31.05.2013 Views

Riconoscere l'invidia - ARIELE - Associazione Italiana di ...

Riconoscere l'invidia - ARIELE - Associazione Italiana di ...

Riconoscere l'invidia - ARIELE - Associazione Italiana di ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Premessa<br />

<strong>Riconoscere</strong> l’invi<strong>di</strong>a<br />

S. Capo<strong>di</strong>eci<br />

L’espressione “riconoscere le invi<strong>di</strong>e” appare forse la più appropriata per descrivere il sentimento<br />

invi<strong>di</strong>oso dal momento che l’invi<strong>di</strong>a, la peggiore e la più inconfessabile delle emozioni, rappresenta<br />

un vero e proprio puzzle teorico.<br />

Definire una sola invi<strong>di</strong>a è problematico perché sono tante e <strong>di</strong>verse le componenti che la<br />

caratterizzano sia sul versante dell’espressività fenomenologia (rancore, rabbia, emulazione,<br />

ammirazione, … oppure ‘piccola invi<strong>di</strong>a’, invi<strong>di</strong>a <strong>di</strong>struttiva, maligna o benigna, …) quanto della<br />

<strong>di</strong>mensione in cui cercare <strong>di</strong> identificarla: sociale, intrapsichica, relazionale, religiosa, filosofica,<br />

economica, …<br />

Il <strong>di</strong>zionario etimologico (Cortellazzo & Zolli, 1983) la definisce “sentimento <strong>di</strong> astio e <strong>di</strong> rancore<br />

per la fortuna, la felicità o le qualità altrui” e “senso <strong>di</strong> ammirazione per i beni e le qualità altrui”;<br />

deriva dal latino invidere (guardando <strong>di</strong> traverso, con occhio bieco). Il rammarico e il risentimento<br />

sono provati dall’invi<strong>di</strong>oso sia che si consideri ingiustamente escluso da tali beni, sia che, già<br />

possedendoli, ne pretenda il go<strong>di</strong>mento esclusivo.<br />

L’invi<strong>di</strong>a “as an idea and as an experience is infinitely older than psychoanalysis”, affermava Jane<br />

Kite (in Cairo-Chiaran<strong>di</strong>ni, 2001), al Panel sull’invi<strong>di</strong>a dell’American Psychoanalytic Association<br />

tenutosi a New York nel 2000 e intitolato “To Have and Have Not: Clinical Uses of Envy”<br />

parafrasando la novella <strong>di</strong> Hemingway.<br />

L’invi<strong>di</strong>a è infatti ‘antica’ sia da un punto <strong>di</strong> vista storico quanto nella <strong>di</strong>mensione evolutiva e in<br />

quella psicosociale dell’essere umano.<br />

Excursus storico<br />

Il primo atto <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a nella storia dell’uomo creò il vero significato dell’esistenza: fu infatti “per<br />

l’invi<strong>di</strong>a del <strong>di</strong>avolo che la morte entrò nel mondo” (Sap. 2,24); il demonio, invi<strong>di</strong>oso che creature<br />

a lui inferiori godessero del favore <strong>di</strong> Dio, quando era ormai decaduto tentò Adamo ed Eva<br />

inducendoli al peccato. A quella prima apparizione dell’invi<strong>di</strong>a ne seguirono altre: l’invi<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />

Caino nei confronti <strong>di</strong> Abele, pre<strong>di</strong>letto da Dio, fu la causa del primo omici<strong>di</strong>o; quella <strong>di</strong> Esaù verso<br />

Giacobbe, favorito nella successione, seminò la <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a nella famiglia; sempre per invi<strong>di</strong>a<br />

Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi fratelli e Davide fu perseguitato da Saul; e ancora per<br />

invi<strong>di</strong>a gli ebrei consegnarono Cristo a Pilato.<br />

L’invi<strong>di</strong>a doveva apparire un male <strong>di</strong>fficilmente evitabile, da cui nessuno risultava escluso,<br />

neppure i bambini dal momento che Sant’Agostino consegna questa immagine inquietante: “l’ho<br />

visto e conosciuto un bambino invi<strong>di</strong>oso: non parlava ancora e già guardava livido il suo fratello<br />

<strong>di</strong> latte”.<br />

Eppure questa invi<strong>di</strong>a, generatrice <strong>di</strong> molti mali, non compare nel primo elenco dei vizi capitali.<br />

E’ stato papa Gregorio Magno, che le conferì un posto <strong>di</strong> rilievo nella sua classificazione<br />

collocandola al secondo posto, subito dopo la superbia. Inserire l’invi<strong>di</strong>a tra i vizi capitali fu per<br />

Gregorio non solo una necessità, ma anche un modo per richiamare l’attenzione sulla <strong>di</strong>ffusa<br />

presenza <strong>di</strong> questo vizio nella società (Casagrande & Vecchio, 2000).<br />

Nella dottrina cattolica i vizi capitali sono sette peccati corrispondenti alle principali passioni e in<br />

tutti c’è un elemento, anche se transitorio, <strong>di</strong> piacere e sod<strong>di</strong>sfazione. Questo aspetto non si<br />

ritrova nell’invi<strong>di</strong>a: l’invi<strong>di</strong>oso è infatti un in<strong>di</strong>viduo che soffre; non prova nessun piacere nei<br />

momento in cui vive l’invi<strong>di</strong>a, anzi nel cedere a questa passione prova rancore e sofferenza.


