31.05.2013 Views

STORIA DEL DIRITTO E DELLE ISTITUZIONI ... - Aracne editrice

STORIA DEL DIRITTO E DELLE ISTITUZIONI ... - Aracne editrice

STORIA DEL DIRITTO E DELLE ISTITUZIONI ... - Aracne editrice

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>STORIA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>DIRITTO</strong> E <strong>DEL</strong>LE <strong>ISTITUZIONI</strong> / Fonti 1<br />

collana a cura di Mario Ascheri<br />

A12<br />

246


Blaise de Monluc<br />

Commentari (1521–1576)<br />

TRADUZIONE E COMMENTO DI MARIO FILIPPONE<br />

PREMESSA DI MARIO ASCHERI


Copyright © MMIX<br />

ARACNE <strong>editrice</strong> S.r.l.<br />

www.aracne<strong>editrice</strong>.it<br />

info@aracne<strong>editrice</strong>.it<br />

via Raffaele Garofalo, 133 A/B<br />

00173 Roma<br />

(06) 93781065<br />

ISBN 978–88–548–2600–7<br />

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,<br />

di riproduzione e di adattamento anche parziale,<br />

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.<br />

Non sono assolutamente consentite le fotocopie<br />

senza il permesso scritto dell’Editore.<br />

I edizione: luglio 2009


Dedico questo lavoro a mia moglie che mi è stata fedele<br />

e paziente compagna di vita per ben sessanta anni.<br />

M.F.


INDICE<br />

Premessa ......................................................................................... 9<br />

Avvertenza ...................................................................................... 11<br />

Introduzione alla lettura dei Commentari ....................................... 13<br />

Bl a i s e d e Mo n l u c. co M M e n ta r i (1521–1576)<br />

Libro I ............................................................................................. 37<br />

Libro II ............................................................................................ 137<br />

Libro III .......................................................................................... 241<br />

Libro IV .......................................................................................... 259<br />

Libro V ............................................................................................ 341<br />

Libro VI .......................................................................................... 441<br />

Libro VII ......................................................................................... 533<br />

Appendice ....................................................................................... 691<br />

7


PREMESSA<br />

Sono molto lieto di iniziare questa nuova collana di storia giuridico–<br />

istituzionale con questo lavoro molto delicato ed impegnativo di Mario<br />

Filippone, frutto della sua passione centrale come studioso di lingua francese.<br />

L’interesse originario di Filippone per il testo è da collegarsi alle pagine<br />

dal Monluc dedicate alle sue imprese durante l’assedio di Siena prima, e<br />

di Montalcino poi, a difesa della Repubblica dalle truppe ispano–fiorentine<br />

— ed è nella cura della sua edizione di queste pagine che si sono incrociati<br />

i nostri itinerari di ricerca, ormai tanti anni fa.<br />

Ma quelle pagine non soddisfarono solo la sua curiosità di appassionato<br />

cultore di storia senese. Esse gli dettero anche una prova tangibile dello<br />

spessore della narrazione autobiografica del Monluc, della sua capacità di<br />

riflettere sugli uomini e le loro istituzioni, oltreché, naturalmente, sui problemi<br />

militari che erano di sua stretta competenza professionale.<br />

Monluc, il guascone maresciallo di Francia, fedele del Re e difensore<br />

fervido della cattolicità anche a costo di repressioni sanguinose al tempo<br />

della tragedia delle guerre di religione in Francia, gli si era rivelato come<br />

scrittore attento e interessante sia per la storia italiana che per quella francese.<br />

Soprattutto gli parve ingiustamente poco apprezzato, come di solito,<br />

per la disorganicità del lavoro (sottoposto a più revisioni e a una tradizione<br />

manoscritta e a stampa molto complicata e sfortunata) e il tradizionalismo<br />

— non inconsueto in un militare e cattolico conservatore ovviamente<br />

amante dell’ordine e dell’onore. Insomma, certo non era stato facile in<br />

passato apprezzarlo, avendo come termine di paragone un contemporaneo<br />

della levatura di Michel de Montaigne!<br />

Ma Monluc ha altri motivi di interesse che Filippone, come si noterà<br />

dalla densa introduzione, ha giustamente messo in evidenza: la passione, il<br />

coinvolgimento e la ricchezza dei dati riferiti derivanti da una vita avventurosa<br />

e in continuazione alla rincorsa di nuovi fronti operativi tra Francia<br />

9


10 Premessa<br />

e Italia — che le cronologie e le cartine di cui il libro è stato dotato aiutano<br />

molto opportunamente a penetrare.<br />

Da parte nostra non ci resta che sottolineare quel che ne ha autorizzato<br />

l’inclusione in questa collana.<br />

Ebbene, c’è che i racconti di Monluc riferiscono di vicende per lo più<br />

belliche, anche con particolari tecnici di grandissimo interesse per gli specialisti<br />

di storia militare, ma quei fatti sono inevitabilmente e opportunamente<br />

inseriti nel quadro dei rapporti di potere che motivarono i loro variegati<br />

sviluppi. L’interesse del testo del Monluc, dal nostro punto di vista,<br />

risiede perciò essenzialmente nella sua aderenza ai fatti quotidiani, al loro<br />

intreccio imposto via via dall’attività delle varie istituzioni coinvolte.<br />

Il Monluc ci dà in filigrana i rapporti di potere e le ideologie e le passioni<br />

che muovevano e motivavano le istituzioni del tempo.<br />

Perciò, al di là della storia linguistica e militare, questa è un’opera di<br />

interesse più ampio. Ci dà, sullo sfondo, la cornice istituzionale e culturale<br />

di un Paese di grandissimo interesse per la storia del Cinquecento europeo<br />

colto in decenni densissimi, proiettato come fu dapprima sullo scacchiere<br />

italiano, ancora alla ricerca d’una egemonia politico–militare in pericolo,<br />

e poi sconvolto da una terribile guerra civile per motivi religiosi di cui la<br />

strage della notte di san Bartolomeo fu solo l’episodio più odioso, non il<br />

più grave.<br />

E fu proprio prima di quel drammatico evento del 1572 che il nostro<br />

Monluc scrisse di getto il nucleo originario della prima redazione di<br />

quest’opera: per difendere il proprio operato da accuse pesanti che stavano<br />

per travolgerlo.<br />

Un pamphlet difensivo è quindi all’origine di questo testo, ma i suoi<br />

sviluppi andarono ben al di là dello scritto d’occasione. E Monluc fu favorito<br />

nell’operare a questo fine dalla bella gentilhommière di Estillac da lui<br />

tanto amata, nelle dolci colline della Guascogna di cui era originario.<br />

Là ritrovò i panorami e il buon bere che lo avevano accompagnato nel<br />

Senese durante la sua impresa italiana più famosa. E non a caso, oggi, in<br />

quello château che ancora porta il suo nome — e che è aperto al pubblico<br />

per motivi enologici — si trovano preziose, impreviste, testimonianze documentarie<br />

e fotografiche di Siena.<br />

I legami con l’Italia del Monluc richiedevano da tempo la realizzazione<br />

di un’impresa come quella portata a termine da Mario Filippone con una<br />

dedizione costante ed ammirevole. Perciò dovrebbe essere ringraziato per<br />

la grande opera ora finalmente compiuta. E non solo dalla città di Siena.<br />

Mario Ascheri


AVVERTENZA<br />

Ci preme subito rilevare che in questo lavoro non si vuole, né si può,<br />

tracciare neppure sommariamente, un excursus storico delle Guerre d’Italia<br />

né, tanto meno, delle Guerre di Religione nella Francia del XVI secolo.<br />

L’intento dell’opera, infatti, è unicamente quello di mettere a disposizione<br />

di chi si interessa a questi fatti, e che non ha dimestichezza con il francese<br />

del XVI secolo, una traduzione agile e moderna dei Commentaires. D’altronde,<br />

lo stesso testo non lo richiede. Abbiamo solo cercato, via via che se<br />

ne presentava la necessità, di connettere, il più chiaramente e sinteticamente<br />

possibile, gli eventi narrati alla situazione storico–politica del momento,<br />

con brevi richiami a fatti e persone collaterali. Per maggiori dettagli ed una<br />

più vasta informazione, si possono consultare i molti manuali e le numerose<br />

opere che affrontano in modo organico ed approfondito tali argomenti.<br />

Le note, che sono state ridotte al minimo, hanno dunque, quando necessario,<br />

l’unico scopo di chiarire e di rendere comprensibile la narrazione degli<br />

eventi. In esse vengono brevemente ricordati solo alcuni fatti di importanza<br />

non pienamente esplicitati dall’autore. Il loro contenuto potrà apparire ora<br />

superfluo, ora insufficiente; ognuno potrà servirsene come e quando vorrà,<br />

essendo il testo indirizzato ad una utenza culturale non definita.<br />

Per quanto poi riguarda l’esame critico del testo, come errati o dubbi<br />

riferimenti a fatti, luoghi, persone, e tempi, ed anche per richiami ad altre<br />

opere similari, si rimanda alla monumentale tesi di Paul Courteault 1 , avendo<br />

il nostro lavoro, lo ribadiamo, soltanto il fine di contribuire alla conoscenza,<br />

qui da noi, di questo autore sconosciuto ai più, con un testo di chiara e semplice<br />

lettura. In appendice si troverà un elenco completo di tutti i toponimi<br />

sia italiani che francesi. Chi vorrà situare con precisione le numerose località<br />

1. Questo il titolo completo: Blaise de Monluc historien, étude critique sur le texte et la valeur<br />

historique des Commentaires, Paris 1907.<br />

11


12 Avvertenza<br />

minori ricordate nel testo, potrà farlo sulle cartine annesse, servendosi di coordinate<br />

di riferimento. Per quanto poi riguarda la nomenclatura che attiene<br />

alle armi e alle fortificazioni, avrà a disposizione, sempre in appendice, un<br />

conciso lessico militare rapportato al XVI secolo.<br />

Si tenga presente che nella nostra traduzione non compaiono alcuni brevi<br />

passi del testo, assai pochi in realtà; si tratta in genere di quei brani dove<br />

l’autore si attarda in tirate di carattere didascalico e moralistico, riprendendo<br />

e ripetendo concetti, consigli e ammaestramenti di cui ha ampiamente<br />

parlato in precedenza. Comunque, ogni volta che qualcosa è stata omessa,<br />

lo si è precisato nelle note.<br />

Purtroppo, per ragioni di diritto editoriale, in questo nostro lavoro mancano<br />

le pagine ove si narra il famoso assedio di Siena del 1555, e quelle che<br />

descrivono il soggiorno che Monluc, in qualità di luogotenente reale, fece in<br />

