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Mike Arruzza, questa è la mia vita

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MERCOLEDÌ 23 aprile 2008il personaggio36V I B O C U L T U R Aca<strong>la</strong>briaoraMIKE ARRUZZAQuesta è <strong>la</strong> <strong>mia</strong> <strong>vita</strong>La storia e le opere del pittore di Dasà, trai più grandi artisti ca<strong>la</strong>bresi contemporaneiEra il 5 ottobre del 1937. Alnumero 5 di via Savoia, Michelesalutò il mondo con ilsuo primo vagito. Terzo figliodi Francesco <strong>Arruzza</strong> e OlimpiaGanino, visse <strong>la</strong> sua primainfanzia imparando a conoscereil dolore di un tempo.Attorno a lui le case umili e accoglientidi una Dasà provatadal<strong>la</strong> miseria, ferita dal secondoconflitto mondiale e dall’emigrazioneverso quel nuovomondo che il sogno di una<strong>vita</strong> migliore aveva costretto ascoprire. Il piccolo Micheleaveva solo sette mesi quandosuo padre ritornò in America,tra le vie di una sperduta LittleItaly, a Stanford. Quell’uomodal volto corrucciato e dalcuore buono aveva attraversatol’At<strong>la</strong>ntico per cercar fortunaall’inizio degli anni ’20. Fecein tempo, così, a baciare ilsuo piccolo e a fuggire dagliorrori di un’Italia giunta ormaiquasi al culmine del ventenniofascista.L’infanziaMichele rivide suo padre, aDasà, solo dieci anni dopo.«Fu lui – ricorda – a chiamarmiper <strong>la</strong> prima volta <strong>Mike</strong>». Equel nome lo portò per sempre,come segno di un legameprofondo, fatto di ricordi brevie intensi, che il tempo, nél’oceano, avrebbero cancel<strong>la</strong>to,né sbiadito. Il piccolo <strong>Mike</strong>coltivò sin da bambino <strong>la</strong> suaverve artistica, recitando nel<strong>la</strong>filodrammatica di Dasà. Ditanto in tanto giungevano daquelle parti anche compagnieteatrali con i loro spettacoli itinerantie «quando mancavaloro un bambino – rammenta– chiamavano me». Da figliodi italo-americano, <strong>Mike</strong> noncamminava mai scalzo. «Avevosempre le scarpe o i sandali,ma invidiavo i ragazzini del<strong>la</strong><strong>mia</strong> età che correvano a piedinudi. Poi <strong>mia</strong> madre mi richiamavae mi spiegava quantofossi fortunato, ma io alloranon capivo». Era tuttaun’altra <strong>vita</strong>, all’epoca, «anchel’amicizia – spiega <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>– aveva un valore diverso.Era profonda, viscerale.C’era sì <strong>la</strong> povertà e <strong>la</strong> miseria,ma il senso dei valori non eraaffatto quello di oggi». Era il1947, aveva appena dieci anni,quando, per amicizia, marinò<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>. Il sole era caldo male acque del Petriano eranogelide. Buscò una doppia polmonite.Finì su un letto con <strong>la</strong>madre in <strong>la</strong>crime al suo capezzale,assieme ad altri parenti,mentre il prete benedì <strong>la</strong> suafronte con l’olio santo. Ricordaancora oggi il volto di quelsuo cugino, ai piedi del letto,svanire nel buio. Poi d’un colposi risvegliò. A salvargli <strong>la</strong><strong>vita</strong> fu un’iniezione di penicillina.«Se sono qui, ancora oggi,è grazie al<strong>la</strong> moglie del professorInizitari, che era un medico,e a un mio zio, che presein prestito una macchina e, arrivatoa Vibo, riuscì a trovarequel<strong>la</strong> medicina».L’adolescenzaCosì il piccolo <strong>Mike</strong> si ripresee si trasferì per studiare inun collegio del<strong>la</strong> Capitale. Nonriuscì a completare il ciclo distudi, perché il 26 aprile del1953, mentre si recava per ritirare<strong>la</strong> sua posta, il papàFrancesco, colpito da infartomorì su una stradina di Stanford.Non potendosi più mantenerea Roma, <strong>Mike</strong> ritornòin Ca<strong>la</strong>bria per conseguire <strong>la</strong>licenza media e “parificare” glistudi compiuti in collegio.