se<br />

transformer en véritables aboiements, que le chiot teste et<br />

exerce durant la période de socialisation, puis elles vont jouer<br />

un rôle mineur dans la communication adulte… sauf au<br />

contact humain, où par stimulation et imitation, ces vocalises<br />

peuvent persister comme support de communication.<br />

Il y a des différences génétiques dans l’utilisation de ces<br />

vocalises: le basenji est quasi muet, certaines races asiatiques,<br />

les chow-chow, les sharpei ou les lévriers sont relativement<br />

silencieuses; les races nordiques utilisent davantage<br />

le hurlement, les caniches ou les schnauzers sont plus<br />

aboyeurs, les teckels et les fox chassent à la voix dans les<br />

terriers. Il n’y a pas de dictionnaire des vocalises canines,<br />

mais un chasseur reconnaîtra le cri de départ sur un gibier,<br />

ou les vocalises de poursuite de son chien… et chacun<br />

d’entre nous est capable de reconnaître l’intonation amicale<br />

ou agressive d’un aboiement! L’aboiement est généralement<br />

un état d’excitation.<br />

Les postures spécifiques<br />

135<br />

Elles nécessitent un apprentissage, elles sont constituées<br />

de mimiques et de postures organisées en séquences ritualisées.<br />

Par exemple, une démarche lente, raide, poitrail en<br />

avant, oreilles pointées, queue droite avec le regard vers la<br />

croupe de l’autre indique une approche dominante. De<br />

même, l’exhibition des organes génitaux, au cours de mictions<br />

de marquage, avec la patte levée le plus haut possible<br />

en se déhanchant est aussi une posture de dominance.<br />

La queue et les oreilles, de même que la lisibilité des<br />

mimiques faciales sont indispensables à une communication<br />

canine claire.