Montalcino nel 1557. Ci siamo dati cura di farne un breve riassunto. Chi volesse<br />

leggerle nella loro integrità, può reperirle in: Blaise de Monluc all’assedio<br />

di Siena e in Montalcino (1554–1557), Ed. Cantagalli, Siena 2004.<br />

Per semplificare la lettura delle pagine dei Commentari, ripartiti fin dalle<br />

prime edizioni dell’opera in sette lunghi libri, e per rendere più semplice e<br />

lesto ritrovare eventi, luoghi, e persone, abbiamo suddiviso il testo in tanti<br />

piccoli capitoletti preceduti da una sintetica intitolazione, corredata da una<br />

data certa o presunta a cui si riferisce il fatto narrato. Per quanto riguarda<br />

la grafia dei nomi geografici e personali francesi, ci siamo attenuti a quella<br />

adottata nei suoi lavori da Paul Courteault, mentre per le località italiane, abbiamo<br />

usato la loro grafia ufficiale. Un indice, con il corrispondente numero<br />

di pagina, servirà a rimandare il lettore agli argomenti di lettura prescelti.<br />

In appendice si trovano anche alcune tavole genealogiche semplificate dei<br />

Monluc e delle maggiori famiglie attive nel gioco politico e militare del XVI<br />

secolo, che potranno rendere più chiari a chi legge, i rapporti di parentado e<br />

di discendenza. Nelle poche note introduttive che seguono, non potendo dilungarci<br />

in una analisi esaustiva dell’opera letteraria, né tracciare un ritratto<br />

approfondito dell’uomo, né del soldato, ci limiteremo solo ad accennarne<br />

alcuni aspetti, che ci sembrano indispensabili ad un approccio, seppur superficiale<br />

e parziale, ai Commentari.<br />

Per quanto, infine, attiene alla bibliografia, che di pochissimo si è arricchita<br />

in questi ultimi anni, coloro che ne fossero interessati la possono consultare<br />

nell’appendice della nostra traduzione del 2004, più sopra citata.<br />

M.F.<br />

Siena, 31 dicembre 2007.


INTRODUZIONE ALLA<br />

LETTURA DEI COMMENTARI<br />

Genesi, redazioni ed edizioni dei Commentaires<br />

I Commentaires si compongono di sette libri, e sono la testimonianza<br />

di un capitano guascone che intervenne attivamente negli avvenimenti<br />

politico–militari che interessarono il regno di Francia dal 1520 al 1575,<br />

percorrendo tutti i gradi della carriera militare fino ad arrivare a quello<br />

di maresciallo; uno squarcio di storia di più di mezzo secolo, vissuto con<br />

intensa e instancabile partecipazione da un uomo che, con passione e determinazione,<br />

ne fu tra i principali protagonisti.<br />

L’opera può essere divisa in due grandi sezioni: nella prima, che occupa<br />

quasi per intero quattro libri, si narra delle Guerre d’Italia, nella seconda<br />

delle Guerre di Religione che sconvolsero la Francia nella seconda metà<br />

del XVI secolo.<br />

La redazione dell’opera, come vedremo, ebbe di primo acchito, una rapida,<br />

parziale stesura; ma il lavoro di dettatura, di ampliamento e di correzione,<br />

non si esaurì lì e, praticamente, continuò fino al 1577, quando l’autore chiuse<br />

gli occhi. Questa lunga elaborazione si protrasse, quindi, per circa sette anni,<br />

e fruttò più di una scrittura del testo, cosa che ebbe non poco peso nella redazione<br />

finale dell’opera. I Commentaires, o Discours de ma vie, come Monluc<br />

chiamò da prima il suo lungo racconto, non nacquero, dunque, tutti in una<br />

volta e con un unico scopo, ma la loro genesi ebbe più di un motivo, a cui qui<br />

accenneremo brevemente.<br />

La ragione prima che determinò l’opera fu la sostituzione di Monluc nel<br />

governatorato della Guienna con un Savoia, il marchese Onorato di Villars.<br />

La notizia lo raggiunse nel novembre del 1570, mentre era ancora sofferente<br />

per un colpo di archibugio che gli aveva sfigurato il volto; ferito profondamente<br />

nel suo amor proprio, scrisse una lunga lettera al re per ricordargli il<br />

13


14 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

suo lungo servizio, e la sua fedeltà alla corona 1 . Poi, in seguito alle accuse<br />

di concussione, alle inchieste, ai procedimenti giudiziari che lo coinvolsero,<br />

in soli sette mesi, tra il 1570 e il 1571 dettò un memoriale di molte decine<br />

di pagine dove ripercorre tutta la sua carriera di soldato, aggiungendovi una<br />

lista delle maldicenze messe in giro sul suo conto, e di tutte le cattiverie ricevute.<br />

È la prima versione dei Commentaires, un racconto veloce, affannato,<br />

dove non mancano le lacune, le imprecisioni, i dialettalismi, le improprietà<br />

linguistiche, ma che, allo stesso tempo, appare già dotato di quella “allure”<br />

vivace, sanguigna, appassionata, che farà la fortuna del soldato scrittore. Appena<br />

saputo, poi, che il giudice che doveva emettere la sentenza finale era<br />

il duca d’Anjou, fratello del re, scrive, nel giugno del 1571, al giovane duca<br />

una lettera nella quale rende conto della sua situazione finanziaria, e giustifica<br />

profitti, introiti e rendite 2 . Ed è allora che l’intento di Monluc divenne<br />

più ampio: da un dossier di difesa, pensò di passare a scrivere un’opera di<br />

maggior respiro, nella quale fare il racconto della sua vita di soldato, e render<br />

memoria dei grandi eventi di cui egli era stato testimone ed attore; e fino<br />

quasi alla fine dei suoi giorni, non fece altro che ampliare e perfezionare la<br />

prima versione, avendo come scopo non solo quello di ammaestrare i giovani<br />

capitani, ma anche, e soprattutto, di far vivere nei tempi a venire il suo nome,<br />

e di tener vivo il ricordo delle sue imprese.<br />

Alcune copie manoscritte dei Commentaires cominciarono subito a circolare<br />

in Guienna, fino a quando, una di queste non venne tra le mani di un<br />

uomo di lettere di Agen, certo Florimond de Raemond, il quale dopo averla<br />

rivista, corretta, e resa accettabile all’establishment politico, giudiziario e nobiliare<br />

che si era venuto a formare dopo l’avvento al trono di Enrico IV e la<br />

fine delle guerre di religione, non la fece pubblicare nel 1592 a Bordeaux. Il<br />

libro ebbe un buon successo, la società del tempo, infatti, era pronta ad accogliere<br />

favorevolmente questo tipo di scritti, e se ne fecero una mezza dozzina<br />

di riedizioni; ormai i libri di memorie venivano letti con interesse e curiosità.<br />

I Commentaires, con il titolo di Mémoires, continuarono a circolare, seppur<br />

ampiamente incompleti ed in parte manipolati, non solo in Francia, ma anche<br />

all’estero, ove se ne fecero, nel secolo successivo, delle traduzioni in Inghilterra<br />

e in Italia 3 .<br />

1. La lettera fu pubblicata a Lione nel dicembre del 1570. Verrà poi, dallo stesso Monluc,<br />

inserita nel libro VII dei Commentaires.<br />

2. Come vedremo più avanti, questa lettera sarà pubblicata per la prima volta nel 1864 nella<br />

edizione dei Commentaires presentata da Alphonse de Ruble, con il titolo di Préambul à Monseigneur<br />

le Duc d’Anjou par le seigneur de Monluc.<br />

3. Queste le traduzioni italiane: Commentari di stato e di guerra del Sig. Biagio di Monluc<br />

Maresciallo di Francia libri sette nuovamente tradotti dalla lingua francese nell’italiana per D.


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Così fino al 1841, quando la Société de l’Histoire de France, non invitò<br />

il barone Alphonse de Ruble a preparare una nuova edizione dei Commentaires.<br />

Ne risultarono tre volumi usciti nel 1864, nel 1866, e nel 1867,<br />

dopo che il de Ruble ebbe scoperto nella Bibliothèque Nationale di Parigi<br />

due copie manoscritte dei Commentaires riunite in un unico volume di<br />

circa settecento fogli. Queste due redazioni, di due mani diverse, e che tra<br />

loro presentano più di una variante (la seconda è addirittura incompleta),<br />

sono più brevi rispetto alla copia utilizzata da Florimond de Raemond per<br />

preparare la prima pubblicazione del 1592, e presumibilmente anteriori a<br />

quella.<br />

De Ruble fece una collazione un po’ abborracciata, a dire il vero, delle<br />

copie trovate nella Biblioteca Nazionale di Parigi, con le edizioni uscite posteriormente<br />

a quella di Florimond de Raemond, anteponendo ai Commentaires<br />

la lettera scritta da Monluc al duca di Anjou con il titolo di Préambul<br />

à Monseigneur 4 .<br />

Pur riconoscendo ad Alphonse de Ruble il merito di aver operato<br />

con la passione del ricercatore, ma con l’intento più dello storico che<br />

del filologo, e di aver raggiunto dei risultati apprezzabili, si deve tuttavia<br />

rilevare che il testo da lui realizzato si presenta come un indistinto<br />

collage, con molte lacune, diverse imprecisioni, ed alcuni errori. Capì<br />

bene tutto questo uno studioso di Bordeaux, Paul Courteault, il quale<br />

setacciò con certosina pazienza il testo di de Ruble, lo corresse e lo<br />

integrò, evidenziando nella sua nuova redazione, le varianti presentate<br />

dalle copie originali manoscritte, offrendo anche allo studioso una grafia<br />

corretta dei toponimi e dei nomi di persona. Il suo impegno di filologo<br />

non si limitò a questo, ma di quasi tutti coloro che erano stati nominati,<br />

ha ricercato testimonianze documentate e riferimenti biografici<br />

certi. Quest’opera di ripristino e di rigorosa integrazione, prese forma<br />

in tre volumi editi da Picard, negli anni 1911–1925; infine, nel 1964, lo<br />

stesso Courteault presentò una edizione ridotta del suo ampio lavoro in<br />

un solo volume, nella prestigiosa collezione La Pléiade di Gallimard,<br />

che, a tutt’oggi, resta l’edizione dei Commentaires la più completa e<br />

Giulio Ferrari Cremonese. In Cremona per Marcantonio Belpieri MDCXXVIII; Commentari del<br />

Sig. Biagio di Monluc Marechial di Francia tradotti dal Franzese e dedicati al serenissimo Principe<br />

Lorenzo di Toscana dal Sig. Vincenzio di Ser Bonaccorso Pitti nobil fiorentino in Fiorenza nella<br />

stamperia Sermarelli MDCXXX con licenza dei S.S. superiori. Non inganni, nella titolazione della<br />

traduzione del Ferrari quel “nuovamente” che sta “per la prima volta” e non “di nuovo”.<br />