In chiave fenomenologica è altresì <strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>viduare un esito preciso all’invi<strong>di</strong>a: la superbia<br />

può correlarsi al narcisismo e l’avarizia all’analità ossessiva, l’ira può sfociare nei comportamenti<br />

aggressivi e la lussuria in altri aspetti narcisistici o nella perversione, la golosità può far insorgere<br />

<strong>di</strong>sturbi alimentari e l’acci<strong>di</strong>a la depressione, mentre l’invi<strong>di</strong>a che esiti psicopatologici può<br />

possedere nella misura in cui contiene rammarico, risentimento, ammirazione e dolore?<br />

Non è allora un caso che Dante collochi gli invi<strong>di</strong>osi in Purgatorio e non nell’Inferno dal<br />

momento che chi ha provato invi<strong>di</strong>a ha già sofferto sulla terra. Dante pur non conoscendo il<br />

termine “schadenfreude”, che significa “piacere provocato dal vedere la sfortuna dell’altro”,<br />

sembra illustrarlo molto accuratamente cucendo gli occhi degli invi<strong>di</strong>osi con il fil <strong>di</strong> ferro.<br />

La Riforma protestante (specie il calvinismo), prelu<strong>di</strong>o del capitalismo, ha trasformato l’invi<strong>di</strong>a in<br />

competitività (Weber, 1904-05), ma nel secolo successivo con il Concilio <strong>di</strong> Trento (1545-63) la<br />

Chiesa Cattolica recuperava il concetto <strong>di</strong> comunità solidale e <strong>di</strong> carità caratteristici del primo<br />

cristianesimo. Questo egualitarismo guardava <strong>di</strong> sbieco (invi<strong>di</strong>a) chi vuole emergere <strong>di</strong>stinguendosi<br />

dalla massa e tendeva a combattere l’in<strong>di</strong>vidualismo proponendo l’uguaglianza nella fraternità e<br />

combattendo l’egoismo e la ricchezza dei benestanti.<br />

Sarà l’Illuminismo, l’industrializzazione e la modernità che porteranno non più all’altruismo<br />

fondato sulla carità cristiana ma ad una concezione universale <strong>di</strong> alterità in un nuovo contesto <strong>di</strong><br />

produzione <strong>di</strong> beni materiali e <strong>di</strong> crescente ricchezza delle nazioni, che sarà alla base <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

cambiamenti sociali e della <strong>di</strong>ffusione democratica della giustizia e dell’uguaglianza sociale, da qui<br />

nasceranno i <strong>di</strong>versi aspetti dell’invi<strong>di</strong>a: tra i sessi, le professioni, nella politica, nell’arte, eccetera<br />

(De Nar<strong>di</strong>s, 2000).<br />

L’aspetto simbolico del denaro e dell’accumulazione <strong>di</strong> proprietà, che hanno caratterizzato la<br />

società moderna, rappresentano la prospettiva migliore per analizzare l’invi<strong>di</strong>a: desiderio del<br />

possesso e sofferenza <strong>di</strong> non poter avere oggetti e ricchezza possedute da altri (‘ingiustamente’<br />

secondo l’invi<strong>di</strong>oso).<br />

Renè Girard (1990) affermava “l’uomo si <strong>di</strong>fferenzia dagli altri animali in quanto è il più incline<br />

all’imitazione” recuperando la teoria della mimesis platonica. Ogni appren<strong>di</strong>mento si riduce<br />

all’imitazione e se, ipoteticamente, gli uomini smettessero <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>are, scomparirebbero tutte le<br />

forme culturali. Dall’imitazione si passa al desiderio e quando l’oggetto del desiderio è posseduto<br />

da un altro, quest’ultimo <strong>di</strong>venta specchio del sé in quanto termine <strong>di</strong> riferimento in un ambivalente<br />

vissuto <strong>di</strong> ammirazione e rancore che porta ad un’imme<strong>di</strong>ata conflittualità. L’elemento che fa<br />

nascere il desiderio <strong>di</strong>venta la personificazione dello stesso, quin<strong>di</strong> il possesso realizzato dall’altro<br />

<strong>di</strong>venta il me<strong>di</strong>atore del desiderio, nei riguar<strong>di</strong> del quale scattano rivalità, competizione e appunto<br />

l’invi<strong>di</strong>a.<br />

Questa ‘moderna’ forma <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a non cancella quella precedente rivolta alla felicità, al benessere e<br />

al successo altrui; il riferimento storico è in questo caso l’invi<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Salieri per il talento, la<br />

genialità, il successo <strong>di</strong> Mozart e per la sua stessa esistenza così come lo descrive Alexander<br />

Surgueievich Pushkin nel 1830 (Etchegoyen & Nemas, 2003).<br />

Il principale effetto dell’invi<strong>di</strong>a non è quin<strong>di</strong> un proprio desiderio da realizzare, quanto piuttosto un<br />

evitare che altri lo realizzino ovvero togliere all’altro ciò che è ritenuto prezioso.<br />

L’invi<strong>di</strong>a nell’esistenza dell’essere umano<br />

L’invi<strong>di</strong>a quale manifestazione della <strong>di</strong>struttività primaria è presente fin dalla nascita in ogni essere<br />

umano. E’ stato proprio questo suo aspetto che l’ha portata al centro dell’indagine psicoanalitica sin<br />

dai suoi esor<strong>di</strong>, anche se nel tempo è andata assumendo significati <strong>di</strong>versi. Dapprima è stata<br />

assimilata ad altri affetti ad essa vicini: la gelosia e l’avi<strong>di</strong>tà, riconoscendone poi le <strong>di</strong>fferenze.<br />

L’invi<strong>di</strong>a compare prima della gelosia, è sempre esperita nei confronti <strong>di</strong> un oggetto parziale e non


è conseguente ad una relazione triangolare, la gelosia è, invece, connessa al triangolo e<strong>di</strong>pico e si<br />

sostanzia dell’o<strong>di</strong>o per il rivale e dell’amore per l’oggetto del desiderio. L’avi<strong>di</strong>tà, che ha alla sua<br />

base l’introiezione, mira al possesso <strong>di</strong> tutto ciò che è percepito <strong>di</strong> valore nell’oggetto al <strong>di</strong> là delle<br />

proprie necessità mentre l’invi<strong>di</strong>a ha lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la bontà dell’oggetto e agisce attraverso<br />

l’identificazione proiettiva.<br />

Una definizione generica, che può trovare tutti gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> formazione psico<strong>di</strong>namica d’accordo,<br />

