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Ecopsicologia (Tesi) - Scuola di Ecopsicologia

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INDICE<br />

1


INTRODUZIONE p. 6<br />

CAPITOLO PRIMO:<br />

LA CRISI ECOLOGICA p. 12<br />

1. La crisi ecologica p. 13<br />

2. Natura e cultura p. 13<br />

3. La crisi e la sua negazione p. 15<br />

4. La necessità <strong>di</strong> stabilire dei limiti p. 17<br />

5. La questione ecologica è un sintomo:<br />

risolvere o ascoltare? p. 18<br />

6. Psicologia e crisi ambientale p. 21<br />

7. Il valore della responsabilità personale p. 22<br />

CAPITOLO SECONDO:<br />

IL TEMA DELL’AMBIENTE IN PSICOLOGIA p. 25<br />

1. Psicologia e ambiente agli inizi degli Anni Settanta p. 26<br />

2. Una <strong>di</strong>stinzione iniziale dell’approccio<br />

psicologico ambientale p. 27<br />

2.1. La psicologia della percezione e la psicologia ecologica p. 28<br />

2.2. La psicologia sociale e il debito della psicologia ambientale p. 28<br />

2.2.1. Kurt Lewin: l’ambiente come campo <strong>di</strong> interazioni p. 29<br />

2.2.2. Roger Barker: il setting comportamentale<br />

e la teoria della ‘sottoumanizzazione’ p. 32<br />

2.2.3. Urie Bronfenbrenner: una proposta <strong>di</strong> approccio ecologico<br />

in senso sistemico p. 36<br />

3. La environmental psychology (psicologia ambientale)<br />

e lo sviluppo del suo campo <strong>di</strong> pertinenza p. 40<br />

3.1. Il campo <strong>di</strong> pertinenza della psicologia ambientale p. 42<br />

4. La psicologia architettonica p. 43<br />

5. La geografia comportamentale p. 45<br />

6. L’ambito ecologico-naturalistico<br />

e le problematiche ecologico-ambientali:<br />

il programma MAB (Man and Biosphere) dell’UNESCO p. 47<br />

7. Recenti sviluppi della psicologia ambientale p. 51<br />

7.1. L’esperienza italiana p. 55<br />

8. La prospettiva transazionale-contestuale p. 56<br />

9. La psicologia sistemica p. 58<br />

9.1. L’epistemologia <strong>di</strong> Bateson p. 63<br />

2


CAPITOLO TERZO:<br />

DAL PARADIGMA DISGIUNTIVO<br />

AL PARADIGMA RELAZIONALE p. 65<br />

1. L’ecopsicologia: nascita, pensiero, fondamenti e finalità p. 66<br />

2. Ecologia e visione sistemica p. 69<br />

2.1. L’approccio sistemico multi<strong>di</strong>sciplinare p. 71<br />

3. Il principio <strong>di</strong> auto-eco-realizzazione p. 72<br />

3.1. L’identità terrestre p. 73<br />

4. Affrontare la crisi in un’ottica sistemica p. 74<br />

CAPITOLO QUARTO:<br />

IMMAGINE DI NATURA E DISGIUNZIONE MENTE-CORPO p. 75<br />

1. L’immagine <strong>di</strong> natura culturalmente con<strong>di</strong>zionata p. 76<br />

1.1. Il senso <strong>di</strong> estraneità p. 80<br />

1.2. Antropocentrismo p. 82<br />

2. Andare ad agire sulle rappresentazioni mentali p. 83<br />

3. Il dualismo mente-corpo p. 84<br />

4. Riappropriarsi del corpo p. 86<br />

5. Il nesso natura-nascita p. 87<br />

6. La negazione del corpo p. 88<br />

CAPITOLO QUINTO:<br />

ECOPSICOLOGIA: L’INCONTRO CON LA NATURA<br />

IN AMBITO CLINICO p. 90<br />

1. L’approccio <strong>di</strong>versificato dell’ecopsicologia p. 91<br />

2. La connessione con la Terra p. 91<br />

3. La natura come termine <strong>di</strong> relazione p. 94<br />

4. <strong>Ecopsicologia</strong> ed etica p. 94<br />

3


CAPITOLO SESTO:<br />

ECOPSICOLOGIA: L’ALIENAZIONE<br />

DALLA PROPRIA REALTÀ PSICHICA p. 96<br />

1. L’allontanamento dalla propria natura interiore p. 97<br />

1.1. L’esperienza del silenzio in natura p. 98<br />

1.2. La natura e gli spazi autentici dell’essere p. 98<br />

2. Verso una mente ecologica p. 99<br />

3. L’incontro con la natura interiore p. 100<br />

4. Donna e natura p. 101<br />

5. Il rifiuto del principio femminile e la squalifica della donna p. 102<br />

5.1. Superare la comparazione uomo-donna p. 102<br />

5.2. Sfruttamento della donna e visione meccanicistica<br />

della scienza p. 103<br />

6. La crisi dei valori maschili p. 104<br />

7. Verso una nuova saggezza p. 105<br />

7.1. La fiducia sconsiderata nella scienza e nella tecnologia p. 107<br />

7.2. Superare l’attuale frammentazione del sapere p. 108<br />

8. Conoscere al femminile p. 108<br />

8.1. Evelyn Fox Keller e Barbara McClintock:<br />

una scienza al femminile p. 108<br />

8.2. Conoscere con empatia p. 111<br />

8.3. Entrare in relazione con la natura nel rispetto<br />

della propria in<strong>di</strong>vidualità p. 112<br />

CAPITOLO SETTIMO:<br />

ECOPSICOLOGIA: GLI EFFETTI BENEFICI DELLA NATURA<br />

SULLA SALUTE DELL’UOMO p. 114<br />

1. Lo stress ambientale p. 115<br />

1.1. l’abitu<strong>di</strong>ne al degrado ambientale p. 115<br />

2. La preferenza per gli ambienti naturali p. 117<br />

2.1. Due teorie a confronto p. 117<br />

3. La biofilia p. 118<br />

3.1. La scelta dell’habitat p. 119<br />

3.2. Biofilia e influenza positiva dell’ambiente naturale<br />

per il benessere dell’essere umano p. 122<br />

4. La funzione <strong>di</strong> restorativeness p. 123<br />

4.1. La teoria del recupero dello stress p. 123<br />

4.2. La teoria dell’attenzione rigenerata p. 124<br />

4


5. Preferenza ambientale e aspetto restorative dei luoghi p. 130<br />

6. L’ambito ospedaliero p. 130<br />

7. Horticultural therapy p. 131<br />

7.1. Destinatari e impieghi p. 134<br />

8. I giar<strong>di</strong>ni terapeutici p. 136<br />

8.1. I giar<strong>di</strong>ni terapeutici italiani p. 136<br />

8.2. Il modello <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>no terapeutico p. 137<br />

CONCLUSIONI p. 137<br />

BIBLIOGRAFIA p. 142<br />

5


INTRODUZIONE<br />

6


Le tematiche connesse al <strong>di</strong>ssesto ambientale hanno assunto in questi ultimi<br />

decenni una in<strong>di</strong>scutibile e crescente rilevanza determinata specificatamente<br />

dall’urgenza e dall’intensità con cui tali problemi vengono a presentarsi.<br />

Il <strong>di</strong>battito è andato progressivamente ampliandosi arrivando ad abbracciare<br />

anche <strong>di</strong>scipline non <strong>di</strong>rettamente legate al tema dell’ambiente.<br />

È nel clima <strong>di</strong> questa feconda e articolata riflessione che è emersa l’esigenza <strong>di</strong> un<br />

approccio eterogeneo e composito alla crisi ambientale, che riesca a superare la<br />

<strong>di</strong>ffusa tendenza a investire unicamente sulla ricerca tecnologica e scientifica. Si<br />

fa così sentita la necessità <strong>di</strong> andare a scar<strong>di</strong>nare la posizione prevalente<br />

nell’attuale panorama culturale che classifica i problemi ecologici come problemi<br />

esclusivamente tecnici da affrontare facendo riferimento dunque soltanto alla<br />

competenza tecnica.<br />

Il palese fallimento delle proposte tecnologiche che si sono susseguite nel tempo<br />

orienta in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una riflessione quanto più ra<strong>di</strong>cale possibile sulla situazione,<br />

che sia <strong>di</strong> alternativa agli approcci settoriali e incompleti e vada invece all’origine<br />

della problematica piuttosto che avanzare rime<strong>di</strong> superficiali e provvisori.<br />

Affrontare la crisi ecologica equivale ad andare a scoprirne le fondamenta.<br />

La crisi ecologica si profila sostanzialmente quale crisi del rapporto fra il mondo<br />

naturale e il mondo umano, segno innegabile <strong>di</strong> un equilibrio <strong>di</strong>strutto, <strong>di</strong><br />

un’alleanza mancata.<br />

La delicata situazione attuale sottolinea la necessità <strong>di</strong> tornare a far proprio il<br />

concetto <strong>di</strong> limite, perché lontano da ragionamenti ingannevoli e <strong>di</strong>scorsi fuorvianti,<br />

quello adottato sino ad oggi non è certo l’unico modo possibile <strong>di</strong> vivere, si offrono<br />

invece anche percorsi <strong>di</strong>versi. Senza alcuna incertezza, al centro della questione<br />

va dunque ricondotto l’uomo e lo stile <strong>di</strong> vita che egli stesso ha deciso <strong>di</strong> adottare.<br />

Assumendo questa prospettiva d’analisi si rende evidente la necessità <strong>di</strong> una<br />

riflessione psicologica che ricongiunga primariamente la problematica ambientale<br />

alla responsabilità in<strong>di</strong>viduale. Secondariamente l’apporto psicologico deve<br />

7


impegnarsi a in<strong>di</strong>viduare quei presupposti che spingono e orientano la condotta<br />

umana in <strong>di</strong>rezione antiecologica.<br />

Quin<strong>di</strong>, non può esserci proposta efficace alla crisi ecologica che non vada a<br />

ri<strong>di</strong>segnare il rapporto dell’essere umano con l’ambiente.<br />

Tali considerazioni vengono affrontate nel capitolo primo.<br />

L’intento del lavoro successivo è quello <strong>di</strong> esplicitare l’approccio psicologico alla<br />

crisi ambientale, andando a prendere in esame lo specifico contributo<br />

rappresentato dall’ecopsicologia. Si tratta <strong>di</strong> una giovane <strong>di</strong>sciplina psicologica,<br />

maturatasi nel corso degli Anni Novanta negli Stati Uniti, che intende indagare le<br />

cause della crisi ecologica nonché definirsi quale concreto apporto volto ad<br />

affrontare la situazione.<br />

Ma coinvolgere uomo e ambiente significa, come è facile dedurre, addentrarsi in<br />

un terreno <strong>di</strong> confine per la psicologia, tra<strong>di</strong>zionalmente focalizzata sulle<br />

<strong>di</strong>namiche intrapsichiche dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

Il secondo capitolo intende dunque inquadrare l’ecopsicologia nell’ambito della<br />

psicologia. Il riferimento è, nello specifico, alla psicologia ambientale, quel filone <strong>di</strong><br />

ricerche che sviluppatosi a partire dagli Anni Settanta si è concentrato sugli aspetti<br />

fisici e spaziali del comportamento umano.<br />

Ad introdurre tale ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sono d’obbligo i riferimenti a quegli autori <strong>di</strong><br />

rilevante teoretica psicosociale nei cui confronti la psicologia ambientale possiede<br />

un debito considerevole: Lewin, Barker e Bronfenbrenner. È <strong>di</strong>fatti possibile<br />

costatare come, al <strong>di</strong> là della eterogeneità <strong>di</strong> temi e <strong>di</strong> prospettive teoriche<br />

riscontrabili nel campo, le modalità con cui la psicologia ambientale è venuta<br />

orientandosi nell’affrontare lo stu<strong>di</strong>o dell’interazione tra processi psicologici e<br />

aspetti fisico-spaziali dell’ambiente appaiono prevalentemente riconducibili al<br />

para<strong>di</strong>gma psicologico-sociale.<br />

Testimonianza dell’intento della psicologia ambientale <strong>di</strong> collocarsi all’interno della<br />

tra<strong>di</strong>zione della psicologia sociale è l’affermazione concorde <strong>di</strong> molti <strong>di</strong> questi<br />

autori circa l’intenzione <strong>di</strong> considerare l’ambiente fisico secondo una prospettiva<br />

molare e non molecolare, nonché la stretta connessione da essi posta tra aspetti<br />

fisici e sociali dell’ambiente in esame.<br />

8


Valgano a <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> ciò le parole <strong>di</strong> Stokols: “A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> gran parte<br />

degli ambiti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o della psicologia, la psicologia ambientale propone una<br />

prospettiva ecologica nello stu<strong>di</strong>o dell’ambiente e del comportamento. In accordo<br />

con tale prospettiva l’ambiente è costruito in termini molari, multi<strong>di</strong>mensionali, e il<br />

fuoco dell’analisi è sulle interrelazioni tra le persone e il loro ambiente sociofisico,<br />

piuttosto che sui nessi tra stimoli <strong>di</strong>screti e risposte comportamentali” (1978, p.<br />

254).<br />

Il concetto <strong>di</strong> “ambiente come globalità” ha trovato recente elaborazione e soltanto<br />

negli ultimi decenni è venuto esprimendosi in una concreta idea politico-sociale<br />

che interpella e coinvolge <strong>di</strong>rettamente i pubblici poteri e le istituzioni.<br />

La problematica ecologico-ambientale viene quin<strong>di</strong> posta secondo nuovi termini: si<br />

<strong>di</strong>scute <strong>di</strong> approccio sistemico e <strong>di</strong> processi biosferici, ovvero <strong>di</strong> cambiamenti<br />

globali, arrivando così, attraverso lo sviluppo del concetto <strong>di</strong> sostenibilità, ad<br />

estendere le coor<strong>di</strong>nate della questione, sia in termini spaziali, cioè a procedere<br />

dallo spazio locale allo spazio biosferico-globale, ma anche in termini temporali,<br />

comprendendo, sul versante umano, tanto le generazioni attuali che le generazioni<br />

future.<br />

La psicologia ambientale rappresenta sicuramente l’antecedente dell’<br />

ecopsicologia; ma quest’ultima, assume una prospettiva nuova e più ampia<br />

rispetto ai modelli tra<strong>di</strong>zionali. Inquadrando il problema entro confini <strong>di</strong>fferenti<br />

arriva a ridefinire ra<strong>di</strong>calmente il rapporto che lega essere umano e ambiente.<br />

Questo aspetto costituisce l’oggetto privilegiato d’indagine del presente lavoro.<br />

Il terzo capitolo intende descrivere pertanto il cambio <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma che derivante<br />

dalle scienze biologiche viene assunto dall’ecopsicologia.<br />

Nei capitoli a seguire viene restituita una panoramica generale dell’approccio<br />

ecopsicologico, centrata su quelli che ne sono i valori ispiratori e i presupposti<br />

guida.<br />

Come approfon<strong>di</strong>tamente illustrato nel quarto capitolo, alla ra<strong>di</strong>ce della crisi<br />

ecologica è da rintracciare, secondo la prospettiva ecopsicologica, l’immagine <strong>di</strong><br />

natura che appartiene alla nostra cultura. La riflessione si sofferma sull’attuale<br />

9


para<strong>di</strong>gma meccanicistico che ha determinato una visione segmentata e<br />

frammentaria della realtà.<br />

L’ecopsicologia interpreta <strong>di</strong>fatti il degrado del contesto ambientale nel mondo<br />

contemporaneo quale esito <strong>di</strong> una profonda scissione che è venuta a determinarsi<br />

tra l’uomo e l’ambiente naturale.<br />

L’allontanamento dell’uomo moderno dal mondo della natura è peraltro parallelo<br />

alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> connessione con l’origine biologica dell’esistenza e dunque con<br />

l’esperienza del corpo. La <strong>di</strong>cotomia mente-corpo che da Platone in poi è venuta a<br />

segnare la nostra tra<strong>di</strong>zione culturale ha avuto come effetto quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>staccare<br />

l’uomo dalla propria fisicità.<br />

Rispetto al tema della alienazione uomo-natura, è opportuno precisare che la<br />

riflessione dell’ecopsicologia trae alimento dalle feconde sollecitazioni <strong>di</strong> alcune<br />

correnti <strong>di</strong> pensiero della cultura ecologica, significative ai fini della chiarificazione<br />

dell’argomento oggetto <strong>di</strong> esame. L’approccio problematico alla questione<br />

attraverso percorsi culturali anche estranei a quelli specificatamente psicologici<br />

consente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare tematiche che, seppure emerse nel contesto del più vasto<br />

<strong>di</strong>battito ecologico, vanno a costituire una valida premessa allo sviluppo <strong>di</strong> una<br />

proposta psicologica adeguata alla complessità dell’argomento.<br />

Il capitolo quinto descrive quella che al lato pratico risulta essere la proposta<br />

dell’ecopsicologia in ambito clinico. Quale specifico approccio terapeutico<br />

l’ecopsicologia invita ad un contatto <strong>di</strong>retto con il mondo della natura.<br />

L’incontro con la natura è volto a sviluppare attraverso la <strong>di</strong>mensione percettiva ed<br />

emotiva dell’esperienza quello che viene definito il senso del luogo, ossia la<br />

consapevolezza del legame profondo che connette l’uomo al mondo naturale,<br />

presupposto fondamentale alla base <strong>di</strong> un agire rispettoso dell’ambiente.<br />

Nel capitolo sesto vengono prese in esame le conseguenze psicologiche<br />

dell’alienazione dalla natura che nell’attuale mondo occidentale caratterizza<br />

l’esistenza umana. Il <strong>di</strong>scorso verte nello specifico sul parallelismo che lega<br />

ambiente interno e ambiente esterno con riferimento al concetto <strong>di</strong> mente<br />

ecologica <strong>di</strong> Bateson.<br />

Viene inoltre presa in considerazione la riflessione, propria del pensiero<br />

femminista, che, avvalendosi del binomio donna=natura, accosta il fenomeno del<br />

10


depauperamento del mondo naturale alla sottomissione della figura femminile che<br />

caratterizza la società occidentale.<br />

Infine il capitolo settimo offre una panoramica degli stu<strong>di</strong> che coinvolgono<br />

in<strong>di</strong>viduo e ambiente naturale volti ad evidenziare gli effetti benefici che il contatto<br />

con la natura presenta nei soggetti. Si vanno quin<strong>di</strong> ad analizzare nello specifico le<br />

preferenze percettivo-visive relative agli ambienti naturali e le reazioni psico-<br />

fisiologiche, cognitive ed affettive, legate a tali contesti.<br />

L’attenzione si focalizza principalmente sul contributo della teoria biologico-<br />

evoluzionistica. Entro questa prospettiva si collocano quelle ricerche interessate<br />

ad approfon<strong>di</strong>re l’influenza positiva che l’ambiente naturale tende ad avere sui<br />

soggetti in rapporto al benessere fisico e psicologico, interpretando tali risultati<br />

quale l’esito <strong>di</strong> fattori biologici e dunque <strong>di</strong> tipo evolutivo.<br />

11


CAPITOLO PRIMO<br />

LA CRISI ECOLOGICA<br />

12


1. La crisi ecologica<br />

“Ci sono pochi dubbi ormai: la crisi ecologica è la maggior emergenza planetaria e<br />

si tratta <strong>di</strong> fatti nostri sia perché noi, umanità, l’abbiamo provocata, sia perché<br />

tocca a noi, ora (ma qui siamo in abbondante compagnia), subircela” (Mainar<strong>di</strong>,<br />

2001, p. 268).<br />

Che il problema ecologico sussista è ormai un dato accertato sul quale sembra<br />

impossibile dubitare. Leggendo gli annali del Worldwatch Institute è improbabile<br />

convincersi del contrario.<br />

Ma senza necessità <strong>di</strong> ricercare conferme dagli stu<strong>di</strong> scientifici possiamo<br />

affermare che si tratta <strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong> cui abbiamo tutti esperienza.<br />

Indubbiamente il problema ambientale è tra le questioni più urgenti che ci troviamo<br />

ad affrontare.<br />

L’attuale crisi ecologica è determinata sia dall’incremento demografico che dalla<br />

modalità specifica <strong>di</strong> esistenza adottata dall’uomo moderno. In sintesi, come <strong>di</strong>ce<br />

molto semplicemente Widmann (1997), la crisi ecologica “è tutta imperniata sulla<br />

presenza dell’uomo, sia nei suoi aspetti quantitativi sia in quelli qualitativi” ( p. 9).<br />

2. Natura e cultura<br />

La crisi ecologica, crisi globale, ci vede coinvolti come specie.<br />

Come ricorda Clau<strong>di</strong>o Widmann (1997), sono molteplici le catastrofi ecologiche<br />

che hanno interessato il nostro pianeta in epoche remote. Sebbene l’emergenza<br />

ecologica non sia un problema nuovo “…per la prima volta la crisi dell’ecosistema<br />

non è soltanto un evento biologico, ma anche culturale…” (Widmann, 1997, p. 9).<br />

Caratteristica <strong>di</strong>stintiva della specie umana è infatti la capacità <strong>di</strong> produrre cultura<br />

ma per ironia della sorte è precisamente questa particolarità a rappresentare oggi<br />

per l’uomo una minaccia per la sua stessa sopravvivenza. La cultura quin<strong>di</strong> si<br />

scontra con i vincoli connessi alle possibilità biologiche dell’essere umano e con le<br />

costrizioni dell’ambiente biofisico.<br />

13


Il progresso tecnologico rappresenta oggi una minaccia per la terra e per la stessa<br />

specie. “L’uomo in tempi rapi<strong>di</strong>ssimi ha apportato e sta apportando mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

tali al pianeta da renderlo incompatibile con la sua vita biologica. Nessun processo<br />

evolutivo potrà permettere a questa specie <strong>di</strong> adattarsi in tempo. Ma proprio per<br />

questo, paradossalmente, sarà culturale e tecnologica, e non biologica,<br />

un’eventuale via d’uscita” (Rossi, in Widmann, 1997, pp. 29-30).<br />

La crisi ambientale è strettamente connessa allo sviluppo tecnologico, sembra che<br />

intrappolati nella presunzione <strong>di</strong> un progresso senza limite abbiamo <strong>di</strong>mentichiamo<br />

la nostra origine animale. “Non ci consideriamo più mammiferi <strong>di</strong>venuti<br />

particolarmente intelligenti, ma esseri superiori in assoluto” <strong>di</strong>ce Cirincione (1991,<br />

p. 31).<br />

La problematica ambientale si gioca dunque tra la <strong>di</strong>mensione culturale e quella<br />

biologica dell’uomo. “L’uomo è da un lato prodotto dalla natura e pertanto parte<br />

della natura stessa, dall’altro in quanto unico essere in grado <strong>di</strong> comprendere il<br />

principio della natura e <strong>di</strong> se medesimo, è qualcosa che trascende la natura, è<br />

l’altro dalla natura. Mi pare che proprio questa ambivalenza dell’uomo sia l’enigma<br />

fondamentale insito in ogni teoria del rapporto tra natura e uomo” (Hosle, 1992, p.<br />

46-47).<br />

La situazione in cui ci troviamo è molto delicata, l’evoluzione ci ha condotti ad un<br />

punto critico. L’uomo possiede le armi per il proprio totale annientamento, il rischio<br />

<strong>di</strong> un auto<strong>di</strong>struzione è ai nostri giorni quanto mai realistica, allo stesso tempo<br />

esistono le stesse possibilità <strong>di</strong> raggiungere una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> assoluto benessere,<br />

un’autorealizzazione senza precedenti. Sta a noi la scelta. La nostra intelligenza<br />

dovrebbe spingerci a stabilire un’alleanza con l’ambiente naturale fondata<br />

sull’equilibrio e il rispetto. Invece perseveriamo a <strong>di</strong>struggere l’ambiente e con<br />

esso le con<strong>di</strong>zioni essenziali alla nostra stessa vita.<br />

Qualcuno si è domandato se l’uomo possa davvero fregiarsi del titolo <strong>di</strong> “sapiens”.<br />

Stiamo andando incontro alla nostra auto<strong>di</strong>struzione e se così dovesse realmente<br />

accadere si tratterebbe <strong>di</strong> una fine quanto mai stupida, potremmo ritenerci l’unica<br />

specie in tutta la storia della vita sulla terra estinta esclusivamente per colpa<br />

propria. “Attualmente l’uomo interpreta la forma più evoluta della Vita, ma potrà<br />

continuare a farlo solo fintanto che rimarrà in sintonia con l’evoluzione;<br />

<strong>di</strong>versamente essa lo travolgerà, poiché ha già <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> seguire il proprio<br />

corso incurante delle forme <strong>di</strong> vita che sacrifica” (Widmann, 1997, p. 8-9).<br />

14


“La rana non beve tutta l’acqua della pozzanghera in cui vive” recita un proverbio<br />

dei nativi d’America. “Noi siamo indubbiamente la specie più intelligente finora<br />

comparsa nel corso dell’evoluzione, ma ciò non ci ha impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> metterci nei guai.<br />

Saremo abbastanza intelligenti da tirarcene fuori?” (Mainar<strong>di</strong>, 2001, p. 270).<br />

3. La crisi e la sua negazione<br />

Esiste tuttavia <strong>di</strong>saccordo tra gli esperti rispetto ai tempi in cui si verificherà la<br />

catastrofe così che rimane <strong>di</strong>battuto e controverso il momento in cui si giungerà al<br />

collasso. Evidentemente i primi sintomi del <strong>di</strong>sastro ecologico vengono ritenuti<br />

cosa da poco conto.<br />

“Così, – <strong>di</strong>ce Cirincione – anche chi prospetta le conseguenze più <strong>di</strong>sastrose <strong>di</strong><br />

certi fenomeni, come l’aumento della temperatura atmosferica, tende a proiettare il<br />

tutto a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> decenni, sottovalutando i danni a brevissimo termine e quelli già<br />

in atto che hanno cominciato a danneggiarci, come la siccità e la morte delle<br />

piante” (1991, p. 8).<br />

Tale <strong>di</strong>scordanza <strong>di</strong> opinioni infatti fa si che la questione venga da parte <strong>di</strong> molti<br />

sottovalutata e minimizzata. Questa incertezza fa sorgere l’idea che si tratti<br />

comunque <strong>di</strong> fenomeni che avranno luogo in un futuro lontano e che per questo<br />

non ci riguardano e non dobbiamo preoccuparcene. L’eventualità <strong>di</strong> non venirne<br />

coinvolti autorizza molti in<strong>di</strong>vidui a non occuparsi della questione, a non sentirsi<br />

responsabili. Le generazioni future, in quanto non ancora esistenti, sembrano non<br />

essere titolari <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti.<br />

Ma d’altronde non possiamo negare che negli ultimi decenni si è assistito ad un<br />

notevole <strong>di</strong>ffondersi delle tematiche ambientali. L’interesse e l’attenzione per il<br />

problema ecologico si sono intensificati nell’ultimo ventennio in merito al <strong>di</strong>battito<br />

ambientalista <strong>di</strong>venendo ormai un tema relativamente <strong>di</strong>ffuso.<br />

Sebbene le questioni ambientali si siano notevolmente estese al punto da meritare<br />

l’attenzione anche della ricerca scientifica e tecnologica, e da trovare spazio nei<br />

programmi <strong>di</strong> alcuni partiti politici e nell’azione legislativa dei governi, il degrado<br />

ambientale va freneticamente aggravandosi. Dunque le molte iniziative a scopo<br />

15


ecologico e i progetti <strong>di</strong> educazione ecologica avviati negli ultimi anni <strong>di</strong>mostrano<br />

come “l’attenzione ai problemi dell’ambiente risulti spesso niente più che una<br />

moda, e in quanto tale debole sul versante <strong>di</strong> un possibile cambiamento reale”<br />

(Mortari, 1994, p. 13).<br />

L’educazione relativa ad un corretto uso dell’ambiente è stata argomento al centro<br />

<strong>di</strong> molte ricerche applicative a partire dagli Anni Settanta. Secondo i risultati degli<br />

esperimenti pare non esserci alcuna corrispondenza tra la quantità d’informazioni<br />

riguardanti i problemi ambientali e il comportamento definito proambientale. Ad<br />

esempio in una ricerca <strong>di</strong> Schahn e Holzer (1990) le donne seppure meno<br />

aggiornate dei compagni maschi sui problemi ambientali hanno manifestato un<br />

atteggiamento più riguardoso dell’ambiente. I risultati lasciano quin<strong>di</strong> dubbiosi<br />

rispetto all’efficacia delle iniziative <strong>di</strong> informazione ambientale.<br />

“Come del resto sanno gli stu<strong>di</strong>osi degli atteggiamenti, - afferma Maria Rosa<br />

Baroni - cambiare l’atteggiamento delle persone verso i beni ambientali è un<br />

problema educativo non risolvibile solo attraverso campagne informative (infatti<br />

negli atteggiamenti la componente cognitiva è solo una parte, affiancata almeno<br />

da una componente affettiva e da una comportamentale)” (1998, p. 150).<br />

Dunque nonostante le innumerevoli campagne informative e l’evidenza dei fatti <strong>di</strong><br />

fronte ai quali risulta <strong>di</strong>fficile fingere <strong>di</strong> avere i paraocchi, sembriamo non<br />

accorgerci dell’estremo appello lanciato dalla natura e al contrario si rafforza<br />

incessantemente l’impronta antiecologica del nostro stile <strong>di</strong> vita. L’atteggiamento<br />

più <strong>di</strong>ffuso sembra quin<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> alzare le spalle ignorando i reali pericoli oppure<br />

nel migliore dei casi accettiamo passivamente le sventurate previsioni confidando<br />

nella fortuna convinti dunque che tutto si sistemerà per il verso giusto. In un modo<br />

o nell’altro si sfugge alla questione ecologica sviandola e seguitando a<br />

sottovalutarla.<br />

Appare evidente che alla ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tale atteggiamento si insinua il desiderio <strong>di</strong> non<br />

sapere. Ci ostiniamo a negare la gravità della situazione e anziché adoperare<br />

misure correttive proseguiamo imperterriti nella medesima <strong>di</strong>rezione.<br />

Riferendosi a questo comportamento Cirincione parla <strong>di</strong> un delirio <strong>di</strong> negazione:<br />

“<strong>di</strong> fatto la negazione è considerata un comune meccanismo psicologico <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />

e non un processo delirante. È però da ritenere che dal momento in cui un<br />

pericolo oggettivo venga ignorato in maniera costante e sistematica e ci si<br />

continui a comportare come se non esistesse affatto, non considerandone le<br />

16


conseguenze e non attuando le adeguate contromisure, tale posizione mentale<br />

assuma più le <strong>di</strong>mensioni e le caratteristiche dell’idea delirante, cioè d’un errore <strong>di</strong><br />

giu<strong>di</strong>zio che non viene mo<strong>di</strong>ficato dalla ragione e dal senso critico” (1991, p. 7). Le<br />

stesse <strong>di</strong>scussioni e i <strong>di</strong>battiti hanno spesso solo il compito <strong>di</strong> illudere <strong>di</strong> affrontare<br />

e controllare la crisi ambientale. Quasi che il frequente <strong>di</strong>scorrere in merito alla<br />

questione esuli dall’adoperarsi effettivamente per risolverla e dal mettere in atto<br />

misure adeguate ad affrontare efficacemente la situazione (Ibidem, p. 8).<br />

Sebbene sia con<strong>di</strong>visa la necessità <strong>di</strong> rinunciare al catastrofismo che ha solo<br />

l’effetto <strong>di</strong> generare sconforto e rifiuto <strong>di</strong> notizie e informazioni che non fanno che<br />

accrescere la sfiducia e il senso d’impotenza, resta comunque innegabile<br />

l’esigenza <strong>di</strong> pervenire ad un’analisi realistica della situazione che riconosca la<br />

gravità della questione. Come sostiene Cirincione: “Sappiamo quanto siano<br />

sgra<strong>di</strong>ti gli allarmismi e come siano anzi controproducenti se servono soltanto a<br />

generare panico e agitazione. D’altra parte non è possibile trovare i giusti rime<strong>di</strong> a<br />

un problema se si persiste nell’ignorarne o nel velarne le <strong>di</strong>mensioni. Un’autentica<br />

presa <strong>di</strong> coscienza in tal senso deve necessariamente passare sia attraverso il<br />

rilievo oggettivo dei danni ambientali che attraverso il superamento <strong>di</strong> quei<br />

meccanismi inconsci, in<strong>di</strong>viduali e collettivi che impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> valutarne l’entità e<br />

l’attualità, lasciando spazio a un illusorio e irrealistico ottimismo che rende sempre<br />

più <strong>di</strong>fficile intervenire in tempo” (Ibidem, p. 9).<br />

4. La necessità <strong>di</strong> stabilire dei limiti<br />

Le attuali problematiche ambientali rammentano all’uomo la propria appartenenza<br />

al regno della natura evidenziandone la derivante determinazione mortale.<br />

Sembra infatti che la <strong>di</strong>fficoltà dell’uomo moderno risieda nell’incapacità <strong>di</strong><br />

accettare la propria finitezza e fragilità derivante dai limiti insiti nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

essere umano.<br />

L’uomo rifiuta <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere in senso vitale dal mondo biologico e dunque rigetta la<br />

propria in<strong>di</strong>ssolubile appartenenza alla terra.<br />

Tentando invano <strong>di</strong> sciogliersi dall’inestricabile connessione col mondo cerca <strong>di</strong><br />

estraniarsi da quell’intreccio <strong>di</strong> relazioni biologiche, emotive, cognitive e sociali da<br />

17


cui invece il suo stesso <strong>di</strong>venire non può irrime<strong>di</strong>abilmente svincolarsi. Guidato<br />

dall’ossessione del controllo l’uomo insegue dunque il desiderio <strong>di</strong> superare i<br />

confini imposti all’esistenza umana spianando così la strada agli o<strong>di</strong>erni in<strong>di</strong>rizzi<br />

della ricerca scientifica volti a forzare e manipolare i processi vitali.<br />

Nella medesima prospettiva possiamo leggere i vertiginosi sviluppi della<br />

tecnologia che regalano l’illusoria convinzione <strong>di</strong> controllo del mondo esterno.<br />

Affrancandosi dal mondo della natura l’uomo tenta <strong>di</strong> trascendere i limiti che<br />

segnano la vita umana sulla terra.<br />

Mai come nel mondo attuale si pone con forza la necessità <strong>di</strong> elaborare una<br />

cultura del limite che a partire dal riconoscimento e dall’accettazione dei confini<br />

entro cui si snoda l’esistenza umana aiuti a stabilire con chiarezza i termini entro i<br />

quali è possibile agire e muoversi. Dunque è solo a partire dalla coscienza dei<br />

propri limiti che è possibile promuovere lo sviluppo <strong>di</strong> un atteggiamento eticamente<br />

orientato.<br />

La crisi ambientale racconta <strong>di</strong>fatti <strong>di</strong> un’incapacità dell’uomo <strong>di</strong> dare la giusta<br />

misura al consumo delle risorse.<br />

5. La questione ecologica è un sintomo: risolvere o ascoltare?<br />

“La questione ecologica è un sintomo” <strong>di</strong>ce Alberto Melucci. “Come davanti a un<br />

messaggio del corpo, a un sintomo appunto, ci si può porre <strong>di</strong> fronte ai problemi<br />

ecologici con due <strong>di</strong>versi atteggiamenti: per ‘risolvere’ o per ‘ascoltare’. La<br />

me<strong>di</strong>cina tecnologica e interventista ha sancito il trionfo delle pratiche ‘risolutive’,<br />

cancellando ogni possibilità <strong>di</strong> ascolto. Di fronte alla questione ecologica potrebbe<br />

prevalere un orientamento simile, che anziché riconoscere la natura <strong>di</strong> sintomo dei<br />

fenomeni, li fa invece oggetto esclusivo <strong>di</strong> intervento e sulla efficacia delle<br />

tecniche misura il proprio successo. Dimenticando così che la soppressione del<br />

sintomo non è la fine del male, ma solo il suo trasferimento” (in Widmann, 1997, p.<br />

50).<br />

La posizione dominante nell’attuale panorama culturale è quella che tende a<br />

ricondurre la crisi ecologica ad un problema <strong>di</strong> tipo essenzialmente tecnico e<br />

18


scientifico. Questa prospettiva d’analisi che conduce ad un interpretazione<br />

assolutamente superficiale del problema ecologico è sorretta dalla certezza che<br />

per ogni questione esista una soluzione tecnica. È questa la proposta che viene<br />

definita riformista o superficiale nell’ambito del <strong>di</strong>battito ambientalista<br />

internazionale.<br />

Questo approccio orienta verso scelte a breve termine e genera soluzioni soltanto<br />

provvisorie che non raggiungono mai la ra<strong>di</strong>ce del problema. I provve<strong>di</strong>menti<br />

adottati agiscono infatti solo in <strong>di</strong>rezione dei problemi più evidenti, senza tener<br />

conto della questione nella sua globalità. Le misure promosse sono così<br />

in<strong>di</strong>rizzate a ridurre l’intensità <strong>di</strong> certi fenomeni senza che la problematica venga<br />

mai affrontata completamente.<br />

Scrive Cirincione : “Di fronte a questi problemi la posizione sociale <strong>di</strong> fondo è che<br />

bisogna cominciare a tenerne conto, o a far finta <strong>di</strong> farlo, e comunque non certo<br />

<strong>di</strong>minuendo ai vari livelli la produzione industriale o puntando sul risparmio<br />

energetico e su drastiche rinunce, ma tutt’al più trovando adeguate misure, pur<br />

sempre tecnologiche, all’inquinamento, al buco dell’ozono e agli altri fenomeni<br />

incombenti. Si persiste così nel ritenere che sia possibile migliorare la<br />

composizione chimica dell’aria, pur continuando a mettere in circolazione ogni<br />

giorno migliaia <strong>di</strong> altre automobili o installando nuovi impianti <strong>di</strong> aria con<strong>di</strong>zionata”<br />

(1991, p. 9).<br />

Occorre comunque ammettere che l’ambientalismo riformista ha ottenuto buoni<br />

risultati sia a livello legislativo che nel campo della ricerca scientifica. È in questo<br />

contesto che si è sviluppato il concetto <strong>di</strong> sviluppo sostenibile ed è proprio in virtù<br />

<strong>di</strong> questo cauto riformismo che questa proposta trova appoggio e ampio consenso<br />

nell’opinione pubblica.<br />

Ma la questione ambientale richiede un intervento ra<strong>di</strong>cale. Affrontare la crisi<br />

ecologica significa rintracciarne le cause reali. È impensabile credere <strong>di</strong><br />

fronteggiare efficacemente i problemi ambientali esclusivamente attraverso un<br />

approccio tecnico che promette soluzioni rapide e parziali. Il problema ecologico<br />

non può essere risolto in tempi brevi e attraverso una risposta riduttiva ed isolata.<br />

La natura complessa della crisi ambientale richiede <strong>di</strong> adottare una prospettiva<br />

sistemica che affronti il problema globalmente nel suo insieme ed escluda<br />

interventi settoriali e limitati.<br />

19


Occorre giungere ad una comprensione approfon<strong>di</strong>ta della problematica ed è<br />

evidente che non c’è modo <strong>di</strong> comprendere la questione ecologica senza<br />

interrogarsi sulle profonde ragioni che la determinano. Diviene perciò<br />

fondamentale andare alla ra<strong>di</strong>ce della crisi ecologica per rintracciarne i reali motivi<br />

anziché impostare l’intervento unicamente sugli effetti. Come afferma Mortari: “il<br />

problema ecologico non si affronta limitandosi a porre la domanda ‘cosa accade’ e<br />

quin<strong>di</strong> cercando una risposta alla questione <strong>di</strong> ‘come ridurre la densità’ <strong>di</strong> certi<br />

fenomeni. Occorre anche chiedersi ‘perché’ certi fenomeni accadono, con<br />

l’intenzione <strong>di</strong> risalire alle origini della questione ambientale” (1998, p. 18).<br />

Quin<strong>di</strong>, sebbene sia assolutamente incontestabile la necessità <strong>di</strong> un intervento<br />

tecnico e scientifico per la risoluzione della crisi, è evidente comunque che un<br />

approccio che si muova unicamente in questa <strong>di</strong>rezione è in sé debole e<br />

inefficace. Continua Mortari: “…esiste un <strong>di</strong>ffuso sentimento <strong>di</strong> fiducia totale nei<br />

confronti della scienza, ritenuta l’unica forma autentica <strong>di</strong> sapere e in quanto tale<br />

la sola capace <strong>di</strong> garantire la sopravvivenza dell’umanità, cui fa da contrappunto<br />

l’idea dell’inutilità non solo della riflessione filosofica, ma, in genere, <strong>di</strong> qualsiasi<br />

percorso che non faccia appello all’autorità della scienza” (1994, p. 29).<br />

È aspettativa <strong>di</strong>ffusa quella che affida alla scienza la risoluzione dei problemi<br />

ecologici. Ma l’attuale crisi coinvolge le scienze umane non meno delle scienze<br />

naturali. Si rende pertanto necessario un approccio integrato e multi<strong>di</strong>sciplinare al<br />

problema che superi la parzialità delle singole strategie. La riflessione ecologica<br />

scavalca i rigi<strong>di</strong> comparti <strong>di</strong>sciplinari per raggiungere una prospettiva d’indagine<br />

più integrata della realtà.<br />

Si rende essenziale superare la frammentazione del sapere che separa e<br />

allontana le varie <strong>di</strong>scipline. È necessario che il <strong>di</strong>battito politico ed economico<br />

inerente alle problematiche ambientali venga affiancato da una consistente e<br />

matura riflessione psicologica e filosofica che ponga al centro della trattazione il<br />

ruolo dell’uomo quale membro dell’ecosistema e che si interroghi sui risvolti etici<br />

della crisi.<br />

Le riforme superficiali che non mettono in <strong>di</strong>scussione il nostro comportamento<br />

sono quelle <strong>di</strong> una politica d’intervento che agisce solo sui sintomi. Il limite<br />

maggiore dell’approccio riformista è quello <strong>di</strong> avanzare soluzioni alla crisi<br />

ecologica rimanendo comunque all’interno <strong>di</strong> quella cornice concettuale che ha<br />

favorito lo sviluppo della <strong>di</strong>sposizione antiecologica della nostra cultura.<br />

20


Andare alla ra<strong>di</strong>ce della questione equivale a sollevare interrogativi che riguardano<br />

in primo luogo il nostro attuale stile <strong>di</strong> vita. Invece <strong>di</strong> girare attorno all’argomento è<br />

bene ammettere che il problema riguarda il nostro rapporto con la natura.<br />

Riflette Melucci: “Perché esiste una ‘questione ecologica’? Non solo perché<br />

l’inquinamento minaccia la nostra esistenza e i <strong>di</strong>sastri ambientali <strong>di</strong>ventano visibili<br />

agli occhi <strong>di</strong> tutti, ma perché è mutata profondamente la nostra percezione<br />

culturale e sociale della realtà in cui viviamo” (in Widmann, 1997, p. 50).<br />

La crisi ecologica impone una ra<strong>di</strong>cale riorganizzazione del nostro agire perché è<br />

solo a partire da un’alleanza con il mondo della natura che è possibile costruire un<br />

futuro <strong>di</strong> benessere per la specie umana. Non possiamo trascurare il fatto che la<br />

crisi ambientale è determinata in primo luogo dal nostro stile <strong>di</strong> vita e quin<strong>di</strong> prima<br />

<strong>di</strong> ogni altra considerazione occorre sottolineare che il problema è legato<br />

unicamente al comportamento dell’uomo.<br />

La necessità <strong>di</strong> un apporto psicologico alla questione forse non è mai stata<br />

considerata seriamente. La <strong>di</strong>mensione psicologica viene scavalcata da<br />

valutazioni <strong>di</strong> tipo economico, politico, e sociale. Occorre quin<strong>di</strong> ragionare sul fatto<br />

che i problemi ambientali sono prima <strong>di</strong> tutto determinati dalle credenze, dai valori<br />

e dalle motivazioni degli uomini.<br />

Si tratta dunque <strong>di</strong> una crisi etica prima ancora che ecologica; pertanto non è<br />

possibile affrontare la questione senza indagarne le determinanti psicologiche.<br />

6. Psicologia e crisi ambientale<br />

È soltanto in<strong>di</strong>viduando le reali motivazioni che si celano <strong>di</strong>etro al nostro<br />

comportamento che possiamo adoperarci per cambiarlo. Occorre arrivare a<br />

svelare l’immagine che l’uomo ha <strong>di</strong> se stesso e della natura perché per superare<br />

la crisi ecologica è necessario elaborare una nuova interpretazione della relazione<br />

tra essere umano e ambiente naturale. Naturalmente il contributo psicologico non<br />

intende definirsi quale posizione alternativa all’approccio economico e politico con<br />

la pretesa <strong>di</strong> sostituirsi ad ogni intervento <strong>di</strong> questo genere.<br />

21


Come già sottolineato è in<strong>di</strong>spensabile intrecciare i <strong>di</strong>fferenti contributi <strong>di</strong>sciplinari<br />

perché la problematica ambientale non può essere inquadrata all’interno <strong>di</strong> un<br />

singolo ambito <strong>di</strong> ricerca ma richiede un approccio variegato ed eterogeneo in<br />

grado <strong>di</strong> coglierne i molteplici aspetti.<br />

In Italia i contributi psicologici al problema ecologico sono assolutamente scarsi.<br />