4. Abbiamo giudicato inutile riportare nella nostra traduzione questo Préambul à Monseigneur, non<br />

solo perché originariamente esso non compariva nella prima redazione dell’opera, ma anche perché contiene<br />

molti argomenti poi ripresi ed inseriti tal quali dallo stesso autore all’interno dei Commentaires.<br />

15


16 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

la più attendibile dal punto di vista filologico 5 . Nel 1907, Paul Courteault<br />

aveva fatto precedere quest’opera di revisione critica da un altro<br />

ampio lavoro, in cui egli aveva fatto una verifica minuziosa dei luoghi,<br />

persone e fatti, corredando il tutto di nuovi documenti, studi, e pagine<br />

critiche di vari autori 6 .<br />

Questo, assai succintamente, il percorso fatto dall’opera di Monluc in<br />

quattrocento anni di storia letteraria, raggiungendo, indubbiamente, lo scopo<br />

che lo stesso autore si era prefisso: quello di perpetuare la sua leggenda<br />

personale di soldato, e di far conoscere il suo nome ai posteri. Tuttavia,<br />

mai, lui che si sapeva del tutto incolto, avrebbe pensato e sperato di esser<br />

conosciuto nei tempi a venire, più che per le sue virtù militari, per le sue<br />

singolari qualità di scrittore.<br />

Perché presentare oggi in lingua italiana i Commentaires?<br />

Perché pubblicare oggi questa opera in lingua italiana? Perché faticar<br />

tanto per rendere questo autore di più facile approccio a chi si interessa di<br />

storia, sia essa militare o politica, od anche letteraria, senza avventurarsi in<br />

una lettura piena di difficoltà linguistiche, ardua anche per chi ha dimestichezza<br />

con la lingua francese?<br />

In Italia pochi, pochissimi, sono coloro che conoscono questo autore,<br />

o, se lo conoscono, lo giudicano in modo distorto e superficiale. Le uniche<br />

traduzioni italiane, e lo abbiamo già detto, risalgono al XVII secolo, quando<br />

il testo dei Commentaires era ancora incompleto e scorretto. Queste<br />

traduzioni non possono oggi non essere considerate, per ovvie ragioni, che<br />

delle opere di interesse letterario e storico limitato, e di incerta validità 7 .<br />

Nessuno, da allora, si è più adoprato a preparare una traduzione basata su<br />

5. Blaise de Monluc, Commentaires 1521–1576, édition établie et annotée par Paul Courteault,<br />

Paris 1964.<br />

6. P. Courteault, Blaise de Monluc historien: étude critique sur le texte et la valeur historique<br />

des Commentaires, Paris 1907.<br />

7. La traduzione di Giulio Ferrari, edita nel 1628, è eccessivamente letterale, e si presenta con<br />

un italiano di poco rigore sintattico, ampolloso e curialesco, al quale resta assai poco dell’agilità<br />

e della schiettezza dell’originale. Il lavoro di Buonaccorso Pitti, che è del 1630, è poco curato;<br />

tuttavia il periodare è scorrevole e sintatticamente ben congegnato, anche se la lingua e la forma,<br />

risentono fortemente dello stile greve del tempo. Il Pitti, quando le difficoltà di traduzione si fanno<br />

grosse, le risolve con piccole omissioni, e con brevi adattamenti, ma lo fa sempre con gusto<br />

e con misura. Va da sé che queste due traduzioni, presumibilmente, hanno avuto come copia di<br />

riferimento l’edizione edita a Bordeaux nel 1592, rispecchiandone tutti i limiti di contenuto, le<br />

omissioni, gli errori di interpretazione, e tutti gli svarioni toponomastici ed onomastici commessi<br />

da Florimond de Raemond.


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

un testo più aderente all’originale, né, tanto meno, ha lavorato sulla copia<br />

ristabilita nel secolo scorso da Paul Courteault 8 . Soltanto nel 1976, sollecitato<br />

dal noto studioso di cose francesi Carlo Cordiè, io stesso ho preparato<br />

e pubblicato una parziale traduzione dei Commentaires, limitata alle<br />

pagine in cui si narra l’assedio di Siena. A questa, nel 1992 e nel 2003, ho<br />

fatto seguire due nuove edizioni comprendenti anche le pagine ove Monluc<br />

descrive l’azione politica e militare da lui messa in atto durante la sua<br />

luogotenenza in Montalcino 9 .<br />

Perché, dunque, oggi una nuova traduzione? Cosa può trovare di<br />

interessante un lettore moderno nei Commentari? Non tanto il fatto storico<br />

in se stesso, che nei Commentari ha un valore alquanto relativo,<br />

ma soprattutto una vivace rappresentazione di una società “altra”, che<br />

ci viene offerta da un testimone che vive con singolare vitalità la sua<br />

epoca, e che ne osserva con intelligenza acuta e penetrante, fatti, persone<br />

e cose, per poi descrivere la sua verità, con tutte le sue luci e le<br />

sue ombre, esaltando la realtà nobile e meschina della propria contemporaneità.<br />

Noi, lettori moderni, (anzi, ormai post–moderni), che nelle<br />

Annales abbiamo imparato a leggere la storia in modo nuovo, i Commentaires<br />

ci offrono un ambito sperimentale di eccezionale valore per<br />

verificarne la validità. Qui, infatti, gli accadimenti della grande storia<br />

non sono che uno scenario dinanzi al quale interagiscono i veri attori<br />

del divenire storico. Una miriade di personaggi, grandi e piccoli, che<br />

mostrano tutta la tragicità del vivere in un mondo, quello della Francia<br />

del XVI secolo, in cui solo la forza sembra essere la conditio sine qua<br />

non per resistere alla prepotenza e alla sopraffazione. Una società in cui<br />

l’aforisma di Hobbes “bellum omnium contra omnes” si attualizza in<br />

uno scenario crudele che ha il suo terribile acme nell’agosto del 1572,<br />

nella notte di San Bartolomeo. In questo ambito temporale, il lettore<br />

moderno trova dunque chi lo conduce, con un raccontar ora semplice<br />

e bonario, ora forte e incisivo, in un groviglio di fatti, in un mondo<br />

8. Si noti che nel 1905, a cura dell’editore Lumachi, fu stampato a Firenze in forma anonima,<br />

un piccolo volume di poche pagine dal titolo: L’assedio di Siena secondo la narrazione<br />

contenuta nel III libro dei suoi Commentari. L’anno di poi, sempre anonimo, presso lo stesso<br />

editore, fu edito un secondo volumetto con il titolo: Maresciallo Blaise de Montluc, la guerra<br />

di Siena dopo l’assedio e capitolazione, secondo la narrazione contenuta nel IV libro dei suoi<br />

Commentarj. In questi due brevi lavori l’anonimo traduttore ha usato un italiano formalmente<br />

corretto, ma così contegnoso e così affettato, da presentare un Monluc dallo stile sempre oratorio<br />

e retorico, tradendo ogni peculiarietà stilistica e linguistica dell’originale.<br />

9. Si vedano: L’assedio di Siena dal III libro dei Commentari di Blaise de Montluc, Siena<br />

1976; Biagio di Monluc all’assedio di Siena e in Montalcino (1554–1557), dal III e IV libro dei<br />

Commentaires, traduzione e commento di Mario Filippone, Siena 2003.<br />

17


18 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

affollato di personaggi, a penetrare fin nel profondo, una società che,<br />

spesso, la storia ufficiale ci ha consegnato come qualcosa di molto lontano<br />

e di difficile lettura. L’autore, nei suoi Commentari, si muove in<br />

questo mondo, lo scruta, lo analizza, lo giudica e lo descrive, non come<br />

un supervisore di tutti gli eventi e di tutti gli attori dell’epoca sua, ma<br />

solo di ciò che ha personalmente sperimentato e direttamente visto. Ad<br />

altri, egli dice, che scrivono per i potenti, ai pennivendoli del momento,<br />

il compito di fare il mestiere di storico: non lui che sa usare la spada e<br />

non la penna. E detta, detta per mesi, la storia della sua vita, portandoci<br />

prima sui campi di battaglia d’Italia, con gli uomini a piedi, con quelli a<br />

cavallo, coi picchieri, gli arcieri, i corsaletti, nelle trincee e sugli spalti<br />

delle fortezze, e poi nelle terre di Francia, in un correre senza tregua<br />

da una fortezza all’altra, nel disperato tentativo di conservare il regno<br />

alla corona dei Valois. Ed in tutto questo andare da un luogo all’altro,<br />

in questo incontro continuo con uomini grandi e piccoli, nelle tende dei<br />

soldati e nei palazzi dei re, in quegli scontri sanguinosi dove si esalta<br />

il valore del fantaccino al pari di quello del cavaliere, un mondo denso<br />

di cose e di persone scorre dinanzi ai nostri occhi, rendendoci concreta<br />

una realtà altrimenti sfumata e rarefatta. E in queste tante piccole storie<br />

che si intrecciano alla grande storia in un unicum che è la vera essenza<br />

del vivere umano, le passioni prendono il loro spazio, fino ad occuparne<br />

gran parte, ed a determinarne i perché e i percome. Ed è in questo rapporto<br />

tra passione ed evento, in questa presenza tutta umana nel fluire<br />

dei fatti, che il lettore moderno può cogliere una valida ragione di lettura,<br />

facendosi partecipe di eventi che, benché lontani, possono diventare<br />

“suoi”, perché vissuti da uomini i quali, pur nella loro differente sensibilità<br />

morale e culturale, gli sono sostanzialmente uguali.<br />

Non può essere trascurata, poi, l’importanza che rivestono i Commentaires<br />

non solo per gli studiosi di Storia Militare, ma anche per chi si interessa<br />

di Storia del Diritto e delle Istituzioni in ragione della valutazione che<br />

Monluc ci ha lasciato dei giudici e della giustizia del suo tempo, che ci permette<br />

di avere dei giudizi di prima mano da un osservatore attento ed acuto<br />

come lo fu lui. Le sue personali traversie giudiziarie e le sue frequentazioni<br />

di giudici e di alti magistrati, gli permisero una conoscenza approfondita<br />

del mondo dei “robins” di cui, ed egli lo confessa senza timori e reticenze,<br />

non ebbe una buona opinione: troppo lunghi i processi, troppo affollati di<br />

toghe i tribunali, indecente il mercato di incarichi e di sentenze, quando<br />

il mestiere delle armi, per lui ben più dignitoso e nobile della carriera forense<br />

e giudiziaria, avrebbe richiesto una maggiore presenza di persone di<br />

rango tra le sue file. Pur dando atto alla legislazione del regno di avere le<br />

sue origini nel Diritto Romano, la giudica inadeguata e farraginosa, e ne


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

chiede al Re, con l’autorevolezza che gli attribuiscono la sua carica e la sua<br />

esperienza politica e militare, un radicale rinnovamento.<br />

A tutto questo si aggiunga l’interesse che nasce in chi legge quando<br />

il narratore lo accompagna, con semplicità e naturalezza, in luoghi, e fra<br />

persone, che mai l’ufficialità della grande storia gli farebbe conoscere, non<br />

facendo mancare nel suo libro, neppure un humour sapientemente sparso<br />

qua e là, e delle storie bizzarre e gustose, vere o inventate che siano, a divertire<br />

e a far sorridere il lettore.<br />

Criteri di traduzione<br />

Le difficoltà lessicali, linguistiche e strutturali che si presentano a chi<br />

vuol trasferire in lingua italiana corrente il testo di Monluc sono enormi.<br />