Les rituels sont généralement fondés sur des actes liés<br />

aux fonctions essentielles de la vie, ils perdent leur fonction<br />

première pour acquérir une fonction de communication:<br />

ainsi la posture de soumission dérivée du réflexe périnéal<br />

d’élimination: la mère retourne ses chiots et déclenche<br />

l’émission des excrétions par léchage de la zone périnéale.<br />

A la période de socialisation, puis à l’âge adulte le chien va<br />

exécuter cette séquence de renversement pour signaler sa<br />

soumission complète à l’adversaire et va déclencher l’inhibition<br />

de l’agression. De même, le léchage du coin des<br />

babines, qui est basé sur une demande de régurgitation à la<br />

période de transition devient la ritualisation d’une soumission<br />

active à l’âge adulte.<br />

Les éléments de la posture de dominance:<br />

Le chien se dresse sur son corps, le poil hérissé, la tête<br />

haute, queue et oreilles dressées, le regard dirigé vers la<br />

croupe de l’adversaire, il a une démarche raide, il retrousse<br />

les babines, peut émettre grognement ou claquements de<br />

mâchoire il peut mettre un membre ou la tête sur l’encolure<br />

de l’autre chien, il peut “ exercer un rappel à l’ordre ” par un<br />

pincement contrôlé de l’encolure du chien, respectivement<br />

de la main de l’homme.<br />

Les éléments de la posture de combat:<br />

Le chien attrape l’adversaire au niveau de l’auge (sous le<br />

cou) ou de l’encolure (sous le menton) ou il se met debout,<br />

par dessus pour l’adversaire pour le plaquer au sol.<br />

Les éléments de la posture de dominé:<br />

Le chien s’affaisse, la queue entre les jambes, les oreilles<br />

plaquées en arrière, c’est une posture passive, il détourne le<br />

regard, il s’immobilise, ne regarde pas,s’éloigne doucement,avec<br />

un petit battement de queue, il peut stimuler la<br />

région labiale de l’adversaire par un léchage.<br />

Les éléments de la posture d’apaisement:<br />

Les oreilles sont bien couchées, le corps est affaissé, il<br />

détourne le regard et s’éloigne doucement.<br />

Les éléments de la posture de soumission:<br />

Le chien s’immobilise et présente le ventre en détournant<br />

le regard.<br />

Les éléments de la posture de jeu:<br />

Le chien fait des aplatissements répétés de l’avant-main<br />

avec un raidissement du corps en battant de la queue, parfois<br />

en aboyant.<br />

Les canaux de communication du chien<br />

Le chien est plus performant que l’homme au niveau de<br />

l’odorat, du toucher et de l’ouïe; il a une vue qualitativement<br />

différente. Il vit dans un monde sensoriel très différent<br />

du nôtre.<br />

Le canal olfactif: Le chien vit dans un monde d’odeurs !<br />

Il possède, en moyenne, 160 cm2 de surface réceptrice des<br />

odeurs et des phéromones (nous en possédons 5cm2) sous la<br />

136<br />

forme de chémorécepteurs dans les cavités nasales, de l’organe<br />

de Jacobson (voméro nasal) et de papilles gustatives.<br />

En effet, les éthologues englobent dans la communication<br />

olfactive le sens du flair et du goût. Il va donc capter des<br />

signaux par l’olfaction, le “ flehmen ” ou le goût.<br />

Le canal tactile: chronologiquement, le toucher est le<br />

premier sens chez le chiot, puisqu’il apparaît perceptible à<br />

40jours de gestation, soit avant la naissance. La face, soit la<br />

truffe, les vibrisses, les sourcils et le menton sont le siège de<br />

son sens tactile qui permet au chien d’explorer un objet (corpuscules<br />

tactiles de Meissner). Les corpuscules lamellaires<br />

de Vater-Pacini sont sensibles à la pression et aux vibrations,<br />

ils interviennent dans la perception somesthésique, par<br />

exemple au niveau des cils (déclenchement du clignement à<br />

la menace) et au niveau du menton, où ils permettent au<br />

chien de suivre une piste, la truffe collée au sol. La communication<br />

tactile est aussi perçue sur tout le corps, par des<br />

récepteurs sensitifs cutanés. Le chien est sensible aux<br />

caresses, au léchage; il s’agit d’un mode de communication<br />

peu exploré, dont on pense qu’il sert aussi à souligner les<br />

messages olfactifs et phéromonaux.<br />

Le canal auditif: La fin de la période de transition (trois<br />

semaines) est marquée par la capacité du chiot à percevoir<br />

les sons, ses oreilles se sont ouvertes et sont fonctionnelles.<br />

Le chien entend les ultrasons, son spectre acoustique est<br />

excellent, compris entre 65Hz et 15000Hz.<br />

Pour le chien, les mots, le texte ont beaucoup moins d’importance<br />

que l’intonation dans sa communication ! Il utilisera<br />

conjointement le canal visuel dans la lecture des messages<br />

transmis. L’homme, lui,en général donne un ordre au chien<br />

par le canal verbal! Le chien perçoit le non verbal et le para<br />

verbal: les intonation, le timbre, la hauteur de la voix, le<br />

rythme des mots, les gestes, les mimiques, les postures, l’assurance<br />

ou l’hésitation, les micro signaux, et les émotions…:<br />

par les canaux visuels,olfactifs, et tactiles.<br />

Ainsi, un exercice conditionné (club) est un apprentissage<br />

d’un mot par association à un cotexte clair!<br />

Le chien, dans sa vie de tous les jours analyse les signaux<br />

non verbaux du contexte et du cotexte:Un exemple: pour le<br />

chien, prendre la laisse et mettre ses habits “chien” signifie<br />

sortir. Il apprend par répétition, par fixation, puis simplification<br />

en un signal précis, attractif, significatif et se crée un<br />

rituel. Un exemple: la réponse positive de l’homme à des<br />

manifestations d’émotions du chien amplifiera les rituels de<br />

salutation lors du retour du maître jusqu’à l’hystérie!<br />

Il faut donc que les mots et les gestes de l’homme soient<br />

clairs, que le maître soit sûr dans son énoncé, qu’il ne doute<br />

pas de son chien, ni de sa relation satisfaisante avec lui.<br />

Le canal visuel: La rétine du chien est riche en bâtonnets<br />

lui permettant de voir et de chasser dans la quasi-pénombre.<br />

Le chien a une vision en couleur et une lecture des détails<br />

dès une distance de 25 cm; malgré une mauvaise acuité<br />

visuelle, 3/10 en moyenne, il est capable de détecter des<br />

micro signaux non verbaux,par son excellente perception<br />

des mouvements. D’autre part, il possède un champ visuel<br />

latéral plus étendu que l’homme, compris entre 80 et 100<br />

degré, suivant la race.