La riflessione psicologica relativa alla crisi ambientale si mostra certamente più<br />

feconda e prolifica in Inghilterra e negli USA.<br />

Widmann sottolinea il contributo che la psicologia può offrire all’analisi del<br />

problema ambientale:<br />

- in quanto <strong>di</strong>sciplina che si occupa della coscienza (poiché l’uomo<br />

rappresenta il primo agente ecologicamente devastante, capace <strong>di</strong> rendersi<br />

conto <strong>di</strong> essere tale);<br />

- in quanto <strong>di</strong>sciplina che si occupa della psicopatologia (poiché le condotte<br />

antiecologiche sono sospette <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>struttive e autolesive, dunque<br />

patologiche);<br />

- in quanto <strong>di</strong>sciplina che stu<strong>di</strong>a l’evoluzione umana verso sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> maturazione<br />

e <strong>di</strong> benessere psichico sempre più avanzati (poiché l’attuale ricerca <strong>di</strong><br />

benessere porta talvolta a situazioni paradossali <strong>di</strong> maggiore <strong>di</strong>sagio e <strong>di</strong><br />

maggiore sofferenza).<br />

(Widmann, 1997, p. 11)<br />

7. Il valore della responsabilità personale<br />

Affrontare il problema prendendone in considerazione la <strong>di</strong>mensione psicologica<br />

consente <strong>di</strong> centrare la riflessione sul singolo in<strong>di</strong>viduo riportando l’attenzione alla<br />

responsabilità personale. La crisi ecologica chiama in causa ognuno <strong>di</strong> noi e per<br />

questo motivo non possiamo esimerci dall’intervenire. Come <strong>di</strong>ce Goodall: “ogni<br />

singolo in<strong>di</strong>viduo può cambiare le cose,il modo in cui le cambiamo <strong>di</strong>pende da noi,<br />

perché la scelta è nostra. Con il nostro agire quoti<strong>di</strong>ano, possiamo aiutare<br />

l’ambiente e tutti coloro che assieme a noi abitano il pianeta, umani e non umani.<br />

22


Altrimenti possiamo solo danneggiare il mondo. È <strong>di</strong>fficile rimanere neutrali”<br />

(2006).<br />

Ciascun in<strong>di</strong>viduo ha il <strong>di</strong>ritto e il dovere <strong>di</strong> decidere con consapevolezza in<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> quale orizzonte esistenziale volgere le proprie scelte. “Nella misura in<br />

cui gli in<strong>di</strong>vidui ab<strong>di</strong>cano alla loro responsabilità personale, prende il posto un<br />

potere anonimo <strong>di</strong>etro al quale non c’è una presenza, ma un’assenza. È la logica<br />

del profitto, dell’egoismo fatto legge, dell’incapacità <strong>di</strong> pensarsi parte <strong>di</strong> un<br />

contesto più vasto…” <strong>di</strong>ce Danon (2006).<br />

Rese esplicite le conseguenze del proprio agire noi soltanto possiamo porci al<br />

timone della nostra vita e optare per altre alternative. Il problema ecologico viene<br />

invece affidato agli “esperti” perché non vogliamo riconoscere che la crisi<br />

coinvolge ognuno <strong>di</strong> noi. Così <strong>di</strong> fronte all’evidenza dei fatti ci nascon<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>etro<br />

le solite scuse: non compete a me intervenire, il mio contributo non cambierebbe<br />

comunque la situazione, le responsabilità sono dei politici e degli industriali.<br />

In realtà le nostre responsabilità sono notevoli, così come altrettanto rilevanti sono<br />

le possibilità d’intervento. È assurdo non tenere conto dell’importanza delle scelte<br />

dei singoli in<strong>di</strong>vidui. Ed è proprio questo l’atteggiamento che permette <strong>di</strong> sottrarsi<br />

al proprio dovere e al proprio compito. Occorre invece evidenziare il possibile<br />

contributo <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> noi alla situazione.<br />

È questa indubbiamente la strada più saggia da seguire, è utile puntare sul<br />

coinvolgimento attivo e sull’importanza dell’apporto <strong>di</strong> ciascuno in modo da<br />

sottolineare la necessità <strong>di</strong> una maggior cooperazione e partecipazione <strong>di</strong> tutti nel<br />

combattere <strong>di</strong>simpegno e in<strong>di</strong>fferenza.<br />

Inoltre, mentre le conseguenze del <strong>di</strong>ssesto ecologico per la nostra salute fisica<br />

sono ampiamente riconosciute e stu<strong>di</strong>ate, trascuriamo invece quanto la crisi<br />

ambientale incida sulla nostra salute mentale in termini <strong>di</strong> malessere psicologico.<br />

Raramente ci soffermiamo a considerare il dazio emotivo che dobbiamo pagare<br />

per aver <strong>di</strong>strutto l’equilibrio ecologico del pianeta.<br />

“Ci sono casi <strong>di</strong> depressione – scrive sempre Danon (2006) – a cui fa riferimento<br />

la ancora scarsa letteratura sul tema, la cui origine si è rivelata essere la<br />

sensazione <strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> futuro indotta dall’emergenza ambientale, oppure<br />

dovuti a lutti non riconosciuti e non superati relativi a <strong>di</strong>sastri ambientali: come è<br />

successo a volontari in Galizia, dove le spiagge sono <strong>di</strong>ventate nere <strong>di</strong> petrolio;<br />

operatori umanitari in Amazzonia, rimasti sconvolti dallo scempio; operatori<br />

23


antincen<strong>di</strong>o in Liguria, quando non riescono a evitare la <strong>di</strong>struzione dei territori che<br />

amano; e come succede a molte delle persone che vivono con sofferenza la<br />

sostituzione <strong>di</strong> boschi, campi e natura incontaminata con <strong>di</strong>stese <strong>di</strong> cemento” .<br />

Si tratta <strong>di</strong> una naturale e sincera preoccupazione che ha bisogno <strong>di</strong> trovare<br />

ascolto.<br />

Come è possibile raggiungere una vita serena e tranquilla <strong>di</strong> fronte alla minaccia<br />

della catastrofe ambientale?<br />

Possiamo tendere al benessere e alla felicità e al contempo assistere quali<br />

spettatori insensibili allo scempio e alla <strong>di</strong>struzione del nostro pianeta?<br />

Viviamo anestetizzati e addormentati accettando passivamente tutto quanto<br />

accade intorno a noi <strong>di</strong>menticando che il destino della terra ci riguarda tutti.<br />

Rinunciare a lottare per la sopravvivenza del pianeta significa rinunciare a<br />

<strong>di</strong>fendere la propria vita. L’inquietu<strong>di</strong>ne e il malessere non devono essere messi a<br />

tacere perché non è giusto e non è sano rassegnarsi <strong>di</strong> fronte alla catastrofe.<br />

“Aiutando le persone ad adattarsi ad una società <strong>di</strong>struttiva non stiamo facendo<br />

più male che bene?” si domanda O’ Connor, ecopsicologa statunitense. “Aiutiamo<br />

i parenti a crescere i figli, le coppie ad avere relazioni più armoniose…mentre fuori<br />

<strong>di</strong> noi l’aria <strong>di</strong>venta irrespirabile e gli oceani tossici” (in Danon 2006).<br />

È compito della psicologia intervenire per abbattere quelle barriere psicologiche<br />

che ci permettono <strong>di</strong> assistere in<strong>di</strong>fferenti al <strong>di</strong>sastro ambientale. Occorre esortare<br />

a reagire perché lo sconforto e la <strong>di</strong>sperazione possono essere superati soltanto<br />

con l’azione e con l’impegno concreto. Bisogna incitare a prendere posizione, a<br />

schierarsi effettivamente contro la <strong>di</strong>struzione del nostro pianeta. L’atteggiamento<br />

rispettoso nei confronti della natura deve <strong>di</strong>ventare così parte integrante del nostro<br />

modo <strong>di</strong> essere e <strong>di</strong> pensare e non riguardare soltanto spora<strong>di</strong>ci episo<strong>di</strong> durante il<br />

periodo delle ferie o in occasione <strong>di</strong> brevi gite all’insegna dell’educazione<br />

ambientale. Ogni azione della nostra vita quoti<strong>di</strong>ana deve essere orientata al<br />

rispetto e alla tutela dell’ambiente.<br />

La terra è la nostra casa e dunque meriterebbe le medesime cure e attenzioni che<br />

quoti<strong>di</strong>anamente riserviamo alle nostre abitazioni.<br />

24


CAPITOLO SECONDO<br />

IL TEMA DELL’AMBIENTE<br />

IN PSICOLOGIA<br />

25


1. Psicologia e ambiente agli inizi degli Anni Settanta<br />

L’interazione tra l’uomo e l’ambiente è oggetto abbastanza recente <strong>di</strong> ricerca da<br />

parte <strong>di</strong> campi specifici costituitisi all’interno della psicologia classica. Infatti, se<br />

esclu<strong>di</strong>amo gli stu<strong>di</strong> della psicologia della percezione che, nonostante la loro<br />

peculiarità, già avevano comunque comportato un interesse specifico verso le<br />

caratteristiche fisico-spaziali dell’ambiente, fino agli inizi degli Anni Settanta<br />

possiamo riscontrare una quasi totale assenza <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> concepiti con una<br />

attenzione organizzata verso tale aspetto dell’ambiente.<br />

Non è vero però che la psicologia non avesse mostrato fino a quel momento una<br />

costante preoccupazione per l’ambiente genericamente inteso: valga anche il solo<br />

esempio dell’annosa controversia che l’aveva precedentemente coinvolta sul<br />

problema della “ere<strong>di</strong>tà/ambiente”. Ma tale preoccupazione non si era ancora<br />

spinta verso una attenzione specifica e sistematica per le sue caratteristiche fisico-<br />

spaziali, atteggiamento forse dovuto, come ebbe acutamente a ipotizzare Canter<br />

(1984), alla stessa tra<strong>di</strong>zione della ricerca <strong>di</strong> laboratorio che tende a tenere lontani<br />

da tale interesse pratico, essendo il laboratorio per definizione un “non ambiente”.<br />

Quin<strong>di</strong>, a partire dagli inizi degli Anni Settanta, la psicologia classica è costretta a<br />

prendere atto <strong>di</strong> tale mancanza: viene sollecitata e coinvolta dall’influenza <strong>di</strong><br />

interessi e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, provenienti specialmente dai campi limitrofi dell’etologia,<br />

dell’antropologia e della sociologia nei quali emerge con sempre maggiore<br />

frequenza una varietà <strong>di</strong> interessi decisamente orientati agli aspetti fisico spaziali<br />

del comportamento umano, specie se considerato in senso comunicativo. Le<br />

sollecitazioni crescenti che, a partire da questo periodo, si sono rivolte alla<br />

psicologia per ottenere un suo interesse preciso nei confronti dell’ambiente fisico-<br />

spaziale ebbero così a determinare una svolta che potremmo definire epocale nel<br />

percorso classico fino ad allora tenuto da questa <strong>di</strong>sciplina.<br />

In particolare, proprio da questo fiorire <strong>di</strong> nuove esperienze che mostrano un<br />

particolare riferimento all’ambito specifico del “comportamento spaziale”, prende<br />

impulso, all’interno della psicologia classica, quel settore <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> in tema <strong>di</strong><br />

comunicazione non verbale, definito appunto col termine <strong>di</strong> psicologia ambientale:<br />

settore che doveva rivelarsi assai fiorente già nell’imme<strong>di</strong>ato futuro. Lo sviluppo <strong>di</strong><br />

26


questa <strong>di</strong>sciplina trova dunque il suo punto <strong>di</strong> partenza nella consapevolezza della<br />

scarsa considerazione attribuita fino ad allora dalla ricerca psicologica alle<br />

caratteristiche fisico-spaziali <strong>di</strong> quell’ambiente dove si svolge proprio il<br />

comportamento umano sottoposto a stu<strong>di</strong>o.<br />

Un fatto è comunque singolare, quasi un vero e proprio denominatore comune e<br />

sistematico: tutti (o quasi) gli stu<strong>di</strong>osi che operano nei nuovi campi psicologici<br />

<strong>di</strong>versamente interessati all’ambiente, mostrano la tendenza comune a utilizzare il<br />

termine “ecologico” per sostenere le proprie argomentazioni teoriche ovvero per<br />

riven<strong>di</strong>care la peculiarità dell’approccio singolarmente proposto. Ma, al <strong>di</strong> là delle<br />

<strong>di</strong>verse accezioni e prospettive con cui ciascun autore utilizza i termini “ecologico”<br />

ed “ecologia”, l’impiego ricorrente <strong>di</strong> tali termini può essere considerato più che<br />

altro come frutto della preoccupazione <strong>di</strong> intendere i fenomeni psicologici quali<br />

risultanti dal concorso <strong>di</strong> fattori sia ambientali/situazionali sia in<strong>di</strong>viduali.<br />

2. Una <strong>di</strong>stinzione iniziale dell’approccio psicologico ambientale<br />

Il primo passo <strong>di</strong> questo itinerario per quella parte <strong>di</strong> psicologia <strong>di</strong>rettamente<br />

interessata all’ambiente era allora costituito dalla necessità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare al<br />

proprio interno gli strumenti teorici adeguati a consentirle <strong>di</strong> acquisire, attraverso<br />

una <strong>di</strong>versa impostazione della ricerca, una rilevanza non solo “esterna” (settori<br />

scientifici non psicologici) ma soprattutto “interna” alla stessa tra<strong>di</strong>zione<br />

psicologica.<br />

E questo resta forse ancora oggi il nodo cruciale vero e proprio della psicologia<br />

ambientale, soprattutto <strong>di</strong> fronte alle principali tra<strong>di</strong>zioni teoriche, tuttora ben<br />

consolidate, con le quali questa <strong>di</strong>sciplina è chiamata a confrontarsi.<br />

Mi riferisco in particolare a due in<strong>di</strong>rizzi che peraltro si sono <strong>di</strong>stinti nel campo<br />

della concettualizzazione dell’ambiente e delle sue caratteristiche in rapporto ai<br />

processi psicologici stu<strong>di</strong>ati: la tra<strong>di</strong>zione della psicologia della percezione che<br />

tende a definire l’ambiente soprattutto in termini fisico-percettivi; e la tra<strong>di</strong>zione<br />

27


della psicologia sociale, orientata invece da un’ottica intenzionalmente definita<br />

molare.<br />

2.1. La psicologia della percezione e la psicologia ecologica<br />

Per la psicologia della percezione è preminente il riferimento alle caratteristiche<br />

fisiche del rapporto tra processi psicologici e peculiarità dell’ambiente. I<br />

principali contributi teorici provengono dalla psicologia della Gestalt (Kohler,<br />

1929,1940; Koffka, 1935; Wertheimer, 1945) e dalla scuola statunitense del<br />

New Look, con riferimento in particolare alla teoria probabilistica <strong>di</strong> E. Brunswik<br />

(1947,1957), la teoria ecologica <strong>di</strong> J. J. Gibson (1950,1966,1979) nonché dalla<br />

scuola transazionale del gruppo <strong>di</strong> Princeton, all’interno del quale si <strong>di</strong>stingue<br />

l’attività teorica <strong>di</strong> Ames (1960), Kilpatrik (1961), Cantril (1950) e Ittelson<br />

(1974).<br />

Per dovere <strong>di</strong> chiarezza, si deve sottolineare la sussistenza <strong>di</strong> un autonomo<br />

campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, denominato psicologia ecologica, coinvolto appunto dalle teorie<br />

della percezione e dell’evoluzione <strong>di</strong> J. J. Gibson, E. Gibson, E. Reed e <strong>di</strong> altri.<br />

Tale psicologia ecologica si risolve in uno stu<strong>di</strong>o epistemologico e ontologico<br />

che esamina le relazioni tra conoscente e conosciuto nel contesto della<br />

biologia, della fisica e delle teorie evolutiva, cognitiva e percettiva (Reed,<br />

1996).<br />

2.2. La psicologia sociale e il debito della psicologia ambientale<br />

È proprio l’assunzione della prospettiva psico-sociale che risulta essere la<br />

<strong>di</strong>rezione verso cui si è venuta muovendo dai primi suoi passi a oggi la<br />

psicologia ambientale. Infatti è proprio all’interno della psicologia sociale che la<br />

psicologia ambientale trova gli strumenti concettuali e metodologici più<br />

appropriati per sviluppare i propri stu<strong>di</strong>.<br />

Va sottolineato subito come il principale esponente della psicologia sociale,<br />

Kurt Lewin, con la sua ecologia psicologica abbia concepito una riflessione<br />

teorica ancora tanto attuale, <strong>di</strong> cui l’o<strong>di</strong>erna psicologia ambientale gli è senza<br />

dubbio profondamente debitrice in termini <strong>di</strong> apporto proficuo. Alla tra<strong>di</strong>zione<br />

28


lewiniana, infatti, si rifanno <strong>di</strong>rettamente gli altri due principali esponenti <strong>di</strong><br />

questa corrente psicologica: Roger Barker, che può essere riconosciuto a buon<br />

<strong>di</strong>ritto come uno dei padri fondatori della psicologia ambientale, grazie alla sua<br />

teoretica basata sul concetto <strong>di</strong> psicologia ecologica; e Urie Bronfenbrenner,<br />

autore <strong>di</strong> pregevoli spunti teorici nella <strong>di</strong>rezione segnata dal maestro, nel solco<br />

<strong>di</strong> una approccio intenzionalmente definito “ecologico-sistemico”.<br />

2.2.1. Kurt Lewin: l’ambiente come campo <strong>di</strong> interazioni<br />

Il rapporto soggetto-ambiente rappresenta il punto <strong>di</strong> forza della teoria <strong>di</strong><br />

Lewin, definita teoria del campo, che vede la costruzione <strong>di</strong> un modello<br />

psicosociale basato in modo determinante sulla importanza dei fattori<br />

istituzionali e sul concetto <strong>di</strong> relazione. “L’originalità della posizione lewiniana<br />

all’interno della psicologia si può <strong>di</strong>re risulti proprio dalla parallela capacità <strong>di</strong><br />

affermare da un lato il primato della realtà percepita-conosciuta – cioè da<br />

quello che egli definisce l’ambiente psicologico – rispetto all’ambiente fisico-<br />

oggettivo, e dall’altro nel riuscire a mantenere per l’ambiente e le sue<br />

caratteristiche (fisiche e sociali) pari interesse e attenzione” (Bonnes e<br />

Secchiaroli, 1992, p. 59).<br />

Lewin parte da una rilettura analitica, in senso relazionale, delle ricerche <strong>di</strong><br />

Galileo sulla caduta dei gravi (caduta libera, movimento lungo un piano<br />

inclinato e movimento orizzontale). La velocità (caratteristica essenziale del<br />

fenomeno) <strong>di</strong>pende dalla pendenza del piano (proprietà essenziale della<br />

situazione), e tale <strong>di</strong>pendenza assume la maggiore importanza dal punto <strong>di</strong><br />

vista concettuale e metodologico. La <strong>di</strong>namica, <strong>di</strong>ce Lewin, non toglie nulla<br />

all’importanza della natura dell’oggetto: le sue proprietà e la sua struttura<br />

restano ugualmente importanti. Ma è la struttura ambientale che viene ad<br />

assumere un rilievo pari a quella dell’oggetto. La <strong>di</strong>namica dell’evento, dunque,<br />

non può essere definita che in funzione della totalità concreta che appunto<br />

comprende, nel contempo, l’oggetto e la situazione.<br />

Si tratta, per così <strong>di</strong>re, del para<strong>di</strong>gma della teoria lewiniana che tende a<br />

considerare le singole situazioni nella loro globalità e soprattutto a evidenziare<br />

il tutt’uno delle relazioni che collegano fra loro i vari fattori in gioco,<br />

29


contribuendo a dare senso all’intero evento. Questa concezione si avvale <strong>di</strong><br />

uno specifico sviluppo del concetto <strong>di</strong> campo, mutuato dalla moderna fisica<br />

post-meccanica e utilizzato in psicologia dalla fisica gestaltista, dove la<br />

teorizzazione intorno ai fenomeni non si basa solo sulle caratteristiche dei corpi<br />

e delle forze che essi esercitano, bensì sull’intero sistema globalmente<br />

considerato.<br />

Tale sistema è infatti concepito come prodotto dai corpi medesimi in funzione<br />

delle loro reciproche relazioni e delle forze che tali relazioni mettono in gioco.<br />

Si tratta dell’impulso fondamentale a ragionare in termini <strong>di</strong> totalità, <strong>di</strong><br />

organizzazione e <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> tutti i fattori che agiscono nel campo.<br />

“Non sono le cariche né le particelle, ma il campo compreso nello spazio tra le<br />

cariche e le particelle che è essenziale per la descrizione dei fenomeni fisici”<br />

(Einstein e Infeld, 1938, p. 259).<br />

L’ulteriore passo sostanziale <strong>di</strong> Lewin è l’estensione della riflessione al<br />

contesto globale dell’agire, della personalità e dell’ambiente, all’interno del<br />

quale mettere in gioco non solo istanze percettive bensì l’intera vita quoti<strong>di</strong>ana<br />

<strong>di</strong> relazione del singolo in<strong>di</strong>viduo, da esso vissuta in risposta alle sollecitazioni<br />

dell’ambiente. Il campo costituisce dunque la totalità <strong>di</strong> fatti coesistenti nel loro<br />

rapportarsi, il cui costrutto comporta non solo uno stu<strong>di</strong>o integrato dei fattori<br />

cognitivi, emotivi e ambientali, bensì anche l’analisi del loro modo concreto <strong>di</strong><br />

funzionare all’interno <strong>di</strong> questo sistema <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenze.<br />

Lewin avanza una triplice segmentazione in aree del campo medesimo (1951,<br />

tr. it., p. 82):<br />

1. Lo spazio <strong>di</strong> vita (riferito ai bisogni, alle motivazioni, agli umori, alle mete,<br />

alle angosce, agli ideali….), relativo alla persona e all’ambiente psicologico<br />

nei termini in cui essa lo percepisce.<br />

2. La zona <strong>di</strong> frontiera tra lo spazio <strong>di</strong> vita e lo spazio extra-psicologico dove,<br />

in quel determinato momento, alcuni aspetti o fenomeni del mondo fisico e<br />

sociale influiscono sullo stato dello spazio <strong>di</strong> vita. Vi è connesso, ad<br />

esempio il processo percettivo (determinato in parte dagli stimoli fisici),<br />

ovvero il processo <strong>di</strong> esecuzione <strong>di</strong> una azione.<br />

30


3. Lo spazio esterno, quello cioè dei processi che si svolgono nella realtà<br />

fisica e sociale ma che, in quel determinato momento, non influiscono sullo<br />

spazio <strong>di</strong> vita dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

A questa tripartizione <strong>di</strong> aree, corrisponde una triplice segmentazione degli<br />

or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> eventi, <strong>di</strong> quelle componenti sia interne al soggetto sia provenienti<br />

dall’ambiente esterno, tutte caratterizzate da inter<strong>di</strong>pendenza e interrelazione.<br />

Così, l’or<strong>di</strong>ne del mondo personale determina appunto lo spazio <strong>di</strong> vita ed è<br />

costituito dalle percezioni, dalle conoscenze, dalle emozioni, cioè da tutte<br />

quelle forze che, interagendo, comprendono sia i vari aspetti dell’ambiente,<br />

arricchiti dai valori e dai significati attribuiti loro dal soggetto, sia le motivazioni,<br />

i bisogni e ogni componente psicologica atta a influenzare il comportamento<br />

del soggetto stesso. Il secondo or<strong>di</strong>ne è costituito dai fatti situati nella zona <strong>di</strong><br />

frontiera, che sono in continuo reciproco interscambio e che pertanto<br />

costituiscono un elemento essenziale, fulcro del cambiamento e delle<br />

mo<strong>di</strong>ficazioni. Infine, nel terzo e ultimo or<strong>di</strong>ne rientrano quegli eventi estranei al<br />

mondo psicologico del soggetto, che non li percepisce né li conosce, e dunque<br />

non interagiscono con gli altri eventi.<br />

Va peraltro detto che al contrario <strong>di</strong> quanto possa apparire inizialmente, dove il<br />

campo psicologico sembra coincidere con lo spazio <strong>di</strong> vita e dunque con una<br />

forte prevalenza della componente personale, Lewin ebbe in seguito ad<br />

accentuare i suoi interventi <strong>di</strong> ricerca più strettamente sulla base dell’ecologia<br />

psicologica, andando così a privilegiare sempre più i fattori <strong>di</strong> natura sociale e<br />

ambientale rispetto ai fenomeni interni del soggetto. Il suo raggio <strong>di</strong><br />

osservazioni si era dunque spostato a favore delle determinanti sociali che<br />

tendevano a privilegiare l’appartenenza al gruppo, i valori e le ideologie.<br />

Particolarmente interessante fu anche l’evoluzione della sua analisi sulla<br />

valenza delle caratteristiche fisico-ambientali. Pur continuando a riconoscerne<br />

l’importanza fondamentale, andò via via sottolineandone un aspetto sempre<br />

più determinato, fino ad affermare che esse non dovevano venire considerate<br />

puramente come dati fisico-oggettivi, ma come presenza nel campo<br />

psicologico, cioè come fenomeni percepiti e conosciuti dal soggetto. Tale<br />

prospettiva fenomenologica è dunque prevalente nella maturità del pensiero<br />

31


lewiniano, anche se, va detto, egli ebbe a mitigarla con la maggiore attenzione<br />

riconosciuta, verso la fine dei suoi stu<strong>di</strong>, alle caratteristiche fisiche e sociali. Ne<br />

costituisce testimonianza significativa il suo testo seguente: “Questa analisi si<br />

propone <strong>di</strong> chiarire esattamente dove e come i problemi psicologici e quelli non<br />

psicologici si sovrappongono. Qualsiasi tipo <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> gruppo si verifica entro un<br />

contesto che pone certi limiti a ciò che è possibile e impossibile, a ciò che<br />

potrebbe o non potrebbe accadere. I fattori non psicologici del clima, delle<br />

comunicazioni, delle leggi del paese in questione o dell’organizzazione sono<br />

spesso parte <strong>di</strong> queste ‘limitazioni esterne’. La prima analisi <strong>di</strong> campo viene<br />

compiuta dal punto <strong>di</strong> vista della ‘ecologia psicologica: lo psicologo esamina i<br />

dati non psicologici per scoprire il significato <strong>di</strong> questi dati nella determinazione<br />

delle con<strong>di</strong>zioni-limite della vita dell’in<strong>di</strong>viduo o del gruppo. Solo dopo che<br />

questi dati siano noti, la ricerca psicologica può procedere all’indagine dei<br />

fattori che determinano le azioni del gruppo o dell’in<strong>di</strong>viduo in quelle situazioni<br />

che si sono rivelate importanti” (1951, tr. it., p. 227).<br />

È la sua definitiva affermazione dell’importanza delle caratteristiche non<br />

psicologiche (fisiche e sociali) dell’ambiente, ritenute componenti essenziali nei<br />

processi psicologici, purché presenti nel campo psicologico, in quanto percepiti<br />

e cognitivamente elaborati: col risultato <strong>di</strong> una affermazione della centralità<br />

dell’ambiente psicologico sul quale però opera l’incidenza dell’ambiente<br />

esterno nelle sue componenti fisico-sociali, ambiente esterno che, proprio<br />

attraverso l’ecologia psicologica, può rivestire un ruolo basilare nel configurarsi<br />

dell’ambiente psicologico.<br />

2.2.2. Roger Barker: il setting comportamentale<br />

e la teoria della “sottoumanizzazione”<br />

Barker, allievo <strong>di</strong> Lewin, tende anch’egli a portare in primo piano il ruolo<br />

dell’ambiente attribuendogli pari rilevanza rispetto a quello assegnato ai fattori<br />

personali nella determinazione del comportamento in<strong>di</strong>viduale.<br />

Il cammino <strong>di</strong> Barker sulla via della psicologia parte appunto dalla psicologia<br />

ecologica (quel filone <strong>di</strong> ricerche ben precise condotte negli Anni Quaranta da<br />

un gruppo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi dell’Università del Kansas proprio sotto la guida <strong>di</strong><br />

32


Barker), postasi in antitesi ai canoni della ricerca tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> quel periodo,<br />

accusata <strong>di</strong> essere succuba <strong>di</strong> una metodologia <strong>di</strong> laboratorio consolidata ma<br />

da considerarsi superata. Il risultato <strong>di</strong> tale atteggiamento fu da un lato la<br />

riven<strong>di</strong>cazione, da parte <strong>di</strong> Barker, <strong>di</strong> questo ruolo <strong>di</strong> rottura nei confronti <strong>di</strong> una<br />

psicologia tra<strong>di</strong>zionale ormai insufficiente, dall’altro la perdurante accusa a<br />

Barker <strong>di</strong> essere un non-psicologo e la sua conseguente emarginazione.<br />

Soprattutto si imputava a Barker e alla psicologia ecologica <strong>di</strong> rifiutare il<br />

concetto <strong>di</strong> personalità come spiegazione del comportamento umano.<br />

Ma Barker non rifiutava il concetto <strong>di</strong> personalità: semplicemente lo ignorava,<br />

in base a una sua prospettiva <strong>di</strong> indagine certamente originale: “Non è facile<br />

all’inizio lasciare la persona fuori dalle osservazioni dell’ambiente del<br />

comportamento molare. Il nostro apparato percettivo si è adattato alla nostra<br />

lunga pratica <strong>di</strong> osservazioni in<strong>di</strong>viduali, con gli occhiali a visione i<strong>di</strong>ocentrica <strong>di</strong><br />

interviste e <strong>di</strong> questionari per vedere persone dove in realtà ve<strong>di</strong>amo<br />

comportamento. Ma con un po’ <strong>di</strong> sforzo e <strong>di</strong> esperienza gli insiemi <strong>di</strong> episo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> comportamento, gli oggetti <strong>di</strong> comportamento e lo spazio che circonda le<br />

persone possono essere osservati e descritti. La loro <strong>di</strong>stribuzione non casuale<br />

e il loro carattere interconnesso <strong>di</strong>ventano aiuti cruciali in questo senso” (1968,<br />

p. 16).<br />

Questa affermazione si coniugava con la necessità <strong>di</strong> una nuova metodologia<br />

<strong>di</strong> ricerca in grado <strong>di</strong> trasformare la funzione tra<strong>di</strong>zionale dello psicologo, non<br />

più considerato nelle vesti <strong>di</strong> “operatore che domina il sistema osservato”, in<br />

semplice “traduzione in dati” dei fenomeni osservati: si sarebbero ottenuti così<br />

quelli che Barker chiamava “T data”, collegati transitivamente con gli stessi<br />

fenomeni. La scelta era dunque <strong>di</strong> osservare in modo non intrusivo i vari<br />

comportamenti all’interno del contesto nel quale avvengono (Ibidem).<br />

La proposta della sua psicologia ecologica parte appunto da tale critica ai<br />

meto<strong>di</strong> intrusivi in genere e a quelli <strong>di</strong> laboratorio in particolare in quanto “il<br />

compito <strong>di</strong> ogni operatore è quello <strong>di</strong> alterare, secondo modalità che sono<br />

cruciali per i suoi interessi, i fenomeni che lo psicologo trasduttore lascia<br />

intatti”. L’in<strong>di</strong>sponibilità delle o<strong>di</strong>erne tecniche avanzate (una per tutte, la<br />

videoregistrazione), che avrebbero consentito una corretta osservazione<br />

33


naturalistica <strong>di</strong> quello che Barker chiamava “il flusso del comportamento”,<br />

costrinse l’autore a uno sforzo notevole <strong>di</strong> messa a punto metodologica che<br />

sfociò nella tecnica da lui definita dello “specimen record”, cioè nel<br />

proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> descrizione minuziosa <strong>di</strong> quanto osservato. Fatto<br />

fondamentale, Barker ebbe sempre a sostenere che il principale ispiratore <strong>di</strong><br />

questa sua prima metodologia (così la successiva in<strong>di</strong>viduazione dei cosiddetti<br />

“episo<strong>di</strong> comportamentali”) fu proprio Lewin (1990, p. 510).<br />

Il punto <strong>di</strong> arrivo <strong>di</strong> questi primi lavori fu l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> unità <strong>di</strong> analisi più<br />

molari, tra le quali spicca quella definita “setting comportamentale (behavioral<br />

setting)”, volta a in<strong>di</strong>viduare le unità secondo cui sia i comportamenti<br />

in<strong>di</strong>viduali, sia le proprietà spazio-fisiche appaiono “naturalmente organizzate”<br />

nell’ambiente. Si tratta <strong>di</strong> “fenomeni eco-comportamentali… pattern circoscritti<br />

e stabili <strong>di</strong> attività umane e non umane con un sistema integrato <strong>di</strong> forze e<br />

controlli che mantengono le attività in equilibrio semistabile; le parti e i processi<br />

del setting comportamentale hanno un elevato grado <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza<br />

interna in conseguenza della quale si presentano come unità <strong>di</strong>screte: essi<br />

sono entità all’interno dell’ambiente ecologico” (1987, p. 1420). Il setting<br />

comportamentale, comprendendo particolari pattern <strong>di</strong> comportamento<br />

unitamente a concomitanti caratteristiche spazio-temporali, si presenta<br />

sostanzialmente come unità sovrain<strong>di</strong>viduale rispetto alle persone che include,<br />

in grado quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> dare stabilità e omogeneità ai singoli comportamenti che vi<br />

partecipano.<br />

Successivamente Barker e Wright (1951) ebbero a sviluppare un proce<strong>di</strong>mento<br />

che intendeva identificare e descrivere con precisione la varietà dei setting che<br />

compongono un particolare contesto ambientale, definendo tale proce<strong>di</strong>mento<br />

“rassegna dei setting comportamentali (behavioral setting survey)”. Tale<br />

proce<strong>di</strong>mento viene descritto a proposito dell’incontro con una classe<br />

scolastica: “È un fenomeno naturale; non è creato dallo sperimentatore per<br />

scopi scientifici. Ha un locus spazio-temporale. Un limite-confine circonda il<br />

setting. Il confine è autogenerato…. [La classe] esiste in<strong>di</strong>pendentemente dalla<br />

percezione <strong>di</strong> essa in quanto classe da parte <strong>di</strong> qualcuno: è una entità<br />

percettivo-ecologica. Ha due insiemi <strong>di</strong> componenti: a)comportamento…. b)<br />

oggetti non psicologici con i quali i comportamento è svolto….L’unità, l’incontro<br />

34


della classe, è circostante le sue componenti. Il comportamento e gli oggetti<br />

fisici sono organizzati e <strong>di</strong>sposti in modo da formare un pattern…. facilmente<br />

<strong>di</strong>stinguibile da ciò che sta fuori del confine…. Le persone sono in larga misura<br />

intercambiabili e rimpiazzabili…. ma la stessa entità continua…. Un alunno….<br />

è una componente della unità soprain<strong>di</strong>viduale e un in<strong>di</strong>viduo il cui spazio <strong>di</strong><br />

vita è in parte formato all’interno dei limiti imposti dall’entità <strong>di</strong> cui è parte. Tali<br />

entità si <strong>di</strong>stinguono con grande chiarezza: essi sono fenomeni comuni della<br />

vita quoti<strong>di</strong>ana (behavioral settings)” (1968, pp. 16-17).<br />

Il carattere organizzato e inter<strong>di</strong>pendente delle varie componenti fisiche e<br />

sociali del setting è assicurato dal “programma del setting”, costituito<br />

dall’insieme delle sequenze prescritte e or<strong>di</strong>nate nel tempo, per le attività e gli<br />

scambi tra persone e oggetti al suo interno. Il programma completo è<br />

generalmente noto soltanto alle persone in posizione <strong>di</strong> leader al suo interno.<br />

Una proprietà importante che secondo Barker connette le persone al relativo<br />

programma è il “grado <strong>di</strong> penetrazione” del setting da parte del singolo<br />

partecipante, riguardante il suo livello <strong>di</strong> responsabilità personale nei confronti<br />

del setting stesso, e il cui in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> coinvolgimento e responsabilità <strong>di</strong>pende<br />

appunto dalla profon<strong>di</strong>tà/ centralità della sua penetrazione. In questo senso<br />

l’autore in<strong>di</strong>vidua sei zone <strong>di</strong> centralità progressiva, cui corrispondono<br />

altrettanta intensità <strong>di</strong> pressione a portare avanti il programma (1973).<br />

Tale ruolo sovrain<strong>di</strong>viduale, assegnato al setting comportamentale, porta<br />

Barker e colleghi alla formulazione della teoria della “sottoumanizzazione del<br />

setting” (1968). Essa attribuisce a ogni setting un numero più o meno ottimale<br />

<strong>di</strong> abitanti e definisce quelli costituiti da un numero inferiore all’ottimale “setting<br />

sottoumanizzati”, attribuendo loro caratteristiche peculiari rispetto ai setting<br />

ottimali dovute al fatto che, rimanendo comunque immutato il programma <strong>di</strong><br />

ogni setting in<strong>di</strong>pendentemente dal numero degli abitanti, un numero ridotto <strong>di</strong><br />

essi porta a un maggiore attivismo e coinvolgimento all’interno del setting<br />

medesimo, e, dunque, a una loro maggiore coesione. Tale teoria sostiene<br />

dunque la capacità, da parte della <strong>di</strong>mensione stessa del setting, <strong>di</strong> influenzare<br />

il tipo <strong>di</strong> comportamento e il clima sociale interno con una superiorità <strong>di</strong><br />

funzionamento riconosciuta alle realtà <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni ridotte rispetto a quelle <strong>di</strong><br />

più consistente composizione.<br />

35


Pur soggetta a revisioni ed aggiustamenti successivi da parte dello stesso<br />

Barker, oltre che dai colleghi, l’esperienza della psicologia ecologica rimane un<br />

punto <strong>di</strong> riferimento obbligato per ogni ricerca psicologica che intenda operare<br />

programmaticamente in con<strong>di</strong>zioni esterne al laboratorio. Occorre evidenziare<br />

come il termine ecologico qui applicato alla psicologia in certi casi sia stato<br />

ingiustamente banalizzato e utilizzato come sinonimo <strong>di</strong> “naturalistico”<br />

(Valsiner e Benigni, 1986), trascurando colpevolmente il fatto che per essa il<br />

concetto <strong>di</strong> ambiente ecologico è qualcosa <strong>di</strong> ben più specifico rispetto al<br />

semplice ambiente naturale: un ambiente rigidamente organizzato (setting) nel<br />

quale si colloca e si spiega il comportamento osservato: “Gran parte<br />

dell’or<strong>di</strong>ne, della stabilità e della preve<strong>di</strong>bilità del comportamento umano deriva<br />

dall’ambiente ecologico: dagli strutturati, omeostatici, coercitivi setting<br />

comportamentali che la gente abita” (Barker, 1987, p. 1415).<br />

Nonostante questa puntualizzazione va peraltro sottolineato come la<br />

prospettiva introdotta dalla psicologia ecologica <strong>di</strong> Barker rimane pur sempre<br />

fondamentalmente <strong>di</strong>fferente da quella delle scuole <strong>di</strong> Lewin e <strong>di</strong><br />

Bronfenbrenner soprattutto per la mancanza <strong>di</strong> un significativo punto <strong>di</strong> vista<br />

fenomenologico-soggettivo, tendendo in realtà a risolvere la problematica del<br />

rapporto tra l’ambiente socio-fisico e i processi psicologici in termini<br />

completamente oggettivisti. La scuola <strong>di</strong> Baker finisce così per assumere come<br />

unica realtà <strong>di</strong> indagine quella osservata e osservabile, che viene definita<br />

anche come “ambiente pre-percettivo” (Barker, 1990, p. 511).<br />

2.2.3. Urie Bronfenbrenner: una proposta <strong>di</strong> approccio ecologico<br />

in senso sistemico<br />

In analogia con il percorso <strong>di</strong> Barker e delle scelte iniziali della scuola del<br />

Kansas, anche la proposta <strong>di</strong> Bronfenbrenner si svolge come estensione della<br />

teoria lewiniana, ma con la caratteristica peculiare <strong>di</strong> essere centrata in modo<br />

esclusivo sulle varie problematiche coinvolgenti lo sviluppo psicologico.<br />

Nonostante l’intero lavoro <strong>di</strong> Bronfenbrenner si articoli attorno al nucleo delle<br />

tematiche dello sviluppo infantile, l’insieme delle sue concettualizzazioni<br />

esprime alla fine proposte che ne oltrepassano il campo specifico, fino a<br />

36


definirsi come proposte psicosociali non solo, come detto, estese ai temi dello<br />

sviluppo psicologico in senso generale, ma dotate <strong>di</strong> rilevanza specifica grazie<br />

soprattutto alla prospettiva psicologico-ambientale cui si informano.<br />

L’autore prende appunto le mosse dalla psicologia dello sviluppo infantile e<br />

dalle modalità e risultanze delle relative ricerche condotte in materia, fino a<br />

definire e prospettare la sua “ecologia dello sviluppo umano” (1977 e 1979):<br />

una esposizione che in sostanza si pone come una articolazione teorica della<br />

proposta ecologico-psicologica lewiniana applicata nel contempo all’ambito<br />

specifico dello sviluppo psicologico infantile e ai problemi del cambiamento<br />

sociale. Bronfenbrenner pone al centro della propria attenzione le<br />

problematiche indotte dalla considerazione e concettualizzazione dell’ambiente<br />

fisico e sociale: “Riscontriamo nella pratica una asimmetria marcata, tanto a<br />

livello <strong>di</strong> teoria che <strong>di</strong> ricerca, entrambe centrate sulle caratteristiche<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo e informate a una concezione e caratterizzazione dell’ambiente in<br />

cui l’in<strong>di</strong>viduo si trova, entrambe ru<strong>di</strong>mentali” (1979, tr. it., p. 47).<br />

Neppure le scuole <strong>di</strong>mostratesi particolarmente attente nei confronti<br />

dell’ambiente (la stessa scuola del Kansas e la scuola etologica) vengono<br />

risparmiate dalle sue critiche, in quanto “entrambi questi gruppi hanno adottato<br />

per lo stu<strong>di</strong>o del comportamento umano un modello originariamente sviluppato<br />

per l’osservazione delle specie sub-umane. Implicito in questo modello è un<br />

concetto <strong>di</strong> ambiente che può essere del tutto adeguato allo stu<strong>di</strong>o del<br />

comportamento negli animali, ma che è <strong>di</strong>fficile considerare sufficiente quando<br />

lo si applica allo stu<strong>di</strong>o dell’uomo” (1977b, p. 514). In esse il concetto <strong>di</strong><br />

ambiente sarebbe “limitato al contesto (setting) imme<strong>di</strong>ato, concreto, <strong>di</strong> cui<br />

fanno parte le creature viventi e si incentra sull’osservazione del<br />

comportamento <strong>di</strong> uno o al massimo <strong>di</strong> due esseri alla volta, considerati<br />

relativamente a un solo contesto…. (Tutto questo) richiede <strong>di</strong> andare al <strong>di</strong> là<br />

della osservazione <strong>di</strong>retta del comportamento <strong>di</strong> una o due persone che<br />

con<strong>di</strong>vidono lo stesso luogo; richiede l’esame <strong>di</strong> sistemi <strong>di</strong> più persone in<br />

interazione non limitata a un singolo contesto e deve tenere conto <strong>di</strong> aspetti<br />

dell’ambiente che vanno al <strong>di</strong> là della situazione imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> cui fa parte il<br />

soggetto” (Ibidem, p. 514-515).<br />

37


Il nuovo metodo proposto da Bronfenbrenner si basa su due principi paritetici:<br />

da un lato “una espansione e convergenza degli approcci naturalistico e<br />

sperimentale”, dall’altro “una espansione e convergenza delle concezioni<br />

teoriche relative all’ambiente che sottostanno a essi”, al fine <strong>di</strong> delineare un<br />

quadro teorico in grado <strong>di</strong> prospettare un concetto <strong>di</strong> “ambiente ecologico….<br />

considerevolmente più ampio e <strong>di</strong>fferenziato <strong>di</strong> quello esistente in genere nella<br />

psicologia….” concepito come una serie or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> quattro strutture<br />

concentriche incluse una nell’altra, denominate, partendo dall’interno verso<br />

l’esterno, microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema (Ibidem).<br />

Il microsistema, definito da Bronfenbrenner come il complesso delle relazioni<br />

intercorrenti tra persona e ambiente all’interno del contesto imme<strong>di</strong>ato<br />

contenente la stessa persona, è rappresentato dall’esperienza che l’in<strong>di</strong>viduo<br />

fa <strong>di</strong> tale contesto. L’esperienza della persona costituisce quin<strong>di</strong> un ruolo<br />

cruciale, in quanto elemento caratterizzante lo stesso microsistema, dove le<br />

proprietà fisiche del contesto vengono citate e incluse tra gli elementi definitori<br />

del “microambiente" (1979, tr. it. 1986, p. 56).<br />

Il mesosistema rappresenta il “sistema dei microsistemi”, comprendendo “le<br />

interazioni tra due o più contesti ambientali ai quali l’in<strong>di</strong>viduo partecipa<br />

attivamente”: il mesosistema <strong>di</strong> un bimbo, ad esempio, è costituito dalle<br />

relazioni tra casa, scuola, gruppo <strong>di</strong> coetanei…., mentre famiglia, lavoro, vita<br />

sociale… costituiscono quello <strong>di</strong> un adulto (Ibidem, p. 60).<br />