«Pensi – ricorda con un filo diautoironia – che fui rimandatoin disegno, presi 3. Poi sostennil’esame di riparazione elo superai a pieni voti». Tre indisegno per colui che sarebbedivenuto uno dei più grandipittori ca<strong>la</strong>bresi contemporanei.Ancora adolescente, sitrasferì a Mi<strong>la</strong>no per cercare<strong>la</strong>voro. Tante porte chiuse infaccia, finché non trovò impiegoin una argenteria. Ma <strong>Mike</strong>era un pesce fuor d’acqua,irrequieto. Finché un giorno,parole». A quel<strong>la</strong> casa discograficaapparteneva ancheNil<strong>la</strong> Pizzi. «Un giorno dovettepartire per <strong>la</strong> Spagna e miinvitò ad andare con lei –spiega – pensavo scherzasse,ma invece era seria». Ma <strong>Mike</strong>rimase in Italia e incise anche“Ciangi chitarra”: «Le radiolocali – rammenta – <strong>la</strong>mandavano di continuo e ioinviai il 45 giri a parenti e amici.Era come toccare il cielocon un dito». Nel frattempo,con Daniro Travaglia l’amiciziaera diventata sempre piùforte e così, quando da direttorecommerciale si staccòdell’Ipm, fondò una nuova casadiscografica, <strong>la</strong> Sonor. «Midisse o vinciamo insieme oppuretorneremo entrambi acasa». Gli affari, nel<strong>la</strong> Mi<strong>la</strong>nodel<strong>la</strong> musica anni ’60, anda<strong>la</strong>galleriaritrovatosi nei pressi del Castellosforzesco, fu arruo<strong>la</strong>tocome comparsa nelle ripresedel film “Lo s<strong>vita</strong>to”, regia diCarlo Lizzani, sceneggiaturadi Dario Fo. Era il 1955 e quelle1.500 lire ricevute per recitarein una parte marginalealimentarono un grande sogno.«Decisi di <strong>la</strong>sciare l’argenteria,iniziando a sognareil mondo dello spettacolo»,racconta. Ma dovette accontentarsidi <strong>la</strong>vorare come imbianchino,guadagnando al<strong>la</strong>giornata distribuendo del pane.«Nel frattempo – racconta<strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> – ho imparatoa strimpel<strong>la</strong>re <strong>la</strong> chitarra».La musicaErano gli anni di DomenicoModugno e di “Vo<strong>la</strong>re”, del<strong>la</strong>nascita del<strong>la</strong> Cee, del primogoverno presieduto da AmintoreFanfani e dell’elezione alsoglio pontificio di Papa GiovanniXXIII. <strong>Mike</strong> iniziò a studiaremusica con l’anzianomaestro Zeffirino Grossetti,che da giovane aveva conosciutoanche Giuseppe Verdi.Ma è dal figlio di Grossetti,che imparò a comporre. Lamusica però non dava il panee così, <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>, assuntodal<strong>la</strong> Face Standard, iniziò, insiemead un cugino, ad allestirecentraline telefoniche nelComasco. Portava sempre consé <strong>la</strong> chitarra, alimentandouna passione che lo convinsenel 1961 a iscriversi al<strong>la</strong> Siaecome «compositore melodi-sta trascrittore». A sera, giubbinoin pelle e ciuffo stile Elvis,suonava e cantava nei locali.Percepiva fino a 5 mi<strong>la</strong> lire aserata. «Non era male perquei tempi», dice. Scriveva testiin italiano, ma anche invernacolo. Il dialetto ca<strong>la</strong>breseera di nicchia, ma andavaforte. Così “Le ragazze