Il grigio oltre la siepe di Francesco Vallerani e Mauro ... - Città Invisibili
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sponde dell’idrografia tra Veneto e Friuli ha subito “un processo <strong>di</strong> demolizione <strong>di</strong> ogni<br />
naturalità residua e del paesaggio storico che è anche banalizzazione dell’immagine del<br />
luogo” (De Rocco, 1994, p. 10). I corsi d’acqua iniziano a perdere il loro compito <strong>di</strong> spazio<br />
per <strong>la</strong> comunità e sono ridotti a terra <strong>di</strong> nessuno, a luoghi dell’abuso e Pasolini, poco prima <strong>di</strong><br />
morire, osserva sconso<strong>la</strong>to il declino dell’identità idraulica <strong>di</strong> Casarsa: “Ciò che è andato<br />
veramente perduto sia nel<strong>la</strong> Casarsa del<strong>la</strong> realtà che nel<strong>la</strong> Casarsa dei sogni sono le rogge. E<br />
queste le rimpiangerò tutta <strong>la</strong> vita. Le rogge sono cose <strong>di</strong> un tempo, anteriori al<strong>la</strong><br />
trasformazione capitalistica e cioè perdute nei secoli dell’epoca conta<strong>di</strong>na […] Ora tutto ciò è<br />
finito, in una rapida evoluzione, <strong>di</strong> cui ci vantiamo. E tuttavia non vogliamo ancora<br />
arrenderci e <strong>di</strong>menticare” (Pasolini, 1970, in De Rocco, 1994, p. 9).<br />
Sensibilità poco <strong>di</strong>ssimile nei confronti dei tempi nuovi è veico<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> narrativa <strong>di</strong><br />
Goffredo Parise, il cui senso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>camento al Veneto si era rafforzato, come nel caso <strong>di</strong><br />
Comisso, dopo una prolungata esperienza <strong>di</strong> viaggio in ambienti extra europei. Le non facili<br />
vicende biografiche e lo sguardo attento verso <strong>la</strong> nuova con<strong>di</strong>zione del<strong>la</strong> moderna società<br />
dominata dal primato industriale favoriscono il consolidarsi <strong>di</strong> una visione pessimistica del<strong>la</strong><br />
con<strong>di</strong>zione umana, ben sviluppata nel romanzo <strong>Il</strong> padrone del 1965, ove il <strong>di</strong>sagio e le<br />
violenze implicite sono “<strong>la</strong> per<strong>di</strong>ta dei valori in<strong>di</strong>viduali, l’inautenticità delle re<strong>la</strong>zioni,<br />
l’asservimento tecnologico <strong>di</strong><strong>la</strong>gante”, ma anche <strong>la</strong> sofferenza “<strong>di</strong>stante ma profondamente<br />
intrecciata con le deviazioni del ‘progresso’, che lo scrittore va intanto riscoprendo nel<strong>la</strong> sua<br />
attività <strong>di</strong> viaggiatore-reporter per il terzo mondo […] cosicché nessuna speranza sembra<br />
rimanere all’uomo tecnologico” (Allegri, 1989, p. 326). La strategia lenitiva per non<br />
soccombere sembra essere il ricorso agli scenari ra<strong>di</strong>canti del Veneto campagnolo, sfondo<br />
geografico carico <strong>di</strong> spunti familiari, in grado quasi <strong>di</strong> colmare il vuoto affettivo del<strong>la</strong> sua<br />
adolescenza. Dal territorio riesce a cogliere un peculiare localismo sensoriale, fatto<br />
soprattutto da odori, con i quali è possibile delimitare lo spazio vissuto dello scrittore, sempre<br />
più ridotto con il passare degli anni, assumendo l’aspetto <strong>di</strong> una modesta casa acquistata nei<br />
pressi <strong>di</strong> Ponte <strong>di</strong> Piave in provincia <strong>di</strong> Treviso: “una casetta, una specie <strong>di</strong> casa delle fate,<br />
minusco<strong>la</strong> e vecchia, con tutto vecchio dentro ma efficiente e caldo a cominciare dal<br />
foco<strong>la</strong>re, che sta proprio sui bor<strong>di</strong> del Piave e spesso ne viene sommersa” (Parise, 1987, p.<br />
113).<br />
Se si considera <strong>la</strong> raffinata sintonia con i caratteri più delicati del paesaggio veneto che<br />
consentono a Guido Piovene <strong>di</strong> avviare un rapporto <strong>di</strong> rara intensità affettiva con <strong>la</strong> sua terra,<br />
si coglie ancor meglio il valore delle sue preoccupate intuizioni re<strong>la</strong>tive all’avanzare <strong>di</strong> un<br />
“nuovo” che poteva essere percepito solo attraverso deboli segnali. Già con il suo esor<strong>di</strong>o in<br />
Lettere <strong>di</strong> una novizia, evidenzia il prevalere dell’ipocrisia e dall’ambiguità nel<strong>la</strong> scansione<br />
delle re<strong>la</strong>zioni umane, che mostra uno straor<strong>di</strong>nario riscontro nelle fisionomie del paesaggio<br />
veneto: “Una delle bellezze <strong>di</strong> questa terra sono certamente le nebbie <strong>di</strong> vario ed incerto<br />
colore, tanto che il paesaggio non giunge a definirsi per intero, quasi che voglia essere tutti i<br />
paesaggi nell’infinito del<strong>la</strong> sua ambiguità” (Piovene, 1941, p. 8). E quando inizia il suo<br />
importante resoconto giornalistico attraverso il paese, versato nel famoso Viaggio in Italia<br />
(Piovene, 1993), nel maggio del 1953, “per incarico del<strong>la</strong> Rai e affidato, via via che lo<br />
andavo scrivendo, alle onde ra<strong>di</strong>ofoniche” (ibidem, p. 7), sono già chiari i segni dell’avvio<br />
del<strong>la</strong> rapida trasformazione.<br />
<strong>Il</strong> Veneto <strong>di</strong> allora è ancora bellissimo e in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> marca travigiana: “Siamo nel<strong>la</strong> parte<br />
più dolce, e quasi più greca, del Veneto; greca, si capisce, al<strong>la</strong> veneta; fra trevigiano e<br />
vicentino il venetismo del paesaggio raggiunge un massimo <strong>di</strong> equilibrio e grazia, si<br />
uniforma fin troppo a un modello ideale per eccesso d’arte […] La strada che va da Treviso<br />
a Bassano, sfiorando Maser ed Asolo, è uno dei gran<strong>di</strong> ‹modelli› del paesaggio italiano”<br />
(ibidem, p. 45). Dunque “modello” <strong>di</strong> bel paesaggio (altro che <strong>la</strong> sgangherata opulenza<br />
evocata dal<strong>la</strong> recente <strong>di</strong>citura “modello veneto” !), <strong>di</strong> profonda vocazione al<strong>la</strong> bellezza,<br />
definita da Piovene “endemica”, ma il cui destino sembra già segnato, dato che lo scrittore