L’esosistema, invece è fondato da “uno o più contesti ambientali <strong>di</strong> cui<br />

l’in<strong>di</strong>viduo non è partecipante attivo, ma in cui si verificano eventi che<br />

determinano – o sono determinati da – ciò che accade nel contesto ambientale<br />

comprendente l’in<strong>di</strong>viduo stesso” : per un bimbo, ad esempio, il lavoro dei<br />

genitori, l’istruzione scolastica del fratello maggiore, le attività del consiglio<br />

scolastico…. (Ibidem).<br />

Il macrosistema, infine, “consiste delle congruenze <strong>di</strong> forma e contenuto dei<br />

sistemi <strong>di</strong> livello più basso…. che si danno o potrebbero darsi a livello <strong>di</strong> sub-<br />

cultura o <strong>di</strong> cultura, considerate come un tutto, nonché <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong><br />

credenze o <strong>di</strong> ideologie che sottostanno a tali conseguenze” (Ibidem).<br />

38


L’approccio <strong>di</strong> Bronfenbrenner, relativamente alle problematiche coinvolte dal<br />

rapporto in<strong>di</strong>viduo/ambiente, appare dunque virato a riformulare in prospettiva<br />

sistemica i problemi <strong>di</strong> ecologia psicologica già in<strong>di</strong>viduati da Lewin, ma<br />

delineante un quadro ben più articolato rispetto alla proposta <strong>di</strong> quest’ultimo e<br />

teso innanzitutto a recuperare la prospettiva interattiva e olistica specifica<br />

dell’ecologia naturalistica. Si tratta del suo rifiuto del modello delle scienze<br />

fisiche e dei modelli <strong>di</strong> causalità uni<strong>di</strong>rezionali a favore <strong>di</strong> quello offerto dai<br />

processi biologici della natura, dove la causalità si manifesta sempre in modo<br />

reciproco e bi<strong>di</strong>rezionale (1977a, p. 279). Inoltre questa ottica sistemica<br />

consente all’autore <strong>di</strong> delineare un quadro <strong>di</strong> riferimento in grado <strong>di</strong> assicurare,<br />

a suo giu<strong>di</strong>zio, un carattere innovativo alla ricerca, soprattutto in termini <strong>di</strong><br />

proprietà <strong>di</strong> contenuto: “nella ricerca ecologica gli effetti principali sono<br />

sicuramente quelli dovuti alle interazioni” (1977b, p. 518). È la negazione<br />

definitiva del modello uni<strong>di</strong>rezionale tra<strong>di</strong>zionalmente utilizzato in laboratorio:<br />

solo l’esperimento ecologico consente il verificarsi <strong>di</strong> processi reciproci che<br />

devono dunque essere visti come inter<strong>di</strong>pendenti e analizzati in termini <strong>di</strong><br />

sistema: “l’intento principale dell’esperimento ecologico <strong>di</strong>venta non quello <strong>di</strong><br />

testare, ma <strong>di</strong> scoprire delle ipotesi: l’identificazione <strong>di</strong> proprietà e processi <strong>di</strong><br />

sistemi che influenzano il – o sono influenzati dal – comportamento e sviluppo<br />

dell’essere umano” (Ibidem, p. 518-519).<br />

Ma l’approccio sistemico <strong>di</strong> Bronfenbrenner, a giu<strong>di</strong>zio dello stesso autore,<br />

avrebbe dovuto consentire l’ulteriore vantaggio (con possibilità euristiche alla<br />

stessa ricerca) <strong>di</strong> accedere, relativamente ai fenomeni considerati, alla analisi<br />

dei cosiddetti “effetti <strong>di</strong> secondo or<strong>di</strong>ne”, cioè a quei tipici fenomeni<br />

generalmente non presi in considerazione dalla ricerca tra<strong>di</strong>zionale (1977, p.<br />

279). Se la sua attenzione si concentra prevalentemente, come detto, sui<br />

problemi, contesti e sub-sistemi relativi allo sviluppo infantile, ciò non toglie che<br />

l’autore de<strong>di</strong>chi spesso particolare attenzione alle componenti fisico-spaziali<br />

dei contesti considerati. Bronfenbrenner tende inoltre a mostrare come il suo<br />

modello teorico <strong>di</strong> riferimento sia in grado <strong>di</strong> evidenziare una importante<br />

conseguenza relativa al possibile effetto degli aspetti fisico-spaziali<br />

dell’ambiente sul comportamento in<strong>di</strong>viduale: la loro capacità <strong>di</strong> costituire<br />

“effetti secondari” oltre che <strong>di</strong> “prim’or<strong>di</strong>ne” (1977b, p. 522).<br />

39


3. La environmental psychology (psicologia ambientale)<br />

e lo sviluppo del suo campo <strong>di</strong> pertinenza<br />

Ai suoi inizi, la psicologia moderna si occupava esclusivamente dei processi<br />

interiori della mente. Col tempo, però, essa iniziò a includere nel proprio ambito<br />

d’interesse anche i fattori interpersonali e quin<strong>di</strong> quelli socio-culturali. Ma soltanto<br />

nel 1980, nella fase <strong>di</strong> sviluppo maturo della psicologia ambientale, si venne a<br />

riconoscere formalmente l’influenza che l’ambiente fisico possiede nei confronti<br />

della persona (Stokols a Altman, 1987).<br />

Le tappe <strong>di</strong> fondazione <strong>di</strong> questa branca della psicologia non sono state né<br />

semplici né lineari. Nata infatti negli USA verso la fine degli Anni Cinquanta, si<br />

sviluppa decisamente come estensione <strong>di</strong> un settore autonomo della psicologia<br />

classica, assumendo solo nel corso degli Anni Settanta la definizione specifica <strong>di</strong><br />

environmental psychology, accanto alla quale presto si afferma la parallela <strong>di</strong>zione<br />

psicologia dell’ambiente (siamo sempre agli inizi degli Anni Settanta, anche se il<br />

termine fu usato per la prima volta da Ittelson nel 1961), <strong>di</strong>zione certamente più<br />

corretta se rapportata allo specifico campo <strong>di</strong> pertinenza, e più vicina alla<br />

denominazione francese (“psychologie de l’environnement” – Levy-Leboyer,<br />

1980). E, mentre il campo <strong>di</strong> pertinenza <strong>di</strong> questo nuovo settore si focalizza<br />

inizialmente sulle caratteristiche fisiche dell’ambiente (cfr. Proshansky et al.,<br />

1970), successivamente esso si <strong>di</strong>lata in un senso più ampio fino a porsi come<br />

“interfaccia tra comportamento umano e ambiente socio-fisico” (Stokols e Altman,<br />

1987).<br />

Gli USA costituiscono comunque il principale riferimento <strong>di</strong> questa recente<br />

<strong>di</strong>sciplina, anche se non manca una fioritura <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> in materia, ma certamente<br />

sorretti da minore sistematicità e prevalentemente localizzati, anche nel contesto<br />

europeo.<br />

Va precisato che la psicologia ambientale non nasce da una speculazione teorica,<br />

bensì da una esperienza concreta.<br />

E tale caratteristica costituisce in fondo il destino <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>sciplina. Infatti, nel<br />

corso <strong>di</strong> tutta la sua evoluzione, essa si lega strettamente sia alla crescita della<br />

coscienza sociale che l’intera società internazionale sviluppa nei confronti delle<br />

40


problematiche legate alla stessa sopravvivenza del nostro pianeta, sia a una<br />

pluralità <strong>di</strong> forze, esterne e interne alla psicologia medesima, che ebbero a<br />

operare in modo convergente a partire dagli Anni Settanta.<br />

Le sue fortune iniziali sono strettamente legate alla ricerca psichiatrica (New York,<br />

1958), connesse allo stu<strong>di</strong>o, finanziato dall’US National Institute of Mental Health,<br />

sulla possibile correlazione tra l’assetto spaziale/architettonico dell’ospedale<br />

psichiatrico e il comportamento dei pazienti. Il passaggio poi dallo stu<strong>di</strong>o<br />

dell’assetto spaziale dell’ospedale psichiatrico allo stu<strong>di</strong>o dei rapporti tra<br />

comportamento e assetto fisico ambientale in genere, è breve: anzi, quasi<br />

imme<strong>di</strong>ato.<br />

Nel 1968, Con la costituzione dell’Environmental Design Association Research e<br />

l’istituzione dei suoi convegni annuali, unitamente alla fondazione della due prime<br />

e più importanti riviste americane del settore (Environment and Behavior e Non<br />

Verbal Behavior and Environmental Psychology), e attraverso un processo in<br />

realtà ben più complesso e articolato <strong>di</strong> quanto non consenta questo breve sunto,<br />

la psicologia ambientale entra a buon <strong>di</strong>ritto nel contesto scientifico internazionale<br />

come campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o specifico in seno alla psicologia-madre.<br />

Va peraltro sottolineato come, ben prima della nascita vera e propria della<br />

psicologia ambientale, l’evoluzione della definizione del campo <strong>di</strong> pertinenza <strong>di</strong><br />

questa nuova <strong>di</strong>sciplina (in senso sempre più coerente coi contenuti della sua<br />

attività) sia debitrice in misura notevole nei confronti soprattutto del versante a lei<br />

esterno, nello specifico alla pluralità <strong>di</strong> interessi maturati al <strong>di</strong> fuori del campo<br />

psicologico in riferimento a necessità nate nel contesto <strong>di</strong> ambiti <strong>di</strong>sciplinari<br />

inizialmente abbastanza lontani dall’oggetto psicologico tra<strong>di</strong>zionale.<br />

Infatti la psicologia ambientale può essere giustamente definita come un campo <strong>di</strong><br />

ricerca <strong>di</strong> frontiera, sulla base <strong>di</strong> una collaborazione tra il versante psicologico e gli<br />

altri ambiti sia <strong>di</strong>sciplinari che tecnici interessati ai problemi <strong>di</strong> assetto,<br />

cambiamento e gestione dell’ambiente fisico umano.<br />

In questo senso specifico, parliamo in dettaglio soprattutto della architettura e<br />

progettazione ambientale, della geografia comportamentale o della percezione e<br />

delle scienze bio-ecologiche, ambiti che oggi possono essere considerati a buon<br />

<strong>di</strong>ritto i principali attori della stessa emergenza <strong>di</strong> questo nuovo settore<br />

psicologico, in quanto elementi stimolanti dall’esterno.<br />

41


3.1. Il campo <strong>di</strong> pertinenza della psicologia ambientale<br />

Quale è allora il campo <strong>di</strong> pertinenza della psicologia ambientale?<br />

I caratteri <strong>di</strong> novità che la contrad<strong>di</strong>stinguono e la pretesa inter<strong>di</strong>sciplinarità<br />

rendono <strong>di</strong>fficile una risposta precisa e imme<strong>di</strong>ata.<br />

Se partiamo dalla definizione datane inizialmente da Ittelson e collaboratori<br />

(1974) come “tentativo <strong>di</strong> stabilire una relazione empirica e teorica tra<br />

comportamento ed esperienza dell’in<strong>di</strong>viduo e il suo ambiente costruito”,<br />

possiamo affermare che la prioritaria attenzione da essa data ai problemi<br />

fisico-spaziali porta a definire e identificare il suo ambito come articolato in<br />

relazione alle caratteristiche dello stesso campo fisico, visto nella <strong>di</strong>stinzione<br />

tra ambiente fisico costruito e ambiente fisico naturale.<br />

Procedendo poi ad esaminare i successivi tentativi <strong>di</strong> definizione sistematica<br />

(Stokols, 1978 e Holahan, 1986), dove ai fenomeni o processi psicologico-<br />

ambientali vengono contrapposte le peculiarità dei processi psicologici che<br />

hanno la caratteristica saliente <strong>di</strong> costituire l’interfaccia tra l’in<strong>di</strong>viduo da una<br />

parte e l’ambiente socio-fisico dall’altra (cioè l’in<strong>di</strong>viduo in interazione/<br />

transazione con l’ambiente), allora il nuovo schema <strong>di</strong> riferimento risulta posto<br />

soprattutto ad affermare, da un lato, il carattere <strong>di</strong> continuo scambio e<br />

reciprocità che caratterizza tale rapporto in<strong>di</strong>viduo/ambiente e dall’altro il ruolo<br />

previamente attivo e intenzionale (cioè orientato tramite fini e <strong>di</strong> conseguenza<br />

pianificato) dell’in<strong>di</strong>viduo nei confronti dell’ambiente.<br />

Il risultato è che viene così delimitato in senso maggiormente inter<strong>di</strong>sciplinare il<br />

campo della psicologia ambientale, favorendo il convergere <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> provenienti<br />

da molteplici ambiti <strong>di</strong>sciplinari: sociologico, antropologico, economico,<br />

geografico …<br />

Ma l’ulteriore passaggio al concetto <strong>di</strong> “ambiente socio-fisico” (già non solo più<br />

semplicemente “ambiente fisico”) presente nella definizione <strong>di</strong> Stokols (1978:<br />

“La psicologia ambientale riguarda l’interfaccia tra comportamento umano e<br />

ambiente socio-fisico”) induce, grazie alla nuova <strong>di</strong>scriminante qualitativa<br />

introdotta nell’ Handbook <strong>di</strong> Stokols e Altman del 1987 (“la psicologia<br />

ambientale, cioè lo stu<strong>di</strong>o del comportamento e benessere umano in relazione<br />

all’ambiente socio-fisico” - Ibidem, p. 1), una ulteriore <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> interesse<br />

42


per questa <strong>di</strong>sciplina: il “benessere umano”, appunto. Ciò sta ad in<strong>di</strong>care che il<br />

nuovo tema/obiettivo <strong>di</strong>sciplinare intendeva così estendersi dal semplice<br />

intento <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o/ricerca a quello sia del <strong>di</strong>retto coinvolgimento sul versante del<br />

cambiamento/ intervento socio-ambientale, sia <strong>di</strong> una possibile ed effettiva<br />

implicazione pratico-operativa anche sul versante dell’organizzazione/ gestione<br />

ambientale.<br />

L’evoluzione della psicologia ambientale, vista a partire dalla ricerca<br />

conoscitiva fino alla programmazione/attuazione <strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> cambiamento<br />

psicologico-ambientale, apriva così a questa <strong>di</strong>sciplina una visione<br />

dell’ambiente non più come qualcosa <strong>di</strong> statico, bensì come un’unità costituita<br />

da processi in continuo <strong>di</strong>venire: una prospettiva <strong>di</strong>namica che faceva della<br />

psicologia ambientale “l’ambito che si interessa ai rapporti tra processi<br />

psicologici e processi dell’ambiente socio-fisico”.<br />

4. La psicologia architettonica<br />

La citata esperienza <strong>di</strong> Ittelson e Proshansky, avente per oggetto lo stu<strong>di</strong>o del<br />

rapporto tra <strong>di</strong>segno architettonico e comportamento dei pazienti nell’ospedale<br />

psichiatrico, non rappresenta affatto un caso isolato. Essa si pone infatti in linea<br />

parallela con altri analoghi progetti, condotti da altrettanti psicologi e psichiatri, le<br />

cui esperienze condussero a teorie quanto meno singolari: come la teoria del<br />

canadese Osmond (1957) circa l’esistenza <strong>di</strong> assetti spaziali “sociofughi” (tali cioè<br />

da scoraggiare l’interazione sociale) e <strong>di</strong> opposti assetti “sociopeti” (tali invece da<br />

incoraggiarla); ovvero come la teoria <strong>di</strong> Sommer, elaborata attorno ai concetti <strong>di</strong><br />

“territorialità umana” e <strong>di</strong> “spazio personale”.<br />

Tutte queste esperienze contribuirono sia a fornire preziose in<strong>di</strong>cazioni<br />

psicologiche a vari progettisti <strong>di</strong> strutture ospedaliere non solo psichiatriche, sia<br />

soprattutto ad aprire una nuova fase <strong>di</strong> interazione <strong>di</strong>retta e feconda con le varie<br />

scienze della progettazione architettonica a destinazione ospedaliera circa la<br />

definizione del ruolo del progetto formale in vista del miglioramento/guarigione dei<br />

ricoverati. Infatti fin dagli Anni Cinquanta si erano andati sviluppando in vari Paesi<br />

gruppi <strong>di</strong> ricerca interessati a progre<strong>di</strong>re verso impegni non solo occasionali ma<br />

43


programmatici <strong>di</strong> collaborazione tra le varie componenti coinvolte in tale ambito. Si<br />

può anzi affermare che queste esperienze, manifestatesi maggiormente nei Paesi<br />

anglosassoni e nord-europei, nel loro insieme andarono a costituire un vero e<br />

proprio movimento transnazionale <strong>di</strong> interazione articolata tra settori scientifici<br />

<strong>di</strong>fferenti, impegnati su <strong>di</strong> un progetto sentito e vissuto come obiettivo comune.<br />

Si pensi che fin dal 1961 si susseguirono importanti congressi <strong>di</strong> psicologia<br />

architettonica, organizzati da psicologi e architetti <strong>di</strong> chiara fama, presso varie<br />

università statunitensi. Nel 1967, inoltre, inizia la pubblicazione del notiziario<br />

“Architectural Psychology Newsletter”, successivamente confluito nella rivista<br />

“Man-Environment System” (1969).<br />

Nasce così la proposta dell’urbanista Kevin Lynch (1960) <strong>di</strong> un nuovo approccio,<br />

per certi versi rivoluzionario: pensare la città e la sua progettazione partendo dalla<br />

“immaginabilità” che essa può avere nella mente dei suoi abitanti/fruitori. È l’inizio<br />

<strong>di</strong> un rifiuto <strong>di</strong>ffuso del concetto tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> progettazione urbana, nato dalla<br />

insod<strong>di</strong>sfazione della concezione architettonica tra<strong>di</strong>zionale, definita “egocentrica”,<br />

intesa cioè a sod<strong>di</strong>sfare principalmente i bisogni puramente estetici e narcisistici<br />

del progettista a svantaggio delle esigenze primarie dei destinatari/utenti.<br />

È la rivolta culturale contro l’habitat urbano concepito per “complessi” o per “gran<strong>di</strong><br />

insiemi”, anziché per e<strong>di</strong>fici singoli e per esigenze specifiche, la cui antitesi si<br />

trasferisce nella stessa progettazione dei reparti psichiatrici. Ma è anche il rifiuto <strong>di</strong><br />

soluzioni intuitive, a favore <strong>di</strong> una rivisitazione <strong>di</strong>alettica delle modalità <strong>di</strong> affrontare<br />

e realizzare il processo progettuale nelle sue singole destinazioni urbane.<br />

È una sfida che parte dagli USA ma che, come detto, presto si trasferisce sul<br />

continente Europeo: soprattutto in Svezia e Inghilterra, dove nelle singole facoltà<br />

<strong>di</strong> architettura si costituiscono gruppi <strong>di</strong> lavoro decisamente multi<strong>di</strong>sciplinari per lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> strumenti facilmente utilizzabili nella valutazione dei vari aspetti legati<br />

alla progettazione urbana. Ma ben presto l’esempio viene seguito in altri paesi<br />

dove via via la psicologia ambientale viene emergendo: soprattutto Olanda,<br />

Unione Sovietica, Germania e Francia.<br />

Lo psicologo inglese Canter (1972), approfondendo ulteriormente l’esame circa le<br />

modalità <strong>di</strong> collaborazione tra psicologia e architettura, arriva a ipotizzare la<br />

necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le esigenze <strong>di</strong> adeguatezza funzionale dei singoli e<strong>di</strong>fici<br />

44


da quelle relative alla loro forma e la conseguente rinuncia della “progettazione<br />

per sé” a favore <strong>di</strong> una ricerca psicologica come contributo in tale <strong>di</strong>rezione. La<br />

psicologia è qui configurata, dunque, come ponte tra i problemi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pratico-<br />

operativo e l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> soluzioni ottimali dal punto <strong>di</strong> vista estetico, ma<br />

soprattutto rispetto all’adeguatezza funzionale dell’architettura ambientale nei<br />

confronti degli utenti.<br />

In tale senso, Canter e Lee (1974) arrivarono a in<strong>di</strong>viduare le principali categorie<br />

<strong>di</strong> informazioni che la psicologia può fornire alla progettazione dell’ambiente,<br />

contributo che viene <strong>di</strong>fferenziato in rapporto alle varie tappe della progettazione<br />

stessa.<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che tuttora in Inghilterra il termine psicologia architettonica viene<br />

utilizzato come corrispettivo sia del termine psicologia ambientale, sia dei termini<br />

“relazione uomo/ambiente” o “relazione persona/ambiente” altrove preferibilmente<br />

usati da ricercatori con provenienza <strong>di</strong>sciplinare non specificamente psicologica<br />

(architetti, geografi, antropologi, sociologi…) che risultano ugualmente attivi nel<br />

campo.<br />

5. La geografia comportamentale<br />

Gli altri settori esterni ala psicologia che hanno contribuito all’affermazione, nel<br />

corso della seconda metà del secolo scorso, della psicologia ambientale sono<br />

rappresentati dall’insieme delle scienze che si interesano da un lato all’ambiente<br />

fisico-geografico e dall’altro al settore naturalistico-ecologico.<br />

Grazie al contributo <strong>di</strong> questi ricercatori, si è andato costituendo progressivamente<br />

un interesse sempre più specifico nei confronti del cosiddetto “fattore umano” o<br />

“antropico” all’interno <strong>di</strong> tutti quei processi fisico-naturali che costituiscono appunto<br />

l’oggetto <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>scipline. Ciò vale soprattutto per il settore geografico il quale, fin<br />

dalla fine degli Anni Settanta si mosse sovente ad<strong>di</strong>rittura in sovrapposizione<br />

tendenziale alla psicologia ambientale.<br />

45


È un fatto peraltro in<strong>di</strong>scutibile che già verso la fine della prima metà del secolo<br />

scorso la ricerca geografica aveva spesso evidenziato (Sauer 1925, <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong><br />

Berkeley) la necessità <strong>di</strong> una indagine approfon<strong>di</strong>ta connessa alla sua specifica<br />

attività, arrivando a esprimere con Wright (1947) ad<strong>di</strong>rittura il concetto <strong>di</strong><br />

“geosofia”, come nuovo campo <strong>di</strong> indagine della geografia stessa. Con tale<br />

termine Wright intendeva appunto l’esplorazione delle immagini che le persone<br />

hanno degli ambiti geografici, cioè dei “mon<strong>di</strong> che si trovano nella mente degli<br />

uomini”.<br />

La nuova proposta superava così enormemente quello che per la <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong><br />

Berkeley era il semplice bisogno <strong>di</strong> tenere conto delle componenti sociali e<br />

culturali nell’orientamento del comportamento spaziale umano e, <strong>di</strong> conseguenza,<br />

nell’orientamento della stessa configurazione geografica del paesaggio.<br />

Riferendosi a Wright, si iniziò così a parlare <strong>di</strong> una vera e propria nuova branca <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong> geografici, denominata appunto geografia comportamentale, dove la<br />

tematica della percezione/valutazione dell’ambiente riunisce allo stesso tavolo il<br />

contributo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> varia provenienza <strong>di</strong>sciplinare, quale, ad esempio, Tuan,<br />

geografo <strong>di</strong> orientamento fenomenologico autore del concetto <strong>di</strong> “topofilia” col<br />

quale intese identificare la peculiarità della geografia comportamentale nella<br />

nuova concezione delle relazioni uomo-ambiente, ben più complessa rispetto a<br />

quella utilizzata tra<strong>di</strong>zionalmente dai geografi. Si tratta del riconoscimento <strong>di</strong> come<br />

uomo e ambiente siano strettamente correlati e <strong>di</strong> come l’uomo dà forma al proprio<br />

ambiente e conseguentemente deve dare conto <strong>di</strong> questa sua prerogativa. La<br />

cognizione che l’uomo (inteso come essere sociale motivato) ha dello spazio, la<br />

natura stessa <strong>di</strong> questa cognizione, me<strong>di</strong>a le sue decisioni e le sue azioni, al punto<br />

che le interpretazioni del comportamento umano, secondo il geografo<br />

comportamentale, si basano proprio sulla comprensione del modo in cui si<br />

sviluppa tale cognizione nell’uomo.<br />

L’insieme delle problematiche trattate e delle metodologie impiegate fece sorgere<br />

presto il dubbio se per la geografia comportamentale dovesse continuare a<br />

trattarsi <strong>di</strong> un contenuto <strong>di</strong>sciplinare riconducibile alla geografia piuttosto che alla<br />

psicologia. Gold (1980) pensò bene <strong>di</strong> <strong>di</strong>rimere la problematica identificandone il<br />

campo <strong>di</strong> indagine in quello più vasto della psicologia ambientale, se per<br />

46


psicologia si intende la <strong>di</strong>sciplina che assume come unità <strong>di</strong> analisi i processi<br />

psicologici che avvengono nell’in<strong>di</strong>viduo e per geografia la <strong>di</strong>sciplina che si occupa<br />

dello spazio fisico-geografico. Ma, sempre secondo Gold, la geografia<br />

comportamentale o della percezione, pur occupandosi solo in<strong>di</strong>rettamente dello<br />

“spazio fisico-geografico”, per il fatto <strong>di</strong> occuparsi dello “spazio rappresentato/<br />

percepito” e dunque dello “spazio agito” a livello <strong>di</strong> processi psicologici in<strong>di</strong>viduali<br />

e collettivi, tenderebbe a chiamarsi geografia, anziché psicologia, soprattutto per<br />

necessità <strong>di</strong> territorialità accademica che non <strong>di</strong> contenuto <strong>di</strong>sciplinare.<br />

I dubbi rimangono tuttora irrisolti specie quando i geografi che si occupano <strong>di</strong><br />

fenomeni psicologici, consci del fatto che i problemi trattati, trascendendo i confini<br />

delle singole materie accademiche, pongono il bisogno pragmatico <strong>di</strong> ricercare<br />

spiegazioni dei processi comportamentali nella letteratura delle scienze sociali e<br />

comportamentali.<br />

6. L’ambito ecologico-naturalistico<br />

e le problematiche ecologico-ambientali:<br />

il programma MAB (Man and Biosphere) dell’UNESCO<br />

Certamente fra i principali fattori esterni alla psicologia che hanno contribuito in<br />

particolare alla nascita e allo sviluppo della psicologia ambientale vanno collocate<br />

al primo posto per importanza tutte quelle istanze politico-sociali strettamente<br />

connesse alle variegate problematiche coinvolgenti l’ecosistema nella sua<br />

globalità, così come sono andate via via sorgendo ed espandendosi presso i<br />

<strong>di</strong>fferenti ambiti scientifici e decisionali a partire almeno dagli Anni Cinquanta.<br />

Il punto <strong>di</strong> arrivo, e al tempo stesso <strong>di</strong> partenza, <strong>di</strong> tale progressiva presa <strong>di</strong><br />

coscienza ecologica è da considerarsi, l’avvio del programma dell’UNESCO<br />

(Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, le Scienze e la Cultura)<br />

denominato MAB (Man and Biosphere), varato agli inizi degli Anni Settanta. Le<br />

Nazioni Unite costituivano finalmente un osservatorio privilegiato per affrontare<br />

con mezzi e competenze adeguati le <strong>di</strong>fferenti problematiche che ruotano, in tutte<br />

47


le loro sfaccettature, attorno al contesto dell’ecosistema. E l’UNESCO non ebbe a<br />

tra<strong>di</strong>re le attese che avevano ispirato questa iniziativa, caratterizzando<br />

costantemente nel tempo gli interventi del MAB attraverso criteri innovativi<br />

soprattutto in rapporto alle sue modalità strategiche <strong>di</strong> approccio, attraverso le<br />

quali si propone tuttora <strong>di</strong> affrontare i problemi dell’ambiente e <strong>di</strong> <strong>di</strong>rimere le varie<br />

questioni ecologico-naturalistiche.<br />

Si trattava, con una scelta senza dubbi innovativa rispetto al passato, della<br />

riconosciuta esigenza <strong>di</strong> attribuire al “fattore umano” (qui definito col temine “Uomo<br />

– Man”), e non più al generico “fattore antropico”, il ruolo centrale nelle<br />

problematiche ecologico-ambientali, a partire già dallo stesso approccio ecologico-<br />

naturalistico, dando attuazione a un programma che si <strong>di</strong>chiara “rivolto ad aiutare<br />

a stabilire la base scientifica per uno sviluppo sostenibile e per assistere i singoli<br />

Paesi nello sviluppo delle loro risorse umane” (Unesco 1988).<br />

Emblematico a questo proposito è il binomio Uomo-Biosfera, dove l’uomo intende<br />

essere considerato e proposto al centro della Terra nella sua completezza sia <strong>di</strong><br />

essere biologico che <strong>di</strong> essere culturale, cioè come elemento centrale costitutivo<br />

dei processi bio-ecologici, come soggetto eminentemente attivo e intenzionale <strong>di</strong><br />

tutti i fenomeni fisico-biologici che avvengono nella biosfera.<br />

La scelta strategica operata dal MAB rovescia quin<strong>di</strong> i termini dell’approccio<br />

generalmente seguito (per certi versi lo sarà anche successivamente) in ambiti<br />

<strong>di</strong>fferenti della psicologia ambientale: non è più il problema specifico che porta la<br />

speculazione verso istanze più generali e allargate; si tratta invece <strong>di</strong> coinvolgere<br />

ad uno stesso tavolo ideale sia gli stu<strong>di</strong>osi delle scienze naturali, sia quelli delle<br />

scienze umane, per riuscire a programmare una proposta generale <strong>di</strong> politica<br />

prettamente culturale che però nel suo complesso non trascuri (ovviamente) le<br />

implicazioni specifiche nei confronti della prassi scientifica e le scelte politico-<br />

decisionali.<br />

Il MAB si pone dunque, attraverso i propri obiettivi, come il programma<br />

internazionale per eccellenza destinato alla ricerca applicata alle interazioni tra<br />

uomo e ambiente e quin<strong>di</strong> come fonte <strong>di</strong> conoscenza scientifica necessaria per<br />

coloro che, a qualsiasi titolo o livello, decidono sul pianeta Terra in materia <strong>di</strong><br />

gestione delle risorse naturali ambientali. La sua metodologia <strong>di</strong> approccio è quella<br />

48


<strong>di</strong> affrontare le varie problematiche in modo integrato e conseguentemente <strong>di</strong><br />

favorire la collaborazione e lo scambio tra i vari soggetti coinvolti nei singoli<br />

interventi, onde evitarne da un lato la parcellizzazione e dall’altro favorire la<br />

costruzione <strong>di</strong> una conoscenza e <strong>di</strong> una prassi ambientali intese come sforzo <strong>di</strong><br />

educazione e formazione pur sempre collegato ai vari progetti <strong>di</strong> campo.<br />

L’inversione <strong>di</strong> prospettiva proposta attraverso il MAB si delinea nella sua stessa<br />

base strategica che sottolinea l’intento <strong>di</strong> sviluppare conoscenze e interventi circa<br />

l’ambiente il più possibile integrati e multi<strong>di</strong>sciplinari, al fine specifico <strong>di</strong> condurre la<br />

pluri<strong>di</strong>sciplinarità iniziale alla definitiva inter<strong>di</strong>sciplinarità (Whyte 1984). Si giunge<br />

così ad un’integrazione delle scienze dell’ambiente fisico-naturale (biologiche e<br />

fisico-chimiche) con le scienze umane e sociali (psicologia, antropologia,<br />

sociologia…), al fine <strong>di</strong> perseguire una nuova unità <strong>di</strong> analisi, rappresentata dal<br />

termine “ecosistema”, ovvero “sistema ecologico”. La nuova unità <strong>di</strong> analisi si<br />

concretizza dunque nel concetto <strong>di</strong> “sistema <strong>di</strong> uso umano”, grazie<br />

all’accostamento interattivo dei fenomeni psicologico-ambientali e quelli fisico-<br />

biologici.<br />

Nel dettaglio, il “sistema d’uso umano” si segmenta idealmente in tre principali<br />

<strong>di</strong>mensioni (spazio, tempo e percezione ambientale): delle quali le prime due sono<br />

volte a definirne prevalentemente gli aspetti “biotici” e “abiotici”, mentre la terza (la<br />

percezione ambientale), che affronta specificamente la componente umana del<br />

sistema, è considerata l’elemento che caratterizza, in senso psico-sociale, le<br />

forze/azioni umane concorrenti a definirne l’assetto fisico biologico.<br />

È proprio il termine “percezione ambientale”, mutuato dalla psicologia sociale che<br />

qui assume una accezione molto più alta, al fine <strong>di</strong> identificare quel complesso <strong>di</strong><br />

fenomeni, definiti <strong>di</strong> “percezione sociale” che riguardano i processi <strong>di</strong> natura sia<br />

cognitiva sia affettiva volti a percepire/rappresentare l’ambiente e le sue<br />

caratteristiche secondo il duplice livello, in<strong>di</strong>viduale (psicologico) e collettivo<br />

(socio-culturale). E il MAB considera appunto tali processi <strong>di</strong> percezione quali<br />

momenti costitutivi (attraverso il duplice processo <strong>di</strong> preparazione e <strong>di</strong><br />

aggiustamento continuo) delle azioni/attività umane ambientali, cioè <strong>di</strong> quegli<br />

interventi umani che hanno rilevanza <strong>di</strong>retta sulla produzione e la mo<strong>di</strong>ficazione<br />

dell’assetto relativo al sistema d’uso umano.<br />

49


Tale <strong>di</strong>mensione percettiva, costitutiva <strong>di</strong> ogni sistema d’uso umano, entro il quale<br />

essa si presenta specificamente articolata in rapporto all’interrelazione dei vari<br />

possibili attori umani in esso presenti, <strong>di</strong>viene quin<strong>di</strong> centrale per la comprensione<br />

del funzionamento del sistema stesso e della sua evoluzione nell’arco temporale<br />

<strong>di</strong> riferimento.<br />

Secondo il programma MAB ogni specifico sistema d’uso umano si avvale <strong>di</strong> tre<br />

<strong>di</strong>stinte categorie <strong>di</strong> “attori”, identificabili in funzione <strong>di</strong> tre principali ruoli ambientali<br />

corrispondenti: “decisori ambientali” (autorità locali, statali o nazionali,<br />

istituzionalmente preposti a decidere sull’assetto del sistema per approvazione,<br />

emanazione e applicazione <strong>di</strong> norme), “tecnici/esperti ambientali” (professionisti <strong>di</strong><br />

ruoli scientifico-<strong>di</strong>sciplinari e tecnici, dotati <strong>di</strong> competenze ambientali<br />

specialistiche, fornitori <strong>di</strong> consulenza sulle decisioni ambientali da assumere) e<br />

“fruitori” (che occupano o utilizzano l’ambiente in senso fisico o in senso<br />

normativo, da un lato utilizzando i mezzi/risorse offerti dall’ambiente, dall’altro<br />

costituendo i referenti/destinatari delle decisioni ambientali prese dalle altre due<br />

categorie <strong>di</strong> attori).<br />

Mentre la terza categoria <strong>di</strong> attori si avvale, nella formulazione delle<br />

rappresentazioni, <strong>di</strong> processi psicologici caratterizzati dalla stretta integrazione tra<br />

cognitivo e affettivo, nell’ambito specialistico, tale formulazione è affidata<br />

prevalentemente a proce<strong>di</strong>menti analitico-sistematici virati soprattutto verso la<br />

“valutazione ambientale”. Ciò comporta spesso uno stato <strong>di</strong> contrapposizione tra<br />

le prime due categorie <strong>di</strong> attori e la terza, specie quando in quest’ultima i<br />

componenti rivestono il ruoli ambientai <strong>di</strong> “abitanti”, utenti <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana, cioè<br />

fruitori delle risorse del sistema ambientale viste come mezzi per raggiungere e<br />

sod<strong>di</strong>sfare scopi <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> benessere quoti<strong>di</strong>ani.<br />

Le scelte del programma MAB si sono focalizzate su una serie <strong>di</strong> tematiche<br />

specifiche in corrispondenza preferenziale con “ecosistemi d’uso umano” che<br />

presentano particolari o spiccate problematicità (foreste tropicali e sub-tropicali,<br />

ecosistemi insulari, ecosistemi montani, sistemi urbani….), cui esso ha affiancato<br />

progetti tematici specifici <strong>di</strong> adeguato livello scientifico al fine soprattutto <strong>di</strong> riuscire<br />

a sensibilizzare e orientare i livelli gestionali e decisionali.<br />

50


Non va inoltre <strong>di</strong>menticato come la proposta del sistema d’uso umano e la<br />

conseguente centralità assegnata alla <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> percezione ambientale abbia<br />

consentito al programma MAB <strong>di</strong> promuovere, oltre alle proposte specifiche sulle<br />

modalità idonee per affrontare le svariate problematiche ambientali, lo sviluppo<br />

della ricerca psicologico-ambientale in <strong>di</strong>retta relazione ai contenuti <strong>di</strong> quelle<br />

singole problematiche. In tale senso, negli ultimi due decenni del secolo scorso,<br />

grande importanza è andata assumendo all’interno del programma MAB la<br />

“percezione della qualità ambientale”, sulla quale si è notata una straor<strong>di</strong>naria<br />

convergenza <strong>di</strong> contributi a livello internazionale, fino a determinare uno specifico<br />

orientamento a favore dello sviluppo <strong>di</strong> tale linea <strong>di</strong> ricerca all’interno <strong>di</strong> altre<br />

singole tematiche.<br />

7. Recenti sviluppi della psicologia ambientale<br />

Nel corso dell’ultimo decennio la psicologia ambientale si è andata ampliando<br />

progressivamente, spostandosi dagli iniziali interessi strettamente contigui alla<br />

psicologia architettonica verso le più recenti teorizzazioni stimolate dal programma<br />

dello sviluppo sostenibile, maggiormente connesse alle nuove speculazioni delle<br />

scienze bio-fisiche ed ecologiche, attraverso le quali vengono dunque filtrate le<br />

problematiche specificamente progettuali.<br />

È in questa <strong>di</strong>rezione che troviamo le proposte <strong>di</strong> nuove denominazioni con le<br />

quali le dottrine più recenti intendono definirsi, quali ad esempio quelle <strong>di</strong><br />

psicologia verde (Pol, 1993) o, appunto, psicologia ambientale dello sviluppo<br />

sostenibile (Bonnes e Bonaiuto, 2002). Rispetto alla precedente psicologia<br />

ambientale, questo nuovo in<strong>di</strong>rizzo generalizzato risulta molto più <strong>di</strong>rettamente<br />

coinvolto nella analisi e nello stu<strong>di</strong>o dei comportamenti concreti delle persone in<br />

rapporto agli ambienti <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana, che si configurano come risorse naturali<br />

dell’ambiente, con primaria attenzione alla valenza dei <strong>di</strong>fferenti aspetti che essi<br />

esprimono.<br />

Invece la più consolidata tra<strong>di</strong>zione della psicologia ambientale, resta da un lato<br />

fedelmente focalizzata, nei termini che abbiamo precedentemente illustrato, sugli<br />

aspetti spazio-fisici dell’ambiente fisico-sociale considerato, più che su quelli bio-<br />

51


fisici, e d’altro canto prevalentemente orientata alle indagini riguardanti le <strong>di</strong>fferenti<br />

tematiche dell’ambiente costruito, in misura specifica quelle relative alla<br />

progettazione architettonica ed ingegneristica.<br />

Dunque, il rapporto tra le persone e l’ambiente naturale, pur con i vari <strong>di</strong>stinguo<br />

rilevabili, si costituisce argomento <strong>di</strong> centrale interesse per la più recente<br />

psicologia ambientale, testimoniato in particolare modo dalla ricchezza dello<br />

specifico nuovo filone, interno a tale ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, che rappresenta il lato verde<br />

della psicologia ambientale stessa, impegnato a portare in primo piano la concreta<br />

prospettiva della sostenibilità ambientale, <strong>di</strong> recente delineatasi parallelamente<br />

come prioritaria preoccupazione <strong>di</strong> ricerca anche e soprattutto nelle scienze sociali<br />

ed umane.<br />

Infatti, negli ultimi <strong>di</strong>eci anni la psicologia ambientale è andata via via recependo i<br />

termini teorici della corrispondente grande rivoluzione scientifico-culturale,<br />

proveniente in genere dalle scienze naturali e dalla biologia in particolare,<br />

rappresentata dall’affermazione sempre più decisa delle analisi e delle tesi<br />

avanzate dall’ecologia. Quest’ultima, con crescente pressione, ha trasmesso, sia<br />

alle altre scienze sia alle tecnologie nuove e tra<strong>di</strong>zionali che si rapportano<br />

all’ambiente considerato nei suoi aspetti fisico, naturale (fisico-biologico) e<br />

tecnologico (architettonico-ingegneristico), la necessità <strong>di</strong> considerare la fisicalità<br />

ambientale sotto un aspetto sostanzialmente <strong>di</strong>verso da quanto fatto in<br />

precedenza: una fisicalità, cioè, che deve essere fondata guardando meno alle<br />

problematiche fisico-spaziali e molto <strong>di</strong> più a quelle fisico-biologiche.<br />

Tutto ciò è chiarissimo agli ecologi che si esprimono in termini <strong>di</strong> approccio<br />

ecosistemico e <strong>di</strong> processi biosferici, ovvero <strong>di</strong> cambiamenti globali. E in tale<br />

senso, nel corso <strong>di</strong> questi ultimi anni essi hanno contribuito a sensibilizzare<br />

sempre più l’attenzione <strong>di</strong> tutte le altre scienze ambientali (oltre che quella<br />

operante nel campo psicologico) contribuendo a costituire una rinnovata<br />

consapevolezza scientifica tesa in tale <strong>di</strong>rezione. Ma il nuovo orientamento ha<br />

creato e crea ancora oggi momenti <strong>di</strong> imbarazzo (pur sempre stimolante) e <strong>di</strong> crisi<br />

feconda specie presso i progettisti che si mostrano spesso in <strong>di</strong>fficoltà<br />

nell’elaborare concretamente una fisicalità sulla base delle istanze ambientali<br />

espresse dall’ecologia e dal relativo approccio per ecosistemi: una fisicalità che<br />

sia quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> configurarsi con caratteristiche tipicamente <strong>di</strong>namiche<br />

anziché statiche, cioè contrad<strong>di</strong>stinta fondamentalmente da un approccio per<br />

52


processi più che per assetti. Questo concetto nuovo della fisicalità si fonda<br />

innanzitutto sugli sviluppi bio-fisici e biologici della biosfera, attraverso processi<br />

che, verificandosi in ripetizione e pertanto mutandosi <strong>di</strong> continuo nel tempo e nello<br />

spazio, si giocano soprattutto nella inevitabile contiguità e continuità tra il locale e<br />

il globale. Tanto è vero che ormai non è più possibile parlare <strong>di</strong> locale se non in<br />

relazione ai corrispondenti processi globali della biosfera, così come non si può<br />

pensare ai processi globali se non attraverso quello che succede ai singoli livelli<br />

locali.<br />

Ma i cambiamenti biosferici globali, <strong>di</strong> cui gli ecologi parlano con sempre<br />

maggiore preoccupazione in quanto ritenuti pericolosi proprio per la sopravvivenza<br />

della vita nella stessa biosfera, costituiscono processi bio-fisici propri dell’ambiente<br />

che, avendo una in<strong>di</strong>scutibile connessione e linearità con le singole fenomenologie<br />

<strong>di</strong> livello locale, <strong>di</strong>mostrano quanto sia sempre più cruciale il ruolo delle varie<br />

attività umane negli abituali specifici ambienti <strong>di</strong> vita, cioè in tutti quei luoghi dove<br />

le persone vivono ed operano quoti<strong>di</strong>anamente. Infatti, non si può parlare<br />

concretamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione globale e <strong>di</strong> processi globali senza tenere presente<br />

che si tratta in realtà <strong>di</strong> un unico processo con continuità spaziale e temporale dei<br />

vari elementi ed eventi locali che lo compongono e lo determinano.<br />

Questa così detta rivoluzione ecologica è stata particolarmente sostenuta e<br />

promossa nel corso degli ultimi trent’anni dagli stessi organismi delle Nazioni Unite<br />

(UN), che proprio attraverso la Conferenza <strong>di</strong> Rio de Janeiro del 1992 su<br />

“Ambiente e sviluppo” (United Nations Conference on Environment and<br />

Development: Unced, 1992) hanno varato su questa linea la nuova nozione e il<br />

relativo programma del cosiddetto sviluppo sostenibile: sviluppo che, proprio<br />

attraverso il concetto <strong>di</strong> sostenibilità applicato sia al versante ambientale (per lo<br />

sviluppo-cambiamento ambientale) sia al versante umano (per lo sviluppo-<br />

cambiamento umano), definisce sostanzialmente i para<strong>di</strong>gmi corretti <strong>di</strong> una futura<br />

espansione spazio-temporale, rinnovata e onnicomprensiva, della fisicalità intesa<br />

come insieme degli ambienti dove le persone vivono e vivranno quoti<strong>di</strong>anamente.<br />