Lo stile di questo scrittore, e lo si è gia detto, non è unitario: un fraseggiar<br />

breve e conciso, rotto e spezzato, si alterna ad un periodare lungo<br />

ed involuto, dove gli anacoluti abbondano, le forme verbali passano, con<br />

disinvoltura, a tempi e modi discordanti tra loro, gli aggettivi si contraddicono,<br />

le subordinate si intrecciano, in un intrico che spesso è difficile<br />

sciogliere. A tutto questo si aggiunga un linguaggio personalissimo, sapido<br />

e popolare, in cui il lessico militare si mischia al dialetto ed all’espressione<br />

gergale, per poi assumere nei discorsi e nelle tirate didascaliche,<br />

toni retorici, e un vocabolario sussiegoso e grave che preannuncia, per<br />

certi versi, il barocco oratorio. Come rendere in un italiano accettabile,<br />

questo lessico estremamente personale, questi giochi sintattico–grammaticali<br />

che difficilmente si sottomettono, e che si ribellano a chi tenta di<br />

assoggettarli a una più rigorosa disciplina? E non solo: come far intendere,<br />

ad un lettore moderno, il senso vero che nel XVI secolo si attribuiva a<br />

dei vocaboli che oggi hanno tutt’altra connotazione 10 ?<br />

Non è stato facile dare una risposta a questi interrogativi; noi, tuttavia<br />

lo abbiamo tentato sforzandoci di offrire al lettore italiano un Monluc il più<br />

possibile genuino, e soprattutto chiaro. Ma è proprio in questa operazione<br />

che la difficoltà si è fatta ancora più grande; cercare ad ogni costo la chiarezza<br />

alterando l’autenticità, o mantenere intatta l’autenticità a scapito della<br />

chiarezza? La via di mezzo ci è parsa quella giusta. Abbiamo, quindi, ritenuto<br />

utile spezzare i periodi troppo lunghi, richiamare alcuni soggetti, togliere<br />

10. Si considerino, ad esempio, i due termini onore e fama; per il lettore moderno queste<br />

due voci non possono avere una valenza linguistica del tutto congruente a quella che viene loro<br />

attribuita da Monluc.<br />

19


20 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

inutili congiunzioni, e ristabilire una più conseguente sintassi verbale, altrimenti<br />

troppo sconnessa per un lettore moderno 11 .<br />

Concludendo, lo scopo primario è stato quello di rendere le pagine dei<br />

Commentaires chiare e leggibili ad un lettore di oggi; questo ha comportato<br />

il rifiuto di una piatta traduzione letterale, e l’impiego di un modulo linguistico<br />

di livello colloquiale nelle pagine puramente narrative e dialoganti, ed<br />

un linguaggio più sostenuto, nelle pagine caratterizzate da uno stile più enfatico,<br />

ed in quelle in cui in cui Monluc lascia le vesti del soldato per quelle<br />

dell’oratore, senza tradire in nulla l’essenza profonda del testo originale, e lo<br />

stile così tanto personale dello scrittore guascone.<br />

I lettori giudicheranno se ci siamo riusciti.<br />

I Commentaires e la critica<br />

Qui, in Italia i Commentaires non hanno mai avuto molti cultori, e mai<br />

sono stati stimati per quel che in realtà valgono, sia per la difficoltà di lettura<br />

nella loro lingua originale, sia per un vecchio convincimento che ha trasmesso,<br />

fino a noi moderni, l’immagine di un Monluc storico millantatore e bugiardo,<br />

e soldato spietato e sanguinario; un giudizio, questo, da riconsiderare, e da<br />

sottoporre ad un riesame critico più equanime e fondato.<br />

Nella stessa Francia, dopo gli apprezzamenti ricevuti nel XVII secolo, questo<br />

autore non è mai stato giudicato benevolmente, e neppure è stato del tutto<br />

capito. Su questo giudizio molto hanno pesato sia un antico, ed ormai inconscio<br />

senso di colpa collettivo per le sanguinose stragi del XVI secolo, sia una<br />

condanna di radice illuminista, che vedeva in questo cattolico intransigente, un<br />

esempio di fanatica intolleranza religiosa. Nel XIX secolo la valutazione negativa<br />

che ne fece Michelet, creò intorno a questo personaggio, una nomea di<br />

perversa romanticheria da “cappa e spada” 12 , che finì per rendere l’uomo crudele,<br />

e lo scrittore inaffidabile. Infine, coloro che nel XX secolo, si sono occupati<br />

in Francia di storia letteraria, con la loro cartesiana mania di tutto inquadrare,<br />

definire e schedare, indubbiamente con qualche superficialità e con una analisi<br />

critica un po’ troppo svelta, hanno collocato Monluc tra gli scrittori che, nel XVI<br />

secolo, si sono serviti della propria storia personale, e di quella della loro fazione<br />

11. Quando è stato possibile, abbiamo limitato nel testo italiano la presenza, spesso troppo<br />

ingombrante, di strutture causali; ci siamo anche serviti, per rendere la lettura più scorrevole, del<br />

pronome personale gli invece di loro, forma ormai ammessa dall’uso moderno anche nell’Italiano<br />

scritto.<br />

12. Si vuole che Alexandre Dumas per creare il suo D’Artagnan, si sia ispirato a questo eroe<br />

guascone.


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

politica e religiosa, per redigere dei memoriali di facile propaganda, e per fare<br />

degli eventi da loro vissuti con troppa passione, un racconto del tutto inattendibile<br />

13 . Da qui il giudizio che ne è scaturito di uno scrittore un po’ rodomonte,<br />

un po’ bugiardo, e di un militare senza cuore, a cui vengono concessi dei meriti<br />

letterari solo per la vivezza, per la freschezza, la genuinità, la brillantezza del<br />

suo scrivere, inusitato e personalissimo. Tuttavia, apprezzare Blaise de Monluc<br />

solo per questo, ci sembra improprio e riduttivo, tanto più che non tutte le pagine<br />

dei Commentaires sono scritte con lo stesso candore, la stessa spontaneità<br />

ed improvvisazione; pensarlo non solo è una valutazione di per se stessa incongrua,<br />

ma denota anche poca conoscenza dell’opera. Come dimenticare le molte<br />

pagine dove egli si rivolge con eloquio oratorio ai Parlamenti, e con linguaggio<br />

facondo ai giovani capitani per ammaestrarli nell’arte della guerra? Come ignorare<br />

la sua ben calcolata e controllata impertinenza allorché si rivolge ai principi<br />

e ai re per difendere il suo onore e il suo operato messo in dubbio da chi troppo<br />

invidia la sua carriera folgorante e la posizione raggiunta? È solo quando il torto<br />

brucia e l’offesa si fa pesante, che il sentimento vince la prudenza, e viene meno<br />

la moderazione del linguaggio. Lo stesso accade allorché il ricordo lo riporta<br />

sui campi di battaglia, fra i suoi soldati, durante le lunghe veglie e le estenuanti<br />

marce; anche allora il suo ragionare diventa spontaneo, fresco, personale. Un<br />

altro motivo di quel raccontar semplice e piano, di quella lingua, che dismessi<br />

gli abiti solenni e cortigiani, usa un vocabolario schietto e familiare, lo si deve<br />

ricercare anche nel fatto che Monluc non scrive, ma detta e racconta come gli<br />

era capitato cento altre volte, forse con qualche concessione di troppo all’amor<br />

proprio e alla fantasia, quando a corte ed altrove, veniva sollecitato a render<br />

conto delle sue straordinarie imprese, da un pubblico che non poteva altrimenti<br />

informarsi, e che desiderava conoscere direttamente, da chi ne era stato il protagonista,<br />

come si erano svolti scontri ed assalti. È qui, allora che l’uomo accorto<br />

e un po’ calcolatore, sull’onda dei ricordi, impiega il linguaggio che gli è più<br />

consueto e familiare, lo stesso che usava coi compagni d’armi, tra le mura della<br />

sua casa, dinanzi al fuoco, con gli amici e i figli.<br />

Un’altra delle ragioni che hanno contribuito ad una valutazione distorta<br />

dei Commentari da gran parte della critica, specie quella del passato, è che<br />

essa ha voluto cercarvi lo storico, e, giustamente, non ve lo ha trovato. Monluc<br />

non è uno storico; lui stesso lo dice, e lo ribadisce spesso. D’altronde il<br />

giudizio che lui dà degli storici contemporanei è quanto mai sintomatico e<br />

definitivo. Li considera tutti asserviti ed ossequienti ai potenti del momento,<br />

il cui unico scopo è quello di glorificare ed ingraziarsi quelli che posson conceder<br />

loro benefici e prebende, ignorando l’eroismo, i sacrifici, le imprese di<br />

13. Si vedano, tra gli altri, Agrippe d’Aubigné et Franois Franois de La Noue.<br />

21


22 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

chi, senza un blasone illustre ed un nome importante, sacrifica una vita intera<br />

alla gloria dei principi e dei re.<br />

Non si cerchi nelle sue pagine un’esposizione compiuta ed esauriente<br />

dei fatti, ed il perché e il percome degli eventi: egli manca di una visione<br />

analitica e sintetica tale da permettergli di spaziare, con intelligenza di<br />

storico, e con larga visione, su quel che accade sia in Francia, che altrove.<br />

Il suo scopo è un altro: quello di presentare al lettore il mondo come lui<br />

lo vede, e come vorrebbe che fosse. Di quei fatti, troppo lui ne è stato<br />

partecipe per esserne un testimone imparziale ed equanime, troppo ha<br />

odiato i suoi nemici compromettendosi con questi e con quelli, troppo<br />

è stato criticato e accusato per poter raccontar le cose senza che, ai suoi<br />

occhi, la passione non faccia velo alla semplice verità.<br />

E nel reprimere la ribellione, nel punire il tradimento, nello stroncare sul<br />

nascere sommosse e torbidi, egli agisce come tutti gli altri suoi contemporanei,<br />

sia amici che nemici. Egli è inflessibile nel castigare e punire, come lo<br />

sono i suoi avversari, come lo è tutta la società in cui vive. Volerlo giudicare<br />

oggi, dopo mezzo millennio di storia, con il nostro metro di giudizio morale,<br />

