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i liberali pasquale calcaterra ed i suoi fratelli

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Testo integrale dell'intervento del prof. Francesco Romanò al convegno: "Alle origini del Risorgimento:<br />

Pasquale Calcaterra di Dasà".<br />

Biblioteca comunale Dasà, 27 febbraio 2011<br />

I LIBERALI PASQUALE CALCATERRA ED I SUOI FRATELLI<br />

Nella seconda metà del 1700 i Calcaterra erano la famiglia più potente e ricca di Dasà. Ad<br />

attestare tutto ciò senza ombra di dubbio è il Catasto Onciario (custodito all’Archivio di<br />

Stato di Napoli), che per Dasà porta la data del 1782. Sono ben 13 le pagine che elencano<br />

tutti i beni, soprattutto agrari, poss<strong>ed</strong>uti, oltre agli animali con varie mandrie. Nella prima<br />

pagina, interessantissimo, è lo stato della famiglia riferito naturalmente al 1782 o 1781 :<br />

“Don Domenico Calcaterra d’anni 53, Donna Felice... moglie d’anni 63, Don Vincenzo<br />

Calcaterra, figlio casato d’anni 32, M.a (magnifica) Anna Cavallaro, moglie d’anni 32; figli<br />

di Don Vincenzo: don Pasquale d’anni 10, don Nicola d’anni 7, don Domenico d’anni 4,<br />

donna Felice d’anni 2.”<br />

Donde era venuta tutta questa vasta possessione di proprietà agricole?<br />

Come era da immaginarsi la ricchezza dei Calcaterra era nata all’ombra del feudo di Arena.<br />

Dall’esame che ho fatto io di alcuni documenti dell’Archivio Caracciolo di Arena<br />

(custodito adesso dal Comune di Arena) risulta che Vincenzo Calcaterra era Erario e<br />

Cassiere Generale del marchese Caracciolo di Arena negli anni tra la fine del 1700 e gli<br />

inizi del 1800.<br />

Il terremoto del 1783 e l’istituzione della Cassa Sacra per la vendita delle terre<br />

ecclesiastiche segnarono un ulteriore balzo economico in avanti per i Calcaterra <strong>ed</strong> altre<br />

famiglie “borghesi” della zona. Qui il fondamentale studio del Placanica[1] ci illumina<br />

esaurientemente; infatti per quanto riguarda gli anni ottanta (1780) così scrive: “Si pensi al<br />

distretto di Arena, dove i fondi venduti furono stavolta moltissimi, 78, ma tutti abbastanza<br />

piccoli e in m<strong>ed</strong>ia inferiori a due tomolate di superficie ciascuno: ivi don Ferdinando<br />

d’Antona comprò 6 fondi di tom. 1 6 e mezzo per 461 ducati, la famiglia Calcaterra 6 fondi<br />

di tom. 30,75 per duc. 1.324,20, i massari Nicola e Vincenzo Galati 17 fondi di tom. 17 e<br />

meno per duc. 691,75 e, sempre in concorrenza tra di loro, ma una volta acquistando<br />

addirittura in società, i massari Bruno Galati e Domenico Calcaterra acquistarono un fondo<br />

ancor più pregiato; accanto ai Galati, ai d’Antona, ai Calcaterra, altre famiglie proseguirono<br />

negli acquisti (come i De Nardo, gli Englen, i Filardo, i Corrado), talora cercando di<br />

contrastare il passo ai principali compratori”. Ancora nello stesso libro, nell’elenco delle<br />

famiglie benestanti dello stato di Arena (di cui al certificato del 1799) c’erano: “famiglia<br />

Calcaterra (magnifico Domenico): Domenico, tom. 5,75, duc. 430,00; Vincenzo, tom.<br />

29,50, duc. 1.518,00;”[2] Più avanti Placanica, parlando delle vendite del decennio francese<br />

(1806- 1815), così si esprime: “Nella Calabria Ultra, alcune famiglie di compratori furono<br />

quelle stesse dei tempi della Cassa Sacra ( tanto per citare le più importanti, i Bisogni, i<br />

Calcaterra, i Carnovale, i Fazzari, i Gagliardi, i Lombardi, i Marzano, i Sarlo), ma molte<br />

altre furono del tutto nuove nell’acquistare beni ecclesiastici sequestrati…[3]<br />

E’ evidente che la potenza economica di queste famiglie baronali le porta anche ad<br />

impossessarsi del Comune <strong>ed</strong> esse vogliono il controllo dell’amministrazione pubblica.<br />

All’Archivio di Stato di Napoli nelle carte del Processo di Cassa Sacra. Inventario Blasco”<br />

vi si trovano: 1788: Arena: Istanza di D. Vincenzo Calcaterra, sindaco generale delle<br />

Università dello Stato di Arena per pagamento di spese fatte; 1789: Dasà: Istanza di D.<br />

Vincenzo Calcaterra, sindaco <strong>ed</strong> esattore per la revisione dei <strong>suoi</strong> conti del 1787 e 1788.<br />

Ora, riguardo il comportamento sociale dei Calcaterra e di questa nuova “borghesia” agraria<br />

1


calabrese, io non voglio ripetere le valutazioni da me fatte nello studio “ Il 1799 in Calabria<br />

<strong>ed</strong> i contadini”: da esso trarrò solo qualcosa per questo saggio; d’altronde sull’argomento<br />

sono esaustivi il libro testé citato di Placanica <strong>ed</strong> il classico studio del Cingari.[4]<br />

Quest’ultimo scrive: “Ma, benché avanzati sul terreno culturale, tanto i nobili che i borghesi<br />

erano estranei ai problemi dei ceti contadineschi, i quali, perciò, nutrivano verso i<br />

galantuomini avversione o, meglio, odio”[5] . Ancora Cingari ci dice che il fine principale<br />

di questa “borghesia” agraria, sorta dalla crisi della proprietà feudale era di riuscire a vivere<br />

more nobilium, magari acquistando un feudo con il relativo titolo”.[6] Il feudo no, ma il<br />

titolo nobiliare i Calcaterra si prodigarono ad acquisirlo veramente, diventando ad un certo<br />

punto baroni. Sia ben chiaro a tutti, l’ho già detto tante volte, allora i contadini vivevano<br />

nella miseria e nello squallore più neri e sul loro sfruttamento si erano create le fortune dei<br />

vari ceti dominanti tra cui pure i Calcaterra. Ora, con tutta questa fortuna e ricchezza,<br />

l’aspirazione di don Vincenzo Calcaterra era quella di fare il salto di qualità, ossia fare<br />

studiare i figli, eccetto quello o quelli che servivano alla conduzione della grande azienda<br />

familiare, e le donne. Una premessa: nelle famose “Biografie degli uomini illustri delle<br />

Calabrie” di Luigi Accattatis, pubblicate a Cosenza tra il 1869 e il 1877, ci sono le vite di<br />

Pasquale e Nicola Calcaterra di Dasà scritte da un Pasquale Calcaterra fu Francesco. Chi era<br />

costui?, si tratta di un dotto Calcaterra di Polistena, là dove un ramo dei Calcaterra di Dasà<br />

si era trasferito per via di matrimonio Infatti è lo stesso Pasquale Calcaterra che scrisse una<br />

“Monografia di Polistena”, pubblicata nel 1931 e citata nel libro di Lobstein. Questa<br />

“Monografia” è stata ristampata a dicembre 2006 <strong>ed</strong> io l’ho acquistata. Da essa ho appreso<br />

che questo Pasquale Calcaterra era nato a Polistena nel 1838 <strong>ed</strong> ivi è morto nel 1934. Era<br />

sacerdote e avvocato. Ancora è a Polistena che nel 1923 vengono pubblicate le “Memorie<br />

Istoriche Militari” del colonnello Antonino Calcaterra e si precisa nel risvolto del libro che<br />

la proprietà letteraria è della famiglia Calcaterra di Polistena. Le biografie quindi dei due<br />

Calcaterra dell’Accattatis sono scritte da un parente discendente della casa; tuttavia debbo<br />

dire che tante notizie sono oneste e precise (ne ho fatto i riscontri), anche se il tono è quasi<br />

sempre apologetico e al positivo. Questo biografo però ebbe il vantaggio di utilizzare i<br />

ricordi di prima mano della famiglia. Ad esse rimando per informazioni particolari su<br />

Pasquale e Nicola Calcaterra.<br />

A conferma di quanto da me scritto, proprio quando avevo concluso la prima stesura di<br />

questo mio saggio, sono comparse due brevi paginette, con mia soddisfazione, sulla rivista<br />

trimestrale “Calabria Letteraria” del numero Aprile-Maggio-Giugno 2003 scritte da<br />