Si assume dunque attraverso il concetto <strong>di</strong> sostenibilità, una immagine della<br />

espansione non solo in termini spaziali, cioè intesa come procedente dallo spazio<br />

locale allo spazio biosferico-globale, ma anche in termini temporali,<br />

comprendendo, sul versante umano, sia le generazioni attuali che le generazioni<br />

future.<br />

53


Parlare <strong>di</strong> ambiente in modo adeguato, moderno e attuale, significa dunque<br />

prendere coscienza della intera serie <strong>di</strong> connessioni e <strong>di</strong> interazioni che sono <strong>di</strong><br />

vitale importanza per il genere umano, dalla cui consapevolezza appunto e dal cui<br />

corretto governo <strong>di</strong>pende, in modo sempre più incisivo, la qualità della vita<br />

in<strong>di</strong>viduale e collettiva degli abitanti della terra.<br />

La prima e importantissima configurazione ambientale può essere definita e<br />

identificata nel proprio corpo vivo e senziente, in cui il soggetto personale abita e<br />

all’interno del quale esso viene costituendosi come matura ed elevata spiritualità.<br />

Da questa cellula primaria il cerchio via via si allarga, includendo le varie<br />

con<strong>di</strong>zioni materiali del vivere nei singoli contesti ambientali pur ancora circoscritti<br />

(naturale, culturale, comunicativo, sociale ed urbano), fino ad approdare al<br />

macrosistema ecologico in cui attualmente si registrano ormai gravi fenomeni <strong>di</strong><br />

impoverimento, corruzione e degrado.<br />

Il concetto <strong>di</strong> “ambiente come globalità” è una scoperta recente e solo da pochi<br />

decenni si è convertito in un’idea politico-sociale che interpella, chiama in causa e<br />

responsabilizza, in modo sempre più incisivo e stringente, i pubblici poteri e le<br />

istituzioni, e a buon <strong>di</strong>ritto possiamo ormai affermare definitivamente che lo<br />

sviluppo del settore della gestione ambientale si rapporta in linea <strong>di</strong>retta con la<br />

recente prospettiva <strong>di</strong> sostenibilità ambientale. La gestione ambientale è dunque<br />

una <strong>di</strong>sciplina che oggi può e deve reclamare un proprio campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e una<br />

propria specificità.<br />

La gestione ambientale modernamente intesa si propone <strong>di</strong> organizzare,<br />

amministrare e coor<strong>di</strong>nare l’impatto indotto dalle inevitabili trasformazioni<br />

dell’ambiente sotto l’aspetto sia fisico che sociale; in questo senso coinvolge in<br />

modo <strong>di</strong>retto e in<strong>di</strong>retto la cura e la gestione del comportamento umano,<br />

l’organizzazione dell’habitat, le strutture sociali, le tecnologie <strong>di</strong> produzione e i loro<br />

effetti sull’ambiente, le decisioni basate su valori socialmente con<strong>di</strong>visi, con lo<br />

scopo <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare positivamente abitu<strong>di</strong>ni e comportamenti nelle varie<br />

organizzazioni sociali (Pol, 2002).<br />

La comprensione dei motivi che tendono a includere la gestione ambientale nelle<br />

tematiche oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o da parte della psicologia ambientale attinge le proprie<br />

basi nella stessa definizione <strong>di</strong> sostenibilità. Qui infatti lo sviluppo sostenibile è<br />

presentato come un concetto globale e totalizzante che ricerca necessariamente<br />

l’integrazione dell’environmental management e dello sviluppo economico:<br />

54


sviluppo che però, con la sod<strong>di</strong>sfazione dei bisogni delle generazioni <strong>di</strong> oggi, non<br />

deve assolutamente pregiu<strong>di</strong>care in alcun modo quelli delle generazioni future;<br />

non deve sconvolgere, come ancor oggi purtroppo avviene, la quasi totalità<br />

dell’ecosistema: bensì deve implicare solidarietà intragenerazionale in senso sia<br />

orizzontale che verticale. Il concetto <strong>di</strong> sviluppo sostenibile intende agire come<br />

punto <strong>di</strong> convergenza, anche se non <strong>di</strong> vero e proprio accordo, tra sezioni <strong>di</strong><br />

società in genere contrapposte nel loro modo <strong>di</strong> pensare l’ambiente e le sue<br />

relazioni interne: lo sviluppo, allora, può e deve <strong>di</strong>ventare un valore purché<br />

appunto sostenibile e con<strong>di</strong>viso da tutti i gruppi sociali coinvolti, in funzione cioè <strong>di</strong><br />

un approccio che fa della con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> valori comuni un dato fondamentale. La<br />

coesione sociale, le strutture relazionali tra gruppi, le questioni <strong>di</strong> identità culturale<br />

giocano un ruolo attivo nella concezione e attuazione <strong>di</strong> comportamenti tesi alla<br />

sostenibilità dell’ambiente: infatti ve<strong>di</strong>amo come nella stessa letteratura scientifica<br />

internazionale si insiste sempre più sul dato che vede la sostenibilità in stretta<br />

<strong>di</strong>pendenza da una consolidata identità <strong>di</strong> luogo e da reti sociali ben ra<strong>di</strong>cate nel<br />

contesto.<br />

7.1 L’esperienza italiana<br />

Per quanto attiene le iniziative italiane specifiche, un riferimento obbligato è<br />

costituito dal Seminario organizzato nel giugno 2001 dal Dipartimento <strong>di</strong><br />

Psicologia dell’Università <strong>di</strong> Cagliari. Oggetto specifico ne è stata la proposta <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scutere e approfon<strong>di</strong>re il rapporto tra gestione ambientale e psicologia<br />

ambientale, con risultati che rivelano la fecon<strong>di</strong>tà degli stu<strong>di</strong> e delle ricerche<br />

condotte anche nel nostro paese, come emerge bene dal testo <strong>di</strong> Nenci “profili<br />

<strong>di</strong> ricerca e intervento psicologico-sociale nella gestione ambientale” che<br />

appunto riporta e approfon<strong>di</strong>sce in forma ampliata gli interventi, le riflessioni, le<br />

proposte e le esperienze presentate e scaturite dai lavori <strong>di</strong> questo Seminario.<br />

Rispetto ai gruppi <strong>di</strong> ricerca, coinvolti nel nostro paese in attività d’indagine nel<br />

campo della psicologia ambientale, sono da segnalare:<br />

- il gruppo <strong>di</strong> ricerca della Università La Sapienza <strong>di</strong> Roma, Facoltà <strong>di</strong><br />

Psicologia e Facoltà <strong>di</strong> Architettura, che si occupa <strong>di</strong> psicologia ambientale<br />

con un taglio sociale;<br />

55


- il gruppo <strong>di</strong> ricerca dell’Istituto <strong>di</strong> Scienze e tecniche della Cognizione del<br />

CNR, dell’Università <strong>di</strong> Cagliari, Facoltà <strong>di</strong> Scienze della Formazione, <strong>di</strong><br />

Ingegneria e Scienze Politiche;<br />

- il gruppo <strong>di</strong> ricerca dell’Università <strong>di</strong> Padova, Facoltà <strong>di</strong> Psicologia, che<br />

segue invece un’impronta più cognitiva, attenta agli effetti dell’ambiente sui<br />

processi cognitivi, attenzione, percezione e memoria.<br />

8. La prospettiva transazionale-contestuale<br />

Nonostante la eterogeneità delle tematiche e delle teorizzazioni riscontrabili nel<br />

campo della psicologia ambientale, è possibile riconoscere come le modalità <strong>di</strong><br />

orientamento, da essa seguite nell’analisi della interconnessione tra processi<br />

psicologici e aspetti fisico-spaziali dell’ambiente, tendano a ricondursi<br />

prevalentemente alla duplice prospettiva teorica interna alla tra<strong>di</strong>zione che<br />

contrad<strong>di</strong>stingue da un lato la psicologia della percezione e dall’altro la psicologia<br />

sociale.<br />

Se da un lato, infatti, le iniziali proposte dei suoi principali esponenti (Craik, 1970;<br />

Proshansky, 1970; Ittelson, 1973; Altman, 1973; Stokols, 1978) sembrano<br />

confermare la scelta a favore del para<strong>di</strong>gma psicologico-sociale rispetto a quello<br />

fisico-percettivo, si può tuttavia riscontrare in seguito una significativa <strong>di</strong>vergenza<br />

tra le loro posizioni teoriche (orientate nella <strong>di</strong>rezione molare della psicologia<br />

sociale) e le parallele modalità <strong>di</strong> operare nel campo a livello <strong>di</strong> ricerca empirica<br />

(più ancorate all’ottica fisico-molecolare, propria della tra<strong>di</strong>zione riconducibile alla<br />

psicologia della percezione).<br />

Se infatti, a confermare la scelta teorica molare, Ittelson (1974, 12) affermano:<br />

“L’ambiente è sperimentato come un campo unitario…. in cui l’uomo vive e<br />

interagisce per perio<strong>di</strong> estesi <strong>di</strong> tempo, che devono essere considerati nel valutare<br />

l’influenza dell’ambiente sul comportamento umano”; mentre Stokols (1978, 254)<br />

precisa: “La psicologia ambientale propone una prospettiva ecologica nello stu<strong>di</strong>o<br />

dell’ambiente e del comportamento…. (dove) l’ambiente è costruito in termini<br />

molari, multi<strong>di</strong>mensionali”, d’altro canto vengono avanzati importanti <strong>di</strong>stinguo,<br />

56


tendenzialmente orientati in senso molecolare. Uno per tutti quello dello stesso<br />

Stokols (Ibidem): “Bisogna tuttavia notare che gran parte della ricerca in questo<br />

campo ha cercato <strong>di</strong> isolare <strong>di</strong>mensioni fisiche (ad esempio, rumore, temperatura,<br />

spazio) dell’ambiente più ampio, al fine <strong>di</strong> stabilire gli effetti specifici <strong>di</strong> questi sul<br />

comportamento”.<br />

Altman (1976), in particolare, rintraccia nella scelta fatta propria dalla psicologia<br />

ambientale, <strong>di</strong> assumere una prospettiva globale-molare una interessante<br />

coincidenza con l’approccio sistemico, traendone fino da allora interessanti spunti<br />

<strong>di</strong> riflessione.<br />

Con l’andare degli anni si è dunque affermata e rafforzata, da parte dei vari autori,<br />

l’esigenza per la psicologia ambientale <strong>di</strong> assumere una posizione teorica in grado<br />

<strong>di</strong> coniugare le sue due istanze teoriche fondamentali: l’intento olistico e la<br />

prospettiva psicosociale. Tale approccio, che bene coniuga entrambe le esigenze,<br />

viene definito a volte transazionale (Stokols, 1987; Ittelson, 1973b), altre volte<br />

ecologica e sociosistemica (Altman, 1973; Ittelson et al., 1974), ovvero<br />

transazionale contestuale (Altman, 1987).<br />

Questa nuova prospettiva mira innanzitutto a svincolare il rapporto persona-<br />

ambiente da un esame sia eccessivamente “oggettivista” (ambientalista-<br />

fisicalista), sia eccessivamente “soggettivista” (eccessivamente centrato<br />

sull’in<strong>di</strong>viduo e sui suoi specifici fenomeni psicologici). Essa tende<br />

fondamentalmente a ricomporre la <strong>di</strong>cotomia tra persona e ambiente, percepiti<br />

quali aspetti inter<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> una medesima realtà, tuttavia le singole motivazioni<br />

a tale adesione, da parte dei vari autori, si <strong>di</strong>fferenziano non poco. Alcuni autori<br />

pongono l’accento sulla reciprocità <strong>di</strong> influenza dei due termini e parallelamente<br />

sul carattere attivo, intenzionale, pianificato del comportamento-azione dell’uomo<br />

nell’ambiente (Holahan, 1978; Moore e Golledge, 1975). Diversamente altri autori<br />

tendono ad evidenziare dell’approccio transazionale la prospettiva olistica e<br />

sistemica, soffermandosi sulla centralità che gli aspetti del cambiamento<br />

assumono nella definizione dei fenomeni stessi, rispetto agli aspetti <strong>di</strong> stabilità.<br />

L’unità <strong>di</strong> analisi oltrepassa i singoli elementi del rapporto per stabilirsi nella<br />

relazione stessa fra persona e ambiente concepiti come entità inscin<strong>di</strong>bilmente<br />

connesse l’una all’altra.(Altman, 1973). In questo caso dunque si afferma non<br />

soltanto il carattere interattivo del rapporto tra persona e ambiente ma viene<br />

57


assunta quale oggetto d’esame la relazione stessa esistente tra i due elementi,<br />

considerati un’unica realtà.<br />

In particolare Stokols e Altman (1978) sottolineano come la stessa definizione <strong>di</strong><br />

transazionale-contestuale miri a rimarcare l’attenzione specifica per le<br />

caratteristiche del “contesto”, nel quale i fenomeni psicologici considerati<br />

avvengono. Moore e Golledge (1975,14) affermano che “il comportamento può<br />

essere pienamente compreso solo nel contesto della situazione totale organismo-<br />

nell’ambiente e come funzione della particolare transazione che ha luogo tra i<br />

due”.<br />

L’inversione <strong>di</strong> tendenza in senso situazionista della psicologia ambientale viene<br />

inoltre a coincidere con quella che Little (1987) definisce come la “rivoluzione<br />

contestuale” avvenuta all’interno della psicologia in generale e in particolare<br />

nell’ambito della psicologia della personalità, negli ultimi trent’anni. Si collocano ad<br />

esempio in questo contesto le nuove teorie della personalità quali la psicologia<br />

dell’ego (Hartmann, 1958) la teoria <strong>di</strong> Kelly (1955) sui costrutti personali.<br />

Va peraltro sottolineato come le istanze “contestualiste” tendano a coincidere con<br />

alcune specifiche esigenze da sempre presenti nell’ambito della psicologia<br />

sociale: olismo, ricerca <strong>di</strong> spiegazione dei fenomeni psicologici al <strong>di</strong> fuori dell’ottica<br />

esclusivamente intrapsichica, collegamento con i fattori <strong>di</strong> contesto in senso socio-<br />

culturale, storico e fisico-geografico (Manicas e Secord, 1983; Moscovici, 1984b).<br />

9. La Psicologia Sistemica<br />

La Psicologia Sistemica si sviluppa quale <strong>di</strong>stinto in<strong>di</strong>rizzo psicologico negli Anni<br />

Cinquanta, a Palo Alto in California.<br />

Di sostanziale rilievo è la figura <strong>di</strong> Gregory Bateson intorno al quale dal 1952 viene<br />

a raccogliersi, quello che successivamente viene definito il Gruppo <strong>di</strong> Palo Alto.<br />

(G. Bateson, P. Watzlawick, E. Goffman, E. Hall, J. H. Beavin, D. D. Jackson).<br />

La psicologia sistemica trae origine dalla Teoria generale dei Sistemi, elaborata tra<br />

il 1940 e il 1950 da un gruppo <strong>di</strong> ricercatori al cui interno si <strong>di</strong>stinguono<br />

matematici, fisici ed ingegneri. La Teoria generale dei Sistemi si articola a partire<br />

dal costrutto <strong>di</strong> sistema. Il sistema è un’unità intera ed unica consistente <strong>di</strong> parti tra<br />

58


loro interrelate e qualsiasi cambiamento in una <strong>di</strong> queste influenza la globalità del<br />

sistema stesso.<br />

La Teoria Generale dei Sistemi indaga le regole strutturali e funzionali riferibili alla<br />

descrizione <strong>di</strong> ogni sistema, in<strong>di</strong>pendentemente dalla sua composizione. Essa<br />

propone una traccia teorica <strong>di</strong> riferimento adeguata a sostenere la comprensione<br />

delle leggi che regolano i sistemi viventi. Sostenendo l’illegittimità <strong>di</strong> una<br />

conoscenza che vorrebbe ridurre un tutto alla somma delle sue parti, questa<br />

prospettiva risponde dunque alla necessità <strong>di</strong> un approccio nuovo in grado <strong>di</strong><br />

avanzare una visione globale <strong>di</strong> tale complessa realtà, all’interno della quale<br />

trovano considerazione non i singoli elementi unicamente, ma l’insieme delle<br />

interrelazioni tra gli elementi stessi e i loro attributi.<br />

La Teoria Generale dei Sistemi viene a definirsi come scienza della complessità,<br />

cioè dei sistemi complessi. Le concezioni sistemiche riformano profondamente il<br />

pensiero scientifico occidentale, mettendo in <strong>di</strong>scussione la possibilità <strong>di</strong><br />

comprendere i sistemi per mezzo dell’analisi scompositiva e rimarcando invece<br />

come le proprietà delle parti possano essere decifrate solo esaminando quelle del<br />

sistema.<br />

Tale modello concettuale è stato traslato in <strong>di</strong>versi ambiti <strong>di</strong>sciplinari quali le<br />

scienze economiche, le scienze sociali, le scienze psicologiche. La teorizzazione<br />

<strong>di</strong> Bateson rappresenta un’estensione della concettualizzazione sistemica in<br />

campo psicologico.<br />

La <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong> Palo Alto convoglia la propria attenzione sui <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> linguaggio<br />

e sulla modalità <strong>di</strong> comunicazione che avviene all'interno del sistema-famiglia.<br />

L’attenzione converge sul sistema familiare inteso come totalità piuttosto che<br />

considerare la famiglia nei soli termini <strong>di</strong> agglomerato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui.<br />

L’in<strong>di</strong>viduo e il gruppo sociale sono concepiti in relazione reciproca, la famiglia<br />

viene intesa come sistema in cui i processi <strong>di</strong> organizzazione e <strong>di</strong>fferenziazione<br />

avvengono attraverso mo<strong>di</strong>ficazioni delle relazioni tra i membri componenti il<br />

sistema stesso.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o delle modalità delle relazioni interpersonali è quin<strong>di</strong> lo strumento per<br />

in<strong>di</strong>viduare le regole <strong>di</strong> questo o <strong>di</strong> altri sistemi umani (teoria relazionale).<br />

L’attenzione è rivolta al comportamento interattivo, alla struttura, all’equilibrio, alla<br />

stabilità e al mutamento del sistema famiglia come insieme.<br />

59


La psicologia sistemica ritiene <strong>di</strong> poter indagare il mondo psichico a partire dal<br />

sistema della comunicazione regolato dalle leggi:<br />

- della totalità, per cui il mutamento <strong>di</strong> una parte genera il mutamento del tutto;<br />

- della retroazione, che prevede l'abbandono del concetto <strong>di</strong> causalità lineare per<br />

quello <strong>di</strong> circolarità in base al quale ogni punto del sistema influenza ed è<br />

influenzato da ogni altro;<br />

- dell'equifinalità, per cui ogni sistema è la miglior spiegazione <strong>di</strong> se stesso,<br />

perché i parametri del sistema prevalgono sulle con<strong>di</strong>zioni da cui il sistema<br />

stesso ha tratto origine.<br />

Il Gruppo <strong>di</strong> Palo Alto ha stu<strong>di</strong>ato <strong>di</strong>ffusamente ed approfon<strong>di</strong>tamente la<br />

comunicazione, arrivando a formulare cinque assiomi che costituiscono le linee<br />

guida della sua indagine e consentono <strong>di</strong> inquadrare il fenomeno comunicativo in<br />

una prospettiva assolutamente nuova e stimolante.<br />

I cinque assiomi della comunicazione formulati dalla <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong> Palo Alto possono<br />

essere descritti come segue:<br />

1. è impossibile non comunicare;<br />

2. ogni comunicazione ha un aspetto <strong>di</strong> contenuto e uno <strong>di</strong> relazione;<br />

3. il flusso comunicativo viene interpretato secondo una punteggiatura degli<br />

eventi;<br />

4. esistono linguaggi numerici ed analogici;<br />

5. la comunicazione può svilupparsi secondo modelli <strong>di</strong> tipo simmetrico o<br />

complementare.<br />

Il primo assioma evidenzia come, in qualsiasi contesto, sia assolutamente<br />

impossibile sottrarsi al flusso comunicativo. Assunto che il comportamento in<br />

ciascuna situazione <strong>di</strong> interazione ha valore <strong>di</strong> messaggio, vale a <strong>di</strong>re è<br />

comunicazione, ne consegue l’impossibilità <strong>di</strong> sottrarsi alla comunicazione.<br />

Il secondo assioma sottolinea come ogni comunicazione ha in sé un aspetto <strong>di</strong><br />

contenuto che si riferisce all’informazione oggettiva, e al contempo un aspetto<br />

relazionale che coincide con l’interpretazione della relazione. Questo significa che<br />

l’atto comunicativo veicola altresì informazioni relative all’atteggiamento con cui<br />

veniamo a rapportarci all’altro e al come percepiamo e consideriamo<br />

60


l’interlocutore. Tendenzialmente nelle relazioni <strong>di</strong>sturbate prevalgono gli aspetti<br />

relazionali, sovente <strong>di</strong> natura svalutativa e aggressiva, su quelli <strong>di</strong> contenuto. Nel<br />

contesto <strong>di</strong> tali comunicazioni il contenuto espresso risulta il pretesto per riba<strong>di</strong>re<br />

come percepiamo e giu<strong>di</strong>chiamo l’interlocutore. In generale le componenti verbali<br />

esprimono principalmente il contenuto e le componenti non verbali si riferiscono<br />

tendenzialmente all’aspetto <strong>di</strong> relazione.<br />

Il terzo assioma evidenzia la tendenza a descrivere e a raccontare una sequenza<br />

comunicativa seguendo una logica <strong>di</strong> causalità lineare che porta a semplificare e<br />

ridurre l’atto comunicativo allontanando dalla complessità reale dell’interazione.<br />

Il quarto assioma <strong>di</strong>stingue tra linguaggi analogici, più intuitivi e primitivi, e<br />

linguaggi numerici, più evoluti, astratti e convenzionali. Nel linguaggio analogico si<br />

ha un rapporto <strong>di</strong> somiglianza tra il significato ed il significante dove il secondo<br />

mantiene con il primo un rapporto non arbitrario. Il significante è cioè ancora<br />

connesso al significato da una analogia, da una similitu<strong>di</strong>ne, da una omofonia. I<br />

linguaggi, nel procedere della cultura, subiscono un processo <strong>di</strong> astrazione, si<br />

fanno progressivamente convenzionali e dunque ne risulta una sempre maggior<br />

arbitrarietà tra significato e significante.<br />

Nel quinto assioma si descrivono le <strong>di</strong>fferenze tra le relazioni <strong>di</strong> tipo simmetrico e<br />

quelle <strong>di</strong> tipo complementare. Nell’interazione complementare o simmetrica, le<br />

relazioni sono basate sull’uguaglianza o sulla <strong>di</strong>fferenza. Le prime si sviluppano su<br />

posizioni paritarie e, in esse, nessuno dei due protagonisti accetta un ruolo<br />

subalterno. Nelle seconde invece uno dei due soggetti è portato a riconoscere la<br />

leadership dell’altro. Le prime tendono ad essere molto vive ma eccessivamente<br />

conflittuali; le seconde non sono conflittuali ma possono risultare monotone.<br />

La psicologia sistemica trova il suo principale campo <strong>di</strong> applicazione nella terapia<br />

delle schizofrenie. Il problema psichiatrico viene letto come espressione <strong>di</strong> un<br />

<strong>di</strong>sagio nelle relazioni tra i membri dell’intera famiglia in<strong>di</strong>rizzando così verso una<br />

riconcettualizzazione dell’intervento terapeutico.<br />

La terapia non può più <strong>di</strong>rsi concentrata sulle percezioni, emozioni e ideazioni del<br />

singolo ma viene a focalizzarsi sulla struttura e gli schemi <strong>di</strong> relazione dei membri<br />

del gruppo familiare.<br />

61


Il Pensiero Sistemico esprime una concezione olistica, attenta al significato del<br />

contesto e del processo. Pensare in modo sistemico significa comprendere un<br />

fenomeno inserendolo nel quadro <strong>di</strong> un insieme più vasto.<br />

Non potendo la relazione essere definita in maniera unilaterale, i partecipanti<br />

all’interazione contribuiscono in eguale modo allo schema <strong>di</strong> autorappresentazione<br />

della famiglia dunque alla definizione delle relazioni interpersonali.<br />

La sofferenza del singolo può essere pertanto considerata come espressione della<br />

<strong>di</strong>sfunzionalità dell’intero sistema sia nelle sue relazioni interne che con l’ambiente<br />

esterno.<br />

L’intervento terapeutico impiega tecniche relazionali per ottenere un cambiamento<br />

sistemico. L'incontro tra il sistema-famiglia o il sistema-in<strong>di</strong>viduo ed il sistema-<br />

terapeuta, crea un’area <strong>di</strong> contatto all’interno della quale il terapeuta introduce<br />

informazioni e prescrizioni che vanno a mo<strong>di</strong>ficare il sistema dell'in<strong>di</strong>viduo o della<br />

famiglia.<br />

L’apporto della <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong> Palo Alto si estende in questo modo al <strong>di</strong>battito in campo<br />

psichiatrico, andando ad influenzare il lavoro <strong>di</strong> psichiatri quali Ronald D. Laing.<br />

Diversi autori inquadrano Bateson nel movimento anti-psichiatria per aver fornito<br />

un modello e una nuova epistemologia orientata ad una rinnovata comprensione<br />

del <strong>di</strong>sturbo mentale. La <strong>Scuola</strong> <strong>di</strong> Palo Alto trasferisce l’interesse psichiatrico<br />

verso i processi e i pattern piuttosto che in <strong>di</strong>rezione dei contenuti.<br />

Dalle ricerche svolte dal Gruppo <strong>di</strong> Palo Alto, a partire dai primi Anni Cinquanta<br />

emergono teorizzazioni importanti da cui prende avvio la definizione <strong>di</strong> una<br />

pragmatica della comunicazione umana e da cui si sviluppano coerenti modelli<br />

psicoterapeutici centrati principalmente sul gruppo familiare.<br />

La psicologia sistemica è venuta infatti a rappresentare il modello epistemologico<br />

<strong>di</strong> riferimento per quella categoria <strong>di</strong> terapisti per i quali, lavorando col gruppo<br />

familiare non è possibile rivolgersi ai modelli <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong> osservazione<br />

elaborati dallo stu<strong>di</strong>o del singolo in<strong>di</strong>viduo.<br />

Nell’ ambito della terapia familiare Bateson rappresenta senza dubbio un grande<br />

motivo <strong>di</strong> influenza. Alla sua figura si ispirano varie scuole <strong>di</strong> terapia familiare, tra<br />

cui l’istituto <strong>di</strong> Milano fondato da M. Selvini Palazzoli.<br />

Successivamente, negli Anni Settanta, Bateson amplia le sue ricerche alla<br />

comunicazione animale, ai temi dell’ecologia e del sacro per giungere a delineare<br />

62


la trama <strong>di</strong> una complessa proposta epistemologica volta a ripensare la natura del<br />

vivente in una prospettiva unitaria e sistemica allo stesso tempo.<br />

9.1. L’epistemologia <strong>di</strong> Bateson<br />

Fondamentale relativamente alla figura <strong>di</strong> Bateson è la teorizzazione del<br />

concetto <strong>di</strong> ecologia della mente (1972, 1979), un sistema interconnesso che<br />

lega insieme il mondo vivente in relazione ad alcuni principi comuni ad ogni<br />

mente. Le teorizzazioni <strong>di</strong> Bateson, interpretando il senso della ricerca <strong>di</strong> una<br />

connessione profonda nel mondo vivente, costituiscono l’osservazione <strong>di</strong> una<br />

articolata trama <strong>di</strong> strutture che assegnano significato all’esperienza dei<br />

soggetti. La vita si delinea come un complesso <strong>di</strong> reti tra loro intrecciate.<br />

Ciascuna creatura corrisponde ad un sistema organizzato in forma reticolare<br />

che si sviluppa secondo le <strong>di</strong>rezioni complesse della co-evoluzione. In questa<br />

prospettiva la teorizzazione batesoniana colloca l’esistenza umana non più nel<br />

segno della separatezza ma considera invece l’uomo quale elemento della<br />

natura, inserito nell’intreccio <strong>di</strong> una fitta trama <strong>di</strong> processi e corrispondenze che<br />

lo accomuna agli altri esseri biologici e lo rende partecipe <strong>di</strong> una mente <strong>di</strong>ffusa<br />

che sfonda i confini dell’io in<strong>di</strong>viduale. In questo modo Bateson si oppone al<br />

dualismo sostenuto dalla tra<strong>di</strong>zione cartesiana. Bateson contesta dunque<br />

l’in<strong>di</strong>scutibilità del sapere oggettivo riven<strong>di</strong>cata dalla scienza post-cartesiana,<br />

che vede l’uomo quale soggetto <strong>di</strong> fronte ad un mondo oggettivato, rivelato<br />

dallo sguardo matematico; al contrario, il sapere corrisponde a un sistema<br />

esaminabile solo per mezzo <strong>di</strong> uno sguardo olistico, che riservi attenzione al<br />

tutto (olos) e alle relazioni piuttosto che alle semplici successioni <strong>di</strong> causa-<br />

effetto. La concentrazione dello scienziato si trasla dagli eventi alle relazioni,<br />

inseguendo la “struttura che connette” tutti gli esseri viventi; il concetto <strong>di</strong><br />

relazione si pone così a fondamento <strong>di</strong> ogni definizione andando a or<strong>di</strong>nare e<br />

conferire significato all’intero mondo vivente – in sintesi ad ogni forma<br />

biologica. La teorizzazione <strong>di</strong> Bateson che rappresenta una riflessione<br />

orientata ai presupposti epistemologici che organizzano la conoscenza<br />

dell’essere umano, muove dal principio <strong>di</strong> olismo intrinseco alla natura, ossia la<br />

capacità <strong>di</strong> generare totalità complesse che mostrano proprietà non possedute<br />

dalle parti considerate singolarmente. L’interazione tra il soggetto e la realtà<br />

63


impe<strong>di</strong>sce l’osservazione neutrale dei fenomeni naturali. Si <strong>di</strong>mostra<br />

impossibile per l’uomo un atteggiamento <strong>di</strong> obbiettività e <strong>di</strong>stacco rispetto al<br />

mondo circostante. L’osservatore viene a trovarsi incluso nel sistema<br />

osservato, l’atto <strong>di</strong> osservare porta ad una mo<strong>di</strong>ficazione dell’evento<br />

considerato e apporta altresì un cambiamento nello stesso osservatore.<br />

64


CAPITOLO TERZO<br />

DAL PARADIGMA DISGIUNTIVO<br />

AL PARADIGMA RELAZIONALE<br />

65


1. L’ecopsicologia: nascita, pensiero, fondamenti e finalità<br />

Gli assunti della psicologia ambientale hanno innegabilmente favorito il plasmarsi<br />

dell’ecopsicologia.<br />

Ma sebbene l’ecopsicologia affon<strong>di</strong> profonde ra<strong>di</strong>ci nella psicologia ambientale è<br />

indubitabile che questa, una volta afferrato il testimone, abbia assunto una<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong>vergente che sorpassa gli stessi principi adottati dalla psicologia<br />

ambientale.<br />

Il terreno d’indagine dell’ecopsicologia è venuto espandendosi rispetto a quello<br />

fatto proprio dalla psicologia ambientale.<br />

Adottando la definizione <strong>di</strong> Davis (1999) possiamo così riassumere gli elementi<br />

focali propri della psicologia ambientale: lo stu<strong>di</strong>o della percezione ambientale,<br />

l’esame degli effetti che l’ambiente produce sul comportamento umano e gli effetti<br />

del comportamento umano sull’ambiente stesso.<br />

Rispetto dunque a quello che è l’ambito specifico d’interesse della psicologia<br />

ambientale, l’ecopsicologia si spinge assolutamente oltre.<br />

Il genere umano è inevitabilmente parte del più esteso mondo della natura afferma<br />

Hillman e “come potrebbe essere <strong>di</strong>versamente, dal momento che il soggetto<br />

umano è composto della stessa natura del mondo? Eppure, la pratica psicologica<br />

tende a bypassare, a trascurare, le conseguenze <strong>di</strong> questi fatti” (1999, p. 47).<br />

La psiche umana risulta in<strong>di</strong>ssolubilmente allacciata al mondo della natura.<br />

Il confine tra sé e mondo naturale, sostiene Hillman, risulta del tutto arbitrario.<br />

Possiamo tracciarlo “a livello della pelle, oppure possiamo portarlo lontano quanto<br />

si vuole – agli oceani profon<strong>di</strong> o alle remote stelle” (1999, p. 48).<br />

Dunque, “se la psicologia è lo stu<strong>di</strong>o del soggetto, e se i limiti <strong>di</strong> questo soggetto<br />

non possono essere definiti, allora, che lo voglia oppure no, la psicologia si fonde<br />

con l’ecologia” (1999, p. 49).<br />

Il termine “ecopsicologia” è stato impiegato per la prima volta dallo storico della<br />

cultura T. Roszak (1992) per definire un nuovo ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o che integra per<br />

l’appunto l’ecologia e la psicologia.<br />

L’ecopsicologia nasce a Barkeley, in California nel 1989 e rappresenta il frutto<br />

delle ricerche e delle riflessioni <strong>di</strong> Elan Shapiro, Alan Kanner, Mary Gomes e<br />

66


Robert Greenway. Si tratta <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> accademici che si incontra<br />

perio<strong>di</strong>camente per <strong>di</strong>scutere del contributo che la psicologia può offrire alla<br />

comprensione dell’attuale crisi ecologica.<br />

Successivamente prende parte al gruppo Theodore Roszak.<br />

Nel 1992 viene pubblicato “The Voice of the Earth”, <strong>di</strong> Theodore Roszak che<br />

rappresenta il primo testo <strong>di</strong> riferimento dell’ecopsicologia e contribuisce a<br />

delinearne il tracciato essenziale.<br />

L’ecopsicologia indaga il rapporto uomo-natura, traslando la psicologia in un<br />

contesto ecologico.<br />

Il pensiero ecopsicologico svela le profonde connessioni esistenti tra l’essere<br />

umano e l’ambiente <strong>di</strong> cui è parte arrivando a ridefinire in chiave ecologica il<br />

concetto <strong>di</strong> salute mentale.<br />

Gli ecopsicologi accostano la relazione tra l’uomo e il proprio ambiente alla<br />

relazione che intercorre tra un soggetto e la propria famiglia.<br />

“La ‘brutta’ situazione ‘in’ cui mi trovo - <strong>di</strong>ce Hillman - forse non riguarda soltanto<br />

un umore depresso o uno stato mentale ansioso; forse ha a che fare con il<br />

grattacelo per uffici, chiusi ermeticamente, nel quale lavoro, con il quartiere-<br />

dormitorio nel quale abito, o con la superstrada sempre intasata sulla quale vado e<br />

torno fra i due luoghi” (1999, p. 49).<br />

L’intento dell’ecopsicologia coincide con il riconoscimento <strong>di</strong> quella reciprocità che,<br />

a fondamento <strong>di</strong> ogni rapporto, viene a <strong>di</strong>stinguere e a caratterizzare anche la<br />

relazione dell’essere umano con l’ambiente a cui appartiene.<br />

“Non possiamo restaurare la nostra salute e il nostro benessere se non<br />

restauriamo la salute del pianeta” afferma T. Roszak (Danon, 1996) e “Non<br />

possiamo essere stu<strong>di</strong>ati separatamente dal nostro pianeta” aggiunge M. Danon<br />

(1996).<br />

La vita dell’uomo è in<strong>di</strong>ssolubilmente legata alla vita della Terra e i bisogni del<br />

pianeta e i bisogni dell’essere umano sono inter<strong>di</strong>pendenti e interconnessi.<br />

L’ecopsicologia esplora le ra<strong>di</strong>ci e il significato <strong>di</strong> questa profonda connessione<br />

insistendo sull’impossibilità <strong>di</strong> separare l’in<strong>di</strong>viduo dal contesto <strong>di</strong> cui è parte.<br />

L’esistenza umana è inestricabilmente inserita in un vasto complesso <strong>di</strong> relazioni<br />

da cui non è possibile prescindere.<br />

Alla base del pensiero ecopsicologico è da rintracciare una decisa opposizione al<br />

dualismo che scinde ed estrania il genere umano dalla natura.<br />

67


In ambito terapeutico la tendenza è ad affrontare il <strong>di</strong>sagio sociale e in<strong>di</strong>viduale<br />

riallacciandolo al quadro ambientale in cui si vive.<br />

La volontà dell’ecopsicologia è quella d’intervenire per correggere il rapporto<br />

insano che l’essere umano ha instaurato con l’ambiente naturale.<br />

Gli ecopsicologi riconoscono nel malessere e nella sofferenza dell’uomo civile<br />

moderno gli effetti del profondo <strong>di</strong>stacco dal mondo naturale che caratterizza le<br />

nostre esistenze e rappresenta in realtà un allontanamento dal nostro essere più<br />

autentico.<br />

L’ecopsicologia considera i luoghi <strong>di</strong> natura <strong>di</strong> fondamentale importanza per<br />

l’equilibrio fisico e psicologico dell’in<strong>di</strong>viduo, <strong>di</strong>stinguendo gli effetti benefici che<br />

derivano da un contatto <strong>di</strong>retto con il mondo naturale.<br />

La natura è un essere vivente <strong>di</strong> cui siamo parte integrante e sicuramente non un<br />

ammasso <strong>di</strong> risorse da saccheggiare. Promuovendo un nuovo atteggiamento <strong>di</strong><br />

rispetto nei confronti dell’ambiente naturale l’ecopsicologia assume principalmente<br />

i caratteri <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso educativo. In questa prospettiva costituisce un valido<br />

appoggio ai movimenti per la <strong>di</strong>fesa dell’ambiente proponendosi <strong>di</strong> portare avanti<br />

la causa ambientalista rinunciando al catastrofismo e puntando invece sul<br />

coinvolgimento attivo e sulla responsabilità personale.<br />

L’ecopsicologia reclama dunque una sostanziale revisione della psicologia<br />

tra<strong>di</strong>zionale, in relazione al contesto della crisi ecologica.<br />

Nel 1993 si tiene la prima conferenza <strong>di</strong> ecopsicologia all’Esalen Institute in<br />

California a cui ne segue una seconda nel 1994.<br />

Si tratta <strong>di</strong> due eventi significativi che consentono <strong>di</strong> mettere in comunicazione tra<br />

loro gli stu<strong>di</strong>osi che si riconoscono in questo nuovo orientamento così da<br />

raccogliere i numerosi contributi che iniziano a svilupparsi.<br />

In conseguenza <strong>di</strong> questi due incontri viene fondato l’Ecopsychology Institute<br />

presso la California State University. L’intento dell’Istituto è quello <strong>di</strong> facilitare il<br />

<strong>di</strong>alogo internazionale tra psicologi e ambientalisti così che il lavoro <strong>di</strong> entrambe le<br />

parti possa incontrarsi e fondersi.<br />

Nello stesso periodo sorge un altro Istituto <strong>di</strong> <strong>Ecopsicologia</strong> sulla costa est degli<br />

Stati Uniti <strong>di</strong>retto da Sarah Conn.<br />

68


Diversi libri iniziano a venire pubblicati e tra questi sicuramente <strong>di</strong> rilievo è<br />

l’antologia prodotta da Roszak, Gomes, Kanner che raccoglie gli interventi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi ecopsicologi e rappresenta il testo definitivo dell’ecopsicologia.<br />

Sebbene l’ecopsicologia occupi una posizione <strong>di</strong> marginalità rispetto all’ambito<br />

tra<strong>di</strong>zionale della psicologia, in ragione del carattere ra<strong>di</strong>cale delle assunzioni<br />

concettuali avanzate, è pur vero che le stesse questioni da essa poste iniziano a<br />

venire assunte nel lavoro <strong>di</strong> vari psicologi. Tuttavia soltanto spora<strong>di</strong>camente<br />

compare il riferimento all’ecopsicologia in quegli articoli scientifici relativi ai vari<br />

ambiti <strong>di</strong> ricerca che intendono esaminare la psiche all’interno del contesto della<br />

crisi ecologica indotta dal genere umano (Reser, 1995).<br />

2. Ecologia e visione sistemica<br />

“L’ecologia cambia i nostri valori cambiando la nostra concezione del mondo e <strong>di</strong><br />

noi stessi rispetto al mondo” (Callicott, 1982, p. 174).<br />

L’ecopsicologia promuove una visione unitaria della vita coerentemente con il<br />

cambiamento <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma in atto in campo epistemologico e scientifico.<br />

Il pensiero ecopsicologico assume l’ecologia come scienza <strong>di</strong> riferimento dando<br />

rilievo alle implicazioni metafisiche <strong>di</strong> cui è denso il suo <strong>di</strong>scorso.<br />

L’ecologia (dal greco oikos, <strong>di</strong>mora) nasce nel <strong>di</strong>ciannovesimo secolo dagli stu<strong>di</strong><br />

dei biologi organicisti sulle comunità <strong>di</strong> organismi. Essa stu<strong>di</strong>a le relazioni che<br />

connettono fra loro gli abitanti della Terra. Fu il biologo Ernest Haekel a coniare<br />

nel 1986 il termine appunto <strong>di</strong> “ecologia”, definendola come la scienza delle<br />

relazioni tra l’organismo ed il mondo esterno circostante.<br />

La scienza ecologica incrina profondamente l’immagine dell’essere umano e della<br />

natura, nutrita dalla cultura occidentale introducendo una visione sistemica e<br />

olistica della realtà. La nuova immagine del mondo che viene delineandosi a<br />

69


partire dai più recenti sviluppi della ricerca è quella <strong>di</strong> un’ecosfera in cui ogni forma<br />

<strong>di</strong> vita è strettamente interconnessa.<br />

La natura è un enorme essere vivente <strong>di</strong> cui l’uomo è parte integrante. In questa<br />

<strong>di</strong>rezione si muove l’ipotesi Gaia <strong>di</strong> Lovelock (1979) che afferma il processo <strong>di</strong><br />

reciproca interazione che unisce mondo biotico e mondo abiotico. Gli organismi<br />

viventi non si limiterebbero ad adattarsi ad un ambiente che si autoregola<br />

seguendo leggi proprie ma parteciperebbero attivamente alla sua organizzazione.<br />

In sostanza la terra è un organismo vivo, in grado <strong>di</strong> autoregolarsi secondo il<br />

principio dell’omeostasi e al suo funzionamento parteciperebbero gli stessi<br />

organismi viventi. La scienza ecologica definisce la comunità ecologica come<br />

unione <strong>di</strong> organismi legati in un tutto funzionale dalle loro relazioni reciproche.<br />

Comprendere la struttura relazionale della realtà significa considerare la propria<br />

esistenza intrinsecamente interconnessa a quella degli altri esseri viventi. Esistere<br />

significa entrare a far parte <strong>di</strong> un tessuto <strong>di</strong> relazioni. L’interrelazione non va però<br />

intesa come legame causale perché i vari elementi sono tra loro legati da<br />

molteplici relazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferente natura. Il para<strong>di</strong>gma meccanicistico descrive la<br />

realtà fenomenica come un insieme <strong>di</strong> rapporti lineari tra cause ed effetti<br />

<strong>di</strong>stinguendo nettamente le prime dai secon<strong>di</strong>. In una prospettiva sistemica invece<br />

viene a cadere questa <strong>di</strong>stinzione rigida tra variabili <strong>di</strong>pendenti e variabili<br />

in<strong>di</strong>pendenti. Il principio <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza sostiene che ogni rapporto <strong>di</strong> influenza<br />

è sempre reciproco.<br />

La classica logica lineare si <strong>di</strong>mostra pertanto inadeguata a spiegare la realtà la<br />

cui complessità può essere dunque afferrata soltanto adottando un approccio<br />

sistemico. Il principio della interrelazione fa così cadere l’idea correntemente<br />

ra<strong>di</strong>cata <strong>di</strong> un uomo separato dalla natura, ad essa superiore ed autorizzato ad<br />

esercitarne il dominio e il controllo. L’uomo è parte <strong>di</strong> quel tutto organico che è<br />

l’universo.<br />

“La questione ecologica è anzitutto problema <strong>di</strong> sistema, rivela cioè<br />

l’inter<strong>di</strong>pendenza planetaria, spostando così i confini della coscienza e dell’azione<br />

umana. Siamo alla fine della causalità lineare, della spiegazione monocausale,<br />

della ‘determinazione in ultima istanza’. Siamo parte <strong>di</strong> sistemi in cui la circolarità<br />

delle cause richiede una ristrutturazione dei nostri modelli cognitivi e delle nostre<br />

aspettative verso la realtà” (Melucci, in Widmann, 1997, p. 50-51).<br />

70


2.1. L’approccio sistemico multi<strong>di</strong>sciplinare<br />

“Tutte le cose vicine o lontane segretamente sono legate le une alle altre e non<br />

si può toccare un fiore senza <strong>di</strong>sturbare una stella” (Thompson, 2006).<br />

A incoraggiare la transizione dal modello gnoseologico ed epistemologico<br />

frammentario su cui si fonda la scienza moderna verso il nuovo para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong><br />

tipo sistemico e relazionale contribuisce insieme all’ecologia anche la fisica<br />

quantistica. La fisica degli ultimi secoli basata sulle teorie <strong>di</strong> Newton<br />

rappresenta l’universo come un’enorme macchina in cui gli acca<strong>di</strong>menti sono<br />

preve<strong>di</strong>bili secondo leggi lineari <strong>di</strong> causa-effetto.<br />