è un errore di cecità storica. L’uomo Monluc è conscio del male che fa, del<br />

dolore che procura, e teme il giudizio di Dio; non può, tuttavia, fermare il suo<br />

braccio vendicatore, e rinfoderare la spada, che è lo strumento indispensabile<br />

a riportare l’ordine politico, sociale e religioso di cui solo un regno con<br />

un monarca forte ed una sola religione, può godere. Ma, quasi alla fine del<br />

suo libro, se si leggono con attenzione le pagine che egli rivolge al re, non<br />

è difficile cogliervi la consapevolezza che, dopo tutti i tragici fatti che per<br />

decenni avevano sconvolto la Francia, doveva aprirsi un’altra stagione in cui<br />

la tolleranza avrebbe dovuto ispirare la politica reale, quasi ad anticipare, con<br />

intelligente preveggenza, la politica pacificatrice di Enrico IV. Ecco perché,<br />

pensiamo, il giudizio giudicato inappellabile sulla crudeltà dell’uomo, deve<br />

essere, almeno in parte, rivisto e corretto.<br />

L’uomo<br />

Chi fu, in realtà, Monluc 14 ? Talmente complessa, mutevole e multiforme<br />

fu la sua personalità, che pressoché impossibile è tracciarne un profilo<br />

psicologico unitario e definitivo.<br />

14. Monluc, e non Montluc come spesso erroneamente si scrive. Lui stesso tracciava<br />

la sua firma senza che vi comparisse una t, che cominciò ad essere inserita solo nelle<br />

edizioni dei Commentaires del XVII secolo. D’altronde il nome dei Monluc ebbe origine


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Fu, infatti, uomo collerico, bizzarro, profittatore, calcolatore, ma anche<br />

paziente, generoso, riflessivo, coraggioso e fedele alla parola data: un uomo<br />

contraddittorio insomma, del quale si possono dare giudizi del tutto dissimili<br />

e contrastanti. Tuttavia il senso dell’onore di lontana matrice cavalleresca, fu<br />

sempre il paradigma imprescindibile di ogni sua scelta e di ogni sua azione E<br />

per tutta la sua vita, bisogna dargliene atto, non tradì mai l’onore suo, la sua<br />

virtù di soldato, l’amicizia. Quando egli si rivolge ai giovani capitani ribatte,<br />

quasi fino alla noia, che il loro fine deve esser quello di perseguire l’onore e<br />

la fama, e salvaguardare il loro buon nome, e quello della propria casata. Per<br />

lui, chi si batte con coraggio, sia di alto grado che umile fantaccino, ha diritto<br />

alla stessa considerazione e allo stesso rispetto, tanto da suggerire al re, idea<br />

a quel tempo inusitata ed innovativa, di dar rifugio ai vecchi soldati, e di far<br />

curare i feriti e gli invalidi che hanno combattuto per il regno di Francia. E mai<br />

lasciò soli i suoi uomini nel pericolo; negli assalti fu il primo tra i primi, nelle<br />

marce l’ultimo a cercar riposo, negli assedi, per esser di esempio a tutti, seppe<br />

resistere alla fame. Ed i soldati lo ricambiarono con la fedeltà, il rispetto, l’ammirazione,<br />

considerando un onore combattere ai suoi ordini.<br />

Il suo protagonismo, la troppa fiducia che egli nutriva per le sue dubbie<br />

capacità di politico e di mediatore non richiesto, lo spinsero a fare qualche<br />

passo falso mal giudicato, che gli costò critiche, e che suscitò qualche interrogativo<br />

sulla sua fedeltà alla corona di Francia. In realtà fu leale con il re, o<br />

meglio, con la monarchia, qualunque fosse la persona che legittimamente la<br />

incarnava, poiché egli pensava a questa istituzione come l’unica che poteva<br />

tener coeso un sistema politico–sociale che cominciava a rivelarsi, tal qual<br />

era, non più adeguato alle necessità dei tempi. Monluc ne percepisce la crisi,<br />

ma non vede altro modo per arrestarne la disgregazione, se non rafforzare<br />

il potere reale, liberandolo dai vincoli impostigli dall’alta nobiltà che tesseva<br />

giochi politici troppo pericolosi, brigando con chi della religione, voleva<br />

farsi un’arma per arrivare a sostituire la persona del re. Giocoforza, allora,<br />

schierarsi con la parte politica che difendendo la religione del re, difende il re<br />

stesso. La teologia è cibo troppo duro per un soldato come lui, e nel momento<br />

della scelta di campo, sceglie non per sofferta convinzione religiosa, ma solo<br />

perché la politica del partito cattolico è quella, per lui, più conveniente ai<br />

bisogni del regno di Francia. E Monluc combatte il partito protestante con<br />

un impegno che va oltre le regole richieste della “buona guerra”, e dall’in­<br />

da un piccolo castello anticamente chiamato “Bonluco”, (dal latino Bonus Locus) che il bisnonno<br />

di Blaise, Pierre Lasseran Messencomme, aveva ricevuto nel 1470 da Charles d’Albret.<br />

Oggi di quel casteletto nulla resta; solo un piccolo casolare sulla riva sinistra della Garonna,<br />

non lontano dalla confluenza del Lot, conserva ancora quel nome trasformato in Monluc.<br />

23


24 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

dulgenza voluta dalla pietà cristiana. Il Dio di Monluc, al quale, tuttavia, egli<br />

crede fermamente, non è il Cristo che invita chi ha ricevuto uno schiaffo, a<br />

porgere l’altra guancia, ma il Dio terribile ed inflessibile dell’Antico Testamento.<br />

Egli è convinto che Dio lo protegga nel pericolo, e che per lui nutra<br />

una speciale predilezione, per cui pensa di avere un compito da svolgere, e<br />

una missione da compiere, che lo giustificano e lo assolvono. Ma per raggiungere<br />

lo scopo ha bisogno dell’aiuto di chi può fornirgli denaro ed uomini; e<br />

chi, può farlo se non i Parlamenti cittadini, e la nobiltà timorosa di perdere<br />

privilegi e potere? Chi, se non il re, può soddisfare le sue insistenti richieste?<br />

E ad ogni rifiuto, ad ogni incertezza nello stroncare con determinazione la<br />

sedizione e i tumulti, la critica ora velata, ora palese, va a colpire chi non<br />

soddisfa i suoi bisogni. Egli è ben deciso a non rinunciare a tutto un mondo<br />

che, fin da quando era paggio alla corte di Nancy, ha nutrito di fantasie<br />

cavalleresche la sua fanciullezza, e che poi ha dato una ragione all’illusione<br />

delle campagne d’Italia; ed egli, pur rendendosi conto del nuovo che avanza,<br />

rimane sempre, pervicacemente, attaccato ad un mondo di cui il valore generoso<br />

di ciascuno, la fidelitas, l’osservanza delle regole imposte da un rigido<br />

ed immutabile assetto sociale di radice feudale, sono il perno intorno a cui<br />

si deve muovere la vita di ognuno. Da qui l’incongruenza dell’uomo che sa<br />

di vivere in una società che si sta rinnovando, alla quale, tuttavia, rifiuta di<br />

adeguarsi. Egli, infatti, ha viaggiato, ed ha visto, lontano dall’ancora chiuso<br />

mondo medioevale del suo paese, un orizzonte nuovo, quello di un’Italia<br />

già tutta immersa in un Rinascimento maturo, e ne serba vivo il ricordo.<br />

Ed in lui il cambiamento, quasi a sua insaputa, va lentamente maturando; a<br />

ben vedere, egli è già l’homo novus di impronta rinascimentale, e come tale<br />

agisce. Lo testimonia, nonostante la sua incultura, la maggiore affinità intellettuale<br />

che egli dimostra avere con un giovane Montaigne, piuttosto che con<br />

un vecchio Commynes. Come Montaigne, nella sua opera, pur nel coacervo<br />

degli eventi narrati e dei personaggi incontrati, Monluc non dimentica di<br />

investigare l’animo umano e di indagare se stesso: “connais toi même” egli<br />

scrive nell’ultima pagina del suo libro, quasi a sigillare con questa massima<br />

di socratica saggezza, un cammino che lo ha condotto fino nel cuore della<br />

cultura rinascimentale, inducendolo a palesare, quasi inconsciamente, la sua<br />

vera natura che non è quella dello storico, ma del moralista.<br />

Il soldato<br />

Nell’ambito della disciplina militare, quasi avesse avuto la possibilità<br />

di leggere e di meditare le pagine Dell’arte della guerra del nostro Machiavelli,<br />

e di studiare i progetti e le realizzazioni di un Martini, o dei Sangallo,


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Monluc non poteva non rivelarsi un intelligente precursore di un modo<br />

nuovo di considerare il ruolo assunto dalla fanteria e l’uso delle armi da<br />

fuoco negli assedi e in campo aperto, nonché l’adeguamento delle opere<br />

fortificate all’impiego delle artiglierie 15 . Egli già vede, contrariamente a<br />

molti suoi colleghi, sia il declino della cavalleria, specie di quella pesante,<br />

che fino ad allora era stata la regina delle battaglie, sia il ruolo nuovo<br />

assunto dalla “pietaille”, e l’adozione di sistemi mai sperimentati nel<br />

predisporre difese e ripari quasi a prevedere, alla distanza di molti anni,<br />

quegli accorgimenti difensivi che saranno poi sviluppati e realizzati dagli<br />

ingegneri di Enrico IV. E non solo: egli individua con acume, e denuncia<br />

con coraggio, le storture di una struttura militare occasionale che non corrisponde<br />

più alle necessità del tempo, e critica una distribuzione di incarichi<br />

e responsabilità troppo elitaria, e rispondente più a diritti di casta che a<br />

palesi e provate capacità individuali, com’egli fa, alla fine del suo libro, nei<br />

“rilievi al Re”; senza contare le nomine sollecitate da cortigiani interessati,<br />

da dame di corte ed amanti!<br />

Ed è proprio in quelle pagine che l’esperienza maturata durante tutta<br />

una vita di campagne militari, si fa preziosa, e che denuncia tutto lo scandalo<br />

causato negli eserciti da una troppo frammentata e personale conduzione<br />

delle operazioni, fonte di disordine e di malintesi, e del sopravvento<br />

di tattiche di guerra tra loro scoordinate, su di un disegno strategico unitario.<br />

