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Franco Parise - Labrenta

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Come si vede nello sguardo tutto un commiato emotivo, una macchina che è arrivata<br />

che lui c’era, testimone di un progresso che era solo timido preludio di quello che sarebbe<br />

stato, e chissà quanti ordini sono passati attraverso di lei, quanto materiale caricato<br />

con fatica, quanti tappi pronti per essere confezionati. Come se in quegli ingranaggi ci<br />

fosse un patto non scritto di reciproca dedizione.<br />

<strong>Franco</strong> si dedicava alle macchine e loro, le macchine, onoravano il suo lavoro con una<br />

produzione precisa e solida.<br />

Proprio come lui.<br />

In Giordano la passione è ancora tutta viva, nel racconto, di quello che ha fatto, delle<br />

sue eccentriche modalità di trattativa, delle sue piccole follie, come quando arrivava nel<br />

primo pomeriggio e prendeva tutti quelli che c’erano, <strong>Franco</strong>, Palmira, la moglie e altri<br />

occasionali e li portava a vendemmiare, perché oltre la passione per il lavoro c’era anche<br />

quella per il vino. Aveva comprato tutte le macchine necessarie per farlo, il torchio, la<br />

pigatrice, la sgranatrice. Le botti. Bottiglie vuote un carico intero.<br />

Poi c’era la convivialità. Quando arrivava il camion dalla Sardegna, i fornitori, ormai<br />

amici, portavano il porcelleddu che veniva cucinato e consumato assieme a tutti in taverna.<br />

Oppure, quando il buon Luciano Zanvittori, che ora non c’è più ma che è stato<br />

per trent’anni loro fornitore, portava uno stampo nuovo, tutti a festeggiare, salame, pan<br />

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