LE STORIE DELLA STORIA

COSTUME – SOCIETA’ – CULTURA
CORLEONE:
GLI USI, LE TRADIZIONI, IL DIALETTO
SECONDA PARTE
SCUOLA ELEMENTARE
“C. FINOCCHIARO APRILE”
CORLEONE
A. S.2001/2002
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Realizzato con il patRocinio dell’assessoRato
beni culturali, ambientali e pubblica istruzione
DELLA regione siciliana
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SCUOLA ELEMENTARE STATALE
C. FINOCCHIARO APRILE
DI
CORLEONE
SECONDA PARTE
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PREMESSA
Il lavoro realizzato da alunni e docenti ha permesso di sperimentare,
operativamente, il metodo della ricerca, attraverso l‟uso di varie fonti: la
testimonianza degli anziani intervistati a casa e a scuola, la lettura di testi
di illustri storici corleonesi e non ( Patti - Mangano – Governali –
Anselmo ), le visite ai musei, i laboratori artigianali. Le attività hanno
permesso di raggiungere un duplice obiettivo: quello di riportare alla luce
usi, costumi, gastronomie scomparsi o trasformati e quello di promuovere
nei bambini “il passaggio dalla cultura vissuta e assorbita direttamente
dall‟ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale ”. Tutti
gli alunni coinvolti hanno seguito attivamente i percorsi operativi tracciati,
che hanno offerto loro occasioni di contatti, di analisi, di confronti inusuali
e interessanti.
Il racconto dei nonni, i testi consultati, i documenti iconografici hanno
permesso a ciascuno di prendere coscienza del fluire delle generazioni e di
costruire, pian piano, la propria identità culturale. Gli alunni hanno
cominciato così a collocarsi nel tempo, entrando in contatto con la realtà
delle generazioni che li hanno preceduti. Le indagini sulle feste solenni e
minori, sulle tradizioni locali, sui riti, sui culti corredati di leggende, detti e
canti popolari, che celebrano la profonda religiosità e il sentimento anche
drammatico del sacro, ereditato da culture remote, hanno avviato gli alunni
alla scoperta delle loro radici e alla necessità di conservarne il ricordo. I
preziosi dati raccolti forniscono una inesauribile quantità di informazioni e
documenti che i piccoli ricercatori sono riusciti a penetrare e ad
analizzare, scoprendo la realtà in essi rappresentata e raffigurata .
Sono emersi i mestieri maschili e femminili, le feste patronali, le
celebrazioni religiose, le cerimonie e i rituali, la vita domestica, le
preghiere, i giochi, il lutto che hanno costituito un vasto campo di indagine,
il quale li ha introdotti ad alcune problematiche dell‟esistenza umana, in
ogni periodo storico.
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I nonni che hanno cercato e scavato tra ricordi, fatti, aneddoti , storie,
orazioni, foto, oggetti della vita quotidiana del loro antico passato, si sono
forse lasciati prendere da una sorta di malia, ma hanno sicuramente saputo
raccontare, con veridicità e semplici parole “dialettali”, le storie vere intrise
di affetti, di difficoltà, di miseria, di gioie e di dolori con le quali hanno
contribuito a scrivere quella Storia, talvolta fredda e distaccata, che si
legge e si studia sui libri.
Ogni racconto, ogni testimonianza, ogni fotografia costituisce un piccolo
pezzo dell‟ enorme puzzle della vita pubblica e privata del popolo
corleonese, ed i bambini, con semplicità e arguzia, hanno fissato nelle loro
produzioni: le bambole, le mattonelle, i disegni, tutto quello che hanno
scoperto su questo enorme patrimonio culturale, di cui intendono
appropriarsi, per tramandarlo ai posteri, nella consapevolezza che il nostro
ambiente si trasforma insieme al resto del mondo, col progresso, la
tecnologia in continua evoluzione e a contatto con altre culture, meritevoli
di altrettanto rispetto. A testimonianza, forse, di quanto aveva affermato
Giuseppe Pietrè: “in Sicilia il passato non è morto, ma ci accompagna e si
manifesta presso la culla e la bara, nelle feste e nei giochi, negli spettacoli e
in chiesa, nei riti e nelle tradizioni. Dappertutto, insomma, vive e parla”, e
la scuola, insieme ai ragazzi, si impegna a tenere viva questa realtà.
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M. A. ODDO
L. COLLETTI