E non esita, lui che si era conquistato con il sacrificio di tutta una vita,<br />

un posto preminente nella gerarchia militare, ad accusare ripetutamente i<br />

grandi signori del regno, che con le loro querelles personali, le loro invidie,<br />

i loro problemi di primato di sangue, occupano posti di responsabilità<br />

che richiederebbero altre doti e altre esperienze. Egli ravvisa poi, nella<br />

occasionale e temporanea formazione degli eserciti, e in una provvisoria<br />

e episodica distribuzione degli incarichi di comando, la debolezza delle<br />

forze armate del regno, ed auspica la creazione di un esercito nazionale<br />

permanente, come già aveva tentato di fare Francesco I; tentativo andato<br />

fallito perché osteggiato caparbiamente dalla nobiltà. Questo suo desiderio<br />

si manifesta chiaramente negli appassionati discorsi ai Parlamenti cittadini,<br />

allorché fa richiamo alla virtù civica e militare degli avi. Quando, invece,<br />

sprona all’azione i suoi capitani, egli non fa accenno all’amor di patria, ma<br />

15. Dell’arte della guerra, edito in Italia nel 1521, ebbe una prima traduzione francese nel<br />

1546. È assai probabile che Monluc conoscesse alcune pagine delle Epitoma di Flavio Vegezio<br />

volte dal latino in lingua francese nel 1536, ed è del tutto plausibile che avesse letto, od almeno<br />

consultato, Les instructions sur le fait de guerre di Raymond de Fourquevaux stampato, in prima<br />

edizione, nel 1548. Certamente, non ignorò, in traduzione, i Commentari di Cesare ed alcune pagine<br />

di altri storici latini. Molto ci sarebbe da aggiungere a quanto qui brevemente accennato.<br />

25


26 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

solo all’onore di ciascuno, privilegiando, quindi, quello che è un impegno<br />

tutto personale, piuttosto che un sacrificio sublimato in un dovere collettivo.<br />

E se lo fa, lo fa solo con i suoi Guasconi, figli della sua stessa terra. E<br />

questo a ragione, perché egli sa che gli altri sono in maggioranza dei mercenari<br />

che si battono non per difendere casa e famiglia, ma per desiderio<br />

di lucro e di bottino: degli uomini che conducono una vita grama ed errabonda,<br />

priva di freni morali, e spesso in balia di capitani rapaci e spietati.<br />

Egli non ignora che quando eccedono, devono esser corretti con decisione<br />

e durezza se si vuole mantenere l’ordine e la disciplina. Punire sì, ma anche<br />

premiare il merito, il coraggio e l’intraprendenza di chi sfida la morte<br />

per ubbidire agli ordini. E nei suoi rapporti con i suoi uomini, a Monluc<br />

non manca mai una parola di elogio che ripaga più di un riconoscimento<br />

in denaro. E loro, che considerano un onore e una favorevole opportunità,<br />

averlo come capitano, per lui sopportano l’altrimenti insopportabile: rischi,<br />

fatiche, privazioni, fame, e marce senza fine, che sono, quest’ultime, per la<br />

loro rapidità ed imprevedibilità, la ragione determinante della sua fortuna<br />

nelle inattese incursioni e negli attacchi imprevisti. Per questo egli cura<br />

l’alleggerimento degli equipaggiamenti, e l’adozione di armi sempre meno<br />

pesanti e più maneggevoli. Tra i primi, introduce tra i suoi picchieri gli<br />

archibugieri mobili che, con rapidità, si alternano nelle file di fuoco. Ma è<br />

anche verso il potenziamento dell’artiglieria, da lui giudicato ormai indispensabile<br />

negli assedi per aprir brecce e sostenere assalti, e negli scontri<br />

in campo aperto per arrestare l’impeto della cavalleria e aprir varchi tra<br />

i ranghi di picchieri chiusi a riccio, che va il suo interesse; e per questo<br />

cerca la consulenza e l’aiuto di validi ingegneri, specie italiani, di ampia e<br />

sperimentata esperienza.<br />

Un altro motivo, non trascurabile, che mette ancor più in rilievo la modernità<br />

delle sue vedute, è il desiderio che più volte esprime, lui consapevole<br />

della propria ignoranza, di vedere una nuova generazione di capitani<br />

più preparata ed istruita della sua, la quale da sempre considerava il ben<br />

parlare e il bello scrivere, un’inutile perdita di tempo da lasciare a gente di<br />

toga e di chiesa; dei capitani che sappiano, come quelli che aveva incontrato<br />

in Italia, far fronte non solo con le armi, ma anche con la parola, a<br />

situazioni che spesso richiedono finezza di eloquio e conoscenza di uomini<br />

e di fatti, che solo una buona cultura poteva dare. E raccomanda ai giovani<br />

di leggere le antiche storie, fonti inesauribili di esperienze di vita civile e<br />

militare, valide sempre, e di prender pratica nell’uso delle lingue, che sole<br />

possono aprire orizzonti altrimenti chiusi e impraticabili a chi deve affrontare<br />

campagne militari in paesi stranieri.<br />

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato l’antinomia culturale<br />

presente in Monluc: quel suo pensare ed agire da uomo moderno, in con­


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

traddizione con la sua nostalgia per i “bei tempi antichi”. Questo contrasto<br />

lo si ritrova particolarmente intenso e sentito nel Monluc soldato, il quale,<br />

come si è visto, si rivela come un anticipatore di una scienza militare completamente<br />

rinnovata, la quale richiedeva cambiamenti ed adeguamenti richiesti<br />

dalle nuove tecniche e dalle nuove strategie di guerra. Pur tuttavia,<br />

in cuor suo, egli rimpiange il mondo cavalleresco di un tempo, quando un<br />

uomo valoroso moriva di spada in combattimento leale, e non per un colpo<br />

d’archibugio sparato da un ignoto villano, e l’onore del singolo faceva aggio<br />

sul sacrificio indistinto e anonimo di molti.<br />

Il suo libro fu detto da Enrico IV la Bibbia del soldato, e rappresentò<br />

per alcune generazioni quasi esclusivamente un testo di insostituibile cultura<br />

militare; oggi i Commentaires non sono soltanto un’opera che continua<br />

ad offrire grumi di antica sapienza bellica, ma anche, e soprattutto, un<br />

vasto “lezionario” di saggezza e di cultura umanistica.<br />

Lo scrittore<br />

Nei paragrafi precedenti già si è detto dello scrittore in modo conciso<br />

e saltuario; ora, a quanto accennato più sopra, vogliamo aggiungere qualche<br />

altra breve considerazione. Innanzi tutto, prescindendo da un valore<br />

storico, reale o presunto che esso sia, e da una valenza di carattere moralistico,<br />

che importanza hanno da un punto di vista strettamente stilistico,<br />

linguistico, e letterario le pagine dei Commentaires? Molta, senza dubbio,<br />

e vediamo perché.<br />

Innanzi tutto Monluc, nel XVI secolo, riuscì per primo a delineare un ritratto<br />

di se stesso, calandolo in una realtà storica vista e vissuta come componente<br />

necessaria, ma secondaria, rispetto alla “sua” storia personale ed umana;<br />

ed è per questo che, scorrendo le cento e cento pagine dei Commentires,<br />

il lettore ha la consapevolezza, non tanto di assistere a degli eventi che hanno<br />

coinvolto un intero regno, e il vissuto di un abile e valoroso capitano, quanto<br />

di accompagnare, in un susseguirsi affannoso di fatti, le azioni e le reazioni<br />

dell’animo di un uomo, povero sì di cultura, ma enormemente ricco di esperienze<br />

umane, dinanzi a quegli straordinari eventi che furono per la Francia,<br />

prima le campagne d’Italia, poi l’immensa tragedia collettiva delle Guerre di<br />

Religione; due grandi accadimenti storici che, con un processo lungo e sofferto,<br />

incisero così profondamente sul suo spirito, tanto da trasformarlo, lui<br />

uomo dai principi radicati nel passato, in un uomo ormai moderno che trova<br />

in se stesso la certezza del buon diritto, e la ragione dei fatti.<br />

Qui sorge subito una domanda: quanto e come il suo “connais toi–même”<br />

differisce da quello di Montaigne? Il fine è lo stesso, ma il come è<br />

27


28 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

indubbiamente diverso. La scrittura di quest’ultimo è raffinata, elaborata,<br />

arricchita da un vocabolario forbito e colto, disseminato di citazioni latine<br />

e greche, perfetta nel suo tessuto grammaticale e sintattico. Quella di Monluc<br />

scorre ineguale ed imprevedibile, non sempre attenta ad una corretta<br />

ortodossia sintattica, palesando la pochezza culturale di chi scrive, e che,<br />

con evidenza, appare come nata più da un “aggiungere” che da un “levare”,<br />

ma tuttavia ricca di un fraseggio ora semplice ed alla buona, ora grave e<br />

sostenuto, sempre però colorito ed incalzante, fino a irretire chi legge in<br />

un gioco di situazioni e di eventi anche se, talvolta, di per sé insignificanti<br />

e di poco interesse documentario. E quel suo “aggiungere”, prolungatosi<br />

negli anni, non sempre ha giovato al testo, appesantendolo in alcune parti,<br />

e rendendo più di una pagina ripetitiva e superflua, specie là dove l’autore<br />

si attarda in considerazioni morali o di tecnica militare.<br />

Tuttavia è innegabile che lo stile di Monluc è, in molte sue pagine brillante,<br />

vivace, appassionato; egli fu abile, nel descrivere in pochi tratti e con<br />

esattezza, luoghi e situazioni, ed a cogliere con spregiudicatezza, e talvolta<br />

anche con malizia, gli aspetti più intimi e nascosti del carattere delle persone<br />

del suo mondo, tanto che, qualcuno, ha visto in lui un antesignano del<br />

cardinale di Retz.<br />

La sua bravura di affascinante affabulatore, e lo abbiamo già detto più sopra,<br />

si appalesa tutta nei racconti delle sue imprese di guerra, specie di quelle<br />

giovanili, quando la concomitanza tra fatti e scrittura, non poteva più appannare<br />

la visione degli eventi con l’emozione del momento. Per questo là ove,<br />

a distanza di anni, Monluc ripercorre con la memoria le campagne esaltanti<br />

delle Guerre d’Italia, e narra degli assedi e degli assalti, le sue pagine hanno<br />

uno smalto letterario più brillante, più vivo, e fascinoso di quelle ove egli si<br />

dilunga a raccontare gli eventi delle Guerre di Religione; in quei terribili anni<br />

la passione politica, e l’ansia di lasciare dopo di sé l’immagine di un soldato<br />

dalla reputazione intemerata, e dall’onore senza macchia, lo fanno più guardingo,<br />

misurato e, forse, talvolta, reticente, nel descrivere fatti e persone,<br />

rendendo così il suo racconto un po’ troppo controllato e prolisso, tanto da<br />

esprimersi con uno stile meno vibrante, talvolta più fiacco e sfilacciato.<br />

Tuttavia anche quella parte dei Commentari ci riserva delle pagine di<br />

grande maestria, come quelle ove si descrive, solo per ricordarne alcune, il<br />

processo di Cahors, la rottura del ponte del presidente Sevin, o il mirabile<br />

discorso al Re. Che poi, in alcune di quelle pagine, Monluc con noncuranza,<br />

quasi con spavalderia, faccia mostra di tutta la sua brutale inflessibilità,<br />