Les fonctions de la communication<br />

1. La première fonction de la communication est la reconnaissance<br />

spécifique, ceci est valable pour chaque espèce. le<br />

chien doit au cours de sa période sensible, par le phénomène<br />

d’“ empreinte ” apprendre à reconnaître son espèce,ses<br />

partenaires privilégiés d’attachement, de jeu et d’attirance<br />

sexuelle. Une fois cette empreinte faite, il doit apprendre les<br />

rituels de son groupe, tels que les comportements de cour,<br />

les gestes de soumission, d’accueil, d’apaisement, et les<br />

signaux qui établissent et maintiennent le contact.<br />

Le chien fonctionne avec ses rituels de la communication<br />

canine, qu’il apprend pendant sa socialisation. Ces comportements<br />

sont basés sur des rituels issus de comportements primaires<br />

dont la fonction, la motivation originale est modifiée:<br />

les mouvements sont simplifiés et amplifiés, le comportement<br />

devient stéréotypé dans son intensité. Un exemple: la posture<br />

d’apaisement, un rituel d’appel au jeu, l’arrêt d’un comportement,<br />

la posture de dominance et leur signification pour son<br />

espèce. L’absence de certains rituels va signer le défaut<br />

d’identification. Ainsi un chien présentant un bon rituel d’accueil<br />

et de présentation envers ses congénères, sachant soit se<br />

soumettre, soit interrompre son agression face à une posture<br />

d’apaisement et utilisant ses comportements de cour envers<br />

des partenaires de son espèce indique l’acquisition d’un développement<br />

adéquat durant sa prime enfance.<br />

2. La deuxième fonction de la communication, par l’utilisation<br />

de postures et de productions vocales est la cohésion<br />

du groupe: la cohésion dans un groupe social de prédateurs<br />

est nécessaire pour renforcer l’efficacité des actions de chasse.<br />

L’inhibition de l’agressivité chez le chien fait appel à une<br />

hiérarchisation du groupe; celle-ci permet la stabilité du<br />

groupe et une économie importante de combats en apportant<br />

une solution aux conflits. Les rituels propres à l’espèce ont<br />

une fonction anxiolytique et permettent le bien-être de<br />

chaque individu s’ils sont connus et respecté du groupe;<br />

autrement, ils sont un frein à la cohésion de celui-ci.<br />

La communication chez le chien en<br />

matière de privilèges:<br />

1. Le premier privilège: Le privilège alimentaire:<br />

Le chien mange quand on le regarde.<br />

Il choisit ses morceaux, il est difficile.<br />

Il mange dans la gamelle des autres, il réclame à table.<br />

Il refuse de manger si son maître ne le regarde pas ou<br />

mange à la main.<br />

Il empêche les autres de manger.<br />

Il laisse un peu de nourriture dans sa gamelle pour les autres.<br />

Il protège sa gamelle et grogne (agr. hiérarchique) quand<br />

on s’approche.<br />

Il mange à chaque contrariété (si la dominance est instable).<br />

2. Le deuxième privilège: Le contrôle de l’espace:<br />

Le chef surveille les déplacements du groupe.<br />

Il occupe le centre de l’espace, se met dans un poste de<br />

surveillance.<br />

137<br />

Il grogne quand on le pousse.<br />

Il protège sa place.<br />

Il possède sa chambre/ou dort dans la chambre…<br />

Il impose un rituel de déplacement: arrêt et posture de<br />

soumission quand on traverse le territoire qu’il contrôle.<br />

Il passe sa journée à surveiller les environs de son domaine<br />

(chien de fenêtre).<br />

Il possède son fauteuil.<br />

3. Le troisième privilège: La sexualité:<br />

Seul le chef a le droit d’exprimer sa sexualité devant les<br />

autres.<br />

Il ne tolère pas de démonstration de la part des autres.<br />

Il choisit sa femelle dominante.<br />

Il y a augmentation des marquages urinaires.<br />

Il grogne ou chasse sa femelle lorsqu’elle rapporte les<br />

odeurs d’un autre mâle.<br />