Vincenzo Marvasi, nelle quali parla molto succintamente delle vite dei principali Calcaterra;<br />

il titolo dell’articolo mi sembra significativo: “Una famiglia di patrioti, i Calcaterra”. Il<br />

bello è che finisce così: “A conclusione di queste brevi note, mi sia concesso ringraziare<br />

sentitamente l’avv. Vincenzo Calcaterra di Polistena, per la squisita cortesia e disponibilità<br />

con la quale mi ha fornito preziose notizie sui <strong>suoi</strong> illustri maggiori.”. I <strong>suoi</strong> maggiori,<br />

guarda caso, erano tutti di Dasà.<br />

Comunque, tornando a noi, don Vincenzo Calcaterra manda a 18 anni il figlio Pasquale a<br />

studiare legge all’università di Napoli, dove, secondo il De Cristo, la madre aveva lo zio che<br />

era «illustre canonista della R. Università di Napoli». Ma intanto, quando nasce Pasquale?<br />

Nell’Accattatis si parla del 1770 a Dasà; invece Aliquò-Taverriti[7] e G. Valente[8] danno<br />

la data del 1773. Tuttavia il Valente nel suo ultimo, importante Dizionario in sei volumi<br />

(v<strong>ed</strong>i la citazione esatta nella biografia di Nicola Calcaterra) ci dà per la data di nascita di<br />

Pasquale Calcaterra, seguendo in ciò l’Accattatis, il 1770. Io penso che la data giusta sia il<br />

1770. Infatti nel Catasto Onciario, che porta la data per lo “stato” di Arena del 1782,<br />

2


(ammettendo che Dasà sia stato censito nel 1781 o che ancora il ragazzo non avesse<br />

compiuto gli anni), si dice che Pasquale avesse 10 anni, e più o meno ci siamo; ancora nel<br />

Registro dei morti del Comune di Dasà per l’anno 1830, in cui è certificata la morte di<br />

Pasquale Calcaterra, si scrive che è morto all’età di anni 60. Quindi per me è chiaro che egli<br />

sia nato nel 1770. E’ superfluo precisare che nel 1700 ancora non esistevano gli atti<br />

comunali di nascita, di morte ecc... istituiti dai governi napoleonici: per Dasà il primo<br />

registro è del 1809. Dai registri parrocchiali si potrebbe avere una ulteriore prova sulla vera<br />

data di nascita.<br />

La formazione di Pasquale Calcaterra avviene all’università di Napoli, che a quei tempi era,<br />

insieme a Milano, la capitale dell’Illuminismo italiano. La scuola giuridica napoletana<br />

raccoglieva il fior fiore dei riformatori e degli homines novi, a partire da Gaetano Filangieri,<br />

Mario Pagano, fino al calabrese Giuseppe Poerio, nato nel 1775 e più giovane di cinque<br />

anni del Nostro. E’ chiaro che questo clima e temperie di idee non poteva lasciare<br />

indifferente il giovane Pasquale, anzi ne segnò il destino. Io ritengo che Pasquale<br />

Calcaterra sia la figura più nobile, la personalità più forte e coerente, di una dirittura morale<br />

esemplare, che l’intera generazione dei Calcaterra abbia mai espresso. Il fatto di essere stato<br />

il primo, fu di esempio e modello per tutti i futuri discendenti. Verso il 1792-93 Pasquale si<br />

laurea e diventa un brillante avvocato: si affermerà gradatamente come uno dei più famosi<br />

giuristi del Regno di Napoli. Forse negli ultimi anni di università conobbe per la prima volta<br />

Giuseppe Poerio, che diverrà ancor più famoso e impegnato di lui. Veniamo ora alle date<br />

cruciali della sua biografia. Anzitutto l’entusiasmo e la trag<strong>ed</strong>ia del 1799. Sulla rivoluzione<br />

napoletana del 1799 esiste una vasta bibliografia; per la Calabria resta fondamentale il<br />

classico libro da me citato di Gaetano Cingari. Sull’argomento anch’io ho condotto ricerche<br />

approfondite per anni. Né io voglio ripetere ciò che ho scritto nel saggio “Il 1799 in<br />

Calabria <strong>ed</strong> i contadini”; da esso inserirò solo la seguente parte, rielaborata naturalmente.<br />

Scarsissime sono le fonti documentarie su ciò che è avvenuto in quel torbido e glorioso<br />

1799 in alcuni minuscoli borghi dell’interno di Monteleone (oggi Vibo Valentia). Quel che<br />

non si può dire è che essi siano rimasti estranei a quanto succ<strong>ed</strong>eva nel Regno e che tutto era<br />

fermo. Ci sono stati anche qui i movimenti, le lotte, le atrocità, certo in forme del tutto<br />

particolari. Ecco quanto sostiene Cingari: ”A questo episodio (scontri tra giacobini e<br />

sanf<strong>ed</strong>isti a S. Giovannello di Mileto) ne seguirono altri, specie ad opera delle popolazioni<br />

di Acquaro, Arena, Dasà, Soriano, Gerocarne, guidate dai parroci e da alcuni galantuomini,<br />

che (citaz. da A.<br />

Calcaterra: Memorie istoriche militari... p. 22)”.[9] La citazione del Cingari tuttavia merita<br />

una precisazione e cioè che il Calcaterra fa il suo discorso in generale parlando di <br />

e non lo riferisce in particolare ai paesi summenzionati, anche se io cr<strong>ed</strong>o che quanto detto<br />

può benissimo adattarsi pure ad essi. Ma più interessanti per il nostro discorso sono altri<br />

passi dell’opera del Calcaterra: “Tutt’i paesi erano sulle armi, in attesa del Cardinale; e il<br />

colore politico era pretesto a mutuo sfogo di privati rancori, <strong>ed</strong> i borbonici, massa caotica,<br />

anelava pr<strong>ed</strong>e e bottino. Un giorno, molti bravacci di Acquaro menavano tra funi il<br />

Canonico Pardea e il Sig. Cuccumarino ricco proprietario di Serrata, che diceano arrestati<br />

per ordine del Cardinale. Passando per Dasà assaltano la casa del venerando m<strong>ed</strong>ico<br />

Palmieri. Due nipoti di costui, uomini di armi, in quel momento si trovavano in casa<br />

Calcaterra. Affiancati da tre <strong>fratelli</strong> Calcaterra e dai servi di casa, accorrono in momento che<br />

il vecchio m<strong>ed</strong>ico veniva trascinato nelle prigioni di Arena. Si viene alle armi. Sopravviene<br />

da Soriano il barone Sabbatini, con seguito di armati; e quei di Acquaro sopraffatti, con<br />

qualche morto lasciarono in loro mani il vecchio m<strong>ed</strong>ico. Il Pardea e il Cuccumarino erano<br />

3


stati consegnati al Capitano delle milizie di Arena come giacobini e lasciarono la vita nelle<br />

prigioni di Nicotera. Questo è un episodio dei tanti che si ripetevano atroci per l’anarchia<br />

apportata dallo arrivo del Cardinale. La forza vinceva il diritto”.[10] Il seguente passo è<br />

ancora più significativo:” Quella massa si chiamò Truppa della Santa F<strong>ed</strong>e; ma era l’orda<br />

più trista di paesi e villaggi, anelante, senza alcuno scrupolo, pr<strong>ed</strong>a e saccheggio. Non<br />

restava nei paesi e nei villaggi tranquillo alcun proprietario. I preti dal Confessionale<br />

scompigliavano le coscienze; spesso <strong>fratelli</strong> contro <strong>fratelli</strong>, i figli contro il padre. Frequenti<br />

le denunzie anonime, frequenti gli assassini dei <strong>liberali</strong>. I graduati militari della famosa<br />

Truppa, tornando in paese, si atteggiavano a tiranni con libidine di vendetta e di<br />

arricchimento. Non mancava qualche tirannetto tra loro, come il Sig. C... incaricato di<br />

custodire nel convento di Soriano i cosi detti ostaggi Catanzaresi e Cotronesi; il quale<br />

attorniato da uomini feroci avea m<strong>ed</strong>itato l’esterminio di qualche famiglia. Il giorno di<br />

Carnevale una compagnia di austriaci e greco-albanesi, fucilieri camiciotti, comandati dal<br />

capitano Gregorio Trentacapilli da Pizzo, proc<strong>ed</strong>evano a parecchi arresti, e gli arrestati<br />

ristretti nel carcere di Casalnuovo dettero luogo alla compilazione di venti volumi di<br />

processo nella Certosa di Serra. L’avvocato Pasquale Calcaterra per parare la tempesta<br />

incombente sul suo capo e su quello dei <strong>suoi</strong>, corse a Napoli e dal primo ministro, Principe<br />

di Ascoli, ottenne ordine di arresto del nemico. Incaricato il Trentacapilli di eseguire tale<br />

arresto e tradurre l’arrestato in Napoli, s’imbarcano a Pizzo; ma sorta una tempesta fecero<br />

scalo a Palinuro. Ivi surse briga fra la gente del Trentacapilli e quegli abitanti. Si fecero<br />

fucilate. Trentacapilli ferito, i <strong>suoi</strong> sopraffatti e sbaragliati. L’arrestato fuggi e tornò in<br />

famiglia, ov’era stimolato di raccogliere i soliti <strong>suoi</strong> armigeri <strong>ed</strong> incrudelire contro le<br />

famiglie avversarie, e spegnere i testimoni che avevano deposto contro di lui nel processo<br />

compilato da Mugnos nella Certosa di Serra S. Bruno.”[11] Questi episodi sono squarci di<br />

luce su quello che è avvenuto nei nostri paesi in quel lontano 1799, anche se alcune notizie<br />

del Calcaterra vanno prese con le molle. I contadini, per le miserissime condizioni in cui<br />

vivevano, furono pure loro realisti e non fu difficile convincerli . Il marchese Caracciolo,<br />

signore del feudo, anche se viveva a Napoli, attraverso i <strong>suoi</strong> agenti non mancò di schierarsi<br />

contro i giacobini. Quello che avvenne in questi villaggi in sostanza, al di là delle eccezioni,<br />

fu qualcosa di più meschino e feroce: con la scusa della rivoluzione si scatenò una guerra tra<br />

i notabili della zona per il controllo del potere locale e per dare via libera alle vendette<br />

reciproche alimentate da vecchi rancori; ne accenna chiaramente A. Calcaterra nel brano da<br />

me citato: altro che giacobinismo e antigiacobinismo! Ne scrive anche con vivida<br />

rappresentazione L. Blanch: “Gli odi tra le famiglie nei comuni, che sorgevano dalle vive<br />

passioni inerenti alla natura dei popoli meridionali, e la monotona esistenza che è in quelle<br />

circoscritte riunioni, ricevettero una più energica impulsione dai politici avvenimenti, che ne<br />

ingrandirono le proporzioni, e produssero effetti terribili, che ricordano le descrizioni di<br />

