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Se Questo E' Un Uomo - Massimo Ubertini

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<strong>Se</strong> <strong>Questo</strong> E’ <strong>Un</strong> <strong>Uomo</strong><br />

di Primo Levi<br />

a cura di Guatteo Luca<br />

Primo Levi<br />

Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio del 1919, nella casa dove abiterà poi tutta la vita, da Cesare Levi,<br />

ingegnere elettronico, e da Ester Luzzati. I suoi antenati sono degli Ebrei provenienti dalla Spagna e dalla<br />

Provenza e insediatisi in Piemonte.<br />

Nel 1934 si iscrive al Ginnasio-Liceo “D’Azeglio”, un istituto noto per aver ospitato docenti illustri, oppositori<br />

del fascismo (Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Zino Zini, Norberto<br />

Bobbio e molti altri). Il liceo è stato ormai «epurato» e si presenta politicamente<br />

agnostico. Levi è uno studente timido e diligente, gli interessano la chimica e la<br />

biologia, assai meno la storia e l’italiano. Non si distingue particolarmente, ma non ha<br />

insufficienze in alcuna materia. In prima liceo ha per qualche mese come professore di<br />

italiano Cesare Pavese. Stringe amicizie che dureranno tutta la vita. Sono lunghe le sue<br />

vacanze a Torre Pellice, Bardonecchia, Cogne: qui inizia il suo amore per la montagna.<br />

Nel 1937, alla licenza liceale è rimandato a ottobre in italiano. Si iscrive presso la facoltà<br />

di Scienze dell’<strong>Un</strong>iversità di Torino, dove otterrà la laurea nel corso di chimica: queste<br />

nozioni gli saranno molto utili, anzi fondamentali, nel corso della sua vita.<br />

Nel 1943 è arrestato dalla Milizia Fascista insieme ad altri componenti di una banda<br />

partigiana appena costituita. L’anno seguente, a causa delle sue origini ebree, viene<br />

deportato ed internato nel campo di concentramento di Auschwitz, dove resterà fino al<br />

gennaio 1945 (sarà uno dei pochissimi superstiti, poiché i tedeschi, a causa della<br />

scarsità di manodopera, decidono, come lo scrittore stesso scrive, di “sospendere<br />

temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli”), quando l’avanzata delle Forze<br />

Alleate determina il crollo del nazismo e del sistema dei Lager.<br />

La sua opera principale è di certo il libro “<strong>Se</strong> questo è un uomo”, scritto di getto nel 1946, ma pubblicato


solamente l’anno seguente. I motivi e lo stile sono dettati da qualcosa di completamente diverso<br />

dall’ambizione letteraria: Levi sente una costante e crescente esigenza di capire<br />

e di riuscire a spiegare, a se stesso soprattutto, ma anche agli altri, i motivi che<br />

hanno determinato la nascita di un antisemitismo tanto perverso e violento. La<br />

conclusione di questa ricerca sfocia però in una profonda delusione, dato che<br />

l’unica risposta che riesce a darsi è quella che “non si può comprendere, anzi,<br />

non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare”. "<strong>E'</strong> stata<br />

l'esperienza del Lager a costringermi a scrivere: non ho avuto da combattere con<br />

la pigrizia, i problemi di stile mi sembravano ridicoli, ho trovato miracolosamente il<br />

tempo di scrivere pur senza mai sottrarre neppure un'ora al mio mestiere quotidiano: mi pareva, questo libro,<br />

di averlo già in testa tutto pronto, di doverlo solo lasciare uscire e scendere sulla carta". E’ questa la<br />

spiegazione che Levi dà della sua opera. Anche lo stile è molto particolare e ispirato ad una continua ricerca<br />

interiore della chiarezza; viene preferito ed utilizzato un registro sobrio per evitare di cadere in toni patetici o<br />

retorici, o peggio di lasciarsi trascinare nel racconto di particolari macabri. L’autore infatti descrive, con lo<br />

spirito del testimone, tutto ciò che lui e i suoi compagni subiscono, senza possibilità alcuna di ribellarsi,<br />

all’interno del campo di concentramento di Auschwitz. Le atrocità di cui Levi narra sono soprattutto rivolte<br />

contro gli Ebrei, piuttosto che contro gli altri internati: L’obiettivo è quello di degradare la loro condizione. Si<br />

vuole cancellare l’uomo in quanto tale, infrangendo ogni suo legame affettivo, ogni memoria, ogni speranza,<br />

riducendolo a cosa, privandolo della sua dignità e di ogni coscienza di sé.<br />

Tra le altre opere di Levi, una molto conosciuta e spesso nota come “il seguito” di<br />

“<strong>Se</strong> questo è un uomo” è “La tregua” del 1963, che ripropone il tema della<br />

deportazione, cambiando il punto di vista: il motivo dominante è infatti il senso di<br />

gioia profonda che si sprigiona nel cuore di tutti gli ex prigionieri in viaggio verso la<br />

libertà, dopo la loro liberazione dai Lager. <strong>Questo</strong> libro è intriso di episodi divertenti<br />

e strani accaduti durante il ritorno a casa. Il ritmo della narrazione è mosso, sempre<br />

ravvivato da un tocco di ironia, che rivela la gioia di vivere e di ricordare le<br />

avventure.<br />

Tra gli altri scritti spiccano le “Storie naturali” . Con questa serie di quindici racconti inizia il periodo in cui<br />

