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Inserti anno 2007 - Dott. Vito CM Milisenna

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Sezione di<br />

legislazione,<br />

giurisprudenza<br />

e dottrina<br />

Invio materiale<br />

Coordinamento Scientifico<br />

EMANUELE LIMUTI<br />

MARZIA MANISCALCO<br />

RIVISTA<br />

DELL’<br />

Rivista dell'Avvocatura<br />

c/o Consiglio dell'ordine degli Avvocati<br />

Palazzo di Giustizia 93100 Caltanissetta<br />

E-mail: rivistavvocatura@yahoo.it<br />

AVVOCATURA<br />

Diritto civile e amministrativo: all’attenzione di<br />

Marcello Mancuso<br />

Diritto e procedura penale: all’attenzione di Marzia<br />

Maniscalco<br />

E' fortemente raccomandato l'invio di e-mail con allegati<br />

in formato Word.<br />

Legislazione<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Aggiornamento normativo<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Aggiornamento normativo<br />

a cura di M. MANCUSO<br />

Giurisprudenza<br />

<strong>Dott</strong>rina<br />

Sommario<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Osservatorio della Corte di cassazione<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANISCALCO eM.AMBRA<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANCUSO<br />

La sentenza per esteso<br />

Diritto Penale<br />

F. GIUNTA, Controllo e controllori nello specchio<br />

del diritto penale societario<br />

.<br />

Segnalazioni<br />

01/<strong>2007</strong><br />

p. 1<br />

p. 4<br />

p. 6<br />

p. 16<br />

p. 22<br />

p. 26<br />

p. 29<br />

Procedura Penale<br />

O. BENINTENDE, Competenza del g.i.p. distrettuale<br />

e potere del Tribunale del Riesame di declaratoria<br />

di incompetenza con trasmissione degli atti al p.m.<br />

procedente p. 37


Diritto e Procedura penale<br />

AGGIORNAMENTO NORMATIVO<br />

a cura di MARZIA MANISCALCO<br />

Decreto legge 8 febbraio <strong>2007</strong>, n. 8 – “Misure<br />

urgenti per la prevenzione e la repressione di<br />

fenomeni di violenza connessi a competizioni<br />

sportive” – (G.U. 8 febbraio <strong>2007</strong>, n. 32).<br />

Nuovo evento di rilievo che scuote l’opinione pubblica,<br />

nuovo provvedimento del Governo. Dopo le<br />

intercettazioni telefoniche, non tuttavia immuni da<br />

ulteriori manovre, è la violenza negli stadi l’emergenza<br />

che, in piena conformità alla politica simbolica<br />

caratterizzante ormai da tempo il modus operandi<br />

del legislatore italiano, sottende, questa volta,<br />

l’intervento novellativo sul terreno penale.<br />

Nello specifico, viene innanzitutto modificato l’art.<br />

6 della l. 13 dicembre 1989, n. 401, da un lato, prevedendosi<br />

l’ampliamento dei presupposti per il<br />

provvedimento del questore che vieta l’accesso ai<br />

luoghi dove si svolgono attività sportive «nei confronti<br />

di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulta<br />

avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione<br />

attiva ad episodi di violenza in occasione<br />

o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre<br />

in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a<br />

causa delle manifestazioni stesse», al contempo<br />

individuandone il limite minimo di durata in un<br />

tempo non inferiore a tre mesi; dall’altro, ampliando<br />

la forbice edittale per il trasgressore che, per<br />

l’effetto, risulta fissata nel minimo in sei mesi e nel<br />

massimo in 3 anni, cui si aggiunge, cumulativamente,<br />

la multa fino a 10 mila euro.<br />

Quanto al divieto disposto dal giudice con la sentenza<br />

di condanna, il comma 7 della disposizione<br />

de qua perde la sua connotazione discrezionale,<br />

mercé l’intera riscrittura del primo periodo, così<br />

risultando: «con la sentenza di condanna per i reati<br />

di cui al comma 6 e per quelli commessi in occasione<br />

o a causa di manifestazioni sportive o durante<br />

i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono<br />

dette manifestazioni il giudice dispone, altresì,<br />

il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma<br />

1 e l'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando<br />

di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni<br />

sportive specificamente indicate per un periodo da<br />

sei mesi a sette anni, e può disporre la pena accessoria<br />

di cui all'articolo 1, comma 1-bis, lettera a),<br />

del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito,<br />

con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993,<br />

n. 205».<br />

Nuovo testo anche per il comma 1 dell’art. 6-bis, il<br />

1/<strong>2007</strong><br />

quale punisce, oggi, con la reclusione da 1 a 4 anni,<br />

«salvo che il fatto costituisca più grave reato,<br />

chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni<br />

sportive ovvero in quelli interessati alla sosta,<br />

al transito o al trasporto di coloro che partecipano o<br />

assistono alle manifestazioni medesime o, comunque,<br />

nelle immediate adiacenze di essi, lancia o utilizza,<br />

in modo da creare un pericolo per le persone,<br />

razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti<br />

per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero<br />

bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante,<br />

oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere».<br />

Il secondo periodo precisa che si considerano<br />

commessi nei luoghi poc’anzi indicati «i fatti ivi<br />

verificatisi nelle ventiquattro ore precedenti o successive<br />

allo svolgimento della manifestazione sportiva»,<br />

imponendo l’aumento di pena «se dal fatto<br />

deriva il mancato regolare inizio, la sospensione,<br />

l'interruzione o la cancellazione della manifestazione<br />

sportiva» che può giungere «fino alla metà se<br />

dal fatto deriva un d<strong>anno</strong> alle persone».<br />

Sull’impronta dell’intervento manipolativo del<br />

comma 1 dell’art. 6-bis, viene altresì modificato il<br />

successivo art. 6-ter, che, ricompreso tra i casi che,<br />

ex art. 8-bis, consentono di procedere con giudizio<br />

direttissimo, da un lato, vede allargarsi i presupposti<br />

applicativi della fattispecie astratta in esso contenuta,<br />

dall’altro, subisce un aggravamento sanzionatorio<br />

che trasforma il reato contravvenzionale in<br />

delitto: nello specifico, «salvo che il fatto costituisca<br />

più grave reato», è punito con la reclusione da<br />

6 mesi a 3 anni e con la multa da 500 a 2 mila euro,<br />

«chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni<br />

sportive, ovvero in quelli interessati alla<br />

sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano<br />

o assistono alle manifestazioni medesime o,<br />

comunque, nelle immediate adiacenze di essi, è trovato<br />

in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali,<br />

petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas<br />

visibile, ovvero di bastoni, mazze, materiale<br />

imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o,<br />

comunque, atti ad offendere»; anche in tal caso si<br />

considerano commessi nei luoghi di cui al primo<br />

periodo «i fatti ivi verificatisi nelle 24 ore precedenti<br />

o successive allo svolgimento della manifestazione<br />

sportiva».<br />

Per ciò che concerne gli effetti dell’arresto in flagranza,<br />

da segnalare l’intervento che ha interessato<br />

il comma 1-ter dell’art. 8, che, non sfuggirà ripor-<br />

LEGISLAZIONE<br />

1


LEGISLAZIONE<br />

tandone il testo, vede innalzarsi il tetto massimo<br />

per la configurazione del suddetto status, di guisa<br />

che, «quando non è possibile procedere immediatamente<br />

all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità<br />

pubblica, si considera comunque in stato di<br />

flagranza ai sensi dell' articolo 382 del codice di<br />

procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione<br />

video fotografica dalla quale emerga<br />

inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre<br />

che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo<br />

necessario alla sua identificazione e, comunque,<br />

entro le trentasei ore dal fatto».<br />

Sul fronte delle misure di prevenzione, la l. 13<br />

dicembre 1989, n. 401 si arricchisce di un nuovo<br />

art. 7-ter, ai sensi del quale:<br />

«1. Le misure di prevenzione di cui alle leggi 27<br />

dicembre 1956, n. 1423, e 31 maggio 1965, n. 575,<br />

possono essere applicate anche nei confronti delle<br />

persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone<br />

che h<strong>anno</strong> preso parte attiva, in più occasioni,<br />

alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6<br />

della legge 13 dicembre 1989, n. 401.<br />

2. Nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 può<br />

essere altresì applicata la misura di prevenzione<br />

patrimoniale della confisca, di cui alla legge 31<br />

maggio 1965, n. 575, relativamente ai beni, nella<br />

disponibilità dei medesimi soggetti, che possono<br />

agevolare, in qualsiasi modo, le attività di chi prende<br />

parte attiva a fatti di violenza in occasione o a<br />

causa di manifestazioni sportive. Il sequestro effettuato<br />

nel corso di operazioni di polizia dirette alla<br />

prevenzione delle predette manifestazioni di violenza<br />

è convalidato a norma dell'articolo 2-ter,<br />

secondo comma, secondo periodo, della medesima<br />

legge n. 575 del 1965».<br />

Nell’ambito dell’ordito codicistico sostanziale,<br />

infine, viene parzialmente modificato l’art. 339 c.p.,<br />

che vede innalzarsi a cinque anni il minimo edittale<br />

sanzionatorio, arricchendosi, anch’esso, di un nuovo<br />

comma, ai sensi del quale «le disposizioni di cui al<br />

secondo comma si applicano anche, salvo che il<br />

fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la<br />

violenza o la minaccia sia commessa mediante il<br />

lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti<br />

atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici,<br />

in modo da creare pericolo alle persone».<br />

Legge 27 dicembre 2006, n. 296 – “Disposizioni<br />

per la formazione del bilancio annuale e pluriennale<br />

dello Stato (legge finanziaria <strong>2007</strong>)” –<br />

(G.U. 27 dicembre 2006, n. 299, Suppl. ord.).<br />

Opportuno segnalare come tra i 1364 commi che<br />

Diritto e Procedura penale<br />

compongono l’art. 1 della legge finanziaria per il<br />

<strong>2007</strong> sia dato riscontrare la presenza di disposizioni<br />

che interessano il settore penale.<br />

In via di estrema sintesi, i commi 220 e 221 introducono<br />

modifiche al sequestro e alla confisca dei<br />

beni previsti dall’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992,<br />

n. 306, conv. con modif. dalla l. 7 agosto 1992, n.<br />

356:<br />

- la misura patrimoniale di del comma 1 viene estesa<br />

ai delitti contro la pubblica amministrazione di<br />

cui agli artt. 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318,<br />

319, 319-ter, 320, 322, 322-bis, 325;<br />

- ai sensi del nuovo comma 2-bis, nel caso di confisca<br />

per uno di tali delitti, si applicano le disposizioni<br />

degli artt. 2-novies, 2-decies e 2-undecies l.<br />

31 maggio 1965, n. 575;<br />

- nuovo è il comma 5, secondo cui «le somme ricavate<br />

ai sensi del comma 1 lett. b e c, nonché i proventi<br />

derivanti dall’affitto, dalla vendita o dalla<br />

liquidazione dei beni, di cui al comma 3, sono versati<br />

all’entrata del bilancio dello Stato per essere<br />

riassegnati in egual misura al finanziamento degli<br />

interventi per l’edilizia scolastica e per l’informatizzazione<br />

del processo».<br />

Il comma 502 introduce all’art. 8 d.l. 23 dicembre<br />

2003, n. 347, conv. con modif. dalla l. 18 febbraio<br />

2004, n. 39, un nuovo comma 1-bis, ai sensi del<br />

quale, se al momento della chiusura della procedura,<br />

il commissario straordinario della disciolta<br />

Sogesi s.p.a. è costituito parte civile nel processo<br />

penale, l’assuntore del concordato subentra nell’azione<br />

anche se è scaduto il termine previsto dall’art.<br />

79 c.p.p.<br />

Il comma 811 detta una particolare disciplina nel<br />

caso di truffa ai danni del Servizio sanitario<br />

nazionale da parte del farmacista, prevedendo che<br />

«qualora il farmacista titolare di farmacia privata o<br />

direttore di una farmacia gestita da una società di<br />

farmacisti ai sensi dell’articolo 7 della legge 8<br />

novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni,<br />

sia condannato con sentenza passata in giudicato,<br />

per il reato di truffa ai danni del Servizio sanitario<br />

nazionale, l’autorità competente può dichiarare<br />

la decadenza dall’autorizzazione all’esercizio della<br />

farmacia, anche in mancanza delle condizioni previste<br />

dall’articolo 113 primo comma lettera e del<br />

testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio<br />

decreto 27 luglio 1934, n. 1265. La decadenza è<br />

comunque dichiarata quando la sentenza abbia<br />

accertato un d<strong>anno</strong> superiore a 50 mila euro, anche<br />

nell’ipotesi di mancata costituzione in giudizio<br />

della parte civile».<br />

Il comma 1172 regola l’omesso versamento delle<br />

2 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

ritenute previdenziali e assistenziali da parte del<br />

datore di lavoro agricolo; si stabilisce che «nel settore<br />

agricolo, l’omesso versamento, nelle forme e<br />

nei termini di legge, delle ritenute previdenziali e<br />

assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni<br />

dei lavoratori dipendenti configura le ipotesi<br />

di cui ai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell’articolo<br />

2 del decreto-legge 12 settembre 1983, n.<br />

463, convertito con modificazioni dalla legge 11<br />

novembre 1983, n. 638». È espressamente abrogato<br />

il comma 3 dell’art. 2.<br />

Va infine precisato che il comma 1343 l. in esame,<br />

in materia di decorrenza del termine di prescrizione<br />

del diritto della pubblica amministrazione al risarcimento<br />

del d<strong>anno</strong> per responsabilità amministrativa,<br />

è stato espressamente abrogato dall’art. 1 d.l. 27<br />

dicembre 2006, n. 299.<br />

Decreto legislativo 12 gennaio <strong>2007</strong>, n. 11 –<br />

“Disciplina sanzionatoria per la violazione delle<br />

disposizioni del regolamento (CE) n. 1236/2005,<br />

concernente il commercio di determinate merci<br />

che potrebbero essere utilizzate per la pena di<br />

morte, la tortura o altri trattamenti o pene crudeli,<br />

inumani o degradanti” – (G.U. 16 febbraio<br />

2006, n. 39).<br />

Quattro le figure contravvenzionali previste dal<br />

provvedimento legislativo in epigrafe, che fungono,<br />

in attuazione della delega conferita dall’art. 5 l.<br />

25 gennaio 2006, n. 29 (legge Comunitaria 2005),<br />

da apparato sanzionatorio delle disposizioni previste<br />

dal Regolamento (CE) del Consiglio, 27 giugno<br />

2005, n. 1236/2005, relativo al commercio di determinate<br />

merci che potrebbero essere utilizzate per la<br />

pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o<br />

pene crudeli, inumani o degradanti.<br />

Tutte contenute nell’impianto normativo dell’art. 2<br />

del testo governativo de quo, questo, nel suo primo<br />

comma, prevede, innanzitutto, che sia punito con<br />

l’arresto da 1 a 3 anni e l’ammenda da 15 mila a 50<br />

mila euro «chiunque, ai sensi del regolamento e del<br />

presente decreto legislativo, effettua operazioni di<br />

esportazione o di temporanea esportazione o di<br />

importazione di beni utilizzabili solo per la pena di<br />

morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene<br />

crudeli, inumani o degradanti elencati nell’allegato<br />

II del regolamento, indipendentemente dalla loro<br />

origine». Il successivo comma 2 si preoccupa invece<br />

di chi «anche gratuitamente, fornisce, accetta o<br />

richiede assistenza tecnica in relazione a beni utilizzabili<br />

solo per la pena di morte, per la tortura o<br />

per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o<br />

1/<strong>2007</strong><br />

degradanti elencati nell’allegato II del regolamento»,<br />

sanzionando la condotta de qua con la pena<br />

dell’arresto fino a 2 anni o dell’ammenda da 10<br />

mila a 50 mila euro. In entrambi i casi, mercé la disposizione<br />

del comma 5, nel caso di condanna o di<br />

patteggiamento è obbligatoria la confisca dei beni<br />

merci oggetto delle operazioni commerciali.<br />

Ai sensi del comma 3, «chiunque, ai sensi del regolamento<br />

e del presente decreto legislativo, effettua<br />

operazioni di esportazione o di temporanea esportazione<br />

o di importazione dei beni elencati nell’allegato<br />

II del regolamento, utilizzabili esclusivamente<br />

per l’esposizione al pubblico in un museo o<br />

fornisce l’assistenza tecnica connessa senza l’autorizzazione<br />

prevista dall’articolo 3 del regolamento<br />

è punito con la pena dell’ammenda da 15 mila a 90<br />

mila euro».<br />

Il comma 4, infine, prevede l’arresto da 6 mesi a 2<br />

anni e l’ammenda da 5 mila euro a 50 mila euro per<br />

«chiunque, ai sensi del regolamento e del presente<br />

decreto legislativo, effettua operazioni di esportazione<br />

o di temporanea esportazione dei beni utilizzabili<br />

per la tortura o per altri trattamenti o pene<br />

crudeli, inumani o degradanti, elencati nell’allegato<br />

III del regolamento, indipendentemente dalla<br />

loro origine, senza l’autorizzazione prevista dall’articolo<br />

5 del regolamento, paragrafo 1, ovvero<br />

ottiene l’autorizzazione o dichiarazioni o documentazioni<br />

false».<br />

LEGISLAZIONE<br />

3


LEGISLAZIONE<br />

AGGIORNAMENTO NORMATIVO<br />

a cura di MARCELLO MANCUSO<br />

Speciale riforma del processo civile<br />

Legge 28 dicembre 2005, n. 263 - Interventi correttivi<br />

alle modifiche in materia processuale<br />

civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo<br />

2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla<br />

legge 14 maggio 2005, n. 80, nonche' ulteriori<br />

modifiche al codice di procedura civile e alle<br />

relative disposizioni di attuazione, al regolamento<br />

di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642,<br />

al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53,<br />

e disposizioni in tema di diritto alla pensione di<br />

reversibilita' del coniuge divorziato. (G.U. 28<br />

dicembre 2005 - S.O. n. 208)<br />

Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 -<br />

Modifiche al codice di procedura civile in materia<br />

di processo di cassazione in funzione nomofilattica<br />

e di arbitrato, a norma dell'articolo 1,<br />

comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80.<br />

(G.U.. 15 febbraio 2006 - S. O. n. 40)<br />

Legge 24 febbraio 2006, n. 52 – Riforma delle<br />

esecuzioni mobiliari. (G.U. 28 febbraio 2006 n.<br />

49 )<br />

Comunicato Ministero della Giustizia del 1°<br />

marzo 2006 - Mancata conversione del decretolegge<br />

30 dicembre 2005, n. 271, recante Proroga<br />

di termini in materia di efficacia di nuove disposizioni<br />

che modificano il processo civile. (G.U. 1°<br />

marzo 2006 n. 50)<br />

Il processo di esecuzione II - Conversione del<br />

pignoramento<br />

Si nota una anticipazione e una contemporanea<br />

restrizione del termine entro il quale può essere<br />

richiesta la conversione.<br />

non è più buono ogni momento anteriore alla effettuazione<br />

della vendita, ma la conversione può essere<br />

richiesta solo prima che sia disposta la vendita o<br />

l'assegnazione, e dunque l'emissione dei relativi<br />

provvedimenti costituisce il limite temporale invalicabile.<br />

Il termine massimo di rateizzazione nelle procedure<br />

esecutive immobiliari é elevato da 9a 18 mesi.<br />

Si ricorda che risulta modificato anche l'Art. 187bis<br />

Disposizioni di attuazione e transitorie del<br />

Codice di procedura civile, a norma del quale dopo<br />

Diritto e Procedura civile<br />

il compimento degli atti di aggiudicazione, anche<br />

provvisoria, o assegnazione, l'istanza di conversione,<br />

quantunque, si intuisce, prodotta nei termini,<br />

non è più procedibile. Ne deriva la possibilità di<br />

continuazione del procedimento di liquidazione dei<br />

beni sottoposti ad esecuzione in parallelo al subprocedimento<br />

relativo all'istanza di conversione.<br />

L'intervento<br />

La nuova disciplina dell'intervento nell'esecuzione<br />

è caratterizzata dalla creazione di una proceduta<br />

concorsuale con autonome regole per la formazione<br />

dell' attivo e del passivo, e delle presenza di<br />

meccanismi deflattivi delle liti e di formazione<br />

eventuale del contraddittorio chiaramente mirati a<br />

facilitare la realizzazione della garanzia patrimoniale<br />

generica nei rapporti tra imprenditori commerciali.<br />

Possono intervenire nell'esecuzione i creditori che<br />

nei confronti del debitore h<strong>anno</strong> un credito fondato<br />

su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al<br />

momento del pignoramento, avevano eseguito un<br />

sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto<br />

di pegno o un diritto di prelazione risultante da<br />

pubblici registri ovvero erano titolari di un credito di<br />

somma di denaro risultante dalle scritture contabili<br />

di cui all'articolo 2214 del codice civile (libro giornale<br />

e libro degli inventari, altre scritture contabili<br />

che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni<br />

dell'impresa ).<br />

Il ricorso per intervento deve essere depositato<br />

prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la<br />

vendita o l'assegnazione, deve contenere l'indicazione<br />

del credito e quella del titolo di esso, la<br />

domanda per partecipare alla distribuzione della<br />

somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la<br />

elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il<br />

giudice competente per l'esecuzione.<br />

Se l'intervento ha luogo per un credito di somma di<br />

denaro risultante dalle scritture di cui al all'articolo<br />

2214 del codice civile, al ricorso deve essere allegato,<br />

a pena di inammissibilità, l'estratto autentico<br />

notarile delle medesime scritture.<br />

In questo ultimo caso, v<strong>anno</strong> notificati al debitore,<br />

entro i dieci giorni successivi al deposito, copia del<br />

ricorso, nonché copia dell'estratto autentico notarile<br />

attestante il credito se l'intervento nell'esecuzione<br />

ha luogo in forza di essa.<br />

Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente,<br />

il creditore pignorante ha facoltà di indicare,<br />

con atto notificato o all'udienza in cui è disposta<br />

la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni<br />

del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad<br />

estendere il pignoramento se sono forniti di titolo<br />

4 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie<br />

per l'estensione. Se i creditori intervenuti,<br />

senza giusto motivo, non estendono il pignoramento<br />

ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro<br />

il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha<br />

diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione.<br />

Con l'ordinanza con cui è disposta la vendita o l'assegnazione<br />

il giudice fissa udienza di comparizione<br />

davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti<br />

privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a<br />

cura di una delle parti. Tra la data dell'ordinanza e<br />

la data fissata per l'udienza non possono decorrere<br />

più di sessanta giorni.<br />

All'udienza di comparizione il debitore deve<br />

dichiarare quali dei crediti per i quali h<strong>anno</strong> avuto<br />

luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto<br />

o in parte, specificando in quest'ultimo caso la relativa<br />

misura. Se il debitore non compare, si intendono<br />

riconosciuti tutti i crediti per i quali h<strong>anno</strong> avuto<br />

luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. In<br />

tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli<br />

effetti dell'esecuzione. I creditori intervenuti i cui<br />

crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore<br />

partecipano alla distribuzione della somma ricavata<br />

per l'intero ovvero limitatamente alla parte del<br />

credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale.<br />

I creditori intervenuti i cui crediti siano stati<br />

viceversa disconosciuti dal debitore h<strong>anno</strong> diritto,<br />

ai sensi dell'articolo 510, terzo comma, all'accantonamento<br />

delle somme che ad essi spetterebbero,<br />

sempre che ne facciano istanza e dimostrino di<br />

avere proposto, nei trenta giorni successivi all'udienza<br />

di cui al presente comma, l'azione necessaria<br />

affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo.<br />

1/<strong>2007</strong><br />

Distribuzione<br />

Una volta esaurita la fase della vendita del bene<br />

pignorato, deve procedersi alla distribuzione di<br />

quanto ricavato.<br />

La nuova formulazione dell'art. 510 c.p.c., oltre a<br />

contemplare l'ipotesi della distribuzione all'unico<br />

creditore procedente, prevede l'obbigo di accantonamento<br />

delle somme a favore di quei creditori,<br />

quali sequestratari, titolari di diritti di pegno, ipotecari,<br />

i quali sono privi di un titolo esecutivo, e vantano<br />

crediti non riconosciuti dal debitore.<br />

In tale caso il giudice dispone l'accantonamento,<br />

per un tempo comunque non superiore ai tre anni,<br />

valutato secondo le circostanze.<br />

Decorso tale termine le parti compaiono davanti al<br />

giudice. La comparizione può essere disposta sia<br />

d'ufficio, che su istanza di una delle parti; in questo<br />

secondo caso, qualora non vi siano creditori che<br />

debbano ancora munirsi di titolo esecutivo, non è<br />

necessario aspettare lo spirare del termine stesso,<br />

per chiedere la fissazione della comparizione.<br />

In questa sede il giudice procede alla distribuzione<br />

delle somme accantonate; dopo la distribuzione, le<br />

somme residue vengono consegnate al debitore.<br />

Risoluzione delle controversie<br />

Risulta altresì profondamente modificato il successivo<br />

art. 512, che sovrintende al subprocedimento<br />

eventuale relativo alla cognizione delle controversie<br />

che sorganotra i creditori, ovvero tra taluno dei<br />

creditori ed il debitore, o il terzo assoggettato all'esecuzione,circa<br />

la sussistenza e l'ammontare di uno<br />

o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione.<br />

Questa fase di contraddittorio eventuale costituisce<br />

il contraltare logico necessario al vaglio preventivo<br />

dei crediti risultanti da scritture contabili necessarie,<br />

onde evitare riconoscimenti compiacenti da<br />

parte del debitore.<br />

Nella versione previgente era prevista l'apertura di<br />

un processo a cognizione piena che si concludeva<br />

con la pronuncia di una sentenza.<br />

La nuova formulazione della norma prevede invece<br />

che, in seguito ad un procedimento infornale,<br />

presumibilmente modellato sulle forme del procedimento<br />

cautelare, il giudice dell'esecuzione, che<br />

ha competenza funzionale, pronunci un'ordinanza<br />

che, al pari di ogni atto esecutivo, può essere impugnato<br />

nel nuovo termine dell'art. 617 (venti giorni).<br />

Ad assicurare l'effettività della emittenda pronuncia<br />

è prevista la possibilità per il giudice della esecuzione<br />

di sospendere in tutto o in parte la distribuzione<br />

della somma ricavata.<br />

LEGISLAZIONE<br />

5


GIURISPRUDENZA<br />

OSSERVATORIO DELLA CORTE DI CASSAZIONE<br />

a cura di MARZIA MANISCALCO<br />

Appello<br />

“La giurisprudenza di legittimità si pronuncia<br />

sugli effetti della duplice pronuncia demolitoria<br />

del Giudice delle Leggi che ha travolto la legge<br />

Pecorella” (sintesi tratta dall’opera monografica<br />

L’appello penale, Giuffrè, Milano, in corso di pubblicazione,<br />

già riportata in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Ridimensionate le iniziali aspettative del legislatore,<br />

mercé i rilievi effettuati dal Capo dello Stato in sede<br />

di rinvio del testo originario alle camere, il rinnovato<br />

ordito normativo 20 febbraio 2006, n. 46, altrimenti<br />

noto come “legge Pecorella”, è entrato in<br />

vigore in data 9 marzo del c.a.<br />

Come noto, la scelta di fondo del provvedimento ha<br />

ricevuto immediata consacrazione attraverso l’incisiva<br />

modifica dell’art. 593 c.p.p. che, affidata alla<br />

norma di apertura del testo di legge, ha improntato il<br />

sistema delle impugnazioni penali al principio dell’inappellabilità<br />

delle sentenze di proscioglimento –<br />

genus che, vale la pena segnalare, comprende tutte le<br />

species di pronunce contemplate dagli artt. 529, 530<br />

e 531 c.p.p. –, condizionando l’ammissibilità del<br />

gravame alla prospettazione della sopravvenienza o<br />

scoperta di nuove prove decisive.<br />

Accolta con favore da parte della dottrina, la disposizione<br />

di nuovo conio, malgrado gli accorgimenti<br />

apportati in sede di seconda deliberazione, non ha,<br />

tuttavia, mancato di suscitare ferme reazioni contrarie,<br />

che h<strong>anno</strong> da subito trovato consacrazione nelle<br />

molteplici ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale.<br />

L’attenzione, su stessa sollecitazione del<br />

Capo dello Stato, si è immediatamente concentrata<br />

sul principio di parità tra le parti del processo, per<br />

quanto sia dato constatare come non siano mancate<br />

eccezioni che abbiano fatto richiamo ad altri e diversi<br />

parametri fondamentali, tra cui, il più frequente,<br />

quello all’art. 112 Cost., benché più volte, i giudici<br />

di Palazzo della Consulta abbiano espressamente<br />

escluso che il potere di impugnazione costituisca<br />

«una estrinsecazione necessaria dei poteri inerenti<br />

all'esercizio dell'azione penale» (Corte cost. 1 aprile<br />

2003, n. 110, in Cass. pen., 2003, 2634; Corte cost.<br />

9 maggio 2003, n. 165, in Foro amm., 2003, 1514;<br />

Corte cost. 16 luglio 2002, n. 347, in Giur. cost.,<br />

2002, 2627; Corte cost. 21.12.2001, n. 421, in Cass.<br />

pen., 2002, 1369).<br />

Ed è proprio sulla scorta del principio consacrato<br />

nell’art. 111 c. 2 Cost. che il Giudice delle Leggi ha<br />

recentemente dichiarato «l’illegittimità costituzionale<br />

dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46<br />

Diritto e Procedura Penale<br />

(Modifiche al codice di procedura penale, in materia<br />

di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento),<br />

nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di<br />

procedura penale, esclude che il pubblico ministero<br />

possa appellare contro le sentenze di proscioglimento,<br />

fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art.<br />

603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova<br />

prova è decisiva» (Corte cost. 6 febbraio <strong>2007</strong>, n. 26,<br />

in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Ribadito più volte, all’interno dei passaggi motivazionali<br />

del provvedimento, che «nella cornice dei<br />

valori costituzionali, la parità delle parti non corrisponde<br />

necessariamente ad una eguale distribuzione<br />

di poteri e facoltà fra i protagonisti del processo», i<br />

giudici h<strong>anno</strong>, tuttavia, rammentato come il suddetto<br />

principio non sia da intendersi limitatamente riferito<br />

al procedimento probatorio, ma estenda la sua<br />

portata sull’intero processo, sì da inferirne la validità<br />

anche con riferimento alla disciplina delle impugnazioni.<br />

Ed anzi, sarebbe proprio «unicamente<br />

entro i limiti di operatività» del suddetto principio<br />

che il potere di impugnazione del pubblico ministero<br />

ritroverebbe copertura costituzionale, non potendo,<br />

al contrario, sostenersi, come si rammentava<br />

poc’anzi, che lo stesso costituisca una estrinsecazione<br />

necessaria dei poteri inerenti all’esercizio dell’azione<br />

penale.<br />

Di qui, dunque, l’indagine in ordine alla ragionevolezza<br />

della norma impugnata che, già in passato,<br />

come noto, aveva condotto la Corte a ritenere, invece,<br />

legittima, proprio con riferimento all’art. 111 c. 2<br />

Cost., la scelta di inibire all’organo requirente l’appello<br />

delle sentenze di condanna pronunciate a<br />

seguito di giudizio abbreviato (in particolare, Corte<br />

cost. 9 maggio 2003, n. 165, in Foro amm., 2003,<br />

1514; Corte cost. 21 dicembre 2001, n. 421, in Cass.<br />

pen., 2002, 1369. Sull’esclusione dell’appello incidentale<br />

del p.m. avverso la condanna de qua, Corte<br />

cost. 27 gennaio 2004, n. 46, in www.cortecostituzionale.it).<br />

Se in tale ultimo caso, tuttavia, le caratteristiche del<br />

rito speciale valevano a ritenere l’operazione legislativa<br />

«incensurabile sul piano della ragionevolezza in<br />

quanto proporzionata al fine preminente della speditezza<br />

del processo», la «“generalizzata”» e «“unilaterale”»<br />

abolizione del potere della parte pubblica di<br />

appellare le sentenze in cui risulti totalmente soccombente,<br />

essendo «sancita in rapporto al giudizio<br />

ordinario, nel quale l’accertamento è compiuto nel<br />

contraddittorio delle parti, secondo le generali<br />

cadenze prefigurate dal codice di rito», non trova<br />

«alcuna specifica “contropartita” in particolari<br />

6 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura Penale<br />

modalità di svolgimento del processo»; né, secondo<br />

la Corte, potrebbe ritenersi che la «ragionevole durata<br />

del processo» sia principio in grado di contemperare<br />

«la totale soppressione di rilevanti facoltà processuali<br />

di una sola delle parti» (Corte cost. 6 febbraio<br />

<strong>2007</strong>, n. 26, in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Sullo sfondo della pronuncia non possono non intravedersi<br />

le condivisibili perplessità in ordine al «rapporto<br />

solo “mediato” che il giudice dell’appello ha<br />

con le prove», le quali – afferma incidentalmente la<br />

Corte – evocano, tuttavia, «tensioni interne al vigente<br />

ordinamento processuale, connesse al mantenimento<br />

di impugnazioni di tipo tradizionale nell’ambito<br />

di un processo a carattere tendenzialmente accusatorio.<br />

A prescindere, difatti, dal rilievo che l’ipotizzata<br />

distonia del sistema – ove effettivamente<br />

riscontrabile – sussisterebbe anche in rapporto alle<br />

sentenze di condanna, per le quali il pubblico ministero<br />

mantiene il potere di appello, avuto riguardo<br />

alla possibile modifica in peius della decisione da<br />

parte del giudice di secondo grado come conseguenza<br />

di divergenti valutazioni di fatto (le quali portino,<br />

ad esempio, al mutamento del titolo del reato o al<br />

riconoscimento di una circostanza aggravante), è<br />

assorbente la considerazione che il rimedio all’eventuale<br />

deficit delle garanzie che assistono una parte<br />

processuale va rinvenuto – in via preliminare – in<br />

soluzioni che escludano quel difetto, e non già in una<br />

eliminazione dei poteri della parte contrapposta che<br />

generi un radicale squilibrio nelle rispettive posizioni»<br />

(Corte cost. 6 febbraio <strong>2007</strong>, n. 26, in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

La disorganicità di una legge a cui erano sottesi specifici<br />

interessi in luogo di una comunque ancora<br />

auspicata volontà di procedere ad una radicale<br />

riforma del sistema delle impugnazioni in linea<br />

con il modello accusatorio oggi costituzionalizzato<br />

ha prodotto, nel diritto, un irragionevole squilibrio<br />

tra le parti, alla cui rilevazione, contrariamente allo<br />

spirito che avrebbe dovuto animare la novella, è<br />

logicamente conseguito, nella vita giudiziaria, un<br />

ulteriore fermo, tempisticamente dilatato dalla correlativa<br />

pronuncia di incostituzionalità che ha colpito<br />

il regime transitorio.<br />

«Se il compito delle disposizioni transitorie è quello<br />

di evitare che si produca nel sistema un mutamento<br />

legislativo troppo brusco, tale da modificare le regole<br />

del gioco su cui le parti facevano affidamento,<br />

simile caratteristica non sembra affatto [aver] contraddistin[to]<br />

l’articolo 10 della legge 46/2006. E<br />

questo, probabilmente, nella convinzione del legislatore<br />

che la “posta in gioco” – scongiurare l’eventualità<br />

di una riforma in appello della sentenza di proscioglimento<br />

– fosse davvero troppo alta per sacrificarla<br />

ai canoni di una razionalità “graduale”. […]<br />

D’altra parte sarebbe stato difficile giustificare,<br />

rispetto ai principi di uguaglianza e di inviolabilità<br />

1/<strong>2007</strong><br />

della difesa, la disparità di trattamento degli imputati<br />

prosciolti, causa l’attribuzione al pubblico ministero<br />

di maggiori o minori chances di accesso al giudizio<br />

di appello, tale da distribuire in modo differente<br />

il rischio di una successiva condanna a seconda del<br />

grado di sviluppo raggiunto dal procedimento penale<br />

all’entrata in vigore della legge 46/2006». (D.<br />

NEGRI, Norma transitoria senza gradualità, in<br />

Guida al dir., 2006, n. 10, 96).<br />

Si è così vista accompagnarsi l’espressa prescrizione<br />

dell’applicazione delle norme di nuovo conio a tutti<br />

i procedimenti in corso a far data dal 9 marzo 2006<br />

alla precisazione che gli appelli già proposti dall’imputato<br />

o dal pubblico ministero avverso le sentenze<br />

di proscioglimento vengano dichiarati inammissibili<br />

con ordinanza non impugnabile (art. 10 c. 2 l.<br />

46/2006), dalla cui notifica comincia a decorrere il<br />

termine perentorio di 45 giorni per proporre ricorso<br />

per cassazione contro le sentenze di primo grado<br />

(art. 10 c. 3 l. 46/2006): «insomma, un’opzione<br />

immediata molto forte, seguita però da un ripensamento»<br />

(G. GARUTI, Dall’inappellabilità delle sentenze<br />

di proscioglimento ai nuovi “vincoli” in punto<br />

di archiviazione e di condanna dell’imputato, in Dir.<br />

pen. proc., 2006, 813).<br />

Ebbene, è ovvio come, con riferimento al pubblico<br />

ministero, la declaratoria di incostituzionalità che ha<br />

colpito il divieto di appellare le sentenze di proscioglimento<br />

sia andata a riverberarsi sulle ordinanze di<br />

inammissibilità pronunciate sulla scorta di un dettato<br />

legislativo considerato invalido; «correlativamente»,<br />

dunque, i giudici di Palazzo della Consulta<br />

h<strong>anno</strong> proceduto a dichiarare «l’illegittimità costituzionale<br />

anche dell’art. 10, comma 2, della citata<br />

legge n. 46 del 2006, nella parte in cui prevede che<br />

l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento<br />

dal pubblico ministero prima della data di<br />

entrata in vigore della medesima legge è dichiarato<br />

inammissibile» (Corte cost. 6 febbraio <strong>2007</strong>, n. 26,<br />

in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Orbene, per ciò che riguarda gli effetti della duplice<br />

declaratoria di illegittimità, è la Suprema Corte ad<br />

essere immediatamente intervenuta a delineare gli<br />

scenari procedimentali in atto regolamentandone le<br />

conseguenze; da subito segnalato come l’effetto<br />

caducatorio della dichiarazione di incostituzionalità<br />

sia da equiparare «a quello dell’annullamento, e non<br />

a quello dell’abrogazione (con la conseguente inapplicabilità<br />

del principio tempus regit actum, valevole<br />

nella successione temporale delle norme processuali»<br />

(Cass., Sez. III, 27 febbraio <strong>2007</strong>, n. 8081, in<br />

www.cortedicassazione.it), non pare esservi dubbio<br />

sul fatto che «l’efficacia retroattiva delle sentenze<br />

della Consulta val[ga] anche nel caso di incostituzionalità<br />

di una norma processuale» (Cass., Sez. III,<br />

27 febbraio <strong>2007</strong>, n. 8080 in<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it), senza, tuttavia, poter inci-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

7


GIURISPRUDENZA<br />

dere sulle «situazioni che possono definirsi “esaurite”,<br />

insuscettibili di essere rimosse o modificate, o a<br />

quelle “consolidate” per effetto di norme penali di<br />

favore […]. Per il limite della situazione “esaurita”,<br />

occorre che il procedimento, nel corso del quale gli<br />

atti oggetto della disciplina modificata sono stati<br />

effettuati, non sia stato ancora definito con decisione<br />

avente autorità di cosa giudicata (Cass. Sez. un.,<br />

27.2.2002, n. 17179, Conti, rv 221401), ovvero siano<br />

individuabili altri momenti preclusivi di tipo endoprocedimentale,<br />

quali la nullità, la decadenza o la<br />

precrisiozne, essendosi in concreto determinata una<br />

situazione processuale tale daimpedire o da rendere<br />

irrilevante l’applicazione della nuova normativa, per<br />

il raggiungimento dello scopo per il quale la fattispecie<br />

processuale era stata realizzata» (Cass., Sez.<br />

I, 7 marzo <strong>2007</strong>, n. 9705, inedita; negli stessi termini,<br />

Cass., Sez. I, 7 marzo <strong>2007</strong>, n. 9704, inedita).<br />

Ciò premesso, per esaminare la situazione dei ricorsi<br />

pendenti innanzi al giudice di legittimità si reputa<br />

opportuno distinguere l’ipotesi in cui il ricorso del<br />

pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento<br />

dell’imputato sia stato proposto «“indirettamente”,<br />

a seguito della ordinanza di inammissibilità<br />

dell’appello […] pronunciata […] in base alle disposizioni<br />

transitorie dell’art. 10, commi 2 e 3, l. 46 del<br />

2006, incise dallo scrutinio negativo di costituzionalità»<br />

da quella in cui l’organo requirente si sia<br />

«“direttamente”» rivolto alla Suprema Corte «dopo<br />

l’entrata in vigore della nuova disciplina “a regime”»<br />

(Cass., Sez. I, 7 marzo <strong>2007</strong>, n. 9705, inedita;<br />

negli stessi termini, Cass., Sez. I, 7 marzo <strong>2007</strong>, n.<br />

9704, inedita).<br />

Nel primo caso non paiono esservi dubbi sul fatto<br />

che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello<br />

debba essere annullata senza rinvio: «trattandosi di<br />

provvedimento decisorio di carattere processuale<br />

non impugnabile che ha definito un grado del giudizio,<br />

deve essere stralciata dal processo, in quanto<br />

detta ordinanza non ha più il potere di produrre effetti<br />

giuridici a seguito della declaratoria di incostituzionalità<br />

dell’art. 10 c. 2 46/2006. Pertanto, una<br />

volta espunta dal codice di rito la norma che esclude<br />

la proposizione dell’appello da parte del pubblico<br />

ministero avverso le sentenze di proscioglimento,<br />

deve ritenersi che l’appello a suo tempo proposto sia<br />

pienamente valido al fine della celebrazione del processo<br />

davanti alla Corte di appello competente. Ne<br />

consegue che […], previo annullamento senza rinvio<br />

dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, gli<br />

atti devono essere trasmessi alla Corte di appello<br />

[competente], che giudicherà sui motivi originariamente<br />

proposti a sostegno dell’appello e su quelli<br />

nuovi eventualmente presentati ai sensi dell’art. 585,<br />

4° co., c.p.p. nell’ambito del devolutum» (Cass., Sez.<br />

I, 24 febbraio <strong>2007</strong>, n. 7895, in www.personaed<strong>anno</strong>.it.<br />

Conf. Cass., Sez. III, 27 febbraio <strong>2007</strong>, n.<br />

Diritto e Procedura Penale<br />

8081, in www.cortedicassazione.it).<br />

Non altrettanto pacifica la posizione della Suprema<br />

Corte per ciò che riguarda la seconda ipotesi.<br />

Secondo parte della giurisprudenza, il ricorso presentato<br />

dall’organo requirente avverso la sentenza di<br />

proscioglimento di primo grado, se «cont[enente]<br />

censure in ordine alla valutazione delle prove», non<br />

può essere inteso come ricorso per saltum ai sensi<br />

dell’art. 569 c.p.p., richiedendo, dunque, la sua<br />

riqualificazione in termini di appello – con conseguente<br />

trasmissione degli atti alla Corte territorialmente<br />

competente – sulla scorta del principio di conservazione<br />

dell’atto di impugnazione consacrato nel<br />

quinto comma dell’art. 568 c.p.p. (Cass., Sez. III, 27<br />

febbraio <strong>2007</strong>, n. 8080, in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Diverso il percorso argomentativo intrapreso da altra<br />

Sezione della Corte, secondo la quale «una volta<br />

rilevato che il p.m., in forza della successiva invalidazione<br />

della norma che ne precludeva l’appello, ha<br />

in ogni caso – ora – il diritto di appellare la sentenza<br />

di proscioglimento di primo grado, il ricorso proposto<br />

dallo stesso che sia formalmente ammissibile,<br />

pure a voler considerare “esaurita” la fattispecie<br />

impugnatoria per la preclusione endoprocessuale<br />

ormai verificatasi, va tuttavia trattato e deciso dalla<br />

Corte di cassazione come ricorso immediato o per<br />

saltum, a norma dell’art. 569 c.p.p. […] Ne consegue,<br />

come lineare corollario, per un verso che l’eventuale<br />

enunciazione di motivi attinenti agli<br />

apprezzamenti fattuali del giudice di merito, alla<br />

congruità della motivazione o alla prova decisiva<br />

omessa, ai sensi dell’art. 606 lett. d ed e c.p.p., comporta<br />

la conversione del ricorso in appello, ai sensi<br />

del terzo comma dell’art. 569, e peraltro che l’eventuale<br />

annullamento con rinvio della sentenza impugnata,<br />

per vizi di legittimità diversi da quelli suindicati,<br />

impone la trasmissione degli atti al giudice<br />

competente per l’appello, a norma dell’ultimo<br />

comma del medesimo art. 569» (Cass., Sez. I, 7<br />

marzo <strong>2007</strong>, n. 9705, inedita).<br />

Non può, infine, omettersi di segnalare il contrasto<br />

registratosi sulla portata letterale del disposto dell’art.<br />

10 c. 2 l. 46/2006 in relazione alle sentenze di<br />

non luogo a procedere; se, infatti, parte della giurisprudenza<br />

ha ritenuto che «la nozione di “sentenza di<br />

proscioglimento” de[bba] ritenersi comprensiva<br />

delle sentenze di “non doversi procedere” e di quelle<br />

di assoluzione, ma non di quelle di “non luogo a<br />

procedere” previste all’esito dell’udienza preliminare»<br />

(Cass., Sez. V, 5 marzo <strong>2007</strong>, n. 9232, inedita),<br />

altra Sezione della Suprema Corte ha espressamente<br />

smentito l’assunto (Cass., Sez. VI, ud. 26 febbraio<br />

<strong>2007</strong>, notizia provvisoria di decisione), senza, tuttavia,<br />

aver modo di pronunciarsi sugli effetti della<br />

declaratoria di incostituzionalità che ha colpito la<br />

disposizione esegeticamente controversa.<br />

Non ritenendo di condividere l’interpretazione<br />

8 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura Penale<br />

estensiva del disposto dell’art. 10 c. 2 l. 46/2006 –<br />

la cui dizione “sentenze di proscioglimento”, a parere<br />

di chi scrive, si riferisce ai soli provvedimenti di<br />

cui agli artt. 529, 530 e 531 c.p.p. –, deve, dunque,<br />

affermarsi l’assoluta neutralità della duplice dichiarazione<br />

di illegittimità sull’assetto dell’impugnazione<br />

delle sentenze di non luogo a procedere, in relazione<br />

alle quali, l’art. 10 c. 1 l. 46/2006 non impone,<br />

come sostenuto da taluno, la pronuncia di inammissibilità<br />

dell’appello proposto prima dell’entrata in<br />

vigore della legge di novella, limitandosi a prescrivere<br />

l’immediata efficacia delle norme sopravvenute<br />

con riguardo al singolo atto da compiere.<br />

Non trascurando il dibattito che ha coinvolto la portata<br />

della diposizione transitoria in parola, si ritiene,<br />

infatti, di condividere l’impostazione che intende il<br />

comma 1 dell’art. 10 come mera «traslitterazione<br />

descrittiva» del principio del tempus regit actum, la<br />

cui portata va riferita «al singolo atto (o fatto) del<br />

procedimento», così operando «una provvidenziale<br />

“atomizzazione” del fenomeno della successione<br />

delle leggi processuali, commisurandone gli effetti<br />

alla fattispecie “semplice” oggetto della norma coinvolta<br />

nella successione ed evitando, così, che il<br />

novum operi per trascinamento - a ritroso o in differita<br />

- all’interno di una più o meno ampia fattispecie<br />

“complessa” inidonea a frazionarsi in ragione della<br />

data di entrata in vigore della legge» (G. DEAN, Il<br />

nuovo regime delle impugnazioni della parte civile e<br />

la nuova fisionomia dei motivi di ricorso, in Dir. pen.<br />

proc., 2006, 818); non può tuttavia omettersi di<br />

segnalare come anche l’opposta opinione non sia da<br />

considerarsi implausibile, potendo essere «accreditata<br />

da un’interpretazione del principio tempus regit<br />

actum che non considera soltanto l’atto processuale<br />

in sé, ma lo considera unitamente ai suoi effetti;<br />

donde la propensione a verificare la sopravvivenza<br />

del primo in ragione della perdurante attualità dei<br />

secondi» (G. DEAN, op. loc. cit.).<br />

Applicazione della pena su richiesta delle parti<br />

Cass., Sez. I, 20 novembre 2006, n. 38043 – “La<br />

commissione di un nuovo reato non preclude l’estinzione<br />

ex art. 167 c.p. quando con la seconda<br />

sentenza di patteggiamento sia stato reiterato il<br />

beneficio della sospensione condizionale ai sensi<br />

dell’art. 164 c. 4 c.p.” – (sintesi già pubblicata sul<br />

sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il<br />

testo del provvedimento per esteso).<br />

Avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione<br />

rigettava la richiesta del condannato diretta a far<br />

dichiarare l’estinzione dei reati oggetto della sentenza<br />

di patteggiamento a pena condizionalmente<br />

sospesa, l’interessato esperiva ricorso per cassazione,<br />

lamentando la nullità del suddetto provvedimen-<br />

1/<strong>2007</strong><br />

to per violazione degli artt. 164 ultimo comma, e 167<br />

c.p., avendo il Tribunale ritenuto preclusivo alla<br />

suddetta declaratoria il fatto che nel quinquennio<br />

successivo al passaggio in giudicato l’istante avesse<br />

commesso altro delitto per il quale era stata applicata<br />

la pena ex art. 444 c.p.p. Di immediata percezione<br />

come, così motivando, il giudice dell’esecuzione<br />

abbia preso in considerazione il solo dettato normativo<br />

di cui all’art. 445 c. 2 c.p.p., ritenendo, evidentemente,<br />

inapplicabile la causa di estinzione «prefigurata<br />

dall’art. 167, quasi che la prima disposizione<br />

debba considerarsi speciale rispetto alla seconda».<br />

Così non è per il giudice di legittimità che, nell’accogliere<br />

il ricorso, ha sottolineato, al contrario, come<br />

le due disposizioni citate abbiano, in realtà, «un<br />

ambito applicativo del tutto differenziato. Infatti,<br />

l’art. 445, comma 2, c.p.p. attiene unicamente alla<br />

sentenza di applicazione concordata della pena come<br />

tale e stabilisce l’estinzione del reato per il solo fatto<br />

che non è commesso un nuovo reato nel termine prescritto;<br />

per contro, l’operatività dell’art. 167 c.p. è<br />

legata a qualsiasi tipo di sentenza a pena condizionalmente<br />

sospesa ed è collegata al giudizio prognostico<br />

su cui è fondata la concessione del beneficio e<br />

alla mancata commissione di altro reato nel periodo<br />

indicato dalla legge». Di conseguenza, pur accertata<br />

l’esistenza della causa ostativa alla dichiarazione di<br />

estinzione del reato di cui all’art. 445 c.p.p., ciò «non<br />

poteva esimere il giudice dell’esecuzione dall’accertare<br />

se l’estinzione potesse derivare dalla disciplina<br />

di cui all’art. 167 c.p.».<br />

Se così è, occorre, allora, domandarsi se «l’estinzione<br />

del reato a norma dell’art. 167 c.p. sia preclusa<br />

dall’intervenuta commissione di un nuovo reato,<br />

anche se con la seconda sentenza sia stato reiterato il<br />

beneficio della sospensione condizionale della pena<br />

a norma dell’art. 164, ultimo comma, per il fatto che<br />

il cumulo delle due pene non è superiore a due anni».<br />

A tale quesito, i giudici, espressamente, rispondono<br />

in maniera negativa: nello specifico, secondo il<br />

Supremo consesso, è il coordinamento delle disposizioni<br />

di cui agli artt. 164 ult. c., 167 e 168 c.p. – in<br />

riferimento alle quali si è sottolineata la rispondenza<br />

tra cause ostative all’estinzione e cause di revoca<br />

della sospensione condizionale – a mostrare come<br />

«l’estinzione del reato si verifichi qualora la commissione<br />

del nuovo reato non dia causa alla revoca<br />

del beneficio perché una nuova sospensione condizionale<br />

è stata applicata a norma dell’ultimo comma<br />

dell’art. 164» c.p.; «tant’è che nella situazione in<br />

esame, se si dovesse negare l’estinzione ex art. 167,<br />

non si potrebbe comunque disporre la revoca ai sensi<br />

dell’art. 168, che, difatti, fa salva la previsione dell’ultimo<br />

comma dell’art. 164: di talché la logica del<br />

sistema giustifica la conclusione per cui, in mancanza<br />

di idonea causa di revoca della sospensione condizionale<br />

della pena (e tale non è indubbiamente la<br />

GIURISPRUDENZA<br />

9


GIURISPRUDENZA<br />

situazione prefigurata dall’art. 164, ultimo comma,<br />

c.p.), è comunque operante la causa di estinzione<br />

del reato».<br />

Lista testimoniale e inutilizzabilità della prova<br />

Cass., Sez. I, 19 gennaio <strong>2007</strong>, n. 1585 – “Il mancato<br />

deposito della lista testimoniale non determina<br />

l’inutilizzabilità della prova comunque assunta”<br />

– (sintesi già pubblicata sul sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo del provvedimento<br />

per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso la sentenza con cui la Corte di Assise di<br />

appello confermava la condanna pronunciata in<br />

primo grado nei confronti dell’imputato, quest’ultimo<br />

ricorreva per cassazione lamentando, tra l’altro,<br />

la violazione dell’art. 468 c.p.p., avendo il giudice<br />

basato l’affermazione di colpevolezza sulla scorta di<br />

dichiarazioni testimoniali da ritenersi inutilizzabili,<br />

in quanto la relativa lista era stata depositata dal p.m.<br />

dopo la chiusura della fase preliminare ed era stata<br />

ammessa dopo l’apertura del dibattimento.<br />

I principi di diritto affermati<br />

Nel rigettare il ricorso, i giudici di legittimità, ben<br />

potendo fondare la propria decisione sull’agevole<br />

constatazione per cui, essendo stata rinviata l’udienza<br />

prima dell’apertura formale del dibattimento, il<br />

p.m. conservava la facoltà di presentare la lista sino<br />

a sette giorni prima della data fissata per la nuova<br />

udienza, h<strong>anno</strong>, invece, ritenuto opportuno premettere<br />

che, in ogni caso, «il mancato deposito della<br />

lista dei testi in cancelleria nel termine prescritto non<br />

comport[erebbe] l’inutilizzabilità della relativa<br />

prova ove l’escussione del teste sia in ogni caso<br />

avvenuta, in quanto, non ricorrendo uno specifico<br />

divieto di assunzione della prova, non è applicabile<br />

l’art. 191 c.p.p. secondo cui non è utilizzabile la<br />

prova acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla<br />

legge» (dello stesso avviso, Cass., Sez. I, 18 marzo<br />

1993, Radisi, in Giust. pen., 1995, III, c. 211).<br />

L’affermazione non appare condivisibile. Vale,<br />

pertanto, la pena segnalare come, non molto tempo<br />

addietro, la stessa sia stata espressamente smentita<br />

da altra parte della giurisprudenza di legittimità,<br />

secondo la quale, appunto, «l'inutilizzabilità si ricollega<br />

ad un qualsiasi divieto espresso in forma diretta<br />

o anche indiretta», di guisa che «la prova che non<br />

può essere ammessa è anche inutilizzabile.<br />

Affermare il contrario significherebbe svuotare di<br />

contenuto la sanzione dell'inammissibilità» [Cass.,<br />

Sez. III, 5 dicembre 2005 (ud. 15.11.2005), n. 44272,<br />

in Riv. pen., 2006, p. 1349], venendo, al contempo, a<br />

Diritto e Procedura penale<br />

svilire lo spirito della norma di cui all’art. 468 c.p.p.<br />

che, come noto, ha il precipuo scopo di evitare l’introduzione<br />

nel dibattimento, «ad opera di qualsiasi<br />

parte, di prove a sorpresa» (Rel. prog. prel. c.p.p., in<br />

Doc. giust., Spec. marzo, 1998, p. 254).<br />

L’ingresso nel dibattimento della prova testimoniale<br />

non inserita nella lista in parola potrà, quindi, legittimamente<br />

avvenire solo sulla scorta del disposto<br />

dell’art. 468 c. 4 c.p.p. o, se ritenuta assolutamente<br />

necessaria ai fini della decisione, ex officio iudiciis ai<br />

sensi dell’art. 507 c.p.p.<br />

Potere, quest’ultimo, esercitato, secondo la sentenza<br />

in commento, «implicitamente» dal giudice di merito,<br />

il quale, a parere del collegio di legittimità, ha,<br />

dunque, altrettanto implicitamente compiuto, ben<br />

prima della chiusura dell’istruttoria dibattimentale, il<br />

vaglio di assoluta necessità imposto dalla norma in<br />

parola per procedere alla legittima acquisizione<br />

della prova; affermazioni, queste, argomentativamente<br />

supportate sulla scorta di alcune asserzioni<br />

della giurisprudenza delle Sezioni unite (Cass., Sez.<br />

un., 6 novembre 1992, Martin, in Giur. it., 1994, II,<br />

c. 18; Cass., Sez. un., 18 dicembre 2006, 41281, in<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it) e della Corte costituzionale<br />

(Corte cost., 26 marzo 1993, n. 111, in Riv. it. dir.<br />

pen. proc., 1994, p. 1057) in punto di ricorribilità<br />

all’eccezionale potere di cui all’art. 507 c.p.p. in<br />

caso di inerzia delle parti. Richiamo, a parere di chi<br />

scrive, all’evidenza inconferente a sostenere che il<br />

giudice possa "implicitamente" ricorrere al disposto<br />

di cui all’art. 507 c.p.p., senza nulla dire, tra l’altro,<br />

in ordine alla ritenuta necessità di integrare le acquisizioni<br />

probatorie; delle due, l’una: o ha ammesso la<br />

prova, ex art. 495 c.p.p., nonostante la richiesta fosse<br />

inammissibile, o ha proceduto ex 507 c.p.p. e, quindi,<br />

in forza di ordinanza motivata in ordine alla<br />

assoluta necessità di acquisire quel mezzo istruttorio.<br />

Ed, in effetti, deve osservarsi come, dall’impianto<br />

motivazionale della sentenza, che fa riferimento al<br />

deposito tardivo della lista da parte del p.m., emerga<br />

l’esistenza di una sollecitazione della parte pubblica<br />

all’assunzione della testimonianza; se il giudice<br />

avesse ritenuto di dover procedervi ricorrendo al disposto<br />

dell’art. 507 c.p.p. avrebbe dovuto, perlomeno,<br />

dichiararlo, a fronte, tra l’altro, di un panorama giurisprudenziale<br />

nettamente propenso a sostenere che,<br />

non trattandosi di potere meramente discrezionale, il<br />

suo esercizio (Cass., Sez. V, 16 aprile 1998, Biacchi,<br />

in Cass. pen., 1999, p. 2233; Cass., Sez. III, 4 giugno<br />

1997, Tuccio, ivi, 1998, p. 2634) – e, addirittura, il<br />

non esercizio (Cass., Sez. VI, 21 ottobre 2005, n.<br />

38674, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1007; Cass., Sez.<br />

III, 13 maggio 1997, Fani, in Cass. pen., 1998, p.<br />

2634; Cass., Sez. III, 6 febbraio 1995, Spinelli, ivi,<br />

1996, p. 1202) – debba essere adeguatamente motivato<br />

per consentirne la verificabilità.<br />

10 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

Misure interdittive e interesse all’impugnazione<br />

Cass., Sez. V, 5 febbraio <strong>2007</strong>, n. 4447 – “Perdita<br />

di efficacia della misura interdittiva e interesse<br />

all’impugnazione pendente dopo la legge<br />

Pecorella” – (sintesi già pubblicata sul sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo del provvedimento<br />

per esteso).<br />

Avverso l’ordinanza applicativa della misura interdittiva<br />

del divieto di esercitare uffici direttivi delle<br />

persone giuridiche e delle imprese, l’interessato<br />

esperiva ricorso per cassazione, nelle more del<br />

quale, tuttavia, la misura perdeva efficacia, mercé la<br />

decorrenza del relativo termine massimo di durata.<br />

Allo stato della giurisprudenza attuale una situazione<br />

di tal genere avrebbe certamente comportato l’immediata<br />

declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione<br />

per sopravvenuta carenza di interesse; è,<br />

difatti, noto come, sul punto, i giudici di legittimità<br />

si siano sino ad oggi adeguati al portato interpretativo<br />

offerto nel 1993 dal più ampio consesso della<br />

S.C., a parere del quale la revoca della misura cautelare<br />

intervenuta nel corso del procedimento incidentale<br />

non comporta il venir meno dell’interesse a coltivare<br />

il gravame, non potendosi omettere di considerare<br />

il fatto che l’art. 314 c. 2 c.p.p. attribuisce il<br />

diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione<br />

anche «al condannato che nel corso del processo sia<br />

stato sottoposto a custodia cautelare, quando con<br />

decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento<br />

che ha disposto la misura è stato emesso o<br />

mantenuto senza che sussistessero le condizioni di<br />

applicabilità previste dagli articoli 273 e 280»; tuttavia,<br />

essendo tale ultimo disposto valido solo per la<br />

custodia cautelare e gli arresti domiciliari, se ne inferiva<br />

che il principio sopra enunciato non potesse<br />

valere anche con riferimento ai casi di revoca o perdita<br />

di efficacia di misure diverse (cfr. Cass., Sez.<br />

un, 12 ottobre 1993, Durante, in Cass. pen., 1994, p.<br />

2645; successivamente, per tutte, Cass., Sez. VI, 19<br />

gennaio 2006, n. 12816, in CED 233731).<br />

Orbene, il suddetto approdo esegetico deve, oggi,<br />

essere rivisto alla luce dell’ingresso nel sistema processuale<br />

di una stravagante ipotesi di archiviazione,<br />

ancorata al duplice presupposto di una pronuncia del<br />

giudice di legittimità che riconosca l’insussistenza<br />

dei gravi indizi di colpevolezza e di una mancanza di<br />

successive acquisizioni a carico dell’indagato (art.<br />

405 c. 1-bis c.p.p. introdotto dall’art. 3, l. 20 febbraio<br />

2006, n. 46): come notato dalla sentenza in commento,<br />

«una simile previsione, agganciata al giudizio<br />

sull’operatività dell’art. 273, che è norma di<br />

carattere generale riguardante tutte le misure cautelari<br />

personali – coercitive o interdittive – concorre<br />

indubbiamente a delineare un nuovo tipo di interesse<br />

alla coltivazione della impugnazione di tutte le<br />

1/<strong>2007</strong><br />

misure cautelari, indipendentemente dalla loro eventuale<br />

perdita di efficacia nelle more. In altri termini,<br />

anche chi ha visto decorrere per intero il termine<br />

(peraltro particolarmente breve) di durata massima<br />

della misura interdittiva (al pari di quella coercitiva)<br />

potrebbe conservare l’interesse a vedersi riconoscere<br />

dalla Cassazione la eventuale insussistenza dei<br />

gravi indizi di colpevolezza nella prospettiva di vantare<br />

il diritto alla archiviazione, una volta che le<br />

indagini del p.m. non abbiano prodotto ulteriori<br />

risultati».<br />

Ma, nell’intento di attenuare gli effetti di tale inusuale<br />

vincolo imposto al p.m. con il disposto di<br />

nuovo conio, la Corte ne ha rimarcato il suo essere<br />

condizionato alla mancanza di successive acquisizioni<br />

di «ulteriori elementi a carico della persona<br />

sottoposta alle indagini» per inferirne, da un lato,<br />

che «l’interesse concreto dell’indagato a coltivare<br />

l’impugnazione cautelare contro la misura interdittiva,<br />

a fronte della sua cessazione, deve essere individuato<br />

di volta in volta», dall’altro, che «stante il<br />

carattere tendenzialmente aperto e “in progress”<br />

delle indagini, perché l’interesse venga riconosciuto<br />

occorre quantomeno che sia l’indagato a dedurlo<br />

espressamente in sede di ricorso per cassazione,<br />

allegando alla Corte adita la circostanza della verosimile<br />

cessazione della attività acquisitiva, che si<br />

verifica, ad esempio, con l’avviso di chiusura delle<br />

indagini o con situazioni equiparabili».<br />

L’affermazione non appare condivisibile. Non si<br />

ritiene, infatti, possa essere ragionevolmente sostenuto<br />

che l’indagato mantenga l’interesse ad impugnare<br />

il provvedimento cautelare de quo solo nel<br />

caso in cui abbia dato prova della cessazione dell’attività<br />

acquisitiva, omettendo di considerare che le<br />

indagini, pur proseguendo, potrebbero anche concludersi<br />

senza alcuna ulteriore acquisizione.<br />

Pur coscienti dell’infelicità della disposizione, la<br />

quale, tra l’altro, non tiene in alcuna considerazione<br />

la differenza tra i gravi indizi di colpevolezza ex art.<br />

273 c.p.p. e gli elementi che sottendono la richiesta<br />

di archiviazione del p.m., non può, comunque, trascurarsi<br />

come sia la stessa lettera della norma a prevedere,<br />

tramite l’oculato uso dei verbi, l’eventualità<br />

che le indagini siano ancora in corso e che, solo al<br />

termine delle stesse, il p.m. sarà “costretto” a chiedere<br />

che l’azione penale non sia proseguita; in altri<br />

termini, avvenuta la pronuncia favorevole della<br />

Corte di cassazione, il p.m., non obbligato alla<br />

immediata richiesta di archiviazione, potrà, certamente,<br />

proseguire le indagini e solo ove queste non<br />

conducano ad ulteriori acquisizioni sarà costretto ad<br />

inoltrare la suddetta istanza.<br />

Logico corollario di tali premesse ritenere sempre<br />

sussistente l’interesse alla pronuncia della Corte di<br />

legittimità in relazione anche ai provvedimenti cautelari<br />

interdettivi che siano stati revocati o che abbia-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

11


GIURISPRUDENZA<br />

no perso efficacia nelle more del giudizio di impugnazione,<br />

ben potendo un’antecedente pronuncia<br />

favorevole della S.C. accompagnarsi alla posteriore<br />

presa d’atto del p.m. in ordine alla mancanza di ulteriori,<br />

successive, acquisizioni a carico dell’indagato,<br />

con il conseguente dovere dell’organo inquirente di<br />

formulare, al termine delle indagini, richiesta di<br />

archiviazione.<br />

Notificazioni ed elezione di domicilio<br />

Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2006, n. 41280 – “La<br />

dichiarazione di domicilio prevale sulla precedente<br />

elezione, anche se non espressamente revocata”<br />

– (sintesi già pubblicata sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it<br />

con allegato il testo del provvedimento<br />

per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso la sentenza di condanna emessa nella contumacia<br />