Negli anni recenti, la meccanica quantistica e il lavoro <strong>di</strong> Einstein hanno<br />

rivoluzionato la concezione convenzionale della realtà. L’opera <strong>di</strong> Einstein<br />

<strong>di</strong>mostra che la materia solida consiste in uno spazio vuoto attraversato da un<br />

flusso <strong>di</strong> energia. “Il pensare all’ecosfera come ad un campo <strong>di</strong> energia dove i<br />

singoli organismi sono no<strong>di</strong> <strong>di</strong> una rete <strong>di</strong> strutture in movimento esercita un<br />

potere eversivo rispetto al para<strong>di</strong>gma meccanicistico che poggia su una visione<br />

atomistica e <strong>di</strong>sgiuntiva delle cose” (Mortari, 1998, p. 43 ).<br />

La fisica quantistica ha provato che l’atto stesso <strong>di</strong> osservare con<strong>di</strong>ziona i<br />

risultati, ovvero la coscienza dell’osservatore influenza l’osservazione.<br />

Osservatore e oggetto osservato sono implicati in un’intricata rete <strong>di</strong> relazioni<br />

che non rende possibile <strong>di</strong>fferenziarli in due entità separate: l’immagine del<br />

mondo esterno non può essere considerata qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinto dalla struttura<br />

cognitiva umana che la percepisce. La ricerca afferma quin<strong>di</strong> l’inscin<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong><br />

soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto.<br />

In sintesi la materia basilare dell’universo si presenta come una specie<br />

d’energia pura plasmata dalle intenzioni e dalle aspettative <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo.<br />

Entrambe, l’ecologia e la fisica, forniscono quin<strong>di</strong> una rappresentazione<br />

interconnessa della realtà.<br />

Si struttura una nuova capacità <strong>di</strong> pensiero, un significativo cambio <strong>di</strong><br />

para<strong>di</strong>gma, una conversione epistemologica nel segno della complessità e<br />

dell’attenzione sistemica.<br />

71


Il pensiero analitico cartesiano ed il meccanicismo <strong>di</strong> Newton vengono scalzati<br />

dall’idea del mondo come insieme integrato, quale campo <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong><br />

connessioni, relazioni, contesti e trame semantiche.<br />

L’approccio sistemico è andato <strong>di</strong>ffondendosi in tutte le <strong>di</strong>scipline dalla biologia<br />

alla psicologia, dalla sociologia all’economia.<br />

Il para<strong>di</strong>gma relazionale generatosi nella comunità scientifica dei biologi<br />

organicisti e dei fisici quantistici, va dunque espandendosi con esiti <strong>di</strong> notevole<br />

valore nelle varie materie scientifiche e con approcci strutturati nell’area<br />

umanistica.<br />

La visione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fferente realtà non più univoca, ma intrecciata da fili<br />

multicolore, comporta un mutamento <strong>di</strong> prospettiva nella ricerca delle singole<br />

<strong>di</strong>scipline scientifiche ed umanistiche, con consapevolezza e risultati anche<br />

molto <strong>di</strong>ssimili fra loro.<br />

3. Il principio <strong>di</strong> auto-eco-realizzazione<br />

Seguendo il pensiero ecopsicologico, partendo dall’assunto che la vita <strong>di</strong> ciascun<br />

in<strong>di</strong>viduo è intimamente connessa a quella degli altri esseri risulta evidente che il<br />

bene del singolo coincide idealmente con il bene della comunità. L’interesse<br />

personale quin<strong>di</strong> non può che confondersi nell’interesse collettivo e viceversa. A.<br />

Naess (1988), filosofo norvegese utilizza in proposito l’espressione <strong>di</strong> auto-eco-<br />

realizzazione. Non può esserci vero benessere e piena sod<strong>di</strong>sfazione quando si<br />

pone la propria vita in una prospettiva in<strong>di</strong>vidualistica che non tiene conto della<br />

reale con<strong>di</strong>zione umana. Il senso autentico del vivere può essere rintracciato<br />

unicamente nella ridefinizione in chiave ecologica del proprio sé.<br />

Quin<strong>di</strong>, se ogni forma <strong>di</strong> vita è parte <strong>di</strong> uno stesso tessuto vitale, ne consegue che<br />

la realizzazione profonda <strong>di</strong> sé non può prescindere dall’assunzione <strong>di</strong><br />

responsabilità e <strong>di</strong> cura nei confronti dell’ambiente nella sua interezza. Per cui<br />

rispettare e proteggere il mondo naturale significa tutelare la propria esistenza.<br />

“Noi abusiamo della terra perché la consideriamo come un bene <strong>di</strong> consumo che<br />

ci appartiene. Quando ve<strong>di</strong>amo la terra come una comunità alla quale<br />

72


apparteniamo, allora possiamo incominciare ad usarla con amore e con rispetto”<br />

(Leopold, 2006).<br />

La mancanza <strong>di</strong> riguardo e considerazione per l’ambiente rispecchia pertanto un<br />

atteggiamento <strong>di</strong> assoluta ignoranza verso i bisogni profon<strong>di</strong> dell’essere. Siccome<br />

l’impegno e l’attenzione per la natura passano necessariamente attraverso il<br />

rispetto <strong>di</strong> noi stessi, l’ecopsicologia ci informa del parallelismo esistente tra<br />

l’atteggiamento che nutriamo nei confronti <strong>di</strong> noi singoli, e il comportamento<br />

adottato nei riguar<strong>di</strong> del mondo circostante. Ritrovare l’attenzione, il rispetto e<br />

l’amore per il mondo naturale significa dunque coltivare un <strong>di</strong>verso atteggiamento<br />

verso la natura umana nel suo complesso.<br />

3.1. L’identità terrestre<br />

“Il pensiero ecologico (…) rivela un sé nobilitato ed esteso, in quanto parte del<br />

paesaggio e dell’ecosistema, perché la bellezza e la complessità della natura<br />

sono in continuità con noi (…) dobbiamo affermare che il mondo è un essere,<br />

una parte del nostro proprio corpo” (Shepard, 2006).<br />

L’invito dell’ecopsicologia quin<strong>di</strong> è quello <strong>di</strong> allargare gli orizzonti del proprio io<br />

per ritrovare la propria identità terrestre. Estendere gli angusti limiti <strong>di</strong> ciò che<br />

viene considerato il proprio spazio personale al fine <strong>di</strong> recuperare un senso <strong>di</strong><br />

comunione e con<strong>di</strong>visione con la società e l’ambiente. (Danon, 1996)<br />

Albert Einstein (2006) afferma: “Un essere umano è una parte <strong>di</strong> una totalità<br />

chiamata universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Egli fa<br />

esperienza <strong>di</strong> se stesso, dei suoi pensieri e delle sue sensazioni, come <strong>di</strong><br />

qualcosa che è separato dal resto, una specie <strong>di</strong> illusione ottica della sua<br />

consapevolezza. Questa illusione è come una prigione per noi, ci restringe ai<br />

nostri desideri personali e all’unione con poche persone, le più vicine. Il nostro<br />

obiettivo è liberarci <strong>di</strong> questa prigione, allargando il nostro cerchio <strong>di</strong><br />

comprensione fino ad abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella<br />

sua bellezza”.<br />

Come osserva l’ecopsicologa Danon: “Molta della solitu<strong>di</strong>ne, della mancanza <strong>di</strong><br />

senso e del malessere che così spesso affligge il civile mondo occidentale è<br />

dovuto a una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> connessione con una visione più ampia della realtà.<br />

73


Oggi abbiamo quasi tutti un problema <strong>di</strong> alienazione dalla totalità del nostro<br />

essere” (2006).<br />

In sintesi, l’uomo moderno ha smarrito la consapevolezza della propria<br />

appartenenza alla terra.<br />

4. Affrontare la crisi in un’ottica sistemica<br />

Sembra quasi inverosimile come il mondo attuale con le ingenti risorse<br />

economiche, tecnologiche e scientifiche <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spone ancora non abbia saputo<br />

affrontare efficacemente la questione ambientale che al contrario sembra rivelarsi<br />

sempre più resistente alle soluzioni avanzate.<br />

È stato anche detto che la crisi ecologica è indubbiamente un problema<br />

complesso che volge l’attenzione a numerosi fattori <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico, politico,<br />

sociale, morale.<br />

Il limite delle proposte sinora elaborate può essere in<strong>di</strong>viduato nell’approccio<br />

tra<strong>di</strong>zionale ai problemi <strong>di</strong> tipo meccanicistico che, in<strong>di</strong>rizzato a scomporre la<br />

problematica in elementi sempre più piccoli, porta ad effettuare interventi settoriali<br />

che se non privi <strong>di</strong> risultati si <strong>di</strong>mostrano però inefficaci a lungo termine.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un approccio valido quando il problema è circoscritto in un ambito<br />

ristretto, ma si rivela sempre più inadeguato all’aumentare della complessità della<br />

situazione.<br />

Ecco perché la crisi ecologica richiede un approccio sistemico che sappia<br />

prendere in considerazione i molteplici aspetti che interagiscono tra loro e non<br />

riduca la visione della situazione ad un orizzonte limitato.<br />

Questo significa primariamente che occorre tenere insieme le <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mensioni<br />

del problema al fine <strong>di</strong> sviluppare un intervento integrato, nutrito dal <strong>di</strong>alogo e dal<br />

confronto multi<strong>di</strong>sciplinare.<br />

Afferma Corraliza: “la questione ambientale, così come ripresenta ai nostri giorni,<br />

assume <strong>di</strong>mensioni tanto complesse che né le spiegazioni né le eventuali<br />

soluzioni potrebbero essere formulate da una prospettiva uni<strong>di</strong>mensionale” (in<br />

Nenci, 2003, p. 180).<br />

74


CAPITOLO QUARTO<br />

ECOPSICOLOGIA:<br />

IMMAGINE DI NATURA E<br />

DISGIUNZIONE MENTE- CORPO<br />

75


1. L’immagine <strong>di</strong> natura culturalmente con<strong>di</strong>zionata<br />

L’essere umano abita un mondo significativo, sottoposto a riflessione ed<br />

interpretazione.<br />

Il terreno su cui si snoda la nostra esistenza non coincide unicamente con<br />

l’ambiente fisico ma abbraccia altresì una <strong>di</strong>mensione simbolica.<br />

L’uomo reagisce all’ambiente fisico e sociale a seconda del significato simbolico<br />

che gli oggetti e gli avvenimenti assumono per lui.<br />

Il mondo esterno viene generalmente dato per scontato. Le sue componenti –<br />

categorie come tempo e spazio, causa ed effetto, animale e vegetale – sembrano<br />

essere state pre<strong>di</strong>sposte precedentemente alla nostra apparizione sulla scena<br />

quasi aspettassero soltanto d’essere da noi scoperte. La realtà sembra esistere<br />

come un fatto esterno che si offre in<strong>di</strong>stintamente: essa appare autoevidente<br />

(Schutz, 1962).<br />

Ma la realtà che si presenta a noi altro non è che l’interpretazione che <strong>di</strong>amo ai<br />

dati registrati dai nostri sensi. Gli uomini vivono nel mondo che e<strong>di</strong>ficano con le<br />

loro interpretazioni. Tale significato simbolico attribuito alla realtà è me<strong>di</strong>ato dalle<br />

categorie e dalle definizioni offerte dalla cultura <strong>di</strong> appartenenza, apprese<br />

attraverso la socializzazione e l’interazione con gli altri; per cui in<strong>di</strong>vidui<br />

appartenenti a culture <strong>di</strong>verse interpretano la realtà molto <strong>di</strong>versamente.<br />

Dunque la realtà costituita <strong>di</strong> oggetti ben definiti e circoscritti, considerata effettiva,<br />

da noi in<strong>di</strong>pendente, si rivela percepibile solo sulla base <strong>di</strong> precedenti elaborazioni<br />

concettuali, “tipificazioni”, per utilizzare la terminologia <strong>di</strong> Schutz (Hewitt, 1999, p.<br />

144). Se percepiamo un albero, una montagna, un cane, ciò è possibile in quanto<br />

riferiamo tale elemento particolare a un tipo generale <strong>di</strong> albero, <strong>di</strong> montagna, <strong>di</strong><br />

cane.<br />

Le categorie interpretative che costituiscono la struttura significativa del nostro<br />

mondo risultano socialmente relative; questa struttura, che appare come data<br />

dall’esterno, va compresa come realtà che sorge attraverso l’interazione, quin<strong>di</strong><br />

come realtà intersoggettiva.<br />

76


La concezione concernente il significato simbolico che assume il mondo<br />

circostante fa da fondamento alla prospettiva sociopsicologica dell’interazionismo<br />

simbolico (Mead, Blumer, Becker, Stone, Steinert).<br />

L’interazionismo simbolico matura negli anni venti e trenta a partire dal pensiero<br />

filosofico e psicologico <strong>di</strong> Gorge Herbert Mead, riconosciuto negli Anni Sessanta<br />

quale padre fondatore della <strong>di</strong>sciplina appena battezzata.<br />

Assunto fondamentale dell’interazionismo simbolico è quello secondo cui il<br />

comportamento umano non scaturisce dalla semplice risposta a degli stimoli ma<br />

trova sostegno nell’interpretazione dei significati simbolici attribuiti agli stimoli<br />

stessi. Secondo tale prospettiva ogni classe interpretativa ha origine nel corso<br />

delle interazioni tra gli in<strong>di</strong>vidui e in esse muta continuamente; il significato <strong>di</strong> un<br />

oggetto <strong>di</strong>pende quin<strong>di</strong> dall’interazione.<br />

I principi fondanti dell’interazionismo simbolico, possono essere così riassunti:<br />

- gli esseri umani agiscono in <strong>di</strong>rezione del mondo circostante (oggetti fisici,<br />

esseri umani, istituzioni, idee..) in base al significato ad esso attribuito;<br />

- tale significato assegnato agli oggetti nasce dall’interazione tra gli in<strong>di</strong>vidui ed è<br />

pertanto con<strong>di</strong>viso;<br />

- i significati vengono incessantemente costruiti e ricostruiti attraverso il<br />

“processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affrontare le cose in<br />

cui si imbatte” (Blumer, 1969).<br />

Berger e Luckmann (1969) descrivono come la realtà viene costruita socialmente<br />

attraverso un processo che si <strong>di</strong>stingue in tre sta<strong>di</strong>:<br />

• Esteriorizzazione: attraverso l’interazione sociale, gli in<strong>di</strong>vidui creano dei<br />

prodotti culturali. Questi sono molteplici e <strong>di</strong> vario tipo: prodotti materiali<br />

lavorati, istituzioni sociali, idee attorno alla natura umana, conoscenza della<br />

realtà. Una volta originati tali prodotti <strong>di</strong>ventano in un certo qual modo<br />

estrinseci rispetto ai soggetti che li hanno generati.<br />

• Oggettivazione: i prodotti esteriorizzati acquistano una realtà in sé <strong>di</strong>ventando<br />

in<strong>di</strong>pendenti da coloro che li hanno creati. In altre parole, gli in<strong>di</strong>vidui perdono<br />

la coscienza <strong>di</strong> essere essi stessi i creatori del proprio ambiente sociale e gli<br />

autori delle proprie interpretazioni della realtà. Queste idee e questi prodotti<br />

assumono un’esistenza oggettiva ed entrano a far parte della realtà data per<br />

scontata.<br />

77


• Interiorizzazione: per mezzo del processo <strong>di</strong> socializzazione, i soggetti<br />

apprendono i fatti riguardanti la realtà; presunti come oggettivi, questi<br />

vengono incorporati nella coscienza soggettiva interiore. Gli in<strong>di</strong>vidui<br />

socializzati in culture o subculture simili possiedono la medesima percezione<br />

della realtà e <strong>di</strong>fficilmente si interrogano in merito alle origini delle proprie<br />

credenze così come con scarsa probabilità si rende esplicito il processo<br />

attraverso il quale queste convinzioni si sono ra<strong>di</strong>cate.<br />

In questo modo possiamo affermare <strong>di</strong> sviluppare “rappresentazioni sul nostro<br />

ambiente fisico a partire da un insieme <strong>di</strong> informazioni socialmente con<strong>di</strong>vise che,<br />

al <strong>di</strong> là del puro riconoscimento <strong>di</strong> elementi spaziali e della loro <strong>di</strong>sposizione e<br />

struttura, e ancorate nel senso comune e nel nostro contesto culturale, agiscono<br />

come vere teorie su come è il nostro ambiente, come possiamo aspettarcelo e<br />

come dobbiamo interagire con esso” (Pertegas, in Nenci, 2003, p. 99).<br />

La corrispondenza tra rappresentazioni mentali e modalità <strong>di</strong> rapportarsi<br />

all’ambiente è oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o della psicologia ambientale, specificatamente <strong>di</strong><br />

quel filone <strong>di</strong> ricerche volto a indagare gli aspetti cognitivi attraverso i quali<br />

vengono percepiti gli ambienti, per stabilire il tipo <strong>di</strong> relazione che si viene a<br />

costituire tra rappresentazione e comportamento (Bonnes e Secchiaroli, 1992).<br />

Le ricerche sviluppate in questo settore evidenziano sostanzialmente che il<br />

comportamento è influenzato dalle immagini che noi posse<strong>di</strong>amo del mondo<br />

(Perussia, 1987).<br />

Afferma in proposito Perussia: ”L’immagine della natura che portiamo dentro <strong>di</strong> noi<br />

influenza le nostre scelte e i nostri comportamenti, determina il nostro stile, si<br />

riflette sugli stati d’animo e interagisce con le <strong>di</strong>namiche profonde della<br />

personalità” (1989, p. 7).<br />

È qui opportuno sottolineare come gli sviluppi più recenti della stessa psicologia<br />

ambientale stiano avanzando spiegazioni del comportamento umano nei confronti<br />

dell’ambiente che muovono dai motivi, dalle credenze, dai valori dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

includendo pertanto il fattore <strong>di</strong> influenza sociale (Aragonès, 1997; Aragonès,<br />

Gonzales, Amerigo, 1995; Castro, 1997; Corraliza, Martin, Munoz, 1996;<br />

Hernandez, Suarez, 1996; Iniguez, 1996).<br />

78


In questa medesima <strong>di</strong>rezione sembrano muoversi nell’ambito della gestione<br />

ambientale le recenti proposte della gestione per valori (Garcia e Dolan,1997).<br />

L’assimilazione <strong>di</strong> principi ambientalisti nelle imprese, industrie e amministrazioni<br />

pubbliche presuppone un cambio organizzativo notevole.<br />

Per mo<strong>di</strong>ficare il pensare e il fare le cose in una organizzazione in funzione <strong>di</strong> una<br />

buona gestione ambientale si rende necessario un mutamento <strong>di</strong> base della<br />

cultura corporativa. Le mo<strong>di</strong>fiche tecnologiche e produttive <strong>di</strong>pendono<br />

sostanzialmente da cambi culturali che vanno ad incidere e correggere<br />

atteggiamenti e comportamenti.<br />

Risulta fondamentale che tutti i membri dell’associazione adottino e si identifichino<br />

con i valori della sostenibilità.<br />

La gestione per valori si concentra nella formazione <strong>di</strong> principi piuttosto che sulla<br />

semplice trasmissione <strong>di</strong> conoscenze tecniche. L’assunzione <strong>di</strong> valori con<strong>di</strong>visi<br />

che attribuiscono un senso all’azione del soggetto, corrisponde ad una forma <strong>di</strong><br />

realizzazione personale, <strong>di</strong> responsabilizzazione che coincide con la maturazione<br />

<strong>di</strong> una maggiore sensibilità ambientale.<br />

Gli autori precisano che i valori operativi non devono mai assumere il carattere <strong>di</strong><br />

“guide normative <strong>di</strong> comportamento” con il rischio <strong>di</strong> venire intese come una sorta<br />

<strong>di</strong> manuale <strong>di</strong> istruzioni.<br />

Al contrario è importante che vengano accolti come “qualcosa per cui vale la pena<br />

<strong>di</strong> impegnarsi liberamente”.<br />

Inoltre, <strong>di</strong> assoluto rilievo è il fatto che “i valori non si mo<strong>di</strong>ficano in un corso <strong>di</strong><br />

formazione più o meno convenzionale, ma attraverso azioni <strong>di</strong> formazione in cui la<br />

persona abbia modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>simparare credenze che aveva dato come immo<strong>di</strong>ficabili<br />

nel passato” (Garcia e Dolan, 1997, p. 285).<br />

La gestione per valori assegna un ruolo significativo all’influenza sociale in<br />

accordo con i riferimenti psicosociali appena citati.<br />

Fondamentale si profila dunque la necessità <strong>di</strong> andare a esplicitare quel bagaglio<br />

<strong>di</strong> immagini e rappresentazioni che tendono costantemente a sottrarsi all’azione<br />

riflessiva del pensiero andando a definirsi quali elementi rilevanti nel <strong>di</strong>rezionare<br />

l’esistenza quoti<strong>di</strong>ana.<br />

Si tratta allora <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare le idee che se<strong>di</strong>mentate nella nostra cultura e<br />

rinforzate attraverso il processo <strong>di</strong> trasmissione educativa sono andate a<br />

79


stratificarsi nel nostro immaginario influenzando il nostro modo <strong>di</strong> rapportarci al<br />

mondo circostante.<br />

Sostiene Rossi: “Le idee, com’è noto, nascono dalla vita, ma finiscono per<br />

<strong>di</strong>staccarsi da essa acquistando una loro propria e autonoma vita. Crescono su se<br />

stesse, si moltiplicano generando altre idee, si <strong>di</strong>ffondono. Sono soggette a<br />

mutazioni e si inseriscono nei processi evolutivi della cultura. Attraverso questi<br />

processi incidono sulla vita, la orientano e la mo<strong>di</strong>ficano. Hanno una loro forza:<br />

<strong>di</strong>ventano mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> pensare, generano comportamenti” (in Ceruti e Laszlo, 1989, p.<br />

191).<br />

Le rappresentazioni mentali rivestono nei confini della cultura <strong>di</strong> appartenenza un<br />

ruolo normativo, assumono valore <strong>di</strong> prescrizione suonando come un implicito<br />

puoi oppure non puoi.<br />

In questo modo le immagini mentali risultano allacciate alle norme etiche così da<br />

costituire un deciso orientamento deontologico che arriva ad autorizzare o al<br />

contrario a limitare determinate condotte e certi tipi <strong>di</strong> atteggiamento (Merchant,<br />

1988, pp. 40-41).<br />

Quin<strong>di</strong> è possibile ragionevolmente pensare che a con<strong>di</strong>zionare il comportamento<br />

che adottiamo nei confronti del mondo naturale concorra l’immagine che l’essere<br />

umano ha della natura e <strong>di</strong> se stesso in relazione alla natura.<br />

La riflessione dell’ecopsicologia si sofferma sulle premesse culturali che orientano<br />

il comportamento dell’uomo moderno nei confronti del mondo naturale.<br />

L’ecopsicologia identifica nei fondamenti stessi della cultura occidentale i motivi<br />

che conducono ad una condotta irrispettosa dell’ambiente.<br />

Alla ra<strong>di</strong>ce dell’attuale crisi ecologica è da rintracciare l’immagine <strong>di</strong> natura che<br />

appartiene al nostro pensiero.<br />

1.1. Il senso <strong>di</strong> estraneità<br />

L’uomo moderno vive una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> estraniazione-alienazione dalla natura.<br />

La natura è percepita come qualcosa <strong>di</strong> estraneo, altro da sé. La cultura<br />

occidentale ha sviluppato l’immagine <strong>di</strong> un uomo separato e isolato dalla<br />

natura.<br />

80


Alla base <strong>di</strong> tale concezione è da in<strong>di</strong>viduare un la modalità propriamente<br />

occidentale <strong>di</strong> percepire la realtà secondo il para<strong>di</strong>gma della separazione, che<br />

vari autori considerano all’origine <strong>di</strong> uno stile <strong>di</strong> pensiero antiecologico<br />

(Bateson, Capra, Merchant, Morin). Il modello scientifico dominante <strong>di</strong> stampo<br />

positivistico ha condotto ad una visione segmentata e frammentaria della<br />

realtà.<br />

L’affermarsi nel <strong>di</strong>ciannovesimo secolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scipline altamente specialistiche,<br />

che ha indubbiamente portato ad un notevole sviluppo scientifico e tecnologico,<br />

ha altresì determinato una conoscenza della realtà frammentata per settori,<br />

producendo quella separazione tra scienze umane e scienze naturali che<br />

rappresenta un duro ostacolo per la costruzione <strong>di</strong> una conoscenza sistemica<br />

della realtà, fondamentale per lo sviluppo <strong>di</strong> una cultura ecologica.<br />

L’estraneità dell’uomo dal mondo naturale ha ra<strong>di</strong>ci lontane.<br />

La contrapposizione dualistica <strong>di</strong> Cartesio <strong>di</strong> res cogitans e res extensa<br />

costituisce la base della moderna scienza della natura. Quale res extensa, la<br />

natura viene contrapposta alla res cogitans. La natura fisica dell’uomo, il suo<br />

corpo, è anch’essa considerata come parte della res extensa, soltanto la<br />

coscienza dell’uomo è res cogitans.<br />

La teoria cartesiana determina l’affermazione del moderno approccio<br />

scientifico. Con la trasfigurazione della natura in res extensa, quantificabile e<br />

riducibile in termini matematici, viene a spezzarsi il rapporto intellettuale ed<br />

emotivo che l’uomo ha avuto con la natura in epoche passate.<br />

La natura <strong>di</strong>viene l’altro dall’uomo e sottomessa senza alcuna remora al suo<br />

assoluto dominio. Le piante e gli animali sono macchine del tutto prive <strong>di</strong><br />

interiorità.<br />

Il pensiero occidentale tende ad oggettivare la natura e a rappresentarla come<br />

una realtà meccanica ed inanimata poggiando su una visione atomistica e<br />

<strong>di</strong>sgiuntiva della cose.<br />

Si è persa la consapevolezza della profonda unità esistente tra essere umano<br />

e ambiente naturale. L’uomo procede senza remore al dominio e allo<br />

sfruttamento della natura ormai <strong>di</strong>ssacrata e profanata. La percezione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>svalore che la nostra cultura riserva alla natura legittima implicitamente lo<br />

sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali.<br />

81


“La metafora della Madre Terra, che per secoli aveva simbolizzato la<br />

<strong>di</strong>pendenza vitale dell’uomo dalla natura, e insieme il rispetto e la gratitu<strong>di</strong>ne<br />

che il figlio deve a colei che lo ha generato, viene sostituita dalla scienza<br />

moderna con un modello meccanicistico che misconosce l’intrinseca<br />

compartecipazione <strong>di</strong> uomo e mondo, <strong>di</strong> micro e macrocosmo” (Vegetti, 1999,<br />

p. 148).<br />

“Il modello meccanico fa della natura un mezzo per un fine. Questo implica<br />

che la natura è lì perché noi possiamo tirare fuori quello che vogliamo. Io<br />

sostengo che questo modello non è adeguato. Non sono contrario a trattare le<br />

cose come delle parti, ma dobbiamo capire cosa significa la parola parte. Una<br />

parte non ha significato se non in termini <strong>di</strong> un tutto. L’idea <strong>di</strong> trattare una cosa<br />

come soltanto una parte, può funzionare un po’ ma non per tempi lunghi”<br />

(Bohm, 2006).<br />

1.2. Antropocentrismo<br />

Lo sfruttamento e la svalutazione della natura che caratterizzano<br />

l’atteggiamento dell’uomo moderno nei confronti del mondo naturale trovano<br />

inoltre forte appoggio e giustificazione nell’idea <strong>di</strong> antropocentrismo che<br />

appartiene alla nostra cultura.<br />

Secondo tale concezione l’essere umano occuperebbe una posizione centrale<br />

e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> assoluto privilegio nell’Universo, fino a ritenere che tutto ciò che<br />

esiste sia stato creato unicamente per lui e per il sod<strong>di</strong>sfacimento dei suoi<br />

bisogni. In questa visione trovano terreno fertile le fantasie <strong>di</strong> onnipotenza<br />

dell’uomo moderno che si sente autorizzato a depredare la natura in vista del<br />

raggiungimento del proprio benessere e in funzione della sod<strong>di</strong>sfazione dei<br />

propri desideri.<br />

La natura risulta essere niente più che un oggetto da sfruttare, una risorsa da<br />

consumare.<br />

L’antropocentrismo con cui l’uomo guarda al mondo si connette pertanto alla<br />

visione utilitaristica della vita affermatesi in epoca moderna.<br />

La visione antropocentrica ha subito un duro attacco dalla scienza ecologica,<br />

che afferma l’interconnessione <strong>di</strong> ogni forma vivente.<br />

82


2. Andare ad agire sulle rappresentazioni mentali<br />

L’attuale crisi ecologica è dunque per l’ecopsicologia il sintomo <strong>di</strong> una profonda<br />

scissione avvenuta tra uomo e ambiente naturale.<br />

Il senso <strong>di</strong> estraneità che vive l’uomo moderno nei confronti del mondo della<br />

natura rappresenta un impe<strong>di</strong>mento all’emergere <strong>di</strong> un atteggiamento rispettoso<br />

dell’ambiente.<br />

Lo sviluppo <strong>di</strong> una nuova <strong>di</strong>sposizione ecologica esige come suo presupposto una<br />

ra<strong>di</strong>cale trasformazione dei valori dominanti della nostra cultura.<br />

“Per vivere nel terzo millennio, abbiamo bisogno <strong>di</strong> un nuovo pensiero, unitamente<br />

a nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> percepire e vedere noi stessi, gli altri, la natura ed il mondo intorno<br />

a noi” (Lazlo, 2006).<br />

Si tratta <strong>di</strong> andare a destrutturare quella visione del mondo antropocentrica che<br />

rende la nostra condotta irresponsabile nei confronti dell’ambiente per arrivare a<br />

delineare un <strong>di</strong>verso orizzonte <strong>di</strong> idee che faccia da sostegno ad un progetto<br />

esistenziale in armonia con la natura. Diventa allora fondamentale arrivare a<br />

smascherare le rappresentazioni mentali che senza arrivare al vaglio della<br />

riflessione influenzano il nostro agire e ripensare invece il proprio stile <strong>di</strong> vita a<br />

partire da una nuova interpretazione <strong>di</strong> sé e della relazione con il mondo.<br />

L’ecopsicologia si fa così promotrice <strong>di</strong> un nuovo <strong>di</strong>scorso ecologico che muove da<br />

una <strong>di</strong>fferente percezione della natura e restituisce l’uomo alla responsabilità delle<br />

proprie costruzioni mentali nella convinzione che andare ad agire sullo stile <strong>di</strong> vita<br />

significa primariamente confrontarsi con le mappe <strong>di</strong> idee e le rappresentazioni<br />

che aderiscono alla realtà.<br />

Come evidenzia Bateson (1972, 1979), l’inquinamento ambientale è in primo<br />

luogo il sintomo <strong>di</strong> un inquinamento culturale. Il degrado dell’ambiente naturale<br />

trova presupposto in un degrado dell’ambiente noologico.<br />

Qualunque proposta educativa che intenda promuovere un atteggiamento <strong>di</strong><br />

rispetto nei confronti della natura deve dunque sostenere lo sviluppo <strong>di</strong> un pensare<br />

metacognitivo, un pensiero che prenda al vaglio i suoi stessi strumenti e ponga in<br />

<strong>di</strong>scussione le assunzioni che fanno da sfondo all’agire quoti<strong>di</strong>ano e guidano le<br />

comuni pratiche sociali.<br />

83


3. Il dualismo mente-corpo<br />

Il profondo senso <strong>di</strong> estraneità che allontana l’uomo occidentale moderno dal<br />

mondo naturale esprime una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> connessione con le proprie ra<strong>di</strong>ci<br />

biologiche. Lo sra<strong>di</strong>camento dalla natura assume infatti il significato <strong>di</strong> un deciso<br />

rifiuto della propria natura biologica. Smarrendo la consapevolezza della nostra<br />

appartenenza alla <strong>di</strong>mensione spaziale e fisica dell’esistere abbiamo dunque<br />

rigettato anche la nostra identità corporea, annullando l’esperienza dell’essere<br />

corpo.<br />

Come evidenzia Cirincione: “Il particolare sviluppo dell’intelligenza nell’uomo,<br />

nonché quello delle sue capacità logico-deduttive e speculative, ha fatto via via<br />

ritenere che la mente e la razionalità fossero l’essenza stessa dell’uomo, e che il<br />

suo corpo fosse solo un addentellato <strong>di</strong> scarsa importanza (…) L’uomo ha finito<br />

per identificare se stesso con le proprie capacità intellettivo-speculative (…) ”<br />

(1991, p. 21-22).<br />

Così <strong>di</strong>menticandoci della nostra fisicità, cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essere solo mente,<br />

razionalità, pensiero.<br />

L’origine <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ssociazione tra la mente e il corpo che <strong>di</strong>ventano termini in<br />

opposizione è rintracciabile a parere-giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> molti autori (Galimberti, 1983;<br />

Merchant, 1988; Mortari, 1994) nella cultura greca. Da Platone in avanti la psyche<br />

rappresenterà l’unità del soggetto, la sua identità, contrapposta al corpo. Posta la<br />

verità come idea, l’opposizione tra anima e corpo, <strong>di</strong>venta l’opposizione tra vero e<br />

falso, tra bene e male.<br />

Così solo emancipandosi dalla materia è possibile accedere alla vera realtà che<br />

coincide unicamente con la <strong>di</strong>mensione del trascendente e dell’ immateriale. Il<br />

corpo inteso come valore negativo assume dunque il significato <strong>di</strong> ostacolo e<br />

impe<strong>di</strong>mento che si contrappone al raggiungimento della verità.<br />

Anche nella tra<strong>di</strong>zione cristiana, specie quella che si rifà a S. Agostino,<br />

l’opposizione <strong>di</strong>sgiuntiva tra il bene e il male, la vita e la morte, la carne e lo spirito<br />

conduce al sacrificio del corpo in funzione della salvezza dell’anima. La condanna<br />

della carne porta all’esaltazione della vita come valore.<br />

84


Con Cartesio il dualismo platonico-cristiano dell’anima e del corpo giunge alle sue<br />

estreme conseguenze. La ragione cartesiana vede l’anima sottratta ad ogni<br />

influenza corporea per risolversi nel puro intelletto e il corpo viene reso a oggetto.<br />

L’uomo <strong>di</strong> Cartesio è quin<strong>di</strong> inteso come essere razionale sra<strong>di</strong>cato da quel corpo<br />

che lo tiene invece in<strong>di</strong>ssolubilmente legato al mondo della materia.<br />

Res cogitans è infatti soltanto la coscienza dell’uomo, la sua natura fisica, il suo<br />

corpo, viene considerata parte della res extensa al pari della natura. Dunque il<br />

confine tra res cogitans e res extensa attraversa l’uomo scomponendolo nella sua<br />

essenza.<br />

La cultura contemporanea occidentale supporta tuttora la visione negativa del<br />

mondo materiale e biologico che a partire dalla filosofia greca e la religione biblica<br />

che sono le principali correnti <strong>di</strong> pensiero che hanno dato volto al mondo<br />

occidentale ha trovato poi piena conferma nella filosofia <strong>di</strong> Cartesio da cui è nato<br />

quel pensiero scientifico e positivista in cui, ancora oggi, l’Occidente si riconosce.<br />

La <strong>di</strong>stinzione tra mondo delle idee e mondo della vita costituisce quin<strong>di</strong> il<br />

fondamento su cui si erige il pensiero moderno che attingendo ad un livello <strong>di</strong><br />

realtà che <strong>di</strong>verge assolutamente dalle con<strong>di</strong>zioni effettive in cui l’uomo si trova a<br />

vivere sostiene una visione della vita priva del senso reale del mondo. Il<br />

conoscere che si profila come un guardare altrove rispetto alla realtà materiale, si<br />

slega dal mondo sensibile.<br />

Naturalmente, costitutiva dell’uomo è la tendenza a concepire or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> realtà che<br />

si <strong>di</strong>scostano dal mondo fisico biologico. Ma esulando mentalmente dalla realtà<br />

fisica, l’uomo moderno arriva a collocare la propria esistenza su un piano<br />

metanaturale che nega ogni legame col mondo della natura. Pretendere <strong>di</strong><br />

sottrarsi al rapporto che ci unisce al mondo naturale significa sfuggire il senso<br />

profondo dell’esistenza. Chiaramente non si tratta <strong>di</strong> negare la spinta a superare la<br />

<strong>di</strong>mensione del reale in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> altri mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> esperienza si rivela però<br />

necessario adottare una visione realista che conduca ad accettare i vincoli come<br />

con<strong>di</strong>zione a partire dalla quale è possibile inseguire la propria realizzazione.<br />

Riaffermare la propria <strong>di</strong>mensione corporea <strong>di</strong>venta la con<strong>di</strong>zione necessaria a<br />

riallacciare la propria esistenza al mondo della vita.<br />

85


4. Riappropriarsi del corpo<br />

Seguendo la riflessione <strong>di</strong> Galimberti (1983, pp. 46-47), slegare il corpo<br />

dall’esistenza equivale a ridurlo a semplice oggetto d’osservazione, equipararlo<br />

all’organismo biologico che viene descritto dalla scienza. Il corpo non più vissuto<br />

come soggettività si riduce così a corpo anatomico.<br />

“La scienza è ormai per noi il reale. Il suo punto <strong>di</strong> vista sul corpo che lo riproduce<br />

non come è vissuto da ciascuno <strong>di</strong> noi, ma come risulta dal suo sguardo<br />

anatomico che l’ha sezionato come si seziona qualsiasi oggetto, ci è <strong>di</strong>venuto così<br />

familiare che oggi ciascuno <strong>di</strong> noi non fa alcuna fatica a rinunciare alla propria<br />

esperienza e a svalutare il proprio punto <strong>di</strong> vista sul corpo per adottare il punto <strong>di</strong><br />

vista della scienza…” (Galimberti, 1983, p. 46).<br />

L’oggetto indagato dalla scienza è il cadavere sezionato che rimanda ad<br />

un’immagine <strong>di</strong>sgregata e frammentaria del corpo inteso dunque come aggregato<br />

<strong>di</strong> parti. Così, guardando al corpo come ad un oggetto, il sapere scientifico<br />

sancisce la propria impossibilità <strong>di</strong> comprendere qualcosa del corpo e della sua<br />

vita. La realtà del corpo rimane dunque inafferrabile per la scienza perché il corpo<br />

si sottrae allo statuto dell’oggetto “perché è costantemente percepito, mentre<br />

dall’oggetto posso anche <strong>di</strong>stogliere l’attenzione; perché è sempre con me e mai,<br />

come l’oggetto, <strong>di</strong> fronte a me. L’oggetto nasce quando, con gli organi del mio<br />

corpo, lo vedo, lo tocco, l’ispeziono, per cui il corpo non è oggetto, ma ciò grazie a<br />

cui vi sono degli oggetti” (Galimberti, 1983, p. 47).<br />

Il <strong>di</strong>scorso scientifico abolisce il legame originario del corpo con il mondo in cui si<br />

esplica tutta la nostra vita risolvendo in oggetto il mondo, e a oggetto del mondo il<br />

corpo umano.<br />

Riappropriarsi del proprio corpo significa ricongiungerlo all’esistenza, riscoprirlo<br />

nella sua soggettività. Io sono il mio corpo, l’io non si <strong>di</strong>stingue dal corpo. Il corpo<br />

è nella sua essenza soggetto <strong>di</strong> vita in quanto afferma la mia esistenza e la mia<br />

presenza nel mondo.<br />

In questo modo il corpo con i suoi processi vitali ritorna a configurarsi quale<br />

strumento del conoscere. Il corpo deve essere vissuto come ciò senza cui un<br />

mondo non si <strong>di</strong>sporrebbe intorno all’uomo e nulla incomincerebbe a esistere.<br />

86


Il primo passo da compiere è allora quello <strong>di</strong> risvegliare il contatto vitale del nostro<br />

corpo con la realtà, riaccendere il mondo percettivo e intuitivo che il corpo<br />

<strong>di</strong>schiude.<br />

5. Il nesso natura-nascita<br />

La riflessione sulla propria intrinseca appartenenza al mondo biofisico può essere<br />

sostenuta accogliendo la proposta <strong>di</strong> Arendt, (Mortari, 1994, p. 118) da un<br />

ripensamento della categoria della nascita.<br />

Riflettere sull’evento della nascita induce a ripensare l’esistenza nei termini <strong>di</strong><br />

venuta al mondo riconoscendo in questa prospettiva il valore dell’ambiente inteso<br />

come spazio fisico che accoglie l’uomo e quin<strong>di</strong> con<strong>di</strong>zione stessa del nascere.<br />

Rivedere nell’uomo l’essere natale significa dunque riconoscersi in quanto esseri<br />

viventi e per questo legati alla natura. La natura è la fonte della vita, perché la vita<br />

è fondamentalmente una.<br />

“…il nesso natura-nascita pone i termini per riflettere sull’insensatezza <strong>di</strong> quel<br />

processo <strong>di</strong> devastazione della terra che, mentre <strong>di</strong>strugge la natura, <strong>di</strong>strugge la<br />

con<strong>di</strong>zione fondamentale della nascita e quin<strong>di</strong> della vita stessa” (Mortari, 1994,<br />

pp. 118-119).<br />

Mi sembra dunque appropriato affermare che non è l’atteggiamento che abbiamo<br />

nei confronti della natura a necessitare una correzione e un intervento, perché<br />

l’attenzione va invece rivolta al nostro rapporto verso la vita. Cancellando la<br />

propria appartenenza al mondo della natura l’uomo ha perduto la connessione con<br />

l’origine stessa dell’esistenza <strong>di</strong>staccandosi dai valori della vita.<br />

Risulta evidente allora il parallelismo esistente tra l’atteggiamento nutrito nei<br />

confronti della natura e il rapporto che l’uomo intrattiene con sé stesso. La<br />

condotta che adottiamo e appoggiamo negli altri aggre<strong>di</strong>sce infatti la nostra stessa<br />

vita e al contempo quella del mondo circostante. L’assenza <strong>di</strong> considerazione per<br />

l’ambiente naturale coincide quin<strong>di</strong> con il mancato rispetto per la vita nelle sue<br />

molteplici espressioni.<br />

“Un uomo che ha una venerazione per la vita - <strong>di</strong>ce Schweitzer - non si limita a<br />

<strong>di</strong>re le sue preghiere. Egli si getta nella battaglia per conservare la vita, se non<br />

87


altro perché lui stesso è un’estensione della vita che lo circonda” (Schweitzer,<br />

2006).<br />

6. La negazione del corpo<br />

“L’uomo <strong>di</strong>venta parte responsabile della natura quando riesce a riconoscere la<br />

natura in se stesso” Dieter Baumann<br />

(in Widmann, 1997, p. 31)<br />

Non è <strong>di</strong>fficile comprendere l’impossibilità <strong>di</strong> raggiungere un profondo senso <strong>di</strong><br />

benessere trascurando la propria <strong>di</strong>mensione corporea.<br />

L’uomo moderno è alienato dal proprio corpo. Abbandonando completamente la<br />

nostra identità corporea ignoriamo così i fondamentali bisogni del nostro<br />

organismo. Siamo riusciti a cancellare le nostre necessità primarie e vitali<br />

negandoci il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> bere acqua pulita, respirare aria pura, riposare in un<br />

ambiente tranquillo e silenzioso.<br />

Separandoci dal nostro corpo abbiamo inoltre perduto l’esperienza <strong>di</strong> autentica<br />

sod<strong>di</strong>sfazione che deriva dal sod<strong>di</strong>sfacimento delle proprie esigenze biologiche.<br />

L’uomo civile moderno ha deciso <strong>di</strong> sottomettere i propri istinti alla propria volontà<br />

così, invece <strong>di</strong> nutrirsi quando ha realmente fame, mangia in base ad orari<br />

prestabiliti, spesso per gola e non per reale necessità, è capace <strong>di</strong> costringere il<br />

proprio corpo ad una se<strong>di</strong>a per ore invece <strong>di</strong> concedersi un po’ <strong>di</strong> sano<br />

movimento, arriva a stravolgere il suo normale ritmo <strong>di</strong> sonno-veglia (Cirincione,<br />

1991, p. 27).<br />

Ma rinunciando ad ascoltare il proprio corpo al punto da non essere neanche più<br />

in grado <strong>di</strong> riconoscerne i segnali, l’uomo civile ha soffocato il proprio sentire più<br />

autentico perdendo la capacità <strong>di</strong> farsi guidare dai propri istinti. La saggezza<br />

biologica dell’istinto è stata rimpiazzata dalla ragione e dalle funzioni superiori<br />

della coscienza. Con il nostro stile <strong>di</strong> vita siamo riusciti a barattare i nostri bisogni<br />

vitali con bisogni fittizi, aleatori scambiando l’essere con l’avere e l’apparire.<br />

Le dure riflessioni <strong>di</strong> Fromm che interessano la società moderna si <strong>di</strong>mostrano<br />

ancora oggigiorno drasticamente attuali: ”L’uomo cibernetico è talmente alienato<br />