LE STORIE DELLA STORIA
Le mamme, le nonne, i bambini han cercato
tra i loro ricordi curiosi han frugato
aprendo quei vecchi bauli neri
deposti in soffitta che parlan di “ieri”
Han rovistato nei loro cassetti:
gonne, sottane , pizzi e merletti,
vestiti e pastrani color melanzana,
corsetti, mutande, scialli, e collane.
Ed ecco del nonno la vecchia “coppola” nera
che indossava d‟inverno, dalla mattina alla sera,
è sbiadita, sgualcita, dai tarli bucata,
ma la nonna la tiene ben conservata.
Ancora gli album hanno sfogliato,
facendo un salto nel tempo passato.
Hanno trovato tante foto ricordo
color della seppia ed intorno col bordo.
C‟è la cara bisnonna quand‟era bambina
con la sua lunga e bella vestina
di morbido vual e di chiffon
e sul capo uno splendido chignon.
C‟è la foto di gruppo famiglia
con la mamma il papà e la figlia,
nel loro scuro, elegante vestito
che per l‟occasione era stato cucito.
Fan corona all‟anziano e alla moglie
i parenti e i nipoti di tutte le taglie.
C‟è la bimba con la “scocca” di raso
ripresa immobile accanto ad un vaso,
la coperta di tessuto chiniglia
le fa da sfondo con la sedia di paglia.
C‟è un bambino di fine ottocento
col lungo abitino ed i boccoli al vento.
C‟è una donna col vitino da vespa
e la gonna gonfia di seta crespa,
le maniche strette e due lunghi pendenti
che le scendon dai lobi, tutti lucenti.
E poi, ancora, ci sono le spose,
col velo in testa e nelle identiche pose.
lo sposo dentro il suo abito scuro
sta con la moglie davanti ad un muro,
dove il fotografo ha ben disegnate
bianche colonne ed ampie scalinate.
Ci sono volti belli e sorridenti
beffardi, paffuti, raffinati, eleganti,
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sono quei volti ben incorniciati
da capelli lisci e sulla nuca intrecciati,
son bianchi, son neri, arricciati ad anelli
oppure raccolti sotto i cappelli.
E mentre si parla del tempo che fu
i bimbi ascoltano col nasino all‟insù.
Con un pochino di nostalgia
e di velata malinconia,
i nonni e le nonne han raccontato
la vita che loro hanno vissuto,
i fantastici giochi che hanno inventato,
la poca infanzia che hanno rubato,
quell‟istruzione che non hanno mai avuto,
i mille mestieri che hanno imparato.
Han parlato di fede, di gioia e dolore
che gli han riempito la vita ed il cuore.
Han recitato nel loro dialetto
le antiche orazioni che dicevano a letto.
Han cantato vispe, le canzonette
delle serenate da giovanette.
Il pane e la pasta hanno impastato,
la lana col fuso hanno filato,
han lavorato preziosi merletti
e rammendato strappi perfetti.
Le cantilene, le nenie, i lamenti
han fatto sentire i nonni contenti.
Eran contadini ed erano pastori
tutti han nominato gli attrezzi e i lavori
che causavan si, molti sudori,
ma allora eran giovani, forti come tori.
Cavalcavano arditi mulo e giumento
E restavan nei campi dall‟alba al tramonto.
Han raccontato di fame, di guerra e miserie,
in verità raccontando della Storia le storie.
M. ODDO
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Il mercato e i mestieri scomparsi
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“U CUNTU”: GIUFA' E LA STATUA DI GHISSU
Si cunta ca cc'era 'na mamma, e avia un figliu chiamatu Giufà sta mamma
di Giufà campava pòvira. Stu Giufà era babbu, e lagnusu e marioulu; sò matri
avia'na puoco di tila e cci dissi a Giufà: «Pigliamu 5 na puocu di tila; e la va'a
vinni 'ntra un paísi luntanu, e l'ha a vinnirí a chiddi pirsuni chi parlanu picca ».
Giufà si parti' cu la tila n' cuoddu e si nni ij'a vinniri.
Arrivatu 'ntra un paisi accumincià 'a vanniari: - «Cu' voli Ia tila!». Lu
chiamavanu li genti e accuminciavanu a parlari assai, a cu ccí paria grossa, a cu
ccí paria cara. Gìufà ccì paria cca parlavanu assa`, e un cci nni vulia dari.
Camìna di ccà camina di dda , si nfila 'ntra un curtiglíu; ddà un c'era nuddu e cci
truvà 'na statua di ghissu, e cci dissi Giufà: - «La vuliti accattari la tila» - e la
statua 'un cci dava cuntu: ntantu vitti ca parlava picca; «Ora a vù, ca parrati
picca, vhaìu a vinniri la tila » -; pigghia la tila e cci la stenni di supra: «Ora
dumani viegnu pri li grana » e sì nnì ij .
Quannu aghiurnà', cci ij pri li grana, e tila 'un ni truvà, e cci dicia: -
«dùnami li grana dì la tila »; - e la statua 'un cci dicia nenti - « già ca un mi vo'
dari li grana, ti fazzu vidiri cu' sugnu io »,- si 'mbresta un zappuni e va a mazzia
la statua fina chi l'allavancà, e nní la panza cci truvà una bacaredda di dinari; sì
minti li dinari nni lu saccu e si nni va nni so mà; arrivannu, a sò mà cci dissi: «
La vínnivu la tila ad unu chi nun parlava, e grana a la sira un mi nni detti; pua cci
jivi la matina cu lu zappuni, l'ammazzavu, lu jíttavu n' terra e mi detti sti dinari».
- La mamma, ca era 'sperta, cci dissi: «Un díri nenti, ca a puoco a puoco nni
jemmu manciannu sti dinari ».
IL RACCONTO: GIUFÀ E LA STATUA DI GESSO
Si racconta che c‟era una mamma che aveva un figlio chiamato Giufà ed erano
poveri Giufà era allocco, scansa fatiche e birbante, sua madre aveva un poco di
tela e disse a Giufà: «prendi la tela e vai a venderla al mercato, in un paese
lontano, ma la devi vendere a quelle persone che parlano poco ».Giufà partì e
arrivato in un paese ,nella piazza del mercato cominciò a strillare: «Chi vuole la
tela? Comprate la tela!»La gente lo chiamava, ma a chi la tela pareva grossa, a
chi pareva costosa e Giufà non la vendeva a nessuno. Camminando entrò in un
cortile dove non c‟era nessuno solo una statua di gesso. Giufà pensò di vendere
la tela a quell‟uomo che parlava poco, gliela stese addosso e gli disse che
sarebbe tornato il giorno dopo, per i denari. Il giorno dopo Giufà, però, non trovò
ne tela ne denari, allora si infuriò, prese una mazza e colpì la statua, la quale si
ruppe.Dentro la pancia della statua, trovò una pentola piena di monete d‟ oro.
Tutto felice e orgoglioso, Giufà portò i denari trovati alla
madre, cosi poterono alleviare la loro povertà.
(traduzione in italiano)
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Li primi di la musica inventuri
Iu dicu ca in Sicilia sianu stati
Li putirai e li vinnituri
Chi quannu abbannianu
Fannu gran cantati , si sentinu fari
Trilli e murdenti e scivolati
Comu si fussinu veri musici nati.
L‟ ABBANNIATURI
LA PIAZZA DEL MERCATO A CORLEONE
La piazza del mercato a Corleone si chiamava piazza delle “Buccerie”,
dall‟antica porta araba , oggi si chiama Piazza Nascè. In questa piazza si
svolgevano vari mestieri si vendevano vari prodotti della campagna ( u scaru).
Vi era:
l‟osteria ( taverna)
il fondaco o albergo (funnacu)
il fabbro o maniscalco (firraru)
il falegname (mastru r‟ascia)
il bottaio (vuttaru)
lo stagnino ( stagnataru)
l‟impagliasedie (m‟pagghiaseggi)
il macellaio (chiancheri)
il barbiere (varveri)
il verduraio (virduraru)
il ciabattino (scarparu)
Antico laboratorio di falegname
Museo etnografico “S.Leoluca” di Corleone
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Piazza Nascè o piazza delle “Buccerie” dall‟antica porta araba.
Fino al secolo scorso vi si svolgeva il mercato:”u scaru” (1880)
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Il carrettiere
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MAMMA MIA ME‟ MARITARI
E‟ la luna „ mmenzu u mari
mamma mia me‟ maritari ari ari
figghia mia a cu te dari
mamma mia pensaci tu.
Si ci dugnu lu viddanu iddu va, iddu veni lu zappuni
mmanu teni, si ci pigghia la fantasia zappunia la figghia
mia…
Si ci dugnu lu varveri iddu va iddu veni
lu rasolu mmanu teni,
si ci pigghia la fantasia, rasulia la figghia mia.
Si ci dugnu lu carnaru iddu va iddu veni
lu cuteddu mmanu teni
si ci pigghia la fantasia cutiddia la figghia mia.
Si ci dugnu u mastru r‟ascia iddu va iddu veni
a serra mmanu teni
si ci pigghia la fantasia sirrulia la figghia mia
si ci dugnu lu scarparu iddu va iddu veni
lu trincettu mmanu teni si ci pigghia la fantasia
trinciulia la figghia mia
Antico laboratorio di ciabattino
Museo etnografico “S.Leoluca” di Corleone
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I LAVORI MASCHILI
Il mercato e i mestieri scomparsi
Il mercato e i mestieri scomparsi
I lavori maschili
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SCINNINU A LA PIRRERA
Scinninu a la pirrera cu li luma
mmanu, comu l‟armuzzi dicullati,
quannu,cu l‟occhi ca cci fannu sciama,
vannu nni li parenti abbannunati….
Scinninu, dudi, `mmenzu li lurduma
di li scalazzi `n funnu allavancàti;
E, cumu a li pirreri s‟accustuma,
Vannu priannu:- Gesù piatati!…
I LAVORI MASCHILI
Poesie – cantilene – canti popolari
Ma doppu essennu sutta lu smaceddu
Gridanu, vastimiànnu a la canina, Cava di pietra (pirrera)
Ca macari l‟abbannuna…
E cci acchiana a lu cori `n gran ribbeddu
d‟abbannunari dda vita scintina
Comu l‟armali, `mmenzu a li vadduna
Per il duro lavoro
Sant‟Agata, ch‟è autu lu suli!
fallu pi carità, fallu calari.
Tu nun lu fari, no pi li patruna,
ma fallu pi sti poveri iurnatara.
Sidici uri stari all‟abbuccuni,
iddu si vivi vinu all‟ammucciuni,
a nui ni duna l‟acqua di‟ vadduni
unni si teni ammoddu li liani.
Filastrocca ri la vinnigna
Allegramenti si fa la vinnigna!
l‟omu travagghia allegru e nun si lagna.
Forza e saluti `nni teni a la vigna
Cu‟cchiù travagghia assai guadagna
L‟omu travagghiaturi nun si `ntigna
campa letu e contenti cu la magna;
cu‟cerca trova; cu‟voli si `nsigna; Antico costume da pastore
cu‟sapi travagghiari, assai guadagna.
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Canto di la vinnigna
Figghia mia lu tempu vinni
ri cogghiri la racina
lu massaru si n`camina
a la vigna si nni va.
Amici aiutatimi
a cogghiri la racina
cu la cogghi,
cu la spremi,
cu la metti rientra a vutti,
ratimi un bucaleddeu
e ratimi un muccuneddu
quantu fazzu raccussì
quantu fazzu raccussì…. Antico torchio museo etnografico “S. Leoluca”
Per la raccolta del grano
Oh batti, batti la Muredda
`ntunnu firriamu e la pagghia facemu!
Oh batti la Baiulidda
a tia, Mirrinedda,
acchianamu e scinnemu
e la pagghia facemu!
Santu Marcuzzu minati lu ventu
né forti nè lentu,
vi purtati la pagghia
e ni lassati u frummentu.
Muredda, Baiulidda, Mirrinedda
curriti forti, chi appena finemu
a manciari nni ni iemu,
ma prima lu Signuri ringraziamu. La mietitura
Oh batti la Muredda, a tia, Mirrinedda,
vota e firria
chiama la Madonna di Tagghiavia
chi avi a aiutari a tia a mia
e a tutta a cumpagnia.
La pampina di l'alivu.
E la pampina di l'alivu
di l'aliva la pampina,
veni lu ventu la cimmiddia
la scutulia.cascari la fa....
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La vinnigna
Arrivata è la vinnigna
La stasciuni di l‟amuri
Mentri cogghinu la vigna
„nnò mi cori nasci un sciuri
nù sciuriddu nicu nicu
manu manu s‟ingrannisci
lu me cori nun capisci
siddu è amuri o soccu è
E comu aiù a fa e comu
Aiù a fa
La notti e yornu nun pozzu
Cchiù stà
La testa ni gira mi vota e firria
Comu girau una vota a mammà
Si ci pensu bona bona
Ora fingiu di cascari
Mentri a ciurna canta e sona
Mi lu fazzu avvicinari
e ci dugnu nà vasata
ca lu fazzu scimuniti
picchì sugnu „nnamurata
e nun vogghiu cchiù suffrì.
Famiglia corleonese durante la vendemmia (1930)
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Li beddi pira.
Comu si li cuggheru li beddi pira
pirò,pirò,pirollalà.
Comu si lu cuggheru senza scala
pirò,pirò,pirollalà.
E nun ti mariti no e nun ti mariti no
schetta a'rristari
pirollallalà.
E cu doti e senza doti
E cu doti e senza doti
e cu doti e senza doti
schetta a'rristari
pirollallala
All'acchianari si stuccau la cima
pirò,pirò,pirollalà.
A lu scinniri si rumpiu la scala
pirò,pirò,pirollalà.
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Giusi Ferrara

