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LE TEORIE MINIMALI DELLA VERITA' Carlo Filotico ... - Istituto Banfi

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<strong>LE</strong> <strong>TEORIE</strong> <strong>MINIMALI</strong> <strong>DELLA</strong> VERITA’<br />

<strong>Carlo</strong> <strong>Filotico</strong><br />

Università degli Studi di Milano<br />

Nell’ambito della filosofia analitica classifichiamo come «minimali» quelle teorie che<br />

cercano di ridurre al minimo l’importanza del concetto di verità ai fini di una spiegazione<br />

dei fenomeni linguistici. Queste teorie insistono sul fatto che il significato della parola ‘vero’<br />

sarebbe in qualche modo “esaurito” dalla classe di tutti gli enunciati come<br />

‘Cesare fu ucciso’ è vero se e solo se Cesare fu ucciso,<br />

ottenibili a partire dallo schema<br />

x è vero se e solo se p<br />

sostituendo ‘p’ con un enunciato e ‘x’ con un suo nome (schemi analoghi vengono forniti per<br />

elaborare una nozione di verità attribuita alle emissioni - vocali o grafiche - degli enunciati, o<br />

alle proposizioni da essi espresse - entità né fisiche né mentali).<br />

Queste analisi si oppongono a quelle di studiosi che cercano di mostrare come il concetto<br />

di verità si leghi ad intuizioni che vanno al di là del rapporto tra un enunciato p e l’enunciato<br />

che asserisce la verità di p. Secondo gli avversari delle teorie minimali, la parola ‘vero’<br />

esprimerebbe nella lingua italiana una corrispondenza tra un enunciato (o la proposizione<br />

da esso espressa) e un elemento oggettivo (fatto, evento, stato di cose) che lo rende vero o è<br />

da esso descritto fedelmente. Oppure, in alternativa, il concetto di verità potrebbe essere<br />

analizzato in termini di coerenza o asseribilità garantita. 1<br />

1 Per una panoramica generale su queste concezioni della verità, si veda KIRKHAM (1992).


Secondo le teorie minimali o “deflazioniste” (dalla parola inglese deflating, che vuol dire<br />

«sgonfiare»), 2 il concetto di verità non gioca un ruolo centrale nel nostro uso del linguaggio,<br />

dunque una teoria della verità deve limitarsi ad individuare il significato degli enunciati in<br />

cui i predicati di verità compaiono. Esistono diverse analisi della verità che possiamo<br />

classificare come minimali o deflazioniste, e la stessa letteratura sull’argomento ha spesso<br />

usato queste espressioni per indicare proposte diverse. Un primo obiettivo di questa ricerca<br />

è dunque quello di dare una classificazione sistematica delle tesi espresse da studiosi le cui<br />

teorie possono essere dette minimali nel senso indicato.<br />

Cercheremo di individuare gli elementi di similarità e di discordanza tra coloro che hanno<br />

semplicemente sostenuto la “ridondanza” del predicato di verità nell’ambito di una lingua (a<br />

partire dalle tesi espresse da Ramsey (1927) e Ayer (1936)) e coloro che, pur ammettendo<br />

l’impossibilità di eliminare i predicati di verità come strumenti linguistici, sostengono che la<br />

proprietà espressa da parole come ‘vero’ è in qualche modo esaurita dall’insieme dei<br />

bicondizionali conformi allo schema dato.<br />

Sia le teorie “ridondantiste” che quelle deflazioniste cercano di ridurre l’analisi del<br />

concetto espresso dalla parola ‘vero’ ad una spiegazione del modo in cui può essere<br />

eliminata l’esplicita citazione di un enunciato (carattere disquotational della parola ‘vero’). 3<br />

L’enunciato che cita p tra virgolette e ne asserisce la verità non avrebbe, secondo questa<br />

concezione, un contenuto informativo diverso da quello di p stesso. A partire da questa idea<br />

di fondo, l’importanza del concetto di verità per la filosofia del linguaggio è stata<br />