88


che sperimenta il proprio corpo soltanto come strumento per conseguire il<br />

successo; perciò si preoccupa <strong>di</strong> conservarlo giovane e sano; lo sente<br />

narcisisticamente come un bene estremamente prezioso sul mercato della<br />

personalità” (Fromm, 1983, p. 436 ).<br />

L’uomo civile moderno ha così sostituito la <strong>di</strong>mensione dei bisogni con quella dei<br />

desideri. Impossessati dalla logica del consumismo abbiamo imparato ad<br />

espandere le nostre esigenze reali oltre i limiti del necessario <strong>di</strong>menticando che<br />

per il nostro benessere è sufficiente ben poco rispetto a quello che cre<strong>di</strong>amo.<br />

Senza <strong>di</strong>menticare poi che è proprio questo criterio dell’abbondanza a ra<strong>di</strong>carsi<br />

alla base della crisi ecologica. Il concetto stesso <strong>di</strong> benessere è stato quin<strong>di</strong><br />

stravolto acquisendo un valore ed un significato <strong>di</strong>fferente a quello reale.<br />

89


CAPITOLO QUINTO<br />

ECOPSICOLOGIA:<br />

L’INCONTRO CON LA NATURA<br />

IN AMBITO CLINICO<br />

90


1. L’approccio <strong>di</strong>versificato dell’ecopsicologia<br />

Quale approccio terapeutico, l’ecopsicologia non si caratterizza come un sapere<br />

sistematizzato ed unitario, in quanto <strong>di</strong>sciplina nuova e in via <strong>di</strong> sviluppo si avvale<br />

del contributo eterogeneo e <strong>di</strong>versificato dei vari psicoterapeuti che si riconoscono<br />

in questo orientamento e che ne con<strong>di</strong>vidono le premesse. Per lo stesso motivo in<br />

quanto scienza giovane questo nuovo approccio non si struttura in base ad un<br />

preciso metodo.<br />

Quin<strong>di</strong> a partire da quelli che vengono considerati gli assunti <strong>di</strong> base ogni<br />

terapeuta sviluppa nella pratica il proprio metodo che si nutre dell’esperienza<br />

personale e della creatività <strong>di</strong> ognuno. Lontano dal rappresentare una confusione<br />

concettuale tale scelta garantisce all’interno della medesima cornice teorica un<br />

ampio ventaglio <strong>di</strong> scelte.<br />

Gli strumenti <strong>di</strong> lavoro adottati sono dunque molteplici e abbracciano il counselling,<br />

la me<strong>di</strong>tazione, attività <strong>di</strong> carattere artistico e creativo, esercizi <strong>di</strong> crescita<br />

personale, varie tecniche psicologiche finalizzate ad una migliore conoscenza <strong>di</strong><br />

sé. “L’ecopsicologia non è una nuova via, - <strong>di</strong>ce Danon (2006) - è una <strong>di</strong>rezione in<br />

cui confluiscono molte vie, moderne e antiche, tutte ispirate al sincero desiderio <strong>di</strong><br />

comprendere e vivere appieno l’esperienza della vita su questa Terra”.<br />

Come suggerito da Mortari è bene comunque precisare che non tutte le<br />

esperienze che hanno luogo in natura possiedono una valenza ecologica.<br />

“Affinché un’esperienza a contatto con la natura sia ecologicamente significativa<br />

essa deve aver luogo alla luce <strong>di</strong> criteri d’interpretazione e <strong>di</strong> attribuzione <strong>di</strong><br />

significato ecologicamente orientati. Non esiste un’esperienza ecologica, esiste un<br />

modo <strong>di</strong> vedere che rende ecologica una esperienza” (1998, p. 81).<br />

2. La connessione con la Terra<br />

“L’uomo che si allontana dalla natura si allontana dalla felicità” (Leopar<strong>di</strong>, 1816-<br />

1826).<br />

91


L’aspetto peculiare del lavoro ecopsicologico è rappresentato dall’incontro con la<br />

natura.<br />

L’ecopsicologia invita a immergersi nella natura incontaminata per ritrovare un<br />

contatto più <strong>di</strong>retto con l’ambiente naturale.<br />

Nel riavvicinarci alla natura possiamo ripensare la nostra origine biologica e<br />

risvegliare la consapevolezza della nostra appartenenza alla Terra. L’incontro con<br />

la natura incontaminata rappresenta l’occasione per riscoprire i legami che ci<br />

stringono alla vita e accedere a quel senso <strong>di</strong> profonda connessione che rende<br />

ogni essere parte <strong>di</strong> uno stesso <strong>di</strong>segno.<br />

La connessione con la Terra viene cercata attraverso il recupero della <strong>di</strong>mensione<br />

percettiva ed emotiva dell’esperienza, per riaccendere quel sapere che viene dal<br />

cuore e dal corpo. Le esperienze <strong>di</strong> natura proposte mirano quin<strong>di</strong> a ristabilire un<br />

rapporto sensoriale ed emotivo con il mondo naturale che coinvolga il soggetto<br />

nella sua unità <strong>di</strong> mente e corpo, razionalità ed emotività per sviluppare un<br />

apprendere che deriva dall’esperienza <strong>di</strong>retta e non acquisisce il significato <strong>di</strong> sola<br />

conoscenza intellettuale (Macy e Brown, 1998).<br />

Ampliando i propri sensi si entra in sintonia con l’ambiente naturale per<br />

assaporarne i suoni, i profumi, i colori e abbandonarsi ad un’esperienza <strong>di</strong><br />

profonda connessione per riscoprire che la natura è viva e non qualcosa <strong>di</strong> spento,<br />

senza odore e colore come sembra voler farci credere la scienza.<br />

Stando nel silenzio interiore è possibile mettersi in ascolto della vita che fluisce nel<br />

mondo circostante e incontrare la natura come se fosse la prima volta.<br />

Possiamo dunque imparare a entrare in relazione con l’ambiente naturale e<br />

avvicinarci ad esso con la mente libera da ogni idea preconcetta, col solo intento<br />

<strong>di</strong> ascoltare, sentire per esperire il piacere sensuale che deriva dallo stare in<br />

contatto con le cose e risvegliare la sensibilità per le meraviglie naturali<br />

abitualmente sedata dal <strong>di</strong>stratto vivere quoti<strong>di</strong>ano (Sewall, 1999).<br />

Significa liberarsi dalla tendenza a inquadrare la realtà entro definitive categorie <strong>di</strong><br />

significato, per aprirsi ad altri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vedere, imparare a conoscere in <strong>di</strong>rezione<br />

del nuovo e dell’ine<strong>di</strong>to.<br />

La proposta dell’ecopsicologia è dunque quella <strong>di</strong> uscire dall’ambiente urbano e<br />

riconnettersi al mondo naturale per iniziare a guardare la realtà in modo <strong>di</strong>verso,<br />

liberi da intenzioni <strong>di</strong> dominio e <strong>di</strong> possesso e capaci <strong>di</strong> empatia verso le altre<br />

forme <strong>di</strong> vita. Perché solo un cambiamento nella nostra forma <strong>di</strong> pensare che<br />

92


induca a sgretolare l’immagine <strong>di</strong>storta che posse<strong>di</strong>amo della natura può portarci a<br />

sviluppare un nuovo agire ecologicamente orientato.<br />

Il valore <strong>di</strong> queste frequenti esperienze in natura è dato dalla possibilità <strong>di</strong><br />

sviluppare quello che viene definito “sé ecologico”, ossia la consapevolezza del<br />

legame profondo che ci connette al mondo naturale, che si esprime in un<br />

sentimento <strong>di</strong> intima partecipazione e appartenenza alla Terra (Macy, 1991).<br />

Le esperienze prolungate a <strong>di</strong>retto contatto con la natura destano infatti quella<br />

coscienza ecologica che è presente in noi sin dall’infanzia, col tempo assopita dal<br />

vivere frenetico. Intrinseco nella natura umana esiste un armonioso senso <strong>di</strong> sé e<br />

del mondo, <strong>di</strong>ce Shepard (1982).<br />

L’infanzia è descritta dagli ecopsicologi come quel periodo della vita in cui la<br />

relazione con il mondo naturale è presente e viva. La propensione a percepirsi in<br />

sintonia con l’ambiente che ci circonda che è forte nei primi anni, quando<br />

l’apertura al mondo si <strong>di</strong>mostra una <strong>di</strong>sposizione naturale, viene però col tempo<br />

abbandonata non trovando sostegno nel contesto urbano in cui viviamo.<br />

L’intento dell’ecopsicologia è dunque quello <strong>di</strong> sostenere nei bambini lo sviluppo <strong>di</strong><br />

questo spontaneo sentimento positivo nei confronti del mondo della natura e<br />

tentare <strong>di</strong> restaurare invece tale sentire negli adulti.<br />

Afferma Danon : “facciamo parte della natura e ne abbiamo bisogno per stare<br />

bene, non solo fisicamente ma anche spiritualmente, è una verità che ognuno può<br />

provare sulla sua pelle, se soltanto si permette <strong>di</strong> assaporarne l’esperienza”<br />

(2006). È proprio la possibilità <strong>di</strong> generare una relazione ricca <strong>di</strong> significato ed<br />

emotivamente densa con il mondo naturale che può aiutarci a spezzare quel<br />

senso <strong>di</strong> estraneità e apatia che ci allontana dalla natura (Pyle, 2003).<br />

La consapevolezza del valore dell’ambiente nasce a seguito <strong>di</strong> esperienze positive<br />

e significative a contatto con la natura e costituisce la spinta motivazionale<br />

necessaria a maturare la <strong>di</strong>sponibilità a prendersi cura del mondo naturale e il<br />

desiderio e la volontà <strong>di</strong> impegnarsi per proteggerlo e tutelarlo.<br />

“Noi non vinceremo mai la battaglia del salvare specie ed ecosistemi senza creare<br />

un legame emotivo tra noi e la natura, perché nessun uomo salverà mai ciò che<br />

non ama” (Gould, 1991).<br />

93


3. La natura come termine <strong>di</strong> relazione<br />

L’ecopsicologia accompagna quin<strong>di</strong> all’incontro imme<strong>di</strong>ato con la natura<br />

chiamandoci a ristabilire una relazione originaria con le cose.<br />

L’esperienza <strong>di</strong> natura apre all’ascolto e all’empatia, il contatto <strong>di</strong>retto con la<br />

natura riduce la <strong>di</strong>stanza con questo mondo a noi tanto estraneo e avvicina ad una<br />

relazione <strong>di</strong> familiarità con l’ambiente naturale.<br />

Incontrare la natura vuol <strong>di</strong>re aprirsi con rispetto alla <strong>di</strong>versità pre<strong>di</strong>sporsi ad<br />

accogliere la molteplicità delle forme attraverso cui la vita si manifesta.<br />

Nell’incontro avviene il riconoscimento del valore dell’Altro, la natura da oggetto<br />

<strong>di</strong>viene Tu.<br />

“Aprire l’anima all’amore per questo glorioso, lussureggiante, animato pianeta”<br />

questo è l’invito <strong>di</strong> Dave Foreman, ecopsicologo statunitense ( in Danon, 2006).<br />

4. <strong>Ecopsicologia</strong> ed etica<br />

“Conoscere questo mondo vuol <strong>di</strong>re sviluppare un atteggiamento da padroni nei<br />

suoi confronti. Conoscerlo bene vuol <strong>di</strong>re amarlo e assumersene la responsabilità”<br />

(Wilson, 2004, p. 129).<br />

La <strong>di</strong>sposizione etica che muove a prendersi cura del mondo circostante in tutte le<br />

sue forme emerge spontaneamente dalla maturazione <strong>di</strong> un senso espanso del sé<br />

procedendo ad una decostruzione della prospettiva antropocentrica. La<br />

consapevolezza del legame in<strong>di</strong>ssolubile che unisce ogni essere vivente in quanto<br />

parte <strong>di</strong> un’unica realtà intrecciata <strong>di</strong> relazioni reciproche rappresenta lo scenario<br />

ontologico che fa da premessa all’emergere <strong>di</strong> una coscienza ecologica.<br />

La responsabilità morale anziché configurarsi come un dover essere imposto<br />

dall’esterno viene invece nutrita da un profondo sentimento <strong>di</strong> intima appartenenza<br />

alla Terra.<br />

Ogni elemento della natura possiede un valore intrinseco che non deriva<br />

dall’interesse utile che riveste per l’essere umano. Ciascun membro della<br />

94


comunità biotica è portatore <strong>di</strong> uno stesso valore poiché intimamente allacciato ad<br />

un tessuto <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza reciproca. L’intrinseca connessione dell’essere<br />

umano al proprio ambiente ne rende impossibile la superiorità rispetto agli altri<br />

organismi viventi.<br />

La Natura è percepita come macroorganismo interamente pervaso da un unico<br />

flusso vitale e da questa concezione <strong>di</strong>scende un sentimento <strong>di</strong> reverenza per la<br />

vita in tutte le sue espressioni. L’ecopsicologia si fa così portavoce <strong>di</strong> una<br />

prospettiva biocentrica matrice <strong>di</strong> un atteggiamento <strong>di</strong> rispetto per ogni forma <strong>di</strong><br />

vita che riconosce anche alla natura l’essere soggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti.<br />

Di riferimento è l’etica della Terra elaborata da Aldo Leopold.<br />

“Tutte le etiche per quanto evolute si fondano su un tipo <strong>di</strong> premessa: che<br />

l’in<strong>di</strong>viduo è un membro <strong>di</strong> una comunità costituita <strong>di</strong> parti inter<strong>di</strong>pendenti (…)<br />

L’etica della Terra semplicemente allarga i confini della comunità per includere il<br />

suolo, le acque, le piante e gli animali, o nel suo insieme: la Terra” (Leopold, 1970,<br />

p. 239).<br />

L’etica della Terra estende la responsabilità morale all’intero ecosistema <strong>di</strong> cui<br />

l’essere umano è parte inscin<strong>di</strong>bile. L’uomo in quanto unico agente morale<br />

mantiene un ruolo centrale all’interno del <strong>di</strong>scorso morale, ma proprio per questo<br />

in una prospettiva etica della responsabilità ha il dovere <strong>di</strong> prendersi cura della<br />

natura e degli animali.<br />

“Poiché tutti gli organismi <strong>di</strong>scendono da un antenato comune, è corretto<br />

affermare che la biosfera nel suo complesso iniziò a pensare quando nacque<br />

l’umanità. Se le altre forme <strong>di</strong> vita sono il corpo, noi siamo la mente. Pertanto il<br />

nostro posto nella natura, considerato da una prospettiva etica, è riflettere sulla<br />

creazione e proteggere il pianeta vivente” (Wilson, 2004, p. 130 ).<br />

L’ecopsicologia propone dunque una visione del mondo non più antropocentrica,<br />

ma capace <strong>di</strong> includere tutto il creato nella consapevolezza che esiste un legame<br />

in<strong>di</strong>ssolubile che unisce ogni essere in quanto parte <strong>di</strong> un tutto interrelato.<br />

“I biologi – <strong>di</strong>ce Wilson - mettono in rilievo un altro valore potente dal punto <strong>di</strong> vista<br />

etico: l’unità genetica della vita. Tutti gli organismi <strong>di</strong>scendono dalla stessa forma<br />

<strong>di</strong> vita ancestrale….A causa <strong>di</strong> quest’unica ascendenza, che comparve sulla Terra<br />

più <strong>di</strong> tre miliar<strong>di</strong> e mezzo <strong>di</strong> anni fa, oggi tutte le specie hanno alcuni tratti<br />

molecolari in comune” (Ibidem, pp. 129-130 ).<br />

95


CAPITOLO SESTO<br />

ECOPSICOLOGIA:<br />

L’ALIENAZIONE DALLA<br />

PROPRIA REALTÀ PSICHICA<br />

96


1. L’allontanamento dalla propria natura interiore<br />

Nell’incontro con la natura possiamo riscoprire la nostra stessa natura.<br />

Il rapporto dell’uomo moderno verso la natura ci induce a ragionare in termini<br />

sincronistici. Come è stato scritto da Jung: “La nostra psiche è costruita in<br />

armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade<br />

ugualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima” (Danon, 2006). Il<br />

pensiero sincronistico dunque, introduce e privilegia un ragionare per relazioni che<br />

porta a pensare gli eventi del mondo esterno come un riflesso <strong>di</strong> ciò che avviene<br />

all’interno dell’uomo e viceversa. Possiamo quin<strong>di</strong> definire il sincronismo come<br />

contrastante e antitetico alla logica lineare che si fonda invece sul principio <strong>di</strong><br />

causa ed effetto.<br />

L’ecopsicologia invita a considerare il parallelismo che lega ambiente interno e<br />

ambiente esterno per comprendere che mentre esterniamo condotte inaccettabili<br />

da un punto <strong>di</strong> vista ambientale, contemporaneamente viviamo in modo<br />

insostenibile in termini <strong>di</strong> equilibrio psicologico. Come ci avvisa Josè F. Zavala,<br />

“Quello che l’uomo causa alla natura esterna, lo fa anche alla sua propria natura<br />

interna” (in Widmann, 1997, p. 110).<br />

Esiste una stretta relazione tra la necessità <strong>di</strong> un maggior contatto con la natura e<br />

il bisogno <strong>di</strong> un rapporto più autentico con se stessi. Citando Danon: ”Il<br />

progressivo isolamento dalla natura rispecchia a sua volta un crescente senso <strong>di</strong><br />

isolamento dal sé, dall’aspetto più intimo, più antico <strong>di</strong> noi stessi. Se la città è<br />

frutto ed espressione della parte più razionale e culturale dell’essere umano, la<br />

natura ne rappresenta la componente opposta e complementare, quella più<br />

animale, intuitiva” (2006).<br />

“Al concetto <strong>di</strong> verde – <strong>di</strong>ce Perussia in base ai dati rilevati – si associa anche<br />

quello <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione naturale e quasi primigenia. (…) Il verde è una vacanza<br />

dal <strong>di</strong>sagio della civiltà. È il segno che la <strong>di</strong>mensione più spontanea dell’essere<br />

umano non si è persa ma continua a esistere, seppure solo come simulacro. La<br />

natura è mancanza <strong>di</strong> costrizioni e sentimento <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza in<strong>di</strong>viduale. (…) Il<br />

verde è la <strong>di</strong>mensione naturale delle persone, è una esigenza psicofisica. Chi si<br />

specchia in lui ritrova una parte amata e quasi perduta <strong>di</strong> se stesso” (1990, p. 33 e<br />

35).<br />

97


1.1. L’esperienza del silenzio in natura<br />

Ricongiungersi all’ambiente naturale significa dunque accostarsi alla nostra<br />

natura più intima. La tranquillità silenziosa della natura libera dal pedante<br />

eccesso <strong>di</strong> informazione che occupa la nostra mente citta<strong>di</strong>na.<br />

La vita <strong>di</strong> città avvolge in un mondo chiassoso che rende <strong>di</strong>fficile esperire<br />

momenti <strong>di</strong> quiete. Il rumore che ci accompagna fedelmente è un continuo<br />

chiacchierare privo <strong>di</strong> sostanza che lascia il vuoto <strong>di</strong>etro sé e ci rende <strong>di</strong>stratti e<br />

superficiali rispetto al nostro mondo interiore.<br />

L’inquinamento acustico, seppure poco indagato ha indubbiamente raggiunto<br />

proporzioni ragguardevoli <strong>di</strong>venendo causa <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio, soprattutto sul piano<br />

emotivo e spirituale.<br />

Il silenzio <strong>di</strong>viene così un’esperienza sempre più rara e a questo dobbiamo<br />

ricondurre l’incapacità nostra a <strong>di</strong>sporsi in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> ascolto raccolto.<br />

Il silenzio inteso invece, come assenza <strong>di</strong> parola, assume nella nostra società<br />

una connotazione negativa che allontana dalla possibilità <strong>di</strong> coltivare<br />

quell’atteggiamento contemplativo e riflessivo che avvicina invece ad un<br />

rapporto autentico con le cose. (Mortari, 1994, p. 160)<br />

L’incontro con la natura può così <strong>di</strong>ventare un prezioso momento <strong>di</strong> riflessione<br />

e introspezione. In raccoglimento silenzioso possiamo dare voce al nostro<br />

sentire più autentico e prestare ascolto a sensazioni ed emozioni profonde.<br />

Uscire dall’abituale ambiente urbano inoltre può <strong>di</strong>ventare un modo per fuggire<br />

dai percorsi consueti e dai rigi<strong>di</strong> schemi mentali, adottando punti <strong>di</strong> vista<br />

<strong>di</strong>fferenti e aprendo la propria mente a orizzonti insoliti per accedere a<br />

osservazioni e intuizioni che rimarrebbero altrimenti celati negli angusti spazi<br />

urbani.<br />

1.2. La natura e gli spazi autentici dell’ essere<br />

Avventurandoci in natura esploriamo gli spazi più selvaggi e meno<br />

addomesticati del nostro mondo interiore per riavvicinarci a quella parte più<br />

autentica e spontanea del nostro essere. L’addentrarsi in natura <strong>di</strong>venta<br />

metafora <strong>di</strong> uno spingersi nel nostro intimo cosicché il ricongiungersi<br />

98


all’ambiente naturale prende il significato <strong>di</strong> un riconciliarsi al nostro essere più<br />

vero.<br />

L’ incontro con il mondo naturale risveglia in noi l’eco della nostra natura più<br />

intima <strong>di</strong>sconosciuta e tra<strong>di</strong>ta dal predominio della razionalità.<br />

La società contemporanea acclama l’egemonia dell’emisfero cerebrale sinistro<br />

razionale, logico, matematico decretando così l’assoluta preponderanza delle<br />

funzioni intellettive rispetto alla <strong>di</strong>mensione del sentire ed al mondo affettivo in<br />

generale, espressione invece dell’emisfero cerebrale destro.<br />

“Il trionfo dell’emisfero cerebrale sinistro nella persona – osserva Manzoni –<br />

corrisponde all’affermazione dell’emisfero planetario occidentale nel<br />

macrocosmo del mondo (con tutti i linguaggi espressivi che sono propri <strong>di</strong><br />

questi emisferi e che sono appunto la tecnica, la matematica, il calcolo, ecc.)”<br />

(in Widmann, 1997, p. 67-68).<br />

2. Verso una mente ecologica<br />

Bateson considera la mente come un insieme, come un sistema.<br />

“Se vogliamo usare una metafora: come un giar<strong>di</strong>no molto complesso, dove ci<br />

sono tante piante e <strong>di</strong>verse vegetazioni che noi, con i nomi del logos, chiamiamo<br />

intuizione, logica, matematica, visione, immaginazione, ecc. Per l’autore la mente<br />

è questo insieme e l’ecologia della mente è la possibilità <strong>di</strong> aprire un <strong>di</strong>alogo il più<br />

possibile equilibrato, il più possibile efficace fra queste <strong>di</strong>verse piante” (Manzoni, in<br />

Widmann, 1997, p. 66).<br />

Seguendo le tracce del pensiero <strong>di</strong> Bateson l’ecopsicologia auspica un incontro<br />

della <strong>di</strong>mensione razionale con quella affettiva dell’essere umano in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong><br />

una conciliazione tra questi due aspetti complementari.<br />

“Da questo punto <strong>di</strong> vista – sostiene Manzoni – si tratterebbe <strong>di</strong> ricentrarsi, <strong>di</strong><br />

riequilibrarsi, <strong>di</strong> contenere l’arroganza tipica dell’emisfero cerebrale sinistro ( che è<br />

in collegamento con categorie psichiche quali l’ego e il super-io) e <strong>di</strong> liberare<br />

invece delle categorie <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> spazio per forme espressive dell’emisfero<br />

cerebrale destro, cioè per il non-finalizzato, per il libero, per ciò che i bambini ci<br />

insegnano essere ancor oggi estremamente importante” (Ibidem, p. 68).<br />

99


Giungere ad un equilibrio nell’espressione delle <strong>di</strong>fferenti componenti mentali<br />

significa così per l’uomo moderno occidentale superare il predominio della ragione<br />

e ricongiungersi alla sfera del sentire, al mondo affettivo, alle arti espressive.<br />

L’ecologia della mente è per Bateson la fusione <strong>di</strong> scienza e poesia. La poesia sta<br />

a rappresentare le emozioni, il mondo affettivo, l’intuizione, l’eros, l’arte, la musica<br />

(1972, 1979).<br />

“Sono componenti fondamentali dell’uomo, – continua Manzoni – che i più recenti<br />

stu<strong>di</strong> neurofisiologici mettono ad<strong>di</strong>rittura in relazione con la cosiddetta ragione”. Il<br />

neurofisiologo Damasio, nel volume “L’errore <strong>di</strong> Cartesio”, attraverso esperimenti<br />

scientifici ridefinisce la relazione fra ragione e sentimento. Alcuni esperimenti su<br />

persone post-traumatizzate che hanno perso la funzionalità <strong>di</strong> specifiche aree<br />

cerebrali precise, <strong>di</strong>mostrano che la nostra razionalità è in collegamento <strong>di</strong>retto col<br />

sentire. Il cosiddetto cuore è dentro la mente, ne è parte integrante, forse ne è la<br />

parte principale (Ibidem, p. 66-67).<br />

3. L’incontro con la natura interiore<br />

Interrogarsi in merito alla crisi ambientale induce pertanto a riflettere sul nostro<br />

mondo interiore.<br />

Il problema ecologico narra in verità dell’incapacità dell’uomo <strong>di</strong> convivere<br />

armoniosamente con la propria natura interna. L’impegno a definire una posizione<br />

psicologica muove in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un tentato riconciliamento tra coscienza e<br />

natura.<br />

“La sfida che ci sta davanti è quella <strong>di</strong> esistere nella continuità e nella <strong>di</strong>scontinuità<br />

che legano natura e cultura: nel paradosso <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire consapevolmente, cioè<br />

culturalmente, natura. Il pianeta interno, punto <strong>di</strong> incontro tra corpo e linguaggio,<br />

tra comportamento e riflessività, è l’anello <strong>di</strong> questa connessione, la congiunzione<br />

tra terra e cielo” (Melucci, in Widmann, 1997, p. 64).<br />

Compito dell’uomo oggi appare dunque quello <strong>di</strong> instaurare un <strong>di</strong>alogo quanto più<br />

aperto e rispettoso con le espressioni <strong>di</strong> natura che lo abitano in grado <strong>di</strong><br />

contrastare l’egemonia <strong>di</strong> un atteggiamento cosciente unilaterale. Prende forma un<br />

100


lavoro introverso, riflessivo che prestando ascolto alle <strong>di</strong>vergenze <strong>di</strong>sponga<br />

l’in<strong>di</strong>viduo a farsi contenitore <strong>di</strong> contrasti.<br />

Si pone la necessità <strong>di</strong> rinunciare al controllo e dare spazio all’espressione del<br />

<strong>di</strong>sagio, in questo <strong>di</strong>alogo l’uomo può restare fedele alla propria integrità.<br />

È erroneo ritenere che focalizzare l’attenzione sulla <strong>di</strong>mensione in<strong>di</strong>viduale<br />

equivalga a sottrarsi alla vastità del problema ignorandone il valore universale<br />

perché la responsabilità collettiva germoglia da un processo <strong>di</strong> elaborazione<br />

in<strong>di</strong>viduale. In questa prospettiva il lavoro psicologico sostiene il processo <strong>di</strong><br />

maturazione etica riconoscendo ciascun in<strong>di</strong>viduo depositario del senso della vita.<br />

Saldo alla propria <strong>di</strong>mensione psicologica l’uomo assume posizione nel mondo,<br />

affrancato da logiche estrinseche e <strong>di</strong>stante da ogni forma <strong>di</strong> morale etero-<strong>di</strong>retta.<br />

“L’approfon<strong>di</strong>mento psicologico delle problematiche in<strong>di</strong>viduali si dà così come<br />

elaborazione <strong>di</strong> un senso nuovo, soggettivamente sentito, che offre ra<strong>di</strong>camento<br />

etico anche a problemi sociali ed ambientali <strong>di</strong> vasta portata” (Coman<strong>di</strong>ni, in<br />

Widmann, 1997, p. 158).<br />

La nostra interiorità partecipa del destino del mondo, il motivo del singolo si<br />

intreccia inestricabilmente alla trama dei significati più vasti dell’esistenza e questo<br />

allontana il pericolo <strong>di</strong> perdere la misura collettiva del problema perché “ogni<br />

in<strong>di</strong>viduo che sappia <strong>di</strong>alogare con le espressioni della natura interiore <strong>di</strong>viene<br />

così un tassello della consapevolezza ecologica del mondo” (Ibidem, p. 147).<br />

4. Donna e natura<br />

La dominanza dell’emisfero cerebrale sinistro corrisponde ad un’ipertrofia della<br />

<strong>di</strong>mensione maschile ad esso connessa con la susseguente sottovalutazione dei<br />

valori femminili associati all’emisfero destro. Il rifiuto della natura coincide con il<br />

ripu<strong>di</strong>o del principio femminile.<br />

“La Natura, con le sue caratteristiche <strong>di</strong> matrice e <strong>di</strong> generatrice, si pone in stretta<br />

correlazione con il principio femminile. Spesso <strong>di</strong>venta anche luogo <strong>di</strong> proiezione<br />

<strong>di</strong> atteggiamenti <strong>di</strong> squalifica, sopraffazione e devastazione che l’uomo intrattiene<br />

con il proprio femminile interno, con la propria Anima” (Widmann, 1997, p. 21).<br />

101


Nel corso della storia <strong>di</strong>fatti la donna è sempre stata associata alla natura, così<br />

come la natura è stata a sua volta sessuata al femminile. Nelle varie epoche la<br />

natura viene spesso designata con vocaboli femminili. In molte lingue <strong>di</strong> origine<br />

latina si utilizza un nome <strong>di</strong> genere femminile per riferirsi alla natura: in latino<br />

natura, in tedesco <strong>di</strong>e Natur, in francese la nature, in italiano e spagnolo la natura<br />

(Merchant, 1988, p. 36).<br />

L’accostamento della donna alla natura si regge sulla capacità <strong>di</strong> entrambe <strong>di</strong><br />

generare la vita e rappresentativa <strong>di</strong> tale connessione è l’espressione “Madre<br />

Terra”. Mentre l’uomo quale soggetto storico trascende il mondo, la donna<br />

chiamata alla riproduzione della specie è in ragione della propria funzione<br />

biologica legata alla natura. Mondo femminile e mondo della natura sono da<br />

sempre connessi dunque a livello <strong>di</strong> immaginario popolare e tale legame ha<br />

trovato rinforzo nel fatto che il lavoro delle donne ha continuamente interessato<br />

l’aspetto fisico della vita, quello appunto più vicino alla natura.<br />

Impegnata a sod<strong>di</strong>sfare i bisogni della vita quoti<strong>di</strong>ana la donna si è occupata del<br />

mangiare, della pulizia domestica, del sesso, nonché della cura dei malati e dei<br />

bambini.<br />

La relazione tra donna e natura si esprime quin<strong>di</strong> sia a livello simbolico che<br />

sociale. La mancanza <strong>di</strong> rispetto per la natura viene così dal pensiero<br />

ecofemminista accostata all’oppressione del soggetto femminile.<br />

5. Il rifiuto del principio femminile e la squalifica della donna<br />

La tesi della vicinanza della donna alla natura è affrontata dal pensiero delle autrici<br />

femministe che rintraccia l’aspetto comune a quella forma <strong>di</strong> dominazione che<br />

investe tanto il mondo femminile quanto quello naturale.<br />

“L’antica identità della natura come madre nutrice collega la storia delle donne alla<br />

storia dell’ambiente e del mutamento ecologico” (Merchant, 1988, p. 32).<br />

5.1. Superare la comparazione uomo-donna<br />

Secondo tale opinione lo scarso valore da sempre attribuito dalla cultura<br />

occidentale al mondo della natura sarebbe parallelo alla profonda svalutazione<br />

102


subita dalla figura femminile. Il concetto <strong>di</strong> gerarchia è stato impiegato nella<br />

cultura umana per giustificare la pratica della dominazione sociale,<br />

successivamente proiettata sulla natura, portando così alla concreta<br />

affermazione <strong>di</strong> un atteggiamento <strong>di</strong> dominio anche verso l’ambiente naturale.<br />

Dichiarandosi migliore e quin<strong>di</strong> superiore alla donna l’uomo maschio attesta il<br />

proprio potere schiacciando il soggetto femminile e depredandolo <strong>di</strong> ogni<br />

valore.<br />

Il maschile caricato <strong>di</strong> valore positivo viene quin<strong>di</strong> ad occupare una posizione<br />

gerarchica <strong>di</strong> assoluta supremazia rispetto al mondo femminile relegato invece<br />

ad una livello <strong>di</strong> inferiorità.<br />

La logica della comparazione che si fonda sulla separazione e quin<strong>di</strong> sulla<br />

contrapposizione dei termini nega in questo modo ogni possibilità <strong>di</strong> relazione<br />

con il <strong>di</strong>verso (<strong>di</strong> sesso, <strong>di</strong> razza, <strong>di</strong> appartenenza biologica) per lasciare<br />

spazio, al contrario, all’affermazione <strong>di</strong> un rapporto gerarchico.<br />

In tale prospettiva <strong>di</strong> pensiero la <strong>di</strong>versità viene percepita unicamente come<br />

<strong>di</strong>suguaglianza e inquadrabile quin<strong>di</strong> soltanto ricorrendo ai concetti <strong>di</strong> superiore<br />

o inferiore.<br />

5.2. Sfruttamento della donna e visione meccanicistica della scienza<br />

L’ecofemminismo si propone pertanto <strong>di</strong> indagare il nesso esistente tra il<br />

dominio maschile della donna e il dominio della natura cercando <strong>di</strong><br />

comprenderne le ra<strong>di</strong>ci comuni. In questo quadro, è possibile allora rintracciare<br />

una corrispondenza stretta tra il problema del rapporto con la natura e quello<br />

del rapporto con la donna, entrambe oggetto <strong>di</strong> prevaricazione e sopruso in<br />

ragione proprio <strong>di</strong> questa corrispondenza.<br />

Lo sfruttamento della donna e della natura trovano origine comune nella<br />

visione meccanicistica affermatasi con lo sviluppo della scienza moderna. Il<br />

para<strong>di</strong>gma meccanicistico introdotto dalla rivoluzione scientifica rimpiazza<br />

definitivamente l’immagine organicistica del reale che si era affermata sino al<br />

periodo del Rinascimento introducendo invece l’idea <strong>di</strong> una natura inerte e<br />

passiva, soggetta a leggi meccaniche svelabili solo dalla mente razionale.<br />

Precedentemente allo sviluppo dell’industrializzazione, l’immagine impiegata<br />

per rappresentare il Sé, la Società ed il Cosmo era quella dell’Organismo.<br />

103


Mentre il mondo viene meccanizzato e industrializzato, dunque scompare così<br />

la metafora della natura quale organismo vivente su cui si erigeva la stessa<br />

indagine scientifica del passato che aveva garantito un atteggiamento <strong>di</strong><br />

assoluto rispetto nei confronti del mondo naturale al punto da costituire un<br />

efficace controllo etico. La natura percepita come entità viva veniva infatti<br />

considerata sacra ed era perciò impensabile usarle violenza.<br />

Nell’epoca moderna, ormai considerata materia senz’anima e privata del<br />

principio vitale femminile che le è proprio la natura si presta invece a venire<br />

manipolata e violata dalla mano dell’uomo. Come afferma Merchant:<br />

“dobbiamo riesaminare il formarsi <strong>di</strong> una visione del mondo e <strong>di</strong> una scienza<br />

che, riconcettualizzando la realtà come una macchina anziché come un<br />

organismo vivente, sanzionò il dominio dell’uomo sia sulla natura sia sulla<br />

donna” (1988, p. 33).<br />

Come sostiene ancora Mortari: “alla ra<strong>di</strong>ce, quin<strong>di</strong>, della logica del dominio che<br />

ha portato alla cancellazione del femminile e insieme ha legittimato lo<br />

sfruttamento della natura, c’è un linguaggio maschile che per parlare della<br />

natura nei termini <strong>di</strong> una forza negativa e <strong>di</strong> un meccanismo controllabile<br />

utilizza un linguaggio declinato al femminile, contribuendo così a rafforzare<br />

un’immagine negativa della donna. Sottraendo vitalità alla natura, si<br />

depotenzia anche la figura femminile; e mentre <strong>di</strong>venta legittimo sottomettere<br />

la natura in quanto macchina, altrettanto si può fare nei confronti della donna,<br />

anch’essa, come la natura, confinata nella <strong>di</strong>mensione della semplice<br />

materialità priva <strong>di</strong> sostanza pensante” (1998, p. 132).<br />

6. La crisi dei valori maschili<br />

“La svalutazione del principio femminile mostra i suoi segni ancora ai nostri tempi,<br />

in cui la donna, con fatica, sta cercando <strong>di</strong> conquistare la sua <strong>di</strong>gnità. In questa<br />

<strong>di</strong>fficile lotta per l’uguaglianza materiale e intellettuale con l’uomo, la donna perde<br />

a volte <strong>di</strong> vista la ricerca interiore e la realizzazione delle sue qualità femminili, che<br />

sono complementari allo spirito maschile. Quando però riesce a realizzarsi, la<br />

donna si rende conto che la qualità più alta del principio femminile è la ‘sapientia’,<br />

legata al sentimento e all’eros, non la cultura intellettuale e tecnica, nella quale lo<br />

104


spirito maschile tanto s’ingegna: questa cultura, separata dal sentimento - cioè<br />

dalla funzione <strong>di</strong> valore etico - porta agli esiti devastanti che oggi possiamo<br />

vedere” (Mazzarella, 1991, p. 58).<br />

Il <strong>di</strong>ssesto ecologico pone fine all’abbaglio <strong>di</strong> uno sviluppo irrefrenabile scalzato<br />

dalla dura consapevolezza della deperibilità delle risorse naturali e ora non resta<br />

che curare le lesioni <strong>di</strong> un pianeta danneggiato e ferito.<br />

La crisi ambientale porta in primo piano l’esigenza <strong>di</strong> valori femminili e materni per<br />

far fronte alla delicata situazione che minaccia il nostro mondo. La storia politica<br />

ed economica si fa testimone inappuntabile dell’ormai irreversibile eclissi dei valori<br />

maschili connessi alla società patriarcale segnando il fallimento <strong>di</strong> qualità come la<br />

competitività, la gerarchia, la conquista, lo sviluppo. Sembra dunque doversi fare<br />

spazio l’emergere <strong>di</strong> caratteristiche femminili legate all’accoglienza, l’amore, la<br />

cura.<br />

“Da sempre – afferma Vegetti – le donne si sono occupate <strong>di</strong> mettere al mondo,<br />

allevare, accu<strong>di</strong>re, far crescere, tenere insieme, curare, confortare, assistere,<br />

aiutare a morire uomini e donne, nonché <strong>di</strong> preservarne il ricordo. Per quanto<br />

riguarda le cose, la loro funzione è stata quella <strong>di</strong> raccogliere, pulire, conservare,<br />

<strong>di</strong>stribuire, riparare, mantenere, recuperare e riciclare. Proprio le virtù <strong>di</strong> cui<br />

sembra aver bisogno la nostra società e il nostro mondo. Ma è il loro esercizio che<br />

deve cambiare, perdere la forma invisibile e subalterna che ha sempre avuto, per<br />

assumere <strong>di</strong>gnità, valore e, non ultimo, venir con<strong>di</strong>viso da tutti” (1999, p. 62).<br />

Il principio femminile deve quin<strong>di</strong> porsi alla guida del processo <strong>di</strong> connessione. “Il<br />

femmineo è più capace <strong>di</strong> connettere; il maschile ha caratteristiche forti <strong>di</strong><br />

verticalità, <strong>di</strong> tensione all’eccellenza, ma è meno capace <strong>di</strong> farsi cerchio che tiene<br />

insieme. La donna, con le sue caratteristiche psicologiche e biologiche, ha questa<br />

possibilità. Il femminile ( anche quello presente nell’uomo) deve assumere la<br />

responsabilità etica <strong>di</strong> aiutare l’umanità in un nuovo salto evolutivo della sua<br />

coscienza” (Manzoni, in Widmann, 1997, p. 70).<br />

7. Verso una nuova saggezza<br />

“Il problema per eccellenza, il problema sopra il quale tutti gli altri poggiano, e che<br />

ci interessa più profondamente <strong>di</strong> ogni altro, è lo stabilire quale posto l’uomo<br />

105


occupi nella natura e quale rapporto egli abbia con il mondo che lo circonda”<br />

(Huxley, 1863, in Mortari, 1994, p. 129).<br />

Il <strong>di</strong>sastro ecologico è espressione della profonda inadeguatezza etica che segna<br />

la nostra civiltà. Se assumiamo che la saggezza sia legata all’armonia e antitetica<br />

invece alla <strong>di</strong>struzione possiamo senza esitazione affermare che l’uomo moderno<br />

ha rinnegato l’ideale della saggezza. Al consistente sviluppo della razionalità<br />

tecnica che ci ha condotto ad un vertiginoso progresso tecnologico non abbiamo<br />

saputo accompagnare una parallela maturazione umanistica e al contrario<br />

dobbiamo constatare una consistente assenza <strong>di</strong> valori.<br />

Come afferma Mortari “ciò che è drammatico è la sproporzione tra lo sviluppo<br />

della scienza e della tecnologia e il grado <strong>di</strong> saggezza <strong>di</strong> cui l’essere umano ha<br />

bisogno per usare con la giusta misura il suo potere” (1998, p. 11).<br />

L’aspetto più preoccupante del nostro attuale stile <strong>di</strong> vita è rappresentato da una<br />

generale assenza <strong>di</strong> riflessione. “La mancanza <strong>di</strong> pensiero (...) mi sembra tra le<br />

principali caratteristiche del nostro tempo. Quello che mi propongo perciò è molto<br />

semplice: niente <strong>di</strong> più che pensare a ciò che facciamo” (Arendt, 2006).<br />

Dal nostro mondo è svanita quella capacità <strong>di</strong> pensare che fa da premessa<br />

insostituibile ad un agire coscienzioso e responsabile. “Si coltiva il desiderio <strong>di</strong><br />

conoscere e la tensione ad agire allo scopo <strong>di</strong> trasformare le con<strong>di</strong>zioni della<br />

realtà, ma si <strong>di</strong>mentica l’importanza <strong>di</strong> fermarsi a pensare” (Mortari, 1994, p. 126).<br />

Questa mancanza <strong>di</strong> riflessione assume il significato <strong>di</strong> un incapacità <strong>di</strong><br />

soffermarsi sulla ricerca del senso della propria esistenza a partire da cui è<br />

possibile decidere che <strong>di</strong>rezione far assumere alla propria vita. L’uomo moderno<br />

sembra aver smarrito ogni valido riferimento in grado <strong>di</strong> guidare il proprio<br />

comportamento e in<strong>di</strong>rizzare le proprie scelte. In questa situazione <strong>di</strong> confusione e<br />

<strong>di</strong>sorientamento morale si rende forte la necessità <strong>di</strong> un saldo orientamento etico<br />

che porti a reimpostare su nuove basi la nostra relazione con la Terra.<br />

Il <strong>di</strong>sastro ambientale è il sintomo dell’inettitu<strong>di</strong>ne dell’uomo a interrogarsi sul<br />

senso della propria vita, e con esso a rintracciare il significato della sua relazione<br />

con le cose. Seguendo il pensiero <strong>di</strong> Heidegger la crisi ecologica può essere<br />

intesa come smarrimento del senso dell’abitare la terra. Ossia incapacità<br />

dell’uomo moderno <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tare il senso dell’esperienza del mondo e rendersi<br />

responsabile artefice della progettazione della propria esistenza. La ragione<br />

scientifica e tecnica (che Heidegger definisce ragione calcolante) riduce la natura<br />

106


ad oggetto d’indagine unicamente per motivi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne utilitaristico sottraendola ad<br />

ogni interrogazione filosofica.<br />

È esattamente questa mancata riflessione a trasformare la natura in mera risorsa<br />

da sfruttare deprivata <strong>di</strong> ogni insito significato perché considerata soltanto in<br />

funzione del nostro tornaconto. Occorre dunque recuperare quella <strong>di</strong>sposizione<br />

contemplativa che fa da presupposto al pensare riflessivo. Il riferimento è ad un<br />

pensare che abbraccia la concretezza della quoti<strong>di</strong>anità e tutt’altro che allontanare<br />

dalla consistenza della vita si sofferma sull’imme<strong>di</strong>atezza dell’esperienza. (Mortari,<br />

1994, p. 126).<br />

Come <strong>di</strong>ce Mortari “pensare non significa porsi col pensiero lontano dalla realtà<br />

concreta quoti<strong>di</strong>ana, ma soffermare l’attenzione sulle cose che abbiamo<br />

dappresso, riflettere attorno a quanto ci tocca più da vicino e riguarda ciascuno <strong>di</strong><br />

noi “qui ed ora” (Ibidem, p. 128).<br />

Si tratta dunque <strong>di</strong> soffermarsi sul senso dell’esperienza per ritagliare nuovi<br />

orizzonti <strong>di</strong> significato al cui interno or<strong>di</strong>nare la relazione uomo natura.<br />

