Serge Latouche e Didier Arpages – Il tempo della ... - Solideco
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Vivere senza padroni<br />
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Mi rivolto dunque siamo<br />
Critical Art Ensemble<br />
Lo spettro <strong>della</strong> peste<br />
David Graeber<br />
Frammenti di antropologia anarchica<br />
Gruppo Marcuse<br />
Miseria umana <strong>della</strong> pubblicità<br />
Bruno Latour con Frangois Ewald<br />
Disinventare la modernità<br />
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Addio alle masse<br />
Marshall Sahlins<br />
Un grosso sbaglio<br />
Filippo Trasatti<br />
Contro natura<br />
Raoul Vaneigem<br />
Né vendetta né perdono<br />
2
<strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong> - <strong>Didier</strong> Harpagès<br />
<strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> <strong>della</strong> decrescita<br />
Introduzione alla frugalità Felice<br />
prefazione di Marco Aime<br />
elèuthera<br />
3
Titolo originale: Le temps de la décroissance<br />
Traduzione dal francese di Guido Lagomarsino<br />
© 2010 <strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong> e <strong>Didier</strong> Harpagès<br />
© 2011 Elèuthera<br />
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli<br />
<strong>Il</strong> nostro sito é www.eleuthera.it<br />
e-mail: eleuthera@eleuthera.it<br />
4
Indice<br />
PREFAZIONE<br />
di Marco Aime 7<br />
INTRODUZIONE<br />
È giunto il <strong>tempo</strong> 21<br />
UNO<br />
La fine del <strong>tempo</strong>: necessità <strong>della</strong> rottura 31<br />
1. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> schiacciato dal produttivismo 31<br />
2. Condannati alla velocità 36<br />
3. L’ obsolescenza programmata 38<br />
4. L’eternità al presente: lo sviluppo sostenibile 40<br />
5. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> del virtuale 45<br />
6. Vendere il <strong>tempo</strong> 50<br />
DUE<br />
Riabilitare il <strong>tempo</strong> 57<br />
1. Rimo<strong>della</strong>re lo spazio-<strong>tempo</strong> 58<br />
5
2. Lavorare meno per vivere meglio 65<br />
3. Ridurre le distanze, ritrovare la lentezza 72<br />
4. Ritrovare il locale 80<br />
5. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> a ritroso 86<br />
CONCLUSIONE<br />
Vivere in altro modo lo stesso mondo 95<br />
Lessico 99<br />
Bibliografia essenziale 109<br />
6
Prefazione<br />
di Marco Aime*<br />
1. Quasi tutte le sere, quando accendiamo la televisione, vediamo<br />
uno speaker dal volto cupo annunciare il fatto che non abbiamo<br />
raggiunto gli obiettivi di crescita previsti, che lo sviluppo è fermo<br />
o va troppo piano e cosi via. Dopodiché si passa la parola a<br />
qualche economista, che ci ammonisce e ci spiega che sviluppo e<br />
crescita sono necessari per il progresso del paese e del pianeta.<br />
Sviluppo e crescita: ecco le parole chiave, legate a filo doppio da<br />
un legame apparentemente indissolubile.<br />
Se andiamo appena al di là degli slogan politico-economici che<br />
dominano la comunicazione, ci accorgiamo, per esempio, che la<br />
maggior parte delle definizioni dello sviluppo sono basate sul<br />
modo in cui una o più persone immaginano una condizione<br />
ideale di vita. Se lo sviluppo è soltanto un termine comodo per<br />
riassumere l’insieme delle virtuose aspirazioni umane, si può<br />
concludere immediata-<br />
* Docente di Antropologia culturale nell’Università di Genova.<br />
7
mente che esso non esiste in alcun luogo e che non esisterà<br />
probabilmente mai! Le definizioni oscillano tra due estremi:<br />
quelle dettate dal desiderio e quelle legate alla molteplicità delle<br />
azioni intraprese nella convinzione che portino alla felicità.<br />
L’idea di sviluppo dominante nella nostra cultura intende<br />
mostrare quello che distingue le società moderne da quelle che le<br />
hanno precedute. Lo sviluppo è costituito da un insieme di<br />
pratiche a volte apparentemente contraddittorie, le quali, per<br />
assicurare la riproduzione sociale, costringono a trasformare e a<br />
distruggere, in modo generalizzato, l’ambiente naturale e i<br />
rapporti sociali in vista di una produzione crescente di merci<br />
(beni e servizi) destinate, attraverso Io scambio, alla domanda<br />
solvibile. Letto in questi termini, lo sviluppo, come lo concepiamo<br />
noi, non è altro che l’espansione planetaria del sistema di<br />
mercato.<br />
2. Con un’analisi raffinata e originale, Gilbert Rist sostiene che<br />
il concetto di sviluppo svolge per la società occidentale la stessa<br />
funzione dei miti nelle società cosiddette primitive1. Lo sviluppo<br />
è il mito fondante <strong>della</strong> nostra società, senza di esso tutto il<br />
sistema crollerebbe, e poiché stiamo imponendo a tutti il nostro<br />
sistema, imponiamo anche il vangelo dello sviluppo. Sviluppo,<br />
quindi, come elemento <strong>della</strong> moderna religione economicistica:<br />
un’ideologia si discute, una fede no. La credenza nello sviluppo è<br />
paragonabile, dunque, ai miti delle società non occidentali. L’atto<br />
di credere è performativo e se si deve far credere è per far fare.<br />
Come ogni credenza, anche lo sviluppo ha i suoi rituali, fatti di<br />
incontri tra i grandi <strong>della</strong> Terra, i G8 e i G20 che continuano a<br />
tenere accesa la fiamma <strong>della</strong> speranza in un futuro migliore al di<br />
la di ogni logica conclusione.<br />
Un esempio di come l’idea di sviluppo si avvicini più a<br />
8
una fede che all’espressione di una presunta razionalità e dato<br />
dal fatto che, se un politico fa affermazioni che vengono<br />
regolarmente smentite, alla lunga perde di credibilità. Nel campo<br />
dello sviluppo, invece, le promesse sono instancabilmente<br />
ripetute e gli esperimenti costantemente riprodotti. Come<br />
spiegare allora che ogni fallimento diventa l’occasione di nuove<br />
dilazioni?<br />
Appare quindi evidente che la problematica dello sviluppo è<br />
inscritta nell’immaginario occidentale e ne costituisce il mito<br />
fondante.<br />
3. <strong>Il</strong> concetto di sviluppo affonda le sue radici nella filosofia di<br />
Aristotele e di sant’Agostino, ma i suoi veri padri sono<br />
l’<strong>Il</strong>luminismo e l’evoluzionismo sociale. <strong>Il</strong> primo, con la sua fede<br />
incrollabile nell’uomo e nella sua capacità di creare un progresso<br />
infinito, ha gettato solide basi sulle quali appoggiare i pilastri<br />
<strong>della</strong> credenza «sviluppistica». La spinta verso la «modernità»<br />
doveva per forza prevedere che le conoscenze dei<br />
con<strong>tempo</strong>ranei si sarebbero aggiunte a quelle dei loro<br />
predecessori, escludendo pertanto ogni eventualità di declino.<br />
Tale era la fede dei Lumi nelle potenzialità del genere umano,<br />
che si ipotizzava in tempi piuttosto brevi il raggiungimento<br />
dell’uguaglianza delle nazioni, in quanto l’Occidente avrebbe<br />
esportato nei paesi più remoti quell’idea di democrazia e<br />
uguaglianza nata dalla Rivoluzione francese. Si andava<br />
formulando in questo periodo una concezione dello sviluppo<br />
come un processo naturale che prima o poi avrebbe coinvolto<br />
tutto e tutti.<br />
Storpiando le teorie di Darwin, applicate dall’autore al regno<br />
animale e basate non sull’evoluzione, ma sulla selezione naturale,<br />
gli evoluzionisti sociali del secolo scorso assimilarono lo sviluppo<br />
umano a quello naturale: il cam-<br />
9
mino verso la civiltà e uno solo ed è composto da gradini, sul più<br />
alto siedono gli occidentali, poi via via a calare gli altri popoli (o<br />
razze come si diceva allora). Con il <strong>tempo</strong> e con l’aiuto<br />
dell’Occidente, tutti avrebbero risalito la scala, fino a diventate<br />
dei perfetti «europei».<br />
La storia non ha dato ragione né ai Lumi né agli evoluzionisti.<br />
L’Occidente ha esportato prima violenza e sfruttamento, più che<br />
democrazia e uguaglianza, e oggi esporta sviluppo, credendo di<br />
esportare benessere. L’obiettivo di elevare tutti gli esseri umani<br />
al tenore di vita di noi occidentali è materialmente irrealizzabile,<br />
se teniamo conto che noi consumiamo 4/5 delle risorse del<br />
pianeta, lasciando al rimanente 80% <strong>della</strong> popolazione mondiale<br />
solo il 20% dell’energia disponibile. <strong>Il</strong> mondo non può<br />
sopportare che l’India diventi come l’Inghilterra, sosteneva<br />
Gandhi intuendo la débacle ambientale che ne sarebbe seguita.<br />
Gandhi, infatti, voleva cacciare gli inglesi per permettere all’India<br />
di essere più indiana, Nehru voleva l’indipendenza per rendere<br />
l’India più occidentale.<br />
Eppure, per sostenere la nostra fede nell’inevitabilità del<br />
progresso, inteso come aumento di produzione e accumulo di<br />
beni, cioè di occidentalizzazione del mondo, occorre fare «come<br />
se» tutto ciò fosse realizzabile.<br />
4. <strong>Il</strong> termine «sviluppo» come lo concepiamo noi appartiene al<br />
mondo <strong>della</strong> natura, e la metafora di un processo naturale, che<br />
noi applichiamo ai fenomeni sociali, facendo come se quel che è<br />
vero dell’uno dovesse esserlo necessariamente dell’altro. In<br />
questo modo si compie un’operazione simile a quella degli<br />
evoluzionisti culturali, i quali, applicando le teorie che Darwin<br />
aveva formulato esclusivamente in riferimento a fenomeni<br />
naturali, diedero vita a una scala di valori fondata sulla<br />
superiorità delle «razze civilizzate».<br />
10
L’evoluzionismo sociale consentiva cosi, sul piano teorico, di<br />
giustificare le diversità delle società e, sul piano politico, di<br />
giustificare schiavismo e colonizzazione.<br />
Nel caso dello sviluppo la metafora naturalistica viene<br />
deformata a uso e consumo degli autori. Infatti, un qualsivoglia<br />
organismo naturale nasce, cresce fino a raggiungere un apice e<br />
poi inizia inevitabilmente a declinare fino a terminare<br />
irrimediabilmente la sua vita. Quest’ultima parte viene<br />
dimenticata nella trasposizione <strong>della</strong> metafora dalla natura alla<br />
società. Lo sviluppo, cosi com’e concepito dai suoi sostenitori,<br />
non finisce mai.<br />
Lo sviluppo biologico e quello sociale possono apparire simili,<br />
ma tale metafora non tiene conto <strong>della</strong> storia, che non segue<br />
affatto criteri regolari, come invece fa la natura. Già Aristotele<br />
distingueva la scienza, cioè tutto ciò che è prevedibile, dalla<br />
storia, l’arte dell’accidentale.<br />
Nessuna legge naturale prevede infatti che un villaggio debba<br />
per forza diventare una grande città. Naturalizzare la storia<br />
significa non tenere conto di tutti gli eventi di natura umana<br />
(guerre, migrazioni, conquiste) che determinano cambiamenti di<br />
rotta nelle strategie delle società umane.<br />
5. Lo sviluppo non è un aspetto inevitabile <strong>della</strong> storia. Se<br />
osserviamo il passato, possiamo riscontrare lunghissimi periodi<br />
quasi stazionari e forse il particolare dinamismo <strong>della</strong> nostra era<br />
costituisce più un’eccezione storica di quanto non rappresenti<br />
una norma dominante. In ogni caso, la moderna teoria dello<br />
sviluppo economico si fonda saldamente su modelli basati sulla<br />
crescita esponenziale.<br />
Sviluppo e crescita sembrano fare parte di un binomio<br />
indissolubile e in effetti, rivolgendo ancora una volta lo sguardo<br />
alla storia, possiamo dire che lo sviluppo ha solitamente indotto<br />
la crescita e che c’e stata crescita solo in<br />
11
connessione con lo sviluppo. Si tratta quindi <strong>della</strong> stessa cosa<br />
oppure di due concetti legati, ma diversi tra di loro?<br />
Per crescita si intende l’aumento di produzione pro capite dei<br />
beni già esistenti e conseguentemente un maggiore consumo di<br />
risorse.<br />
Lo sviluppo prevede l’introduzione di una serie di<br />
innovazioni, che possono essere positive e razionali e potrebbero<br />
costituire un buon elemento per ridurre (vista l’impossibilita di<br />
azzerare) l’impatto sull’ambiente e sulle risorse, se non fossero<br />
condizionate dal germe dell’accumulo capitalista. Visto l’imporsi<br />
ovunque del modello capitalistico - occidentale, ogni eventuale<br />
innovazione viene utilizzata per produrre di più in minor <strong>tempo</strong>,<br />
aumentando così il tasso di distruzione delle risorse planetarie.<br />
A livello teorico è quindi possibile ipotizzare uno sviluppo<br />
senza crescita, cosa che hanno fatto gli ecologisti, che per questo<br />
sono stati attaccati da molti economisti, i quali sostenevano che<br />
essere contro l’inquinamento significava anche essere contro la<br />
crescita economica. La realtà, però, ci porta a tenere conto di<br />
numerosi fattori e pertanto, se su un piano puramente logico si<br />
può ottenere una crescita economica addirittura con una<br />
diminuzione del tasso di esaurimento delle risorse, la crescita<br />
non può superare un determinato limite, a meno che non<br />
avvenga in modo concomitante una diminuzione di popolazione,<br />
cosa alquanto improbabile viste le prospettive attuali.<br />
6. «Se devo andare da Roma a Napoli, non posso prendere un<br />
treno che va a Torino e farlo andare piano. Per quanto rallenti,<br />
non arriverà mai a Napoli». Sono parole pronunciate da <strong>Serge</strong><br />
<strong>Latouche</strong> in una conferenza a Genova, per denunciare come<br />
spesso si ricorra a una politica dell’aggettivazione per attenuare<br />
gli effetti negativi di un’a-<br />
12
zione, come nel caso delle celebri «guerre umanitarie». Negli<br />
ultimi tempi, di fronte ai palesi fallimenti delle politiche di<br />
sviluppo, si è tentato di restaurarne la facciata dipingendogli<br />
sopra nuove etichette come durevole, sostenibile, umano,<br />
compatibile, al fine di dare nuovo respiro a un concetto<br />
palesemente in debito d’ossigeno. Tale operazione di cosmesi<br />
non ha, però, intaccato la visione dello sviluppo come di un<br />
processo in continua crescita, indifferente al fatto che le risorse<br />
rimangono costanti.<br />
L’idea dello sviluppo durevole è un invito a fare durare la<br />
crescita e non la capacita dell’ecosistema Terra a sostenerlo.<br />
Come afferma Wolfgang Sachs: «In principio ci si appellava<br />
all’ambiente come elemento dell’atto d’accusa contro la crescita.<br />
Oggi si utilizza il concerto di ambiente come bandiera di un<br />
nuovo sviluppo» 2.<br />
Nicholas Georgescu-Roegen, economista rumeno, provocatore<br />
per natura e padre <strong>della</strong> cosiddetta «economia ecologica», mette<br />
spietatamente in luce il paradosso su cui si fonda il dogma del<br />
tecnicismo moderno e il conseguente modello di sviluppo che ne<br />
deriva. Tale modello, figlio del pensiero economico occidentale,<br />
continua a ruotare in un sistema chiuso che tiene conto<br />
solamente <strong>della</strong> produzione e del consumo, dice Georgescu-<br />
Roegen, senza mai mettere tale processo in connessione con la<br />
biosfera. Un esempio per tutti: continuiamo a studiare e a<br />
ripetere da decenni le parole di Lavoisier, per il quale nulla si<br />
crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma.<br />
Ciò, però, è vero solo sotto un profilo puramente teorico. Un<br />
pezzo di carbone contiene una certa quantità di energia<br />
combustibile da noi utilizzabile. Una volta bruciato, tale energia<br />
si trasformerà in calore, fumo e ceneri, che conterranno la stessa<br />
quantità di energia iniziale, non più sfruttabile, però, dall’uomo<br />
in quanto è diventata energia vincolata 3.<br />
13
Anche il riciclaggio, sebbene si proponga come un’arma per<br />
controbattere il dispendio di materia che caratterizza<br />
inevitabilmente ogni processo di trasformazione, non può evitare<br />
l’irreversibile tendenza al declino delle nostre risorse.<br />
Sebbene l’idea che la vita di tutti gli esseri che popolano<br />
questo pianeta possa violare qualche legge naturale sia<br />
considerata un’eresia da parte <strong>della</strong> scienza ufficiale, occorre<br />
prendere atto che anche questa concezione si rivela essere una<br />
sorta di dogma davanti al quale non è lecito porsi dubbi. <strong>Il</strong> fatto<br />
che «consumo perché esisto» non viene preso in esame nelle<br />
concezioni economiche dominanti.<br />
Occorre quindi chiedersi, quando aggettiviamo il termine<br />
sviluppo, cosa intendiamo veramente. L’espressione sviluppo<br />
durevole (o sostenibile) indica che un determinato volume di<br />
produzione sia sopportabile per l’ecosistema e che pertanto<br />
possa durare a lungo. Sarebbe pertanto la capacità di<br />
riproduzione a determinare la produzione e la durevolezza, e<br />
questa è legata alle condizioni ambientali. In questa prospettiva,<br />
che potrebbe essere paragonata a un viaggio, occorre ipotizzare<br />
un punto di partenza e uno di arrivo. Se li collochiamo sull’asse<br />
del <strong>tempo</strong> (e quindi <strong>della</strong> durevolezza), viene naturale pensare<br />
che non sia tanto importante la velocità del viaggio, quanto<br />
piuttosto la sicurezza di arrivare alla meta. Se invece si segnano i<br />
punti sull’asse verticale dello sviluppo, allora è necessario<br />
incrementare progressivamente la velocità (cioè la produzione)<br />
incidendo assai più profondamente sulle risorse disponibili.<br />
Questa è, però, l’interpretazione dominante, che vede nello<br />
sviluppo durevole un invito a fare durare lo sviluppo, cioè la<br />
crescita. Come dice ancora Rist: «Dopo avere reso lo sviluppo<br />
universale, bisogna renderlo eterno» 4.<br />
<strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong> bolla come ipocrite le aggettivazioni<br />
14
dello sviluppo e offre un brillante paragone al proposito: nessuno<br />
può mettere in dubbio la buona fede e gli alti ideali di chi ha<br />
teorizzato il socialismo come dottrina di uguaglianza, ma<br />
dobbiamo oggi constatare che la pratica di tale ideologia ha dato<br />
risultati ben lontani da quelli sognati dai padri fondatori. L’unico<br />
socialismo esistente è quello reale. Analogamente, si può dire che<br />
al di là delle aspirazioni dei teorici dello sviluppo, dopo una<br />
cinquantina d’anni di esperienze l’unico sviluppo esistente è<br />
quello reale, cioè l’espansione del modello occidentale 5.<br />
Presentando lo sviluppo e la modernizzazione come un modo<br />
per moltiplicare le scelte offerte alla popolazione, si rischia di<br />
dimenticare ciò che è andato perduto.<br />
7. Siamo di fronte a una svolta, ci dicono <strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong> e<br />
<strong>Didier</strong> Harpagès, e se non ci dimostriamo saggi, potremmo<br />
esserci giocata l’ultima chance di vivere meglio. <strong>Il</strong> primo<br />
problema é quello di decolonizzare il nostro immaginario, che ci<br />
induce a pensare che questo sia l’unico mondo possibile. Uscire<br />
dall’ideologia mercantile e ripensare alle relazioni che abbiamo<br />
instaurato con lo spazio e con il <strong>tempo</strong>. Queste due coordinate,<br />
infatti, sono ormai incardinate nell’ordine del mercantilismo,<br />
assoggettate alle esigenze <strong>della</strong> produzione. Le nostre città sono<br />
concepite in funzione dell’automobile e dell’industria.<br />
Un’automobile che finisce per muoversi alla media di 6 km/h, più<br />
o meno l’andatura di un buon pedone. Perché allora non<br />
muoversi a piedi o in bicicletta, che oltre a risparmiare, inquinare<br />
di meno, ci aiuterebbe anche a recuperare quella che Ivan <strong>Il</strong>lich<br />
chiamava la convivialità 6.<br />
Sul muro <strong>della</strong> stazione di Sestri Ponente c’era una scritta, il<br />
cui effetto risultava ancora maggiore al mattino presto, quando<br />
davanti a quel muro passavano rapide e fret-<br />
15
tolose decine di persone che correvano a prendere il treno per<br />
recarsi al lavoro. La scritta diceva: il <strong>tempo</strong> non esiste, gli orologi<br />
sì. Gli orologi sono diventati la condanna dell'uomo occidentale,<br />
perché segnano non il trascorrere del <strong>tempo</strong>, ma il denaro che<br />
guadagniamo o perdiamo. La monetizzazione del <strong>tempo</strong> lo ha<br />
reso una merce, condannando le nostre esistenze a una sempre<br />
maggiore velocità, che a sua volta causa angosce e paure.<br />
Come uscire da questa spirale? Con la frugalità che<br />
caratterizza un'idea di decrescita, questo ci dicono <strong>Latouche</strong> e<br />
Harpagès. Decrescita che non significa perdita, ma<br />
razionalizzazione e scelte consapevoli che tengano conto del<br />
benessere di tutti. Oggi le tecnologie consentono di lavorare di<br />
meno, eppure, proprio in queste settimane, abbiamo visto, con il<br />
plauso dei più, presentare come moderno un accordo, quello Fiat,<br />
che prevede maggior lavoro senza neppure un aumento di<br />
salario.<br />
Ciò che occorre cambiare è anche l'idea di «beni», che non<br />
devono essere intesi solo come merci. Beni sono anche e sempre<br />
di più i valori relazionali, quelli che tengono insieme una società,<br />
che stanno alla base <strong>della</strong> solidarietà comune. L'individualismo e<br />
l'accumulo di beni materiali hanno condotto a quella società<br />
dell'incertezza di cui parla Zygmunt Bauman, in cui gli individui<br />
si rinchiudono in una fortezza, stritolati dalla paura di perdere<br />
ciò che hanno accumulato 7. Una sana frugalità può contribuire a<br />
una maggiore distribuzione delle risorse e a una conseguente<br />
maggiore pace sociale. È antimoderno questo?<br />
La decrescita non è antimoderna, al contrario è un segno di<br />
modernità, se per modernità si intende saper gestire al meglio le<br />
risorse e i mezzi a propria disposizione nella propria epoca.<br />
16