“minimizzata” in forme a volte estreme, a volte moderate.<br />

2 L’espressione «deflationism» è introdotta in HORWICH (1982), p. 182. Lo stesso autore presenta successivamente<br />

la propria concezione della verità come «minimalism», in quanto essa consente l’individuazione della «Minimal<br />

Theory of Truth» (HORWICH (1990), p. 6). L’espressione «minimalist conception of truth» è adottata anche in<br />

WRIGHT (1992) per esprimere una pozizione più ampia sul concetto di verità, per alcuni aspetti riconducibile alla<br />

prospettiva deflazionista. Un primo tentativo di inquadramento delle diverse forme di deflazionismo è presente in<br />

FIELD (1986). Si veda in proposito anche SOAMES (1997).<br />

3 L’espressione «disquotation» è introdotta in QUINE (1974).


I predicati di verità sono ridondanti?<br />

Secondo un’ampia corrente di pensiero che attraversa tutto il ventesimo secolo, la nozione<br />

di verità non svolge alcun ruolo determinante negli usi delle lingue naturali, e gli enunciati<br />

che contenfono riferimenti ad essa possono essere parafrasati in modo sistematico,<br />

eliminando del tutto le occorrenze di parole come ‘vero’. Ad esempio, un’espressione come<br />

(1) l’enunciato ‘Cesare fu ucciso’ è vero<br />

sarà parafrasata da<br />

(2) Cesare fu ucciso.<br />

L’idea della ridondanza della verità, che si fa risalire solitamente a Ramsey (1927, 1991) e<br />

Ayer (1936), 4 si è sviluppata principalmente in due direzioni. Da un lato abbiamo le teorie<br />

performative, 5 secondo cui gli enunciati contenenti un predicato di verità non esprimono<br />

un’asserzione (sul fatto che un certo enunciato ha la proprietà della verità), bensì un<br />

atteggiamento, quello di assenso rispetto all’enunciato in questione. Da un altro lato<br />

abbiamo la teoria proenunciativa, proposta da Grover, Camp e Belnap (1975), 6 che introduce la<br />

nozione di «proenunciato» in analogia con quella di pronome: il predicato di verità è<br />

utilizzato per comporre espressioni che sono usate anaforicamente al posto di enunciati. Un<br />

posto a parte spetta poi alle posizioni di Quine, il quale riconosce il ruolo svolto dai<br />

predicati di verità come strumenti che sostituiscono nel linguaggio ordinario la<br />

congiunzione infinita. Nondimeno alcune sue affermazioni possono essere ricondotte ad<br />

alcune tesi degli autori citati. 7<br />

4 Un precedente in merito è dato da FREGE (1892), pp. 228-29. Si veda in merito SOAMES (1999), pp. 46-48.<br />

5 STRAWSON (1949, 1950), AYER (1963), PRIOR (1971).<br />

6 Si veda in proposito anche GROVER (1992). Dalla teoria proenunciativa prendono spunto anche C. F. J. W ILLIAMS<br />

(1976) e BRANDOM (1988, 1994).<br />

7 Si vedano in merito: QUINE (1960), p. 24, QUINE (1970), cap.1. Cfr. anche <strong>LE</strong>EDS (1978).


Un primo problema posto dalla tesi della ridondanza è il seguente: cosa intendiamo<br />

quando diciamo, ad esempio, che l’enunciato (2) fornisce una parafrasi di (1)? Una prima<br />

risposta può essere la seguente: (1) e (2) sono due modi di dire la stessa cosa in quanto le<br />

proposizioni da essi espresse sono identiche. 8 Si tratta però di una formulazione della tesi<br />

ridondantista che troviamo soprattutto negli scritti di chi ad essa si è opposto. 9 Molti dei<br />

sostenitori dell’eliminabilità dei predicati di verità evitano infatti di far ricorso alla nozione<br />

di proposizione in modo sistematico. 10 Essi sostengono, d’altra parte, che «’è vero che Cesare<br />

fu ucciso’ non significa niente più che ‘Cesare fu ucciso’» (Ramsey (1927), p. 38). 11<br />