dell’imputato, il difensore avanzava ricorso<br />

per cassazione lamentando la nullità assoluta ed<br />

insanabile di tutte le notifiche effettuate e di tutta<br />

l’attività processuale svolta dall’avviso di fissazione<br />

dell’udienza preliminare, essendo stati gli atti successivi<br />

alla concessione degli arresti domiciliari<br />

all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza<br />

notificati, non già al domicilio dichiarato ex<br />

art. 161 n. 3 c.p.p. al momento della scarcerazione ed<br />

indicato nell’abitazione dell’imputato, presso il<br />

quale non fu effettuato, tra l’altro, alcun tentativo di<br />

notifica, ma al domicilio eletto presso il difensore<br />

con precedente dichiarazione resa in occasione dell’udienza<br />

di convalida dell’arresto in flagranza; in<br />

altre parole, a parere della difesa, la prima elezione<br />

di domicilio, ancorché non espressamente revocata,<br />

avrebbe comunque perso ogni valore per la prevalenza<br />

della successiva dichiarazione.<br />

Il percorso motivazionale e il principio di diritto<br />

affermato<br />

Traspare evidente come, nel ben noto contrasto giurisprudenziale<br />

registratosi sulla questione, il ricorrente<br />

abbia fatto propria l’interpretazione sostenuta<br />

dal filone minoritario (Cass., Sez. V, 23 settembre<br />

2002, Ciuffetta, in Dir. giust., 2003, n. 7, p. 104), il<br />

quale, facendo leva sul dato letterale delle norme,<br />

ha puntualmente confutato la compatibilità al dettato<br />

codicistico del contrario orientamento che, muovendo<br />

dal rilievo per cui l'elezione ha carattere<br />

negoziale costitutivo recettizio, pone quest'ultima<br />

su un piano di maggiore valenza rispetto alla mera<br />

indicazione di una dimora reale, ritenendo, in tal<br />

guisa, che la successiva dichiarazione non possa pre-<br />

Diritto e Procedura penale<br />

valere per il solo criterio cronologico se non accompagnata<br />

dalla revoca esplicita della precedente elezione.<br />

Il rilievo è stato da subito ribadito dalle Sezioni unite<br />

le quali, con la sentenza in commento, h<strong>anno</strong> ritenuto<br />

«non contestabile» la «constatazione, ben colta<br />

dalla sentenza Ciuffetta cit., che sul piano testuale<br />

non vi è alcuna norma che sancisca la prevalenza<br />

del domicilio eletto rispetto a quello dichiarato.<br />

Anzi, il sotto sistema delle norme sulle notifiche<br />

assimila costantemente l’elezione di domicilio e la<br />

dichiarazione di domicilio ( arg. ex artt. 161, commi<br />

1, 2 e 4, 162, 164 c.p.p.). Infatti la formulazione dell’art.<br />

161 considera i due atti alternativamente e paritariamente<br />

quanto agli effetti e l’art. 164 è conferma<br />

di questa equipollenza funzionale nel prevedere che<br />

tanto il domicilio dichiarato quanto il domicilio eletto<br />

costituiscono “domicilio legale” per tutto il corso<br />

del procedimento».<br />

È, tuttavia, altrettanto noto, come parte del filone<br />

maggioritario già avesse preso atto di una tale considerazione,<br />

procedendo, pertanto, ad una interpretazione<br />

logico sistematica delle norme in materia,<br />

«fondata essenzialmente sulla diversità di struttura e<br />

di funzioni dell'elezione di domicilio rispetto alla<br />

dichiarazione»: la prima consisterebbe in una «scelta<br />

negoziale, e quindi in una manifestazione di<br />

volontà», la seconda «in un atto meramente ricognitivo<br />

del domicilio reale, e per questa ragione la<br />

prima preva[rrebbe] sempre e comunque sulla<br />

seconda» (Cass., Sez. V, 30 giugno 1999, Allegretti,<br />

in Cass. pen., 2000, p. 3097).<br />

Orbene, a parere delle Sezioni unite, «è proprio la<br />

distinzione tra atto negoziale (elezione) e mero atto<br />

dichiarativo (dichiarazione di domicilio) a non apparire<br />

fondata, se si guarda al contesto in cui gli atti<br />

vengono posti in essere. Invero, con la dichiarazione<br />

di domicilio l’indagato (o l’imputato), a ben vedere,<br />

non si limita ad una manifestazione di scienza o di<br />

semplice verità, cioè a dire e comunicare un dato di<br />

fatto o il proprio pensiero su di esso (nel che consiste,<br />

come è noto, la dichiarazione di scienza), ma<br />

opera una scelta (art. 161 comma 1 c.p.p.) tra i luoghi<br />

indicati nell’art. 157 c.p.p. In altri termini, il soggetto,<br />

su richiesta dell’autorità giudiziaria o della<br />

polizia giudiziaria, deve compiere una scelta con la<br />

consapevolezza degli effetti processuali di tale scelta.<br />

Compiere una scelta significa compiere un atto di<br />

volontà. L’avvertimento che precede l’elezione o la<br />

dichiarazione di domicilio è volto proprio a fondare<br />

una scelta consapevole: il dichiarante, attraverso l’elezione<br />

o la dichiarazione di domicilio, “sa” e<br />

“vuole” che gli atti vengano notificati in un determinato<br />

luogo».<br />

Sottolineata, altresì, la comunanza dei due istituti in<br />

parola sotto il profilo delle garanzie – espressamente<br />

smentendo che il rapporto fiduciario che esiste<br />

12 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

nell’elezione di domicilio venga a mancare nella<br />

dichiarazione di domicilio (come, invece, sostenuto<br />

da Cass., Sez. V, 30 giugno 1999, Allegretti, cit.) –,<br />

la Corte ammonisce circa i limiti dell’opera esegetica,<br />

negando che «nel silenzio della legge l’interprete<br />

[…] possa sostituir[si] all’interessato, fissando<br />

con presunzioni ciò che è meglio per lui: se il sistema<br />

gli riconosce il potere di scelta, tale potere va<br />

rispettato».<br />

Di qui, il principio secondo cui, «in tema di notificazione,<br />

la “dichiarazione” di domicilio prevale su una<br />

precedente “elezione” di domicilio, pur non espressamente<br />

revocata»; se così non fosse, ha osservato la<br />

Corte, la seconda dichiarazione sarebbe «inutiliter<br />

data, cioè un atto volutamente compiuto senza<br />

senso» a fronte di un sistema processuale che, «suppone[ndo]<br />

attori razionali», non può che assegnare<br />

alla successiva dichiarazione la funzione «di informare<br />

gli organi procedenti che egli vuole che d’ora<br />

in poi le notifiche vengano effettuate al domicilio<br />

dichiarato».<br />

Tornando, infine, al dato letterale, diviene agevole<br />

osservare come tra le forme previste dall’art. 162<br />

c.p.p. per le modifiche all’elezione o alla dichiarazione<br />

di domicilio non sia contemplata la revoca<br />

espressa della precedente elezione; «sicché non si<br />

vede perché una successiva dichiarazione di domicilio<br />

debba implicare automaticamente la revoca della<br />

precedente dichiarazione di domicilio e non anche la<br />

revoca della precedente elezione. […] Ora, la comunicazione<br />

di un nuovo domicilio, sia che lo si elegga<br />

sia che lo si dichiari, significa che il soggetto vuole<br />

che le future notificazioni siano fatte in quel luogo e<br />

non in quelli dichiarati o eletti in precedenza, a meno<br />

che non conservi, con esplicita dichiarazione, anche<br />

il domicilio anteriore: tale comunicazione comporta<br />

quindi, come concludente e univoca manifestazione<br />

di volontà, la revoca del precedente domicilio,<br />

dichiarato o eletto».<br />

Poteri del officiosi del giudice e relazioni di servizio<br />

Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2006, n. 41281 –<br />

“Duplice intervento interpretativo delle Sezioni<br />

unite: iniziativa probatoria del giudice e acquisizione<br />

delle relazioni di servizio della p.g. al fascicolo<br />

per il dibattimento” – (sintesi già pubblicata<br />

sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato<br />

il testo del provvedimento per esteso).<br />

Il fatto<br />

Ritenuta non provata la responsabilità dell’imputato<br />

in ordine alle plurime imputazioni concernenti il<br />

reato di cui all’art. 485 c.p., il giudice di primo grado<br />

pronunciava sentenza di assoluzione avverso la<br />

quale il pubblico ministero avanzava ricorso imme-<br />

1/<strong>2007</strong><br />

diato per cassazione, lamentando, da un lato, la violazione<br />

dell’art. 507 c.p.p. – avendo il Tribunale<br />

respinto, a fronte dell’omesso deposito della lista ex<br />

art. 468 c.p.p., la richiesta del p.m. di ammissione<br />

dei testi –, dall’altro, la violazione dell’art. 431<br />

comma 1° lett. b) c.p.p. per aver ritenuto non acquisibili<br />

al fascicolo per il dibattimento le relazioni di<br />

servizio redatte dagli organi di polizia giudiziaria.<br />

Rilevato il contrasto sussistente su entrambe le questioni<br />

proposte, la VI Sezione, assegnataria del ricorso,<br />

trasmetteva, dunque, gli atti al più ampio consesso.<br />

L’iniziativa probatoria del giudice<br />

Sulla prima questione è noto, in realtà, come sia le<br />

Sezioni Unite della Corte di cassazione, sia il<br />

Giudice delle Leggi abbiano già avuto modo di pronunciarsi,<br />

nel primo caso, statuendo la possibilità per<br />

il giudice di assumere, ex art. 507 c.p.p., «anche<br />

prove che le parti avrebbero potuto chiedere nel termine<br />

stabilito dall'art. 468 c.p.p. e non h<strong>anno</strong> richiesto»<br />

(Cass., Sez. Un., 6 novembre 1992, Martin, in<br />

Giur. it., 1994, II, c. 18), nel secondo, dichiarando<br />

tale interpretazione conforme ai parametri della<br />

Carta Fondamentale, osservando, tra l’altro, come<br />

l’attribuzione di un tale potere all’organo giurisdizionale<br />

trovi in realtà fondamento nei principi di<br />

legalità ed uguaglianza, «di cui quello dell’obbligatorietà<br />

dell’azione è strumento», i quali «esigono che<br />

il giudice sia messo in grado di porre rimedio […]<br />

alle negligenze ed inerzie» delle parti (Corte cost.,<br />

26 marzo 1993, n. 111, in Giur. it., 1994, I, c. 8).<br />

Alla rilevazione della Corte remittente, che poneva<br />

in evidenza il riemergere nell’ambito della giurisprudenza<br />

di legittimità di un orientamento di segno<br />

opposto, volto a restringere i poteri officiosi del giudice<br />

– escludendo, in particolare, che questi possano<br />

esercitarsi nei casi di inerzia delle parti –, le Sezioni<br />

Unite h<strong>anno</strong>, immediatamente, replicato puntualizzando<br />

che l’analisi del formante giurisprudenziale<br />

dimostra, più correttamente, «come gli orientamenti<br />

effettivamente dissenzienti rispetto a quello delle<br />

ss.uu. siano assolutamente episodici: per quanto consta<br />

in realtà questi precedenti sono costituiti dalla<br />

sentenza sez. V, 1° dicembre 2004 n. 15631, Canzi,<br />

rv. 232156 e dalla più risalente sez. I, 30 gennaio<br />

1995, Rizzo, rv. 201939. Altre decisioni (sez. I, 28<br />

settembre 1995, Di Lena, rv. 202864; sez. I, 8 giugno<br />

2000, Fiderno, rv. 216595 e sez. III, 10 dicembre<br />

1996, Adragna, rv. 207461), pur talvolta accreditate<br />

(anche nell’ordinanza di rimessione a queste sezioni<br />

unite) come espressione del contrario orientamento,<br />

sono in realtà caratterizzate da peculiarità dei singoli<br />

casi […] che non consentono di ritenerle adesive<br />

dell’uno o dell’altro orientamento».<br />

Ciò detto, i giudici non si sono, peraltro, sottratti<br />

GIURISPRUDENZA<br />

13


GIURISPRUDENZA<br />

all’indagine inerente all’ambito di applicazione della<br />

disposizione in parola, il cui scopo sarebbe quello<br />

«di consentire al giudice – che non si ritenga in<br />

grado di decidere per la lacunosità o insufficienza<br />

del materiale probatorio di cui dispone – di ammettere<br />

le prove che gli consentono un giudizio più<br />

meditato e più aderente alla realtà dei fatti che è<br />

chiamato a ricostruire. Senza neppure scomodare i<br />

grandi principi (in particolare quello secondo cui lo<br />

scopo del processo è l’accertamento della verità) può<br />

più ragionevolmente affermarsi che la norma mira<br />

esclusivamente a salvaguardare la completezza dell’accertamento<br />

probatorio sul presupposto che se le<br />

informazioni probatorie a disposizione del giudice<br />

sono più ampie è più probabile che la sentenza sia<br />

equa e che il giudizio si mostri aderente ai fatti».<br />

Di qui, la duplice precisazione in ordine a quelli che<br />

il Collegio definisce in termini di «equivoci»: da un<br />

lato, smentendo che l’acquisizione probatoria d’ufficio<br />

possa minare la terzietà del giudice, dall’altro<br />

che una tale limitazione al principio dispositivo<br />

debba necessariamente nuocere alla difesa o minare<br />

il principio di parità delle parti, mirando, invero, ad<br />

«evitare che si pervenga a condanne ingiuste». Più<br />

che un ulteriore fine, pare, in realtà, che, il principio<br />

dispositivo nel nuovo processo penale, alla luce di<br />

una tale esegesi dell'art. 507 c.p.p., esplichi una funzione<br />

soltanto espansiva dei poteri delle parti, non<br />

precludendo, di conseguenza, l'accertamento dei fatti<br />

(NAPPI, Guida al codice di procedura penale, 7ª ed.,<br />

Giuffrè, 2001, 448): «le parti, cioè, h<strong>anno</strong> diritto<br />

all'ammissione delle prove richieste, ma la loro inerzia<br />

non impedisce l'acquisizione di prove che risultino<br />

dagli atti e siano necessarie alla compiuta definizione<br />

della vicenda sottoposta al vaglio giudiziale»<br />

(NUZZO, Sull’acquisizione ex art. 507 c.p.p. di intercettazioni<br />

telefoniche disposte in altri procedimenti,<br />

in Cass. pen., 2003, 2794).<br />

L’acquisizione al fascicolo per il dibattimento<br />

delle relazioni di servizio<br />

La seconda questione sottoposta al più ampio consesso<br />

del Supremo collegio traeva origine, come<br />

anticipato in premessa, dal diniego del giudice<br />

all’acquisizione al fascicolo per il dibattimento della<br />

relazione di servizio afferente all’accertamento compiuto<br />

dalla polizia giudiziaria sulla presenza della<br />

persona nella sua abitazione, in quanto atto ritenuto<br />

non irripetibile e, pertanto, non idoneo ad integrare il<br />

presupposto applicativo dell’art. 431 c. 1 lett. b)<br />

c.p.p.<br />

Posta in rilievo l’importanza della questione alla<br />

luce del rinnovato assetto della Carta Fondamentale,<br />

i giudici h<strong>anno</strong>, innanzitutto, rammentato come, seppur<br />

rimasto indenne nel suo disposto letterale, l’art.<br />

431 c.p.p. debba essere necessariamente interpretato<br />

Diritto e Procedura penale<br />

«alla luce della previsione contenuta nel comma 4<br />

dell’art. 111 che impone il contraddittorio come<br />

regola per la formazione della prova mentre il<br />

comma successivo consente la deroga a questo principio<br />

solo nel caso di consenso dell’imputato, di provata<br />

condotta illecita e “per accertata impossibilità di<br />

natura oggettiva", di guisa che: "1) al di fuori degli<br />

altri casi indicati (consenso e provata condotta illecita)<br />

l’atto di cui si discute, per poter essere ritenuto<br />

non ripetibile, non deve essere rinnovabile in dibattimento<br />

per “accertata impossibilità di natura oggettiva”;<br />

2) in caso di dubbio un’interpretazione costituzionalmente<br />

orientata non può che imporre una<br />

delimitazione degli atti acquisibili al fascicolo dibattimentale<br />

alle sole ipotesi nelle quali la rinnovazione<br />

sia effettivamente ed oggettivamente impossibile».<br />

Nell’assenza di precisi indici di individuazione da<br />

parte del legislatore, l’attenzione dei giudici si è,<br />

dunque, spostata sulla nozione di irripetibilità contenuta<br />

nell’art. 431 c.p.p., che, nel caso di specie,<br />

inerisce, come ovvio, non alla qualificazione dell’atto<br />

in termini di “relazione di servizio”, ma al<br />

«tipo di informazione» in esso contenuta. Pertanto,<br />

posto che caratteristica essenziale della non ripetibilità<br />

di un atto è l’impossibilità di una sua riproduzione<br />

in dibattimento, «anche per le relazioni di servizio,<br />

perché possano essere ritenute non ripetibili non<br />

sarà sufficiente che contengano informazioni su attività<br />

d’indagine che, per loro natura, possono essere<br />

descritte in dibattimento ma è necessario che contengano<br />

la descrizione di un’attività materiale svolta,<br />

ulteriore rispetto a quella investigativa e non riproducibile,<br />

ovvero la descrizione di luoghi, cose o persone<br />

che, parimenti, possono essere ritenute non<br />

ripetibili perché soggetti a modificazioni […]. Anche<br />

nel caso delle relazioni di servizio si potrebbe affermare<br />

che queste attività materiali e questi rilievi<br />

potrebbero essere ripetuti in dibattimento con la<br />

descrizione narrativa delle attività svolte da parte<br />

di chi le ha compiute e con la ricostruzione verbale<br />

della situazione di luoghi, persone e cose da parte di<br />

chi ha compiuto i rilievi. Ma non è così: il narrante<br />

può descrivere ciò che ha compiuto o ciò che ha<br />

visto ma non compiere nuovamente un’attività che si<br />

è concretizzata in un risultato oggettivo estrinseco<br />

che non può essere nuovamente compiuto (non solo<br />

il sequestro, la perquisizione, l’arresto ecc. ma altresì<br />

il rilievo dei luoghi, la descrizione della cosa soggetta<br />

a modificazioni ecc.); può ridescrivere una<br />

situazione ma non riprodurla come è stata “fotografata”<br />

nell’immediatezza. In questi casi la mancata<br />

acquisizione dell’atto condurrebbe alla perdita di<br />

un’informazione certamente più genuina della<br />

descrizione che potrebbe farsene in dibattimento e<br />

che si può rivelare essenziale per l’esito del processo.<br />

Ma questa perdita dell’informazione probatoria non<br />

14 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

si verifica nei casi in cui la relazione di servizio (o<br />

altro atto della polizia giudiziaria) si limiti a descrivere<br />

attività investigative consistenti in osservazione,<br />

constatazione, pedinamenti, accertamento della<br />

presenza di persone e di loro attività come contatti,<br />

spostamenti ecc. ovvero si limitino a descrivere le<br />

circostanze di tempo e di luogo in cui è stata acquisita<br />

la notizia di reato. In questi casi non v’è alcuna<br />

“impossibilità di natura oggettiva” alla riproduzione<br />

narrativa in dibattimento delle attività svolte; non<br />

v’è alcun risultato estrinseco in cui si sia concretizzata<br />

l’attività d’indagine che non possa essere riprodotto<br />

in dibattimento; non esiste alcuna perdita di<br />

informazioni probatorie genuine.<br />

Per esemplificare: il pedinamento può essere descritto<br />

in dibattimento da chi l’ha compiuto che potrà<br />

riferire, per esempio, delle attività svolte e delle persone<br />

con cui il pedinato ha avuto contatti. Se il pedinato<br />

verrà osservato mentre consegna sostanza stupefacente<br />

ad un terzo sar<strong>anno</strong> l’arresto e il sequestro<br />

della sostanza che non potr<strong>anno</strong> essere riprodotti in<br />

dibattimento non la descrizione dell’attività investigativa<br />

precedentemente svolta e delle modalità di<br />

acquisizione della notizia di reato.<br />

Del resto in che cosa si differenziano queste “relazioni<br />

di servizio” dall’informativa di reato prevista<br />

dall’art. 347 c.p.p. e della cui natura di atto ripetibile<br />

(salvo per quelle parti che possano farsi rientrare<br />

nella nozione in precedenza indicata) nessuno ha<br />

mai dubitato? Anzi nella redazione del nuovo codice<br />

il legislatore ha avuto presente proprio il vecchio<br />

“rapporto” quale elemento discriminante atto a sottolineare<br />

l’affermazione del sistema accusatorio<br />

nella formazione della prova pervenendo a mutarne<br />

la denominazione e ritenendo conclamata la non<br />

acquisibilità al fascicolo per il dibattimento.<br />

Sarebbe poi singolare consentire che la polizia giudiziaria,<br />

con una mera scelta terminologica (qualificando<br />

come “relazione di servizio” un’informativa<br />

di reato) divenisse arbitra della possibilità di derogare<br />

al principio della formazione della prova nel contradditorio<br />

delle parti.<br />

I casi in cui le relazioni di servizio si limitino a<br />

descrivere le attività di indagine rientrano dunque tra<br />

le attività ripetibili proprio perché la ripetizione si<br />

esaurisce con la descrizione narrativa di questa attività;<br />

tra l’altro, proprio per contrastare il pericolo di<br />

perdita dell’informazione probatoria derivante dal<br />

decorso del tempo e dall’attenuarsi dei ricordi, è previsto<br />

che il testimone possa essere autorizzato a consultare,<br />

in aiuto della memoria, documenti da lui<br />

redatti (art. 499 c. 5 c.p.p.).<br />

Se però, nel corso di queste attività, sorge la necessità<br />

di documentare una situazione modificabile dei<br />

luoghi, delle persone o delle cose i relativi rilievi<br />

possono assumere natura di atti non ripetibili e (per<br />

questa sola parte) divenire inseribili nel fascicolo per<br />

1/<strong>2007</strong><br />

il dibattimento. Parimenti se l’attività d’indagine è<br />

accompagnata da rilievi fotografici, fonografici o<br />

cinematografici (alla cui collocazione tra i documenti<br />

potrebbe essere di ostacolo la circostanza che non<br />

preesistono al procedimento; ma la soluzione è controversa:<br />

v. da ultimo Cass., sez. V, 20 ottobre 2004<br />

n. 46307, Held, rv. 230394, che ha ritenuto che queste<br />

rappresentazioni siano acquisibili come documenti)<br />

anche queste attività di documentazione<br />

devono essere ritenute non ripetibili proprio perché<br />

non possono essere riprodotte in dibattimento se non<br />

con una descrizione narrativa che non riproduce<br />

quanto descritto nel rilievo fotografico, fonografico<br />

o cinematografico con conseguente perdita dell’informazione<br />

probatoria (oltre che della sua genuinità)».<br />

Preme, infine, segnalare come il Collegio non abbia<br />

omesso di considerare il tenore letterale del disposto<br />

dell’art. 431 c. 1 lett. b) c.p.p., che espressamente<br />

parla di “verbali” di atti non ripetibili, non trascurando<br />

il fatto che non sempre le relazioni di servizio<br />

vengono redatte con la forma del verbale «anche per<br />

la (prevalente) funzione di atto interno all’amministrazione<br />

che le medesime svolgono.<br />

Ma è chiaro che i casi che interessano sono quelli nei<br />

quali la relazione di servizio, per il suo contenuto,<br />

assume anche un’efficacia esterna. E dunque occorre<br />

fare riferimento alla norma che disciplina la documentazione<br />

dell’attività di polizia giudiziaria: l’art.<br />

357 c.p.p. E da questa norma è possibile ricavare<br />

un’ulteriore conferma di quanto si è fin qui detto: la<br />

relazione di servizio che descrive le attività di indagine<br />

in nulla differisce dall’<strong>anno</strong>tazione prevista dal<br />

primo comma e come tale mai potrà essere acquisita<br />

al fascicolo per il dibattimento. La documentazione<br />

delle altre attività per le quali è richiesta la<br />

redazione del verbale potrà essere acquisita in presenza<br />

delle caratteristiche ricordate (quindi sempre<br />

per quelle previste dalla lett. d – perquisizioni e<br />

sequestri – e solo in presenza di caratteristiche di<br />

modificabilità nell’ipotesi della lett. f).<br />

In questi casi se la relazione riguarda atti non ripetibili<br />

nel senso indicato e contiene tutti gli elementi<br />

previsti per la redazione del verbale indicati nell’art.<br />

136 c.p.p. non possono esservi dubbi sulla possibilità<br />

di utilizzazione dell’atto risolvendosi, il problema<br />

accennato, in una questione nominalistica.<br />

Se invece l’atto non contiene questi elementi è la<br />

stessa disciplina codicistica che ci fornisce la soluzione:<br />

l’art. 142 precisa infatti in quali casi il verbale<br />

deve essere ritenuto nullo (se vi è incertezza assoluta<br />

sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione<br />

del pubblico ufficiale che lo ha redatto).<br />

Con la conseguenza che, in questi casi, l’atto non<br />

potrà essere acquisito al fascicolo per il dibattimento<br />

anche se contiene la documentazione di atti non<br />

ripetibili».<br />

GIURISPRUDENZA<br />

15


GIURISPRUDENZA<br />

Giudizio immediato richiesto dall’imputato<br />

Trib. Caltanissetta, Uff. G.i.p., 26 ottobre 2006 (ud.<br />

25.10.2006)<br />

Il giudice per le indagini preliminari non è vincolato<br />

dalla rinuncia all’udienza preliminare e contestuale<br />

richiesta di giudizio immediato fatta dall’imputato in<br />

forza dell’art. 419 c. 5 c.p.p., giacché detto giudice<br />

conserva il potere di valutare l’esperibilità di una<br />

separazione del processo cumulativo in relazione all’esigenza<br />

di accertamento dei fatti (commento già pubblicato<br />

sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

L’affermazione non appare condivisibile; non si<br />

ignora, tuttavia, come nello stesso senso abbia mostrato<br />

di muoversi la giurisprudenza di legittimità, la quale<br />

– in diverse, ancorché risalenti, occasioni – ha ritenuto<br />

che il g.i.p., sollecitato dall’imputato all’instaurazione<br />

del giudizio immediato, conservi «il potere di valutazione<br />

conferitogli dall'art. 18 c.p.p.» che gli consente di<br />

precludergli la via del rito speciale qualora ritenga<br />

«che, per l'accertamento dei fatti, sia assolutamente<br />

necessario mantenere la riunione dei processi» (Cass.,<br />

Sez. V, 19 giugno 1995, D’Alessandro, in Cass. pen.,<br />

1997, p. 3484).<br />

Smentito da parte della dottrina (L. MARAFIOTI, La<br />

separazione dei giudizi penali, 1990, p. 313; V.<br />

RETICO, Disorientamenti giurisprudenziali in tema di<br />

giudizio immediato richiesto dall’imputato, in Giur. it.,<br />

1993, II, c. 767; F. SCUDERI, Procedimenti connessi e<br />

giudizio immediato a richiesta dell’imputato, in Giur.<br />

it., II, 1996, c. 611) e della giurisprudenza di merito<br />

(Trib. Brindisi, 17 novembre 1998, in Rass. avv. Stato,<br />

1998, I, p. 544), l’assunto, già ad una prima analisi del<br />

tessuto codicistico, genera serie perplessità.<br />

Pacifica la differenza ontologica e di disciplina tra il<br />

giudizio immediato sollecitato dal p.m. (c.d. “tipico”)<br />

e quello richiesto dall’imputato (c.d. “atipico”), converrà<br />

da subito segnalare come, in relazione alla seconda<br />

ipotesi, il codice di rito si sia limitato a disporre che<br />

l’imputato può rinunciare all’udienza preliminare con<br />

dichiarazione presentata in cancelleria almeno tre giorni<br />

prima della data fissata per l’udienza (art. 419 c. 5<br />

c.p.p.), nel qual caso «il giudice emette decreto di giudizio<br />

immediato» (art. 419 c. 6 c.p.p.); stando alla lettera<br />

delle norme, dunque, il vaglio sulla sostenibilità<br />

dell’accusa diviene «diritto disponibile» dell’imputato<br />

che «può autonomamente decidere se avvalersene o<br />

rinunciarvi e, qualora vi rinunci, la pronuncia del<br />

decreto che dispone il giudizio costituirà per il giudice<br />

per le indagini preliminari, un atto dovuto» (A. SZEGO,<br />

Nota a G.i.p. Foggia, 18 aprile 1990, in Cass. pen.,<br />

1991, II, p. 56. Cfr., altresì, F. CORDERO, Procedura<br />

penale, 7ª ed., Milano, 2003, p. 1068; G. ILLUMINATI,<br />

Diritto e Procedura penale<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di M. MANISCALCO con la collaborazione di M. AMBRA<br />

Giudizio immediato, in AA.VV., I procedimenti speciali,<br />

Napoli, 1989, p. 270). D’altra parte, in tal senso<br />

h<strong>anno</strong> mostrato di muoversi anche i giudici di Palazzo<br />

della Consulta, i quali, nel rigettare l’idea che l’ammissibilità<br />

della richiesta dell’imputato debba essere<br />

condizionata dal vaglio giurisdizionale sull’evidenza<br />

della prova, h<strong>anno</strong> segnalato come «la mancanza di<br />

controlli da parte del giudice trov[i] giustificazione<br />

nella […] disponibilità della garanzia e non dà luogo a<br />

contraddittorietà alcuna con la disciplina» prevista per<br />

il p.m., in riferimento al quale la richiesta di rito immediato<br />

si presenta come «postulazione di deroga alla<br />

garanzia (udienza preliminare) preordinata a favore<br />

dell’imputato ragionevolmente sottoposta al concorso<br />

di specifici presupposti» (Corte cost. 6 giugno 1991, n.<br />

256, in Giur. cost., 1991, p. 2078).<br />

Né paiono esservi dubbi sul fatto che lo stesso art. 453<br />

c. 2 c.p.p., nel disciplinare le situazioni di connessione<br />

tra reati, abbia inteso riferirsi al solo rito immediato<br />

tipico; eppure, secondo la giurisprudenza di legittimità,<br />

la norma, pur essendo stata formulata «ipotizzando una<br />

separazione rispetto a procedimenti per i quali devono<br />

proseguire le indagini preliminari», rileverebbe come<br />

«principio generale», statuendo, nel suo ultimo periodo,<br />

che «se la riunione risulta indispensabile, prevale in<br />

ogni caso il rito ordinario» (così, Cass., Sez. V, 19 giugno<br />

1995, D’Alessandro, in Cass. pen., 1997, p. 3484).<br />

Basterebbe la sola collocazione sistematica e il chiaro<br />

riferimento alle indagini a smentire l’assunto, ma, per<br />

completezza metodologica, si ritiene opportuno spostare<br />

l’attenzione sugli istituti della riunione e separazione<br />

dei giudizi, come intesi dal legislatore del 1988.<br />

Ebbene, in una prospettiva storica, è noto come il codice<br />

Rocco, in aderenza al modello di stampo inquisitorio<br />

– inevitabilmente sbilanciato in favore della fase<br />

istruttoria finalizzata all’accertamento della verità<br />

materiale –, fosse «in buona parte imperniato sul simultaneus<br />

processus» (L. MARAFIOTI, Maxi-indagini e<br />

dibattimento "ragionevole" nel nuovo processo penale,<br />

Padova, 1990, p. 14). La svolta accusatoria, d’altra<br />

parte, non avrebbe potuto non comportare una netta<br />

inversione di rotta, resa palese dall’affiorare dell’opposto<br />

principio del favor separationis che attraversa l’intero<br />

tessuto codicistico del 1988, ma si rivela con maggior<br />

evidenza nella nuova disciplina degli istituti della<br />

connessione, riunione e separazione di processi.<br />

Quanto al primo, varrà qui la pena di notare come l’art.<br />

12 c.p.p., già nella sua prima versione, si sia presentato<br />

con un catalogo di ipotesi estremamente ridotto,<br />

decurtato, in particolare, della connessione probatoria,<br />

additata da molti quale principale fattore di genesi<br />

del processo cumulativo. Il legame connettivo di<br />

matrice probatoria veniva, invece, <strong>anno</strong>verato tra le<br />

ipotesi a fronte delle quali, a norma dell’art. 17 c.p.p.,<br />

poteva essere disposta la riunione di processi, ma,<br />

16 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

come noto, è stato ricollocato, con la l. 63/2001, all’interno<br />

dell’art. 371 c.p.p., divenendo presupposto del<br />

collegamento delle indagini, che pur dà luogo a riunione,<br />

mercé l’espresso richiamo alla norma in parola,<br />

qualora la stessa «non determini un ritardo nella definizione»<br />

dei processi (art. 17 c. 1 c.p.p., come modificato<br />

dall’art. 1 c. 2 l. 1° marzo 2001, n. 63). Per meglio<br />

comprendere l’impostazione generale, converrà, inoltre,<br />

rammentare come l’art. 371 c. 3 c.p.p., rendendo<br />

privo di effetti il collegamento, limiti espressamente<br />

l’operatività della connessione nella fase delle indagini<br />

preliminari nell’obiettivo di permettere, a fronte della<br />

complessità di talune realtà criminali, di effettuare<br />

indagini ad ampio spettro adeguate alle dimensioni territoriali<br />

del fenomeno, senza con ciò ricadere negli<br />

aspetti degenerativi dei maxi-dibattimenti.<br />

Venendo, infine, al meccanismo della separazione,<br />

l’art. 18 c.p.p. ne impone l’esperibilità, salvo che «il<br />

giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria<br />

per l’accertamento dei fatti», con ciò capovolgendo<br />

definitivamente l’impostazione del codice del 1930 che<br />

situava quest’ultima «sul piano della normalità e la<br />

separazione su quello dell’anormalità» (L. MARAFIOTI,<br />

Maxi-indagini e dibattimento "ragionevole" nel nuovo<br />

processo penale, Padova, 1990, p. 22); precisamente,<br />

mentre il primo comma si riferisce alla separazione<br />

“necessaria”, individuando un catalogo tassativo di<br />

casi che ne impongono la fruizione – e a cui solo aderisce<br />

la suddetta clausola di salvezza –, il secondo<br />

comma consente di usufruire del meccanismo anche al<br />

di fuori di tali ipotesi su accordo delle parti o sulla<br />

scorta della valutazione del giudice che ritenga utile la<br />

separazione ai fini della speditezza del processo.<br />

Traspare evidente come nessun appiglio normativo sia,<br />

quindi, in grado di fondare l’interpretazione fatta propria<br />

dal giudice nisseno, sulla scorta, si ribadisce, dell’esegesi<br />

fornita dalla giurisprudenza di legittimità: né<br />

le norme in tema di giudizio immediato atipico, né le<br />

norme in tema di riunione e separazione di processi, le<br />

quali mostrano palesemente un sistema improntato al<br />

principio generale della separazione dei processi,<br />

rispetto al quale la riunione si pone, quindi, in termini<br />

di eccezione.<br />

L’esame letterale del dato normativo, unitamente all’analisi<br />

di sistema, mostra, dunque, l’impossibilità di<br />

elevare a principio di rango generale una clausola di<br />

salvezza, di per sé derogatoria, posta dal legislatore<br />

in relazione a catalogate ipotesi capaci di dar luogo alla<br />

separazione necessaria del processo cumulativo; lo<br />

stesso vale, come ovvio, per l’indebito richiamo giurisprudenziale<br />

all’art. 453 c. 2 c.p.p., il quale, nel prevedere<br />

anch’esso, per la richiesta di giudizio immediato<br />

avanzata dal p.m., una ipotesi di separazione necessaria,<br />

fa salvi i casi di pregiudizio per le indagini e di<br />

necessaria riunione dei processi, come accade, tra l’altro,<br />

in maniera pedissequa, nell’art. 449 c. 6 c.p.p., in<br />

tema di giudizio direttissimo.<br />

Nel silenzio delle norme – ed, in assenza, quindi, di<br />

una espressa clausola derogatoria – non può che pren-<br />

1/<strong>2007</strong><br />

dersi atto dell’indifferenza del legislatore all’eventualità<br />

in cui l’imputato abbia rinunciato alla celebrazione<br />

dell’udienza preliminare, la cui richiesta comporta,<br />

dunque, la separazione ex lege della posizione processuale<br />

a cui la stessa si riferisce, senza alcuna possibilità<br />

di valutazione giurisdizionale.<br />

Ulteriore supporto alla tesi qui sostenuta può trarsi da<br />

un’analisi comparativa delle norme; gioverà, infatti,<br />

notare come il tenore letterale della disposizione di cui<br />

all’art. 419 c. 6 c.p.p. non sia affatto dissimile da quello<br />

che connota l’art. 438 c. 4 c.p.p., il quale, in materia<br />

di giudizio abbreviato, dopo la manovra novellativa<br />

attuata con la legge Carotti, ha riconosciuto l’imputato<br />

come unico arbitro del rito speciale de quo, prevedendo,<br />

solo in caso di condizionamento dello stesso all’integrazione<br />

probatoria di cui al successivo comma 5, la<br />

possibilità per il giudice di vagliare la richiesta in parola<br />

alla stregua dei parametri ivi individuati. Ebbene, in<br />

tale ultimo caso, viene generalmente riconosciuto che<br />

la scelta dell’imputato di avvalersi del rito speciale in<br />

parola comporti la separazione di diritto delle posizioni<br />

comuni e dei procedimenti connessi; è stato infatti,<br />

espressamente escluso che possa ricomprendersi «tra le<br />

ragioni dell’opposizione o del diniego del giudizio<br />

abbreviato […] la necessità di decidere simultaneamente<br />

su diverse situazioni connesse», non avendo il<br />

legislatore dato rilievo all’opportunità di non procedere<br />

separatamente per altri reati o nei confronti di altri<br />

imputati (Cass., Sez. IV, 16 luglio 1993, Arienti, in<br />

Giust. pen., 1993, III, c. 662). E allora non si vede perché<br />

mai la medesima disciplina e lo stesso percorso<br />

logico-giuridico non debbano valere anche per il giudizio<br />

immediato atipico, nell’ambito del cui sistema normativo,<br />

allo stesso modo che per l’abbreviato, il silenzio<br />

del legislatore eloquentemente mostra la propria<br />

indifferenza per una conseguenza derivante ex lege<br />

dalla scelta di carattere acceleratorio dell’imputato.<br />

Anche a voler sostenere altrimenti, non può omettersi<br />

di considerare come il “decreto” del g.i.p. nisseno si sia<br />

limitato ad affermare che «la separazione del processo<br />

è di ostacolo all’accertamento dei fatti essendo questi<br />

maturati in uno stesso contesto ambientale e fattuale,<br />

così come è dato evincere dal capo di imputazione contenuto<br />

nella richiesta di rinvio a giudizio»; un po’ poco,<br />

si noterà, per dimostrare «l’assoluta necessità» imposta<br />

da una norma che, già indebitamente richiamata, non<br />

consentirebbe, comunque, un provvedimento di diniego<br />

fondato su «un apprezzamento di mera opportunità»<br />

(così Cass., Sez. VI, 7 maggio 1999, Ventre, in Arch. n.<br />

proc. pen., 1999, p. 506) [marzia maniscalco]<br />

Gratuito patrocinio<br />

App. Caltanissetta, 25 gennaio <strong>2007</strong> (ud.<br />

18.01.<strong>2007</strong>), sent. n. 64<br />

Il reato di falsità od omissioni nell'istanza di ammissione<br />

al patrocinio a spese dello Stato per i non<br />

GIURISPRUDENZA<br />

17


GIURISPRUDENZA<br />

abbienti e nelle successive comunicazioni, previsto<br />

dall'art. 5 c. 7 l. 217/1990, così come riformulato dalla<br />

l. 134/2001 (oggi art. 95 t.u. in materia di spese di giustizia),<br />

non ricorre se le false dichiarazioni, eventualmente<br />

contenute nell'istanza di ammissione, si rivelano<br />

del tutto irrilevanti a produrre qualsiasi effetto sull’ammissione<br />

al beneficio del gratuito patrocinio.<br />

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello provvedeva<br />

a riformare la sentenza di condanna di primo<br />

grado, con la quale il Tribunale aveva ritenuto l’imputato<br />

responsabile del reato di cui dall'art. 5 c. 7 l.<br />

217/1990, per avere falsamente attestato, nell’istanza<br />

diretta ad ottenere il gratuito patrocinio, di non essere<br />

titolare di beni immobili.<br />

In particolare, il giudice di prime cure aveva tratto la<br />

sussistenza della contestata ipotesi criminosa sulla<br />

scorta delle emergenze processuali che avevano dimostrato<br />

come, in realtà, l’imputato fosse titolare di quote<br />

di immobili pervenutegli dai genitori per successione<br />

ereditaria; la circostanza che tali immobili non producessero<br />

cespiti significativi e che, pertanto, l’omissione<br />

dell’imputato non avesse inciso in alcun modo sulle<br />

determinazioni dell’autorità giudiziaria al momento<br />

dell’ammissione al beneficio, venivano superati dal tribunale<br />

sulla base del dato normativo.<br />

In effetti, la disposizione dell’art. 95 d.P.R. 115/2002,<br />

nel prevedere espressamente un aumento di pena «se<br />

dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento<br />

dell’ammissione al gratuito patrocinio» pare indicativa<br />

della volontà del legislatore di punire anche le omissioni<br />

o falsità che non siano tali da incidere sul conseguimento<br />

del beneficio.<br />

Certamente ossequiosa del dato normativo, l’interpretazione,<br />

tuttavia, finisce con il configurare una chiara<br />

ipotesi di reato senza offesa giuridica, fondandosi su<br />

una mera violazione formale che la giurisprudenza ha<br />

cercato di superare con motivazioni divergenti.<br />

La ragione di tali contrasti risiede nel mancata (espressa)<br />

previsione legislativa del principio di offensività<br />

del reato, e nelle resistenze giurisprudenziali – con<br />

significative eccezioni dei giudici di merito – ad accettare<br />

l’esistenza di tale principio, che, secondo autorevole<br />

dottrina, troverebbe consacrazione nel principio di<br />

inviolabilità della libertà personale di cui all’art. 13<br />

Cost.<br />

La questione giuridica era stata, tra l’altro, affrontata<br />

proprio dal Tribunale di Caltanissetta (Trib.<br />

Caltanissetta, 3 aprile 2003, Martorana, in Foro it.<br />

2004, II, c. 102) che, in quell’occasione, aveva reputato<br />

che il reato in esame costituisse «fattispecie di pericolo,<br />

autonoma rispetto ai reati di falsità in atti di cui al<br />

codice penale, posta a tutela della corretta valutazione,<br />

da parte dell'autorità competente, dei presupposti per la<br />

concessione del beneficio», di guisa che «le false<br />

dichiarazioni eventualmente contenute nell'istanza di<br />

ammissione, qualora non concernenti elementi essenziali<br />

ai fini di tale valutazione, costituiscono un'ipotesi<br />

di c.d. falso inutile, come tale non punibile».<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Il richiamo al c.d. falso inutile ha, dunque, consentito<br />

al Tribunale di ritenere penalmente irrilevante tale<br />

forma di falsità o di omissione, facendo ricorso alla<br />

figura del reato impossibile di cui all’ art. 49 c. 2 c.p.,<br />

che, tuttavia, appare difficilmente estensibile alla previsione<br />

normativa in esame che, si ribadisce, espressamente<br />

ritiene punibili anche le omissioni dalle quali<br />

non consegue il beneficio di legge.<br />

Insinuatasi in tale dibattito, la Corte di appello, riformando<br />

la sentenza di primo grado, ha escluso la penale<br />

responsabilità dell’imputato per «difetto di dolo […]<br />

poiché l’omissione si rivela del tutto irrilevante a produrre<br />

qualsiasi effetto sull’ammissione al beneficio del<br />

gratuito patrocinio». Non può, tuttavia, omettersi di<br />

considerare come l’esclusione dell’elemento soggettivo<br />

si ponga in netto contrasto con il prevalente orientamento<br />

giurisprudenziale, secondo cui, al contrario,<br />

rileverebbe solamente l’immutatio veri, vale a dire che<br />

l’agente sia consapevole di alterare una determinata<br />

realtà; ma il superamento di tali argomentazioni, che<br />

traducono l’elemento soggettivo del reato in un inammissibile<br />

dolus in re ipsa, merita certamente apprezzamento<br />

ed ha, tra l’altro, trovato conforto, oltre che nel<br />

costante contributo della dottrina, in una recente sentenza<br />

della Suprema Corte, secondo cui il reato de quo<br />

«è integrato non già da qualsivoglia infedele attestazione<br />

ma dalle dichiarazioni con cui l’istante affermi,<br />

contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a<br />

quello fissato dalla legge come soglia di ammissibilità,<br />

ovvero neghi o nasconda mutamenti significativi del<br />

reddito dell’<strong>anno</strong> precedente, tali cioè da determinare il<br />

superamento di detta soglia» (Cass., Sez. V, 13 aprile<br />

2006, n. 16338, in CED, 16338) [michele ambra].<br />

Misure di prevenzione<br />

Trib. Caltanissetta, 7 novembre 2006 (ud.<br />

27.10.2006), sent. n. 441<br />

Ai fini della sussistenza del reato di omesso versamento<br />

della cauzione a carico di persona sottoposta a<br />

misura di prevenzione, la materiale impossibilità di<br />

adempimento, causata da mancanza di disponibilità<br />

economiche, può essere fatta valere sia nel procedimento<br />

di prevenzione, sia in quello penale per l’accertamento<br />

del reato.<br />

Tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all’art.<br />

3-bis c. 4 della legge 575/1965, l’imputato, in sede di<br />

istruttoria dibattimentale, provava l’impossibilità di<br />

ottemperare al pagamento della cauzione di 2000 euro<br />

di cui era stato gravato con il decreto applicativo della<br />

misura di prevenzione della sorveglianza speciale. In<br />

aderenza ai dettami della giurisprudenza di legittimità,<br />

sollecitata in tal senso dall’autorevole intervento dei<br />

giudici di Palazzo della Consulta, il giudice nisseno,<br />

dunque, procedeva, correttamente, ad assolvere l’imputato<br />

con la formula «perché il fatto non costituisce<br />

reato».<br />

18 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

La conformità della pronuncia ai principi espressi dalla<br />

giurisprudenza maggioritaria non ne renderebbe necessaria<br />

la segnalazione, se non fosse per l’aperto contrasto<br />

registratosi in seno al Tribunale locale, che, in<br />

altra precedente occasione (Trib. Caltanissetta, 26 settembre<br />

2006, n. 367), era giunto a tutt’altri approdi<br />

attraverso un percorso motivazionale di difficile comprensione<br />

logica: pedissequamente riprodotto il dettato<br />

normativo dell’art. 3-bis l. cit., la sentenza giungeva ad<br />

affermare la colpevolezza dell’imputato sulla scorta<br />

del solo assunto per cui «per giurisprudenza costante, il<br />

provvedimento impositivo della misura e della relativa<br />

cauzione è immediatamente esecutivo e, quindi, il<br />

reato di inottemperanza all’ordine di versare la cauzione<br />

si perfeziona con la scadenza del termine fissato dal<br />

Tribunale per il deposito della cauzione stessa, trattandosi<br />

di reato proprio omissivo istantaneo».<br />

Orbene, posto che la configurazione di reato istantaneo<br />

mai potrebbe condurre sic et sempliciter ad una dichiarazione<br />

di colpevolezza che prescinda dalla completa<br />

valutazione degli elementi strutturali del reato,<br />

potrebbe supporsi che il giudice, nel richiamare, tra<br />

l’altro una non meglio precisata «giurisprudenza<br />

costante», abbia implicitamente voluto prendere parte<br />

alla disputa che ha diviso la stessa sulla possibilità di<br />

proporre le questioni riguardanti le pretese difficoltà<br />

economiche ostative al pagamento della cauzione in<br />

parola in sede di accertamento del reato de quo.<br />

Ebbene, vale la pena rammentare come, in realtà, il<br />

problema si polarizzi intorno alla lamentata interferenza<br />

del giudice dell’accertamento su una vicenda che ha<br />

una sua propria procedura, una sua propria istruttoria,<br />

e suoi specifici mezzi di impugnazione, da cui, appunto,<br />

la giurisprudenza nettamente minoritaria ha tratto la<br />

conseguenza per la quale l’eventuale impossibilità di<br />

adempiere all'obbligazione imposta con il provvedimento<br />

applicativo della misura avrebbe dovuto farsi<br />

valere esclusivamente nell'ambito del procedimento di<br />

prevenzione.<br />

Sul fatto che un giudice di merito voglia sconfessare gli<br />

assunti della Suprema Corte, nulla quaestio, ma, quando<br />

tali contrarie affermazioni risultano, altresì, contrastanti<br />

con gli insegnamenti del Giudice delle Leggi<br />

senza essere supportate da alcuna ragione logico-giuridica,<br />

non può non segnalarsi come la chiara indifferenza<br />

al metodo, alle forme e ai principi fondamentali<br />

generi una inaccettabile indifferenza al risultato.<br />

Merita, dunque, richiamare alla mente quanto, tempo<br />

addietro, statuito – come si diceva – dai giudici di<br />

Palazzo della Consulta, i quali, nel rigettare la questione<br />

di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis c. 4 l.<br />

575/1965, segnalavano come, in realtà, il giudice<br />

remittente non avesse tenuto in considerazione le<br />

«regole ordinarie in tema di colpevolezza penale, in<br />

base alle quali anche il reato contravvenzionale presuppone<br />

almeno la colpa, sicché la materiale impossibilità<br />

di provvedere al versamento della cauzione, qualora<br />

non sia preordinata o colposamente determinata,<br />

comporta non una forma di responsabilità oggettiva,<br />

1/<strong>2007</strong><br />

ma l'esenzione da responsabilità» (Corte cost., 19 giugno<br />

1998, n. 218, in Cass. pen., 1998, p. 2839).<br />

Ragionando altrimenti, come ulteriormente precisato,<br />

«tale soggetto sarebbe posto nelle condizioni di non<br />

poter non violare l'obbligo penalmente sanzionato,<br />

indipendentemente dalla sua volontà. La sanzione<br />

penale conseguirebbe in tal modo, in violazione dell'art.<br />

27, primo comma, della Costituzione, a un comportamento<br />

omissivo incolpevole, la cui responsabilità<br />

verrebbe quindi ascritta obbiettivamente al suo autore»<br />

(Corte cost., 19 giugno 1998, n. 218, in Cass. pen.,<br />

1998, p. 2839).<br />

Corretto in tal modo ciò che in dottrina è stato definito<br />

in termini di «strabismo giurisprudenziale» (P.V.<br />

MOLINARI, La cauzione antimafia: corretto un caso di<br />

strabismo giurisprudenziale, in Cass. pen., 2000, p.<br />

3423), a tali assunti – tranne qualche isolata voce dissonante<br />

(Cass., Sez. VI, 16 febbraio 2005, n. 9219, in<br />

Riv. pen., 2006, p. 246) – si è dunque adeguata la giurisprudenza<br />

successiva, la quale ha, semmai, precisato<br />

come sia «onere dell’imputato provare o richiedere<br />

indagini volte ad acquisire elementi dai quali risulti che<br />

la materiale impossibilità di adempiere abbia i caratteri<br />

dell'assolutezza e non sia preordinata o colposamente<br />

determinata» (in tali termini, Cass., Sez. IV, 19 ottobre<br />

2006, n. 36312, in CED, 235278. Conf., tra le altre,<br />

Cass., Sez. I, 30 novembre 2006, n. 39740, in CED,<br />

235416; Cass., Sez. I, 11 ottobre 2006, n. 34019, in<br />

CED, 234861; Cass., Sez. VI, 19 settembre 2004, n.<br />

39240, in Riv. pen., 2005, p. 1257; Cass., Sez. I, 11<br />

aprile 2003, n. 25087, in CED, 224412; Cass., Sez. VI,<br />

25 marzo 2003, n. 24183, in Riv. pen., 2004, p. 581;<br />

Cass., Sez. I, 17 dicembre 2002, n. 4771, in CED,<br />

223157; Cass., Sez. I, 30 ottobre 2002, n. 38400, in<br />

Giuda al dir., 2003, n. 9, p. 85; Cass., Sez. I, 6 febbraio<br />

2001, n. 13575, in Cass. pen., 2002, p. 1793; Cass.,<br />

Sez. I, 4 aprile 2001, n. 13575, in CED, 218785; Cass.,<br />

Sez. I, 13 gennaio 2000, n. 1803, in Giust. pen., 2000,<br />

II, c. 577) [marzia maniscalco e michele ambra]<br />

Riesame - competenza del g.i.p. “distrettuale”<br />

Trib. Riesame Caltanissetta – ord. 1° febbraio <strong>2007</strong><br />

Esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/91 va<br />

dichiarata l’incompetenza del g.i.p. presso il Tribunale<br />

di Caltanissetta, essendo i fatti contestati commessi in<br />

Leonforte e non sussistendo alcuna ipotesi di connessione<br />

coi reati di competenza del giudice individuato a<br />

norma dell’art. 328 comma 1-bis c.p.p. Va disposta a<br />

tal fine la trasmissione degli atti al p.m. procedente, ai<br />

sensi degli artt. 22 e 27 c.p.p. (sintesi già pubblicata sul<br />

sito internet www. personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Chiamato a pronunciarsi sul riesame del provvedimento<br />

cautelare emesso dal g.i.p. “distrettuale”, il<br />

Tribunale, esclusa la sussistenza dell’aggravante di cui<br />

all’art. 7 l. 203/1991, provvedeva contestualmente a<br />

dichiarare la sopravvenuta incompetenza del giudice<br />

GIURISPRUDENZA<br />

19


GIURISPRUDENZA<br />

nisseno; investito della questione, il g.i.p. territorialmente<br />

competente ricusava di prendere cognizione<br />

della causa, ritenendo persistente la competenza in<br />

capo al giudice nisseno, sulla scorta dell’assunto per<br />

cui «in una fase quale quella delle indagini preliminari<br />

caratterizzata dalla fluidità e provvisorietà delle incolpazioni,<br />

non è necessario che le indagini svolte abbiano<br />

consentito di conseguire un grado indiziario idoneo<br />

a sostenere l’applicazione di una misura cautelare, ma<br />

è sufficiente che i reati o le aggravanti che radicano la<br />

competenza ai sensi dell’art. 328, comma 1 bis, c.p.p.<br />

emergano dalla notitia criminis e siano comprovati dal<br />

titolo di iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.»<br />

(Trib. Nicosia, Uff. g.i.p., 21 febbraio <strong>2007</strong>).<br />

Orbene, per meglio comprendere i termini del discorso,<br />

converrà, innanzitutto, chiarire l’impostazione che<br />

l’ordito codicistico ha assegnato alla materia.<br />

Com’è noto, con riferimento ai delitti di criminalità<br />

organizzata, il legislatore del 1991, attraverso l’introduzione<br />

del comma 3-bis nell’impianto normativo dell’art.<br />

51 c.p.p., ha inteso modificare «la tradizionale<br />

simmetria» (E. APRILE, Commento all’art. 51 c.p.p, in<br />

AA. VV., Codice di procedura penale commentato, a<br />

cura di A. Giarda G. Spangher, 2ª ed., vol. I, Milano,<br />

2001, p. 348) tra competenza territoriale del giudice e<br />

attribuzione dell’organo requirente, assegnando le funzioni<br />

di pubblico ministero nelle indagini preliminari e<br />

nei procedimenti di primo grado alla procura della<br />

Repubblica presso il tribunale del distretto nel cui<br />

ambito ha sede il giudice competente; viene in tal<br />

modo attribuita al pubblico ministero una propria sfera<br />

di attribuzioni di natura funzionale che permette di<br />

assegnare a tale ufficio il complesso degli affari penali<br />

riguardanti i delitti di criminalità organizzata in relazione<br />

ai quali, secondo le ordinarie regole, sarebbero<br />

risultati competenti i vari tribunali del distretto (Cfr.<br />

Cass., Sez. I, 22 maggio 1996, Abate, in Cass. pen.,<br />

1997, p. 2514; Cass., Sez. V, 5 aprile 1994, Scarcia, in<br />

Cass. pen., 1995, p. 2589).<br />

Per evitare che a fronte di un’indagine condotta unitariamente<br />

dal pubblico ministero distrettuale, quest’ultimo<br />

si trovi poi a dover frammentare il procedimento<br />

innanzi ai diversi giudici per le indagini preliminari<br />

competenti per territorio (Così, D. MANZIONE, I rapporti<br />

tra i diversi uffici del pubblico ministero: profili<br />

ordinamentali e problematiche processuali, con particolare<br />

riferimento ai temi della connessione ed ai profili<br />

di competenza, in Arch. n. proc. pen., 1994, p. 762),<br />

si è inoltre stabilito che per i procedimenti rientranti<br />

nella sfera di attribuzioni della Direzione distrettuale<br />

antimafia, anche le funzioni di giudice per le indagini<br />

preliminari vengano svolte da un magistrato appartenente<br />

al tribunale del capoluogo del distretto.<br />

L’introduzione del comma 1-bis nell’impianto normativo<br />

dell’art. 328 c.p.p. ha quindi implicato la costruzione<br />

di un sistema tale per cui è l’attribuzione dell’ufficio<br />

del pubblico ministero a sortire un effetto di trascinamento<br />

nei confronti dell’organo giurisdizionale<br />

della fase procedimentale senza tuttavia comportare<br />

Diritto e Procedura penale<br />

variazioni nella determinazione della competenza del<br />

giudice della cognizione che continuerà ad individuarsi<br />

secondo le ordinarie regole codicistiche in materia.<br />

Orbene, nel dibattito che ha coinvolto la delimitazione<br />

delle attribuzioni di tale peculiare figura, se mai si è<br />

posta in dubbio la sua competenza a decidere sulle<br />

richieste di applicazione delle misure cautelari,<br />

incertezze interpretative ha, invece, generato il caso in<br />

cui il giudice dovesse ritenere di qualificare diversamente<br />

il fatto escludendo che la fattispecie delittuosa<br />

per la quale la misura è richiesta sia riconducibile all’elencazione<br />

dell’art. 51 c. 3-bis c.p.p. Se la giurisprudenza<br />

ritiene che ciò «non rend[a] illegittimo, con giudizio<br />

ex post, l’esercizio della funzione ex ante legittimamente<br />

espletata» (Cass., Sez. I, 28 gennaio 1994,<br />

Baglio, Cass. pen., 1995, p. 2215. Contra, E.M.T. DI<br />

PALMA, Richiesta di provvedimento cautelare del magistrato<br />

della procura distrettuale antimafia e disconoscimento,<br />

dal giudice adito, dell’appartenenza del<br />

reato alla categoria di cui all’art. 51 comma 3-bis<br />

c.p.p., in Cass. pen., 1995, p. 2218) dal pubblico ministero<br />

distrettuale, in ossequio alla disposizione in questione,<br />

diverso è il percorso esegetico intrapreso dalla<br />

dottrina la quale si è premurata di scindere l’ipotesi del<br />

reato commesso nel circondario del tribunale del capoluogo<br />

da quella in cui il disconoscimento della qualificazione<br />

riguardi un fatto di reato commesso nel distretto,<br />

ma in un circondario diverso da quello del tribunale<br />

del g.i.p. “distrettuale” (La questione è compiutamente<br />

affrontata da G. LOCATELLI, Le attribuzioni processuali<br />

della direzione distrettuale antimafia, in Dir.<br />

pen. proc., 1998, p. 364. ss.).<br />

Se nel primo caso non vi è dubbio che il sostituto<br />

appartenente alla Direzione distrettuale antimafia sia<br />

altresì legittimato alle richieste per reati "comuni", nel<br />

secondo, essendo venuto meno il presupposto che dà<br />

vita alla peculiare attribuzione territoriale della procura<br />

distrettuale, verrebbe a generarsi «una “invasione”<br />

di altri circondari del distretto» (G. LOCATELLI, op. loc.<br />

cit.) esponendo in tal modo il pubblico ministero «alla<br />

censura di nullità della propria richiesta, inficiata da un<br />

vizio processuale di natura “intermedia” ai sensi degli<br />

artt. 178 lett. b e 180 c.p.p.» (G. LOCATELLI, op. loc.<br />

cit.) da rilevarsi ad opera dello stesso g.i.p., che, qualora<br />

omettesse il rilievo e procedesse quindi all’emissione<br />

della misura, vedrebbe, a sua volta, il proprio<br />

provvedimento viziato per incompetenza territoriale.<br />

Invero, sembra preferibile una interpretazione intermedia:<br />

ritenendo di condividere la massimazione giurisprudenziale,<br />

non può comunque omettersi di rilevare<br />

la susseguente incompatibilità territoriale in cui,<br />

nel caso di specie, incorre l’organo giurisdizionale una<br />

volta derubricato il delitto di criminalità organizzata in<br />

delitto "comune"; sicché, non la richiesta del pubblico<br />

ministero, ma il solo provvedimento di emissione della<br />

misura cautelare, risulterebbe viziato.<br />

In tal caso, il g.i.p. “distrettuale”, ricorrendo l’urgenza<br />

di provvedere così come previsto dall’art. 291 c. 2<br />

c.p.p., potrà comunque disporre l’emissione della<br />

20 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

misura cautelare la quale, per il principio di conservazione<br />

degli atti assunti dal giudice incompetente, di<br />

cui l’art. 27 c.p.p. è lampante esempio, cesserà di avere<br />

efficacia trascorsi venti giorni dall’ordinanza di trasmissione<br />

al giudice competente quando questi non<br />

ritenga configurabili i presupposti di legittimità dell’adozione.<br />

Se le riflessioni sin qui esposte sottendono la convinzione<br />

che lo stesso g.i.p. possa, e debba, sindacare la<br />

qualificazione giuridica del fatto di reato, altrettanto,<br />

deve dirsi per il Tribunale del riesame, «atteso che tale<br />

modifica non incide sull'autonomo potere del p.m. di<br />

esercizio dell'azione penale, che riguarda il fatto storico<br />

oggetto dell'imputazione» (Cass., Sez. VI, 11<br />

marzo 2003, Ceglia, in Cass. pen., 2004, p. 3318).<br />

Tuttavia, secondo la più attuale giurisprudenza della<br />

Suprema Corte, in tale ultimo caso, «a differenza che<br />

nel primo […] – in cui la competenza a pronunziarsi<br />

del giudice delle indagini preliminari è identificata, in<br />

limine, sulla base della descrizione del fatto […] il giudice<br />

del gravame potrà limitarsi ad una pronunzia<br />

rescindente nel merito, e cioè di annullamento della<br />

misura cautelare in ordine al reato precedentemente<br />

configurato, se ritenga ne difettino in toto i presupposti<br />

di cui agli artt. 273-274 c.p.p. Oppure la confermerà,<br />

salva la riqualificazione del fatto […]. In entrambi i<br />

casi, si tratterà di una pronuncia di merito, e non d’incompetenza:<br />

in applicazione della disciplina generale<br />

di cui agli artt. 521 e 597 c.p.p., secondo cui è possibile<br />

dare al fatto una definizione giuridica diversa […]<br />

purché non venga superata la competenza del giudice<br />

di primo grado.<br />

Fuori di quest’ultima evenienza, in nessun caso, dunque,<br />

verrà emessa, in grado d’impugnazione (formula<br />

lata comprensiva del riesame ex art. 309 c.p.p.), una<br />

declaratoria d’incompetenza: che esporrebbe il processo<br />

ad una perenne instabilità, con rischi di azzeramento<br />

in dipendenza di quello che deve restare un accertamento<br />

preliminare ad ogni valutazione di merito.<br />

Se dunque il tribunale del riesame riqualifichi il fatto,<br />

sussumendolo in un’altra fattispecie astratta che lasci<br />

però invariata la competenza per materia del g.i.p. a<br />

quo, deve trattenere il procedimento; e la riforma del<br />

nomen iuris non incide sulla validità del provvedimento<br />

impugnato (Cass., Sez. VI, 11 febbraio 1999, n.<br />

2828).<br />

A fortiori tale principio […] trova applicazione in tema<br />

di procedimento cautelare, in cui le valutazioni sono<br />

formulate allo stato degli atti e non impongono, per<br />

definizione, sulla competenza del processo principale,<br />

essendo tuttora in corso le indagini preliminari sull’ipotesi<br />

accusatoria formulata dal pubblico ministero»<br />

(Cass., Sez. II, 11.7.2006, n. 23943, inedita). Nello<br />

stesso senso, Cass., Sez. II, 26 aprile 2006, n. 24492, in<br />

CED, 234682. Contra, Cass., Sez. I, 17 marzo 1995,<br />

Salerno, in CED, 201170).<br />

Gli assunti non sono condivisibili. Non sfuggirà,<br />

infatti, l’errata riconduzione, compiuta dalla Suprema<br />

Corte, delle disposizioni dell’art. 521 e 597 c.p.p. sul<br />

1/<strong>2007</strong><br />

terreno che si sta analizzando. La prima norma, infatti,<br />

si riferisce alla competenza del giudice di primo grado<br />

che intenda assegnare in sentenza una qualificazione<br />

giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione;<br />

invero, non si vede come la stessa possa venire in rilievo<br />

nell’ipotesi in cui il giudice del riesame, ovviamente<br />

competente del reato comunque compiuto all’interno<br />

del distretto, non riconosca sussistere indizi in ordine<br />

al reato di criminalità organizzata. L’art. 597 c.p.p.,<br />

invece, richiamato dalla Corte nel suo comma 3, nell’assegnare<br />

dignità normativa al divieto di reformatio<br />

in pejus, ne limita la portata alla sola pena rendendo<br />

espressamente salva la facoltà del giudice di appello di<br />

dare al fatto una definizione giuridica più grave; ebbene,<br />

anche in tal caso non si vede come tal genere di disposizione<br />

possa assumere rilievo nel caso di specie che<br />

sottende una chiara ipotesi di derubricazione (nel caso<br />

affrontato dalla Suprema Corte si trattava, in particolare,<br />

di associazione di stampo mafioso riqualificata in<br />

sede di riesame in associazione a delinquere ex art. 416<br />

c.p.).<br />

Deve, inoltre, parzialmente smentirsi il contrario<br />

orientamento giurisprudenziale, nell’ambito del quale<br />

il suddetto vizio è stato qualificato in termini di<br />

«incompetenza funzionale» (Cass., Sez. I, 17 marzo<br />

1995, Salerno, in CED, 201170); tal genere di patologia,<br />

infatti, afferisce all’opposta ipotesi in cui sia il giudice<br />

del locus commissi delicti, in luogo di quello<br />

“distrettuale”, a pronunciarsi sul delitto di criminalità<br />

organizzata ex art. 51 c. 3-bis c.p.p.<br />

Nel caso in esame, invece, il venir meno del presupposto<br />

che dà vita alla non codificata categoria della competenza<br />

funzionale rende illegittimo il provvedimento<br />

custodiale perché pronunciato da un giudice territorialmente<br />

incompetente; il vizio, come autorevolmente<br />

precisato, è rilevabile anche in sede di riesame e<br />

la sua dichiarazione determina «al pari della declaratoria<br />

di incompetenza del giudice che aveva disposto la<br />

misura cautelare, l'inefficacia differita, ex art. 27<br />

c.p.p., della misura cautelare stessa» (Cass., Sez. Un.,<br />

12 aprile 1996, Fazio, in Cass. pen., 1997, p. 17-18 e<br />

Cass., Sez. Un., 20 luglio 1994, De Lorenzo, in Cass.<br />

pen., 1994, p. 2945. Conf. Cass., Sez. V, 2 febbraio<br />

2006, n. 4270, in CED, 233627); chiaro essendo, tuttavia,<br />

che qualora non sussista la situazione di urgenza<br />

il Tribunale dovrà, invece, annullare la misura cautelare<br />

emessa (Cass., Sez. IV, 13 luglio 2006, n. 30027,<br />

in CED, 234825; Cass., Sez. V, 19 gennaio 2006, n.<br />

2242, in CED, 233025; Cass., Sez. IV, 10 agosto 2005,<br />

n. 30328, in CED, 232027) [marzia maniscalco].<br />

GIURISPRUDENZA<br />

21


GIURISPRUDENZA<br />

Diritto e Procedura civile<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di MARCELLO MANCUSO<br />

Contratto di opera intellettuale - prescrizioni<br />

Corte di appello di Caltanissetta - Sentenza<br />

08-03-<strong>2007</strong>, n. 59<br />

L'art. 2956 n. 2 c. c. sottopone a prescrizione presuntiva,<br />

breve e triennale il diritto dei profesionisti<br />

per l'opera prestata.<br />

L'attività del professionista deve considerarsi un<br />

unicum che si conclude con la conclusione del suo<br />

lavoro professionale, quindi il dies a quo per la<br />

decorrenza della prescrizione è quello della definizione<br />

e consegna del progetto (Cass. 03-08-1992 n.<br />

9221). (1)<br />

Va ritenuta applicabile la prescrizione presuntiva ai<br />

crediti dei professionisti per la loro opera intellettuale,<br />

(Cass. 29-06-1985 n. 3886), mentre non va<br />

ritenuta applicabile alla fattipecie la sentenza<br />

richiamata in primo grado Cass. civ., sez. II 03-02-<br />

1995, n. 1304 in quanto in quel caso il principio<br />

della inapplicabilità della prescrizione presuntiva<br />

nei confronti di un professionista trovava un limite<br />

nella natura dell'altro contraente che, essendo un<br />

ente pubblico, doveva emettere a pagamento delle<br />

proprie obbligazioni necessariamente un atto scritto,<br />

che impediva l'operatività della prescrizione<br />

presuntiva. (2)<br />

(1) Conforme Cass. civ., sez. I 23-05-1979, n. 2987;<br />

l'Art. 2957 codice civile - Decorrenza delle prescrizioni<br />

presuntive- prevede del resto espressamente<br />

che il termine della prescrizione decorre (...)<br />

dal compimento della prestazione.<br />

(2) Cass. civ., sez. II 29-06-1985, n. 3886 richiamata<br />

specifica che nella categoria dei professionisti, i<br />

cui diritti per il compenso dell'opera prestata e per il<br />

rimborso delle spese correlative sono assoggettati a<br />

prescrizione presuntiva triennale dall'art. 2956 n. 2<br />

codice civile, sono compresi soltanto coloro che<br />

esercitano una professione intellettuale di antica o<br />

di recente tradizione, nei cui confronti è ravvisabile<br />

il presupposto della prassi del pagamento senza<br />

dilazione per l'agevole determinabilità del credito ai<br />

sensi dell'art.. 2233 codice civile; sicché detta prescrizione<br />

non è applicabile al credito per il compen-<br />

so nascente da un mero contratto d'opera.<br />

Riassunzione - rivendica - prove in grado di<br />

appello<br />

Corte di appello di Caltanissetta – Sentenza 08-<br />

03-<strong>2007</strong>, n. 58<br />

Al fine di stabilire la tempestività della riassunzione<br />

ex art. 303 c. p. c. determinante è il deposito del<br />

ricorso entro i sei mesi dalla dichiarazione dell'evento<br />

interruttivo, a nulla rilevando ogni eventuale<br />

ritardo nella fissazione della udienza di prosecuzione<br />

(ex multis Cass. civ., sez. I 19-10-2006, n. 22498)<br />

(1).<br />

L'azione di rivendica finalizzata al rilascio del bene<br />

rivendicato può essere riproposta nei confronti<br />

anche di uno soltanto degli eventuali controinteressati<br />

(Cass. 18-04-1987 n. 3875). (2)<br />

Qualora il documento che permetta la ricostruzione<br />

del possesso ultraventennale e che dà luogo al<br />

riconoscimento dell'acquisto del fondo a titolo di<br />

usucapione venga prodotto solo in grado di appello,<br />

la produzione è da ritenersi ammissibile ai sensi<br />

del vecchio testo dell'art. 345 c. p. c. che però impone<br />

di tener presente la tardiva produzione ai fini<br />

della condanna alle spese.<br />

(1) Vedi anche Cass. civ., sez. Unite 28-06-2006, n.<br />

14854, per cui “Verificatasi una causa d'interruzione<br />

del processo, in presenza di un meccanismo di<br />

riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi<br />

distinguendo il momento della rinnovata<br />

"edictio actionis" da quello della "vocatio in ius", il<br />

termine perentorio di sei mesi, previsto dall'art. 305<br />

cod. proc. civ., è riferibile solo al deposito del ricorso<br />

nella cancelleria del giudice, sicché, una volta<br />

eseguito tempestivamente tale adempimento, quel<br />

termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione<br />

successiva, ad opera del medesimo giudice,<br />

di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto<br />

ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti<br />

della controparte, pur presupponendo che il<br />

precedente termine sia stato rispettato, ormai ne<br />

prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di<br />

assicurare il rispetto delle regole proprie della<br />

"vocatio in ius". Ne consegue che il vizio da cui sia<br />

colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del<br />

22 1/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

decreto di fissazione dell'udienza non si comunica<br />

alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone<br />

al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione<br />

della notifica medesima, in applicazione<br />

analogica dell'art. 291 cod. proc. civ., entro un termine<br />

necessariamente perentorio, solo il mancato<br />

rispetto del quale determinerà l'eventuale estinzione<br />

del giudizio, per il combinato disposto dello stesso<br />

art. 291, ultimo comma, e del successivo art. 307,<br />

terzo comma.”.<br />

(2) Giurisprudenza pacifica: Cass. civ., sez. II 18-<br />

04-1987, n. 3875 - dice che la domanda giudiziale<br />

avente per oggetto l'accertamento del diritto di proprietà<br />

può essere proposta nei confronti di alcuno<br />

soltanto degli eventuali controinteressati, poiché<br />

non introduce una ipotesi di litisconsorzio necessario,<br />

non inerendo ad un rapporto giuridico plurisoggettivo<br />

unico ed inscindibile, né tendendo ad una<br />

pronuncia con effetti di costituzione, modificazione<br />

od estinzione del rapporto giuridico dedotto in<br />

causa. Nello stesso senso Cass. civ., sez. II, 30-03-<br />

1985, n. 2239; Cass. civ., sez. Unite, 08-02-1977, n.<br />

530; Cass. civ., sez. II, 03-05-1975, n. 1699; Cass.<br />

civ., sez. II, 05-04-1975, n. 1220; Cass. civ., sez. II,<br />

14-12-1978, n. 5959; Cass. civ., sez. II, 05-06-1976,<br />

n. 2048; Cass. civ., sez. II, 02-10-1975, n. 3119. Il<br />

principio vale in caso di compossesso o codetenzione.<br />

Il corollario è la necessaria evocazione dei contro<br />

interessati ai fini dell' opponibilità.<br />

1/<strong>2007</strong><br />

Presunzione ex art. 2054 comma 2 c.c.<br />

Corte di Appello di Caltanissetta - Sentenza<br />

30-06-2006, n. 250<br />

Quanto alla graduazione delle colpe, va applicato<br />

il criterio presuntivo di pari responsabilità, di cui<br />

all'art. 2054 c.c., quando non è possibile stabilire<br />

con certezza, in concreto, il rispettivo contributo<br />

causale. In particolare, è determinante accertare<br />

se la manovra di svolta a sinistra sia iniziata dopo<br />

aver già avvistato il veicolo proveniente nella direzione<br />

opposta, - nel qual caso sarebbe predominante<br />

il concorso di colpa di chi la effettui, o se tale<br />

manovra sia stata iniziata prima di tale avvistamento<br />

(quando il campo era libero), nel qual caso<br />

il concorso causale sarebbe minore, dovendosi<br />

imputare all'agente solo di non aver immediatamente<br />

arrestato la marcia per consentire il passaggio<br />

del veicolo che sopraggiungeva.<br />

Analogamente, é necessario stabilire con certezza<br />

se il conducente del veicolo antagonista abbia proseguito<br />

nella sua corsa nonostante l'avvistamento<br />

dell'altro veicolo che stava iniziando la svolta a<br />

sinistra o piuttosto, se, avendolo avvistato quando<br />

ancora tale manovra non era iniziata, abbia confidato<br />

nel suo diritto di precedenza: trattandosi,<br />

anche in questo caso di situazioni diverse quanto al<br />

contributo causale.<br />

Si tratta di ipotesi tutte plausibili e che non escludono<br />

il contributo causale del comportamento dell'altro<br />

conducente. (1)<br />

Quanto alla possibilità di applicare la presunzione<br />

di colpa prevista dall'art. 2054 c.c. anche in favore<br />

delle persone trasportate, di cui all'appello incidentale<br />

condizionato, va rilevato che la più recente<br />

giurisprudenza della Suprema Corte è, ormai,<br />

costante nel ritenere che in materia di responsabilità<br />

derivante dalla circolazione dei veicoli l'art.<br />

2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo<br />

compongono, principi di carattere generale applicabili<br />

a tutti i soggetti che da tale circolazione<br />

comunque ricevano danni e quindi ai trasportati<br />

quale che sia il titolo del trasporto (cfr. Cass. Civ.<br />

13-12-2002, n. 17825).<br />

In materia la Suprema Corte ha affermato che qualora<br />

la messa in circolazione dell'autoveicolo in<br />

condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione<br />

senza che il trasportato abbia allacciato le cinture<br />

di sicurezza), sia ricollegabile all'azione o omissione<br />

non solo del trasportato, ma anche del conducente<br />

(che prima di iniziare o proseguire la sua<br />

marcia deve controllare che essa avvenga in conformità<br />

delle norme di prudenza e sicurezza), fra<br />

costoro si è formato il consenso alla circolazione<br />

con consapevole partecipazione di ciascuno alla<br />

condotta colposa dell'altro ed accettazione dei relativi<br />

rischi; pertanto, si verifica un'ipotesi di cooperazione<br />

nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell'azione<br />

produttiva dell'evento (diversa da quella in<br />

cui distinti fatti colposi convergano autonomamente<br />

nella produzione dell'evento).<br />

In tale situazione, a parte l'eventuale responsabilità<br />

verso terzi, secondo la disciplina dell'art. 2054<br />

c.c., deve ritenersi risarcibile a carico del conducente<br />

del suddetto veicolo e secondo la normativa<br />

generale degli artt. 2043, 2056, 1227 c.c., anche il<br />

pregiudizio all'integrità fisica che il trasportato<br />

abbia subito in conseguenza dell'incidente, tenuto<br />

conto che il comportamento dello stesso, nell'ambito<br />

dell'indicata cooperazione, non può valere ad<br />

interrompere il nesso causale fra la condotta del<br />

conducente ed il d<strong>anno</strong>, nè ad integrare un valido<br />

consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia<br />

di diritti indisponibili (cfr. Cass. Civ. 11-03-<br />

2004, n. 4993)<br />

(1) Sulla natura sussidiaria del criterio ex art. 2054<br />

GIURISPRUDENZA<br />

23


GIURISPRUDENZA<br />

codice civile da ultimo Cass. civ., sez. III 12-01-<br />

2005, n. 456, per cui “La presunzione di concorso in<br />

pari grado di colpa posta dall'art. 2054, secondo<br />

comma cod. civ. a carico dei conducenti coinvolti in<br />

uno scontro ha carattere sussidiario ed opera perciò<br />

soltanto quando non sia possibile accertare in concreto<br />

le cause ed il grado delle colpe incidenti nella<br />

produzione dell'evento d<strong>anno</strong>so. Ne consegue che il<br />

principio è logicamente e giuridicamente incompatibile<br />

con una qualsiasi concreta ricostruzione delle<br />

modalità del sinistro - da parte del giudice - e con<br />

l'attribuzione, a ciascuno dei conducenti, di uno<br />

specifico contributo causale.”.<br />

Il compito del giudice si articola dunque in diverse<br />

fasi alternative: a) accertamento delle modalità del<br />

fatto; se una ricostruzione è possibile sulla base di<br />

quanto allegato e provato allora b1) valutazione<br />

della condotta dei conducenti e b1a) valutazione<br />

della prova liberatoria, al fine di consentire l'esclusione<br />

della responsabilità, ovvero il concorso di<br />

colpa; se una ricostruzione è impossibile allora b2)<br />

applicazione dell'art. 2054 comma 2 codice civile.<br />

L'accertamento della colpa anche grave di uno dei<br />

conducenti non esime, infatti, l'altro dall' onere di<br />

fornire la prova liberatoria al fine di consentire l'esclusione<br />

di un concorso di colpa a suo carico.<br />

Su tali nozioni, e sul contenuto della prova liberatoria,<br />

da ultimo Cass. civ., sez. III 02-04-2002, n.<br />

4639, per cui “In tema di scontro fra veicoli, la presunzione<br />

di eguale concorso di colpa posta dall'art.<br />

2054, secondo comma, cod. civ. ha funzione sussidiaria<br />

rispetto al criterio di imputazione della<br />

responsabilità del conducente di un veicolo che circoli<br />

sulla pubblica strada stabilito nel primo<br />

comma. Ne consegue che sul danneggiato (che tale<br />

presunzione voglia vincere) incombe l'onere di<br />

dimostrare non solo che il conducente dell'auto<br />

investitrice sia in colpa, ma altresì che l'altro conducente<br />

si sia uniformato alle norme di circolazione<br />

ed a quelle di comune prudenza, ed abbia fatto tutto<br />

il possibile per evitare l'incidente.”.<br />

Con particolare riferimento alla fattispecie di veicoli<br />

procedenti in senso inverso, Cass. civ., sez. III 19-<br />

04-1994, n. 3726 ha stabilito: “Il principio per cui il<br />

comportamento colposo di uno dei conducenti non<br />

comporta, di per sé, il superamento della presunzione<br />

di corresponsabilità posta dall'art. 2054, secondo<br />

comma, cod. civ., essendo a tal fine necessario<br />

accertare se l'altro conducente si sia pienamente<br />

uniformato alle norme sulla circolazione ed a quelle<br />

di comune prudenza, trova applicazione nell'ipotesi<br />

di invasione della semicarreggiata riservata ai<br />

veicoli procedenti in senso inverso, che non comporta<br />

necessariamente la colpa esclusiva del conducente<br />

che abbia oltrepassato la linea mediana della<br />

strada, ove non risulti accertato che il comportamento<br />

dell'altro conducente sia stato pienamente<br />

Diritto e Procedura civile<br />

conforme (anche con riferimento alla velocità) alle<br />

norme sulla circolazione e di comune prudenza.”<br />

Riparto di giurisdizione<br />

Tribunale di Caltanissetta - Sentenza 15-02-<br />

<strong>2007</strong>, n. 77<br />

Spetta al Giudice Ordinario, per i giudizi differenti<br />

a periodi anteriori al 30-06-1998, la cognizione in<br />

ordine ad azioni risarcitorie proposte dal pubblico<br />

dipendente nei confronti della Pubblica<br />

Amministrazione quando sia stata azionata non una<br />

domanda risarcitoria di fonte contrattuale ma una<br />

domanda fondata sulla responsabilità extracontrattuale<br />

della Pubblica Amministrazione (Cass. civ.,<br />

sez. Unite 04-05-2004, n. 8438), cosicché lo svolgimento<br />

del rapporto lavorativo si pone come mera<br />

occasione della causazione del d<strong>anno</strong> e non come<br />

causa dello stesso, ricollegabile alla violazione di<br />

uno specifico obbligo contrattuale gravante sul<br />

datore di lavoro.<br />

Il concetto di occcasionalità del rapporto di lavoro<br />

come primo anello della catena causale per il pubblico<br />

dipendente, sì da considerare lo svolgimento<br />

del rapporto lavorativo come mero “contesto spazio<br />

– temporale” occasionale in cui il d<strong>anno</strong> ha<br />

avuto luogo si determina poi, sempre secondo un<br />

condivisibile orientamento della Suprema Corte,<br />

avuto riguardo alla potenziale incidenza causale<br />

della fonte del d<strong>anno</strong> anche nei confronti dei soggetti<br />

estranei rispetto alla PA oltre che del dipendente<br />

(Cass. civ., sez. Unite 02-07-2004, n. 12137).<br />

(1)<br />

L'opzione esplicita e formale per una presunta<br />

responsabilità da contratto della PA è ritenuta<br />

necessaria dalla Suprema Corte al fine di qualificare<br />

l'azione come cotrattuale invece che come extracontrattuale<br />

(Cass. civ., sez. Unite 04-05-2004, n.<br />

8438).<br />

A seguito della soppressione delle USL e dell'istituzione<br />

delle AUSL e delle Aziende Ospedaliere ex<br />

artt. 3 e 4 D.lgs. 30-12-1992 n. 502 spetta alla<br />

Regione la legittimazione passiva per i debiti delle<br />

pregresse USL, in attuazione di quanto previsto<br />

dalla L. 23-12-1994 n. 724 attraverso l'istituzione<br />

di Organi decentrati regionali, quali le Gestioni<br />

stralcio, successivamente sostituite dall'art. 2 L. 28-<br />

12-1995 n. 549 dalle Gestioni Liquidatorie, aventi<br />

come loro rappresentante il direttore generale presso<br />

l'AUSL di riferimento n.q. di commissario liquidatore<br />

della Gestione Liquidatoria Stralcio. Sul<br />

tema si è anche pacificamente e da tempo risalente<br />

pronunciata la giurisprudenza della SC (Cass. civ.,<br />

24 1/<strong>2007</strong>


Procedura Penale<br />

Diritto e Procedura civile<br />

sez. Lavoro 12-07-2004, n. 12865).<br />

(Fattispecie in materia di lesioni subite dall'autista<br />

di una autoambulanza a causa della rottura del<br />

meccanismo dello sterzo del mezzo: il Tribunale ha<br />

ritenuto la propria giurisdizione).<br />

(1) Sul tema sono di recente nuovamente intervenute<br />

le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. Unite 07-02-<br />

2006, n. 2507), che h<strong>anno</strong> ribadito (nel caso in cui<br />

il fatto sia avvenuto prima del 30-06-1998, perché<br />

dopo tale data, come e' noto, si è avuta la transizione<br />

dal Giudice Amministrativo a quello ordinario,<br />

e precisamente presso il Giudice del lavoro, in tema<br />

di pubblico impiego) come decisiva la natura giuridica<br />

dell’azione risarcitoria esperibile verso la<br />

Pubblica Amministrazione (illecito contrattuale,<br />

Giudice amministrativo; illecito extracontrattuale,<br />

Giudice ordinario).<br />

Per la configurazione della responsabilità contrattuale<br />

della Pubblica Amministrazione il rapporto di<br />

pubblico impiego deve porsi come causa del d<strong>anno</strong><br />

al ricorrente e non come mera occasionalità.<br />

Il modo di discernimento della efficacia causale è<br />

individuato, nella riferita Giurisprudenza, nell'<br />

applicazione dello schema “classico” della causalità,<br />

basato sul brocardo ablata causa tollitur effectus.<br />

1/<strong>2007</strong><br />

Procedimento cautelare<br />

Tribunale di Caltanissetta – Sentenza 02-01-<br />

<strong>2007</strong>, n. 41<br />

In caso di declaratoria di cessazione della materia<br />

del contendere in sede di giudizio cautelare quando<br />

vi sia istanza di una delle parti per ottenere la condanna<br />

della controparte al pagamento delle spese<br />

del giudizio sulla base della soccombenza virtuale,<br />

detta pronuncia non può essere assimilata né ad<br />

una pronuncia di accoglimento né ad una pronuncia<br />

di rigetto. Essa, tuttavia, è in grado di definire<br />

il procedimento cautelare.<br />

La ratio sottesa alla regola stabilita dall'art. 669<br />

septies comma 2 c. p. c. è quella di pronunciare<br />

sulle spese quando il provvedimento è comunque<br />

idoneo a definire il giudizio senza necessità di ulteriori<br />

accertamenti ed è sostanzialmente analoga a<br />

quella più generale contenuta nell'art. 91 comma 1<br />

c. p. c. in base alla quale il giudice deve provvedere<br />

in ordine alle spese quando chiude il processo<br />

dinanzi a sé. Giustamente perciò il giudice provvede<br />

sulle spese di lite.<br />

La condanna alle spese ha la funzione di evitare una<br />

deminutio patrimonii alla parte che ha sopportato<br />

un sacrificio economico per ottenere il riconoscimento<br />

o la tutela di un proprio diritto.<br />

Pertanto è principio generale che il giudice con la<br />

sentenza che chiude il processo condanna la parte<br />

soccombente al rimborso delle spese.<br />

Ciò trova applicazione con riguardo ad ogni provvedimento,<br />

ancorché reso in forma di ordinanza o<br />

decreto, che, nel risolvere contrapposte posizioni,<br />

elimini il procedimento davanti al giudice che lo<br />

emette.<br />

Detta norma, pertanto, opera non solo nei procedimenti<br />

a cognizione piena, ma anche in quelli sommari<br />

e cautelari.<br />

Quoad effectum, con posizione leggermente distinta<br />

da quella qui assunta dal nostro Tribunale, ma<br />

con identiche conseguenze, la Giurisprudenza di<br />

legittimità (Cass. civ., sez. II 18-07-2001, n. 9766)<br />

ha avuto modo di stabilire che la disposizione di cui<br />

all'art. 669 "septies" cod. proc. civ., a mente della<br />

quale la condanna alle spese è immediatamente esecutiva<br />

ed è opponibile soltanto ai sensi degli artt.<br />

645 ss. stesso codice, riferendosi ai provvedimenti<br />

di rigetto dell'istanza, è applicabile anche alla<br />

dichiarazione di cessazione della materia del contendere<br />

emessa in sede cautelare, perché, presupponendo<br />

la rinuncia all'azione, equivale ad una statuizione<br />

di rigetto, con conseguente inammissibilità<br />

del ricorso per cassazione proposto avverso il ricordato<br />

provvedimento di condanna. (VL)<br />

D<strong>anno</strong> morale<br />

Tribunale di Caltanissetta – Sentenza 06-07-2006<br />

n. 441<br />

E' noto come, a partire da Cass. civ., sez. III 31-05-<br />

2003, n. 8827, se l'illecito comporta la lesione di<br />

interessi costituzionalmente protetti, il pregiudizio<br />

integrante il d<strong>anno</strong> morale soggettivo è risarcibile<br />

anche se il fatto non sia configurabile come reato.<br />

Il principio va applicato anche nel caso di immissioni<br />

che violino l'art. 844 c.c.. Per quanto riguarda,<br />

in particolare, le immissioni rumorose, esse<br />

configurano altresì l'ipotesi contravvenzionale dell'art.<br />

659 c.p.. Le illecite immissioni configurano<br />

altresì lesione del diritto alla salute, protetto dall'art.<br />

33 Cost, nella sua accezione di diritto a vivere<br />

in un ambiente salubre. (1)<br />

(1) Motivazione inappuntabile. Far chiasso può<br />

costar caro.<br />

***<br />

GIURISPRUDENZA<br />

25


GIURISPRUDENZA<br />

La sentenza per esteso<br />

S E N T E N Z A<br />

nella causa civile iscritta al n. 158/2001 R.G.C.<br />

avente ad oggetto appello avverso la sentenza del<br />

Tribunale di Enna n. 52/2001 del 15 gennaio — 15<br />

febbraio 2001 in materia di condannatorio per il<br />

pagamento di somme di danaro<br />

PROMOSSA DA<br />

1) F.F. (omissis);<br />

2) F.G.A. (omissis);<br />

APPELLANTI<br />

CONTRO<br />

il Comune di Centuripe (omissis)<br />

E NEI CONFRONTI DI<br />

C.D.M.V. (omissis)<br />

Nel corso del giudizio è stata riunita alla suddetta<br />

causa quella recante il n. 36/2002 R.G.C. avente ad<br />

oggetto appello avverso la suindicata sentenza, promossa<br />

da Z.R. (omissis)<br />

CONCLUSIONI DELLE PARTI<br />

(omissis)<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Il 16 febbraio 1982, nel Comune di Centuripe crollò<br />

un muro in cemento, che doveva avere la funzione<br />

di contenimento della scalinata di accesso alla<br />

via Duca d’Aosta; sotto le macerie restarono sepolte<br />

alcune auto in sosta, su una delle quali si trovavano<br />

i signori P.S. e F.L. che decedevano sul colpo.<br />

Per l’ipotesi di reato prevista e punita dagli artt. 113<br />

e 589 c.p. il Tribunale di Enna processò, fra gli altri,<br />

F.M., C.D. e Z.M.:<br />

— il primo per avere, nella qualità di appaltatore ed<br />

esecutore dei lavori di sistemazione di detta via e<br />

della via Fratelli Bandiera, realizzato un muro di<br />

contenimento ed una gradinata con materiale di<br />

riempimento non idoneo e con difettoso sistema di<br />

drenaggio;<br />

— il secondo per non avere, nella qualità di progettista<br />

del muro in questione, previsto in progetto gli<br />

accorgimenti tecnici necessari ad evitare crolli e,<br />

inoltre, per aver consentito, quale direttore dei lavori<br />

per la realizzazione di quello stesso muro, che la<br />

relativa esecuzione avvenisse con gravi difetti nel<br />

drenaggio e con materiale di riempimento non idoneo;<br />

— il terzo per aver collaudato il muro senza rilevarne<br />

i difetti progettuali ed esecutivi, evidenziati,<br />

peraltro, dall’ufficio tecnico del Comune un mese<br />

prima del collaudo.<br />

Con sentenza del 24 febbraio 1987, detto Tribunale<br />

dichiarò i predetti F., C. e Z. colpevoli del reato di<br />

omicidio colposo loro contestato, condannandoli<br />

alla pena di mesi otto di reclusione e contestualmente<br />

dichiarando interamente condonate le pene<br />

inflitte.<br />

Procedura Penale<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Con sentenza del 7 novembre 1989, la sezione<br />

penale di questa Corte dichiarò estinto per prescrizione<br />

detto reato, avendo ritenuto che nella fattispecie<br />

non poteva trovare applicazione l’art. 152 c.p.p.,<br />

non ricorrendo prove che rendessero evidente che il<br />

fatto non sussistesse ovvero che gli appellanti non<br />

lo avessero commesso.<br />

Intanto il 17 novembre 1986 il Comune di<br />

Centuripe, in esecuzione di una delibera consiliare,<br />

aveva provveduto a corrispondere l’importo di<br />

£.70.000.000 agli eredi del S. ed identica somma a<br />

quelli del L., “a tacitazione definitiva di ogni pretesa<br />

risarcitoria avanzata” dai medesimi eredi.<br />

Per il recupero dell’importo complessivo di<br />

£.140.000.000, il Comune di Centuripe chiamò in<br />

giudizio, innanzi al Tribunale di Enna, F.F.e F.G.A.<br />

nonché C.D. e Z.M.<br />

Ritualmente costituitisi, i convenuti contestarono<br />

l’atto introduttivo del giudizio, chiedendo il rigetto<br />

della domanda.<br />

Con la sentenza n. 52/2001 del 15 gennaio — 15<br />

febbraio 2001 l’adito giudice ha ritenuto corresponsabili<br />

il Comune ed i convenuti in ordine al verificarsi<br />

dell’evento d<strong>anno</strong>so, condannando i medesimi<br />

convenuti, in solido, al pagamento, allo stesso<br />

Comune, dell’importo di £.70.000.000, oltre interessi.<br />

Per la riforma di tale pronuncia h<strong>anno</strong> proposto<br />

separati appelli F.F. e F.G.A., nonché, poi, Z.R.;<br />

nella causa instaurata a seguito del primo appello è<br />

intervenuto gravame incidentale del C. Le due<br />

cause sono state riunite con ordinanza del 19 giugno<br />

2002.<br />

Il Comune di Centuripe, ritualmente costituitosi, ha<br />

chiesto il rigetto del gravame.<br />

Precisatesi le conclusioni, all’udienza collegiale del<br />

5 luglio 2006 la causa è stata quindi posta in decisione.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