CANTILENA POPOLARE IN USO TRA I CONTADINI PER "PISARI U
FRUMMENTU "
Si diceva quando i contadini entravano "nell'aria"(aia) per evitare di
inghiottire la polvere e per incitare al lavoro che sarebbe stato faticoso,
soprattutto se fosse mancato il vento oppure se quest'ultimo avesse
cambiato direzione.
.
CANTILENA TRADUZIONE IN ITALIANO
Acchianamu. e scinnemu
e la paglia facemu.
Aspittamu lu ventu
pi puliziari lu frummentu.
Taglia e minuzza
Ca la notti si curca.
Veni lu ventu e spagliamu
lu frummentu.
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Saliamo e scendiamo
e la paglia facciamo
Aspettiamo il vento
per pulire il frumento
Taglia e sminuzza
che la notte sta arrivando
Viene il vento e separiamo
il frumento.
Il lavoro era duro e faticoso,sia per animali che per uomini. I muli giravano
intorno " all'aria" (luogo dove si mettevano le spighe falciate) e
calpestavano le spighe, mentre i contadini li incitavano a girare, poi con un
tridente sollevavano la paglia e il grano. La paglia leggera col vento volava
ai margini "dell'aria” e il grano più pesante ricadeva a terra, separandosi a
poco a poco dalla pula.
RITO DI RINGRAZIAMENTO
Entravano in fila, " nell'aria",contadino e cavallo, si disponevano a cerchio.
Ciascun contadino nominava il nome del santo a cui era devoto:”San
Franciscu” – “Santu Luca” –“Sant'Antoni”, ecc. ed iniziava così il rito di
ringraziamento.