ca<strong>la</strong>bresi”riscosse un importantesuccesso, specie sulle radio locali.Il suo cavallo di battagliaperò era <strong>la</strong> cover di “Vecchiofrack”. Una sera del 1961 <strong>la</strong>cantò a Cinemateatro smeraldodi Mi<strong>la</strong>no, durante un intermezzodi un concorso canoroper voci nuove. «In primafi<strong>la</strong> – racconta <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>– c’era Domenico Modugnoin persona. E quandofinì <strong>la</strong> canzone si alzò in piediad app<strong>la</strong>udirmi, mi venne incontroe mi abbracciò. Mi disse“bravo ragazzo, sei statobravo”. Fu una delle emozionipiù intense che ho provatonel<strong>la</strong> <strong>mia</strong> <strong>vita</strong>». I favolosi anni’60 erano iniziati e a bordodi una Gilera, chitarra in spal<strong>la</strong>,assieme al cugino Pietro,<strong>Mike</strong> continuò a girare per lestrade del<strong>la</strong> Lombardia. Nel1964, <strong>la</strong> svolta. Passando sucorso Genova, a Mi<strong>la</strong>no, scorse<strong>la</strong> targa dell’Ipm Edizionidiscografiche. Il direttorecommerciale, Daniro Travaglia,lesse il testo di una suacanzone in vernacolo “U ciucciumio” e rimase colpito. «Midisse – racconta <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>– sbrigati a scrivere <strong>la</strong> musica,chiamo Pino Piacentinoper l’arrangiamento e tienitipronto perché si va in sa<strong>la</strong> diregistrazione. Rimasi senzaL’ARTISTAIn alto <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> inprimo piano.A sinistra, inbasso e nel<strong>la</strong> pagina a fiancoalcune tra le sue opere piùsuggestive. Ha realizzatooltre 700 quadri.Alcuni sitrovano negli Stati Uniti, inFrancia, in Germania, inAustralia. Nel 1998 VittorioSgarbi gli ha consegnatoanche il “Premio al<strong>la</strong>carriera”


MERCOLEDÌ 23 aprile 200837V I B O C U L T U R Aca<strong>la</strong>briaora5 ottobre 1937Michele <strong>Arruzza</strong> nacque alnumero 5 di via Savoia, inuna Dasà povera chepresto avrebbe conosciutoil dramma e gli stenti delSecondo conflittomondiale ormai alle porteIl piccolo <strong>Mike</strong>«<strong>Mike</strong>», così il papàemigrato in America neglianni 20 chiamava il suopiccolo Michele. Lo rivideper l’ultima volta quandoaveva dieci anni, prima delsuo ultimo viaggioGli anni ‘50 e ‘60Mi<strong>la</strong>no, una giovinezzavissuta nel sogno delgrande cinema e del<strong>la</strong>musica. Una parte in “Los<strong>vita</strong>to”, l’abbraccio diDomenico Modugno e <strong>la</strong>proposta di Nil<strong>la</strong> PizziIl pittorePer uno scherzo deldestino, <strong>Mike</strong> scoprì il suostraordinario talento, chelo avrebbe portato agirare il mondo e aricevere importanti preminazionali e internazionaliil maestrovano a gonfie vele. La picco<strong>la</strong>sede al numero 3 di via Spatari,si ingrandì dopo poco tempo,spostandosi in via Boccaccio.La loro scuderia era di primaqualità, con loro c’era ancheLuciano Beretta, parolieredi Adriano Celentano e CaterinaCaselli, che scrisse “Il ragazzodel<strong>la</strong> via Gluck” e “Nessunomi può giudicare”. PoiTravaglia, per un’appendicitemal curata, morì improvvisamente.La compagna prese inmano le redini del<strong>la</strong> Sonor,che iniziò il declino. «Io ne eroun dirigente – ricorda <strong>Mike</strong><strong>Arruzza</strong> – con Danilo Travagliaero l’anima, ma a un certopunto non riuscivo neanchead assicurarmi uno stipendio».E così il grande sognòsvanì. Era il 1974.La pitturaNel frattempo si era trasferitoin via Savona e in