è un aspetto che non attiene all’analisi letteraria, ma ad un’altra categoria<br />

di giudizio, di cui abbiamo già detto.<br />

Ci sembra ora opportuno, per maggiore informazione, ritornare su un<br />

punto: più sopra abbiamo accennato alla presenza nella Bibliothèque Na­


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

zionale di Parigi di due manoscritti, e alla marcata diversità di contenuto,<br />

e alla difformità stilistica che essi presentano rispetto alla prima edizione<br />

dell’opera, fatta uscire a Bordeaux nel 1592 da Florimond de Raemond.<br />

Vogliamo, quindi, riprendere l’argomento, per mettere in evidenza il lungo<br />

lavoro di elaborazione e di trasformazione che fece di una stringata difesa<br />

personale, accompagnata da una cronaca di eventi a cui partecipò uno dei<br />

tanti capitani dell’esercito reale, un’opera di notevole interesse letterario.<br />

Da un punto di vista strettamente linguistico, il prezioso lavoro di<br />

collazione effettuata da Paul Courteault, ci permette di cogliere non<br />

solo le varianti filologiche e ortografiche che intercorrono tra i due manoscritti<br />

della Biblioteca Nazionale e l’edizione curata da Floremond<br />

de Raemond, ma anche la faticata operazione di correzione, di arricchimento,<br />

e di ripulitura subita dalla prima versione, atteso che, dopo<br />

lo studio di Paul Courteault, si può ripercorrere tale processo, tenendo<br />

per certo che la prima delle due copie manoscritte della Bibliothèque<br />

Nationale è la più antica che ci è restata, e che Floremond. de Raemond<br />

ne ebbe a disposizione un’altra, a noi sconosciuta, posteriore a quella.<br />

Il testo della prima copia manoscritta, è più breve e più povero di quello<br />

dell’edizione del 1592, e il suo stile, assai rozzo e frammentato, da un<br />

punto di vista grammaticale e sintattico, è più scorretto e confuso. Vi<br />

mancano le citazioni, le interpolazioni in lingua straniera, le riflessioni<br />

morali, i consigli, i discorsi. Il testo pubblicato a Bordeaux, che sicuramente<br />

in parte fu rimaneggiato da Raemond, è assai più lungo del<br />

manoscritto della Biblioteca Nazionale, e rivela una attenta revisione,<br />

ed un accorto accrescimento di contenuto da parte del suo autore; questi,<br />

non solo ha corretto e limato il testo, ma vi ha anche aggiunto le<br />

riflessioni di carattere morale, i consigli ai capitani, e i discorsi, ed ha<br />

ampliato il tutto, inserendovi informazioni, confronti, riferimenti storici,<br />

ricorrendo ampiamente agli scrittori non solo di Francia, ma anche<br />

d’Italia, e dell’antica Roma. Come Monluc poté raggiungere una tale<br />

qualità letteraria, e far sì che i suoi Commentaires potessero gareggiare<br />

con le opere più importanti del suo tempo? Fu lui stesso, in realtà, a<br />

correggere, limare, integrare, oppure un’altra mano prese la penna, lui<br />

vivo, per emendare, raffinare, ampliare, sotto gli occhi attenti del vecchio<br />

soldato, la prima redazione del suo lavoro? Od invece, al momento<br />

della prima edizione, fu lo stesso Florimond de Raemond ad intervenire<br />

pesantemente, come ha pensato de Ruble? O piuttosto il fratello Jean, il<br />

dotto domenicano, che tanta parte ebbe nella diplomazia di quel tempo?<br />

Ed anche il figlio vescovo, fresco di studi teologici, seppur tardivi ed<br />

affrettati a Padova, non può aver aiutato il padre nel lavoro di arricchimento<br />

e di revisione della prima redazione dei Commentaires?<br />

29


30 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Qui un altro problema si apre, ma non è in questa breve introduzione<br />

che possiamo affrontarlo; d’altronde, questo poco pesa sul giudizio finale<br />

dell’opera. Si sottolinea soltanto che, nonostante tutto, l’anima originaria<br />

del libro di Monluc non fu tradita, né la forza evocatrice del suo contenuto,<br />

né lo stile così personale e vivace, né tanto meno l’aspirazione essenziale<br />

del suo autore, che era quella di far vivere nel tempo il suo nome.<br />

La vita di Monluc “en raccourci”<br />

Voler tracciare con una certa ampiezza di particolari la vita di Monluc,<br />

seguendolo nei suoi continui spostamenti, e intrattenersi su tutti i fatti di cui<br />

egli è stato testimone e partecipe, non è che sia impossibile, ma certamente<br />

richiederebbe molte pagine a chi scrive, e una buona dose di pazienza a chi<br />

legge. Meglio è dunque farne uno svelto compendio, accennando soltanto a<br />

quei fatti che, più di altri, segnarono il corso della sua lunga esistenza, dove<br />

il lettore potrà trovare dei punti di riferimento capaci di farlo prestamente<br />

orizzontare, e di indirizzarlo verso quelle pagine del libro che lo possono<br />

interessare.<br />

Blaise Lasseran Messencomme, signore di Monluc, nasce intorno al<br />

1500, forse nel 1502, in un povero villaggio della Guascogna non lontano da<br />

Condom, in una numerosa famiglia di piccola nobiltà terriera, rovinata dalla<br />

guerra dei Cent’anni. Primo di dieci figli, cresce senza alcuna istruzione,<br />

lontano dai centri di qualche importanza, in una campagna spopolata. Sono<br />

gli anni fortunosi e violenti della campagna d’Italia di Luigi XII, mentre<br />

sono ancor vivi i ricordi delle imprese di Carlo VIII. Questo favoloso clima<br />

di guerra suscita nel cuore del ragazzo il desiderio di avventura, ed è per<br />

lui facile lasciare il paese poco più che decenne, quando suo padre lo invia<br />

nella corte ducale dei Lorena, dove è accolto come paggio. Il duca Antoine<br />

è un uomo all’antica, e quella scuola di cavalleria, unita ad un alto senso<br />

dell’onore, lasceranno un’impronta indelebile nello spirito del giovane Monluc.<br />

Partito il duca per l’Italia, Blaise resta nel castello di Nancy con mansioni<br />

di paggio, e nelle stanze raffinate della duchessa, egli vive in un delicato<br />

ambiente di cortesia che sarà un’altra delle componenti del suo carattere. Ma<br />

ormai egli si è fatto uomo, ed è impaziente di diventar soldato. Nel 1521 è in<br />

Italia appena in tempo per conoscere da semplice arciere, la sconfitta della<br />

Bicocca, dove, tuttavia, riesce subito a farsi notare ed apprezzare. Ritornato<br />

in Francia, combatte contro gli Spagnoli nel Sud del paese, poi, nel 1524,<br />

raggiunge di nuovo Francesco I in Italia, ed è presente al disastro di Pavia.


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Vien fatto prigioniero, ma è rilasciato subito, nessuno potrebbe pagare il suo<br />

riscatto. Deluso ed amareggiato rientra in Guascogna, dove, nel 1526, si sposa.<br />

Dopo un anno appena, eccolo di nuovo in Italia settentrionale, dove, a<br />

Vigevano, viene ferito. Intanto l’esercito punta su Napoli attraverso le Marche<br />

e gli Abruzzi. Guarito, raggiunge i compagni, ma durante un’azione a<br />

Rocca di Penne, si frattura malamente un braccio, e rischia un’amputazione.<br />

Finalmente, anche lui, può arrivare a Napoli; la città, pur strettamente assediata,<br />

non cede, e l’esercito francese, colpito da un’epidemia e privo di aiuti,<br />

deve rientrare in patria. Qualche tempo dopo Monluc partecipa alle operazioni<br />

in Provenza, a Marsiglia, nell’Artois, e in Piccardia, dove il Delfino,<br />

nota quell’intelligente e ardimentoso capitano. Lo ritroviamo subito dopo<br />

in Piemonte, ma la campagna d’Italia è terminata. Intanto a Perpignano si<br />

cerca una tregua con la Spagna. Monluc si traveste da cuoco, e mischiato alla<br />

servitù dei plenipotenziari francesi, entra in città e ne studia le fortificazioni.<br />

È uno strano cuciniere che si interessa poco ai fornelli, e troppo ai bastioni.<br />

Riconosciuto, rischia di esser preso ed impiccato. Raggiunta la tregua, egli<br />

ne approfitta per farsi conoscere a corte; ne resta però deluso. Nel 1542 le<br />

ostilità ricominciano, ed eccolo all’assalto di Perepignano e poi, di nuovo in<br />

Piemonte. Monluc è ormai conosciuto e stimato, e viene incaricato di missioni<br />

delicate. A Ceresole, dove gli Imperiali sono battuti, si comporta con<br />

valore. Instancabile, corre nella Champagne e nel Nord del paese per battersi<br />

con gli Inglesi. Nel 1546 si congeda e ritorna in Guascogna dove ha ereditato<br />

dalla madre il piccolo, malandato castello di Estillac. Ora, non solo è un<br />

affermato e bravo capitano, ma ha anche diritto al titolo di signore. Nel 1547<br />

Francesco I muore, e gli succede Enrico II. È il momento di ripartire per il<br />

Piemonte. Il nuovo re lo nomina governatore di Moncalieri, e per diciotto<br />

mesi egli amministra la città con equità e fermezza. Passa quindi agli ordini<br />

del conte di Brissac, e si trasferisce a Torino. Nel 1551 riprendono le ostilità<br />

con le forze imperiali. All’assedio di Chieri si frattura una gamba, ma presto,<br />

è di nuovo in piedi, ed eccolo alla presa di Lanzo.<br />

Due anni dopo Monluc viene nominato governatore di Alba, tuttavia la<br />

sua poca salute lo costringe a chiedere un congedo, e rientra in Guascogna<br />

per curarsi. Improvvisamente un dispaccio urgente del re lo invita a partire<br />

per Siena, fedele alleata della Francia, assediata da forze medicee e imperiali.<br />

In questa città, dove arriva nel luglio del 1554, Monluc vive l’avventura<br />

più bella della sua vita di soldato, e riesce, tra mille difficoltà, a resistere per<br />

diversi mesi al nemico. Tuttavia la fame, la mancanza di uomini e di denaro,<br />

lo costringono ad abbandonare Siena, che capitola e si arrende; ma non lui,<br />

che con tutta fierezza, si allontana con armi e bagagli, salutato con onore<br />

dalle forze imperiali. Poi una deludente visita a Roma, e l’esaltante rientro in<br />

patria. Nel maggio del 1555, a Fontainebleau, il re lo colma di onori, ma egli<br />