Con il primo motivo di impugnazione, i F. si dolgono<br />

del fatto che il Tribunale non abbia accolto la<br />

loro eccezione di prescrizione, dal momento che —<br />

a loro dire — alla data della notifica dell’atto di<br />

citazione era già trascorso il relativo termine quinquennale,<br />

decorrente dal giorno del pagamento.<br />

Anche lo Z., con il secondo motivo di appello, censura<br />

la sentenza impugnata nella parte in cui venne<br />

disattesa detta eccezione, richiamando l’art. 2935<br />

ed affermando, quindi che il diritto poteva essere<br />

esercitato già dal giorno in cui era stato pagato l’indennizzo<br />

ai parenti delle vittime pure il C., infine, al<br />

secondo motivo del proprio atto di appello, prospetta<br />

l’erroneità della sentenza del tribunale di Enna,<br />

osservando:<br />

26 1/<strong>2007</strong>


Procedura Penale<br />

Diritto e Procedura civile<br />

— che, se si ritiene ammissibile l’azione di regresso<br />

questione per la quale ha sollevato uno specifico<br />

motivo di impugnazione, che verrà esaminato<br />

infra), doveva affermarsi operante la prescrizione<br />

quinquennale decorrente dal giorno non dall’evento<br />

d<strong>anno</strong>so, bensì) del pagamento;<br />

— che se invece doveva aversi riferimento alla<br />

regola dell’ultimo comma dell’art. 2947 c.c., la prescrizione<br />

doveva ritenersi intervenuta, essendosi già<br />

maturata, a sua volta, la prescrizione del reato el<br />

momento dell’esercizio dell’azione civile da parte<br />

del comune.<br />

Così riassunte le posizioni delle parti, si osseerva<br />

quanto segue.<br />

Deve innanzi tutto chiarirsi che tra il Comune di<br />

Centuripe e gli altri soggetti coinvolti nella vicenda<br />

sussisteva una (ipotetica) responsabilità solidale,<br />

rispondendo il primo ex art. 2053 c.c. quale proprietario<br />

del muro crollato e gli altri in conseguenza<br />

del ruolo da ciascuno di essi avuto nella vicenda<br />

(salvo, ovviamente, a verificarne la fondatezza nel<br />

merito; anche su tale questione ci si soffermerà più<br />

avanti); ne consegue, per un verso che le norme di<br />

riferimento v<strong>anno</strong> individuate negli artt. 1299, 1°<br />

comma, e 2055, 2° comma, c.c. e, per altro verso,<br />

che il diritto di regresso azionato dal Comune nei<br />

confronti degli altri soggetti è soggetto a prescrizione<br />

decorrente non dal giorno dell’evento d<strong>anno</strong>so,<br />

bensì da quello del pagamento, la cui effettuazione<br />

ne integra la fattispecie costitutiva in quanto produce<br />

il venir meno, in tutto o in parte, del credito risarcitorio<br />

del danneggiato (giurisprudenza pacifica; si<br />

confrontino, fra le altre, Cass. 2540/75, 9784/91 e<br />

21056/2004, richiamate anche dal C.).<br />

Ciò posto, deve quindi stabilirsi quale prescrizioni<br />

operi nella fattispecie, e cioè se quella quinquennale<br />

— come sostenuto dagli appellanti F. e C. —<br />

ovvero quella decennale, problema la cui soluzione<br />

dipende dalla complessa questione giuridica della<br />

natura dell’obbligazione di regresso: occorre, cioè,<br />

stabilire se, rispetto a quella solidale che è stata<br />

estinta, quella di regresso sia sempre la medesima<br />

obbligazione, con identico regime giuridico, oppure<br />

costituisca un’obbligazione diversa ed autonoma.<br />

A giudizio di questa Corte, in ciò confortata da<br />

autorevole dottrina, il diritto di regresso, secondo lo<br />

schema dell’art. 1299 c.c., si atteggia come un diritto<br />

nuovo, nascente dopo che l’adempimento da<br />

parte di uno dei condebitori ha estinto il rapporto<br />

originario.<br />

Induce a tale conclusione il rilievo che, nel condebito<br />

ad attuazione solidale, la solidarietà non si<br />

riproduce nei rapporti interni: i consorti di colui che<br />

ha adempiuto sono liberati, ex art. 1292 c.c., dal<br />

debito comune e restano tenuti solo pro parte nei<br />

confronti del solvens, così come in proporzione alla<br />

rispettive quote si ripartisce fra gli stessi la perdita<br />

1/<strong>2007</strong><br />

derivante dall’insolvenza di uno di essi (art. 1299,<br />

2° comma, c.c.).<br />

Il diritto che spetta al coobbligato solidale che ha<br />

pagato l’intero manca, in altri termini, di una delle<br />

prerogative essenziali originariamente inerenti al<br />

lato attivo del rapporto obbligatorio, ossia il potere<br />

di esigere l’intero da ciascun condebitore.<br />

Non resta, dunque — per usare gli stessi termini<br />

adoperati dalla suindicata dottrina, di cui, in ossequio<br />

a quanto disposto dall’art. 118 disp. att. c.p.c.,<br />

si omette l’indicazione nominativa —, che configurare<br />

il regresso alla stregua di un diritto spettante<br />

iure proprio al coobbligato solvente, il cui contenuto<br />

non si determina per relationem al contenuto del<br />

diritto di cui era titolare il creditore originario.<br />

Da tale premessa discende una serie di coerenti conseguenze,<br />

tra le quali, per quel che interessa in questa<br />

sede, quella per cui il diritto di regresso di prescrive<br />

decorso il termine di dieci anni dalla data del<br />

pagamento, secondo quanto stabilito dall’art. 2946<br />

c.c., a nulla rilevando il fatto che il credito originario<br />

potesse avere un termine di prescrizione più<br />

breve; e ciò appunto perché il pagamento, da parte<br />

di un coobbligato in solido, estingue il comune rapporto<br />

originario e ne fa sorgere uno nuovo, di talché<br />

le eccezioni che si radica(va)no nel primo sono normalmente<br />

inopponibili in sede di regresso.<br />

Tutto ciò premesso, le doglianze de quibus v<strong>anno</strong><br />

dunque disattese.<br />

Invero, è pacifico che il pagamento, in relazione al<br />

quale il Comune ha agito in regresso, intervenne il<br />

17 novembre 1986 (lo sostengono sia i F. sia il C. a<br />

pag. 2 ed a pag. 6 dei rispettivi atti di impugnazione):<br />

da quel giorno — come supra chiarito —<br />

decorreva, quindi, il termine decennale di prescrizione<br />

per il Comune; e poiché la notificazione, agli<br />

odierni appellanti, dell’atto di citazione di primo<br />

grado fu effettuata nel gennaio 1994, deve quindi<br />

concludersi che essa valse ad interrompere il periodo<br />

di prescrizione e, di conseguenza, ad impedirne<br />

il maturarsi.<br />

Rigettata, dunque, l’eccezione pregiudiziale comune<br />

a tutti gli appellanti, può, adesso, passarsi all’esame<br />

dei singoli gravami.<br />

(omissis)<br />

P. Q. M.<br />

(omissis)<br />

rigetta gli appelli.<br />

(omissis)<br />

Caltanissetta, 6 luglio 2006<br />

Il Consigliere Rel. Est. Il<br />

Presidente<br />

Depositato in Cancelleria l’11 luglio 2006<br />

****<br />

Commento - a cura di Marcello Mancuso<br />

La pronuncia in commento è pienamente condivisa<br />

GIURISPRUDENZA<br />

27


GIURISPRUDENZA<br />

da chi scrive, così come l'autorevole dottrina cui si<br />

richiama (da individuarsi, probabilmente, in BIAN-<br />

CA, Diritto Civile, II, L'obbligazione , p. 716 ss.).<br />

Risulta interessante coordinare il principio che vi si<br />

trova enunciato con quello ex Art. 1203 Codice<br />

civile - sulla surrogazione legale, per cui la surrogazione<br />

ha luogo di diritto , tra l'altro, a vantaggio<br />

di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al<br />

pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo<br />

(n. 3).<br />

Posto dunque il dato pacifico per cui (Cass. civ.,<br />

sez. III 03-11-2004, n. 21056) nel caso di obbligazione<br />

solidale al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art.<br />

2055 cod. civ., la prescrizione dell'azione di<br />

regresso di uno dei coobbligati decorre dall'avvenuto<br />

pagamento e non già dal giorno dell'evento d<strong>anno</strong>so,<br />

(Conformi Cass. civ., sez. III, 29-08-1995, n.<br />

9100 ed altre), la Giurisprudenza (Cass. civ., sez.<br />

III 28-03-2001, n. 4507) ha affermato che nell'azione<br />

di regresso fra condebitori, prevista dall'art. 1299<br />

cod. civ., il debitore che ha adempiuto il debito<br />

comune fa valere il suo diritto alla surrogazione<br />

legale a norma dell'art. 1203 n. 3 cod. civ., con la<br />

conseguenza che diventano a lui opponibili non<br />

solo le eccezioni relative al rapporto interno di solidarietà,<br />

ma anche quelle opponibili al creditore in<br />

solido, relative a limitazioni, decadenze e prescrizioni<br />

inerenti al diritto che ha formato oggetto di<br />

surrogazione. In tale azione, inoltre, il termine d'inizio<br />

della prescrizione coincide con quello in cui il<br />

debitore in solido abbia adempiuto l'intera obbligazione<br />

(Si vedano anche Cass. civ., sez. I, 04-06-<br />

1977, n. 2294, Cass. civ., sez. I, 30-03-1981, n.<br />

1818, Cass. civ., sez. I, 18-03-1982, n. 1762, Cass.<br />

civ., sez. III, 01-03-1994, n. 2011, Cass. civ., sez. I<br />

04-05-1995, n. 4852; Cass. civ., sez. Unite, 05-02-<br />

1999, n. 32).<br />

Si tratta della questione, nota e dibattuta, dei rapporti<br />

tra regresso e surrogazione, che la sentenza di<br />

legittimità ora richiamata riconduce ad una sostanziale<br />

identità.<br />

Su questa linea si pone pure una parte minoritaria<br />

della dottrina ( AMORTH, Rivista trimestrale di<br />

Diritto e procedura civile, 58,133 ss.).<br />

La surrogazione comporta l'esercizio dell'azione<br />

che spettava al creditore soddisfatto, con tutte le<br />

implicazioni che ne derivano.<br />

Una parte della Giurisprudenza ha percorso una<br />

soluzione di compromesso, per cui (Cass. civ., sez.<br />

III 24-10-1988, n. 5748 )l'azione di regresso, proposta<br />

da un coobbligato per ottenere dagli altri<br />

coobbligati il parziale rimborso delle somme pagate<br />

per danni prodotti dalla circolazione di veicoli, si<br />

prescrive con il decorso di dieci anni se già risulti<br />

giudizialmente accertata la responsabilità del coobbligato<br />

nella determinazione dell'evento d<strong>anno</strong>so,<br />

mentre nel caso inverso, quando cioè a tale accerta-<br />

Diritto e Procedura civile<br />

mento non si è provveduto, l'azione è soggetta alla<br />

prescrizione breve di due anni stabilita dall'art.<br />

2947 cod. Civ.<br />

Altra opinione ritiene invece il regresso un diritto<br />

nuovo e distinto rispetto alla obbligazione dal cui<br />

soddisfacimento promana, come qui la nostra Corte<br />

di appello.<br />

Su questa linea, oltre BIANCA, cit., la preponderante<br />

dottrina: RUBINO, in Commentario Scialoja<br />

— Branca; CAMPOBASSO, in Enciclopedia<br />

Giuridica Treccani.<br />

I rapporti fra le due azioni (o tra i due diritti, se ad<br />

ogni azione corrisponde un diritto) sono, di necessità,<br />

di prodotto logico; ovvero di esercizio anche<br />

cumulativo; ciò al fine di porre il solvens in grado<br />

di avvalersi, se del caso, dei privilegi , delle penali<br />

e degli altri accessori del credito stabiliti in favore<br />

del creditore originario. Tale impostazione si coordina<br />

con l'opinione (Cass. civ., sez. Lavoro 22-02-<br />

1995, n. 1997) per cui la surrogazione legale, operando<br />

anche senza il consenso del creditore procedente,<br />

attribuisce allo stesso un diritto potestativo di<br />

valersi o meno dell'azione stessa.<br />

28 1/<strong>2007</strong>


1/<strong>2007</strong><br />

Diritto Penale<br />

Controllo e controllori nello specchio del diritto<br />

penale societario<br />

di FAUSTO GIUNTA<br />

(Ordinario di Diritto penale presso l’Università di<br />

Firenze).<br />

SOMMARIO: 1. Tutela penale del controllo e responsabilità<br />

penale dei controllori. – 2. Organi e funzioni di controllo nella<br />

cornice della tutela penale. – 3. Le fattispecie di impedito<br />

controllo. – 4. L’ambito operativo dell’art. 2638 c.c. – 4.1.<br />

L’esposizione di falsità e l’occultamento fraudolento di fatti<br />

rilevanti. – 4.2. L’ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche<br />

di vigilanza. - 5. I reati dei controllori. – 5.1. I reati propri<br />

dei sindaci. - 5.2. I reati propri dei revisori. – 6. La<br />

responsabilità dei controllori a titolo di concorso e omesso<br />

impedimento dell’evento. – 6.1. La responsabilità dei sindaci.<br />

– 6.2. Organismo di vigilanza. – 7. Considerazioni conclusive.<br />

1. Sempre più spesso e con crescente intensità, crack<br />

finanziari rilevanti per l’economia nazionale richiamano<br />

l’attenzione sull’attività di controllo nelle<br />

società commerciali e sollecitano riflessioni sulla<br />

sua reale efficacia preventiva.<br />

La normativa vigente si preoccupa di disciplinare<br />

questo fenomeno, anche penalmente. In particolare,<br />

lo strumentario del diritto punitivo viene impiegato<br />

per tutelare la funzione di controllo, intesa come<br />

bene giuridico “istituzionale”, ossia quale entità già<br />

preformata dalla normativa societaria extrapenale (1) .<br />

Detta funzione, la cui importanza non è certo dubbia,<br />

viene protetta dalle aggressioni al suo regolare svolgimento<br />

provenienti dai soggetti controllati.<br />

Anche coloro che sono deputati al controllo rientrano<br />

nel raggio di azione del diritto penale. Essi sono<br />

gravati, infatti, da doveri di lealtà e correttezza, la<br />

cui violazione può integrare appositi reati propri, che<br />

vedono tra i soggetti attivi (anche) i controllori. Gli<br />

interessi penalmente tutelati che vengono in rilievo<br />

da questa angolazione sono, però, vari ed eterogenei.<br />

La tutela, infatti, solo in parte riguarda la funzione di<br />

controllo come bene giuridico ledibile da parte dei<br />

soggetti controllori. Per lo più i reati dei controllori<br />

tipizzano condotte che pregiudicano interessi patrimoniali<br />

o strumentali rispetto a questi ultimi.<br />

In breve: tra tutela penale del controllo in sé e reati<br />

dei controllori non vi è biunivoca corrispondenza<br />

funzionale. Ciò spiega perché, nonostante la presenza<br />

nel sistema di una pluralità di fattispecie punitive<br />

concernenti tanto il controllo societario quanto i controllori,<br />

è opinione diffusa che, nelle società commerciali,<br />

il sistema dei controlli e delle responsabili-<br />

tà dei controllori sia inefficace e deficitario, proprio<br />

a causa di un assetto normativo carente di un valido<br />

supporto punitivo.<br />

Un’ultima e non casuale constatazione riguarda la<br />

frammentarietà dell’elaborazione dottrinale della<br />

materia (2) : tutela penale del controllo e reati propri<br />

dei controllori costituiscono i filamenti di un ordito<br />

normativo rimasto nell’ombra non solo per via della<br />

maggiore e non sempre disinteressata attenzione<br />

riservata alle vicende del falso in bilancio (il controllo<br />

non è meno importante della trasparenza,<br />

anche perché può colmarne le carenze), ma, verosimilmente,<br />

per lo stato della normativa in materia di<br />

controllo, affetta da disorganicità del disegno politico-criminale<br />

e da lacune di tutela che v<strong>anno</strong> ben<br />

oltre la fisiologica incompletezza del diritto penale.<br />

2. Prima di esaminare le singole opzioni di tutela<br />

penale, è opportuno ricordare che, nelle società commerciali,<br />

il controllo è una funzione che viene esercitata<br />

tanto dall’interno, quanto dall’esterno della<br />

società.<br />

Come noto, tradizionalmente il controllo interno è<br />

demandato al collegio sindacale, al quale la riforma<br />

societaria attuata dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha<br />

affiancato, da un lato, il “comitato” costituito all’interno<br />

del consiglio di amministrazione (art. 2409sexiesdecies)<br />

nelle società che adottano il sistema<br />

monistico, dall’altro, il “consiglio di sorveglianza”<br />

(art. 2409-octies c.c.) in caso di adozione del sistema<br />

dualistico. Vi è poi l’internal auditing, quale organo<br />

de facto finalizzato al controllo dei processi aziendali.<br />

E ancora: il d. lgs. 231 del 2001 ha previsto una<br />

penetrante forma di controllo della legalità, esercitato<br />

dall’organismo di vigilanza. Anche quest’ultimo è<br />

un organo interno dell’ente per espressa statuizione<br />

di legge (art. 6, comma 1, lett. b), al punto che vi è<br />

chi suggerisce di prevederlo nello statuto (3) . Al pari<br />

dell’internal auditing la sua costituzione non è<br />

obbligatoria. Nondimeno esso svolge un’importante<br />

funzione, perché assicura l’effettività dei modelli<br />

organizzativi e gestionali, la cui efficace adozione<br />

può esentare l’ente collettivo dalla responsabilità per<br />

il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.<br />

Il controllo esterno è svolto, invece, dalle società di<br />

revisione contabile e dalle autorità indipendenti,<br />

sempre più numerose e i cui poteri di intervento sono<br />

anch’essi disciplinati dalla legge.<br />

Ora, inteso come funzione strumentale al rispetto<br />

della legalità, il controllo societario ottiene tutela<br />

(1) In argomento, v, C. PEDRAZZI, Società commerciali (disciplina penale), in Dig. disc. pen., vol. XIII, 1997, p. 349.<br />

(2) V. però di recente: N. PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003; G. MAZZOTTA, A.<br />

D’AVIRRO, Profili penali del controllo nelle società commerciali, Milano, 2006.<br />

(3) R. RORDORF, I criteri di attribuzione, in Le società, 2001, p. 1301.<br />

DOTTRINA<br />

29


DOTTRINA<br />

attraverso le fattispecie di cui agli artt. 2625 e 2638<br />

c.c.: la prima tipizza alcune condotte di impedito<br />

controllo, la seconda prevede plurime ipotesi di ostacolo<br />

alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza.<br />

Le due norme, pur complessivamente considerate,<br />

non tutelano tutte le forme di controllo che si<br />

sono sopra ricordate. Nessuna incriminazione ad hoc<br />

si occupa per esempio del controllo affidato all’organismo<br />

di vigilanza; la qual cosa si spiega con il<br />

carattere facoltativo di quel tipo di controllo. Va<br />

detto inoltre che i summenzionati illeciti societari in<br />

materia di controllo non rispecchiano in modo netto<br />

nemmeno la distinzione tra controllo interno ed<br />

esterno, posto che l’art. 2625 c.c. prende in considerazione<br />

indifferentemente il controllo dei soci, degli<br />

organi sociali e delle società di revisione, mentre<br />

l’art. 2638 c.c. si rivolge all’attività delle autorità<br />

pubbliche di vigilanza.<br />

Emerge evidente invece la volontà legislativa di ritagliare<br />

un’area di tutela rafforzata nei confronti del<br />

controllo esercitato dalle autorità pubbliche di vigilanza,<br />

stante la maggiore severità del delitto previsto<br />

dall’art. 2638 c.c., che risulta una delle fattispecie<br />

più gravemente punite dal nuovo diritto penale commerciale.<br />

Il quadro di questa tutela rafforzata si è<br />

arricchito, da ultimo, di una fattispecie introdotta<br />

dalla legge 18 aprile 2005, n. 62, che, all’art. 170-bis<br />

t.u.f., ha previsto il nuovo reato di ostacolo alle funzioni<br />

di vigilanza attribuite alla CONSOB.<br />

3. Iniziando dall’art. 2625 c.c., va subito sottolineata<br />

la particolarità della previsione ivi contenuta:<br />

viene contemplato infatti un illecito amministrativo<br />

degli amministratori, destinato a assumere la veste di<br />

delitto se la condotta di impedito controllo cagiona<br />

un d<strong>anno</strong> ai soci.<br />

Non può certo sfuggire, poi, l’esiguità della sanzione<br />

amministrativa comminata (che nel massimo<br />

giunge a _ 10.329), verosimilmente priva di reale<br />

efficacia deterrente (4) ; né può trascurarsi che la scelta<br />

legislativa di mantenere nell’alveo dell’illecito<br />

amministrativo le violazioni di tipo meramente formale<br />

avrebbe fatto meglio a valorizzare la comminazione<br />

delle più temibili sanzioni interdittive, che<br />

possono risultare maggiormente deterrenti della stessa<br />

pena in quanto non sospendibili condizionalmente.<br />

Ad ogni modo, ciò che deve far più riflettere non è<br />

tanto l’insolita progressione illecita, per la quale un<br />

fatto costituente una violazione amministrativa trasmoda,<br />

nel suo sviluppo, in illecito penale. Il<br />

punctum dolens della fattispecie risiede soprattutto<br />

(4) Così G. MAZZOTTA, A. D’AVIRRO, op. cit., p. 130.<br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

nell’ancoraggio della tipicità a due modalità esecutive<br />

della condotta molto selettive: per la sussistenza<br />

dell’illecito è necessario infatti che l’agente ostacoli<br />

il controllo attraverso l’occultamento di documenti o<br />

la realizzazione di altri idonei raggiri.<br />

Ebbene, com’è evidente, la prima condotta fotografa<br />

una modalità esecutiva dell’ostacolo non particolarmente<br />

insidiosa, in quanto destinata a insospettire il<br />

soggetto controllore; quanto alla seconda condotta,<br />

essa evoca a prima vista la necessità di una immutatio<br />

veri, con la conseguenza di frustrare l’istanza di<br />

una piena tutela del controllo societario, la quale<br />

dovrebbe suggerire, invece, di colpire anche condotte<br />

che consistono nella mera violazione di quei doveri<br />

di collaborazione con il soggetto controllore che<br />

incombono sugli amministratori.<br />

In breve: la formulazione della norma non sembra<br />

adeguata a quella che dovrebbe essere la sua ratio di<br />

tutela. Proprio la scelta di tipizzare l’impedito controllo<br />

innanzitutto come illecito formale punito con<br />

sanzione amministrativa, avrebbe dovuto far propendere<br />

per una formulazione ampia, in grado di sanzionare<br />

anche la mancata violazione dei doveri di<br />

collaborazione con il soggetto controllore.<br />

Nondimeno, è possibile accedere a un’interpretazione<br />

ortopedica che, pur senza violare il principio di<br />

legalità, contenga i danni dell’inadeguata tipizzazione<br />

che caratterizza la fattispecie vigente. Non si<br />

vede, infatti, per quale ragione l’attività ingannatoria<br />

cui dà rilevanza l’art. 2625 c.c. non possa includere<br />

anche gli artifici che, in presenza di specifiche violazioni<br />

dei summenzionati doveri di collaborazione,<br />

mirano a dissimulare l’intento degli amministratori<br />

di impedire o ostacolare l’attività del controllore, il<br />

quale ultimo, proprio perché ingannato, non si<br />

avvarrà degli strumenti che l’ordinamento prevede<br />

per rimuovere detti ostacoli.<br />

Se si condivide questo ragionamento, il riferimento<br />

agli artifici, diversamente da quanto sostenuto dalla<br />

dottrina prevalente (5) , non costituisce una previsione<br />

di chiusura, tale da comprendere a rigore la condotta<br />

di occultamento dei documenti: esso evoca, piuttosto,<br />

un comportamento degli amministratori caratterizzato<br />

dai quei connotati di frode, che non sono<br />

richiesti dalla condotta di occultamento, la quale, per<br />

converso, si presta a comprendere il rifiuto antidoveroso<br />

di esibire documenti, ancorché non accompagnato<br />

da ulteriore attività ingannatoria.<br />

4. Passando all’art. 2638 c.c., esso, come si diceva,<br />

prende in considerazione l’attività delle autorità pubbliche<br />

di vigilanza; nozione, questa, che include,<br />

(5)<br />

Tra gli altri, v. L. FOFFANI, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F. C. Palazzo e C.E. Paliero, sub art. 2625,<br />

p. 1836.<br />

30 1/<strong>2007</strong>


1/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

oltre alla CONSOB e alla Banca d’Italia, anche<br />

l’ISVAP, la COVIP, l’Autorità per la concorrenza e il<br />

mercato nonché l’Autorità per le garanzie nelle<br />

comunicazioni. Per converso, devono escludersi dal<br />

novero dei possibili soggetti attivi di cui parla l’art.<br />

2638 c.c., le autorità di regolazione del mercato, che<br />

sono intese principalmente al controllo della qualità<br />

dei prodotti e dei prezzi nell’interesse dei consumatori,<br />

come nel caso dell’Autorità di regolazione dei<br />

servizi di pubblica utilità (di cui alla legge 14<br />

novembre 1995, n. 481).<br />

Per opinione pacifica i primi due commi dell’art.<br />

2638 c.p. prevedono altrettante figure autonome di<br />

reato, l’una incentrata sulla condotta di false comunicazioni,<br />

l’altra sull’ostacolo alle funzioni pubbliche<br />

di vigilanza.<br />

Entrambe le fattispecie sono foriere di dubbi interpretativi,<br />

ai quali solo in minima parte si potrà fare<br />

qui riferimento a titolo esemplificativo.<br />

4.1. In effetti il delitto previsto dall’art. 2638,<br />

comma 1, c.c. descrive la condotta tipica ripercorrendo<br />

le cadenze della fattispecie di false comunicazioni<br />

sociali, di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c.<br />

L’affinità testuale tra le due figure di reato si coglie<br />

con evidenza soprattutto con riguardo alla prima<br />

modalità di esecuzione tipizzata dalla norma in<br />

esame, che consiste nell’esporre, nelle comunicazioni<br />

dirette alle autorità di vigilanza, fatti materiali non<br />

rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni,<br />

sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria<br />

dei sottoposti alla vigilanza, comprensiva dei<br />

beni gestiti.<br />

E’ noto come tale formulazione abbia spiazzato i<br />

primi commentatori. Essa, infatti, dava l’impressione<br />

di voler recuperare quella tesi risalente e largamente<br />

superata dalla giurisprudenza precedente alla<br />

riforma del 2002 (6) , secondo la quale sarebbe priva di<br />

rilevanza penale la falsità delle stime, in quanto le<br />

mere valutazioni estimative sono concettualmente<br />

diverse dalle falsità riguardanti “fatti”. Ebbene, nel<br />

testo vigente dell’art. 2638, comma 1, c.c., al pari di<br />

quanto accade negli artt. 2621 e 2622 c.c., il termine<br />

“fatto” non solo permane, ma risulta addirittura<br />

aggettivato, poiché si specifica che le falsità devono<br />

concernere “fatti materiali”. A complicare ulteriormente<br />

la questione provvede lo stesso legislatore il<br />

quale specifica che detti “fatti materiali non rispondenti<br />

al vero” possono anche essere “oggetto di valutazioni“.<br />

Di fronte a tanta contraddizione, l’interprete<br />

si estenua pensando a un rebus insolubile.<br />

Fortunatamente il prosieguo degli artt. 2621 e 2622<br />

c.c. aiuta a trovare una via d’uscita, valida, per<br />

ragioni sistematiche, anche per l’art. 2638, comma 1,<br />

c.c.: la previsione per il falso in bilancio di apposite<br />

soglie, al di sotto delle quali le stime non sono punibili,<br />

chiarisce che il significato da attribuire al concetto<br />

di “fatto materiale” è, più semplicemente, quello<br />

di presupposto o causale della valutazione. Ne<br />

consegue che, come sostenuto già sotto la vigenza<br />

della normativa abrogata, rimarr<strong>anno</strong> penalmente<br />

indifferenti unicamente le previsioni soggettive e le<br />

congetture del tutto svincolate da dati storici e oggettivi.<br />

Parimenti impervia risulta l’interpretazione della<br />

seconda modalità di realizzazione del delitto previsto<br />

dall’art. 2638, comma 1, c.c, che consiste nell’occultare<br />

con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in<br />

parte, fatti che i soggetti attivi avrebbero dovuto<br />

comunicare, concernenti la situazione economica,<br />

patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza.<br />

A prima vista la formulazione della norma sembra<br />

contenere un principio di contraddizione: mentre<br />

l’occultamento di fatti doverosi richiama la struttura<br />

dell’omissione, l’impiego di mezzi fraudolenti costituisce<br />

un contegno attivo. Per superare l’impasse,<br />

però, è sufficiente considerare che l’occultamento<br />

acquista rilevanza solo nel contesto di comunicazioni<br />

che, se si vuole evitare l’indeterminatezza della<br />

norma, devono assumersi come doverose, talché il<br />

delitto previsto dall’art. 2638, comma 1, c.c. non può<br />

esaurirsi in una mera omissione e in definitiva nel<br />

silenzio. Questi comportamenti possono rilevare, al<br />

più, come momenti omissivi di una condotta attiva,<br />

qual è certamente l’effettuazione di comunicazioni<br />

sociali, che, per via dell’occultamento, risultano in<br />

tutto o in parte non rispondenti al vero.<br />

Detto altrimenti: la verifica della tipicità deve muovere<br />

dalla funzione che, di volta in volta, assume il<br />

dovere di comunicazione stabilito dalla legge extrapenale.<br />

Così, per fare un esempio, ai sensi dell’art.<br />

115, comma 1, lett. a, del T.U. in materia di intermediazione<br />

finanziaria, la CONSOB, al fine di vigilare<br />

sulla correttezza delle informazioni fornite al pubblico,<br />

può richiedere agli emittenti quotati la comunicazione<br />

di notizie e documenti, fissandone le relative<br />

modalità. Va da sé che le notizie e la documentazione<br />

in questione sar<strong>anno</strong> soltanto quelle concernenti<br />

le informazioni fornite al pubblico in relazione<br />

alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria<br />

della società. E’ parimenti chiaro, però, che, per<br />

quanto precisa, la loro richiesta non potrà riguardare<br />

espressamente i documenti concernenti fatti ignoti<br />

alla CONSOB, ma rilevanti ai fini della sua funzione<br />

di vigilanza. La loro individuazione ed esibi-<br />

(6) Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, vol. I, Milano, 1999, p. 134; in giurisprudenza v. anche Cass. pen.,<br />

Sez. V, 14 dicembre 1994, Pozzo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, p. 905, con nota di G. Casaroli.<br />

DOTTRINA<br />

31


DOTTRINA<br />

zione graverà, pertanto, sul soggetto sottoposto alla<br />

vigilanza.<br />

E’ a questo proposito che assumono importanza le<br />

modalità fraudolente richieste, in aggiunta, dall’art.<br />

2638, comma 1, c.c.: a fini penali, non basta la mera<br />

omissione delle informazioni; ciò che rileva è altresì<br />

il modo in cui viene acconciato il silenzio antidoveroso,<br />

sì da renderlo fuorviante e ingannevole. In particolare,<br />

la connotazione fraudolenta della condotta<br />

andrà ravvisata in quelle modalità idonee a "sviare<br />

l’indagine o la verifica dell’Autorità", e a ostacolare,<br />

«per questa via, la funzione di vigilanza» (7) .<br />

4.2. Minori difficoltà interpretative sembra porre la<br />

fattispecie di ostacolo delle funzioni delle autorità<br />

pubbliche di vigilanza, prevista dall’art. 2638,<br />

comma 2, c.c. Essa ha portata residuale rispetto all’ipotesi<br />

speciale tipizzata dal primo comma della<br />

medesima disposizione e presenta una struttura causalmente<br />

orientata, in quanto incentrata sul consapevole<br />

ostacolo delle funzioni di vigilanza. La condotta<br />

assume rilevanza penale in qualsiasi modo venga<br />

realizzata, anche omettendo le comunicazioni dovute<br />

alle autorità pubbliche di vigilanza. L’art. 2638,<br />

comma 2, c.c. non precisa però l’oggetto delle comunicazioni<br />

doverose. Si ritiene di conseguenza che<br />

esse non debbano riguardare necessariamente la<br />

situazione economica, patrimoniale o finanziaria<br />

della società (8) . Ciò non significa però che l’art.<br />

2638, comma 2, c.c. sanzioni l’omissione di qualunque<br />

comunicazione doverosa, dovendo pur sempre<br />

trattarsi di una omissione che, per il suo oggetto,<br />

risulti idonea a ostacolare il concreto svolgimento<br />

della funzione di vigilanza.<br />

Come si anticipava, l’art. 170-bis t.u.f. prevede una<br />

nuova fattispecie di ostacolo alle funzioni di vigilanza,<br />

con particolare riferimento all’attività della<br />

CONBOB. Rispetto all’art. 2638 c.c., la cui operatività<br />

è fatta salva dalla clausola di riserva con cui si<br />

apre la nuova fattispecie penale, l’art. 170-bis t.u.f.<br />

ha una portata doppiamente residuale, poiché essa è<br />

destinata a contrastare le condotte di ostacolo poste<br />

in essere da soggetti diversi da quelli menzionati<br />

dalla norma codicistica. Infatti, a differenza di quest’ultima,<br />

che prevede un reato proprio, il nuovo<br />

reato finanziario è certamente comune.<br />

5. Spostando l’attenzione sul secondo polo della<br />

tematica, ossia sui reati dei soggetti controllori, va<br />

detto subito che qui le carenze della disciplina vigente<br />

sono ancora più evidenti. Il fronte dei reati propri<br />

è costituito, principalmente, da talune fattispecie<br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

che, nell’ampia rosa dei possibili soggetti attivi,<br />

includono anche i sindaci. Il riferimento è agli artt.<br />

2621, 2622, 2635 e 2638 c.c., cui si aggiunge l’art.<br />

2631 c.c. che prevede, come illecito amministrativo<br />

proprio degli amministratori e dei sindaci, l’omessa<br />

convocazione dell’assemblea. A queste fattispecie<br />

devono aggiungersi le ipotesi di bancarotta di cui<br />

agli artt. 223 e 224 della legge fallimentare.<br />

Va poi considerato il delitto di falsità nelle comunicazioni<br />

delle società di revisione contabile (art. 2624<br />

c.c.), quale reato proprio dei soggetti deputati a detta<br />

funzione. Questi ultimi possono rispondere anche<br />

dei due delitti previsti dagli artt. 177 e 178 t.u.f., in<br />

materia di illeciti rapporti patrimoniali con la società<br />

assoggettata a revisione e compensi illegali.<br />

Per la violazione dei doveri che non d<strong>anno</strong> luogo a<br />

specifici reati propri, possono operare le fattispecie<br />

che prevedono reati comuni, come la truffa, la quale<br />

esige, però, che la violazione dei doveri assuma le<br />

sembianze dell’attività ingannatoria e determini una<br />

disposizione patrimoniale (ad esempio l’acquisto di<br />

partecipazioni) produttiva di d<strong>anno</strong> anch’esso patrimoniale.<br />

Nel caso delle autorità pubbliche di vigilanza,<br />

la qualifica pubblicistica dei controllori può<br />

far scattare i più gravi delitti contro la pubblica<br />

amministrazione, e segnatamente le fattispecie di<br />

corruzione (art. 319 c.p.) e di abuso di ufficio (art.<br />

323 c.p.).<br />

5.1. Iniziando a considerare i reati propri dei sindaci,<br />

solo il delitto di ostacolo all’esercizio delle funzioni<br />

delle autorità pubbliche di vigilanza, di cui al citato<br />

art. 2638 c.c., attiene al controllo come bene giuridico.<br />

Non può trascurarsi però che nel contesto di tale<br />

reato i sindaci non rilevano come soggetti controllori,<br />

bensì come soggetti chiamati ad agevolare l’attività<br />

delle autorità pubbliche di vigilanza.<br />

Parimenti svincolati dalla logica del controllo sono i<br />

reati di bancarotta (artt. 223 e 224 l. fall.) e di false<br />

comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2662 c.c.): anche<br />

quando vengono realizzati dai sindaci, i primi offendono<br />

interessi patrimoniali, i secondi la trasparenza<br />

societaria, ossia l’interesse a una informazione<br />

societaria veritiera e completa. Quest’ultima può<br />

costituire al più il presupposto della funzione di controllo,<br />

rimanendone distinta.<br />

Semmai, indirettamente strumentale alla logica del<br />

controllo risulta l’assoggettamento a pena del sindaco<br />

infedele a seguito di dazione o promessa di utilità<br />

(art. 2635 c.c.). Infatti, il delitto di corruzione in<br />

atti privati, pur mirando alla tutela del patrimonio<br />

sociale, assoggetta a pena il compimento o l’omis-<br />

(7) Cfr. A. ALESSANDRI, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. Alessandri, Milano, 2002, p. 2597.<br />

(8)<br />

L. D. CERQUA, in Codice commentato delle nuove società, a cura di G. Bonfante, D. Corapi, G. Marziale, R. Rordorf, V. Salafia, sub art.<br />

2638, Milano, 2004, p. 1867.<br />

32 1/<strong>2007</strong>


1/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

sione di atti in violazione degli obblighi inerenti<br />

all’ufficio, i quali nel caso dei sindaci possono consistere<br />

nel dovere di controllo nei termini risultanti<br />

dalla legge civile.<br />

In breve: nella prospettiva della tutela penale del<br />

controllo, i reati propri dei sindaci svolgono una funzione<br />

secondaria.<br />

Peraltro, nonostante che l’art. 2639 c.c. abbia esteso<br />

i reati societari anche ai soggetti c.d. qualificati di<br />

fatto, non par dubbio che tale disposizione, pensata<br />

per lo più per gli amministratori, ben difficilmente<br />

potrà riguardare i sindaci, essendo inverosimile che<br />

un soggetto formalmente non investito della qualifica<br />

di sindaco si prenda la briga di esercitare “in<br />

modo continuativo e significativo” tutti i poteri tipici<br />

di quella delicata funzione (che comprendono i tre<br />

momenti “ricognitivo, “valutativo” e “dinamicocomminatorio”)<br />

(9) . Gli inconvenienti di una siffatta<br />

negotiorum gestio sarebbero evidenti, non anche i<br />

vantaggi. Ciò non significa affermare l’impossibilità<br />

empirica di applicare l’art. 2639 c.c. ai sindaci, ma<br />

solamente ammetterne l’operatività nei casi, certamente<br />

non frequenti, in cui il sindaco svolge la sua<br />

funzione in presenza di vizi di forma che impediscono<br />

di considerare valida la sua nomina (per esempio,<br />

per difetto di pubblicità ai sensi dell’art. 2400 c.c.) (10)<br />

.<br />

Non dovrebbe creare problemi, invece, l’estensione<br />

dei reati propri dei sindaci ai componenti del consiglio<br />

di sorveglianza e del comitato interno per il controllo<br />

sulla gestione. Invero, il disposto del nuovo<br />

art. 223-septies, comma 1, delle disposizioni transitorie<br />

relative al libro V del codice civile stabilisce<br />

che «le norme del codice civile che f<strong>anno</strong> riferimento<br />

agli amministratori e ai sindaci trovano applicazione,<br />

in quanto compatibili, anche ai componenti<br />

del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza,<br />

per le società che abbiano adottato il sistema<br />

dualistico, e ai componenti del consiglio di amministrazione<br />

e ai componenti del comitato interno per il<br />

controllo sulla gestione, per le società che abbiano<br />

adottato il sistema monista». Stante la matrice legislativa<br />

dell’equiparazione, e considerato che sotto il<br />

profilo della collocazione topografica le fattispecie<br />

penali societarie sono a tutti gli effetti “norme del<br />

codice civile”, non paiono esservi ostacoli a equiparare,<br />

anche ai fini penali, le nuove qualifiche soggettive<br />

a quelle tradizionali presenti nelle fattispecie<br />

incriminatrici. Per quel che concerne i sindaci, poi,<br />

l’equiparazione con i componenti del consiglio di<br />

sorveglianza e del comitato per il controllo della<br />

gestione risulta espressamente estesa, dal secondo<br />

comma del citato art. 223-septies, a tutte le leggi<br />

(9) N. PISANI, op. cit., p. 128.<br />

(10) N. PISANI, op. cit., p. 129.<br />

speciali.<br />

5.2. Passando ai reati dei revisori, deve preliminarmente<br />

osservarsi come la fattispecie di falsità nelle<br />

relazioni delle società di revisione contabile tuteli<br />

principalmente la trasparenza societaria e, nello sviluppo<br />

criminoso tipizzato dal secondo comma dell’art.<br />

2624 c.c., gli interessi patrimoniali dei destinatari<br />

delle comunicazioni.<br />

Un nesso con la funzione di controllo può cogliersi<br />

invece nella inclusione dei revisori tra i soggetti attivi<br />

della fattispecie di infedeltà a seguito di dazione o<br />

di promessa di utilità (art. 2635 c.c.). Infatti, la punizione<br />

dell’infedeltà dei revisori per il compimento o<br />

l’omissione di atti in violazione dei doveri d’ufficio,<br />

benché prioritariamente finalizzata alla tutela degli<br />

interessi patrimoniali della società, non può che giovare<br />

alla correttezza della funzione di controllo.<br />

Un notevole passo avanti è stato compiuto nella stessa<br />

direzione dalla previsione, ad opera della recente<br />

legge n. 262 del 2005, dall’art. 174-ter t.u.f., rubricato<br />

per l’appunto “Corruzione dei revisori”. Questa<br />

fattispecie, prevista per i revisori delle società quotate,<br />

non richiede, a differenza di quella prevista dall’art.<br />

2635 c.c., l’evento del nocumento per la società,<br />

limitandosi a punire il compimento o l’omissione<br />

di atti doverosi per denaro o per altra utilità data o<br />

promessa. Il quadro che ne deriva non è dei più<br />

coerenti, poiché la fattispecie prevista dall’art. 174ter<br />

combina l’arretramento della punibilità con una<br />

pena più elevata di quella prevista per la corruzione<br />

privata, che è incentrata sull’ulteriore requisito dell’offesa<br />

patrimoniale. Per converso, nella fattispecie<br />

codicistica è stata inserita, ad opera della legge n.<br />

262 del 2005, un’aggravante speciale che raddoppia<br />

la pena se si tratta di società quotate in borsa. Ne<br />

consegue che l’ipotesi aggravata di corruzione privata<br />

risulta speciale rispetto al delitto di cui all’art.<br />

174-ter t.u.f., ma la maggiore gravità dell’ipotesi<br />

speciale può essere vanificata dalla soccombenza di<br />

tale circostanza nel caso di attenuanti concorrenti<br />

ritenute prevalenti. In breve: l’innovazione destinata<br />

a rafforzare la repressione della corruzione privata<br />

nel caso di società quotate può consentire l’irrogazione<br />

di una pena in concreto più bassa dell’ipotesi,<br />

in astratto meno grave, prevista dall’art. 174-ter.<br />

Un’ambivalenza di tutela, analoga a quella già considerata<br />

in relazione all’art. 2635 c.c., si riscontra<br />

nella punizione degli illeciti rapporti patrimoniali dei<br />

revisori con la società assoggettata a revisione (consistenti<br />

nella contrazione di prestiti o nell’accettazione<br />

di garanzie per prestiti propri) nonché dei compensi<br />

illegali percepiti in aggiunta di quelli legitti-<br />

DOTTRINA<br />

33


DOTTRINA<br />

mamente pattuiti. In effetti le fattispecie previste<br />

dagli artt. 177 e 178 t.u.f., pur guardando alla tutela<br />

degli interessi patrimoniali della società, non trascurano<br />

di moralizzare l’indipendenza dei revisori e,<br />

indirettamente, la correttezza del loro operato.<br />

6. Allo scopo di compensare le carenze che affliggono<br />

l’attuale disciplina penale del controllo nelle<br />

società commerciali, parte della dottrina e della giurisprudenza<br />

amplia l’area della illiceità penale cui<br />

sono soggetti i controllori ricorrendo allo schema<br />

della responsabilità per l’omesso impedimento dell’evento<br />

(11) . In tal modo, si apre la via alla punizione<br />

del controllore dolosamente inerte per il reato<br />

commesso dal soggetto controllato. E ciò senza<br />

dovere accertare il previo accordo, in presenza del<br />

quale la responsabilità concorrente del controllore<br />

discenderebbe agevolmente dai principi generali.<br />

Com’è evidente, l’obiettivo perseguito non è solamente<br />

politico-criminale, poiché non si mira soltanto<br />

a rafforzare la funzione di controllo.<br />

L’imputazione dei controllori a titolo di omesso<br />

impedimento dell’evento comporta anche una significativa<br />

semplificazione probatoria, in quanto consente<br />

di ovviare alle difficoltà di accertamento del<br />

previo accordo criminoso. Ricorrendo allo schema<br />

della responsabilità del controllore a titolo di omissione<br />

impropria risulta sufficiente, una volta ravvisata<br />

in punto di diritto la dimensione oggettiva dell’omissione,<br />

la prova del dolo eventuale, la cui funzione<br />

è quella di ampliare la portata del precetto<br />

penalmente sanzionato, facendo scattare l’obbligo di<br />

impedimento in presenza del semplice dubbio che si<br />

realizzi il reato, seppure suffragato dalla percezione<br />

dei necessari “segnali di allarme”.<br />

Ora, la questione della responsabilità dei soggetti<br />

controllori per l’omesso impedimento del reato da<br />

parte dei soggetti controllati, è oltremodo controversa,<br />

anche perché tutt’altro che pacifica è l’interpretazione<br />

della clausola di equiparazione, a norma dell’art.<br />

40, comma 2, c.p., tra causazione e omesso<br />

impedimento dell’evento. Non può sfuggire, peraltro,<br />

che la responsabilità penale per omesso impedimento<br />

del reato commesso da terzi sia un’ipotesi di<br />

reato omissivo improprio del tutto particolare e<br />

ancora più complessa. Infatti mentre, di regola, il<br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

garante è chiamato a surrogarsi nella tutela del bene<br />

giuridico al titolare incapace di provvedervi, quando<br />

l’obbligo di garanzia si sostanzia nell’impedimento<br />

dell’altrui reato, il controllore non si surroga al titolare<br />

del bene, ma lo affianca nella misura in cui è<br />

dotato di poteri di tutela più efficaci, che gli consentano<br />

di intervenire a favore dell’integrità del bene,<br />

attraverso un’azione di contrasto che esprime la<br />

signoria del garante sull’attività aggressiva, se non<br />

addirittura sul suo autore. Solo a queste condizioni è<br />

possibile evitare che la punizione del garante, superando<br />

la misura di quanto da lui esigibile, si basi sul<br />

mero fatto altrui.<br />

Nonostante le incertezze che permeano l’intera<br />

materia, l’odierna dogmatica del reato omissivo<br />

improprio presenta alcuni punti largamente condivisi.<br />

Tra questi, in primo luogo, il necessario rispetto<br />

del principio di legalità, per il quale l’obbligo di<br />

garanzia, cui fa riferimento l’art. 40, comma 2, c.p.,<br />

deve discendere da una fonte abilitata a porlo. In<br />

secondo luogo, si conviene che di omesso impedimento<br />

dell’evento si può parlare solo se il soggetto<br />

gravato dall’obbligo ha i necessari poteri di impedimento<br />

(12) . Ebbene, quando l’evento da impedire è<br />

naturalistico, anche i poteri di impedimento devono<br />

misurarsi in termini naturalistici o di capacità tecnica.<br />

Nel campo societario, invece, una volta verificata<br />

l’esistenza dell’obbligo di garanzia, il potere di<br />

impedimento deve essere affermato e misurato in<br />

ragione degli strumenti giuridici disponibili da parte<br />

del controllore, verificando, cioè, se il corretto esercizio<br />

di questi ultimi consentiva di impedire la realizzazione<br />

del reato. Detto altrimenti: ciò che rileva<br />

non è la dimensione empirica e fattuale dei poteri<br />

dell’obbligato, ma il conferimento di poteri giuridicamente<br />

fondati (13) .<br />

In questa prospettiva, autorevole dottrina distingue<br />

tra autentici obblighi di garanzia, caratterizzati da<br />

poteri impeditivi e, come tali, idonei a far sorgere la<br />

responsabilità a titolo di omissione impropria, e meri<br />

obblighi di attivazione o sorveglianza, i quali non<br />

consentono detto epilogo, trattandosi di posizioni<br />

carenti di poteri impeditivi e caratterizzate, al più, da<br />

poteri di informazione sulla situazione di pericolo (14) .<br />

Sennonché l’adattamento di questa impostazione<br />

alla materia societaria non è privo di difficoltà,<br />

(11)<br />

Cfr.: Cass. pen., sez. fer., 31 agosto 1993, Minelli, in Cass. pen., 1994, 716 (in materia di costruzione abusiva); ID., sez. V, 28 febbraio<br />

1991, Cultrera, in Cass. pen., 1991, p. 1849 s.; ID., sez. V, 26 giugno 1990, Bordoni, in Giust. pen., 1991, II, 645 (in materia di bancarotta<br />

fraudolenta). In argomento, con varietà dei punti di vista, v.: F. STELLA, D. PULITANÒ, La responsabilità dei sindaci di società per azioni,<br />

in Riv. trim. dir. pen. econ., 1990, p. 557 s.; L.D. CERQUA, La responsabilità dei sindaci nelle società per azioni, in Giur. merito, 2003,<br />

p. 1919; N. PISANI, op. cit., p. 36 s.; G. MAZZOTTA, A, D’AVIRRO, op. cit., p. 130.<br />

(12)<br />

Con riferimento specifico ai poteri dei sindaci, che ad un tempo segnano il limite della garanzia da loro dovuta, F. STELLA, D. PULITANO’,<br />

op. cit., p. 563.<br />

(13)<br />

Di recente, v. N. PISANI, op. cit., p. 67.<br />

(14)<br />

F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, Padova, 2001, p. 169 s. I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo<br />

di sorveglianza, Torino, 1999, p. 14 s.<br />

34 1/<strong>2007</strong>


1/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

dovendosi ancora precisare quand’è che un potere<br />

d’intervento appartiene alla classe degli interventi<br />

impeditivi. Ebbene, se non si vuole banalizzare il<br />

concetto di poteri impeditivi, non sembra dubbio che<br />

dalla categoria in questione devono escludersi quei<br />

poteri il cui esercizio può produrre solamente un’influenza<br />

sulle decisioni del soggetto controllato, non<br />

bastando nemmeno che tale influenza, in casi analoghi,<br />

abbia indotto il soggetto controllato ad astenersi<br />

dall’illecito. In breve: siffatti “poteri deboli”, quand’anche<br />

coronati da successo, non sono impeditivi;<br />

tali, per converso, sono invece i poteri cui corrispondono<br />

doveri di conformazione, in quanto il loro esercizio<br />

produce effetti giuridici vincolanti sull’attività<br />

del soggetto controllato (15) , e più in generale i poteri<br />

di blocco dell’attività del controllato, come la revoca<br />

di quest’ultimo.<br />

Ne consegue che la verifica di tali posizioni d’obbligo<br />

va effettuata caso per caso, muovendo dalla disciplina<br />

extrapenale dei poteri conferiti ai singoli organi<br />

di controllo. A titolo esemplificativo, si prender<strong>anno</strong><br />

in considerazione la posizione d’obbligo del<br />

collegio sindacale e quella del consiglio di sorveglianza<br />

previsto dal d. lgs. 231 del 2001.<br />

6.1. Iniziando dalla funzione di controllo esercitata<br />

dai sindaci, deve osservarsi anzitutto che la loro<br />

posizione d’obbligo risulta alquanto ampia, specie<br />

ove la si desuma dall’art. 2403 c.c., che grava i sindaci<br />

del dovere di vigilanza sull’osservanza della<br />

legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta<br />

amministrazione e in particolare sull’adeguatezza<br />

dell’assetto organizzativo, amministrativo e<br />

contabile adottato dalla società e sul suo concreto<br />

funzionamento. Questa norma, però, è generica:<br />

mentre parla dell’oggetto del controllo in termini<br />

onnicomprensivi, non specifica i destinatari della<br />

funzione di controllo, la qual cosa è essenziale ai fini<br />

dell’impedimento dell’altrui fatto penalmente illecito.<br />

Per questa ragione parte della dottrina, allo scopo<br />

di riaffermare nell’ambito del reato omissivo improprio<br />

la prioritaria istanza della legalità, preferisce far<br />

riferimento all’art. 2407, comma 2, c.c., che delimita<br />

il controllo dei sindaci esclusivamente all’attività<br />

svolta dagli amministratori nell’amministrazione in<br />

senso stretto, con esclusione, dunque, dei reati commessi<br />

da soggetti diversi, come i direttori generali<br />

nelle s.p.a. (16) .<br />

Quanto ai poteri decisionali dei sindaci, essi sono<br />

stati oggetto di parziale riforma da parte del d. lgs. n.<br />

6 del 2003 c.c. Non ne è stata modificata, invece, la<br />

titolarità: si tratta di poteri, infatti, che spettano<br />

(15) Riconduce i poteri impeditivi allo schema della potestà, N . PISANI, op. cit., p. 69 s.<br />

(16) Cfr. F. STELLA, D. PULITANÒ, op. cit., p. 560.<br />

(17) Diversamente, F. STELLA, D. PULITANÒ, op. cit., p. 562.<br />

all’organo collegiale, non ai singoli sindaci, sui quali<br />

grava l’obbligo di riferire al collegio. Non solo: il<br />

sindaco dissenziente non ha poteri di blocco dell’eventuale<br />

attività illecita del collegio, né può sbloccarne<br />

l’eventuale inerzia.<br />

Venendo a una rassegna di tali poteri di intervento,<br />

essi non corrispondono appieno alla fisionomia del<br />

potere impeditivo di cui è detto sopra.<br />

Per esempio, nella relazione sulla proposta di bilancio,<br />

ex art. 2429, comma 3, c.c., i sindaci possono<br />

denunciare irregolarità contabili; ma tale potere di<br />

denuncia anche se empiricamente può esercitare una<br />

funzione dissuasiva (inducendo alla non approvazione<br />

del bilancio e scongiurando conseguentemente il<br />

perfezionamento del reato di cui agli artt. 2621 e<br />

2622 c.c.), non impedisce di per sé l’attività penalmente<br />

illecita degli amministratori (17) . Ciò non toglie<br />

che le falsità eventualmente presenti in detta relazione<br />

possano costituire autonoma fonte di responsabilità<br />

per i sindaci, posto che la loro relazione è certamente<br />

una comunicazione sociale diretta ai soci,<br />

come tale suscettibile di integrare le fattispecie di cui<br />

ai citati artt. 2621 e 2622 c.c.<br />

Analogamente deve dirsi del potere di denuncia al<br />

tribunale ex art. 2409, ultimo comma, c.c., che è<br />

stato aggiunto dalla recente riforma del 2003 c.c. La<br />

denuncia, infatti, ha di regola una funzione repressiva<br />

nei confronti di fatti già accaduti; per il resto l’efficacia<br />

deterrente collegata all’eventualità del suo<br />

esercizio è un dato empirico, non la funzione precipua<br />

del potere di intervento conferito al collegio sindacale.<br />

Da ultimo deve considerarsi che, anche a<br />

voler riconoscere al potere di attivazione dell’autorità<br />

giudiziaria un’efficacia impeditiva, essa comunque<br />

non è diretta bensì mediata: l’impedimento finisce<br />

per dipendere cioè dal fatto del terzo.<br />

Non dissimili rilievi valgono per i poteri di controllo<br />

che si sostanziano in un intervento sostitutivo,<br />

come nel caso della convocazione dell’assemblea a<br />

norma dell’art. 2406, comma 2, c.c., o ai sensi dell’art.<br />

2408, comma 2, c.c., in presenza di fatti censurabili.<br />

Essi non costituiscono attività direttamente<br />

impeditive, come non ha funzione impeditiva la<br />

sostituzione degli amministratori ex art. 2386,<br />

comma 4, c.c.<br />

Un potere di impedimento è ravvisabile, invece, in<br />

capo al consiglio di sorveglianza nel caso di adozione<br />

del sistema dualistico. Quest’organo, infatti, può<br />

revocare i componenti del consiglio di gestione a<br />

norma dell’art. 2409-terdecies lett a), determinando<br />

il blocco della loro eventuale attività penalmente<br />

illecita. Semmai, ai fini dell’affermazione della<br />

DOTTRINA<br />

35


DOTTRINA<br />

36<br />

responsabilità penale dell’organo di controllo, è<br />

necessario l’effettivo riconoscimento del pericolo di<br />

reato. Solo in presenza di una siffatta consapevolezza<br />

il provvedimento di revoca può rilevare come<br />

modalità di impedimento del reato degli amministratori.<br />

I controllori devono essere a conoscenza cioè<br />

della situazione fattuale che accredita il pericolo di<br />

reato, non bastando per la sussistenza del dolo di<br />

omissione la semplice riconoscibilità di detto presupposto.<br />

La riconoscibilità, infatti, è un parametro<br />

normativo tipico della responsabilità colposa. Essa,<br />

dunque, potrà operare come elemento indiziante la<br />

consapevolezza dei controllori circa il pericolo di<br />

reato, non come elemento costitutivo della responsabilità<br />

per omesso impedimento dell’evento.<br />

6.2. Quanto alla responsabilità penale dei membri<br />

dell’organismo di vigilanza, deve osservarsi che tale<br />

organismo è il centro di confluenza di flussi informativi,<br />

dai quali può evincersi il pericolo di reati; è<br />

fornito altresì di poteri sanzionatori e di denuncia,<br />

che di regola non assurgono a livello di autentici<br />

poteri impeditivi nel senso che si è precisato. Ciò<br />

non esclude che appositi poteri di “blocco” possano<br />

essergli conferiti in base al tipo di modello organizzativo<br />

e gestionale adottato dall’ente.<br />

Ad ogni modo, la questione in esame ruota principalmente<br />

intorno alla possibilità o meno di ravvisare<br />

nel modello organizzativo una valida fonte dell’obbligo<br />

di impedimento del reato. A sua volta, e in termini<br />

più generali, il problema dipende dall’inclusione<br />

o meno della regolamentazione privata nel novero<br />

delle fonti del dovere di agire penalmente rilevante,<br />

tale essendo la normativa interna all’ente che dà<br />

vita ai modelli organizzativi. Ebbene, se – come pare<br />

preferibile – si ritiene che la volontà privata (espressa<br />

nella cornice contrattuale e, a fortiori, in forme<br />

non negoziali) non possa creare nuovi obblighi<br />

penalmente sanzionabili, ma soltanto “spostare” su<br />

altri centri di imputazione l’esecuzione di una preesistente<br />

“posizione di garanzia” (18) , si deve concludere<br />

per l’esclusione di un dovere di impedire il<br />

reato in capo all’organismo di vigilanza (ma il discorso<br />

vale mutatis mutandis anche per l’internal<br />

auditing), la cui costituzione è facoltativa al pari dell’adozione<br />

di un valido modello.<br />

Naturalmente, l’inesistenza di tale posizione d’obbligo<br />

ed eventualmente la mancanza dei necessari<br />

poteri impeditivi in capo all’organismo di vigilanza<br />

non esime l’ente dalla responsabilità per il reato<br />

commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, ai<br />

sensi del d. lgs. 231 del 2001.<br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

7. Dal complesso dei rilievi svolti emerge che la<br />

tutela penale del controllo è strettamente legata al<br />

potenziamento di questa importante funzione sul<br />

piano ordinamentale. Segnatamente nel campo economico,<br />

l’intervento punitivo obbedisce alla logica<br />

della sussidiarietà: si sviluppa cioè lungo la trama<br />

del diritto extrapenale, che disciplina i fenomeni in<br />

prima battuta. Sotto questo profilo il diritto penale è<br />

attività normativa secondaria, non perché meno<br />

importante, ma perché opera aggiuntivamente.<br />

L’intervento punitivo costituisce, infatti, il posterius<br />

logico, ancorché non necessariamente cronologico,<br />

della disciplina civilistica e amministrativa del fenomeno<br />

economico (19) .<br />

Vero ciò, non spetta all’interprete corrispondere<br />

all’istanza di un controllo più efficace. Né può condividersi<br />

la giurisprudenza che mira a compensare la<br />

“debolezza” dell’organo di controllo, collegialmente<br />

povero di poteri impeditivi, spostando sui singoli<br />

componenti il compito di ingegnarsi al fine di impedire<br />

la commissione del reato da parte del soggetto<br />

controllato.<br />

La parola ultima è dunque del legislatore. E de iure<br />

condendo il potenziamento della funzione di controllo<br />

potrebbe validamente avvenire lungo una triplice<br />

direttrice. Innanzitutto, appare necessario l’incremento<br />

dei poteri autenticamente impeditivi conferiti<br />

al soggetto controllore, la cui presenza nel<br />

sistema finirebbe per ampliare, indirettamente ma in<br />

modo significativo, l’ambito della responsabilità<br />

penale del controllore ex art. 40, comma 2, c.p. In<br />

secondo luogo, andrebbe regolato in modo più organico<br />

il dovere di collaborare al controllo da parte dei<br />

soggetti controllati, prevedendo sanzioni amministrative<br />

(all’occorrenza interdittive) nel caso di sua<br />

violazione. Un’efficace funzione di controllo presuppone<br />

che il soggetto controllore non soltanto<br />

possa svolgere attività ricognitive, ma sia anche<br />

destinatario naturale di un adeguato flusso di informazioni.<br />

Infine, un aspetto non secondario è quello<br />

del presidio dell’indipendenza dell’organo controllore,<br />

che andrebbe assicurato con fattispecie intese a<br />

colpire (anche con sanzioni interdittive) la commistione<br />

degli interessi tra organo controllore e soggetto<br />

controllato.<br />

(18) Con riferimento al contratto, v. per tutti F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975, 190 s.<br />

Analogamente, v. F. GIUNTA, La fattispecie oggettiva del reato omissivo improprio: la posizione di garanzia, in Dir. pen. proc., 1999, 620 s.<br />

(19) Amplius, F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, Torino, 2004, p. 8 s.<br />

1/<strong>2007</strong>


1/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Procedura Penale<br />

CONFLITTO NEGATIVO DI COMPETENZA<br />

Trib. Caltanissetta – Sez. Riesame – ord. 1 febbraio <strong>2007</strong><br />

Esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/91 va dunque dichiarata l’incompetenza del GIP presso il Tribunale<br />

di Caltanissetta, essendo i fatti contestati commessi in Leonforte e non sussistendo alcuna ipotesi di connessione coi<br />

reati di competenza del giudice individuato a norma dell’art. 328 comma 1 bis c.p.p.. Va disposta a tal fine la trasmissione<br />

degli atti al P.M. procedente, ai sensi degli artt. 22 e 27 c.p.p.<br />

P.Q.M.<br />

Visti gli artt.309 C.p.p., 22 e 27 C.p.p., in parziale accoglimento della richiesta di riesame, conferma l’ordinanza<br />

emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Caltanissetta in data 12.1.<strong>2007</strong>, con la quale è stata disposta l’applicazione<br />

nei confronti di S.N. della misura cautelare della custodia in carcere, un relazione ai capi A) e B), con esclusione<br />

dell’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/91.<br />

Dichiara l’incompetenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, essendo i fatti<br />

commessi in Leonforte.<br />

Dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero procedente.<br />

Trib. Nicosia – Uff. g.i.p. – ord. 21 febbraio <strong>2007</strong><br />

Competente nella fase cautelare, malgrado la ritenuta insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7<br />

legge 203/91 da parte del GIP o del Tribunale del riesame […] rimane il G.I.P. di Caltanissetta ex artt. 328 comma 1<br />

bis e 51 comma 3 bis c.p.p. [...]. Quanto sopra esposto appare avvalorato dalla considerazione che, soprattutto in una<br />

fase quale quella delle indagini preliminari caratterizzata dalla fluidità e provvisorietà delle incolpazioni, non è<br />

necessario che le indagini svolte abbiano consentito di conseguire un grado indiziario idoneo a sostenere l’applicazione<br />

di una misura cautelare, ma è sufficiente che i reati o le aggravanti che radicano la competenza ai sensi dell’art.<br />

328, comma 1 bis, c.p.p. emergano dalla notitia criminis e siano comprovati dal titolo di iscrizione nel registro<br />

di cui all’art. 335 c.p.p.; diverse conclusioni, infatti si porrebbero in contrasto con la stessa ratio dell’art. 51, comma<br />

Competenza del g.i.p. distrettuale e potere del Tribunale del<br />

Riesame di declaratoria di incompetenza con trasmissione<br />

degli atti al p.m. procedente<br />

di ONES BENINTENDE<br />

Le ordinanze in commento trattano il caso di soggetti indagati<br />

per reati di usura, con l’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91<br />

per aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui<br />

all’art. 416 bis del codice penale.<br />

Trattandosi di fatti commessi in Leonforte ed Agira, il locus<br />

commissi delicti radicherebbe la competenza ordinaria in<br />

capo al Tribunale di Nicosia, tuttavia la contestata aggravante<br />

(art. 7 L. 203/91) ha -secondo le previsioni di cui all’art.<br />

51 co. 3 bis C.p.p.- in una prima fase determinato l’esercizio<br />

delle funzioni di pubblico ministero da parte dell’ufficio<br />

distrettuale, conseguentemente le funzioni di giudice per le<br />

indagini preliminari e della misura sono state esercitate - ex<br />

art. 328 co. 1 bis C.p.p. - dal G.I.P. presso il Tribunale di<br />

Caltanissetta (capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede<br />

il giudice competente), Giudice che ha emesso l’ordinanza<br />

applicativa della misura coercitiva della custodia cautelare in<br />

carcere sulla scorta di precisi e circostanziati capi di accusa.<br />

Proposto gravame ex art. 309 C.p.p. il Tribunale del riesame,<br />

su specifica eccezione della difesa, ha escluso l’aggravante di<br />

cui all’art. 7 L. 203/91 e ritenuto insussistente l’ipotesi di connessione<br />

coi reati di competenza del G.I.P. distrettuale, indi ha<br />

dichiarato l’incompetenza del G.I.P. presso il Tribunale di<br />

Caltanissetta e disposto la trasmissione degli atti al P.M. procedente,<br />

ai sensi degli artt. 22 e 27 C.p.p.<br />

La Procura distrettuale ha, conseguentemente, trasmesso gli atti<br />

alla Procura presso il Tribunale di Nicosia che, a sua volta, ha<br />

richiesto al G.I.P. del medesimo Tribunale l’applicazione della<br />

misura coercitiva sulla scorta dei medesimi capi di accusa formulati<br />

dal primo P.M.<br />

Il G.I.P. presso il Tribunale di Nicosia ha adottato il provvedimento<br />

riepilogato in epigrafe, confermando la misura e sollevando<br />

conflitto negativo di competenza con rimessione degli<br />

atti alla Corte di Cassazione.<br />

La questione giuridica è di notevole interesse e suffragata da<br />

distinti arresti giurisprudenziali che giova richiamare.<br />

La decisione del Tribunale del Riesame trova pieno e condivisibile<br />

riscontro in più decisioni in cui la Corte Regolatrice<br />

ha sancito che “Rientra nelle attribuzioni del tribunale del<br />

riesame verificare anche la competenza territoriale del g.i.p.<br />

che ha emesso il provvedimento applicativo della misura cautelare,<br />

giacchè la legittimità di detto provvedimento implica<br />

anche il rispetto delle norme sulla co mpetenza. Nel caso in<br />

cui queste ultime norme risultino violate, il tribunale, dichiarata<br />

l’incompetenza, deve trasmettere gli atti al giudice competente<br />

ai sensi dell’art. 27 c.p.p. (Cass. sez. III, 7 settembre<br />

1999 – 28 settembre 1999, n. 2787, CED 214519; Cass., 30<br />

novembre 1998, Da uria, CP 00,440; Cass. 18 aprile 2002,<br />

CED 221924) che dovrà adottare le sue determinazioni nei<br />

venti giorni successivi; tale dichiarazione di competenza ha<br />

rilevanza limitatamente allo specifico atto. (Cass., 30 settembre<br />

1992, Ceccantoni, CP 94, 966; Cass. Sez. IV, 21 giugno<br />

2005 – 10 agosto 2005, n. 30328, CED 232027).<br />

Ancora: “Una volta riconosciuta in sede di riesame l’incompetenza<br />

del giudice che ha adottato una misura coercitiva, il<br />

Tribunale non può pronunciare annullamento né riforma del<br />

SEGNALAZIONI<br />

37


SEGNALAZIONI<br />

Procedura Penale<br />

3 bis, c.p.p. e ne determinerebbero una inammissibile perdita di sostanziale efficacia poiché impedirebbero alla<br />

D.D.A., in siffatte ipotesi, di svolgere doveroso approfondimento investigativo [...];<br />

Ritenuto quindi ricorrente ai sensi dell’art. 28 commi 1 e 2 c.p.p. un’ipotesi di conflitto negativo di competenza tra il<br />

G.I.P. presso il Tribunale di Caltanissetta, incompetente sulla base di quanto affermato dal Tribunale del Riesame e<br />

vincolato dalla decisione di quest’ultimo, ed il G.I.P. presso il Tribunale di Nicosia, e che pertanto deve proporsi conflitto<br />

di competenza innanzi alla Suprema Corte di Cassazione;<br />

P.Q.M.<br />

Applica a S.N. la misura della custodia cautelare in carcere;<br />

visti gli artt. 22 e 28 e ss c.p.p., 51 comma 3 bis e 328 comma 1 bis, dichiara l’incompetenza del giudice per le indagini<br />

preliminari presso il Tribunale di Nicosia in relazione ai reati di cui in epigrafe nei confronti dei predetti indagati,<br />

essendo competente il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, e per l’effetto<br />

dichiara il conflitto negativo di competenza tra il g.i.p. di Nicosia ed il g.i.p. di Caltanissetta; rimette gli atti alla<br />

Suprema Corte di Cassazione affinché la stessa dichiari la competenza a trattare il presente procedimento del G.I.P.<br />

presso il Tribunale di Caltanissetta quale Tribunale del capoluogo del Distretto nel cui ambito ha sede il Giudice competente;<br />

manda alla Cancelleria per gli ulteriori adempimenti di competenza.<br />

provvedimento impugnato, ma, dopo averlo confermato, deve<br />

provvedere ai sensi dell’art. 27 c.p.p. (Cass., sez. VI, 16 maggio<br />

2005 – 14 giugno 2005, n. 22480, CED 232237).<br />

Una ulteriore riflessione sull’argomento vale aggiungere con<br />

riferimento al fatto che i provvedimenti del G.I.P. e del<br />

Tribunale del riesame si saldano tra loro, tant’è che il tribunale<br />

può pronunciare in sostituzione del giudice della misura<br />

l’incompetenza ai sensi dell’art. 22 c.p.p., conseguentemente<br />

si rende applicabile la previsione di cui all’art. 291 co. 2°<br />

c.p.p. e, quindi, il meccanismo processuale previsto dall’art.<br />

27 c.p.p. ivi richiamato.<br />

Di diverso avviso è il G.I.P. presso il Tribunale di Nicosia che,<br />

dall’altro canto, ha ancorato la sua decisione ad un recente<br />

arresto del Supremo Collegio che sancisce: “E’ principio<br />

generale –valido sia per il processo penale che per quello civile-<br />

che la questione, pregiudiziale diritto, della competenza<br />

(in questo caso, per territorio) si decide sulla base della prospettazione:<br />

e cioè, della configurazione del fatto portato a<br />

conoscenza del giudice ad opera dell’organo requirente, o<br />

della parte privata, che richiede il provvedimento, qualunque<br />

ne sia la natura. E’ sulla base di essa che va quindi valutata,<br />

in via preliminare, l’esattezza del criterio identificativo e del<br />

giudice competente. In particolare, nella fase genetica della<br />

misura cautelare (che presuppone la verifica di tutti i presupposti,<br />

di diritto e di merito per l’emissione, senza preclusione<br />

alcuna) il GIP può, pertanto, dissentire sulla sussistenza dei<br />

gravi indizi di colpevolezza in ordine all’ipotesi di reato prospettata,<br />

anche solo sotto il profilo del nomen iuris attribuito<br />

dall’organo requirente; e in questo caso, qualora ritenga ravvisabile<br />

un diverso reato, implicante la competenza di altro<br />

giudice, negherà il provvedimento richiesto, salvo il potere di<br />

provvedere in via interinale, d’urgenza ex art. 291 , secondo<br />

comma, e 27 c.p.p.<br />

Diverse sono invece le conseguenze “in subiecta materia”,<br />

ove l’infondatezza (nel merito) e l’ipotesi accusatoria sia<br />

dichiarata in sede di gravame, con contestuale riqualificazione<br />

giuridica del fatto: operazione sempre ammissibile, rien-<br />

La pronuncia è pubblicata in www.personaed<strong>anno</strong>.it con nota<br />

di M. Maniscalco, riportata in questa rivista, p. 19.<br />

trando nel potere-dovere del giudice di vagliare la conformità<br />

al diritto della decisione impugnata, al suo esame [...] il<br />

giudice del gravame potrà limitarsi ad una pronuncia rescindente<br />

nel merito [...] oppure di conferma, salva la riqualificazione<br />

giuridica del fatto [...] sempre e comunque con una pronuncia<br />

di merito e non di incompetenza.<br />

A fortori tale principio trova applicazione in tema di procedimento<br />

di libertà, in cui le valutazioni sono formulate allo stato<br />

degli atti e non incidono, per definizione, sulla competenza<br />

del processo principale, essendo tutt’ora in corso le indagini<br />

preliminari sull’ipotesi accusatoria formulata dal pubblico<br />

ministero. (Cass. 29.4.06 n. 24492; 8.11.06 n. 2903; 28.6.99<br />

n. 2828).<br />

In definitiva il G.I.P. nicosiano ha aderito all’orientamento<br />

giurisprudenziale secondo cui in una fase - quale quella delle<br />

indagini preliminari - caratterizzata dalla fluidità e provvisorietà,<br />

è sufficiente che i reati o le aggravanti che radicano la<br />

competenza ai sensi dell’art. 328 co. 1 bis c.p.p. emergano<br />

dalla notitia criminis e siano comprovati dal titolo di iscrizione<br />

nel registro di cui all’art. 335 C.p.p., poiché diverse conclusioni<br />

–ha in buona sostanza ritenuto il g.i.p.- contrasterebbero<br />

con la ratio dell’art. 51 co. 3 bis c.p.p. determinandone<br />

perdita di sostanziale efficacia poiché impedirebbero alla<br />

D.D.A., in siffatte ipotesi, di svolgere doveroso approfondimento<br />

investigativo.<br />

Com’è evidente si tratta di interpretazioni opposte, entrambe<br />

pregevoli, tuttavia l’orientamento per ultimo richiamato<br />

lascia residuare forti perplessità sulla deminutio che determinerebbe<br />

nei poteri del Tribunale del riesame, le cui ampie<br />

attribuzioni implicano anche la verifica della legittimità del<br />

provvedimento sub judice sul piano delle norme sulla competenza,<br />

oltre che riguardo al merito, coerentemente con l’omologo<br />

potere del G.I.P. (cui il provvedimento del Tribunale del<br />

riesame si “salda”) che ex art. 291 co. 2 C.p.p. può dichiararsi<br />

incompetente.<br />

38 1/<strong>2007</strong>


Sezione di<br />

legislazione,<br />

giurisprudenza<br />

e dottrina<br />

Invio materiale<br />

RIVISTA<br />

DELL’<br />

Rivista dell'Avvocatura<br />

c/o Consiglio dell'ordine degli Avvocati<br />

Palazzo di Giustizia 93100 Caltanissetta<br />

E-mail: rivistavvocaturacl@tiscali.it<br />

AVVOCATURA<br />

Diritto civile e amministrativo: all’attenzione di<br />

Marcello Mancuso<br />

Diritto e procedura penale: all’attenzione di Marzia<br />

Maniscalco<br />

E' fortemente raccomandato l'invio di e-mail con allegati<br />

in formato Word.<br />

Legislazione<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Aggiornamento normativo<br />

a cura di V. LIMUTI<br />

Giurisprudenza<br />

<strong>Dott</strong>rina<br />

Sommario<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Osservatorio della Corte di cassazione<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANISCALCO eM.AMBRA<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANCUSO<br />

La sentenza per esteso<br />

Diritto Penale<br />

F. GIUNTA, Il “falso in bilancio” alla luce della<br />

riforma del “risparmio”<br />

Segnalazioni<br />

02/<strong>2007</strong><br />

p. 39<br />

p. 41<br />

p. 50<br />

p. 54<br />

p. 59<br />

p. 64<br />

Procedura Penale<br />

O. BENINTENDE, Competenza del g.i.p. distrettuale<br />

e poteri del Tribunale del riesame p. 68


Diritto e Procedura Civile<br />

AGGIORNAMENTO NORMATIVO<br />

a cura di VANIA LIMUTI<br />

Legge 8 febbraio 2006, n. 54 - Disposizioni in<br />

tema di separazione dei genitori ed affidamento<br />

condiviso dei figli. (G.U. 1 marzo 2006, n. 50)<br />

La recente Legge n.54/2006 ha inteso innovare la<br />

portata del vecchio art. 155 c.c introducendo il concetto<br />

di affidamento condiviso.<br />

Tale nuova formulazione ha conformato la legislazione<br />

italiana a quella internazionale, nella quale<br />

tale concetto è già presente (sin dal 1991 in<br />

Inghilterra, 1993 Francia, 1998 Olanda e Germania<br />

etc.), ed ha tenuto presente la diversa maturità culturale<br />

raggiunta dal nostro ordinamento, che ha<br />

coinvolto la mutata valutazione dello scioglimento<br />

del vincolo matrimoniale, e della posizione della<br />

prole rispetto a tale evenienza<br />

L’articolo 155 del codice civile è dunque sostituito<br />

dal seguente:<br />

"Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli).<br />

Anche in caso di separazione personale dei genitori<br />

il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto<br />

equilibrato e continuativo con ciascuno di<br />

essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da<br />

entrambi e di conservare rapporti significativi con<br />

gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.<br />

Per realizzare la finalità indicata dal primo<br />

comma, il giudice che pronuncia la separazione<br />

personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi<br />

alla prole con esclusivo riferimento all’interesse<br />

morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente<br />

la possibilità che i figli minori restino affidati<br />

a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale<br />

di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le<br />

modalità della loro presenza presso ciascun genitore,<br />

fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno<br />

di essi deve contribuire al mantenimento,<br />

alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.<br />

Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli,<br />

degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni<br />

altro provvedimento relativo alla prole.<br />

La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i<br />

genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i<br />

figli relative all’istruzione, all’educazione e alla<br />

salute sono assunte di comune accordo tenendo<br />

conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e<br />

delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la<br />

decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle<br />

2/<strong>2007</strong><br />

decisioni su questioni di ordinaria amministrazione,<br />

il giudice può stabilire che i genitori esercitino<br />

la potestà separatamente.<br />

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle<br />

parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento<br />

dei figli in misura proporzionale al proprio<br />

reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la<br />

corresponsione di un assegno periodico al fine di<br />

realizzare il principio di proporzionalità, da determinare<br />

considerando:<br />

1) le attuali esigenze del figlio;<br />

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di<br />

convivenza con entrambi i genitori;<br />

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;<br />

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;<br />

5) la valenza economica dei compiti domestici e di<br />

cura assunti da ciascun genitore.<br />

L’assegno è automaticamente adeguato agli indici<br />

ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle<br />

parti o dal giudice.<br />

Ove le informazioni di carattere economico fornite<br />

dai genitori non risultino sufficientemente documentate,<br />

il giudice dispone un accertamento della<br />

polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della<br />

contestazione, anche se intestati a soggetti diversi".<br />

La ratio normativa della nuova formulazione dell'art.<br />

155 c.c è la percezione della profonda diversità<br />

tra il rapporto di coniugio ed il rapporto di filiazione.<br />

La separazione è - e deve rimanere - un evento<br />

confinato ai rapporti tra i genitori, e non deve coinvolgere<br />

il rapporto tra genitori e figli.<br />

L'articolo sottolinea la centralità dell'interesse del<br />

minore e conferma, concretizzandolo , il suo diritto<br />

alla bigenitorialità.<br />

Ciò che si individua immediatamente nella nuova<br />

formulazione rispetto alla precedente, è l'inversione<br />

del rapporto tra regola ed eccezione; sicché oggi la<br />

regola è l'affidamento condiviso del minore, e l'<br />

eccezione quello esclusivo.<br />

Anche la precedente formulazione normativa prevedeva<br />

la possibilità dell'affidamento congiunto o<br />

alternato, ma la previsione era rimasta quasi assolutamente<br />

inapplicata nella prassi, e non trovava<br />

riscontro e conferma nel resto della legislazione.<br />

Con il nuovo assetto, invece, tutto l'edificio normativo<br />

tiene conto della centralità dell'affidamento<br />

congiunto, prevedendo, ad esempio, specifiche<br />

norme a tutela del coniuge (in genere il marito) non<br />

convivente con il minore.<br />

LEGISLAZIONE<br />

39


LEGISLAZIONE<br />

Per comprendere appieno la innovatività della<br />

norma, nella sua formulazione teorica, bisogna partire<br />

dalla differenza tra esercizio della potestà ed<br />

affidamento: l'affidamento, infatti, individua la persona<br />

che deve esplicare le sue cure materiali nei<br />

confronti del minore, mentre l'esercizio della potestà<br />

implica il potere-dovere di assumere decisioni,<br />

e formulare le scelte relative all'indirizzo da imprimere<br />

alla vita del minore medesimo.<br />

Con l'affidamento condiviso l'esercizio della potestà<br />

deve essere esercitato da entrambi i genitori,<br />

salvo, per snellire i tempi, ed evitare il conflitto<br />

anche sulle questioni di poca rilevanza, la possibilità<br />

di esercitare la potestà separatamente.<br />

Con l'affidamento esclusivo, invece, la potestà<br />

rimane in capo ad entrambi i genitori, ma il suo<br />

esercizio viene conferito al genitore affidatario, con<br />

la possibilità per l'altro di intervenire per le decisioni<br />

più rilevanti.<br />

Oggi il giudicante deve disporre l'affidamento congiunto,<br />

salvo quanto previsto dall'art. 155 bis c.c..<br />

Nell'attuazione concreta di questi principi, la norma<br />

dà importanza determinante alla volontà delle parti,<br />

che, d'accordo tra di loro, possono disciplinare le<br />

modalità di esercizio dell'affidamento congiunto ed<br />

i relativi aspetti patrimoniali.<br />

Il Giudice potrà però intervenire qualora ritenga gli<br />

accordi pregiudizievoli per il minore.<br />

Comincia a formarsi la prima Giurisprudenza, che<br />

sta fissando alcuni paletti in determinati ambiti.<br />

Con specifico riferimento alla coabitazione della<br />

prole, si evince ad esempio una tendenziale contrarietà<br />

dei giudici alla coabitazione alternata o periodica<br />

del minore ora con l'uno, ora con l'altro genitore;<br />

e ciò in quanto si ritiene che lo stesso abbia<br />

diritto e bisogno di avere uno stabile habitat, che gli<br />

consenta di crescere in modo equilibrato (Trib<br />

Mess. 18-07-2006, Trib. Bari Sez. I, 21-03-2006);<br />

tuttavia ciò non impedisce di disciplinare variamente,<br />

a seconda delle esigenze concrete, la permanenza<br />

diversificata del minore con l'uno o con<br />

l'altro genitore (Trib.Catania 21-07-2006; Trib.<br />

Messina 18-07-2006).<br />

Ben si comprende come non possano fissarsi in<br />

maniera aprioristica e statica i dettagli di un progetto<br />

di vita, e come questi debbano di volta in<br />

volta essere individuati in relazione al caso concreto.<br />

Sul mantenimento dei figli l'art. 155 c.c fissa in<br />

modo dettagliato i criteri da seguire al fine della sua<br />

determinazione.<br />

Diritto e Procedura Civile<br />

In tema di separazione personale dei coniugi l'affidamento<br />

congiunto dei figli minori non comporta<br />

automaticamente un pari e diretto obbligo di mantenimento<br />

a carico di ciascun genitore, e pertanto<br />

non esclude che il versamento di un assegno possa<br />

essere previsto a favore del genitore con il quale i<br />

figli convivono, ed a carico dell'altro, quale contributo<br />

al mantenimento dei figli medesimi. (Cass.<br />

civ. Sez. I, 18-08-2006, n. 18187). Al principio<br />

affermato dalla Suprema Corte si adegua l'orientamento<br />

costante della Giurisprudenza di prime cure.<br />

L'affidamento condiviso non deroga al principio di<br />

proporzionalità del contributo al mantenimento<br />

della prole, ed in ciò la norma non dissente dalla<br />

vecchia formulazione. La novità, secondo alcune<br />

interpretazioni, consisterebbe invece nella possibilità<br />

di scegliere il modo di tale contribuzione.<br />

La legge prevede infatti che il mantenimento possa<br />

essere effettuato in via indiretta, tramite il versamento<br />

di un assegno; e ciò si evince in maniera<br />

esplicita dal comma quarto del commentato articolo.<br />

Ma dal tenore complessivo della norma alcuni<br />

interpreti h<strong>anno</strong> voluto ravvisare la possibilità di un<br />

contributo diretto al mantenimento del minore, tramite<br />

l'acquisto materiale dei beni necessari alla<br />

prole, ed il pagamento diretto per fare fronte alle<br />

singole necessità della stessa.<br />

Tale seconda interpretazione, tuttavia, non pare<br />

condivisibile, prioritariamente per ragioni di ordine<br />

concreto: la contribuzione diretta richiederebbe<br />

infatti un continuo ed assiduo contatto ed accordo<br />

tra i genitori; il che, date le circostanze che di solito<br />

accompagnano iuna separazione, appare quanto<br />

meno improbabile. Inoltre, senza una previsione<br />

esplicita e ben individuata del quantum debeatur,<br />

appare ancora più ardua la già difficile tutela in<br />

caso di inadempimento all'obbligo.<br />

Da questa sommaria esplicazione dell'art. 155 c.c.<br />

emerge una interessante ed effettiva innovatività,<br />

che rischia però di restare lettera morta, soccombendo<br />

di fronte alla concretezza della realtà, ed alla<br />

quantità dei casi da disciplinare.<br />

A parere di chi scrive l'innovazione normativa evidenzia<br />

la centralità del legale che, nel ruolo di<br />

mediatore, deve abbassare la soglia di conflittualità<br />

tra i coniugi, e favorire la ricerca di un accordo tra<br />

di essi, patrocinando l'interesse del minore e ponendolo<br />

al centro degli interessi dei coniugi.<br />

Nei prossimi numeri continueremo l'esame delle<br />

novità in materia di diritto di famiglia.<br />

40 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

OSSERVATORIO DELLA CORTE DI CASSAZIONE<br />

a cura di MARZIA MANISCALCO<br />

2/<strong>2007</strong><br />

Appello della sentenza di non luogo a<br />

procedere<br />

Cass. pen., Sez. VI, 31 maggio <strong>2007</strong>, n. 21310 –<br />

“La normativa transitoria della legge Pecorella<br />

riguarda anche le sentenze di non luogo a procedere?”<br />

- (sintesi già pubblicata sul sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo del<br />

provvedimento per esteso).<br />

È noto come la manovra novellativa attuata con la<br />

legge 20 febbraio 2006, n. 46, nel farsi carico di<br />

disciplinare il regime normativo transitorio, abbia<br />

previsto l’immediata applicazione delle disposizioni<br />

di nuovo conio a tutti i procedimenti in corso a<br />

far data dal 9 marzo 2006, precisando che gli<br />

appelli già proposti dall’imputato o dal pubblico<br />

ministero avverso le sentenze di proscioglimento<br />

vengano dichiarati inammissibili con ordinanza<br />

non impugnabile (art. 10, 2° co., l. 46/2006).<br />

Chiarito che «nella struttura dell’art. 10 della legge<br />

in esame, i primi due commi si pongono tra loro in<br />

rapporto di regola-eccezione, il comma 1 prescrivendo<br />

l’efficacia immediata delle norme sopravvenute<br />

con riguardo ai singoli atti da compiere (cioè a<br />

dire, tempus regit actum), il comma 2 riferendo gli<br />

effetti del novum ai singoli atti già compiuti»<br />

(DEAN, Il nuovo regime delle impugnazioni della<br />

parte civile e la nuova fisionomia dei motivi di<br />

ricorso per cassazione, in Dir. pen. proc., 2006,<br />

818), si è trattato di comprendere se il riferimento<br />

alle sentenze di “proscioglimento” contenuto in tale<br />

ultima disposizione sia comprensivo delle pronunce<br />

di non luogo a procedere emesse a norma dell’art.<br />

425 c.p.p.<br />

Al quesito, poco tempo addietro, i giudici della Vª<br />

Sezione avevano dato risposta negativa, affermando<br />

che «la nozione di “sentenza di proscioglimento”<br />

[avrebbe] dev[uto] ritenersi comprensiva delle<br />

sentenze di “non doversi procedere” e di quelle di<br />

assoluzione, ma non di quelle di non luogo a procedere”<br />

previste all’esito dell’udienza preliminare»<br />

(Cass., Sez. V, 5.3.<strong>2007</strong>, n. 9232, in www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Con la sentenza in epigrafe i giudici tornano sulla<br />

questione, ma giungono a tutt’altri approdi, ritenendo<br />

di rinvenire «gli argomenti ermeneutici più<br />

forti ai fini della risoluzione del riferito quesito<br />

interpretativo […] nella [stessa] legge n. 46 del<br />

2006», che, espressamente rubricata “Modifiche al<br />

codice di procedura penale in materia di inappellabilità<br />

delle sentenze di proscioglimento”, nel contemplare<br />

una disciplina di modifica che si indirizza<br />

«alle sentenze emesse vuoi all’esito del dibattimento<br />

vuoi all’esito della udienza preliminare», non<br />

lascerebbe dubitare sul fatto che il legislatore abbia<br />

inteso riferire l’intitolazione ad entrambi i detti<br />

generi di sentenze; da cui la presa di posizione dei<br />

giudici, secondo i quali, «coerentemente con la intitolazione<br />

del testo normativo», anche per quel che<br />

concerne la disposizione transitoria de qua, il legislatore,<br />

«per comodità espositiva», avrebbe utilizzato<br />

il termine “proscioglimento” intendendo riferirsi<br />

«a entrambe le accennate species di sentenze liberatorie,<br />

in aderenza alla ratio complessiva della<br />

scelta novellistica, non essendo dato rinvenire,<br />

anche sulla base dei lavori preparatori, una plausibile<br />

esigenza di differenziazione tra esse in punto di<br />

disciplina transitoria».<br />

A parte l’omessa riflessione sul tenore letterale del<br />

successivo comma 3 della disposizione de qua,<br />

pare un po’ poco, invero, per inferirne l’applicabilità<br />

di una disciplina intertemporale che si pone in<br />

termini di eccezione al principio generale di successione<br />

delle leggi processuali nel tempo, tanto<br />

più se si considera che la legge su cui si incardina<br />

il ragionamento interpretativo di coerenza contenutistico-letterale<br />

non brilla certo per il tecnicismo<br />

nella stesura del testo normativo che, nel ridisegnare<br />

il sistema delle impugnazioni ha, addirittura,<br />

dimenticato di tenere in dovuta considerazione il<br />

principio di tassatività che lo governa (cfr, sul<br />

punto, le rilevazioni effettuate in riferimento al<br />

potere di appello della parte civile).<br />

Tra l’altro, se così dovesse intendersi, occorrerebbe<br />

interrogarsi sugli effetti provocati dalla recente pronuncia<br />

di illegittimità costituzionale che, nel colpire<br />

il divieto imposto al p.m. di appellare le sentenze<br />

dibattimentali di proscioglimento, ha «correlativamente»<br />

travolto anche la disciplina transitoria di<br />

cui all’art. 10, 2° co. in parola, «nella parte in cui<br />

prevede che l’appello proposto contro una sentenza<br />

di proscioglimento dal pubblico ministero prima<br />

della data di entrata in vigore della medesima legge<br />

è dichiarato inammissibile» (Corte cost. 6.2.<strong>2007</strong>,<br />

n. 26, in www.personaed<strong>anno</strong>.it); problema, quest’ultimo,<br />

che, con la sentenza in epigrafe, la Corte<br />

di cassazione non ha affrontato – trattandosi di<br />

GIURISPRUDENZA<br />

41


GIURISPRUDENZA<br />

ricorso presentato dagli imputati –, ma che avrebbe<br />

dovuto perlomeno indurre a interrogarsi sulla<br />

rimarcata correlazione tra la dichiarazione di illegittimità<br />

del riformato art. 593 c.p.p. e quella, susseguente,<br />

della disciplina transitoria di cui all’art.<br />

10, 2° co., chiaro essendo, tuttavia, come la stessa,<br />

se dovesse accogliersi l’opzione ermeneutica sostenuta<br />

con la pronuncia in rassegna, andrebbe, perlomeno,<br />

intesa come indicativa della volontà del<br />

Giudice delle Leggi di limitare gli effetti ablatori<br />

della declaratoria di illegittimità agli appelli proposti<br />

dall’organo requirente avverso le sole sentenze<br />

dibattimentali; a meno di non voler sostenere che<br />

anche il citato disposto codicistico e l’illegittimità<br />

che lo ha travolto vadano riferiti all’impugnazione<br />

della sentenza di non luogo a procedere, senza che<br />

il Giudice delle Leggi, a norma dell’art. 27 l.<br />

11.3.1953, n. 87, abbia dichiarato, «come conseguenza<br />

della decisione adottata», l’illegittimità<br />

derivata della relativa disciplina, sistematicamente<br />

collocata altrove.<br />

Difensore<br />

Cass. pen., Sez. un., 5 giugno <strong>2007</strong>, n. 21834 – “È<br />

priva di sanzione processuale l’inosservanza del<br />

divieto di assumere la difesa di più imputati che<br />

abbiano reso dichiarazioni concernenti la<br />

responsabilità di altro imputato nel medesimo<br />

procedimento” - (sintesi già pubblicata sul sito<br />

internet www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Il fatto e la questione di diritto controversa<br />