un ristorantevicino conobbe un ragazzosvizzero che studiavamusica, appassionato di pittura.Quell’incontro avrebbecambiato radicalmente <strong>la</strong> sua<strong>vita</strong>. «Era il 1971 – ricostruisce<strong>Mike</strong> – e ci ritrovammo a casa<strong>mia</strong>. Lui aveva una valigettadi colori e una te<strong>la</strong>. Cominciòa pasticciare e in pochi minutibuttò giù quel<strong>la</strong> che secondolui era un’opera moderna.Io lo presi in giro, perchénon solo mi aveva impuzzolito<strong>la</strong> casa di trementina, mapensava pure di convincermiche quel<strong>la</strong> era un’opera d’arte.Lui quindi diventò serio e misfidò: “Ti <strong>la</strong>scio i colori, vediamocosa sai fare”». Qualchesera dopo, <strong>Mike</strong> decise di cimentarsi.Si procurò una te<strong>la</strong>13x18 e dipinse il volto di unaMadonna di Raffaello. «Mipermisi – racconta – di aggiungercianche un velo.Quando Carlo Salis venne atrovarmi gli mostrai il mioquadro e lui mi mandò a quelpaese, dicendomi che non erapossibile che io avessi fattoquel <strong>la</strong>voro. Poi, capì, che ilquadro era davvero mio. E sifece di nuovo serio: “Sei bravo,devi dipingere, sei un artista,ce l’hai nel sangue”». <strong>Mike</strong>scoprì così, a trentaquattroanni, il suo straordinario talento.Si attrezzò e quando nel1972 fu in<strong>vita</strong>to in Americadal<strong>la</strong> sorel<strong>la</strong>, visitò al cimiterol’indimenticato padre e fu giànelle condizioni di allestire <strong>la</strong>sua prima personale all’Oldtown gallery di Stanford. App<strong>la</strong>usia scena aperta per quelpittore giunto dal<strong>la</strong> terra diLeonardo, Miche<strong>la</strong>ngelo e Caravaggio.In America fu in<strong>vita</strong>toper un’altra personale dipittura e nel 1973 espose nel<strong>la</strong>Doug<strong>la</strong>s gallery di NewYork. Rientrò in Italia con unafiamma conosciuta negli States.La passione iniziale <strong>la</strong>sciòil posto al<strong>la</strong> razionalità e, soprattutto,al richiamo del<strong>la</strong>propria terra. Chiusa <strong>la</strong> parentesimi<strong>la</strong>nese, messa da parteuna <strong>vita</strong> passionale e irrequieta,<strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> ritornò a Dasà.Conobbe Iride e se ne innamorò.Si sposò e costruironoinsieme una famiglia solida.Nel 1982 ottenne l’abilitazioneall’insegnamento diEducazione musicale nellescuole. Ma dal 1971 fu <strong>la</strong> pitturail filo conduttore del<strong>la</strong>sua <strong>vita</strong>. Una creatività innata.Oltre 700 opere, con unostile inconfondibile, che ridà<strong>vita</strong> ai frammenti di un’epoca,di una civiltà contadina inparte dimenticata. A emozionie contesti che appartengonoa un tempo che non c’èpiù.Il grande artistaDa trentaquattro anni, <strong>Mike</strong><strong>Arruzza</strong> vive nel<strong>la</strong> sua Dasà.Le sue opere gli hannoconsentito di conquistare <strong>la</strong>targa d’oro dell’Ente europeomanifestazioni d’arte, il primopremio del<strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> nazionaledi storia dell’arte diFidenza, il premio dell’Accade<strong>mia</strong>internazionale artistico-letterariacittà di Borrato,del<strong>la</strong> Biennale di Venezia,dell’Internazionale d’arte ecultura “Di Pietro”, del<strong>la</strong> XIVRassegna nazionale di pitturacittà di Mi<strong>la</strong>no, il Trofeo Ca<strong>la</strong>briae una lunghissima seriedi riconoscimenti in camponazionale e internazionale, finoal<strong>la</strong> consegna, nel 