Tucidide nelle civili discordie della guerra del Peloponneso, come le fazioni delle città<br />

italiane al M<strong>ed</strong>ioevo. Per questa causa, più che per opinioni positive, molti furono implicati<br />

in provincia nelle inquisizioni del ‘99, e al contrario in piccoli numeri quelle che<br />

prec<strong>ed</strong>ettero quest’epoca; ciò che comprova il nostro asserto, che furono più gli avvenimenti<br />

che le teorie, che compromisero questa classe (la borghesia), parteggiando per il nuovo<br />

ordine di cose”. [12]<br />

Quale fu l’atteggiamento dei Calcaterra durante il passaggio del cardinale Ruffo ce lo dice<br />

nella sua prefazione al più volte citato libro delle “Memorie di A. Calcaterra il prof.<br />

Vincenzo De Cristo: ”La famiglia Calcaterra, aveva aderito al novello partito della<br />

Repubblica allora sorgente; e per ciò, quando il cardinale Ruffo coi <strong>suoi</strong> agenti <strong>ed</strong> emissari<br />

4


aveva al suo passaggio i nomi delle persone qualificate per giacobini, tra le prime vide<br />

designata quella del Calcaterra. Lo auditore del Cardinale che conosceva il sig. Vincenzo<br />

Calcaterra, aveva a questi proposto per potersi salvare, di farsi presentare al cardinale<br />

dall’amico signor Conti, comandante della ferriera di Mongiana, insieme coi figli maggiori<br />

Pasquale, Nicola e Domenico, <strong>ed</strong> insieme con questi seguire il prelato nella riconquista del<br />

Regno. Non piacque al Calcaterra la proposta; ma seppe scusarsi <strong>ed</strong> abilmente fiancheggiare<br />

la posizione; <strong>ed</strong> ottenuta tolleranza <strong>ed</strong> indulgenza per la sua elevata posizione sociale, pensò<br />

di mandare i figli Pasquale e Nicola a studiare a Napoli sotto la protezione degli zii<br />

Cavallari, chiudere il tr<strong>ed</strong>icenne Antonino nel seminario di Mileto, <strong>ed</strong> egli, insieme<br />

coll’altro figlio Domenico rimanere ad attendere alla cultura dei <strong>suoi</strong> poderi <strong>ed</strong><br />

all’avanzamento della famiglia”. Ora da queste puntuali citazioni io mi son fatto un quadro<br />

pressoché veritiero, almeno dal mio punto di vista, di quel che è potuto succ<strong>ed</strong>ere,<br />

naturalmente sottoponendo le succitate fonti ad alcuni rilievi critici.Il colonnello Calcaterra<br />

parla di un di Dasà. Nel Catasto Onciario di Dasà, che però<br />

risale a prima del 1782, non ci sono Palmieri benestanti, ma solo ciabattini. Allora la notizia<br />

del m<strong>ed</strong>ico Palmieri dovrebbe essere falsa, <strong>ed</strong> invece cr<strong>ed</strong>o che sia vera. Si potrebbe pensare<br />

che nel Catasto Onciario di Dasà manchi qualche pagina, ma suppongo che la verità sia<br />

questa: donna Italia Palmieri ha detto a me personalmente che la sua famiglia è venuta a<br />

Dasà da fuori; probabilmente il periodo in cui sono arrivati potrebbe essere quello tra il<br />

1782 e il 1799, magari pensando che a Dasà più proficuamente si poteva esercitare la<br />

posizione di m<strong>ed</strong>ico. D’altronde lei stessa onestamente mi asseriva che i <strong>suoi</strong> antenati in<br />

origine erano “cirari” (lavoratori della cera). Nella seconda citazione del Calcaterra compare<br />

il nostro avvocato Pasquale Calcaterra (non dice che era suo fratello!). Attenzione però ai<br />

tempi. Si parla del giorno di Carnevale del 1799: il cardinale Ruffo era sbarcato in Calabria<br />

il 7 febbraio <strong>ed</strong> a fine marzo aveva già occupato le principali città calabresi. Allora<br />

l’avvocato in questa prima fase riesce a parare il colpo, correndo a Napoli, dove ancora era<br />

in vita la repubblica, fa arrestare il nemico di famiglia, questo “tirannetto” che chiama “ il<br />

sig. C… ; peccato che non dica il nome intero e non sappiamo chi e di quale paese fosse.<br />

Interessante è il fatto che dice che si imbarcano a Pizzo per andare a Napoli: era per la via di<br />

mare che si andava a Napoli e per quattro anni o più il nostro Pasquale l’aveva percorsa per<br />

laurearsi in legge. Comunque le “Memorie” del colonnello Calcaterra ritengo che siano<br />

oneste e veritiere, tuttavia egli ci dà la sua verità e spesso è reticente e non dice tutto. Inoltre<br />

quando parla del principe di Ascoli, al quale si sarebbe rivolto suo fratello Pasquale per<br />

salvare la sua famiglia dal tirannetto, è male informato: il principe di Ascoli era un ministro<br />

f<strong>ed</strong>ele ai Borboni (v<strong>ed</strong>i Colletta e G. Candeloro) e a carnevale del 1799 c’era già la<br />

repubblica a Napoli; e quindi Pasquale poteva pure conoscere l’Ascoli, ma si è dovuto<br />

rivolgere a qualche altro ministro della repubblica e non già all’Ascoli, che era certamente<br />

fuggito in Sicilia con il re.Dal passo del De Cristo si capisce chiaramente che la posizione<br />

della famiglia Calcaterra nel 1799 fu molto ambigua: la maturazione politica avvenne dopo<br />

e, come disse il Blanch, sulla base degli avvenimenti e non delle idee; l’avvenimento tragico<br />

per i Calcaterra fu l’arresto di Pasquale. Io cr<strong>ed</strong>o che il padre non si umiliò a correre dietro il<br />

cardinale probabilmente per l’intervento fermo del figlio Pasquale. Il De Cristo di svarioni<br />

ne scrive tanti: a parte che non parla del successivo arresto di Pasquale, afferma che egli fu<br />

mandato a Napoli a studiare dopo il 1799; è certo invece che all’epoca lui era già avvocato<br />

Pasquale Calcaterra nel 1799 fu l’innovatore della famiglia e rappresentò l’anello di svolta<br />

della sua storia successiva. Ciò avvenne anche suo malgrado perché la storia lo travolse<br />

(tutti vorremmo vivere con una relativa tranquillità senza cercare guai): la rivoluzione<br />

5


francese e l’epopea di Napoleone sconquassarono la vita dell’Europa e anche degli individui<br />

come il nostro Pasquale. Ma la sua famiglia nel 1799 ebbe atteggiamenti incoerenti (per loro<br />

veniva prima il portafoglio e poi le idee): essi sono i tipici rappresentanti di quel<br />

gattopardismo, non solo meridionale, che tanta storia ha avuto nelle vicende lontane e vicine<br />

d’Italia. D’altronde i Calcaterra sfruttavano i contadini nei loro latifondi con contratti agrari<br />

pesantissimi e quando qualche loro esponente si mise a capo del movimento riformatore, ciò<br />

fu visto con diffidenza anzi con odio dai contadini; e si badi bene la diffidenza e l’odio<br />

erano reciproci (il riformismo dei Calcaterra e di tanta parte della borghesia del Sud non<br />

prev<strong>ed</strong>eva nessun alleviamento imm<strong>ed</strong>iato della condizione di vita della massa contadina).<br />

Pertanto questa frattura sociale tra ceto rurale e borghesia meridionale nel 1700 sta alla base<br />

del fallimento della rivoluzione napoletana del 1799. Ma qual è il clima che porta alla<br />

prigionia di Pasquale? Da alcuni anni nel Regno di Napoli era rottura completa tra gli<br />

intellettuali e la corona: gli avvenimenti francesi fecero precipitare tutto. Quando<br />

nell’ottobre 1793 venne ghigliottinata Maria Antonietta, regina di Francia, l’avversione che<br />