Avverso la pronuncia con la quale il Tribunale del<br />

riesame confermava la misura della custodia cautelare<br />

in carcere emessa dal g.i.p., l’imputato ricorreva<br />

per cassazione lamentando, fra l’altro, l’“incongrua<br />

reiezione dell’eccezione di nullità delle<br />

dichiarazioni accusatorie rese dai correi […], che<br />

sarebbe derivata dall’erronea interpretazione della<br />

disposizione di cui all’art. 106, comma 4-bis,<br />

c.p.p.: entrambi gli anzidetti chiamati in reità<br />

[erano] stati, nei rispettivi interrogatori, assistiti dal<br />

medesimo difensore e ciò, secondo l’assunto difensivo,<br />

ponendosi in violazione della citata disposizione,<br />

comporterebbe nullità assoluta degli atti<br />

(quanto meno “a regime intermedio”) per violazione<br />

della ratio legis, individuabile nella finalità di<br />

evitare che la comunanza di difensore tra più collaboratori<br />

di giustizia possa ingenerare condizionamenti,<br />

con negativa incidenza sulla genuinità delle<br />

dichiarazioni».<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Come noto, la norma oggetto di dissidio interpretativo<br />

ritrova la propria genesi nel provvedimento<br />

13.2.2001, n. 45 che, nell’introdurre un nuovo<br />

comma 4-bis nell’impianto normativo dell’art. 106<br />

c.p.p., ha inteso «evitare che la comunanza del<br />

difensore tra più collaboratori di giustizia possa<br />

portare a condizionamenti se non addirittura ad<br />

accordi circa le versioni da rendere sui fatti con evidente<br />

incidenza sulla genuinità delle dichiarazioni<br />

stesse» (ALMA, Commento alla legge 13 febbraio<br />

2001, n. 45. Sanzioni, difesa e diritto transitorio, in<br />

Dir. pen. proc., 2001, 549). Non sfuggirà, dunque,<br />

come, nonostante la rubrica, non si abbia a che fare<br />

con un’ipotesi di “incompatibilità”, della quale si<br />

occupa, semmai, il 1° co. della disposizione de qua,<br />

sicché, difficilmente, potrebbero veicolarsi le interpretazioni<br />

che concernono il conflitto di interessi<br />

del difensore sul terreno di una norma volta a tutelare<br />

la genuinità della prova, impedendo al medesimo<br />

professionista di assumere «la difesa di più<br />

imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti<br />

la responsabilità di altro imputato nel medesimo<br />

procedimento o in procedimento connesso ai sensi<br />

dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo<br />

371, comma 2, lettera b)» (art. 106, 4°-bis co.,<br />

c.p.p.).<br />

Ciononostante, secondo un primo indirizzo interpretativo,<br />

escluso che il mancato rispetto del precetto<br />

in esame renda inutilizzabili le prove assunte,<br />

a dover essere valorizzato sarebbe proprio il dato<br />

sistematico della sua inclusione nell’ambito della<br />

«disciplina dell’incompatibilità della difesa di più<br />

imputati», la cui violazione, ”secondo la costante<br />

giurisprudenza di legittimità, […] è prevista a pena<br />

di nullità. Di talché un simile tipo di nullità è classificabile<br />

nel caso di specie tra quelle a regime<br />

intermedio previste dall'art. 180, derivanti dall'inosservanza<br />

di norme incidenti sull'assistenza prestata<br />

dal difensore, ossia da vizi che non comprimono<br />

totalmente il diritto di difesa costituzionalmente<br />

garantito» (Cass., Sez. I, 14.7.2005 (ud.<br />

7.6.2005), n. 26104, Perkeci, in Arch. n. proc. pen.,<br />

2006, 552).<br />

A tutt’altri approdi è giunta, invece, la giurisprudenza<br />

che, riconoscendo nell’art. 106, 4°-bis co.,<br />

c.p.p. «un divieto di difesa indipendente da una<br />

situazione di vera e propria incompatibilità», ha<br />

così ritenuto di escludere che la sua violazione<br />

costituisca causa di nullità, osservando come «l’incompatibilità<br />

che, a norma dell’art. 106, comma 1,<br />

42 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

c.p.p., vieta l’affidamento della difesa di più imputati<br />

ad un unico difensore, è causa di nullità della<br />

decisione soltanto se il contrasto di interessi tra<br />

coimputati è effettivo, nel senso cioè che sussista<br />

un conflitto che renda impossibile la proposizione<br />

di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili e<br />

una posizione processuale che renda concretamente<br />

inefficiente e improduttiva la comune difesa. Ne<br />

consegue che la norma non può trovare applicazione<br />

nell’ipotesi in cui più collaboratori di giustizia<br />

abbiano reso dichiarazioni contro un terzo, tale<br />

situazione essendo esplicitamente disciplinata dal<br />

comma 4-bis dell’art. 106 c.p.p., che prevede un<br />

divieto di difesa indipendente da una situazione di<br />

vera e propria incompatibilità, allo scopo di evitare<br />

che la comunanza delle posizioni difensive influisca<br />

sulla genuinità ed indipendenza delle dichiarazioni<br />

accusatorie, rendendole affette da possibili<br />

vizi di circolarità, sicché la sua inosservanza non<br />

costituisce causa di nullità, in difetto di una esplicita<br />

previsione in tal senso» (Cass., Sez. II, 9.11.2005<br />

(ud. 23.9.2005), n. 40793, Carciati, in CED,<br />

232522. Nello stesso senso, ma senza specificazioni<br />

argomentative, Cass., Sez. VI, 14.4.2005 (ud.<br />

16.3.2005), n. 13943, Marzoli, in Cass. pen., 2006,<br />

1511).<br />

In una posizione “intermedia” si è, infine, collocata<br />

la giurisprudenza più recente, ritenendo necessario<br />

«verificare di volta in volta, per l’affermazione<br />

della nullità, l’esistenza di un effettivo e concreto<br />

pregiudizio della difesa dell’imputato sotto il profilo<br />

della possibile incidenza della comunanza del<br />

difensore sulla genuinità delle dichiarazioni dei<br />

collaboratori di giustizia» (Cass., Sez. II, 4.4.2006<br />

(ud. 3.2.2006), n. 11865, Martucci, in CED,<br />

233804).<br />

Il percorso argomentativo e il principio di diritto<br />

affermato<br />

In merito al contrasto giurisprudenziale or ora brevemente<br />

delineato nei suoi tratti essenziali, i giudici<br />

del più ampio consesso della Suprema Corte<br />

h<strong>anno</strong>, innanzitutto, segnalato come le ultime due<br />

pronunzie della IIª Sezione (Carciati e Martucci),<br />

«a differenza delle sentenze Marzoli e Perkeci, si<br />

riferisc[ano] a casi in cui l’eccezione di nullità<br />

risultava proposta non dal soggetto terzo, colpito<br />

dalle dichiarazioni accusatorie dei “collaboranti”<br />

assistiti da unico difensore, ma da soggetti i quali<br />

lamentavano come illegittimo il fatto di avere avuto<br />

essi stessi un difensore in comune con altri. Più in<br />

2/<strong>2007</strong><br />

particolare:<br />

a) nel caso della sentenza Carciati, i ricorrenti avevano<br />

sostenuto che le loro posizioni avevano finito<br />

con il configgere con quelle di altri coimputati,<br />

avuto riguardo alla presenza di “chiamate in reità e<br />

correità reciproche”;<br />

b) nel caso della sentenza Martucci, invece, era<br />

stata denunciata soltanto una incompatibilità derivante<br />

dal fatto che il ricorrente era stato assistito<br />

dallo stesso difensore che aveva assistito l’unico<br />

“coimputato propalante” a carico del ricorrente<br />

medesimo.<br />

In entrambe le sentenze, comunque, le proposte<br />

eccezioni non rientravano nell’ipotesi di cui al<br />

comma 4-bis dell’art. 106 c.p.p. (ispirata – come si<br />

afferma nella sentenza Carciati – “ad un elemento<br />

sistematico che prescinde da una vera e propria<br />

incompatibilità”), ma piuttosto nella generale previsione<br />

della incompatibilità posta dal primo<br />

comma dell’art. 106 c.p.p. Da qui il richiamo all’orientamento<br />

giurisprudenziale secondo il quale<br />

l’incompatibilità può dare luogo, ove sia tale da<br />

avere concretamente pregiudicato l’esercizio del<br />

diritto di difesa, soltanto a nullità generale a regime<br />

c.d. “intermedio” e pertanto soggetta, tra l’altro,<br />

alle preclusioni di cui all’art. 182 c.p.p.».<br />

Ciò chiarito, i giudici si sono, inoltre, premurati di<br />

porre in rilievo «la radicale differenza tra la previsione<br />

di cui al comma 4-bis dell’art. 106 c.p.p. e<br />

la vera e propria “incompatibilità”, alla quale si<br />

riferisce il comma 1 dello stesso articolo. Evidente<br />

– infatti – è la diversità della ratio del comma 4-bis<br />

rispetto al comma 1 dell’art. 106 c.p.p. ed il divieto<br />

di difesa cumulativa, introdotto dalla legge<br />

13.2.2001, n. 45 sui collaboratori di giustizia,<br />

risponde ad una logica completamente diversa da<br />

quella che sorregge l’istituto dell’incompatibilità<br />

del difensore [incompatibilità significa conflitto di<br />

interessi ed inconciliabilità logica di posizioni<br />

difensive, in una situazione di interdipendenza di<br />

posizioni processuali per la quale un imputato<br />

abbia interesse a sostenere una tesi che risulti di<br />

pregiudizio per altro imputato], in quanto esso è<br />

finalizzato a tutelare la genuinità delle dichiarazioni<br />

rese dai soggetti in questione, a fronte di possibili<br />

concertazioni favorite in qualche modo dalla<br />

presenza di un unico difensore.<br />

Il divieto posto dal comma 4-bis dell’art. 106 c.p.p.<br />

non è sorretto dalla finalità di evitare pregiudizi al<br />

diritto di difesa di uno (o più) degli imputati in conflitto<br />

di interessi (obiettivo perseguito dalla previsione<br />

del 1° comma), bensì trova la sua giustifica-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

43


GIURISPRUDENZA<br />

zione nella prospettiva di non sacrificare il diritto di<br />

difesa del soggetto accusato, che – come evidenziato<br />

in dottrina – “potrebbe risultare pregiudicato<br />

dall’esistenza di una figura che funga da anello di<br />

congiunzione tra le convergenti fonti di prova”».<br />

Logico corollario di tale premessa, ritenere, dunque,<br />

«che – quanto alla individuazione delle conseguenze<br />

derivanti dalla violazione del divieto di<br />

difesa cumulativa, posto dal comma 4-bis dell’art.<br />

106 c.p.p. – non [sia] congruente il riferimento alla<br />

giurisprudenza […] che delinea i requisiti necessari<br />

per la configurazione della incompatibilità prevista<br />

dal 1° comma dello stesso art. 106 c.p.p. e per<br />

la integrazione delle relative situazioni di inconciliabilità<br />

delle difese […], né il richiamo agli orientamenti<br />

giurisprudenziali che connettono una sanzione<br />

di “nullità” alla riconosciuta sussistenza della<br />

incompatibilità medesima, allorquando sia in concreto<br />

accertato il rilievo determinante della situazione<br />

di incompatibilità in relazione al pieno e corretto<br />

esercizio del diritto di difesa».<br />

Ed è sulla scorta delle suddette rilevazioni che è<br />

stato, pertanto, smentito l’assunto della citata sentenza<br />

Perkeci che, come si è visto, fondava la propria<br />

conclusione favorevole al riconoscimento di<br />

una nullità intermedia in caso di inosservanza della<br />

disposizione del 4°-bis co., attraverso l’assimilazione<br />

all’incompatibilità di cui al 1° co. dell’art.<br />

106 c.p.p.<br />

Richiamati alla mente i lavori preparatori – nell’ambito<br />

dei quali è dato riscontrare l’abbandono<br />

dell’«esplicita previsione della nullità degli atti<br />

compiuti, contenuta nell’originaria proposta di<br />

emendamento» – e a fronte del «principio di tassatività<br />

fissato dall’art. 177 c.p.p.», secondo la Corte,<br />

non può dunque «configurarsi nessuna nullità», né<br />

può esser fatto «riferimento alla categoria dell’inutilizzabilità<br />

delle prove, atteso che manca una disposizione<br />

di legge che, a norma dell’art. 191 c.p.p.,<br />

sancisca il divieto di utilizzazione delle prove<br />

assunte senza l’osservanza del precetto di cui<br />

all’art. 106, comma 4-bis, c.p.p. […] E’ vero che<br />

l’ampia previsione dell’art. 191 c.p.p. non autorizza<br />

limitazioni di sorta in ordine alla tipologia dei<br />

divieti di utilizzabilità delle prove né limita la fonte<br />

del divieto alla legge processuale e che l’inutilizzabilità<br />

può colpire tanti i mezzi di prova quanto i<br />

mezzi di ricerca della prova. E’ necessario, però,<br />

che un divieto di acquisire la prova effettivamente<br />

sussista e che l’avvenuta acquisizione dimostri la<br />

violazione di questo divieto.<br />

Nella specie, non solo il codice di rito non enuncia<br />

Diritto e Procedura penale<br />

in modo esplicito l’esistenza del preteso divieto<br />

(come invece è riscontrabile, ad esempio, nelle formulazioni<br />

degli artt. 197 e 220 c.p.p.) ma questo<br />

neppure può desumersi in via indiretta attraverso<br />

indicazioni di situazioni tassative che consentono<br />

di utilizzare la prova (come è riscontrabile, ad<br />

esempio, nella formulazione dell’art. 238, 4°<br />

comma, c.p.p.).<br />

Né la sanzione dell’inutilizzabilità può ricollegarsi,<br />

nella specie, alla configurazione di una situazione<br />

di formazione o acquisizione della prova “in violazione<br />

dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico<br />

dalla Costituzione” (vedi Cass., Sez. un.,<br />

13.7.1998, n. 21, Gallieri), allorché si consideri, tra<br />

l’altro, che non si verte in ipotesi di “difesa apparente”,<br />

poiché la disposizione posta dal comma 4bis<br />

all’art. 106 c.p.p. non tutela i soggetti difesi dal<br />

medesimo patrono, bensì la affidabilità delle<br />

dichiarazioni eteroaccusatorie, e che il tenore<br />

testuale della norma non esclude dal suo ambito di<br />

operatività dichiarazioni che si risolvano a favore<br />

di altro imputato».<br />

Escluso, dunque, che la violazione dell’art. 106, 4°bis<br />

co., c.p.p. sia causa di nullità o di inutilizzabilità<br />

delle prove, la stessa – ha concluso la Corte –<br />

deve «essere valutata esclusivamente come circostanza<br />

suscettibile di incidere potenzialmente sull'indipendenza<br />

delle dichiarazioni dei collaboranti,<br />

sì da comportare, in conseguenza, la necessità di<br />

una verifica particolarmente incisiva in punto di<br />

attendibilità.<br />

Resta ferma, in ogni caso, l’eventuale responsabilità<br />

disciplinare del difensore, alla stregua delle<br />

previsioni del codice deontologico forense, anche a<br />

seguito della segnalazione effettuata dal giudice al<br />

Consiglio dell’Ordine ai sensi del 4° comma dell’art.<br />

105 c.p.p.».<br />

Intercettazioni telefoniche<br />

Cass. pen., Sez. VI, 8 maggio <strong>2007</strong>, n. 17635 –<br />

“Puntualizzazioni sull’utilizzabilità dei contenuti<br />

delle intercettazioni disposte in procedimento<br />

diverso” - (sintesi già pubblicata sul sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo del<br />

provvedimento per esteso).<br />

Avverso la sentenza di condanna emessa in esito al<br />

giudizio abbreviato per i reati di detenzione per uso<br />

non personale di sostanze stupefacenti e induzione<br />

alla prostituzione, gli imputati ricorrevano per cassazione,<br />

lamentando, in ordine a tale ultima fatti-<br />

44 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

specie – per la quale non è, tra l’altro, previsto l’arresto<br />

obbligatorio in flagranza – che la dichiarazione<br />

di colpevolezza si fosse fondata su intercettazioni<br />

inutilizzabili, perché provenienti dal diverso procedimento<br />

inerente i fatti di droga, prese in considerazione<br />

dal g.u.p. «in base al rilievo che esse<br />

furono disposte in un procedimento nel quale gli<br />

attuali imputati furono iscritti, dopo quelle intercettazioni,<br />

per il reato relativo alla prostituzione, e che<br />

ha poi dato luogo a quello oggetto di ricorso, rimasto<br />

in seguito per loro ininterrottamente unitario. Si<br />

avrebbe, quindi, l'unità formale del procedimento<br />

per gli imputati. Le intercettazioni apparterrebbero<br />

poi anche a un medesimo ambito di indagini, scaturite<br />

dalle dichiarazioni di vari collaboratori di<br />

giustizia, che, in relazione agli attuali imputati,<br />

h<strong>anno</strong> riferito sia sulla droga che sulla prostituzione».<br />

L’argomentazione, secondo la Suprema Corte,<br />

«non è per nulla convincente».<br />

Anche in sede di giudizio abbreviato, la disposizione<br />

che viene in rilievo è quella di cui all’art.<br />

270, 1° co., c.p.p., a norma del quale «i risultati<br />

delle intercettazioni non possono essere utilizzati in<br />

procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati<br />

disposti, salvo che risultino indispensabili per l'accertamento<br />

di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto<br />

in flagranza», dove l’endiadi «procedimenti<br />

diversi», come già statuito in precedenza, «non si<br />

estende fino ad escludere la possibilità di utilizzazione<br />

delle intercettazioni in procedimenti concernenti<br />

indagini strettamente connesse e collegate,<br />

sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al<br />

reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della<br />

prova è stato disposto. Inoltre, la diversità del procedimento<br />

di cui si parla deve assumere rilievo di<br />

carattere sostanziale e non può essere ricollegata a<br />

dati meramente formali, quale la materiale distinzione<br />

degli incartamenti relativi a due procedimenti<br />

o il loro diverso numero di iscrizione nel registro<br />

delle notizie di reato» (in tali termini, Cass., Sez. II,<br />

19.1.2004, Amato, in Arch. n. proc. pen., 2005,<br />

389; più di recente, in relazione alla ipotesi di concorso<br />

nello stesso reato di maggiorenni e minorenni,<br />

Cass., Sez. I, 9.5.2006, n. 29421, in CED,<br />

235104).<br />

Logico corollario di tali affermazioni, secondo la<br />

Corte, riconoscere, sì, che «la separazione formale<br />

dei procedimenti non p[ossa] inibire la ravvisabilità<br />

di un loro collegamento sostanziale ai fini di<br />

escludere la diversità oggetto della disciplina limi-<br />

2/<strong>2007</strong><br />

tativa di cui all'art. 270 c.p.p.», senza omettere, tuttavia,<br />

di considerare l’opposta ipotesi, in relazione<br />

alla quale «la formale unità degli stessi non p[otrà]<br />

fare da paravento per l'applicabilità di tale disciplina<br />

laddove, sotto un unico numero di R.G., convivano<br />

in realtà procedimenti tra di loro privi di collegamento<br />

reale». Ed è quest’ultimo il caso che,<br />

secondo la Suprema Corte, viene profilandosi nel<br />

caso di specie, in mancanza di indicazione degli<br />

elementi di connessione o collegamento tra i due<br />

procedimenti – pur confluiti nell’ambito di un’unica<br />

vicenda giudiziaria –, non ritenendo a tal fine<br />

sufficiente «il generico riferimento all'ambito delle<br />

"medesime indagini", né la circostanza, puramente<br />

estrinseca, della inclusione di fatti di droga e di fatti<br />

di prostituzione tra gli oggetti delle dichiarazioni<br />

dei collaboranti riguardanti i ricorrenti (certamente<br />

rese, fra l'altro, quanto ai fatti di prostituzione, solo<br />

dopo e a seguito delle intercettazioni)».<br />

Prescrizione<br />

Cass. pen., Sez. un., 5 giugno <strong>2007</strong>, n. 21833 –<br />

“L’avviso di conclusione delle indagini non<br />

interrompe il corso della prescrizione” - (sintesi<br />

già pubblicata sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

La questione di diritto controversa<br />

Avverso la sentenza di non doversi procedere pronunciata<br />

nei confronti dell’imputato, il Procuratore<br />

della Repubblica ricorreva per cassazione, lamentando<br />

che il reato per cui era processo non si fosse,<br />

in realtà, prescritto, posto che anche l’avviso di<br />

conclusione delle indagini preliminari avrebbe<br />

dovuto essere considerato «un atto interruttivo del<br />

termine della prescrizione, ancorché non indicato<br />

esplicitamente nell’elenco di cui all’articolo 160<br />

c.p., perché l’avvertimento che l’indagato ha facoltà<br />

di essere sottoposto ad interrogatorio, contenuto<br />

nell’avviso ex articolo 415-bis c.p.p., altro non è<br />

che l’invito a presentarsi al pubblico ministero per<br />

rendere interrogatorio – articolo 375 c.p.p. -, atto al<br />

quale l’articolo 160 c.p. ricollega l’effetto interruttivo»;<br />

è noto, infatti, come in tal senso abbia<br />

mostrato di muoversi parte della giurisprudenza di<br />

legittimità, ritenendo che, così argomentando, nessuna<br />

trasgressione al divieto di analogia in malam<br />

partem o al principio di tassatività possa venire in<br />

rilievo (Cass., Sez. II, 10.2.2006, n. 8615, Cameli,<br />

in CED, 234741; Cass., Sez. V, 16.6.2005, n.<br />

29505, Goegan, in Guida al dir., 2005, n. 46, 72;<br />

GIURISPRUDENZA<br />

45


GIURISPRUDENZA<br />

Cass., Sez. V, 17.2.2005, n. 10395, Marocco, in<br />

Arch. n. proc. pen., 2006, 239. Nello stesso senso,<br />

in dottrina, LANDOLFI, L’interruzione del termine di<br />

prescrizione e l’avviso di conclusione delle indagini<br />

preliminari ex art. 415-bis c.p.p., in Dir. pen.<br />

proc., 2003, 357).<br />

L’assunto è stato più volte smentito, anche di<br />

recente, dagli stessi giudici della S.C., osservando,<br />

tra l’altro, come l’istituto dell’avviso di conclusione<br />

delle indagini preliminari, «sulla base di una<br />

considerazione globale delle sue connotazioni»,<br />

appare «funzionalmente complesso e non assimilabile<br />

all'invito a presentarsi a rendere l'interrogatorio»<br />

(Cass., Sez. IV, 29.3.2006, n. 17017, inedita),<br />

il quale «contenendo […] una manifestazione di<br />

volere sottoporre la persona sottoposta alle indagini<br />

all'interrogatorio (salvo ovviamente il suo diritto<br />

di non presentarsi o di non rispondere alle domande)»<br />

evidentemente differisce dal primo, che, limitandosi<br />

ad assegnare «all'imputato la facoltà di scegliere<br />

se rendere o meno l'interrogatorio», lascia<br />

trasparire la sua «natura preminentemente informativa»<br />

(Così, Cass., Sez. IV, 3.5.2006, n. 20262,<br />

inedita).<br />

A ciò si aggiungano i principi espressi dalle Sezioni<br />

Unite nell’ambito della questione afferente all’inclusione<br />

nel catalogo degli atti interruttivi dell’interrogatorio<br />

effettuato dalla p.g. su delega dell’organo<br />

inquirente: «considerata la natura sostanziale<br />

della prescrizione, il suo effetto estintivo rispetto<br />

alla potestà punitiva e la tassatività dell'elencazione<br />

normativa degli atti interruttivi del suo corso, può<br />

fondatamente sostenersi che il principio di legalità<br />

e la garanzia di determinatezza della fattispecie<br />

di cui all'art. 25 cpv. Cost., da un lato, e il divieto<br />

di analogia nell'applicazione delle leggi penali ex<br />

art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale,<br />

dall'altro, precludono qualsiasi operazione interpretativa<br />

di tipo additivo o manipolativo. Non solo<br />

al giudice delle leggi (com'è dimostrato dalle reiterate<br />

e anche recenti pronunce di manifesta inammissibilità<br />

in tema di interpretazione dell'art. 160<br />

c.p., fra le quali - [...] nn. 178-97, 412-98 e 245-99<br />

inerenti al caso in esame - rilevano le ordd. nn. 188-<br />

93, 193-93), 391-93, 489-93, 144-94 e 315-96,<br />

sulla richiesta del p.m. di emissione del decreto<br />

penale di condanna, e l'ord. n. 114-83 sulla richiesta<br />

del p.m. del decreto di citazione a giudizio; cui<br />

adde la sent. n. 155-73 e l'ord. 159-74 sulla comunicazione<br />

giudiziaria), ma anche, ed anzi a maggior<br />

ragione, al giudice di legittimità deve intendersi<br />

pertanto preclusa ogni operazione diretta comunque<br />

ad integrare in malam partem la serie di quegli<br />

Diritto e Procedura penale<br />

atti, strutturalmente collegati con le scansioni del<br />

divenire procedimentale e però in grado di incidere<br />

direttamente in modo sfavorevole nei confronti dell'imputato,<br />

siccome inerenti ai tempi e ai limiti, per<br />

ciò all'effettività dell'esercizio dello ius puniendi»<br />

(Cass., Sez. un, 11.7.2001, Brembati, in Riv. pen.,<br />

2001, 891).<br />

La decisione e il percorso argomentativo<br />

Ribaditi i suddetti principi, anche sulla scorta di<br />

una ricostruzione in chiave storica dell’istituto, i<br />

giudici, con la pronuncia in epigrafe, h<strong>anno</strong>, innanzitutto,<br />

osservato come non basti «segnalare una<br />

incompletezza dell’elenco o una sua incongruenza<br />

per ritenere la scelta del legislatore non caratterizzata<br />

dalla dovuta razionalità. Infatti si può anche<br />

ritenere che l’elencazione di cui all’articolo 160<br />

c.p. sia per alcuni versi incompleta e per altri versi<br />

eccessiva e sovrabbondante e che mentre vi sia<br />

menzionato qualche atto processuale che con molta<br />

difficoltà è possibile classificare come atto fondamentale<br />

del processo, ne sia stata omessa la indicazione<br />

di alcuni che tale qualifica certamente meritavano,<br />

ma è innegabile, però, che l’esame complessivo<br />

del catalogo dimostra una sostanziale<br />

coerenza del legislatore che ha rispettato l’opzione<br />

del 1930 e si è limitato a realizzare il necessario<br />

coordinamento fra gli istituti cui il codice abrogato<br />

attribuisce efficacia interruttiva della prescrizione<br />

ed i corrispondenti istituti del nuovo codice processuale.<br />

La scelta legislativa è, perciò, connotata da<br />

sicura razionalità e non consente interventi correttivi<br />

ed integrativi da parte del giudice».<br />

Nell’avallare il filone giurisprudenziale secondo<br />

cui «l’avviso di conclusione delle indagini di cui<br />

all’articolo 415-bis c.p.p. non costituisce atto<br />

interruttivo della prescrizione del reato ai sensi e<br />

per gli effetti di cui all’articolo 160 c.p.», il più<br />

ampio consesso della Suprema Corte ha, dunque,<br />

provveduto ad un’attenta confutazione delle sentenze<br />

in cui si è consacrato il contrario principio di<br />

diritto; fra queste, alcune rilevavano «che l’elenco<br />

non potrebbe ritenersi completo anche perché l’articolo<br />

160 c.p. non è stato integrato in seguito alle<br />

modifiche, talvolta anche rilevanti, al nuovo processo<br />

penale introdotte con numerose leggi approvate<br />

successivamente alla sua entrata in vigore nel<br />

1989. La mancata inclusione nel catalogo dell’avviso<br />

di deposito degli atti ex articolo 415-bis sarebbe,<br />

quindi, frutto non di una razionale scelta legislativa,<br />

ma di un imperfetto coordinamento legisla-<br />

46 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

tivo, cosicché, sembra di comprendere, la interpretazione<br />

adeguatrice dell’articolo 160 c.p., sostanzialmente<br />

effettuata dalle citate sentenze, sarebbe<br />

secundum costitutionem».<br />

L’osservazione, ha osservato la Suprema Corte,<br />

«non è fondata perché, come ha già rilevato la citata<br />

sentenza Brembati, in assenza di alcun indizio<br />

ermeneutico, è davvero difficile ritenere che l’omesso<br />

aggiornamento del catalogo di cui al secondo<br />

comma dell’articolo 160 c.p. sia frutto di imperfetto<br />

coordinamento e non già di consapevole scelta<br />

da parte del legislatore, tenuto conto del fatto che<br />

alcune leggi successive al 1989 ( vedi ad esempio il<br />

d.l. n. 306 del 1992 convertito in legge n. 356 del<br />

1992 ), oltre a rilevanti modifiche al nuovo codice<br />

di procedura penale, ha apportato anche sul terreno<br />

del diritto penale sostanziale incisive modifiche al<br />

codice penale.<br />

Inoltre non è vero che il legislatore non abbia mai<br />

ampliato il catalogo degli atti interruttivi a seguito<br />

di modifiche procedurali, tanto è vero che il corso<br />

della prescrizione risulta interrotto anche dalla citazione<br />

a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria e<br />

dal decreto di convocazione delle parti emesso dal<br />

Giudice di pace per effetto dell’articolo 61 del<br />

decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, nonché<br />

dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento<br />

delle violazioni relative ai delitti in materia<br />

di imposte sui redditi e sul valore aggiunto per<br />

effetto dell’articolo 17 del decreto legislativo 10<br />

marzo 2000 n. 74.<br />

Anzi la introduzione di queste due norme costituisce<br />

una prova ulteriore del fatto che la individuazione<br />

degli atti interruttivi è di esclusiva competenza<br />

legislativa e che l’elenco di cui all’articolo<br />

160 c.p. costituisca un numerus clausus.<br />

Infine è necessario ricordare che recentemente il<br />

legislatore è intervenuto con la legge 5 dicembre<br />

2001 n. 251, che, pur apportando rilevanti modifiche<br />

all’istituto della prescrizione, ha lasciato inalterato<br />

il catalogo degli atti di cui all’articolo 160<br />

comma 2 c.p.<br />

Da tutto quanto detto risulta evidente che sia l’interpretazione<br />

letterale della norma in discussione –<br />

articolo 160 c.p. - con la sua analitica elencazione<br />

della cause interruttive, sia l’interpretazione logico<br />

– sistematica degli istituti della prescrizione e della<br />

interruzione della stessa, sia la individuazione della<br />

intentio legis consentono di affermare, conformemente<br />

all’orientamento nettamente maggioritario<br />

della giurisprudenza e della dottrina, che la prescrizione<br />

del reato è un istituto di diritto penale sostanziale,<br />

fondato sull’interesse generale di non più<br />

2/<strong>2007</strong><br />

perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo<br />

decorso dopo la loro commissione abbia fatto venire<br />

meno l’allarme sociale e con esso ogni istanza di<br />

prevenzione generale e speciale ( così SS. UU.<br />

Penali, Brembati, citata, e Cass. Pen., Sez. II, 26<br />

novembre 1992, Barbagallo, già citata, che ha specificamente<br />

ritenuto applicabile alla prescrizione<br />

l’articolo 2 comma 3 c.p. )».<br />

Come correttamente osservato, tuttavia, le pronunce<br />

che si sono poste in contrasto con l’indirizzo<br />

giurisprudenziale sostenuto in sentenza, «h<strong>anno</strong><br />

precisato che non si tratterebbe di interpretazione<br />

analogica o estensiva e nemmeno, per la sentenza<br />

Cameli, di difetto di aggiornamento del catalogo da<br />

parte del legislatore. Si tratterebbe, invece, di evidenziare<br />

per la sentenza Goegan, di constatare per<br />

la sentenza Cameli che un atto nominato dall’articolo<br />

160 c.p., quale quello previsto dall’articolo<br />

375 c.p.p., è ontologicamente, in sostanza contenuto<br />

anche nell’avviso di cui all’articolo 415-bis<br />

c.p.p., quindi, anche in un atto diverso e non menzionato<br />

dal predetto articolo 160 c.p. Cosicché<br />

sarebbe necessario un coordinamento dell’articolo<br />

160 c.p. a seguito della introduzione del nuovo istituto<br />

non previsto al momento della revisione dell’articolo<br />

160 c.p.<br />

L’indirizzo in questione nega anche di avere fatto<br />

ricorso al concetto, costantemente ripudiato dalla<br />

quasi unanime dottrina, di atto equipollente, nel<br />

senso cioè che l’avviso di deposito degli atti sarebbe<br />

riconducibile alla eadem ratio di quelli analiticamente<br />

enumerati dall’articolo 160 c.p., e precisa<br />

che nell’articolo 415-bis c.p.p. sarebbe individuabile<br />

quell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio<br />

previsto dall’articolo 160 c.p., che originariamente<br />

era disciplinato soltanto dall’articolo 375<br />

c.p.p».<br />

Ebbene, il suddetto indirizzo, secondo le Sezioni<br />

Unite, «deve essere disatteso non solo per le ragioni<br />

generali esposte, ma anche perché il ritenere<br />

l’avviso ex articolo 415-bis c.p.p. atto equipollente<br />

o analogo ad altri atti processuali contenuti nell’articolo<br />

160 c.p. è frutto di errore.<br />

E’ in primo luogo davvero difficile ricondurre l’avviso<br />

di deposito degli atti ex articolo 415-bis c.p.p.<br />

tra gli atti aventi efficacia interruttiva se si tiene<br />

presente la classificazione degli stessi dinanzi menzionata.<br />

Escluso infatti che si tratti di un atto avente natura<br />

decisoria, coercitiva o probatoria, esso dovrebbe<br />

avere natura propulsiva del procedimento, come ad<br />

esempio il decreto di citazione a giudizio.<br />

GIURISPRUDENZA<br />

47


GIURISPRUDENZA<br />

Non è così perché il deposito degli atti segnala soltanto<br />

la fine della attività investigativa del pubblico<br />

ministero e serve essenzialmente a verificare il<br />

grado di resistenza del materiale investigativo dell’accusa<br />

rispetto alle sollecitazioni – deposito di<br />

memorie e documenti, richieste al pubblico ministero<br />

di compimento di atti di indagine, deposito di<br />

documentazione relativa ad indagini difensive - in<br />

senso opposto formalizzate dalla difesa.<br />

Proprio per tale ragione l’avviso predetto ha un<br />

contenuto meramente informativo, del resto in<br />

attuazione dell’articolo 111 della Costituzione,<br />

secondo il quale la persona accusata di un reato<br />

deve nel più breve tempo possibile, essere informata<br />

della natura e dei motivi dell’accusa, e svolge la<br />

essenziale funzione di porre l’indagato in condizione<br />

di prospettare, nell’ambito della sua strategia<br />

difensiva, le proprie posizioni difensive, prima che<br />

un atto davvero propulsivo del procedimento – ad<br />

esempio richiesta di rinvio a giudizio -, questo sì<br />

avente natura interruttiva del corso della prescrizione<br />

del reato ai sensi dell’articolo 160 c.p., possa<br />

essere adottato dal pubblico ministero.<br />

E’ anche errato equiparare l’invito a rendere interrogatorio<br />

previsto dall’articolo 375c.p.p. alla facoltà<br />

di presentarsi al pubblico ministero per rendere<br />

dichiarazioni o per essere sottoposto ad interrogatorio<br />

previsto dall’articolo 415-bis c.p.p.<br />

Si tratta, invero, di due istituti assai diversi.<br />

Nel primo caso è il pubblico ministero che invita<br />

l’indagato a presentarsi, con possibilità anche di<br />

accompagnamento coattivo per l’indagato che non<br />

ottemperi all’invito, quando è necessario procedere<br />

ad atti di indagine che richiedono la presenza della<br />

persona sottoposta alle indagini.<br />

Si tratta all’evidenza di un atto che è funzionale<br />

allo svolgimento delle indagini, che lo stesso organo<br />

dell’accusa ritenga indispensabile, e che rientra<br />

tra gli atti processuali aventi natura probatoria ai<br />

quali correttamente viene riconosciuta capacità<br />

interruttiva della prescrizione perché testimoniano<br />

la volontà dello Stato di perseguire l’illecito.<br />

Nell’articolo 415-bis è, invece, prevista la facoltà<br />

dell’indagato di chiedere di presentarsi per rilasciare<br />

dichiarazioni o rendere interrogatorio.<br />

Si tratta di atto, pertanto, non provocato da una iniziativa<br />

del pubblico ministero, ma ricondotto ad<br />

una volontà dell’indagato che ritenga attraverso<br />

quello strumento di poter far valere le proprie<br />

ragioni.<br />

E’ un atto che si inserisce, perciò, nella strategia<br />

difensiva dell’indagato e che proprio per tale<br />

ragione non può assumere alcun rilievo ai fini della<br />

Diritto e Procedura penale<br />

volontà dello Stato di perseguire l’illecito.<br />

Le brevi considerazioni che precedono dimostrano<br />

che anche i presupposti argomentativi sui quali si<br />

fonda la pretesa necessità di una integrazione e di<br />

un aggiornamento dell’elenco di cui all’articolo<br />

160 c.p. e, quindi, di una revisione dei consolidati<br />

principi in materia enunciati dalla giurisprudenza<br />

costituzionale e di legittimità non sono fondati».<br />

Testimonianza<br />

Cass. pen., Sez. V, 19 aprile <strong>2007</strong>, n. 15804 –<br />

“Precisazioni sull’affermazione di compatibilità<br />

con l’ufficio di testimone dell’indagato in procedimento<br />

connesso o collegato la cui posizione sia<br />

stata archiviata” – (sintesi già pubblicata sul sito<br />

internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo<br />

del provvedimento per esteso).<br />

Avverso il provvedimento di condanna pronunciato<br />

nei suoi confronti, l’imputato ricorreva per cassazione,<br />

lamentando, fra l’altro, la violazione della<br />

normativa processuale in materia di incompatibilità<br />

con l’ufficio di testimone, avendo il giudice sentito<br />

in tale veste l’indagato in procedimento connesso<br />

con posizione archiviata.<br />

Nel dibattito registratosi sul punto, con la sentenza<br />

in epigrafe, i giudici, nel ritenere l’interpretazione<br />

recentemente offerta dalla VIª Sezione della<br />

Suprema Corte la «più corretta perché fondata su<br />

una rigorosa interpretazione letterale delle norme<br />

richiamate ed anche sulla logica dell'istituto che<br />

vuole evidentemente evitare che il testimone,<br />

obbligato a dire la verità, sia costretto a rilasciare<br />

dichiarazioni che possano pregiudicare la sua posizione<br />

processuale», non vedono «per quale ragione»<br />

il dichiarante che abbia deciso di non avvalersi<br />

della facoltà di non rispondere non possa poi esercitare<br />

l’ufficio di testimone «quando l'interrogatorio<br />

verta esclusivamente su fatti concernenti la<br />

posizione di terze persone che non possono in alcun<br />

modo danneggiare la sua posizione processuale»;<br />

di qui, l’affermazione del principio di diritto secondo<br />

cui l’ufficio di “testimone assistito”, ex art. 197bis<br />

c.p.p., «può essere assunto da persone indagate<br />

in un procedimento connesso o collegato – anche se<br />

sia stata disposta nei loro confronti l’archiviazione<br />

per fatti riguardanti la responsabilità di altri – sempre<br />

che la persona non si sia avvalsa della facoltà di<br />

non rispondere».<br />

Tuttavia, dall’impianto motivazionale della senten-<br />

48 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

za non è dato modo di comprendere che tipo di<br />

legame sussistesse tra le due posizioni in parola,<br />

chiaro essendo che, come osservato con la richiamata<br />

sentenza della S.C. 22402/2005, il suddetto<br />

principio deve ritenersi valido solo per le ipotesi di<br />

connessione ex art. 12, 1° co., lett. c) o di collegamento<br />

ex art. 371, 2° co., lett. b), c.p.p., con esclusione,<br />

dunque, dei casi di concorso nel medesimo<br />

reato ex art. 12, 1° co., lett. a), in relazione ai quali,<br />

mercé il disposto dell’art. 197, 1° co., lett. a), c.p.p.,<br />

«l’incompatibilità a testimoniare dell’indagato è<br />

radicale» (Cass., Sez. VI, 14.6.2005 (ud.<br />

1.2.2005), n. 22402, in Arch. n. proc. pen., 2006,<br />

582) ed il solo meccanismo per procedere alla sua<br />

audizione è quello di cui all’art. 210 c.p.p. (nello<br />

stesso senso, tra i giudici di merito, Trib. Milano<br />

17.2.2005, in Corr. mer., 2005, 703; Trib. Piacenza<br />

7.5.2003, in Arch. n. proc. pen., 2003, 489).<br />

Così doverosamente precisata, la soluzione non<br />

sembra porsi in contrasto con quanto statuito con la<br />

precedente sentenza 20298/2004 – dalla quale, tuttavia,<br />

i giudici, con la pronuncia in epigrafe,<br />

mostrano espressamente di dissentire, ma che ebbe<br />

a trattare un caso di «procedimento per lo stesso<br />

fatto" (Cass., Sez. IV, 3.4.2004, (ud. 19.2.2004), n.<br />

20298, in Arch. n. proc. pen., 2005, 528) – , né pare<br />

mettere in discussione le riflessioni effettuate dopo<br />

l’entrata in vigore della legge 63 del 2001 dai giudici<br />

di Palazzo della Consulta, i quali, nel prendere<br />

atto della scelta del legislatore di escludere «l'incompatibilità<br />

con l'ufficio di testimone per gli<br />

imputati in procedimento connesso o di reato collegato<br />

a condizione che siano stati definitivamente<br />

giudicati (e sia perciò operante il divieto di bis in<br />

idem), ovvero a condizione che abbiano volontariamente<br />

assunto la veste di testimone (a seguito dell'avviso<br />

a norma dell'art. 64, comma 3, lettera c),<br />

c.p.p.) e non siano imputati dello stesso fatto (art.<br />

12, comma 1, lettera a)», h<strong>anno</strong> altresì rammentato<br />

come «il provvedimento di archiviazione, pronunciato<br />

con qualsivoglia "formula", potrebbe in<br />

astratto essere sempre superato dalla riapertura<br />

delle indagini, autorizzata in vista di una nuova<br />

qualificazione del fatto come fattispecie penalmente<br />

rilevante ovvero come reato perseguibile d'ufficio<br />

o ancora come reato per il quale operano termini<br />

prescrizionali di maggiore durata» (Corte cost.<br />

27.3.2003, n. 73, in Cass. pen., 2003, 2626; affermazione<br />

ribadita da Cass., Sez. IV, 3.4.2004, (ud.<br />

19.2.2004), n. 20298, in Arch. n. proc. pen., 2005,<br />

528), sicché «l'incompatibilità a testimoniare per i<br />

coimputati del medesimo reato e per le persone<br />

2/<strong>2007</strong><br />

imputate in un procedimento connesso a norma dell'art.<br />

12, comma 1, lettera a), c.p.p. non appare<br />

priva di giustificazione, in ragione della peculiare<br />

situazione derivante dall'unicità del fatto-reato e<br />

dei conseguenti profili di indubbia interferenza<br />

con la posizione dell'imputato» (Corte cost.<br />

15.7.2003, n. 250, in Giust. pen., 2003, I, 302); il<br />

che è valso a chiarire definitivamente la tassatività<br />

delle ipotesi idonee a far venir meno l’incompatibilità<br />

a testimoniare, contemporaneamente smentendo<br />

il non condivisibile indirizzo giurisprudenziale,<br />

diffusamente invalso nell’ambito delle corti di<br />

merito, secondo cui «non vi è incompatibilità con<br />

l'ufficio di testimone per l'indagato del medesimo<br />

reato la cui posizione sia stata archiviata poiché le<br />

relative norme sono di natura eccezionale e non<br />

possono estendersi a soggetti in esse non contemplati<br />

perché non più inquisiti» (App. Milano<br />

5.2.2003, in Foro ambr., 2003, 323; nello stesso<br />

senso, Trib. Messina 9.7.2002, in Giur. mer., 2003,<br />

750; Trib. Foggia 8.2.2002, in Giur. mer., 2002,<br />

1309; Trib. Monza 3.10.2001, Giur. mer., 2002,<br />

503).<br />

GIURISPRUDENZA<br />

49


GIURISPRUDENZA<br />

Diritto e Procedura penale<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di M. MANISCALCO con la collaborazione di M. AMBRA<br />

Appello - termini<br />

App. Caltanissetta, Sez. I, 7.6.<strong>2007</strong> – “L’estratto<br />

contumaciale notificato per errore non modifica<br />

il termine di impugnazione fissato dalla legge” –<br />

(sintesi già pubblicata sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Nel caso di erronea notificazione dell’avviso di<br />

deposito della sentenza eseguita nei confronti dell’imputato<br />

o del suo difensore, allorché tale adempimento<br />

non sia dovuto, il termine di impugnazione<br />

decorre non dalla anzidetta notifica, bensì dalla<br />

scadenza del termine per il deposito della motivazione<br />

fissato dalla legge o indicato dal giudice.<br />

All’esito del giudizio di primo grado il giudice, nel<br />

condannare i due imputati, determinava in novanta<br />

giorni il termine per il deposito della motivazione;<br />

nonostante la tempestività dello stesso ne veniva<br />

notificato avviso agli imputati e ai rispettivi difensori,<br />

i quali, per l’effetto, provvedevano alla presentazione<br />

dell’impugnazione nel termine di 45<br />

giorni decorrenti dalla notifica de qua.<br />

Con la pronuncia in epigrafe, il Collegio dichiara<br />

gli appelli de quibus «tardivi e quindi inammissibili<br />

[…] a nulla rileva[ndo] la circostanza che la cancelleria<br />

del giudice di prime cure a[vesse] comunque<br />

provveduto a notificare agli imputati ed ai loro<br />

difensori l’avviso di deposito della sentenza, essendo<br />

un tale adempimento dovuto, alla stregua del<br />

chiaro disposto di cui all’art. 548 c.p.p., soltanto<br />

nel caso in cui il deposito sia intervenuto oltre il<br />

termine indicato dal giudice a norma dell’art. 544<br />

comma 3 c.p.p., ovvero nei confronti dell’imputato<br />

contumace, condizioni queste entrambe nella specie<br />

insussistenti».<br />

Nel caso sottoposto all’esame della Corte, tuttavia,<br />

se alla prima udienza dibattimentale uno degli<br />

imputati, contumace in base al decreto che dispone<br />

il giudizio, si presentava in udienza, l’altro veniva<br />

in quella stessa sede dichiarato tale, ma, presentandosi<br />

in una delle successive udienze, acquisiva<br />

nelle seguenti la posizione di “assente”, «essendo<br />

venuta meno, a seguito della successiva presenza in<br />

udienza, pur in assenza di un formale provvedimento<br />

di revoca, la di lui contumacia in precedenza<br />

dichiarata».<br />

L’erroneità dell’univoca conclusione giurisdizionale<br />

per i due imputati traspare evidente se sol si leggono<br />

gli estratti giurisprudenziali inconferentemente<br />

effettuati per supportarla.<br />

Mal si comprende, innanzitutto, il richiamo compiuto<br />

all’orientamento della Suprema Corte, secondo<br />

cui «l'omissione del provvedimento formale di<br />

revoca della dichiarazione di contumacia costituisce<br />

una mera irregolarità in ordine alla quale non è<br />

prevista alcuna sanzione processuale; d'altro canto,<br />

la presenza in udienza dell'imputato già dichiarato<br />

contumace determina il venir meno della contumacia,<br />

mentre non sussiste nel vigente ordinamento<br />

processuale l'obbligo del giudice di informare l'imputato<br />

di quanto avvenuto in sua assenza, al pari di<br />

quanto previsto dall'art. 501 c.p.p. previgente»<br />

(Cass., Sez. V, 16 febbraio 2005, n. 15635, in CED,<br />

232126); ed infatti, se da un lato è di lampante evidenza<br />

la differenza sussistente tra la disciplina delle<br />

patologie processuali e quella della decorrenza dei<br />

termini per impugnare, dall’altro non può omettersi<br />

di considerare la fattispecie concreta sottesa alla<br />

pronuncia dei giudici di legittimità che, come agevolmente<br />

arguibile dalla stessa massima, afferiva<br />

alla violazione di legge lamentata in sede di ricorso<br />

in relazione agli «artt. 420-quater, 523 c. 5 c.p.p.<br />

per omessa revoca della contumacia dell'imputato<br />

che ebbe a presentarsi all'ultima udienza e per non<br />

essere stato il medesimo informato dello stato del<br />

processo, dell'esito dell'istruttoria dibattimentale,<br />

della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee<br />

nonché di parlare per ultimo» (Cass., Sez. V, 16<br />

febbraio 2005, n. 15635, cit.).<br />

Gli effetti della discutibile impostazione di ricerca<br />

della Corte di appello, evidentemente limitata alla<br />

superficiale e acritica lettura delle massime della<br />

giurisprudenza di legittimità, emerge con ancor più<br />

chiarezza dal successivo stralcio riportato; secondo<br />

i giudici, infatti, la conclusione verrebbe, altresì, ad<br />

essere supportata dalla sentenza con cui la Suprema<br />

Corte ebbe a statuire che “l'omessa pronuncia del<br />

50 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

formale provvedimento di revoca della contumacia<br />

nei confronti dell'imputato che, già dichiarato contumace,<br />

sia comparso in giudizio determinando il<br />

venir meno della situazione di fatto che aveva originato<br />

la dichiarazione di contumacia, non spiega<br />

alcun rilievo, in quanto la contumacia viene a cessare<br />

indipendentemente dall'eventuale mancata<br />

pronuncia del formale provvedimento di revoca,<br />

previsto dall'art. 420-quater c.p.p., con la conseguenza<br />

che, in tal caso, non è dovuta all'imputato la<br />

successiva notifica dell'avviso di deposito della<br />

sentenza, con il relativo estratto, ai sensi dell'art.<br />

548, comma terzo, c.p.p.» (Cass., Sez. V, 1° dicembre<br />

2004, n. 6472, in CED, 231402).<br />

Nel caso di specie, non solo si versava nell’opposta<br />

ipotesi in cui ad essere lamentata era l’omessa notifica<br />

dell’avviso di deposito, ma i giudici di legittimità,<br />

nel rispondere alle doglianze difensive, avevano<br />

altresì ribadito la correttezza dell’unica sentenza<br />

confacente alla fattispecie sottoposta all’esame<br />

del collegio nisseno, ancorché da quest’ultimo<br />

inspiegabilmente mai richiamata, puntualizzando<br />

che a diversa soluzione si sarebbe giunti se «all'errore<br />

della mancata dichiarazione di revoca della<br />

contumacia si [fosse] aggiunto l'errore - capace di<br />

indurre l'incolpevole affidamento dell'interessato -<br />

della notifica a costui dell'avviso di deposito con<br />

l'estratto della sentenza» (Cass., Sez. V, 1° dicembre<br />

2004, n. 6472, cit.); evenienza, quest’ultima,<br />

certamente verificatasi nel caso di specie per l’imputato<br />

che, dichiarato contumace alla prima udienza,<br />

aveva visto irregolarmente modificarsi solo per<br />

implicito la propria posizione processuale.<br />

Se si concorda sul fatto che anche dopo le modifiche<br />

intervenute con la legge Carotti la contumacia<br />

debba essere formalmente revocata, ciò vuol dire<br />

che l’omissione dell’apposito provvedimento giurisdizionale<br />

viene comunque a configurare un’irregolarità<br />

che, ancorché non processualmente sanzionata,<br />

non avrebbe ovviamente potuto imporre la<br />

notifica dell’avviso della sentenza tempestivamente<br />

depositata, ma, una volta che questa sia avvenuta,<br />

la duplicità dell’errore si rivela certamente idonea<br />

ad indurre in ing<strong>anno</strong> l’imputato dichiarato<br />

contumace, presente, nel caso di specie, ad una sola<br />

udienza di un processo di durata settennale.<br />

Non si dubita, in altre parole, della correttezza dei<br />

richiamati orientamenti di legittimità, ma lascia<br />

chiaramente perplessi la metodologia di utilizzazio-<br />

2/<strong>2007</strong><br />

ne dei medesimi; infatti, nonostante la chiara giurisprudenza<br />

della Suprema Corte secondo cui «la formale<br />

dichiarazione di contumacia, erroneamente<br />

emessa o mantenuta durante tutto il giudizio e<br />

seguita dalla notificazione dell'avviso di deposito<br />

con l'estratto della sentenza, giustifica l'impugnazione<br />

proposta con l'osservanza dei termini previsti<br />

per il giudizio contumaciale, ancorché erroneamente<br />

instaurato o mantenuto» (Cass., Sez. IV, 21<br />

marzo 1997, n. 3250, in CED, 207795), la Corte di<br />

appello, non solo ha incautamente omesso ogni<br />

richiamo a tale ultima pronuncia – tra l’altro<br />

espressamente richiamata in altra sentenza riportata<br />

in massima dal collegio –, ma ha ritenuto di supportare<br />

le proprie conclusioni sovrapponendo concetti<br />

tra loro evidentemente diversi (patologia e termini,<br />

effetti dell’irregolarità e incolpevole affidamento<br />

dell’imputato circa una differente decorrenza<br />

dei termini), richiamando sentenze manifestamente<br />

inconferenti alla fattispecie concreta sottoposta<br />

all’esame giurisdizionale: da ultima quella<br />

con cui si è stato statuito che «qualora la sentenza<br />

soggetta ad impugnazione venga depositata entro il<br />

termine stabilito dal giudice ai sensi dell'art. 544<br />

comma 3 c.p.p., da detto termine decorre, per l'imputato<br />

non contumace, ai sensi dell'art. 585 comma<br />

2 lett. c) stesso codice, quello per la proposizione<br />

dell'impugnazione, anche nel caso in cui sia stata<br />

eseguita la non dovuta notificazione dell'avviso di<br />

deposito» (Cass., Sez. VI, 2 marzo 1999, n. 5125,<br />

in Arch. n. proc. pen., 1999, 262), omettendo, tuttavia,<br />

di considerare che, nel caso di specie, trattatavasi<br />

di imputato mai dichiarato tale (marzia maniscalco)<br />

Atti di p.g. - alcool-test<br />

Trib. Caltanissetta, 14 maggio <strong>2007</strong>, n. 300 –<br />

“L’accertamento dello stato di ebbrezza compiuto<br />

attraverso l’alcool-test” – (sintesi già pubblicata<br />

sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it).<br />

Se è pur vero che il compimento dell’alcool-test<br />

deve essere preceduto, ai sensi dell’art. 114 disp.<br />

att. c.p.p., dall’avvertimento alla persona sottoposta<br />

alle indagini della facoltà di farsi assistere dal<br />

difensore di fiducia, non è men vero che la nullità<br />

derivante dalla violazione del cennato obbligo<br />

deve, in ossequio al disposto dell’art. 182, secondo<br />

comma, c.p.p., essere eccepita dal difensore subito<br />

dopo la sua nomina, senza attendere il compimen-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

51


GIURISPRUDENZA<br />

to del primo atto successivo del procedimento,<br />

eventualmente avvalendosi delle memorie o richieste<br />

che, ai sensi dell’art. 121 c.p.p., possono essere<br />

inoltrate in ogni stato e grado del procedimento.<br />

Nell’ambito del giudizio innanzi al tribunale in<br />

composizione monocratica instaurato per guida in<br />

stato di ebbrezza, il difensore dell’imputato, solo in<br />

sede di discussione orale, eccepiva la nullità dei<br />

due alcooltest effettuati senza il preventivo avviso<br />

della facoltà di farsi assistere da un difensore di<br />

fiducia ai sensi dell’art. 114 disp. att. c.p.p.<br />

Come noto, secondo la giurisprudenza maggioritaria,<br />

il c.d. alcooltest costituisce atto di polizia giudiziaria<br />

urgente ed indifferibile ex art. 354, 3° co.,<br />

c.p.p., cui il difensore ha diritto di assistere ai sensi<br />

del successivo art. 356 senza però il diritto di essere<br />

previamente avvisato; di qui la necessità di rendere<br />

edotta la parte della facoltà di nominare un<br />

difensore di fiducia ex art. 114 disp. att. c.p.p., la<br />

cui omissione, venendo ad integrare una «nullità a<br />

regime c.d. intermedio» (Cass., Sez. IV,<br />

18.10.2006, n. 34743, inedita), deve essere rilevata<br />

«prima del suo compimento ovvero, se ciò non è<br />

possibile, immediatamente dopo» (art. 182 c.p.p.).<br />

L’intempestività dell’eccezione difensiva traspare,<br />

dunque, evidente: infatti, se da un lato non può<br />

ritenersi che la suddetta patologia dovesse essere<br />

eccepita dal soggetto presente – «giacché altrimenti<br />

si farebbe gravare sulla parte priva di assistenza<br />

tecnica un onere processuale che solo la competenza<br />

tecnica del difensore è in grado di conoscere e<br />

valutare» (Cass., Sez. III, 20.12.2006, n. 41625,<br />

inedita; massima in CED, 235545) –, dall’altro,<br />

però, è stato più volte ribadito dalla S.C. che «per<br />

sollevare l’eccezione, la parte interessata non può<br />

attendere il compimento del primo atto successivo<br />

al procedimento, ma deve provvedere, al di fuori<br />

dell’espletamento di specifici atti, mediante lo strumento<br />

delle “memorie o richieste” che, ai sensi dell’art.<br />

121 c.p.p. possono essere formulate in ogni<br />

stato e grado del processo» (Cass., Sez. IV,<br />

18.10.2006, n. 34743, inedita).<br />

Correttamente, dunque, la nomina del difensore<br />

viene a rappresentare, nel corpus della sentenza in<br />

epigrafe, il momento al quale riferire la suddetta<br />

sanatoria, conseguentemente ritenendo che «la nullità<br />

derivante dalla violazione del cennato obbligo<br />

Diritto e Procedura penale<br />

d[ovesse], in ossequio al disposto dell’art. 182,<br />

secondo comma, c.p.p., essere eccepita dal difensore<br />

subito dopo la sua nomina».<br />

È chiaro, tuttavia, come la rilevabilità della suddetta<br />

patologia “immediatamente dopo la nomina”<br />

venga ad essere condizionata dalla conoscenza dell’atto<br />

da parte del professionista e, dunque, dall’avvenuto<br />

deposito del verbale di accertamento compiuto<br />

dalla p.g. nella segreteria del p.m.; ma, secondo<br />

i più recenti approdi giurisprudenziali, «il verbale<br />

contenente gli esiti del cosiddetto alcooltest<br />

non è soggetto al deposito previsto dall’art. 366, 1°<br />

co., c.p.p., in quanto si tratta di un atto di polizia<br />

giudiziaria, urgente ed indifferibile, al quale il<br />

difensore, ai sensi dell’art. 356 stesso codice, può<br />

assistere senza che abbia il diritto di preventivo<br />

avviso» (Cass., Sez. IV, 28.7.2006, n. 26738, in Riv.<br />

pen., <strong>2007</strong>, 561); ed è noto come sia principio consolidato<br />

che la polizia giudiziaria, pur avendo l’obbligo<br />

di avvertire la parte della facoltà di farsi assistere<br />

da un difensore di fiducia, «non [sia] tenuta né<br />

a prendere notizia dell’eventuale nomina, né a<br />

nominare un difensore d’ufficio» (Cass., Sez. IV,<br />

28.7.2006, n. 26738, in Riv. pen., <strong>2007</strong>, 561). Sul<br />

punto si auspica, tuttavia, un ritorno a quelle impostazioni<br />

che, ricondotto l’accertamento tramite il<br />

c.d. alcool-test nell’ambito della disposizione dell’art.<br />

354, 3° co., c.p.p., non solo h<strong>anno</strong> escluso che<br />

il termine “facoltà” di cui all’art. 356 c.p.p. possa<br />

valere a negare l’applicabilità della previsione dell’art.<br />

366 c.p.p. circa il deposito dei verbali degli<br />

atti ai quali il difensore ha diritto di assistere, ma<br />

h<strong>anno</strong> altresì qualificato in termini di nullità relativa<br />

la conseguenza processuale della violazione<br />

della normativa de qua, «come tale sanabile se non<br />

eccepita tempestivamente (art. 181 c.p.p.) o negli<br />

altri casi elaborati dalla stessa giurisprudenza, che<br />

si è ispirata al principio fondamentale in forza del<br />

quale una nullità relativa può essere sanata ogni<br />

volta che non abbia prodotto alla difesa un d<strong>anno</strong><br />

reale, cioè un effettivo "dominatio" della possibilità<br />

di difesa, in quanto quest'ultima è stata posta<br />

comunque nelle condizioni di contraddire tempestivamente<br />

le tesi accusatorie» (Cass., Sez. V,<br />

22.2.1996, n. 5276, Maccari, in Giust. pen., 1997,<br />

III, 104. Nello stesso senso, più di recente, Cass.,<br />

Sez. IV, 5.11.2003, Della Luna, in CED, 227294).<br />

Merita segnalare come tra quest’ultimo approdo<br />

esegetico e l’orientamento che esclude l’esistenza<br />

del dovere di deposito dei verbali di accertamento<br />

52 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

compiuti mediante alcool-test sia stata avanzata<br />

anche una tesi intermedia che pur ammettendo la<br />

necessità del deposito considera una sua eventuale<br />

omissione in termini di «mera irregolarità che,<br />

senza incidere sulla validità ed utilizzabilità dell'atto,<br />

rileva solo ai fini della decorrenza del termine<br />

entro il quale è consentito l'esercizio delle attività<br />

difensive (esame dell'atto e richiesta di copia)»<br />

(Cass., Sez. IV, 22.10.2003, De Sannio, in Cass.<br />

pen., 2004, 3301. Nello stesso senso, Cass., Sez. IV,<br />

6.10.2004, n. 39057, C., in CED, 229965; Cass.,<br />

Sez. IV, 26.10.2004, n. 41702, N., ivi, 230276).<br />

Nonostante la manifesta tardività dell’eccezione,<br />

con la sentenza in epigrafe, il giudice ha inoltre<br />

ritenuto opportuno puntualizzare come, a tutto<br />

voler concedere, la stessa risulterebbe comunque<br />

irrilevante sulla scorta delle «<strong>anno</strong>tazioni degli<br />

operanti – univocamente deponenti – intorno agli<br />

occhi lucidi e all’alito vinoso; difatti, è orientamento<br />

pacifico del Supremo Collegio che “il giudice<br />

p[ossa] desumere lo stato di alterazione psicofisica<br />

derivante dall’influenza dell’alcool da qualsiasi<br />

elemento sintomatico dell’ebbrezza o dell’ubriachezza<br />

(tra cui l’ammissione del conducente, l’alterazione<br />

della deambulazione, la difficoltà di movimento,<br />

l’eloquio sconnesso, l’alito vinoso e così<br />

via)” (così testualmente, Cass., Sez. Un., 5.2.1996,<br />

n. 1999; negli stessi termini, più di recente, Cass.<br />

pen., Sez. IV, 22.11.2006, n. 38438)».<br />

Si ritiene, pertanto, opportuno segnalare il recente<br />

intervento chiarificatore dei giudici di legittimità, i<br />

quali, nel ribadire il principio per cui «lo stato di<br />

ebbrezza del conducente del veicolo può essere<br />

accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non<br />

necessariamente né unicamente attraverso la strumentazione<br />

e la procedure indicate nell’articolo<br />

379 del regolamento di attuazione ed esecuzione<br />

del codice stradale (d.P.R. 16.12.1992, n. 495, e<br />

successive modificazioni) (cosiddetto “etilometro”)»<br />

h<strong>anno</strong>, tuttavia, puntualizzato come in tali<br />

ipotesi la condanna debba sottendere «una motivazione<br />

“logica ed esauriente” […], laddove si consideri<br />

che il reato non si basa genericamente sull’apprezzamento<br />

dello stato di ebbrezza, bensì, specificamente,<br />

sul superamento di una particolare<br />

“soglia” di questa (tasso alcolemico superiore a 0,5<br />

grammi per litro: cfr. articolo 186, comma 6, del<br />

codice della strada). Il sistema che disciplina la<br />

materia, infatti, non vieta indiscriminatamente a chi<br />

2/<strong>2007</strong><br />

abbia fatto uso di bevande alcoliche di porsi alla<br />

guida di un veicolo, ma prevede una soglia di<br />

assunzione oltre la quale scatta il divieto in questione.<br />

Ciò che spiega come il principio del libero<br />

convincimento e l’assenza di una prova legale per<br />

fondare la responsabilità non possano estendersi<br />

fino a ritenere che qualunque manifestazione riconducibile<br />

all’uso di sostanze alcoliche sia sempre e<br />

tout court idonea ad integrare la fattispecie incriminatrice.<br />

Per l’effetto, in difetto dell’esame alcolimetrico,<br />

per poter ritenere provato lo stato di ebbrezza<br />

penalmente rilevante occorre che gli elementi sintomatici<br />

di tale stato siano significativi, al di là di<br />

ogni ragionevole dubbio, di una assunzione di<br />

bevande alcoliche in quantità tale che si possa<br />

affermare il superamento della soglia prevista dalla<br />

legge, non bastando al riguardo l’esistenza di elementi<br />

sintomatici di significato “ambiguo” (per<br />

queste considerazioni, Cass., Sez. IV, 13.7.2005,<br />

Compagnucci, la quale, nella specie, ha ritenuto tali<br />

la generica dichiarazione del verbalizzante secondo<br />

cui l’imputato “non sembrava molto in sé”, non<br />

risultando chiarita in sentenza la ragione che potesse<br />

consentire di ricondurre questo stato all’abuso di<br />

alcool, e la riferita presenza (dell’alito vinoso, trattandosi<br />

di elemento riconducibile all’assunzione di<br />

bevande alcoliche, ma inidoneo a dimostrare, da<br />

solo, il superamento della soglia vietata)» (Cass.,<br />

Sez. IV, 22.11.2006, n. 38438, inedita). [marzia<br />

maniscalco]<br />

GIURISPRUDENZA<br />

53


GIURISPRUDENZA<br />

Diritto e Procedura civile<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di MARCELLO MANCUSO<br />