Levi si dedica alla poesia e alla narrativa breve. Ancora una volta il motivo di fondo non cambia: anche qui<br />

ritroviamo un denuncia feroce contro gli orrori del nazismo. “Vizio di forma” del 1971 e “Il sistema periodico”<br />

del 1975 sono ispirati al lavoro di chimico di Primo Levi. Il secondo è una raccolta di ventuno racconti in cui<br />

l’autore rievoca periodi tristi e allegri della sua vita, ripercorrendo, ad esempio, la sua formazione, la sua<br />

presa di coscienza di essere ebreo nel suo tempo, la crescita del suo impegno razionale e<br />

dell’intransigenza morale nella difesa della tolleranza e del rispetto per la dignità umana in<br />

generale. Scrive poi, nel 1978, “La chiave a stella”, in cui ambienta, in un contesto operaio,<br />

il suo interesse per i legami che esistono e sono sempre più forti, nella sua concezione, tra<br />

lavoro e letteratura. Anche la scelta del linguaggio è molto studiata: è colorito ed<br />

espressivo, composto da una miscela tra italiano e dialetto piemontese, molto ricco di<br />

invenzioni gergali. Altro testo fondamentale è “<strong>Se</strong> non ora, quando?” del 1982, in cui viene<br />

ripreso di nuovo il tema tanto caro a Levi: la persecuzione degli Ebrei durante la <strong>Se</strong>conda<br />

Guerra Mondiale; narra infatti di un gruppetto di Ebrei e delle loro sventure una volta<br />

deportati in un campo di concentramento e la successiva odissea che li attende nel viaggio di ritorno (per<br />

coloro che arriveranno vivi). E’ un vero e proprio romanzo di finzione: infatti,<br />

l’autore non compare come personaggio e neppure inserisce direttamente<br />

ed esplicitamente episodi della sua vita personale. L’ultima opera di Primo<br />

Levi degna di nota è senza dubbio “I sommersi e i salvati” del 1986. Il motivo<br />

fondamentale è il principio sempre vivo nel suo animo, quell’ideale che ha<br />

sempre inseguito e cercato di trasmettere agli altri: il tentativo di mantenere<br />

integra la capacità di utilizzare coscientemente la ragione e il pensiero per<br />

poter esercitare il rispetto nei confronti del prossimo. Anche in questa<br />

occasione, è animato dal dovere morale di non dimenticare le tragiche<br />

conseguenze dell’intolleranza, delle quali lui stesso è stato vittima, testimone<br />

e narratore allo stesso tempo, e dalla volontà di combattere, con decisione e<br />

senza ripensamenti, il disprezzo nei confronti dei “diversi”. E’ il libro che<br />

viene considerato una specie di premonizione della tragica fine dell’autore.<br />

Egli, infatti, dopo un’intensa vita di lavoro come chimico e come letterato, muore suicida a Torino nel 1987,<br />

lasciando in eredità alla letteratura, ma anche e soprattutto alla storia, l’ennesima lezione di dignità, con<br />

precise ed efficaci indicazioni per mantenere lucida l’integrità della coscienza morale, strumento<br />

fondamentale per la difesa della tolleranza.


“<strong>Se</strong> <strong>Questo</strong> E’ <strong>Un</strong> <strong>Uomo</strong>”<br />

Solo l'esperienza del Lager poteva far nascere in un giovane Ebreo laureato in chimica l'esigenza di<br />

comunicare la propria tragica esperienza della deportazione e della detenzione ai lavori forzati. La vicenda è<br />

portato alla conoscenza dei lettori sotto la forma della narrazione di un vero e<br />

proprio viaggio in un mondo governato da nuove regole, nel quale comandano<br />

“uomini” che obbligano i “non-uomini” a rispettarle. Non si può pensare<br />

all'esistenza di una preparazione per questo tipo di avventura: si viene arrestati<br />

perché appartenenti ad un gruppo di partigiani che combattono contro il fascismo<br />

in Italia. Già questo basterebbe per essere deportati e internati in uno qualsiasi dei<br />

campi di lavori forzati esistenti allora. Ad aggravare la già precaria condizione del<br />

protagonista ci si mette la sua origine ebraica: per i nazisti, ma anche per i loro<br />

alleati, gli Ebrei non sono uomini, ma cose, “macchine da lavoro”. Dalla cattura parte il lungo, lunghissimo<br />

viaggio, e si percepisce già quale sarà la futura situazione del protagonista. Circa<br />

seicentocinquanta persone vengono stipate in dodici vagoni, tutte avvinghiate le une alle<br />

altre, come cani maltrattati. Per far questo i nazisti, qui impersonati dalle SS, agiscono<br />

alla radice, cercando, secondo il loro ideale, di eliminare dal mondo tutte le impurità. Per<br />

attuare quest'opera dissennata di epurazione annullano ogni speranza dei detenuti sul<br />

nascere. A noi è concesso, tramite “<strong>Se</strong> questo è un uomo”, di conoscere le barbarie<br />

attuate all'interno del recinto entro cui sono imprigionate le “bestie” di Auschwitz. Fin dal<br />

loro arrivo all'interno delle mura del Lager, i prigionieri sono separati dai loro cari, in<br />

modo a dir poco disumano, senza la possibilità di un saluto, senza un abbraccio,<br />

informati che riusciranno a sapere qualcosa dei famigliari solamente quando,e soprattutto se, riusciranno ad<br />

uscire da quel luogo. Nessuno però ci crede. Subito i deportati hanno l'occasione di assistere alla grandiosa<br />

adunata dopo il lavoro, prima del ritorno alle loro baracche: volti di persone che ormai non sono più uomini;<br />

pur respirando ancora, e potendo ancora camminare e lavorare, si nota a prima vista che sono vuoti dentro,<br />

senza più un'anima, senza più libertà, senza più dignità, senza più umanità. Le domande, all'interno del<br />