Quand la communication est mauvaise:<br />

Le chien s’interpose et empêche Mr de s’approcher de<br />

Mme (inversement pour la femelle).<br />

Il chevauche ses maîtres.<br />

Il grogne quand Mr approche Mme.<br />

Il empêche le père d’entrer dans la chambre d’une de ses<br />

filles (formation d’un sous-groupe).<br />

Il y a davantage de conflits pendant les règles de sa maîtresse.<br />

Il occupe le lit de son partenaire sexuel et essaye de chasser<br />

son concurrent direct.<br />

4. Le quatrième privilège: Le contrôle des relations<br />

sociales:<br />

Le chien grogne les autres sans être réprimandé.<br />

Il mord ou pince sans déclencher de riposte.<br />

Il décide pour le groupe et donne des ordres.<br />

…Tels que apporter sa laisse.<br />

Il reçoit des marques de soumission: Caresses, léchage<br />

des babines.<br />

Il aboie à la porte pour se faire ouvrir.<br />

Il réclame à boire.<br />

Il décide de la promenade et tire sur sa laisse.<br />

Il initie et décide de l’arrêt des contacts.<br />

Quand la communication n’est pas claire:<br />

Le chien refuse les contraintes.<br />

Il ne revient pas à l’appel.<br />

Il empêche le groupe de sortir: Il mord ou pince quand ses<br />

maîtres partent de la maison.<br />

Il empêche le groupe de communiquer avec les étrangers<br />

(téléphone, voisins).<br />

Il protège son territoire.<br />

Les troubles de la communication entre le chien et son<br />

maître:<br />

Liste des non-sens ou les incohérences émis par le<br />

maître:<br />

Avoir une activité de chef en émettant des signes de peur.<br />

Ne pas cesser de crier, contraindre ou frapper un chien qui


émet des signes de soumission.<br />

Crier ou être en colère pour rappeler son chien (double<br />

message contraire).<br />

Crier ou se fâcher quand le chien fait ses besoins.<br />

Ne pas être cohérent dans ses exigences: accepter un jour<br />

telle action et la punir le lendemain.<br />

Attitudes du maître perçues comme des marques de<br />

soumission:<br />

Se faire mordre ou pincer et accepter le léchage de la<br />

plaie.<br />

Avancer le corps ou la main en hésitant.<br />

Être en position physiquement inférieure.<br />

Perdre une bagarre ou un jeu de traction sur un objet.<br />

Céder sa place, accepter les bousculades.<br />

Céder aux aboiements.<br />

Donner des caresses ou embrasser le chien.<br />

Partager son repas ou regarder l’autre manger.<br />

Attitudes du maître perçues comme des marques de<br />

soumission:<br />

Accepter les grognements ou autres manifestations hiérarchiques.<br />

Suivre le leader (laisse et rappel).<br />

138<br />

Éponger ou ramasser l’urine du chef, ne pas être capable<br />

de faire des marquages urinaires significatifs: plus haut et<br />

avec l’odeur du chef.<br />

Enfin et surtout ne pas sentir le chef !<br />

Signaux de dominance de l’homme:<br />

Regarder le chien dans les yeux.<br />

Soulever le chien, le porter.<br />

Prendre le chien par la peau du cou, le secouer (menace de<br />

mort).<br />

Manipuler, tirer, pousser, soigner.<br />

Maintenir le chien sur le dos.<br />

Caresser ou poser la main sur le dessus, brosser, peigner<br />

le dos.<br />

Mettre, défaire la laisse, le manteau.<br />

Tenir le nez, la patte.<br />

Tirer, bousculer, gonder, crier, hurler, frapper.<br />

Réveiller.<br />

Prendre la gamelle.<br />

Décider pour le groupe: promenades, repas…<br />

Anne-Marie Villars - Rue du Simplon 3 D-CH- Lausanne<br />

E- mail: anne-marie@citycable.ch


Les puppies<br />

Anne-Marie Villars<br />

Med Vet, Dipl ENVF, Lausanne, Svizzera<br />

Ou du mythe du chiot parfait à la réalisation pratique<br />

d’une école de chiots.<br />

Qu’est ce qu’une école de chiots?<br />

C’est un lieu de rassemblement où l’on pratique un enseignement,<br />

avec de l’esprit, de l’intelligence, beaucoup de<br />