8. Mi siano infine concessi una riflessione da antropologo e un<br />
ricordo personale.<br />
La presunta naturalezza dell'idea che bisogna svilupparsi<br />
viene messa in crisi se si esce dal nostro guscio etnocentrico e ci<br />
si confronta con altre culture. Scopriamo allora che presso molte<br />
società non esiste neppure un termine linguistico che definisca<br />
tale concetto. Vediamo alcuni casi: presso i Bubi <strong>della</strong> Guinea<br />
Equatoriale per definire lo sviluppo si indica un termine che<br />
significa allo stesso <strong>tempo</strong> «crescere» e «morire», mentre in<br />
Rwanda lo stesso concetto viene espresso con il verbo<br />
«marciare», «spostarsi», senza che però venga indicata alcuna<br />
direzione prestabilita. In wolof l'equivalente di sviluppo è stato<br />
identificato dai membri di molti villaggi con «la voce del capo»; i<br />
camerunesi di lingua eton lo traducono, con inconscio sarcasmo,<br />
con «il sogno del bianco», mentre in moré non si è trovato un<br />
equivalente per descrivere il concetto in questione. I Sara del<br />
Chad ritengono che quel che si trova dietro ai loro occhi e che<br />
essi non possono vedere sia il futuro, mentre il passato si trova<br />
davanti, perché è noto 8.<br />
Ciò che emerge da questa breve e insufficiente rassegna<br />
etnografica è che al riguardo del concetto di sviluppo registriamo<br />
diverse lacune nelle lingue considerate. Ciò sta a significare che<br />
altre società non considerano affatto che la loro sopravvivenza<br />
dipenda da un'accumulazione continua di beni e saperi, capaci di<br />
rendere per forza il futuro migliore del passato.<br />
Poiché il nostro sviluppo si fonda su principi<br />
fondamentalmente economici occorre anche prendere in esame<br />
le economie degli altri. Karl Polanyi, economista e antropologo,<br />
analizzando le diverse forme di economia presso società definite<br />
«semplici», ha formulato l'espressione di economia embedded,<br />
cioè incorporata nelle strutture sociali,<br />
17
politiche e religiose. Ciò significa che l'economia è legata a<br />
doppio filo alla vita e non isolata in una sfera autonoma in grado<br />
di imporre le proprie regole e i propri ritmi all'interno <strong>della</strong><br />
società. Solo nel mondo occidentale l'economia rappresenta un<br />
copione al quale tutti si adeguano<br />
Pertanto, la visione di certe società non si concilia con quella<br />
degli economisti: terra e lavoro non sono per loro semplici fattori<br />
di produzione che aspettano di essere combinati in maniera<br />
naturale, come invece viene espresso nel pensiero economico<br />
dominante.<br />
C'era la luna piena una sera sulle colline di Seseirhà, piccolo<br />
villaggio nel Benin del nord. Parlavo da un po' con alcuni uomini<br />
del posto, quando all'improvviso uno mi chiese: «Ma è vero che<br />
da voi si paga per dimagrire?». Avrei voluto essere ovunque,<br />
tranne che lì, e mentre rispondevo mio malgrado di sì, mi<br />
rendevo conto di quanto fosse assurdo non solo agli occhi di<br />
quegli amici africani, ma anche ai miei. Con la sua ingenua<br />
curiosità quella domanda metteva a nudo l'incredibile<br />
irrazionalità di molte nostre azioni, di cui spesso non ci rendiamo<br />
conto.<br />
Se non introduciamo dei principi etici nel nostro modo di<br />
pensare l'economia, se lasciamo fare alla legge del profitto, noi<br />
occidentali, razionali e «civilizzati», continueremo a correre per<br />
settimane dietro a un piccolo pollo. Ma non per molto ancora.<br />
18
Note alla Prefazione<br />
1. Gilbert Rist, Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale, Bollati<br />
Boringhieri, Torino, 1997.<br />
2. Wolfgang Sachs, Archeologia dello sviluppo, Macro Edizioni, Forlì, 1992, p. 33.<br />
3. Nicholas Georgescu-Roegen, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri,<br />
Torino, 1998.<br />
4. Rist, Lo sviluppo, cit., p. 195.<br />
5. <strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong>, L'altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino,<br />
1997, p. 103.<br />
6. Ivan <strong>Il</strong>lich, La convivialità, Mondadori, Milano, 1973.<br />
7. Zygmunt Bauman, La società dell'incertezza, il Mulino, Bologna, 1999.<br />
8. Gilbert Rist, Le développement, une notion occidentale, «Interculture», n. 95,<br />
1987, p. 17.<br />
19
INTRODUZIONE<br />
È giunto il <strong>tempo</strong><br />
Osservava l'umorista Pierre Dac negli anni Sessanta del secolo<br />
scorso: «È ancora troppo presto per dire che ormai è troppo<br />
tardi». Oggi, purtroppo, non è più così. Dopo il quarto rapporto<br />
del GIEC-IPPC (Gruppo intergovernativo sull'evoluzione del<br />
clima) del 2007 e ancor più dopo l'aggiornamento dei climatologi<br />
alla riunione di Copenaghen del marzo 2009, sappiamo che<br />
ormai è troppo tardi. Anche se bloccassimo da un giorno all'altro<br />
tutto ciò che provoca un superamento delle capacità di<br />
rigenerazione <strong>della</strong> biosfera (emissione di gas serra,<br />
inquinamento e devastazione di tutta la natura), se, in altre<br />
parole, riducessimo la nostra impronta ecologica 1 fino a<br />
raggiungere un livello sostenibile, avremmo due gradi in più<br />
prima <strong>della</strong> fine del secolo. <strong>Il</strong> che significa: zone costiere<br />
sott'acqua, decine se non centinaia di milioni di profughi<br />
dell'ambiente 2, gravi problemi alimentari, scarsità di acqua<br />
potabile per molte popolazioni 3 e altri disastri<br />
21
ancora. Per dirla in modo più prosaico: «C'è da temere che<br />
l'espressione ‘respirare all'aria aperta’ per i nostri figli finisca<br />
confinata tre le formule di una lingua morta» 4. Nel mese di<br />
dicembre 2009 si è tenuto a Copenaghen il vertice dell'ONU sul<br />
clima, alla cui conclusione si sarebbe dovuto trovare un accordo<br />
tra i vari Stati per mettere un freno alla crescita globale delle<br />
temperature. È stato, una volta di più, il vertice dell'incoerenza. I<br />
governi navigano a vista, privilegiano il breve termine e restano<br />
ancorati all'ideologia <strong>della</strong> crescita. Le gare verbali al rilancio, gli<br />
annunci a effetto diffusi a inizio di conferenza, le sarabande<br />
mediatiche alla fine hanno partorito impegni insufficienti o poco<br />
vincolanti che non potranno impedire la realizzazione di progetti<br />
dubbi, come, per esempio, lo sviluppo <strong>della</strong> rete autostradale<br />
francese abbinato a un rilancio dell'industria automobilistica,<br />
platealmente sostenuto dai nostri dirigenti politici. In questo<br />
modo non si potrà evitare il peggio!<br />
Già nel 1974 René Dumont, agronomo e candidato ecologista<br />
alle presidenziali francesi, ci aveva ammonito: «Se manterremo il<br />
tasso di espansione attuale <strong>della</strong> popolazione e <strong>della</strong> produzione<br />
industriale fino al prossimo secolo, questo non potrà chiudersi<br />
senza il crollo totale <strong>della</strong> nostra civiltà» 5. A sua volta il filosofo<br />
André Gorz ribadiva nuovamente nel 1977: «Sappiamo che il<br />
nostro stile di vita attuale non ha futuro, che mari e fiumi si<br />
isteriliranno, le terre perderanno la fertilità naturale, l'aria nelle<br />
città si farà soffocante e la vita sarà un privilegio al quale<br />
avranno diritto solo gli esemplari selezionati di una nuova razza<br />
umana» 6.<br />
Oggi la catastrofe è arrivata. Stiamo vivendo la sesta<br />
estinzione in massa di specie 7. La quinta, che si era ve-<br />
22
ificata nel Cretaceo, sessantacinque milioni di anni fa, aveva<br />
visto la fine dei dinosauri e di altri grandi animali, probabilmente<br />
in seguito all'urto con un asteroide. Questa sesta, però, presenta<br />
tre differenze non trascurabili rispetto alla precedente. Innanzi<br />
tutto, le specie (vegetali e animali) scompaiono a una velocità tra<br />
le cinquanta e le duecento al giorno 8, pari a un ritmo da mille a<br />
trentamila volte superiore rispetto a quello delle ecatombi delle<br />
ere geologiche passate 9. Nel regno animale, si è passati a un<br />
ritmo di estinzione delle specie da una ogni quattro anni, prima<br />
dell'era industriale, a circa mille all'anno! 10 Così, l'uomo è<br />
direttamente responsabile di questa «deplezione» <strong>della</strong> vita. Ma<br />
alla fine potrebbe esserne proprio l'uomo la vittima principale...<br />
A dare retta a qualcuno, la fine dell'umanità dovrebbe addirittura<br />
arrivare prima del previsto, verso il 2060, a causa di una sterilità<br />
generalizzata dello sperma maschile, per effetto dei pesticidi e di<br />
altri inquinanti organici persistenti, cancerogeni, mutageni o<br />
reprotossici 11.<br />
«<strong>Il</strong> ritmo di estinzione delle specie si è fatto più<br />
rapido»<br />
La sesta estinzione delle specie sarà provocata dall'eccessivo<br />
sfruttamento degli ambienti naturali, dall'inquinamento, dal<br />
frazionamento degli ecosistemi, dall'invasione di nuove specie<br />
predatrici e dal cambiamento climatico. <strong>Il</strong> nostro modo di<br />
produzione porta a un'accelerazione di questo fenomeno.<br />
L'agricoltura produttivista, orgoglio dei nostri uomini politici, è<br />
guidata<br />
23
soprattutto dalla preoccupazione <strong>della</strong> redditività. La<br />
monocoltura, le manipolazioni genetiche, la brevetta-bilità del<br />
vivente al servizio degli interessi delle multinazionali<br />
dell'agribusiness ne rappresentano gli aspetti più evidenti.<br />
Risultato: nel corso dell'ultimo secolo, secondo la FAO, sono<br />
andati perduti circa i tre quarti delle diversità genetiche delle<br />
colture.<br />
Più in generale, chi è responsabile di tutto questo? Gli esperti<br />
di economia ci hanno dimostrato che lo sviluppo aveva permesso<br />
di nutrire milioni di persone, ma si sono guardati bene dal dire<br />
che questa macchina ha continuato la sua corsa, diventata<br />
infernale, fino a provocare oggi un sovrasviluppo o, per dirla<br />
altrimenti, uno sviluppo parassitario. Più che di crescita si può<br />
addirittura parlare di es-crescenza, paragonabile alle metastasi<br />
del cancro. L'es-crescenza è la crescita che travalica l'impronta<br />
ecologica sostenibile e che, per l'Europa, è il preciso corrispettivo<br />
dell'iperconsumo, cioè di un livello di produzione che supera<br />
globalmente quello in grado di permettere il soddisfacimento dei<br />
bisogni «ragionevoli» di tutti. Oltre una data soglia, il costo<br />
marginale <strong>della</strong> crescita supera largamente i benefici.<br />
Paradossalmente, è come se la prospettiva di un suicidio<br />
collettivo ci sembrasse meno insopportabile <strong>della</strong> rimessa in<br />
discussione delle nostre pratiche e del cambiamento dei nostri<br />
stili di vita.<br />
«Si può parlare di es-crescenza paragonabile alle<br />
metastasi del cancro»<br />
«I figli che metteremo al mondo» sottolinea ancora<br />
24
Gorz, «nella loro età matura non utilizzeranno più né l'alluminio<br />
né il petrolio; [...] nel caso di una realiz-zazione dei programmi<br />
nucleari attuali, i giacimenti di uranio saranno allora esauriti» 12.<br />
L'Occidente, imboccando verso la metà del diciannovesimo<br />
secolo la strada «termo-industriale», ha po-tuto concretizzare il<br />
proprio desiderio di sposare la ragione geometrica, ovvero la<br />
crescita infinita, sogno che si era andato sviluppando almeno dal<br />
1750, con la nascita del capitalismo e dell'economia politica. Solo<br />
verso il 1950, però, con l'invenzione del marketing e la<br />
conseguente nascita <strong>della</strong> società dei consumi, si rea-lizza<br />
pienamente l'utopia e il sistema può liberare tutto il proprio<br />
potenziale creativo e distruttivo. Così facendo, costruisce le<br />
strutture <strong>della</strong> catastrofe. <strong>Il</strong> 2050 potrà segnare la fine <strong>della</strong><br />
società <strong>della</strong> crescita. <strong>Il</strong> sogno si trasformerà in un incubo.<br />
L'astronomo reale sir Martin Rees dà una possibilità su due<br />
all'umanità di sopravvivere al ventunesimo secolo 13.<br />
I limiti dello sviluppo fu il titolo italiano, imperfettamente<br />
tradotto, di The Limits of Growth (i limiti <strong>della</strong> crescita), il primo<br />
rapporto del Club di Roma, pubblicato nel 1972. Nelle<br />
conclusioni questo testo precisava che la crescita illimitata in<br />
tutte le sue forme era impossibile, perché il pianeta è un mondo<br />
finito. Trent'anni dopo un nuovo rapporto, realizzato dagli stessi<br />
ricercatori, ha lanciato un appello rigorosamente identico.<br />
Certo, si può essere scettici riguardo agli studi di futurologia,<br />
ma questi hanno il merito di essere infinitamente più seri e<br />
documentati delle solite proiezioni (che si limitano a prolungare<br />
le tendenze in atto) alle quali si ispirano i nostri governanti e gli<br />
organismi<br />
25
internazionali. Sulla base di un modello semplificato che<br />
rappresenta il funzionamento del sistema, gli autori del rapporto<br />
del 2004 hanno esaminato un certo numero di scenari<br />
corrispondenti ad altrettante ipotesi di evoluzione delle variabili.<br />
Tranne quello ancorato a una fede nell'esistenza <strong>della</strong><br />
cornucopia (fondata sul mito del corno dell'abbondanza e<br />
dell'assenza di limiti), gli altri scenari, che non hanno messo in<br />
discussione i principi fondamentali <strong>della</strong> società <strong>della</strong> crescita, ne<br />
prevedono il collasso in relazione a tre principali variabili. La<br />
prima lo colloca verso il 2020, in seguito alla crisi delle risorse<br />
non rinnovabili, la seconda verso il 2040, in seguito alla crisi<br />
dell'inquinamento, la terza verso il 2070, in seguito alla crisi<br />
alimentare.<br />
Un unico scenario appare insieme credibile e sostenibile:<br />
quello <strong>della</strong> frugalità, che corrisponde ai fondamentali <strong>della</strong> via<br />
alla decrescita.<br />
La decrescita! La parola è apparsa per la prima volta nel 1979,<br />
nella traduzione dell'opera principale dell'economista rumeno<br />
Nicholas Georgescu-Roegen 14. Ma l'appello per la costruzione di<br />
un progetto politico con questa etichetta in realtà è stato lanciato<br />
solo nel 2002! La decrescita è ormai rivendicata senza complessi.<br />
<strong>Il</strong> movimento degli obiettori di crescita, nato negli anni Settanta<br />
con il rapporto del Club di Roma e la conferenza di Stoccolma<br />
sull'ambiente, ha così trovato la sua parola d'ordine<br />
provocatoria. La decrescita intriga, inquieta, ma ispira anche un<br />
numero sempre maggiore di persone, che oggi osano farsi<br />
chiamare «obiettori di crescita» o «dimissionari <strong>della</strong> crescita».<br />
<strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> <strong>della</strong> decrescita è dunque arrivato! La società <strong>della</strong><br />
frugalità per scelta, che deve emergere dal<br />
26
suo solco, avrà come presupposto quello di lavorare meno per<br />
vivere meglio, di consumare meno ma meglio, di produrre meno<br />
rifiuti, di riciclare di più. Insomma, ritrovare il senso <strong>della</strong> misura<br />
e un'impronta ecologica sostenibile.<br />
«La società <strong>della</strong> frugalità per scelta avrà come<br />
presupposto lavorare meno per vivere meglio»<br />
Ma questo non sarà possibile senza rompere con le nostre<br />
abitudini e quindi con le nostre convinzioni, con la nostra<br />
mentalità. Inventare la felicità a partire dalla convivialità, e non<br />
dall'accumulazione frenetica, presuppone una seria<br />
decolonizzazione dei nostri immaginari, ma le circostanze<br />
possono aiutarci a fare questo passo.<br />
Per realizzare la rottura, è necessario prima di tutto<br />
comprenderne la necessità e capire perché siamo arrivati a<br />
questo punto. E soprattutto, occorre delineare il contenuto<br />
possibile di una società <strong>della</strong> decrescita, perché i tempi nuovi<br />
non appaiano catastrofici e traumatizzanti.<br />
27
Note all'Introduzione<br />
1. L'impronta ecologica (vedi Lessico) è un indice statistico utilizzato per<br />
misurare la richiesta umana nei confronti <strong>della</strong> natura. Essa mette in relazione<br />
il consumo umano di risorse naturali con la capacità <strong>della</strong> Terra di rigenerarle<br />
[N.d.T.].<br />
2. Cinquanta milioni nel 2030, duecento milioni nel 2050 e fino a due miliardi<br />
alla fine del ventunesimo secolo, secondo l'ultimo rapporto del GIEC/IPCC.<br />
3. L'Unesco stima che nel 2050 soffriranno per mancanza d'acqua tra due<br />
(ipotesi minima) e sette (ipotesi massima) miliardi di per-sone.<br />
4. Hervé-René Martin, Éloge de la simplicité volontaire, Flammarion, Paris, 2007,<br />
p. 46.<br />
5. René Dumont, À vous de choisir. L’écologie ou la mort, Pauvert, Paris, 1974<br />
(trad. it.: L'utopia o la morte, Laterza, Bari 1974).<br />
6. André Gorz, Écologie et liberté, Galilée, Paris, 1977, p. 13 (trad. it.: Sette tesi<br />
per cambiare la vita, Feltrinelli, Milano, 1977).<br />
7. Richard Leakey, Roger Levin, The Sixth Extinction, Doubleday, New York,<br />
1995 (trad. it.: La sesta estinzione. La complessità <strong>della</strong> vita e il futuro dell'uomo,<br />
Bollati Boringhieri, Torino, 1998).<br />
8. Edward O. Wilson valuta che ogni anno siamo responsabili <strong>della</strong> scomparsa<br />
di un numero di specie tra le ventisettemila e le sessantatremila. The Diversity<br />
of Life, Belknap Press, Harvard, 1972 (trad. it.: La diversità <strong>della</strong> vita. Per una<br />
nuova etica ecologica, BUR, Milano, 2009).<br />
9. François Ramade, Le Grand Massacre. L'avenir des especès vivantes, Hachette,<br />
Paris, 1999.<br />
10. Giorgio Ruffolo, <strong>Il</strong> capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Torino, 2008, p.<br />
174. È vero che per lo più si tratta di specie meno appariscenti dei mammut, ma<br />
oggi una minaccia molto seria incombe per esempio sulle api.<br />
11. Dominique Belpomme, Bernard Pascuito, Ces maladies créées<br />
28
par l'homme: comment la dégradation de l 'environnement met en péril notre<br />
santé, Albin Michel, Paris, 2004.<br />
12. Gorz, Écologie et liberté, cit., p. 13.<br />
13. Martin J. Rees, Notre dernier siècle?, J.C. Lattès, Paris, 2004 (trad. it.: <strong>Il</strong> secolo<br />
finale. Perché l'umanità rischia di autodistruggersi nei prossimi cento anni,<br />
Mondadori, Milano, 2005).<br />
14. Nicholas Georgescu-Roegen, La Décroissance. Entropie-Écologie-Économie,<br />
Editions Pierre-Marcel Favre, Lausanne, 1979; nuova edizione, Editions Sang de<br />
la terre, Paris, 1995 (raccolta di numerosi saggi di Georgescu-Roegen a cura di<br />
Jacques Grinevald).<br />
29
UNO<br />
La fine del <strong>tempo</strong>: necessità<br />
<strong>della</strong> rottura<br />
<strong>Il</strong> Rinascimento, insieme alla generalizzazione dell'economia di<br />
mercato, ha aperto la strada al capitalismo produttivista e ha così<br />
stravolto il nostro rapporto con il <strong>tempo</strong>, il quale, scandito<br />
artificialmente dall'orologio meccanico, contato e ricontato,<br />
diventa l'elemento centrale dell'economia. Bisogna produrre<br />
sempre di più in un <strong>tempo</strong> dato. Bisogna accelerare i ritmi<br />
dell'esistenza e abbreviare la durata (anche quella di vita degli<br />
oggetti). <strong>Il</strong> presente svanisce in un'eternità virtuale. Certo,<br />
viviamo più a lungo (in media), ma senza avere mai il <strong>tempo</strong> di<br />
vivere.<br />
1. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> schiacciato del produttivismo<br />
Nell'età moderna gli uomini avevano manifestato una fede cieca<br />
nel progresso spontaneo. Ognuno, con vinto che il <strong>tempo</strong><br />
dell'innovazione non potesse in-<br />
31
terrompere il suo volo, affermava autorevolmente quello che era<br />
tanto un fatto evidente quanto una certezza: «Non si può fermare<br />
il progresso!». E chi osava ostacolarne il cammino era bollato<br />
come un orribile reazionario.<br />
«Radersi più in fretta per avere più <strong>tempo</strong> per<br />
progettare un apparecchio che rada ancora più<br />
in fretta»<br />
Sempre più lontano, sempre più in alto, sempre più<br />
rapidamente! Questo motto era penetrato nell'immaginario<br />
collettivo. Gli uomini dovevano essere produttivi e partecipare<br />
ogni giorno a una corsa folle contro l'orologio. A suo <strong>tempo</strong>,<br />
Nicholas Georgescu-Roegen aveva denunciato questa frenesia<br />
con la parabola <strong>della</strong> «sindrome circolare del rasoio elettrico»,<br />
che «consiste nel radersi più in fretta per avere più <strong>tempo</strong> per<br />
progettare un apparecchio che rada ancora più in fretta, e così<br />
via all'infinito» 1. Questo processo in apparenza irreversibile<br />
aveva provocato già qualche guasto nel mondo del lavoro verso<br />
la fine del diciannovesimo secolo, quando si era introdotto in<br />
fabbrica il cronometro del taylorismo. L'enorme aumento <strong>della</strong><br />
potenza produttiva dei lavoratori è descritta in termini elogiativi<br />
dal suo ideatore, Frederick W. Taylor, e il salario «a cottimo»,<br />
versato a chi fino a quel momento restava inopportunamente a<br />
gingillarsi, prefigura già il famoso slogan liberista del<br />
ventunesimo secolo: «Lavorare di più per guadagnare di più». <strong>Il</strong><br />
fordismo ha amplificato questo vasto movimento di<br />
dequalificazione del lavoro.<br />
32
I ritmi di produzione, divenuti infernali nella seconda metà del<br />
ventesimo secolo, hanno prodotto all'interno <strong>della</strong> fabbrica<br />
disfunzioni (assenteismo, incremento dei tassi di turnover, pezzi<br />
difettosi mandati allo scarto, calo <strong>della</strong> qualità dei prodotti...)<br />
nocive per la sacrosanta produttività. È a questo punto<br />
necessario rompere la monotonia di un lavoro frammentato,<br />