è che si tratti <strong>di</strong> un sentimento ostile che culmina nella cattiveria e nella malizia che origina dalla<br />

percezione della superiorità o <strong>di</strong> qualche vantaggio posseduto da un altro. La percezione cioè <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>fferenza: esiste una situazione nella quale alcuni hanno qualcosa e altri no!<br />

Passando in rassegna i più importanti psicoanalisti che si sono occupati dell’invi<strong>di</strong>a si possono<br />

riconoscere le principali teorizzazioni che definiscono le varie forma <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a: a) la correlazione o<br />

meno con la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> genere, b) la <strong>di</strong>mensione innata o primaria, c) l’insorgenza dovuta alla<br />

frustrazione, all’ambiente o alla complessità <strong>di</strong> atteggiamenti aggressivi e <strong>di</strong>struttivi presenti in ogni<br />

fase dello sviluppo, d) l’oggetto invi<strong>di</strong>ato (il pene, il seno, la bontà della madre, la capacità negativa<br />

<strong>di</strong> tolleranza), e) l’influenza sulla strutturazione della personalità, f) l’oggetto su cui è <strong>di</strong>retto<br />

l’attacco invi<strong>di</strong>oso (il seno, l’Io, la relazione, il desiderio proprio o dell’altro, la madre fallica, beni<br />

<strong>di</strong> cui non si conosce nemmeno la vera natura, un oggetto idealizzato), g) l’invi<strong>di</strong>a egosintonica e<br />

quella ego<strong>di</strong>stonica, h) l’invi<strong>di</strong>a riguardante un evento cognitivo o all’opposto un affetto, i) invi<strong>di</strong>a e<br />

falso sé, l) invi<strong>di</strong>a intrapsichica e l’autoinvi<strong>di</strong>a, m) invi<strong>di</strong>a come fattore protettivo verso il montare<br />

del desiderio, n) invi<strong>di</strong>a come aspirazione a possedere le qualità altrui.<br />

Si prendono adesso in esame i principali apporti allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questa emozione.<br />

Secondo Freud (1905) l’invi<strong>di</strong>a è correlata in modo specifico alla <strong>di</strong>fferenza dei sessi: è<br />

l’espressione nella ragazza della sua umiliazione narcisistica e dei vissuti <strong>di</strong> ostilità in relazione a<br />

possesso del pene da parte dei maschi.<br />

La trattazione dell’invi<strong>di</strong>a, che Freud affronta solo sommariamente, viene ripresa da Karl Abraham<br />

che sottolinea come l’invi<strong>di</strong>oso non mostra soltanto <strong>di</strong> desiderare quel che l’altro possiede, ma<br />

unisce a questo desiderio impulsi <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o contro il privilegiato (Abraham, 1923) e un vissuto simile<br />

a quello provato dal soggetto quando un fratello più piccolo gli subentra nell’allattamento. Abraham<br />

sostiene che l’invi<strong>di</strong>a si manifesterebbe soltanto quando le circostanze esterne ne sollecitano la<br />

comparsa, solitamente contemporaneamente a un insieme <strong>di</strong> vissuti aggressivi come il rancore, la<br />

gelosia, l’ostilità, l’avi<strong>di</strong>tà, il desiderio <strong>di</strong> possesso e <strong>di</strong> controllo. Abraham considera l’invi<strong>di</strong>a<br />

come un aspetto che si struttura stabilmente nel carattere permeando così <strong>di</strong> sé l’intera personalità<br />

caratterizzata dall’essere estremamente conflittuale, marcata dal narcisismo e dominata dalle<br />

pulsioni sa<strong>di</strong>che. Gli in<strong>di</strong>vidui dotati <strong>di</strong> una simile personalità, “<strong>di</strong>struggono tutte le relazioni con<br />

l’ambiente, anzi tutta la loro vita, per l’ostinazione, l’invi<strong>di</strong>a e la sopravvalutazione <strong>di</strong> sé”<br />

(Abraham, 1921).<br />

Melanie Klein, pubblicando “Envy and gratitude” (1957), da un posto <strong>di</strong> primo piano all’interno<br />

della teorizzazione psicoanalitica al sentimento invi<strong>di</strong>oso. Riprende l’osservazione dell’invi<strong>di</strong>a dove<br />

Freud l’aveva lasciata, <strong>di</strong>scostandosi sensibilmente dalle ipotesi freu<strong>di</strong>ane e in modo salomonico<br />

presenta una revisione ra<strong>di</strong>cale: l’invi<strong>di</strong>a non è legata alla <strong>di</strong>fferenza tra i sessi ed è centrale nella<br />

relazione con la madre. L’invi<strong>di</strong>a sarebbe, a parere dell’autrice, un vissuto più precoce, una delle<br />

emozioni più primitive e fondamentali.<br />

Per la Klein l’invi<strong>di</strong>a originaria è quella che si prova verso il primo oggetto d’amore, vale a <strong>di</strong>re il<br />

seno materno che nutre: il seno è buono quando dà nutrimento, cattivo quando lo nega e lo trattiene.<br />

È in questa seconda situazione che si collocano l’emergere e il manifestarsi dell’affetto invi<strong>di</strong>oso:<br />

un affetto pericoloso se, come scrive la Klein, l’invi<strong>di</strong>a è “uno dei fattori che maggiormente minano<br />

l’amore e la gratitu<strong>di</strong>ne alle loro ra<strong>di</strong>ci, poiché essa colpisce il rapporto più precoce, quello con la<br />

madre. [...] Ritengo che … essa entri in azione fin dalla nascita e abbia una base costituzionale”<br />