Maria Carolina, regina di Napoli e sorella di Maria Antonietta, nutriva per i <strong>liberali</strong> si<br />

tramutò in odio. Quando poi addirittura nel gennaio 1799 la rivoluzione arrivò a Napoli<br />

sulle punte delle fucilerie francesi e dopo alcuni mesi di governo, a giugno crollò,<br />

soprattutto lei e l’ammiraglio Nelson scatenarono il Terrore, in senso contrario, verso i<br />

patrioti. Fu un vero e proprio massacro, dopo il quale infuriò in tutte le province del Regno<br />

la caccia alle streghe, il dalli, dalli al liberale. Alla fine il “ripurgo” voluto dalla regina<br />

Carolina fu completo, ma l’impressione e la riprovazione per tali eccessi fu enorme in tutta<br />

Europa. Qualche citazione a conferma di tutto ciò. Anzitutto il Cingari: “Il 1799 nel<br />

Mezzogiorno è l’anno della grande anarchia, della feroce guerra tra giacobini e sanf<strong>ed</strong>isti,<br />

tra patrioti e briganti. Nessun altro periodo posteriore, nemmeno il 1848, l’anno classico<br />

della rivoluzione, o il primo decennio unitario, quando esplose il grande brigantaggio,<br />

richiama, come il ‘99, una così spietata lacerazione del tessuto sociale, uno scontro tanto<br />

violento di idee, di passioni, di costumi, d’interessi”[13] Poi mi piace citare Ippolito Nievo:<br />

“Sorse una nuova Repubblica Partenopea; insigne per una singolare onestà, fortezza e<br />

sapienza dei capi, compassionevole per l’anarchia, per le passioni spietate e perverse che la<br />

dilaniarono, sventurata e mirabile per la tragica fine…. Non era quella una guerra tra<br />

uomini, ma uno sbranarsi tra fiere.”[14] Infine c’è un Compendio di Anonimo sul 1799<br />

scritto da un esule napoletano in Francia e rimasto per molti anni non pubblicato e sepolto<br />

nella Biblioteque Nationale de France a Parigi, che racconta che nei giorni della riconquista<br />

a Napoli i lazzaroni si abbandonarono nelle strade a scene di cannibalismo. Prima di<br />

continuare a parlare di Pasquale Calcaterra, è opportuno sottolineare una questione<br />

fondamentale per gli studiosi del 1799: i fondi archivistici riguardanti la rivoluzione<br />

napoletana sono estremamente carenti, Il punto a riguardo, quasi in maniera completa, lo fa<br />

il Cingari nella sua famosa opera. Per ciò che concerne il più importante, cioè l’Archivio di<br />

Stato di Napoli, così scrive: “ Distrutti nei primi anni dell’ ‘800 i preziosi processi istruiti<br />

dai Borboni contro i giacobini e distrutti altresì nel 1943, in conseguenza di un incendio, i<br />

cosiddetti “Notamenti dei rei di Stato”, cioè gli estratti dei processi istruiti nelle province<br />

dai “Visitatori politici”, mancano agli studiosi le fonti dirette più cospicue. Sì che non<br />

rimane che l’analisi dei documenti segnalati dal Moscati (storico), e cioè:<br />

1) Gli atti dei “Visitatori Economici”, che furono inviati nelle province per riordinarle<br />

economicamente e la cui azione si protrasse fino al 1804.<br />

2) Gli atti dell’ “Amministrazione dei rei di Stato”, che proc<strong>ed</strong>ette alla confisca e ai<br />

sequestri dei beni dei giacobini”.[15] C’è da precisare, a quanto scrive Nino Cortese nel suo<br />

6


commento al Saggio del Cuoco del 1926 a pag. 424, che gli atti dei processi furono distrutti<br />

dagli stessi Borboni; infatti dice: “ La reazione borbonica, dopo essersi servita dell’archivio<br />

della repubblica per istruire i processi contro i rei di Stato, bruciò e questi e quello”.In<br />

sostanza a Napoli fu istituita una Giunta di Stato (famigerata e terribile) per punire i<br />

repubblicani della capitale; ad essa furono associati i Visitatori per colpire quelli delle<br />

province.<br />

La persecuzione scatenata dai Visitatori nelle province fu ancora più feroce di quella di<br />

Napoli. Insomma sono andati distrutti gli atti dei processi sia della capitale che delle<br />

province. Importanti documenti si trovano pure nell’Archivio di Stato di Palermo, che io<br />

non ho consultato direttamente, ma attraverso l’opera di A.. Sansone. Il Cingari continua<br />

dicendo che gli atti dei “Visitatori economici” offrono ben poche indicazioni per lo studioso<br />

delle vicende calabresi; gli atti dell’ “Amministrazione dei beni dei rei di Stato” sono andati<br />

in parte distrutti nel citato incendio durante la seconda guerra mondiale: offrono però buone<br />

informazioni sulla Calabria <strong>ed</strong> io li ho consultati in parte. Il Cingari poi ci informa che: “ ci<br />

è stato possibile analizzare una copia importante, sebbene imperfetta, del prezioso<br />

relativo alle due Calabrie: si tratta di una copia trascritta nel<br />

1939 dall’originale che si conservava nell’archivio di Napoli e che abbiamo potuto ottenere<br />

per la <strong>liberali</strong>tà del dr. Filippo de Nobili di Catanzaro, cui va tutta la nostra riconoscenza”;<br />

aggiunge poi in nota che “ questo notamento è purtroppo lacunoso; non completo per la<br />

provincia di Calabria Ultra, è assai incompleto per la provincia di Calabria Citra”[16] Io non<br />

ho avuto il piacere di v<strong>ed</strong>ere almeno questa copia, che probabilmente sarà tra le carte del<br />

defunto storico Cingari o fra quelle del de Nobili. E non è che io sono stato fermo: mi sono<br />

recato ben due volte alla Biblioteca Comunale di Catanzaro, intitolata al de Nobili e dove<br />

sono custoditi tutti i <strong>suoi</strong> scritti e le sue carte, ma niente da fare: del famoso Notamento non<br />

c’è traccia. Ho telefonato ad una er<strong>ed</strong>e di Catanzaro di don Pippo de Nobili e mi ha detto<br />

che lei non ha niente e che tutte le sue carte si trovano alla Biblioteca Comunale. Ho poi<br />

telefonato alla v<strong>ed</strong>ova dello storico Gaetano Cingari e mi ha detto che suo marito è stato<br />

ospitato da de Nobili, ma ha preso solo degli appunti dal Notamento, cioè una specie di<br />

elenco dei patrioti della rivoluzione napoletana del 1799; l’originale però è rimasto al de<br />

Nobili. Comunque siano andate le cose, questo prezioso “Notamento” non si trova <strong>ed</strong> io mi<br />

auguro che o la copia del de Nobili o quella del Cingari vengano tirate fuori e pubblicate<br />

perchè questo documento è molto importante per gli studiosi. Ultima annotazione a<br />

riguardo: negli Atti del 2° Congresso Storico Calabrese tenuto nel 1960 e d<strong>ed</strong>icato alla<br />

Calabria nel Risorgimento, nel Catalogo della mostra documentaria allestita all’Archivio di<br />

Stato di Catanzaro c’era un pannello dove era scritto sotto: collezione De Nobili; in esso era<br />

esposto un documento con un’amnistia del 23 aprile 1800 concessa dal re Ferdinando IV per<br />

i reati di cospirazione commessi durante la Repubblica Partenopea. Vi sono indicati, divisi<br />

per provincia, i nomi dei principali cospiratori. All’epoca era ancora vivente il de Nobili e<br />

può darsi che si tratti dello stesso “Notamento” di cui stiamo discorrendo e che lui ha fornito<br />

in occasione del Congresso sul Risorgimento. Fatto è che questo documento oggi non si<br />

trova più e sembra si sia volatilizzato. In questo clima orribile di caccia alle streghe si arriva<br />

all’arresto, al processo e alla prigione per Pasquale Calcaterra. A parte la notizia di Aliquò-<br />

Taverriti che parla di esilio di Pasquale nel 1799 e che cr<strong>ed</strong>o si tratti di una delle tante<br />

imprecisioni che si trovano in questa opera, pur meritoria, ecco cosa si scrive nella più<br />

importante biografia dell’Accattatis a proposito di Pasquale Calcaterra: “ Nell’anno di<br />

sommo slancio liberale che fu il 1799, spirò dall’estrema Calabria l’aura del rinnovamento e<br />

cooperò colla sua parola potente a fare attecchire le nuove idee, alle quali veramente questi<br />

7


luoghi non presentavano terreno ben preparato. Con pochi altri eletti nel nuovo cammino<br />

portando una vita intemerata, sventavano il pregiudizio che facea de’ seguaci della<br />

rivoluzione altrettanti serpenti a sonaglio. Ciò gli valse, al ritorno del Borbone, l’esser tra’<br />

primi designato al sepolcro de’ vivi di Maretimo, donde ritrasse il germe della malattia che<br />

in seguito lo privò dell’udito. Al 1801 firmata la pace o meglio tregua concessa da<br />