parcellizzato, devitalizzato. Negli ambienti padronali si invoca<br />
allora un allargamento e arricchimento delle mansioni, e il<br />
toyotismo è ben presto presentato come il rimedio alla crisi del<br />
sistema taylorista-fordista. Ma non cambia niente, perché il<br />
lavoratore, ridiventato in apparenza più responsabile, rimane<br />
subordinato alle ingiunzioni del cronometro. <strong>Il</strong> just-in-time<br />
permette di ridurre le scorte e i costi di produzione, ma lascia la<br />
porta aperta alla flessibilità del lavoro e quindi alla precarietà.<br />
Una ricerca dell'OMD Worldwide, commissionata da Yahoo!, è<br />
addirittura arrivata alla conclusione che, sfruttando il<br />
multitasking tipico di una gioventù ultrarapida, sarebbe possibile<br />
indurre questa nuova generazione a svolgere fino a<br />
quarantaquattro ore di attività al giorno! 2<br />
Anche il prolungamento <strong>della</strong> durata <strong>della</strong> vita è percepito<br />
come uno dei vantaggi dello sviluppo economico occidentale. I<br />
notevoli progressi <strong>della</strong> medicina hanno accresciuto dovunque la<br />
speranza di vita, che è notevolmente aumentata anche nei paesi<br />
del Sud. In quelli sviluppati, dal diciannovesimo al ventesimo<br />
secolo si è passati con decisione da circa trent'anni a circa<br />
settant'anni di vita media. Tuttavia, certi spiriti tormentati, le cui<br />
riserve non sono sinonimo di oscurantismo, non si rassegnano ad<br />
accettare con simpatia i progressi <strong>della</strong> medicina. Non si fidano<br />
di una ricerca il<br />
33
cui disinteresse è stato soppiantato da fini ben precisi, dato che i<br />
ricercatori sono più spesso al servizio dei poteri economici e<br />
politici che dei cittadini. Per fare un esempio, solo il 10% degli<br />
stanziamenti per le ricerche mediche è investito per trovare la<br />
cura delle malattie che colpiscono il 90% <strong>della</strong> popolazione più<br />
povera 3. È d'altronde vero che, tra il 1945 e il 1975 (il trentennio<br />
definito «glorioso» da alcuni rinomati economisti), la torta <strong>della</strong><br />
crescita si è fatta più grande e la sua spartizione è apparsa meno<br />
disuguale; ed è vero che gli uomini vivono più a lungo, e il merito<br />
va ai ricercatori.<br />
Tuttavia, proprio questo porta a un inedito problema<br />
demografico, che Jacques Ellul ha illustrato così: «La società si fa<br />
carico di una massa notevole di vecchi che bisogna mantenere e<br />
curare. Si avvia allora una rincorsa folle: per compensare la gran<br />
quantità di vecchi, bisogna fare ancora più figli, perché la<br />
piramide delle età non poggi sulla punta. Ma questa mi pare una<br />
colossale mancanza di lungimiranza! Infatti, una tale esigenza di<br />
raddoppiare o triplicare il numero dei bambini per assicurare la<br />
produzione necessaria al mantenimento dei vecchi finirà per<br />
produrre un numero doppio di lavoratori entro vent'anni! Ma tra<br />
sessant'anni avremo così un numero doppio o triplo di vecchi... è<br />
necessario continuare? Vorrebbe dire che in cinquant'anni la<br />
popolazione di un paese si sarebbe moltiplicata circa per dieci!<br />
Semplicemente assurdo!» 4.<br />
Questa torta, gonfiata artificialmente grazie al lievito del<br />
progresso tecnico, è ormai impregnata di veleni nocivi. Di fatto la<br />
qualità (puramente fisiologica) <strong>della</strong> vita si sta riducendo. È<br />
aumentato il numero degli handicap, la salute è diventata più<br />
fragile. Proprio la modernizzazione è ritenuta responsabile di ta-<br />
34
lune pandemie generalmente attribuite alla vita selvaggia.<br />
L'anofele <strong>della</strong> malaria, che in origine era un parassita delle<br />
scimmie, è destinata a convivere con gli esseri umani in seguito<br />
alla distruzione delle foreste. Secondo Edward Goldsmith 5,<br />
«l'abbattimento delle foreste amazzoniche ha messo l'uomo in<br />
contatto con la leishmaniosi, che una volta colpiva i bradipi e gli<br />
armadilli». Alcuni ricercatori, come il dottor Dominique<br />
Belpomme, hanno lanciato l'allarme, evidenziando con forza il<br />
legame tra la diffusione del cancro (soprattutto tra i bambini) e<br />
la proliferazione dei prodotti tossici che avvelenano la terra e<br />
l'acqua. «Oggi» arriva a concludere Ellul, «abbiamo più<br />
opportunità di vita, viviamo più a lungo, ma viviamo un'esistenza<br />
più limitata e non abbiamo la stessa energia vitale. Siamo<br />
continuamente costretti a compensare nuove carenze» 6. Siamo<br />
sempre più dipendenti da protesi e trattamenti che ci tengono in<br />
vita, ma riducono le nostre possibilità di gustarla.<br />
È nato così un consumo sfrenato di prodotti medici e<br />
farmaceutici e il budget dei servizi sociali non basta più a farsi<br />
carico dei bambini e degli adulti disabili, né a curare tutti i malati<br />
che necessitano di terapie costose, come il ricorso alla dialisi. In<br />
realtà, la politica sanitaria non può che essere una mostruosità. E<br />
le menti più avvedute ritengono che, prima di lanciarsi in nuove<br />
imprese, sarebbe giudizioso trovare soluzioni sociali accettabili<br />
per questi problemi. Non sarebbe stato decisamente più<br />
ragionevole impegnarsi nella lotta all'inquinamento invece di far<br />
proliferare i tumori e costruire poi, con costi esorbitanti, nuovi<br />
centri di cura? Peraltro, si ritiene che la stessa speranza di vita<br />
abbia ormai imboccato la via del declino.<br />
35
2. Condannati alla velocità<br />
Sapevamo che per sua natura il capitalismo non è mai statico<br />
e non può diventarlo, perché l'impulso principale di questa<br />
macchina spaventosa è la ricerca ossessiva di un profitto<br />
immediato sempre più grande. Rinserrato in una logica<br />
evoluzionista, per non scomparire è condannato a crescere e poi<br />
a fare in modo di espandere ulteriormente questa crescita. La<br />
storia accelera. «Oggi viviamo sotto il giogo di un <strong>tempo</strong><br />
standardizzato, un <strong>tempo</strong> industriale che ci viene imposto,<br />
qualsiasi cosa si faccia, dovunque ci si trovi. Un <strong>tempo</strong> unico che,<br />
come la moneta unica, ha un unico scopo: metterci tutti in<br />
concorrenza, da un capo all'altro del pianeta. Per sopravvivere<br />
dentro questo <strong>tempo</strong> unico, dobbiamo correre più svelti degli<br />
altri. Ci siamo fatti rubare il <strong>tempo</strong>!» 7. Se la bicicletta del<br />
capitalismo non continua ad andare avanti, cade ed è la<br />
catastrofe!<br />
«<strong>Il</strong> capitalismo è condannato a crescere e poi a<br />
fare in modo di espandere ulteriormente questa<br />
crescita»<br />
In effetti, il semplice rallentamento <strong>della</strong> crescita fa<br />
precipitare le nostre società nello sconforto, a causa <strong>della</strong><br />
disoccupazione, dell'allargamento <strong>della</strong> forbice tra ricchi e<br />
poveri, degli attacchi al potere d'acquisto dei meno abbienti e<br />
dell'abbandono dei programmi sociali, sanitari, educativi,<br />
culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità <strong>della</strong><br />
vita. La crescita ha incontestabilmente permesso, grazie alle lotte<br />
so-<br />
36
ciali, di strappare qualche miglioramento delle condizioni<br />
materiali per le classi popolari dei paesi del Nord, a spese <strong>della</strong><br />
natura e dei paesi del Sud. Un tasso di crescita negativo<br />
rappresenta una spaventosa minaccia! Ma questa regressione<br />
sociale e civile è appunto ciò che ci aspetta se non cambiamo<br />
strada. Oggi quel colossale meccanismo si è imballato. La crisi<br />
finanziaria, cominciata nel 2007-2008 negli Stati Uniti a causa di<br />
un'offerta intossicata di crediti ipotecari a categorie sociali<br />
finanziariamente fragili, ha invaso lo spazio economico mondiale.<br />
E si estende come una crisi economica e sociale che a qualcuno<br />
ricorda il periodo doloroso degli anni Trenta, quando la<br />
recessione mondiale aveva condannato alla disoccupazione, in<br />
brevissimo <strong>tempo</strong>, circa venti milioni di lavoratori.<br />
In una conferenza di qualche <strong>tempo</strong> fa, André Gorz aveva già<br />
osservato: «Questo calo <strong>della</strong> crescita e <strong>della</strong> produzione, che in<br />
un altro sistema avrebbe potuto essere un bene (meno<br />
automobili, meno rumore, più aria, giornate lavorative più brevi<br />
ecc.), avrà conseguenze completamente negative: i prodotti<br />
inquinanti diventeranno beni di lusso, inaccessibili alla massa,<br />
pur restando alla portata dei privilegiati; le disuguaglianze si<br />
faranno più profonde; i poveri diventeranno relativamente più<br />
poveri e i ricchi più ricchi» 8. Questa decrescita subita non ha<br />
chiaramente niente a che vedere con una decrescita voluta. <strong>Il</strong><br />
progetto di una società <strong>della</strong> decrescita è radicalmente diverso<br />
dalla decrescita negativa. <strong>Il</strong> primo è paragonabile a una dieta<br />
intrapresa volontariamente per migliorare il nostro benessere<br />
quando un consumo eccessivo ci presenta un rischio di obesità.<br />
La seconda è una dieta forzata che può portare alla morte per<br />
inedia.<br />
37
«Questa decrescita subita non ha chiaramente<br />
niente a che vedere con una decrescita voluta»<br />
3. L 'obsolescenza programmata<br />
I discorsi politici del Sessantotto avevano dato grande<br />
rilevanza alla critica <strong>della</strong> società dei consumi. Ma stranamente il<br />
nostro attaccamento alla democrazia, alla libertà di espressione,<br />
al «godimento senza limiti», al libero fiorire delle nostre<br />
personalità, alla completa realizzazione delle nostre identità<br />
individuali, non sarebbe riuscito a sottrarci alle influenze del<br />
mercato e del consumo, trasformandoci in vittime consenzienti<br />
dell'acquisto forzato.<br />
Siamo così finiti incastrati in un circolo vizioso: compriamo<br />
perché la società possa continuare a produrre e garantirci quel<br />
lavoro che ci è necessario per pagare quello che abbiamo<br />
comprato. La pubblicità, la cui funzione principale avrebbe<br />
dovuto essere quella di informare, ha fornito l'energia per questa<br />
spirale infinita, passando rapidamente dall'informazione alla<br />
«persuasione occulta». <strong>Il</strong> nostro impiego del <strong>tempo</strong>, prigioniero<br />
di un condizionamento totalitario, è stato organizzato,<br />
pianificato, regolato, ritmato dall'utilizzazione di prodotti,<br />
«prodotti, sempre prodotti, che scandiscono, ritualizzano<br />
l'esistenza quotidiana», ha osservato François Brune 9. Avidi di<br />
pubblicità, i grandi media hanno preso il controllo dei nostri<br />
ritmi di vita, mentre i nostri comportamenti gregari hanno gene-<br />
38
ato una «felicità conforme» ai codici stabiliti, scelti, imposti<br />
dall'ideologia pubblicitaria. «A forza di veder fare, si fa come si<br />
vede» 10.<br />
Poiché questo messaggio pubblicitario insistente, ripetitivo,<br />
ha iniziato a provocare nel consumatore un inizio di resistenza, è<br />
stato allora indispensabile avviare di nuovo la pompa<br />
dell'iperconsumo per ridare vita alla pulsione all'acquisto. E i<br />
commercianti hanno colto perfettamente il vantaggio che<br />
avrebbero potuto ricavare dalla riduzione <strong>della</strong> durata degli<br />
oggetti. Si sono così occupati di noi, dei nostri desideri, per<br />
mantenere intatto il meccanismo dell'acquisto.<br />
«È stato allora indispensabile avviare di nuovo la<br />
pompa dell'iperconsumo»<br />
L'obsolescenza calcolata, programmata, ha trovato così un<br />
complice nella pubblicità. Sono diventati prodotti a perdere non<br />
solo fazzoletti, rasoi, accendini, piatti, bicchieri, ma anche tutti i<br />
beni definiti durevoli dagli economisti appassionati di tipologia,<br />
finiti rapidamente fuori uso perché diventava inconcepibile<br />
ripararli. L'effimero ha cominciato a farla da padrone, generando<br />
costantemente novità e alimentando la frenesia acquisitiva.<br />
Qualche <strong>tempo</strong> fa (maggio 2008) in una caserma dei pompieri<br />
di New York si è scoperta una lampada a filamento di carbonio<br />
che era in funzione dal 1896! L'ex presidente Bush ha celebrato il<br />
fatto come una prova <strong>della</strong> superiorità <strong>della</strong> tecnologia<br />
americana.<br />
39
Avrebbe fatto meglio invece a denunciare il cartello dei<br />
produttori di lampadine che ha deciso di limitarne la durata a<br />
duemila ore, a danno dei consumatori e dell'ambiente.<br />
D'altronde, è difficile opporre resistenza quando<br />
l'obsolescenza rimanda all'ordine simbolico, quando la<br />
propaganda pubblicitaria ci persuade che i prodotti sono andati<br />
fuori moda prima ancora di essere danneggiati nelle loro funzioni<br />
vitali. Televisori, computer, telefoni portatili non hanno più<br />
bisogno di rompersi per finire in discarica. Basta l'uscita di un<br />
nuovo modello per spingerci ad abbandonare quello che è<br />
diventato improvvisamente vecchio, soprattutto se lo fanno<br />
anche i vicini. Si cambia l'apparecchio proprio come le signore<br />
eleganti cambiano il guardaroba, in ossequio agli imperativi <strong>della</strong><br />
moda. <strong>Il</strong> mimetismo e la rivalità ostentata diventano complici di<br />
un mostruoso meccanismo per produrre rifiuti. E il trionfo <strong>della</strong><br />
colonizzazione dell'immaginario da parte dell'ideologia<br />
consumista.<br />
4. L’eternità al presente: lo sviluppo sostenibile<br />
La norvegese Go Harlem Brundtland è stata primo ministro<br />
del suo paese negli anni Ottanta e ha presieduto la commissione<br />
mondiale dell'ONU per l'ambiente e lo sviluppo, che nel 1987<br />
pubblicò un rapporto nel quale si definiva il concetto di sviluppo<br />
sostenibile. Si trattava di una modalità di sviluppo economico che<br />
avrebbe permesso di soddisfare i bisogni presenti senza<br />
compromettere la possibilità delle generazioni future di<br />
soddisfare i propri.<br />
40
<strong>Il</strong> concetto di sviluppo sostenibile ha incontrato in brevissimo<br />
<strong>tempo</strong> un enorme successo. Chi parlava di sviluppo sostenibile<br />
era subito inquadrato tra i difensori <strong>della</strong> natura. È una<br />
valutazione giustificata?<br />
In nome dello sviluppo sostenibile, alcuni fautori <strong>della</strong><br />
preservazione del pianeta erano indubbiamente pronti a<br />
condurre azioni individuali o collettive finalizzate ad allertare<br />
quanti ancora ritenevano che la crisi ecologica fosse solo una<br />
simpatica fantasia. Stranamente, sono stati proprio questi ultimi<br />
che si sono poi impadroniti in massa di quello slogan. In realtà, il<br />
«concetto» di sviluppo sostenibile conteneva fin dall'origine<br />
un'ambiguità. <strong>Il</strong> termine «sostenibile» si riferiva alla natura, che<br />
era così preservata in modo durevole, oppure indicava<br />
esclusivamente lo sviluppo economico, che non potrebbe<br />
sostenersi all'infinito essendo il pianeta, per definizione, finito?<br />
Ci siamo trovati in presenza dell'unione di due termini dal<br />
significato opposto. Sviluppo sostenibile è un ossimoro, una<br />
figura retorica che stimola la nostra attenzione mentre<br />
anestetizza il nostro senso critico.<br />
«<strong>Il</strong> «concetto» di sviluppo sostenibile conteneva<br />
fin dall'origine un'ambiguità»<br />
<strong>Il</strong> discorso del futuro presidente <strong>della</strong> Repubblica francese,<br />
nel settembre 2006, intriso di una certa doppiezza, ne è stato un<br />
bell'esempio: «Lo sviluppo sostenibile» affermava, «non è la<br />
crescita zero, è la crescita durevole». In realtà, si trattava di farci<br />
inghiottire la<br />
41
pillola amara dello sviluppo e di indorarcela attribuendoci una<br />
buona coscienza ecologica!<br />
Quando, il 20 gennaio 1949, pronunciò il tradizionale discorso<br />
sullo stato dell'Unione, il presidente americano Harry Truman<br />
dava il via a un programma economico audace, destinato a<br />
mettere i vantaggi del primato tecnologico e del progresso<br />
industriale degli Stati Uniti «al servizio del miglioramento e <strong>della</strong><br />
crescita delle regioni sottosviluppate». Si poteva mettere in<br />
discussione una prospettiva del genere che mirava al benessere<br />
universale? La pace e la libertà erano pro-messe per l'eternità a<br />
tutte le nazioni povere (non comuniste), a condizione che<br />
aderissero al tipo di sviluppo occidentale, il quale diventava la<br />
regola, il modello che era opportuno riprodurre e generalizzare.<br />
Quello sviluppo presentava incontestabilmente una dimensione<br />
etnocentrica, e gli Stati Uniti, non senza una certa arroganza,<br />
instauravano allora un nuovo imperialismo culturale ed<br />
economico.<br />
È facile vedere come in realtà quello sviluppo sia ancora lo<br />
sviluppo del capitalismo, un passo ulteriore verso<br />
l'occidentalizzazione del mondo che Marx aveva preannunciato e<br />
denunciato. Quarant'anni dopo, nel 1989, sempre in nome dello<br />
sviluppo, gli Accordi di Washington raccomandavano agli Stati di<br />
abbassare le tasse, liberalizzare il commercio, favorire le<br />
privatizzazioni e attuare una deregulation finanziaria. Venivano<br />
di conseguenza presentati ai paesi poveri, in cambio dei prestiti<br />
concessi dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca<br />
mondiale, piani di adeguamento strutturale che facevano proprie<br />
quelle raccomandazioni. Così facendo, il mondo occidentale<br />
avrebbe inflitto sofferenze inaudite a popoli che non avevano<br />
mai<br />
42
espresso il desiderio di essere convertiti al suo modello. Lo<br />
sviluppo era anche lo sviluppo delle disuguaglianze sociali.<br />
L'ideologia neoliberale, che aveva conquistato il mondo verso la<br />
fine degli anni Settanta con l'ascesa di Ronald Reagan e di<br />
Margaret Thatcher alla guida degli Stati Uniti e <strong>della</strong> Gran<br />
Bretagna, si basava sull'esasperazione <strong>della</strong> concorrenza<br />
economica. In nome <strong>della</strong> crescita che alimentava lo sviluppo, i<br />
prodotti, tutti i prodotti (compresi i servizi), dovevano essere<br />
competitivi. Conveniva a quel punto comprimere tutto il<br />
comprimibile, a partire dal costo del lavoro. Si è così ridotta la<br />
quota dei salari nel PIL. In Francia, secondo l'INSEE (Institut<br />
National de la Statistique et des Etudes Economiques), questa<br />
quota, che raggiungeva il 74% nei primi anni Ottanta, si è<br />
attestata al 65% all'inizio del ventunesimo secolo. Gli utili da<br />
capitale si sono dunque sviluppati più rapidamente dei redditi da<br />
lavoro, e le famiglie francesi materialmente più favorite hanno<br />
ottenuto dai propri risparmi finanziari (azioni, obbligazioni)<br />
redditi in progressione costante. In questo contesto, i manager<br />
responsabili <strong>della</strong> strategia di crescita del proprio impianto di<br />
produzione sono stati costretti a cercare un compromesso con gli<br />
azionisti e non hanno esitato a effettuare quelli che qualcuno ha<br />
chiamato i licenziamenti borsistici. A sua volta, l'impiego<br />
precarizzato in ragione <strong>della</strong> fles-sibilità del lavoro è diventato la<br />
regola. <strong>Il</strong> salariato ha dovuto adattarsi, piegare la schiena,<br />
accettare condizioni di lavoro e di orario dettate dalla logica<br />
produttivistica dell'impresa. E la stessa cosa è accaduta in tutti i<br />
paesi «sviluppati», che di conseguenza hanno visto il proprio<br />
equilibrio sociale pesantemente scosso.<br />
Come sempre, il capitalismo si è confermato deva-<br />
43
stante, portatore di ingiustizia, malessere e disuguaglianza:<br />
crescita e sviluppo ne hanno favorito l'espansione. <strong>Il</strong> «glorioso<br />
trentennio» (1945-1975), più che un autentico miglioramento<br />
generalizzato del benessere, è stato l'occasione per mettere un<br />
freno al dilagare delle frustrazioni, che sarebbero diventate<br />
insostenibili verso la fine degli anni Settanta, ai primi segnali<br />
<strong>della</strong> crisi sociale, economica e culturale. <strong>Il</strong> malessere delle<br />
periferie allo sfascio si è profondamente radicato nella società<br />
francese. La competizione e la concorrenza, valori dominanti<br />
nella società <strong>della</strong> crescita, hanno prodotto carenze, esclusioni,<br />
rifiuti, e una certa condiscendenza nei confronti di chi non ha<br />
potuto o saputo adattarsi all'implacabile modernità. La crescita si<br />
è rivelata il problema e non la soluzione: ha generato squilibri di<br />
ogni sorta (disoccupazione, precarietà, mancanza di abitazioni)<br />
che hanno colpito soprattutto le giovani generazioni. La<br />
pressione sull'ambiente non mancherà di provocare nuove<br />
disparità, le cui prime vittime sono destinate a essere i meno<br />
abbienti.<br />
«La crescita si è rivelata il problema e non la<br />
soluzione»<br />
Quale sguardo, se non quello dell'indignazione, si può peraltro<br />
posare su una società, sedicente democratica, dove certi manager<br />
di grandi gruppi percepiscono ogni anno redditi talora pari a<br />
cinquecento annualità di un salario minimo? Tanto più che<br />
costoro hanno messo in mostra la loro oscena sete di potere<br />
ostentando consumi tanto lussuosi quanto superflui e<br />
44
per giunta inquinanti! Che sia umano, sostenibile o durevole, che<br />
rappresenti agli occhi di qualcuno una nobile ambizione, lo<br />
sviluppo resta comunque intriso di un'ideologia, quella<br />
dell'Occidente, che ambisce a imporre le proprie regole, i propri<br />
valori, il proprio stile di vita, che vuole promuovere dappertutto<br />
l'efficienza, la redditività, la razionalità economica. Mentre l'ONU<br />
ha continuato ad auspicare uno sviluppo che fosse sostenibile, le<br />