Contratti della Pubblica Amministrazione<br />

Corte di appello di Caltanissetta – Sentenza 12-<br />

04-<strong>2007</strong>, n.106<br />

Nei contratti intercorrenti tra la Pubblica<br />

Amministrazione ed il singolo professionista, le<br />

prestazioni contrattuali, cioè quella del professionista<br />

da un lato, ed il pagamento della parcella<br />

professionale da parte dell'amministrazione dall'altro,<br />

sono sottoposte alla condizione sospensiva<br />

dell'approvazione della delibera di incarico da<br />

parte dell'organo tutorio.<br />

Né può ritenersi che si possa parlare di clausola<br />

vessatoria, la quale si verifica solo nelle ipotesi in<br />

cui essa è inserita in strutture negoziali destinate a<br />

regolare una serie indefinita di rapporti, sia dal<br />

punto di vista sostanziale, cioè se predisposte da un<br />

contraente che esplichi attività contrattuale all'indirizzo<br />

di una pluralità indifferenziata di soggetti,<br />

sia dal punto di vista formale, cioè in ipotesi di<br />

contratti predeterminati nel contenuto, a mezzo di<br />

moduli o formulari utilizzabili in serie<br />

Pertanto il professionista ha l'obbligo di aspettare<br />

l'esito della fase di controllo della delibera di conferimento<br />

di incarico, per eseguire la propria prestazione.<br />

Qualora invece, il professionista esegua<br />

la propria prestazione prima che ciò avvenga, nulla<br />

gli deve essere riconosciuto a titolo di corrispettivo.(1)<br />

(1) Ciò che contraddistingue la Pubblica<br />

Amministrazione dalle altre parti contrattuali,<br />

anche quando il contratto sia concluso iure privatorum,<br />

è la particolare fase procedimentale anteriore<br />

alla formazione del contratto, detta ad evidenza<br />

pubblica.<br />

Alla deliberazione a contrattare, cui segue la scelta<br />

del contraente, fa seguito l'ultima fase, quella della<br />

approvazione del contratto, che viene sottoscritto<br />

sotto la condizione sospensiva della successiva<br />

approvazione da parte degli organi competenti,<br />

senza la quale qualunque contratto stipulato è da<br />

ritenersi senza efficacia. La Giurisprudenza del<br />

Tribunale nisseno, in linea con quella di legittimità,<br />

esclude il carattere vessatorio della condizione,<br />

anche quando il contratto sia predisposto unilateralmente<br />

dall'ente, perché manca la regolamentazione<br />

indifferenziata di una serie di rapporti. Altro<br />

argomento che milita in tale senso (Cass. civile,<br />

sez. I 04-03-1987, n. 2255) è poi il riconoscimento<br />

di carattere di condicio iuris, che rende logicamente<br />

incompatibile la vessatorietà. Al professionista,<br />

in pendenza della condizione, sono accordate le<br />

tutele connesse all'obbligo di comportarsi secondo<br />

buona fede in pendenza della condizione, sicché<br />

qualora quell'attività di controllo sia impedita o frustrata<br />

per il suo comportamento colposo o doloso<br />

(nella specie: per l'omessa redazione del contratto<br />

formale di appalto, o per la mancata trasmissione di<br />

esso alla autorità di controllo) la P.A. incorre in<br />

responsabilità in contrahendo di cui all'art.. 1337<br />

c.c., mentre non può trovare applicazione la finzione<br />

legale dell'avveramento di cui all'art.. 1359 c.c.,<br />

che concerne la condizione quale requisito convenzionale<br />

accidentale. (Commento a cura di Vania<br />

Limuti e Marcello Mancuso)<br />

Giudice – rito locazioni e riscatto di immobile<br />

Corte di appello di Caltanissetta – Sentenza 26-<br />

04-<strong>2007</strong>, n.115<br />

Il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo<br />

quando gli atti giudiziali siano posti in essere da<br />

persona estranea all'ufficio e non investita della<br />

funzione esercitata, sicché le mere irregolarità di<br />

carattere interno non incidono sulla validità dell'atto,<br />

né sono causa di nullità del giudizio o della<br />

sentenza (fattispecie in tema di sentenza pronunciata<br />

dal Giudice Onorario oltre il limite di valore<br />

previsto). (1)<br />

La lettura in udienza del dispositivo della sentenza<br />

– che nel rito del lavoro costituisce un requisito<br />

formale indispensabile, la cui mancanza determina<br />

la nullità insanabile della pronuncia – non deve<br />

54 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

risultare necessariamente da esplicita menzione<br />

della sentenza medesima o nel verbale di udienza,<br />

ma può essere documentata da un qualsiasi altro<br />

atto processuale e può anche desumersi per implicito<br />

da particolari e determinate circostanze, come<br />

quando il dispositivo rechi la stessa data dell'udienza.<br />

(2)<br />

Ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione<br />

di cui all'art.38 L.392/1978, rileva la destinazione<br />

effettiva dell'immobile locato, e ciò pure nel caso in<br />

cui lo svolgimento di attività comportanti contatti<br />

diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori<br />

venga effettuato in contrasto con l'uso originariamente<br />

pattuito, ove il proprietario non abbia<br />

tempestivamente esperito, a norma dell'art.80 L.<br />

392/1978, l'azione di risoluzione del contratto a<br />

seguito del mutamento di uso da parte del conduttore.<br />

(3)<br />

(1) La Giurisprudenza in tal senso appare consolidata:<br />

Cass. civile, sez. III 20-08-2003, n. 12207<br />

ebbe già a stabilire che se una sentenza viene emessa<br />

dal Tribunale in composizione non corretta (nel<br />

caso di specie, giudice onorario aggregato anziché<br />

magistrato togato), non sussiste un vizio attinente<br />

alla costituzione del giudice, in quanto non può<br />

ritenersi che gli atti del processo siano stati posti in<br />

essere da persona estranea all'ufficio del giudice,<br />

non investita della funzione esercitata da detto ufficio.<br />

(2) La Giurisprudenza di legittimità anche di recente<br />

(Cass. civile, sez. III 08-09-2006, n. 19299) ha<br />

stabilito che, in tema di locazione, non sussiste<br />

logica incompatibilità tra la riserva di decidere,<br />

risultante dal verbale di udienza, e la successiva<br />

attestazione, contenuta nella sentenza in pari data,<br />

di lettura del dispositivo in udienza, ben potendo il<br />

giudice riservarsi la decisione, ritirarsi in camera di<br />

consiglio, rientrare in udienza e dare lettura del dispositivo<br />

della decisione assunta. Inoltre, la lettura<br />

del dispositivo della sentenza non deve necessariamente<br />

risultare da esplicita menzione nella sentenza<br />

medesima o nel verbale di udienza, ben potendo<br />

essere documentata da un qualsiasi atto processuale,<br />

o desumersi per implicito da determinate circostanze.<br />

(3) La decisione trova la sua ragione d'essere nelle<br />

finalità che la norma si propone e che verrebbero<br />

2/<strong>2007</strong><br />

completamente disattese da una diversa interpretazione.<br />

Il diritto di prelazione attribuito dall’art. 38<br />

della L. n. 392/1978 al conduttore di immobile adibito<br />

ad uso non abitativo nel caso che il locatore<br />

intenda venderlo a terzi ha infatti la sua ragione<br />

giustificatrice nella conservazione, anche nel pubblico<br />

interesse, delle imprese che nel contratto<br />

diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori<br />

in un determinato luogo trovano la fonte prevalente<br />

del loro avviamento. La Giurisprudenza<br />

(Cass. civile, sez. III 12-11-1996, n. 9881) ha precisato<br />

che il conduttore non può ottenere l'applicazione<br />

del regime giuridico corrispondente all'uso<br />

effettivo dell'immobile se non sono decorsi tre mesi<br />

da quando il locatore ha avuto conoscenza - ancorché<br />

desumendolo dall'esercizio del diritto di prelazione<br />

- del mutamento da attività diversa in quella<br />

a diretto contatto con il pubblico dei consumatori<br />

finali del prodotto. Infatti ai sensi dell'art. 80 della<br />

legge 27 luglio 1978 n. 392 - così come modificato<br />

a seguito della sentenza della Corte Costituzionale<br />

del 18 febbraio 1988 n.185 - soltanto dopo la scadenza<br />

di detto termine il locatore decade dal diritto<br />

di chiedere la risoluzione del contratto per arbitrario<br />

mutamento di destinazione dell'immobile.<br />

(Commento a cura di Vania Limuti e Marcello<br />

Mancuso)<br />

Responsabilità derivante dalla circolazione di<br />

veicoli e risarcimento del terzo trasportato.<br />

Corte di appello di Caltanissetta – Sentenza 26-<br />

04-<strong>2007</strong>, n. 120<br />

Il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto,<br />

di cortesia ovvero contrattuale, può invocare<br />

i primi due commi dell'art. 2054 c.c per fare<br />

valere la responsabilità extracontrattuale del conducente,<br />

nonché il 3° comma per far valere quella<br />

solidale del proprietario, che può liberarsi solo<br />

provando che la circolazione del veicolo è avvenuta<br />

contro la sua volontà ovvero che il conducente<br />

aveva fatto tutto il possibile per evitare il d<strong>anno</strong>.<br />

(1)<br />

Il giudice del merito, adito dal danneggiato, deve<br />

pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se<br />

uno dei condebitori abbia esercitato l'azione di<br />

regresso nei confronti degli altri, o comunque in<br />

vista del regresso, abbia chiesto tale accertamento<br />

GIURISPRUDENZA<br />

55


GIURISPRUDENZA<br />

in funzione della ripartizione interna, ovvero se il<br />

danneggiato abbia rinunciato alla parte del credito<br />

corrispondente al grado di responsabilità del<br />

coautore dell'illecito da lui non convenuto in giudizio<br />

o abbia comunque rinunciato ad avvalersi della<br />

solidarietà nei confronti del corresponsabile convenuto.<br />

(2)<br />

(1) Si tratta di principio oramai pacifico ed affermato<br />

in maniera tralaticia negli esatti termini: di<br />

recente anche Cass. civile, sez. III 01-06-2006, n.<br />

13130 ha ribadito che in materia di responsabilità<br />

derivante dalla circolazione dei veicoli, l'art. 2054<br />

c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono,<br />

principi di carattere generale, applicabili<br />

a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque<br />

ricevano danni, e, quindi, anche ai trasportati, quale<br />

che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero<br />

contrattuale (oneroso o gratuito). Consegue che il<br />

trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto,<br />

può invocare i primi due commi della disposizione<br />

citata per far valere la responsabilità<br />

extracontrattuale del conducente ed il terzo comma<br />

per far valere quella solidale del proprietario, che<br />

può liberarsi solo provando che la circolazione del<br />

veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che<br />

il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare<br />

il d<strong>anno</strong>. La sentenza citata, peraltro, comleta il<br />

quadro affermando che ove il trasporto sia avvenuto<br />

in base a titolo contrattuale, con l'azione prevista<br />

dall'art. 1681 c.c. - che stabilisce la responsabilità<br />

contrattuale del solo vettore per i sinistri che colpiscono<br />

il viaggiatore durante il viaggio - può concorrere<br />

quella extracontrattuale di cui all'art. 2054<br />

c.c.<br />

(2) Si tratta anche qui di principio pacifico: da ultimo<br />

Cass. civile, sez. III 25-08-2006, n. 18497.<br />

Società in accomandita semplice e recesso di un<br />

socio<br />

Corte di appello di Caltanissetta - Sentenza 26-<br />

04-<strong>2007</strong>, n.12<br />

Dal combinato disposto degli art. 2323 c.c. e 2289<br />

c.c., quest'ultimo applicabile anche alle società in<br />

accomandita semplice in forza dei richiami operati<br />

dagli art. 2315 e 2293 c.c., si evince, come chia-<br />

Diritto e Procedura civile<br />

rito dalla Corte Suprema, che il principio per il<br />

quale il socio receduto ha diritto “soltanto ad una<br />

somma di danaro che rappresenti il valore della<br />

quota” trova applicazione anche nel caso in cui lo<br />

scioglimento del rapporto sociale, limitatamente<br />

ad un socio, determini il venir meno della pluralità<br />

dei soci (ovvero, nella società in accomandita semplice,<br />

il venire meno dei soci accomandanti o dei<br />

soci accomandatari, e, quindi, lo scioglimento<br />

della società medesima ove, non sia ricostituita<br />

detta pluralità); e ciò perché anche in tale ipotesi<br />

lo scioglimento della società costituisce un momento<br />

successivo ed eventuale, rispetto allo scioglimento<br />

del rapporto sociale limitatamente al socio,<br />

e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità<br />

dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi<br />

della mancanza della pluralità medesima. (1)<br />

(1) Si tratta di principio condivisibilmente affermato,<br />

da ultimo, in Cass. civile, sez. I 26-06-2000, n.<br />

8670, puntualmente richiamata in sentenza; che<br />

distingue nettamente la vicenda che colpisce il vincolo<br />

individuale rispetto alle conseguenze che ne<br />

derivano, sulla permanenza dei presupposti della<br />

società ed, eventualmente, sul suo scioglimento.<br />

Provvedimenti ex art. 700 c.p.c. ed esecutività<br />

Corte di appello di Caltanissetta – Sentenza 15-<br />

03-<strong>2007</strong>, n. 102<br />

La mancanza di qualificazione di titolo esecutivo<br />

dell'ordinanza ex art. 700 c.p.c., nella formulazione<br />

che di esso prevede l'art. 474 c.p.c., esclude che<br />

ad essa possa applicarsi la disciplina di cui<br />

all'art.14 della L.669/1996, che prevede il divieto<br />

di procedere esecutivamente se non decorso il termine<br />

dilatorio dei 120 giorni dalla notifica del precetto.<br />

L'ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c., ammissibile<br />

anche nelle ipotesi di pagamento di somme di<br />

danaro, è sottoposta solo alle modalità di attuazione<br />

dei procedimenti cautelari, sicché essa costituisce<br />

una forma di esecuzione forzata speciale non<br />

suscettibile di sospensione se non nelle forme del<br />

reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c..<br />

La specifica disciplina del procedimento cautelare<br />

in sede di attuazione prevede, all'art. 669 duode-<br />

56 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

cies c.p.c., il richiamo alle regole contenute negli<br />

art. 491 e segg. c.p.c. “ in quanto compatibili”.<br />

Tale inciso si estrinseca come richiamo alle forme<br />

ordinarie di pignoramento che l'ordinamento prevede,<br />

ma l'esclusione del richiamo alle norme di<br />

cui agli artt. 483 – 490 c.p.c. implica l'inapplicabilità<br />

alla fattispecie, per esplicita previsione normativa,<br />

delle disposizioni contenute negli articoli precedenti<br />

al 491 c.p.c. e relative alle fasi prodromiche,<br />

ossia alla spedizione del titolo in forma esecutiva<br />

e la notifica del titolo e del precetto. (1)<br />

(1) Non abbiamo trovato precedenti in termini su<br />

questa pronuncia, che ci trova pienamente d'accordo.<br />

Va peraltro detto che rientra nei poteri del giudice<br />

che ha adottato la misura cautelare da eseguire,<br />

la nomina di un commissario ad acta che provveda<br />

all'esecuzione. Quando il soggetto chiamato<br />

ad adempiere sia una pubblica amministrazione la<br />

fungibilità della prestazione può considerarsi in re<br />

ipsa, atteso che il problema dell'incoercibilità dell'obbligo<br />

attiene solo alle prestazioni dovute dai<br />

privati, avuto riguardo alla preminenza delle posizioni<br />

di libertà e di intangibilità della sfera personale.<br />

E' stata invece negata la possibilità di usare lo<br />

strumento del giudizio di ottemperanza, (T.A.R.<br />

sez. I SICILIA Palermo, 27-01-2004, n. 221)essendosi<br />

ritenuto che la possibilità di poter richiedere al<br />

giudice amministrativo di disporre in ordine all'ottemperanza<br />

dell'amministrazione al giudicato formatosi<br />

su sentenze emesse da altri giudici, non può<br />

estendersi ai provvedimenti cautelari, legati a situazioni<br />

di fatto puntuali e mutevoli, che esigono l'immanente<br />

controllo dello stesso giudice che li ha<br />

emanati; sicché è inderogabile l'applicazione dell'art.<br />

669 duodecies c.p.c. ai fini dell'attuazione<br />

della misura cautelare da parte dello stesso giudice<br />

che la ha emessa.<br />

2/<strong>2007</strong><br />

Consulenza tecnica: valore probatorio<br />

Tribunale di Caltanissetta – Sentenza 22-01-<br />

<strong>2007</strong>, n. 22<br />

La consulenza tecnica, pur rivestendo la funzione<br />

di mezzo istruttorio e non di prova in senso stretto,<br />

può assurgere a fonte oggettiva di prova come<br />

strumento di accertamento e di descrizione dei fatti<br />

oltre che di valutazione. (1)<br />

(1) In via preliminare va precisato che la consulen-<br />

za tecnica d’ufficio non rientra nel novero dei<br />

mezzi di prova in senso stretto. La consulenza tecnica<br />

è un mezzo istruttorio tipicamente utilizzato<br />

dal giudice ordinario per integrare le proprie conoscenze<br />

in un ambito particolare in cui non si ritiene<br />

sufficientemente preparato. Essa, dunque, più che<br />

contribuire alla determinazione del convincimento<br />

del giudice circa la verità o non verità di determinati<br />

fatti, offre al giudice e alla attività da lui svolta<br />

l’ausilio di cognizioni tecniche non possedute, da<br />

valutare nella fase della decisione; il consulente<br />

può svolgere però anche il compito di constatare i<br />

fatti di causa e fornire al giudice i chiarimenti tecnici<br />

che questi ritiene opportuno chiedergli. La<br />

Suprema Corte con una nota sentenza (Cass. civ.,<br />

sez. Unite 04-11-1996, n. 9522) ha sancito una<br />

importante distinzione tra consulenza cd decidente<br />

e consulenza c.d. percipiente. Nel primo caso, atteso<br />

che sia stata già svolta l’attività istruttoria, la<br />

funzione e quella di offrire all’organo giudicante<br />

elementi valutativi di carattere tecnico utili ai fini<br />

della decisione. Nel secondo caso (c.d. percipiente)<br />

la consulenza, svolgendo una funzione di accertamento<br />

e descrizione, costituisce fonte oggettiva di<br />

prova, ma solo se il giudice ritenga che il suo<br />

accertamento richieda cognizioni tecniche che egli<br />

non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano<br />

o sconsiglino di procedere direttamente<br />

all'accertamento. Tale fattispecie, in ogni caso, non<br />

esonera le parti dal loro onere probatorio (ex<br />

art.2697 c.c.); è infatti regola generale ed ordinaria<br />

del nostro ordinamento giuridico che esse debbano<br />

provare in giudizio quanto meno il fatto posto a<br />

fondamento del proprio diritto. (Commento a cura<br />

di Alfonso Bellanca e Marcello Mancuso)<br />

Vizi della cosa venduta<br />

Tribunale di Caltanissetta – Sentenza 15-03-<br />

<strong>2007</strong>, n. 115<br />

I vizi della cosa venduta (art.1495 comma 1 c.c.) e<br />

i vizi occulti dell’opera realizzata (art.2226 comma<br />

2 c.c.) devono essere denunciati al venditore o al<br />

prestatore d’opera entro otto giorni dalla loro scoperta.<br />

Pur tuttavia, di fronte all’eccezione di decadenza<br />

formulata dalla parte opposta, è onere del<br />

compratore-committente provare la tempestività<br />

della denuncia dei vizi riscontrati.(1)<br />

GIURISPRUDENZA<br />

57


GIURISPRUDENZA<br />

(1) Se si prescinde da una pronuncia risalente<br />

(Cass. civ., sez. II 14-03-1983, n. 1888) secondo la<br />

quale la mancata o intempestiva denuncia dei vizi<br />

della cosa venduta, nel termine di otto giorni dalla<br />

scoperta, come fatto impeditivo o estintivo del<br />

diritto fatto valere dal compratore, deve essere<br />

espressamente eccepita dal venditore convenuto<br />

per la risoluzione del contratto o per la riduzione<br />

del prezzo, con la conseguenza che al compratore<br />

che agisce basta provare l'esistenza del vizio, quale<br />

solo presupposto necessario per l'esercizio del diritto,<br />

mentre incombe al venditore che eccepisce la<br />

decadenza di dimostrare il fondamento dell'eccezione,<br />

vale a dire il fatto (scoperta del vizio, ricevimento<br />

della cosa) dal cui compimento la legge fa<br />

decorrere il termine di decadenza, l’indirizzo pressoché<br />

costante della Corte, anche nelle sentenze più<br />

recenti (Cass.Civ. sez.II 29-01-2000 n. 1031;<br />

Cass.Civ. sez.II 16-02-2006 n. 3429), è di segno<br />

chiaramente opposto. Ne discende che, muovendo<br />

dal principio secondo cui quando la decadenza da<br />

un diritto consegue alla mancata osservanza dell'onere<br />

di compiere un determinato atto entro un certo<br />

termine, spetta a colui che intende esercitare il diritto<br />

fornire la prova di avere compiuto tempestivamente<br />

quell'atto. In definitiva, in tema di garanzia<br />

per vizi della cosa venduta, eccepita dal venditore<br />

la tardività della denuncia, l'onere della prova di<br />

avere denunciato il vizio entro otto giorni, ai sensi<br />

dell'art. 1495 c.c., incombe all'acquirente, trattandosi<br />

di condizione necessaria per l'esercizio dell'azione.<br />

(Commento a cura di Alfonso Bellanca)<br />

Sequestro conservativo – competenza<br />

Tribunale di Caltanissetta – Sentenza 22-03-<br />

<strong>2007</strong>, n. 155<br />

L’esecuzione delle misure cautelari, anche se eseguite<br />

nelle forme di procedimenti esecutivi, per<br />

consegna o rilascio (sequestro giudiziario) o di<br />

pignoramento (sequestro conservativo), non trasforma<br />

le misure in atti di esecuzione forzata. Da<br />

ciò ne consegue che la competenza a decidere sulla<br />

regolarità e validità del sequestro appartiene al<br />

giudice di merito e non dell’esecuzione. (1)<br />

(1) Il principio applicato trova conferma nell’indirizzo<br />

della Corte di Cassazione ( Cass. Civ., sez. III<br />

12-12-2003; Cass. civ., sez. III 20-04-1993, n.<br />

Diritto e Procedura civile<br />

4635). Il sequestro conservativo ha natura esclusivamente<br />

cautelare con caratteristiche meramente<br />

conservative e del tutto privo di assurgere a provvedimento<br />

anticipatore di natura satisfattiva, né lo<br />

assoggetta alla specifica competenza del giudice<br />

dell'esecuzione, trattandosi di mero richiamo della<br />

legge alle operazioni esecutive e non all'intero<br />

sistema di tutela giurisdizionale stabilito in materia.<br />

Le eventuali contestazioni mosse in ordine all’<br />

attuazione del sequestro conservativo mantengono<br />

la natura di eccezioni del soggetto che ha subito la<br />

misura cautelare, idonee soltanto a sollecitare l'esercizio,<br />

da parte del giudice della causa di merito,<br />

dei poteri di modifica, integrazione, precisazione o<br />

revoca del provvedimento, con la conseguenza che<br />

la competenza a decidere ogni questione in ordine<br />

all'attuazione di tale misura cautelare appartiene al<br />

giudice della causa di merito e non al giudice dell'esecuzione.<br />

(Commento a cura di Alfonso<br />

Bellanca)<br />

58 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

2/<strong>2007</strong><br />

la sentenza per esteso<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

CORTE DI APPELLO DI CALTANISSETTA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

la Corte di Appello di Caltanissetta, sezione civile,<br />

composta dai signori<br />

dr. Giovanni Perrino<br />

Presidente<br />

dr. Francesco Provenzano<br />

Consigliere<br />

dr. Antonino Liberto Porracciolo<br />

Consigliere rel.<br />

ha pronunciato la seguente<br />

S E N T E N Z A<br />

nella causa civile iscritta al n. 124/2005 R.G.C.<br />

avente ad oggetto appello avverso la sentenza del<br />

Tribunale di Caltanissetta n. 702/2004 del 16 ottobre<br />

– 25 novembre 2004 in materia di condannatorio<br />

per il pagamento di somme di danaro per prestazione<br />

d’opera intellettuale<br />

PROMOSSA DAL<br />

Comune di X, elettivamente domiciliato in<br />

Caltanissetta presso lo studio dell’avv. ... che lo<br />

rappresenta e difende per mandato a margine dell’atto<br />

di appello<br />

APPELLANTE<br />

CONTRO<br />

1) Y nato a ... il ..., in nome e per conto dell’associazione<br />

professionale “...”;<br />

2) Z nato a ... il ...;<br />

elettivamente domiciliati in Caltanissetta presso lo<br />

studio dell’avv. ... che li rappresenta e difende per<br />

mandato a margine della comparsa di costituzione<br />

e risposta di primo grado<br />

APPELLATI<br />

CONCLUSIONI DELLE PARTI<br />

Per l’appellante<br />

In riforma dell’impugnata sentenza, ritenere<br />

e dichiarare illegittime, infondate e non provate<br />

le pretese creditorie degli odierni appellati e rigettarle<br />

con ogni e qualsivoglia statuizione.<br />

In subordine, sempre in riforma dell’impugnata<br />

sentenza, ritenere e dichiarare nulla e illegit-<br />

tima l’obbligazione sulla quale si fondano le<br />

avversarie pretese creditorie e rigettare, comunque,<br />

le avverse domande.<br />

Con vittoria di spese e compensi di difesa<br />

di entrambi i gradi del giudizio.<br />

In estremo subordine, dichiarare interamente<br />

compensate le spese di lite.<br />

Per gli appellati<br />

Rigettare il proposto gravame, perché<br />

infondato in fatto e diritto e confermare interamente<br />

la sentenza di primo grado.<br />

Con vittoria di spese, competenze ed onorari<br />

anche di tale fase del giudizio.<br />

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO<br />

Con ricorso depositato nella Cancelleria<br />

del Tribunale di Caltanissetta il 6 luglio 1994,<br />

l’arch. Y e l’ing. Z esposero:<br />

– che il Comune di X, con delibera di<br />

Giunta adottata il ..., aveva loro conferito – al<br />

primo quale rappresentante dell’associazione professionale<br />

“...” – l’incarico di compilare il progetto<br />

esecutivo di opere per la riqualificazione dell’area<br />

adiacente la via ...;<br />

– che, sebbene avessero redatto quel progetto,<br />

così adempiendo l’incarico, non erano stati<br />

loro corrisposti né i compensi né le spese;<br />

ciò premesso, chiesero che al suindicato<br />

ente locale venisse ingiunto il pagamento dei<br />

seguenti importi: £.13.733.000 per indagini geognostiche;<br />

£.274.660 per vidimazione della parcella<br />

da parte dell’Ordine dei geologi; £.145.515.238<br />

per competenze professionali; £.727.577 per vidimazione<br />

della parcella da parte dell’Ordine degli<br />

ingegneri; £.1.091.364 per vidimazione della parcella<br />

da parte dell’Ordine degli architetti.<br />

Chiesero, inoltre, “gli interessi e la rivalutazione<br />

su £.13.733.000 e su £.145.515.238, da calcolarsi<br />

dal 9 aprile 1991”.<br />

Con decreto del successivo 8 luglio, l’adito<br />

giudice provvide in conformità a quanto richiestogli.<br />

Con atto di citazione datato 20 luglio 1994,<br />

il Comune di X propose opposizione avverso quel<br />

provvedimento, al riguardo richiamando l’art. 12<br />

del disciplinare d’incarico, per il quale il pagamento<br />

delle somme dovute a titolo di onorario<br />

sarebbe avvenuto quando le stesse sarebbero state<br />

a disposizione, ed esponendo che tale disponibili-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

59


GIURISPRUDENZA<br />

tà non si era ancora realizzata; l’ente locale richiamò,<br />

inoltre, l’art. 23 d.l. 66/1989, sostenendo che<br />

l’incarico era stato conferito in violazione di tale<br />

normativa. Chiese, quindi, la revoca del decreto<br />

ingiuntivo impugnato.<br />

Ritualmente costituitisi, i convenuti contestarono<br />

l’atto introduttivo del giudizio, chiedendo<br />

il rigetto della domanda.<br />

Con la sentenza n. 702/2004 del 16 ottobre<br />

– 25 novembre 2004 il Tribunale di Caltanissetta:<br />

– ritenne il Comune di X inadempiente per non<br />

essersi attivato in vista dell’ottenimento del finanziamento<br />

dell’opera progettata;<br />

– ritenne, d’altra parte, sia che non fosse dovuta la<br />

chiesta rivalutazione, sia che gli interessi dovessero<br />

decorrere non dal 9 aprile 1991, bensì dal 7<br />

aprile 1994, giorno in cui il Comune era stato<br />

messo in mora;<br />

– di conseguenza, revocò il decreto ingiuntivo<br />

impugnato, e condannò il Comune di X al pagamento<br />

delle stesse somme indicate in quel decreto<br />

– nel loro corrispondente ammontare in euro –<br />

oltre interessi dal 7 aprile 1994, con esclusione<br />

della rivalutazione.<br />

Per la riforma di tale pronuncia ha proposto appello<br />

il Comune di X; Y, in nome e per conto dell’associazione<br />

professionale “...”, e Z, ritualmente<br />

costituitisi, h<strong>anno</strong> chiesto il rigetto del gravame.<br />

Precisatesi le conclusioni, all’udienza collegiale<br />

del 7 febbraio <strong>2007</strong> la causa è stata quindi posta in<br />

decisione.<br />

MOTIVI DELLA DECISIONE<br />

Con il primo motivo di gravame, il<br />

Comune appellante deduce che, sulla base della<br />

documentazione in atti, si sarebbe dovuta affermare<br />

l’inesistenza “di ogni rapporto di causalità tra la<br />

[sua] attività ed il mancato ottenimento del finanziamento”,<br />

e ciò in quanto esso stesso, “in più<br />

occasioni, e con più atti anche di organi deliberanti,<br />

aveva estrinsecato l’intendimento di pervenire<br />

alla realizzazione dell’opera”. Al riguardo, il<br />

Comune di X evidenzia:<br />

– che la richiesta per il finanziamento dell’opera<br />

di cui si discute era stata inoltrata tempestivamente;<br />

– che quella stessa opera era stata inserita<br />

nei piani triennali 1992/94, 1993/95 e 1994/96;<br />

– che detta richiesta era stata disattesa in<br />

Diritto e Procedura civile<br />

conseguenza di scelte programmatico-finanziarie<br />

della Regione Siciliana, e non, invece, a causa di<br />

omissioni ad esso ascrivibili;<br />

– che, in conclusione, non potrebbero sussistere<br />

dubbi “circa la correttezza e la linearità di<br />

comportamento” da esso tenuto.<br />

Con il secondo motivo di impugnazione, il<br />

Comune di X prospetta ulteriormente che, a seguito<br />

dell’entrata in vigore della l.r. 10/1993, era<br />

venuta meno la possibilità di ottenere il finanziamento<br />

dell’opera de qua, giacché il relativo progetto<br />

non rispondeva ai requisiti che quella legge<br />

prevedeva per le progettazioni esecutive.<br />

Con il terzo motivo di gravame, il Comune<br />

appellante deduce che, in ogni caso, l’incarico era<br />

stato conferito in violazione della normativa contenuta<br />

negli artt. 23 d.l. 66/1989 e 55 l. 141/1990,<br />

il che avrebbe comportato la nullità dell’obbligazione<br />

su cui gli appellati fondavano la propria pretesa<br />

creditoria.<br />

Così riassunti i primi tre motivi di impugnazione,<br />

osserva la Corte che il terzo di essi va<br />

trattato subito, in quanto prospetta una questione<br />

logicamente pregiudiziale rispetto alle altre, giacché<br />

in tanto può discutersi dell’esistenza o meno di<br />

un inadempimento contrattuale da parte del<br />

Comune di X (primo e secondo motivo) in quanto<br />

sia stato prima accertato che l’ente locale medesimo<br />

ed i professionisti appellati erano legati da un<br />

valido rapporto obbligatorio (terzo motivo).<br />

Al riguardo si osserva che l’art. 12 del<br />

disciplinare per il conferimento dell’incarico professionale<br />

per la progettazione dei lavori de quibus<br />

(una copia del quale venne prodotta dagli appellati<br />

già nella fase monitoria) prevedeva quanto<br />

segue: “Le somme per onorario e spese dovute per<br />

lo studio e la redazione del progetto [...] verr<strong>anno</strong><br />

corrisposte al professionista [...] quando le relative<br />

somme sar<strong>anno</strong> disponibili”.<br />

Ciò posto, si trascrivono di seguito i<br />

commi 3° e 4° del richiamato art. 23 d.l. 66/89,<br />

convertito nella l. 144/89, applicabile alla fattispecie<br />

ratione temporis, poiché il conferimento dell’incarico<br />

di cui si discute ha formato oggetto di<br />

delibera di giunta municipale del 5 aprile 1991; ed<br />

è appena il caso, comunque, di evidenziare che<br />

quelle previsioni normative, benché abrogate dall’art.<br />

123 d.lgs. 77/95, sono state riprodotto in ter-<br />

60 2/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

mini sostanzialmente identici dall’art. 35 di tale<br />

decreto:<br />

“3. A tutte le amministrazioni provinciali,<br />

ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione<br />

di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente<br />

se sussistano la deliberazione autorizzativa nelle<br />

forme previste dalla legge e divenuta esecutiva,<br />

nonché l’impegno contabile registrato dal ragioniere<br />

o dal segretario, ove non esista il ragioniere,<br />

sul competente capitolo del bilancio di previsione,<br />

da comunicare ai terzi interessati. [...]<br />

4. Nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni<br />

o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel<br />

comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai<br />

fini della controprestazione e per ogni altro effetto<br />

di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore<br />

o il funzionario che abbiano consentita la fornitura.”<br />

Si tratta di disposizioni che h<strong>anno</strong> introdotto una<br />

rigorosa procedura, diretta a regolare l’impegno di<br />

spesa e il pagamento dei servizi da parte delle<br />

amministrazioni provinciali, dei comuni e delle<br />

comunità montane, con la previsione di una<br />

responsabilità personale e diretta del funzionario o<br />

dell’amministratore verso il privato fornitore per<br />

gli impegni assunti al di fuori o in violazione della<br />

procedura stessa.<br />

La normativa de qua ha, dunque, inciso in modo<br />

sensibile sulla disciplina del rapporto tra gli enti<br />

locali ivi indicati e i loro funzionati e amministratori,<br />

nonché tra costoro e i privati contraenti, delineando<br />

una sorta di frattura (o scissione) ope legis<br />

nel rapporto organico tra detti soggetti e l’amministrazione,<br />

e quindi escludendo la riferibilità a quest’ultima<br />

delle iniziative adottate al di fuori dello<br />

schema procedimentale previsto, e ciò allo scopo<br />

di garantire il rispetto dei principi di legalità, correttezza<br />

e trasparenza della gestione, di assicurare<br />

che la volontà contrattuale sia espressa dagli organi<br />

istituzionalmente competenti, ed al tempo stesso<br />

di contenere la spesa pubblica e prevenire il formarsi<br />

del disavanzo finanziario degli enti mediante<br />

la previsione che ad ogni obbligazione assunta<br />

faccia riscontro l’impegno contabile registrato sul<br />

competente capitolo di bilancio.<br />

In tal modo, al precedente regime – in cui, nelle<br />

ipotesi di nullità del negozio per effetto delle<br />

norme regolatrici della sua formazione, era esperibile<br />

contro la pubblica amministrazione l’azione di<br />

2/<strong>2007</strong><br />

arricchimento senza causa, oltre, eventualmente,<br />

quella di responsabilità precontrattuale – si è sostituita<br />

per gli enti locali suddetti una disciplina del<br />

rapporto tra gli enti medesimi e i soggetti agenti,<br />

nonché tra questi ultimi e i privati contraenti,<br />

improntata a schemi privatistici, che fa salva la<br />

validità del contratto, ma, ai fini della controprestazione<br />

e per ogni altro effetto di legge, configura<br />

il rapporto negoziale come intercorrente tra il<br />

privato e l’amministratore o funzionario che abbia<br />

consentito la fornitura.<br />

In altre parole, come notato anche in dottrina, si è<br />

avuta la sostituzione del previgente regime di nullità<br />

del negozio – di cui agli artt. 284 – 288 R.D.<br />

383/1934 (testo unico della legge comunale e provinciale)<br />

– con quello della sua validità ed efficacia<br />

tra agente in proprio e privato fornitore, attuata<br />

attraverso una forma di novazione soggettiva<br />

dell’originario rapporto obbligatorio intercorrente<br />

tra pubblica amministrazione e privato.<br />

Essendo questi il significato e la ratio del citato art.<br />

23, commi 3° e 4°, si deve concludere – in linea<br />

con Cass. 1985/2005 – che, anche per il contratto<br />

d’opera professionale, nel quale il pagamento del<br />

compenso ai professionisti sia stato condizionato<br />

con apposita clausola al finanziamento (da parte<br />

dei competenti organi pubblici) dei lavori da progettare,<br />

deve farsi applicazione della previsione<br />

normativa contenuta in quell’articolo.<br />

Invero, le norme introdotte dall’art. 23 rispondono<br />

ad evidenti esigenze di ordine pubblico, tra le<br />

quali assumono rilievo preminente quelle dirette a<br />

garantire la correttezza nella gestione amministrativa,<br />

il contenimento della spesa pubblica e l’equilibrio<br />

economico-finanziario degli enti locali.<br />

Si tratta, dunque, di disposizioni che non possono<br />

subire deroghe per effetto di una clausola convenzionale<br />

(c.d. di copertura finanziaria) che sottopone<br />

alla suddetta condizione il pagamento di un<br />

compenso professionale. Con questo meccanismo,<br />

infatti, nasce comunque un’obbligazione, ancorché<br />

condizionata, che non può restare sottratta alla<br />

menzionata disciplina normativa, la quale, del<br />

resto, ha una formulazione ampia che non contempla<br />

eccezioni. E la detta clausola produce effetti<br />

senza dubbio non conformi alla ratio ispiratrice<br />

della norma, giacché "impedisce proprio il risultato<br />

che la norma stessa si prefigge, cioè che l’acquisizione<br />

del servizio (nel caso di specie, l’ogget-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

61


GIURISPRUDENZA<br />

to della prestazione professionale) avvenga sulla<br />

base di un impegno contabile registrato sul competente<br />

capitolo del bilancio di previsione" (così la<br />

motivazione della richiamata pronuncia).<br />

Orbene, poiché nel caso di specie la Giunta<br />

Municipale del Comune di X conferì agli odierni<br />

appellati un incarico professionale in assenza di<br />

(previa) copertura finanziaria, era dunque insussistente,<br />

per le ragioni in precedenza esposte, un<br />

rapporto di immedesimazione organica tra l’amministratore<br />

comunale, da una parte, e la pubblica<br />

amministrazione, dall’altra, di talché la pretesa<br />

azionata dagli appellati medesimi nei riguardi di<br />

quel Comune deve ritenersi infondata.<br />

Né, comunque, il credito degli appellati nei confronti<br />

dell’ente locale potrebbe trovare titolo (non<br />

nel contratto, bensì) nel fatto illecito del Comune<br />

stesso, costituito dalla mancanza di iniziative volte<br />

a consentire che la condizione dedotta (finanziamento<br />

dell’opera) si avverasse (circa la responsabilità<br />

di detto Comune per il fatto di aver omesso<br />

di “espletare tutte le procedure necessarie al finanziamento<br />

dell’opera progettata”, si confronti pag.<br />

5 della comparsa di costituzione degli appellati<br />

medesimi); e ciò perché "il presunto fatto illecito<br />

va a collocarsi nella fase esecutiva del contratto, al<br />

quale dunque necessariamente si collega e che<br />

resta la fonte degli obblighi [...], sicché comunque<br />

a quel contratto occorre fare riferimento" (così,<br />

ancora, la richiamata sentenza n. 1985).<br />

In conclusione, v<strong>anno</strong> accolte le (assorbenti)<br />

ragioni prospettate con il terzo motivo di impugnazione,<br />

sicché, in riforma dell’impugnata sentenza,<br />

va rigettata la domanda avanzata da Y e Z<br />

nei confronti del Comune di X.<br />

Quanto, infine, alle spese del giudizio, la Corte<br />

ritiene che sussistano giusti motivi per disporsene<br />

l’intera compensazione tra le parti, tenuto conto<br />

che le questioni trattate h<strong>anno</strong> costituito oggetto di<br />

contrasto giurisprudenziale (Cass. 14198/2004,<br />

infatti, aveva affermato che il pagamento del compenso<br />

relativo ad un contratto d’opera professionale,<br />

condizionato all’erogazione del finanziamento<br />

da parte delle competenti amministrazioni pubbliche,<br />

si sottraesse all’applicazione della previsione<br />

di cui all’art. 23 d.l. 66/1989, avendo ritenuto<br />

che la problematica della responsabilità per i<br />

cc.dd. debiti fuori bilancio, di cui alla richiamata<br />

Diritto e Procedura civile<br />

previsione normativa, fosse estranea alla fattispecie).<br />

P. Q. M.<br />

Definitivamente pronunciando sull’appello proposto<br />

dal Comune di X avverso la sentenza del<br />

Tribunale di Caltanissetta n. 702/2004 del 16 ottobre<br />

– 25 novembre 2004, disattesa ogni contraria<br />

istanza, eccezione e difesa, in riforma di tale pronuncia<br />

così provvede:<br />

1) rigetta la domanda proposta Y e Z nei confronti<br />

del Comune di X in relazione all’incarico conferito<br />

loro – al primo quale rappresentante dell’associazione<br />

professionale “...” – con delibera della<br />

Giunta Municipale di quello stesso Comune, n. ...<br />

del ...;<br />

2) compensa interamente tra le parti le spese di<br />

entrambi i gradi del giudizio.<br />

Caltanissetta, 15 febbraio <strong>2007</strong><br />

IL CONSIGLIERE REL. EST. IL PRESIDENTE<br />

firmato Porracciolo firmato Perrino<br />

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio <strong>2007</strong><br />

62 2/<strong>2007</strong><br />

***<br />

Commento – a cura di Marcello Mancuso<br />

Il nerbo della pronuncia è costituito da Cass. civ.,<br />

sez. I 01-02-2005, n. 1985, che, esaminando altra<br />

fattispecie anche questa sottoposta al vaglio della<br />

nostra Corte territoriale, ha stabilito alcuni principi<br />

in materia in parziale controtendenza con la precedente<br />

Cass. civ., sez. I 28-07-2004, n. 14198.<br />

Per la Suprema Corte non ha fondamento la tesi<br />

che vorrebbe confinare l'incidenza della violazione<br />

del D.L. n. 66 del 1989, art. 23 nella sfera interna<br />

della pubblica amministrazione. La regola<br />

generale, per la quale gli eventuali vizi della deliberazione<br />

di conferimento dell'incarico al professionista<br />

privato h<strong>anno</strong> rilievo esclusivamente nell'ambito<br />

interno all'organizzazione dell'ente medesimo,<br />

ma non incidono sulla validità ed efficacia<br />

del contratto privatistico di prestazione d'opera<br />

professionale non esclude, infatti, che il legislatore<br />

possa dettare, anche in questo campo, delle<br />

norme imperative, le quali trovano applicazione<br />

nei rapporti intersoggettivi, e condizionano pertan-


Diritto e Procedura civile<br />

to la stessa validità dei contratti di diritto privato<br />

stipulati dalla pubblica amministrazione.<br />

Tal è, in particolare, il caso della norma dettata dal<br />

D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 (disposizione<br />

convertita in legge, con modificazioni, con la L.<br />

24 aprile 1989, n. 144, art. 1, comma 1), per il<br />

quale a tutte le amministrazioni provinciali (oltre<br />

che ai comuni ed alle comunità montane) l'effettuazione<br />

di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente<br />

se sussistano la deliberazione autorizzativa<br />

nelle forme previste dalla legge e divenuta o<br />

dichiarata esecutiva, nonché l'impegno contabile<br />

registrato dal ragioniere o dal segretario, ove non<br />

esista il ragioniere, sul competente capitolo del<br />

bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati.<br />

Non vi è dubbio che, come del resto conferma<br />

l'ultima parte della disposizione, concernente<br />

la comunicazione ai terzi interessati, la norma<br />

incide sui rapporti tra l'amministrazione ed i terzi.<br />

Se ne deduce che il contratto d'opera professionale<br />

nel quale il pagamento del compenso al professionista<br />

sia stato condizionato con apposita clausola<br />

al finanziamento, da parte dei competenti<br />

organi pubblici, dei lavori da progettare, non si<br />

sottrae all'applicazione dell'art. 23, commi 3 e 4,<br />

del d.l. n. 66 del 1989, convertito, con modif.,<br />

nella legge n. 144 del 1989, con la conseguenza<br />

che il rapporto obbligatorio non è riferibile all'ente<br />

- cui, a mente della citata disposizione, la effettuazione<br />

di qualsiasi spesa è consentita solo in presenza<br />

della deliberazione autorizzata nelle forme<br />

previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva<br />

- , ma intercorre, ai fini della controprestazione,<br />

tra il privato e l'amministratore o funzionario<br />

che abbia assunto l'impegno.<br />

Ne deriva che non può essere configurato alcun<br />

rapporto tra contraente e amministrazione, perché<br />

il contratto, attraverso una novazione soggettiva,<br />

viene a radicarsi direttamente in capo alla persona<br />

fisica che ha consentito la fornitura.<br />

Neanche, dunque, possono radicarsi in favore del<br />

contraente ed in d<strong>anno</strong> dell'Amministrazione le<br />

tutele connesse all'obbligo di comportarsi secondo<br />

buona fede in pendenza della condizione, che<br />

comunque predicano la sussistenza di un rapporto<br />

contrattuale, ancorché condizionato.<br />

La regolamentazione del rapporto, invero, si trasla<br />

interamente in capo agli amministratori che h<strong>anno</strong><br />

2/<strong>2007</strong><br />

consentito la fornitura, compresa la condizione.<br />

L'unico autonomo titolo teoricamente azionabile è<br />

quello di default dato dall'art. 2043 c.c., eventualmente<br />

supportato, ma la probatio è diabolica, da<br />

un'eventuale collusione con i veri titolari passivi<br />

del rapporto.<br />

E' del resto esclusa l'esperibilità dell'azione di<br />

arricchimento ingiustificato: ma (Corte cost. 24-<br />

10-1995) se il terzo può esperire "iure proprio" l'azione<br />

contrattuale solo nei confronti del funzionario<br />

per conseguire il corrispettivo dei lavori, è vero<br />

anche che quest'ultimo, esposto a subire nel proprio<br />

patrimonio il depauperamento provocato dall'esercizio<br />

nei suoi confronti del diritto dell'altro<br />

contraente al conseguimento del prezzo, senza, per<br />

contro, avere alcuna specifica azione per rivalersi<br />

nei confronti dell'ente nel cui patrimonio si è prodotto<br />

l'arricchimento, può esercitare l'azione "ex"<br />

art. 2041 cod. civ. verso l'ente nei limiti dell'arricchimento<br />

da questo conseguito.<br />

Per conseguenza, il contraente privato è altresì<br />

legittimato, "utendo iuribus" del funzionario suo<br />

debitore, quando il patrimonio dello stesso non<br />

offra adeguata garanzia, ad agire contro la P.A. in<br />

via surrogatoria "ex" art. 2900 cod. civ., anche<br />

contestualmente alla proposizione della domanda<br />

per il pagamento del prezzo nei confronti del debitore<br />

medesimo.<br />

GIURISPRUDENZA<br />

63


DOTTRINA<br />

Il “falso in bilancio” alla luce della riforma del<br />

“risparmio”<br />

di FAUSTO GIUNTA<br />

(Ordinario di diritto penale presso l’Università di<br />

Firenze)<br />

1. La legge 28 dicembre 2005, n. 262 richiama senz’altro<br />

l’attenzione del penalista sui ritocchi apportati<br />

al reato di false comunicazioni sociali, il cui<br />

volto, come noto, era stato ridisegnato in precedenza<br />

dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61.<br />

Vale la pena di ricordare che la riforma del 2002 ha<br />

sdoppiato il “falso in bilancio” in due fatti-specie<br />

strutturalmente assai simili: l’una generale e procedibile<br />

d’ufficio, l’altra speciale e persegui-bile a<br />

querela; la prima, di natura contravvenzionale,<br />

posta primariamente a tutela della trasparenza<br />

societaria (ossia della veridicità e completezza dell’informazione<br />

societaria); la seconda, costituente<br />

delitto, volta a tipizzare la progressione della condotta<br />

fino all’effettivo pregiudizio degli interessi<br />

patrimoniali facenti capo ai soci o ai creditori. Non<br />

solo: l’arricchimento parossistico delle fattispe-cie,<br />

attraverso l’impiego di molteplici elementi costitutivi<br />

mirati alla selezione del fatto tipico, ha fatto sì<br />

che l’ambito applicativo degli odierni artt. 2621 e<br />

2622 c.c. si restringesse grandemente. Da qui la<br />

reazione della giurisprudenza, che ha cercato di<br />

contrastare la scelta del legislatore sollevando questioni<br />

di legittimità sia costituzionali, che comunitarie,<br />

le quali, però, non h<strong>anno</strong> prodotto l’effetto<br />

sperato (1) : ossia il ripristino dell’omonima fattispecie<br />

risalente al 1942, anch’essa criticata dalla dottrina<br />

per ragioni opposte; ossia a causa dei suoi<br />

cedimenti sul terreno della determinatezza, amplificati<br />

oltre misura dalla giurisprudenza degli ultimi<br />

lustri antecedenti alla riforma.<br />

Ora, di fronte alla valanga di critiche, non prive di<br />

eccessi, ma largamente fondate, che si sono appuntate<br />

sulla figura del nuovo “falso in bilancio”, era<br />

speranza largamente condivisa che una “riforma<br />

della riforma” intervenisse a correggere il tiro mancino<br />

(o, forse, più semplicemente mal-destro) del<br />

legislatore del 2002. A ciò induceva l’idea (o l’illusione)<br />

che la resipiscenza non si addice solo agli<br />

Diritto Penale<br />

uomini, ma anche ai legislatori (che in definitiva<br />

sono uomini anch’essi), e la convinzione, che le<br />

forze congiunte di maggioranza e opposizione fossero<br />

in grado di partorire una normativa certamente<br />

migliore di quella vigente, come lasciava sperare,<br />

nella stessa XIV Legislatura, la significativa<br />

coesistenza di due disegni di legge in tema di<br />

risparmio, che investivano l’intera materia (C. 4639<br />

Fassino e C. 4705 Governo).<br />

Ma le speranze di una coraggiosa riforma naufragarono<br />

ben presto proprio sul terreno delle scelte<br />

politico-criminali da compiersi in materia di “falso<br />

in bilancio”. L’allora opposizione chiedeva modifiche<br />

più incisive di quelle che era disposta a concedere<br />

la maggioranza (tra cui l’eliminazione della<br />

fattispecie di d<strong>anno</strong>, la strutturazione dell’illecito<br />

come delitto di pericolo astratto, il ritorno alla severità,<br />

per il vero eccessiva, delle pene previgenti e il<br />

ripristino della perseguibilità d’ufficio). Il mancato<br />

accordo ritardò la maturazione della riforma, il<br />

cui progetto proseguì, con il sostegno delle sole<br />

forze dell’allora maggioranza, nel segno - per<br />

quanto riguarda il “falso in bilancio” - di un restyling<br />

dell’esistente normativo.<br />

Come si vedrà, infatti, la l. 262/2005 non modifica<br />

le scelte di fondo che animarono la riforma del<br />

2002. Ciò non significa, però, che le innovazioni<br />

apportate siano di dettaglio. Esse mirano a un parziale<br />

recupero dell’efficacia preventiva, che la fattispecie<br />

ha perso a seguito della riforma del 2002.<br />

Più precisamente, si possono distinguere due tipi di<br />

innovazioni, a seconda che l’intervento le-gislativo<br />

abbia inteso ampliare il raggio di azione della fattispecie<br />

ovvero si sia preoccupato di rafforzare il<br />

trattamento sanzionatorio per essa prevista.<br />

2. Iniziando dal primo tipo di intervento, non può<br />

certo trascurarsi che la rosa dei soggetti attivi è<br />

stata allargata con l’inclusione del dirigente preposto<br />

alla redazione dei documenti contabili societari.<br />

Quest’ultima figura – sia detto per incidens – compare<br />

oggi anche tra i soggetti attivi dei reati indicati<br />

dall’art. 15 della l. 262/2005 (infedeltà patrimoniale,<br />

di cui agli artt. 2634 e 2635 c.c., e ostacolo<br />

all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche<br />

di vigilanza di cui all’art. 2638 c.c.).<br />

L’innovazione, però, trova la sua principale ragion<br />

d’essere proprio con riferimento all’ipotesi di falso<br />

(1) Cfr: Corte giust., 3 maggio 2005, nei procedimenti riuniti C-387/02, C-391/02, C-403/02, in Dir. pen. proc., 2005, 782; Corte cost., 1°<br />

giugno 2004, n. 161, su cui, Giunta, La Corte costituzionale respinge le questioni di illegittimità del ‘falso in bilancio’, in Dir. pen. proc.,<br />

2004, 1504 ss.<br />

64 2/<strong>2007</strong>


2/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

in bilancio in senso stretto, posto che la redazione<br />

dei documenti contabili societari ha diretta incidenza<br />

sulla formazione del bilancio d’esercizio, come<br />

risulta, del resto, dall’art. 154-bis, comma 3, Tuf, in<br />

base al quale spetta alla nuova figura di dirigente il<br />

compito di predisporre adeguate pro-cedure amministrative<br />

e contabili per la formazione del bilancio<br />

di esercizio e, ove previsto, del bi-lancio consolidato<br />

nonché di ogni altra comunicazione di carattere<br />

finanziario.<br />

Deve condividersi, pertanto, la scelta effettuata dal<br />

riformatore del 2005, anche sotto il profilo delle<br />

sue ricadute penalistiche. Infatti, attraverso l’ampliamento<br />

dei soggetti attivi dei reati di cui agli artt.<br />

2621 e 2622 c.c., il dirigente preposto alla redazione<br />

dei documenti contabili societari potrà rispondere<br />

delle eventuali falsità da lui realizzate anche al di<br />

fuori dello schema del concorso di per-sone nel<br />

reato proprio, con conseguente semplificazione<br />

dell’accertamento probatorio.<br />

Per converso, l’innovazione non chiarisce del tutto<br />

il suo ambito applicativo, posto che il citato art.<br />

154-bis Tuf prevede l’obbligo della nuova figura<br />

del dirigente preposto alla redazione dei do-cumenti<br />

contabili esclusivamente con riguardo alle società<br />

quotate. Si pone pertanto il problema di stabilire<br />

se, dal punto di vista penalistico, la qualifica soggettiva<br />

di nuovo conio legislativo possa rilevare<br />

pure al di fuori delle società quotate. Sennonché,<br />

quand’anche si accedesse alla tesi affer-mativa,<br />

essa parrebbe destinata a operare limitatamente ai<br />

casi in cui la società non quotata abbia provveduto<br />

alla nomina del dirigente preposto alla redazione<br />

dei documenti contabili societari, posto che, diversamente<br />

ragionando, l’identificazione del nuovo<br />

soggetto attivo dipenderebbe interamente dalla funzione<br />

svolta con conseguente indebolimento del<br />

parametro legislativo di riferimento.<br />

Il richiamo della disciplina contenuta nell’art. 154bis<br />

Tuf è altresì necessario per correlare funzionalmente<br />

la condotta tipica del nuovo soggetto attivo<br />

del reato con i veicoli informativi atti a contenere le<br />

sue eventuali falsità. E’ noto infatti che le nozioni<br />

di «bilancio», «relazioni» e «altre comunicazioni<br />

sociali previste dalla legge» sono, nel testo vigente<br />

degli artt. 2621 e 2622 c.c., elementi normativi<br />

della fattispecie, ragion per cui devono essere intesi<br />

alla stregua del significato che essi h<strong>anno</strong> in base<br />

alla legge extrapenale.<br />

Ne consegue che le falsità del dirigente preposto<br />

alla redazione dei documenti contabili societari non<br />

potr<strong>anno</strong> rivestire rilevanza penale se non attraverso<br />

la previa verifica della “tipicità” della sua comunicazione<br />

sociale; una verifica, questa, da effettuarsi<br />

attraverso la lettura combinata, da un lato, della<br />

disciplina extrapenale del singolo veicolo informativo<br />

utilizzato e, dall’altro, dei requisiti in base ai<br />

quali la comunicazione sociale assume rilevanza<br />

penale ai sensi degli artt. 2621 e 2622 c.c.<br />

Per esemplificare, si pensi alla «dichiarazione<br />

scritta» del dirigente preposto alla redazione dei<br />

documenti contabili societari, che, a norma dell’art.<br />

154-bis, comma 2, Tuf, deve accompagnare gli atti<br />

e le comunicazioni della società diffusi al mercato,<br />

e relativi all’informativa contabile anche in-frannuale<br />

della stessa società. Ebbene, detta dichiarazione<br />

assume rilievo penale in quanto prevista dalla<br />

legge “e” diffusa al mercato. Decisiva sarà soprattutto<br />

la verifica di quest’ultimo requisito, in relazione<br />

al quale è intervenuta di recente una modifica<br />

legislativa rilevante a fini penali. In effetti, in<br />

base alla formulazione originaria dell’art. 154-bis,<br />

comma 2, Tuf, quale risultava ad opera della legge<br />

n. 262 del 2005, la dichiarazione in questione era<br />

prevista genericamente per gli atti e le co-municazioni<br />

“contenenti informazioni e dati sulla situazione<br />

economica, patrimoniale o finanziaria della<br />

società stessa”. Pertanto, quando la dichiarazione in<br />

questione non si dirigeva ai soci o al pubblico,<br />

come richiesto testualmente dagli artt. 2621 e 2622<br />

c.c., essa non poteva considerarsi comu-nicazione<br />

sociale suscettibile di assumere rilevanza penale. A<br />

una diversa conclusione sembra doversi giungere<br />

sulla scorta della formulazione dell’art. 154-bis,<br />

comma 2, Tuf, quale risulta a seguito delle modifiche<br />

apportate dall’art. 3, comma 15, del D. Lgs. 29<br />

dicembre 2006, n. 303. Come si è detto, infatti, il<br />

diritto vigente specifica che la «dichiarazione scritta»<br />

del dirigente preposto alla redazione dei documenti<br />

contabili societari deve accompagnare le<br />

comunicazioni diffuse al mercato, con la conseguenza<br />

che essa per definizione sarà sempre diretta<br />

al pubblico, come richiesto dagli artt. 2621 e 2622<br />

c.c.<br />

E ancora: la relazione del dirigente preposto alla<br />

redazione dei documenti contabili societari, con la<br />

quale egli attesta l’adeguatezza e l’effettiva applicazione<br />

delle procedure amministrative e contabili<br />

per la predisposizione del bilancio, rientra certamente<br />

nel concetto di “relazione” di cui agli artt.<br />

2621 e 2622 c.c. Per la sua rilevanza penale, ai<br />

sensi della fattispecie di false comunicazioni socia-<br />

DOTTRINA<br />

65


DOTTRINA<br />

li, è necessario, però, che i suoi contenuti riguardino<br />

direttamente la situazione economica, patrimoniale<br />

o finanziaria della società; un requisito, questo,<br />

che sembra difettare nel caso di specie, posto<br />

che la relazione in questione concerne adempimenti<br />

di natura strumentale alla corretta rappresentazione<br />

della verità contabile. In breve: il settore dove si<br />

delinea con maggiore immediatezza la responsabilità<br />

penale del dirigente preposto alla redazione di<br />

documenti contabili societari, è quello della predisposizione<br />

di procedure contabili atte a produrre<br />

falsità di bilancio. Deve trattarsi di un’attività<br />

preordinata a tale scopo, ossia finalizzata, in definitiva,<br />

a favorire o determinare la falsificazione del<br />

bilancio da parte degli amministratori; la qual cosa<br />

avvicina la condotta del nuovo soggetto più al contributo<br />

del concorrente nel reato, che allo schema<br />

della realizzazione monosoggettiva del falso in<br />

bilancio.<br />

3. All’ampliamento (seppur modesto) dell’ambito<br />

applicativo del “falso in bilancio” mira anche<br />

un’altra innovazione, che interessa, questa volta,<br />

unicamente la fattispecie delittuosa prevista dall’art.<br />

2622 c.c. Come si è ricordato, la nota specializzante<br />

dell’art. 2622 c.c. rispetto all’omologa fattispecie<br />

contravvenzionale prevista dall’art. 2621<br />

c.c., consiste nel d<strong>anno</strong> patrimoniale. Ebbene, la<br />

norma in commento ha arricchito e ampliato la<br />

descrizione dell’evento di reato, aggiungendo all’ipotesi<br />

di d<strong>anno</strong> patrimoniale ai soci o ai creditori,<br />

anche quella di d<strong>anno</strong> alla società.<br />

Evidentemente il legislatore del 2005 ha inteso riferirsi<br />

a quei pregiudizi che la società risente come<br />

entità distinta dai soci, e indipendentemente cioè<br />

dal d<strong>anno</strong> di questi ultimi uti singuli. Si pensi alla<br />

falsità di bilancio finalizzata a coprire un’appropriazione<br />

indebita dell’amministratore, che comunque<br />

non ha pregiudicato l’interesse dei soci al dividendo<br />

(perché, ad esempio, la somma ap-propriata<br />

non costituiva un utile).<br />

Deve trattarsi pur sempre di un d<strong>anno</strong> consistente<br />

in una deminutio patrimonii, risultando penalmente<br />

irrilevante la condotta di false comunicazioni sociali<br />

che abbia frustrato un’aspettativa di guadagno o<br />

abbia determinato un d<strong>anno</strong> all’immagine. Ne consegue<br />

che il nuovo evento riguarderà essenzialmente<br />

il patrimonio sociale.<br />

Quanto alla titolarità del diritto di querela nel caso<br />

di d<strong>anno</strong> alla società, è fin troppo evidente che essa<br />

non può attribuirsi esclusivamente gli amministra-<br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

tori, specie quando l’aggressione proviene da questi<br />

ultimi. E’ da ritenersi, pertanto, che tanto l’assemblea,<br />

quanto i soci uti singuli siano titolari del<br />

diritto di querela.<br />

4. Passando adesso a considerare le innovazioni<br />

che attengono al trattamento sanzionatorio, viene il<br />

rilievo innanzitutto l’aumento del massimo edittale<br />

previsto per la contravvenzione di false comunicazioni<br />

sociali di cui all’art. 2621 c.c., che passa dall’arresto<br />

fino a un <strong>anno</strong> e sei mesi (secondo la comminatoria<br />

introdotta dalla riforma del 2002) a due<br />

anni. Si tratta di un ritocco al tariffario di pena che<br />

non riscatta certo la fattispecie dalla critica di essere<br />

eccessivamente indulgente, posto che il minimo<br />

edittale rimane ingiustificatamente attestato sulla<br />

misura del minimo legale previsto per l’arresto.<br />

L’innovazione, peraltro, non ha incidenza alcuna<br />

sui tempi della prescrizione, che, a seguito della l.<br />

5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. ex Cirielli), sono oggi<br />

di quattro anni, salvo l’aumento previsto per le ipotesi<br />

di interruzione.<br />

5. A istanze di rigore, alimentate da recenti e noti<br />

scandali finanziari, si ispira invece la previsione,<br />

per la sola fattispecie delittuosa di false comunicazioni<br />

sociali, di una circostanza aggravante speciale,<br />

che commina la reclusione da due a sei anni se,<br />

nel caso di società quotate, «il fatto cagiona un<br />

grave nocumento ai risparmiatori» (nuovi commi<br />

quarto e quinto dell’art. 2622 c.c.).<br />

Deve ritenersi che la nozione di «risparmiatori»<br />

non aggiunga nulla di più alle due categorie dei<br />

«soci» e del «pubblico», indicate, dal primo comma<br />

degli artt. 2621 e 2622 c.c., quali destinatari delle<br />

false comunicazioni. Semmai, la nozione di<br />

«risparmiatore» sembra delimitare le categorie di<br />

«soci» e «pubblico», ponendo l’accento sulla sola<br />

cerchia di coloro che investono in strumenti finanziari.<br />

Il quinto comma dell’art. 2622 c.c., nel definire la<br />

nozione di grave nocumento, attesta il gigantismo<br />

dell’evento aggravatore. Si fa riferimento, infatti, al<br />

nocumento che ha riguardato un numero di risparmiatori<br />

superiore allo 0,1 per mille della popolazione<br />

risultante dall’ultimo censimento Istat ovvero<br />

è consistito nella distruzione o riduzione del<br />

valore di titoli di entità complessiva superiore allo<br />

0,1 per mille del prodotto interno lordo. Com’è<br />

intuibile, la difficoltà di accertamento che caratterizza<br />

la nuova circostanza comporterà verosimil-<br />

66 2/<strong>2007</strong>


2/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

mente la necessità, per il giudice, di attingere al<br />

sapere specialistico del consulente tecnico, con<br />

conseguente allungamento dei tempi processuali.<br />

Particolarmente complessa sarà poi la verifica del<br />

nesso causale tra il fatto di false comunicazioni<br />

sociali e l’evento del grave nocumento.<br />

Quanto alla reale efficacia preventiva della nuova<br />

aggravante, essa non deve enfatizzarsi, stante il suo<br />

assoggettamento alla disciplina generale delle circostanze<br />

del reato, ivi incluso il giudizio di bilanciamento<br />

con le attenuanti eventualmente concorrenti,<br />

suscettibili di essere valutate come equivalenti<br />

o prevalenti.<br />

6. L’innovazione di maggior rilievo recata dalla<br />

legge n. 262 del 2005 in materia di falso in bilancio<br />

riguarda la disciplina delle falsità che non superano<br />

le soglie di rilevanza penale previste dagli artt.<br />

2621, commi 3 e 4, e 2622, commi 8 e 9, c.c. Come<br />

noto, la disciplina previgente lasciava del tutto<br />

impunite le falsità che si attestavano al di sotto<br />

delle soglie anzidette. Oggi, invece, dette falsità<br />

che non assurgono a reato vengono punite con sanzione<br />

amministrativa, secondo il modello già adottato<br />

nel campo tributario dal d.lgs. 10 marzo 2000,<br />

n. 74. L’innovazione, proprio perché destinata a<br />

tracciare il confine tra due aree contigue di illiceità,<br />

accredita la tesi secondo la quale le soglie sarebbero<br />

limiti di tipicità, piuttosto che requisiti che<br />

attengono alla punibilità.<br />

Al tempo stesso deve ritenersi che, nonostante le<br />

nuove sanzioni siano state introdotte attraverso il<br />

generico rinvio ai commi che prevedono il complesso<br />

delle soglie di rilevanza penale, esse operino<br />

esclusivamente nei confronti delle soglie numeriche,<br />

non anche in relazione alla soglia elastica concernente<br />

l’alterazione sensibile della rappresentazione<br />

della situazione economica, patrimoniale o<br />

finanziaria della società o del gruppo, posto che,<br />

diversamente ragionando, l’ambito dell’illecito<br />

amministrativo dipenderebbe da valutazioni in concreto<br />

del giudice penale. Del resto, la soluzione qui<br />

proposta risulta coerente con la tesi secondo la<br />

quale mentre le soglie numeriche concernerebbero<br />

le sole falsità di bilancio, la soglia elastica varrebbe<br />

per le falsità contenute nelle relazioni e nelle<br />

altre comunicazioni sociali.<br />

Le sanzioni amministrative di nuovo conio, irrogabili<br />

da parte del Prefetto (2) , sono paradossalmente<br />

più temibili delle pene previste per le falsità che<br />

costituiscono reato. Oltre alla sanzione pe-cuniaria,<br />

infatti, viene comminata l’interdizione dagli uffici<br />

direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da<br />

sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di<br />

amministratore, sindaco, liquidatore, direttore<br />

generale e dirigente preposto alla redazione dei<br />

documenti contabili societari, nonché da ogni altro<br />

ufficio con potere di rappresentanza della persona<br />

giuridica o dell’impresa. La gravità della sanzione<br />

è accentuata dalla sua indefettibilità, posto che,<br />

com’è oltremodo noto, per le sanzioni amministrativa<br />

non è previsto un istituto similare alla sospensione<br />

condizionale della pena.<br />

Detto ciò, deve rilevarsi, con riguardo alla irrogazione<br />

della pena pecuniaria, che il legislatore, pur<br />

facendo riferimento al sistema delle quote, non ne<br />

ha fornito la disciplina generale. Non sono stati fissati<br />

infatti i criteri di commisurazione e l’ammontare<br />

di ciascuna quota. Al contempo, è da ritenersi<br />

che, nel silenzio della nuova normativa, l’irrogazione<br />

delle sanzioni amministrative in questione<br />

avverrà in base a quanto disposto dalla l. 24 novembre<br />

1981, n. 689 (3) , con la conseguenza, tra l’altro,<br />

di essere assoggettata a tempi di prescrizione più<br />

lunghi di quelli previsti per i falsi sopra la soglia (4) .<br />

Se si prescinde da queste non lievi carenze e<br />

dimenticanze, l’innovazione deve salutarsi con<br />

favore, anche perché offre un contributo al superamento<br />

dei dubbi di legittimità che h<strong>anno</strong> accompagnato<br />

la breve vita delle soglie di rilevanza penale<br />

del falso in bilancio. Sotto questo profilo, dunque,<br />

la fattispecie di falso in bilancio, già “assolta”<br />

sia dalla Corte costituzionale, sia dalla Corte di<br />

Giustizia, sembra adesso essersi messa al riparo da<br />

ulteriori dubbi di legittimità. Semmai, un’irragionevolezza<br />

nel trattamento la si può cogliere nella<br />

segnalata maggiore “pesantezza” della sanzione<br />

prevista per l’illecito amministrativo di “falso in<br />

bilancio” rispetto a quella comminata per la corrispondente<br />

ipotesi penale. E’ da escludersi però la<br />

giurisprudenza di merito vorrà chiedere alla Corte<br />

Costituzionale di eliminarla ripristinando lo status<br />

quo ante.<br />

(2) Per una critica della scelta, v. Seminara, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, in Dir. pen. proc.,<br />

2006, 551 s.<br />

(3) Paliero, Market abuse e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr. Merito, 2005, 617.<br />

(4) Perini, Prime osservazioni sui profili penali della nuova legge sul risparmio, in Giur. it., 2006, 878.<br />

DOTTRINA<br />

67


SEGNALAZIONI<br />

Procedura penale<br />

COMPETENZA DEL G.I.P. DISTRETTUALE E POTERI DEL TRIBUNALE PER IL RIESAME<br />

DEI PROVVEDIMENTI COERCITIVI.<br />

Di Ones Benintende<br />

Cass., Sez. I, 24 maggio <strong>2007</strong><br />

- Omissis<br />

La competenza del giudice distrettuale va riconosciuta quando nella notizia iscritta nel registro iscritta<br />

nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. risultino come nel caso di specie inclusi, così qualificando la natura<br />

delle indagini in corso, reati rientranti, per il titolo o per essere contestata l’aggravante di cui all’art.<br />

7 legge 203/1991, tra quelli indicati nell’art. 51 comma 3 bis richiamato dall’art. 328 comma 1 bis c.p.p.,<br />

e ciò anche se in ordine a detti reati, o all’aggravante, non venga in sede cautelare ritenuta l’esistenza<br />

di gravi indizi.<br />

P.Q.M.<br />

Dichiara la competenza del GIP del Tribunale di Caltanissetta, cui dispone trasmettersi gli atti.<br />

I Giudici per le indagini preliminari presso il<br />

Tribunale di Nicosia, dott. Alessandro Ricciardolo<br />

e dott. Alessandro Dagnino, con ordinanze del 21<br />

febbraio ’07 h<strong>anno</strong> sollevato conflitto negativo di<br />

competenza, trasmettendo gli atti alla Suprema<br />

Corte, dopo avere ricevuto il fascicolo relativo ad<br />

un procedimento penale nei confronti di vari soggetti<br />

indiziati dei reati di usura ed estorsione con<br />

l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991.<br />

Gli atti erano stati trasmessi ai giudici nicosiani<br />

con ordinanza del Tribunale del Riesame che escludendo<br />

l’aggravante predetta aveva, conseguentemente,<br />

dichiarato l’incompetenza del GIP distrettuale<br />

e disposto la trasmissione degli atti al P.M.<br />

procedente che, a sua volta, aveva richiesto al GIP<br />

del Tribunale di Nicosia la rinnovazione della<br />

misura.<br />

Sulla problematica si è più volte pronunziata la<br />

Corte Regolatrice con decisioni di opposto avviso,<br />

nel senso che a volte è stato riconosciuto il potere<br />

del Tribunale del Riesame di verifica della competenza<br />

territoriale del G.I.P. ed in altri casi tale potere<br />

è stato negato sul presupposto del vincolo della<br />

“prospettazione” del reato contestato ad opera dell’organo<br />

requirente nella fase delle indagini preli-<br />

minari caratterizzate dalla fluidità dell’ipotesi d’accusa.<br />

Atteso il contrasto giurisprudenziale ed il pregio<br />

giuridico degli opposti arresti giurisprudenziali,<br />

sarebbe stato auspicabile un intervento delle<br />

Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tuttavia si<br />

è pronunziata la prima sezione affermando il principio<br />

richiamato in epigrafe.<br />

68 2/<strong>2007</strong>


Sezione di<br />

legislazione,<br />

giurisprudenza<br />

e dottrina<br />

Invio materiale<br />

Direzione<br />

EMANUELE LIMUTI<br />

Coordinamento Scientifico<br />

MARZIA MANISCALCO<br />

RIVISTA<br />

DELL’<br />

Rivista dell'Avvocatura<br />

c/o Consiglio dell'ordine degli Avvocati<br />

Palazzo di Giustizia 93100 Caltanissetta<br />

E-mail: rivistavvocaturacl@tiscali.it<br />

AVVOCATURA<br />

Diritto civile e amministrativo: all’attenzione di<br />

Marcello Mancuso<br />

Diritto e procedura penale: all’attenzione di Marzia<br />

Maniscalco<br />

E' fortemente raccomandato l'invio di e-mail con allegati<br />

in formato Word.<br />

Legislazione<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Aggiornamento normativo<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Aggiornamento normativo<br />

a cura di M. MANCUSO<br />

Giurisprudenza<br />

<strong>Dott</strong>rina<br />

Sommario<br />

Diritto e Procedura penale<br />

Osservatorio della Corte di cassazione<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Diritto e Procedura civile<br />

Osservatorio della giurisprudenza di merito locale<br />

a cura di M. MANCUSO<br />

Diritto Penale<br />

F. GIUNTA, Sulla falsità nelle liste elettorali<br />

Procedura Penale<br />

C. CRAPANZANO, La testimonianza dei minorenni<br />

nel processo penale<br />

Diritto commerciale<br />

A. CAMPIONE, Tutela del diritto d’autore e provvedimenti<br />

urgenti: la descrizione<br />

Diritto dell’informatica<br />

S. MANCUSO, Protezione dei consumatori nelle<br />

transazioni commerciali elettroniche. Una<br />

prima comparazione tra il diritto europeo e<br />

quello islamico<br />

03/<strong>2007</strong><br />

p. 69<br />

p. 71<br />

p. 73<br />

p. 86<br />

p. 90<br />

p. 94<br />

p. 102<br />

p. 105<br />

p. 107


Diritto e Procedura penale<br />

AGGIORNAMENTO NORMATIVO<br />

a cura di MARZIA MANISCALCO<br />

Legge 2 ottobre <strong>2007</strong>, n. 160 – “Conversione in<br />

legge, con modificazioni, del decreto legge 3 agosto<br />

<strong>2007</strong>, n. 117, recante disposizioni urgenti<br />

modificative del codice della strada per incrementare<br />

i livelli di sicurezza nella circolazione” -<br />

(G.U. 3 ottobre <strong>2007</strong>, n. 230)<br />

La legge in epigrafe converte, con modifiche, il<br />

provvedimento d’urgenza emanato dal governo in<br />

prossimità dell’esodo estivo «al fine di contenere il<br />

crescente tasso di incidentalità sulle strade, sia individuando<br />

linee di intervento preventivo, sia inasprendo<br />

il regime sanzionatorio connesso alle violazioni<br />

che comportino maggior incidenza di<br />

rischio per la sicurezza stradale».<br />

Tra gli interventi che riguardano le fattispecie incriminatrici<br />

da segnalare, innanzitutto, la modifica<br />

intervenuta nel corpo dell’art. 116 del codice della<br />

strada, e rimasta immutata in sede di conversione,<br />

volta a sanzionare penalmente la guida di autoveicoli<br />

e motoveicoli senza avere conseguito la patente<br />

in termini di contravvenzione punita con l’ammenda<br />

da 2.257 a euro 9.032 e con l’arresto fino ad<br />

un <strong>anno</strong> nel caso di reiterazione della condotta illecita<br />

nell’ambito del biennio, il cui accertamento è<br />

espressamente devoluto al tribunale in composizione<br />

monocratica.<br />

Convertite, invece, con modifiche le disposizioni<br />

volte ad inasprire le pene previste dagli artt. 186 e<br />

187 c.d.s.; quanto al primo, afferente alla guida in<br />

stato di ebbrezza, l’entità della pena viene ancorata<br />

al tasso alcolemico accertato: ammenda da 500 a 2<br />

mila euro nel caso in cui sia stato accertato un valore<br />

corrispondente ad un tasso alcolemico superiore<br />

a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l);<br />

ammenda da 800 a 3.200 euro e arresto fino a tre<br />

mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente<br />

ad un tasso alcolemico ricompreso tra<br />

0,8 e 1,5 g/l, ma, in tal caso, la pena, tuttavia, «può<br />

essere sostituita, a richiesta dell’imputato, con l’obbligo<br />

di svolgere un’attività sociale gratuita e continuativa<br />

presso strutture sanitarie traumatologiche<br />

pubbliche per un periodo da due a sei mesi»;<br />

ammenda da 1.500 a 6 mila euro e arresto fino a sei<br />

mesi, se il tasso alcolemico accertato è superiore a<br />

1,5 g/l; anche in tal caso la pena «può essere sostituita,<br />

a richiesta dell’imputato, con l’obbligo di<br />

svolgere un’attività sociale gratuita e continuativa<br />

3/<strong>2007</strong><br />

presso strutture sanitarie traumatologiche pubbliche<br />

per un periodo da sei mesi ad un <strong>anno</strong>».<br />

Le pene sono raddoppiate «se il conducente in stato<br />

di ebbrezza provoca un incidente stradale».<br />

È lo stesso articolo 186 a statuire, inoltre, che<br />

«competente a giudicare dei reati di cui al presente<br />

articolo e' il tribunale in composizione monocratica»<br />

(c. 2-ter), al contempo specificando che le disposizioni<br />

relative alle pene accessorie «si applicano<br />

anche in caso di applicazione della pena su richiesta<br />

delle parti» (c 2-quater).<br />

L’aggravamento delle pene si accompagna, tuttavia,<br />

alla depenalizzazione della fattispecie del rifiuto<br />

a sottoporsi all’accertamento dello stato di<br />

ebbrezza, punita, «salvo che il fatto costituisca<br />

reato», con la sanzione amministrativa del pagamento<br />

di una somma da euro 2.500 a euro 10.000.<br />

Quanto alle modifiche intervenute sul successivo<br />

art. 187 c.d.s., afferente al reato di guida in stato di<br />

alterazione per avere assunto sostanze stupefacenti<br />

o psicotrope, la pena comminata è quella dell’ammenda<br />

da mille a 4 mila euro e dell’arresto fino a<br />

tre mesi; anche in tal caso, «la pena può essere<br />

sostituita, a richiesta dell’imputato, con l’obbligo di<br />

svolgere un’attività sociale gratuita e continuativa<br />

presso strutture sanitarie traumatologiche pubbliche<br />

per un periodo da tre a sei mesi», la competenza<br />

viene espressamente assegnata al tribunale in composizione<br />

monocratica ed il rifiuto del conducente di<br />

sottoporsi ai controlli funzionali all’accertamento<br />

del reato integra un illecito amministrativo.<br />

Il provvedimento si chiude con la norma, espressamente<br />

definita di coordinamento, volta a precisare<br />

che le disposizioni di nuovo conio che «sostituiscono<br />

sanzioni penali con sanzioni amministrative si<br />

applicano anche alle violazioni commesse anteriormente<br />

alla data di entrata in vigore, purché il procedimento<br />

penale non sia stato definito con sentenza<br />

o decreto penale irrevocabili».<br />

Decreto legislativo 6 novembre <strong>2007</strong>, n. 204 –<br />

“Attuazione della direttiva 2004/80/CE relativa<br />

all'indennizzo delle vittime di reato” - (G.U.<br />

9.11.<strong>2007</strong>, n. 261, Suppl. ord. n. 228). Testo di<br />

legge scaricabile per esteso dal sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it<br />