Napoleone ai Borboni, aprendosegli la prigione, corse a rassicurare i <strong>suoi</strong>, e di lì a Napoli<br />

per sfuggire in quel centro popoloso le novelle persecuzioni, conducendo seco il fratello<br />

Nicola ventenne, che più tardi tanta potenza d’ingegno appalesava”.[17] L’altra importante<br />

testimonianza sulla prigionia di Pasquale è quella di Vittorio Visalli, che scrisse la sua<br />

pregevole opera qualche anno dopo di quella dell’Accattatis: “ A questi triarii della santa<br />

causa bisogna aggiungere Pasquale Salerno di Castrovillari, Antonio Verardi superstite di<br />

Vigliena, e tanti altri che gl’inviati della Giunta, col nome di Visitatori, andavano uccidendo<br />

per le province. Il sapiente giureconsulto Girolamo Arcovito di Reggio, capitano nella<br />

legione calabra, fu dannato a morte, e dovette alle preghiere e al denaro di suo fratello<br />

Antonio l’esser chiuso nella fortezza d’Ischia. E tra i condannati a Favignana ricorderemo il<br />

barone Giuseppe Poerio di Belcastro, Domenico Vanni di Rende, Gaetano Rodinò di<br />

Catanzaro, il magistrato Pasquale Calcaterra di Dasà, il marchese Domenico Grimaldi di<br />

Seminara (padre dell’eroico Francesco), il quale fu lasciato nelle carceri di Messina perchè<br />

malato di gotta. Guglielmo Pepe, giovinetto di s<strong>ed</strong>ici anni, che aveva combattuto al ponte<br />

della Maddalena, andò esule in Francia, intanto che Florestano, suo maggior fratello, colpito<br />

di palla al petto nell’assalto di Andria, languiva dentro la rocca di Barletta.”[18] Poco più<br />

sotto anche Visalli ci dà il clima orribile della persecuzione: “ Migliaia di persone, strappate<br />

al seno delle famiglie, gemevano in fondo alle squallide caverne di quei castelli borbonici<br />

ch’erano tanto inetti a proteggere il popolo contro gli stranieri quanto potenti ad opprimerlo;<br />

o erravano per selvatici luoghi, spiando l’occasione di affidarsi al mare in cerca di men<br />

desolati paesi. E tutti volgevano gli occhi verso la Francia”(pag. 48).Nella Introduzione si<br />

afferma: “ il Visalli, che da certosino indagatore visitò i paesi delle vittime, raccogliendo le<br />

testimonianze dei parenti e dei testimoni oculari superstiti, rovistò negli archivi privati e di<br />

Stato prendendo nota di istruttorie, sentenze, circolari, disposizioni d’autorità, senza<br />

omettere alcun particolare”. E’ probabile quindi che sia venuto pure a Dasà. Pertanto se noi<br />

non volessimo cr<strong>ed</strong>ere a ciò che scrive il biografo parente del Calcaterra nell’Accattatis, ci<br />

viene a conferma l’autorevole testimonianza del Visalli; nè è pensabile supporre che<br />

quest’ultimo abbia copiato dall’Accattatis perché tra l’altro questi dice che fu imprigionato a<br />

Marettimo, mentre Visalli parla di Favignana. Ora su quale sia stato il vero luogo di<br />

detenzione di Pasquale, in mancanza di altri documenti, è difficile stabilire.Io sarei portato a<br />

dare cr<strong>ed</strong>ito a Marettimo perché il parente discendente del Calcaterra era molto più<br />

informato del Visalli sul luogo di prigionia; d’altronde nelle varie notizie biografiche su<br />

Giuseppe Poerio, detenuto a Favignana, non viene mai fuori il nome del Calcaterra. Oppure<br />

può darsi che la sorte di Pasquale Calcaterra sia stata simile a quella di Guglielmo Pepe<br />

(v<strong>ed</strong>i Appendice), ossia che abbia passato il primo periodo della sua prigionia a Marettimo e<br />

il secondo a Favignana ( dove si viveva un po’ meglio). Comunque, a parte questo<br />

particolare importante, io cr<strong>ed</strong>o che Pasquale fu rinchiuso nelle carceri isolane; ma a quanti<br />

anni era stato condannato non si sa. Marettimo e Favignana sono le isole principali<br />

dell’arcipelago delle Egadi, appartenenti alla provincia di Trapani in Sicilia. C’erano a quei<br />

tempi alcune delle più orride prigioni dei Borbone. L’Accattatis parla di “sepolcro dè vivi”,<br />

dove appunto per l’umidità <strong>ed</strong> il fr<strong>ed</strong>do Pasquale prese la malattia che poi lo privò<br />

dell’udito. Per Favignana (Marettimo era ancora peggio) si dice della prigione come di “<br />

8


fosso scavato nel macigno, in cui si scendeva per una scala di centoventitre gradini”;[19] <strong>ed</strong><br />

il Croce scrive per Favignana: “ era questa una grotta, alla quale si scendeva dal castello per<br />

una lunga scala tagliata nel sasso, con fioca luce, priva di ogni raggio di sole, fr<strong>ed</strong>da e<br />

umidissima”.[20] Non dissimili furono le condizioni di prigionia del Calcaterra. Ecco una<br />

descrizione moderna di Marettimo: nel reportage per la rivista “Meridiani” Sicilia-Isole, del<br />

giugno 2000, Virman Cusenza scrive di Marettimo, che tra l’altro chiama “La montagna<br />

incantata”: “ . E’ Marettimo, la più lontana delle Egadi. I Greci la chiamarono<br />

così (), perchè appare ai naviganti come una possente, inaccessibile catt<strong>ed</strong>rale di<br />

granito. Per i <strong>suoi</strong> fondali da sogno, le sue scogliere selvagge e le sue grotte è una delle isole<br />

più belle del M<strong>ed</strong>iterraneo”. E più avanti aggiunge però:” Più giù, a strapiombo su Punta<br />

Troia, troneggia un forte borbonico che per decenni ospitò i sospiri di parecchi prigionieri<br />

politici. Gli unici che alla non hanno mai cr<strong>ed</strong>uto”. Su “il Giornale<br />

dell’8 agosto 2002, Giordano Bruno Guerri scrive a proposito di Marettimo:” Popoli duri<br />

che, come si usava prima degli aliscafi e degli elicotteri, v<strong>ed</strong>evano nelle isole appunto<br />

luoghi di isolamento, perfetti come avamposti e prigionie crudeli. Una delle più crudeli<br />

ch’io sappia ili quella che i Borboni, molli e feroci, inflissero a Guglielmo Pepe. C’è, sulla<br />

punta estrema dell’isola, un castello fatato e inespugnabile, dotato di una cisterna dell’acqua<br />

in caso d’ass<strong>ed</strong>io. Svuotata la cisterna, l’antro divenne la più tremenda delle prigioni, dove<br />

Pepe venne rinchiuso per anni, al buio, finché venne estratto verde e con la pelle attaccata<br />

alle ossa”. Orribile e bella questa descrizione della prigione-fortezza di Marettimo.<br />

Tornando a Pasquale Calcaterra, a parte le autorevolissime testimonianze citate, io sono<br />

andato in questi ultimi anni inutilmente alla ricerca di qualche documento di archivio che<br />

attestasse al 100% la sua prigionia: finora non ho trovato nulla. Il suo nome non compare nè<br />

nell’elenco dei condannati pubblicato nell’opera del Battaglini, nè in quella del<br />

Sansone.Quella di Mario Battaglini è un’ampia trattazione, fondamentale per la storia dei<br />

sei mesi di vita della repubblica di Napoli: M. Battaglini: Atti, leggi, proclami <strong>ed</strong> altre carte<br />

della repubblica napoletana (1798-1799), Soc. Ed. Meridionale, Salerno-Catanzaro, 1983,<br />

due volumi. In occasione del secondo centenario della rivoluzione napoletana del 1799 il<br />

Battaglini ha allestito una nuova <strong>ed</strong>izione della sua opera in collaborazione con Augusto<br />

Placanica. E’ un’<strong>ed</strong>izione riv<strong>ed</strong>uta, corretta e integrata, molto più corposa della prima: sono<br />

quattro volumi, pubblicata tra novembre 2000 e luglio 2001 da Di Mauro Editore, Cava de’<br />

Tirreni ( SA ).Quindi va precisato che il Battaglini ci fornisce tutta o quasi<br />

la documentazione esistente sulla vita della repubblica; la carenza di fonti archivistiche di<br />

cui si lamenta il Cingari pertanto riguarda il dopo: cioè dalla caduta della repubblica in poi.<br />

Tuttavia, per ciò che ci riguarda, il nome di Pasquale Calcaterra non compare nemmeno in<br />

questa nuova <strong>ed</strong>izione, perché poi documenti nuovi concernenti le condanne dei patrioti non<br />

ce ne sono. C’è tuttavia da precisare che la maggior parte della documentazione fornita dal<br />