emissioni di gas serra, lo sconvolgimento climatico (ormai un<br />
dato di fatto), le manipolazioni biologiche, le varie forme di<br />
inquinamento, lo sfruttamento delle risorse naturali, le violenze,<br />
l'insicurezza sociale, la precarietà, il malessere, le disuguaglianze<br />
hanno assunto un'ampiezza senza precedenti al Nord come al<br />
Sud.<br />
5. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> del virtuale<br />
Lo schiacciamento del <strong>tempo</strong> è stato un aspetto essenziale<br />
<strong>della</strong> distruzione del mondo concreto, di quella «perdita dei<br />
sensi», provocata dalla rivoluzione dei tempi moderni, che già<br />
Ivan <strong>Il</strong>lich denunciava. <strong>Il</strong> processo di trasformazione degli esseri<br />
e delle cose in atomi numerici è nello stesso <strong>tempo</strong> un immenso<br />
lavoro intellettuale di astrazione e una mostruosa impresa di<br />
alienazione dell'uomo e <strong>della</strong> natura. Tutto, grazie al pensiero,<br />
deve ridursi a numeri, diventare calcolabile, in pratica<br />
trasformarsi in merce scambiabile.<br />
Si è osservato a ragione che l'invenzione dell'orologio in<br />
Occidente, in pieno Medio Evo, ha segnato il punto di partenza di<br />
questa rivoluzione dei tempi moderni, cioè la nascita <strong>della</strong><br />
società <strong>della</strong> crescita.<br />
45
La leggenda che ne attribuisce la messa a punto o il<br />
perfezionamento a Gerberto d'Aurillac, il papa dell'anno mille<br />
sospettato di stregoneria, fa trasparire un giusto presentimento<br />
sulla natura diabolica di questo strumento che impone la sua<br />
regola al mondo. Si è spesso visto in Silvestro II, una figura dotata<br />
di un'intelligenza fuori del comune, un prototipo del dottor<br />
Faust, una prefigurazione del progetto moderno di resa<br />
artificiale del mondo e quindi <strong>della</strong> sua desacralizzazione. Non a<br />
torto gli ortodossi non hanno mai voluto introdurre l'orologio<br />
nelle loro chiese.<br />
«Tutto deve ridursi a numeri, diventare<br />
calcolabile, in pratica trasformarsi in merce<br />
scambiabile»<br />
<strong>Il</strong> <strong>tempo</strong>, fattosi meccanico e reversibile, comincia a perdere la<br />
sua concretezza. Non è più legato ai cicli solari e lunari, al ritmo<br />
delle stagioni e delle mietiture, degli eventi e degli avventi. I<br />
riferimenti al vissuto non sono più dati dalle mansioni (seminare,<br />
falciare, raccogliere, potare gli alberi da frutta... ), né ritmati dalle<br />
feste religiose o profane, bensì rispondono a un meccanismo<br />
astratto. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> diventa una grandezza omogenea che non ha<br />
più un legame con il vissuto, a sua volta trasformato in una<br />
poltiglia inconsistente. Tutte le attività si fondono nel lavoro,<br />
tutti i valori nel denaro. Lavoro, <strong>tempo</strong>, denaro sono una sola e<br />
identica sostanza monetizzabile, sulla quale può speculare il<br />
mercante. Tutti i giorni di festa sono soppressi, si introduce il<br />
lavoro di domenica, il lavoro di notte e, ov-<br />
46
viamente, il lavoro di donne e bambini. L'economia del <strong>tempo</strong> è<br />
anche la sua economicizzazione. Conti-nuando a risparmiare sul<br />
<strong>tempo</strong>, contabilizzandolo fino al nanosecondo per approfittarne<br />
(nel senso di trarne un profitto), lo si è letteralmente perso.<br />
Perso per voler guadagnare troppo.<br />
La rarefazione del <strong>tempo</strong> da vivere è rigorosamente<br />
proporzionale all'allungamento <strong>della</strong> durata <strong>della</strong> vita, così<br />
ridotta a una sopravvivenza prolungata, come l'ha definita Guy<br />
Debord. <strong>Il</strong> fatto che si traduca in un'accumulazione sfrenata di<br />
occupazioni, o di <strong>tempo</strong> libero consumato, non cambia per niente<br />
le cose. La vita rimane solo consumo e consumazione di <strong>tempo</strong>,<br />
di lavoro, di denaro. L'uomo con<strong>tempo</strong>raneo non vive più nel<br />
<strong>tempo</strong>, e così il <strong>tempo</strong> libero è diventato un nonsenso, una cosa<br />
insopportabile. «Incarnata in un ethos che infantilizza» dice<br />
Benjamin Barber, «questa liberazione nei confronti del <strong>tempo</strong> ha<br />
spinto a trascurare la storia e a ignorare stupidamente la nostra<br />
mortalità […]. I prodotti di consumo che compriamo ci<br />
garantiscono l'immunità dall'invecchiamento: siamo<br />
allegramente installati in un presente a<strong>tempo</strong>rale, quindi<br />
provvisoriamente immortali» 11.<br />
Anche in questo caso l'automobile, oggetto emblematico <strong>della</strong><br />
modernità, svolge un ruolo non trascurabile. «Con l'ipotetica<br />
rapidità dell'automobile» scrive Yves Cochet, «si verifica un<br />
esaurimento del <strong>tempo</strong>: quanto più si va veloci, tanto meno<br />
contano il passato e il futuro. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> del trasferimento è un<br />
<strong>tempo</strong> perso tra due presenti, tra il da dove si viene e il dove si<br />
va. La velocità che si fa concreta attraverso l'automobile fa<br />
credere che sia abolita la durata del passaggio tra punto di<br />
partenza e punto di arrivo.<br />
47
Muoversi rapidi significa eliminare l'attesa, il senso <strong>della</strong> durata.<br />
Al con<strong>tempo</strong>, lo spazio attraversato viene abolito come spazio<br />
singolo, vivo, sensibile: diventa spazio puro, senza significato. Nei<br />
trasporti rapidi perdiamo l'esperienza sensibile del movimento.<br />
Resta soltanto un vago passaggio virtuale attraverso un<br />
paesaggio anonimo, come la proiezione di una pellicola sullo<br />
schermo. La prospettiva fantasmatica dello spostamento<br />
produttivistico è il teletrasporto istantaneo, senza frapposizioni<br />
di <strong>tempo</strong> e di spazio. [...] Dopo il <strong>tempo</strong> e lo spazio, è il corpo<br />
stesso che tende a scomparire» 12. Parallelamente, anche le nuove<br />
tecnologie (computer, internet, telefoni portatili, posta<br />
elettronica), senza le quali non sarebbe stata possibile la<br />
costruzione di un mercato finanziario globale, hanno favorito<br />
l'immersione nel virtuale, destrutturando il <strong>tempo</strong> e lo spazio.<br />
«L'informatizzazione del mondo spinge la<br />
società <strong>della</strong> crescita verso l'assurdità più<br />
estrema»<br />
Nel 2009 erano in funzione 1,1 miliardi di computer e 3,3<br />
miliardi di telefoni portatili. <strong>Il</strong> computer più potente era in grado<br />
di fare 280.000 miliardi di operazioni al secondo. Una cifra che<br />
dà le vertigini! I fan del virtuale vorrebbero addirittura farci<br />
vivere in una «etere-sfera» alla quale chiunque potrebbe<br />
collegarsi. Saremmo così tutti agganciati a una rete<br />
«telecosmica» virtuale, anche se i nostri contatti reali con una<br />
popolazione reale andrebbero perduti. In cambio, questa<br />
48
informatizzazione del mondo sarebbe l'ambiente adatto a far<br />
sopravvivere una società <strong>della</strong> crescita e contribuirebbe a<br />
sospingerla verso l'assurdità più estrema. La mercificazione del<br />
mondo ha divorato tutto: il lavoro, il <strong>tempo</strong> libero, l'amicizia,<br />
l'amore, il sesso, la cultura, la droga, la violenza, la politica. Un<br />
semplice clic elettronico permette transazioni istantanee da un<br />
capo all'altro del globo, con il trasferimento di somme colossali,<br />
decidendo le sorti di interi popoli.<br />
Peraltro, a causa del gioco terrorista degli interessi composti,<br />
la logica <strong>della</strong> crescita ha smarrito qualsiasi principio di realtà,<br />
distaccandosi dai limiti fisici del mondo vissuto. Con un tasso<br />
annuo di crescita del 2%, il minimo indispensabile secondo tutti i<br />
responsabili, in duemila anni il PIL si moltiplicherebbe per 160<br />
milioni di miliardi! Nello stesso lasso di <strong>tempo</strong>, ma con un tasso<br />
di crescita del sette per mille all'anno, considerato ridicolo dalle<br />
persone serie, il PIL si moltiplicherebbe comunque per 1 milione<br />
di volte, e nel corso di un solo secolo raddoppierebbe, superando<br />
già così quello che gli ecosistemi possono sopportare 13.<br />
«Con un tasso annuo di crescita del 2% in<br />
duemila anni il PIL di moltiplicherebbe per<br />
160 milioni di miliardi!»<br />
Resta solo poco <strong>tempo</strong> per liberarci dall’ossessione <strong>della</strong><br />
velocità e per muoverci alla riconquista del <strong>tempo</strong> e quindi delle<br />
nostre vite.<br />
49
6. Vendere il <strong>tempo</strong><br />
<strong>Il</strong> filosofo e sociologo Jean Baudrillard, in alcune delle sue<br />
opere più importanti, ha puntato il suo sguardo iconoclasta sul<br />
funzionamento simbolico del mondo occidentale. In particolare,<br />
si è messo a osservare il miracolo dell'acquisto, davanti al quale<br />
si prosternano i consumatori. <strong>Il</strong> credito, che sembra avere<br />
un'assonanza con il magico, ha sconvolto la percezione e la<br />
gestione del nostro <strong>tempo</strong>. Prima <strong>della</strong> sua comparsa, l'acquisto<br />
era preceduto dal risparmio, per cui doveva trascorrere un<br />
periodo di faticoso lavoro, spesso lungo e doloroso, prima che<br />
fosse possibile disporre dei mezzi finanziari atti a soddisfare i<br />
bisogni seri, per esempio l'acquisto dei mobili. Bisognava<br />
produrre prima di consumare! Con la monetizzazione delle<br />
economie e lo sviluppo del credito, la logica si è invece ribaltata e<br />
l'immediatezza è stata innalzata a nuovo imperativo sociale:<br />
«Non si deve più rimandare il piacere!».<br />
«<strong>Il</strong> credito ha sconvolto la percezione e la<br />
gestione del nostro <strong>tempo</strong>»<br />
I nuovi oggetti hanno imposto il proprio ritmo agli esseri<br />
umani, mentre prima era l'uomo che imponeva il proprio agli<br />
oggetti. «Per secoli» ha scritto Baudrillard, «si sono succedute<br />
generazioni in un ambiente stabile di oggetti, mentre oggi sono le<br />
generazioni di oggetti che si succedono a un ritmo accelerato in<br />
una stessa esistenza individuale» 14. E conclude così: «<strong>Il</strong> si-<br />
50
stema del credito porta al colmo l'irresponsabilità dell'uomo nei<br />
confronti di se stesso: chi acquista aliena chi paga, anche se si<br />
tratta <strong>della</strong> stessa persona; ma attraverso il suo scarto di <strong>tempo</strong> il<br />
sistema fa sì che non se ne prenda coscienza» 15. D'altronde, il<br />
credito si era già conquistato altri territori, fino a quel momento<br />
protetti dalle tradizioni. Una feroce «selezione artificiale» è<br />
infatti avvenuta tra gli agricoltori e gli allevatori: i più forti, i più<br />
atti a sopravvivere, vittime consenzienti di un nascente<br />
produttivismo, si sono lanciati verso un illusorio arricchimento<br />
abbondantemente alimentato dai debiti, mentre sono scomparsi i<br />
più deboli, ancora legati a pratiche ancestrali.<br />
Le banche commerciali invece detenevano da <strong>tempo</strong> il potere<br />
esorbitante di creare denaro ex nihilo. «Sono i crediti a fare i<br />
depositi» affermavano orgogliosamente i banchieri! Valutando<br />
insufficienti, per far funzionare la macchina dei consumi, le<br />
risorse messe a disposizione dal risparmio, avevano infatti<br />
ribaltato a proprio vantaggio la relazione iniziale, nella quale<br />
erano i depositi che alimentavano i crediti. La quantità di denaro<br />
circolante, determinante per le fluttuazioni dell'attività<br />
economica e l'andamento dei prezzi, dipendeva da decisioni<br />
private prese al di fuori di ogni dibattito democratico. «Tout pour<br />
le peuple, rien par le peuple!» (tutto per il popolo, niente dal<br />
popolo) aveva denunciato Bernard Charbonneau, pensatore e<br />
filosofo, precursore dell'ecologia politica 16. La moltiplicazione<br />
degli scambi commerciali su scala planetaria, che annunciava la<br />
globalizzazione, non era dunque intralciata da alcuna scarsità di<br />
denaro. La macchina capitalista si stava dotando di un nuovo<br />
strumento, un motore potente per la sua irresistibile<br />
51
espansione. La crescita veniva così stimolata grazie a una<br />
proliferazione di debiti riconosciuti e sottoscritti da popoli le cui<br />
capacità di resistenza erano ormai anestetizzate, ma le cui<br />
risorse non dovevano sfuggire alla megamacchina. La spirale<br />
infinita <strong>della</strong> compulsione e del miracolo dell'acquisto<br />
perseverava nella sua instancabile opera di trasformazione del<br />
denaro in feticcio.<br />
La moneta, in origine strumento di intermediazione negli<br />
scambi e unità di conto, era fin lì servita a facilitare le relazioni<br />
commerciali tra gli uomini. Questa funzione primaria era ora<br />
messa seriamente in discussione dall'ampliamento delle<br />
disparità sociali. <strong>Il</strong> sistema finanziario autorizzava infatti i più<br />
audaci e i meno scrupolosi a fare soldi con i soldi. Se in certe aree<br />
del mondo c'erano esseri umani che vivevano con uno o due<br />
dollari al giorno, in altre c'era chi accumulava notevoli ricchezze,<br />
abbondantemente irrorate con stock options o fornite di<br />
paracaduti dorati. Ricchezze riciclate esclusivamente in bolle<br />
speculative che scoppiavano al minimo inciampo <strong>della</strong><br />
congiuntura, provocando crisi spaventose del sistema e<br />
spingendo l'economia mondiale sull'orlo dell'abisso.<br />
La rinuncia al controllo dei movimenti di capitale, favorito<br />
dalla regola ultraliberale delle tre D (deregulation,<br />
disintermediation, decompartmentalization), ci costringeva ad<br />
ammettere che non poteva esistere capitalismo senza crisi<br />
finanziaria. <strong>Il</strong> baco <strong>della</strong> delinquenza finanziaria era penetrato<br />
nella mela capitalista e la rodeva inesorabilmente fino a farla<br />
marcire. Gli scandali finanziari a ripetizione (Enron, Parmalat e<br />
più di recente Bernard Madoff... ), la compravendita di società<br />
(LBO, sistema di leverage buy-out), trasformavano le im-<br />
52
prese in puri strumenti finanziari atti al rapido arricchimento dei<br />
loro proprietari.<br />
«<strong>Il</strong> baco <strong>della</strong> delinquenza finanziaria era<br />
penetrato nella mela capitalista»<br />
Davanti alla sterminata potenza <strong>della</strong> finanzia internazionale,<br />
le «risorse umane» (gli esseri umani trasformati in strumenti di<br />
lavoro) erano ridotte alla voce semplice e volgare di costo di<br />
produzione. Veri imprenditori si trasformavano in delinquenti<br />
dal colletto bianco, insolenti macchine per calcolare i profitti<br />
distribuiti agli azionisti. Qualcuno si è allora ricordato delle<br />
parole di John Maynard Keynes a proposito del denaro: «L'amore<br />
per i soldi come mezzo per procurarsi i piaceri e i beni <strong>della</strong> vita<br />
sarà riconosciuto per quello che è: uno stato morboso piuttosto<br />
ripugnante, una di quelle inclinazioni a metà criminali e a metà<br />
patologiche per curare le quali ci si affida, rabbrividendo, agli<br />
specialisti di malattie mentali» 17. Keynes, uno dei rarissimi<br />
economisti che aveva letto Freud, aveva capito bene quali segnali<br />
mortiferi dell'inconscio si celassero dietro all'attaccamento per il<br />
denaro.<br />
1967: la petroliera Torrey Canyon naufraga al largo <strong>della</strong><br />
Cornovaglia. Diversi milioni di tonnellate di petrolio viscoso<br />
ricoprono le coste inglesi e quelle <strong>della</strong> Bretagna. La marea nera<br />
provoca uno shock e risveglia una nuova coscienza ecologica, che<br />
sarà rafforzata dal progetto di ampliare un campo militare nella<br />
piana di Larzac nel 1974 e dall'inquinamento alla diossina di<br />
Seveso nel 1976. In questo contesto, il potere politico<br />
53
francese presenta l'energia nucleare come il rimedio alla crisi<br />
energetica. I francesi non hanno petrolio, ma qualche idea se la<br />
sono fatta! <strong>Il</strong> nucleare fa paura e preoccupa la parola «centrale»,<br />
alla quale è sempre più spesso accoppiato. Tuttavia, la<br />
tecnocrazia impone la propria decisione senza alcuna<br />
consultazione democratica.<br />
Sulla scena fa così la sua comparsa un'ecologia politica<br />
sovversiva. Nonostante la loro prossimità semantica, ecologia ed<br />
economia si scontrano vigorosamente e, malgrado la sconfitta del<br />
Maggio ‘68, il capitalismo non è forse così invulnerabile come<br />
sembra. I sociologi analizzano scrupolosamente la nuova<br />
contestazione di stampo antiproduttivista, che è ben distante,<br />
come la sua cugina femminista, dalla contraddizione tra capitale<br />
e lavoro; e parlano con entusiasmo di quei «nuovi movimenti<br />
sociali», alternativi, creativi, il cui modello culturale volta le<br />
spalle al vecchio mondo.<br />
«La crisi sociale e la crisi ambientale ci<br />
colpiscono come un boomerang alla fine del<br />
ventesimo secolo»<br />
A metà degli anni Settanta, però, si apre una parentesi: si<br />
ripresenta la crisi economica e la curva <strong>della</strong> disoccupazione si<br />
impenna. <strong>Il</strong> sogno deve cedere il passo al realismo, al<br />
pragmatismo. Con una fuga in avanti in un mondo finanziario<br />
sempre più virtuale dopo l'abbandono dell'ultimo rapporto tra<br />
dollaro e oro nel 1971, il sistema riesce a prolungare l'illusione<br />
statistica <strong>della</strong> crescita. In questo periodo, l'ideologia neolibe-<br />
54
ale traccia inesorabilmente il proprio solco: meno Stato, più<br />
concorrenza, meno regole, più libertà selvaggia, meno tutele e<br />
protezionismo, più scambi. Trionfa la globalizzazione, mostrando<br />
ben presto il proprio volto autentico: maggiore sfruttamento<br />
dell'uomo e <strong>della</strong> natura, finanziarizzazione dell'economia,<br />
deregulation, delocalizzazioni, esclusioni, deterioramento dei<br />
legami sociali, uniformazione culturale, occidentalizzazione del<br />
mondo, degrado del clima e del suolo, deforestazione,<br />
desertificazione... La crisi sociale e quella ambientale ci<br />
colpiscono come un boomerang alla fine del ventesimo secolo. <strong>Il</strong><br />
<strong>tempo</strong> che ci resta è ormai contato e l'umanità si trova davanti a<br />
un muro. <strong>Il</strong> motore dell'economia si è imballato: siamo andati<br />
troppo in fretta e troppo avanti. <strong>Il</strong> fiume dell'economia è<br />
tracimato dagli argini e minaccia di travolgere ogni cosa. Una<br />
decelerazione è più che auspicabile: è indispensabile per la<br />
sopravvivenza. Dobbiamo rallentare, modificare il nostro<br />
rapporto con il <strong>tempo</strong>, cambiare ritmo. È suonata l'ora <strong>della</strong><br />
decrescita!<br />
Note al capitolo<br />
1. Georgescu-Roegen, La décroissance, cit., p. 107.<br />
2. «In una cultura improntata all'infantilismo, il <strong>tempo</strong> stesso è elastico, perché i<br />
gadget elettronici come i TiVo e gli iPod, permettono ai consumatori di sfasare<br />
nel <strong>tempo</strong> il consumo dei contenuti. Così i giovani possono guardare una<br />
pubblicità dell'abbigliamento su uno schermo televisivo (Home Shopping<br />
Network) mentre cercano di confrontare i prezzi su un altro canale (tipo<br />
Google) e segnalare gli abiti agli amici con un terzo (tipo instant messenger), con<br />
una forma di marketing bocca-a-orecchio (buzz): questo modo di operare mul-<br />
55
titasking tre-in-uno permette di comprimere in venti minuti un'ora di lavoro da<br />
consumatore». Benjamin Barber, Comment le capitalisme nous infantilize,<br />
Fayard, Paris, 2007, p. 317 (trad. it.: Consumati. Da cittadini a clienti, Einaudi,<br />
Torino, 2010).<br />
3. Guy Roustang, Le Dictionnaire de l 'autre économie, Folio Actuel, Paris, 2008,<br />
p. 146.<br />
4. Jacques Ellul, Le Bluff technologique, Hachette, Paris, 1988, p. 63.5. Edward<br />
Goldsmith, Le Défi du XXe siècle. Une vision écologique du monde, Editions du<br />
Rocher, Monaco, 1994, p. 262.<br />
G. Ellul, Le Bluff technologique, cit., p. 64.<br />
7. Hervé-René Martin, Claire Cavazza, Nous réconcilier avec la Terre,<br />
Flammarion, Paris, 2009, p. 25.<br />
8. André Gorz, Leur écologie et la notre, conferenza pubblicata sulla rivista «Le<br />
Sauvage» nell'aprile 1974 e poi ripresa come introduzione a Écologie et<br />
politique, Galilée, Paris, 1975 (trad. it.: Ecologica, Jaca Book, Milano, 2009).<br />
9. François Brune, Le Bonheur conforme, Gallimard, Paris, 1996, p. 167.<br />
10. Ibid., p. 242.<br />
11. Barber, Comment le capitalisme nous infantilize, cit., p. 150. 12. Yves Cochet,<br />
Antimanuel d 'écologie, Bréal, Paris, 2009, p. 246. 13. André Lebeau,<br />
L'Engrenage technique, essai sur une menace planétaire, Gallimard, Paris, 2005,<br />
pp. 154-155.<br />
14. Jean Baudrillard, Le Système des objets, Denoel, Paris, 1988, p. 188 (trad. it.:<br />
<strong>Il</strong> sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 2003).<br />
15. Ibid., p. 192.<br />
16. Daniel Cérézuell, Écologie et liberté. Bernard Charbonneau, précurseur de<br />
l'écologie politique, Parangon, Paris, 2006.<br />
17. John Maynard Keynes, Essais sur la monnaie et l 'économie, Payot, Paris,<br />
1990 (trad. it.: Trattato sulla moneta, Feltrinelli, Milano, 1971), citato in Patrick<br />
Viveret, Pourquoi ça ne va pas plus mal, Fayard, Paris, p. 148; Gilles Dostaler,<br />
Bernard Maris, Capitalisme et pulsion de mort, Albin Michel, Paris, 2008, p. 59.<br />
56
DUE<br />
Riabilitare il <strong>tempo</strong><br />
<strong>Il</strong> destino dell'uomo sulla Terra è in tutto e per tutto spirituale e<br />
morale; il regime che questo destino gli impone è un regime di<br />
frugalità. Rispetto alle sue possibilità di consumo, all'infinità dei<br />