Lager, sono tante, e lo capisce a sue spese lo stesso Levi: appena trasferito insieme ai suoi<br />

compagni di sventura all'interno di una stanza umida e fredda, un generale delle SS entra e<br />

viene tempestato di domande di ogni genere, di fronte alle quali egli deliberatamente,<br />

suscitando un orrore impressionante, rimane impassibile in un silenzio statuario. Con il<br />

passare del tempo, due sono i processi che portano alla completa trasformazione dell'uomo,<br />

dell'essere vivente in una cosa, non più capace di provvedere alla propria sopravvivenza: da<br />

una parte cresce l'esperienza di vita nel Lager e si sviluppa la furbizia per accaparrarsi una<br />

fetta di pane o un dito di zuppa in più; dall’altra inizia una costante perdita della dignità, della<br />

considerazione degli amici, della speranza di uscire vivo da quella tragica avventura, da quel<br />

tragico viaggio. Ed è proprio questo l'obiettivo finale: se non si può più uccidere arbitrariamente un uomo<br />

perché Ebreo, o comunque diverso, a causa della scarsità di manodopera che affligge la Germania in guerra<br />

con il mondo, è necessario annientare lo spirito dei prigionieri-lavoratori forzati, garantendosi macchine<br />

perfette, senza sentimenti, senza capacità di pensare, senza possibilità di manifestare ribellione. E così<br />

passano i giorni, i mesi, le stagioni. L’unico obiettivo è sopravvivere, senza più rispetto per gli altri, intenti<br />

solo a dimostrare che l’egoismo è più forte di qualsiasi altro sentimento; il problema è che è proprio questo<br />

quello che i nazisti vogliono, perché solo tramite l'odio dei prigionieri nei confronti di altri prigionieri, nato<br />

dalla paura che qualcuno possa sottrarre un pezzo di pane quotidiano, un bottone,un cucchiaio, un coltello<br />

..., si possono ottenere gli esseri inermi e asociali utili alla grande industria. La fortuna, se così si può dire, di<br />

Primo Levi è quella di trovare persone, che così ancora si possono<br />

chiamare, che sappiano comprendere e condividere la sua condizione, i<br />

suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue domande ... Questa è l'unica risorsa che<br />

lo tiene in vita per tutto il tempo e che lo sostiene<br />

ancora, dopo la fuga di tutte le SS per l'avvicinarsi del<br />

Fronte degli Alleati, nella lotta per la sopravvivenza,<br />

per la ricerca di cibo, quando tutto il Lager è ormai in<br />

stato di decadimento, di disfacimento, di completo<br />

abbandono. <strong>Se</strong> il viaggio di Levi dapprima può essere letto, oltre che come trasferimento<br />

fisico dalla casa natale al campo di concentramento, come il viaggio dell'anima verso il<br />

suo completo annullamento, ora, ad un passo dal raggiungimento dell'obiettivo dei<br />

persecutori, inizia il ritorno, il procedimento inverso, la rinascita dalle ceneri, come una<br />

fenice, della sua personalità, nuova ed arricchita da questa personale ed orribile<br />

avventura, che segnerà per sempre la sua vita. Emerge più forte di prima la volontà di difendere la<br />

tolleranza, la dignità umana ed il rispetto dell’aspirazione naturale alla libertà. Il vero e proprio ritorno viene<br />

prospettato solamente in questo libro, ma sarà narrato approfonditamente ne “La tregua”, che documenta la<br />

rinascita della voglia di sorridere, di ricostruire affetti, di ritornare a vivere, nel senso pieno della parola.


Invito alla lettura di “<strong>Se</strong> questo è un uomo” di Primo Levi<br />

Indubbiamente una delle parti più significative del libro è la poesia inserita all'inizio, con la quale l'autore<br />

spiega i motivi per cui ha deciso di rendere questa drammatica testimonianza e nella quale emerge il nodo<br />

concettuale della vicenda:<br />

“Voi che siete sicuri<br />

Nelle vostre tiepide case,<br />

Voi che trovate tornando a casa<br />

Il cibo caldo e visi amici:<br />

Considerate se questo è un uomo<br />

Che lavora nel fango<br />

Che non conosce pace<br />

Che lotta per mezzo pane<br />

Che muore per un sì o per un no.<br />

Considerate se questa è una donna,<br />

<strong>Se</strong>nza capelli e senza nome<br />

<strong>Se</strong>nza più forza di ricordare<br />

Vuoti gli occhi e freddo il grembo<br />

Come una rana d’inverno.<br />

Meditate che questo è stato:<br />

Vi comando queste parole.<br />

Scolpitele nel vostro cuore<br />

Stando in casa o andando per via,<br />

Coricandovi alzandovi;<br />

Ripetetele ai vostri figli.<br />

O vi si sfacci a la casa,<br />

La malattia v’impedisca,<br />

I vostri nati torcano il viso da voi.”<br />

Parole agghiaccianti per quel che è stato e per quel che nella memoria deve essere indelebile. I versi ci<br />

danno il senso della sofferenza che i sopravvissuti hanno dovuto sopportare, rimanendo in vita con una sola<br />

aspirazione nel cuore: l’ effimero bagliore della speranza di rivedere la propria casa e la propria famiglia.<br />

L’invito alla lettura che propongo per questo libro non si può limitare alla riproduzione di una parte del libro<br />

stesso: il desiderio di leggere, in questo caso, deve venire da dentro, da parte delle persone dotate di<br />

sensibilità. Vorrei che le brevi citazioni costituissero un appello a non dimenticare, perché nessuno debba<br />

più compiere un viaggio come quello di Levi in simili inferni, mai più. E’ necessaria dunque la conoscenza<br />

della barbarie che questo libro ci presenta per evitare di ripetere gli errori che hanno causato tanta<br />

sofferenza, non solo fisica, ma soprattutto spirituale, fino alla scomparsa degli “uomini” in quanto tali … da<br />

ambo le parti: di qui i prigionieri privati della dignità e delle libertà naturali; di là i nazisti amministratori e


carcerieri dei Lager, che avevano perso quel minimo di umanità per adesione cieca a un’ideologia perversa.<br />