CANTILENA
Gloria a Diu po' a la casa ni nni emu
Ca lu travagghiu finiu! e manciamu e bivemu
Giriamu e fi:rriamu Viva Maria viva
e a la finuta n'addinucchiamu e viva lu nnomu di Gesù
e lu Signori ringraziamu, e di Maria
Uomini e animali al lavoro, nell‟”aria” (aia)
La raccolta delle olive La raccolta della frutta
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La raccolta del pomodoro
La tosatura delle pecore
La mungitura delle pecore
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Bottega artigiana corleonese (1931)
Giovane contadino corleonese a dorso d‟asino (1920)
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ATTREZZI DA LAVORO
AGRICOLO – PASTORALI
MUSEO ETNOGRAFICO “SAN LEOLUCA” DI CORLEONE
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OSSERVAZIONI DEGLI ALUNNI
Dalle interviste dei nonni abbiamo appreso il nome di molti attrezzi da lavoro
che abbiamo potuto vedere, realmente, in occasione della visita al museo
etnografico “ San Leoluca” di Corleone e “Giuseppe Pitrè” di Palermo
I NONNI INTERVISTATI A SCUOLA
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RILEVAZIONI SUL LAVORO DEI CONTADINI
Nonostante il duro lavoro della campagna:
muovere a mano gli attrezzi, la zappa, l'aratro, il tridente, la falce,
stando sotto il sole cocente, i contadini si affidavano con profonda
fede alla preghiera e ringraziavano Dio per quanto avevano
ricevuto attraverso il raccolto dell'anno;
la preghiera era di sostegno prima e dopo il lavoro;
anche la fatica del lavoro quotidiano però, costituiva un momento
comunitario, durante il quale si trovava l'allegria che faceva
sopportare gli sforzi, ecco perché cantavano, ripetevano cantilene
in coro, suonavano rudimentali strumenti musicali come il
“ marranzanu”il “ friscalettu” e facevano danze popolari;
in queste occasioni nascevano anche i detti popolari sulla
osservazione della natura, sulla meteorologia, ecc.
I nonni a scuola
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I lavori domestici
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Donne che lavorano (litografia ΄800)
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.
Donna alla fontana (litografia ΄800)
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UTENSILI CASALINGHI
MUSEO ETNOGRAFICO “SAN LEOLUCA” DI CORLEONE
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OSSERVAZIONI DEGLI ALUNNI
Dalle interviste alle nonne abbiamo appreso il nome di alcuni utensili
casalinghi, usati, un tempo, dalle donne.
Al museo etnografico “San Leoluca” di Corleone e “Giuseppe Pitrè” di
Palermo, abbiamo potuto osservarli nella realtà.
Le nonne intervistate a scuola
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LE NONNE A SCUOLA PROPONGONO GLI ANTICHI
LAVORI DOMESTICI
La nonna Giovanna prepara le “lasagne di casa”
La nonna Giovanna prepara le “lasagne di casa”
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La nonna Pina fila la lana, come faceva un tempo
La nonna Bernardina fa la calza con I ferri e la lana
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La nonna Pina esegue un ricamo al telaio, come quando preparava il suo
corredo da sposa
La nonna Maria esegue un pizzo a”tombolo” con i “fuselli”
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Don Calogero Giovinco al museo etnografico “San Leoluca” da lui fondato e
curato con l‟aiuto di un gruppo di giovani della parrocchia.
Don Calogero Giovinco intervistato dai bambini sugli utensili domestici in
uso nel secolo scorso
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La donna
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Da “proverbi siciliani sulle donne e sull‟amore”
di Santi Correnti
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Donne in costume siciliano(litografia ΄800)
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La donna nella cultura siciliana
Il notevole ruolo che la donna ha occupato e occupa nella società siciliana
è dimostrato ancora da altre constatazioni.
Nel culto:
alla Madonna e alle Sante è affidato il patrocinio di molte città dell‟isola.
Della Sicilia è patrona la Madonna Odigitria (del buon cammino) o Madonna
dell‟Itria venerata anche Corleone e il cui simulacro si trovava nella chiesa S.
Pietro, oggi invece è custodito nella chiesa Madre.
Santa Lucia (Siracusa
S. Agata (Catania)
S. Rosalia (Palermo
Nella toponomastica:
molte città dell‟isola portano il nome di una donna:
Augusta
Caltanissetta (dall‟arabo= Castello delle donne)
Giuliana
Isola delle Femmine
Vittoria
Santa Ninfa
Santa Margherita
Molti santuari sono dedicati alla Madonna e alle Sante:
alla Madonna di Tagliavia,
alla Madonna del Balzo
alla Madonna delle Lacrime
Nella terminologia:
tendenza di volgere al femminile molti termini maschili:
il fico a ficu
l‟olivo l‟aliva
il libretto a libretta
l‟omicidio l‟ammazzatina
il fucile a scupetta
il furto l‟arrubbatina
il negozio a putia
il trapano a virrina
il carciofo a cacocciula
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Madonna dell‟Odigitria
venerata a Corleone

DONNE CORLEONESI
(fine „800)
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Donna corleonese all‟inizio del „900
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1895 1910
1905 1918
50

1928 1923
1940 1945
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Rilevazioni sulla donna siciliana
Dalle indagini che abbiamo svolto tra gli anziani delle nostre famiglie ,anche
negli scorsi anni, dalla lettura delle filastrocche e dai documenti ricercati e
analizzati,abbiamo rilevato che: nelle azioni e nei lavori quotidiani la donna
siciliana viene sublimata (resa quasi sacra) viene infatti paragonata alla Madonna
nella vita domestica.
La donna siciliana non aveva istruzione, ma aveva ed ha grande intelligenza,
abilità di rendersi indispensabile nella vita familiare per le sue molteplici
capacità: nei pesanti lavori domestici,nell'allevare i figli,nel mantenere e salvare
l'unità della fiamiglia, soprattutto quando il padre viene a mancare (proverbio:
Urfanità-urfanità/tostu di pà chi di mà =..Rimanere orfani e rimanere orfani
piùttosto di padre che di madre). La donna siciliana ha discrezione, prudenza e
saggezza nel prendere decisioni infatti, è molto diplomatica, fa apparire l'uomo
come capo di casa, di fronte ad un affare, ad una iniziativa familiare o sociale,
pur avendo preso la sua decisione, ha l'arte di far credere che sia stato il marito a
prenderla, dice così: «primma nni parru a mè maritu ». L'uomo riconosce
l'intelligenza e l'importanza della donna ne è geloso e la custodisce come un
bene prezioso, talvolta con eccessiva possessività. Pertanto la donna, per lungo
tempo, è stata tenuta lontana dai lavori duri della campagna o fuori casa, vi
partecipava solo in poche occasioni: per la raccolta delle olive, per la
vendemmia, per la raccolta del grano, solo per preparare il cibo all'”ommini”
(agli uomini).
Gruppo di giovani donne (1947)
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La casa
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LA CASA DEI BISNONNI.
La casa dei bisnonni, nel secolo scorso, ìn genere, era costituita da un solo
ambiente che accoglieva le cose essenziali. Di solito si trovava a pianoterra
(catoiu), talvolta c'era un'altra cameretta ( sularu) al primo piano o una mansarda
sotto il tetto ( menzu sularu) dove c'era freddo d'inverno e caldo d'estate. Nella
camera principale c'era una rientranza separata da una stretta parete ad arco,
senza porta, era l'alcova che accoglieva il letto matrimoniale. Per dare privacy
all'alcova veniva sistemata una tenda a due teli guarnita da merletti (puntine),
fatte a mano dalle donne. All'interno della camera c'era il tavolo, le panche dove
tutti sedevano per la mensa. Su una parete era sistemata una credenza (stipu),
dove si conservavano le stoviglie e i cibi: pane, formaggio, olive ecc.... Alle
pareti erano appesi quadri di Santi, Madonne, Crocifissi e quadri con fotografie
degli antenati o dei parenti morti, che venivano ricordati nelle preghiere e nel
rosari (all'armuzzi ru. santu priatoriu). In un angolo, vicino alla porta sorgeva la
cucina a legna, in muratura, dove scoppiettava il fuoco e dove si cucinava. Alla
parete c'erano appese le stoviglie: le pentole, le padelle i coperchi di rame o dì
coccio (crita). L'illuminazione era costituita da lumi a petrolio (lummi) o da
lampade ad olio (lampa a ogghiu); il riscaldamento era fornito dalla stessa cucina
(fucularu), dal braciere (brasciera)dagli scaldini di rame o di terracotta
(mariteddi). Pezzi indispensabili erano: la madia (maidda) dove si impastava il
pane, la tinozza (pila) dove si faceva il bucato ed il bagno. Per l'igiene personale
c'era ancora la bacinella (vacili), la brocca (bucali) poste sul piedistallo di ferro
(peri di vacili). Il gabinetto era sostituito dal vaso da notte (rinali), che veniva
svuotato in uno scarico dietro la porta. Al piano di sopra o in un camerino
(cammarinu)accanto all'alcova dormivano i figli. Nella cassapanca (casciabancu)
trovavano posto la biancheria della casa e gli indumenti di tutta la famiglia. La
casa aveva la porta d'entrata che talvolta era munita di un'altra mezza porta, per
dare luce ed aria alla casa che non aveva finestre, talvolta aveva qualche
sportello (purteddu). Nelle case piu' povere a volte dormivano anche gli animali:
mulo - capra - galline. Tuttavia c'erano case che avevano due o tre vani ed infine
c'erano le case dei ricchi spaziose e sfarzose, arredate con mobili pregiati,
porcellane, specchi, quadri, tappeti,…
In tutte le case ricche o povere che siano state c'erano le famiglie che si
riunivano dopo il lavoro, per consumare il pasto, più o meno frugale, intorno
alla tavola, per recitare insieme il rosario quotidiano e le preghiere di
ringraziamento, c'erano tanti bambini, intorno al piu' anziano, che ascoltavano
i racconti (i cunti) divertenti, affascinanti e misteriosi che anche noi ,oggi,
amiamo riascoltare.
54
( Dal racconto delle nonne intervistate)