suoi desideri, allo splendore dei suoi ideali, le risorse materiali<br />
dell'umanità sono molto limitate: essa è povera, e bisogna che lo<br />
sia, perché altrimenti, a causa dell'illusione dei sensi e <strong>della</strong><br />
seduzione del suo spirito, ricade nell'animalità, si corrompe<br />
nell'anima e nel corpo e perde, proprio per il godimento, i tesori<br />
<strong>della</strong> sua virtù e del suo genio. Tale è la legge che c'impone la<br />
nostra condizione terrestre e che si dimostra nello stesso <strong>tempo</strong><br />
con l'economia politica, con la statistica, con la storia e con la<br />
morale. Le nazioni che perseguono come bene supremo la<br />
ricchezza materiale e i piaceri che essa procura sono quelle che<br />
declinano. <strong>Il</strong> progresso o il perfezionamento <strong>della</strong> nostra specie è<br />
interamente nella giustizia e nella filosofia. [...] Se vivessimo<br />
come raccomanda il Vangelo, in uno spirito di gioiosa povertà,<br />
sulla Terra regnerebbe l'ordine più perfetto.<br />
57<br />
Pierre-Joseph Proudhon 1
È appunto perché il momento del crollo si approssima<br />
pericolosamente che questo è il <strong>tempo</strong> <strong>della</strong> decrescita! La<br />
società <strong>della</strong> frugalità per scelta che emergerà dal suo solco avrà<br />
come presupposto un rapporto diverso con il <strong>tempo</strong>. Non<br />
resteremo più ingabbiati nella sola concezione lineare del <strong>tempo</strong><br />
che ha dominato l'Occidente almeno dal Rinascimento.<br />
Ripristinare un rapporto «sano» con il <strong>tempo</strong> significa, molto<br />
semplicemente, imparare nuovamente ad abitare il mondo e,<br />
quindi, affrancarsi dalla dipendenza dal lavoro per ritrovare la<br />
lentezza, riscoprire i sapori <strong>della</strong> vita legati ai territori, alla<br />
prossimità e al prossimo. In tutto questo non c'è tanto un ritorno<br />
a un mitico passato perduto, quanto l'invenzione di una<br />
tradizione rinnovata. Gli squilibri e gli sconvolgimenti provocati<br />
dallo sviluppo <strong>della</strong> società industriale avevano prodotto per<br />
reazione una proliferazione incredibile di progetti correttivi o<br />
alternativi, archiviati sotto l'etichetta di socialismo utopico<br />
(Fourier, Cabet, Morris...) che ora sarà utile riabilitare.<br />
1. Rimo<strong>della</strong>re lo spazio-<strong>tempo</strong><br />
Una città ecologica composta da villaggi urbani, dove ciclisti e<br />
pedoni utilizzeranno un'energia rinnovabile, è verosimilmente<br />
destinata a sostituire le<br />
odierne megalopoli. La città produttivista, pensata e strutturata<br />
in funzione dell'automobile, in forme che si pretendono razionali<br />
(basti pensare alla Cité radieuse di Le Corbusier), con gli spazi<br />
segregati, le zone industriali, i quartieri residenziali senza vita,<br />
appartiene probabilmente al passato 2. Nei grandi complessi<br />
58
e nei quartieri standardizzati, i nostri con<strong>tempo</strong>ranei stanno<br />
davanti al televisore tra una spedizione e l'altra all'ipermercato,<br />
il tutto inframmezzato da autostrade che collegano un<br />
parcheggio all'altro. Abbiamo smarrito il contatto con il nostro<br />
carattere originale. L'organico, il vegetale, l'animale sono in<br />
massima parte sostituiti dal meccanico, dall'elettronico, dal<br />
digitale e dal robotico. Dobbiamo riapprendere ad abitare il<br />
mondo superando l'universo artificiale in cui l'abbiamo<br />
trasformato. Proudhon, a modo suo, l'aveva già intuito.<br />
Espressioni di uno sviluppo urbano più o meno selvaggio, le<br />
metropoli tentacolari, circondate da autostrade, riversano e<br />
risucchiano instancabilmente una marea crescente di automobili.<br />
Lo spazio vitale è stato frammentato. Le persone dispongono di<br />
un luogo di residenza più o meno confortevole a seconda del<br />
reddito, ma hanno bisogno anche di altri spazi: quelli per il<br />
<strong>tempo</strong> libero e gli spettacoli, quelli del lavoro, <strong>della</strong> scuola, degli<br />
acquisti. L'automobile si è inscritta nell'ordine delle cose.<br />
Dobbiamo possederla per poter raggiungere tutti quei posti e<br />
così, ogni giorno, ci muoviamo da un parcheggio all'altro.<br />
La mobilità automobilistica, nuovo elemento di distinzione<br />
sociale, nei conglomerati urbani è illusoria, dato che<br />
l'abbondanza di veicoli ha offerto a chi cammina sulle proprie<br />
gambe un vantaggio non trascurabile. Questo sistema di<br />
trasporto è senza dubbio il più inefficiente tra tutti quelli<br />
inventati dagli esseri umani. Oggi a Pechino, per esempio,<br />
l'automobilista non riesce a superare in media gli otto chilometri<br />
all'ora. Ivan <strong>Il</strong>lich e Jean-Pierre Dupuy hanno già dimostrato che<br />
se si sommano al <strong>tempo</strong> di effettivo trasferimento il<br />
59
<strong>tempo</strong> in cui si resta immobilizzati in coda e quello passato al<br />
lavoro per guadagnare i soldi necessari ad acquistare la vettura,<br />
a pagare la benzina, gli pneumatici, i pedaggi, l'assicurazione, le<br />
multe (per non parlare degli incidenti...), la cosiddetta velocità<br />
generalizzata dell'automobilista non supera i sei chilometri<br />
all'ora, cioè all'incirca la velocità di un pedone 3. In queste<br />
condizioni la bicicletta è molto meglio dell'automobile!<br />
Oltretutto, questa bagnarola rumorosa, puzzolente e inquinante<br />
ha reso invivibili le città e per questo i suoi abitanti, ogni fine<br />
settimana, imboccano le autostrade, intasate di vacanzieri in<br />
cerca di un'aria meno fetida. E al ritorno si ritrovano sulle stesse<br />
strade asfaltate, in mezzo alle rituali code divoratrici di <strong>tempo</strong>.<br />
«La velocità generalizzata dell'automobilista non<br />
supera i sei chilometri all'ora, cioè all'incirca<br />
quella di un pedone»<br />
Taluni, poi, gelosi <strong>della</strong> propria tranquillità e indifferenti agli<br />
altri, si rifugiano in una residenza ermeticamente chiusa che li<br />
metta al riparo da un mondo indesiderabile e si dotano di sistemi<br />
di videosorveglianza per meglio preservare la propria intimità.<br />
<strong>Il</strong>lich sottolinea come sia urgente che l'uomo con<strong>tempo</strong>raneo<br />
comprenda «che l'accelerazione dei suoi desideri aumenterà il<br />
suo imprigionamento e che le sue rivendicazioni, una volta<br />
realizzate, segneranno la fine <strong>della</strong> sua libertà, dei suoi svaghi e<br />
<strong>della</strong> sua indipendenza» 4. Nelle città in decrescita, invece, gli<br />
abitanti<br />
60
itroveranno il piacere <strong>della</strong> flânerie, di quel «fare flanella» caro a<br />
Charles Baudelaire e Walter Benjamin.<br />
Riapprendere ad abitare il mondo è dunque un imperativo.<br />
Nel Larzac, qualche decennio fa, si è coniato lo slogan: «Vivere<br />
e abitare in campagna». Sarebbe salutare ispirarsi a questo<br />
appello anche per vivere in una zona urbana. Diventa quindi una<br />
necessità disporre di trasporti collettivi di facile accesso, rapidi e<br />
poco costosi. Ma soprattutto la città abitabile, e non solo<br />
percorribile in auto, deve costituire l'elemento cardine di<br />
un'autentica politica urbana. È <strong>tempo</strong> che «il quartiere o il<br />
comune ridiventino il microcosmo mo<strong>della</strong>to da e per tutte le<br />
attività umane, dove la gente lavora, abita, si riposa, si istruisce,<br />
comunica e gestisce insieme lo spazio dell'esistenza in comune» 5.<br />
Nel diciannovesimo secolo un'idea analoga era germinata<br />
nella mente fertile e generosa di Jean-Baptiste André Godin, figlio<br />
di un fabbro, discepolo del socialista utopico Charles Fourier, poi<br />
diventato industriale (le «stufe Godin»), ma anche sindaco e<br />
deputato. Verso il 1860 aveva avviato la costruzione del primo<br />
padiglione del suo falansterio fourierista, Le Palais social, offerto<br />
ai dipendenti cooperatori <strong>della</strong> sua fonderia di Guise, nell'Aisne.<br />
Quella «città democratica» accolse in alloggi spaziosi, luminosi e<br />
riscaldati alcuni esponenti <strong>della</strong> classe operaia. In prossimità<br />
<strong>della</strong> fabbrica e del Palais si trovavano un asilo d'infanzia, un<br />
lavatoio con piscina (con acqua riscaldata grazie al calore che<br />
veniva dalla fonderia), orti, un chiosco per la musica, un teatro,<br />
una scuola e uno spaccio dove si potevano fare gli acquisti<br />
quotidiani a prezzi convenienti. Nasceva una vita collettiva fatta<br />
61
di fiducia, di intesa, di aiuto reciproco, di condivisione e di<br />
complementarità, nonostante la promiscuità talora fastidiosa.<br />
Una bella utopia, che scompare proprio nel 1968! 6<br />
Altrove, per esempio in Danimarca, nel magico decennio degli<br />
anni Sessanta numerose famiglie manifestarono il desiderio di<br />
vivere e lavorare in modo diverso, di rompere l'isolamento delle<br />
megalopoli e condividere alcune attività domestiche ed<br />
educative. Sia in Europa sia negli Stati Uniti si sono nel <strong>tempo</strong><br />
realizzati diversi progetti che andavano sotto le denominazioni<br />
di «habitat di gruppo», «co-vicinato», «co-housing»,<br />
«ecoquartiere» 7. Le realizzazioni più note, nate poco prima del<br />
2000, sono quelle del quartiere Vauban di Freiburg im Breisgau<br />
(in Germania) e del BedZED (Beddington zero energy<br />
development) nella città di Sutton, a sud di Londra. L'esperienza<br />
inglese è probabilmente la meglio riuscita, perché l'impatto<br />
sull'ambiente in quella località è considerevolmente diminuito:<br />
all'interno di un unico spazio coesistono abitazioni che<br />
rispettano la commistione sociale, luoghi di lavoro, centri di<br />
servizio e per il <strong>tempo</strong> libero che riducono il ricorso<br />
all'automobile, privilegiando altre modalità di trasferimento.<br />
In queste esperienze, come nei progetti di città «in<br />
decrescita», l'habitat individualizzato, isolato, anche se ben<br />
concepito ecologicamente, è considerato un'eresia urbanistica,<br />
perché ogni anno sotto il cemento e l'asfalto spariscono così<br />
ettari di terreno agricolo. <strong>Il</strong> fatto di edificare e abitare in modo<br />
collettivo consente un'efficienza energetica maggiore e collettivo<br />
un'alternativa alla fragilità del singolo attore davanti a una scelta<br />
troppo spesso determinata dal mercato. Ricercare un<br />
62
alloggio significa quindi definire un modo di vivere che coniughi<br />
concezioni personalizzate e pratiche cooperative. Questi habitat<br />
conciliano il rispetto dei valori ecologici e sociali, la convivialità,<br />
e abbattono il muro dell'individualismo evitando le trappole del<br />
collettivismo e del comunitarismo.<br />
«<strong>Il</strong> fatto di edificare e abitare in modo collettivo<br />
consente un efficienza energetica maggiore»<br />
Lo stesso vale per il movimento delle «città lente» (Slow City).<br />
Questo movimento integra quello dello Slow Food, al quale<br />
aderiscono in tutto il mondo centomila produttori, agricoltori,<br />
artigiani e pescatori che lottano contro l'omogenizzazione dei<br />
prodotti alimentari, per ritrovare il gusto e i sapori 8. Si può anche<br />
menzionare l'esperienza di Correns, un villaggio del Var dove<br />
tutti i viticoltori hanno deciso di passare all'agricoltura biologica,<br />
o quelle di Mouans-Sartoux e di Barjac 9. In quest'ultimo caso si<br />
vede come l'introduzione dell'alimentazione biologica nelle<br />
mense scolastiche, decisa da un sindaco coraggioso e creativo,<br />
possa poco a poco modificare in profondità la vita intera di un<br />
villaggio. <strong>Il</strong> Transition Towns Movement, nato in Irlanda (a<br />
Kinsale, vicino Cork) e poi diffusosi anche in Gran Bretagna, è<br />
forse la forma di costruzione dal basso che più si avvicina a una<br />
società <strong>della</strong> decrescita. Queste città, secondo lo statuto <strong>della</strong><br />
rete, puntano in primo luogo all'autosufficienza energetica, in<br />
previsione <strong>della</strong> fine delle energie fossili, e più in<br />
63
generale alla resilienza. Tale concetto, mutuato dall'ecologia<br />
scientifica, può essere definito come la permanenza qualitativa<br />
<strong>della</strong> rete di interazioni di un ecosistema, o la capacità di un<br />
ecosistema di assorbire le perturbazioni e di riorganizzarsi<br />
conservando sostanzialmente le proprie funzioni, struttura,<br />
identità e retroazioni 10. Là resilienza designa più semplicemente<br />
la capacità di un ecosistema di resistere ai cambiamenti del<br />
proprio ambiente. Per esempio, come riusciranno i grandi<br />
agglomerati urbani ad affrontare l'esaurimento del petrolio,<br />
l'aumento <strong>della</strong> temperatura e tutte le catastrofi prevedibili? La<br />
risposta dell'esperienza ecologica è che la specializzazione, se<br />
permette di accrescere le prestazioni in un ambito, incide<br />
negativamente sulla resilienza dell'insieme. Viceversa, la<br />
diversità rafforza la resistenza e le capacità di adattamento. La<br />
reintroduzione di orti urbani, <strong>della</strong> policoltura, di un'agricoltura<br />
di prossimità, di piccole unità artigianali, e la moltiplicazione<br />
delle fonti di energia rinnovabili rafforzano la resilienza.<br />
Sul piano politico, tra democrazia diretta e bilanci<br />
partecipativi si sperimentano forme di autogoverno per la difesa<br />
dei beni comuni, riprendendo l'idea del «villaggio urbano» o<br />
quella dell'ecomunicipalismo libertario di Murray Bookchin 11.<br />
L'autorganizzazione di «bioregioni» si colloca nel solco di queste<br />
varie iniziative e ne rappresenta lo sbocco. Queste «città di città»<br />
o «città di villaggi», costituite da un insieme complesso di sistemi<br />
territoriali locali, dotate di una grande capacità di<br />
autosostenibilità ecologica, puntano alla riduzione delle<br />
diseconomie esterne e dei consumi energetici. Una gestione<br />
nuova dello spazio e dell'abitare che segna già una rivoluzione<br />
nell'uso del <strong>tempo</strong>.<br />
64
«Anticipare la decrescita forzata<br />
e ineluttabile preparando<br />
una transizione serena»<br />
Tutte queste esperienze rappresentano altrettanti laboratori<br />
di un'alternativa e sono parte di quei «monasteri del terzo<br />
millennio» che preparano la civiltà di domani. Si tratta di<br />
anticipare la decrescita forzata e ineluttabile preparando una<br />
transizione serena. Richard Heinberg, nella sua lettera scritta dal<br />
futuro, descrive in modo sorprendente questo apprendimento<br />
dell'autonomia sotto l'impero <strong>della</strong> necessità: «La maggior parte<br />
dei sopravvissuti ne hanno tratti utili lezioni. Hanno imparato a<br />
conservare con cura i terreni fertili, i cereali vitali, l'acqua pulita,<br />
l'aria non inquinata e gli amici sui quali si può contare. Hanno<br />
imparato ad assumersi la gestione delle proprie esistenze e non<br />
aspettare che qualche governo o qualche corporazione si occupi<br />
di loro» 12.<br />
2. Lavorare meno per vivere meglio<br />
È possibile immaginare anche per un solo istante un politico<br />
francese, <strong>della</strong> maggioranza come dell'opposizione, che si<br />
presenti alle elezioni con lo slogan: «Consumare di più per<br />
spendere di meno»? Tutti i professori di economia e gli esperti di<br />
ogni sorta si sbellicherebbero davanti a proclami così assurdi, in<br />
contraddizione con la sacrosanta legge <strong>della</strong> domanda e<br />
dell'offerta. E a ragione! Come se, a inizio 2008, da-<br />
65
vanti al malcontento manifestato dai pescatori per l'aumento del<br />
prezzo a barile del petrolio, la risposta dei governi interpellati<br />
fosse stata: «Basta che bruciate più nafta per far abbassare il<br />
prezzo alla pompa!».<br />
Si narra che Irving Fisher, il grande economista di Yale, avesse<br />
insegnato al suo pappagallo a rispondere con la frase «è la legge<br />
<strong>della</strong> domanda e dell'offerta» a tutte le domande che gli venivano<br />
poste dai suoi studenti. Se esiste un briciolo di buon senso nel<br />
guazzabuglio matematico <strong>della</strong> pseudoscienza economica, è<br />
proprio questa «legge». Eppure, è esattamente questo slogan<br />
blasfemo (lavorare di più per guadagnare di più), lanciato con<br />
successo durante la campagna presidenziale francese del 2007,<br />
che funge da bussola per il governo, senza provocare la minima<br />
protesta da parte degli esperti.<br />
Si tratta indubbiamente di uno slogan iconoclasta perché, a<br />
differenza dei fautori <strong>della</strong> decrescita e <strong>della</strong> gente comune, per<br />
la maggioranza degli economisti o per il Medef, la Confindustria<br />
francese, il lavoro è una merce come un'altra. È dunque del tutto<br />
paragonabile al petrolio e deve essere trattato allo stesso modo.<br />
Per questo il suo prezzo, chiamato salario, tende a scendere<br />
quando aumenta l'offerta di manodopera rispetto alla domanda;<br />
per esempio, se i lavoratori già occupati si offrono volontari per<br />
lavorare di più. Con grande rigore teorico, in un mercato<br />
caratterizzato da una sovrabbondanza di ore di lavoro offerte e<br />
dalla ricerca spasmodica di un'occupazione, rispetto a una<br />
domanda (cioè al numero di posti di lavoro offerti) molto<br />
insufficiente (circa il 10% <strong>della</strong> popolazione attiva è costretta alla<br />
disoccupazione, e questo secondo le statistiche ufficiali,<br />
manipolate, ovvero molto al di sotto<br />
66
<strong>della</strong> realtà), c'è solo da aspettarsi un crollo dei corsi (tradotto,<br />
dei salari). Invece il salario tenderà ad aumentare se cala<br />
l'offerta. Ci si potrebbe dunque attendere un qualche<br />
miglioramento del livello di vita da un rifiuto in massa delle ore<br />
straordinarie e più ancora da una riduzione dell'orario di lavoro.<br />
«Lavorare di più è oltretutto ancora<br />
più assurdo in quanto questa scelta<br />
può solo affrettare il momento<br />
<strong>della</strong> catastrofe ecologica»<br />
Si sa che i fautori <strong>della</strong> decrescita non tengono in grande<br />
considerazione le cosiddette leggi dell'economia e, se trovano<br />
osceno lo slogan dell'attuale presidente francese, è soprattutto<br />
perché l'orario di lavoro è già eccessivo. E questo fa sì, in modo<br />
diretto o indiretto (per le tante attività strutturate su questa<br />
scansione <strong>tempo</strong>rale: istruzione, formazione, <strong>tempo</strong> libero, cura<br />
<strong>della</strong> salute), che la vita ne venga divorata, che lo spirito civico ne<br />
rimanga soffocato, che stress e sofferenza dilaghino. Alcuni<br />
impiegati sono arrivati a suicidarsi, mentre il consumo di<br />
antidepressivi ha superato ogni record. Lavorare di più è<br />
oltretutto ancora più assurdo in quanto, in assenza di un diverso<br />
orientamento, questa scelta può solo affrettare il momento <strong>della</strong><br />
catastrofe ecologica. Per questo, seppur, in via eccezionale, gli<br />
obiettori <strong>della</strong> crescita non si farebbero alcuno scrupolo a<br />
dichiararsi d'accordo con gli economisti eterodossi e affermare:<br />
«Lavorare meno, lavorare tutti», o addirittura, con quelli più<br />
conse-<br />
67
guentemente ortodossi: «Lavorare meno, guadagnare di più».<br />
Tuttavia il nostro slogan è piuttosto questo: «Lavorare meno per<br />
vivere meglio!». Meglio promuovere l'otium del popolo che<br />
l'oppio dei media.<br />
Una condivisione degli incrementi di produttività a favore del<br />
lavoro permetterebbe di ridurne la durata. Quando la capacità<br />
produttiva del lavoro aumenta, perché questo sforzo deve<br />
favorire prioritariamente la riduzione dei costi di produzione, il<br />
calo del prezzo dei prodotti e l'aumento dei profitti? I salariati,<br />
principali attori dell'aumento di produttività, dovrebbero anche<br />
loro esserne ricompensati e in un modo più gratificante: lavorare<br />
meno per vivere meglio e così consentire l'accesso al lavoro a<br />
nuovi attivi.<br />
«<strong>Il</strong> nostro slogan è piuttosto questo:<br />
‘Lavorare meno per vivere meglio!’ »<br />
Rimane la necessità di ridare senso al <strong>tempo</strong> liberato. Dato<br />
l'economicismo dominante, capita purtroppo molto spesso che il<br />
<strong>tempo</strong> non lavorativo, quando non è divorato dalle costrizioni<br />
<strong>della</strong> vita moderna (trasporti, burocrazia ecc., in breve quello che<br />
Ivan <strong>Il</strong>lich definisce lavoro fantasma), è convertito in un'attività<br />
commerciale (lavoro nero) o nel consumo di servizi commerciali.<br />
L'allungamento <strong>della</strong> durata <strong>della</strong> vita in Occidente, a partire dal<br />
1950, corrisponde a circa tre ore in più per ogni giorno, ma<br />
questo coincide più o meno con il <strong>tempo</strong> medio che un europeo<br />
passa davanti al televisore ed è pari al doppio del <strong>tempo</strong> che un<br />
francese passa al volante o su un mezzo di tra-<br />
68
sporto! 13 <strong>Il</strong> buon uso del <strong>tempo</strong> liberato, guadagnato sul <strong>tempo</strong><br />
di lavoro, non è così scontato in una società logorata dal<br />
produttivismo. Se sono diventate droghe non solo il consumo ma<br />
anche il lavoro (workaholics, dicono gli americani), questa nuova<br />
libertà può essere causa di angoscia. Siamo disposti,<br />
spontaneamente, a riflettere con determinazione e in profondità<br />
sul senso <strong>della</strong> nostra esistenza, quel lungo fiume tanto spesso<br />
conformista che fino a quel momento scorreva in modo così<br />
tranquillo? L'uscita dal sistema produttivistico e lavoristico<br />
comporta un'organizzazione completamente diversa, in cui si<br />
devono valorizzare, accanto al lavoro, il <strong>tempo</strong> libero e il gioco, e<br />