compréhension. Cela nécessite une somme de connaissances<br />

et peut-être même des aptitudes naturelles pour partager son<br />

savoir et aimer le transmettre. L’école des chiots est destinée<br />

à des propriétaire de chiots avec leur famille, ou à des éleveurs<br />

avec leurs chiots; mais surtout aux chiots avec leurs<br />

maîtres, même expérimentés,que ceux-ci en soient à leur<br />

premier chiot ou à leur dixième chiot!<br />

L’apprentissage est double. Tout d’abord pour les maîtres:<br />

apprendre des<br />

règles éthologiques et des principes éducatifs. Assurer un<br />

développement harmonieux, à leur chiot, apprendre et lui<br />

apprendre la “position de soumission”.<br />

Ensuite pour les chiots, qui eux, viennent pour s’amuser<br />

entre chiots et aussi, devenir<br />

sociable envers les humains et d’autres espèces amies;<br />

pour pouvoir s’intégrer dans une hiérarchie (ni trop dominant,<br />

ni trop soumis), s’adapter à la vie citadine, être<br />

capables de self contrôle, n’être ni trop actifs, ni agressifs ou<br />

trop aboyeurs, ni craintifs; devenir propres, obéissants et<br />

capables de rester seuls, quelques heures par jour. Les objectifs<br />

d’une école des chiots, sont de respecter le profil comportemental<br />

du chiot, d’enseigner une socialisation maximale<br />

avec une base d’éducation.<br />

Ainsi, le rappel sera appris en utilisant le réflexe naturel<br />

du chiot de suivre sa mère, avec du renforcement positif, et<br />

en apprenant aux maîtres à savoir être attractif!<br />

Pour favoriser la sociabilité des chiots, nous allons multiplier<br />

les contacts des chiots avec des humains variés, pendant<br />

la phase de socialisation, au moyen de sorties avec<br />

l’école! Il est important de multiplier et maintenir ces<br />

contacts pour une socialisation durable. Et pour favoriser la<br />

familiarisation à l’environnement, il faut exposer les chiots<br />

à des stimuli (auditifs, visuels, olfactifs, tactiles) variés, en<br />

intérieur et en extérieur.<br />

Il est aussi nécessaire d’enrichir le milieu de vie du chiot<br />

les 14 premières semaines de vie. L’école est aussi un merveilleux<br />

lieu de rencontre, où peuvent se dérouler des jeux<br />

entre congénères, un enseignement pour les maîtres du<br />

chiot, sa famille, les enfants de sa famille. Cette rencontre<br />

permet un échange entre humains et chiots.<br />

Le rôle des animateurs d’une école de chiot est d’abord<br />

d’encadrer le groupe, mais aussi la prévention ou le dia-<br />

139<br />

gnostic des pathologies comportementales du jeune âge (tel<br />

le HSHA, le syndrome de privation), la prophylaxie des<br />

affections plus tardives (par exemple les sociopathies ou les<br />

hyperattachements secondaires). Nous avons aussi un rôle<br />

éducatif, un devoir de socialisation intra- et interspécifique<br />

et à l’environnement. La présence de chiens adultes modérateurs<br />

équilibrés est nécessaire et doit être contrôlée par les<br />

animateurs de l’école.<br />

L’importance des jeux entre chiots permet une continuité<br />

des contacts et des interactions. Elle apprend aussi aux<br />

chiots à découvrir les rituels et aux humains de les voir, de<br />

se les faire expliquer et d’en acquérir la connaissance.<br />

De même, l’importance du maintien de l’acquisition de la<br />

morsure inhibée par un enseignement adéquat au sein de<br />

l’école. Car souvent, le chiot l’a plus ou moins acquise à 8<br />

semaines! Et le désapprend ensuite… dans sa nouvelle<br />

famille (il fait ses dents, croit-on)<br />

Apprendre aux maîtres à intervenir immédiatement dès<br />

que le chiot commence à mordiller est primordial ! Nous<br />

leurs apprenons aussi comment doser la punition et le renforcement<br />

positif, à savoir renforcer l’acquisition des<br />

autocontrôles et l’apprentissage du signal d’arrêt.<br />