L’analisi proposta da Ramsey, e quelle che da essa hanno avuto origine, sembrano fare<br />

appello ad una sorta di forma logica sottostante per gli enunciati esprimenti valutazioni di<br />

verità: una forma logica che si contrapporrebbe a quella grammaticale. 12 A partire da questa<br />

contrapposizione, la tesi della ridondanza è stata più volte riformulata asserendo che la<br />

verità non è una proprietà. 13 L’espressione ‘vero’ non andrebbe dunque intesa come un<br />

predicato, bensì come una sorta di termine “sincategorematico”, che non ha una denotazione<br />

propria, ma contribuisce al significato complessivo dell’espressione in cui occorre. Questo<br />

8 Questa formulazione è riconducibile a FREGE (1892).<br />

9 Si veda ad esempio SOAMES (1999), p. 39.<br />

10 Ramsey ad esempio utilizza la nozione di proposizione in modo intuitivo, ma si rifà a Russell (1910) nel<br />

considerare la credenza come una relazione multipla tra una mente e i singoli costituenti della proposizione<br />

(RAMSEY (1927), p. 35). Ayer si esprime anche in termini di identità tra proposizioni, ma evita il riferimento alla<br />

nozione di proposizione intesa come concetto primitivo (Ayer (1936, p. 103). Anche Grover, Camp e Belnap (1975)<br />

si domandano se il loro trattamento dei predicati di verità non elimini la necessità di postulare l’esistenza di<br />

proposizioni (§ 4.4).<br />

11 Cfr. AYER (1936): «Quando, per esempio, si dice che è vera la proposizione “la regina Anna è morta”, tutto ciò che<br />

si va dicendo è che è morta la regina Anna» (p. 103).<br />

12 Si veda in proposito USBERTI (1980), pp. 185-186. La tendenza a contrapporre forma logica e forma grammaticale<br />

è presente, in una certa misura, anche nelle forme più moderate di minimalismo (HORWICH (1990), pp. 2, 37-38).<br />

13 Si veda ad esempio GROVER (1981), § 2.


tipo di lettura sembra forzare alcune intuizioni sul linguaggio naturale, che sono invece<br />

catturate da approcci più tradizionali, come quello che si fa risalire a Bernard Bolzano. 14<br />

Un secondo problema per la tesi della ridondanza è costituito dai casi di citazione<br />

implicita, come i seguenti:<br />

(50) tutto ciò che ha detto Maria è vero;<br />

(60) è vero che la neve è bianca;<br />

(70) la Tesi di Church è vera.<br />

significativo è il caso di (50), per il quale viene solitamente offerta una parafrasi basata<br />

sulla quantificazione sostituzionale (le variabili sono sostituite da enunciati):<br />

(80) per ogni P, se Maria ha detto che P, allora P.<br />

I problemi sollevati dalla quantificazione sostituzionale sono però numerosi. Una prima<br />

obiezione ad un trattamento di questo tipo è basata su una tesi di Alfred Tarski: non è<br />

legittimo sostituire con una costante la variabile P che occorre all’interno di una citazione<br />

(introdotta in questo caso dalla congiunzione «che»). 15 Un’altra obiezione alla lettura<br />

sostituzionale dei quantificatori si basa sull’impossibilità di rendere conto di essa senza<br />

presupporre il concetto di verità, 16 cosa che vanifica il tentativo di eliminare quest’ultimo. Un<br />

altro elemento a sfavore della quantificazione sostituzionale è il fatto che la classe di<br />

sostituzione associata a ciascuna variabile riflette i limiti espressivi del linguaggio-oggetto, e<br />