(Klein, 1957). Il seno non è invi<strong>di</strong>osamente attaccato per i suoi beni, la sua bontà, ma per la


frustrazione prodotta dal tenere per sé l’ambita bontà. In effetti il seno può dare latte e amore, ma<br />

non può dare all’infante la sua pazienza e generosità, queste le tiene per sé, e come tali non possono<br />

non suscitare invi<strong>di</strong>a. Questa pazienza e generosità, vera bontà, è appunto l’aristocratica superiorità<br />

dalla quale si sente del tutto estromesso e che pertanto deve detrarre e <strong>di</strong>struggere.<br />

Anche Wilfred Bion sottolinea l’influenza negativa dell’invi<strong>di</strong>a: questa intralcerebbe ad<strong>di</strong>rittura la<br />

formazione del pensiero che, per svilupparsi, ha bisogno che il soggetto sappia tollerare una certa<br />

quantità <strong>di</strong> frustrazione, vale a <strong>di</strong>re l’assenza del seno. Se, al contrario, la frustrazione fa scattare<br />

imme<strong>di</strong>atamente l’attacco invi<strong>di</strong>oso, il pensiero non trova spazio per essere elaborato. Lo stesso<br />

Bion (1961) in<strong>di</strong>ca un’importante conseguenza del fenomeno invi<strong>di</strong>oso anche nella <strong>di</strong>namica <strong>di</strong><br />

gruppo: all’interno <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> gruppo particolare, che l’autore definisce ‘parassitario’, l’emozione<br />

dominante è proprio l’invi<strong>di</strong>a, e attraverso essa il gruppo tenta <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere colui che al suo<br />

interno si fa portatore della creatività e <strong>di</strong> idee nuove, personaggio che Bion definisce il ‘mistico’.<br />

In “Attenzione e interpretazione” (1970) egli nota che è la capacità negativa <strong>di</strong> tollerare l’ignoranza<br />

e/o la frustrazione che suscita la più pungente invi<strong>di</strong>a, come si può forse <strong>di</strong>re dell’“inesauribile<br />

pazienza” che M. Klein vede in prima posizione nella bontà materna.<br />

In “Cogitations” (1992) Bion, però, si toglie l’uniforme kleiniana quando scrive: “l’invi<strong>di</strong>a fornisce<br />

un contributo alla convinzione che gli oggetti esterni siano il pensiero del paziente. Poiché non può<br />

ammettere <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere da un oggetto esterno, il paziente pretende <strong>di</strong> essere (per poter sfuggire, alla<br />

fin fine, al sentimento dell’invi<strong>di</strong>a) come un seno che si nutre da sé, il produttore come pure il<br />

consumatore <strong>di</strong> ciò da cui <strong>di</strong>pende per questa sua vita”. L’attacco invi<strong>di</strong>oso non è <strong>di</strong>retto verso un<br />

oggetto o una struttura (l’Io o il seno materno) bensì alla relazione, è un “attacco al legame” che<br />

presuppone la realtà della relazione. Qui anche per Bion l’invi<strong>di</strong>a è confusione/aderenza tra il mio<br />

desiderio e quello dell’altro. Il sentimento d’invi<strong>di</strong>a, se guardato con attenzione, si rivela un<br />

miraggio: nell’altro - nel desiderio dell’altro - vedo un’immagine <strong>di</strong> completezza, <strong>di</strong> autosufficiente<br />

consistenza da cui io sono escluso.<br />

Gli effetti dell’invi<strong>di</strong>a primitiva postulata dalla Klein sulla strutturazione della personalità sono stati<br />

esaminati anche da Rosenfeld che, nel suo libro “Comunicazione e Interpretazione” (1987), insiste<br />

sulla importanza <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra reazioni negative del paziente dovute a invi<strong>di</strong>a e quelle dovute a<br />

interpretazione errata e a tecnica <strong>di</strong>fettosa.<br />

Rosenfeld <strong>di</strong>stingue due parti della personalità, una in grado <strong>di</strong> tollerare la <strong>di</strong>pendenza (che<br />

definisce “Sé libi<strong>di</strong>co”), l’altra, dominata dall’invi<strong>di</strong>a, che la porta a negare la <strong>di</strong>pendenza e a<br />

fantasticare <strong>di</strong> possedere tutto quanto le è necessario. Alla base <strong>di</strong> ciò sta la fantasia onnipotente <strong>di</strong><br />

possedere completamente il seno. In una situazione <strong>di</strong> questo tipo la parte <strong>di</strong>struttiva e invi<strong>di</strong>osa<br />

della personalità viene idealizzata, assume caratteri seduttivi e controlla i meccanismi psichici.<br />

Secondo Rosenfeld tali meccanismi stanno alla base <strong>di</strong> gravissimi <strong>di</strong>sturbi mentali.<br />

Rosenthall (1963), probabilmente l’unico junghiano che si sia occupato del problema dell’invi<strong>di</strong>a,<br />

ritiene che gli invi<strong>di</strong>osi subiscano l’influsso fascinatore dell’archetipo della madre fallica, una<br />

figura bisessuale che “ha tutto”. Questa figura bisessuale farebbe parte del bagaglio fantastico dei<br />

pazienti invi<strong>di</strong>osi, ed essi cercano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi da essa attraverso il meccanismo della scissione, ma<br />

senza successo.<br />

Lacan (1964) sostiene che “tutti sanno che l’invi<strong>di</strong>a è comunemente provocata dal possesso <strong>di</strong> beni<br />

che non sarebbero, per chi invi<strong>di</strong>a, <strong>di</strong> alcuna utilità, e <strong>di</strong> cui non suppone nemmeno la vera natura. È<br />

questa la vera invi<strong>di</strong>a”. Anche Lacan, come Tommaso d’Aquino, rievoca l’immagine, proposta in<br />

Agostino nelle Confessioni, del lattante invi<strong>di</strong>oso che “guardando livido con sguardo torvo invi<strong>di</strong>a<br />

il suo compagno <strong>di</strong> latte”. Va bene, il bambino guarda ma, aggiunge Lacan, “chi ci <strong>di</strong>ce che abbia<br />

ancora bisogno <strong>di</strong> attaccarsi alla mammella?".<br />

In tutte le culture i principali <strong>di</strong>vieti riguardano sempre gli oggetti più vicini (prossimi); per questo<br />

il comandamento <strong>di</strong>ce lacanianamente “non desiderare la roba d’altri” e non <strong>di</strong>ce kleinianamente<br />

“non invi<strong>di</strong>are chi possiede la roba”, giacché solo invi<strong>di</strong>andolo potrai non ucciderlo.