1998 del“Premio al<strong>la</strong> carriera” consegnatoglida Vittorio Sgarbi. Lesue opere sono catalogatenell’enciclopedia Pittori escultori italiani e nel Catalogodell’arte moderna italianaedito da Mondadori fino alDizionario enciclopedicod’arte contemporanea. DaMiami a Stoccarda, passandoper Firenze e Mi<strong>la</strong>no, haesposto le sue opere nel corsodi alcune tra le manifestazioniartistiche più importanti incampo nazionale e internazionale.I suoi quadri oggi sitrovano anche in Francia,Germania, Australia, StatiUniti. «Il colore steso a pennel<strong>la</strong>tepiene che, nelle purezzee nelle mesco<strong>la</strong>nze, apparerarefatto e, a volte, pulverulento– scrive del<strong>la</strong> sua operaRossel<strong>la</strong> Vodret, già soprintendenteper il Patrimoniostorico-artistico del<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria– appartiene a <strong>questa</strong>pittura di <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> allostesso modo di come fa partedel<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria, per quell’amalgamadi luci vibranti edi riverberi atoni che le è senz’altrocaratteristica e che èuna delle sue immagini piùdifficili da scalfire». Ripropone,<strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>, le immaginidi una <strong>vita</strong> contadina cheappartiene ad una Ca<strong>la</strong>briaanni ’50, i giochi di un tempo,fino alle struggenti immaginidel<strong>la</strong> Sacra famiglia o del sacrificiodi Giuditta Levato, oggicollocato nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> del Consiglioregionale del<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria.La sua ultima grande opera èil Tommaso Campanel<strong>la</strong>, presentatorecentemente al<strong>la</strong>presenza del<strong>la</strong> più illustre studiosadel filosofo di Stilo, <strong>la</strong>professoressa Germana Ernest,docente di Nuova filosofiaall’Università Roma 3.L’operaLa luce che ravviva i coloridel giorno e che delinea le figurerendendole sempre piùreali e i fondi scuri che ripropongonoatmosfere caravaggeschenelle ambientazionichiuse e nelle nature mortecontraddistinguono le dueespressioni di un pittore capacedi offrire, attraverso leimmagini delle antiche maestranze,delle usanze di untempo, di una quotidianitàpopo<strong>la</strong>re, uno strumento artisticoper mantenere in <strong>vita</strong>una cultura che non puòestinguersi. Un talento innato,autentico, genuino perchénon artefatto, puro perchénon ostaggio dei vincoli del<strong>la</strong>tecnica che per <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>è esclusiva spontaneità. Chesia tracciata tramite pennelloo spato<strong>la</strong>, <strong>la</strong> sua è arte pura,capace di cogliere il senso delleespressioni e delle gestualità,addolcendole o estremizzandole,caratterizzandosi cosìattraverso <strong>la</strong> sua unicità,quel<strong>la</strong> che appartiene ad ungrande artista contemporaneo,vivace nel<strong>la</strong> produzione ecostantemente insoddisfatto:«Sento come se nelle mieopere manchi sempre qualcosa– dice –. A volte pensoche un quadro sia finito. Manel<strong>la</strong> notte ci penso e ci ripenso,lo ritocco e provo a renderlosempre migliore. Ma ècome se manchi sempre qualcosa».E’ nelle sue opere cheemergono i frammenti del<strong>la</strong>sua memoria, quelli più cari,quelli che legano al<strong>la</strong> sua terra,al<strong>la</strong> quale l’ha ricondotto ilturbinio di una <strong>vita</strong> intensa,errante, degna