7.1. La fiducia sconsiderata nella scienza e nella tecnologia<br />

Forse possiamo inquadrare nell’attuale orientamento conoscitivo la<br />

spropositata fiducia che il pensiero ambientalista nutre verso il sapere<br />

scientifico. Emblematica è la <strong>di</strong>sposizione ad elaborare proposte d’intervento<br />

che risentono <strong>di</strong> una rigida impostazione tecnico scientifica che non giunge a<br />

riconoscere in profon<strong>di</strong>tà la questione.<br />

È indubbiamente necessaria una conoscenza scientificamente fondata dei<br />

problemi connessi al degrado ambientale ma è errato pensare <strong>di</strong> potersi<br />

affidare unicamente a soluzioni veloci e insostanziali dal momento che la crisi<br />

ecologica presenta cause <strong>di</strong>verse e decisamente più complicate. La scienza<br />

indubbiamente offre la possibilità <strong>di</strong> spiegare, interpretare e dominare il mondo,<br />

ma non possiamo pretendere <strong>di</strong> assegnarle la funzione <strong>di</strong> guida nella ricerca <strong>di</strong><br />

senso alla nostra relazione con le cose.<br />

Rimane fallace ogni tentativo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nella scienza la depositaria <strong>di</strong> verità<br />

assoluta perché è nell’intimo <strong>di</strong> una riflessione introversa che l’uomo può<br />

in<strong>di</strong>rizzarsi nella scelta della rappresentazione del mondo più adeguata la sola<br />

in grado <strong>di</strong> orientare eticamente il proprio agire. La verità oggettiva e universale<br />

107


non appartiene all’essere umano i cui <strong>di</strong>scorsi non possono che essere<br />

inevitabilmente parziali. L’impossibilità <strong>di</strong> un sapere definitivo e certo informa<br />

dunque dell’urgenza <strong>di</strong> un agire che sia sempre oggetto <strong>di</strong> riflessione critica<br />

eticamente informata.<br />

7.2. Superare l’attuale frammentazione del sapere<br />

Non si intende certo ridurre a nulla i contributi offerti dalla scienza ma<br />

unicamente evidenziare la sua insufficienza a decidere i criteri in base ai quali<br />

regolare il rapporto dell’essere umano con l’ambiente naturale. La crisi<br />

ecologica si profila nei termini <strong>di</strong> una problematica articolata che non può<br />

essere affrontata in tempi brevi e attraverso soluzioni parziali e tra loro slegate.<br />

La complessità del problema richiede che venga inquadrato in una prospettiva<br />

globale e sistemica che aiuti a definirlo interamente.<br />

L’elaborazione <strong>di</strong> una nuova etica ambientale esige dunque <strong>di</strong> superare la<br />

frammentazione del sapere e la parzialità delle strategie, per non fissarsi<br />

nell’antinomia tra scienza e coscienza, nell’opposizione tra atteggiamenti<br />

scientifici e atteggiamenti emotivi.<br />

8. Conoscere al femminile<br />

“Vedere e conoscere un posto è un atto contemplativo, significa svuotare la mente<br />

e lasciare che vi entri ciò che esiste in quel posto in tutta la sua molteplicità e<br />

infinita varietà” (Ehrlich, 2006).<br />

8.1. Evelyn Fox Keller e Barbara McClintock: una scienza al femminile<br />

Significativa in merito alle nostre considerazioni è la riflessione che vede le<br />

donne da sempre estraniate dal mondo della scienza.<br />

Di rilievo in questo contesto è la figura <strong>di</strong> Evelyn Fox Keller, scienziata e<br />

filosofa che ha de<strong>di</strong>cato la sua trattazione agli aspetti psicologici, filosofici e<br />

108


storici del pensiero scientifico. Esponente <strong>di</strong> maggior rilievo in quell’ambito <strong>di</strong><br />

ricerca che è stato definito epistemologia femminista la Fox Keller ha in<strong>di</strong>cato<br />

le connessioni tra genere e scienza evidenziando il resistente <strong>di</strong>stacco che<br />

separa i concetti <strong>di</strong> scienza e femminilità considerati dalla cultura occidentale<br />

quali termini in opposizione.<br />

“Mentre la scienza è venuta a significare oggettività, ragione, freddezza,<br />

potere, la femminilità ha assunto il significato <strong>di</strong> tutto ciò che non appartiene<br />

alla scienza: soggettività, sentimento, passione, impotenza” (Sesti e Moro,<br />

1999).<br />

In un suo celebre saggio “In sintonia con l’organismo” che le ha valso la<br />

notorietà internazionale, la Fox Keller racconta il lavoro della genetista Barbara<br />

McClintock, premio Nobel per la Me<strong>di</strong>cina nel 1983 che con le sue ricerche ha<br />

rivoluzionato la genetica classica. Il testo che rende un ritratto insolito e curioso<br />

della McClintock descrive il metodo seguito dalla genetista che appare<br />

<strong>di</strong>scostarsi sostanzialmente dal classico para<strong>di</strong>gma dell’oggettività scientifica.<br />

La singolarità del suo proce<strong>di</strong>mento risiede nella ricerca <strong>di</strong> una sintonia con<br />

l’organismo oggetto <strong>di</strong> indagine. Lo sguardo della McClintock è volto a cogliere<br />

le <strong>di</strong>fferenze e i particolari, sensibile a quelle che sono le peculiarità <strong>di</strong> ciascun<br />

organismo e le qualità <strong>di</strong>stintive. Così si esprime: “la cosa importante è<br />

sviluppare la capacità <strong>di</strong> vedere che un seme è <strong>di</strong>verso dagli altri, e capire<br />

perché e in che cosa consiste questa <strong>di</strong>fferenza” (in Fox Keller, 1987).<br />

Attenta ad ogni dettaglio, la McClintock cerca <strong>di</strong> rintracciare il significato <strong>di</strong> ogni<br />

anomalia. “Se qualcosa non torna, - afferma - c’è una ragione, e si tratta <strong>di</strong><br />

scoprirla”. Ritiene che ancorarsi alle classi e ai numeri induca a trascurare e<br />

ignorare le <strong>di</strong>fferenze in questo modo etichettate come “eccezioni, aberrazioni,<br />

contaminazioni. Destra e sinistra – <strong>di</strong>ce riferendosi ai ricercatori – è la loro<br />

preoccupazione; e così facendo non si accorgono <strong>di</strong> ciò che succede<br />

veramente!” (in Fox Keller, 1987).<br />

Essenziale a suo parere è saper prestare ascolto al materiale svincolandosi da<br />

immagini o modelli interpretativi precostituiti. “Non esistono due piante<br />

esattamente uguali. – afferma - ciascuna è <strong>di</strong>versa e <strong>di</strong> conseguenza è<br />

necessario riconoscere quelle <strong>di</strong>fferenze. Io comincio con la piantina ancora<br />

piccola e non voglio lasciarla. Non ho la sensazione <strong>di</strong> conoscerne la storia se<br />

non ho avuto modo <strong>di</strong> osservarla durante la crescita. Così conosco ogni pianta<br />

109


del campo. Le conosco intimamente, e ricavo un immenso piacere dalla loro<br />

conoscenza” (Fox Keller, 1987).<br />

Le straor<strong>di</strong>narie scoperte sul DNA del mais della McClintock non hanno<br />

precedenti. Le sue ricerche sulla citogenetica la portarono a formulare concetti<br />

così ra<strong>di</strong>cali che i suoi stessi colleghi mostrarono <strong>di</strong>fficoltà ad accoglierli. Gli<br />

eccezionali risultati conseguiti non sono l’esito <strong>di</strong> semplici interpretazioni e<br />

speculazioni bensì derivano da una straor<strong>di</strong>naria capacità <strong>di</strong> osservazione e<br />

comprensione della natura che trova il proprio fondamento nell’acuta ed<br />

esclusiva percezione <strong>di</strong>retta dei fenomeni naturali. Fondamentale è a suo<br />

parere imparare a guardare, sviluppare la pazienza necessaria ad ascoltare ciò<br />

che le cose hanno da <strong>di</strong>re per stabilire una “sintonia con l’organismo”.<br />

Costituendosi quin<strong>di</strong> sulla identificazione con l’oggetto <strong>di</strong> ricerca, l’indagine<br />

scientifica <strong>di</strong> Barbara McClintock prospetta una <strong>di</strong>versa relazione tra soggetto<br />

ricercatore e oggetto indagato.<br />

Evelyn Fox Keller identifica in questo proce<strong>di</strong>mento d’indagine una modalità<br />

specificamente femminile <strong>di</strong> accostarsi al sapere scientifico. La riflessione della<br />

Fox Keller, come sostiene Vegetti, “è molto importante perché in<strong>di</strong>vidua la<br />

possibilità <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa conoscenza del mondo vivente e dei processi<br />

naturali, basata sulla prossimità piuttosto che sulla estraniazione oggettivante,<br />

sulla osservazione empatica piuttosto che sulla manipolazione trasformativa.<br />

Questa prospettiva recupera il corpo, i suoi processi vitali, come strumento del<br />

conoscere, ma è molto <strong>di</strong>fficile per le donne definirsi attraverso il corpo perché<br />

questa <strong>di</strong>mensione è stata sempre utilizzata per giustificare e perpetuare la<br />

loro esclusione dall’ambito della società e della cultura. Ma ora la sfida è<br />

proprio quella <strong>di</strong> congiungere il corpo con la mente, la materia con lo spirito, il<br />

mondo della vita con quello dei simboli” (1999, p. 169).<br />

Si tratta dunque <strong>di</strong> un conoscere che risveglia il contatto vitale del nostro corpo<br />

con il mondo e si affida alla <strong>di</strong>mensione percettiva e intuitiva dell’esperienza<br />

che apre all’imme<strong>di</strong>atezza della relazione con l’ambiente.<br />

Il metodo <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> Barbara McClintock rappresenta uno specifico approccio<br />

femminile ai fenomeni naturali che si esprime nella volontà <strong>di</strong> abbracciare il<br />

mondo nella sua vera essenza attraverso e oltre la ragione scientifica. Come<br />

suggerisce Mortari “l’enfasi quantitativa che fonda la conoscibilità <strong>di</strong> un oggetto<br />

su un procedere <strong>di</strong>staccato, che si affida essenzialmente a sistemi <strong>di</strong><br />

110


co<strong>di</strong>ficazione dell’esperienza definiti a priori, non consente <strong>di</strong> prestare<br />

attenzione a certi dettagli, a quelle qualità che, apparentemente insignificanti,<br />

rappresentano, invece, fecon<strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi per una piena comprensione dell’oggetto<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o” (1994, p. 219).<br />

La mera razionalità scientifica non è appropriata dunque a rendere la<br />

complessità del mondo naturale e nessun modello interpretativo può cogliere<br />

l’infinita molteplicità del reale che sfugge invece ad ogni tentativo <strong>di</strong><br />

classificazione. Al contrario “negli organismi puoi trovare tutto ciò che ti riesce<br />

<strong>di</strong> pensare (….) qualunque cosa tu possa pensare, la troverai” (Fox Keller,<br />

1987).<br />

8.2. Conoscere con empatia<br />

Dunque la nostra intelligenza scientifica scompare a confronto con<br />

l’ingegnosità della natura.<br />

Aggiunge Mortari: “fondamentale in ogni percorso <strong>di</strong> ricerca è, infatti, non solo<br />

la consapevolezza, ma anche la piena accettazione dei limiti dell’intelletto<br />

umano e quin<strong>di</strong> dei suoi para<strong>di</strong>gmi conoscitivi, che per quanto raffinati essi<br />

possano apparire, sono sempre inadeguati rispetto alla complessità della<br />

natura, che supera <strong>di</strong> gran lunga qualsiasi capacità <strong>di</strong> immaginazione” (1994,<br />

p. 219).<br />

Quel sapere scientifico che rinuncia allora ad un ascolto aperto e non<br />

prevenuto e all’osservazione paziente e sensibile <strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>zio rimane una<br />

formulazione astratta che, <strong>di</strong>stante dall’esperienza si scolla quin<strong>di</strong> dalla realtà.<br />

Considerando la finitezza della ragione scientifica si apre dunque la possibilità<br />

<strong>di</strong> rinunciare all’illusione <strong>di</strong> inquadrare il mondo entro i <strong>di</strong>spositivi della<br />

cognizione per orientarsi invece verso altre alternative conoscitive in grado <strong>di</strong><br />

avvicinare la ricchezza del reale.<br />

L’esperienza della McClintock testimonia la possibilità <strong>di</strong> un incontro autentico<br />

con il mondo che sospende la tendenza ad anticipare l’esperienza e or<strong>di</strong>nare la<br />

realtà entro categorie predefinite che impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> coglierne le infinite<br />

sfumature. La <strong>di</strong>sponibilità ad aprirsi all’incontro con il mondo naturale per<br />

lasciarsi assorbire dall’oggetto in un atteggiamento <strong>di</strong> ascolto profondo<br />

consente allora <strong>di</strong> sottrarsi alla preve<strong>di</strong>bilità che cattura l’esperienza entro<br />

111


versioni <strong>di</strong> significato già stabilite e <strong>di</strong>rigersi verso sconosciuti orizzonti<br />

interpretativi e nuove prospettive <strong>di</strong> comprensione.<br />

Ritrovare la <strong>di</strong>mensione dell’ascolto significa rinunciare alle descrizioni già<br />

formulate e ai criteri d’interpretazione predefiniti che cancellano l’esperienza<br />

originaria delle cose e non danno spazio ad altri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vedere. È possibile<br />

invece guardare alle cose con <strong>di</strong>stanza e <strong>di</strong>screzione senza la pretesa <strong>di</strong><br />

sovrapporre la realtà al proprio or<strong>di</strong>ne mentale. Si tratta <strong>di</strong> riservare<br />

un’attenzione <strong>di</strong>sinteressata al mondo che lontana dal principio dell’utilità e<br />

della convenienza <strong>di</strong>spone ad un atteggiamento contemplativo libero da quelle<br />

intenzioni <strong>di</strong> dominio che vedono l’oggetto soltanto in funzione dei propri<br />

interessi.<br />

È possibile dunque <strong>di</strong>stinguere una ricerca scientifica fondata sulla<br />

compassione e sul rispetto per l’essere vivente.<br />

8.3. Entrare in relazione con la natura nel rispetto della propria in<strong>di</strong>vidualità<br />

Questa forma <strong>di</strong> conoscenza partecipata che avvicina ad una relazione intensa<br />

con la natura non va confusa con una esperienza <strong>di</strong> assoluta unità e fusione<br />

con il mondo che arrivando a sbia<strong>di</strong>re i confini tra soggetto ed oggetto annulla i<br />

limiti dell’identità personale.<br />

Al contrario, come afferma Mortari: “L’esperienza emblematica <strong>di</strong> B.<br />

McClintock, (…) rappresenta un valido esempio <strong>di</strong> come sia possibile rischiare<br />

la soppressione dei confini tra soggetto e oggetto, senza che questo<br />

pregiu<strong>di</strong>chi la rigorosità del processo d’indagine e la sua atten<strong>di</strong>bilità<br />

scientifica” (1994, p. 221).<br />

Il sentimento <strong>di</strong> compartecipazione e <strong>di</strong> empatia che pone in forte connessione<br />

con gli altri organismi e genera un senso <strong>di</strong> comunione con le altre forme <strong>di</strong> vita<br />

garantisce al contempo quella <strong>di</strong>stanza essenziale a mantenere il senso della<br />

propria in<strong>di</strong>vidualità così da escludere ogni confusione ontologica tra sé e<br />

l’altro. Lungi dal condurre ad una sorta <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenziazione quin<strong>di</strong> questo<br />

approccio porta ad una <strong>di</strong>versa interpretazione dell’oggettività scientifica senza<br />

implicare una rinuncia agli strumenti della scienza volti a conseguire un sapere<br />

oggettivo e sistematico.<br />

112


La sintonia e la partecipazione emotiva accompagnate al processo <strong>di</strong><br />

osservazione sistematica aprono così ad una visione più ampia dell’oggetto <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o e arricchiscono il processo d’indagine escludendo il rischio <strong>di</strong><br />

comprometterne l’atten<strong>di</strong>bilità e la rigorosità (Mortari, 1994, p. 220).<br />

Contrapporre soggetto e oggetto significa al contrario misconoscere il<br />

coinvolgimento soggettivo e ridurre il processo <strong>di</strong> costruzione della conoscenza<br />

ad un impersonale progresso verso la verità. Ne deriva una scienza priva <strong>di</strong><br />

sentimento e coinvolgimento emotivo che avvicina l’oggetto <strong>di</strong> ricerca con<br />

assoluta in<strong>di</strong>fferenza. Ritrovando il rapporto sensoriale con il mondo è possibile<br />

riallacciarsi alla <strong>di</strong>mensione emotiva e intuitiva dell’esperienza recuperandone<br />

il vissuto soggettivo.<br />

Si tratta <strong>di</strong> ricucire la prospettiva cognitiva e quella emotiva dell’esistenza<br />

perché è assurdo <strong>di</strong>sgiungere processo razionale e processo affettivo così<br />

come non può esserci un sapere della mente estraneo al sapere del corpo.<br />

Concludendo con le parole <strong>di</strong> Mortari: “nella riflessione epistemologica<br />

contemporanea è invece ampiamente con<strong>di</strong>visa la tesi secondo la quale<br />

l’intrusione del soggettivo nella forma della compartecipazione empatica nel<br />

corso del processo <strong>di</strong> costruzione della conoscenza, che ha per oggetto il<br />

mondo della natura, non solo non pregiu<strong>di</strong>ca la rigorosità del processo<br />

d’indagine, che deve essere costitutivamente teso alla costruzione <strong>di</strong> un<br />

sapere oggettivo e sistematico, ma anzi costituisce la con<strong>di</strong>zione per<br />

l’emergere <strong>di</strong> un approccio conoscitivo veramente ecologico, in quanto l’azione<br />

epistemica si realizza in questo caso come unità <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> razionalità ed<br />

affettività, dove il soggetto incontra le cose attraverso un pensare che è anche<br />

un sentire” (Ibidem, p. 216).<br />

113


CAPITOLO SETTIMO<br />

ECOPSICOLOGIA:<br />

GLI EFFETTI BENEFICI DELLA NATURA<br />

SULLA SALUTE DELL’UOMO<br />

114


1. Lo stress ambientale<br />

L’esperienza <strong>di</strong> natura rappresenta soprattutto l’occasione per riscoprire<br />

un’esistenza più tranquilla, genuina lontano dal rumore, dall’inquinamento e dalla<br />

confusione che ci assilla costantemente. Immersi nel contatto con la natura<br />

sfuggiamo alla frenesia della città lasciandoci guidare dai ritmi naturali della vita.<br />

Nell’ambito della psicologia ambientale, gli stu<strong>di</strong> relativi al contesto urbano<br />

conducono alla definizione del concetto <strong>di</strong> stress ambientale per in<strong>di</strong>care gli effetti<br />

negativi che riversano sugli in<strong>di</strong>vidui quei fattori legati alle attuali con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita<br />

in città. Vengono in<strong>di</strong>viduati quali principali stressori ambientali: il rumore,<br />

l’inquinamento dell’aria, l’affollamento, il traffico, le variazioni <strong>di</strong> temperatura<br />

(Peron e Saporiti,1995).<br />

A livello fisiologico lo stress ambientale influisce sull’attivazione del sistema<br />

nervoso autonomo (aumento della pressione sanguigna, della conduttanza<br />

cutanea, della frequenza respiratoria, della tensione muscolare, variazione del<br />

battito car<strong>di</strong>aco) e agisce sull’attività ormonale (aumento delle catecolamine e dei<br />

corticosteroi<strong>di</strong> nel sangue) (Evans e Cohen,1987).<br />

Lo stress inoltre influenza negativamente la prestazione dei soggetti in compiti<br />

cognitivi che coinvolgono l’attenzione, la memoria a breve termine, la memoria<br />

incidentale (Hockey,1979).<br />

Le conseguenze dello stress si estendono poi anche alle relazioni interpersonali e<br />

agli affetti. In particolare è stato <strong>di</strong>mostrato che in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress recede il<br />

livello <strong>di</strong> altruismo e <strong>di</strong> cooperazione tra gli in<strong>di</strong>vidui e si registra un incremento<br />

delle condotte aggressive (Cohen,1980).<br />

1.1. L’abitu<strong>di</strong>ne al degrado ambientale<br />

L’incontro con il mondo naturale consente così <strong>di</strong> venire a conoscenza <strong>di</strong> altri<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> esistenza più sod<strong>di</strong>sfacenti e più salutari. In questo modo possiamo<br />

accorgerci che il nostro stile <strong>di</strong> vita non è il solo possibile. Occorre <strong>di</strong>struggere<br />

l’idea ra<strong>di</strong>cata che esista un’unica prospettiva già stabilita che non ammette<br />

alternative. Difatti solo la consapevolezza dell’esistenza <strong>di</strong> altre attuabili realtà<br />

può motivare ad adoperarsi in vista <strong>di</strong> un concreto cambiamento. Spesso è la<br />

mancata esperienza <strong>di</strong> migliori opportunità esistenziali a indurre un<br />

115


atteggiamento passivo <strong>di</strong> rassegnata accettazione delle vigenti con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

vita.<br />

Del resto vivendo quoti<strong>di</strong>anamente in contesti <strong>di</strong> degrado ambientale è<br />

pressoché inevitabile abituarsi a tali con<strong>di</strong>zioni. Siamo ormai adattati a vivere in<br />

ambienti malsani, nocivi per la nostra salute che non ci accorgiamo neanche<br />

più <strong>di</strong> quelle gravi forme <strong>di</strong> inquinamento che riducono notevolmente la qualità<br />

della nostra vita. Gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> psicologia ambientale che indagano gli effetti a<br />

lunga scadenza dello stress ambientale verificabili dopo ripetute o prolungate<br />

esposizioni al fattore stressante mostrano quello che viene definito fenomeno<br />

<strong>di</strong> adattamento allo stress (Evans e Cohen, 1987).<br />

Una prima forma <strong>di</strong> adattamento è rappresentata dall’abitu<strong>di</strong>ne alla situazione<br />

stressante che comporta un conseguente decremento nella risposta del<br />

soggetto. In questo caso accade che l’in<strong>di</strong>viduo si abitua allo stimolo<br />

<strong>di</strong>sturbante e la sua sensibilità alla fonte <strong>di</strong> stress si riduce. “è quello che<br />

succede - <strong>di</strong>ce Baroni - quando una persona abituata a vivere in un ambiente<br />

rumoroso si adatta e non soffre quasi più se deve dormire in una stanza che dà<br />

su una strada piena <strong>di</strong> traffico, come se lo stress si fosse in qualche modo<br />

cronicizzato” (Baroni, 1998, p. 144).<br />

La situazione <strong>di</strong> degrado dunque che accompagna il nostro vivere quoti<strong>di</strong>ano<br />

finisce così per <strong>di</strong>ventare normale, un presupposto naturale a cui non si presta<br />

neanche più caso. In conseguenza <strong>di</strong> ciò si arriva a tollerare ogni forma <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssesto ambientale e ogni bruttezza paesaggistica.<br />

Una secondo tipo <strong>di</strong> adattamento consiste inoltre nella generalizzazione della<br />

risposta a quelle circostanze che in realtà non ne presentano la necessità. “Per<br />

restare nell’esempio del rumore, - continua Baroni - è possibile che l’in<strong>di</strong>viduo<br />

generalizzi le risposte al rumore anche a situazioni in cui non ce n’è bisogno,<br />

attutendo la sua sensibilità agli stimoli u<strong>di</strong>tivi anche in situazione <strong>di</strong> quiete<br />

(come se <strong>di</strong> notte si mettesse dei tappi nelle orecchie e <strong>di</strong>menticasse <strong>di</strong><br />

toglierseli al mattino)” (Ibidem).<br />

Come terzo gruppo <strong>di</strong> effetti a lunga scadenza sono da includere infine i<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni psicologici e fisici. Esistono ricerche confermate che <strong>di</strong>mostrano che<br />

la probabilità <strong>di</strong> contrarre il raffreddore, l’influenza, e le infezioni batteriche<br />

aumenta a seguito <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> stress (Cohen,Tyrrell e Smith, 1991; Cohen<br />

e Williamson, 1991).<br />

116


Tra gli effetti a lunga scadenza inoltre si registrano anche possibili<br />

comportamenti aggressivi e vandalici (Moser,1992)<br />

2. La preferenza per gli ambienti naturali<br />

Eppure <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong> scientifici <strong>di</strong>mostrano inequivocabilmente che l’uomo pre<strong>di</strong>lige<br />

gli ambienti naturali a quelli costruiti. Diverse ricerche confermano che i paesaggi<br />

naturali con presenza <strong>di</strong> vegetazione ed eventualmente <strong>di</strong> acqua sono in assoluto<br />

preferiti ai luoghi urbani o comunque e<strong>di</strong>ficati (Herzog 1989; Herzog e Bosley<br />

1992; Kaplan, Kaplan e Wendt 1972; Zube 1991; Thayer e Atwood, 1978;<br />

Anderson e Mulligan, 1983; Schroeder e Cannon, 1983; Kaplan, Kaplan e Brown,<br />

1989).<br />

Per quanto concerne l’ambiente urbano è riscontrato che strade fiancheggiate da<br />

alberi e cespugli ver<strong>di</strong> ricevono dai soggetti una valutazione affettiva più alta<br />

(Sheets e Manzer,1991). Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sheets e Manzer si è servito delle immagini<br />

<strong>di</strong> un quartiere realizzate in precedenza e in seguito all’aggiunta <strong>di</strong> verde.<br />

Gold (1977b) riferisce <strong>di</strong> un vero e proprio ”bisogno comportamentale <strong>di</strong> contatto<br />

con gli alberi in città”. La preferenza <strong>di</strong> verde rappresenta inoltre uno dei fattori che<br />

influiscono in modo più <strong>di</strong>retto sulla sod<strong>di</strong>sfazione residenziale degli abitanti <strong>di</strong> una<br />

città (Schroeder e Cannon, 1983; Buhyoff, Gauthier, Wellman, 1984; Perussia,<br />

1989; Bianchi e Perussia,1986).<br />

2.1. Due teorie a confronto<br />

Rispetto a questa preferenza sono state proposte due teorie esplicative: una<br />

prima evoluzionistica (Balling e Falk, 1982; Kaplan, 1987) e una seconda<br />

costruttivista (Lyons, 1983; Tuan, 1971).<br />

La prima posizione rintraccia il significato dell’ambiente naturale in una<br />

prospettiva evolutiva che dà risalto all’importanza della vegetazione per la<br />

sopravvivenza della specie. I ver<strong>di</strong> paesaggi naturali espressione <strong>di</strong><br />

117


abbondanza <strong>di</strong> risorse sarebbero per l’uomo rimasti associati alla sicurezza <strong>di</strong><br />

preservare la vita.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista evolutivo sostiene Kaplan è ragionevole assumere che<br />

non tutti gli stimoli ambientali possiedano la stessa rilevanza e lo stesso valore.<br />

Come affermato da Lachman e Lachman: ”il sistema <strong>di</strong> rappresentazione<br />

umano non è neutrale rispetto ai contenuti” (Lachman e Lachman,1979). Gli<br />

stimoli <strong>di</strong> funzionale importanza per l’organismo saranno dunque<br />

presumibilmente associati a particolari tonalità affettive.<br />

La seconda teoria considera invece la preferenza per gli ambienti naturali un<br />

atteggiamento culturalmente acquisito connesso alle attività <strong>di</strong> gioco che si<br />

svolgono all’aperto che caratterizzano il periodo dell’infanzia <strong>di</strong> molti adulti. Il<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> preferenza sarebbe dunque conseguenza <strong>di</strong> valutazioni cognitive<br />

me<strong>di</strong>ate culturalmente.<br />

3. La biofilia<br />

In accordo con l’ipotesi evoluzionistica le ricerche <strong>di</strong> Wilson (1984) e quelle più<br />

recenti <strong>di</strong> Ulrich (1993) mostrano che la pre<strong>di</strong>sposizione dell’uomo verso la natura<br />

sembra avere origini genetiche.<br />

E.O. Wilson biosociologo dell’Università <strong>di</strong> Harvard esprime questa tesi attraverso<br />

il concetto <strong>di</strong> biofilia.<br />

La biofilia è secondo quanto afferma l’autore l’innata affiliazione emozionale<br />

dell’uomo agli altri organismi viventi, quel rapporto emotivo che da sempre lega gli<br />

esseri umani alle altre forme <strong>di</strong> vita che lo hanno accompagnato nel lungo viaggio<br />

dell’evoluzione. “Biofilia – <strong>di</strong>ce Wilson - è la tendenza innata a concentrare il<br />

proprio interesse sulla vita e sui processi vitali. (…) Fin dall’infanzia, con animo<br />

felice, noi concentriamo la nostra attenzione su noi stessi e sugli altri organismi.<br />

Appren<strong>di</strong>amo a <strong>di</strong>stinguere la vita dal mondo inanimato e a <strong>di</strong>rigerci verso la vita<br />

come una farfalla attratta dalla luce <strong>di</strong> una veranda” (1985, p. 7).<br />

Gli esseri umani mostrano un’innata attrazione per gli altri organismi viventi. “La<br />

vita, <strong>di</strong> qualsiasi genere essa sia, è infinitamente più interessante <strong>di</strong> qualsiasi<br />

varietà concepibile <strong>di</strong> materia inanimata. (…) Una persona sana <strong>di</strong> mente non<br />

118


preferirà mai la vista <strong>di</strong> un cumulo <strong>di</strong> foglie morte a quella dell’albero da cui sono<br />

cadute” (1985, p. 104).<br />

Il concetto <strong>di</strong> biofilia, esprime dunque l’idea che gli esseri umani, essendosi evoluti<br />

con il resto della creazione, posseggano un’attrazione biologica verso la natura e<br />

quin<strong>di</strong> esibiscano un’attrazione innata per la vita. L’affinità dell’uomo con la natura<br />

e pertanto con tutti gli esseri viventi sarebbe dunque un prodotto della selezione<br />

naturale.<br />

“Il concetto <strong>di</strong> verde, - osserva Perussia rifacendosi alle risposte dei soggetti - agli<br />

occhi dei nostri intervistati, appare come un punto <strong>di</strong> riferimento molto<br />

coinvolgente. Si tratta <strong>di</strong> un’immagine dalle forti risonanze emotive. Ne consegue<br />

che, benché nell’ambito delle interviste venisse richiesto <strong>di</strong> entrare <strong>di</strong> volta in volta<br />

nei dettagli <strong>di</strong> questo o quell’aspetto del verde, i soggetti hanno sempre tenuto<br />

come riferimento <strong>di</strong> fondo soprattutto tale concetto archetipico e quasi viscerale.<br />

Parlare <strong>di</strong> verde, specie se con riferimento alla città, significa portare su <strong>di</strong> un<br />

registro particolare le modalità <strong>di</strong> risposta che gli intervistati producono” (1990, p.<br />

31).<br />

Il fatto che soggetti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti culture mostrino preferenze analoghe avvalora<br />

l’eventualità <strong>di</strong> una base genetica delle preferenze umane per l’habitat (Hull e<br />

Revell, Purcell et al., Korpela e Hartig) sebbene attualmente non siano tuttavia<br />

<strong>di</strong>sponibili prove <strong>di</strong>rette.<br />

3.1. La scelta dell’habitat<br />

Un aspetto fondamentale della biofilia risulta essere la scelta dell’habitat che<br />

costituisce indubbiamente per tutti gli organismi il primo e cruciale passo per la<br />

sopravvivenza.<br />

Come afferma Wilson: “Le ricerche condotte negli ultimi trent’anni nel settore<br />

relativamente nuovo della psicologia ambientale in<strong>di</strong>cano costantemente la<br />

seguente conclusione: le persone preferiscono stare in ambienti naturali, in<br />

particolare nella savana o in un habitat simile ad una parco. Amano poter<br />

spaziare con lo sguardo su una superficie erbosa relativamente piana<br />

punteggiata <strong>di</strong> alberi e cespugli. Vogliono stare vicino a una massa d’acqua –<br />

un oceano, un lago, un fiume o un ruscello. Cercano <strong>di</strong> costruire le proprie<br />

abitazioni su un rilievo, da cui poter osservare in sicurezza la savana o<br />

119


l’ambiente acqueo. Con regolarità quasi assoluta, questi paesaggi sono<br />

preferiti agli scenari urbani brulli o con poca vegetazione. In una certa misura,<br />

le persone mostrano <strong>di</strong> non amare le immagini <strong>di</strong> boschi in cui lo sguardo non<br />

può spaziare, la vegetazione è complessa e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata e il terreno è<br />

accidentato – in breve, le foreste con alberi piccoli e fitti e un denso<br />

sottobosco. Pre<strong>di</strong>ligono caratteristiche topografiche e aperture che consentono<br />

una visione più ampia…” (2004, p. 132).<br />

Diversi stu<strong>di</strong> giungono a queste osservazioni (Balling e Falk, 1982), (Ulrich,<br />

1993).<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ulrich (1993) in<strong>di</strong>ca che gli ambienti simili alla savana sono<br />

associati a stati d’animo <strong>di</strong> calma e serenità da parte dei soggetti.<br />

Ulteriori contributi si rintracciano inoltre da una ricerca <strong>di</strong> Jay Appleton (1975),<br />

geografo inglese che evidenzia una preferenza da parte dei soggetti per<br />

ambienti con queste specifiche proprietà.<br />

Sebbene questo lavoro non costituisca un valida evidenza empirica a sostegno<br />

della teoria affrontata va comunque considerato quale significativo esempio <strong>di</strong><br />

come ricerche in<strong>di</strong>pendenti appartenenti ad ambiti <strong>di</strong>sciplinari estranei possano<br />

facilmente giungere a conclusioni similari.<br />

Le indagini enunciate rappresentano un efficace sostegno alla teoria<br />

evoluzionistica. I risultati <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong> sembrano infatti concordare con<br />

l’ipotesi secondo cui la vita umana avrebbe avuto inizio nelle regioni della<br />

savana africana. In accordo ad un’interpretazione <strong>di</strong> tipo evolutivo l’uomo<br />

manifesterebbe una forte preferenza per quel genere <strong>di</strong> ambiente che nel<br />

corso dell’evoluzione ha garantito la propria sopravvivenza.<br />

Per cui la tendenza a pre<strong>di</strong>ligere determinati ambienti naturali<br />

rappresenterebbe in realtà per l’essere umano un forte vantaggio adattivo.<br />

Occorre considerare che per i primi esseri umani un ambiente aperto con una<br />

vista ampia consentiva <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare a <strong>di</strong>stanza le prede e garantiva <strong>di</strong><br />

avvistare eventuali predatori con la possibilità quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> sfuggirvi rispetto invece<br />

ad uno luogo delimitato e più ristretto. Si trattava comunque <strong>di</strong> uno spazio non<br />

eccessivamente esposto, i gruppi <strong>di</strong> alberi rappresentavano un sicuro<br />

nascon<strong>di</strong>glio e al pari dei corsi d’acqua e dei laghi potevano in<strong>di</strong>care la<br />

presenza <strong>di</strong> cibo ed essere fonte <strong>di</strong> alimento.<br />

120


Come fa notare Wilson: “La storia evolutiva del genere Homo, compreso Homo<br />

sapiens e i suoi antenati più prossimi, si è svolta quasi interamente in questi<br />

habitat o in altri simili. Se si comprime tale quantità <strong>di</strong> tempo (circa due milioni<br />

<strong>di</strong> anni) in un intervallo <strong>di</strong> settant’anni, l’umanità ha occupato l’ambiente<br />

ancestrale per sessantanove anni e otto mesi, poi alcune popolazioni si sono<br />

de<strong>di</strong>cate all’agricoltura e si sono trasferite nei villaggi per trascorrere gli ultimi<br />

120 giorni” (2004, pp. 133-134).<br />

L’esistenza dei nostri antenati è stata per milioni <strong>di</strong> anni strettamente connessa<br />

al mondo naturale, dunque sembrerebbe assurdo poter pensare che un<br />

periodo <strong>di</strong> tempo assolutamente ridotto in termini evolutivi quale alcune<br />

migliaia <strong>di</strong> anni sia sufficiente a cancellare questa esperienza. Allo stesso<br />

modo non può <strong>di</strong>rsi certo bizzarra la tendenza dell’uomo a preferire<br />

precisamente quel tipo <strong>di</strong> ambiente da cui è <strong>di</strong>pesa per lunghissimo tempo la<br />

propria sopravvivenza.<br />

Dalla ricerca <strong>di</strong> Balling e Falk (1982) emerge che questo tipo <strong>di</strong> preferenza<br />

appare più marcato nella fanciullezza quando in particolare l’aspetto <strong>di</strong><br />

familiarità è in grado <strong>di</strong> esercitare una scarsa influenza sulla scelta.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o esamina le preferenze <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferente età rispetto a cinque<br />

<strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> ambiente (savana, foreste <strong>di</strong> latifoglie, foreste <strong>di</strong> conifere<br />

delle zone settentrionali temperate, foreste pluviali, deserto). I risultati<br />

mostrano da parte dei soggetti <strong>di</strong> età compresa tra gli otto e gli un<strong>di</strong>ci anni una<br />

significativa preferenza per l’ambiente della savana. I bambini più gran<strong>di</strong><br />

invece scelgono in pari misura la savana e la foresta <strong>di</strong> latifoglie, ovvero<br />

l’habitat <strong>di</strong> cui hanno avuto esperienza più <strong>di</strong>retta. Entrambi questi ambienti<br />

vengono preferiti ai restanti tre.<br />

Questo dato in<strong>di</strong>ca come previsto dagli autori che l’influenza evolutiva è forte<br />

nell’infanzia mentre successivamente risulta quale fattore importante nella<br />

valutazione anche la familiarità del luogo. In altre parole i bambini scelgono<br />

tendenzialmente l’habitat umano ancestrale ma più avanti con l’età si orientano<br />

verso l’ambiente in cui sono cresciuti.<br />

È utile evidenziare inoltre, come insegna la natura, che la propensione a<br />

pre<strong>di</strong>ligere gli ambienti verso cui la specie si è con successo adattata non è<br />

certo unica prerogativa dell’essere umano (Woodcock,1982). Pertanto, citando<br />

nuovamente le parole <strong>di</strong> Wilson: “in generale, quel che chiamiamo piacere<br />

121


estetico potrebbe non essere altro che la sensazione gradevole che ci provoca<br />

uno stimolo particolare al quale il nostro cervello è intrinsecamente adattato”<br />

(2004, pp. 134-135).<br />

A risultati simili conducono gli stu<strong>di</strong> sulla valutazione estetica della forma degli<br />

alberi.<br />

Le ricerche svolte in questa <strong>di</strong>rezione confermano che gli esseri umani<br />

mostrano una preferenza per gli alberi con un ampia e larga chioma. Si tratta <strong>di</strong><br />

alberi <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni moderate e compatti, con ampie fronde stratificate che<br />

arrivano a terra, la medesima forma che gli alberi presentano nelle regioni della<br />

savana Africana.<br />

In particolare tra le specie che ricevono maggiore apprezzamento troviamo le<br />

acacie, che dominano il territorio delle savane africane e le foreste <strong>di</strong><br />

transizione e a questi è associata una positiva risposta emotiva.<br />

3.2. Biofilia e influenza positiva dell’ambiente naturale per il benessere<br />

dell’essere umano<br />

In accordo con l’ipotesi <strong>di</strong> biofilia promossa da Wilson e con le ricerche citate<br />

gli ecopsicologi affermano quale fondamentale e intimo bisogno dell’uomo<br />

quello <strong>di</strong> vivere in stretta vicinanza della natura.<br />

“La qualità della vita <strong>di</strong>pende in gran parte, dal grado <strong>di</strong> connessione con la<br />

natura. Il mondo naturale fornisce necessità materiali come cibo, acqua, aria,<br />

abbigliamento, me<strong>di</strong>cine e svolge un ruolo importante in altri aspetti della vita,<br />

come la capacità intellettuale, la creatività, l’immaginazione, i legami emotivi e<br />

l’attrazione estetica. Il benessere fisico, materiale, intellettuale, emotivo e<br />

spirituale <strong>di</strong>pende in gran parte dal rapporto con il mondo naturale”. Ma “se la<br />

biofilia è davvero una parte della natura umana, - <strong>di</strong>ce Wilson - se è veramente<br />

un istinto, dovremmo riuscire a trovare <strong>di</strong>mostrazioni <strong>di</strong> un effetto positivo del<br />

mondo naturale e <strong>di</strong> altri organismi sulla salute” (2004, p. 137).<br />

Esistono effettivamente molteplici evidenze sperimentali a supporto <strong>di</strong><br />

quest’ipotesi. Gli effetti benefici per la salute psichica e fisica dell’uomo<br />

derivanti da un contatto <strong>di</strong>retto con la natura sono ampiamente documentati da<br />

un’estesa letteratura scientifica.<br />

122


Frumkin docente <strong>di</strong> Salute Ambientale all’Università <strong>di</strong> Atlanta afferma: “Troppo<br />

spesso gli stu<strong>di</strong>osi si concentrano sui rischi derivati dall’inquinamento, da<br />

sostanze tossiche e dalle epidemie”. “Problemi reali, urgenti, ma non dobbiamo<br />

<strong>di</strong>menticare che la natura può anche far bene. Non solo per la quantità <strong>di</strong><br />

principi attivi che ci vengono da piante e animali – che sarebbe già un motivo<br />

sufficiente per spingerci a preservare la bio<strong>di</strong>versità – ma proprio attraverso il<br />

contatto con l’ambiente naturale, nel senso più ampio del termine” (Frumkin,<br />

2003).<br />

Frumkin orienta la propria attività <strong>di</strong> ricerca a raccogliere dati che confermino il<br />

ruolo sostanziale della natura per il benessere e l’equilibrio umano. La sua<br />

teoria si lega apertamente al concetto <strong>di</strong> biofilia.<br />

4. La funzione <strong>di</strong> restorativeness<br />

“Vieni tra i boschi per riposare. Non esiste riposo come quello nei profon<strong>di</strong> e ver<strong>di</strong><br />

boschi. Qui crescono l’edera e le violette. Lo scoiattolo verrà e si siederà sulle tue<br />

ginocchia, il gallo ti sveglierà la mattina. Dormi nella completa <strong>di</strong>menticanza <strong>di</strong> tutti<br />

i mali…” (Muir, 2006).<br />

L’espressione restorativeness si riferisce agli effetti positivi che l’ambiente naturale<br />

ha per il benessere psicologico dei soggetti. I risultati <strong>di</strong> numerosi stu<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrano<br />

effettivamente che la natura incide positivamente sullo stress psicofisiologico e<br />

sulla fatica mentale. In particolare le ricerche relative agli effetti benefici del<br />

paesaggio naturale sulla salute degli in<strong>di</strong>vidui sono dominate da due posizioni<br />

teoriche <strong>di</strong>fferenti: la teoria del recupero dallo stress (Ulrich, 1981) o Stress<br />

Recovery Theory (SRT); e la teoria dell’attenzione rigenerata (Kaplan S. 1995) o<br />

Attention Restoration Theory (ART).<br />

4.1. La teoria del recupero dello stress<br />

Secondo la teoria del recupero dallo stress la natura promuove il benessere<br />

psicofisico consentendo il recupero da situazioni <strong>di</strong> stress psicofisiologico.<br />

123


Misure verbali e fisiologiche convergono nell’in<strong>di</strong>care che il recupero è più<br />

veloce e completo quando i soggetti sono esposti a paesaggi naturali piuttosto<br />

che a paesaggi urbani.<br />

Le immagini <strong>di</strong> natura, in special modo quelle in cui è presente l’elemento<br />

acqua hanno un’influenza positiva sullo stato emotivo dei soggetti e ne<br />

catturano più efficacemente l’interesse e l’attenzione (Ulrich,1981). L’ambiente<br />

naturale favorisce l’emergere <strong>di</strong> sentimenti positivi e la scomparsa <strong>di</strong> sentimenti<br />

negativi, si registrano inoltre concomitanti cambiamenti a livello fisiologico.<br />

In un successivo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ulrich (1991) le risposte psicofisiologiche ad<br />

ambienti urbani e ad ambienti naturali presentati in videotape congiunte ad altri<br />

in<strong>di</strong>ci autovalutativi dei soggetti, confermano che l’effetto rigenerante della<br />

natura interessa lo stato emotivo dei soggetti e coinvolge attività cognitive quali<br />

l’attenzione. L’incremento del livello <strong>di</strong> attenzione dei soggetti in presenza <strong>di</strong><br />

materiale relativo all’ambiente naturale segnala che l’attrazione esercitata dalla<br />

natura è una conseguenza dell’attivazione emozionale positiva suscitata dalla<br />

presenza <strong>di</strong> risorse naturali che rispondono a bisogni primor<strong>di</strong>ali.<br />

Dunque non si tratterebbe <strong>di</strong> un processo inconsapevole e automatico come<br />

altrimenti sostenuto da Kaplan attraverso il concetto <strong>di</strong> fascination. Kaplan<br />