Battaglini è tratta dal libro di A.. Sansone.[21] A sua volta il Sansone ha svolto un lavoro<br />

egregio, tratto dalle carte dell’Archivio di Stato di Palermo dove, si badi, si era trasferito il<br />

governo regio nel periodo della repubblica giacobina). Egli pubblica il “Registro dei<br />

condannati a pene diverse dai visitatori destinati nelle province del Regno di Napoli”; esso<br />

però riguarda il solo anno 1800, partendo da marzo, mi pare. Quindi se, come è probabile,<br />

Calcaterra è stato condannato prima non può risultare in questo elenco. Va tenuto comunque<br />

sempre presente che la documentazione principale, quella dell’Archivio di Stato di Napoli,<br />

come si è detto, è andata per lo più distrutta. Il Visitatore politico, che si occupava della<br />

Calabria e della Basilicata era il Marchese della Valva, il quale, risi<strong>ed</strong>endo prevalentemente<br />

in Basilicata, lasciò le varie trattazioni della Calabria ai Presidi di Catanzaro e Cosenza. Il<br />

9


Preside di Catanzaro era Antonio Winspeare, lo stesso che sp<strong>ed</strong>ì nel marzo 1801 il prezioso<br />

rapporto distrutto nel 1943 a causa dei bombardamenti della guerra su Napoli, ma copiato in<br />

parte nel 1939 da Filippo de Nobili. Ora, caduta la repubblica, tutte le protezioni per la<br />

famiglia Calcaterra crollano e si scatena anche per loro l’inferno. La famiglia di quel tale<br />

signorotto C... , che qualche mese prima era stato colpito dal nostro avvocato, si prese la sua<br />

vendetta. Probabilmente, insieme a costui, altri nemici si mossero con le denunce, le<br />

testimonianze finché non riuscirono ad incastrare Pasquale, leader e guida della famiglia<br />

Calcaterra. Secondo me Calcaterra fu processato e condannato dal Preside di Catanzaro o a<br />

limite, se è vero quello che scrive Antonino Calcaterra nelle “Memorie”, può darsi che si sia<br />

costituita una sottosezione di tribunale nella certosa di Serra S. Bruno, dove il nostro<br />

Pasquale può essere stato processato. Io penso che a settembre o ad ottobre 1799 (o al<br />

massimo prima di marzo del 1800) fu imbarcato con altri condannati verso le isole Egadi.<br />

Può darsi che si sia incontrato ancora una volta con Giuseppe Poerio; ma questi fu rinchiuso<br />

a Favignana e Pasquale invece a Marettimo. All’Archivio di Stato di Napoli ho consultato<br />

alcune buste della “ Amministrazione generale dei beni dei Rei di Stato” ; non è venuto<br />

fuori il nome di Pasquale Calcaterra di Dasà (mi auguro di essere più fortunato appresso<br />

);nella busta n.221contenente copia della Relazione della Suprema Giunta di Stato di<br />

Catanzaro,Calabria Ultra II, con vari ricorsi, dell’agosto 1800, si trova una denuncia che fa<br />

il sacerdote D. Michele Catania di Dinami con quel Governatore; non dice però il motivo<br />

della denuncia: forse per interc<strong>ed</strong>ere per qualche condannato?<br />

Tuttavia una cosa l’ho constatata con certezza: nella Mappa dei Rei di Stato, contro dei<br />

quali trovasi ordinata la confiscazione dei Beni dalla Suprema Giunta di Stato e dal Regio<br />

Visitatore Generale per la provincia di Catanzaro, ossia Calabria Ultra, non si trovano<br />

sequestrati beni della famiglia Calcaterra di Dasà. La famiglia era riuscita a limitare i danni<br />

al solo arresto di Pasquale. Ho trovato pure, sempre all’archivio di Napoli, un interessante<br />

elenco del Notamento delle Decisioni dei Rei di Stato condannati a decapitazione, forca,<br />

asportazione, esilio, concordia (sic, forse patteggiamento?)… <strong>ed</strong> altri escarcerati dalli 17<br />

agosto fino a 2 novembre 1799: non c’è però Pasquale Calcaterra. Questo elenco è scritto in<br />

maniera disordinata <strong>ed</strong> è confusionario: può darsi che il nome di Calcaterra sia sfuggito,<br />

oppure egli è stato condannato dopo il 2 novembre, oppure, meglio, se Calcaterra fu<br />

processato in Calabria, come par certo, non poteva esserci in questo elenco. Comunque da<br />

queste carte risulta una cosa: è impressionante e penoso il numero dei ricorsi: da quelle<br />

pagine rossicce, consumate dal tempo, promana prepotente il clima di terrore e di paura a<br />

cui fu sottoposto il Regno da parte dei Borboni alla caccia dei giacobini ,e le suppliche<br />

penose dei parenti per chi<strong>ed</strong>ere intercessione per i familiari condannati, i tentativi di<br />

corruzione con esborso di denaro per sconti di pena, la pesantezza delle delazioni ecc... Ho<br />

consultato inoltre dei documenti importanti sul 1799 (il Cingari non ha consultato questo<br />

fondo ), che si trovano a Napoli nell’Archivio Storico del Banco di Napoli, in via dei<br />

Tribunali, vicino al vecchio Palazzo di Giustizia. C’è ad es. una “Nota dei rei di stato<br />

obbligati a partire condannati a sequestri, confisca <strong>ed</strong> altro”. In questo lungo elenco in<br />

ordine alfabetico non ci sono i Calcaterra di Dasà. Ma se il nostro Pasquale è stato<br />

condannato in Calabria non poteva esserci in questo elenco. Più strano è che non parli della<br />

detenzione del fratello Pasquale, Antonino Calcaterra nelle sue “Memorie”. Intanto in<br />

questo suo libro di amnesie volute o meno Antonino ne ha parecchie. Comunque, a parte<br />

ciò, queste “Memorie” sono molto utili per una moltitudine di notizie altrimenti perdute: si<br />

noti bene che quando Antonino parla di sè stesso e dei <strong>fratelli</strong> lo fa sempre in terza persona.<br />

10


Ricordiamoci che egli scrive nel pieno periodo della Restaurazione borbonica e con tutti i<br />

problemi che la sua famiglia stava passando e doveva passare per colpa di quel regime,<br />

ritenne che non era il caso di cercarsi nuovi guai nel caso che le sue “Memorie” fossero<br />

finite nelle mani della polizia, facendo capire che alcuni membri della sua casa erano dei<br />

<strong>liberali</strong> e oppositori dei Borboni; d’altronde, a leggere bene il suo libro, le idee <strong>liberali</strong><br />

appaiono evidenti. Se è cosi, io ritengo, che egli volesse che quelle “ Memorie” rimanessero<br />

rigorosamente manoscritte; <strong>ed</strong> infatti furono pubblicate quasi un secolo dopo nel 1923. E’<br />

probabile pure che l’autore ritenesse disonorevole o dannoso rivelare che il fratello era stato<br />

in carcere per motivi politici o può darsi anche che queste “Memorie” Antonino le abbia<br />

scritte vivente ancora il fratello Pasquale, il quale forse era già stato colpito dalla grave<br />

malattia che lo porterà alla morte. Pertanto, per rispetto a Pasquale, non ha ritenuto di<br />

parlare della sua prigionia a Marettimo, oppure può averglielo chiesto lo stesso Pasquale di<br />

non ricordare quella tristissima esperienza della sua vita. Come sia andata la cosa è un<br />

mistero. Infine, a conferma della mattanza scatenata dai sanf<strong>ed</strong>isti già a partire dalla marcia<br />

trionfante che l’orda funesta intraprese lungo la Calabria, voglio riportare due lapidi che ho<br />

visto e fotografato io stesso: una si trova a Corigliano e l’altra a Nicotera ( chissà quanti altri<br />

episodi del genere sono successi in Calabria e non sono ricordati da nessuna lapide!).Quella<br />

di Corigliano è posta all’ingresso (sopra) del castello e recita così: “ Nel bicentenario della<br />

Repubblica Partenopea a perenne ricordo di Pietro Malena e Paolo Marrazzo qui fucilati il<br />

20 aprile 1799 martiri per amore di libertà e uguaglianza, a cura del Rotary Club Corigliano<br />