14 Secondo Bolzano (1837) la forma grammaticale va presa alla lettera: una proposizione che attribuisca la<br />

verità a va distinta da , che attribuisce a sua volta una proprietà A ad un oggetto b (§ 32 , Nota).<br />

15 TARSKI (1935), pp. 407-417. La legittimità della sostituzione è sostenuta in GROVER (1973a, 1973b). La questione è<br />

discussa anche in SOAMES (1999), pp. 86-92.<br />

E’ degno di nota il fatto che in RAMSEY (1927) non si trova questo tipo di quantificazione su proposizioni, bensì la<br />

quantificazione sui costituenti delle proposizioni (p. 39).<br />

16 Si veda in proposito HORWICH (1990), p. 25. La validità di questa tesi è negata in SOAMES (1999), pp. 90-92. Per<br />

un inquadramento sulla questione si veda CAMP (1975).


ende inoltre problematico il trattamento di enunciati il cui valore di verità dipende dal<br />

contesto. 17<br />

All’individuazione dei limiti delle teorie ridondantiste ha contribuito soprattutto il lavoro<br />

di Tarski, il quale fornisce una definizione rigorosa del concetto di verità e mostra le sue<br />

possibili applicazioni soprattutto in ambito metamatematico. 18 Il lavoro di Tarski prendeva<br />

le mosse dall’intento di rendere conto in termini formali delle «intuizioni contenute nella<br />

cosiddetta concezione “classica” (“vero è solo quello che corrisponde alla realtà”)». 19 Ciò<br />

nondimeno, il requisito imposto dal logico polacco alla definizione consiste semplicemente<br />

nel fatto che essa deve rendere possibile la derivazione dei bicondizionali conformi allo<br />

schema «x è vero se e solo se p». Pur mostrando un legame ideale con la tradizione secondo<br />

cui la verità è corrispondenza alla realtà, egli sposta l’accento sugli aspetti formali e<br />

linguistici della questione, mettendo da parte le problematiche metafisiche connesse alle<br />

nozioni di realtà, fatto, evento, mondo, stato di cose.<br />

La concezione deflazionista della verità<br />

A partire dal lavoro di Tarski è stato possibile analizzare le proprietà formali del concetto<br />

di verità, e la competenza dei parlanti nell’uso di predicati come ‘vero’. Si è cercato di<br />

mostrare come tale competenza vada individuata nella disposizione da parte dei parlanti ad<br />

accettare i bicondizionali conformi allo schema «x è vero se e solo se p». Ciò ha dato luogo<br />

ad una diffidenza sempre più marcata, da parte di alcuni studiosi, verso quelle teorie della<br />

verità che individuano in essa più di quello che si desume dai bicondizionali stessi. Il<br />

dibattito ha preso in larga misura la forma di una contrapposizione tra i sostenitori della<br />

verità come corrispondenza ai fatti e coloro che vedevano nel metodo tarskiano uno<br />

17 SOAMES (1999), pp. 41-46.<br />

18 La definizione del concetto di verità si trova in TARSKI (1935), p. 491 (Def. 23). In TARSKI (1944), § 16, e TARSKI<br />

(1969), p. 409-11, troviamo obiezioni all’idea della ridondanza dei predicati di verità.<br />

19 TARSKI (1935), p. 395.


strumento per evitare ogni riferimento alla nozione di corrispondenza. 20 Più in generale,<br />

però, la polemica antimetafisica ha riguardato anche altre concezioni della verità, espresse in<br />

termini di coerenza, asseribilità garantita o altro.<br />

La concezione deflazionista della verità emerge nei lavori di Paul Horwich (1982, 1990),<br />

Arthur Fine (1984), Scott Soames (1984, 1997), Hartry Field (1986, 1994a), M. J. Williams (1986),<br />