Emanato sulla scorta della delega conferita con la<br />

legge comunitaria 2005 (l. 25.1.2006, n. 29), il<br />

provvedimento governativo in epigrafe adempie<br />

agli obblighi imposti dal Consiglio con la direttiva<br />

LEGISLAZIONE<br />

69


LEGISLAZIONE<br />

2004/80/CE in punto di indennizzo alle vittime dei<br />

reati, con la quale, preso atto della difficoltà delle<br />

vittime di ottenere il ristoro del d<strong>anno</strong> subito in<br />

conseguenza di un reato, quando questo sia stato<br />

commesso nel territorio di uno Stato membro<br />

diverso da quello di appartenenza, si è inteso introdurre,<br />

all’interno dell’Unione Europea, un sistema<br />

di cooperazione tra le autorità degli Stati membri<br />

per ovviare alle difficoltà pratiche e linguistiche<br />

connesse alle situazioni transfrontaliere.<br />

In tal guisa, ai sensi dell’art. 1 del decreto, «allorché<br />

nel territorio di uno Stato membro dell'Unione<br />

europea sia stato commesso un reato che dà titolo a<br />

forme di indennizzo previste in quel medesimo<br />

Stato e il richiedente l'indennizzo sia stabilmente<br />

residente in Italia, la procura generale della<br />

Repubblica presso la corte d'appello del luogo in<br />

cui risiede il richiedente, quale autorità di assistenza:<br />

a) dà al richiedente le informazioni essenziali relative<br />

al sistema di indennizzo previsto dallo Stato<br />

membro dell'Unione europea in cui e' stato commesso<br />

il reato;<br />

b) fornisce al richiedente i moduli per presentare la<br />

domanda;<br />

c) a richiesta del richiedente, gli fornisce orientamento<br />

e informazioni generali sulle modalità di<br />

compilazione della domanda e sulla documentazione<br />

eventualmente richiesta;<br />

d) riceve le domande di indennizzo e provvede a<br />

trasmetterle senza ritardo, insieme alla relativa<br />

documentazione, alla competente autorità di decisione<br />

dello Stato membro dell'Unione europea in<br />

cui e' stato commesso il reato;<br />

e) fornisce assistenza al richiedente sulle modalità<br />

per soddisfare le richieste di informazioni supplementari<br />

da parte dell'autorità di decisione dello<br />

Stato membro dell'Unione europea in cui e' stato<br />

commesso il reato;<br />

f) a richiesta del richiedente, provvede a trasmettere<br />

all'autorità di decisione le informazioni supplementari<br />

e l'eventuale documentazione accessoria».<br />

Le suddette comunicazioni «sono redatte nella lingua<br />

ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello<br />

Stato membro alla cui autorità di decisione l'informazione<br />

è diretta, ove corrisponda a una delle lingue<br />

delle istituzioni comunitarie, ovvero in un'altra<br />

lingua delle istituzioni comunitarie che tale Stato<br />

membro abbia dichiarato di poter accettare».<br />

Nell’ipotesi in cui, invece, il reato sia stato commesso<br />

in Italia e il richiedente sia stabilmente resi-<br />

Diritto e Procedura penale<br />

dente in un altro Stato, per i «procedimenti per l’erogazione<br />

delle elargizioni a carico dello Stato previste<br />

dalle leggi speciali», l’art. 2 prescrive che «la<br />

domanda dell’elargizione può essere presentata tramite<br />

l’autorità di assistenza dello Stato membro<br />

dell’Unione europea dove il richiedente è stabilmente<br />

residente», in tal caso «l'autorità specificamente<br />

indicata dalla legge speciale, cui compete la<br />

decisione sull'elargizione, comunica senza ritardo<br />

all'autorità di assistenza dello Stato membro<br />

dell'Unione europea dove il richiedente e' stabilmente<br />

residente e al richiedente stesso l'avvenuta<br />

ricezione della domanda, il nome del funzionario o<br />

l'indicazione dell'organo che procede all'istruzione<br />

della pratica e, se possibile, il tempo previsto per la<br />

decisione sulla domanda» (art. 2 c.1); se, poi, l’autorità<br />

deliberasse di procedere «all'audizione del<br />

richiedente o di qualsiasi altra persona» potrà<br />

«richiedere la collaborazione dell'autorità di assistenza<br />

dello Stato membro dell'Unione europea<br />

dove il richiedente e' stabilmente residente» attraverso<br />

l’audizione diretta o la predisposizione di<br />

quanto necessario per procedervi essa stessa,<br />

«anche attraverso il sistema della videoconferenza»<br />

(art. 2 c. 3).<br />

La decisione in merito all’indennizzo avrà da essere,<br />

quindi, comunicata «senza ritardo» al richiedente<br />

e all’autorità di assistenza (art. 2 c. 4).<br />

Ancorché in attesa del regolamento di attuazione<br />

che ne definisca gli aspetti organizzativi afferenti<br />

allo svolgimento delle attività di competenza delle<br />

procure generali presso le corti d'appello, del punto<br />

centrale di contatto di cui all'art. 5, nonché le modalità<br />

di raccordo con le attività di competenza delle<br />

autorità di decisione, devesi segnalare come l’ambito<br />

applicativo del provvedimento sia stato individuato<br />

nelle «procedure per l'erogazione dei benefici<br />

economici conseguenti ai reati commessi dopo il<br />

30 giugno 2005» (art. 6).<br />

Si segnala, infine, la specifica approvazione dei<br />

«modelli per la trasmissione delle domande e delle<br />

decisioni in conformità alla decisione 2006/337/CE<br />

[…] del 19 aprile 2006» (art. 7 c. 2), con la quale la<br />

Commissione Europea, in ottemperanza a quanto<br />

prescritto all’art. 14 della direttiva in parola, aveva<br />

provveduto ad adottare il formulario tipo per la trasmissione<br />

delle domande di indennizzo e delle<br />

decisioni ad esse relative. (Il modello è scaricabile<br />

dal sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it)<br />

70 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

AGGIORNAMENTO NORMATIVO<br />

a cura di MARCELLO MANCUSO<br />

Speciale riforma del processo civile<br />

*°*°*°*<br />

Legge 28 dicembre 2005, n. 263 - Interventi correttivi<br />

alle modifiche in materia processuale<br />

civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo<br />

2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla<br />

legge 14 maggio 2005, n. 80, nonche' ulteriori<br />

modifiche al codice di procedura civile e alle<br />

relative disposizioni di attuazione, al regolamento<br />

di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642,<br />

al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53,<br />

e disposizioni in tema di diritto alla pensione di<br />

reversibilita' del coniuge divorziato. (G.U. 28<br />

dicembre 2005 - S.O. n. 208)<br />

Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 -<br />

Modifiche al codice di procedura civile in materia<br />

di processo di cassazione in funzione nomofilattica<br />

e di arbitrato, a norma dell'articolo 1,<br />

comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80.<br />

(G.U.. 15 febbraio 2006 - S. O. n. 40)<br />

Legge 24 febbraio 2006, n. 52 – Riforma delle<br />

esecuzioni mobiliari. (G.U. 28 febbraio 2006 n.<br />

49 )<br />

Comunicato Ministero della Giustizia del 1°<br />

marzo 2006 - Mancata conversione del decretolegge<br />

30 dicembre 2005, n. 271, recante Proroga<br />

di termini in materia di efficacia di nuove disposizioni<br />

che modificano il processo civile. (G.U. 1°<br />

marzo 2006 n. 50)<br />

Il processo di esecuzione III – Esecuzione mobiliare<br />

presso il debitore<br />

Il legislatore introduce alcune variazioni tese a rendere<br />

più efficace l'attività esecutiva, che, come è<br />

ben noto ai pratici, è il luogo ove spesso si infrangono<br />

le dure fatiche sopportate per procurarsi un<br />

titolo.<br />

Casi di impignorabilità<br />

In questa ottica è da valutarsi l'abrogazione del<br />

numero 4) dell'art. 514 c.p.c., che prevedeva l'impignorabilità<br />

assoluta degli strumenti, oggetti e libri<br />

indispensabili per l'esercizio dell'arte, professione o<br />

3/<strong>2007</strong><br />

mestiere del debitore. Questi beni passano nel<br />

novero di quelli solo relativamente impignorabili, e<br />

sono adesso normati nel seguente art. 515 c.p.c.,<br />

che ne prevede la possibile aggredibilità nel limite<br />

di un quinto, ed in misura completa quando comunque<br />

l'apporto del capitale sia superiore rispetto a<br />

quello del lavoro personale del debitore, o questo<br />

sia una società.<br />

Rimane il limite, da tempo tracciato in giurisprudenza<br />

(da ultimo Cass. civ., sez. III 11-07-2006, n.<br />

15705), per cui non può darsi impignorabilità, assoluta<br />

e neanche relativa, quando non risulti il rapporto<br />

di strumentale indispensabilità in senso naturalistico<br />

e proprio, e cioè quando i beni staggiti, pur<br />

correlati all'attività del debitore, costituiscano dotazione<br />

sovrabbondante rispetto alle normali esigenze<br />

del suo esercizio o quando il debitore tragga da<br />

altra attività redditi sufficienti.<br />

Individuazione delle cose da pignorare, procedimento<br />

e forma del pignoramento<br />

Nella scelta delle cose da pignorare scompare ogni<br />

riferimento alla possibilità di indicazione da parte<br />

del debitore. V<strong>anno</strong> assoggettati ad espropriazione i<br />

beni che l'ufficiale procedente giudichi di facile e<br />

pronta liquidazione, e per un valore presunto pari a<br />

una volta e mezza l'importo in precetto, asseverato<br />

anche da uno stimatore scelto dall'ufficiale su istanza<br />

del debitore o qualora ritenuto opportuno, cui<br />

può aggiungersi l'esperto che accompagni il creditore<br />

il quale abbia richiesto di partecipare alle operazioni<br />

ai sensi dell'art. 165 disp. att. c.p.c..<br />

Il successivo art. 518 c.p.c. nella sua nuova formulazione,<br />

infatti, delimita un duplice possibile procedimento<br />

di formazione del verbale di pignoramento,<br />

o di forma del pignoramento medesimo, e per<br />

converso della sua sostanza. Assume rilievo il valore<br />

non già teorico, ma di pratico realizzo dei beni, e<br />

la dedotta possibilità per il creditore di chiedere che<br />

questo sia determinato da uno stimatore, il cui compenso<br />

viene poi determinato dal giudice e resta a<br />

carico della procedura, e cioè del debitore.<br />

La stima può avvenire contestualmente alla formazione<br />

del verbale, e ciò costituisce il primo corno<br />

delle possibilità; oppure avvenire successivamente,<br />

con facoltà dello stimatore di accedere ai beni al<br />

fine di procedere alla loro ricognizione, e conseguente<br />

differita indicazione ed individuazione dei<br />

beni staggiti al fine di raggiungere il valore prescritto<br />

dalla legge. In questo secondo caso pare che<br />

LEGISLAZIONE<br />

71


LEGISLAZIONE<br />

si formino due distinti documenti, o un documento<br />

a formazione frazionata, che in ogni caso l'ufficiale<br />

deve trasmettere al creditore e/o al debitore che ne<br />

facciano richiesta. L'individuazione deve in ogni<br />

caso avvenire nel termine di trenta giorni dalla formazione<br />

del primo verbale di accesso. Il Giudice,<br />

sulla base delle risultanze dell'attività dell'ufficiale,<br />

ed anche qui, ove occorra, previa nomina di uno stimatore,<br />

può procedere, su istanza del creditore da<br />

depositare non oltre il termine per il deposito dell'istanza<br />

di vendita, ad ordinare l'integrazione del<br />

pignoramento se ritiene che i beni non siano sufficienti<br />

a raggiungere il valore prescritto.<br />

Custodia<br />

L'art. 520 c.p.c. viene modificato allo scopo di arginare<br />

il noto fenomeno del perpetuarsi del godimento<br />

del bene pignorato da parte del debitore esecutato,<br />

nominato custode, che dunque da una parte non<br />

risente concretamente alcun pregiudizio e non<br />

viene portato a tentare di purgare altrimenti la pendenza,<br />

e dall'altra di fatto spesso deteriora o addirittura<br />

rimuove il bene all'approssimarsi della vendita.<br />

Viene dunque previsto che il creditore possa<br />

far richiesta, che le cose pignorate siano trasportate<br />

presso un luogo di pubblico deposito oppure affidate<br />

a un custode diverso dal debitore; e che nei<br />

casi di urgenza l'ufficiale giudiziario possa affidare<br />

la custodia agli istituti autorizzati di cui all'articolo<br />

159 disp. att. c.p.c. (in pratica gli IVG).<br />

Con lo stesso spirito (art. 521 c.p.c.) viene previsto<br />

che non appena sia depositata l'istanza di vendita il<br />

giudice disponga in automatico la sostituzione del<br />

custode, nominando l'IVG che entro trenta giorni,<br />

previo invio di comunicazione contenente la data e<br />

l'orario approssimativo dell'accesso, provvede al<br />

trasporto dei beni pignorati presso la propria sede o<br />

altri locali nella propria disponibilità.<br />

Le persone incaricate dall'istituto, quando risulta<br />

necessario per apprendere i beni, possono aprire<br />

porte, ripostigli e recipienti e richiedere l'assistenza<br />

della forza pubblica.<br />

Solo quando i beni siano difficilmente trasportabili<br />

con l'impiego dei mezzi usualmente utilizzati l'istituto<br />

può chiedere di essere autorizzato a provvedere<br />

alla loro custodia nel luogo in cui si trovano.<br />

Pignoramento successivo ed intervento<br />

L'art. 524 c.p.c. nella sua nuova formulazione individua<br />

nel tempo dell'udienza fissata per l'autorizzazione<br />

della vendita o per l'assegnazione nel caso di<br />

Diritto e Procedura civile<br />

esecuzione ordinaria, ovvero alla presentazione del<br />

ricorso per l'assegnazione o la vendita dei beni<br />

pignorati nella ipotesi di piccola espropriazione<br />

mobiliare – il cui limite è elevato a euro ventimila<br />

- , il momento discriminante, in caso di pignoramento<br />

successivo, dell'accorpamento o meno del<br />

procedimento relativo a quello preesistente. Se<br />

dunque esso abbia luogo prima di tale momento,<br />

l'esecuzione si svolge in unico processo; se invece<br />

è posteriore, il pignoramento successivo ha gli<br />

effetti di un intervento tardivo rispetto ai beni colpiti<br />

dal primo pignoramento mentre, se colpisce<br />

altri beni, per questi ha luogo separato processo.<br />

Il parallelismo tra pignoramento successivo ed<br />

intervento continua nella successiva regolamentazione<br />

di quest'ultimo istituto con specifico riferimento<br />

alla espropriazione mobiliare presso il debitore.<br />

L'intervento tardivo, infatti, si riferisce ai<br />

medesimi discrimini temporali, e per il creditore<br />

chirografario si traduce nel diritto di partecipare<br />

solo alla distribuzione del residuo dopo che sino<br />

stati soddisfatti quelli privilegiati e quelli, pure chirografari,<br />

ma intervenuti tempestivamente. Nessun<br />

pregiudizio per il creditore privilegiato che sarà<br />

sempre soddisfatto secondo il suo titolo e grado.<br />

Vendita<br />

L'art. 532 c.p.c. prevede la facoltà discrezionale del<br />

giudice di affidare la vendita con incanto o senza,<br />

indicando però sempre il prezzo a suo tempo stimato,<br />

ad un istituto appositamente autorizzato a<br />

norma delle disposizioni di attuazione ovvero di un<br />

commissionario, che sia esperto della materia. Per<br />

la vendita dei beni mobili registrati del resto il<br />

nuovo art. 534 bis c.p.c. prevede, attraverso il meccanismo<br />

della delega, un intero sistema di possibili<br />

soggetti deputati ad esaurire le operazioni di vendita.<br />

Possono essere gli istituti sopra detti, ma anche<br />

avvocati, notai o commercialisti il cui elenco è<br />

tenuto dai rispettivi ordini di appartenenza. Se la<br />

cosa al primo incanto va invenduta, per evitare speculazioni<br />

l'art. 538 c.p.c. è stato rimaneggiato con<br />

una riedizione, in sedicesimo, del quinto di ribasso<br />

rinvenibile in altri campi.<br />

72 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

OSSERVATORIO DELLA CORTE DI CASSAZIONE<br />

a cura di MARZIA MANISCALCO<br />

Applicazione della pena su richiesta delle parti<br />

Cass. pen., Sez. V, 6 novembre <strong>2007</strong>, n. 40758,<br />

Pres. Fazzioli – “La richiesta di patteggiamento<br />

non è sottoponibile a condizioni: l’indulto rimane<br />

escluso dal patto” – (sintesi già pubblicata sul<br />

sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il<br />

testo del provvedimento per esteso).<br />

Nell’accogliere la richiesta di applicazione della<br />

pena su richiesta delle parti, il giudice riservava,<br />

tuttavia, l’applicazione dell’indulto alla fase dell’esecuzione,<br />

ancorché il medesimo fosse stato<br />

espressamente contemplato nell’accordo.<br />

Nel respingere, perché infondato, il ricorso avanzato<br />

avverso la sentenza di patteggiamento così pronunciata,<br />

la Corte ha ribadito l’indirizzo per cui «in<br />

tema di applicazione di pena su richiesta delle parti,<br />

se le stesse nel loro accordo h<strong>anno</strong> inserito la applicazione<br />

dell'indulto, il Giudice non è vincolato<br />

dalla inscindibilità del petitum, così come, viceversa,<br />

accade nel caso in cui esso preveda la concessione<br />

della sospensione condizionale della pena;<br />

infatti la applicazione dell'indulto, a differenza<br />

della sospensione condizionale della pena, è sottratta<br />

alla disponibilità delle parti, estrinsecatasi<br />

nell'ambito del patteggiamento, con la conseguenza<br />

che la pattuizione avente ad oggetto la applicazione<br />

di tale beneficio, se è inserita nell'accordo, è da<br />

considerare tamquam non esset, nel senso che vitiatur<br />

se non vitia» (negli stessi termini, Cass., Sez. V,<br />

20.9.1999, Benati, in Cass. pen., 2000, p. 2347;<br />

Cass., Sez. III, 8.11.1996, Panetta, in Cass. pen.,<br />

1998, p. 897; Cass., Sez. IV, 12.3.1993, Seriva, in<br />

Cass. pen., 1994, p. 1589).<br />

L’orientamento è certamente da condividere.<br />

Come noto, il contenuto della istanza da sottoporre<br />

al vaglio giurisdizionale è consacrato nell’impianto<br />

normativo dell’art. 444 c.p.p., e, specificamente, ai<br />

commi 1 e 3, a norma dei quali la richiesta deve<br />

indicare la specie – sanzione sostitutiva, pena pecuniaria<br />

o detentiva – e la misura della pena da applicare,<br />

subordinandone, se del caso, l’efficacia alla<br />

concessione del beneficio della sospensione condizionale;<br />

come notato in dottrina, «le due disposizioni<br />

citate segnano il perimetro dell’accordo, che<br />

non è, considerata la materia su cui incide e le<br />

3/<strong>2007</strong><br />

peculiarità del rito, suscettibile di estensione ulteriore,<br />

esaurendosi con ciò i poteri dispositivi delle<br />

parti; nel contempo, i termini del patto vengono a<br />

vincolare i poteri giurisdizionali, nel senso che non<br />

è consentita una pronuncia manipolativa dei contenuti<br />

dei petita» (VIGONI, L’applicazione della pena<br />

su richiesta delle parti, Giuffrè, Milano, 2000, p.<br />

180).<br />

Di qui i chiarimenti della giurisprudenza sulla<br />

impossibilità di subordinare la richiesta a condizioni<br />

ulteriori e diverse dalla concessione del beneficio<br />

della sospensione condizionale della pena (cfr.<br />

Cass., Sez. V, 10.6.1993, Dolce, in Cass. pen, 1995,<br />

p. 128 e Cass., Sez. II, 6.7.1990, Filoni, in Arch. n.<br />

proc. pen., 1992, p. 70 in riferimento all’applicazione<br />

di una particolare misura cautelare, coercitiva<br />

o interdittiva).<br />

Vi è tuttavia da segnalare una pronuncia della<br />

Suprema Corte, la cui lettura a contrario pare,<br />

invero, aprire il varco a tutt’altra soluzione: «in<br />

tema di patteggiamento, l'accordo delle parti non<br />

può essere condizionato all'accettazione, da parte<br />

dell'imputato, di un provvedimento – quale ad<br />

esempio quello dell'espulsione amministrativa<br />

dello straniero dallo Stato – non rientrante tra quelli<br />

di competenza dell'autorità giudiziaria; ne consegue<br />

che, ove ciò avvenisse, si verificherebbe una<br />

violazione di legge in quanto il giudice si troverebbe<br />

ad esercitare una potestà riservata agli organi<br />

amministrativi. (Nella specie l'accordo tra p.m. ed<br />

imputato straniero era stato subordinato all'accettazione<br />

da parte di quest’ultimo della sua espulsione<br />

dal territorio dello Stato)» (Cass., Sez. I,<br />

10.11.1993, Papanikolla, in Cass. pen., 1995, p.<br />

1939).<br />

Se ne potrebbe in effetti dedurre che, nei casi in cui<br />

non di provvedimento amministrativo si tratti, ma<br />

di atto rientrante nella potestà dell’autorità giudiziaria,<br />

allora questa debba farsene carico; d’altra<br />

parte, sulla scorta dell’indirizzo poc’anzi riportato<br />

– e a scanso di ulteriori equivoci – la Corte ben<br />

avrebbe potuto addurre l’impossibilità assoluta di<br />

apporre condizioni all’istanza.<br />

Come opportunamente rilevato da taluno, inoltre,<br />

«la questione in esame ha degli evidenti riflessi sui<br />

poteri concretamente esercitabili dal giudice nell’ipotesi<br />

in cui l’accordo contenga richieste che esulano<br />

dal contenuto essenziale della proposta o al<br />

riconoscimento delle quali le parti subordinano<br />

GIURISPRUDENZA<br />

73


GIURISPRUDENZA<br />

l’intero negozio, dovendo accertarsi se, mancando i<br />

presupposti della domanda accessoria, il giudice<br />

debba rigettare l’intera istanza ovvero se possa<br />

limitarsi a ratificare l’accordo escludendo dal contenuto<br />

della sentenza le richieste accessorie» (RIGO,<br />

Commento all’art. 444 c.p.p., in Giarda A. e<br />

Spangher G. (a cura di), Codice di procedura penale<br />

commentato, 2ª ed., II, Ipsoa, Milano, 2001,<br />

795).<br />

A tal riguardo, in giurisprudenza si registrano due<br />

diversi orientamenti.<br />

Il primo abbraccia la tesi secondo cui «al giudice è<br />

offerta l'alternativa di respingere o accettare in<br />

blocco la richiesta che gli è stata rivolta, senza alcuna<br />

facoltà di operare interventi che stravolgono il<br />

tema pattiziamente devolutogli», di guisa che una<br />

domanda che incorpori istanze accessorie al nucleo<br />

essenziale, dato dalla specie e dalla misura della<br />

pena, «è inammissibile e va rigettata» (Cass. Sez. I,<br />

23.4.1993, Russo, in Cass. pen., 1995, p. 650).<br />

Sulla scorta di tale interpretazione è stata pertanto<br />

dichiarata la nullità della sentenza ex art. 444 c.p.p.,<br />

emessa nonostante la «presenza di un accordo che,<br />

oltre a specificare l'entità della pena, ne subordina[va]<br />

espressamente l'applicazione alla restituzione<br />

di una cosa sottoposta a sequestro […], con la<br />

quale, tra l'altro, [veniva disposta] la confisca della<br />

cosa indicata dalle parti come oggetto di un provvedimento<br />

di restituzione» (Cass., Sez. I, 2.5.2000,<br />

Fumarola, in CED, 216420).<br />

Come anticipato, pare doversi, invece, condividere<br />

l’opposta soluzione, secondo cui solamente la specie,<br />

la misura della pena e la concessione del beneficio<br />

della sospensione condizionale «postulano<br />

l'accettazione espressa dall'altra parte, mentre nessun<br />

consenso è necessario in relazione alle eventuali<br />

altre istanze che non costituiscano il nucleo<br />

essenziale del “patteggiamento”, ma ne restino<br />

fuori (come la richiesta del beneficio della non<br />

menzione, che sia avanzata dall'imputato, o quella<br />

della revoca di precedenti sospensioni condizionali,<br />

formulata dal p.m.): in presenza di questi accidentalia<br />

negotii, la parte controinteressata può soltanto<br />

manifestare la propria opposizione, la quale<br />

obbliga il giudice a motivare specificamente l'accoglimento<br />

di una di quelle richieste» (Cass., Sez. VI,<br />

26.1.1993, Adamo, in Cass. pen., 1994, p. 1589).<br />

Ne consegue che la ratifica del concordato che non<br />

tenga conto dell’ulteriore condizione apposta,<br />

anche se su di essa si è formato l’accordo, non comporta<br />

la nullità della sentenza (sul punto, inoltre,<br />

Cass., Sez. II, 17.10.2003, Harkati, in Cass. pen.,<br />

2004, p. 3728, afferente alla omessa pronuncia del<br />

Diritto e Procedura penale<br />

giudice sulla richiesta di restituzione dei beni in<br />

sequestro).<br />

Custodia cautelare<br />

Cass. pen., Sez. V, 26 settembre <strong>2007</strong>, n. 35558,<br />

Pres. Pizzuti, Rel. Rotella – “Applicabile al<br />

minore la custodia cautelare nel caso di furto<br />

aggravato in abitazione” – (sintesi già pubblicata<br />

sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato<br />

il testo del provvedimento per esteso).<br />

Avverso l’ordinanza del Tribunale dei minorenni<br />

che confermava il provvedimento custodiale emesso<br />

dal g.i.p. per concorso in furto aggravato in abitazione,<br />

l’interessato avanzava ricorso per cassazione,<br />

lamentando la violazione degli artt. 19, 5°<br />

co. e 23 d.P.R. 448/1998.<br />

La questione è nota: l’art. 23 delle disposizioni sul<br />

processo penale a carico di imputati minorenni, nel<br />

delineare i presupposti della custodia cautelare, ne<br />

circoscrive l’ambito di applicazione ai procedimenti<br />

per «delitti non colposi per i quali la legge stabilisce<br />

la pena dell'ergastolo o della reclusione non<br />

inferiore nel massimo a nove anni. Anche fuori dei<br />

casi predetti, la custodia cautelare può essere applicata<br />

quando si procede per uno dei delitti, consumati<br />

o tentati, previsti dall' articolo 380 comma 2<br />

lettere e), f), g), h) del codice di procedura penale,<br />

nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale»<br />

(art. 23, 1° co., d.P.R. 448/1988); il dettato<br />

normativo riportato è, tuttavia, rimasto immutato<br />

anche dopo che il c.d. “pacchetto sicurezza” del<br />

2001 (l. 26 marzo 2001, n. 128), mercé la nuova<br />

configurazione di reati autonomi delle fattispecie di<br />

furto con strappo e furto in abitazione, è intervenuto<br />

introducendo nel corpo dell’art. 380 c.p.p. una<br />

nuova lett. e)-bis che ad esse espressamente si riferisce.<br />

Se l’omesso intervento volto ad inserire la nuova<br />

lett. e)-bis dell'art. 380 c.p.p. nel corpo dell’art. 23<br />

d.P.R. valesse a significare l’esclusione della custodia<br />

cautelare nei confronti del minore nell’ambito<br />

dei procedimenti per furto ex art. 624-bis c.p., è<br />

stata questione immediatamente oggetto di contrasto<br />

giurisprudenziale, il quale, in un primo momento,<br />

è parso, tuttavia, doversi comporre, a seguito<br />

dell’intervento del Giudice delle leggi.<br />

Coinvolta della questione sotto il profilo della possibile<br />

violazione del principio di uguaglianza, la<br />

Corte costituzionale, infatti, nel rigettare i sollevati<br />

sospetti di illegittimità, rammentava come sia<br />

74 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

esclusivo compito del legislatore determinare le<br />

«ipotesi tassative, di per sé eccezionali, nelle quali<br />

è consentito adottare misure custodiali - tanto più<br />

nei confronti dei minori, per i quali vale un criterio<br />

di ulteriore assoluta eccezionalità», per concludere<br />

che «la situazione normativa denunciata dal remittente,<br />

in base alla quale non risulta oggi consentito<br />

adottare nei confronti dei minori la misura della<br />

custodia cautelare […] per il delitto di furto, salvo<br />

che sia commesso su armi, munizioni o esplosivi<br />

nelle armerie o in locali adibiti alla custodia di<br />

armi, o sia aggravato dall'uso della violenza sulle<br />

cose, - pur se possa essere frutto di una svista del<br />

legislatore - rispecchia una scelta legislativa»<br />

(Corte cost., 24 aprile 2003, n. 137, in Dir. giust.,<br />

2003, n. 21, 93 ss.).<br />

Di qui, in un primo tempo, la decisione della<br />

Suprema Corte di non devolvere la questione alle<br />

Sezioni Unite, rilevando come il contrasto giurisprudenziale<br />

che si era andato profilandosi coinvolgeva<br />

«tutte sentenze intervenute prima della ordinanza<br />

chiarificatrice ed ineccepibile della Corte<br />

Costituzionale, n. 137 del 9.4.2003», dovendosi a<br />

tal punto intendere come non applicabile «la custodia<br />

cautelare nei confronti di un imputato minorenne<br />

per il reato di furto in abitazione, previsto dalla<br />

nuova formulazione dell'art. 624-bis c.p.» (Cass.,<br />

Sez. IV, 8 marzo 2005 (ud. 21.12.2004), n. 9126, in<br />

Cass. pen., 2006, 1854).<br />

Sennonché, già prima dell’intervento in epigrafe, la<br />

stessa sezione IV della Corte aveva provveduto a<br />

smentire tale iniziale certezza, giungendo a tutt’altri<br />

approdi sulla scorta di un’esegesi che intende<br />

come dinamico e non meramente formale il rinvio<br />

di cui si discute (Cass., Sez. IV, 19 aprile <strong>2007</strong>, (ud.<br />

18.1.<strong>2007</strong>), n. 15819, in Guida al dir., n. 23, 68.<br />

Nello stesso senso, più di recente, Cass., Sez. IV, 10<br />

settembre <strong>2007</strong>, (ud. 23.1.<strong>2007</strong>), n. 34216, in<br />

www.utetgiuridica.it).<br />

Con la pronuncia in commento, i giudici sembrano<br />

ribadire tale ultima soluzione interpretativa, smentendo,<br />

in particolare, che la motivazione offerta<br />

dalla Corte costituzionale possa essere intesa «nel<br />

senso del diniego di operatività del collegamento<br />

normativo preesistente; […] fermo il divieto di analogia<br />

in malam partem, l'ordinanza di inammissibilità<br />

del Giudice delle leggi significa solo che il giudice<br />

ordinario è libero di inquadrare la norma non<br />

abrogata nel sistema vigente. E nella specie non si<br />

tratta di analogia e nemmeno di interpretazione<br />

estensiva. La novella dell'art. 624-bis c.p. con riferimento<br />

alla stessa fattispecie già rapportabile agli<br />

artt. 624 - 625 n.1 (e n. 2) c.p. introduce in effetti<br />

3/<strong>2007</strong><br />

una disciplina meno favorevole dello stesso fatto<br />

perché, rendendo elemento costitutivo di reato<br />

quella che già era prevista come aggravante, la sottrae<br />

al giudizio di comparazione, cosicché, pur<br />

immutato l'art. 23 d.P.R. cit., non vi è spazio per<br />

indurne maggior favore in materia di libertà, bensì<br />

il contrario».<br />

Così ragionando la Corte ha, pertanto, concluso<br />

affermando che, benché «l'art. 23 d.P.R. n. 448 del<br />

1988 […] non preved[a] tra i casi in cui può essere<br />

applicata la custodia cautelare l'ipotesi di cui all'art.<br />

380, 2° co., lett. e)-bis (delitti di furto in abitazione<br />

e con strappo ex art. 624-bis)», esso richiama, tuttavia,<br />

l'art. 380, 2° co., lett. e), che contempla l'ipotesi<br />

del reato di furto aggravato ex art. 625, 1° co.,<br />

n. 1 e 2, prima parte, c.p. che corrisponde esattamente<br />

all'ipotesi di cui all'art. 624-bis, 3° co., c.p.<br />

(furto in abitazione o con strappo aggravato da una<br />

o più delle circostanze di cui all'art. 625, 1° co.). Ne<br />

consegue che nell'ipotesi di furto aggravato in abitazione<br />

sono applicabili nei confronti di indagati<br />

minorenni l'arresto in flagranza e la custodia cautelare».<br />

Orbene, se si condivide la massima di principio che<br />

origina dal caso di specie, la motivazione che la<br />

sorregge pare, tuttavia, aprire il varco alla possibilità<br />

di ricorrere alla cautela in parola in ogni ipotesi<br />

di reato di cui all’art. 625-bis c.p.; sembrerebbe,<br />

invero, maggiormente conforme al sistema una<br />

soluzione, per così dire, di compromesso: se da un<br />

lato, infatti, deve ritenersi che la testuale esclusione<br />

delle ipotesi di furto in abitazione o con strappo<br />

dal novero dei reati per cui si rende applicabile la<br />

custodia cautelare nei confronti del minore non<br />

possa essere negata sulla scorta di un’interpretazione<br />

del rinvio contenuto nell’art. 23 d.P.R. in termini<br />

di mobilità, trattandosi di materia eccezionale,<br />

governata dal principio di tassatività, che, per il<br />

particolare procedimento in cui si insinua, risulta,<br />

altresì, essere permeata da una maggiore valenza<br />

del principio rieducativo della pena che si esprime<br />

nella generalizzata tendenza del sistema ad evitare<br />

al minore il contatto con l’ambiente carcerario; dall’altro,<br />

deve, tuttavia, osservarsi come, qualora il<br />

reato risulti perpetrato usando «violenza sulle<br />

cose» (art. 625, 1° co., n. 2, prima parte), l’espressa<br />

menzione dell’aggravante de qua nel corpo dell’art.<br />

380, 2° co., lett. e) c.p.p., per come integralmente<br />

richiamato dall’art. 23 d.P.R., valga ad estendere<br />

l’applicabilità della misura privativa della<br />

libertà personale alle ipotesi di furto di cui all’art.<br />

624-bis c.p. parimenti aggravate, mercé il richiamo<br />

espressamente effettuato dal suo comma 3 al mede-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

75


GIURISPRUDENZA<br />

simo art. 625 c.p. (in tal senso sembrerebbero muoversi,<br />

Cass., Sez. V, 29 gennaio <strong>2007</strong>, (ud.<br />

6.12.2006), n. 3231, in www.utetgiuridica.it; Cass.,<br />

Sez. V, 12 febbraio 2004, (ud. 16.1.2004), n. 5771,<br />

in www.utetgiuridica.it).<br />

In altre parole, tenuto conto delle peculiarità del<br />

procedimento a carico di imputati minorenni che<br />

giustificano le svariate deviazioni dal sistema generale<br />

delineato dal codice di rito, ove il disvalore<br />

sociale del fatto deve necessariamente cedere il<br />

passo ad una specifica riflessione che tenga conto<br />

della natura della disciplina cautelare, certamente<br />

non servibile a scopi simbolici o di anticipazione<br />

della pena, il richiamo all’art. 380, 2° co., lett. e)<br />

c.p.p ben può essere letto come riferito ad ogni fattispecie<br />

di furto aggravato dall’uso delle armi o<br />

dalla violenza sulle cose.<br />

D’obbligo, tuttavia, segnalare come, di recente, la<br />

Corte costituzionale, investita nuovamente della<br />

questione in riferimento al caso di furto in abitazione<br />

aggravato dalla violenza sulle cose, non si sia<br />

limitata ad analizzare la peculiare ipotesi devoluta<br />

al suo esame, generalmente ritenendo che «il mancato<br />

"adeguamento" dell'art. 23 del d.P.R. n. 448<br />

del 1988 alla nuova "rassegna" delle ipotesi di furto<br />

enunciate dall’art. 380 c.p.p., come novellato, non<br />

risulti affatto denotare una sorta di voluntas excludendi<br />

delle più gravi ipotesi di cui all’art. 624-bis<br />

c.p. dal panorama delle fattispecie in ordine alle<br />

quali è consentita l'applicazione della custodia cautelare<br />

nei confronti degli imputati minorenni; apparendo,<br />

anzi, un siffatto epilogo ermeneutico come<br />

una obiettiva "eterogenesi dei fini" dichiaratamente<br />

perseguiti dal legislatore, attraverso l'opera di<br />

novellazione» (Corte cost., 13 luglio <strong>2007</strong>, n. 281,<br />

in Dir. pen. proc., <strong>2007</strong>, 1135).<br />

Nomina del difensore di fiducia<br />

Cass. pen., Sez. VI, 13 settembre <strong>2007</strong>, n. 34671,<br />

Pres. Ambrosini, Rel. Cortese – “Validità ed<br />

efficacia dell’atto di nomina del difensore di<br />

fiducia” – (sintesi già pubblicata sul sito internet<br />

www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo del<br />

provvedimento per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso la sentenza di condanna con cui il giudice<br />

di appello confermava l’accertamento di colpevolezza<br />

già intervenuto in prime cure, l’imputato proponeva<br />

ricorso per cassazione, lamentando come,<br />

nonostante l’avvenuta elezione di domicilio presso<br />

il difensore di fiducia, effettuata nel corpo del<br />

Diritto e Procedura penale<br />

medesimo atto che lo nominava tale, le notificazioni<br />

relative agli atti afferenti al procedimento di<br />

primo grado fossero state effettuate presso lo studio<br />

del difensore d’ufficio, «con conseguente generale<br />

violazione del diritto di difesa, al di là della errata<br />

notifica della sentenza di primo grado, cui ha limitato<br />

il proprio esame la Corte d'appello».<br />

Il principio di diritto affermato<br />

Nel dichiarare il ricorso infondato, la S.C. ha precisato<br />

che «l'atto di nomina del difensore e la eventuale<br />

contestuale elezione di domicilio debbono<br />

riferirsi a un procedimento specifico ai fini degli<br />

artt. 96 e 161 c.p.p., risultando altrimenti inefficaci<br />

in quanto privi di oggetto e di causa», richiamando,<br />

a riprova dell’assunto, quanto previsto dall’art.<br />

391-nonies c.p.p., il quale, a parere dei giudici, «in<br />

coerenza con i principi suddetti» prevede, «anche<br />

per la nomina effettuata in vista di un possibile procedimento<br />

[…], che la stessa rechi "l'indicazione<br />

dei fatti ai quali si riferisce"».<br />

Osservazioni critiche<br />

Pur non essendo chiara la scansione degli accadimenti<br />

della specifica vicenda procedimentale sottoposta<br />

all’esame del consesso di legittimità, non<br />

può, tuttavia, omettersi di rilevare l’impossibilità di<br />

sostenere una simile interpretazione dell’art. 391nonies<br />

c.p.p., il quale, letteralmente, subordina<br />

all’"indicazione dei fatti ai quali si riferisce” non<br />

certo il mandato difensivo, ma il mandato a svolgere<br />

attività di investigazione preventiva, di guisa<br />

che l’eventuale omissione del requisito in parola<br />

sarebbe in grado di rilevare, semmai, ai fini della<br />

legittimità dello svolgimento dell’attività di indagine<br />

e della conseguente utilizzabilità delle relative<br />

risultanze e non certo della validità della nomina<br />

del difensore. Questa, certamente valida, viene ad<br />

acquisire efficacia pre-procedimentale ai fini del<br />

legittimo espletamento delle indagini preventive,<br />

ma processuale solo una volta giunta a conoscenza<br />

dell’autorità dell’incardinato procedimento, del<br />

quale la parte, che già versi nel sentore di un suo<br />

possibile instaurarsi, ben potrebbe averne, tra l’altro,<br />

immediata conoscenza attivandosi ex art. 335,<br />

2° co., c.p.p.<br />

L’inefficacia processuale della nomina dipende,<br />

dunque, non dalla carenza di qualche elemento<br />

negoziale, ma dalla mancata conoscenza della<br />

medesima da parte dell’autorità giudiziaria procedente,<br />

dalla quale sola è dipesa la carenza dei relativi<br />

obblighi afferenti alle notifiche e agli avvisi<br />

dell’autorità giudiziaria e degli uffici giudiziali; se<br />

76 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

da un lato, infatti, deve osservarsi che secondo la<br />

prevalente giurisprudenza di legittimità, «la previsione<br />

delle forme per la nomina del difensore di<br />

fiducia, di cui all’art. 96 c.p.p., ha natura tipicamente<br />

ordinatoria e regolamentare, sicché la sua<br />

inosservanza non impedisce che l’imputato sia assistito<br />

dal difensore scelto come di fiducia qualora<br />

sia possibile desumere in modo certo per facta concludentia<br />

l’avvenuto conferimento dell’incarico<br />

(Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2006, n. 11378, in Dir.<br />

giust., 2006, n. 19, p. 57), dall’altro, è di trasparente<br />

evidenza come ai fini dell’efficacia processuale<br />

dell’atto, di per sé valido, sia necessario che la<br />

volontà dell’imputato sia portata a conoscenza dell’autorità<br />

procedente alla quale la dichiarazione<br />

deve essere resa «ovvero consegnata […] dal difensore<br />

o trasmessa con raccomandata» (art. 96, 2° co.,<br />

c.p.p.).<br />

Nell’inversione tra i presupposti e le conseguenze,<br />

la S.C. dimentica, inoltre, il disposto dell’art. 27<br />

disp. att. c.p.p., il quale, nel richiedere che la qualità<br />

di difensore venga documentata esibendo, alternativamente,<br />

«la certificazione della nomina fatta<br />

con dichiarazione orale all’autorità procedente»,<br />

«la copia della nomina recante l’attestazione dell’avvenuto<br />

deposito» o la «copia della nomina e<br />

l’originale della ricevuta postale nel caso di trasmissione<br />

a mezzo raccomandata», mostra come, a<br />

fronte di un atto negoziale a forma libera, certamente<br />

valido se proveniente dall’imputato, occorra<br />

tenere distinta la sua efficacia processuale nell'ambito<br />

di uno specifico procedimento necessariamente<br />

pendente, ancorata, dunque, all’evidenza, alla<br />

conoscenza del medesimo da parte dell’autorità<br />

giudiziaria che procede.<br />

In tal senso, la mente corre alla pronuncia con cui<br />

la Suprema Corte ebbe a rilevare la duplice valenza<br />

«pubblica e privata» dell’art. 96 c.p.p.: l’«una<br />

relativa agli oneri ed obblighi che incidono sul giudice<br />

e sull'ufficio giudiziario e che sono strumentali<br />

alla determinazione del soggetto titolare del diritto<br />

all'intervento nel processo attraverso gli avvisi e<br />

le notifiche»; «l'altra che attiene al patrocinio in sé,<br />

alla parte che ha diritto di intervenire e difendersi.<br />

Nella prima prospettazione, la forma è richiesta<br />

dalla norma ad substantiam, nel senso che non<br />

sorge mai l'obbligo di notifica e di avviso nei confronti<br />

del difensore nominato senza il rispetto delle<br />

forme prescritte. La parte, infatti, non potrà mai<br />

eccepire la nullità, per violazione del diritto di difesa,<br />

per il mancato avviso, propedeutico all'intervento<br />

del difensore, a soggetto designato con forme<br />

diverse da quelle imposte dalla legge. Sotto tale<br />

3/<strong>2007</strong><br />

profilo ed in tale ambito, l'atto prescritto non<br />

ammette equipollenti. Nella seconda prospettazione,<br />

invece, la forma richiesta ad probationem tantum<br />

e l'atto di nomina e sostituzione può essere<br />

desunto, per facta concludentia, in quanto viene in<br />

considerazione, non l'obbligo di notifica e di avviso<br />

gravante sull'ufficio, ma il diritto soggettivo alla<br />

difesa. In questo ambito, la sostanza prevale sulla<br />

forma per il favor defensionis che ispira tutta l'organica<br />

normativa relativa alla difesa sia dell'imputato<br />

sia delle altre parti private» (così, Cass., Sez. V,<br />

15 maggio, 1996, n. 9429, in Cass. pen., 1998, p.<br />

1405).<br />

Notificazioni<br />

Cass. pen., Sez. III, 8 novembre <strong>2007</strong>, n. 41063,<br />

Pres. De Maio, Rel. Fiale – “Domiciliazione ex<br />

lege del difensore di fiducia per le notificazioni<br />

successive alla prima?”– (sintesi già pubblicata<br />

sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato<br />

il testo del provvedimento per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso la sentenza con cui la Corte di appello<br />

ribadiva l’affermazione di responsabilità dell’imputato<br />

l’interessato ricorreva per cassazione rilevando,<br />

fra l’altro, la violazione di legge verificatasi<br />

in ordine alla notificazione dell'avviso di fissazione<br />

del giudizio di appello che, illegittimamente,<br />

sarebbe stata effettuata al di lui difensore ex art. 157<br />

c. 8-bis c.p.p. In altre parole, secondo il ricorrente,<br />

l'avviso non avrebbe potuto notificarsi al difensore<br />

di fiducia, ex art. 157 comma 8-bis, c.p.p. «perchè le<br />

previsioni dell'art. 157 c.p.p. si applicano, per<br />

espressa previsione normativa, "salvo quanto previsto<br />

dagli artt. 161 e 162 c.p.p." e l'imputato medesimo,<br />

al momento della scarcerazione per cessazione<br />

della misura cautelare, ai sensi dell'art. 161<br />

c.p.p., comma 3, aveva eletto domicilio […] presso<br />

la sua residenza».<br />

Il principio di diritto affermato<br />

Nel rigettare le censure mosse dal ricorrente, la<br />

Suprema Corte offre un’esegesi della disposizione<br />

in parola in contrasto con quanto in precedenza<br />

affermato da parte della giurisprudenza e, sia permesso,<br />

con lo stesso tenore letterale dell’impianto<br />

normativo di riferimento; nello specifico, secondo<br />

la S.C., presupposto di operatività del comma 8-bis<br />

dell’art. 157 c.p.p. sarebbe «esclusivamente la pre-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

77


GIURISPRUDENZA<br />

via rituale effettuazione di una prima notifica,<br />

all'imputato "a piede libero", riferendosi a tale<br />

prima notifica l'incipit dell'art. 157 c.p.p. "salvo<br />

quanto previsto dagli artt. 161 e 162 c.p.p.", in considerazione<br />

della ratio della nuova disposizione,<br />

rivolta a consentire un tendenziale e generalizzato<br />

risparmio di tempi attraverso l'automatica notificazione<br />

degli atti ulteriori al difensore di fiducia. […]<br />

Ritenere che l'art. 157 c.p.p., comma 8-bis non<br />

possa essere applicato in tutti i casi nei quali l'imputato<br />

abbia previamente dichiarato o eletto il<br />

domicilio per le notificazioni ai sensi dell'art. 161<br />

c.p.p., significa limitare l'applicazione della nuova<br />

disposizione normativa ad ipotesi marginali e non<br />

attua la perseguita esigenza generale di garantire la<br />

celerità del processo tenuto conto dell'obbligo di<br />

deontologia professionale del difensore, anche se<br />

non domiciliatario volontario del suo assistito, di<br />

portare a conoscenza di questi tutti gli atti processuali<br />

a lui diretti personalmente e che lo riguardano,<br />

nonché dell'onere dell'imputato di mantenersi in<br />

contatto con il proprio difensore di fiducia, allo<br />

scopo di tenersi al corrente degli sviluppi del procedimento,<br />

del quale egli è comunque a conoscenza.<br />

Deve ritenersi, piuttosto, che l'indagato/imputato<br />

possa, in qualsiasi momento, escludere la domiciliazione<br />

ex lege con dichiarazione o diversa elezione<br />

di domicilio esplicitamente ed espressamente<br />

formulata in tal senso».<br />

Osservazioni critiche<br />

Come noto, l’art. 157 c.p.p. è stato oggetto di interpolazione<br />

legislativa ad opera del d.l. 21.2.2005, n.<br />

17 che, principalmente volto ad adeguare l’impianto<br />

normativo del processo celebrato in contumacia<br />

ai principi espressi dalla Corte europea dei diritti<br />

dell’uomo, ha altresì inciso sul sistema delle notificazioni<br />

degli atti processuali, inserendo nell’impianto<br />

normativo della disposizione in parola un<br />

nuovo comma 8-bis, arricchito, ulteriormente, di<br />

due nuovi periodi in sede di conversione (l.<br />

22.4.2005, n. 60), così risultando: «le notificazioni<br />

successive sono eseguite, in caso di nomina di<br />

difensore di fiducia ai sensi dell'articolo 96,<br />

mediante consegna ai difensori. Il difensore può<br />

dichiarare immediatamente all'autorità che procede<br />

di non accettare la notificazione. Per le modalità<br />

della notificazione si applicano anche le disposizioni<br />

previste dall'articolo 148, comma 2-bis».<br />

Orbene, secondo la S.C., la disposizione in parola,<br />

«all'enunciato fine di garantire la ragionevole durata<br />

del processo in ottemperanza all'art. 111 Cost. e,<br />

Diritto e Procedura penale<br />

quindi, di accelerare i tempi di notifica degli atti, ha<br />

previsto che, nell'ipotesi in cui sia stata effettuata<br />

nomina fiduciaria, le notifiche all'imputato non<br />

detenuto successive alla prima vengano effettuate<br />

consegnando l'atto al difensore, pure in mancanza<br />

di elezione di domicilio presso lo stesso»; si tratterebbe,<br />

in altre parole, di una domiciliazione ex lege<br />

per la notificazione degli atti successiva alla prima<br />

da ritenersi «prevalente su ogni altra» (Cass., Sez.,<br />

VI, 9 marzo 2006 , n. 19267, in CED, 234499).<br />

Mal si comprende, innanzitutto, il motivo per il<br />

quale il legislatore avrebbe dovuto intervenire sul<br />

sistema delle notificazioni incidendo in maniera<br />

restrittiva nelle ipotesi in cui si disponga dell’elezione<br />

di domicilio dell’imputato o della persona<br />

sottoposta alle indagini; ed infatti, è da puntualizzare,<br />

come la relazione che ha accompagnato il<br />

decreto-legge in parola facesse sì riferimento al<br />

principio di ragionevole durata del processo, alludendo,<br />

tuttavia, espressamente, alla celerità e sicurezza<br />

delle notificazioni «alla persona sottoposta<br />

alle indagini ed all’imputato non detenuto che<br />

abbiano nominato un difensore di fiducia, senza<br />

provvedere a dichiarare o eleggere domicilio ai<br />

sensi dell’art. 161» (Relazione d.l.); e sul punto non<br />

sembra possa essere argomentazione valida a sostenere<br />

un’esegesi fondata sulla ratio della norma in<br />

collisione con quanto affermato nell’ambito della<br />

relazione di accompagnamento, affermare che<br />

«deve tenersi conto dei sostanziali mutamenti<br />

apportati al provvedimento originario in sede di<br />

conversione in legge».<br />

Varrà, infatti, la pena notare come, con tali «mutamenti»,<br />

si sia, in realtà, inteso dar ascolto alle istanze<br />

provenienti dal mondo dell’avvocatura che<br />

aveva duramente reagito alle modifiche intervenute<br />

con l'entrata in vigore dell'originario testo<br />

governativo, provvedendo ad aggiungere i due<br />

ultimi periodi che compongono l'attuale formulazione<br />

del comma 8-bis dell’art. 157 c.p.p. e a sopprimere<br />

l’originaria interpolazione dell’art. 161<br />

c.p.p. in relazione alla automatica notifica degli atti<br />

al difensore di fiducia in mancanza di elezione di<br />

domicilio da parte dell’indagato o imputato.<br />

Né può sottacersi come l’interpretazione fatta propria<br />

dalla Corte finisca con lo svilire quell’invocato<br />

«corpus normativo» entro cui avrebbe da essere<br />

letta la normativa qui in discorso, facente parte di<br />

un sistema volto a garantire che il processo penale<br />

si svolga nella consapevolezza di esso e del suo sviluppo<br />

da parte del di lui protagonista.<br />

Aderendo all’interpretazione fatta propria dalla<br />

Corte, infatti, vi sarebbe conseguentemente da<br />

78 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

interrogarsi sulla nuova portata applicativa degli<br />

artt. 161 c. 4 e 162 c.p.p. e sul senso da attribuire<br />

alla lettera dell’art. 161 c.p.p. ove, a pena di nullità<br />

ex art. 171 c. 1 lett. e c.p.p., sollecita un avvertimento<br />

all’imputato – id est che in caso di rifiuto di<br />

dichiarare o eleggere domicilio o in mancanza della<br />

comunicazione di modifica di quello dichiarato, «le<br />

notificazioni verr<strong>anno</strong> eseguite mediante consegna<br />

al difensore» – che, nel caso di nomina fiduciaria,<br />

verrebbe a divergerere dalla realtà procedimentale,<br />

entro la quale viene profilandosi la rituale notifica<br />

degli atti successivi al primo al professionista<br />

nominato, salvo che l’indagato o imputato escluda<br />

la suddetta «domiciliazione ex lege con dichiarazione<br />

o diversa elezione di domicilio esplicitamente<br />

ed espressamente formulata in tal senso».<br />

Non pare revocabile in dubbio, dunque, che così<br />

intendendosi, l’art. 161 c.p.p. avrebbe da imporre<br />

un avviso certamente diverso, il quale, informando<br />

correttamente l’imputato, avrebbe, invece, da renderlo<br />

edotto del fatto che, a prescindere dalla sua<br />

dichiarazione di domicilio o dalla diligente dichiarazione<br />

di modifica, gli atti successivi al primo<br />

potrebbero considerarsi validamente notificati<br />

anche al di lui difensore di fiducia, conservando<br />

egli il diritto di opporsi a che ciò avvenga con<br />

apposita dichiarazione rilasciata in qualsiasi<br />

momento.<br />

Il che, come poc'anzi segnalato, contrasta proprio<br />

con l'assunto operato dalla Corte in merito alla<br />

necessità di tenere in considerazione che «le disposizioni<br />

di nuova emanazione si inquadrano in un<br />

corpus normativo nel quale interagiscono e devono<br />

essere lette in una visione sistematica e teleologica»,<br />

discendendone, inoltre, un singolare sistema<br />

per cui la conoscenza del decorso del procedimento<br />

attraverso la personale notifica degli atti di cui<br />

esso si compone non si atteggia più come diritto<br />

personale dell’indagato/imputato, sul quale viene<br />

ad incombere, invece, il precipuo «onere […] di<br />

mantenersi in contatto con il proprio difensore di<br />

fiducia, allo scopo di tenersi al corrente degli sviluppi<br />

del procedimento, del quale egli è comunque<br />

a conoscenza»; e anche di ciò parrebbe, invero,<br />

opportuno fornirgli chiaro e puntuale avviso.<br />

Non sembra, in altre parole, che l’esegesi fornita<br />

con la sentenza in commento regga di fronte al dato<br />

normativo, fondata, com’è, su un metodologia<br />

interpretativa che, sulla scorta del semplice, generalizzato<br />

richiamo al principio di ragionevole durata<br />

del processo, aggira la littera legis e lo stesso spirito<br />

animatore della legge di novella, creando, tra<br />

l’altro, come si è visto, più problemi di quanti non<br />

3/<strong>2007</strong><br />

ne riesca a risolvere.<br />

Deve, peraltro, segnalarsi come l’apparato motivazionale<br />

della sentenza si snodi attraverso la confutazione<br />

della precedente pronuncia con cui la Corte<br />

di cassazione ebbe ad affermare il contrario principio<br />

per cui «la disposizione di cui all'art. 157<br />

comma 8-bis c.p.p. (relativa alle notifiche all'imputato<br />

mediante consegna al difensore di fiducia) si<br />

applica solo alle notificazioni successive a quella<br />

eseguita ai sensi dell'art. 157 comma 8 (mediante<br />

deposito dell'atto e affissione dell'avviso), mentre<br />

non si applica nell'ipotesi in cui […] l'imputato<br />

abbia precedentemente eletto domicilio» (Cass.,<br />

Sez. V, 24 ottobre 2005 , n. 44608, in CED,<br />

232612; in tal senso, altresì, Cass., Sez. V, 25 gennaio<br />

<strong>2007</strong>, n. 8108, in CED, 236522).<br />

E, come intuibile, è questa l’interpretazione che si<br />

è inteso qui sostenere; in tal senso deporrebbe, inoltre,<br />

la collocazione sistematica del nuovo comma<br />

8-bis che, considerata, con la sentenza in epigrafe,<br />

«certamente impropria», ben potrebbe, invece,<br />

intendersi come indicativa della volontà di circoscrivere<br />

la portata del novum alle ipotesi in cui, in<br />

mancanza di elezione di domicilio ex art. 161 o di<br />

dichiarazione di mutamento ex art. 162 c.p.p., la<br />

notificazione del primo atto sia intervenuta a seguito<br />

dell’esperimento dell’intera sequenza delineata<br />

dall’art. 157 c.p.p.; il che spiegherebbe, inoltre, l’utilizzazione<br />

di un comma 8-bis in luogo di un<br />

nuovo comma 9.<br />

A supportare l’assunto soccorre, inoltre, la modifica<br />

intervenuta in sede di conversione con la quale,<br />

come si è detto, è venuta meno l’originaria novellazione<br />

dell’art. 161 c.p.p. nel cui corpo era stato<br />

inserito un nuovo comma 4-bis, ai sensi del quale<br />

«in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi<br />

dell'art. 96, le notificazioni alla persona sottoposta<br />

alle indagini o all'imputato, che non abbia eletto o<br />

dichiarato domicilio, sono eseguite mediante consegna<br />

ai difensori»; se la S.C., con la sentenza in<br />

epigrafe, ha ritenuto che la disposizione non sia<br />

stata oggetto di conversione perché «previsione<br />

ultronea» rispetto a quanto già previsto dal comma<br />

8-bis, a parere di chi scrive, la compresenza delle<br />

due disposizioni nell’ambito del medesimo testo di<br />

novella rivela, invece, certamente il differente<br />

ambito di incidenza di ognuna di esse, e la venuta<br />

meno di una, la volontà che gli effetti ivi previsti<br />

non si verificassero. Si è voluto affermare, in altre<br />

parole, che, nei casi in cui non vi sia stata elezione<br />

di domicilio, ma sia stato nominato il difensore di<br />

fiducia, la prima notificazione debba comunque<br />

avvenire secondo la sequenza metodologica del-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

79


GIURISPRUDENZA<br />

l’art. 157 c.p.p. la quale, solo una volta approdata al<br />

deposito dell’atto presso la casa comunale, consente<br />

che le notificazioni successive vengano legittimamente<br />

effettuate presso il professionista nominato.<br />

Qualora vi sia stata elezione di domicilio, invece,<br />

dovrà farsi riferimento a quanto previsto dall’art.<br />

161 c.p.p. il cui dettato consente la rituale notifica<br />

presso il difensore solo qualora la stessa sia divenuta<br />

«impossibile» da eseguirsi presso il domicilio<br />

dichiarato a seguito dell’invito all’elezione intervenuto<br />

con l’informazione di garanzia, o con il primo<br />

atto notificato, o qualora la dichiarazione fornita<br />

nel primo atto compiuto con la persona sottoposta<br />

ad indagini o dell’imputato non detenuto ovvero al<br />

momento della scarcerazione manchi, sia insufficiente<br />

o inidonea.<br />

Se così non dovesse intendersi, si renderebbe quantomeno<br />

opportuno l’intervento dei giudici di<br />

Palazzo della Consulta affinché vaglino se la suddetta<br />

normativa, per come interpretata dalla giurisprudenza<br />

di legittimità, sia conforme ai parametri<br />

costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 117 c. 1, quest’ultimo<br />

rilevante in ordine alla violazione dell’art.<br />

6 par. 3 lett. c CEDU e dell’art. 14 par. 3 lett. d del<br />

Patto internazionale per i diritti civili e politici, per<br />

come interpretati dalla giurisprudenza di Strasburgo<br />

che, come noto, in più occasioni ha segnalato l’impossibilità<br />

di celebrare un processo di cui l’imputato<br />

risulti solo presuntivamente informato.<br />

Parte civile<br />

Cass. pen., Sez. III, 22 ottobre 2006, n. 38952,<br />

Pres. Postiglione, Rel. Petti – “Legittimati alla<br />

costituzione di parte civile i genitori della vittima<br />

di abusi sessuali” – (sintesi già pubblicata sul<br />

sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il<br />

testo del provvedimento per esteso).<br />

Avverso la sentenza con cui la Corte di appello di<br />

Milano, in parziale accoglimento del gravame<br />

avanzato dall’imputato, riduceva la somma liquidata<br />

a titolo di risarcimento del d<strong>anno</strong> ad euro cinquecento<br />

per ciascun genitore della vittima del<br />

reato di cui agli artt. 81 cpv e 609-bis c.p., lo stesso<br />

ricorreva per cassazione lamentando, fra l’altro,<br />

la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla<br />

doglianza relativa all'inaccoglibilità della domanda<br />

di risarcimento avanzata dai genitori della vittima;<br />

nel caso di specie, trattavasi di quattordicenne che,<br />

in occasione di visite odontoiatriche, era stata<br />

Diritto e Procedura penale<br />

costretta dal proprio medico a subire e compiere<br />

atti sessuali consistiti in ambigui toccamenti vari e<br />

nell'indurre la vittima a toccargli il proprio organo<br />

genitale.<br />

Nel respingere la pretestuosa, quanto immotivata,<br />

censura avanzata dall’imputato, la Corte ha, quindi,<br />

correttamente osservato come «l'abuso sessuale<br />

patito da un minore cre[i] indubbiamente un d<strong>anno</strong><br />

anche ai suoi genitori, il quale d<strong>anno</strong> può essere di<br />

natura patrimoniale, allorché ad esempio i genitori<br />

devono sostenere spese per terapie psicologiche a<br />

favore della vittima, o di natura non patrimoniale<br />

per le apprensioni o dolori causati dall'illecito».<br />

Al solo d<strong>anno</strong> morale, invero, pare abbia voluto far<br />

riferimento il difensore delle parti civili, chiaro<br />

essendo, tuttavia, come il d<strong>anno</strong> non patrimoniale<br />

non possa ovviamente essere inteso come limitato<br />

al solo dolore cagionato ai familiari della vittima<br />

(id est al d<strong>anno</strong> morale), ricomprendendo, tra le sue<br />

voci, anche il d<strong>anno</strong> esistenziale, quale alterazione,<br />

in negativo, delle proprie abitudini di vita.<br />

A tale ultimo aspetto sembrano in effetti riferirsi i<br />

giudici della Suprema Corte quando, richiamata<br />

alla mente la pronuncia della Cassazione civile<br />

8827/2003, affermano che l’attribuzione ai prossimi<br />

congiunti della persona offesa dal reato della<br />

legittimazione a costituirsi, iure proprio, parte civile<br />

nel processo penale «si fonda anche e soprattutto<br />

sul riconoscimento dei "diritti della famiglia"<br />

previsto dall'articolo 29 primo comma della<br />

Costituzione, il quale riconoscimento […] deve<br />

essere inteso non già restrittivamente, come tutela<br />

delle estrinsecazioni della persona nell'ambito<br />

esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di<br />

carattere meramente interno, ma nel più ampio<br />

senso di modalità di realizzazione della vita stessa<br />

dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti<br />

che il rapporto personale ispira, generando<br />

così, non solo doveri reciproci, ma dando luogo<br />

anche a gratificazioni e reciproci diritti. Da tale rapporto<br />

interpersonale discende che il fatto lesivo<br />

commesso in d<strong>anno</strong> di un soggetto esplica i propri<br />

effetti anche nell'ambito del rapporto familiare».<br />

Nessuna motivazione avrebbe, dunque, dovuto<br />

supportare la decisione di ammettere la costituzione<br />

di parte civile dei genitori della vittima del reato,<br />

in favore dei quali il difensore ha, tra l'altro, inspiegabilmente,<br />

limitato la richiesta al solo risarcimento<br />

del d<strong>anno</strong> morale, liquidato nella somma riconosciuta<br />

dalla stessa Cassazione come «obiettivamente<br />

modesta» di euro cinquecento, a cui si accompagna<br />

la altrettanto discutibile, parziale, liquidazione<br />

del d<strong>anno</strong> alla vittima, pari a euro cinquemila.<br />

80 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

3/<strong>2007</strong><br />

Provvedimento cautelare<br />

Cass. pen., Sez. VI, 1° ottobre <strong>2007</strong>, n. 35823,<br />

Pres. De Roberto, Rel. Mannino – “La motivazione<br />

per relationem dell’ordinanza cautelare” –<br />

(sintesi già pubblicata sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it<br />

con allegato il testo del provvedimento<br />

per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere<br />

emessa dal g.i.p., l’interessato esperiva, ex art.<br />

311 c.p.p., ricorso per cassazione, lamentando<br />

come la stessa, nel rinviare «gli indagati alle loro<br />

schede personali redatte dalla p.g, senza tenere presente<br />

che al singolo indagato [era] stata notificata<br />

esclusivamente la propria scheda personale e che<br />

quindi non conosce[va] quella degli altri indagati<br />

nel reato associativo», si ponesse in contrasto con<br />

quanto prescritto dagli artt. 125, 3° co. e 292, 1°<br />

co., c.p.p.»; nel caso di specie, il g.i.p. motivava il<br />

provvedimento restrittivo attraverso il generico<br />

riferimento alle «lunghe e complesse indagini di<br />

p.g.», all’«attività di pedinamento e controllo», al<br />

«prolungato servizio di intercettazione telefonica e<br />

ambientale», ai «copiosi sequestri di sostanza stupefacente<br />

e arresti in flagranza degli accoliti»,<br />

richiamandosi, infine, «agli esiti di tali emergenze<br />

investigative, illustrati specificamente per ciascun<br />

indagato nelle schede personali predisposte dalla<br />

p.g. precisando che le stesse d[ovessero] essere<br />

considerate parti integranti dell’ordinanza stessa».<br />

Il percorso motivazionale e il principio di diritto<br />

affermato<br />

Nel dichiarare il ricorso parzialmente fondato, la<br />

Corte ha, innanzitutto, rammentato come sia opinione<br />

largamente condivisa in giurisprudenza che<br />

«l’ordinanza di custodia cautelare non p[ossa] limitarsi<br />

ad una mera elencazione, di tipo descrittivo,<br />

degli elementi di prova acquisiti, ma de[bba] valutare<br />

il complesso degli elementi di prova raccolti al<br />

fine di poter affermare la gravità indiziaria che<br />

costituisce il presupposto dell’applicazione della<br />

misura».<br />

Con ciò volendo intendersi che, per quanto accurata,<br />

l’esposizione fattuale e del materiale istruttorio<br />

non basta ad integrare gli estremi di una motivazione,<br />

la cui stessa essenza risiede nella valutazione di<br />

sintesi che su quegli elementi deve essersi compiuta.<br />

Per ciò che concerne, specificamente, la motivazione<br />

per relationem, è noto come sulla stessa si sia<br />

soffermata la Suprema Corte nel suo più ampio<br />

consesso, riconoscendone i requisiti minimi di<br />

legittimità nel «riferimento, recettizio o di semplice<br />

rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la<br />

cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza<br />

di giustificazione propria del provvedimento di<br />

destinazione»; nella «dimostrazione che il giudice<br />

ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle<br />

ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia<br />

meditate e ritenute coerenti con la sua decisione» e<br />

nella possibilità che l'atto di riferimento, quando<br />

non venga allegato o trascritto nel provvedimento<br />

da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno<br />

ostensibile, quanto meno al momento in cui si<br />

renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione,<br />

di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente,<br />

di controllo dell'organo della valutazione<br />

o dell'impugnazione» (Cass., Sez. un.,<br />

21.6.2000, n. 17, Primavera, in Cass. pen., 2001,<br />

69).<br />

Sulla scorta di tali principi, ancorché espressi in<br />

materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali,<br />

la Corte, con la sentenza in epigrafe, ha, dunque,<br />

ritenuto doversi intendere come illegittima «l’ordinanza<br />

di custodia cautelare che ritenga la sussistenza<br />

dei gravi indizi di colpevolezza in base a una<br />

disamina generica della tipologia degli elementi di<br />

prova raccolti, richiamando poi gli esiti delle investigazioni<br />

illustrati nella scheda personale dell’indagato<br />

predisposta dalla polizia giudiziaria, sia<br />

pure considerate come parti integranti dell’ordinanza<br />

stessa. Manca, infatti, la valutazione critica degli<br />

elementi indiziari e della gravità degli stessi, propria<br />

del provvedimento giurisdizionale, che non<br />

può essere rimessa alla ricostruzione contenuta<br />

nella relazione della polizia giudiziaria».<br />

Come ovvio, il principio, dovrà essere adattato alle<br />

peculiarità del singolo procedimento e dello specifico<br />

atto cui si è fatto riferimento, chiaro essendo<br />

che in taluni casi anche la sola descrizione fattuale<br />

potrà risultare idonea ai fini motivazionali, come<br />

reso evidente dalla stessa fattispecie concreta<br />

oggetto della pronuncia in esame che, dichiarando<br />

il parziale accoglimento del ricorso, ha, peraltro,<br />

ritenuto legittima, in merito ai gravi indizi per una<br />

delle imputazioni elevate, la motivazione fondata<br />

sulla sintetica descrizione dell’avvenimento (arresto<br />

in flagranza) e una valutazione adeguata della<br />

prova relativa, costituita dalla constatazione diretta<br />

del personale di polizia in merito al trasporto di una<br />

determinata quantità di sostanza stupefacente.<br />

GIURISPRUDENZA<br />

81


GIURISPRUDENZA<br />

Ricorso per cassazione<br />

Cass. pen., Sez. IV, 8 ottobre <strong>2007</strong>, n. 36950,<br />

Pres. Battisti, Rel. Novarese – “La Corte di cassazione<br />

ancora alle prese con il travisamento<br />

della prova” – (sintesi già pubblicata sul sito<br />

internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il testo<br />

del provvedimento per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso la pronuncia del Tribunale del riesame che<br />

confermava il provvedimento di custodia cautelare<br />

emesso dal g.i.p. nell’ambito di un procedimento<br />

per associazione a delinquere finalizzata al traffico<br />

di droga, l’interessato esperiva ricorso per cassazione,<br />

lamentando la mancanza di motivazione e la<br />

sua manifesta illogicità in punto di gravi indizi di<br />

colpevolezza, posto che «il contributo imputato al<br />

ricorrente non p[oteva] dirsi stabile e permanente,<br />

giacché si tratta[va] di un acquirente, non vi [era] la<br />

prova della volontà di partecipare all'associazione,<br />

in quanto può sussistere fra i fornitori della droga e<br />

gli acquirenti della stessa un vincolo associativo,<br />

qualora questi ultimi costituiscano elementi della<br />

complessa struttura organizzativa e la loro partecipazione<br />

trascenda il significato negoziale delle singole<br />

operazioni».<br />

Il percorso argomentativo e il principio di diritto<br />

affermato<br />

Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Suprema<br />

Corte ha, innanzitutto, ribadito come la modifica<br />

intervenuta sull’impianto normativo dell’art. 606<br />

c.p.p. ad opera della l. 46/2006 – altrimenti nota<br />

come “legge Pecorella” – «non comporta la possibilità<br />

di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo<br />

della decisione tale da sovrapporre una propria<br />

valutazione a quella già effettuata dai giudici<br />

di merito e da verificare l’adeguatezza delle considerazioni<br />

di cui il giudice di merito si è avvalso per<br />

sottolineare il suo convincimento, […] mentre la<br />

loro rispondenza alle acquisizioni processuali può,<br />

soltanto ora, essere dedotta qualora comporti il c.d.<br />

travisamento della prova, purché siano indicate in<br />

maniera specifica le prove pretese travisate nelle<br />

forme di volta in volta adeguate alla natura degli<br />

atti in considerazione, in modo da rendere possibile<br />

la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da<br />

parte della Corte […] e non ne sia effettuato un<br />

esame parziale e particellizzato».<br />

Viene così ad essere confermato l’orientamento<br />

maggioritario che intende venuto meno il precedente<br />

divieto di accedere agli atti del processo ed,<br />

Diritto e Procedura penale<br />

in particolare, agli atti probatori, ponendo, tuttavia,<br />

un particolare accento alla dizione legislativa che<br />

vuole che tali atti siano «specificamente indicati nei<br />

motivi di gravame»; se da un lato, dunque, il giudizio<br />

di legittimità, letteralmente svincolato, dopo la<br />

novella, dall’esclusivo vaglio sul testo della sentenza,<br />

non può che essere inteso come ampliatosi alla<br />

verifica di conformità tra processo e provvedimento<br />

giurisdizionale, dall’altro, i limiti entro cui la<br />

Cassazione può muoversi nel giudizio sul fatto vengono<br />

ad essere costituiti dalle indicazioni effettuate<br />

dal ricorrente nell’atto di impugnazione.<br />

Quest’ultimo, secondo la Corte, «deve essere autosufficiente<br />

cioè contenere la specifica indicazione<br />

del materiale probatorio richiamato, dare prova<br />

della veridicità di detto dato o della sua insussistenza,<br />

indicare l'elemento fattuale, il dato probatorio<br />

o l'atto processuale da cui discende l’incompatibilità<br />

con la ricostruzione adottata, esporre le ragioni<br />

per cui detto atto inficia o compromette, in modo<br />

decisivo, la tenuta logica e l'interna coerenza della<br />

motivazione, introducendo profili di radicale<br />

incompatibilità (cfr. anche Cass., Sez. I, 14 giugno<br />

2006 n. 20370, rv. 233778, Cass., Sez. VI, 7 luglio<br />

2006, n. 23781, rv. 234152 e Cass., Sez. VI, 6<br />

luglio 2006, n. 23524, rv. 234153)».<br />

L’assunto si rivela essere la sintesi di quanto già<br />

sostenuto nelle svariate pronunce del giudice di<br />

legittimità che h<strong>anno</strong> avuto modo di affrontare i<br />

limiti alla deducibilità del nuovo vizio, segnalando,<br />

da un lato, che il nuovo testo dell’art. 606 lett. e)<br />

c.p.p. pone «a carico del ricorrente - accanto all'onere<br />

di formulare motivi di impugnazione specifici<br />

e conformi alla previsione di cui all'art. 581 c.p.p. -<br />

anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione"<br />

e di specifica "rappresentazione" degli atti<br />

processuali che intende far valere, onere da assolvere<br />

nelle forme di volta in volta più adeguate alla<br />

natura degli atti stessi (integrale esposizione e<br />

riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in<br />

copia, precisa identificazione della collocazione<br />

dell'atto nel fascicolo del giudice et similia)»<br />

(Cass., Sez. VI, 6.7.2006, n. 23524, in CED,<br />

234153), dall’altro che l’esame diretto degli atti da<br />

parte della Corte, per come limitato «alla valutazione<br />

delle risultanze processuali "specificamente<br />

indicate" così come esse sono state riportate e trascritte<br />

dallo stesso ricorrente», si renderà ammissibile<br />

«soltanto qualora dalla stessa esposizione del<br />

ricorrente emerga effettivamente il fumus di una<br />

illogicità della sentenza impugnata, che sia ricollegabile<br />

a un atto del processo "specificamente indicato<br />

nei motivi di gravame"; ma, se una siffatta illo-<br />

82 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

gicità non emerge dalla stessa articolazione del<br />

ricorso, l'esame diretto degli atti dovrà ritenersi<br />

precluso sulla base del citato principio» (Cass.,<br />

Sez. I, 14.6.2006, n. 20344, in CED, 234115); reputandosi,<br />

in tal sede, opportuno rammentare l’indirizzo<br />

che, sulla scorta delle suddette rilevazioni,<br />

ritiene doversi, dunque, dichiarare «inammissibile<br />

il ricorso, che, pur richiamando atti specificamente<br />

indicati, non contenga la loro integrale trascrizione<br />

o allegazione e non ne illustri adeguatamente il<br />

contenuto, di guisa da rendere lo stesso autosufficiente<br />

con riferimento alle relative doglianze»<br />

(Cass., Sez. I, 14.6.2006, n. 20344, in CED,<br />

234115).<br />

Nell’adeguarsi al diffuso atteggiamento di negare<br />

espressamente che la novella abbia avuto l’effetto<br />

di snaturare il giudizio di legittimità modificandone<br />

oggetto e criteri di valutazione, la Corte ha proseguito<br />

ribadendo che l’illogicità della motivazione,<br />

per venire in rilievo, «deve essere di spessore<br />

tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il<br />

sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a<br />

rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti<br />

le minime incongruenze e considerandosi<br />

disattese le deduzioni difensive che, anche se non<br />

espressamente confutate, siano logicamente incompatibili<br />

con la decisione adottata, purché siano spiegate<br />

in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento<br />

senza vizi giuridici (Cass., Sez. un. 16<br />

dicembre 1999, n. 24, riv. 214794, Cass., Sez. un.,<br />

23 giugno 2000, n. 12, rv. 216260 e Cass., Sez. un.,<br />

10 dicembre 2003, n. 47289, rv. 226074)», dovendo,<br />

«a tal riguardo […] escludersi “un'analisi orientata<br />

ad esaminare in modo separato ed atomistico i<br />

singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi<br />

imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi<br />

atti ed ai motivi ad essi relativi” (cfr. Cass., Sez.<br />

VI, 27 aprile 2006, n. l4624, rv. 233621 e Cass.,<br />

Sez. II, 7 giugno 2006, n. 19584, rv. 233775), nonché<br />

«la possibilità per il giudice di legittimità di<br />

una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento<br />

della decisione o l'autonoma adozione di<br />

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione<br />

dei fatti».<br />

La prima affermazione richiama, expressis verbis,<br />

quanto affermato dalle Sezioni unite prima dell’entrata<br />

in vigore della legge di novella, <strong>anno</strong>verando,<br />

in particolare, la sentenza Petrella, la quale, ad onor<br />

del vero, fondava l’assunto per cui l’unico vizio<br />

censurabile, in merito all’illogicità della motivazione,<br />

fosse quello evidente, sulla scorta dell’osservazione<br />

per la quale il testo legislativo non consentiva<br />

«la possibilità di verifica della rispondenza della<br />

3/<strong>2007</strong><br />

motivazione alle acquisizioni processuali» (Cass.,<br />

Sez. un., 10 dicembre 2003, n. 47289, in CED,<br />

226074).<br />

Ai fini proposti, sarebbe, in realtà, bastato far<br />

richiamo alle più conferenti pronunce successivamente<br />

citate, ancorché sia da chiedersi se non sia<br />

preferibile dare ascolto a quel suggerimento della<br />

più autorevole dottrina che, pur nel necessario riconoscimento<br />

della censurabilità dei soli vizi in grado<br />

di influire sulle conclusioni raggiunte dal provvedimento<br />

impugnato, riconosce l’effetto invalidante,<br />

non già in relazione al «carattere più o meno<br />

macroscopico dell’errore», ma in ragione della possibilità<br />

che «l’elemento ignorato o travisato [sia]<br />

tale da introdurre un ragionevole dubbio sulle conclusioni<br />

raggiunte dal giudice di merito. […]<br />

"Ragionevole dubbio" è categoria vaga, ma perfettamente<br />

adeguata al settore, qui pertinente, della<br />

logica induttiva dove è altrettanto vago, costruito<br />

su una maggiore o minore probabilità, il confine tra<br />

inferenze fondate e infondate (a differenza della<br />

logica deduttiva che divide con un taglio netto le<br />

inferenze invalide e non valide)» (FERRUA, Atti processuali,<br />

addio divieto d’accesso. La Pecorella dà<br />

più spazio agli ermellini, in Dir. giust., 2006, n. 32,<br />

44 ss.), acutamente osservando, altresì, come il<br />

«ricorrente luogo comune», riferito all’intangibilità<br />

della valutazione nel merito del risultato probatorio<br />

e il divieto di rilettura dell’elemento di prova, nel<br />

sottendere la volontà della Suprema Corte di<br />

«distinguere il controllo sulla logicità della motivazione<br />

dalla rilettura o reinterpretazione dei dati probatori,<br />

considerando ammissibile l'uno, vietato l'altro»<br />

sia, in realtà, «una sfida impossibile»; è chiaro,<br />

infatti, che «se il controllo sulla logicità della<br />

motivazione riguarda, come è pacifico, anche le<br />

inferenze induttive e non solo l'osservanza delle<br />

regole di logica formale, il suo esercizio implica<br />

necessariamente la rilettura e la reinterpretazione<br />

delle prove. Nella motivazione il giudice enuncia i<br />

criteri di valutazione della prova, ossia le ragioni<br />

per cui sulla base di certe premesse probatorie<br />

afferma o nega la proposizione da provare. Tocca al<br />

ricorrente documentare il vizio di motivazione,<br />

illustrando i passi falsi del percorso argomentativo.<br />

Nell'accertarli, la Cassazione inevitabilmente rilegge<br />

e reinterpreta i dati probatori. L'inferenza induttiva<br />

altro non è che l'interpretazione di un'evidenza<br />

probatoria; e sarebbe una contraddizione in termini<br />

pretendere di controllare la prima senza sindacare<br />

la seconda. Analogo discorso vale per la mancata<br />

valutazione o per il travisamento della prova. Come<br />

si può concludere che il dato ignorato o travisato<br />

GIURISPRUDENZA<br />

83


GIURISPRUDENZA<br />

sia tale da giustificare l'annullamento della decisione<br />

impugnata, se non interpretandolo? In breve, il<br />

controllo sulla correttezza della motivazione in<br />

fatto implica sempre la rilettura dei dati probatori»<br />

(FERRUA, Atti processuali, addio divieto d’accesso.<br />

La Pecorella dà più spazio agli ermellini, in Dir.<br />

giust., 2006, n. 32, 44 ss.).<br />

Il ragionamento vale anche con riferimento al procedimento<br />

cautelare, in merito al quale, l’ovvia<br />

considerazione della Corte per cui «il vizio del c.d.<br />

travisamento della prova si atteggia in maniera differente<br />

nelle due differenti fasi, cautelare e cognitiva<br />

ordinaria, in considerazione delle peculiarità<br />

della prima anche in relazione alla valutazione dei<br />

gravi indizi di colpevolezza, differenti dall'indizio<br />

ex art. 192 c.p.p.», non viene ad essere inficiata da<br />

un ragionamento che intenda carente di motivazione<br />

l’ordinanza cautelare «che ignori o travisi un<br />

dato capace di incrinare i gravi indizi di colpevolezza,<br />

nel senso di porre ragionevolmente in dubbio<br />

la loro sussistenza» (FERRUA, Atti processuali,<br />

addio divieto d’accesso. La Pecorella dà più spazio<br />

agli ermellini, in Dir. giust., 2006, n. 32, 44 ss.).<br />

Riesame<br />

Cass. pen., Sez. III, 6 settembre <strong>2007</strong>, n. 34154,<br />

Pres. Vitalone, Rel. Petti – “Riesame del sequestro<br />

probatorio: necessaria la trasmissione dei<br />

verbali di esecuzione” – (sintesi già pubblicata sul<br />

sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it con allegato il<br />

testo del provvedimento per esteso).<br />

Il fatto<br />

Avverso il sequestro probatorio di alcuni computer,<br />

hard disk, DVD contenenti film e CD contenenti<br />

software applicativi intervenuto a seguito di perquisizione<br />

dalla polizia giudiziaria nell’ambito di un<br />

procedimento per presunta violazione del diritto<br />

d’autore per mezzo della rete telematica, gli interessati<br />

proponevano istanza di riesame, respinta dal<br />

Tribunale osservando «che le esigenze probatorie<br />

risultavano indicate nel provvedimento e consistevano<br />

nella necessità di svolgere accertamenti per<br />

meglio individuare le condotte attribuite agli indagati:<br />

ad esempio per individuare il numero degli<br />

accessi operati al network, la quantità delle opere<br />

divulgate e detenute; che allo stato non era praticabile<br />

una scissione tra il "contenitore" rappresentato<br />

dal p.c ed il relativo contenuto (hard disk).<br />

Rilevava altresì che l'omessa trasmissione dei verbali<br />

di esecuzione del provvedimento riguardante i<br />

Diritto e Procedura penale<br />

singoli indagati non aveva inciso sulla valutazione<br />

del collegio la cui indagine era limitata alla verifica<br />

dell'accertamento della legittimità del sequestro».<br />

Gli interessati ricorrevano, dunque, per cassazione,<br />

lamentando, da un lato, «l'illegittimità del sequestro<br />

dei computers fissi non essendo tali oggetti<br />

necessari all'accertamento dei fatti posto che le esigenze<br />

probatorie possono essere tutelate mediante<br />

la sola acquisizione della memoria fissa del computer<br />

compiendo eventualmente una semplice<br />

masterizzazione delle tracce pertinenti al reato»,<br />

dall’altro, «la violazione dell'articolo 324 comma 3<br />

c.p.p. per la mancata trasmissione al tribunale dei<br />

verbali d'esecuzione del provvedimento ablatorio,<br />

trattandosi di atti essenziali ai fini della decisione<br />

del ricorso: infatti i verbali erano indispensabili per<br />

valutare la pertinenza e la necessità del vincolo<br />

rispetto ai singoli beni oggetto del sequestro».<br />

Il percorso argomentativo e il principio di diritto<br />

affermato<br />

Nell’accogliere il ricorso, la Suprema Corte si è,<br />

inizialmente, soffermata sul dato letterale della disposizione<br />

dell’art. 253 c.p.p., rammentando come<br />

«la legittimità del sequestro probatorio postul[i]<br />

che il vincolo di temporanea indisponibilità sia<br />

imposto soltanto ai beni qualificabili come corpo di<br />

reato o cose pertinenti al reato».<br />

Quest’ultima dizione, «necessariamente generica»,<br />

comprenderebbe «tutte quelle res che sono in rapporto<br />

indiretto con la fattispecie concreta e sono<br />

strumentali, secondo i principi generali della libera<br />

prova e del libero convincimento del giudice,<br />

all'accertamento dei fatti. Secondo autorevole dottrina<br />

"pertiene al reato ogni reperto utile a convinzione<br />

o a discolpa" [l’espressione è di F. Cordero].<br />

In tale dizione v<strong>anno</strong> ricomprese, quindi, le cose<br />

necessarie, sia alla dimostrazione del reato e delle<br />

modalità di preparazione ed esecuzione, sia alla<br />

conservazione delle tracce, all'identificazione del<br />

colpevole, all'accertamento del movente ed alla<br />

determinazione dell’ante factum e del post factum,<br />

comunque ricollegabili al reato, pur se esterni ad<br />

esso, purché funzionali alla finalità perseguita, cioè<br />

all'accertamento del fatto e all'individuazione dell'autore».<br />

Sembrerebbe, tuttavia, che in tale ultima precisazione<br />

l'individuazione dell’oggetto vada totalmente<br />

a corrispondere al fine di accertamento del reato,<br />

con il rischio di ricomprendervi «qualunque cosa<br />

ritenuta utile per accertare l'illecito, indipendentemente<br />

dalla prova di un (effettivo) nesso di perti-<br />

84 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

nenza» (CANTONE, Perquisizioni e sequestri: dalle<br />

tecniche investigative alle problematiche processuali,<br />

in Arch. n. proc. pen., 1996, p. 8), a fronte, tra<br />

l’altro, di una dizione normativa rispondente, letteralmente,<br />

alle «cose pertinenti al reato necessarie<br />

per l’accertamento dei fatti» (art. 253 c.p.p.) che<br />

parrebbe chiaramente distinguere l’afferenza della<br />

res al fatto di reato dalla sua «necessità probatoria»,<br />

autorizzando «a immaginare lo scrutinio di legittimità<br />

del sequestro probatorio come un esame "bifasico",<br />

incardinato sulla preliminare verifica del<br />

nesso pertinenziale fra bene sequestrato e fattoreato<br />

e sulla successiva valutazione della necessità<br />

istruttoria della res che abbia superato positivamente<br />

il primo vaglio» (così, GABRIELLI, Il sequestro<br />

probatorio non supera il riesame: la copia dell'hard-disk<br />

ritorna al giornalista, sia pure con qualche<br />

"scorciatoia" argomentativa, in Giur. mer.,<br />

<strong>2007</strong>, 1109).<br />

Ciononostante la Corte, subito dopo, ha affermato,<br />

più correttamente, che, «in materia di sequestro<br />

probatorio, l'obbligo di motivazione si traduce, sia<br />

per il pubblico ministero, in ordine al decreto di<br />

sequestro ed al decreto di convalida, sia per il giudice<br />

del riesame, nell'indicazione delle finalità probatoria<br />

del sequestro e nella dimostrazione dell'esistenza<br />

del rapporto diretto o pertinenziale tra cosa<br />

sequestrata ed il reato ipotizzato, nonché nell'indicazione<br />

dell'idoneità probatoria della res. Nel giudizio<br />

di riesame del sequestro probatorio incombe<br />

al giudice lo specifico dovere di controllare se il<br />

sequestro sia o meno giustificato, cioè di verificare<br />

la sussistenza del rapporto pertinenziale e l'idoneità<br />

delle cose sequestrate a soddisfare le esigenze<br />

probatorie indicate dal pubblico ministero, dando<br />

conto dell'esito di tale verifica nella motivazione<br />

della decisione».<br />

Il vaglio, ha proseguito la Corte, deve essere svolto<br />

«“in concreto”, e cioè con riferimento alla realtà<br />

fattuale, tenendo nella dovuta considerazione le<br />

contestazioni difensive ed esaminando l'integralità<br />

dei presupposti che legittimano il ricorso al mezzo<br />

di ricerca della prova, secondo la chiara volontà del<br />

legislatore, il quale ha affidato all'organo collegiale<br />

il potere dovere di sostituirsi all'autorità che ha<br />

adottato il provvedimento impugnato con la possibilità<br />

di riformarlo se illegittimo».<br />

Da cui, la necessità, per il Tribunale del riesame, di<br />

«acquisire i verbali di esecuzione del sequestro<br />

delegato dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria<br />

specialmente nell'ipotesi di sequestro successivo<br />

a perquisizione domiciliare, in quanto l'indicazione<br />

delle cose da apprendere nel decreto di cui<br />

3/<strong>2007</strong><br />

all'articolo 247 c.p.p. costituisce parametro di discrimine<br />

tra il sequestro delegato dall'autorità giudiziaria<br />

e quello svolto d'iniziativa dalla polizia giudiziaria<br />

[…]. Pertanto, contrariamente all'assunto<br />

del tribunale, i verbali di sequestro erano indispensabili<br />

ai fini della decisione per individuare in relazione<br />

a ciascun bene il vincolo pertinenziale e l'idoneità<br />

probatoria oltre che per stabilire se trattatasi<br />

di sequestro disposto dal pubblico ministero o<br />

eseguito, sia pure in parte, ad iniziativa dalla polizia<br />

giudiziaria», rammentando, in argomento, come<br />

«l'attività della polizia giudiziaria richieda la convalida,<br />

non solo quando il pubblico ministero non<br />

indichi l'oggetto da sequestrare, ma anche quando,<br />

pur indicandolo, disponga l'adprehensio anche di<br />

quant'altro venga rinvenuto nel corso della perquisizione».<br />

Nel caso di specie, la Corte di cassazione, quale<br />

unico organo a cui i verbali di perquisizione e<br />

sequestro sono effettivamente pervenuti, non ha,<br />

tuttavia, provveduto al loro esame, rammentando<br />

come il compito della S.C. «non [sia] quello di esaminare<br />

gli atti processuali, quando non viene<br />

dedotta una nullità processuale, ma controllare la<br />

legittimità della decisione adottata dal tribunale del<br />

riesame» sul quale, solo, incombeva il compito di<br />

esaminarli; da cui il rinvio al medesimo che, «previa<br />

acquisizione ed esame dei verbali di sequestro<br />

relativi agli attuali ricorrenti, d[ovrà] stabilire per<br />

ciascun bene sottratto agli indagati l'idoneità a realizzare<br />

le esigenze probatorie evidenziate dal pubblico<br />

ministero».<br />

Sul punto, vale la pena sottolineare come appaia di<br />

indubbia correttezza la tesi difensiva volta a contrastare<br />

la legittimità del sequestro dei p.c., quali<br />

semplici contenitori di ciò che effettivamente rileva<br />

quale corpus delicti o cosa pertinente al reato ai fini<br />

dell’atto abdicativo. Se è di trasparente evidenza<br />

che il materiale informatico rilevante ai fini probatori<br />

sia semplicemente detenuto nel computer, e<br />

non dal computer, dall’altro anche il solo sequestro<br />

dell’hard disk non può che generare perplessità a<br />

fronte di una disciplina avente rilevanti implicazioni<br />

sul piano costituzionale, et indi tassativamente<br />

regolamentata nei presupposti e nelle procedure (In<br />

argomento, MANCHÌA, Sequestro probatorio di<br />

computers: un provvedimento superato dalla tecnologia?,<br />

in Cass. pen., 2005, 1634 ss.).<br />

GIURISPRUDENZA<br />

85


GIURISPRUDENZA<br />

Diritto e Procedura penale<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di M. MANISCALCO<br />