Rossano Sybaris, 8 maggio 1999”. La lapide di Nicotera ricorda l’eccidio del giovane<br />

avvocato Andrea Coppola e di Filippo Lùpari ad opera della furia popolare sanf<strong>ed</strong>ista. Il<br />

marmo di Nicotera è firmato pure dal Rotary Club. Entrambi gli episodi sono ben descritti<br />

nel classico libro del Cingari (Giacobini e Sanf<strong>ed</strong>isti…). Ma la storia proc<strong>ed</strong>eva rapida: si<br />

assiste alla fine del 1800 ad una ripresa della guerra in Italia tra Napoleone e l’Austria; a<br />

fianco di quest’ultima si schierò il re di Napoli, che però fu sconfitto dai francesi. Fu quindi<br />

firmata nel marzo 1801 una pace tra la Francia e il Regno di Napoli, tra le cui clausole<br />

c’erano pure la liberazione dei prigionieri politici e il riaccogliere gli esuli. Verso giugno di<br />

quell’anno Pasquale Calcaterra fu quindi liberato, dopo essersi fatto più o meno una ventina<br />

di mesi di prigione. Assieme a lui uscirono pure Giuseppe Poerio, valentissimo avvocato, e<br />

gli altri detenuti politici. Il Nostro venne a Dasà e, dopo essersi goduto per un breve periodo<br />

l’affetto della famiglia, si trasferì subito a Napoli, dove portò a studiare all’università il<br />

fratello Nicola. Egli voleva uscire dal clima pesante e meschino dei piccoli paesi e respirare<br />

l’aria della città. A Napoli Pasquale esercitò con successo la professione forense, legandosi<br />

sempre più di amicizia con Giuseppe Poerio, che seguì pure nella valentìa<br />

professionale,divenendo suo allievo. Nel 1806 iniziò il decennio di governo napoleonico nel<br />

Regno di Napoli <strong>ed</strong> il re Giuseppe Bonaparte chiamò a governare i vari distretti del Regno<br />

le personalità più illuminate e <strong>liberali</strong>, vicine ai <strong>suoi</strong> impegni riformatori. Pertanto il<br />

Calcaterra nel 1806, e non nel 1805 come vuole il biografo dell’Accattatis, perchè è<br />

impensabile che i Borboni dessero un tale incarico ad un liberale, fu nominato governatore a<br />

Castropignano (Campobasso) “ove più infieriva il malandrinaggio”.[22] Dopo più di un<br />

anno di governatorato, intorno al 1807, rientrò a Napoli per riprendere la carriera del Foro.<br />

Ed è in un famoso processo nel quale, contro ogni previsione, fece assolvere l’imputato, che<br />

egli si conquistò la fama di “ avvocato principe” (Accattatis) del Foro di Napoli. In buona<br />

sostanza un figlio del cav. Tortora, dopo aver esercitato la sua brutalità di p<strong>ed</strong>erasta sopra<br />

un giovanetto, per cancellare ogni testimonianza, lo fa uccidere, incolpando del delitto un<br />

suo domestico. Per il Tortora c’erano i più bei nomi degli avvocati di Napoli, tra cui il<br />

11


Lauria; il domestico fu difeso dal Calcaterra. Egli riuscì con la sua grande capacità oratoria<br />

e forza di persuasione, corroborata dalle prove, a far assolvere il domestico <strong>ed</strong> a condannare<br />

il Tortora. Si v<strong>ed</strong>a, per maggiori dettagli, la biografia dell’Accattatis. Il 1815 è l’anno della<br />

caduta definitiva di Napoleone, sconfitto a Waterloo; con lui si conclude anche il governo di<br />

Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, e re di Napoli (sarà fucilato, come è noto, a Pizzo<br />

Calabro). Torna il governo borbonico e tra i <strong>liberali</strong>, alcuni vengono arrestati, altri sono<br />

costretti all’esilio. il Calcaterra prende la via dell’esilio a Firenze, “dove esercitò con fortuna<br />

la professione di avvocato”.[23] Però Aliquò sbaglia perchè attribuisce questo esilio<br />

all’anno 1820, mentre si tratta del 1815. Comunque, dopo due anni, nel 1817 Pasquale<br />

rientra dall’esilio e viene a vivere a Dasà. E’ in questi mesi di serenità familiare e di pace<br />

interiore che scrisse la sua opera giuridica “Riflessioni sul criterio morale “- Parte Prima -<br />

Analisi delle pruove; stampata a Messina nel 1819. Una copia di questo libro si trova nella<br />

Biblioteca Comunale “Filippo De Nobili”di Catanzaro. In questo volume io ho trovato un<br />

foglio manoscritto, di cui mi son fatto la fotocopia: mi ha emozionato pensare sia stato<br />

scritto dallo stesso Pasquale Calcaterra, ma non ne sono sicuro. Di sicuro si tratta di un<br />

elenco di libri ( forse con relativo prezzo o pag. ), tra cui è sottolineato Beccaria. Ancora di<br />

sicuro Pasquale aveva scritto nel corso di quegli anni la seconda parte del suo trattato, “ma i<br />

disastri di sua vita gli imp<strong>ed</strong>irono di pubblicarla”(Accattatis). Purtroppo questo manoscritto<br />

è andato disperso. L’argomento di questo libro a stampa è tutto giuridico: basta scorrere<br />

l’indice delle materie contenute. Una sintesi ce la da il biografo dell’Accattatis, anch’egli<br />

avvocato. Quel che mi preme di evidenziare è che l’intonazione dell’opera dall’inizio alla<br />

fine è ispirata a quel filone giuridico riformatore, tipico dell’illuminismo napoletano: v<strong>ed</strong>i<br />

ad es. l’ampia citazione di Mario Pagano.Nella breve nota biografica di Vincenzo Marvasi<br />

su “ Calabria Letteraria”, da me citata, a proposito di questo libro si scrive: “….. in cui<br />

auspicava la riforma della proc<strong>ed</strong>ura penale al fine di ” ( parole sue). Alla Biblioteca Nazionale di Napoli viene citato<br />

uno scritto di Pasquale Calcaterra dal titolo: “Il Regno delle Due Sicilie nel M<strong>ed</strong>io Evo”,<br />

che non è facile trovare; forse si trova in un’opera collettanea sul Regno delle Due Sicilie<br />

che c’è. L’ha scritta il nostro Pasquale Calcaterra o si tratta di un altro? Dopo alcuni mesi il<br />

tribunale di Reggio Calabria gli affidò la difesa dei briganti, i <strong>fratelli</strong> Monteleone, detti dal<br />

popolo Ronca. Ecco come si esprime l’Aliquò su questi ultimi anni di attività forense del<br />

Nostro: “Ritornato in Calabria nei Tribunali di Reggio e di Catanzaro fu primo per<br />

eloquenza e per capacità. Celebri le arringhe in difesa dei famosi briganti Bruno e Giuseppe<br />

Monteleone Ronca. Nel 1823 fu strenuo patrono di Francesco Monaco, Luigi, Pasquale e<br />

Giacinto Jessi, già <strong>suoi</strong> compagni di f<strong>ed</strong>e politica”. I famosi moti carbonari di Napoli del<br />

1820 mobilitarono le anime più generose del Regno verso quella riforma della Costituzione<br />

in senso moderno che si sperava poter finalmente attuare. Insieme al Muratori, al Romeo.<br />

Calcaterra di<strong>ed</strong>e il suo contributo di idee alla formazione della Costituzione, come attestano<br />

l’Accattatis e l’Aliquò-Taverriti. Più esposti di lui erano in questa fase rivoluzionaria gli<br />

amici calabresi: il generale Guglielmo Pepe e l’insigne avvocato Giuseppe Poerio. Ma ben<br />

presto gli entusiasmi di rinnovamento furono di nuovo delusi: la reazione austriacoborbonica<br />

stroncò tutto nel 1821 e l’illustre patriota vibonese Michele Morelli, che aveva<br />

capeggiato il moto, finì sulle forche di Napoli nel settembre 1822. in quella famigerata<br />

piazza Mercato, che aveva visti uccisi dai Borboni i principali eroi del 1799. Anche<br />

Calcaterra pagò per il suo impegno, ma questa volta in misura meno pesante: “Le peripezie<br />

di quella rivoluzione si chiusero pel Calcaterra con una composizione la più equa a sperarsi<br />

dalla polizia, di ritirarsi, cioè, dalla vita pubblica” (Accattatis). Ed egli si piegò inizialmente<br />

12


a questa condizione. Ma nel 1823 ebbe l’incarico di istruire a Catanzaro il processo contro<br />

l’uccisione di un Marincola, famiglia forte del luogo. In tale occasione “ebbe caro”<br />

(Accattatis ) fare parte del collegio di difesa dei tre patrioti catanzaresi condannati a morte.<br />

Ossia, trovandosi a Catanzaro per il processo Marincola, accettò di buon grado la difesa<br />

anche dei tre patrioti. A tale proposito tante sono le testimonianze. Ne cito tre autorevoli.<br />

Una è tratta dal pregevole volume collettaneo su Catanzaro.[24] Il saggio è quello di<br />

Antonio Carvello, che così scrive: “ E questi aneliti di libertà, queste idee nuove, che<br />

serpeggiavano anche a Catanzaro, mandavano sulla forca, il 24 marzo lun<strong>ed</strong>ì santo del 1823.<br />

due giovani catanzaresi di circa vent’anni. Luigi Pascali e Giacinto De Jessi, <strong>ed</strong> un altro<br />

giovane di Dipignano, Francesco Monaco, implicati nel moto del 1821. Fu vana, durante il<br />

processo, la battaglia che in loro difesa combatté il famoso avvocato Pasquale Calcaterra di<br />