Parfois, les jeux dégénèrent par des comportements trop<br />

impulsifs ou des mordillements qu’il faut savoir stopper.<br />

généralement en posture de soumission et en restant très<br />

calme.<br />

Il faut savoir faire preuve de douceur, de fermeté et de<br />

patience! Ne pas s’énerver, donner des indications calmes.<br />

Savoir récompenser le positif plutôt que punir le négatif.<br />

Faire preuve de fermeté, c’est simplement exiger que<br />

l’ordre soit exécuté jusqu’au bout. Notre rôle est aussi la prévention<br />

des agressions: ainsi, la prévention des agressions<br />

compétitives:<br />

- en évitant d’accorder des prérogatives dominantes!<br />

La prévention des agressions d’autodéfenses:<br />

- par une socialisation intensive, de l’habituation et le toucher<br />

Et la prévention des agressions de prédation:<br />

- par l’apprentissage d’espèces amies, telles que les chats,<br />

les poules<br />

On connaît 3 classes d’agressions:<br />

■ 1. Agr. de compétition (ou hiérarchiques)<br />

■ 2. Agr d’autodéfense:<br />

- Par irritation<br />

- Par peur<br />

- Territoriale<br />

- Maternelle<br />

■ 3. Agr. de prédation<br />

- sur petites proies<br />

- sur grandes proies


Le déroulement pratique:<br />

Au niveau sanitaire: une primo-vaccination nécessaire.<br />

Groupe:<br />

- 4 à 10 chiots (chiots variés: âges, races etc)<br />

- 4 à 25 humains: du grand-père à toute la famille<br />

Il y a obligatoirement une première leçon d’information.<br />

Le rythme de mon école: Une leçon hebdomadaire de 90<br />

minutes/classe. Les chiots sont acceptés dès 6 semaines jusqu’à<br />

l’âge de 6 mois à la dernière leçon<br />

Des compétences humaines sont nécessaires pour les animateurs<br />

de l’école des chiots, car il s’agir d’animer un groupe<br />

très disparate, cela nécessite d’être calme et pédagogue,<br />

de savoir communiquer simplement avec des mots adaptés à<br />

la clientèle présente. Nous sommes 5 animatrices et 2 au<br />

minimum sont présentes pour une école, souvent 3!<br />

La présence de chiens adultes équilibrés, calmes et compétents<br />

à l’école des chiots est indispensable: Cela est nécessaire<br />

pour moduler les chiots hystériques ou mal contrôlés. Un mâle<br />

adulte réglera et identifiera le démarrage pubertaire des jeunes<br />

mâles et leur apprendra le respect hiérarchique. S’il est de taille<br />

respectable, il permettra aux propriétaires de petits chiens d’accepter<br />

les interactions de gros chiens avec leur chiot plus facilement<br />

et leur évitera une surprotection! Des adultes de moyenne<br />

ou petite taille peuvent également mieux faire accepter des<br />

interactions sur ces mêmes chiots en tout cas au début.<br />

La version actuelle:<br />

2 cours: 1 heure 1/2<br />

Une leçon d’information: 30 min<br />

Un suivi de 9 leçons avec 4 thèmes comportement et 4<br />

thèmes communication<br />

La 9 ième leçon: vidéo<br />

Le programme:<br />

J 1. Comportement 1: Alimentation, lieu de couchage et<br />

caresses; quel sens cela prend-il pour le chien?<br />

J 2. Communication 1: La propreté et les premiers<br />

apprentissages<br />

J 3. Comportement 2: Postures et rituels hiérarchiques: Se<br />

promener avec son chien et fonctionnement d‘un groupe de<br />

chiens<br />

J 4. Communication 2: Punir, récompenser, éduquer<br />

J 5. Comportement 3: Socialisation<br />

J 6. Communication 3: Les bases du rappel et la marche<br />

en laisse<br />

J 7. Comportement 4: Jeux et autocontrôles<br />

J 8. Communication 4: lui apprendre à rester seul, s‘asseoir,<br />

se coucher<br />

J 9: Théorie: vidéo pour tous à 18h<br />

Les précautions à prendre:<br />

Un contrat<br />

L’absence d’objets dangereux<br />

Le lâcher dans des zones exemptes de risques<br />

Les chiots en laisse lors des sorties dans la circulation<br />

Terrain, locaux et matériel:<br />