Tra le tante atrocità commesse e le sofferenza vissute durante questa odissea del Terrore, per<br />

comprenderne la gravità e per apprendere quanto sia importante non sbagliare più in questo modo,<br />

leggiamo le parole di un “uomo”: Primo Levi.<br />

[…]<br />

“La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato; sono loro, i Muselmanner (ossia i “Mussulmani”, termine<br />

con cui i più vecchi del campo identificavano i più deboli, gli inetti, i votati alla selezione), i sommersi, il nerbo<br />

del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che<br />

marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si<br />

esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono<br />

troppo stanchi per comprenderla.<br />

Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in un’immagine tutto<br />

il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china<br />

e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.”<br />

[…]<br />

“I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l’hanno sepolta,<br />

sotto l’offesa subita o inflitta altrui. Le SS malvage e stolide, i Kapos, i politici, i criminali, i prominenti grandi e<br />

piccoli, fino agli Haftlinge indifferenziati e schiavi, tutti i gradini della insana gerarchia voluta dai tedeschi,<br />

sono paradossalmente accomunati in una unitaria desolazione interna.<br />

Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di<br />

negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo.”<br />

[…]<br />

“La notizia è giunta, come sempre, circondata da un alone di particolari contraddittori e sospetti: stamattina<br />

stessa c’è stata selezione in infermeria; la percentuale è stata del sette per cento del totale, del trenta, del<br />

cinquanta per cento dei malati. A Birkenau il camino del Crematorio fuma da dieci giorni. Deve essere fatto<br />

posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Posen. I giovani dicono ai giovani che saranno scelti<br />

tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. Saranno<br />

esclusi gli ebrei tedeschi. Saranno esclusi i Piccoli Numeri. Sarai scelto tu. Sarò escluso io.”<br />

[…]<br />

“Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi<br />

fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS,<br />

nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della<br />

sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e<br />

questo è la vita o la morte di ciascuno di noi. In tre o quattro minuti una baracca di cento uomini è ,<br />

e nel pomeriggio l’intero campo di dodicimila uomini.”<br />

[…]<br />

“La memoria è uno strumento curioso: finché sono stato in campo, mi hanno danzato per il capo due versi<br />

che ha scritto un mio amico molto tempo fa: Qui<br />

è così. Sapete come si dice nel gergo del campo? , domani mattina.”<br />

[…]<br />

“Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete<br />

riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete da temere: non atti di<br />

rivolta, non parola di sfida, neppure uno sguardo giudice.”<br />

[…]


Immagini significative della deportazione nei Lager<br />

Figura 1-Ingresso di Auschwitz Figura 2-Birkenau<br />

Figura 3-Auschwitz Figura 4-La gerarchia dei Lager<br />

Canzone significativi della storia nei Lager<br />

(1934)<br />

Testo e musica di Rudi Goguel e Herber Kirmsze<br />

"Die Moorsoldaten" è senz'altro il più celebre canto di resistenza in lingua tedesca. Fu scritto da<br />

Rudi Goguel nel 1934 mentre era prigioniero nel campo di concentramento di Börgermoor,<br />

nell'Emsland (uno dei primi istituiti dal regime nazista per rinchiudervi gli oppositori politici,<br />

specialmente comunisti; e furono proprio i deportati di Esterwegen, obbligati a costruire in<br />

catene altri lager, a trasmetterlo e diffonderlo sotterraneament e, dato che era stato uffi cialmente<br />

proibito due giorni dopo la sua composizione.<br />

Testimonianza universale di resistenza contro il nazifascismo, fu uno dei canti della brigata<br />

internazionale tedesca "Ernst Thälmann" che combatté al fianco dei repubblicani antifascisti<br />

durante la guerra di Spagna.<br />

1. Wohin auch das Auge blicket,<br />

Moor und Heide nur ringsum.<br />

Vogelsang uns nicht erquicket,<br />

Eichen stehen kahl und krumm.<br />

Refrain:<br />

Wir sind die Moorsoldaten,<br />

<strong>Un</strong>d ziehen mit dem Spaten,<br />

Ins Moor.