Hanna Segal (1968) relaziona gli attacchi invi<strong>di</strong>osi al “mal d’occhio”, l’oggetto invi<strong>di</strong>ato è<br />

idealizzato e perciò <strong>di</strong>venta sempre più lontana la possibilità <strong>di</strong> possederlo. Hanna Segal propone la<br />

possibilità d’integrazione e trasformazione del sentimento d’invi<strong>di</strong>a. Nella posizione depressiva<br />

viene mo<strong>di</strong>ficato dall’amore e <strong>di</strong>venta una componente normale della gelosia e<strong>di</strong>pica,<br />

trasformandosi poco a poco in sentimenti integrati <strong>di</strong> rivalità e <strong>di</strong> emulazione.<br />

Joffe (1969) sostiene che l’invi<strong>di</strong>a è troppo complessa per essere primaria e richiede all’infante<br />

intenzionalità e capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra sé e oggetto. Così egli conclude: “II concetto d’invi<strong>di</strong>a<br />

come energia pulsionale primaria e innata è pienamente respinto. È piuttosto un complicato<br />

atteggiamento che è parte del normale sviluppo”. Secondo Joffe l’invi<strong>di</strong>a è strettamente correlata<br />

alla possessività, all’aggressione e alla <strong>di</strong>struttività. La componente aggressiva e le fantasie<br />

connesse possono provenire da ogni fase dello sviluppo, non solo da quella orale. L’invi<strong>di</strong>a non può<br />

essere quin<strong>di</strong> considerata una pulsione primaria, ma secondaria; può portare a conseguenze positive<br />

e <strong>di</strong> tipo adattivo oppure alla patologia più maligna. Ha uno stretto rapporto con il narcisismo e<br />

l’autostima dell’in<strong>di</strong>viduo ed è in tale area e nella sua patologia che trova il suo sviluppo.<br />

Boris (1986) descrive con un sillogismo una interessante aspetto dell’invi<strong>di</strong>a: “l’isterica sente senza<br />

capire quanto l’ossessivo-compulsivo capisce senza sentire; e quest’ultimo è anche l’epilogo<br />

dell’invi<strong>di</strong>a”.<br />

Etchegoyen et al. (1987), pur trovando degna <strong>di</strong> considerazione l’idea <strong>di</strong> Racker (1957), che è quasi<br />

sempre una frustrazione che dà inizio all’attacco invi<strong>di</strong>oso, sostengono che l’invi<strong>di</strong>a primaria va<br />

sempre <strong>di</strong>fferenziata dalla frustrazione dovuta all’ambiente, anche se nel materiale clinico appaiono<br />

entrambe sempre insieme. Nelle angosce <strong>di</strong> separazione è più facile attribuire l’ostilità all’assenza<br />

dell’oggetto, che riconoscere l’attacco invi<strong>di</strong>oso che la sua presenza può suscitare.<br />

In definitiva, è l’intolleranza dei rapporti oggettuali e della <strong>di</strong>pendenza infantile — lo stato<br />

narcisistico del paziente — che comporta e contiene invi<strong>di</strong>a. Se questo non viene considerato e<br />

interpretato nella sua vera natura, l’invi<strong>di</strong>a rimane per lo più ben <strong>di</strong>fesa e nascosta.<br />

Lussana (1992) sostiene che è possibile che il conflitto estetico, <strong>di</strong> cui tratta Meltzer (1988) in<br />

“Amore e timore della bellezza”, tra la capacità <strong>di</strong> esperire la bellezza e unicità degli oggetti e la<br />

spinta verso la loro degradazione, risulti essere un processo parallelo o una forma particolare del<br />

conflitto tra gratitu<strong>di</strong>ne e invi<strong>di</strong>a, tra amore e o<strong>di</strong>o.<br />

Roccato (1991) sintetizza una definizione <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a nelle seguenti parole: “L’invi<strong>di</strong>a è il dolore<br />

della percezione delle <strong>di</strong>fferenze con proprio svantaggio”.<br />

Elizabeth Bott Spillius (1993) si focalizza su una specifica <strong>di</strong>stinzione clinica basando il suo uso del<br />

concetto <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a – secondo la descrizione della Klein – come centrale nella sua concezione della<br />

mente. In base alla sua esperienza clinica, la Spillius ha trovato una reazione invi<strong>di</strong>osa che si trova<br />

virtualmente in tutti i pazienti, inconscia e relativamente lieve, un tipo <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a che l’autrice<br />

definisce ego<strong>di</strong>stonica. In questo senso, il paziente definisce l’invi<strong>di</strong>a come un attacco ad un oggetto<br />

buono verso il quale si è <strong>di</strong>pendenti. Spillius considera quin<strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> reazione invi<strong>di</strong>osa,<br />

come un’invi<strong>di</strong>a “or<strong>di</strong>naria”, inevitabile e solitamente non <strong>di</strong>struttiva.<br />