B. Loar (1987), T. Baldwin (1989). I deflazionisti prendono atto dell’impossibilità di eliminare<br />

del tutto i predicati di verità dalle lingue naturali, ma nondimeno affermano che il ruolo<br />

svolto dal concetto di verità non va al di là di quanto è già espresso nei bicondizionali<br />

tarskiani. La teoria della verità viene ad assumere un ruolo relativamente marginale<br />

nell’ambito della filosofia del linguaggio; in particolare, essa non è ritenuta alla base della<br />

teoria del significato. 21 Per quest’ultima nozione vengono elaborate altre trattazioni, come<br />

quella in termini di uso, mutuata dal Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche. 22 Viene inoltre a<br />

ridursi il ruolo che il concetto di verità gioca nella giustificazione dei metodi scientifici. 23<br />

Alcune analisi che vorrebbero individuare nel concetto di verità problemi più profondi<br />

rispetto a quello di una spiegazione della competenza nell’uso del predicato ‘vero’ vengono<br />

accantonate come inutili. Altre questioni, tradizionalmente ritenute connesse al concetto di<br />

verità, vengono dichiarate estranee alla questione. Si è cercato di mostrare come una teoria<br />

della verità possa essere neutrale rispetto a varie questioni filosofiche, e si è avviato un<br />

ampio dibattito sulla compatibilità del deflazionismo con alcune tesi fra loro contrapposte.<br />

Ad esempio, è stato sostenuto che il dibattito tra realismo e antirealismo suscitato dagli<br />

scritti di Dummett non riguarda in realtà il concetto di verità. 24 Si è cercato inoltre di mostrare<br />

20 Si vedano in merito, ad esempio, SELLARS (1962) e DAVIDSON (1969). La tesi della corrispondenza è stata più<br />

volte riproposta; una difesa di questo approccio rispetto alle teorie minimali è stata offerta recentemente in DAVID<br />

(1994). In altri studi si è cercato di illustrare il rapporto tra enunciati ed eventi ricorrendo alla nozione<br />

apparentemente meno problematica di truth-making (MULLIGAN ET AL. (1984), B. SMITH (1999).<br />

21 Per i rapporti tra teoria della verità e teoria del significato si veda HORWICH (1990), § 22, e SOAMES (1999), pp.<br />

102-107, dove si criticano le tesi di Davidson (1967).<br />

22 Si veda ad esempio HORWICH (1998b).<br />

23 Questo punto di vista ha suscitato obiezioni da parte di studiosi autorevoli, come Putnam (1978, 1981).<br />

24 Si veda ad esempio HORWICH (1990), §§ 16-17, SOAMES (1999), pp. 32-39.


la neutralità del deflazionismo rispetto al problema della legittimità delle posizioni<br />

“espressiviste” o “non-fattualiste”, secondo cui può essere data una distinzione netta tra gli<br />

enunciati che descrivono fatti e quelli che esprimono stati d’animo o norme. 25<br />

La prospettiva deflazionista sembra consistere in una sorta di atteggiamento comune tra<br />

vari studiosi, che ha ricevuto formulazioni diverse e discordanti. La più nota e discussa è<br />

senz’altro il «minimalismo» delineato da Paul Horwich, che consiste nell’individuazione di<br />

una Teoria Minimale della Verità, data dalla collezione di tutte le proposizioni non-<br />

paradossali ottenibili a partire da uno “schema proposizionale” della forma<br />

< è vera se e solo se p ><br />

(dove l’espressione ‘‘ indica la proposizione espressa dll’enunciato ‘p’). 26 Ciò che si<br />

chiede alla teoria è per un aspetto qualcosa di più debole rispetto ai requisiti posti dalla<br />

teoria di Tarski. Laddove il logico polacco riteneva necessaria una definizione esplicità della<br />

verità, che rendesse possibile la derivazione dei bicondizionali, Horwich dà una definizione<br />

per via assiomatica del concetto di verità, attraverso i bicondizionali stessi. 27 D’altra parte, il<br />

progetto di Horwich è, a detta dello stesso autore, «più ambizioso» di quello delineato da<br />