2. Hier in dieser öden Heide<br />

Ist das Lager aufgebaut,<br />

Wo wir fern von jeder Freude<br />

Hinter Stacheldraht verstaut.<br />

Refrain:<br />

3. Morgens ziehen die Kolonnen<br />

In das Moor zur Arbeit hin.<br />

Graben bei dem Brand der Sonne,<br />

Doch zur Heimat steht der Sinn.<br />

Refrain:<br />

4. Heimwärts, heimwärts jeder sehnet,<br />

Zu den Eltern, Weib und Kind.<br />

Manche Brust ein <strong>Se</strong>ufzer dehnet,<br />

Weil wir hier gefangen sind.<br />

Refrain:<br />

5. Auf und nieder gehn die Posten,<br />

Keiner, keiner, kann hindurch.<br />

Flucht wird nur das Leben kosten,<br />

Vierfach ist umzäunt die Burg.<br />

Refrain:<br />

6. Doch für uns gibt es kein Klagen,<br />

Ewig kann's nicht Winter sein.<br />

Einmal werden froh wir sagen:<br />

Heimat, du bist wieder mein:<br />

Dann ziehn die Moorsoldaten<br />

Nicht mehr mit dem Spaten<br />

Ins Moor!<br />

I SOLDATI NEL PANTANO<br />

traduzione in italiano di” Die Moorsoldaten”<br />

versione italiana di Riccardo Venturi (2000)<br />

Tutto quel che lo sguardo abbraccia<br />

E’ morto. Non c’è amore,<br />

Nessun uccellino che ci rallegri.<br />

Le querce spoglie ci fanno paura.<br />

Soldati nel pantano,<br />

Pale in mano.<br />

Ci sorveglia una dura guardia.<br />

Chi potrà mai fuggire?<br />

Fuggire è morte sicura:<br />

<strong>Se</strong> sparano, è per ammazzare.<br />

A nulla ci serve lamentarci,<br />

L’inverno finirà presto.<br />

Verrà il giorno in cui grideremo contenti,<br />

La Patria finalmente sarà nostra.<br />

E non ci saranno più soldati<br />

Che soffrono in un pantano.<br />

Mai più!


Notizie Storiche<br />

La Storia dei Lager<br />

L’ambiente nel quale si svolge la vicenda è costituito principalmente dal Lager. I Lager sono passati alla<br />

storia come una delle più crudeli e profondamente segnanti forme con cui si è espressa la più radicale faccia<br />

dell'antisemitismo. Ma non è solo l'essere Ebrei la condizione che porta ai suddetti campi di<br />

concentramento. Ad esempio, dopo l’8 settembre 1943 l’Italia fu divisa in due: al sud il re affidò il governo,<br />

con il titolo di Primo Ministro, al generale Badoglio, ed il governo si schierò con gli Alleati; al nord il fascismo<br />

costituì la Repubblica di Salò, sostenuta direttamente dalle armate naziste tedesche. Proprio qui sorsero i<br />

primi gruppi di partigiani antifascisti (cui apparteneva anche Primo Levi); troppo<br />

spesso, però, venivano scoperti e mediante radicali rastrellamenti i partigiani<br />

venivano arrestati e deportati nei campi di concentramento di Germania,<br />

Polonia a di altri stati sotto il nazismo, come criminali, o, secondo i casi, come<br />

prigionieri politici. La faccia più conosciuta dei Lager è quella dei deportati<br />

ebrei, di cui il popolo italiano è stato un grande fornitore. In Italia, infatti,<br />

esistevano le leggi razziali fin dal 1938, ed erano state varate solamente per<br />

“essere al passo coi tempi”, dato che la Germania aveva già promosso nel<br />

1935 a Norimberga la legislazione antisemita. Si possono contare circa 8000<br />

ebrei deportati dall’Italia verso i campi di sterminio: di questo esorbitante<br />

numero solo qualche centinaio sopravvisse alla barbarie e alle atrocità frutto<br />

della pazzia nazista e tornò in patria. L’antisemitismo ha una storia antica, che<br />

parte dal 70 d. C., ma fu teorizzato e praticato su larga scala soprattutto ad opera della Germania nazista,<br />

che voleva a tutti i costi affermare la superiorità della razza germanica, proponendosi come obiettivo<br />

fondamentale la sua purificazione dalla contaminazione profonda che era causata dalle razze inferiori, dai<br />

diversi, ed in particolare dalla “razza” ebraica. Le leggi di Norimberga del 1935 permisero ai tedeschi di<br />

togliere ai tanto odiati Ebrei la nazionalità tedesca, limitando così le loro possibilità di svolgere una<br />

professione, ed impedendo i matrimoni misti tra Ebrei ed ariani, considerati i soli "puri". A causa di tutto ciò<br />

molti Ebrei furono costretti ad emigrare per cercare fortuna all’estero. A questo punto, ovviamente, i<br />

Tedeschi decisero di passare all’azione attiva e diretta, estirpando, con la forza, questa grave “ciste” che<br />

macchiava la loro razza, per diventare il popolo perfetto, il popolo tanto sognato ed agognato da Hitler.<br />

Questa azione ebbe inizio con una notte di crudeltà e di sacrilegi (vennero incendiate 191 sinagoghe e<br />

distrutti migliaia di negozi di Ebrei), che passò alla storia con il nome di “notte dei cristalli”, in cui la<br />

discriminazione degli Ebrei si trasformò in vero e proprio razzismo di Stato: gli Ebrei divennero i primi e<br />

principali nemici dei tedeschi. Tutto ciò però derivava da<br />

credenze insite nella natura di ogni uomo in quanto<br />

cristiano: era, infatti, comune tra i credenti pensare che<br />

la colpa della morte di Cristo in croce fosse da attribuire<br />

al popolo ebreo, considerato il vero responsabile e<br />

degno di una giusta punizione. Gli altri aspetti, forse<br />

meno gravi singolarmente, ma che nel complesso<br />

spiegano quanto profondo e antico sia questo odio<br />

insensato nei confronti degli Ebrei è da ricercarsi nelle<br />

credenza secondo la quale essi avvelenavano i pozzi,<br />

diffondendo in questo modo la peste, oppure nella<br />

convinzione superstiziosa che essi profanassero<br />

abitualmente l’ostia consacrata, oppure ancora che essi<br />

rapissero i bimbi cristiani, li uccidessero e con il loro<br />

sangue impastassero il pane azzimo. A seguito della<br />

notte dei cristalli venne proibito l’espatrio degli Ebrei: è<br />

proprio a questo punto che iniziò ad essere messa in<br />

pratica quella fanatica idea conosciuta come “soluzione finale”. Essa consi ste appunto nella sterminio della<br />

razza ebraica attraverso l’internamento di migliaia di persone nei campi di annientamento. Il nome dice tutto.<br />