Il secondo tipo <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a che può essere sperimentato è - secondo la Spillius - <strong>di</strong>versa, sia<br />

qualitativamente che quantitativamente, ed è più grave e <strong>di</strong>sturbante. Essa è vissuta come un torto o<br />

come ciò che l’autrice chiama anche “invi<strong>di</strong>a impenitente”. I sentimenti <strong>di</strong> tipo sadomasochistico<br />

sono pertanto centrali in questa forma <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a.<br />

Armando Ferrari (1998) sottolinea un aspetto costruttivo dell’invi<strong>di</strong>a consistente “nella attribuzione<br />

ad altri delle risorse che l’in<strong>di</strong>viduo non può riconoscere come proprie”; vede cioè l’invi<strong>di</strong>a come<br />

un sentimento la cui funzione organizzatrice spinge alla ricerca e al riconoscimento delle proprie<br />

risorse che vengono percepite fuori <strong>di</strong> sé e non all’interno <strong>di</strong> se stessi.<br />

Adrienne Harris (2000) parla dell’invi<strong>di</strong>a femminile come <strong>di</strong> un sentimento rinnegato e si incentra<br />

sul fatto che l’invi<strong>di</strong>a è espressa solitamente nelle donne attraverso il timore <strong>di</strong> essere invi<strong>di</strong>ate. La<br />

Harris enfatizza come per molte donne le esperienze <strong>di</strong> essere attive, ambiziose, sa<strong>di</strong>che, <strong>di</strong>struttive<br />

e arrabbiate non siano <strong>di</strong>fferenziate tra loro. Anche Joan Riviere (1929) descriveva le inibizioni


femminili come basate sul timore <strong>di</strong> subire attacchi invi<strong>di</strong>osi; inibizioni che sono mascherate dalla<br />

femminilità.<br />

Frankiel (2000) sostiene che il progetto <strong>di</strong> gravidanza <strong>di</strong> una paziente può portarla al timore <strong>di</strong><br />

sentirsi derubata <strong>di</strong> un contenuto prezioso e che questa modalità può rivelare, nella storia della<br />

paziente, come aveva reagito alla gravidanza della madre quando aspettava un fratellino. E’ utile –<br />

sottolinea l’autore - tenere a mente queste <strong>di</strong>namiche nell’analisi <strong>di</strong> donne in cinta. Frankiel (1985)<br />

descrive come l’ansia espressa dai genitori <strong>di</strong> un ragazzo che inizia una terapia analitica è, in parte,<br />

una risposta alla fantasia che il figlio venga rapito.<br />

Kite (2001) enfatizza la sua idea <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a che riguarda principalmente un evento cognitivo,<br />

concezione che contrasta con quella kleiniana che vede l’invi<strong>di</strong>a soprattutto come un affetto che<br />

solo successivamente sarà correlato ad una percezione. Kite successivamente descrive il carattere<br />

permanente e la patologia del superIo nella donna, che ella vede come la conseguenza dell’invi<strong>di</strong>a<br />

del pene nella ragazza.<br />

Nella critica <strong>di</strong> Roy Schafer (1994) a Freud, queste teorie sono viste nel contesto <strong>di</strong> un impegno<br />

verso il darwinismo e dalla conseguente necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre in modo chiaro i ruoli maschili da<br />

quelli femminili. Kite sostiene “L’invi<strong>di</strong>a è una preoccupazione maggiormente presente nelle<br />

donne rispetto agli uomini”. Questa idea – suggerisce l’autrice – potrebbe essere vista come<br />

l’ammettere una minore espressione <strong>di</strong> aggressività negli uomini.<br />

Bontempo (2000) sostiene che l’invi<strong>di</strong>a è il dolore dell’incompiutezza, dell’incompletezza, della<br />

manchevolezza, della percezione deficiente, del <strong>di</strong>fetto, dell’insufficienza, della scarsità,<br />

dell’imperfezione. Se nella depressione è imperante il senso della ‘per<strong>di</strong>ta’, nell’invi<strong>di</strong>a regna il<br />

senso della ‘mancanza’. Le risposte adeguate all’ascolto <strong>di</strong> questo ‘segnale’ passano attraverso lo<br />

sforzo verso la compiutezza, l’eccellenza, la finitezza, la perfettibilità, ovvero l’accettazione dei<br />

limiti e la percezione <strong>di</strong> avercela comunque ‘messa tutta’.<br />

La relazione tra l’invi<strong>di</strong>a patologica e il falso sé è maggiormente evidente nel Disturbo Narcisistico<br />

<strong>di</strong> Personalità come è stato documentato da fonti <strong>di</strong>vergenti come Kohut, Kernberg e il DSM-IV.<br />

Può verificarsi che l’invi<strong>di</strong>a o meglio l’attacco invi<strong>di</strong>oso sia sferrato da parti <strong>di</strong>struttive - la banda<br />

criminale mafiosa <strong>di</strong> cui parlava Rosenfeld (1972), dominata da un capo che per mantenere il potere<br />

deve controllare tutti, impedendo il rafforzamento del Sé - nei confronti <strong>di</strong> aspetti più evoluti della<br />

personalità. È il fenomeno che Racalbuto (2006) definiva “transfert intrapsichico” tra parti sane<br />

della personalità e parti contaminate del Sè.<br />

Agresta (2008) sostiene che l’invi<strong>di</strong>a svolge nel contempo una funzione protettiva <strong>di</strong> uno psichismo<br />

che necessita <strong>di</strong> argini interni al montare del desiderio. Senza la me<strong>di</strong>azione dell’invi<strong>di</strong>a, decade la<br />

necessaria <strong>di</strong>stanza che mi separa dall’altro mantenendo la <strong>di</strong>stinzione tra la mia interiorità non vista<br />

(si invi<strong>di</strong>a in silenzio, nascostamente) e quella dell’altro, la quale si pone così come immagine<br />

speculare del mio desiderio. Si desidera ardentemente senza sapere con esattezza che cosa:<br />

invi<strong>di</strong>ando ci orientiamo in questa mancanza. Freud (1921), in “Psicologia delle masse e analisi<br />

dell’Io”, sosteneva: “il maschietto manifesta un interesse particolare per il proprio padre, vorrebbe<br />