Où a lieu une école de chiots?<br />

1. A l’intérieur: dans les locaux de mon cabinet<br />

2. A l’extérieur:<br />

- Un jardin clôturé: avec des obstacles sans danger<br />

- Des sorties à travers la ville<br />

- Un terrain de la ville<br />

140<br />

Matériel:<br />

Caméra-vidéo, TV ou Beamer pour la leçon vidéo<br />

Des jouets variés, quelques accessoires (sèche-cheveu,<br />

aspirateur, ballons, pétards etc)<br />

Lieu d’implantation?<br />

Pourquoi pas chez un éleveur? Ou dans un club cynologique?<br />

Ou comme je l’ai obtenu avec les. autorités de ma<br />

ville: un terrain d’éducation adapté, clôturé.<br />

Des sorties indispensables:<br />

La première sortie:<br />

Avec des stimulations modérées<br />

Apprendre une marche en laisse souple<br />

A l’aide du renforcement positif<br />

Penser à la propreté de sa ville: les sachets à crottes<br />

Enseigner des rudiments d’éducation<br />

Et des réflexes conditionnés simples: l’assis avant de traverser<br />

une route<br />

La deuxième et la troisième sortie:<br />

Prendre un bus en groupe, inviter les gens à caresser les<br />

chiots<br />

Balade et exercer le rappel<br />

Inciter à des rencontres diverses avec des stimuli plus<br />

importants: en allant dans des lieux de plus en plus bruyants<br />

L’effet groupe:<br />

L’effet stimulant du groupe permet aux chiots les plus<br />

timides de se laisser entraîner par imitation à suivre rapidement<br />

les plus audacieux<br />

Les conclusions<br />

Du mythe à la réalité<br />

Les dérapages et les risques d’échec d’une école de chiots<br />

L’absence:<br />

- De familiarisation à l’environnement citadin et de contacts<br />

avec la rencontre d’une multitudes de personnes, de lieux<br />

bruyants, de sorties en ville etc: Attention aux dangers<br />

d’un terrain unique ! Risque de ne pas détecter, voir d’entretenir<br />

un syndrome de privation<br />

- De chiens adultes: Certaines écoles sont limitées à de<br />

simples jeux entre chiots! …voir parfois séparation par<br />

classes d’âges ou par races! Et sans chiens adultes co-éducateurs<br />

! La compétence du chien adulte est un immense<br />

apport. Elle permet souvent de détecter et réguler les<br />

chiots hyperactifs. Elle permet aussi l’habituation des<br />

maîtres et leur évitera l’hélitreuillage et la surprotection!<br />

- D’éducation de base: Il est important: d’enseigner au minimum,<br />

le rappel, l’assis, le couché et la position de soumission<br />

et inhibition de la morsure!<br />

- De connaissances du langage et du fonctionnement hiérarchique:Absence<br />

de mise en place d’une structure hiérarchique,<br />

l’apprentissage de notions de ce que sont les prérogatives<br />

d’un dominants:


Alimentaires<br />

Spatiales<br />

Sexuelles<br />

Sociales<br />

“Nothing is free in the life”<br />

Conclusions:<br />

■ Expérience enrichissante et positive<br />

■ Conseils en groupe<br />

■ Améliorer le contact<br />

■ Fidéliser sa clientèle sans faire de concurrence<br />

■ Outil prophylactique<br />

■ Prévenir les troubles de la communication et hiérarchiques<br />

■ Attente des maîtres différentes<br />

■ Prophylaxie des affections comportementales<br />

141<br />

■ Dialogue et contact sympathiques<br />

■ Utile à l’insertion de l’animal dans la société<br />

■ Se faire connaître/ Superviser<br />

■ Plaisir des chiots à venir ultérieurement en consultation !<br />

Par Docteur Anne-Marie VILLARS<br />

Médecin Vétérinaire<br />

Comportementaliste diplômé D.E.N.F.<br />

Cabinet Vétérinaire - Rue du Simplon 3 D<br />

CH 1006 LAUSANNE<br />

Tél: +41<strong>21</strong>/616.10.66<br />

Fax: +41<strong>21</strong>/ 616.68.65<br />

Mail: anne-marie.villars@citycable.ch<br />

Vous pouvez consulter mon mémoire détaillé sur l’école des chiots<br />

sur le site de www.zoopsy.com

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!