In seguito, con l’occupazione nazista di gran parte dell’Europa, tutti questi provvedimenti e nuove legislazioni<br />

vengono ovviamente estesi in tutte le zone sotto il loro dominio: queste non vennero più praticate solamente<br />

a discapito degli ebrei, ma l’avversione fu estesa dal popolo ebraico a tutti i “diversi”, i non ariani, e per<br />

questo non degni di essere considerati uomini. I popoli che subirono le conseguenze di questo nuovo<br />

obiettivo furono molti, tra cui slavi, zingari, e, più in generale, tutte le razze considerate inferiori. La nascita di


questi campi, conosciuti soprattutto come campi di concentramento, si deve soprattutto al fatto che la<br />

convinzione nazista consisteva nello sfruttamento senza nessuna pietà del lavoro forzato di tutti i prigionieri,<br />

chi più, chi meno, a seconda del motivo per cui si trovavano nel Lager stesso, e, soprattutto, a seconda della<br />

razza a cui appartenevano, senza nessuna sorta di ritegno o di compassione, che ritornava molto più utile<br />

ad una Germania interessata alla sfera industriale . Gli ebrei erano coloro che principalmente venivano<br />

considerati semplici strumenti, normalissime macchine da lavoro, non degni di essere considerati uomini, e<br />

quindi privati di ogni aspetto umano, utili solamente per essere spremuti fino al loro totale esaurimento, sia<br />

da vivi sia da morti (utilizzavano addirittura le ceneri dei cadaveri dei prigionieri come fertilizzanti o per la<br />

fabbricazione di saponi). Sorsero così moltissime industrie (quelle che<br />

divennero le più grandi imprese tedesche) attorno ai Lager nazisti proprio a<br />

questo scopo, per aumentare quindi, in questo modo, la produzione,<br />

mantenendo il massimo controllo possibile sugli internati stessi. Il genocidio<br />

attraverso il sistema dei Lager portò alla morte di oltre quattro milioni di ebrei,<br />

soprattutto di nazionalità polacca, russa e tedesca. Nel momento del crollo del<br />

Terzo Reich di fronte all’avanzata delle Forze Alleate, il regime tentò di portare<br />

a termine l’insensato genocidio con l’evacuazione di tutti i campi, l’uccisione di<br />

tutti gli internati, la cancellazione di tutte le possibili prove che potevano dimostrare l’esistenza di una<br />

barbarie così incomprensibilmente crudele, ma sistematicamente desiderata. I nazisti, fautori di cotanta<br />

crudeltà, non volevano che si sapesse dell’esistenza di queste macchine di morte, e fecero di tutto per<br />

evitare la fuga di notizie, anche se non sempre ci riuscirono. Praticamente subito dopo il ritrovamento da<br />

parte del Fronte degli Alleati dei resti di quella macchina di morte qual è il sistema dei Lager e grazie alla<br />

testimonianza dei pochissimi sopravvissuti (fortunati come Primo Levi) le crudeltà alle quali è stato<br />

soggiogato un intero popolo sono state subito rese note e documentate, con immagini strazianti ed altri<br />

documenti tanto veri e reali quanto struggenti e portatori di un senso di odio per uno Stato tanto crudele.<br />

Nel contesto di una Storia politica del filo spinato un giovane studioso francese ci ha ricordato di recente<br />

come anche in un’epoca di travolgente innovazione tecnico-scientifica come quella in cui viviamo questa<br />

tecnologia primitiva che fece la sua prima apparizione nella prateria americana della prima metà dell’800 non<br />

cessi di essere costantemente riscoperta (e quindi fonte di paura – come dice lo stesso Levi: “Forse, quanto<br />

è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi<br />

giustificare. Mi spiego: un proponimento o un comportamento umano significa contenerlo,<br />

contenerne l’autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui. Ora, nessun uomo normale potrà mai<br />

identificarsi con Hitler […]. <strong>Questo</strong> ci sgomenta, ed insieme ci porta sollievo: perché forse è desiderabile che<br />

le loro parole e le loro opere non ci riescano più comprensibili”. L’antico problema del controllo dello spazio e<br />

del territorio ritorna ora in epoca di globalizzazione. <strong>Se</strong> vogliamo dare una risposta storica allo “stupore” che<br />

questo ci provoca non possiamo non riconsiderare il modo in cui la politica del filo spinato giunge alla sua<br />

espressione più drammatica nel corso della <strong>Se</strong>conda Guerra Mondiale.<br />

Durante questo lungo periodo di lotte e di imperversare continuo di violenza ed orrore cancellando tutto lo<br />

spazio temporale prima dedicato al divertimento personale, due sono gli aspetti che favoriscono la diffusione<br />

capillare di fenomeni crudeli quali la nascita dei Lager: il primo è senza dubbio la visione della guerra stessa,<br />

considerata come momento di massima legittimazione dello stato; il secondo<br />

invece riguarda le politiche di snazionalizzazione messe contestualmente in<br />

atto nei territori invasi o a danno delle minoranze etniche presenti al suo<br />

interno. ”Fare coincidere i confini razziali con quelli politici” è la parola d’ordine<br />

che Mussolini lancia con l’occupazione della Slovenia (e che probabilmente<br />

Hitler prende alla lettera).<br />

Per proseguire su questo piano di analisi storica partiamo da una domanda<br />

che è stata posta a Primo Levi parecchie volte (come lui stesso ci testimonia:<br />

c’erano prigionieri che fuggivano dai Lager? Come mai non sono avvenute<br />

ribellioni di massa?<br />

Le risposte per l’autore-testimone sono abbastanza facili da esporre, e a detta sua, da comprendere. Viene<br />