Dasà, studioso di diritto e di etica e autore delle Riflessioni sul criterio morale”. L’autore<br />

cita come una delle sue fonti le Memorie di Guglielmo Pepe. Io ho consultato questa opera,<br />

ma non ho potuto riscontrare la notizia, forse perchè non ho letto da cima a fondo i due<br />

volumi <strong>ed</strong> inoltre, essendo delle vecchie <strong>ed</strong>izioni, non esiste un indice dei nomi. Sarebbe<br />

opportuna una <strong>ed</strong>izione critica delle Memorie del Pepe. L’altra attestazione è quella di<br />

Cesare Sinopoli nell’opera sulla Calabria scritta da tre autori, uno dei quali è il nostro<br />

compaesano di Arena, il generale Salvatore Pagano. Dice Sinopoli ad un certo punto:<br />

“Difendevano gli imputati l’avv. Nicola Marini- Serra, gigante del Foro Calabrese, l’avv.<br />

Pasquale Calcaterra, l’avv. Gaspare Arcuri. cognato di De lesse, insigne avvocato e maestro<br />

di Diritto Penale. L’avv. Giuseppe Manfr<strong>ed</strong>i, r<strong>ed</strong>uce della Grande Armata.....”.[25] La terza<br />

testimonianza è quella del Visalli: “Ed il 24 marzo 1823, lun<strong>ed</strong>ì santo, l’atterrita Catanzaro<br />

vide morire decapitato Francesco Monaco, vide morire su le forche Luigi Pascali e Giacinto<br />

Jessi, difesi invano dalla maschia eloquenza di Pasquale Calcaterra”.[26] Il biografo<br />

dell’Accattatis dice che, dopo tale difesa dei patrioti catanzaresi, risorse l’ira della polizia<br />

borbonica contro il Calcaterra. Ed allora io mi immagino come Pasquale e tutta la sua<br />

famiglia abbiano speso tutta la loro capacità <strong>ed</strong> influenza per dimostrare che egli non era<br />

venuto meno al suo impegno di ritirarsi dalla vita pubblica, ma aveva assolto, pressato, la<br />

sua professione di avvocato. Qualche amico si era mobilitato in suo favore, forse quel tale<br />

cardinale De Gregorio, a cui accenna l’Accattatis, ma non ne sono sicuro. Se<br />

l’interessamento ci fu, il cardinale poi come compenso lo chiamò a Roma e dopo a Palermo<br />

a difendergli delle sue cause, in tal caso, gratis; ma può darsi che il cardinale non si sia<br />

interessato al suo caso e lui gli difese le sue cause dietro compenso; ma è più probabile la<br />

prima ipotesi, stando all’Accattatis. Considerate i trapazzi fisici e psichici di questi viaggi e<br />

di questi processi, a cui dovette sottoporsi. Certo è che Calcaterra evitò guai grossi questa<br />

volta, ma ciò fu un ulteriore, duro colpo per la sua persona Infatti l’Accattatis ci informa che<br />

al Calcaterra “ nel 57° anno di sua vita si ecclissa la intelligenza, la memoria non gli<br />

soccorre, la sua giocondità tramutasi in malinconia”.[27] Io ne ho d<strong>ed</strong>otto che Calcaterra fu<br />

colpito dal morbo di Alzheimer. I dizionari m<strong>ed</strong>ici dicono che tale morbo prende dopo i 60<br />

anni, ma ci sono forme precoci e tale è il caso del nostro Pasquale. Fatto è che nel giro di tre<br />

anni egli “divenne un tronco” e morì. Sulla data di morte tutte le fonti sono concordi, a parte<br />

il giorno. Io mi limito a citare l’atto di morte conservato nel Comune di Dasà: “ nel giorno 7<br />

del mese di febbraio, anno mille ottocento trenta, alle ore 16 è morto nella casa del Padre<br />

Don Pasquale Calcaterra di anni 60, nato in Dasà, di professione Dr. di legge…. figlio di<br />

Don Vincenzo…. e di Donna Marianna Cavallaro….”. Era sindaco Saverio Corrado. Vi<br />

lascio immaginare le circostanze in cui si è svolto quel funerale, che avrebbe meritato ben<br />

altra solennità e partecipazione, visto il personaggio, ma che cr<strong>ed</strong>o fu celebrato piuttosto in<br />

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sordina, dato il clima di piena Restaurazione in cui si viveva <strong>ed</strong> i rischi che un’esposizione<br />

troppo evidente delle sue vicende avrebbe comportato per la sua famiglia e per i presenti.<br />

Questa è solo una mia ipotesi, ma può darsi pure che il funerale fu celebrato in pompa<br />

magna. Fu seppellito “ nell’avello di sua famiglia”, ossia nello spazio ( non c’erano delle<br />

cappelle) riservato alle famiglie “nobili” della chiesa matrice di S. Nicola di Dasà. I<br />

cadaveri dei poveracci erano ammucchiati nella cripta comune sotto il pavimento della<br />

stessa chiesa. Purtroppo oggi non esistono tracce nè di queste tombe nè dell’architettura<br />

della chiesa, perchè con una sciagurata decisione del vescovo essa fu completamente<br />

demolita e ricostruita durante il periodo fascista, facendone il casermone che c’è adesso.<br />

Un’ultima postilla: come se la passava Pasquale Calcaterra a donne? Dall’atto di morte<br />

sembrerebbe che egli non fosse sposato, perciò si dice che è morto nella casa del padre. I<br />

biografi non parlano di donne particolari nella sua vita, ma cr<strong>ed</strong>o che non sia rimasto a<br />

digiuno, visto poi il personaggio.<br />

[1] A. Placanica: Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria, Soc. Ed. Meridionale, 1979, Salerno-Catanzaro. ( La<br />

privatizzazione delle terre ecclesiastiche, 1784-1815 ).<br />

[2] A. Placanica: idem, pag. 125 .<br />

[3] A. Placanica: idem pp. 381-382.<br />

[4] G. Cingari: Giacobini e sanf<strong>ed</strong>isti in Calabria nel 1799, Casa del Libro Ed., R.C., 1978, reprint ( la prima <strong>ed</strong>izione è<br />

del 1957 ).<br />

[5] G. Cingari: idem, pag. 160.<br />

[6] G. Cingari: idem, pp. 19-20.<br />

[7] Aliquò-Taverriti: Gli Scrittori Calabresi, quattro volumi, R.C., 1955-58.<br />

[8] G. Valente: Dizionario dei luoghi della Calabria, due volumi, Frama Sud, Chiaravalle Centrale (CZ), 1973.<br />

[9] G. Cingari: op. cit., pag. 184.<br />

[10] A. Calcaterra: Memorie istoriche militari dal 1799 al 1822, Polistena, 1923, pp. 29-30.<br />

[11] A. Calcaterra: idem, pp. 31-33.<br />

[12] L. Blanch: in “ Scritti storici” ( brano preso da R. Villari: Il Sud nella storia d’Italia, Laterza, Bari, <strong>ed</strong>iz. 1978, pp.<br />

46-47).<br />

[13] G. Cingari: Brigantaggio – Proprietari e contadini nel Sud (1799-1900), Editori Meridionali Riuniti, R.C., 1977,<br />

pag. 37.<br />

[14] Ippolito Nievo: Confessioni di un italiano, capitolo XVII , Garzanti Edit.<br />

[15] G. Cingari: Giacobini…., cit. , pp. 8-9-10 .<br />

[16] G. Cingari: Giacobini…., cit.,( v<strong>ed</strong>i la citazione prec<strong>ed</strong>ente).<br />

[17] “Biografie degli Uomini illustri delle Calabrie” a cura di L. Accattatis, Cosenza, 1869-1877 ( Le biografie di<br />

Pasquale e Nicola Calcaterra sono state scritte dal loro discendente Pasquale Calcaterra fu Francesco, avvocato e<br />

sacerdote di Polistena).<br />

[18] V. Visalli: I Calabresi nel Risorgimento Italiano(1799-1862), Ed. Brenner, Cosenza, 1989;pp.47-48 ( Prima<br />

<strong>ed</strong>izione, Torino, 1893 ). Volume Primo.<br />

[19] Vita di Giuseppe Poerio, scritta dal figliuolo Carlo, in Commemorazione di giureconsulti napoletani, Na, 1882,pag.<br />

99.<br />

[20] B. Croce: Una famiglia di patrioti, Bari, Laterza, 1949, pag. 17.<br />

[21] Alfonso Sansone: Gli Avvenimenti del 1799, Palermo, 1901.<br />

[22] Accattatis: Biografie….. cit., vol. IV, pag. 27.<br />

[23] Aliquò-Taverriti: Scrittori…… cit.<br />

[24] Catanzaro ( Storia- Cultura- Economia ), Rubbettino Ed., Soveria Mannelli (CZ), 1994, pp. 157-158.<br />

[25] C. Sino poli- S. Pagano-A. Frangipane: La Calabria ( Storia-Geografia-Arte), Rubbettino Ed., 2004, pag. 167. La<br />

prima <strong>ed</strong>izione è stata presso Mauro, CZ, 1925.<br />

[26] V. Visalli: I Calabresi nel Risorgimento…. Cit., vol. Primo, pag. 279.<br />

[27] Accattatis: Biografie….. cit., vol. IV, pag. 31.<br />

Fonte e Copyright: www.associazionecultural<strong>ed</strong>asaese.it<br />

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