Trib. Caltanissetta, Ufficio del giudice per le<br />

indagini preliminari, ord. 27 novembre <strong>2007</strong> –<br />

“Richiesta di rinvio a giudizio nonostante la<br />

smentita sui gravi indizi di colpevolezza in ordine<br />

al provvedimento cautelare” – M. Maniscalco<br />

(sintesi già pubblicata sul sito internet www.personaed<strong>anno</strong>.it)<br />

A seguito dell’annullamento dell’ordinanza di<br />

custodia cautelare ad opera del Tribunale del riesame<br />

che ne rilevava la carenza dei gravi indizi di<br />

colpevolezza, i difensori degli imputati lamentavano<br />

la violazione del disposto di cui all’art. 405 c. 1bis<br />

c.p.p., et indi la nullità della richiesta di rinvio a<br />

giudizio, sulla scorta di un’improbabile equivalenza<br />

della stessa alla pronuncia di insussistenza della<br />

gravità indiziaria emessa dalla Suprema Corte, la<br />

quale, come noto, dopo la legge 46/2006, avrebbe<br />

da condurre il p.m. a richiedere l’archiviazione<br />

qualora, successivamente alla medesima, non vengano<br />

acquisiti ulteriori elementi a carico della persona<br />

sottoposta alle indagini. (la tesi, invero, è<br />

sostenuta in dottrina da DELL’ANNO,<br />

“Archiviazione cautelare” e conseguenti problemi<br />

operativi, in La nuova disciplina delle impugnazioni<br />

dopo la legge Pecorella, a cura di A. Gaito,<br />

Torino, 2006, 44).<br />

Orbene, sotto un primo aspetto, non vi è dubbio sul<br />

fatto che gli elementari principi dell’ermeneutica<br />

giuridica impedissero di estendere i presupposti<br />

applicativi della disposizione in parola a pronunce<br />

diverse da quella di legittimità, ma sarebbe intellettualmente<br />

scorretto non rilevarsi come la riflessione<br />

della difesa – giudicata niente più che «suggestiva»<br />

dal giudice nisseno – riveli, in realtà, il disagio<br />

degli operatori di fronte ad una norma che, già<br />

di per sé stravagante, individua nella Corte di cassazione,<br />

e non nel Tribunale del riesame, «l’organo<br />

più adatto ad effettuare un vaglio […] che attiene al<br />

merito e non alla legittimità del provvedimento<br />

restrittivo» (così, VALENTINI, Interferenze inedite<br />

tra la vicenda cautelare e l’esercizio dell’azione<br />

penale: il comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p., in Cass.<br />

pen., 2006, 4272); con l’ulteriore paradossale conseguenza<br />

pratica di inibire il p.m. dal ricorrere per<br />

cassazione avverso il provvedimento a sé sfavorevole.<br />

Pur potendo liquidare agevolmente la questione, il<br />

giudice nisseno si è comunque sentito in dovere di<br />

precisare che, anche ci fossero stati i presupposti,<br />

«stante il principio di tassatività delle nullità», nessuna<br />

sanzione processuale avrebbe potuto comminarsi,<br />

«non essendone nessuna espressamente prevista,<br />

e non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui<br />

all’art. 178 c.p.p.».<br />

Tralasciando l’infelice formulazione dovuta alla<br />

doppia negazione nell’ambito del primo periodo,<br />

l’affermazione ben avrebbe potuto esser condivisa<br />

se supportata dalla conseguente, motivata proposta<br />

risolutiva della questione; sennonché, a sostegno,<br />

se ne è portata, invece, la considerazione di non<br />

poter «sottacere che la S.C. ha di recente escluso<br />

che la violazione della norma di cui al c. 1-bis dell’art.<br />

405 c.p.p., determini la nullità della richiesta<br />

di rinvio a giudizio … “trattandosi di norma processuale<br />

che trova applicazione al momento della<br />

istruzione preliminare e che comunque non preclude<br />

il giudizio ove il magistrato istruttore non ritenga<br />

di dovere disporre archiviazione” (Cass., Sez. II,<br />

19758/2006)».<br />

Spiace, invero, il diffuso atteggiamento dei giudici<br />

di merito di acritica presa d’atto dei principi espressi<br />

dalla Corte di legittimità – soprattutto quando<br />

così mal espressi – attraverso il loro pedissequo<br />

riversamento nei provvedimenti decisori; ed, infatti,<br />

se da un lato, traspare evidente come gran parte<br />

dello stralcio riportato riguardasse la soluzione<br />

offerta dalla S.C. sulla portata della disposizione<br />

transitoria della legge di novella in relazione alla<br />

norma in discorso, dall’altro non può non rilevarsi<br />

come né ciò fosse rilevante nel caso di specie, né<br />

l’affermazione meriti di essere, tra l’altro, condivisa,<br />

posto che «a parte l'improprietà lessicale - perché<br />

chiamare "istruzione" l'indagine preliminare? -<br />

il concetto sarebbe comunque espresso male, in<br />

quanto privo dell'essenziale riferimento alla legge<br />

vigente al tempo di chiusura delle indagini. La<br />

manifesta infondatezza del motivo di ricorso non<br />

deriva[va] dal fatto in sé che l'articolo 405 c.p.p.<br />

trovi applicazione nell'indagine preliminare (esistono<br />

norme applicabili nell'indagine preliminare, la<br />

cui violazione può essere sanzionata anche in sede<br />

di legittimità), ma dalla circostanza che la legge del<br />

tempo non istituiva alcun collegamento tra le scel-<br />

86 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

te del pubblico ministero e la pronuncia della<br />

Cassazione in materia cautelare» (così FERRUA, La<br />

Pecorella: gli esami non finiscono mai, in Dir.<br />

giust., 2006, n. 29, 49).<br />

E anche l’unica affermazione che potrebbe ritenersi<br />

conferentemente richiamata – id est che l’art. 405<br />

c. 1-bis c.p.p. «non preclude[rebbe] il giudizio ove<br />

il magistrato istruttore non ritenga di dovere disporre<br />

archiviazione» - si rivela evidentemente equivoca<br />

e necessariamente bisognosa delle doverose<br />

precisazioni, che il giudice nisseno ben avrebbe<br />

potuto cogliere l’occasione di apportare: «non è<br />

chiaro, anzitutto, a chi si alluda con la vecchia e<br />

inquisitoria figura del "magistrato istruttore", di<br />

cui, al pari dell'“istruzione preliminare", non v'è<br />

traccia nel codice vigente. Al pubblico ministero,<br />

come suggerisce la lettera della legge dove, per<br />

l'appunto, si menziona quest'organo? O al Gip,<br />

come lascia intendere la circostanza che la sentenza<br />

parli di "disporre" e non di "richiedere" l’archiviazione?»<br />

(FERRUA, La Pecorella: gli esami non<br />

finiscono mai, in Dir. giust., 2006, n. 29, 49).<br />

Ebbene, volendo affrontare una questione non<br />

necessitata, ci si sarebbe quantomeno aspettati che,<br />

cogliendo l’opportunità, si fosse dato seguito a<br />

quanto auspicato dalla autorevole dottrina qui<br />

richiamata che, in sede di primo commento alla<br />

pronuncia di legittimità riportata dal giudice nisseno<br />

a sostegno del proprio convincimento, osservava<br />

come «chiunque [fosse] il referente della sibillina<br />

espressione, i temi che si profilano sullo sfondo<br />

- l'ambito operativo della regola e le conseguenze<br />

per la sua inosservanza - non meritavano di essere<br />

liquidati in termini così apodittici» (FERRUA, La<br />

Pecorella: gli esami non finiscono mai, in Dir.<br />

giust., 2006, n. 29, 49).<br />

Nel negare che la richiesta di rinvio a giudizio<br />

avanzata dal p.m. in spregio al pur discutibile disposto<br />

dell’art. 405 c.1-bis c.p.p. sia inficiata da nullità<br />

assoluta avrebbe, dunque, innanzitutto dovuto<br />

spiegarsi la ragione per la quale non si ritiene la<br />

norma de qua come disposizione concernente «l’iniziativa<br />

del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione<br />

penale» ai sensi del combinato disposto<br />

degli artt. 178 c. 1 lett. b) e 179 c.p.p. (la tesi della<br />

nullità è sostenuta da CAMPOLI, Le disinvolte acrobazie<br />

dell’art. 405, 1° comma, bis c.p.p. ed il morbido<br />

atterraggio sulla rete della carta costituzionale,<br />

in www.iussit.it; ZAINA, Indagini preliminari e<br />

richiesta di archiviazione dopo la legge Pecorella,<br />

in www.altalex.com).<br />

3/<strong>2007</strong><br />

Di qui, poi, la necessaria riflessione sulla natura<br />

della norma in discorso, la cui interpretazione non<br />

avrebbe potuto non tenere in considerazione il fatto<br />

che il p.m., all’atto di richiesta di emissione della<br />

misura, può evidentemente evitare la discovery del<br />

materiale probatorio acquisito; il che, tra l’altro,<br />

rende ancor più evidente la già palese diversità tra<br />

le valutazioni compiute dal p.m. ai fini dell’esercizio<br />

dell’azione penale e le regole di giudizio che<br />

governano la vicenda cautelare.<br />

Solo ragioni di sistema sembrerebbero in realtà<br />

imporre di considerare come mera irregolarità, sanzionabile<br />

disciplinarmente, la condotta dell’organo<br />

inquirente che non ottemperasse al disposto normativo<br />

di nuovo conio, risultando ai limiti del paradosso,<br />

tra l'altro, la situazione in cui verrebbe a trovarsi<br />

il p.m. che, a fronte di una sua obbligata<br />

richiesta di archiviazione, sia poi costretto a perorare<br />

l’opposta causa tendente al rinvio a giudizio,<br />

sulla scorta di atti da lui legittimamente preservati;<br />

laddove poi, l’avverbio «successivamente» sembrerebbe<br />

offrire una deroga all’archiviazione forzata<br />

solo in relazione agli elementi acquisiti dopo l’emissione<br />

del provvedimento oggetto di ricorso.<br />

Completezza espositiva impone di segnalare come<br />

alle due opposte tesi della nullità assoluta e della<br />

mera irregolarità se ne affianchi quella ulteriore di<br />

chi ritiene che il mancato esperimento della richiesta<br />

di archiviazione da parte dell’organo inquirente,<br />

«e quindi, l’omessa pronuncia dell’organo giurisdizionale»,<br />

sia da intendersi quale causa di improcedibilità<br />

dell’azione (GUERRERIO, Quale sanzione<br />

per l’obbligo (disatteso) del p.m. di chiedere l’archiviazione<br />

ex art. 405, in Dir. pen. proc., <strong>2007</strong>,<br />

799); il che, tuttavia, comporterebbe un processo<br />

non validamente instaurato destinato all’epilogo<br />

con formula di non doversi procedere, con esclusione<br />

di un giudizio di merito sulla vicenda penale,<br />

in assenza del necessario vaglio del g.i.p., il cui<br />

operato, in realtà, non viene in alcun modo ad<br />

essere intaccato dalla legge di novella. In tal caso,<br />

invero, il giudice dell’udienza preliminare, ancorché<br />

irregolarmente investito della vicenda penale,<br />

avrà comunque da operare la propria funzione di<br />

filtro, et indi di valutazione sulla fondatezza e<br />

sostenibilità dell’accusa in giudizio: se può pronosticarsi<br />

una conclusione nel senso di una pronuncia<br />

di non luogo a procedere, nulla vieta, tuttavia, «l’emanazione<br />

di una condanna se lo giustificassero le<br />

prove legittimamente acquisite nel dibattimento»<br />

(FERRUA, La Pecorella: gli esami non finiscono<br />

GIURISPRUDENZA<br />

87


GIURISPRUDENZA<br />

mai, in Dir. giust., 2006, n. 29, 49).<br />

Nell’obbligato intendimento circa un vincolo<br />

imposto al solo p.m. e nella necessitata successiva<br />

verifica sul genere di pronuncia emessa dalla<br />

Suprema Corte in sede di ricorso avverso il provvedimento<br />

di matrice cautelare, il nuovo art. 405 c.<br />

1-bis c.p.p., «con buona pace del principio di legalità»<br />

(GIARDA, Processo penale: sussulti di una<br />

legislatura al tramonto, in Corr. merito, 2006,<br />

213)», lascia aperte innumerevoli questioni di ordine<br />

logico-sistematico che contribuiscono a porne in<br />

risalto l’assoluta insensatezza.<br />

App. Caltanissetta, 31 maggio <strong>2007</strong>, n. 554 –<br />

“Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza: lecita<br />

la cessione “momentanea ed occasionale” da un<br />

soggetto ad un altro” – Maria La Ganga<br />

Consegnare “momentaneamente” un’arma ad un<br />

soggetto non munito di porto d’armi anche per<br />

permettergli di sparare, in luogo privato ed alla<br />

presenza del titolare dell’arma stessa, non configura<br />

quella “cessione” tra privati sanzionata dall’art.35,<br />

commi IV e VI T.U.L.P.S. ed è, pertanto,<br />

perfettamente lecito.<br />

La fattispecie<br />

A seguito di esercizio di azione penale da parte<br />

della Procura della Repubblica di Nicosia, A.M. era<br />

stato rinviato a giudizio poiché chiamato a rispondere<br />

“del reato p.e.p. dall’art.1 della L.895/1967,<br />

per aver ceduto in uso ad A.C. un’arma pur sapendo<br />

che lo stesso era privo della prescritta licenza di<br />

porto d’armi” ed A.C. del reato previsto e punito<br />

dagli artt. 4 e 7 L.895/67 “per avere illegalmente<br />

portato in luogo pubblico un fucile doppietta”.<br />

Il Tribunale di Nicosia, assolveva A.C. del reato di<br />

porto abusivo (stante che dall’istruttoria dibattimentale<br />

era emerso che non trattavasi di luogo pubblico,<br />

bensì di fondo privato perfettamente recintato)<br />

e pronunciava sentenza di condanna nei confronti<br />

di A.M., previa riqualificazione del reato originariamente<br />

contestatogli in quello di cui all’art.<br />

35 commi IV e VI TULPS, condannandolo alla<br />

pena di mesi tre di arresto e ad euro 150 di ammenda,<br />

oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo<br />

il sequestro e la distruzione dell’arma.<br />

In buona sostanza, il Giudice di primo grado, al cui<br />

vaglio era stata posta la fattispecie in questione,<br />

aveva ritenuto il fatto che l’imputato avesse consegnato<br />

il proprio fucile da caccia al di lui figlio<br />

Diritto e Procedura penale<br />

(A.C.) -consentendogli di sparare all’interno della<br />

proprietà privata degli stessi interamente recintataintegrasse,<br />

se non l’ipotesi di cui all’art. 1<br />

L.895/1967, sicuramente quella disciplinata e sanzionata<br />

dall’art. 35, commi IV e VI del Testo Unico<br />

leggi di Pubblica Sicurezza.<br />

Su appello dell’imputato il Giudice di secondo<br />

grado, accogliendo la tesi difensiva, lo assolveva<br />

con la formula “perché il fatto non sussiste”.<br />

Le questioni giuridiche affrontate<br />

Il problema che, nella vicenda in esame, si poneva<br />

al Giudice di secondo grado era, quindi, quello di<br />

valutare se, per come sostenuto dal Giudice di<br />

prime cure, il fatto contestato fosse sussumibile<br />

nell’ambito dei dettami di cui all’art. 35 del Testo<br />

Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza o se, invece,<br />

quella la condotta posta in essere dal prevenuto<br />

fosse non punibile.<br />

La risoluzione del problema, anche al fine di agevolare<br />

una migliore comprensione dell’iter argomentativo<br />

seguito dalla Corte nissena, necessita<br />

qualche precisazione ed in particolare l’esame della<br />

normativa in questione e della sottesa ratio.<br />

Ora, non v’è dubbio, per come sostenuto da giurisprudenza<br />

e dottrina che trattandosi di armi ossia di<br />

“strumenti che per naturale destinazione sono in<br />

grado di mettere in pericolo l’incolumità delle persone,<br />

oggetto della tutela penale sia la salvaguardia<br />

della sicurezza individuale e collettiva nonché l’ordine<br />

pubblico, realizzata attraverso il divieto di<br />

varie condotte aventi ad oggetto le armi onde circoscriverle<br />

al massimo.<br />

Quelli legati alla circolazione delle armi, infatti,<br />

sono reati di pericolo nei quali la disponibilità delle<br />

armi stesse costituisce fonte di possibile aggressione<br />

di beni giuridici protetti e va, dunque, drasticamente<br />

limitata.<br />

Ma anche a voler condividere il tenore dei superiori<br />

orientamenti giurisprudenziali e dottrinari, ed<br />

anche, quindi, a voler prestare particolare attenzione<br />

alla disciplina dei trasferimenti delle armi tra<br />

soggetti, non v’è dubbio che non ogni passaggio o<br />

consegna di arma da un soggetto ad un altro integri<br />

una condotta vietata, penalmente rilevante e come<br />

tale da sanzionare.<br />

Alla stregua, dunque, della previsione normativa di<br />

cui al contestato art. 35 TULPS bisognava in primo<br />

luogo chiarire (così come ha fatto la Corte<br />

d’Appello nella sentenza <strong>anno</strong>tata) quando in effetti<br />

la consegna di arma da un soggetto privato ad un<br />

88 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura penale<br />

altro integri quella cessione di cui al TULPS e<br />

costituisca, pertanto, condotta illecita e sanzionabile.<br />

Occorreva, quindi, partire da un ragionamento con<br />

metodo deduttivo per giungere alla trattazione delle<br />

vicenda in esame.<br />

E così, procedendo per gradi, nella pronuncia in<br />

commento è stato dapprima chiarito che “presupposto<br />

imprescindibile perché sia configurabile<br />

anche l’ipotesi contravvenzionale è ..quello dell’intervenuta<br />

vendita o comunque cessione dell’arma e<br />

cioè del passaggio di disponibilità della stessa a<br />

titolo di trasferimento di proprietà o comunque per<br />

costruzione di altro diritto di godimento o d’uso da<br />

parte del cedente al cessionario od anche per semplice<br />

comodato, non potendo, invece, essere configurata<br />

neppure la più lieve ipotesi contravvenzionale<br />

nel caso in cui non sia configurabile alcuna<br />

cessione è cioè un trasferimento concreto della disponibilità<br />

del bene”.<br />

Posto ciò, e considerato che, per come pacificamente<br />

già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità<br />

“perché si abbia cessione è necessario che si<br />

instauri tra il cessionario e l’arma un rapporto autonomo<br />

di disponibilità (Cass., 3.5.1985, in Giust.<br />

pen., 1987, 106) ed inoltre che in seguito alla cessione<br />

“il detentore (alias cessionario) abbia il potere<br />

di ripristinare il rapporto diretto con l’arma quale<br />

effetto di un proprio autonomo atto di volontà”<br />

(Cass. 19.12.1984) non può residuare alcun dubbio<br />

in merito al fatto che la cessione momentanea di<br />

un’arma non integri gli estremi di cui all’art. 35<br />

T.U.L.P.S.<br />

Alla luce delle superiori considerazioni, non può<br />

non condividersi quanto statuito dalla Corte<br />

d’Appello di Caltanissetta che, nel riformare la sentenza<br />

di primo grado, ha testualmente stabilito che<br />

“nell’ipotesi di consegna di arma dal proprietario<br />

ad altro soggetto che avvenga al solo scopo di permettere<br />

a quest’ultimo l’uso temporaneo ed isolato,<br />

alla presenza del titolare della stessa, non può configurarsi<br />

una cessione tra privati poiché tale atto<br />

comporta un trasferimento della disponibilità in<br />

forza di un accordo tra le parti viceversa non configurabile<br />

nel caso di mera consegna momentanea ed<br />

occasionale finalizzata all’analisi dell’arma od<br />

anche all’uso isolato della stessa in luogo privato”.<br />

Tutto ciò posto, appare opportuno segnalare, la<br />

irreprensibilità del ragionamento della Corte anche<br />

nel cenno che è dato leggere in sentenza al “luogo<br />

privato”.<br />

3/<strong>2007</strong><br />

Essendo avvenuta, infatti, la momentanea cessione<br />

dell’arma all’interno di una proprietà privata interamente<br />

recintata, non avrebbe potuto essere ignorato<br />

dal primo Giudice anche il difetto, nel caso di<br />

specie, della prescritta pubblicità del luogo. Anche<br />

sotto tale aspetto la consegna dell’arma dall’imputato<br />

ad altro soggetto non intaccava la ratio della<br />

norma, non venendo in alcun modo lese quelle esigenze<br />

di controllo sulla circolazione delle armi,<br />

ossia la ratio della norma volta a reprimerne la<br />

indebita circolazione.<br />

GIURISPRUDENZA<br />

89


GIURISPRUDENZA<br />

Diritto e Procedura civile<br />

OSSERVATORIO DELLA GIURISPRUDENZA DI MERITO LOCALE<br />

a cura di MARCELLO MANCUSO<br />

Contratto di rendita vitalizia<br />

Trib. Caltanissetta, sent. 4 maggio <strong>2007</strong>, n. 297<br />

Nel contratto di vitalizio alimentare è strutturalmente<br />

presente l'elemento dell'alea, nel senso che il rapporto<br />

di corrispettività tra le obbligazioni assunte da<br />

ciascuna delle parti dipende dalla durata della vita<br />

della vitaliziata.<br />

Data la sussistenza di un rapporto di adeguata corrispettività<br />

tra la cessione di immobili e l'onerosità<br />

della assistenza alla vitaliziata non può ritenersi l'esistenza<br />

di una donazione simulata.<br />

Il nostro Tribunale si allinea alla giurisprudenza di<br />

merito (Tribunale sez. II Napoli, 21-12-2005) che si è<br />

posta il problema, qualora una persona - versando in<br />

pessime condizioni fisiche, a causa dell'età o di una<br />

malattia - stipuli, tuttavia, un contratto di vitalizio,<br />

proprio od improprio, se tale contratto, in sé squisitamente<br />

aleatorio, nasca privo della necessaria alea, e<br />

sia pertanto nullo, costituendo, in realtà, se ne ricorrono<br />

i requisiti di forma, un contratto di donazione,<br />

non irrilevante ai fini della determinazione delle future<br />

quote ereditarie dei soggetti chiamati a succedere<br />

all'infermo.<br />

V'è un orientamento che pone l'accento, nella configurazione<br />

della causa contrattuale, sull'elemento dell'assistenza<br />

piuttosto che sull'alea.<br />

La configurazione del contatto è stata affrontata<br />

anche con riguardo alla disciplina dei rimedi all'inadempimento.<br />

La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. I 09-<br />

10-1996, n. 8825) ha affermato che il contratto con il<br />

quale una parte si obbliga, in corrispettivo (del trasferimento<br />

di un bene o) della cessione di un capitale, a<br />

fornire all'altra prestazioni alimentari o assistenziali<br />

per tutta la durata della vita (cosiddetto vitalizio<br />

improprio, o alimentare o di assistenza) va qualificato<br />

come negozio atipico, che è solo altamente affine a<br />

quello di rendita vitalizia disciplinato dal codice civile,<br />

presentando uno schema causale autonomo rispetto<br />

a quest'ultimo contratto, in quanto, con esso, un<br />

soggetto incapace di provvedere da sé ai propri bisogni<br />

essenziali ed esigenze di vita, ottiene in cambio<br />

della cessione di un bene o di un capitale, non la semplice<br />

dazione periodica di denaro o di cose fungibili,<br />

bensì il diretto soddisfacimento, mediante l'attività<br />

personale della controparte, di esigenze di varia natura,<br />

concernenti vitto , alloggio, pulizia, cure mediche<br />

e simili. Ne consegue che all'indicato contratto non<br />

sono applicabili le norme della rendita vitalizia che<br />

siano incompatibili con le suddette peculiarità, né è<br />

applicabile, in particolare, l'art. 1878 c.c., il quale -<br />

negando ingresso al generale rimedio risolutorio in<br />

caso di mancato pagamento di rate o di rendite scadute<br />

- esprime una "ratio" non riferibile al negozio<br />

atipico di assistenza, nel quale la mancata esecuzione,<br />

anche per un breve periodo, delle prestazioni infungibili<br />

dedotte in contratto priva il beneficiario di mezzi<br />

di sussistenza o dell'assistenza che non potrebbe altrimenti<br />

procurarsi, rendendo, così applicabile la disciplina<br />

generale della risoluzione per inadempimento di<br />

cui all'art. 1453 c.c.. Conforme Cass. civ., sez. II 12-<br />

02-1998, n. 1503, che ha pure affermato l'estensibilità<br />

dell'obbligo di fornire assistenza agli eredi o aventi<br />

causa della parte.<br />

Procura alle liti<br />

App. Caltanissetta – Sent. 18 luglio <strong>2007</strong>, n. 219<br />

L'assenza dell'esplicito conferimento di procura al<br />

difensore in una delle forme previste dall'art. 83<br />

c.p.c., in difetto di una eccezione formulata dalla controparte,<br />

deve essere rilevata ex officio dal giudice.<br />

Né alcuna ratifica può affermarsi per il fatto che l'atto<br />

d'appello contiene una regolare procura alle liti, e<br />

ciò dal momento che la mancanza della stessa in<br />

primo grado ha determinato l'inesistenza giuridica<br />

dell'atto introduttivo. (1)<br />

(1) Se è vero che la procura può essere rilasciata<br />

anche in data posteriore alla notificazione della citazione,<br />

ciò deve comunque avvenire anteriormente<br />

alla costituzione della parte rappresentata. In mancanza,<br />

l'originaria assenza del mandato alle liti non è<br />

sanabile nel corso del giudizio, e comporta la difettosa<br />

instaurazione del contraddittorio, con conseguente<br />

dovere del giudice di rilevare d'ufficio la questione e<br />

di non procedere all'esame e decisione del merito<br />

della controversia. Bisogna distinguere dal diverso<br />

problema della legittimazione di chi rilascia la procura,<br />

per cui in giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III 27-<br />

10-2005, n. 20913) si afferma che il difetto di legittimazione<br />

processuale della persona fisica o giuridica<br />

che agisca in giudizio in rappresentanza di un altro<br />

soggetto può essere sanato in qualunque stato e grado<br />

del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento<br />

a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto<br />

90 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

della costituzione in giudizio del soggetto dotato della<br />

effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà<br />

di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus<br />

procurator. Per un diverso orientamento (Cass.<br />

civ., sez. I 09-03-2005, n. 5175 ) la ratifica dell'atto<br />

del falsus procurator con efficacia retroattiva ( art.<br />

1399 c.c.) non opera nel campo processuale e, in ipotesi<br />

di procura alle liti, fuori del caso previsto dall'art.<br />

125 c.p.c. non vale a sanare le decadenze nel frattempo<br />

intervenute. Da ciò deriva che la successiva regolarizzazione<br />

della costituzione in giudizio e del mandato<br />

alle liti nella specie ha efficacia ex nunc, ai sensi<br />

dell'art. 182 c.p.c., e non sana decadenze che fossero<br />

nel frattempo intervenute né impedisce, analogamente,<br />

l'eventuale formarsi del giudicato.<br />

Quietanza di pagamento<br />

Trib. Caltanissetta, sent. 19 giugno <strong>2007</strong>, n. 380<br />

E' pacifica la natura di confessione stragiudiziale alla<br />

quietanza di pagamento quale prova dell'avvenuta<br />

estinzione dell'obbligazione.<br />

Per gli effetti di cui all'art. 2732 c.c., e quindi per privare<br />

di efficacia probatoria la confessione, ove venga<br />

dedotto l'errore di fatto non è sufficiente provare la<br />

insussistenza obiettiva del fatto confessato, ma è<br />

necessaria la prova dell'aspetto soggettivo e cioè la<br />

prova dello stato di errore.<br />

Non h<strong>anno</strong> pertanto rilevanza i mezzi di prova richiesti<br />

volti a dimostrare la verità di fatti contrari al contenuto<br />

della confessione, e che in quanto tali sono<br />

inammissibili.<br />

Un primo profilo riguarda la natura non meramente<br />

ricognitiva, ma latamente negoziale e dispositiva<br />

della confessione, che implica una disciplina particolarmente<br />

restrittiva, oltre tutto, anche rispetto alla<br />

generalità dei contratti, con l'esclusione della rilevanza<br />

del dolo e della simulazione (art.2732 c.c.); altro è<br />

quello, generale, dei limiti della prova contraria quando<br />

essa sia contenuta in atto scritto. In giurisprudenza,<br />

(Cass. civ., sez. II 22-02-2006, n. 3921) si è affermato<br />

che poiché la quietanza costituisce atto unilaterale<br />

di riconoscimento del pagamento ed integra, tra<br />

le parti, confessione stragiudiziale - proveniente dal<br />

creditore e rivolta al debitore-che fa piena prova della<br />

corresponsione di una specifica somma di denaro per<br />

un determinato titolo, l'esistenza del fatto estintivo<br />

(pagamento) da essa attestato può essere contestata<br />

soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di<br />

fatto o violenza) richiesti dall'art. 2732 c.c. per privare<br />

di efficacia la confessione, essendo irrilevanti il<br />

dolo e la simulazione. Inoltre non è ammissibile la<br />

prova testimoniale o per presunzioni diretta a dimostrare<br />

la simulazione assoluta della quietanza, che<br />

dell'avvenuto pagamento costituisce documentazione<br />

3/<strong>2007</strong><br />

scritta, ostandovi l'art. 2726 c.c., il quale, estendendo<br />

al pagamento il divieto, sancito dall'art. 2722 dello<br />

stesso codice, di provare con testimoni patti aggiunti<br />

o contrari al contenuto del documento contrattuale,<br />

esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi<br />

l'esistenza di un accordo simulatorio concluso<br />

allo specifico fine di negare l'esistenza giuridica della<br />

quietanza, nei confronti della quale esso si configura<br />

come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento,vietati<br />

in virtù del combinato disposto dei citati<br />

artt. 2722 e 2726 c.c. Conforme sul secondo punto<br />

Cass. civ., sez. Unite 13-05-2002, n. 6877.<br />

Responsabilità del medico<br />

Trib. Caltanissetta, sent. 7 luglio <strong>2007</strong>, n.415<br />

L'accertamento della responsabilità medica, in caso<br />

di intervento medico di media difficoltà, si effettua<br />

mediante il ricorso al criterio della della colpa ordinaria<br />

e della diligenza ordinaria del buon professionista.<br />

Non è applicabile l'art. 2236 c.c., relativo invece<br />

agli interventi connotati da particolare difficoltà<br />

tecnica.<br />

L'onere di fornire la prova della particolare difficoltà<br />

dell'intervento grava sul professionista.<br />

Il professionista ha il dovere di informare preventivamente<br />

il paziente delle conseguenze, in termini di<br />

insuccesso, del rifiuto della prodromica applicazione<br />

terapeutica prescritta.<br />

Il medico che accetta incondizionatamente il rifiuto<br />

del paziente, e prosegua nell'ulteriore trattamento si<br />

assume la responsabilità, seppure in concorso con il<br />

paziente, della non riuscita finale del trattamento<br />

terapeutico.<br />

L'obbligo del cosiddetto consenso informato è visto<br />

come prestazione concorrente e parallela rispetto alla<br />

esecuzione del trattamento. Si afferma (Cass. civ.,<br />

sez. III 14-03-2006, n. 5444) che la responsabilità del<br />

sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce)<br />

per violazione dell'obbligo del consenso informato<br />

discende dalla mera tenuta della condotta omissiva<br />

di adempimento dell'obbligo di informazione<br />

circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il<br />

paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione<br />

- in conseguenza dell'esecuzione del trattamento<br />

stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità<br />

con essa - di un aggravamento delle condizioni di<br />

salute del paziente, mentre, ai fini della configurazione<br />

di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se<br />

il trattamento sia stato eseguito correttamente o<br />

meno, svolgendo rilievo la correttezza dell'esecuzione<br />

agli effetti della configurazione di una responsabi-<br />

GIURISPRUDENZA<br />

91


GIURISPRUDENZA<br />

lità sotto un profilo diverso, cioè riconducibile, ancorché<br />

nel quadro dell'unitario "rapporto" in forza del<br />

quale il trattamento è avvenuto, direttamente alla<br />

parte della prestazione del sanitario (e di riflesso della<br />

struttura ospedaliera per cui egli agisce) concretatesi<br />

nello svolgimento dell'attività di esecuzione del trattamento.<br />

La correttezza o meno del trattamento, infatti,<br />

non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza<br />

dell'illecito per violazione del consenso informato, in<br />

quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione<br />

della condotta omissiva d<strong>anno</strong>sa e dell'ingiustizia<br />

del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione<br />

che il paziente, a causa del deficit di informazione<br />

non è stato messo in condizione di assentire al trattamento<br />

sanitario con una volontà consapevole delle<br />

sue implicazioni e che, quindi, tale trattamento non<br />

può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido<br />

consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art.<br />

32 comma secondo della Costituzione, (a norma<br />

del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato<br />

trattamento sanitario se non per disposizione<br />

di legge), quanto dell'art. 13 della Costituzione, (che<br />

garantisce l'inviolabilità della libertà personale con<br />

riferimento anche alla libertà di salvaguardia della<br />

propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art.<br />

33 della legge 23-12-1978, n. 833 (che esclude<br />

la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari<br />

contro la volontà del paziente, se questo è in grado di<br />

prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di<br />

necessità; ex art. 54 cod. pen.), donde la lesione della<br />

situazione giuridica del paziente inerente alla salute<br />

ed all'integrità fisica. Mentre, sul piano del d<strong>anno</strong>conseguenza,<br />

venendo in considerazione il peggioramento<br />

della salute e dell'integrità fisica del paziente,<br />

rimane del tutto indifferente che la verificazione di<br />

tale peggioramento sia dovuta ad un'esecuzione del<br />

trattamento corretta o scorretta. Il principio, in ogni<br />

caso, deve essere integrato dalla considerazione delle<br />

alternative terapeutiche prospettabili al paziente - e<br />

colposamente non prospettate - in relazione alle possibilità<br />

di scelta del medesimo, delle possibilità di<br />

miglioramento o di guarigione ad esse connaturate e,<br />

più in generale, delle condizioni di salute del paziente<br />

stesso prima dell'intervento e dell'effettivo aggravamento<br />

delle condizioni ad opera dell'intervento<br />

eseguito ancorché senza alcun profilo di colpa medica.<br />

Termine conclusivo del procedimento amministrativo<br />

e sanzione amministrativa<br />

Trib. Caltanissetta, sent. 28 maggio <strong>2007</strong>, n. 288<br />

Il termine conclusivo del procedimento amministrativo<br />

non può essere applicato anche al procedimento di<br />

emanazione dell'ordinanza – ingiunzione di sanzione<br />

Diritto e Procedura civile<br />

amministrativa. (1)<br />

Non occorre che l'amministrazione illustri l'iter logico<br />

giuridico seguito per giustificare an e quantum<br />

della sanzione irrogata. (2)<br />

(1) In giurisprudenza (Cass. civ., sez. I 16-11-2006, n.<br />

24436) è affermato che la disposizione di cui all'art.<br />

2, comma 3, della legge 07-08-1990, n. 241, nonostante<br />

la generalità del testo legislativo in cui è inserita,<br />

è incompatibile con i procedimenti regolati dalla<br />

legge 24-11-1981, n. 689, che costituisce un sistema<br />

di norme organico e compiuto e delinea un procedimento<br />

di carattere contenzioso scandito in fasi i cui<br />

tempi sono regolati in modo da non consentire, anche<br />

nell'interesse dell'incolpato, il rispetto di un termine<br />

così breve.<br />

(2) In tema di opposizione a sanzioni amministrative,<br />

il mancato esame delle deduzioni difensive da parte<br />

dell'autorità amministrativa non rileva in sè come<br />

causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio,<br />

ma può incidere sulla validità dello stesso solo se<br />

le deduzioni propongano fondate questioni di diritto,<br />

ovvero prospettino elementi di fatto decisivi, la cui<br />

inadeguata considerazione potrà viziare la decisione<br />

sull'opposizione per errore di diritto o, rispettivamente,<br />

per vizio di motivazione. (Cass. civ., sez. II 04-05-<br />

<strong>2007</strong>, n. 10243).<br />

App. Caltanissetta – Sent. 12.7.<strong>2007</strong>, n. 212<br />

Per stabilire la sussistenza del nesso di causalità<br />

materiale – richiesto dall'art.2043 c.c. in tema di<br />

responsabilità extracontrattuale tra un'azione o un'omissione<br />

ed un evento – deve applicarsi il principio<br />

della condicio sine qua non, temperato da quello<br />

della regolarità causale, sottesi agli art. 40 e 41 c.p..<br />

Conseguentemente quando l'evento d<strong>anno</strong>so è stato<br />

cagionato da una pluralità di azioni od omissioni,<br />

tutte h<strong>anno</strong> uguale valore causale (...) dovendo a ciascuna<br />

di esse riconoscersi una efficenza causale del<br />

d<strong>anno</strong>, se nella concatenazione degli avvenimenti<br />

abbiano determinato una situazione tale che l'evento,<br />

sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta<br />

per ultima, non si sarebbe verificato.<br />

Qualora invece la causa sopravvenuta sia da sola<br />

sufficiente a provocare l'evento, perché autonoma<br />

rispetto alla serie causale già in atto, le cause preesistenti<br />

degradano al rango di mere occasioni perché<br />

quella successiva ha interrotto il legame causale tra<br />

esse e l'evento.<br />

La circolarità e coerenza dell'ordinamento predicano<br />

che gli artt. 40 e 41 c.p. costituiscono il sistema generale,<br />

applicabile anche in campo civile, di riferibilità<br />

92 3/<strong>2007</strong>


Diritto e Procedura civile<br />

causale del fatto giuridicamente rilevante anche con<br />

riferimento al concorso di cause.<br />

A quest'ultimo proposito il principio accolto è quello<br />

dell'equivalenza causale, per cui il concorso di cause<br />

preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se<br />

indipendenti dall'azione od omissione del colpevole,<br />

non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od<br />

omissione e l'evento. IL sistema fisico in cui si inserisce<br />

l'azione del soggetto è dunque visto come contesto<br />

nel quale l'azione stessa si inserisce efficacemente,<br />

sia pure animato dalle proprie dinamiche indipendenti.<br />

Le cause sopravvenute escludono il rapporto<br />

di causalità solo quando sono state da sole sufficienti<br />

a determinare l'evento, e tali dunque da esautorare<br />

l'iniziativa del soggetto da ogni ruolo in tal senso.<br />

In presenza di una condotta colposa, dunque, il fattore<br />

sopravvenuto consistente nell’illecito colposo del<br />

terzo non interrompe il rapporto di causalità.<br />

Quest’ultimo viene meno solo in presenza di serie<br />

causali autonome. In giurisprudenza si ritiene corretta<br />

l'individuazione della cosiddetta causa prossima di<br />

rilievo, quale criterio idoneo ad individuare, tra le<br />

varie concause, quella nel caso assumente efficienza<br />

causale esclusiva (Cass. civ., sez. III 07-12-2005, n.<br />

26997); d'altro canto, in omaggio al principio di equivalenza<br />

causale, non si è avallata la conclusione di<br />

escludere il nesso di causalità tra una condotta ed un<br />

evento di d<strong>anno</strong>, solo per il fatto che è incerto il grado<br />

di incidenza causale di essa (Cass. civ., sez. III 15-01-<br />

2003, n. 488).<br />

Corte di Appello di Caltanissetta sentenza 12-07-<br />

<strong>2007</strong> n.206<br />

La procedura di cui al R.D. 639/1910 è ammissibile<br />

in tutti i casi in cui la P.A. Debba recuperare una<br />

somma che sia certa, liquida ed esigibile, essendo<br />

questa assimilabile ad una entrata patrimoniale (Cass.<br />

8162/2000)<br />

L'obbligatorietà nell'emissione del provvedimento<br />

amministrativo, determina che la mancata comunicazione<br />

dell'avvio del procedimento non costituisca<br />

vizio dello stesso, e non può inficiare la procedura di<br />

riscossione coatta intimata.<br />

L'avviso dell'avvio del procedimento amministrativo,<br />

trova la sua ratio, nell'interesse giuridicamente tutelato<br />

del privato, di intervenire nello stesso, per contribuire<br />

alla formazione del provvedimento finale. Ove<br />

tale provvedimento sia "obbligato" per la amministrazione<br />

avendo lo stesso connotazioni oggettive, non<br />

può ravvisarsi in capo al privato la lesione di alcun<br />

diritto configurandosi come aprioristicamente inutile<br />

qualunque suo intervento nel procedimento in corso<br />

3/<strong>2007</strong><br />

Corte di Appello Caltanissetta sentenza 13-06-<br />

<strong>2007</strong> n. 209<br />

L'azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 cc<br />

esercitata nei confronti della P.A. presuppone che<br />

all'esecuzione dell'opera vantaggiosa per l'ente pubblico<br />

si accompagni il riconoscimento dell'utilitas da<br />

parte dello stesso ente pubblico.<br />

Tale giudizio di utilità è riservato in via esclusiva<br />

all'Amministrazione e non può essere compiuto in<br />

sostituzione dal Giudice, trattandosi di valutazioni<br />

rientranti nell'ambito della discrezionalità amministrativa.<br />

Lart. 2041 trova la sua ratio giuridica nel fatto che si<br />

verifichi un arricchimento con altrui d<strong>anno</strong> senza che<br />

esista un rapporto giuridico già costituito che funga<br />

da causa.<br />

L'art.2041, trova dunque applicazione soltanto ove il<br />

soggetto danneggiato non trovi altra azione a tutela<br />

della propria posizione giuridica.<br />

La giurisprudenza ha costantemente affermato che<br />

tale articolo trova applicazione anche nei confronti<br />

della PA.<br />

Ma nei confronti della PA non basta la prova oggettiva<br />

dell'esistenza di un'utilità della prestazione, giacchè<br />

la valutazione della convenienza<br />

dell'Amministrazione nell'ambito della gestione della<br />

cosa pubblica è manifestazione del potere discrezionale<br />

della PA, e come tale insindacabile dal giudice<br />

ordinario, si richiede dunque un quid pluris rappresentato<br />

dal .riconoscimento da parte dell'ente pubblico<br />

dell'utilità dell'opera .<br />

Ulteriore passo compiuto dalla giurisprudenza nel<br />

senso dell'ampliamento delle ipotesi di proponibilità<br />

dell'azione di arricchimento è l'ammissione che il<br />

riconoscimento di utilità possa essere anche implicito<br />

( cfr. Cass. n. 2479/88).<br />

L'azione di indebito arricchimento, di cui all'art. 2041<br />

c.c., proposta nei confronti della pubblica amministrazione,<br />

differisce da quella ordinaria, in quanto non<br />

è sufficiente il fatto materiale dell'esecuzione di una<br />

prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma è<br />

necessario che questo abbia riconosciuto tale utilità<br />

con l'atto formativo della sua volontà, la quale viene<br />

poi attuata dall'organo competente a stipulare il negozio.<br />

Il detto riconoscimento può essere implicito, ma<br />

desumibile solo da comportamenti imputabili non a<br />

qualsiasi soggetto che faccia parte della struttura dell'ente,<br />

bensì solo a coloro cui è rimessa la formazione<br />

della volontà dell'ente stesso.(App. Catania Sez. I, 21<br />

ottobre 2005 )<br />

GIURISPRUDENZA<br />

93


DOTTRINA<br />

Pubblichiamo il contributo inviatoci dal Prof.<br />

Fausto Giunta, Ordinario di Diritto penale presso<br />

l’Università di Firenze.<br />

1. Comunque la si giudichi, la recente pronuncia<br />

della Corte costituzionale n. 394 del 2006, che ha<br />

dichiarato illegittime le fattispecie di falsità nelle<br />

liste elettorali come modificate dalla legge 2 marzo<br />

2004, n. 61, riveste sicura e notevole importanza:<br />

non tanto per l’oggetto, quanto e soprattutto per il<br />

valore di precedente che essa potrà assumere in<br />

futuro.<br />

Se si prescinde, infatti dalla lontana sentenza n. 148<br />

del 1983, con la quale la Corte ammise in linea di<br />

principio il controllo di legittimità sulle c.d. norme<br />

penali di favore, ma senza giungere all’accoglimento<br />

della specifica questione sollevata(1), è questa<br />

la prima volta che la Corte si spinge fino a<br />

dichiarare l’incostituzionalità di una disciplina<br />

favorevole al reo in nome del principio di uguaglianza,<br />

ossia censurandola per irragionevole<br />

mitezza.<br />

Il ragionamento della Corte, debitore in larga misura<br />

degli argomenti prospettati dai giudici remittenti,<br />

si articola in quattro fondamentali passaggi: a) la<br />

legge n. 61 del 2004, nel modificare la previgente<br />

normativa costituita dal d.p.r. 16 maggio 1960, n.<br />

570, ha previsto per le falsità nelle liste elettorali la<br />

pena dell’ammenda da euro 500 a 2000, in luogo<br />

dell’originaria reclusione da due a cinque anni; b)<br />

la disciplina penale delle falsità nelle liste elettorali,<br />

tanto nella vecchia versione quanto in quella<br />

novellata e dichiarata incostituzionale, è speciale<br />

rispetto alle fattispecie di falsità documentale previste<br />

agli artt. 476 e 479 c.p.; c) la normativa speciale<br />

introdotta dalla legge n. 61 del 2004 sottrae,<br />

dunque, alcune ipotesi alla disciplina codicistica<br />

generale dettata per le falsità documentali, assoggettandole<br />

a un trattamento sensibilmente più favorevole<br />

al reo, non soltanto per quel che concerne la<br />

misura e la natura della pena, ma anche sotto il profilo<br />

dell’acquisita natura contravvenzionale della<br />

fattispecie speciale, che consente al reo l’ulteriore<br />

vantaggio di poter provocare l’estinzione del reato<br />

per oblazione ex art. 162 c.p.; d) detto trattamento<br />

di favore è irragionevole, posto che le fattispecie<br />

Diritto penale<br />

speciali di false autenticazioni nelle liste elettorali,<br />

oltre a essere strutturalmente identiche alle corrispondenti<br />

fattispecie codicistiche generali, ne condividono<br />

sia il bene giuridico, consistente nella<br />

fede pubblica, sia il disvalore di azione insito nella<br />

falsità.<br />

La conclusione cui perviene la Corte è duplice. Da<br />

un lato, la sentenza n. 394 rassicura sul primato<br />

della riserva di legge, in base al quale le scelte politico-criminali<br />

spettano al legislatore, in ragione<br />

della sua investitura democratica diretta. Dall’altro<br />

lato, si ammette lo scrutinio di costituzionalità<br />

anche in malam partem delle norme penali di favore,<br />

ossia “delle norme che stabiliscano, per determinati<br />

soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico<br />

più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione<br />

di norme generali o comuni”. Detto altrimenti,<br />

la Corte distingue tra la valutazione politica<br />

generatrice di una fattispecie penale, propria ed<br />

esclusiva del potere legislativo, e il controllo di<br />

tale scelta sotto il profilo dell’uguaglianza-ragionevolezza,<br />

di cui rivendica la competenza e legittima<br />

gli effetti anche in malam partem. Essi – si soggiunge<br />

- non discenderebbero né dalla creazione di<br />

un nuovo divieto, né dalla manipolazione di norme<br />

esistenti, bensì dalla rimozione della disposizione<br />

irragionevolmente discriminatoria, la quale determinerebbe,<br />

per l’appunto, la riespansione della<br />

norma generale derogata dalla disciplina in mitius.<br />

La Corte non manca di fornire i criteri di identificazione<br />

delle norme penali di favore, precisando<br />

che esse ultime, proprio per il fatto di sottrarre<br />

“soggetti o ipotesi” alla disciplina generale più<br />

severa, devono risultare compresenti nell’ordinamento<br />

alla norma cui si deroga (2), rimanendo<br />

escluso che “detta qualificazione possa esser fatta<br />

discendere dal raffronto tra una norma vigente e<br />

una norma anteriore, sostituita dalla prima con<br />

effetti di restringimento dell’area di rilevanza penale<br />

o di mitigazione della risposta punitiva”.<br />

Con ciò la Corte viene a ribadire – tanto per tornare<br />

su un caso che molto ha impegnato la dottrina<br />

degli ultimi anni e la stessa Consulta (3) - che le fattispecie<br />

vigenti di false comunicazioni sociali di cui<br />

agli artt. 2621 e 2622 c.c., anche ove si considerassero<br />

in contrasto con gli obblighi comunitari di<br />

( 1 ) Per un commento, v. E. GIRONI, Le guarentigie del Consiglio superiore della magistratura, in Foro. it., 1983, I, c. 1801; D. PULITA-<br />

NO’, La “non punibilità” di fronte alla Corte costituzionale, ivi, c. 1806 s.<br />

( 2 ) Per la medesima conclusione, sia consentito rinviare a F. GIUNTA, La vicenda delle false comunicazioni sociali. Dalla selezione degli<br />

obiettivi di tutela alla cornice degli interessi in gioco, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 663 e spec. 664.<br />

( 3 ) V. Corte cost., sent. n. 161 del 2004.<br />

94 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Diritto penale<br />

tutela in materia di trasparenza societaria (4), non<br />

possono comunque ritenersi norme di favore rispetto<br />

alla vecchia formulazione del delitto di “falso in<br />

bilancio”, integrando il loro avvento un’ipotesi di<br />

avvicendamento normativo tipico della successione<br />

di leggi, nel cui contesto la disciplina prevista dai<br />

vigenti artt. 2621 e 2622 c.c. risulta favorevole e,<br />

come tali, applicabile retroattivamente.<br />

Ne esce confermata, dunque, la distinzione concettuale<br />

tra norme di favore, delle quali la Corte rivendica<br />

oggi il sindacato sotto il profilo della ragionevolezza,<br />

e norme favorevoli, la cui rilevanza si<br />

esaurisce all’interno della disciplina dell’intertemporalità<br />

(5).<br />

D’altronde, se, come precisa la Corte, il principium<br />

individuationis della norma di favore risiede nella<br />

sua portata derogatoria rispetto a un’altra norma<br />

penale vigente, è evidente che tale efficacia viene a<br />

mancare di fronte a un (eventuale) obbligo di tutela<br />

disatteso (sia esso costituzionale o comunitario),<br />

per l’ovvia ragione che la disciplina derogatoria<br />

non può assumere come tertium comparationis una<br />

norma penale che non esiste e nemmeno l’aspettativa<br />

della sua esistenza.<br />

2. La nozione di norma di favore proposta dalla<br />

Corte merita di essere ulteriormente approfondita.<br />

Essa, infatti, avendo natura essenzialmente relazionale,<br />

sembrerebbe potersi identificare con qualunque<br />

enunciato normativo, in origine anche non<br />

penale, in grado di (contribuire a) descrivere una<br />

sottofattispecie il cui trattamento penale è favorevole<br />

rispetto alla disciplina prevista dalla norma<br />

generale derogata. Indifferente, per converso, parrebbe<br />

l’oggetto della disposizione di favore: essa,<br />

sviluppando il pensiero della Corte, differenzia i<br />

modo favorevole al reo la disciplina penale della<br />

sottofattispecie indifferentemente con riguardo ai<br />

soggetti attivi o alle condotte. Più in generale sembrerebbe<br />

che qualunque elemento costitutivo sia<br />

suscettibile di connotare in termini specializzanti la<br />

norma di favore: non solo requisiti che afferiscono<br />

alla fattispecie oggettiva, quali l’oggetto materiale<br />

e l’evento, ma anche quelli che attengono alla fattispecie<br />

soggettiva. Si pensi a una sottofattispecie di<br />

reato differenziata attraverso la tipizzazione di<br />

forme del dolo fortemente selettive, come il dolo<br />

specifico e quello intenzionale, tanto più se richieste<br />

congiuntamente dalla norma di favore.<br />

Alquanto sfuggente rimane invece la distinzione<br />

effettuata dalla Corte tra norme che sottraggono<br />

alla disciplina generale “ipotesi” speciali, le quali,<br />

come si dicva, possono risultare irragionevolmente<br />

“di favore”, e disposizioni che contribuiscono alla<br />

definizione della fattispecie di reato attraverso la<br />

delimitazione del suo ambito operativo, incapaci<br />

invece di rilevare come norme di favore.<br />

Bisogna dire che, a prima vista, tale distinzione può<br />

apparire chiara e convincente tanto sul piano<br />

descrittivo, quanto dall’angolazione del sindacato<br />

di ragionevolezza. Invero, mentre il giudizio sul<br />

limite “esterno” della fattispecie penale ha direttamente<br />

ad oggetto la scelta politico-criminale effettuata<br />

dal legislatore, l’intervento della Corte che<br />

verte sul rapporto di specialità tra la norma generale<br />

più severa e quella speciale di favore dà l’impressione<br />

di essere meramente “ripristinatorio”.<br />

Esso, limitandosi a espungere la norma derogatoria<br />

irragionevolmente favorevole, parrebbe pur sempre<br />

rispettoso delle scelte “generali” del legislatore,<br />

poiché ispirato dalla sola logica della coerenza<br />

intrasistematica. Proseguendo su questa linea di<br />

pensiero, la dichiarazione di illegittimità della<br />

norma di favore non comporterebbe nuove scelte<br />

politico-criminali, né invaderebbe un ambito riservato<br />

dalla Costituzione alla competenza esclusiva<br />

del potere legislativo: la Corte – è questa prima<br />

facie l’impressione - effettuerebbe un intervento di<br />

natura tecnica, diretto all’affermazione del principio<br />

di uguaglianza all’interno delle scelte, certamente<br />

vincolanti e non messe in discussione, già<br />

effettuate dal legislatore nel momento in cui ha<br />

posto la più severa fattispecie generale.<br />

Sennonché, a ben vedere, la nozione di disciplina in<br />

mitius offerta dalla Corte è tutt’altro che compiutamente<br />

definita. Considerato che la nota caratteriz-<br />

( 4 ) In tal senso, il responso della Corte Giust. CE, con la sent. 3 maggio 2005, C-387/02, C-391/02 e C-403/02, in Dir. pen. proc., 2005, p.<br />

782. V. però le fondate riserve espresse in precedenza da A. di MARTINO, Disciplina degli illeciti societari in bilico tra legalità nazionale<br />

e legittimità comunitaria, in Guida dr., 2002, n. 45, p. 117. In effetti, l’art. 2. lett. f, della direttiva 68/151 CEE fa generico riferimento alle<br />

“misure necessarie” affinché “l’obbligo della pubblicità per le società concerna (…) il bilancio e il conto profitti e perdite di ogni esercizio”.<br />

Anche l’art. 6 della medesima direttiva delimita l’obbligo di “adeguate sanzioni per i casi di (…) mancata pubblicità del bilancio e del conto<br />

profitti e perdite, come prescritta dall’art. 2, paragrafo 1, lettera f”, sottolineando che, da punto di vista testuale, l’istanza di pubblicità, cui<br />

si riferisce la direttiva, è cosa diversa dalla veridicità dell’informazione societaria: altro è la garanzia esterna della sindacabilità della contabilità,<br />

consistente nella omogeneizzazione dei criteri di ostensione delle condizioni della società, altro è l’intrinseca attendibilità dell’informazione<br />

offerta.<br />

( 5 ) Amplius F. GIUNTA, op. loc. cit.<br />

DOTTRINA<br />

95


DOTTRINA<br />

zante della norma di favore risiede nella sua natura<br />

relazionale, la quale si coglie nella portata derogatoria<br />

del suo contenuto di disciplina, c’è da chiedersi<br />

se e in che misura sull’individuazione della<br />

norma penale di favore possa influire la tecnica<br />

normativa adoperata per conseguire l’effetto discriminatorio<br />

in bonam partem. Scriminanti, cause di<br />

non punibilità, condizioni obiettive di punibilità,<br />

immunità, solo per fare degli esempi, sono istituti<br />

favorevoli al reo, solitamente previsti da enunciati<br />

normativi diversi da quello che pone la fattispecie<br />

incriminatrice e finalizzati a sottrarre a quest’utima<br />

“soggetti o ipotesi” che altrimenti ricadrebbero<br />

sotto i rigori della sua cornice sanzionatoria. Da qui<br />

la domanda se anche tali norme siano suscettibili di<br />

integrare altrettante disposizioni penali di favore;<br />

con la conseguenza, in caso di risposta affermativa,<br />

di non poter più distinguere, se non in termini generalissimi<br />

e approssimativi, tra norme incriminatici,<br />

insindacabili sotto il profilo della ragionevolezza in<br />

bonam partem, e norme di favore. A quel punto,<br />

infatti, sarebbe illogico restringere il concetto di<br />

disciplina di favore alla sola ipotesi in cui in trattamento<br />

favorevolmente discriminatorio venga introdotto<br />

da un enunciato normativo diverso da quello<br />

che pone la regola generale derogata, ben potendo<br />

insinuarsi la disciplina di favore nello stesso ordito<br />

normativo generatore della regola generale ed<br />

esserne geneticamente coeva.<br />

Il riferimento è alle zone franche create dal legislatore<br />

attraverso la descrizione del fatto tipico, tutte<br />

le volte in cui tali esenzioni possano considerarsi<br />

alla stregua di una disciplina di favore irragionevolmente<br />

discriminatoria. Un esempio potrà facilitare<br />

la messa a fuoco del problema. Si ipotizzi che<br />

il legislatore riformi la fattispecie di truffa descrivendo<br />

la condotta in termini di artifizi e raggiri idonei<br />

a indurre un soggetto che versa in errore a realizzare<br />

un atto di disposizione patrimoniale produttivo<br />

di d<strong>anno</strong> patrimoniale e ingiusto profitto. Si<br />

ipotizzi ancora che con un distinto enunciato normativo<br />

si preveda la non punibilità per l’eventualità<br />

che il soggetto indotto alla disposizione patrimoniale<br />

versasse già in errore. Ebbene, potrebbe ritenersi<br />

quest’ultima previsione una norma di favore?<br />

Parrebbe di sì, perché essa sottrae irragionevolmente<br />

alla disciplina generale un’ipotesi particolare,<br />

decretandone la non punibilità. Ma in che cosa<br />

differisce il caso immaginario sopra esemplificato<br />

dall’attuale fattispecie di truffa? Com’è noto, infat-<br />

Diritto penale<br />

ti, l’art. 640 c.p. si caratterizza per la medesima e<br />

deprecabile lacuna di tutela(6), poiché, ancorando<br />

la condotta tipica al requisito dell’induzione in<br />

errore, lascia esente da pena l’approfittamento<br />

dello stato di errore in cui versa la vittima a causa<br />

di fattori indipendenti dalla condotta dell’agente.<br />

In breve: essendo, per una nota e pacifica definizione,<br />

il reato un illecito caratterizzato dalla modalità<br />

della condotta, il ritaglio legislativo della condotta<br />

tipica è suscettibile di produrre esclusioni che<br />

potrebbero equivalere alle medesime discriminazioni<br />

in bonam partem creabili con apposite norme<br />

derogatorie, con conseguente illimitato ampliamento<br />

del sindacato della Corte costituzionale.<br />

3. Chiusa questa parentesi sulla nozione di norma<br />

penale di favore offerta dalla Corte costituzionale,<br />

torniamo al caso preso in considerazione dalla sentenza<br />

n. 394 del 2006.<br />

Per sgomberare il campo da possibili equivoci, è<br />

bene chiarire che la legge 2 marzo 2004, n. 61 è<br />

ampiamente criticabile proprio per la scelta politico-criminale<br />

di banalizzare la risposta sanzionatoria<br />

rispetto a fatti che, per la loro indubbia nocività,<br />

meritano di essere contrastati con una pena adeguatamente<br />

deterrente(7). Peraltro, l’introduzione di<br />

una punizione particolarmente mite per le falsità<br />

nelle liste elettorali risulta addirittura odiosa nella<br />

misura in cui appaia espressione di una difesa corporativa<br />

volta a minimizzare il disvalore di un reato<br />

collegato all’attività politica. Si può avere cioè la<br />

sgradevole impressione che la classe politica abbia<br />

inteso concedere a se stessa, attraverso lo strumento<br />

della legge, una consistente attenuazione della<br />

responsabilità, mantenendo immutata, per i non<br />

appartenenti alla “casta”, la severità dei reati di<br />

falso previsti dal codice penale.<br />

Altra e ben diversa questione, invece, è se competeva<br />

alla Corte costituzionale la correzione di questo<br />

difetto; la qual cosa equivale a chiedersi se tale<br />

critica di merito, ancorata a fondate valutazioni<br />

politico-criminali, potesse assurgere a censura di<br />

legittimità nel rispetto dell’assetto costituzionale<br />

complessivo.<br />

Prima di affrontare questa complessa problematica,<br />

sia consentito tratteggiare alcuni possibili sviluppi<br />

della pronuncia in esame, immaginando l’applicazione<br />

del principio affermato dalla Corte ad altre<br />

fattispecie speciali di favore attualmente vigenti.<br />

Ci si limiterà ad alcuni esempi, iniziando dalle fat-<br />

( 6 ) F. MANTOVANI, Diritto penale, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2002, p. 192 s.<br />

( 7 ) Cfr. R. BARTOLI, Reati elettorali: una “piccola” riforma dalle “grandi conseguenze”, in Dir. pen. proc., 2004, p. 802 s.<br />

96 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Diritto penale<br />

tispecie “d’uso” - peculato (art. 314, comma 2, c.p.)<br />

e furto (art. 626, n. 1, c.p.) – le quali già oggi sono<br />

punite meno gravemente delle corrispondenti ipotesi<br />

generali(8). Ebbene, potrebbe il nostro futuro<br />

legislatore, in considerazione della modesta gravità<br />

di detti fatti, ridurre ulteriormente e sensibilmente<br />

la pena per essi prevista? La risposta affermativa,<br />

oggi, non potrebbe darsi più per scontata, perché<br />

detta normativa di favore – secondo il recente<br />

dictum della Consulta - si porrebbe in deroga alla<br />

regola generale. Per cui, ove la pena di nuovo conio<br />

legislativo fosse, per esempio, la reclusione fino a<br />

sei mesi per il peculato d’uso e la multa per il furto<br />

d’uso, la questione potrebbe essere sottoposa al<br />

vaglio della Corte, con la conseguenza, se vi sarà<br />

coerenza, di una verosimile censura di illegittimità.<br />

E ancora. A voler seguire il ragionamento della<br />

Corte, l’omicidio del consenziente, punito oggi con<br />

la reclusione da sei a quindici anni, non potrebbe<br />

essere assoggettato dal legislatore a una sanzione<br />

particolarmente mite, come ad esempio la reclusione<br />

fino a due anni, posto che, ipotesi speciali di<br />

omicidio, verrebbero sottratte alla disciplina generale<br />

e assoggettate a un trattamento di favore oltremodo<br />

lontano da quello ordinario. Invero, tra l’omicidio<br />

del consenziente e l’omicidio comune vi è<br />

la stessa identità di bene giuridico, che, come rileva<br />

la Corte, intercorre tra le fattispecie codicistiche<br />

di falsità documentale e le falsità nelle liste elettorali.<br />

A fortiori, verrebbe a sfumare la prospettiva di<br />

regolare attraverso la depenalizzazione dell’omicidio<br />

del consenziente il problema dell’eutanasia su<br />

richiesta del paziente. Non si tratterebbe di una<br />

scelta politico-criminale, magari discutibile quanto<br />

si vuole, ma pur sempre di merito, bensì di una irragionevole<br />

disparità di trattamento.<br />

Per non dire poi – venendo a fattispecie di applicazione<br />

assai frequente – delle lesioni personali colpose.<br />

Come noto, il d lgs. 28 agosto 2000, n. 274,<br />

istitutivo della giurisdizione penale di pace, ha<br />

devoluto alla cognizione del giudice onorario la<br />

competenza a sanzionare le lesioni personali colpose<br />

anche gravissime, connesse alla circolazione<br />

stradale(9). La deroga alla disciplina ordinaria non<br />

riguarda solo il giudice competente e il rito, ma il<br />

trattamento sanzionatorio, posto che, nel caso di<br />

riparazione del d<strong>anno</strong>, il reato può essere dichiarato<br />

estinto. Non solo: ove tale epilogo non si verifichi,<br />

per le lesioni colpose rimesse alla cognizione<br />

del giudice onorario non sono previste sanzioni<br />

detentive; per esse è possibile solamente l’irrogazione<br />

della pena pecuniaria o, nei casi più gravi,<br />

l’applicazione della permanenza domiciliare.<br />

Com’è evidente, ci si trova in presenza di una sottofattispecie<br />

del delitto di cui all’art. 590 c.p.(10),<br />

punita, quando viene punita, con pena incomparabilmente<br />

più mite per durata e intrinseca afflittività,<br />

rispetto a quella comminata dal codice penale per<br />

ipotesi simili.<br />

4. Naturalmente, sulle discipline di favore e le ulteriori<br />

prospettive politico-criminali cui si è fatto<br />

cenno, si potrebbe discutere a lungo. Ciascuna di<br />

esse infatti è suscettibile di critica. Limitando l’attenzione<br />

alle già considerate fattispecie speciali<br />

introduttive di un trattamento favorevole (posto<br />

che, come si è detto, esse riproducono il rapporto<br />

tra norme preso in considerazione dalla Corte), si<br />

potrebbe osservare, ad esempio, che un’eccessiva<br />

mitezza nella punizione delle c.d. fattispecie d’uso<br />

indebolirebbe la tutela di importanti beni giuridici;<br />

che l’attenuazione della risposta sanzionatoria per<br />

l’omicidio del consenziente risulterebbe addirittura<br />

criminogena e ancor più grave sarebbe la sua<br />

depenalizzazione essendo la vita un bene comunemente<br />

ritenuto indisponibile. All’odierna disciplina<br />

delle lesioni personali colpose connesse alla circolazione<br />

stradale, infine, si potrebbe obiettare di<br />

condurre alla monetizzazione di un fondamentale<br />

bene dell’individuo, qual è integrità personale (11).<br />

Per converso, sarebbe certamente sostenibile che<br />

l’uso momentaneo della cosa altrui, seguito dalla<br />

immediata restituzione, comporti un’offesa al patrimonio<br />

del tutto incomparabile con quella insita<br />

nella spoliazione definitiva, al punto da meritare<br />

unicamente una sanzione extrapenale adeguata alla<br />

( 8 ) Ai fini della nostra riflessione poco rileva la natura di tali fattispecie, ossia se esse costituiscano ipotesi autonome di reato o circostanze<br />

attenuanti, anche se, ritenendole reati autonomi, la mitezza del trattamento da esse previsto assume maggiore effettività in quanto viene<br />

sottratto agli esiti del giudizio di bilanciamento con eventuali aggravanti concorrenti. Con riguardo alla questione specifica della natura giuridica<br />

del peculato d’uso, alla luce della recente giurisprudenza, v. da ultimo D. GUIDI, Il delitto di peculato, Milano, <strong>2007</strong>, p. 211 s.<br />

( 9 ) Tale competenza, del resto, non è stata modificata dall’intervento della pure ambigua legge 102 del 2006. In tal senso v. Cass. pen., sez.<br />

I, 18 gennaio <strong>2007</strong>, n. 1294, in www.dirittoegiustizia.it, quotidiano on line del 31 gennaio <strong>2007</strong>, con nota critica di E. FORTUNA. V. anche<br />

G. GAMBOGI, Omicidio e lesioni colpose da sinistro stradale: aspetti processuali di una riforma apparente, ivi, 16 settembre 2006.<br />

( 10 ) F. GIUNTA, Il delitto di lesioni personali: la disgregazione di un’unità tipologica, in Studium iuris, 2003, p. 1188 s.<br />

( 11 ) Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale,parte generale, Padova, <strong>2007</strong>, p. 757 s.<br />

DOTTRINA<br />

97


DOTTRINA<br />

modestia del conflitto sociale che la condotta crea.<br />

Considerazioni non dissimili potrebbero avanzarsi<br />

a giustificazione di un’accentuazione del trattamento<br />

di favore previsto per il peculato d’uso, posto che<br />

in tal caso il d<strong>anno</strong> per la pubblica amministrazione<br />

è diverso da quello insito nella condotta appropriativa<br />

tipica del peculato comune. E ancora: la<br />

depenalizzazione dell’omicidio del consenziente<br />

potrebbe costituire la soluzione legislativa per<br />

regolamentare l’eutanasia consensuale. Del resto,<br />

anche chi non condivide questa posizione, e ritiene<br />

che l’eutanasia debba mantenere il suo marcato<br />

stigma penalistico, propone una sensibile attenuazione<br />

del trattamento previsto per detta ipotesi di<br />

omicidio del consenziente, in modo da rendere la<br />

pena condizionalmente sospendibile o comunque<br />

eseguibile nella forma dell’affidamento in<br />

prova(12), per questa via si intenderebbe coniugare<br />

la riaffermazione di un principio – quello della<br />

sacralità della vita – con la sostanziale impunità<br />

dell’autore. Quanto alla giurisdizione penale di<br />

pace, infine, essa, come noto, si ispira al modello<br />

della giustizia conciliativa nella premessa che la<br />

vittima delle lesioni colpose connesse alla circolazione<br />

stradale abbia un interesse prevalente per il<br />

risarcimento e un interesse mancante alla punizione<br />

del reo. Non si spiegherebbe altrimenti la loro<br />

perseguibilità a querela, introdotta già dalla legge<br />

n. 689 del 1981.<br />

Come si diceva, le valutazioni anzidette, siano esse<br />

adesive o critiche rispetto alle singole e futuribili<br />

discipline di favore che sono state prese in considerazione,<br />

h<strong>anno</strong> natura politico-criminale e dunque<br />

di merito, perché attengono all’an e al quantum<br />

della punizione. Ne consegue che la distinzione<br />

operata dalla Corte costituzionale con la sentenza<br />

n. 394 del 2006 tra l’introduzione di nuova fattispecie,<br />

preclusa alla Corte, e il ripristino della<br />

disciplina generale attraverso la rimozione della<br />

norma derogatoria favorevole, che si vorrebbe<br />

invece consentita, può conciliarsi con le differenti<br />

competenze, assegnate dalla Costituzione rispettivamente<br />

al legislatore e alla Consulta, unicamente<br />

se di muove da una concezione ristretta della ragionevolezza,<br />

intesa come precipitato del principio<br />

dell’uguaglianza di trattamento in senso stretto, ai<br />

Diritto penale<br />

sensi dell’art. 3, comma 1, Cost. Solo quando la<br />

Corte censura discriminazioni dei cittadini per<br />

sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche<br />

nonché condizioni personali o sociali (13), il suo<br />

controllo si fonda su un parametro definito e si<br />

estrinseca effettivamente in valutazioni intrasistematiche<br />

delle scelte legislative; e ciò, indipendentemente<br />

dalla circostanza che la scure del suo giudizio<br />

si abbatta su norme incriminatici o di favore.<br />

Negli altri casi l’accertamento della sproporzione<br />

per difetto passa attraverso valutazioni di merito e<br />

apprezzamenti politico-criminali, del tutto simili a<br />

quelli coperti dal principio della riserva di legge,<br />

posto che il parametro della ragionevolezza viene a<br />

rilevare come autonomo criterio di razionalità<br />

intrinseca della normativa(14).<br />

Nella recente pronuncia n. 394 del 2006 la Corte si<br />

impegna inevitabilmente, ancorché in modo implicito,<br />

in valutazioni di critica legislativa, che – come<br />

si è detto - sono condivisibili e fondate, ma che<br />

attengono al merito politico-criminale e, come tali,<br />

presentano la stessa natura delle valutazioni che<br />

compie il legislatore quando pone le medesime<br />

norme o le fattispecie generali entro le quali si<br />

inscrivono le discipline derogatorie in bonam partem.<br />

In breve: attraverso il controllo sulle norme di<br />

favore improntato al parametro della ragionevolezza-razionalità,<br />

piuttosto che su quello della ragionevolezza-uguaglianza,<br />

la critica di merito si trasforma<br />

in censura di legittimità, senza che la scelta<br />

politico-criminale di natura ablativa venga compiuta<br />

da un organo direttamente rappresentativo del<br />

corpo sociale e, naturalmente, senza rimedi nei<br />

confronti del responso di illegittimità.<br />

Da questa angolazione risulta difficilmente spiegabile,<br />

per riprendere il pensiero della Corte, che il<br />

giudice delle leggi, mentre non sarebbe autorizzato<br />

a censurare l’abrogazione di una fattispecie generale<br />

(per esempio, il delitto di furto), in quanto tale<br />

scelta del parlamento è coperta dalla garanzia della<br />

riserva di legge, potrebbe dichiarare illegittima per<br />

difetto di intrinseca razionalità politico-criminale la<br />

depenalizzazione del furto d’uso o del furto nei<br />

grandi magazzini: opzione, quest’ultima, peraltro<br />

plausibile se si considera che detti furti rientrano<br />

nel rischio per lo più assoggettato, o comunque<br />

( 12 ) Cfr. per esempio F. MANTOVANI, Eutanasia, in Dig. disc. pen., vol. IV, 1990, p. 430.<br />

( 13 ) Cfr. L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale d’uguaglianza, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, I, 1985, p.<br />

620; G. INSOLERA, Democrazia, ragione e prevaricazione. Dalle vicende del falso in bilancio ad un nuovo riparto costituzionale nella<br />

attribuzione dei poteri?, Milano, 2003, p. 51.<br />

( 14 ) In argomento, da ultimo E.R. BELFIORE, Giudice delle leggi e diritto penale, Milano, 2005, p. 274 s.<br />

98 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Diritto penale<br />

assoggettabile, a copertura assicurativa (15).<br />

Lo stesso argomento usato dalla Corte al fine di<br />

affermare la compatibilità del suo intervento ablativo<br />

in malam partem con il principio della riserva<br />

di legge – ossia il carattere tecnico della valutazione<br />

e la portata meramente intrasistematica della<br />

valutazione di ragionevolezza – viene smentito dall’alternativa,<br />

scartata dalla Corte, ma teoricamente<br />

possibile, che non avrebbe posto tensioni con il<br />

principio della riserva di legge. Invero, la Consulta<br />

avrebbe potuto ripristinare l’uguaglianza di trattamento<br />

adeguando la pena prevista per le fattispecie<br />

codicistiche più gravemente punite al livello di<br />

quella più bassa comminata dalla norma speciale di<br />

favore. “Sebbene il ripristino dell’uguaglianza violata<br />

– ha osservato la Corte in altra occasione(16) -<br />

possa avvenire non solo eliminando del tutto la<br />

norma che determina quella violazione ma anche<br />

estendendone la portata per ricomprendervi i casi<br />

discriminati (…), in sede di controllo di costituzionalità<br />

di norma penali si dà solo la prima possibilità.<br />

Alla seconda, osta infatti, comunque la particolare<br />

riserva di legge stabilita dalla Costituzione in<br />

materia di reati e pene (art. 25, secondo comma)”.<br />

Con la sentenza n. 394 del 2006 la Consulta ha<br />

scartato invece tale opzione perché, all’evidenza,<br />

l’ha ritenuta poco efficace sul piano preventivo,<br />

dimostrando così che, a fronte dell’obiettivo<br />

dichiarato, identificato nel ripristino del principio<br />

di uguaglianza, la scelta effettuata non è stata tecnica,<br />

bensì politica, in quanto svincolata da precisi<br />

parametri di esercizio, ma caratterizzata piuttosto<br />

da ampia libertà nella valutazione dei fini perseguiti.<br />

5. L’approdo cui perviene la Corte va esaminato<br />

anche da un’altra angolazione. Non può farsi a<br />

meno di ricordare, infatti, che il controllo sulla<br />

ragionevolezza delle pene è nato storicamente<br />

all’ombra del principio di offensività, quale garanzia<br />

contro il rischio che il parlamento democraticamente<br />

eletto si trasformi in un nuovo Leviatano.<br />

Ebbene, non può non colpire che questo prezioso<br />

strumento di revisione critica dei tariffari di pena,<br />

mentre è stato utilizzato dalla giurisprudenza costituzionale<br />

con assoluta parsimonia nel campo delle<br />

tante (troppe) sproporzioni per eccesso, per rimediare<br />

alle quali esso era stato originariamente prospettato<br />

nel campo penale, d’ora in avanti potrà<br />

essere impiegato con accresciuta duttilità per cen-<br />

surare i casi di minor rigore punitivo.<br />

I consensi che raccoglie in dottrina quest’ultima<br />

prospettiva e, in modo speculare, la rassegnazione<br />

(ma che non sia una condivisione?) con cui si<br />

accettano oggi le sproporzioni per eccesso, sembrano<br />

segnali di una situazione spirituale della<br />

nostra cultura penalistica, che appare più sensibile<br />

all’istanza di difesa sociale che ai cardini di un<br />

diritto punitivo garantito dalla legalità delle pene.<br />

E’ chiaro però che proprio questa dilatazione dei<br />

poteri della Corte nel campo penale apre nuovi scenari,<br />

nel senso che il sindacato di ragionevolezza<br />

sulle norme di favore, mirando a correggere la<br />

“legislazione per sottrazione”, pone in termini<br />

nuovi la questione, oggi massimamente attuale,<br />

della legittimazione della Corte a operare nel<br />

campo penale con effetti in malam partem.<br />

6. La critica di politicizzazione rivolta alla Corte<br />

costituzionale proviene, come noto, da una parte<br />

del mondo politico. Come tale, essa può risultare<br />

strumentale e finanche estrema nella misura in cui<br />

considera la Corte alla stregua di un autonomo soggetto<br />

politico, che agirebbe politicamente sotto<br />

mentite spoglie e magari all’insegna dell’antipolitica.<br />

Si tratta di una critica avvertita come infamante<br />

e delegittimante, comprensibilmente respinta dagli<br />

assertori del carattere “tecnico” degli interventi<br />

della Corte. Nondimeno, è difficile negare – e la<br />

sentenza 394/2006 lo conferma - che la Corte, nell’interpretare<br />

il suo ruolo di garante della<br />

Costituzione, tende a porsi da ultimo quale contropotere<br />

legislativo, pronto a correggere – per quel<br />

che qui più interessa – anche gli sbandamenti della<br />

politica criminale.<br />

Non è certo ininfluente, a questo proposito, la tradizionale<br />

estrazione politica di una parte almeno<br />

dei giudici costituzionali, non solo nel senso della<br />

matrice partitica della loro nomina, ma del loro<br />

essere (stati) politici, con ruoli di grande responsabilità:<br />

deputati, senatori o ministri, anche<br />

Guardasigilli. Il sistema consente che della Corte<br />

faccia parte un giudice che è ha votato o finanche<br />

proposto una legge che la Corte medesima si potrà<br />

trovare a giudicare.<br />

Certamente, la recente intraprendenza della giurisprudenza<br />

costituzionale può collegarsi a quel complesso<br />

di fattori storici e istituzionali che viene<br />

indicato, con enfasi talvolta esageratamente e non<br />

( 15 ) Sulla depenalizzazione dei furti nei grandi magazzini, con specifico riguardo all’esperienza tedesca e all’impiego, a tal fine, dell’istituto<br />

di cui al § 153a StPO, v. C.E. PALIERO, Minima non curat praetor, Padova, 1985, p. 474.<br />