di un artistache dipinge una Ca<strong>la</strong>bria diversa,destinata, con il suoc<strong>la</strong>ssicismo moderno a restaresui libri del<strong>la</strong> storia dell’artecontemporanea.PIETRO COMITOp.comito@ca<strong>la</strong>briaora.itl’esperto«Un grande artista fuori e dentro il tempo»La critica di Rocco Cambareri: «E’ un neoc<strong>la</strong>ssico di notevole livello»STUDIOSO. Il professor Rocco Cambareri«Un grande pittore,fuori dal tempo ma dentroil tempo». Rocco Cambareri,tra i più attenti studiosivibonesi, così descrive<strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>. «E’ unpittore neoc<strong>la</strong>ssico - commenta- e i suoi quadri,nonostante non abbiano originalitànei soggetti, sono straordinari per leloro fattezze. Ciò che colpisce è il ritornoall’infanzia, <strong>la</strong> capacità di proporrequei luoghi, i volti, i personaggi,i rituali che albergano nel<strong>la</strong> suamemoria. Credo che l’unicità del<strong>la</strong>pittura di <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> sia nel<strong>la</strong> ricercatezzadel dettaglio, che è incredibile,degna dei grandi pittori chetraggono ispirazione dai grandimaestri». Rocco Cambareri individuaanche il valore emozionale dell’operadi <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>: «Ha vissutouna <strong>vita</strong> molto intensa, da giramondo.E’ stato per lungo tempo aMi<strong>la</strong>no, ha viaggiato molto ed è statoimpegnato su più fronti, ma è ditutta evidenza che ciò che contraddistinguel’essenza del<strong>la</strong> sua operasia <strong>la</strong> nostalgia per l’infanzia, i ricordidi una civiltà passata, <strong>la</strong> riscopertadel senso dei luoghi». Pertanto, senei volti delle sue immagini sacreemergono le capacità tecniche di unartista dal talento innato, nel restodel<strong>la</strong> sua produzione, in un gioco dil’analisidell’operaL’unicità deisuoi quadri è nel<strong>la</strong>ricercatezza e nellostudio del dettaglio,capace di riscoprireil senso del<strong>la</strong>memorialuci e colori, «risuscita il passato. Io<strong>la</strong> definisco - commenta Rocco Cambareri- <strong>la</strong> pittura del<strong>la</strong> memoria, cheper <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong> costituisce untratto espressivo caratterizzante e,devo dire, anche partico<strong>la</strong>rmentecoinvolgente».Da Reginaldo a Lorenzo,il Vibonese è ricco digrandi pittori. Ma che postooccupa <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>nell’intero contesto ca<strong>la</strong>brese?«Difficile dirlo oimprovvisare paragoni -afferma Rocco Cambareri - di certo<strong>Arruzza</strong> rimane un grande artista, dinotevole livello. E’ un artista che piace,uno che non mette insieme qualchelinea a butta giù un quadro. Unasua opera, spesso, gli costa il sudoredi mesi di <strong>la</strong>voro. Ogni tratto di pennelloè studiato per dare anima a ciòche ha dipinto». E ha ragione, RoccoCambareri. Il Tommaso Campanel<strong>la</strong>,l’ultimo quadro di <strong>Mike</strong> <strong>Arruzza</strong>,ad esempio, è stato terminato dopodue anni di <strong>la</strong>voro. Un’opera complessa,di forte impatto ed estremamentesuggestiva, ma al tempo stessosofferta, capace di presentare inun coinvolgente gioco di luci e ombreil grande filosofo ca<strong>la</strong>brese immersonel<strong>la</strong> sua scrittura. Un quadrosofferto, ultimo capo<strong>la</strong>voro di unaproduzione smisurata.

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