in cui le relazioni sociali vengono prima <strong>della</strong> produzione e del<br />
consumo di inutili, se non dannosi, prodotti a perdere.<br />
Riscoprire la qualità fuori delle logiche del mercato farà calare<br />
i valori economici. È evidente che producendo da sé fuori<br />
mercato si riducono insieme la pressione sull'ambiente e 'il PIL,<br />
rafforzando al con<strong>tempo</strong> una certa forma di soddisfazione<br />
personale. La divisione del lavoro, diceva Marx, è l'assassinio di<br />
un popolo. Abbiamo spinto troppo oltre questo processo di<br />
razionalizzazione disumanizzante, governato dalla ricerca del<br />
profitto. La riscoperta dell'opera, questa attività creativa<br />
dell'artigiano e del contadino non soggetta alla pressione di una<br />
concorrenza esasperata, può costituire un buon antidoto alla<br />
frammentazione delle mansioni. E l'autoproduzione rappresenta<br />
di conseguenza il mezzo più adatto a ridurre i costi ecologici del<br />
trasporto, a limitare gli imballaggi e a facilitare il riciclaggio.<br />
69
«La riscoperta dell'opera può costituire<br />
un buon antidoto alla frammentazione<br />
delle mansioni»<br />
L'orticoltura, per esempio, può offrire a una famiglia frutta e<br />
verdura sane tutto l'anno (sarebbe stupido autoavvelenarsi!),<br />
consentendo anche di pianificare saggiamente, in base alle<br />
stagioni, la produzione e il consumo dei propri alimenti.<br />
L'autoristrutturazione degli alloggi e l'autoproduzione assistita<br />
(orti, cucina) possono essere soluzioni parziali ai guasti del<br />
sistema 14.<br />
La gestione delle proprie risorse porta così all'autonomia, alla<br />
frugalità e alla riduzione degli sprechi. Molti atti quotidiani sono<br />
stati trasferiti a professionisti, a commercianti che sanno<br />
benissimo come farci pagare il costo dei loro servizi. Non<br />
consumiamo più quello che produciamo noi e non produciamo<br />
più quello che consumiamo. Non siamo forse incapaci di<br />
concepire e preparare quotidianamente, in modo autonomo, un<br />
semplice pasto, di cuocere qualche dolcetto per i nostri figli, di<br />
riparare un elettrodomestico, di gestire in modo conveniente il<br />
nostro ambiente di vita, di isolare come si deve la nostra<br />
abitazione, di farci un maglione o una sciarpa, di far crescere una<br />
verdura o un frutto? Tutto questo implica evidentemente che<br />
dobbiamo recuperare l'uso delle nostre dieci dita. E anche in<br />
questo caso è necessario riappropriarsi del <strong>tempo</strong>. Gli obiettori<br />
<strong>della</strong> crescita sono dalla parte del «consumare meno».<br />
La riduzione del carico di lavoro può a sua volta dare impulso<br />
alla «produzione» di beni relazionali.<br />
70
Questi rientrano in quelli che gli economisti e i giuristi chiamano<br />
«beni comuni», realtà tra loro diverse come le strade,<br />
l'illuminazione pubblica, le emissioni radiotelevisive, l'aria, la<br />
luce del sole, la sicurezza pubblica, la Costituzione, internet e così<br />
via; e si potrebbero aggiungere anche la lingua e le culture. I beni<br />
comuni rispondono a questi due criteri: la «non rivalità» (la<br />
quantità di bene disponibile non è ridotta dal fatto che altri ne<br />
godano) e la «non esclusione» (l'accesso a quel bene è libero). I<br />
beni relazionali sono inoltre beni comuni «vissuti», che esistono<br />
solo se siamo in tanti a goderne, e immateriali, come per esempio<br />
il piacere che nasce da una conversazione.<br />
«I beni relazionali rientrano<br />
in quelli che gli economisti e i giuristi<br />
chiamano ‘beni comuni’»<br />
Per tutti questi beni, come l'amicizia e la conoscenza, il mio<br />
«consumo» non riduce la disponibilità, anzi l'accresce. Se ci<br />
scambiano un'idea, alla fine dello scambio avremo entrambi<br />
un'idea in più... Gli scambi di opinioni, convinzioni, ideali<br />
accompagnati da una buona emulazione, l'impegno civile, le<br />
parole d'amore, la frequentazione di persone simpatiche, tutto<br />
ciò che obbedisce alla logica del dono e del dono ricambiato sono<br />
il sale <strong>della</strong> vita 15. Possiamo così ritrovare il <strong>tempo</strong> per<br />
discorrere con i nostri figli, con i genitori, i parenti e i vicini, e<br />
riscoprire il «gusto degli altri»! Osserva Giorgio Ruffolo, già<br />
ministro per l'Ambiente in Italia: «Non dovrebbe essere<br />
necessario spie-<br />
71
gare per quale ragione migliorare la qualità <strong>della</strong> scuola o dei<br />
servizi sanitari, oppure incoraggiare la partecipazione a eventi<br />
culturali, sia più importante, nell'ottica del benessere collettivo,<br />
di promuovere la diffusione di telefoni cellulari sempre più<br />
sofisticati o di motociclette sempre più potenti» 16.<br />
Questa riconquista del <strong>tempo</strong> «libero» è una condizione<br />
necessaria per la decolonizzazione dell'immaginario. Riguarda gli<br />
operai, i lavoratori dipendenti, ma anche i quadri intermedi<br />
stressati, gli imprenditori incalzati dalla concorrenza, i liberi<br />
professionisti stretti nella morsa <strong>della</strong> compulsione alla crescita.<br />
Da avversari possono convertirsi in alleati nella costruzione di<br />
una società <strong>della</strong> decrescita. Liberarsi dalla schiavitù volontaria è<br />
probabilmente il mezzo migliore per liberarsi dalla schiavitù<br />
involontaria imposta dal sistema.<br />
3. Ridurre le distanze, ritrovare la lentezza<br />
Negli anni Novanta del secolo scorso, due ricercatori<br />
universitari canadesi, Mathis Wackernagel e William Rees, erano<br />
arrivati a definire il primo indicatore ambientale incentrato sui<br />
rapporti tra uomo e natura: l'impronta ecologica. <strong>Il</strong> principio era<br />
semplice: si trattava di mettere in relazione la superficie di un<br />
territorio naturale e i bisogni dei suoi abitanti. Tutto quello di cui<br />
necessitiamo per vivere (ciò che produciamo, consumiamo,<br />
buttiamo via) si traduce nell'uso di una certa quantità di terra:<br />
campo di grano per nutrirci, campo di cotone per vestirci, boschi<br />
per riscaldarci e riciclare l'anidride carbonica emessa dalle<br />
nostre vet-<br />
72
ture ecc. La superficie «bioproduttiva» media disponibile per<br />
ogni persona nel mondo era allora di 1,8 ettari, ma erano<br />
evidenti notevoli disparità regionali. L'impronta ecologica di un<br />
americano era di 9,6 ettari, quella di un francese di 5,26, quella di<br />
un africano o di un asiatico di 1,4 17. Pertanto, se le società umane<br />
adottassero lo stile di vita americano, non negoziabile secondo<br />
l'opinione degli ex presidenti Bush padre e figlio, l'umanità<br />
avrebbe bisogno di cinque pianeti 18. In altri termini, se le<br />
popolazioni del Nord possono aumentare spudoratamente la<br />
propria produzione e i propri consumi, consumando le riserve<br />
del pianeta, ciò è possibile solo grazie alle più frugali popolazioni<br />
del Sud. Oggi le cose sono peggiorate. Stando alle ultime cifre<br />
disponibili, che si basano sulle statistiche del 2005, noi abbiamo<br />
oltrepassato le capacità di rigenerazione del pianeta del 30-40%.<br />
Com'è possibile? Perché, come il figliol prodigo <strong>della</strong> Bibbia, noi<br />
per vivere consumiamo il patrimonio e non solo il reddito. E così<br />
in un anno bruciamo l'equivalente di quello che la fotosintesi<br />
sull'insieme <strong>della</strong> sfera terrestre produce in centomila anni!<br />
Perché la Francia ritrovi un livello sostenibile è ormai<br />
necessaria una riduzione dell'impatto di circa il 75%. Come<br />
possiamo farlo senza tornare all'età <strong>della</strong> pietra? Se riflettiamo<br />
sul fatto che l'impennata <strong>della</strong> nostra impronta ecologica risale<br />
soltanto agli anni Sessanta del Novecento, che non sono proprio<br />
il neolitico, ci possiamo facilmente rendere conto che non si<br />
tratta tanto di tirare la cinghia quanto di produrre in modo<br />
diverso.<br />
Una contrazione massiccia dei consumi intermedi in senso<br />
lato (trasporti, energia), che sono esplosi con<br />
73
la globalizzazione, permetterebbe di conservare i consumi finali<br />
a un livello soddisfacente. La priorità va data ai circuiti brevi di<br />
distribuzione, alla rilocalizzazione delle attività produttive e<br />
soprattutto al ripristino di un'agricoltura contadina. La<br />
rivitalizzazione dell'economia locale esige una drastica riduzione<br />
dei trasporti internazionali. Pensiamo a un vasetto di yogurt alla<br />
fragola che, invece di percorrere 9.115 chilometri per arrivare<br />
sulla nostra tavola, potrebbe essere preparato nella nostra<br />
cucina, proprio come facevano le nostre nonne! I gamberetti<br />
danesi sono spediti nel Maghreb per essere sgusciati da mani<br />
«esperte», e soprattutto meno costose, prima di risalire<br />
nell'Europa del nord e tornare nei suoi mercati. Frutta e verdura<br />
prodotte in coltivazioni idroponiche o in serra, nella regione di<br />
Almería in Spagna, ricevono le cure e i trattamenti chimici da una<br />
manodopera straniera sfruttata come poteva esserlo il<br />
proletariato industriale nel diciannovesimo secolo. Un vestito,<br />
per essere confezionato, attraversa normalmente una decina di<br />
paesi e sessantamila chilometri, lasciando lungo la strada<br />
inquinamenti di ogni sorta. <strong>Il</strong> problema è che il trasporto<br />
marittimo ha un costo quasi nullo e perfino il trasporto su<br />
gomma attraverso tutta l'Europa rappresenta una percentuale<br />
infima del prezzo delle derrate che ritroviamo tutto l'anno nei<br />
nostri piatti.<br />
«Un vasetto di yogurt alla fragola<br />
percorre 9.115 chilometri<br />
per arrivare sulla nostra tavola»<br />
74
La globalizzazione ha trasformato il regime alimentare dei<br />
consumatori meno avveduti, più disattenti o semplicemente<br />
sedotti dalle apparenze, ben contenti di consumare fuori<br />
stagione frutti e ortaggi di bell'aspetto (ma spesso insipidi e<br />
velenosi) provenienti dall'estremo opposto del pianeta. Tutto<br />
questo è sensato e necessario?<br />
Uno scambio conviviale di frutta e verdura, fondato su un<br />
impegno reciproco tra attori economici caratterizza l’AMAP<br />
(Association pour le mantien d'une agriculture paysanne), creata<br />
in Francia nel 2001. Ma le prime forme associative di questo<br />
genere sono nate in Giappone nel 1971, con il nome di Teikei 19. È<br />
un'idea pratica che ha spinto produttori e consumatori ad<br />
allearsi, unirsi e collegarsi. In quello stesso periodo, in Svizzera,<br />
alcune fattorie comunitarie hanno sviluppato un'identica<br />
interazione. <strong>Il</strong> concetto ha raggiunto dapprima gli Stati Uniti e il<br />
Canada, e poi la Francia. Una produzione locale (entro un raggio<br />
di cento chilometri), stagionale, fresca, tradizionale, agroecologica<br />
può rimpiazzare ottimamente l'offerta essenzialmente<br />
commerciale <strong>della</strong> grande distribuzione, spesso poco scrupolosa<br />
verso i piccoli produttori. Le AMAP permettono non solo il<br />
radicamento in aree periurbane di un'economia sociale solidale,<br />
ma anche l'attività di giovani agricoltori che vogliono sottrarsi<br />
alle dubbie tentazioni dell'agro industria e nello stesso <strong>tempo</strong><br />
conservare o riconquistare un'attività agricola. La parola<br />
d'ordine dell'associazione dei consumatori italiani collegati a<br />
Slow Food è «chilometro zero» 20. Ed effettivamente occorre<br />
orientarsi verso consumi senza trasporto, a zero emissioni di gas<br />
serra, zero rifiuti e, a conti fatti, zero stress.<br />
75
Rifiuto del produttivismo, riterritorializzazione dell'attività e<br />
priorità ai circuiti a breve raggio restituiscono alle persone una<br />
prevalenza su quelle macchine superpotenti, fortemente<br />
inquinanti, la cui energia è entrata con tutto il suo peso in<br />
concorrenza con il lavoro umano. Questa nuova prospettiva apre<br />
a una critica <strong>della</strong> crescita ossessiva dei rendimenti agricoli e, più<br />
in generale, degli aumenti di produttività. Notiamo per inciso che<br />
quei rendimenti in realtà da vari decenni sono in calo, a causa<br />
dell'esaurimento dei terreni legato all'uso eccessivo di<br />
fertilizzanti chimici che distruggono la materia organica del<br />
suolo.<br />
«Le AMAP permettono il radicamento<br />
di un'economia sociale solidale»<br />
Secondo gli economisti, una relazione naturale lega<br />
produttività, crescita <strong>della</strong> produzione e occupazione. Senza<br />
produttività non c'è crescita, e senza crescita non c'è<br />
occupazione. È tuttavia immaginabile, anzi auspicabile, la<br />
creazione di posti di lavoro senza crescita e di conseguenza la<br />
riduzione delle esternalità negative (inquinamento dell'aria, del<br />
suolo e dell'acqua in primo luogo), sacrificando l'apparente<br />
produttività.<br />
In Francia, l'eccessiva meccanizzazione dell'agricoltura ha<br />
prodotto effetti perversi. Per esempio, ha fatto precipitare il<br />
numero degli occupati in agricoltura: nel 1962 si contavano<br />
ancora tre milioni di agricoltori, alla svolta del millennio ne<br />
restavano seicentomila. Oggi in Europa ogni tre minuti scompare<br />
un'azienda agricola. Un ritorno alle campagne sarà possibile se si<br />
76
iduce la produttività del lavoro agricolo, com'è probabile con la<br />
fine del petrolio a basso costo. La sostituzione di un'agricoltura<br />
industriale con una contadina, molto più ricca di posti di lavoro,<br />
orientata esclusivamente verso i mercati di prossimità, può<br />
diventare il nuovo modello capace di ispirare i produttori del<br />
Nord come quelli del Sud. Davanti alle ripetute crisi alimentari<br />
che infuriano in un notevole numero di paesi dell'Africa e<br />
dell'Asia, la FAO ha finito per riconoscere il ruolo determinante<br />
dell'agricoltura contadina e familiare nel ristabilire la sovranità<br />
alimentare, questo diritto fondamentale di tutti i popoli davanti<br />
al capitalismo globalizzato e predatore.<br />
Liberarsi dall'ossessione degli aumenti di produttività: è<br />
questa ormai una delle missioni dell'obiettore di crescita. Si<br />
tratta di una strategia che non deve limitarsi al mondo agricolo.<br />
Bisogna infatti produrre anche beni industriali guidati dallo<br />
stesso imperativo. Dato che la più grande concorrente del lavoro<br />
è stata l'energia, un'economia improntata alla frugalità sarà in<br />
grado di ricreare possibilità lavorative manuali e locali.<br />
L'impiego delle energie fossili ha messo a disposizione degli<br />
occidentali, mediamente, l'equivalente di qualcosa tra i cinquanta<br />
e i cento schiavi a persona. L'ingegnosità tecnica non sarà mai in<br />
grado di compensare gli effetti di questa predazione.<br />
<strong>Il</strong> terziario, da parte sua, è diventato il principale<br />
procacciatore di nuove attività. E non è ragionevole farlo<br />
sottostare a criteri produttivistici. A meno che non si sia<br />
posseduti dal demone dell'ideologia liberale, si può anche solo<br />
immaginare che un medico, un'infermiera, un insegnante, un<br />
paramedico, un artista possano migliorare la qualità delle loro<br />
prestazioni ri-<br />
77
ducendone il <strong>tempo</strong>? I servizi di prossimità hanno senso solo se<br />
sono erogati con cura e attenzione, e la loro lentezza, lungi dal<br />
rivelare una presunta irrilevanza, ne mette al contrario in luce<br />
tutta l'importanza. Qualche scorbutico potrebbe denunciare il<br />
carattere impopolare di queste modalità a causa del costo<br />
elevato, in un primo <strong>tempo</strong>, di quei prodotti che si sono affrancati<br />
dalla logica produttivistica e tecnicista. Ma nulla impedisce allo<br />
Stato di manifestare la propria presenza dando sostegno a coloro<br />
il cui reddito rimanga disperatamente insufficiente. L'ecologia<br />
non è «roba da ricchi»!<br />
La modernità, traviata dall'ideologia <strong>della</strong> crescita, non poteva<br />
che apparentarsi alla velocità, sinonimo di autorità, audacia,<br />
progresso, prestazioni, record, controllo del <strong>tempo</strong> e dello spazio.<br />
La macchina economica planetaria è andata avanti a un ritmo<br />
infernale, con un processo irreversibile nel quale si sono<br />
integrati solo i più adatti a sostenerlo. I sognatori, gli indolenti, i<br />
flemmatici, gli incuranti, i moderati, gli ingenui non<br />
completamente sottomessi alla forza delle cose, ma anche i più<br />
fragili, hanno cercato un posto per sé e alcuni di loro si sono<br />
ritrovati, senza sapere come, al bordo <strong>della</strong> strada. Adesso è il<br />
momento di riaffermare la buona reputazione <strong>della</strong> lentezza. Non<br />
sarebbe affatto assurdo riproporre quella flânerie combattuta da<br />
Taylor. La scomparsa dei «tempi morti» è in realtà la morte del<br />
<strong>tempo</strong>.<br />
«L'ecologia non è ‘roba da ricchi’! »<br />
78
<strong>Il</strong> movimento Slow Food, già citato, mira appunto a prendere<br />
in contropiede questa ossessione <strong>della</strong> velocità e <strong>della</strong><br />
ristorazione rapida (fast food). Occuparsi di gastronomia può<br />
sconcertare, in quanto questa disciplina sembra ispirare attori<br />
sociali che amano distinguersi. Invece mangiare è diventato «un<br />
atto agricolo» 21, ovvero un atto politico. Interrogarsi sul<br />
contenuto del proprio piatto rivela certo una decisa inclinazione<br />
per i piaceri del palato, ma anche un interesse evidente per<br />
«tutto ciò che ha un rapporto con l'uomo», perché la gastronomia<br />
tocca tutti gli aspetti <strong>della</strong> vita sociale. Un gastronomo che non<br />
sia anche un ecologista è un imbecille, ma un ecologista che non è<br />
un gastronomo è un triste figuro, come ama ripetere Carlo<br />
Petrini, l'inventore dello slow food. «Ci saranno alimenti buoni<br />
quando tutti i consumatori, ricchi o poveri, saranno diventati<br />
degli intenditori ed esigeranno la qualità», diceva già Charles<br />
Fourier. «L'umanità deve essere gastronoma prima di diventare<br />
agronoma» 22.<br />
Lo sappiamo da <strong>tempo</strong>: i metodi scandalosi <strong>della</strong> produzione<br />
agricola intensiva hanno tolto ogni sapore ai cibi e trasformato<br />
certi alimenti in prodotti tossici. I membri di Slow Food, armati<br />
di robuste convinzioni ecologiche, sono schierati contro<br />
l'alimentazione industriale e l'uniformazione culturale indotte<br />
dalla globalizzazione (non si parla forse di cocacolonizzazione o<br />
ancora di macdonaldizzazione, ovvero di una colonizzazione<br />
culturale orchestrata dalle grandi aziende transnazionali?), e<br />
invece si battono per la salvaguardia <strong>della</strong> biodiversità, per la<br />
sovranità alimentare e per il rispetto delle differenze culturali.<br />
Vero e proprio manifesto contro la follia <strong>della</strong> velocità e del<br />
produttivi-<br />
79
smo, questo movimento autenticamente sociale, cui aderiscono<br />
consumatori «co-produttori» attenti alle condizioni in cui<br />
vengono prodotti gli alimenti, che assaporano a fondo e<br />
lentamente, può vantaggiosamente condividere il cammino con i<br />
partigiani di una decrescita serena e conviviale.<br />
4. Ritrovare il locale<br />
L'autonomia economica locale implica la necessità di<br />
orientarsi non solo verso la ricerca dell'autosufficienza<br />
alimentare ed energetica, ma anche verso un'autonomia<br />
finanziaria che permetta la realizzazione di progetti locali in<br />
ambito artigianale, industriale e dei servizi. Per questo è<br />
necessario riappropriarsi progressivamente del denaro, il quale<br />
deve servire e non asservire. Occorre impegnarsi per inventare<br />
una vera politica monetaria locale. Per conservare il potere<br />
d'acquisto degli abitanti, i flussi monetari dovranno restare il più<br />
possibile all'interno <strong>della</strong> regione, proprio come dovranno essere<br />
prese il più possibile a livello regionale anche le decisioni<br />
economiche.<br />
«Occorre impegnarsi per inventare una<br />
vera politica monetaria locale»<br />
Parola di esperto (nella fattispecie, uno degli inventori dell'euro):<br />
«Incoraggiare lo sviluppo locale o regionale conservando il<br />
monopolio <strong>della</strong> moneta nazionale è come cercare di<br />
disintossicare un alcolizzato<br />
80
con il gin» 23. <strong>Il</strong> ruolo delle monete locali, sociali o complementari<br />
è di mettere in relazione i bisogni insoddisfatti con risorse che<br />
altrimenti resterebbero non sfruttate. Una moneta<br />
complementare permette di mobilizzare beni disponibili, che<br />
senza di questa rimarrebbero inutilizzati, per soddisfare una<br />
domanda non solvibile. È il caso, per esempio, dei posti rimasti<br />
invenduti negli alberghi, nella ristorazione e nei trasporti.<br />
Lo sviluppo di monete alternative, locali, bioregionali,<br />
complementari (con varie formule da sperimentare e adattare:<br />
credito mutuo a rotazione, tasso di interesse negativo... )<br />
rappresenta una leva potente per la rilocalizzazione, cioè<br />
riappropriarsi del territorio in cui si vive, riabitare il mondo 24<br />
per reagire ai nonluoghi, ai fuori-posto e fuori-<strong>tempo</strong> del<br />
produttivismo globalizzato.<br />
La scala adeguata per un sistema monetario regionale si<br />
colloca in una forbice tra diecimila e un milione di persone, che<br />
corrisponde a una bioregione (o a una ecoregione) e rappresenta<br />
un punto di equilibrio tra resistenza e resilienza. L'efficienza<br />
comporta una centralizzazione per beneficiare delle economie di<br />
scala (ma con il rischio di fragilità dovuto alla monofunzionalità e<br />
all'iperspecializzazione), mentre la resilienza (la capacità di<br />
adattarsi al cambiamento) presuppone una scala ridotta e la<br />
multifunzionalità. La diversità necessaria per la resilienza degli<br />