LE ABITAZIONI
LE ABITAZIONI
Il centro abitato di Corleone : piazza “Soprana”, nella prima metà del
secolo scorso
Antiche abitazioni in via Addolorata
56

MUSEO ETNOGRAFICO “SAN LEOLUCA”
L‟antica camera da letto dei contadini, nel secolo scorso
Letto con assi di ferro “trispita”,tavole e materassi di lana.
I contadini più poveri avevano materassi di paglia.
Sotto il letto trovavano posto altri aggetti casalinghi
57

La chiesa
58

LA CASA DEL SIGNORE
59

60
Da “Come in cielo così in terra” di G. Govenali

LA CHIESA
Chiesa San Nicolò
Chiesa di San Martino
61

DETTI POPOLARI SULLA CASA E SULLA CHIESA
D. - A mè casa mi strinci e mi basa.
I. – La mia casa mi stringe e mi bacia.
D. - Casa mia, casa mia, tu pi mia si nà batia.
I. - Casa mia, casa mia, tu per me sei un‟abbazia.
D. - Casa quantu cci stai, terri quantu nni vidi.
I. - Casa quanto ci stai, terre quanto né vedi.
D. - Casa mia fuculareddu miu.
I - Casa mia focolaretto mio.
D. – A casa capi quantu voli u patruni.
I. - La casa contiene quanto vuole il padrone.
D. – Sapi „cchiassai un pazzu in casa sò, chi un saviu in casa r‟ avutri.
I. - Sa di più un pazzo in casa sua, che un saggio in casa d‟altri.
D. –Essiri casa e chiesa.
I. – Essere casa e chiesa
D. – Chista è casa di Gesù e cu trasi nun nesci „cchiu.
I.- Questa è casa di Gesù e chi entra non esce più.
D. –Megghiu a casa tua cu pocu pani, ca „n casa d‟ atru cu pernici e faciani.
I. – Meglio a casa tua con poco pane, che in casa d‟altriu con pernici e fagiani.
D. – Essiri di casa. Essiri casa e putia.
I. – Essere di casa. Essere casa e bottega.
D. –Fari casa a tri sulara.
I.- Fare una casa a tre piani.
D. –Casa e lugheri sdirupala ri peri. A la so casa ognunu è re.
I. – Casa che è in affitto diroccala dalla base. Nella sua casa ognuno è re.
D. – Tantu ccè di la me casa a la tua, quantu di la tua a la mia.
I. - Tanto c‟è dalla mia casa alla tua, quanto dalla tua alla mia.
D.- Casa senza suli, trasi lu medicu a tutti l‟ uri.
I.- Casa senza sole, entra il medico a tutte le ore.
D.- Mali sta la casa, chi la cunocchia cumanna la spata.
62

I.- Male sta la casa, che la conocchia comanda la spada.
D.-Femmina di casa. Criata di casa.
I.- Femmina di casa. serva di casa.
D = dialetto.
I = italiano.
Museo etnografico”S. Leoluca”
DETTO POPOLARE
“A casa capi quantu voli u patruni”
63

RILEVAZIONI SULLA CASA E SULLA CHIESA
La casa dei nostri avi, nei secoli scorsi, era molto piccola e modesta.
Nonostante l‟ambiente fosse molto limitato era ricco di attrezzi da lavoro e
utensili di ogni genere che trovavano posto in ogni angolo, sulle pareti le
pentole, sotto il letto il grano o altri oggetti .
Pochi ed essenziali erano i mobili: letto, tavolo, sedie o panche, credenza o
stipo, cassapanca, comodino.
Tra gli oggetti più usati c‟erano: la candela, il braciere, lo scaldino, il lavatoio,
l‟appendiabiti, la panca, lo specchio, la culla, i ritratti, le tende, il ferro a
carbone, il vaglio, pentole di rame o di terracotta, le brocche, le giare, ecc…
Per l‟igiene c‟era poco: la brocca per l‟acqua, la bacinella, il vaso da notte,
qualche specchio, la tinozza o “la pila” che servivano per fare il bagno.
Le pareti erano molto ricche di: quadri di Santi, ritratti degli antenati morti,
palme benedette, corone da rosario, acquasantiere; la casa era considerata
simile alla Chiesa, infatti, spesso davanti all‟abitazione c‟era una cappella
votiva. La casa era considerata, perciò, un luogo di culto, sia all‟interno che
all‟esterno.
La mensa riuniva tutta la famiglia nella preghiera e nell‟ubbidienza al capo
famiglia, spesso ospitava vecchi nonni o zii che convivevano nella stessa casa.
Nella casa si trascorreva il poco tempo libero, era il luogo dove si raccontavano
le favole “i cunti” attorno al fuoco, mentre le donne ricamavano, filavano la lana,
scherzavano cantavano e recitavano il rosario.
La casa era considerata un luogo di pace e di ristoro dopo il duro lavoro.
Lo spazio davanti la porta veniva pulito come l‟interno della casa, perché in
primavera e in estate con il caldo, quello spazio diventava un luogo di raccolta e
di vita sociale per tutto il vicinato e nell‟ attesa del Natale diveniva luogo di
preghiera, perché vi si celebrava la novena.
La Chiesa rappresentava il luogo sacro per eccellenza: prima di entrare si
dovevano compiere dei gesti: coprire il capo col velo, fare segni di croci, dire
giaculatorie e recitare orazioni. Le preghiere erano recitate con fede profonda,
anche i gesti esprimevano devozione e riverenza: fare il segno della croce,
inginocchiarsi, aspergersi con l‟acqua benedetta e accostarsi al confessionale.
64

La famiglia
65

LA FAMIGGHIA
LA FAMIGLIA
66
IGNAZIO BUTTITTA

FAMIGLIA DELLA FINE DELL‟ 800
67

FAMIGLIE
68
1916
1920

1920
69

1928 1925
1937
70

LA FAMIGLIA
Come gli antichi romani, anche i nostri antenati, nel secolo scorso, ritenevano
sacra la famiglia. Perfino i più poveri lavoravano sodo, dall‟alba al tramonto,
per assicurare un pezzo di pane, un piatto di minestra alla moglie e ai figlioli.
Le famiglie, a quel tempo, erano molto numerose e per tutti c‟era posto anche
i vecchi nonni venivano curati e assistiti dai più giovani della famiglia. Tutti
dovevano massimo rispetto e rigorosa ubbidienza al capo famiglia più
anziano, che salutavano con riverenza “Vossia benedica”(voi beneditemi).
Anche la madre rivestiva un ruolo molto importante, era una figura sacra e
veniva paragonata alla Madonna per i suoi sacrifici e il suo amore
incondizionato.
1952
71