mosso innanzi tutto un passo di fondamentale importanza per la comprensione di quanto e di come siano<br />

stati ridotte le personalità dei prigionieri fino al punto di ridurli a esseri inanimati, capaci solo di respirare,<br />

incapaci addirittura di pensare, e figuriamoci di organizzarsi in una così grande opera quale poteva essere la<br />

fuga o peggio una ribellione di massa. L’unico obiettivo e loro pensiero di tutta una giornata doveva essere<br />

sopravvivere il più a lungo possibile senza perdere quelle poche cose utili<br />

per “tirare avanti”. Levi stesso, infatti, sottolinea come il normale ed ovvio<br />

modo di pensare all’interno di un Lager perda ogni suo qualsiasi<br />

significato ed ogni sua possibile interpretazione: infatti, se normalmente si<br />

pensa alla fuga di un prigioniero come una cura essenziale a quella<br />

malattia (così deve essere considerata) qual è la detenzione (addirittura la<br />

Convenzione dell’Aia impone di non punire coloro che fuggono da uno<br />

stato di detenzione), nei campi di concentramento in tutto ciò c’è molto<br />

poco di vero. L’evasione era molti difficile ed al tempo stesso parecchio<br />

pericolosa (tra le poche centinaia che ci provarono solo poche decine ci<br />

riuscirono): i prigionieri erano molto deboli e di conseguenza (non solo di questo ma di tutta la loro


permanenza sotto lavori forzati in condizioni disumane) demoralizzati, dato che erano sopraffatti dalla fame,<br />

erano vestiti e acconciati in un modo unico e riconoscibilissimo come appartenente allo stile di un detenuto<br />

di un campo di concentramento, erano privi di soldi e, non sapendo il polacco, lingua locale, non sapevano<br />

come muoversi in zona e dove poter trovare un riparo sicuro nelle vicinanze. <strong>Se</strong> tutto questo non bastasse i<br />

tedeschi utilizzavano una tecnica abbastanza convincente ed intimidatoria per reprimere, senza alcuno<br />

sforza eccessivo, qualsiasi forma di pensiero di fuga: tutti coloro che venivano riacciuffati o pescati nell’atto<br />

di organizzare o di mettere in atto una fuga venivano pubblicamente impiccati nella piazza dell’Appello. In<br />

più abbiamo anche una totale assenza di una voglia di ribellarsi a cotanta crudeltà e disumanità nei confronti<br />

dei prigionieri stessi. Però è degno di nota che, anche se di peso numerico abbastanza scarso, alcune rivolte<br />

ci sono state, ma tutte capitanate dai prigionieri che stavano meglio, perché come noto, “gli stracci non si<br />

ribellano”. Infatti, soprattutto nei campi di detenuti per motivi politici, o comunque dove la maggioranza di<br />

prigionieri erano politici, l’esperienza cospirativa di questi ultimi si dimostrò in ogni situazione un’arma<br />

potente e poderosa per attività di difesa molto efficienti: si riuscì quindi, ad esempio, a corrompere (non<br />

ovunque, dipende dai tempi e dai Lager) SS, oppure a sabotare il lavoro di intere industrie, ad organizzare<br />

evasioni, a comunicare mediante una radio con il Fronte degli Alleati, comunicando loro direttamente ed in<br />

tempo reale le loro condizioni, le condizioni del campo ed eventuali scoperte strategiche (ad esempio punti<br />

deboli della guardia del campo), a migliorare il trattamento dei malati, a pilotare le selezioni, oppure ancora a<br />

prepararsi ed organizzarsi il più possibile dal punto di vista militare in previsione di una possibile decisione<br />

dei nazisti, impauriti da una eventuale avanzata degli alleati, di eliminare totalmente (ogni traccia, quindi<br />

anche tutti i prigionieri) l’esistenza dei Lager. Ora una domanda può sorgere spontanea: come mai i<br />

prigionieri appena scesi nel campo dal treno e diretti alla camera a gas non hanno mai presentato nessuna<br />

sorta di reazione collettiva? La risposta anche in questo caso è abbastanza semplice: i tedeschi avevano<br />

ideato e messo in pratica un astuto espediente, quel era quello di raccontare a tutti i destinati all’immediato<br />

sterminio che la stanza dove vanivano raccolti era la sala docce; lì si dovevano spogliare per lavarsi<br />

completamente e poi, una volta puliti a dovere per entrare nel campo venivano accolti da una bella tazza di<br />

caffè. Ovviamente era tutta una presa in giro, e per renderla ancora più credibile ad alcuni veniva porto con<br />

certa gentilezza anche asciugamano e sapone. Ma la cosa era moto più grave di quanto si poteva pensare:<br />

infatti, in questa crudele ed inumana morte si presentava già tutta la volontà di questi uomini (anzi bestie)<br />

senza scrupoli, ossia la voglia di ridurre tutti coloro che entravano nel Lager allo stato di animali, o peggio di<br />

cose, sia da vivi, che in seguito da morti. I fatti a testimonianza di questo sono essenzialmente due: nelle<br />

camere a gas stesse non veniva usato nessun gas velenoso particolare, ma semplicemente e banalmente il<br />

gas per la disinfestazione attuata durante la coltivazione delle piante; il secondo è da ricercarsi nella fine che<br />

facevano i cadaveri: una volta bruciati venivano usate le ceneri o come fertilizzanti o come sapone da<br />

distribuire per l’uso ad altri prigionieri. Quindi stando così le cose appare abbastanza assurda l’affermazione<br />

ogni tanto udibile secondo cui gli ebrei non si siano mai ribellati per codardia:<br />