31


32 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

non dorme sugli allori; dopo pochi mesi è di nuovo in Piemonte, e partecipa<br />

all’assedio di Volpiano. Poco dopo Brissac, suo diretto superiore, viene sostituito,<br />

e Monluc, che non stima il nuovo comandante, si congeda. Intanto Carlo<br />

V ha abdicato, e le truppe di Filippo II minacciano dal Napoletano, le terre<br />

del papa. Monluc, nel settembre del 56, deve tornare in Italia. A Roma, in<br />

pochi giorni, riorganizza le difese della città; poi raggiunge la Toscana dove<br />

la superstite, piccola repubblica senese, esausta e nel disordine politico ed<br />

amministrativo, lo reclama con insistenza. Egli interviene con rigore ed energia.<br />

Improvvisamente lo raggiunge la notizia della morte in combattimento,<br />

ad Ostia, di uno dei suoi figli, e per un momento sembra che il sentimento<br />

paterno abbia il sopravvento sulla durezza del soldato. Non c’è, però, tempo<br />

per gli affetti; gli avvenimenti incalzano. Il partito filofrancese si riaccende di<br />

speranza: un nuovo esercito si dirige verso il Sud. Ma è una speranza fugace<br />

perché il Guisa, che comanda la spedizione, vuol raggiungere il Napoletano<br />

passando dagli Abruzzi. Ormai appare chiaro che la Repubblica Senese<br />

ritirata in Montalcino, è abbandonata al suo destino. Intanto in Piccardia,<br />

nell’agosto del 1557, a San Quintino, è il grande disastro. Monluc chiede<br />

di essere esonerato dalla sua carica di luogotenente, e all’inizio dell’anno<br />

successivo lascia Montalcino per Ferrara dove il duca d’Este, legato al re<br />

di Francia da alleanza politica e matrimoniale, teme la vendetta imperiale.<br />

Rapidamente egli si rende conto della situazione strategica dei luoghi, e ne<br />

predispone la difesa; intanto, un nuovo assetto politico e militare che richiede<br />

nuovi equilibri, si va delineando. È la fine della presenza francese in Italia,<br />

Ercole d’Este si accorda segretamente con Filippo II, e per Monluc è tempo<br />

di rientrare in patria.<br />

Intanto in Francia un nuovo problema, gravido di conseguenze, si aggiunge<br />

al disastro militare, alle difficoltà economiche, e all’incertezza<br />

politica: il Protestantesimo comincia a far proseliti, provocando i primi<br />

malesseri politici e sociali. Le grandi famiglie, i Montmorency, i Guisa, i<br />

Borboni, cominciano a prender partito per l’una e per l’altra fazione religiosa,<br />

contribuendo ad indebolire l’assetto istituzionale dello stato. Monluc<br />

segue con attenzione gli eventi del suo paese, ed eccolo, nel 1558, dinanzi<br />

all’imprendibile Thionville, che è in mano spagnola. La formidabile fortezza<br />

cade in venti giorni. Bisogna però ripiegare; altrove l’esercito è stato<br />

battuto. Nell’aprile del 1559 viene siglato il trattato di Cateau–Cambrésis.<br />

Nello stesso anno, dopo la morte in torneo di Enrico II, sale al trono il giovane<br />

Francesco. Monluc corre a corte per rendersi conto della situazione<br />

politica anche in rapporto ai primi torbidi religiosi. Ma vi resta poco perché<br />

il Sud del paese è in fermento. Arrivato in Guascogna ordina l’arresto di<br />

alcune personalità; è un passo falso Ha degli abboccamenti con il re di<br />

Navarra, ed è accusato di cospirazione.


Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Preso d’ira, si scaglia contro i Protestanti che lo hanno coinvolto in un<br />

gioco politico troppo sottile. Francesco II muore prematuramente nel 1560,<br />

e sotto l’egida della madre Caterina, inizia il regno del decenne Carlo IX. Il<br />

disordine politico è ormai al colmo, e Monluc si ritira, in silenzio, ad Estillac.<br />

Un lutto lo colpisce: nel 1562 muore la sua prima moglie. Il lutto è breve, e<br />

dopo poco più di un anno si risposa con una giovane di buona nobiltà. Intanto<br />

i Protestanti non rispettano i patti, e la regina madre invita il fedele capitano ad<br />

intervenire in qualità di luogotenente generale della Guienna, ed egli agisce,<br />

secondo gli ordini, con misura. La sua moderazione fa credere agli Ugonotti<br />

che egli possa essere corrotto, e non riuscendovi, decidono di assassinarlo.<br />

Monluc è informato del complotto, e reagisce con energia, intervenendo militarmente<br />

in varie città della Guascogna: eccolo ad Saint–Mézard, a Fumel,<br />

a Chaors, a Tolosa, dove i suoi metodi di repressione si rivelano spietati. Il<br />

partito protestante apre allora le ostilità, e la guerra di religione ha inizio.<br />

Da questo momento in poi, l’attività militare di Monluc non ha più tregua,<br />

ed eccolo a Tolosa, a Bordeaux, ad Agen. Da ambo le parti si commettono<br />

uccisioni, ribalderie, massacri. Finalmente l’editto d’Amboise del marzo del<br />

1563, riporta un po’ di calma nel paese ormai dissanguato. Monluc ottiene,<br />

insieme al signor di Burie, la luogotenenza della Guascogna. La situazione,<br />

però, resta incerta e confusa, l’equilibrio nazionale e internazionale compromesso;<br />

che fare? Monluc, forse non a torto, pensa che lo statu quo si possa in<br />

qualche modo mantenere solo con un accordo tra Francia e Spagna. Va, viene,<br />

parla troppo con questo e con quello, ed è accusato di tradimento. Allora<br />

egli polemizza, protesta, si difende con forza ed efficacia, e la sua buona fede<br />

viene riconosciuta. Purtroppo la tranquillità familiare e la gioia di una nuova<br />

paternità, vengono turbate, nel 1566 dalla notizia della morte nell’isola di<br />

Madera, di uno dei suoi figli, il suo prediletto, che aveva appena iniziato un<br />

periplo dell’Africa per cercar fortuna in paesi lontani. Anche gli avvenimenti<br />

politici e militari non gli danno tregua; il principe di Condé, capo degli<br />

Ugonotti, è pronto a ordinare la sollevazione generale. Monluc cerca di non<br />

farsi cogliere impreparato, e resta vigile ed attento per salvaguardare la sua<br />

Guascogna dalle mire ugonotte. Gli eventi incalzano: a Meaux il re e la corte<br />

rischiano di cadere in mano del partito protestante. La sua presenza con i suoi<br />

uomini è ritenuta necessaria nel cuore del paese, ma Monluc tergiversa e si<br />

attarda in operazioni non sempre felici verso il Limosino. Gli viene tolto il<br />

governatorato di Bordeaux a favore di Henri de Candale, un Montmorency,<br />

e questo gli è causa di amarezza e di risentimento. Intanto, a Saint Denis,<br />

Anne de Montmorency batte Condé; un evento, quest’ultimo, favorevole ai<br />

Cattolici. Tuttavia gli Ugonotti sono ancora abbastanza forti, tanto da potersi<br />

impossessare di La Rochelle. Il re ordina a Monluc di liberare quella piazzaforte,<br />

ma l’operazione è bloccata da una tregua. La pace dura poco; tutto il<br />

33


34 Introduzione alla lettura dei Commentari<br />

Sud è preda del disordine. Monluc combatte con risolutezza e coraggio; egli<br />

è ovunque e con chiunque chieda il suo aiuto. Non tutti i capi cattolici però<br />

gli sono amici; Damville, governatore della Provenza, scrive a corte criticando<br />

il suo operato. Ma il re non lo ascolta, e comanda al vecchio capitano di<br />

rioccupare alcune fortezze. All’assalto di Rabastens un colpo d’archibugio lo<br />

raggiunge al viso sfigurandolo, ed egli deve abbandonare il campo. Nell’agosto<br />

del 1570 viene firmata con gli Ugonotti la pace di Saint Germain; molte<br />

teste cadono, ed anche Monluc è costretto a lasciare definitivamente il governatorato<br />

della Guienna. I nemici, vecchi e nuovi, gli sono sopra ed è, tra<br />

l’altro, accusato di concussione. Nel 1571 c’è una prima inchiesta che ha<br />

un esito incerto. Si ripete il procedimento giudiziario, Monluc chiede che<br />

la sua causa sia discussa a Tolosa invece che a Bordeaux. Tutto l’affare va<br />

nelle mani del duca di Anjou che, nel 1572, lo assolve definitivamente. Ma<br />

nuove sciagure stanno per abbattersi sulla Francia; il partito cattolico vuole<br />

una rivincita, ed è la strage di San Bartolomeo. Monluc, ormai, non partecipa<br />

più attivamente agli avvenimenti, e gli basta essere riconosciuto come capo<br />

dei Cattolici di Guascogna. Improvvisamente e inaspettatamente, è chiamato<br />

di nuovo all’assedio di La Rochelle, bastione protestante sulla Manica, ed<br />

entra a far parte dello stato maggiore come consigliere tecnico. Tuttavia, in<br />

seguito a disaccordi fra i comandanti, ed alla nomina del duca d’Anjou a re di<br />

Polonia, l’assedio è tolto. Nello stesso anno, siamo ormai nel 1573, muore un<br />

altro dei suoi figli: è il terzo. L’anno dopo, un nuovo evento scuote il regno:<br />

Carlo IX soccombe al male che da tempo lo mina. Il fratello deve lasciare<br />

la Polonia per assumere, con il nome di Enrico III, la corona di Francia. Il<br />

nuovo re, appena rientrato in patria, nomina Monluc consigliere privato e<br />

maresciallo di Francia, il massimo, insperato onore. Il Bordolese è di nuovo<br />

sossopra, e Monluc cerca di riportarvi un po’ d’ordine, ma non è obbedito,<br />

né ascoltato.<br />

È l’ora di ritirarsi definitivamente. Ormai il vecchio Blaise è disilluso,<br />

stanco e malato, e vuol riabbracciare suo figlio Jean che, abbandonate le<br />

armi, è ora vescovo in Condom. Ed è là che la morte lo raggiunge, improvvisa,<br />

il 26 agosto 1577. Viene sepolto con onore nel coro di quella cattedrale<br />

in attesa di un sepolcro più prestigioso nella primaziale di Bordeaux;<br />

sepolcro che, tuttavia, egli non ebbe mai.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!