LA MADRE NELLA POESIA
72
DE SIMONE

MADRE
Madre,che a dire questa parola
sento alle labbra un favo di miele,
mamma,che a dire mamma si consola
lo stesso Dio ai supremi cieli,
mamma che sempre il tuo cuore vola
dove l‟amore chiama e amore sveli,
mamma sei fonte di acqua corrente,
sei la colomba senza macchia e fiele.
Mamma che tra le braccia mi cullasti,
mamma che nel tuo petto mi compisti
e di latte e di pane mi imboccasti,
d‟amore e di canzoni mi saziasti.
Sempre dolente alle mie dolorose contrarietà,
sempre presente nelle mie vicende tristi,
mamma ,da quando fu che mi lasciasti,
persi il Paradiso dalla mia vista.
(traduzione in italiano) 1947
1922 1930
73

CRUCCHIURUNEDDU RUCI
CROSTICINA DI PANE DOLCE
74
MARIA PATTI
(TRADUZIONE)

A ME MADRI
75
1870
1920
1960

1930
LA MADRE MESTRA DI FEDE
76

PREGHIERE
77

Da”Pagine della nostra storia”
NINNE NANNE
78

IL PADRE
Il padre era considerato il capo della casa e, come il pater familias romano,
dettava le ferree regole all‟interno della famiglia, allargate anche ai figli che si
sposavano e rimanevano a vivere nella sua stessa casa.
Era il padre a decidere dell‟istruzione dei figli, delle loro scelte, della
partecipazione della famiglia alla vita sociale pubblica e privata, del matrimonio
dei figli, tutti gli ubbidivano, senza ribattere.
Anche le foto d‟epoca ritraggono il padre nel suo posto d‟onore: al centro della
famiglia,questo grande albero dal cui tronco tutti si diramano traendo le sostanze
vitali: il nome, il carattere, la forza, l‟onore, la rispettabilità e la propria identità.
Del padre erano, ancora, i compiti più gravosi e difficili: il lavoro della
campagna, l‟economia familiare che talvolta, egli doveva gestire con
l‟emigrazione in America o in altri paesi europei. Dell‟uomo era pure il dovere
della difesa della patria, pertanto era suo obbligo partecipare alle guerre che
quasi sempre avevano conseguenze disastrose per i lutti, per le mutilazioni e per
la povertà che causavano.
1901
79

L
L‟EMIGRAZIONE E LE GUERRE
1910 1917
1918 1918
80

1918
1940 1920
81
1900

1910 1929
1947
82

I bambini
83

I BAMBINI E IL GIOCO
84

85
Da “Come in cielo così in
terra” G. Governali

Da”Pagine della nostra storia”
LE NENIE E I GIOCHI
86

IMMAGINETTE SACRE
Gesù Bambino con gli angeli circondato dalla flora e dalla fauna, alle quali
si riferivano le antiche cantilene e ninna nanne dei bambini.
87

LE FILASTROCCHE
88

89
Da “ Come in cielo, così
in terra” G.Governali

L‟ANCILEDDU DISUBBIDIENTI
Da “ Come in cielo, così
in terra” G.Governali
90
In Paradiso, un Angioletto ha
commesso una mancanza e
il Padre, irremovibile, gli
infligge la giusta punizione.
A nulla valgono i pianti del
piccolo, né gli interventi
pacificatori di San Pietro.
Chiuso in una stanza, con
un‟alimentazione da
carcerato, di notte ,quando
tutto tace e il Padre dorme,
l‟Angioletto riceve conforto
e doni inaspettati dalla
Madre.

BAMBINI
92
1927
1937

1916 1915
1925 1936
93

Scolaresca nel cortile del “Collegio” annesso alla chiesa di Santa Maria della Neve
1915
1927
94
Bambini in uniforme fascista:balilla e piccola
italiana 1935

GIOVINETTI
1920 1935
95
1924

1915
1954
96
1952
1955

RILEVAZIONI SUI BAMBINI E SUI GIOCHI
Dalle indagini che abbiamo condotto presso le persone anziane delle nostre
famiglie, dalle letture, dalle antiche filastrocche, dalle nenie, dalle cantilene, dai
semplici giochi dei bambini di un tempo abbiamo,rilevato che:
Le mamme e le nonne sapevano inventare con “ amore e semplicità “ rime
simpatiche e giochi divertenti per i loro bambini, utilizzando poco: la voce e il
sorriso;
paragonavano non solo la loro casa e la loro famiglia, ma anche i propri figlioli
alla Sacra Famiglia e a Gesù Bambino;
nominavano tutti i fiori, i frutti e le piante piu‟ belle della Flora Mediterranea
che facevano parte del loro ambiente e delle loro conoscenze;
utilizzavano il dialetto, molto musicale, per recitare e cantare nenie e cantilene ,
perché molte di loro sono andate poco a scuola, alcune non ci sono neanche
andate, pertanto, si esprimevano solo in dialetto.
nonostante i loro numerosi e pesanti lavori domestici, trovavano il tempo di
insegnare ai bambini a pregare, ad avere rispetto per il loro papà,capo famiglia, e
al rispetto delle regole (quannu veni lu tata beddu ni‟ manciammu lu muscateddu
= quando viene papà mangiamo insieme l‟uva);
anche se non c‟ erano giocattoli telecomandati e sofisticati in abbondanza,
come oggi, i bimbi riuscivano a divertirsi lo stesso, con poco: bambole di pezza,
pezzetti di brocca frantumata ( la “quartara”) per giocare “a ciappèdda, “‟cu
buccinu”, fionde, zufoli costruiti con pezzetti di legno o canna ( friscalettu), con
il cerchio ( u circu);
molti bambini non andavano a scuola, i maschietti dovevano aiutare il padre in
campagna, le femminucce, invece, dovevano aiutare la mamma nei lavori
domestici
pochi bambini andavano a scuola, ma spesso non terminavano neanche le
elementari.
97

Fidanzamento e matrimonio
98

IL FIDANZAMENTO
Da un‟intervista ad una nonna:«A quei tempi il fidanzamento era
combinato dai genitori e si faceva spesso per interesse. Le famiglie si
mettevano d‟accordo e se loro conveniva, davano il consenso per il
fidanzamento. Quando il giovane non voleva fidanzarsi per qualche motivo, la
famiglia aumentava la dote della sposa (quannu lu zitu nun voli la zita,
s‟aggrava a la doti) . Quando il fidanzato andava in casa della promessa sposa
, non lo faceva mai da solo, ma in compagnia della madre o della sorella. Non
si sedeva mai accanto alla fidanzata (la zita), con lei potevano scambiarsi
qualche parola da lontano. Quando il padre si slacciava le stringhe delle
scarpe (si sciuggheva i lazza di scarpi) e guardava fuori dalla finestra era
arrivato il momento che il fidanzato andasse via ».
Da un‟intervista al nonno Nino Cardella:«Ai miei tempi, quando un
giovane si innamorava di una ragazza, prima di farsi avanti con la famiglia di lei
,a notte fonda,le portava “la serenata”sotto la finestra. Se sapeva cantare lo
faceva lui stesso, facendosi accompagnare da alcuni suoi amici con fisarmonica,
chitarra e mandolino, oppure pagava il gruppo. Il repertorio comprendeva una
canzone cantata e tre solamente suonate. La ragazza non si affacciava, guardava
dietro le tendine. Quando i familiari erano consenzienti alla fine della serenata
accettavano l‟omaggio amoroso ed invitavano i suonatori a bere un bicchiere di
vino.Talvolta capitava invece che sopra i suonatori arrivava un secchio d‟acqua
fresca o altro perché l‟omaggio non era gradito. Le canzoni che si solevano
cantare nelle serenate erano “E vui durmiti ancora “,”Occhi di suli”».
Il nonno Nino Cardella esegue una serenata
99