ecosistemi (naturali o umani) implica una certa<br />
«frammentazione degli spazi». Nell'immediato, per stroncare la<br />
crisi e rimediare alla proliferazione finanziaria, converrebbe<br />
rimettere barriere al mercato finanziario mondiale e<br />
riframmentare gli spazi monetari. Per questo occorrerebbe<br />
81
delimitare rigorosamente le attività delle banche e <strong>della</strong> finanza e<br />
fare, senza complessi, qualche passo indietro, per esempio<br />
riguardo alla trasformazione in valori mobiliari dei crediti<br />
(cartolarizzazione) o all'eccesso degli effetti di leverage<br />
(aumentando i tassi di copertura) 25. E molto probabile che sia<br />
necessario sopprimere i mercati a termine e ritornare a sistemi<br />
più classici di assicurazione delle attività di import-export (le cui<br />
operazioni, d'altra parte, dovrebbero essere ricondotte a livelli<br />
più ragionevoli dalla necessaria messa in discussione degli<br />
eccessi del libero scambio e <strong>della</strong> rilocalizzazione).<br />
Ma riappropriarsi del denaro significa anche riacquistare una<br />
certa padronanza sul <strong>tempo</strong>, allentando la morsa nella quale<br />
l'ossessione del suo prezzo imprigiona la nostra vita.<br />
Riappropriarsi <strong>della</strong> moneta comporta forse riscoprire<br />
consapevolmente qualche cosa delle sue origini. Secondo<br />
l'antropologo William S. Desmonde, infatti, la moneta primitiva<br />
«simbolizzava la reciprocità tra le persone, era ciò che le legava<br />
emotivamente alla comunità. La moneta era in origine un<br />
simbolo <strong>della</strong> loro anima» 26.<br />
«Riappropriarsi del denaro significa anche<br />
riacquistare una certa padronanza sul <strong>tempo</strong>»<br />
Ci sono state diverse esperienze in questa direzione che<br />
vanno estese e alle quali occorre ispirarsi. Si sono visti circolare i<br />
creditos argentini in occasione <strong>della</strong> grave crisi monetaria del<br />
decennio 2000. Queste mo-<br />
82
nete complementari, che si sono sostituite al peso in caduta<br />
libera, hanno permesso a più di sei milioni di persone, per lo più<br />
povere, di effettuare gli scambi quotidiani e assicurarsi la<br />
sopravvivenza. È stato così possibile rimettere in movimento le<br />
capacità inutilizzate dei singoli a vantaggio di tutti.<br />
In Baviera, un'iniziativa identica, avviata in un clima più<br />
tranquillo, ha compattato una comunità regionale che aspirava a<br />
superare, grazie all'aiuto reciproco e al mutuo sostegno, le<br />
fragilità economiche provocate del commercio globale. <strong>Il</strong><br />
chiemgauer 27, in un primo <strong>tempo</strong> emesso da studenti liceali sotto<br />
la supervisione dei loro insegnanti, si è poi esteso a tutta la<br />
regione e ha cominciato a circolare allegramente di mano in<br />
mano a un ritmo addirittura più sostenuto dell'euro (+ 30%),<br />
anche perché «penalizzato» se non utilizzato a breve. Infatti, un<br />
buono d'acquisto espresso in chiemgauer è valido per tre mesi,<br />
dopodiché scade e perde il 2% del suo valore nominale. Per<br />
circolare nuovamente, gli deve essere apposto un timbro che lo<br />
convalida per un altro trimestre. Quella leggera perdita di valore<br />
spinge il proprietario a utilizzarlo anziché cercare di risparmiare.<br />
<strong>Il</strong> piccolo commercio e l'artigianato smaltiscono così localmente i<br />
propri prodotti, grazie a questo mercato limitato, e resistono alla<br />
potenza devastante delle multinazionali.<br />
Nella città inglese di Gloucester, dal 1998 una banca del<br />
<strong>tempo</strong> ripara ai disastri provocati dalla politica ultraliberale di<br />
Margaret Thatcher. Per esempio, alcune ore di presenza accanto<br />
a una persona anziana possono essere scambiate con lavori<br />
domestici. «Ciò che se ne va, ritorna!». Così, una rete civica<br />
collega famiglie monoparentali, pensionati, carcerati, disabili,<br />
83
minorati mentali. All'individualismo, alla corsa per i primi posti<br />
coltivata dal governo conservatore, sono seguite la fiducia e la<br />
convivialità, in grado di reinventare le comunità di un <strong>tempo</strong>. E si<br />
superano le contraddizioni del sistema monetario ufficiale: il<br />
<strong>tempo</strong> vale più del denaro! E le competenze umane, illimitate,<br />
ritrovano uno spazio di scelta.<br />
I sistemi locali di scambio funzionano secondo un principio<br />
analogo, perché è possibile scambiare i lavori di ristrutturazione<br />
di un appartamento con il baby-sitting, la confezione di abiti, o<br />
anche corsi di lingue, massaggi, prestito di attrezzi per<br />
l'orticoltura... Ricompare la trilogia del dono: il triplice obbligo di<br />
donare, ricevere e rendere che, secondo l'antropologo Marcel<br />
Mauss, è alla base di ogni vita sociale. Una forma di debito<br />
simbolico collega così i diversi soggetti, che insieme costruiscono<br />
una storia comune, e la moneta («gettoni», «noci di cocco»,<br />
«passeri», «ranocchie» ... ) è solo un mezzo di scambio stimato di<br />
volta in volta, essendo più rare le banche del <strong>tempo</strong> egualitarie<br />
(un'ora di stiratura contro un'ora di lezione di inglese, per<br />
esempio).<br />
La ricchezza di cui si parla qui non è per nulla assimilabile a<br />
quella che i contabili fanno abitualmente rientrare nel PIL.<br />
Ognuno apporta la propria disponibilità, il proprio dinamismo, la<br />
propria creatività. La propria generosità. E se l'indebitamento<br />
non è seguito da un'offerta in compensazione, il colpevole si<br />
espone logicamente alla riprovazione degli altri. Questa<br />
alternativa evidenzia l'importanza del sociale, incoraggia la<br />
produzione locale in un contesto allo stesso <strong>tempo</strong> legale e<br />
informale, e pone limiti alla pressione sull'ambiente.<br />
84
Le esperienze alternative di economia solidale, parallela,<br />
plurale, sociale, ovvero esterne allo stretto ambito economico (e<br />
in grado, al limite, di coinvolgere l'intera vita associativa), sono<br />
innumerevoli. Si potrebbero anche citare le reti di scambio dei<br />
saperi, gli orti familiari, quelli condivisi, le Mense del cuore e<br />
quelle di Emmaus, l'esperienza di Ithaca e del time dollar, o<br />
quella <strong>della</strong> banca svizzera WIR che opera da settant'anni come<br />
ammortizzatore delle crisi finanziarie e monetarie, ma tutto<br />
questo rientra più o meno nel vasto campo <strong>della</strong> filantropia.<br />
«Le esperienze alternative di economia<br />
solidale sono innumerevoli»<br />
Più rare, e perciò più significative, sono invece le esperienze<br />
che riguardano vere e proprie aziende di produzione.<br />
Ricordiamone due 28. La società cooperativa di produzione<br />
Ardelaine, con sede a Saint-Pierre-ville in Ardèche, e la società<br />
anonima a partecipazione operaia Ambiance Bois, situata<br />
nell'altopiano di Millevaches, sono da molti anni la<br />
dimostrazione di una riscossa dell'economia locale, che va di pari<br />
passo con quel «vivere e lavorare in un altro modo» ben noto ai<br />
movimenti alternativi. Ardelaine produce materassi e piumoni,<br />
ma anche una gamma completa di indumenti per adulti e<br />
bambini in pura lana. Ambiance Bois propone materiali durevoli<br />
e salubri nel settore dei rivestimenti in legno, dei parquet, <strong>della</strong><br />
falegnameria in generale. Queste due aziende pongono l'accento<br />
su una gestione collettiva e trasparente <strong>della</strong><br />
85
propria attività e mettono sullo stesso piano il capitale e il lavoro.<br />
La scala salariare è ridotta all'espressione più semplice, ovvero<br />
l'orario di lavoro, deciso liberamente; il che consente<br />
un'organizzazione autonoma <strong>della</strong> sfera privata e la possibilità di<br />
un impegno civile nella vita locale, municipale o associativa.<br />
In Ardèche o nella Creuse, tutte le fasi <strong>della</strong> filiera di<br />
produzione sono gestite in modo diretto, si stringono solidi<br />
legami con gli allevatori del dipartimento o le cooperative<br />
forestali regionali e si dà, fin dall'avvio dei progetti,<br />
un'attenzione prioritaria al rispetto per le norme ambientali.<br />
L'economia e la moneta si pongono al servizio dell'uomo, che<br />
così non è più completamente soggetto alla spaventosa logica del<br />
profitto.<br />
5. <strong>Il</strong> <strong>tempo</strong> a ritroso<br />
Una delle critiche più comuni rivolte ai fautori <strong>della</strong> decrescita<br />
li accusa di voler far tornare l'umanità, a scelta, all'età delle<br />
caverne, all'epoca <strong>della</strong> candela o ai tempi bui del Medio Evo.<br />
Chiariamo bene: l'arretramento di certi consumi e di certe<br />
produzioni è indispensabile. Ma si tratta di una ritirata o di un<br />
ripiego tattico? Chi sta davanti e chi sta dietro? Quando un<br />
plotone si trova davanti a una strada sbarrata e deve fare<br />
un'inversione a U, la retroguardia si trova improvvisamente in<br />
prima fila... Non si tratta tanto di percorrere in senso inverso il<br />
cammino forzato <strong>della</strong> crescita illimitata, quanto di inventarsi un<br />
altrove. Se ci si svincola dalla concezione lineare del <strong>tempo</strong>, non<br />
ci sono più solo un avanti e un indietro, ma anche tutte le altre<br />
direzioni. In ogni modo, ritrovare un impronta<br />
86
ecologica sostenibile, come si è visto, riporterebbe la Francia,<br />
ceteris paribus, al livello degli anni Sessanta, che non era<br />
certamente quello dell'età <strong>della</strong> pietra...<br />
Ma la questione non sta qui: è piuttosto quella <strong>della</strong> filosofia<br />
sottesa al progetto. Noi lo inscriviamo completamente nella<br />
tradizione dell'<strong>Il</strong>luminismo, richiamandoci a quanto di meglio (e<br />
non di peggio) ha espresso, ovvero l'emancipazione dell'umanità<br />
e la realizzazione di una società autonoma. Certo, è necessario<br />
fare un inventario critico <strong>della</strong> modernità. <strong>Il</strong> progetto illuminista<br />
aveva in sé una pericolosa ambivalenza. Se da un lato mirava ad<br />
affrancare l'uomo dalla sudditanza nei confronti <strong>della</strong><br />
trascendenza, <strong>della</strong> tradizione e <strong>della</strong> rivelazione, numi tutelari<br />
dell'Ancien Régime, uno dei mezzi che usava per farlo era la<br />
volontà di dominare razionalmente la natura attraverso<br />
l'economia e la tecnica. È così che la società moderna è diventata<br />
la società più eteronoma <strong>della</strong> storia, soggetta alla dittatura dei<br />
mercati finanziari e alla mano invisibile dell'economia, come alle<br />
leggi <strong>della</strong> tecnoscienza. Questa artificializzazione del mondo è<br />
addirittura arrivata a compromettere l'identità dell'umano.<br />
L'esito di questo progetto di autonomia segnato da una fuga in<br />
avanti di tipo tecnoscientifico si è infatti risolto in una perdita di<br />
identità da parte dell'uomo stesso sfociata nel transumanismo. Si<br />
è arrivati a pensare di potersi affrancare dai vincoli propri al<br />
nostro condizionamento genetico. Ma perché voler oltrepassare<br />
le barriere biologiche che ci limitano, se non per un rifiuto <strong>della</strong><br />
stessa condizione umana? Un tale progetto tecnoeconomico si<br />
basa sulla visione pessimista <strong>della</strong> natura umana, vista come<br />
peccatrice e dominata dalle passioni tristi <strong>della</strong> tradizione<br />
agostiniana, che rifiuta l'a-<br />
87
nimalità dell'uomo e dubita del potere <strong>della</strong> ragione. A conti fatti,<br />
quella che l'ideologia del progresso propone è una vera e propria<br />
redenzione attraverso la tecnica. Nello stesso <strong>tempo</strong>, però,<br />
questo rifiuto <strong>della</strong> condizione umana è un'abdicazione e una<br />
sottomissione ai diktat delle prestazioni tecnoscientifiche. E<br />
quella volontà di potenza già individuata traspare ancora oggi<br />
nel rifiuto del dibattito democratico sulla ricerca scientifica e<br />
tecnica.<br />
La decrescita intende riprendere con rinnovato vigore il<br />
programma di emancipazione politica <strong>della</strong> modernità,<br />
affrontando tutte le difficoltà poste dalla sua realizzazione.<br />
Un'esperienza autenticamente democratica instaura infatti<br />
un'esperienza <strong>della</strong> trascendenza dell'uomo nell'uomo che<br />
permette di uscire dalle aporie dell'egualitarismo.<br />
«La decrescita intende riprendere<br />
con rinnovato vigore il programma<br />
di emancipazione politica <strong>della</strong><br />
modernità»<br />
Se la decrescita e il progetto di costruzione di una società<br />
autonoma possono realizzare il sogno di emancipazione<br />
dell'<strong>Il</strong>luminismo e <strong>della</strong> modernità, che rimane un contributo<br />
fondamentale <strong>della</strong> cultura occidentale, questo non potrà<br />
avvenire negando la nostra inclusione nella natura e il nostro<br />
radicamento nella storia, ma al contrario assumendo il duplice<br />
lascito <strong>della</strong> nostra naturalità e <strong>della</strong> nostra storicità. Siamo<br />
completamente partecipi <strong>della</strong> natura, dalla quale<br />
88
siamo generati e nella quale viviamo. Pur vivendo nella natura e<br />
<strong>della</strong> natura, abbiamo tuttavia la particolarità di potercela<br />
rappresentare e di poterci rappresentare la nostra vita come<br />
un'avventura che si svolge nel <strong>tempo</strong>. Siamo dunque costruiti<br />
dalla storia che noi stessi creiamo. Negare l'evidenza dei limiti<br />
fisici, dimenticare la terra, il acqua, il clima, la funzione<br />
insostituibile delle api e, più in generale, <strong>della</strong> biodiversità: ecco<br />
che cosa fanno gli economisti. <strong>Il</strong> guaio è che ormai siamo<br />
diventati, più o meno, tutti economisti.<br />
La decolonizzazione dell'immaginario passa anche dallo<br />
sguardo diverso che rivolgiamo ai «poveri» del Sud. È <strong>tempo</strong> di<br />
considerare che da molti punti di vista le comunità resistenti<br />
dell'Africa e <strong>della</strong> Papuasia non sono in ritardo, ma in anticipo, e<br />
che dobbiamo ascoltarle per ridare senso alle nostre società alla<br />
deriva. Dobbiamo recuperare quella «potenza dei poveri», quella<br />
capacità di autonomia che viene dall'energia interiore 29. L'<br />
ignoranza, l'indifferenza, la noncuranza, la superficialità sono le<br />
modalità che servono a preservare l'ideologia <strong>della</strong> crescita, e<br />
così facendo noi ci assumiamo il rischio di vivere tragicamente<br />
una catastrofe ecologica e sociale avviata da vari decenni.<br />
Occorrerà disfarsi dell'impronta economica per non dimenticare<br />
la nostra impronta ecologica.<br />
«Non possiamo più venerare la santa<br />
crescita ‘facendo come se’»<br />
Non possiamo più riprodurre all'infinito il nostro modello di<br />
consumo e di produzione, «facendo come<br />
89
se» l'inquinamento di ogni genere non fosse che una proiezione<br />
mentale e lo sconvolgimento climatico uno spot elettorale. Non<br />
possiamo più continuare a produrre aerei, automobili, centrali<br />
nucleari, «facendo come se» le riserve di petrolio e di uranio<br />
fossero inesauribili. Non possiamo più credere ciecamente nella<br />
tecnoscienza, «facendo come se» i ricercatori fossero in grado,<br />
prima o poi, di trovare, al riparo dai giochi politici ed economici,<br />
soluzioni miracolose e senza rischi a fronte di problemi sempre<br />
più complessi. Non possiamo più venerare la santa crescita,<br />
«facendo come se» grazie a lei scomparissero una volta per tutte<br />
la disoccupazione, la precarietà, la disuguaglianza. Non possiamo<br />
più continuare ad arricchirci, noi popoli del Nord, «facendo come<br />
se» i popoli del Sud potessero seguire le nostre orme, mentre si<br />
allarga il gap tra noi e loro e il Nord si arricchisce a spese del Sud,<br />
approfittando soprattutto del rimborso del debito. Non possiamo<br />
più ignorare e sottrarci al dibattito politico, dimenticare<br />
l'urgenza di una riappropriazione delle sfide democratiche,<br />
«facendo come se» l'impegno civile e responsabile fosse una<br />
faccenda riservata agli eletti.<br />
Note al capitolo<br />
1. Pierre-Joseph Proudhon, La Guerre et la Paix, tome II, pp. 145-148, citato da<br />
Eugène Fournière, 1904, e ripreso nella «Revue du Mauss», n. 31, 1°semestre<br />
2008, p. 88.<br />
2. Cochet, Antimanuel d’ écologie, cit., p. 247.<br />
3. Ivan <strong>Il</strong>lich, Énergie et équité, Seuil, Paris, 1977 (trad. it.: Elogio <strong>della</strong> bicicletta,<br />
Bollati Boringhieri, Torino, 2006); Jean-Pierre Dupuy, La Trahison de l’opulence,<br />
PUF, Paris, 1976.<br />
90
4. <strong>Il</strong>lich, Énergie et équité, cit., p. 80.<br />
5. Gorz, Écologie et liberté, cit., p. 86. 6. Vedi Jean-François Draperi, Godin,<br />
inventeur de l'économie sociale, Editions Repas, Valence, 2008.<br />
7. «La Décroissance», n. 39, maggio 2007.<br />
8. Carlo Petrini, Militants de la gastronomie, «Le Monde diplomatique», luglio<br />
2006. Dello stesso autore vedi anche Slow Food Revolution. Da Arcigola a Terra<br />
Madre. Una nuova cultura del cibo e <strong>della</strong> vita, Rizzoli, Milano, 2005.<br />
9. Celebre grazie al film Nos enfants nous accuseront di Jean-Paul Jaud.<br />
10. Rob Hopkins, The Transition Handbook. From Oil Dependancy to Local<br />
Resilience, Green Books, Dartington, 2008.<br />
11. Murray Bookchin, Pour un municipalisme libertaire, Atelier de création<br />
libertaire, Lyon, 2003 (ediz. it.: Democrazia diretta, Elèuthera, Milano, 1993).<br />
12. Richard Heinberg, Peak Everything, New Society Publishers, 2007, citato da<br />
Cochet, Antimanuel d 'écologie, cit., p. 229.<br />
13. «<strong>Il</strong> consumo di televisione rappresenta l'occupazione più importante del<br />
<strong>tempo</strong> libero nel mondo, con una media di 217 minuti in Europa occidentale e<br />
di 290 minuti negli Stati Uniti». Luigino Brini, La ferita dell'altro. Economia e<br />
relazioni umane, <strong>Il</strong> Margine, Trento, 2007, p. 172.<br />
14. Si veda l'esperienza del PADES (Programme autoproduction et<br />
développement social), Autoproduire pour se reconstruire, «Silence», n. 360,<br />
settembre 2008.<br />
15. François Flahaut, Le Crépuscule de Prométhée. Contribution à une histoire de<br />
la démesure humaine, Mille et une nuits, Paris, 2008, p. 262.<br />
16. Giorgio Ruffolo, <strong>Il</strong> capitalismo ha i secoli contati, Einaudi, Torino, 2008, p.<br />
206.<br />
17. L'evoluzione e il perfezionamento dei calcoli hanno modificato queste cifre,<br />
ma non in modo significativo.<br />
91
18. Vedi Jean Gadrey, Florence Jany-Catrice, Les Nouveaux indicateurs de<br />
richesse, La Découverte, Paris, 2005, p. 69 (trad. it.: No PIL! Contro la dittatura<br />
<strong>della</strong> ricchezza, Castelvecchi, Roma, 2005).<br />
19. A Kobe, in Giappone, nei primi anni Settanta un gruppo di donne che voleva<br />
alimentarsi con cibo non contaminato da sostanze chimiche e che assisteva<br />
all'aumento considerevole delle importazioni di prodotti alimentari dall'estero,<br />
con la conseguente chiusura delle fattorie locali, decise di costituire<br />
un'associazione che unisse ricercatori agrari, contadini e acquirenti per creare<br />
una distribuzione che dalle campagne rifornisse direttamente le città. Questo<br />
movimento prese inizialmente il nome di Teikei, una parola che in giapponese<br />
significa pressappoco «il cibo che porta la faccia dell'agricoltore». II successo fu<br />
tale che in pochi anni l'iniziativa associò oltre milletrecento persone. Oggi<br />
questo movimento, che ha preso il nome di JOAA (Japanese Organic Agriculture<br />
Association), rimane una delle maggiori associazioni al mondo per la vendita<br />
diretta, meritando anche l'ambìto premio Nobel alternativo per l'ecologia<br />
[N.d.T.].<br />
20. In reazione ai fast food, la cui formula è così illustrata da Yves Cochet:<br />
«Produttori mal pagati + energia a poco prezzo + bassi costi di trasporto +<br />
trasformazione fatta da proletari stranieri + impatto ambientale e sulla salute<br />
non contabilizzato = un'alimentazione `moderna' a buon mercato per<br />
consumatori occidentali che hanno fretta». Pétrole apocalypse, Fayard, Paris,<br />
2005, p. 66.<br />
21. Vedi Petrini, Militants de la gastronomie, cit.<br />
22. Charles Fourier, La Fausse Industrie, VIII, vol. t, p. 38.<br />
23. Bernard Lietaer, Des monnaies pour les communautés et les régions<br />
biogéographiques: un outil décisif pour la redynamisation régionale au XXIe<br />
siècle, in Jérome Blanc, Exclusion et liens financiers, Monnaies sociales, Rapport<br />
2005-2006, Economica, p. 76.<br />
24. Vedi Bernard Lietaer, Margrit Kennedy, Monnaies régionales, Editions<br />
Charles Léopold Mayer, Paris, 2008. Si potrà inoltre visionare il film La Double<br />
Face de la monnaie di Vincent Gaillard e Jérome Polidor, TINA Film, La Mare aux<br />
canards.<br />
92
25. Con 100 dollari, per esempio, è possibile averne 1.000 da una banca<br />
d'investimento e questo permette di posizionarsi sul mercato dei derivati<br />
(Futurs) con 375.000 dollari.<br />
26. Citato da Lietaer e Kennedy, Monnaies régionales, cit., p. 204.<br />
27. È il nome di una valuta regionale creata nel 2003 nella cittadina bavarese di<br />
Prien am Chiemsee. Prende il nome dall'area dell'Alta Baviera intorno al lago<br />
Chiemsee. <strong>Il</strong> chiemgauer opera con un tasso di cambio fisso: 1 chiemgauer = 1<br />
euro [N.d.T.].<br />
28. Entrambe fanno parte del REPAS (Réseau d'échange et de pratiques<br />
alternatives et solidaires). Vedi Béatrice Barras, Marc Bourgeois, Elisabeth<br />
Bourguignat, Michel Lulek, Quand l'entreprise apprend à vivre, Editions Charles<br />
Léopold Mayer, Paris, 2002; Béatrice Barras, Moutons rebelles. Ardelaine, la<br />
