56. Camera letto Livia. Aldeno. Interno notte.
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- Usurai ce n'è dappertutto.<br />
- Sarebbe un peccato il darlo via per poco. Cerca modo di<br />
poterlo ricuperare. -<br />
Mi piangeva il cuore. Il diadema specialmente mi stava tanto<br />
bene.<br />
- E i denari me li dai? - chiese Remigio. - Mi farebbero comodo.<br />
Cercai nello scrigno i napoleoni d'oro, che avevo messo in un<br />
mucchietto, e, senza contarli, glieli diedi. Mi baciò e, frettolosamente,<br />
fece per uscire. Lo trattenni. Con un atto d'impazienza<br />
mi respinse, dicendo:<br />
- Se ti preme la mia vita, !asciami andare.<br />
- Fa piano, non senti che gli stivali scricchiolano? E poi, aspetta.<br />
Voglio vedere se c'è la cameriera; bisogna ch'ella venga ad<br />
accompagnarti. -<br />
La cameriera, infatti, attendeva in una stanza vicina.<br />
- Mi scrh·erai subito?<br />
- Sl.<br />
- Ogni due giorni? -<br />
Vo!e,•o dare un ultimo bacio all'amante mio, che amavo tanto:<br />
era già sparito.<br />
Aperte le invetriate, guardai nella via. Il sole indorava le alte<br />
cime dei monti. Innanzi al portone stavano discorrendo fra loro<br />
il mozzo di stalla ed il guattero. Alzarono gli occhi e mi videro;<br />
poi videro uscire dal palazzo Remigio, che camminava in fretta<br />
con le tasche dell'abito rigonfie.<br />
Tornai a <strong>letto</strong> e piansi rutto il giorno: l'energia della mia natura<br />
era fiaccata. Il medico la mattina appresso trovò che bruciavo<br />
e che avevo una gran febbre; ordinò il chinino che non<br />
presi: avrei voluto morire. Una settimana intiera dopo la visita<br />
di Remigio la cameriera mi portò con la sua solita placidezza una<br />
lettera, che, appena \'ista, le strappai di mano rabbiosamente:<br />
avevo indovinato, era di lui, la prima dopo la sua panenza, e<br />
mi posi a leggerla con sì furiosa avidità che, giunta alla fine,<br />
dovetti ricominciare: non ne avevo capito nulla. Me la ricordo<br />
ancora oggi parola per parola, tante volte la lessi e tante volte<br />
i casi terribili, che la seguirono, me ne fecero risovvenire:<br />
« Li via adora t a,<br />
«M'hai salvato la vita. Ho venduto l'astuccio a un Salomone<br />
qualunque, per poco, a dire il vero, ma in queste circostanze di<br />
trambusti e di spaventi non si poteva esigere di più, duemila<br />
fiorini, i quali sono bastati a riempire la vorace pancia dei medici.<br />
Prima di dovermi ammalare ho trovato una bella stanza<br />
verso l'Adige in Via Santo Stefano al numero 147 (scrivimi a<br />
questo indirizzo), grande, pulita, con una anticamera tutta per<br />
me, da cui si esce direttamente sulla scala; mi sono provvisto<br />
di tabacco, di rum, di carte da giuoco e di tutti i volumi di<br />
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