Tarski, 28 in quanto mira a varcare i limiti imposti dai singoli linguaggi, trattando con le<br />

proposizioni, entità non-linguistiche.<br />

Una maggiore cautela nei confronti delle proposizioni è espressa da Hartry Field, il quale<br />

preferisce attribuire la verità alle emissioni degli enunciati (entità accettabili anche da un<br />

punto di vista fisicalistico) oppure agli stati mentali. Egli sposta l’attenzione, seguendo in<br />

25 Si veda in proposito BOGHOSSIAN (1990), HORWICH (1993, 1994), SMITH (1994a, 1994b), JACKSON, OPPY E SMITH<br />

(1994), FIELD (1994b), SOAMES (1999), pp. 249-255.<br />

26 Com’è noto la Teoria Minimale non può essere formulata esplicitamente, a causa della quantità non-enumerabile<br />

delle proposizioni conformi allo schema (HORWICH 1990), p. 20 (in particolare: nota 4), § 5).<br />

27 E’stato d’altra parte sostenuto che la stessa definizione Tarskiana della verità data nei termini della<br />

convenzione W (TARSKI (1935), pp. 475-477) può essere concepita come una forma di deflazionismo (SOAMES<br />

(1999), pp. 238-244).<br />

28 HORWICH (1990), p. 28.


parte Ramsey, dal problema della verità delle emissioni a quello delle loro condizioni di<br />

verità; d’altra parte, le condizioni di verità non sono espresse in termini di corrispondenza,<br />

bensì mediante clausole di eliminazione della citazione. 29 Egli distingue inoltre tra forme<br />

“pure”, “deboli” e “moderate” della teoria disquotational, 30 a seconda del coinvolgimento che<br />

questa ha rispetto alle nozioni di traduzione e sinonimia, oggetto delle critiche di Quine<br />

(1960).<br />

La concezione deflazionista dellla verità si articola dunque in un quadro variegato di<br />

proposte teoriche, che divergono su alcune questioni non secondarie.<br />

Alcuni problemi aperti<br />

Nel portare avanti questa ricerca si avverte innanzitutto un’esigenza di classificazione<br />

sistematica delle posizioni qui illustrate. Accanto agli elementi di continuità tra l’idea della<br />

ridondanza della verità e le più recenti teorie deflazioniste, emergono divergenze di fondo<br />

sulla possibilità di utilizzare o meno alcuni strumenti, come la quantificazione sostituzionale<br />

e la congiunzione infinita, per “eliminare” i predicati di verità. Si assiste innanzitutto ad una<br />

controversia sull’efficacia stessa di questi metodi, da un punto di vista formale. In secondo<br />

luogo, manca un accordo sul ruolo che questi artifici tecnici possono assumere nell’ambito di<br />

un’analisi descrittiva delle lingue naturali.<br />

L’acceso dibattito suscitato dalle formulazioni nette di autori come Ramsey ed Ayer ha<br />

dato luogo a tesi sempre più “sfumate”, per le quali si auspica il raggiungimento di una<br />

maggiore esplicitezza. Un problema di questo tipo è ad esempio quello dello statuto stesso<br />

dei bicondizionali tarskiani. La Convenzione W di Tarski si limitava a richiedere la<br />

derivabilità di questi enunciati dalla definizione di ‘enunciato vero’, affinché fosse stabilita la<br />

semplice equivalenza materiale tra due enunciati come «p» e «’p’ è vero». All’estremo<br />

opposto, una versione della tesi della ridondanza riconducibile a Frege (1892) consiste nel<br />