<strong>di</strong>venire ed essere come lui, sostituirlo in tutto e per tutto. Diciamolo tranquillamente, egli assume il<br />

padre come proprio ideale. Questo comportamento non ha nulla a che fare con un atteggiamento<br />

passivo o femmineo nei riguar<strong>di</strong> del padre (e del maschio in generale): esso è anzi squisitamente<br />

maschile. Si accorda benissimo con il complesso <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po, che contribuisce a preparare”. Ecco<br />

l’origine dell’invi<strong>di</strong>a come desiderio dell’altro: Freud non la nomina ma la descrive con precisione,<br />

evidenziandone anche l’aspetto funzionale (“contribuisce a preparare”). L’invi<strong>di</strong>a ci guida come<br />

ciechi rabdomanti in cerca <strong>di</strong> desideri, rendendoci in questo modo umani: le nostre <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e<br />

incessanti sono il prezzo pagato per essere capaci <strong>di</strong> desiderare.<br />

Un’ultima definizione la fornisce Mauro Cosmai (2010), psicoanalista adleriano, che inserisce<br />

l’invi<strong>di</strong>a nel suo “<strong>di</strong>zionario dei mali necessari” sostenendo che può essere necessaria non tanto per<br />

desiderare che l’altro vada incontro alla rovina o si trovi peggio degli altri, quanto per aspirare ad


avere quelle qualità che non si possiedono e che si ritrovano nell’altro. Conclude, contrad<strong>di</strong>cendosi<br />

in parte, affermando “Stiamo parlando in ogni caso <strong>di</strong> sana invi<strong>di</strong>a”.<br />

Aspetti psicosociali dell’invi<strong>di</strong>a<br />

Durkheim sosteneva che nessuna società può esistere senza un insieme <strong>di</strong> emozioni <strong>di</strong> fondo e su<br />

questa linea Parsons (1951), il profeta della “neutralità affettiva”, ha precisato che la nostra società<br />

riuscirà a liberarsi dalla partecipazione emotiva per la ferma volontà <strong>di</strong> non voler essere emotiva<br />

nonché per la paura, anch’essa inconfessabile, <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a.<br />

Ogni periodo storico possiede una propria cultura emozionale, la nostra è un’epoca nella quale si<br />

de<strong>di</strong>ca molto tempo alla conoscenza delle emozioni. Nelle organizzazioni sociali prevale<br />

l’addestramento emotivo degli in<strong>di</strong>vidui che le compongono con la finalità <strong>di</strong> ottenere una gestione<br />

emozionale e con la conseguenza <strong>di</strong> far <strong>di</strong>ventare le emozioni meno naturali e sempre più culturali,<br />

cioè un insieme <strong>di</strong> regole, abitu<strong>di</strong>ni e standard situazionali, conosciuti da tutti gli appartenenti ad<br />

una società, che regolano il manifestarsi dei sentimenti: quando e come è possibile irritarsi, litigare,<br />

criticare, ecc.<br />

In una prospettiva psicosociale l’interrogativo che ci si può porre è relativo a quanto la società (il<br />

contesto sociale più precisamente) abbia un ruolo nel favorire il sentimento invi<strong>di</strong>oso. L’invi<strong>di</strong>a<br />

esisterebbe senza le norme sociali che la regolano o si tratta <strong>di</strong> due oggetti in<strong>di</strong>pendenti?<br />

Le emozioni primarie (rabbia, gioia e paura) sono universali e ubiquitarie, ma il sentimento<br />

invi<strong>di</strong>oso che espressività ha nei <strong>di</strong>versi contesti sociali? Nella società statunitense, secondo Stearns<br />

e Stearns (1986), la collera è un nemico che è stato domato e allontanato, mentre l’invi<strong>di</strong>a quale<br />

emozione prodromica dell’aggressività è invece probabilmente aumentata. Sicuramente è aumentata<br />

la ricerca del successo, aspetto che è al contrario negato nei paesi latini dove si ha una sorta <strong>di</strong><br />

vergogna ad ammettere <strong>di</strong> ricercarlo. Non è sempre facile altresì ammettere che la competizione sia<br />

utile, ma un sistema sociale lasciato in balia <strong>di</strong> se stesso fa accrescere l’invi<strong>di</strong>a che, nascendo<br />

dall’ammirazione e dall’identificazione, circola nei rapporti <strong>di</strong> prossimità ed emerge quando si<br />

scopre <strong>di</strong> essere stati superati da qualcuno <strong>di</strong> pari livello che non si riesce ad emulare. Cosa accade a<br />

questo punto? Si accetta il successo altrui o si comincia a desiderare la sua rovina? La<br />

fenomenologia dell’invi<strong>di</strong>a prevede che si blocchi l’azione finalizzata al raggiungimento<br />

dell’obiettivo e si desidera esclusivamente che quest’ultimo non sia raggiunto dall’altro.<br />