nessuno si è mai ribellato.<br />

E’ fondamentale ora una analisi comparata tra le varie esperienze nazionali<br />

e in particolare tra il lager<br />

nazista e il campo di lavoro<br />

sovietico per dare una visione di<br />

insieme sulla multiforme<br />

diffusione di questi campi di<br />

concentramento propriamente<br />

detti, in alcuni casi trasformatisi<br />

nei crudeli e mortali campi di<br />

sterminio veri e propri. Accanto<br />

ad evidenti somiglianza tra i<br />

Lager sovietici e quelli nazisti ci<br />

sono però da notare parecchie<br />

ed evidenti differenze. La prima e più importante è senza dubbio la loro<br />

finalità. Infatti, mentre quelli in Germania all’antico scopo di eliminare e terrorizzare gli avversari politici, si è<br />

affiancato a poco a poco, e sempre in modo più incisivo, fino a soppiantare quello vecchio, un nuovo<br />

obiettivo, ossia quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture. Dall’inizio del 1941 essi diventano vere<br />

e proprie macchine di morte che mediante lo sfruttamento di strumenti mostruosi quali camere a gas e<br />

crematori, progettati esclusivamente per uno scopo ben preciso, hanno distrutto appunto migliaia, anzi<br />

milioni di vite umane (il record spetta al campo di Auschwitz con circa 24000 morti in un solo giorno,<br />

nell’agosto 1944). I Lager in <strong>Un</strong>ione Sovietica invece sono profondamente differenti: il soggiorno non è<br />

comunque, ed ovviamente, gradevole, ma qui, nemmeno nei momenti più bui del regime totalitario di Stalin,<br />

la morte dei prigionieri non veniva ricercata assiduamente. Accadeva assai frequentemente, ma era<br />

considerata come un incidente: era tollerato con brutale indifferenza ma non era mai un atto voluto. In più<br />

nei Lager tedeschi si entrava sempre per non uscirne: infatti sono pochissimi i fortunati che come Primo Levi<br />

sono riusciti a baciare la terra natale ed a rivedere i loro luoghi di residenza abituale. Nei Lager sovietici<br />

invece era sempre previsto una sorta di termine della detenzione stessa: i colpevoli di solito venivano<br />

condannati a pene lunghissime ma comunque sia una seppur lieve speranza esisteva in qualsiasi caso. Da<br />

qui si possono rilevare tutte le altre importanti diversità tra le due storie parallele dei campi di


concentramento. <strong>Un</strong> altro aspetto è quello riguardante i rapporti tra i guardiani e i prigionieri: in U.R.S.S.<br />

erano molto meno disumani, ossia, appartenendo tutti ad uno stesso popolo e parlando una stessa lingua<br />

non ci sono superuomini e sottouomini come sotto il regime nazista di Hitler. I malati nei Lager russi<br />

venivano curati (anche se in modo sommario); era addirittura pensabile una protesta davanti ad un lavoro<br />

considerato troppo duro; le punizioni corporali erano molto rare; era possibile ricevere da casa lettere e<br />

pacchi con i viveri da consumare all’interno del campo. Qui insomma la personalità e la dignità umana non<br />

era degradata: non era ricercata la riduzione alla condizione di non-uomini da parte dei comandanti nei<br />

confronti dei prigionieri. <strong>Un</strong> altro aspetto fondamentale è la differenza del tasso di mortalità: se in Germania,<br />

almeno per quanto riguarda ebrei e zingari è del 90/98 per cento (addirittura basti pensare che non si aveva<br />

pietà neppure per i bambini più piccoli, uccisi nelle camere a gas a migliaia e migliaia) in <strong>Un</strong>ione Sovietica<br />

era pari a circa il 30 per cento, riferito a tutti gli ingressi. Anche in <strong>Un</strong>ione Sovietica però il dissenso viene<br />

parecchio temuto: infatti se un intellettuale era dissenziente nei confronti del regime di Stalin questo veniva<br />

dichiarato pazzo e rinchiuso in istituti psichiatrici, e sottoposto a cure che provocando inenarrabili sofferenze<br />

distorcevano ed indebolivano notevolmente le funzioni mentali.<br />

<strong>Questo</strong> abietto uso della medicina, e della tecnica in generale,<br />

mette in luce un estremo disprezzo per il confronto democratico e<br />

per le libertà civili. Anch’essi quindi rappresentano una<br />

manifestazione deplorevole di illegalità e di disumanità e non hanno<br />

nulla a che vedere con il socialismo, dato che sono invece da<br />

considerarsi come una barbarica eredità dell’assolutismo zarista, di<br />

cui i governi sovietici né hanno saputo né hanno voluto liberarsene.<br />

<strong>Un</strong>’ultima differenza sta nel fatto che, come è successo, è possibile<br />

pensare ad un socialismo senza Lager, mentre è assolutamente<br />

impossibile immaginare una qualsiasi forma di nazismo senza<br />

l’impiego di queste macchine di morte.<br />

Questa pazzia fortunatamente ha termine quando le SS, in fuga per l’avanzata degli Alleati, non riescono a<br />

portare a termine quanto chiesto da Hitler stesso nel suo testamento, prima di morire suicida, del 30 Aprile<br />

del 1945: l’appello del governo al popolo tedesco era di portare a compimento quel progetto conosciuto<br />

come la “soluzione finale”. Ma come stradetto non tutti morirono, e anzi furono proprio quelli che non<br />

morirono e che come Primo Levi, sentirono il bisogno di portare la loro testimonianza, a scrivere la parola<br />

fine a queste atrocità, facendo conoscere al mondo qual è il punto massimo di crudeltà a cui la mente<br />

umana può portare.

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