Lu suli è già spuntatu „ntra lu mari
e vui bidduzza mia dormiti ancora.
L‟aceddi sunnu stanchi di cantari
e affriddati v‟aspettanu cca fora,
supra stu balcuneddu su pusati
e aspettanu quann‟è chi v‟affacciati
E VUI DURMITI ANCORA
RIT
Lassati stari,nun dormiti cchiù
Ca‟mmenzu a iddi,dintra sta vanedda,
cci sugnu puru iu c‟aspettu a vui
pi vidiri sta facci accussi bedda.
Passu cca fora tutti li nuttati
E aspettu puru quannu v‟affacciati
.
Li ciuri senza vui nun ponnu stari
Su tutti cu li testi a pinnulini.
Ognunu d‟iddi nun voli sbucciari
Si prima nun si grapi stu balcuni.
Dintra lu buttuneddu su ammucchiati
E aspettanu quann‟è chi v‟affacciati.
OCCHI DI SULI
Occhi di suli niuri ,‟nfatati,
pupiddi duci,tenniri,squisiti,
dintra stu cori miu siti „ngastati
comu petri brillanti cu du‟ viti.
Unni guardati vui focu attizzati
E quannu svampa po‟ vi nni trasiti,
ma quannu a siccu a siccu mi guardati
e suli e stiddi e luna vui vinciti.
u suli affaccia e codda e vui ristati,
iddu si „nfusca e vui cchiù beddi siti,
la luna si fa e sfa certi nuttati
vui sempri siti stiddi chi luciti.
Si „ntra stu cori miu siti „ngastati
„ntra sangu e sangu cu du‟perni a viti,
occhi di suli niuri „nfatati,
nigatimi l‟amuri,si putiti.
Gaetano Lanza,Corleone,1851-1932
100
L La “vanedda” con balconcino fiorito,
delle antiche serenate

101

I PROVERBI SULL‟AMORE
Da “proverbi siciliani sulle donne e sull‟amore”di S. Correnti
102

1939 1942
103

104

I bambini intervistano il nonno Nino Cardella
105

IL MATRIMONIO
Da un‟intervista alle nonne: .
1870
106

1934 ( chiesa di S. Rosalia)
1958 (chiesa di S. Elena)
107

PROVERBI SULL‟AMORE E SUL MATRIMONIO
Da “Proverbi siciliani sulle donne e sull‟amore “ di S.Correnti
108

1903
109

1910
110

1915
111

1925
112

1920
113

CONTRATTO DI DOTE MARITALE
Da “Calendario 2001”I.C.G.Vasi
114

PROVERBI
Quannu lu zitu nun voli la zita, s‟aggrava a la doti
(Quando il fidanzato non vuole la fidanzata, chiede più dote)
A figghia ʼnta fascia, a dote ʼnta cascia
( la figlia in fasce, la dote già nella cassapanca).
Cu l‟amicu pattu, cu li parenti cuntrattu
(Con l‟amico il patto verbale, con i parenti il contratto scritto)
1922
115

1920
116

Da “Calendario 2001”I.C.G.Vasi
1940 1936
117

RILEVAZIONI SUL FIDANZAMENTO E SUL MATRIMONIO
Dalle indagini che abbiamo condotto presso le persone anziane delle
nostre famiglie, dalle letture , dalle antiche filastrocche, dai detti e dai
canti popolari sul fidanzamento e sul matrimonio abbiamo rilevato che:
Le ragazze, a quei tempi , non erano libere di scegliersi lo sposo ,
erano spesso destinate dal padre a matrimoni di convenienza e
interessi.(quannu u zitu nun voli la zita s‟aggrava la doti );
I papà erano molto gelosi delle figlie, non volevano che durante il
fidanzamento stessero accanto al futuro sposo, perché lo ritenevano un
comportamento scandaloso;
C‟erano rigide regole da rispettare che erano capite con la mimica ,
esempio: quando il padre della fidanzata, la sera, si slacciava le scarpe
, era arrivato il momento che il fidanzato andasse via .
Se due giovani innamorati erano contrastati dai familiari, fuggivano
di casa “ si‟nni fujevanu”.
Quando andavano a messa , i fidanzati venivano accompagnati, il
fidanzato, per gentilezza , pagava, al sagrestano, la sedia per tutto il
gruppo.
Quando un giovane voleva far capire ad una ragazza che si era
innamorato di lei di notte le portava la “ serenata “, da solo o con
alcuni amici che talvolta pagava, questo gesto, non sempre incontrava
il consenso del futuro suocero .
Il matrimonio non si svolgeva certamente come oggi,si
accontentavano di poco:un pranzo in famiglia (“maccarruna e sucu di
crastu”), dolci preparati in casa come le “ taralle”, ciambelle con il
buco ricoperte di glassa di zucchero, ceci e fave “caliati”, rosolio fatto
in casa, tuttavia era una festa grande per tutto il parentado che si
riuniva e ballava con la musica dell‟orchestrina : ”sonu di corda”.
Prima delle nozze si consegnava la biancheria della sposa , era un
contratto scritto: ” la dote ”. In quell‟occasione, il corredo era esposto
e si faceva festa.
Non c‟era il viaggio di nozze o era raro, si faceva invece la festa
della “bellivata”il giorno dopo il matrimonio e di “l‟ottu jorna” otto
giorni dopo il matrimonio .
118

Una cosa è rimasta sempre uguale: l‟amore e il rispetto reciproco che
deve unire due sposi e che deve essere forte e durare tutta la vita.
Le nonne dimostrano come facevano ad impreziosire il loro corredo da
spose, con pizzi e ricami
119

SICILIA
CENTRO DI CULTURA
120

L‟ORIGINE DELLA LINGUA SICILIANA
I diversi popoli che negli ultimi 2500 anni si sono susseguiti, più o meno
pacificamente, alla dominazione della Sicilia hanno lasciato un‟impronta, più o
meno profonda, anche nella lingua.
La lingua siciliana, pertanto, deve essere considerata un patrimonio
multiculturale da salvaguardare, da curare, da difendere e da divulgare.
121

122

Da “poesie dell‟emigrante” associazione di emigrati:”famiglia siciliana di Pratteln”
123

RILEVAZIONI SULLA LINGUA DIALETTALE SICILIANA
Dai racconti in dialetto dei nonni, dallo studio dei vari brani esaminati,dallo
studio della storia abbiamo potuto rilevare che:
la Sicilia per le sue bellezze, le sue risorse, la sua posizione al centro del
Mediterraneo è stata una terra di conquista;
Molti popoli: Fenici, Greci, Romani, Arabi, Bizantini, Normanni, Francesi,
spagnoli….l‟hanno conquistata e sottomessa, ma nello stesso tempo, hanno
lasciato profonde tracce della loro cultura;
la lingua dialettale siciliana porta evidenti tracce della lingua dei popoli che
l‟hanno conquistata;
nonostante gli aspetti negativi delle varie dominazioni che le hanno tolto la
libertà, la Sicilia è divenuta ed è ,ancora oggi, centro di cultura;
tuttora gruppi di etnie di diversa provenienza araba, polacca ,albanese, tunisina,
marocchina, cinese ecc. continuano ad arrivare in Sicilia portando i loro usi, i
loro costumi, la loro religione, la loro lingua, le loro musiche e le loro danze,
diversi dai nostri, ma altrettanto belli e ricchi di significato e, la conoscenza e lo
scambio culturale con questi popoli, possono essere utili e positivi per poterci
rispettare vicendevolmente e per costruire insieme un mondo migliore, un
mondo di pace.
Gli alunni corsisti durante il lavoro di gruppo
124