fibre développement local, Editions REPAS, Valence, 2003.<br />
29. Majid Rahnema, Jean Robert, La Puissance des pauvres, Actes Sud, Arles,<br />
2008 (trad. it.: La potenza dei poveri, Jaca Book, Milano, 2010).<br />
93
CONCLUSIONE<br />
Vivere in altro modo lo stesso mondo<br />
Siamo arrivati a un bivio decisivo, sostiene Woody Allen. Una<br />
strada ci porta all'estinzione <strong>della</strong> specie, l'altra alla<br />
disperazione. E aggiunge: «Spero che saremo capaci di fare la<br />
scelta giusta... ». La prima strada è quella che stiamo seguendo.<br />
La seconda è quella <strong>della</strong> crescita negativa che provoca carestie,<br />
guerre, pandemie. E che rischia di essere gestita da un potere<br />
totalitario che imporrebbe con la violenza un razionamento<br />
drastico delle risorse limitate, a vantaggio di un piccolo numero<br />
di privilegiati e a scapito <strong>della</strong> maggioranza. Sebbene la società<br />
<strong>della</strong> crescita si sia sviluppata molto dopo la nascita del<br />
capitalismo, quest'ultimo potrebbe sopravvivere al crollo <strong>della</strong><br />
prima. Ciò significa che un'economia capitalista potrebbe<br />
continuare a funzionare anche in una situazione di scarsità delle<br />
risorse naturali, di sconvolgimento climatico ecc. È la parte di<br />
verità sostenuta dai difensori dello sviluppo durevole e dai<br />
fautori del capitalismo<br />
95
immateriale. Le imprese (alcune almeno) potrebbero continuare<br />
a crescere, a incrementare il proprio fatturato e i propri utili,<br />
mentre le carestie, le pandemie e le guerre sterminerebbero i<br />
nove decimi dell'umanità. Le risorse, sempre più rare,<br />
aumenterebbero più che in proporzione al loro valore. E la<br />
scarsità di petrolio non farebbe male, anzi tutt'altro, alla salute<br />
delle compagnie petrolifere. Se non accade lo stesso per la pesca,<br />
è perché esistono alternative al pesce, il cui prezzo non può<br />
crescere in proporzione alla sua scarsità. In sostanza, il suo<br />
consumo si ridurrà, mentre il valore continuerà ad aumentare.<br />
Qui e là vediamo già delinearsi le premesse di quest'ordine<br />
ecofascista o ecototalitario.<br />
La decrescita rappresenta una terza via, quella <strong>della</strong> frugalità<br />
per scelta. Per questo dobbiamo inventarci un altro modo di<br />
relazionarci con il mondo, con la natura, con le cose e con gli<br />
esseri viventi, un modo che abbia la facoltà di rendersi universale<br />
a scala umana. Questa prospettiva non è triste. Le società che<br />
autolimitano le proprie capacità di produzione hanno in cambio<br />
una socialità festosa. Quando diciamo che c'è un altro mondo già<br />
presente in questo, vogliamo dire che si può e si deve vivere il<br />
presente in altro modo. E accogliamo di buon grado questa<br />
apertura che ci consente di uscire dall'economia, questa via di<br />
fuga verso una società e una civiltà emancipate e autonome.<br />
L'utopia è una visione immaginaria del futuro, una visione che<br />
non è del tutto fantasmatica, che non è pura creazione, ma<br />
un'affermazione che parte dalla negatività del presente,<br />
dall'aberrazione di una società <strong>della</strong> crescita senza limiti. <strong>Il</strong><br />
riferimento a nuovi ideali poggia già sulla realtà, mentre esplora<br />
le possibilità og-<br />
96
gettive di una loro attuazione. Senza l'ipotesi di un altro mondo<br />
possibile, semplicemente non c'è politica. Resta solo una gestione<br />
amministrativa e tecnocratica degli uomini e delle cose.<br />
«La decrescita rappresenta una terza<br />
via, quella <strong>della</strong> frugalità per scelta»<br />
Si può certamente essere preoccupati per la radicalità dei<br />
cambiamenti preannunciati dalla decrescita, che comporta una<br />
rottura con le nostre abitudini e i nostri comportamenti. E<br />
tuttavia, grazie alle pratiche innovatrici che propone, noi<br />
possiamo costruire un progetto di solidarietà vera con le<br />
generazioni future e prospettare per l'umanità un futuro più<br />
sereno.<br />
97
Lessico<br />
Beni relazionali: servizi commerciabili (e più spesso non<br />
commerciabili) a forte contenuto interpersonale, che vanno dal<br />
baby-sitting all'accompagnamento alla morte, passando<br />
dall'amicizia e dall'amore, ma che comprendono anche il<br />
massaggio e la psicoanalisi.<br />
Bioregioni: la bioregione o ecoregione può essere definita<br />
un'entità spaziale coerente che traduce un'entità geografica,<br />
sociale e storica. Può avere caratteristiche più o meno rurali o<br />
urbane. La bioregione urbana, costituita da un insieme<br />
complesso di sistemi territoriali locali dotati di forti capacità di<br />
autosostenibilità ecologica, mira alla riduzione delle diseconomie<br />
esterne e del consumo di energia.<br />
Chiemgauer. una delle ventotto monete regionali che circolano<br />
con successo in Germania. Ne esistono di simili anche in<br />
Giappone e nella Confederazione Elvetica. L'economista belga<br />
Bernard Lietaer ha detto di loro: «Le mo-<br />
99
nete regionali non faranno evitare la crisi, ma sono sicuro che<br />
potranno ridurne la durata e la gravità. Con una moneta<br />
regionale le imprese potranno prestarsi denaro tra loro e<br />
mantenere al lavoro i dipendenti» («Politis», n. 1031, dicembre<br />
2008).<br />
Consumi finali: sono quelli del consumatore che così soddisfa un<br />
proprio bisogno. <strong>Il</strong> chilo di pomodori comprato al mercato è un<br />
consumo finale.<br />
Consumi intermedi: l'insieme dei beni e servizi commerciali<br />
azzerati (incorporati) nel corso <strong>della</strong> produzione realizzata da<br />
un'impresa. La tonnellata di pomodori acquistata da un<br />
produttore di concentrato di pomodoro è un consumo<br />
intermedio.<br />
Diseconomie esterne: vedi Esternalità.<br />
Ecomunicipalismo: progetto organizzativo di società ecologica<br />
proposto dal pensatore anarchico Murray Bookchin. Questa<br />
sarebbe strutturata come una municipalità composta da tanti<br />
piccoli municipi, ognuno dei quali sarebbe una «comune delle<br />
comuni», tutte di dimensioni minori e in grado di vivere in<br />
perfetta armonia con il proprio ecosistema.<br />
Economicismo: forma di analisi marxista secondo la quale tutti i<br />
fatti trovano spiegazione nell'esistenza materiale degli uomini. I<br />
modi di pensare, i valori, i sentimenti si spiegherebbero<br />
attraverso l'economia e la continua avanzata del progresso<br />
tecnico. In senso generale, l'economicismo pone i fatti economici<br />
al centro delle spiegazioni dei comportamenti politici e sociali.<br />
«Ammettere come verità as-<br />
100
solute le affermazioni degli economisti significa passare<br />
dall'economia, disciplina scientifica tra le altre, all'economicismo,<br />
un integralismo devastante come l'integralismo religioso»<br />
(Albert Jacquard).<br />
Es-crescenza: la crescita che oltrepassa l'impronta ecologica<br />
sostenibile. Corrisponde appunto all'iperconsumo, cioè a un<br />
livello di produzione che travalica globalmente quello in grado di<br />
assicurare il soddisfacimento dei bisogni «ragionevoli» di tutti.<br />
Esternalità: relazione tra agenti economici (il più sovente dal<br />
produttore verso il consumatore) che ha un'influenza negativa o<br />
positiva sul loro benessere, senza che tra loro ci sia una<br />
mediazione del sistema dei prezzi. Le esternalità fanno parte<br />
delle «falle del mercato» (market failures). Si parla anche di<br />
effetto esterno. Quando è positivo (per esempio, la pubblica<br />
istruzione dà ai futuri lavoratori una formazione che va bene alle<br />
imprese), si tratta di un'economia esterna; quando è negativo (lo<br />
scarico di prodotti inquinanti in un fiume da parte di una<br />
fabbrica), si fa ricorso all'espressione diseconomia esterna.<br />
FAO: Food and Agriculture Organization, l'organismo<br />
internazionale per l'agricoltura e l'alimentazione delle Nazioni<br />
Unite con sede a Roma.<br />
Flessibilità del lavoro: per gli economisti neoclassici, la flessibilità<br />
dei prezzi permette di realizzare un equilibrio tra la domanda e<br />
l'offerta dei prodotti. Analogamente, a loro avviso la flessibilità<br />
dei salari sul mercato del lavoro favorirà l'equità tra l'offerta e la<br />
domanda di lavoro. Così, in periodi di disoccupazione, la<br />
riduzione dei salari permette di<br />
101
assorbire più disoccupati. In generale, la flessibilità consente di<br />
adattarsi alle evoluzioni <strong>della</strong> situazione globale dell'economia.<br />
Anche il lavoro, dunque, secondo la teoria classica deve essere<br />
flessibile. <strong>Il</strong> salariato, per esempio, dovrà essere polivalente e<br />
accettare una modulazione degli orari in base all'andamento<br />
delle attività dell'impresa, la quale potrà assumere e licenziare<br />
liberamente o ridurre il trattamento previsto per talune<br />
mansioni.<br />
Impronta ecologica: «L'impronta ecologica di una popolazione<br />
rappresenta la superficie terrestre produttiva di suolo e di oceani<br />
necessaria a fornire le risorse consumate da quella popolazione e<br />
ad assimilarne i rifiuti e gli altri scarti» (Mathis Wackernagel). A<br />
titolo di esempio, le attività francesi di produzione e consumo<br />
utilizzavano, nel 1999, un po' più di trecento milioni di ettari<br />
(Jean Gadrey Florence Jany-Catrice, Les nouveaux indicateurs de<br />
richesse, La Découverte, Paris, 2005).<br />
Iperconsumo: è un consumo smodato, eccessivo, che si sviluppa<br />
oltre il ragionevole, in particolare provocato dal<br />
condizionamento pubblicitario e dall'obsolescenza programmata<br />
degli oggetti di consumo.<br />
LBO: acronimo dell'inglese leverage buy-out. Un'impresa viene<br />
acquistata grazie a un mutuo bancario che rappresenta una<br />
quota importante (per esempio il 70%) del suo valore d'acquisto.<br />
<strong>Il</strong> debito sarà coperto dagli utili realizzati dall'impresa<br />
acquistata. <strong>Il</strong> suddetto LBO permette così alla società di<br />
finanziare la propria acquisizione. L'esigenza di raggiungere in<br />
breve <strong>tempo</strong> un'elevatissima redditività finanziaria da parte dei<br />
nuovi proprietari influirà negativamente sui dipendenti, vittime<br />
di licenziamenti in ragione<br />
102
<strong>della</strong> compressione dei costi salariali, con la delocalizzazione<br />
dell'attività produttiva, prassi ormai corrente.<br />
Mano invisibile: Adam Smith ha citato in due casi la famosa mano<br />
invisibile. La prima volta nella Teoria dei sentimenti morali<br />
(1759). I ricchi, dato il loro benessere materiale, la loro avidità e<br />
il loro egoismo, desiderano avere accesso a beni di consumo rari,<br />
che faranno produrre da salariati poveri. Così la ricchezza<br />
accumulata egoisticamente da alcuni servirà anche gli interessi<br />
di altri meno abbienti, offrendo loro un posto di lavoro salariato.<br />
La seconda volta è citata nella Indagine sulla natura e le cause<br />
<strong>della</strong> ricchezza delle nazioni (1776). <strong>Il</strong> produttore (un macellaio,<br />
per esempio), pur perseguendo soltanto il proprio tornaconto<br />
personale (l'arricchimento), serve vantaggiosamente i propri<br />
clienti, offrendo loro i prodotti migliori in un mercato<br />
concorrenziale. In entrambe le situazioni, un meccanismo<br />
anonimo, provvidenziale (la mano invisibile), orienterà gli<br />
interessi individuali verso l'interesse generale. Pertanto, secondo<br />
i liberali, gli automatismi del mercato permetterebbero di<br />
coniugare il progresso economico con il benessere sociale.<br />
PIL: prodotto interno lordo. È l'indicatore definito dalla<br />
contabilità nazionale e utilizzato per illustrare il fenomeno <strong>della</strong><br />
crescita economica. <strong>Il</strong> PIL è pari alla somma dei valori aggiunti. In<br />
altri termini, è l'insieme delle ricchezze economiche prodotte,<br />
ovvero l'insieme dei beni e dei servizi prodotti e venduti che<br />
sono stati oggetto di un lavoro remunerato. <strong>Il</strong> concetto di<br />
ricchezza così espresso è discutibile, perché tiene conto solo di<br />
ciò che è misurabile. Certi atti gratuiti (la visita di un amico, di un<br />
parente, i gesti di tenerezza e di affetto del proprio partner...)<br />
sono esclusi da<br />
103
questa contabilità, pur essendo preziosi e dotati di una loro<br />
ricchezza! Quando parliamo di crescita, dovremmo precisare che<br />
si parla <strong>della</strong> crescita del PIL. Se la crescita è forte, moderata,<br />
fiacca, esponenziale, è sempre e solo in discussione la<br />
percentuale di variazione del PIL.<br />
Produttivismo: aumento indefinito <strong>della</strong> forza produttiva allo<br />
scopo di soddisfare le esigenze del benessere sociale. <strong>Il</strong><br />
produttivismo si fonda perciò sulla necessità di produrre sempre<br />
di più. È una concezione che accomuna liberali e marxisti. Per i<br />
primi, la crescita illimitata sarà assicurata dalla dinamica dei<br />
meccanismi del mercato e del capitalismo, eliminando gli ostacoli<br />
al loro funzionamento. Per i secondi, lo sarà grazie alla logica<br />
dello sviluppo delle forze produttive, liberate dalla proprietà<br />
privata e messe al servizio del proletariato.<br />
Resilienza: concetto, mediato dall'ecologia scientifica, che misura<br />
la capacità di un ecosistema di resistere ai cambiamenti del suo<br />
ambiente. La si può definire permanenza qualitativa <strong>della</strong> rete di<br />
interazioni di un ecosistema o, in termini più generali, capacità di<br />
un sistema di assorbire le perturbazioni e di riorganizzarsi, pur<br />
conservando in sostanza le funzioni, la struttura, l'identità e le<br />
retroazioni che gli sono proprie.<br />
Slow City: si tratta di una rete mondiale, costituitasi sulla scorta<br />
di quella fondata da Slow Food, di città di medie dimensioni che<br />
limitano volontariamente la propria crescita demografica per<br />
non superare i sessantamila abitanti. Oltre quella cifra non<br />
sarebbe più possibile parlare di «locale» e di «lentezza».<br />
104
Società autonoma: è la società che istituisce da sé le proprie leggi.<br />
Cornelius Castoriadis spiega che nella società autonoma «i<br />
cittadini hanno pari possibilità effettive di partecipare alla<br />
legislazione, al governo, alla giurisdizione, insomma<br />
all'istituzione <strong>della</strong> società». In questa società gli individui sono<br />
liberi e sovrani, la loro autonomia si coniuga con quella <strong>della</strong><br />
società, che così diventa autenticamente democratica. Al<br />
contrario, una società eteronoma riceve dall'esterno le leggi che<br />
governano la sua organizzazione. Oggi, in uno spazio<br />
globalizzato, il politico si assoggetta all'economico. I mercati<br />
finanziari, la libera concorrenza incontrollata, la ricerca<br />
ossessiva <strong>della</strong> redditività sottraggono agli Stati nazionali<br />
qualsiasi margine autonomo di manovra.<br />
Società termo-industriale: Alain Gras dimostra come gli uomini,<br />
all'inizio <strong>della</strong> rivoluzione industriale, avessero fatto «la scelta<br />
del fuoco» e avessero così trascurato l'acqua, il vento e la terra<br />
nell'organizzare la produzione. Essi hanno infatti sfruttato<br />
principalmente la combustione delle energie fossili (carbone,<br />
petrolio) e trascurato le energie rinnovabili. In nome di un<br />
evoluzionismo tecnologico persistente (e discutibile: si pretende<br />
che non sia possibile fermare il progresso), oggi utilizzano il<br />
calore dell'energia nucleare.<br />
Tecnoscienza: secondo Jacques Testart, stiamo avanzando verso<br />
«la realizzazione di un progetto di alienazione <strong>della</strong> scienza e<br />
<strong>della</strong> tecnologia». La ricerca scientifica è ormai finalizzata. <strong>Il</strong><br />
ricercatore dipende nella maggioranza dei casi dai poteri forti<br />
economici, politici e industriali. Per esempio, le piante<br />
geneticamente modificate sono il frutto di ricerche scientifiche<br />
finanziate da grandi multinazionali. Come ha detto Olivier Rey:<br />
«La scienza non è più qui per spiegare il mondo, ma per<br />
servirlo».<br />
105
Termo-industriale: vedi Società termo-industriale.<br />
Toyotismo: metodo di lavoro proposto negli anni Cinquanta<br />
dall'ingegnere giapponese Taichi Ohno, <strong>della</strong> Toyota, ispirato ai<br />
principi del supermercato americano. L'operaio deve disporre di<br />
«merci» preparate in anticipo (le componenti da montare) per<br />
produrre secondo le esigenze a valle e non più secondo quelle a<br />
monte, come nel sistema taylorista-fordiano. Gli stock sono<br />
ridotti, si lancia il just-in-time e l'attenzione maggiore viene data<br />
alla qualità dei prodotti. A1 lavoratore non si affida un'unica<br />
mansione: è polivalente e può addirittura interrompere il ritmo<br />
<strong>della</strong> catena. I metodi di razionalizzazione sono, però, più spinti e<br />
provocano molto spesso stress, per cui il toyotismo può essere<br />
apparentato a un neotaylorismo.<br />
Transumanismo: per definizione, ciò che si colloca al di là<br />
dell'umano. Convinzione secondo la quale è possibile e<br />
addirittura desiderabile oltrepassare l'umanità fabbricando una<br />
specie superiore (cyberantropica o di altra natura). Un uomo<br />
geneticamente modificato, per esempio, avrebbe caratteristiche<br />
transumane.<br />
Velocità generalizzata: «La velocità generalizzata di un mezzo di<br />
trasporto tiene conto <strong>della</strong> quantità di lavoro necessaria a chi lo<br />
utilizza per acquisire i mezzi che consentono di essere<br />
trasportato. Si calcola dividendo il chilometraggio annuo<br />
effettuato con quella specifica modalità di trasporto per il <strong>tempo</strong><br />
passato nell'anno su quel mezzo di trasporto e al suo esterno, per<br />
esempio per guadagnare quanto serve a pagarlo. Jean-Pierre<br />
Dupuy ha calcolato che, per tutte le classi `medie', la velocità<br />
generalizzata <strong>della</strong> bicicletta è uguale o maggiore a quella<br />
dell'automobile;<br />
106
solo le persone molto ricche ricavano veramente un guadagno<br />
dal <strong>tempo</strong> trascorso in auto. Gli altri si limitano a tradurre <strong>tempo</strong><br />
di lavoro in <strong>tempo</strong> di trasporto e viceversa» (Jean Robert, Le<br />
temps qu'on nous vole, Seuil, Paris, 1980, p. 64, citato da Alain<br />
Gras, La Choix du feu, Fayard, Paris, 2007, p. 218).<br />
107
108
Bibliografia essenziale<br />
François Brune, De l'idéologie aujourd'hui, Parangon, Paris, 2004.<br />
Yves Cochet, Antimanuel d'écologie, Bréal, Paris, 2009.<br />
André Gorz, Écologíe et politique, Seuil, Paris, 1978 (trad. it.:<br />
Ecologica, Jaca Book, Milano, 2009).<br />
Alain Gras, Le Choix du feu, Fayard, Paris, 2007.<br />
Hervé Kempf, Pour sauver la planète, sortez du capitalisme, Seuil,<br />
Paris, 2009 (trad. it.: Per salvare il pianeta bisogna farla finita col<br />
capitalismo, Garzanti, Milano, 2010).<br />
<strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong>, Le Pari de la décroissance, Fayard, Paris, 2006<br />
(trad. it.: La scommessa <strong>della</strong> decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007).<br />
<strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong>, Petit traité de la décroissance sereine, Mille et<br />
une nuits, Paris, 2007 (trad. it.: Breve trattato <strong>della</strong> decrescita<br />
serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008).<br />
Bernard Legros, Jean-Noel Delplanque, L'Enseignement face à<br />
l’urgence écologique, Aden, Bruxelles, 2009.<br />
Majid Rahnema, Jean Robert, La Puissance des pauvres, Actes Sud,<br />
Arles, 2008 (trad. it.: La potenza dei poveri, Jaca Book, Milano,<br />
2010).<br />
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110
Finito di stampare nel mese di maggio 2011<br />
presso Monotipia cremonese, Cremona<br />
per conto di Elèuthera, via Rovetta 27, Milano<br />
111
elèuthera | caienna<br />
Gli orologi sono diventati la condanna dell'uomo occidentale,<br />
perché segnano non il trascorrere del <strong>tempo</strong>, ma il denaro<br />
che guadagniamo o perdiamo. La monetizzazione del <strong>tempo</strong><br />
lo ha reso una merce, condannando le nostre esistenze<br />
a una velocità sempre maggiore.<br />
112<br />
Marco Aime<br />
Da due secoli abbiamo sviluppato una civiltà materiale e una potenza produttiva mai<br />
prima conosciute. Questa civiltà si scontra oggi con i limiti al suo sviluppo: sono i limiti<br />
del pianeta stesso. II pianeta è in pericolo e gli scenari più pessimistici sembrano<br />
superati da processi irreversibili di distruzione dell'ambiente.<br />
L'emergenza ecologica esige trasformazioni radicali dei nostri modi di vita, ma questi<br />
mutamenti non possono concepirsi che in un nuovo rapporto con il <strong>tempo</strong>.<br />
Reintrodurre la vicinanza e la lentezza nei processi di produzione e di consumo,<br />
ridurre i tempi di lavoro, disalienarci dalla nostra condizione di lavoratori e consumatori<br />
forsennati... queste sono le poste in gioco essenziali. Bisogna trasformare i nostri ritmi<br />
sociali per ritrovare il <strong>tempo</strong> di vivere.<br />
<strong>Serge</strong> <strong>Latouche</strong>, filosofo ed economista, è professore emerito all'Università di<br />
Paris XI e all'Institut d'Etudes du Devoloppement Economique et Social. Tra i<br />
suoi libri più recenti pubblicati in Italia: Come si esce dalla società dei consumi<br />
(2011), L'invenzione dell'economia (2010), La scommessa dello decrescita<br />
(2009). Con elèuthera ha inoltre pubblicato La fine del sogno occidentale<br />
(nuova edizione 2010).<br />
<strong>Didier</strong> Harpagès è professore di scienze economiche e sociali in un liceo di<br />
Parigi.<br />
ISBN 978-88-96904-01-5