29 FIELD (1986), pp. 55-61.<br />

30 Ibidem, §§ 1.2 - 1.3 e in particolare p. 63.


postulare l’identità tra la proposizione espressa da «p» e quella espresa da «’p’ è vero»: i due<br />

enunciati vengono allora ad essere logicamente equivalenti. Tra questi due estremi si situa il<br />

tentativo, compiuto dei deflazionisti, di dar luogo ad una tesi più forte di quella di Tarski,<br />

ma più debole di quella di Frege. I bicondizionali tarskiani sarebbero allora, secondo alcuni,<br />

necessari ed a priori. 31 Quanto alla relazione tra i due enunciati «p» e «’p’ è vero», leggiamo:<br />

«the content of the claim that a putative truth bearer is true is equivalent to that of the truth<br />

bearer itself» (Soames (1999), p. 229). Si fa dunque riferimento ad una relazione tra contenuti<br />

proposizionali che non è l’identità, ma non è neanche l’equivalenza propriamente detta<br />

(materiale o logica), in quanto quest’ultima è una relazione che vige tra enunciati. La natura<br />

di questa relazione va però chiarita. Un problema analogo sorge leggendo Field (1994a), il<br />

quale afferma: «[I]n the purely disquotational sense of “true”, the claim that u is true (where<br />

u is an utterance I understand) is cognitively equivalent for me to u itself». 32 Egli cerca di<br />

dare una definizione della nozione introdotta: «[T]o call two sentences that a person<br />

understands “cognitively equivalent” for that person is to say that the person’s inferential<br />

procedures license a fairly direct inference from any sentence containing an occurrence of one<br />

to the corrisponding sentence with an occurrence of the other substituted for it». 33<br />

Chiarimenti su questo tipo di nozioni potranno essere forniti da studi che esulano dalla<br />

teoria della verità, 34 e riguardano la natura del contenuto proposizionale e di quello mentale.<br />

Tra le questioni sollevate da proposte specifiche, ne segnaliamo una che sorge nella Teoria<br />

Minimale di Horwich. Un’analisi di questa costruzione sembra mostrare una sorta di doppio<br />

coinvolgimento teorico rispetto all’esistenza delle proposizioni. in primo luogo non si dà più<br />

un linguaggio-oggetto ai cui enunciati la verità è attribuita. Viene messo da parte il monito<br />

tarskiano di considerare la verità come relativa ad un linguaggio, e si punta a descrivere la<br />

verità delle proposizioni, in generale. In secondo luogo, non si dà neanche un<br />

31 SOAMES (1999), p. 246. Cfr. anche HORWICH (1990), p. 21 (nota 5).<br />

32 FIELD (1994a), p. 251.<br />

33 Ibidem, nota 2.<br />

34 Si segnala comunque che questi temi sono trattati nel cap. 4 di un libro di Wolfgang KÜNNE sulla verità, in corso<br />

di elaborazione.


metalinguaggio, nel senso proprio del termine, in quanto la Teoria Minimale consisterebbe<br />

in una congiunzione di proposizioni, non di enunciati. Ma è legittimo usare l’espressione<br />

«teoria» per indicare un insieme di proposizioni? E’ chiaro l’intento dell’autore: varcare i<br />

limiti di ciò che un metalinguaggio può esprimere, includendo tra gli “assiomi” anche<br />

proposizioni bicondizionali che nessuna lingua può esprimere. 35 Non è chiaro però se i<br />

limiti del linguaggio possano essere varcati. Horwich sembra additare un desideratum teorico<br />

senza avelo ottenuto con una procedura effettiva. Il problema dell’esistenza di proposizioni<br />

“indicibili” non sembra illuminato dalla promessa di una teoria che è a sua volta indicibile,<br />

ovvero non formulabile in linguaggi di cui disponiamo. Chiarimenti su questioni come<br />

questa possono contribuire a far sì che gli approcci minimali alla verità assumano via via un<br />

grado maggiore di esplicitezza teorica.<br />

35 HORWICH (1990), § 2, nota 3.


<strong>LE</strong> <strong>TEORIE</strong> <strong>MINIMALI</strong> <strong>DELLA</strong> VERITÀ<br />

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