Sicilia ,duci sì p‟i tò iardini
d‟aranci, di lumii e mandarini,
p‟i ficudinnia e i nespoli di Trabia,
ca cu li mancia frischi s‟arricria.
Sicilia duci e amara
Sicilia,amara si p‟i tirrimoti,
ancora nun t‟assesti e ti rivoti
e p‟u vulcanu di lu Muncibeddu
chi quannu s‟arrabbia nun scanza a nuddu!
Sicilia duci s‟i p‟u pisci spada,
p‟u tunnu russu frittu cu a cipuddata,
p‟i sardi a becca ficu e p‟a nunnata
p‟i lu gammaru e li purpi fatti a „nsalata!
Sicilia amara si p‟i la lupara,
ca a minima cagiuni idda ti spara
e p‟i la mafia ca ancora cumanna
e teni li so granfi a ogni banna.
Sicilia duci si p‟a tua frittura:
panelli e arancini e rascatura,
panini cu la meusa,musso e stigghioli
frittula, quadumi e carcagnoli!
Sicilia amara si p‟i lu pitittu:
va all‟estiru cu nun voli u pani schittu
e torna quannu avi na posizioni
oppuru quannu è l‟ ura da pensioni
Sicilia duci si p‟a tò cultura:
hai omini di „ngegnu a dismisura
d‟a musica o teatru a la puisia
d‟a letteratura a filosofia
Sicilia amara si p‟i la calura:
quannu veni u scirocco c‟è sempre arsura
e n‟approfittanu certi tipi loschi
chi dannu focu a li muntagli e a li voschi.
Sicilia duci si p‟i l‟architettura:
si un museu viventi all‟aria pura:
di templi e di teatri Greci e Romani
tutta ti jncheru nni munti e chiani
125

Sicilia amara sì p‟i l‟omertà
Ca nega ogni aiuto a società
E pi lu scarsu sensu di lu Statu
Ca finu ad oj ognunu ha dimustratu.
Sicilia duci ,Sicilia amara
Sempre ΄nno cori iu ti tegnu cara,
Sicilia duci ,Sicilia amara
T‟accettu e t‟amu comu n‟amanti rara.
Da “Sicilia duci e amara” di Joe Vitale
La valle dei Templi di Agrigento
126

127

I BAMBINI RACCONTANO
Attraverso le antiche foto ed i racconti dei nostri nonni abbiamo scoperto come
si viveva, un tempo ,nel nostro ambiente ,oggi,così trasformato.Noi abbiamo
provato a raccontarlo nella poesia :«Le storie della Storia». Federica.
Abbiamo vissuto le antiche feste tradizionali del Natale ,di San Leoluca,di San
Giuseppe,di carnevale,di Pasqua alla maniera dei nostri nonni e bisnonni.Con la
loro collaborazione e quella dei nostri insegnanti,abbiamo lavorato nei
laboratori:abbiamo impastato il pane di San Giuseppe,abbiamo modellato gli
agnellini pasquali ed abbiamo dipinto tutte le tradizioni che abbiamo scoperto,
sulle mattonelle di ceramica del nostro museo artistico. Serena.
È stato un divertimento per noi,durante i laboratori di dialetto siciliano,scoprire
ed imitare i venditori del mercato,che si teneva nella piazza delle”Buccerie”,oggi
piazza Nascè.Abbiamo imitato il venditore di pelli di agnello:«Aiu peddi
d‟agneddu,peddi di ciaravedduuu»,il venditore di occhiali :«Aiu l‟occhiali
pa‟vistaaa»,il venditore di spilli che cambiava le ciocche di capelli cadute alle
donne:«Vi canciu i capiddi cu‟i spingili,i vugghi, u cuttuni».Abbiamo evocato
imomenti di quel tempo lontano suscitando le risate di chi ascoltava.
Giorgio.
In occasione delle visite e delle interviste ai nonni contadini e pastori,siamo
rimasti affascinati dai loro racconti sulle povere abitazioni di campagna :”i
pagghiara”(i pagliai),sui lavori dei campi ed in particolare siamo rimasti colpiti
dalla cantilena che usavano recitare durante il periodo del raccolto del
grano”pisari u frummentu”,anche noi abbiamo cercato di imitare il loro verso
inimitabile. Vincenzo.
Con le nonne abbiamo parlato in particolare della donna,del suo ruolo di
madre,di maestra di fede,di madre che sapeva leggere nel cuore,sapeva curare,
sapeva divertire con le cantilene e le filastrocche,sapeva impartire l‟educazione e
tenere unita la famiglia.Anche se non era istruita, sapeva raccontare,cantare in
modo fantastico e gioioso, paragonando i propri figli e la propria famiglia a Gesù
Bambino e alla Sacra Famiglia . Ilenia
Le nonne hanno saputo raccontare aneddoti,usanze dei loro tempi ci hanno
insegnato antiche preghiere,giochi,”cunti”e poesie.Tra queste la più bella è una
canzonetta che ricordava la loro giovinezza.Noi abbiamo costruito lo scenario
adatto una”vanedda”con un balconcino fiorito,una fontana,un lampione ed una
cappella votiva,tutto questo si è prestato a trasportarci ,fantasticamente,in quel
periodo di ristrettezze economiche,ma ricco di sentimenti ed amore.In questo
128

ambiente caratteristico,abbiamo eseguito una bellissima “serenata”con “Occhi di
suli”e “Vui durmiti ancora”. Angelo.
Abbiamo riscoperto le cose belle della Sicilia ricca di valori,di paesaggi,di arte
e di cultura,purtroppo insieme ai molteplici aspetti belli ne mostra altri
altrettanto brutti e”Sicilia duci e amara”che abbiamo cantato e
recitato,accompagnati dal nonno fisarmonicista Nino Cardella, ha messo a
confronto questi aspetti. Giovanna.
Abbiamo formato un gruppo folcloristico in costume e abbiamo ballato la
contraddanza siciliana, comandata in dialetto,dal nostro compagno”don
Vincenzo”,è stato entusiasmante,ancora,cantare in coro,tanti canti popolari che
hanno allietato i nostri nonni,i nostri genitori,i nostri insegnanti e il nostro
dirigente scolastico e soprattutto noi. Lavinia.
Il primo Giugno 2002, abbiamo visitato il museo etnografico “G. Pitrè” di
Palermo che custodisce, come il museo “S. Leoluca” di Corleone, gli aspetti
della tradizione popolare e della vita quotidiana contadina, dalla fine del ΄700 ai
primi del ΄900. abbiamo visto i costumi, gli utensili domestici, le pitture sul
vetro, gli ex voto, i giocattoli, i presepi, i carretti siciliani, i cartelloni dell‟opera
dei pupi che testimoniano l‟antica cultura della Sicilia dei nostri avi.
Stefania.
Le mattonelle di ceramica dipinte dai bambini
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1 Giugno 2002, i bambini in visita al museo G. Pitrè
Presepe di Matera 1700 (museo G. Pitrè)
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MUSEO “GIUSEPPE PITRE‟” DI PALERMO
Ex voto dipinto su tavola di legno
Costume siciliano
Pupo siciliano
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PRIMO INCONTRO CON I NONNI
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PRIMO INCONTRO CON LE NONNE
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