(1978) ritiene, al contrario, che la vista <strong>di</strong> scenari naturali <strong>di</strong>a seguito ad una<br />

imme<strong>di</strong>ata e inconscia risposta cognitiva precedente rispetto ad ogni giu<strong>di</strong>zio<br />

affettivo.<br />

La teoria <strong>di</strong> Ulrich (1983) sostiene che la risposta all’ambiente sarebbe<br />

primariamente <strong>di</strong> tipo emotivo e in un secondo momento coinvolgerebbe i<br />

processi cognitivi.<br />

4.2. La teoria dell’attenzione rigenerata<br />

La teoria dell’attenzione rigenerata sostiene invece che l’esposizione agli<br />

ambienti naturali ha un effetto rigenerativo sull’attenzione <strong>di</strong>retta. L’attenzione<br />

<strong>di</strong>retta riguarda la capacità <strong>di</strong> bloccare o inibire gli stimoli concorrenti, dunque<br />

<strong>di</strong>straenti, durante lo svolgimento <strong>di</strong> un compito finalizzato ad uno scopo.<br />

(James,1892).<br />

Lo sforzo mentale necessario a inibire le <strong>di</strong>strazioni conduce inevitabilmente<br />

all’affaticamento dell’attenzione <strong>di</strong>retta (Kaplan, 1995). In conseguenza <strong>di</strong><br />

124


quanto descritto si registra scarsa capacità <strong>di</strong> concentrazione, limitata abilità<br />

nel risolvere problemi, facile irritabilità, e frequente occorrenza <strong>di</strong> errori e<br />

<strong>di</strong>strazioni (Herzog, 1997).<br />

Come <strong>di</strong>mostrato gli ambienti naturali possiedono quei fattori necessari a<br />

riposare e rigenerare l’attenzione <strong>di</strong>retta: being-away, fascination, coherence,<br />

scope e compatibility (Purcell, Peron e Berto, 2001).<br />

Il concetto <strong>di</strong> being-away si riferisce alla possibilità <strong>di</strong> sperimentare un<br />

ambiente fisicamente o concettualmente <strong>di</strong>fferente rispetto a quello<br />

quoti<strong>di</strong>anamente esperito dal soggetto.<br />

La caratteristica <strong>di</strong> coherence implica la ricchezza <strong>di</strong> un luogo e la coerenza in<br />

grado <strong>di</strong> impegnare e catturare l’attenzione mentale e promuovere<br />

l’esplorazione, fascination, è l’attenzione passiva che non richiede sforzo.<br />

Infine la caratteristica <strong>di</strong> compatibility in<strong>di</strong>ca la possibilità <strong>di</strong> un luogo <strong>di</strong><br />

accompagnare e supportare le intenzioni e i propositi del soggetto.<br />

Possiamo considerare questi cinque aspetti importanti pre<strong>di</strong>ttori della<br />

restorativeness <strong>di</strong> un luogo.<br />

Secondo l’opinione <strong>di</strong> Kaplan dunque l’aspetto restorative <strong>di</strong> un luogo è legato<br />

alla possibilità <strong>di</strong> ridurre la fatica mentale e <strong>di</strong> rigenerare l’attenzione <strong>di</strong>retta.<br />

In modo specifico, secondo la teoria dell’attenzione rigenerata il contatto con la<br />

natura ha l’effetto <strong>di</strong> liberare la mente dal frastuono e dal sovraccarico<br />

cognitivo con l’efficace conseguenza <strong>di</strong> ristorare l’attenzione <strong>di</strong>retta. Come<br />

specificato da Herzog (1997) questa funzione viene in<strong>di</strong>cata con l’espressione<br />

attentional recovery.<br />

Ma l’incontro con il mondo naturale consente altresì <strong>di</strong> raccogliersi nella propria<br />

interiorità, prestare ascolto ai problemi personali con l’opportunità dunque <strong>di</strong><br />

ridefinire le proprie necessità, valutare le priorità a cui tendere (Kaplan e<br />

Kaplan, 1989).<br />

Anche a rischio <strong>di</strong> semplificare eccessivamente, questa seconda categoria <strong>di</strong><br />

effetti viene sinteticamente definita reflection.<br />

La possibilità <strong>di</strong> sperimentare momenti <strong>di</strong> riflessione è strettamente legata<br />

all’aspetto <strong>di</strong> fascination evocato da un certo tipo <strong>di</strong> ambiente.<br />

Gli ambienti che favoriscono la riflessione sono infatti quelli che esercitano una<br />

leggera attrattiva (soft fascination) sufficiente a trattenere l’attenzione del<br />

soggetto ma non così intensa da precluderne l’attività riflessiva. In accordo con<br />

125


la teoria dell’attenzione rigenerata gli ambienti naturali come giar<strong>di</strong>ni, foreste,<br />

sentieri <strong>di</strong> natura… sono esempi <strong>di</strong> ambienti che offrono un’attrazione <strong>di</strong><br />

moderata intensità.<br />

Si tratta <strong>di</strong> luoghi inoltre esteticamente piacevoli che possono in alcuni casi<br />

temperare la sofferenza che accompagna certe riflessioni. In contrasto invece<br />

sono da considerare quegli ambienti che presentano una forte attrattiva (hard<br />

fascination) concentrano l’attenzione del soggetto lasciando una pressoché<br />

scarsa possibilità <strong>di</strong> pensare e me<strong>di</strong>tare. Dunque è possibile concludere che i<br />

luoghi naturali sono indubbiamente buoni ambienti per rigenerare l’attenzione e<br />

favorire la riflessione.<br />

Ambienti invece che presentano una bassa attrattiva ma impegnano<br />

fortemente le funzioni attentive quale è il caso dei <strong>di</strong>fferenti contesti urbani<br />

sono da considerarsi inefficaci sia per quanto concerne il recupero<br />

dell’attenzione <strong>di</strong>retta sia rispetto alla possibilità <strong>di</strong> sostenere la riflessione.<br />

Infine contesti che evocano un forte richiamo (hard fascination) possono<br />

riposare l’attenzione ma <strong>di</strong>fficilmente offrono l’opportunità <strong>di</strong> un momento <strong>di</strong><br />

riflessione.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Canin (1991) appare pertinente in merito a questa <strong>di</strong>stinzione.<br />

I risultati della ricerca che ha coinvolto in<strong>di</strong>vidui affetti da AIDS hanno mostrato<br />

che le attività definite <strong>di</strong> hard fascination in grado <strong>di</strong> favorire unicamente il<br />

riposo dell’attenzione <strong>di</strong>retta come lo sport, lo shopping e il guardare la<br />

televisione si sono mostrate poco efficaci. All’opposto invece le esperienze in<br />

natura e le attività tranquille in grado <strong>di</strong> supportare sia il recupero<br />

dell’attenzione che la riflessione sono risultate le più rigeneranti.<br />

Il lavoro <strong>di</strong> Herzog (1997) offre una solida conferma alla teoria dell’attenzione<br />

rigenerata.<br />

Nonostante le <strong>di</strong>vergenze entrambe le teorie considerano gli ambienti naturali<br />

più rigenerativi degli ambienti costruiti. Dunque le due posizioni non conducono<br />

necessariamente a opinioni contrastanti.<br />

Sono stati realizzati comunque <strong>di</strong>versi stu<strong>di</strong> che si propongono <strong>di</strong> esaminare<br />

l’influenza positiva della natura sul benessere degli in<strong>di</strong>vidui.<br />

126


Ve<strong>di</strong>amone alcuni in dettaglio:<br />

• A sostegno dell’ipotesi dell’attenzione rigenerata sono i risultati <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Hartig, Mang ed Evans (1991).<br />

La ricerca ha confermato l’effetto rigenerante delle esperienze <strong>di</strong> natura che<br />

coinvolgevano i soggetti per determinati perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> vacanza.<br />

Gli sperimentatori si sono serviti della valutazione soggettiva dei partecipanti<br />

rispetto al loro stato affettivo e della misurazione della performance dei<br />

partecipanti.<br />

In particolare si è registrato un incremento dell’attenzione e della prestazione<br />

cognitiva dei soggetti.<br />

• A risultati analoghi giunge la ricerca <strong>di</strong> Tennessee (1995) che ha <strong>di</strong>mostrato<br />

come gli studenti che dalla finestra del proprio dormitorio potevano osservare<br />

un paesaggio naturale hanno ottenuti migliori punteggi <strong>di</strong> performance in<br />

compiti <strong>di</strong> attenzione.<br />

Inoltre uno stu<strong>di</strong>o condotto su bambini tra i sette e i do<strong>di</strong>ci anni, con <strong>di</strong>sturbo da<br />

deficit <strong>di</strong> attenzione <strong>di</strong>mostra che il contatto con la natura migliora la capacità <strong>di</strong><br />

attenzione <strong>di</strong> questi soggetti.<br />

I bambini coinvolti quoti<strong>di</strong>anamente in attività lu<strong>di</strong>che che avevano luogo in<br />

spazi ver<strong>di</strong>, hanno mostrato un sensibile miglioramento delle funzioni attentive<br />

(Taylor, Kuo, Sullivan, 2000).<br />

A risultati analoghi giunge anche il lavoro <strong>di</strong> Wells (2000).<br />

• Altre recenti ricerche in<strong>di</strong>cano che la visita <strong>di</strong> un parco o <strong>di</strong> un giar<strong>di</strong>no o<br />

semplicemente la presenza <strong>di</strong> piante in un ambiente esercita effetti positivi<br />

sulle persone e ne aumenta la resistenza agli stress psicofisici.<br />

Alcuni stu<strong>di</strong> (Lewis e Mattson, 1988; Owen, 1994) hanno <strong>di</strong>mostrato che dopo<br />

aver trascorso del tempo in un giar<strong>di</strong>no i soggetti presentavano una<br />

<strong>di</strong>minuzione della pressione sanguigna.<br />

127


I partecipanti <strong>di</strong> un’altra ricerca hanno evidenziato un generale beneficio a<br />

seguito del contatto con la natura dovuto alla riduzione delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

stress presenti prima dell’esperimento (Sullivan, Bennett e Swasey, 1996).<br />

• Una ricerca condotta sui pazienti <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o dentistico ha mostrato come la<br />

vista <strong>di</strong> scenari naturali ha l’effetto <strong>di</strong> ridurre la pressione sanguigna e il livello<br />

<strong>di</strong> ansia dei soggetti.<br />

Per realizzare l’esperimento nella sala d’attesa dello stu<strong>di</strong>o odontoiatrico è<br />

stato sistemato dagli sperimentatori un grande murale da parete con<br />

l’immagine <strong>di</strong> un paesaggio naturale. Il murale veniva però tolto per alcuni<br />

giorni per fare in modo che i soggetti venissero sottoposti a <strong>di</strong>fferenti con<strong>di</strong>zioni<br />

sperimentali.<br />

In base alle misurazioni e a quanto riportato dai pazienti è possibile affermare<br />

che l’immagine dell’ambiente naturale ha avuto sui soggetti un effetto<br />

calmante. (Heerwagen, 1990; Selby, 1990).<br />

• Gli impiegati coinvolti in un gruppo <strong>di</strong> ricerca riportano <strong>di</strong> sentirsi più rilassati e<br />

<strong>di</strong>stesi alla presenza <strong>di</strong> piante in ufficio.<br />

I soggetti ritengono inoltre che un ambiente ornato da piante sia un posto più<br />

desiderabile e gradevole per lavorare (Randall,1992).<br />

Alcuni stu<strong>di</strong> in<strong>di</strong>cano che la presenza <strong>di</strong> piante nel luogo <strong>di</strong> lavoro incrementa<br />

la produttività e innalza l’umore dei lavoratori mentre contemporaneamente si<br />

registra un più basso tasso <strong>di</strong> assenteismo (Fjield, 2000; Pearson-Mims e Lohr,<br />

2000; Shoemaker, 1992).<br />

Da una ricerca <strong>di</strong> Lohr (1996) è risultato che gli in<strong>di</strong>vidui che lavorano in una<br />

stanza con piante riferiscono <strong>di</strong> sentirsi più concentrati, lavorano più<br />

efficientemente e registrano una pressione del sangue inferiore rispetto ai<br />

compagni che occupano la medesima stanza senza piante.<br />

Similmente gli impiegati che hanno la possibilità <strong>di</strong> godere della vista <strong>di</strong><br />

ambienti naturali dalla finestra del loro ufficio riportano una maggiore<br />

128


sod<strong>di</strong>sfazione lavorativa, meno tensione e sono meno soggetti ad emicranie<br />

(Kaplan, 1992)<br />

• Da un altro stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Kaplan (1991) è emerso che i soggetti assegnano grande<br />

importanza alla presenza <strong>di</strong> spazi ver<strong>di</strong> in prossimità delle proprie abitazioni e<br />

questo fattore contribuisce ad alti livelli <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione.<br />

Inoltre è stato <strong>di</strong>mostrato che la vista <strong>di</strong> paesaggi o elementi naturali dalla<br />

finestra delle proprie abitazioni contribuisce all’insorgere <strong>di</strong> relazioni più<br />

gratificanti con il vicinato e influisce per <strong>di</strong>versi aspetti sul senso <strong>di</strong> benessere<br />

(Kaplan, 2001).<br />

• Uno stu<strong>di</strong>o volto a indagare la relazione tra ambiente naturale e insorgenza <strong>di</strong><br />

atti criminosi in città in<strong>di</strong>ca che i soggetti residenti in quartieri con molta<br />

vegetazione e spazi ver<strong>di</strong> mostrano livelli inferiori <strong>di</strong> preoccupazione e paura<br />

per gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> crimine, hanno un atteggiamento più civile e con minor<br />

probabilità esibiscono comportamenti aggressivi e violenti (Kuo & Sullivan,<br />

2001).<br />

Da molte altre ricerche effettuate si evince come la natura rappresenti<br />

indubbiamente un fattore importante per la salute degli in<strong>di</strong>vidui.<br />

Gli stu<strong>di</strong> presentati hanno importanti implicazioni per la me<strong>di</strong>cina preventiva, in<br />

particolare nella progettazione <strong>di</strong> ambienti e per la realizzazione <strong>di</strong> programmi<br />

terapeutici.<br />

Sulla base dei dati relativi al ruolo degli ambienti naturali nel recupero dallo<br />

stress, Harting, Mang ed Evans (1991) arrivano a prefigurare una prospettiva<br />

terapeutica basata su ambienti costruiti con caratteristiche particolari che<br />

prevedano vegetazione, acqua, panorami per poter prevenire e curare<br />

l’affaticamento mentale.<br />

Analogamente la letteratura scientifica offre <strong>di</strong>versi esempi <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>ni<br />

terapeutici realizzati allo scopo <strong>di</strong> appoggiare la riabilitazione dei pazienti e<br />

129


idurne dunque i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> degenza (Balsari e Balsari 2000; Eckerling 1996;<br />

Leccese 1995; McCormick 1995; Thompson 1998; Stevens 1995; Sutro 1995).<br />

5. Preferenza ambientale e aspetto restorative dei luoghi<br />

Le ricerche relative alla restorativeness dei luoghi si sviluppano parallelamente a<br />

quelle che indagano la preferenza ambientale senza considerare un’eventuale<br />

relazione tra i due aspetti. Al tal proposito, Peron, Berto e Purcell (2001, 2002) si<br />

sono proposti <strong>di</strong> verificare se tra l’aspetto restorative dei luoghi e la preferenza<br />

ambientale esista una qualche corrispondenza.<br />

I risultati dello stu<strong>di</strong>o hanno <strong>di</strong>mostrato che “i luoghi naturali (colline, laghi) sono<br />

preferiti ai luoghi costruiti (zona industriale, case, strade <strong>di</strong> città) e sono anche più<br />

restorative <strong>di</strong> questi, insomma i luoghi naturali sono preferiti ai luoghi costruiti<br />

proprio perché sono più restorative” (Berto, 2004).<br />

Preferenza ambientale e restorativeness mostrano infatti lo stesso andamento<br />

all’interno delle cinque categorie ambientali considerate: alti punteggi <strong>di</strong><br />

preferenza sono associati ad alti punteggi <strong>di</strong> restorativeness e ugualmente<br />

avviene all’inverso (Purcell, Peron e Berto, 2001; Peron, Berto e Purcell, 2002).<br />

La caratteristica <strong>di</strong> familiarità <strong>di</strong> un luogo che influenza il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> preferenza<br />

(Kaplan & Kaplan, 1989) sembra invece non influire significativamente sull’effetto<br />

restorative (Peron, Berto e Purcell, 2002)<br />

6. L’ambito ospedaliero<br />

Forti evidenze riguardanti l’importanza dell’ambiente naturale per il benessere e la<br />

salute dell’uomo si evincono anche dagli stu<strong>di</strong> condotti in contesto ospedaliero.<br />

I risultati della ricerca <strong>di</strong> Ulrich (1984) <strong>di</strong>mostrano l’efficacia terapeutica, nel<br />

decorso post operatorio, <strong>di</strong> camere provviste <strong>di</strong> finestre che si affacciano su<br />

scenari naturali rispetto a camere con finestre che si aprono su altri e<strong>di</strong>fici. Lo<br />

130


stu<strong>di</strong>o esamina 46 pazienti sottoposti ad un intervento <strong>di</strong> colecistectomia ricoverati<br />

tra il 1972 e il 1981 in un ospedale della Pennsylvania.<br />

I soggetti che potevano godere della vista <strong>di</strong> alberi fuori dalla finestra hanno avuto<br />

perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> degenza più brevi e dosaggi inferiori <strong>di</strong> antidolorifici rispetto ai degenti<br />

sistemati in quelle camere dalla cui finestra era visibile soltanto una parete <strong>di</strong><br />

mattoni.<br />

Esiste comunque una preferenza, da parte dei pazienti, per finestre che si<br />

affacciano su ambienti naturali. (Verdeber, 1986).<br />

Analogamente uno stu<strong>di</strong>o realizzato con soggetti carcerati <strong>di</strong>mostra che la vista <strong>di</strong><br />

un paesaggio con vegetazione dalla finestra della cella ha effetti positivi sulla<br />

salute dei detenuti, in particolare si è riscontrata una minore richiesta <strong>di</strong> visite<br />

me<strong>di</strong>che da parte <strong>di</strong> questi soggetti (Moore, 1981-1982).<br />

In conclusione è possible affermare che la vicinanza della natura o semplicemente<br />

la vista <strong>di</strong> paesaggi ed elementi naturali sia reali che <strong>di</strong>pinti ha un effetto positivo<br />

sulla salute dei soggetti.<br />

7. Horticultural therapy<br />

“L’occuparsi della terra e delle piante può conferire all’anima una liberazione e<br />

una quiete simili a quelle della me<strong>di</strong>tazione” (Hesse, 1994, p. 129).<br />

Un altro aspetto della terapia attraverso la natura è rappresentato dalla<br />

Horticultural Therapy che cerca un ritrovato contatto con il mondo naturale<br />

attraverso la pratica dell’orticoltura e del giar<strong>di</strong>naggio.<br />

L’espressione “Horticultural Therapy” risulta <strong>di</strong>fficilmente traducibile in quanto non<br />

corrisponde ad alcun specifico termine della lingua italiana. Seppure<br />

imprecisamente vengono comunque adottate come equivalenti le espressioni<br />

Ortoterapia oppure terapia Orticolturale.<br />

È appropriato definire l’Ortoterapia come una forma <strong>di</strong> terapia assistita con le<br />

piante che impiega il contatto con la terra e la cura delle piante come attività<br />

riabilitativa nelle malattie psicofisiche e come strumento per affrontare e prevenire<br />

lo stress.<br />

131


Più esattamente secondo la definizione <strong>di</strong> Davis (1995) l’HT può essere altresì<br />

considerata “una <strong>di</strong>sciplina me<strong>di</strong>ca che usa le piante, l’attività <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio e<br />

l’innata affinità che noi sentiamo verso la natura, come mezzo professionale in<br />

programmi <strong>di</strong> terapia e riabilitazione”.<br />

Si <strong>di</strong>stingue per il vantaggio <strong>di</strong> trovare facile applicazione in casa, nei parchi<br />

pubblici e privati, negli spazi ver<strong>di</strong> annessi alle strutture ospedaliere alle cliniche <strong>di</strong><br />

riabilitazione e ai centri <strong>di</strong> ricovero per anziani, nei giar<strong>di</strong>ni delle scuole.<br />

L’HT è un’attività <strong>di</strong> grande flessibilità per cui rappresenta una terapia <strong>di</strong> supporto<br />

alle tra<strong>di</strong>zionali cure me<strong>di</strong>che ma assume parimenti una funzione preventiva.<br />

Risiede anche in questo duplice aspetto il suo forte valore terapeutico.<br />

Non è certo possibile considerare il giar<strong>di</strong>naggio una nuova forma <strong>di</strong> terapia tanto<br />

più che la prima testimonianza a noi pervenuta relativa all’impiego a fini terapeutici<br />

della coltivazione delle piante è stata ritrovata in un monastero irlandese risalente<br />

al quattor<strong>di</strong>cesimo secolo circa. L’immagine del giar<strong>di</strong>no inteso come luogo <strong>di</strong><br />

rigenerazione fisica e mentale dell’essere umano appartiene da secoli sia alle<br />

culture asiatiche che occidentali (Ulrich e Parson, 1992).<br />

All’inizio dell’ottocento, Benjamin Rush, uno dei padri della psichiatria americana<br />

affermava che “lavorare il terreno e coltivare le piante può avere un benefico<br />

effetto sulla psiche umana”.<br />

Tuttavia la scienza me<strong>di</strong>ca trascura e sottovaluta le potenzialità benefiche<br />

dell’ambiente naturale nella cura delle malattie.<br />

Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse per l’argomento da parte <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>ci, psicologi ed anche architetti del paesaggio che ha dato il via ad una serie<br />

<strong>di</strong> ricerche scientifiche incrociate. La grande quantità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> prodotti<br />

sull’argomento principalmente in Canada, negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna ha<br />

contribuito ad affermare la figura dell’Ortoterapista, mentre nel nostro paese<br />

l’Ortoterapia rimane ancora una pratica ufficialmente sconosciuta, sebbene<br />

all’estero esistano corsi riconosciuti a tutti i livelli.<br />

Risale al 1950 il primo master in “Horticultural Therapy” promosso dalla Michigan<br />

State University. Quasi nello stesso periodo il National Federation of Gardens<br />

Clubs <strong>di</strong>ede inizio con la collaborazione <strong>di</strong> una clinica ospedaliera ad un<br />

programma volontario che coinvolgeva soggetti lungodegenti in attività <strong>di</strong><br />

giar<strong>di</strong>naggio. Nel 1971 la Kansas State University propose un corso <strong>di</strong> laurea in<br />

132


Horticultural Therapy ed infine nel 1973 venne fondata la American Horticultural<br />

Therapy Association (AHTA).<br />

L’obbiettivo dell’associazione è quello <strong>di</strong> promuovere lo sviluppo dell’HT quale<br />

pratica terapeutica e riabilitativa e provvedere al miglioramento e all’accrescimento<br />

delle abilità e delle competenze dei terapisti. L’AHTA si occupa inoltre <strong>di</strong><br />

promuovere stu<strong>di</strong> e ricerche relativi all’impatto e ai possibili sviluppi <strong>di</strong> questa<br />

nuova forma <strong>di</strong> trattamento ed è impegnata nella <strong>di</strong>vulgazione dei risultati <strong>di</strong> tali<br />

esperienze.<br />

Più recentemente nel 1987 è sorta la “Cana<strong>di</strong>an Horticultural Therapy Association”<br />

e nel 1996 è nata la “Japanese H.T. Association”. Nell’Europa l’ortoterapia si è<br />

sviluppata in Germania e in Inghilterra.<br />

Negli Stati Uniti esiste inoltre un albo professionale. (Horticultural Therapist, con<br />

<strong>di</strong>versi livelli).<br />

Le esperienze <strong>di</strong> ortoterapia hanno iniziato a <strong>di</strong>ffondersi anche nel nostro paese<br />

seppure prive <strong>di</strong> un riconoscimento ufficiale. Sono ormai decine le esperienze <strong>di</strong><br />

Terapia Orticulturale realizzate in Italia. Particolarmente operose in questo campo<br />

sono da segnalare le Cooperative sociali preposte al settore della manutenzione<br />

del verde che operano in collaborazione con strutture sanitarie <strong>di</strong> vario livello.<br />

La <strong>Scuola</strong> Agraria del Parco <strong>di</strong> Monza che da <strong>di</strong>versi anni promuove attività <strong>di</strong><br />

questo genere e si occupa <strong>di</strong> organizzare iniziative <strong>di</strong>vulgative sull’argomento<br />

propone un corso <strong>di</strong> Terapia Orticolturale e lo stesso può <strong>di</strong>rsi della Villa Minoprio.<br />

Sono ormai <strong>di</strong>versi i progetti <strong>di</strong> ortoterapia promossi dalla scuola in convenzione<br />

con i C.P.S. e i C.R.T. e le strutture ospedaliere del territorio milanese.<br />

A tutt’oggi sono stati ideati e realizzati programmi <strong>di</strong> supporto e riabilitazione rivolti<br />

a soggetti con <strong>di</strong>fficoltà linguistiche, in<strong>di</strong>vidui portatori <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap fisici e con<br />

<strong>di</strong>sturbi mentali così come sono stati sviluppati anche progetti in<strong>di</strong>rizzati a detenuti,<br />

anziani e a persone con problemi <strong>di</strong> alcolismo e <strong>di</strong>pendenza da sostanze<br />

stupefacenti (Relf and Dorn, 1995; Stoneham e collaboratori, 1995; Browne, 1992;<br />

Williams, 1992; Diethelm, 1994; Sellers, 2000; Shoulders and Wray, 1995).<br />

Negli Stati Uniti l’HT viene impiegata con successo anche nelle scuole come<br />

strumento <strong>di</strong> educazione ambientale sebbene non sia questo il suo principale<br />

campo <strong>di</strong> applicazione. Queste esperienze promuovono l’acquisizione <strong>di</strong><br />

conoscenze ambientali e insieme sono volte a far nascere nei bambini il rispetto<br />

per la natura.<br />

133


Esistono anche programmi più specifici rivolti a bambini con problemi psicofisici.<br />

(Hoffman e Castro-Blanco, 1988; Smith e Aldous, 1994).<br />

7.1. Destinatari e impieghi<br />

Ma l’HT nasce principalmente come strumento per integrare e supportare le<br />

varie terapie esistenti per il trattamento e la prevenzione dello stress mentale<br />

pertanto non si rivolge esclusivamente a soggetti <strong>di</strong>sabili o con <strong>di</strong>sturbi<br />

specifici. Trova facile impiego in programmi terapeutici volti al benessere<br />

generale della persona.<br />

Gli stu<strong>di</strong> confermano che non solo questa attività incrementa il benessere fisico<br />

e psicologico degli in<strong>di</strong>vidui ma agisce anche a livello cognitivo e sociale. Il<br />

contatto con la natura come già precedentemente illustrato offre notevoli<br />

benefici psicologici. Una semplice passeggiata nel bosco o in un giar<strong>di</strong>no<br />

citta<strong>di</strong>no ha un vero e proprio effetto rigenerante sui soggetti stanchi e stressati<br />

e contribuisce a innalzarne l’umore.<br />

Il contatto con la natura trasmette sensazioni fisiche e sensoriali rilassanti<br />

riducendo le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress psicofisiologico. Non stupisce dunque che il<br />

rapporto attivo con la natura possa ulteriormente sostenere le proprietà<br />

terapeutiche dei luoghi <strong>di</strong> natura.<br />

L’attività <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio, la coltivazione delle piante e degli ortaggi favoriscono<br />

la cura dell’ansia attraverso la stimolazione sensoriale.<br />

L’ortoterapia coinvolge tutte le percezioni sensoriali: vista (forme colori), tattili<br />

(consistenza, umi<strong>di</strong>tà, sofficità), u<strong>di</strong>tive (foglie secche ruscelli) gustative e<br />

olfattive.<br />

Le piante devono avere forte valenza visiva, quin<strong>di</strong> si pre<strong>di</strong>ligono fiori molto<br />

colorati anche stagionali cercando <strong>di</strong> garantire un’adeguata <strong>di</strong>stribuzione<br />

cromatica. Le piante aromatiche che emettono un’intensa profumazione allo<br />

sfregamento delle foglie stimolano l’olfatto, sono invece in<strong>di</strong>cate per destare la<br />

percezione tattile le piante con fogliame villoso, quelle che possiedono foglie<br />

pelose, al tatto danno sensazioni insolite, piacevoli.<br />

L’ortoterapia favorisce inoltre l’attività motoria da parte del paziente. L’attività<br />

fisica stimola la produzione <strong>di</strong> endorfine con effetti rigeneranti per il nostro<br />

corpo. Lo sforzo fisico richiesto inoltre seppure limitato è efficace nelle<br />

convalescenze, nei casi <strong>di</strong> astenia e in persone portatrici <strong>di</strong> Han<strong>di</strong>cap.<br />

134


L’attività <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio esercita la manualità e sviluppa il coor<strong>di</strong>namento<br />

motorio (coor<strong>di</strong>namento occhio-mano, movimenti bilaterali gamba-braccia,<br />

controllo ed incremento forza e resistenza). Si tratta comunque <strong>di</strong> un esercizio<br />

fisico non fine a se stesso ma in<strong>di</strong>rizzato ad un obiettivo e dunque certamente<br />

gratificante.<br />

Le operazioni connesse alla coltivazione delle piante come è facile immaginare<br />

sono innumerevoli ed impegnano non soltanto per brevi perio<strong>di</strong>. Il giar<strong>di</strong>naggio<br />

è un’attività continuativa che si mo<strong>di</strong>fica nel corso delle stagioni ed offre<br />

risultati tangibili e reali. Stimola l’attenzione e la curiosità dei pazienti offrendo<br />

nuovi stimoli e nuove motivazioni. I soggetti anziani spesso mostrano un<br />

rinnovato interesse per precedenti occupazioni e riprendono a de<strong>di</strong>carsi a<br />

hobby magari accantonati da anni.<br />

In questo senso l’ortoterapia rappresenta quin<strong>di</strong> un sostegno <strong>di</strong> grande valore<br />

e contribuisce a rendere a misura d’uomo la degenza nei luoghi <strong>di</strong> cura.<br />

Si tratta inoltre <strong>di</strong> un’attività che sviluppa la concentrazione dei soggetti e<br />

coinvolge in operazioni che richiedono l’impiego della memoria per quanto<br />

concerne ad esempio la preparazione delle etichette con la nominazione delle<br />

piante, così come è importante la capacità <strong>di</strong> ricordare le istruzioni<br />

dell’operatore. Oppure lavorando ad esempio con pazienti affetti da Alzheimer<br />

può essere utile esercitare la memoria remota per le azioni compiute (irrigare i<br />

fiori, preparare il terreno per la coltivazione…).<br />

L’ortoterapia accresce considerevolmente la fiducia in se stessi. Scoprirsi<br />

capaci <strong>di</strong> far vivere e curare un essere vivente è estremamente arricchente e<br />

contribuisce ad incrementare l’autostima. L’obiettivo del lavoro è infatti<br />

rappresentato dalla crescita della pianta. Ad esempio i progetti <strong>di</strong> HT rivolti ai<br />

soggetti carcerati, in<strong>di</strong>rizzati principalmente al reinserimento sociale<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo al termine della reclusione trovano spesso sviluppo a partire dalla<br />

basa autostima dei detenuti.<br />

Sono molteplici i programmi <strong>di</strong> questo tipo che coinvolgono con successo<br />

carcerati <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferente età sia maschi che femmine (Lewis, 1995; Gibson e<br />

Hughes, 2000; McGuinn e Relf, 2001; Ringle, 1996; Cammack e collaboratori,<br />

2002a).<br />

Un intervento <strong>di</strong> questo genere influisce anche sulla vita sociale dei pazienti.<br />

Molto importante è il lavoro <strong>di</strong> gruppo che può facilitare la socializzazione per<br />

quei soggetti con <strong>di</strong>fficoltà a relazionarsi agli altri. (autismo, stati paranoici,<br />

han<strong>di</strong>cap fisici…).<br />

135


Il senso <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> isolamento che spesso viene sperimentato dai<br />

soggetti che vivono in casa <strong>di</strong> riposo od ospiti degli istituti <strong>di</strong> riabilitazione può<br />

essere mitigato attraverso la partecipazione <strong>di</strong> gruppo all’attività <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio<br />

che oltretutto si svolgono generalmente in uno spazio all’aperto.<br />

8. I giar<strong>di</strong>ni terapeutici<br />

L’ortoterapia non comprende soltanto l’attività <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio, assume invece<br />

grande rilievo anche la progettazione <strong>di</strong> quelli che vengono definiti giar<strong>di</strong>ni<br />

terapeutici. La progettazione <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>ni terapeutici secondo i criteri dell’ortoterapia<br />

avviene con la collaborazione tra architetti del paesaggio e ortoterapisti.<br />

All’estero e in misura minore anche in Italia si assiste già alla realizzazione <strong>di</strong><br />

giar<strong>di</strong>ni terapeutici. Se ne contano circa 1600 nella sola Gran Bretagna. I giar<strong>di</strong>ni<br />

nascono presso case private, scuole, case <strong>di</strong> riposo, carceri, ospedali, centri<br />

educativi, ospedali psichiatrici, case famiglia.<br />

La progettazione del giar<strong>di</strong>no è orientata e prevede la realizzazione <strong>di</strong> un<br />

ambiente ‘a misura’ del paziente. Si tratta <strong>di</strong> offrire ambienti accessibili che<br />

tengano conto delle possibilità e delle specifiche esigenze del soggetto così come<br />

i programmi stessi vengono calibrati in relazione alle necessità ed alle urgenze <strong>di</strong><br />

ciascun in<strong>di</strong>viduo. L’ideazione comprende la scelta delle <strong>di</strong>mensioni e<br />

l’orientamento del parco, la selezione delle piante da introdurre, ma fondamentale<br />

è anche la decisione in merito agli arnesi e agli strumenti più adeguati da offrire ai<br />

singoli pazienti.<br />

Negli ultimi <strong>di</strong>eci anni si è notevolmente sviluppato l’interesse verso i giar<strong>di</strong>ni<br />

de<strong>di</strong>cati ai malati <strong>di</strong> Alzheimer, ai <strong>di</strong>sabili, ai non vedenti, ai bambini.<br />

8.1. I giar<strong>di</strong>ni terapeutici italiani<br />

In Italia la pratica dell’ortoterapia si avvale principalmente dei parchi e degli<br />

spazi ver<strong>di</strong> già annessi alla strutture ospedaliere, alle case <strong>di</strong> cura o alle<br />

comunità che ospitano il progetto terapeutico.<br />

Sono pochissimi i giar<strong>di</strong>ni appositamente realizzati per l’ortoterapia. A Roma<br />

nell’Aprile 2004 è stato inaugurato presso il centro <strong>di</strong>urno per malati <strong>di</strong><br />

136


Alzheimer “La Pineta Argentata” il primo giar<strong>di</strong>no sensoriale terapia anti-<br />

Alzheimer.<br />

Il giar<strong>di</strong>no avente funzione <strong>di</strong> stimolazione sensoriale è sorto allo scopo <strong>di</strong><br />

contrastare il declino cognitivo e <strong>di</strong> favorire il mantenimento delle residue<br />

capacità intellettive e psichiche del paziente affetto da Alzheimer. La malattia<br />

insieme al deterioramento cognitivo comporta una progressiva incapacità a<br />

svolgere anche le attività manuali più comuni quin<strong>di</strong> è importante intervenire al<br />

fine <strong>di</strong> rallentare il declino delle capacità funzionali. Il progetto è finalizzato<br />

inoltre a ridurre i <strong>di</strong>sturbi comportamentali come il <strong>di</strong>sorientamento temporale e<br />

quello che viene definito wandering ovvero il girovagare senza meta.<br />

Sempre un giar<strong>di</strong>no Alzheimer è stato realizzato a Milano presso il Centro<br />

Girola, all’interno <strong>di</strong> una Residenza sanitaria Assistenziale della Fondazione<br />

Don Gnocchi; a Biassono (Milano) presso il centro per la terza età Costa<br />

Bassa; a Colorno (Parma) presso il Centro Servizi Socio-assistenziale San<br />

Mauro.<br />

8.2. Il modello <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>no terapeutico<br />

Esistono delle linee guida che caratterizzano questa specifica tipologia <strong>di</strong><br />

giar<strong>di</strong>no.<br />

Il progetto prevede un percorso circolare guidato all’interno del giar<strong>di</strong>no che<br />

consente ai pazienti <strong>di</strong> muoversi liberamente, percorrendo vialetti protetti,<br />

caratterizzati da assenza <strong>di</strong> ostacoli, quin<strong>di</strong> senza dossi o cunette,<br />

pavimentazione anti-scivolamento e corrimano. Il contrasto cromatico con la<br />

vegetazione rende ben visibili i vialetti <strong>di</strong> percorrenza che devono essere<br />

anche antiriflesso.<br />

Dal momento che la malattia induce a camminare molto il giar<strong>di</strong>no è stato<br />

quin<strong>di</strong> realizzato per consentire ai pazienti lunghe passeggiate naturalmente<br />

senza impe<strong>di</strong>menti e <strong>di</strong>fficoltà. La passeggiata non prevede bivi e incroci che<br />

possono essere causa <strong>di</strong> smarrimento e <strong>di</strong>sorientare il paziente inoltre tutto il<br />

giar<strong>di</strong>no è visibile da qualsiasi punto. Il percorso rappresenta l’elemento<br />

strategico del giar<strong>di</strong>no, <strong>di</strong> estrema semplicità rinforza il senso <strong>di</strong> familiarità e la<br />

sicurezza del paziente. L’elemento guida è rappresentato dalla natura.<br />

137


Lungo il tragitto sono previste aree per la sosta ombreggiate, dotate <strong>di</strong><br />

panchine in modo da favorire gli incontri e le attività ricreative collettive. È<br />

importante comunque prevedere delle monopanche così da rispettare<br />

l’esigenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il proprio spazio personale che viene a volte<br />

manifestata da alcuni soggetti affetti da Alzheimer. In prossimità <strong>di</strong> queste aree<br />

vengono sistemati alberi da frutto e fiori profumati.<br />

L’orientamento spaziale generalmente compromesso in questi soggetti deve<br />

essere sostenuto da elementi <strong>di</strong> riferimento situati lungo il percorso, può<br />

trattarsi ad esempio <strong>di</strong> un gazebo, <strong>di</strong> una casetta per uccelli o più<br />

semplicemente <strong>di</strong> piante dal colore particolare.<br />

L’acqua è un elemento rilevante, il rumore ad esempio <strong>di</strong> una fontanella è un<br />

importante stimolo u<strong>di</strong>tivo nell’archivio della memoria.<br />

I giar<strong>di</strong>ni inoltre devono rappresentare uno spazio sicuro e sono quin<strong>di</strong><br />

circoscritti da barriere naturali che armonizzandosi però con il paesaggio<br />

evitano d’infondere un senso <strong>di</strong> chiusura.<br />

Sono previste naturalmente aree per il giar<strong>di</strong>naggio e la coltivazione, <strong>di</strong> facile<br />

accesso da parte dei soggetti.<br />

Il giar<strong>di</strong>no deve in sintesi rappresentare per i malati un ambiente piacevole e<br />

tranquillo per riposare e allo stesso modo deve essere funzionale allo<br />

svolgimento <strong>di</strong> attività ed esercizi.<br />

138


CONCLUSIONI<br />

139


Vorrei concludere questo lavoro con alcune considerazioni <strong>di</strong> carattere generale.<br />

Innanzitutto ritengo opportuno specificare il significato che l’ecopsicologia può<br />

assumere nel contesto italiano.<br />

Va evidenziato a questo proposito che rispetto ad altre realtà, quale ad esempio<br />

quella anglosassone, in Italia fatica ad emergere un largo e approfon<strong>di</strong>to <strong>di</strong>battito<br />

culturale che possa condurre in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una problematizzazione etica,<br />

filosofica ed epistemologica della crisi ecologica.<br />

Ritorno quin<strong>di</strong> a sottolineare come un approccio culturale eterogeneo nutrito dei<br />

contributi provenienti da un vasto e <strong>di</strong>fferenziato ambito d’indagini sia con<strong>di</strong>zione<br />

imprescin<strong>di</strong>bile per l’elaborazione <strong>di</strong> proposte psico-educative a mio parere<br />

adeguate alla complessità del tema.<br />

L’ecopsicologia si profila come un <strong>di</strong>scorso variegato e composito, aperto alle<br />

sollecitazioni provenienti dai <strong>di</strong>versi ambiti dell’ecologia, della fisica, della<br />

psicologia ambientale, della pedagogia, della filosofia, della poesia, sensibile<br />

dunque alla necessità <strong>di</strong> una maggiore integrazione dei saperi e non certo chiusa<br />

entro rigi<strong>di</strong> comparti <strong>di</strong>sciplinari.<br />

Possiamo invece osservare come sia esattamente il carattere eterogeneo della<br />

sua riflessione, che attinge anche a tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> pensiero estranee a qualsiasi<br />

luogo accademico, a determinarle una certa <strong>di</strong>fficoltà a farsi riconoscere dalla<br />

psicologia tra<strong>di</strong>zionale.<br />

L’intento primario del mio lavoro è stato pertanto quello <strong>di</strong> andare a ricollocare<br />

l’ecopsicologia nel vasto territorio della psicologia, riallacciandola a quella<br />

tra<strong>di</strong>zione che è venuta progressivamente includendo i fattori contestuali nel<br />

proprio campo d’indagine, arrivando ad assumere uomo e ambiente quale singola<br />

unità d’analisi secondo un approccio definito olistico-sistemico.<br />

Secondariamente ho scelto <strong>di</strong> fare riferimento nel testo a vari autori che non<br />

appartengono alla corrente dell’ecopsicologia ma le cui specifiche riflessioni mi<br />

sono sembrate consonanti rispetto ai concetti che andavo a presentare.<br />

Vorrei inoltre evidenziare la peculiarità dell’approccio ecopsicologico rispetto a<br />

quella che invece sembra essere la linea principale d’intervento seguita dalle tante<br />

iniziative promosse a favore dello sviluppo <strong>di</strong> una maggiore responsabilità<br />

ambientale.<br />

140


Tengo a specificare in proposito che sebbene negli ultimi anni sia possibile<br />

riscontrare una <strong>di</strong>ffusa e <strong>di</strong>chiarata consapevolezza ambientale è pur vero che<br />

questa non risulta poi nella realtà dei fatti accompagnata da una matura azione<br />

quoti<strong>di</strong>ana impostata in <strong>di</strong>rezione della tanto <strong>di</strong>battuta sostenibilità ambientale.<br />

I lavori realizzati dagli psicologi mostrano il ridotto riscontro e i limitati effetti<br />

ottenuti dalle campagne massicce volte a promuovere un comportamento<br />

ecologico responsabile (Iniguez, 1994).<br />

Difatti se è vero che il comportamento ambientale delle persone riflette il grado in<br />

cui il soggetto comprende e soprattutto attribuisce valore agli effetti del proprio<br />

comportamento è altrettanto reale, come <strong>di</strong>mostrano in particolare le varie ricerche<br />

sull’argomento, che né l’eccesso dell’informazione né le propagande morali sono<br />

sufficienti a produrre processi <strong>di</strong> cambiamento <strong>di</strong> questo genere.<br />

L’errore più grossolano è quin<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> ritenere che la sensibilità ambientale<br />

possa maturare principalmente attraverso campagne <strong>di</strong> informazione e <strong>di</strong><br />

comunicazione, oppure attraverso gli interventi <strong>di</strong> educazione ambientale che<br />

trovano spazio nelle scuole.<br />

È in questo aspetto che si <strong>di</strong>stingue efficacemente l’approccio e la proposta<br />

dell’ecopsicologia.<br />

L’ esperienza <strong>di</strong> natura, come già meglio spiegato, intende favorire l’emergere <strong>di</strong><br />

un nuovo atteggiamento verso l’ambiente naturale andando a coinvolgere non<br />

soltanto il sapere razionale, la riflessione astratta.<br />

Gli ecopsicologi sostengono che soltanto attraverso l’esperienza del corpo sia<br />

possibile arrivare a un reale cambiamento nel pensare che conduca a ri<strong>di</strong>segnare<br />

le proprie immagini mentali.<br />

L’esperienza <strong>di</strong> natura promuove dunque un sapere legato all’esperienza <strong>di</strong>retta,<br />

connesso alla <strong>di</strong>mensione percettiva, che non coincide col solo appren<strong>di</strong>mento<br />

intellettuale<br />

L’approccio dell’ecopsicologia viene fondamentalmente a caratterizzarsi per<br />

l’attenzione rivolta all’emergere <strong>di</strong> quello che viene definito “un senso <strong>di</strong> profonda<br />

connessione con la Terra” nella consapevolezza dunque che “i valori non si<br />

mo<strong>di</strong>ficano in un corso <strong>di</strong> formazione più o meno convenzionale, ma attraverso<br />

azioni <strong>di</strong> formazione in cui la persona abbia modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>simparare credenze che<br />

aveva dato come immo<strong>di</strong>ficabili nel passato” (Garcia e Dolan, 1997, p. 285).<br />

141


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Muir J. (2006)<br />

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Schweitzer A. (2006)<br />

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http://chaos.blog.supereva.it/permalink/152560.html<br />

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