( 16 ) Il riferimento è alla sentenza n. 508 del 2000 che ha dichiarato l’illegittimità del delitto di vilipendio della religione di stato (art. 402<br />

c.p.).<br />

DOTTRINA<br />

99


DOTTRINA<br />

disinteressatamente disfattista, come crisi della<br />

legalità, della riserva di legge, del parlamentarismo<br />

e in radice della politica; crisi che spiegherebbe storicamente<br />

e giustificherebbe istituzionalmente la<br />

sovraesposizione compensativa del potere giudiziario.<br />

Alla base di questa rappresentazione dello stato<br />

dell’arte vi è un fondo di verità. Agli inizi degli<br />

anni ’90, il passaggio al sistema maggioritario, da<br />

un lato, e la concomitante delegittimazione della<br />

politica a seguito di Tangentopoli(17), dall’altro,<br />

h<strong>anno</strong> determinato un nuovo modo di vedere la giustizia<br />

penale nel suo complesso. Proprio perché il<br />

diritto penale, per la prima volta nella nostra storia<br />

recente, veniva utilizzato in modo sistematico e<br />

ampio nei confronti delle classi dirigenti e del ceto<br />

politico, esso appariva non più come il prodotto del<br />

confronto politico, assicurato dalla riserva di legge,<br />

ma come il precipitato dell’etica pubblica.<br />

All’immagine secolarizzata di un diritto penale che<br />

viene dal basso della composizione degli interessi,<br />

si affianca prima e si sovrappone poi la più nobile<br />

concezione di un diritto che viene dall’alto dell’assiologia<br />

e che per questo ha bisogno più di qualità,<br />

che di rappresentatività, anche al prezzo di apparire<br />

aristocratico e medievale, in quanto fondato sul<br />

principio di autorità. Proprio perché la maggiore<br />

forza della politica, assicurata dal premio di maggioranza,<br />

giungeva nel momento di massima crisi<br />

della politica, messa sotto accusa dalla magistratura,<br />

l’accresciuta forza del Parlamento è stata bilanciata,<br />

con una sorta di istinto istituzionale, dalla<br />

nuova giurisprudenza della Corte, che si è sentita<br />

investita del ruolo di estremo difensore prima ancora<br />

della Costituzione, dell’equilibrio tra i poteri. A<br />

ciò si aggiunga lo scadimento della qualità tecnica<br />

e politico-criminale della legislazione penale<br />

(aspetto, questo, che non è nuovo: per rimanere nel<br />

campo delle falsità nelle liste elettorali, si pensi alla<br />

disciplina, originaria e tuttora vigente, della prescrizione,<br />

che, a norma dell’art. 100, comma 2, del<br />

d.p.r. 570 del 1960 è di appena due anni).<br />

Forse mai come in questi ultimi anni è stato evocato<br />

il pericolo insito nel dispotismo democratico e<br />

nella dittatura della maggioranza, paventato da<br />

Alexis Tocqueville. Ma qual è il rimedio? Può consistere<br />

nella trasformazione del ruolo della Corte<br />

costituzionale, senza che sia ripensata la sua composizione<br />

e lo stesso meccanismo che produce il<br />

Diritto Penale<br />

controllo di costituzionalità?<br />

La tesi che qui si avanza è che il modo in cui funziona<br />

lo scrutinio di legittimità sia inadatto ad assicurare<br />

un adeguato controllo di costituzionalità nel<br />

campo penale, soprattutto con riguardo alla violazione<br />

del principio di legalità, che, essendo chiamato<br />

a regolare il raggio di azione del potere giudiziario,<br />

ha bisogno di essere assicurato in modo<br />

pieno ed effettivo.<br />

Si pensi al controllo di costituzionalità sulla determinatezza<br />

della norma penale. La formulazione<br />

determinata della norma penale – si insegna – mira<br />

a contenere la discrezionalità del giudice, ossia a<br />

delimitarne il raggio di azione. Sennonché è altrettanto<br />

noto che spetta al giudice penale stesso sollevare<br />

la questione, ossia chiedere alla Corte che<br />

venga meglio delimitato il suo potere di ius dicere.<br />

Ne consegue che la questione viene sollevata solo<br />

quando il giudice non condivide, nello specifico<br />

caso, la discrezionalità che gli riconosce la norma<br />

indeterminata, ossia quando non vuole assumersi la<br />

responsabilità connessa all’esercizio della sua<br />

potestà punitiva. Quando, invece, riterrà di poter<br />

bene impiegare detta discrezionalità, a poco varr<strong>anno</strong><br />

le osservazioni delle parti processuali (segnatamente<br />

della difesa), posto che al giudice la questione<br />

apparirà manifestamente infondata. Del<br />

resto, è noto che, per verificare la determinatezza di<br />

una fattispecie penale, uno dei criteri cui ricorre la<br />

giurisprudenza costituzionale sia quello del diritto<br />

vivente ovvero dell’“interpretabilità” dell’enunciato<br />

normativo. Ne consegue che quando il giudice<br />

ritiene di poter interpretare la fattispecie, il vizio di<br />

determinatezza risulta sanato di fatto, o meglio non<br />

più rilevabile, con grave alterazione degli equilibri<br />

tra legislativo e giudiziario nella produzione del<br />

diritto penale(18).<br />

In breve: il filtro della valutazione politico-criminale<br />

del giudice a quo – il rilievo, si badi, non vale<br />

solo per il controllo sulle norme di favore - si fonda<br />

su un previo giudizio di condivisione o meno dell’opzione<br />

politico-criminale. Quando la scelta<br />

legislativa è condivisa dal giudice, non residua spazio<br />

alcuno per la dichiarazione di non manifesta<br />

infondatezza della questione. Si pensi alla recente<br />

pronuncia della Corte di Cassazione che ha ritenuto<br />

immune da irragionevolezza il divieto, previsto<br />

dall’art. 6 del d. lgs. 274/2000, di sospendere condizionalmente<br />

le nuove pene irrogabili per i reati<br />

( 17 ) F. GIUNTA, Il giudice e la legge penale. Valore e crisi della legalità, oggi, in Scritti in ricordo di Giandomenico Pisapia, vol. I, Milano,<br />

2000, p. 75 s.<br />

( 18 ) In argomento cfr., per tutti, F. PALAZZO, Corso di diritto penale Torino, 2006, p. 135.<br />

100 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Diritto Penale<br />

devoluti alla competenza del giudice di pace(19). Il<br />

giudizio della Corte di Cassazione è certamente<br />

plausibile; esso però non è tecnico, ma politico-criminale.<br />

7. Inconvenienti analoghi, in quanto collegati al<br />

sistema di rilevazione delle questioni di legittimità<br />

da sottoporre al vaglio della Consulta, potr<strong>anno</strong><br />

riscontrarsi in futuro in relazione allo scrutinio<br />

delle norme penali di favore. Il loro controllo di<br />

costituzionalità, infatti, presuppone un previo giudizio<br />

da parte del giudice remittente, che, com’è<br />

ovvio, dichiarerà la questione “non manifestamente<br />

infondata” nella misura in cui non condividerà la<br />

scelta politico-criminale della deroga legislativa in<br />

bonam partem.<br />

Così, per riprendere il campionario degli esempi<br />

che si sono sopra considerati, nell’ipotesi in cui il<br />

legislatore attenuasse in misura consistente la pena<br />

prevista per il peculato d’uso, è plausibile ritenere<br />

che l’irragionevolezza della scelta legislativa avrà<br />

buone possibilità di essere sollevata, per la ragione<br />

assorbente, e destinata a rimanere implicita, che il<br />

peculato, anche quando è solamente d’uso, è<br />

espressivo comunque di un malcostume che rende<br />

il fatto inviso. Assai più della disuguaglianza di<br />

trattamento introdotta dalla norma di favore, decisiva<br />

sarà la valutazione politico-criminale, e<br />

all’occorrenza anche etica, che il giudice maturerà<br />

in relazione allo specifico fatto storico punito con<br />

mitezza.<br />

Diversamente, è ipotizzabile che la depenalizzazione<br />

del furto d’uso possa sfuggire al controllo di<br />

legittimità, ove la fattispecie concreta sottoposta al<br />

vaglio del giudice a quo avesse ad oggetto una cosa<br />

mobile di modesto valore, sempre che – s’intende -<br />

il giudice condivida la valutazione politico-criminale<br />

di lasciare esenti da pena le sottrazioni bagattellari.<br />

L’attenuazione o l’abolizione della pena per l’omicidio<br />

del consenziente dipenderà, all’evidenza,<br />

dalla personale etica del giudice e dal suo orizzonte<br />

valoriale. Perché mai dovrebbe sollevare la questione<br />

di legittimità, ove ritenesse in termini metagiuridici<br />

che la vita sia un bene disponibile soprattutto<br />

nei casi di malattie terminali e dolorose?<br />

Infine, il fatto che non sia stata finora sollevata la<br />

questione di legittimità costituzionale per il tratta-<br />

mento di favore previsto per le lesioni personali<br />

colpose connesse alla circolazione stradale, dimostra<br />

che i giudici di pace condividono la scelta politico-legislativa<br />

di assoggettare detta fattispecie alla<br />

loro giurisdizione, con tutto ciò che essa comporta<br />

sul piano del trattamento sanzionatorio. Questo<br />

rilievo non esclude, naturalmente, che nel caso di<br />

lesioni personali colpose giudicate per connessione<br />

dal giudice togato, quest’ultimo possa mostrarsi<br />

critico nei confronti della scelta effettuata dal d lgs.<br />

274 del 2000, nel qual caso le chances che il controllo<br />

di costituzionalità si attivi sar<strong>anno</strong> certamente<br />

maggiori (20).<br />

8. La sentenza 394/2006 non esprime soltanto l’odierna<br />

predisposizione della Corte nei confronti<br />

degli interventi additivi in malam partem, finora<br />

assai rari e comunque criticati; essa si iscrive in un<br />

panorama assai più ampio e complesso, nel cui contesto<br />

non può non rilevarsi che esiste una spinta,<br />

proveniente da più parti, a disancorare il diritto<br />

penale dall’alveo della legalità legislativa per polarizzarlo<br />

principalmente sul momento del giudizio,<br />

che diventa predominante. Significativi sono i frequenti<br />

parallelismi – ricorrenti nel dibattito nostrano<br />

d’oggi - con l’esperienza di common law, dove<br />

però diverso è il percorso che conduce alla funzione<br />

giudicante, peraltro tradizionalmente condivisa<br />

con la giuria popolare.<br />

Questa tendenza (che talvolta diventa tifoseria)<br />

intesa a svalutare l’impronta legislativa del diritto<br />

penale si associa però a un altrettanto evidente<br />

atteggiamento di conservatorismo ordinamentale:<br />

le architravi costituzionali del sistema penale devono<br />

restare immutate (fatto salvo, s’intende, la svalutazione<br />

della riserva di legge, evidentemente ritenuta<br />

garanzia minore), benché evolva significativamente<br />

l’importanza e l’autonomia del momento<br />

giudiziale.<br />

Il rischio estremo è un capovolgimento del senso e<br />

del testo dell’art. 101 Cost., che è numero palindromo:<br />

se è riduttivo ritenere che il giudice sia soggetto<br />

soltanto alla legge, nella misura in cui questo<br />

principio viene strumentalmente ricordato per mortificare<br />

la fondamentale importanza della funzione<br />

interpretativa, esiziale sarebbe ritenere che la legge<br />

sia soggetta al giudice; a partire dalle leggi di favore.<br />

( 19 ) Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2006, Cesolini, in Guida dir., <strong>2007</strong>, n. 1, p. 79.<br />

( 20 ) V. ad esempio la questione sollevata, al riguardo, da Corte App. Napoli, ord. 15 aprile 2004, respinta dalla Corte Costituzionale con ordinanza<br />

n. 187 del 2005, in quanto il giudice remittente aveva omesso di estendere la censura anche all’art. 4, comma 1, lett. a, del d. lgs. 274<br />

del 2000, che, attribuendo al giudice di pace la competenza per le lesioni personali colpose connesse alla circolazione stradale, costituiva il<br />

necessario presupposto del sistema sanzionatorio di favore denunciato dal giudice a quo.<br />

DOTTRINA<br />

101


DOTTRINA<br />

La testimonianza dei minorenni nel processo<br />

penale (articolo già pubblicato su www.personaed<strong>anno</strong>.it)<br />

di Carlo Crapanzano<br />

In linea di principio, e secondo quanto prevede il<br />

primo comma dell’art. 196 c.p.p., “ogni persona ha<br />

la capacità di testimoniare”. Tale principio vale<br />

come riferimento di carattere generale anche per i<br />

minorenni. Si è obiettato da alcuni che sarebbe<br />

invece preclusa tale testimonianza dall’art. 120<br />

c.p.p. laddove prevede che “Non possono intervenire<br />

come testimoni ad atti del procedimento: a) i<br />

minori degli anni quattordici…”, ma opportunamente<br />

la giurisprudenza di legittimità ha da tempo<br />

interpretato e chiarito la portata della norma (vedi<br />

ex pluribus Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003,<br />

n.19789 secondo la quale “l'articolo 120 del c.p.p<br />

non contiene alcun divieto alla testimonianza dei<br />

minori, giacché si limita a stabilire che i minori<br />

degli anni quattordici e gli altri soggetti appartenenti<br />

alle categorie ivi specificamente indicate<br />

(infermi di mente, ubriachi, intossicati per sostanze<br />

stupefacenti, sottoposti a misure di sicurezza detentive<br />

o a misure di prevenzione) non possono intervenire<br />

come testimoni ad atti del procedimento. Si<br />

fissa in tal modo solo una generale inidoneità delle<br />

persone catalogate ad assolvere alla funzione di<br />

garanzia che la legge prevede per il compimento di<br />

determinate attività (per esempio, le ispezioni e le<br />

perquisizioni), nelle quali l'interessato ha diritto di<br />

farsi assistere da persona di fiducia. La minore età<br />

di un testimone, quindi, non incide sulla sua capacità<br />

di testimoniare, che è disciplinata dal principio<br />

generale contenuto nell'articolo 196, comma 1, del<br />

c.p.p, bensì, semmai, sulla valutazione della testimonianza<br />

e, cioè, sulla sua attendibilità: è in tale<br />

prospettiva che opera lo speciale regime dettato<br />

dall'articolo 498, comma 4, del c.p.p per l'esame del<br />

minore, affidato al presidente dell'organo giudicante<br />

e condotto sulla base di domande e contestazioni<br />

proposte dalle parti, eventualmente con l'ausilio di<br />

un familiare o di un esperto psicologo, salva la<br />

facoltà di consentire la deposizione in forma ordinaria,<br />

quando l'esame diretto non possa nuocere<br />

alla serenità del testimone”.<br />

Tuttavia, ovviamente, l’assunzione della testimonianza<br />

di un minorenne, proprio perché tale, deve<br />

avvenire con criteri e modalità che la Legge si è<br />

sforzata di individuare, ma che inevitabilmente<br />

Procedura Penale<br />

Procedura penale<br />

lasciano insoddisfatti magistrati, avvocati, psicologi,<br />

psichiatri, neuropsichiatri infantili, criminologi.<br />

L’enorme problema che si pone dunque dinanzi a<br />

chi deve valutare la testimonianza del minorenne,<br />

si appalesa sotto un duplice aspetto: la capacità di<br />

deporre del minorenne e la veridicità del racconto<br />

(e ciò vale a maggior ragione quando il minorenne<br />

sia anche parte offesa e vittima del reato). In tal<br />

senso Cass. pen., Sez. III, 11/07/2003, n.39959.<br />

Sul primo aspetto, e cioè la capacità di deporre, in<br />

linea generale, il secondo comma dell’art. 196<br />

c.p.p. prevede che “Qualora, al fine di valutare le<br />

dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne<br />

l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza,<br />

il giudice anche di ufficio può ordinare gli<br />

accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla<br />

legge”.<br />

Ma nel caso di minorenne, dovrà seguirsi una via<br />

parzialmente diversa.<br />

Proprio allo scopo di dare delle linee guida al<br />

modus operandi (anche se con specifico riferimento<br />

a testimoni minorenni vittime di abusi sessuali),<br />

nel 1996 è stata redatta la ormai famosa “Carta di<br />

Noto” che è stata modificata nel 2002.<br />

Essa è entrata quasi di forza a far parte di criteri e<br />

valutazioni dei quali tengono conto i Giudici per<br />

l’attendibilità di testimoni minorenni, e spesso è<br />

citata in molte sentenze di merito e di legittimità<br />

(vedi ad esempio Corte di Appello di Brescia,<br />

02/07/2004).<br />

Fondamentalmente, essa prevede che i professionisti<br />

specificamente formati a raccogliere le testimonianze<br />

dei minorenni (rectius la attendibilità dei<br />

minorenni), debbano utilizzare metodologie e criteri<br />

riconosciuti come affidabili dalla comunità scientifica<br />

di riferimento; esplicitare i modelli teorici utilizzati,<br />

così da permettere la valutazione critica dei<br />

risultati. Il punto importante da sottolineare, però, è<br />

che “la valutazione psicologica non può avere ad<br />

oggetto l’accertamento dei fatti per cui si procede”.<br />

Cioè, e in termini più semplici, quanto raccolto<br />

dalle dichiarazioni dei minorenni deve solo servire<br />

a chiarire al Giudice che il minorenne è idoneo o<br />

meno a rendere testimonianza, ma è inibito a chi<br />

effettua la perizia, di valutare attendibili gli eventuali<br />

fatti raccontati dal minore: questo è compito<br />

che spetta esclusivamente al Giudice.<br />

Quindi, mentre la valutazione sulla capacità a rendere<br />

testimonianza può essere affidata a un perito,<br />

102 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Procedura Penale<br />

Procedura penale<br />

la veridicità o meno del racconto del minorenne<br />

deve essere affidata al Giudice. Infine, la Carta<br />

“consiglia” che la sede privilegiata per l’escussione<br />

del minorenne è l’incidente probatorio e auspica<br />

che il perito incaricato dal Giudice di effettuare<br />

l’indagine psicologica del minore, rappresenti che<br />

“le attuali conoscenze in materia non consentono di<br />

individuare dei nessi di compatibilità od incompatibilità<br />

tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici”.<br />

Se il minorenne è in tenera età, spesso accade che<br />

vi sia un coinvolgimento “testimoniale” dei genitori,<br />

ma bisogna subito dire che non può acquisirsi la<br />

testimonianza resa da questi ultimi. E’ infatti sempre<br />

auspicabile il coinvolgimento testimoniale<br />

diretto del minorenne (in questo senso Cass. pen.,<br />

Sez. III, 12/02/2004, n.18058). Infatti, “…è viziata<br />

da inutilizzabilità ai sensi dell'art. 195 c.p.p. la<br />

testimonianza indiretta allorché il giudice abbia<br />

omesso di procedere, nonostante la richiesta della<br />

difesa, all'assunzione del testimone diretto, anche<br />

nel caso in cui quest'ultimo sia persona minore di<br />

età” (Cass. pen., Sez. III, 28/11/2001, n.1948).<br />

Solo in rari ed eccezionali casi, la giurisprudenza<br />

ha ammesso la testimonianza indiretta: “In tema di<br />

reati contro la libertà sessuale le dichiarazioni rese<br />

dal minore in sede di incontro videoregistrato presso<br />

il servizio psichiatrico alla presenza di un funzionario<br />

o agente di polizia giudiziaria possono<br />

essere oggetto di testimonianza "de relato" da parte<br />

dell'ufficiale di p.g. ai sensi dell'art. 195 c.p.p.”<br />

(Cass. pen., Sez. III, 15/05/2001, n.23423).<br />

Conseguentemente, “… anche i bambini in tenera<br />

età sono in grado di ricordare ciò che h<strong>anno</strong> visto e<br />

soprattutto ciò che h<strong>anno</strong> subito con coinvolgimento<br />

diretto, pur spettando al giudice di valutare con<br />

particolare attenzione la credibilità del dichiarante<br />

e l'attendibilità delle dichiarazioni. In una tale prospettiva,<br />

nel caso di minore-parte offesa (la cui<br />

deposizione ben può essere assunta anche da sola<br />

come fonte di prova della responsabilità), si spiega,<br />

nella prospettiva di controllo sulla "credibilità soggettiva",<br />

la possibilità di procedere alla verifica<br />

dell'"idoneità mentale" (articolo 196, comma 2, del<br />

c.p.p.), rivolta ad accertare se il minore stesso sia<br />

stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti<br />

tenuti in pregiudizio della sua persona e<br />

possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti.<br />

Trattasi, in ogni caso, di indagine psicologica<br />

particolarmente proficua in materia di reati<br />

sessuali, ma sicuramente non obbligatoria in mancanza<br />

di elementi che giustifichino una pretesa<br />

incapacità della vittima, pur se bambino. Inoltre,<br />

pur nel caso di accertamenti peritali disposti ex articolo<br />

196, comma 2, gli esiti di questi, da un lato,<br />

non precludono affatto l'assunzione della prova<br />

dichiarativa (come espressamente enunciato al<br />

comma 3 dell'articolo 196, che fissa il principio<br />

dell'insussistenza di una necessaria cronologia temporale<br />

tra l'assunzione della testimonianza e gli<br />

accertamenti stessi), e, dall'altro, non possono<br />

comunque avere alcuna valenza deterministica ai<br />

fini decisionali, vigendo il principio che non è possibile<br />

demandare a uno o più periti la verifica dell'attendibilità<br />

del testimone e che spetta pur sempre<br />

al giudice il vaglio critico delle nozioni acquisite<br />

attraverso l'attività svolta dai periti” (Cass. pen.,<br />

Sez. III, 06/03/2003, n.36619)<br />

Il secondo aspetto da valutare, e cioè la veridicità<br />

del racconto del minorenne, è strettamente legato al<br />

primo (capacità di deporre) e non meno problematico.<br />

Nella maggioranza dei casi, dovuti purtroppo<br />

al fatto che spesso i minorenni siano testimoni di<br />

abusi sessuali da loro subìti, la sede più appropriata<br />

per l’esame del testimone minorenne è l’incidente<br />

probatorio, con le garanzie costituzionali e processuali<br />

riservate a tutte le parti del processo. In<br />

tale sede, sotto il profilo della veridicità del racconto,<br />

bisognerà preventivamente valutare la modalità<br />

per l’escussione del testimone. Non v’è dubbio<br />

alcuno, che il Giudice che avrà disposto l’incidente<br />

probatorio, ordini che si proceda con tutte le cautele<br />

possibili, perché anzitutto devono essere tutelate<br />

le esigenze del minorenne. Egli può stabilire particolari<br />

modalità per procedere all'incidente probatorio,<br />

che reputi necessarie od opportune. Fra queste<br />

particolari modalità di assunzione della prova, ad<br />

esempio rientra sicuramente anche la forma scritta,<br />

laddove sia consigliata o imposta dall'esigenza di<br />

proteggere la fragile emotività del minore e di assicurare<br />

nel contempo la genuinità della deposizione:“Il<br />

ricorso alla forma scritta, non costituisce una<br />

lesione del principio del contraddittorio, giacché<br />

all'incidente probatorio partecipano necessariamente<br />

il pubblico ministero e il difensore dell'indagato<br />

e ha diritto di partecipare anche il difensore della<br />

persona offesa (articolo 401, comma 1, del c.p.p.),<br />

DOTTRINA<br />

103


DOTTRINA<br />

e tutti costoro h<strong>anno</strong> diritto di proporre al giudice le<br />

domande e le contestazioni da rivolgere al testimone<br />

ai sensi del combinato disposto degli articoli<br />

401, comma 5, e 495, comma 4, del c.p.p. Questa<br />

forma scritta, inoltre, neppure configura una deroga<br />

al principio dell'oralità, dovendosi intendere per<br />

tale il principio, fondamentale nel rito accusatorio,<br />

che vieta le prove scritte precostituite, cioè formate<br />

fuori del processo, mentre nella suddetta modalità<br />

di svolgimento dell'incidente probatorio la prova<br />

non si viene precostituita fuori del processo, ma si<br />

forma nell'udienza camerale in contraddittorio tra<br />

le parti” (Cass. pen., Sez. III, 25/05/2004, n.33180).<br />

Ma “l’inesistenza nel sistema normativo di preclusioni<br />

o limiti alla capacità del minore a rendere<br />

testimonianza (art. 196 c.p.p.) non affranca il giudice<br />

dal dovere di controllarne le dichiarazioni con<br />

impegno assai più solerte e rigoroso rispetto al<br />

generico vaglio di credibilità cui v<strong>anno</strong> sottoposte<br />

le dichiarazioni di ogni testimone. In particolare,<br />

nei reati a sfondo sessuale - dei quali il minore è<br />

frequentemente vittima e il suo contributo non è<br />

normalmente sottraibile alla ricostruzione del fatto<br />

- il giudice deve accertare la sincerità della testimonianza<br />

del minore, con l'esercizio di una straordinaria<br />

misura di prudenza e con un esame particolarmente<br />

penetrante e rigoroso di tutti gli altri elementi<br />

probatori di cui si possa eventualmente disporre.<br />

A tal fine, può rivelarsi necessario il ricorso<br />

agli strumenti dell'indagine psicologica per verificare,<br />

sotto il profilo intellettivo e affettivo, la concreta<br />

attitudine del minore a testimoniare, la sua<br />

credibilità, la sua capacità a recepire le informazioni,<br />

a raccordarle tra loro, a ricordarle e a esprimerle<br />

in una visione complessa, da stimare in relazione<br />

all'età, alle condizioni emozionali che regolano le<br />

sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e<br />

alla natura dei suoi rapporti familiari. E ciò anche<br />

al fine di escludere che una qualunque interferenza<br />

esterna, talvolta collegata allo stesso ambiente<br />

domestico nel quale l'abuso sessuale non di rado si<br />

consuma, possa alterare la genuinità dell'apporto<br />

testimoniale” (Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003,<br />

n.19789).<br />

In conclusione, come si è visto, non esistono riferimenti<br />

normativi e quindi processuali, tali da delimitare<br />

i confini entro i quali debbono essere valutati<br />

i due elementi fondamentali per procedere<br />

all’esame del testimone minorenne (capacità di<br />

Procedura penale<br />

testimoniare e veridicità delle dichiarazioni).<br />

Tuttavia, grazie al contributo fondamentale della<br />

psicologia, della psichiatria, della neuropsichiatria<br />

infantile, della criminologia, della giurisprudenza<br />

di merito e di quella di legittimità, l’esame testimoniale<br />

del minorenne è ormai prossimo a quelle<br />

garanzie costituzionali di tutela poste alla base del<br />

nostro (non perfetto) sistema giuridico.<br />

104 3/<strong>2007</strong>


3/<strong>2007</strong><br />

Diritto commerciale<br />

Tutela del diritto d’autore e provvedimenti urgenti:<br />

la descrizione<br />

di Antonio Campione<br />

1. Con il D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, detto anche<br />

Codice della Proprietà Industriale, il Legislatore<br />

nazionale ha dettato una disciplina organica e<br />

moderna del diritto d’autore e della sua tutela.<br />

Le necessità di una normativa aggiornata del settore<br />

risiedeva nella duplice circostanza che il diritto<br />

d’autore, in questi anni, aveva avuto una rapida<br />

evoluzione, tale da rendere datata la precedente<br />

disciplina, e dalle sempre più diffuse violazioni<br />

quantitative e qualitative dei diritti derivanti dalla<br />

proprietà industriale.<br />

Non da ultima si è registrata altresì la necessità di<br />

adeguare la normativa statale ai principi ed alle<br />

direttive comunitarie della materia in esame.<br />

Il nuovo testo unico detta una disciplina nuova e<br />

completa anche sotto il profilo processuale, introducendo<br />

alcuni istituti di particolare novità ed<br />

importanza.<br />

2. Tra questi si segnala il procedimento di descrizione<br />

disciplinato dall’art. 128 C.P.I. nella sezione<br />

del testo unico che detta la normativa processuale.<br />

Il procedimento di descrizione è un procedimento<br />

cautelare ed urgente concesso al titolare di un diritto<br />

industriale, il quale può chiedere al giudice competente<br />

che sia disposta la descrizione degli oggetti<br />

costituenti violazione di tale diritto, tramite condotte<br />

di contraffazione e commercializzazione di<br />

prodotti che imitano servilmente marchi registrati,<br />

nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi<br />

e degli elementi di prova concernenti la<br />

denunciata violazione e la sua entità.<br />

La suddetta istanza si propone con ricorso al presidente<br />

della sezione specializzata del tribunale competente<br />

per il giudizio di merito, ai sensi dell'articolo<br />

120 del testo unico, il quale detta i principi in<br />

ordine al riparto di competenza della materia.<br />

Dopo il deposito del ricorso, il presidente della<br />

sezione specializzata fissa con decreto l'udienza di<br />

comparizione e stabilisce il termine perentorio per<br />

la notificazione del decreto.<br />

Lo stesso giudice, sentite le parti e assunte, quando<br />

occorre, sommarie informazioni, provvede con<br />

ordinanza non impugnabile e, se dispone la descrizione,<br />

indica le misure necessarie da adottare per<br />

garantire la tutela delle informazioni riservate e<br />

autorizza l'eventuale prelevamento di campioni<br />

degli oggetti la cui produzione integra la possibile<br />

violazione del diritto d’autore.<br />

Tuttavia l’instaurazione del contraddittorio potrebbe<br />

compromettere l’esito veritiero della descrizione,<br />

in quanto la parte che potrebbe avere violato il<br />

diritto d’autore ben potrebbe occultare o distruggere<br />

le prove e gli oggetti in ordine ai quali è stata<br />

commessa la denunciata violazione.<br />

Ne consegue che la norma, quando la convocazione<br />

della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione<br />

del provvedimento, prevede che il giudice<br />

provveda sull'istanza con decreto motivato, in deroga<br />

alla regola generale, e faccia eseguire l’accertamento<br />

della descrizione inaudita altera parte.<br />

In concreto il giudice, dopo avere motivata congruamente<br />

sulla opportunità, se non persino sulla<br />

necessità che la descrizione avvenga a sorpresa, nel<br />

decreto che autorizza la descrizione stessa nomina<br />

un consulente tecnico d’ufficio e ne indica espressamente<br />

le competenze, come, per esempio, quella<br />

di prelevare prodotti, enumerarli, fotografarli,<br />

riprenderli, nonché accedere alle scritture contabili<br />

per rilevare chi abbia ceduto la merce poi trasformata<br />

in prodotto che violi il marchio o il numero ed<br />

il prezzo di vendita dei suddetti prodotti.<br />

Con l'ordinanza o con il decreto di accoglimento,<br />

ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio<br />

della causa di merito, il giudice deve fissare un termine<br />

perentorio non superiore a trenta giorni dalla<br />

data della conclusione delle operazioni per l'inizio<br />

del conseguente giudizio di merito, in quanto si<br />

tratta pur sempre di un procedimento cautelare che<br />

ha lo scopo di cristallizzare la prova dell’avvenuta<br />

violazione del diritto d’autore.<br />

Afferma la giurisprudenza che, ricorrendo i presupposti<br />

del “fumus boni juris” e del “periculum in<br />

mora”, al fine di acquisire la prova della violazione<br />

dei diritti esclusivi su opere tutelate da privative<br />

industriali e dalla legge sul diritto d'autore, può<br />

essere concessa la misura della descrizione “inaudita<br />

altera parte”, che si deve eseguire sugli oggetti<br />

asseriti in contraffazione e su quelli aventi caratteristiche<br />

simili a quelli riportati nel catalogo del titolare<br />

dei diritti, nonché su tutti gli altri elementi di<br />

prova concernenti la denunciata violazione e la sua<br />

entità, quale la documentazione contabile di acquisto<br />

e di vendita dell'oggetto contraffatto e che la<br />

tutela delle informazioni riservate del resistente, di<br />

cui all'art. 128 comma 4 D.Lgs. 10 febbraio 2005 n.<br />

30 (Codice della Proprietà Industriale), è applicabile<br />

per analogia anche alle misure cautelari dirette<br />

ad acquisire la prova della violazione di diritti d'au-<br />

DOTTRINA<br />

105


DOTTRINA<br />

tore (Trib. Torino 6 ottobre 2005 in Dir. Autore, 2006,<br />

4, 569; Trib. Palermo, 24 agosto <strong>2007</strong>, inedito).<br />

Il provvedimento perde di efficacia se non è eseguito<br />

nel termine di cui all'articolo 675 del codice<br />

di procedura civile e quindi entro trenta giorni dalla<br />

pronuncia, che va fatta coincidere con la data del<br />

deposito e non con quella dell’emanazione materiale<br />

del provvedimento, anziché dalla comunicazione<br />

del suo avvenuto deposito da parte della<br />

Cancelleria.<br />

La dottrina spiega questa indicazione temporale<br />

con l’assimilazione del provvedimento di descrizione<br />

al sequestro, istituto al quale la suddetta<br />

norma si riferisce, e con la attribuzione dell’onere<br />

di informazione sul deposito del provvedimento<br />

sulla parte istante, alla quale il procedimento di<br />

descrizione è consentito proprio a cagione della<br />

necessità di provvedere con immediatezza alla definizione<br />

della prova del giudizio di merito.<br />

La procedura di descrizione presenta quindi notevoli<br />

affinità con l’accertamento tecnico preventivo,<br />

del quale costituisce una specie particolare per<br />

oggetto e competenza giudiziale.<br />

L’appartenenza del procedimento di descrizione al<br />

genere dei procedimenti cautelari trova una ulteriore<br />

conferma nel fatto che alla descrizione si applica<br />

altresì il disposto dell'articolo 669-undicies del<br />

codice di procedura civile, il quale consente al giudice<br />

di imporre una cauzione all’istante allo scopo<br />

di garantire alla controparte, che avesse ragione,<br />

l’eventuale e conseguente risarcimento dei danni.<br />

La legittimazione attiva appartiene pacificamente<br />

al titolare del marchio contraffatto; quella passiva<br />

spetta invece sia al soggetto che realizza i prodotti<br />

contraffatti sia ai soggetti che intervengono a qualsiasi<br />

titolo nel successivo procedimento di loro distribuzione<br />

e commercializzazione, senza tuttavia<br />

comportare un litisconsorzio necessario che impone<br />

l’integrazione del contraddittorio con tutte le<br />

parti del suddetto processo e si traduce, in concreto,<br />

in uno svantaggio temporale e materiale per la<br />

parte istante, che deve individuare soggetti che<br />

spesso operano in illecita clandestinità se non persino<br />

all’estero e fuori dall’Unione Europea (VAN-<br />

ZETTI – DI CATALDO, Manuale di Diritto<br />

Industriale, Milano, 2005, 504).<br />

3. La procedura di descrizione viene diretta dall’ufficiale<br />

giudiziario, il quale deve immettere il consulente<br />

tecnico d’ufficio nella disponibilità dei luoghi<br />

e delle cose oggetto della descrizione stessa.<br />

Contestualmente l’ufficiale giudiziario deve prov-<br />

Diritto commerciale<br />

vedere alla redazione di un verbale nel quale vengano<br />

indicate le operazioni compiute e le cose allegate<br />

dal consulente tecnico d’ufficio.<br />

La parte che subisce la descrizione ha soltanto la<br />

facoltà di nominare un proprio consulente tecnico<br />

di parte subito dopo la notifica del provvedimento<br />

del giudice, in caso di decreto, o prima dell’udienza<br />

di comparizione delle parti, in caso di ordinanza.<br />

4. La parte istante deve quindi iniziare il giudizio di<br />

merito che l’art. 134 del testo unico ha sinora previsto<br />

che debba svolgersi nelle forme del rito societario<br />

dettato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5.<br />

Su questa norma la giurisprudenza di merito, sia<br />

pure con pronunce in prevalenza adesive (Trib.<br />

Venezia, 18 gennaio 2006, in Giur. It., 2006, 12,<br />

2366) aveva manifestato alcune perplessità, specialmente<br />

in ordine alla sua applicazione tout court,<br />

a cagione della concorrenza apparente con l'art.<br />

156, comma 3, l. n. 633 del 1941, modificato dal<br />

D.Lgs. 16 marzo 2006, n. 140, per le azioni a tutela<br />

del diritto d'autore, il quale rinvia espressamente<br />

alle "disposizioni del codice di procedura civile"<br />

nei casi in cui non ci sia interferenza o connessione<br />

con i profili concorrenziali (Trib. Bari, sez. V, 12<br />

marzo <strong>2007</strong>, in Giur. Mer., 6, 1623; Trib. Torino,<br />

sez. XI, 16 novembre 2006, inedita), sino a sollevare<br />

la questione di legittimità costituzionale (Trib.<br />

Napoli, 12 aprile 2006, in Corriere del Merito,<br />

2006, 6, 707).<br />

La Consulta ha quindi recentemente dichiarato<br />

costituzionalmente illegittimo, per essere stato<br />

emanato in difetto di delega in violazione dell'art.<br />

76 cost., l'art. 134, comma 1, D.Lgs. 10 febbraio<br />

2005 n. 30 (Codice della Proprietà Industriale),<br />

nella parte in cui stabilisce che nei procedimenti<br />

giudiziari in materia di proprietà industriale e di<br />

concorrenza sleale, la cui cognizione è delle sezioni<br />

specializzate, quivi comprese quelle che presentano<br />

ragioni di connessione anche impropria, si<br />

applicano le norme dei capi I e IV del titolo II e<br />

quelle del titolo III del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n.<br />

5, recante il c.d. "rito societario". (Corte<br />

Costituzionale, 17 maggio <strong>2007</strong>, n. 170).<br />

Sulla struttura e sulla disciplina del procedimento<br />

di descrizione, tuttavia, le questioni inerenti la<br />

forma del rito del giudizio ordinario successivo non<br />

incidono in alcun modo, sicché esso resta uno strumento<br />

nuovo e valido per costituire la prova della<br />

contraffazione del marchio il cui utilizzo concreto,<br />

nei tempi attuali, andrà certamente e purtroppo<br />

assumendo uno spazio sempre maggiore.<br />

106 3/<strong>2007</strong>


Diritto dell’informatica<br />

Protezione dei consumatori nelle transazioni<br />

commerciali elettroniche. Una prima comparazione<br />

tra il diritto europeo e quello islamico<br />

(Versione italiana della relazione presentata nella<br />

prima Conferenza Internazionale su Legal, Security<br />

and Privacy Issues in IT – LSPI 2006, Amburgo,<br />

Germania, 30 Aprile – 3 Maggio 2006, e pubblicata<br />

in lingua inglese nel Volume I di CompLex 3/06).<br />

di Salvatore Mancuso<br />

Professore di Sistemi Giuridici Comparati e Diritto<br />

Commerciale Internazionale, Università di Macao;<br />

Avvocato in Milano.<br />

1. Un approccio al problema<br />

Internet, nato ed utilizzato in un primo tempo come<br />

strumento di scambio di conoscenze ed informazioni<br />

tra istituzioni di diversa natura e centri di ricerca,<br />

é oggi divenuto uno strumento fondamentale per lo<br />

svolgimento delle attività commerciali e per lo<br />

scambio di beni e servizi, con la conseguenza del<br />

posizionamento di un mercato virtuale accanto a<br />

quello tradizionale.<br />

I numeri sono significativi: secondo una stima<br />

approssimativa già risalente ad alcuni anni fa “a partire<br />

sostanzialmente da zero nel 1995, il commercio<br />

elettronico totale (globale) ha un valore stimato in<br />

circa 26 bilioni di dollari per il 1997; con una crescita<br />

stimata fino a 330 bilioni di dollari e fino a 1<br />

trilione nel 2003-05” (1) . Nell’Unione Europea previsioni<br />

simili sono in linea con la crescita appena<br />

menzionata, con un calcolo del reddito proveniente<br />

dal commercio on line da circa 3,5 bilioni di Euro<br />

nel 1999 a circa 45 bilioni di Euro per il 2002(2). .<br />

Mentre all’inizio circa l’85% delle transazioni commerciali<br />

elettroniche erano del tipo business to business,<br />

il rapporto é rappidamente mutato in favore<br />

delle transazioni business to consumer, dal momento<br />

che l’acquisto di beni e servizi on-line può fornire<br />

al consumatore una scelta più ampia di opportunità<br />

a prezzi inferiori, mentre i fornitori, ed in particolare<br />

quelli di dimensioni piccole e medio-piccole,<br />

possono avere accesso a maggiori opportunità di<br />

3/<strong>2007</strong><br />

mercato a costi telativamente più bassi(3). .<br />

Differenti settori produttivi h<strong>anno</strong> guadagnato un<br />

maggiore successo grazie alla distribuzione in forma<br />

elettronica. Il successo delle transazioni elettroniche<br />

attraverso l’uso di internet é basato sull’opportunità<br />

per il cliente di accostarsi ad un’ampia gamma di<br />

offerte senza il vincolo degli orari lavorativi, di<br />

comparare contemporaneamente e con facilità differenti<br />

siti che offrono servizi identi o intercambiabili,<br />

ed inoltre l’opportunità di trovare e valutare informazioni<br />

adeguate al fine di effettuare una scelta<br />

soddisfacente senza avere contatti diretti con personale<br />

addetto alle vendite.<br />

I differenti settori dove le transazioni elettroniche si<br />

sono sviluppati h<strong>anno</strong> elaborato un’ampia area operativa<br />

attraverso l’utilizzo delle possibilità offerte<br />

dall’uso di internet. Le implicazioni giuridiche nei<br />

vari settori del commercio elettronico sono caratterizzate<br />

dalle peculiarità dell’uso degli strumenti dell’e-commerce<br />

da un lato, e dall’oggetto delle transazioni<br />

giuridiche effettuate attraverso l’uso di internet<br />

dall’altro.<br />

La conclusione di contratti attravarso internet ha<br />

rappresentato una reale innovazione nell’area del<br />

diritto dei contratti tradizionale, e la questione principale<br />

é stata considerata la mancanza degli strumenti<br />

normalmente utilizzati per l’espressione della<br />

volontà contrattuale.<br />

Sebbene la “volontà elettronica” difetti di un’esteriorizzazione<br />

verbale o para-linguistica, essa rappresenta<br />

comunque una “lingua” (4). differente da<br />

quella tradizionale ma comunque idonea ad esprimere<br />

l’intenzione del dichiarante in una forma giuridicamente<br />

vincolante. Pertanto, sia nel mondo<br />

reale che in quello virtuale il procedimento per la<br />

conclusione del contratto rimane chiuso entro l’incontro<br />

tra la proposta contrattuale e la sua accettazione,<br />

ma la peculiarità di quest’ultimo é data dal<br />

fatto che le parti non sono presenti nello stesso posto<br />

ma si trovano in luoghi spesso estremamente differenti<br />

con l’utilizzo di internet a costituire l’unico<br />

strumento di contatto.<br />

Le caratteristiche di questo tipo di accordi e la differenza<br />

in termini di forza contrattuale tra le parti<br />

(1) OECD, The Economic and Social Impact of Electronic Commerce: Preliminary Findings and Research Agenda, Report preparato dal<br />

Segretario Generale della Conferenza Ministeriale di Ottawa, “A Borderless World: Realising the Potential for Global Electronic Commerce”<br />

(OECD, 1998).<br />

(2) Boston Consulting Group, The Race for Online Riches – E-retailing in Europe (Boston Consulting Group, 1999).<br />

(3)G. PEARCE e N. PLATTEN, Promoting the Information Society: The EU Directive on Electronic Commerce, in (2000) 6 European Law<br />

Journal, n. 4, pp. 363-378.<br />

(4) Sull’uso di forme differenti per l’espressione della volontà contrattuale v. N. IRTI, Scambi senza accordo, in (1998) Riv. Trim. Dir. Proc.<br />

Civ., p. 350; più in generale sulle differenti forme di espressione delle regole giuridiche v. R. SACCO, Mute law in (1995) 43 Am. J. Comp.<br />

Law, p. 455.<br />

DOTTRINA<br />

107


DOTTRINA<br />

h<strong>anno</strong> spinto gli studiosi a considerare il problema<br />

della protezione dei consumatori come particolarmente<br />

rilevante in questo settore.<br />

I l tema dei contratti del consumatore costituisce<br />

oggi il punto di incontro del contrasto tra la tradizionale<br />

sufficienza dell’uguaglianza formale delle<br />

parti contrattuali e la necessità di un più ampio controllo<br />

sul reale bilanciamento contrattuale. Per questo<br />

motivo la negoziazione elettronica evidenzia la<br />

necessità di una protezione del consumatore ai più<br />

alti livelli. In breve, può essere ricordato che la posizione<br />

del consumatore al momento della conclusione<br />

del contratto necessita di essere rinforzata rispetto<br />

a quella del fornitore: il consumatore aderisce ad<br />

una proposta contrattuale non modificabile effettuata<br />

dal fornitore e molto spesso – specialmente quando<br />

il consumatore conduce la negoziazione da casa<br />

– egli non ha la possibilità di procurarsi adeguate<br />

informazioni sui beni o servizi per il quale egli sta<br />

concludendo il contratto, il che sarebbe normalmente<br />

necessario per formare il proprio consenso alla<br />

stipula di quel contratto.<br />

2. La visione secondo il diritto europeo<br />

Come si é appena rilevato, due sono gli aspetti particolarmente<br />

critici nell’area dei contratti del consumatore:<br />

la normale impossibilità di negoziare il contenuto<br />

dell’accordo e la possibile mancanza per il<br />

consumatore dell’opportunità di riflettere al<br />

momento dell’espressione della sua dichiarazione di<br />

volontà.<br />

La caratteristica del primo elemento é costituita da<br />

un margine di manovra praticamente nullo: la standardizzazione<br />

é, infatti, un aspetto essenziale dei<br />

contratti di massa, permettendo una netta riduzione<br />

dei costi contrattuali.<br />

In ogni caso, un compromesso al fine di evitare per<br />

il consumatore gli effetti pregiudizievoli della standardizzazione<br />

é fornito dalla Direttiva CEE 93/13<br />

del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei<br />

contratti stipulati con i consumatori prevedendo che<br />

“Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto<br />

di negoziato individuale, si considera abusiva se,<br />

malgrado il requisito della buona fede, determina, a<br />

d<strong>anno</strong> del consumatore, un significativo squilibrio<br />

dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal<br />

contratto” (5) .<br />

Conseguentemente il legislatore europeo richiede<br />

(5) V. Art. 3, n. 1, della Direttiva CEE 93/13.<br />

(6) V. Art. 6, n. 1, della Direttiva CEE 93/13.<br />

Diritto dell’informatica<br />

“[...] che le clausole abusive contenute in un contratto<br />

stipulato fra un consumatore ed un professionista<br />

non vincolano il consumatore, [...], e che il<br />

contratto resti vincolante per le parti secondo i<br />

medesimi termini, sempre che esso possa sussistere<br />

senza le clausole abusive”(6) .<br />

Detta Direttiva non effettua alcuna differenza con<br />

riguardo al tipo di conclusione del contratto, ed é<br />

pertanto necessario verificare se nei termini e condizioni<br />

contrattuali standard del contratto elettronico<br />

predisposti dal fornitore e trasmessi al consumatore<br />

sia presente o meno qualche clausola qualificabile<br />

come abusiva ai sensi della Direttiva.<br />

Con riferimento al secondo aspetto, quello della<br />

piena libertà ed informazione del consumatore nel<br />

processo di formazione della volontà di stipulare un<br />

determinato contratto, quando la negoziazione é<br />

assente ed é sostituita da un semplice assenso ad una<br />

proposta standard ed immodificabile – come nel<br />

caso dei contratti elettronici – é sembrato più efficiente<br />

ed appropriato fornire al consumatore una<br />

protezione successiva alla conclusione del contratto<br />

offrendo la possibilità di riconsiderare il contratto<br />

stipulato. Questa necessità é stata riconosciuta in<br />

generale dal legislatore europeo attravberso la<br />

Direttiva CEE 97/7 del 20 maggio 1997 sulla protezione<br />

dei consumatori con riferimento ai contratti<br />

stipulati a distanza ed attraverso svariate altre<br />

Direttive emanate con riferimento a settori specifici.<br />

Inoltre, il legislatore europeo aveva già emanato la<br />

Direttiva CEE 85/577 del 20 dicembre 1985 per la<br />

tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati<br />

fuori dei locali commerciali creando una regolamentazione<br />

di protezione del consumatore che<br />

impone speciali obblighi di informazione a carico<br />

del fornitore e riconoscendo al consumatore il diritto<br />

di recedere dal contratto a determinate condizioni.<br />

Peraltro, la Direttiva CEE 97/7/ sulla protezione<br />

dei consumatori con riferimento ai contratti stipulati<br />

a distanza ha dato origine ad alcuni problemi di<br />

armonizzazione con la Directive 85/577.<br />

Il modello che é stato tenuto in considerazione per<br />

questa Direttiva é quello della vendita senza alcun<br />

tipo di negoziazione, quando il consumatore “sopporta”<br />

le condizioni contrattuali senza alcuna possibilità<br />

di valutarle o modificarle. Questo é il motivo<br />

per cui il cuore di questa disciplina é rappresentato<br />

dal diritto di recesso e dall’obbligo per il fornitore di<br />

informare il consumatore dell’esistenza di questo<br />

diritto.<br />

108 3/<strong>2007</strong>


Diritto dell’informatica<br />

Il commercio elettronico non é esspressamente<br />

menzionato nell’Art. 1 della Direttiva 85/577 nel<br />

suo campo di applicazione, ma l’Art. 1, n. 4 della<br />

medesima Direttiva prevede che “La presente direttiva<br />

si applica anche alle offerte contrattuali effettuate<br />

dal consumatore in condizioni analoghe a<br />

quelle specificate al paragrafo 1 o al paragrafo 2, nel<br />

caso in cui il consumatore sia vincolato alla propria<br />

offerta” ed in principio questo potrebbe essere il<br />

caso del commercio elettronico. Inoltre, i contratti<br />

elettronici sono indubbiamente contratti negoziati<br />

fuori dai locali commerciali, per cui non dovrebbe<br />

esserci problema alcuno ad estendere l’applicazione<br />

di detta direttiva anche a questo tipo di contratti,<br />

anche se conclusi attraverso e-mail.<br />

In ogni caso non vi sono dubbi sulla possibilità di<br />

estendere ai contratti elettronici l’applicazione della<br />

Direttiva 97/7 sulla protezione dei consumatori con<br />

riferimento ai contratti stipulati a distanza.<br />

I contratti elettronici sono indubbiamente contratti a<br />

distanza: la conclusione elettronica del contratto<br />

inserisce questa tipologia contrattuale nell’area dei<br />

contratti stipulate mediante l’utilizzo di strumenti di<br />

comunicazione a distanza (internet) e pertanto nell’ambito<br />

dei contratti a distanza(7) Inoltre, la direttiva<br />

europea sull’e-commerce salvaguarda espressamente<br />

l’applicazione della direttiva sui contratti a<br />

distanza, come verrà meglio illustrato in seguito.<br />

Con riferimento ai contratti elettronici occorre fare<br />

riferimento alla Direttiva CEE 2000/31 dell’8 giugno<br />

2000 sul commercio elettronico(8) , emanata<br />

con l’obiettivo di creare un quadro giuridico per il<br />

commercio elettronico con l’obiettivo di raggiungere<br />

un bilanciamento tra gli interessi commerciali e la<br />

necessità di proteggere i diritti dei consumatori(9) .<br />

Questa Direttiva contiene specifiche disposizioni<br />

con riguardo alle informazioni che devono essere<br />

fornite (Art. 10), la trasparenza nella quale il consumatore<br />

deve prestare il proprio pieno ed informato<br />

consenso (Art. 11) e deve essere cosciente degli<br />

strumenti disponibili per recedere dal contratto (Art.<br />

18 and 20) (10) .<br />

Con particolare riguardo al dovere di informazione,<br />

l’Art. 10 di detta Direttiva elenca i requisiti minimi<br />

3/<strong>2007</strong><br />

in termini di informazione da fornire ai consumatori.<br />

Il comma 3 é di particolare importanza: come si é<br />

appena sottolineato, una delle preoccupazioni principali<br />

nell’area dei contratti elettronici é rappresentata<br />

dall’impossibilità per il consumatore di negoziare<br />

termini e condizioni dell’accordo che dovrebbe<br />

stipulare con il fornitore. Pertanto la direttiva<br />

europea richiede che il fornitore debba rendere disponibili<br />

al consumatore termini e condizioni del<br />

futuro accordo in maniera tale che egli possa leggerli,<br />

riprodurli e stamparli, e tale obbligo é altresì<br />

valido per i contratti conclusi attraverso lo scambio<br />

di e-mails.<br />

Direttamente connessa con la questione dell’informazione<br />

da fornire al consumatore é quella della<br />

pubblicità. Questa materia era stata già affrontata<br />

dal legislatore europeo prima dellaDirettiva sull’ ecommerce<br />

attraverso la Direttiva CEE 1984/450<br />

relativa al ravvicinamento of the laws, regulations<br />

and administrative provisions degli Stati membri in<br />

tema di pubblicità ingannevole e la successiva<br />

Direttiva CEE 1997/55 relativa alla pubblicità<br />

ingannevole per includervi la complicità comparativa;<br />

ed in questo scenario si inserisce la Direttiva sull’e-commerce<br />

che si occupa della pubblicità on-line.<br />

L’Art. 6 della Direttiva prevede i requisiti minimi<br />

per la pubblicità commerciale on-line, mentre il successivo<br />

Art. 7 cerca di stabilire alcune misure per<br />

prevenire, o almeno porre freno a casi indesiderati di<br />

spamming.<br />

Sebbene detta Direttiva sia stata emanata con l’obiettivo<br />

di creare un ambiente affidabile e protettivo<br />

per i consumatori nelle transazioni elettroniche, essa<br />

non contiene alcuna disposizione in tema di diritto<br />

di recesso in favore del consumatore(11) . La<br />

Direttiva Europea 2000/31 sul commercio elettronico,<br />

infatti, ha adottato questo tipo di approccio senza<br />

prevedere alcuna forma generale di diritto di recesso<br />

in favore del consumatore nei contratti elettronici.<br />

Inoltre la Direttiva fa espressamente salva(12) l’applicazione<br />

di specifici atti comnitari di protezione<br />

dei diritti dei consumatori, facendo espresso riferimento<br />

alla direttiva 93/13sulle clausole abusive nei<br />

(7) Con riferimento ai contratti elettronici quali contratti a distanza v. R. J. VASQUEZ GARCIA, La Contratación en Internet, in J. L. PERA-<br />

LES SANZ (ed.), La Seguridad Jurídica en las Transacciones Electrónicas, Madrid, 2002, p. 137; e con particolare riferimento ai contratti<br />

del settore turistico cfr. C. VIGNALI, La prenotazione telematica nell’ambito turistico, in V. FRANCESCHELLI (ed.), Commercio elettronico,<br />

Milano, 2001.<br />

(8) Direttiva CEE 2000/31, “On Certain Legal Aspects of Information Society Services, in Particular Electronic Commerce, in the Internal<br />

Market (Directive on Electronic Commerce)”.<br />

(9) Cfr, in particolare, i considerando nn. 7, 22, 29, 41, 55 e 56 della Direttiva CEE 2000/31.<br />

(10) G. PEARCE e N. PLATTEN, op. cit. supra.<br />

(11) Sull’inadeguato livello di protezione offerto ai consumatori dalla Direttiva 2000/31 v. A.L. DIAS PEREIRA, Comércio Electrónico na<br />

Sociedade da Informação: da Segurança Técnica à Confiança Jurídica, Coimbra, 1999, che criticava la Direttiva già a livello di proposta.<br />

(12) V. il considerando n. 11 della Direttiva CEE 2000/31.<br />

DOTTRINA<br />

109


DOTTRINA<br />

contratti dei consumatori ed alla Direttiva 97/7 sulla<br />

protezione dei consumatori nei contratti a distanza.<br />

Pertanto il consumatore che decida di recedere da un<br />

contratto elettronico dovrebbe esercitare tale possibilità<br />

rispettando i requisiti previsti nella Direttiva<br />

sui contratti a distanza, assicurandosi che detto diritto<br />

sia esercitato nel termine minimo (7 giorni) previsto<br />

dall’Art. 6 della Direttiva, per evitare qualsiasi<br />

problema derivante dall’implementazione della<br />

Direttiva nei singoli Stati membri.<br />

Da questo breve excursus si può evincere come il<br />

quadro normativo europeo di protezione del consumatore<br />

in caso di contratti stipulati con l’utilizzo<br />

dello strumento elettronico appaia estremamente<br />

frammentato. Il legislatore europeo ha emanato una<br />

direttiva quadro sul commercio elettronico, ma alcune<br />

delle problematiche più rilevanti derivanti da<br />

questo tipo di transazioni possono essere risolte soltanto<br />

attraverso l’utilizzo di altre disposizioni rinvenibili<br />

in strumenti giuridici differenti.<br />

3. Diritto islamico e commercio elettronico<br />

Ogni studioso che si avvicini al diritto islamico<br />

si imbatte immediatamente con l’estrema complessità<br />

del suo diritto commerciale, che appare<br />

subito alquanto differente rispetto all’approccio<br />

occidentale nella stessa branca del diritto. Ciò é<br />

principalmente dovuto al differente livello delle<br />

fonti giuridiche: il Profeta era un mercante impegnato<br />

in pratiche commerciali, ed egli ne ha espressamente<br />

alcune e proibito altre. Alcune di queste<br />

prescrizioni sono contenute nel Corano, e conseguentemente<br />

h<strong>anno</strong> lo status di comandi divini validi<br />

in ogni tempo; mentre altri sono contenuti nelle<br />

Sunnah, ovvero resoconti autentici sugli atti e la<br />

parola del Profeta. Pertanto un gran numero di principi<br />

del diritto commerciale islamico sono costituiti<br />

da prescrizioni sacre per le quali é ammesso un margine<br />

di interpretazione estremamente ristretto(13) .<br />

Conseguentemente é facile per il giurista non avvezzo<br />

sottostimare la difficoltà di applicazione i principi<br />

del diritto islamico classico alle moderne trans-<br />

Diritto dell’informatica<br />

azioni commerciali senza tenere in debito conto le<br />

osservazioni appena menzionate.<br />

Anche se il diritto islamico in generale e quello<br />

commerciale in particolare sono caratterizzati da un<br />

elevato livello di formalismo e complessità, questo<br />

non impedisce di verificare la possibilità di estenderne<br />

la sua applicazione alle transazioni commerciali<br />

dove l’utilizzo delle nuove tecnologie rappresenta<br />

la caratteristica principale. La questione<br />

diventa quindi se i cambiamenti richiesti dalle<br />

necessità proprie dell’e-commerce siano o meno<br />

compatibili con il diritto della Shari’a.<br />

La Shari’a raccomanda fortemente la ricerca della<br />

conoscenza. Esistono differenti esempi di simili prescrizioni<br />

in molte Sure del Corano(14) . Ciò é altresì<br />

molto chiaro in alcuni detti del Profeta Maometto.<br />

In uno Egli dice: “Colui che cerca la conoscenza in<br />

qualsiasi modo sarà condotto da Dio in Paradiso, e<br />

gli angeli porr<strong>anno</strong> le loro ali su di lui” (15) ; in<br />

un’altra egli dice inolte: “Colui che cerca la conoscenza<br />

sarà doppiamente considerato da Dio se raggiunge<br />

i suoi obiettivi, e sarà considerato una volta<br />

se non vi riesce” (16) .<br />

Tali versi del Corano e le Sunnah del Profeta maometto<br />

mostrano chiaramente l’importanza di raggiungere<br />

ed usare correttamente la conoscenza.<br />

Pertanto non esiste nulla nella Shari’a che – in principio<br />

– impedisca l’acquisizione della conoscenza<br />

avanzata derivante dall’uso delle nuove tecnologie e<br />

il suo utilizzo a beneficio e per la prosperità degli<br />

uomini. La Shari’a non fa alcuna differenza tra i differenti<br />

tipi di tecnologie, ammettendole così tutte,<br />

incluse quelle necessarie per le transazioni elettroniche;<br />

quindi le tecnologie di comunicazione elettronica<br />

non violano i precetti della Shari’a(17) .<br />

Questo principio, basato su alcune delle Sure del<br />

Corano e sulle Sunnah sopra citate, é inoltre confermato<br />

in virtù del principio del Al Asle Al-Ebaha,<br />

uno dei prncipi più importanti della Shari’a, secondo<br />

cui una delle regole base dell’islam é che tutto é<br />

permesso, eccetto quello che é espressamente vietato.<br />

Un tale approcccio si sposa inoltre con i tentativi<br />

di ripensare i concetti sviluppati attraverso il pro-<br />

(13) J.K. WINN, Islamic Law, Globalization and Emerging E-Commerce Technologies, in The International Bureau of the Permanent Court<br />

of Arbitration (ed.), The PCA/Peace Palace Papers, “Strengthening Relations with Arab and Islamic Countries Through International Law:<br />

E-Commerce, the WTO Dispute Settlement Mechanism and Foreign Investment”, Kluwer, …, 2002.<br />

(14) Per esempio, nella Sura Al Alaq 96:1-5 “Leggere” é la prima parola delle Rivelazioni del Profeta per dirigere i musulmani nell’acquisizione<br />

della conoscenza; nella Sura Fater 35:28 si dice: “Tra i suoi servi, colui che ha la conoscenza sarà esaltato da Dio …”; ma altri esempi<br />

potrebbero essere citati.<br />

(15) Collection of Sunan Abu Dawud, n. 3157, in HADITH ENCYCLOPEDYA (Harf Information Technology).<br />

(16) Collection of Sunan Al-Darimi, n. 339, in HADITH ENCYCLOPEDYA cit.<br />

(17) M.I.M. ABOUL-ENEIN E-Commerce Through the Lens of Shari’a Law, in The International Bureau of the Permanent Court of<br />

Arbitration (ed.), The PCA/Peace Palace Papers, “Strengthening Relations with Arab and Islamic Countries Through International Law: E-<br />

Commerce, the WTO Dispute Settlement Mechanism and Foreign Investment”, cit.<br />

110 3/<strong>2007</strong>


Diritto dell’informatica<br />

gresso umano con le lenti del Corano e delle<br />

Sunnah(18) .<br />

Una tale conclusione costituisce soltanto il punto di<br />

partenza in merito alle implicazioni giuridiche dell’e-commerce<br />

secondo il diritto islamico, dal<br />

momento che l’utilizzo degli strumenti dell’e-commerce<br />

ha sollevato alcuni problemi da esamnarsi<br />

secondo i principi e le previsioni della Shari’a.<br />

É già stato chiarito che lo sviluppo dell’e-commerce<br />

é basato sull’affidabilità del suo ambiente operativo.<br />

Le parti coinvolte nelle sue transazioni dovr<strong>anno</strong><br />

conseguentemente fidarsi con riferimento ad una<br />

serie di questioni tra le quali si <strong>anno</strong>vera certamente<br />

quella della validità e della eseguibilità degli accordi<br />

stipulati in tal modo, l’integrità e la completezza<br />

delle informazioni, la confidenzialità, la sicurezza<br />

degli strumenti utilizzati per stipulare l’accordo, la<br />

protezione della parte più debole, il diritto di regresso<br />

nei casi di inadempimento. L’obiettivo é quindi di<br />

creare un ambiente giuridico idoneo prevedendo<br />

tutte le possibili soluzioni per superare i problemi<br />

che possono influenzare le transazioni commerciali<br />

elettroniche.<br />

La questione é dunque quella di verificare se gli<br />

strumenti giuridici utilizzati per regolamentare i<br />

contratti dell’e-commerce siano o meno in conflitto<br />

con qualche principio o previsione contenuto nella<br />

Shari’a.<br />

Il tradizionale requisito del documento scritto con la<br />

sottoscrizione di tutte le parti contrattuali, l’autenticicità<br />

di dette sottoscrizioni talvolta richiesta per la<br />

validità del contratto stipulato, la necessità di registrare<br />

il contratto o altri documenti o informazioni<br />

per iscritto per fini legali o amministrativi, spesso<br />

richiesta sia in un gran numero di sistemi giuridici<br />

che in alcune convenzioni internazionalirelative al<br />

commercio internazionale, sono tutti ostacoli da<br />

superare per svilupppare correttamente le transazioni<br />

commerciali elettroniche. É pertanto necessario<br />

emanare in detti sistemi giuridici leggi idonee per<br />

effettuare tutti i cambiamenti necessari per conferire<br />

3/<strong>2007</strong><br />

valore adeguato ai documenti ed alle sottoscrizioni<br />

elettroniche considerandoli giuridicamente validi.<br />

Al fine di affrontare questo argomento secondo il<br />

diritto islamico occorre verificare se la Shari’a richiede<br />

le forme tradizionali di scrittura e sottoscrizione<br />

del contratto quali requisiti necessari per la validità<br />

del contratto, sia esso interno o internazionale.<br />

Occorre dire subito che nel diritto islamico non esiste<br />

una categoria giuridica comparabile al concetto occidentale<br />

del diritto delle obbligazioni(19) .<br />

Il contratto nel diritto islamico può essere definito<br />

come il risultato dell’incontro tra una proposta formulate<br />

in senso positivo (___b) effettuata da uno dei<br />

contraentie la sua accettazione (qab_l) ad opera dell’altro<br />

contraente in maniera da influenzare l’oggetto<br />

del contratto: l’incontro tra ___b e qab_l perfeziona<br />

il contratto(20) .<br />

In generale il diritto islamico non consente la libertà<br />

contrattuale (intesa nel senso ampio di freedom of<br />

contract), ma permette alle parti una certa autonomia<br />

nell’ambito dei tipi contrattuali già predeterminati.<br />

Tra essi il contratto di compravendita (bay_)<br />

viene definito come uno scambio di beni mobili o<br />

immobili(21) . Se esaminiamo le dottrine dell’islam<br />

troviamo che nessuna di esse richiede formalità<br />

solenni(22) come il documento scritto o sottoscritto<br />

per stipulare qualsiasi tipi di contratto commerciale(23)<br />

. Il contratto si considera concluso con<br />

l’incontro delle dichiarazioni delle parti; si considera<br />

altresì concluso quando le parole di una delle<br />

parti si combinano con un comportamento dell’altra<br />

parte che dimostri l’intenzione dell’altra parte, come<br />

un segnale, un’ammissione, uno scritto(24) .<br />

Secondo il siritto islamico il contratto di compravendita<br />

si considera concluso (t_mm) semplicemente<br />

attraverso la reciproca presa di possesso<br />

(taq_bud) dei beni scambiati(25) .<br />

Se osserviamo i libri dei giuristi delle differenti<br />

scuole di pensiero islamiche(26) , troveremo un<br />

vasto numero di opinioni differenti, ma nessuna di<br />

esse richiede il tradizionale accordo scritto e sotto-<br />

(18) R. CHARLES, Le droit musulman, Paris, 1956.<br />

(19) V. J. SCHACHT, An Introduction to Islamic Law, Oxford, 1964; R. CHARLES, Le droit musulman, cit.<br />

(20) A. EDDIN KHAROFA, Transactions in Islamic Law, Kuala Lumpur, 2000.<br />

(21) V. J. SCHACHT, op.cit.<br />

(22) R. CHARLES, Le droit musulman, cit.<br />

(23) La sola eccezione a questo principio si ha quando due parti – un creditore ed un debitore – concordano che il debito o l’obbligazione<br />

saraà pagato o adempiuta in futuro o entro un determinato periodo: in tal caso il debito o l’obbligazione dovrà essere registrato in forma<br />

scritta. Ciò é previsto nel Corano, nella Surat Al Baqara 2:282. Anche in questo caso, comunque, non esiste alcun requisito specifico di un<br />

tradizionale documento scritto per la validità di questo tipo di accordo. Pertanto ogni tipo di accordo dcritto idoneo a raggiungere lo scopo<br />

viene considerato sufficiente.<br />

(24) A. EDDIN KHAROFA, Transactions cit.<br />

(25) V. J. SCHACHT, op.cit.; R. CHARLES, in Le droit musulman, cit. definisce il contratto di compravendita come contratto consensuale.<br />

(26) É utile ricordare che sebbene lo spazio di interpretazione delle scritture nel diritto islamico sia estremamente limitato ciò non ha impedito<br />

la nascita di Quattro differenti scuole di pensiero all’interno dell’islam sunnita: la hanafita, la hanbalita, la malekita e la shafita.<br />

DOTTRINA<br />

111


DOTTRINA<br />

scritto come requisito di validità dei contratti commerciali.<br />

Quindi, tutte le scuole islamiche considerano<br />

valida qualsiasi forma dell’accordo purché<br />

rifletta pienamente il consenso delle parti quale strumento<br />

per esprimere correttamente la volontà delle<br />

parti contraenti.<br />

La scuola hanafita consente la conclusione di un<br />

contratto commerciale in qualsiasi modo che rifletta<br />

il consenso delle parti, incluso qualsiasi segnale che<br />

sia comunemente interpretato dalle parti. Il semplice<br />

scambio dei beni oggetto del contratto senza<br />

alcun documento scritto o segnale, o lo scambio verbale<br />

di offerta ed accettazione sono considerati sufficienti.<br />

Anche il silenzio può essere considerato un<br />

valido strumento di espressione della volontà contrattuale<br />

delle parti se le circostanze del caso dimostrino<br />

che il silenzio di una parte che riceva un offerta<br />

o dei beni possa inequivocabilmente essere inteso<br />

come accettazione dell’accordo.<br />

Anche la scuola hanbalita accetta qualsiasi strumento<br />

che riveli il consenso delle parti a stipulare un<br />

determinato contratto.<br />

La scuola malekita considera valido qualsiasi modo<br />

che rifletta la volontà delle parti, se tradizionalmente<br />

accettabile.<br />

Dagli elementi appena menzionati si può ricavare<br />

che il documento scritto tradizionale non costituisce<br />

un requisito per la validità di un contratto commerciale<br />

ai sensi della Shari’a, e pertanto non esiste<br />

alcuna prescrizione nel diritto islamico che richieda<br />

la presentazione di un documento scritto o la registrazione<br />

o la conservazione di informazioni per il<br />

perfezionamento di una transazione commerciale(27)<br />

.<br />

Pertanto non esiste nulla nella Shari’a che impedisca<br />

l’emanazione di una legge che si occupy degli aspetti<br />

peculiari del commercio elettronico richiamati in<br />

precedenza – ed inclusa la responsabilità delle parti<br />

e dei service providers, e la protezione sia della<br />

parte più debole e dei terzi di buona fede – per creare<br />

un ambiente giuridico idoneo allo sviluppo dell’ecommerce.<br />

Per raggiungere questo obiettivo il legislatore può<br />

emanare un atto normative basato sul summenzionato<br />

principio del Al Asle Al Ebaha, considerato che<br />

nella Shari’a non esiste alcun principio che lo proibisca,<br />

ed utilizzando altresì la Al Masaleh Al-<br />

Morsala fonte del diritto islamico che permette l’eamanzione<br />

di leggi che soddisfino gli interessi ed i<br />

(27) M.I.M. See ABOUL-ENEIN, E-Commerce cit.<br />

(28) V. M.I.M. ABOUL-ENEIN, E-Commerce cit., e la bibliografia ivi cit.<br />

(29) V. ancora M.I.M. ABOUL-ENEIN, E-Commerce cit., e la bibliografia ivi cit.<br />

(30) J. SCHACHT, An Introduction cit.<br />

(31) A. EDDIN KHAROFA, Transactions cit.<br />

(32) Questo é il caso, per esempio degli Emirati Arabi.<br />

Diritto dell’informatica<br />

bisogni della gente, purché le stesse non siano in<br />

contrasto con le previsioni del Corano, delle Sunnah<br />

e delle altre fonti del diritto islamico(28) .<br />

Inoltre, tutte le pratiche considerate come buone e<br />

valide consuetudini sono applicabili ai sensi della<br />

Shari’a. In particulare, le scuole hanafita e malekita<br />

considerano la tradizione (Aurf Sahih) tra le origine<br />

delle regole di diritto islamico, purché la stessa non<br />

sia in contrasto con le previsioni del Corano, delle<br />

Sunnah e delle altre fonti del diritto islamico, e nella<br />

misura in cui essa non preveda atti proibiti secondo<br />

una qualsiasi regola del diritto islamico, o metta da<br />

parte obblighi previsti nelle regole della Shari’a(29)<br />

.<br />

Con riferimento alla protezione dei consumatori va<br />

ricordato che il diritto islamico contiene un generale<br />

diritto di rescissione come diritto unilaterale di<br />

cancellare (faskh) il contratto da esercitarsi entro un<br />

preciso lasso temporale, ed il suo mancato esercizio<br />

determina l’efficacia del contratto(30) .<br />

Deve inoltre aggiungersi che il Corano riferisce più<br />

volte della necessità di proteggere gli individui<br />

all’interno della società islamica, e che l’islam ha<br />

una considerazione estremamente elevate del diritto<br />

di ogni membro della società alla protezione della<br />

propria vita da ogni interferenza.<br />

Per quanto riguarda il diritto dei contratti la Shari’a<br />

consente la stipula di contratti di vendita a distanza<br />

a condizione che un messaggio sia inviato da una<br />

parte all’altra, esso arrivi e venga riscontrato positivamente<br />

da quest’ultiam nel tempo dovuto, se<br />

necessario. D’altro canto la vendita senza un idoeno<br />

incontro tra proposta ed accettazione o la vendita di<br />

oggetti indeterminati a condizioni sconosciute sono<br />

vietati dal diritto islamico(31) .<br />

Alcuni Paesi dove non esiste ancora una legge specifica<br />

per regolare le transazioni commerciali online<br />

h<strong>anno</strong> in ogni caso regole nei loro codici penali<br />

per punire i casi di frode, uso improprio dell’identità<br />

personale e divulgazione di false informazioni(32)<br />

. Inoltre essi possono ricorrere anche alla<br />

norma di chiusura che vieta qualsiasi comportamento<br />

che sia contro l’islam, contro lo Stato o immorale.<br />

Altre nazioni hanni invece regolato la materia dell’e-commerce<br />

attraverso leggi specifiche. Tra di<br />

esse i casi dell’Iran, degli Emirati Arabi e della<br />

Tunisia possono essere citati come esempi di legislazione<br />

sul commercio elettronico nei Paesi musul-<br />

112 3/<strong>2007</strong>


Diritto dell’informatica<br />

mani.<br />

La legge sul commercio elettronico, approvatoata<br />

dal Majlis (Parlamento) iraniano il 7 gennaio 2004<br />

(17 Dey 1382) (33) e composta da 81 articoli, é<br />

disegnata per armonizzare la presenza iraniana nel<br />

settore dell’e-commerce ed le sue esigenze globali<br />

con il sistema giuridico interno. Essa contiene sei<br />

capitoli sullo scambio sicuro di dati ed informazioni<br />

utilizzando gli strumenti offeti dalle nuove tecnologie.<br />

Il terzo capitolo della legge tratta di differenti argomenti,<br />

tra i quali quello della protezione del consumatore.<br />

Nella legge iraniana sull’e-commerce la protezione<br />

del consumatore é costriuta su tre pilastri: il diritto<br />

alla piena informazione, il diritto di recesso e la protezione<br />

da clausole contrattuali inique.<br />

Il diritto di informazione copre tutti gli aspetti del<br />

rapporto contrattuale, ed in particolare le caratteristiche<br />

dei beni offerti, tutte le informazioni relative<br />

al fornitore, i termini e le condizioni contrattuali,<br />

con particolare riferimento alle modalità di esercizio<br />

del diritto di recesso(34) . Lo stesso diritto di informazione<br />

é pure garantito in caso di offerta e promozione<br />

di beni e servizi mediante l’utilizzo della<br />

rete(35) .<br />

Il diritto di recesso riconosciuto in favore del consumatore<br />

é disegnato secondo il modello europeo. Per<br />

qualsiasi contratto negoziato a distanza la legge<br />

riconosce(36) al consumatore il diritto di recedere<br />

dal contratto senza alcuna penalità e senza necessità<br />

di fornire alcuna motivazione per un periodo di<br />

almeno sette giorni lavorativi. In caso di vendita di<br />

beni il periodo é calcolato dalla data di consegna dei<br />

beni, ed in caso di fornitura di servizi dalla data di<br />

entrata in vigore del contratto; in ogni altro caso il<br />

periodo per esercitare il diritto di recesso inizia<br />

quando tutte le informazioni sul contratto sono state<br />

fornite al consumatore(37) .<br />

La legge non é molto dettagliata con riferimento alle<br />

clausole abusive del contratto. Essa contiene soltanto<br />

una previsione genereica secondo la quale l’utilizzo<br />

di condizioni contrattuali che siano in contraddizione<br />

con le previsioni di quella sezione della<br />

legge e l’applicazione di condizioni contrattuali inique<br />

che determinino uno svantaggioper il consumatore<br />

sono considerati senza effetto(38) . Va sottoli-<br />

3/<strong>2007</strong><br />

neato che una previsione di tal genere può essere in<br />

principio adattata ad ogni caso possible, ma lascia<br />

un ampio margine di discrezionalità al giudice nello<br />

stabilire se una particolare colausola contrattuale<br />

possa essere considerata iniqua o meno.<br />

Fino a poco tempo fa la legislazione federale degli<br />

Emirati Arabi non si era occupata delle nuove<br />

necessità derivanti dall’avvento dell’era digitale.<br />

L’unico provvedimento normativo che affrontava in<br />

qualche modo alcuni di quei problemi era la Legge<br />

sulle Transazioni ed il Commercio Elettronico<br />

(Electronic Transactions and Commerce Law) n. 2<br />

del 2002 dell’Emirato di Dubai, una legge destinata<br />

ad essere applicata solo in quell’emirato. Nel 2006<br />

sono state emesse due nuove leggi, la Legge<br />

Federale n. 1 del 2000 relativa a Transazioni e<br />

Commercio Elettronico (Electronic Transactions<br />

and Commerce), e la Legge Federale n. 2 del 2006<br />

sulla Criminalità Informatica (Cyber Crime). Queste<br />

legi h<strong>anno</strong> il compito specifico di regolare le problematiche<br />

derivanti dai contratti conclusi online.<br />

La legge sulle Transazioni ed il Commercio<br />

Elettronico (legge n. 1) é stata concepita con l’obiettivo<br />

di facilitare l’e-commerce negli Emirati<br />

Arabi sia a livello locale che federale. La legge si<br />

propone di proteggere i diritti delle persone che<br />

effettuano operazioni commerciali elettronicamente,<br />

determina i loro obblighi ed incoraggia e facilita le<br />

transazioni commerciali e le comunicazioni in<br />

forma elettronica attraverso registrazioni elettroniche<br />

affidabili. L’obiettivo della legge é quello di<br />

minimizzare l’incidenza di comunicazioni elettroniche<br />

contraffatte, la modifica fraudolenta delle comunicazioni<br />

e la frode nel commercio e nelle alter<br />

transazioni elettroniche. Alcune aree particolari,<br />

considerate eccessivamente difficili da gestire in<br />

qualsiasi forma di comunicazione a distanza, come<br />

le transazioni inerenti la compravendita o l’affitto di<br />

immobili, e quelle relative allo stato delle persone<br />

(come matrimonio, divorzio e testamento) sono<br />

espressamente escluse dal campo di applicazione<br />

della legge.<br />

I due elementi più importanti di cui si occupa la<br />

legge sono certamente l’ammissibilità della firma<br />

elettronica e la formazione e la validità dei contratti<br />

conclusi online. La lege pone le basi per la formazione<br />

dei contratti online mettendo la dichiarazione<br />

(33) La legge é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale iraniana il 31 gennaio 2004 (11 Bahman 1382) ed é entrata in vigore al compimento<br />

del periodo di grazia di 15 giorni il 16 febbraio 2004 (27 Bahman 1382).<br />

(34) V. gli Artt. 34 e 35 della legge.<br />

(35) V. gli Artt. 50 e segg. della legge.<br />

(36) Art. 37.<br />

(37) Art. 38.<br />

(38) V. Art. 46.<br />

113<br />

DOTTRINA


DOTTRINA<br />

di volontà espressa in forma elettronica sullo stesso<br />

piano di quella espressa oralmente. La legge prevede<br />

prevede espressamente che i contratti non possono<br />

essere "invalidi o ineseguibili per la sola ragione che<br />

la comunicazione in forma elettronica sia stata usata<br />

per la loro formazione". I contratti possono essere<br />

validamente conclusi anche mediante l’utilizzo di due<br />

o più software o altro strumento elettronico senza<br />

l’intervento umano. Il requisito perché detti contratti<br />

siano validi é che il software o altro strumento elettronico<br />

sia comunque sotto il controllo della persona<br />

fisica. La lege non prevede più che una vaga definizione<br />

di come detto controllo debba essere strutturato.<br />

La legge prevede inoltre alcune linee guida su<br />

quando un messaggio elettronico si possa ritenere<br />

avere origine da un determinato originante e quando<br />

e dove esso possa essere ritenuto consegnato e/o ricevuto.<br />

Anche la frma elettronica viene regolata in dettaglio<br />

dalla legge. In particolare essa prevede una dettagliata<br />

definizione di firma elettronica sicura e sottolinea<br />

le circostanze in cui si può ritenere ragionevole fare<br />

affidamento su tali sottoscrizioni. La legge prevede<br />

l’istituzione di un’autorità di controllo per la certificazione<br />

dei service providers, e i requisiti che essi<br />

devono rispettare. Elemento chiave nella legge é il<br />

riconoscimento di sistemi e servizi di autenticazione<br />

provenienti anche da altri Paesi qualora essi presentino<br />

un livello di affidabilità almeno equivalente a<br />

quella richiesta dalla normativa degli Emirati.<br />

Per assicurarne l’applicazione e per prevenire alcune<br />

pratiche che potrebbero mettere in pericolo l’affidabilità<br />

di queste nuove forme di contrattazione, la legge<br />

prevede alcune pesanti sanzioni di natura penale.<br />

La Tunisia ha emanato la sua normative sull’e-commerce<br />

nel 2000(39). La parte relative alla protezione<br />

del consumatore é aperta dall’Articolo 25 che contiene<br />

tutte le informazioni che il fornitore deve fornire al<br />

consumatore prima della conclusione del contratto<br />

elettronico. Il contratto si considera concluso alla data<br />

di approvazione dell’ordine da parte del fornitore (art.<br />

28) il quale é chiamato a fornire al consumatore un<br />

documento (anche in formato elettronico) contenente<br />

tutti i termini e le condizioni dell’accordo entro dieci<br />

giorni dalla sulla conclusione (art. 29) .<br />

La legge riconosce al consumatore un diritto di recesso<br />

dal contratto anch’esso coniato secondo il modello<br />

europeo. Esso deve essere esercitato entro dieci giorni<br />

lavorativi dalla consegna dei beni o dalla conclusione<br />

del contratto in caso di fornitura di servizi (art.<br />

30). Del tutto particolare é la disposizione secondo la<br />

quale l’esercizio del diritto di recesso da parte del<br />

consumatore cancella altresì senza obbligo di rifusione<br />

qualsiasi prestito ottenuto dal consumatore dal for-<br />

(39) La legge é la legge n° 2000-83 emanata il 9 agosto 2000.<br />

nitore o da terzi per l’acquisto dei beni oggetto del<br />

contratto (art. 33).<br />

Con riferimento ai pagamenti in forna elettronica, in<br />

caso di frode, furto o uso improprio, il titolare del<br />

sistema di e-payment diviene responsabile nei confronti<br />

del consumatore sino a che non gli abbia comunicato<br />

il verificarsi dell’evento (art. 37).<br />

4. Alcune prime conclusioni<br />

Diritto dell’informatica<br />

Queste prime conclusioni derivano da questa prima<br />

analisi dei sopra menzionati principi ed intendono<br />

rappresentare solo un primo punto di partenza per<br />

studi dettagliati ed analitici che possano rivelare ulteriori<br />

elementi da analizzare e comparare.<br />

La breve analisi di questi due modelli di regolamentazione<br />

delle transazioni commerciali elettronichenon<br />

rivela alcuna particolare differenza a causa del diverso<br />

livello delle fonti giuridiche nei due sistemi. Le<br />

peculiarità del diritto islamico non influenzano significativamente<br />

gli strumenti utilizzati ai fini della protezione<br />

del consumatore in questo particolare tipo di<br />

contratti. La necessità di proteggere il consumatore –<br />

considerato come soggetto debole in questa particolare<br />

situazione – può essere addirittura dedotta dalla<br />

interpretazione dei dai versi contenuti nel Corani o<br />

dai detti contenti nelle Sunnah.<br />

Il modello europeo é forse più dettagliato ma potrebbe<br />

apparire prima facie eccessivamente frammentato<br />

e di non facile comprensione ed accessibilità per un<br />

consumatore non avvezzo all’uso degli strumenti giuridici.<br />

L’esperienza fornita dai tre Paesi considerati sotto<br />

l’ombrello del diritto islamico ci mostra un modello<br />

più snello basato sui capisaldi classici della protezione<br />

dei consumatori nelle transazioni commerciali<br />

elettroniche. L’adozione di questo tipo di approccio é<br />

probabilmente dettata dalla possibilità nell’ambito del<br />

diritto islamico di regolare soltanto quanto non sia<br />

deducibile dal corano o dalle Sunnah del Profeta<br />

Maometto, o facendo ricorso ai testi sacri ed agli altri<br />

principi della Shari’a per quanto non sia previsto nel<br />

testo della legge.<br />

Sicuramente in entrambi i casi uno scenario più<br />

chiaro potrà derivare dall’interpretazione delle leggi<br />

fornita dalla dottrina e dalla loro applicazone ad<br />

opera delle corti. Come in ogni situazione simile a<br />

quella in esame, lo studio dell’interazione dei vari<br />

formanti presenti negli ordinamenti considerati nella<br />

comparazione potrà rivelare se ed in quale misura i<br />

due modelli giuridici differiscono realmente.<br />

114 3/<strong>2007</strong>

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