Nietzsche (1899) e Scheler (1912) descrivono accuratamente il risentimento che provoca<br />

l’emozione dell’o<strong>di</strong>o per i vincenti, solitamente belli, forti e potenti: emozione così forte da<br />

spingere l’invi<strong>di</strong>oso a convincersi che i motivi del successo siano da ascriversi al vizio e non alle<br />

qualità!<br />

Sempre in una prospettiva psicosociale, Parkin (1979) elabora il concetto <strong>di</strong> chiusura sociale e<br />

in<strong>di</strong>vidua come elementi fondanti <strong>di</strong> quest’ultima proprio quelle caratteristiche che tendono a<br />

produrre quote sempre più alte <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a: la proprietà, la qualifica professionale, i titoli <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e,<br />

anche se non fa riferimento esplicito, gli stili <strong>di</strong> vita. Riesman (1950) sosteneva che gli stili <strong>di</strong> vita si<br />

possono considerare come lo strumento utilizzato dagli in<strong>di</strong>vidui etero<strong>di</strong>retti per raggiungere una<br />

finalità specifica: piacere agli altri nell’omologazione. Questa appare un’autocelebrazione del<br />

comune senso del benessere (non più il ‘desiderio mimetico’ <strong>di</strong> Girard), una sorta <strong>di</strong> convincimento<br />

ottimistico finalizzato all’etichettarsi come ricchi per prevenire la propria caduta nel baratro<br />

dell’invi<strong>di</strong>a e riuscire così ad esorcizzarla. L’attuale utilizzo <strong>di</strong> prodotti low cost è una modalità <strong>di</strong><br />

regolazione dell’invi<strong>di</strong>a che si concretizza nell’esercitare un consumismo alla portata <strong>di</strong> tutti.<br />

Un altro ambito che occorrerà indagare in futuro per riconoscere l’invi<strong>di</strong>a è quello legato alle<br />

conseguenze della sempre più <strong>di</strong>ffusa possibilità <strong>di</strong> navigare su Internet che, essendo alla portata <strong>di</strong><br />

tutti, va al <strong>di</strong> là delle <strong>di</strong>suguaglianze e favorendo il confronto con il “resto del mondo” può produrre<br />

nuove forma <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a.


Queste ine<strong>di</strong>te forme <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a per le caratteristiche <strong>di</strong> virtualità possedute dal mezzo utilizzato<br />

sono <strong>di</strong>fficilmente gestibili. La virtualità non coincide con la realtà, che tende a far aumentare<br />

sempre <strong>di</strong> più le <strong>di</strong>fferenze tra gli in<strong>di</strong>vidui, tanto quanto l’omologazione, favorita dalla virtualità,<br />

non è sinonimo <strong>di</strong> uguaglianza.<br />

Conclusioni<br />

Non una, quin<strong>di</strong>, ma numerose invi<strong>di</strong>e che tutte insieme realizzano un costrutto teorico complesso e<br />

<strong>di</strong>fficile da riconoscere.<br />

Per concludere, si potrebbe <strong>di</strong>re che l’invi<strong>di</strong>a continua a prosperare nella terra <strong>di</strong> mezzo tra<br />

desiderio e go<strong>di</strong>mento, tra risentimento e rancore, laddove prende forma il teatro delle passioni<br />

umane magnificamente descritto da Shakespeare, e che non a caso è chiamato "teatro dell’invi<strong>di</strong>a"<br />

da Girard (1990). Quest’ultimo afferma che “per desiderare veramente, noi dobbiamo ricorrere agli<br />

esseri umani che ci circondano, dobbiamo prendere in prestito i loro desideri".<br />

Possiamo chiederci se abbiamo davvero bisogno <strong>di</strong> ciò che invi<strong>di</strong>amo. Per la teoria kleiniana la<br />

risposta è si, l’invi<strong>di</strong>a è questione <strong>di</strong> vita o <strong>di</strong> morte. Per Lacan, ma anche per Bion, la risposta è no,<br />

non invi<strong>di</strong>amo ciò <strong>di</strong> cui abbiamo davvero bisogno, bensì ciò <strong>di</strong> cui cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> aver bisogno nel<br />

momento che lo ve<strong>di</strong>amo desiderare dall’altro. L’invi<strong>di</strong>oso non desidera qualcosa che l’altro<br />

possiede in sé, quanto piuttosto - incontrando il pieno <strong>di</strong> desiderio dell’altro - fa i conti col suo<br />

proprio vuoto <strong>di</strong> desiderio. Ma proprio in questo movimento interno poggia la funzione costruttiva<br />

dell’invi<strong>di</strong>a: dal momento che la si prova, essa <strong>di</strong>spone già dello spazio mentale sufficiente al<br />

proprio superamento. Dov’è che l’invi<strong>di</strong>a è assente? Laddove l’elaborazione simbolica non c’è o è<br />

<strong>di</strong>fettosa. È qui che emerge il go<strong>di</strong>mento immaginario, è a questo punto che il desiderio sfonda il<br />

limite del go<strong>di</strong>mento e si converte nel suo contrario, in perversione e in desiderio <strong>di</strong> morte.<br />

Possiamo concludere con degli interrogativi su chi subisce l’invi<strong>di</strong>a dell’altro che potrebbero<br />

portare ad approfon<strong>di</strong>re la tematica dell’invi<strong>di</strong>a. Cosa prova l’analista quando un paziente invi<strong>di</strong>a le<br />

sue capacità? Cosa comporta per il supervisore il sentirsi investito dall’invi<strong>di</strong>a del can<strong>di</strong>dato o del<br />

gruppo? Cosa sente un figlio quando avverte l’invi<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un genitore?<br />

Tutte queste domande, come è ovvio, possono essere riformulate invertendone i termini …<br />

Bibliografia<br />

Abraham, K., Äusserungsformen des weiblichen Kastrationskomplexes, in "Internationale<br />

Zeitschrift für Psychoanalyse", 1921, VII, 4, pp. 422-452; trad. It. Forme <strong>di</strong> manifestazione del<br />

complesso femminile <strong>di</strong> evirazione, in Opere, vol. I, Torino 1987, pp. 107-135.<br />

Abraham, K., Ergänzungen zur Lehre vom Analcharakter, in Internationale Zeitschrift für<br />

Psychoanalyse, 1923, IX, 1, pp. 24-47; trad. It. Supplementi alla teoria del carattere anale, in<br />

Opere, vol. I, Torino 1987, pp. 170-190.<br />

Agostino, Confessiones, I, 7, 1.<br />

Agresta, S. (2008), L'invi<strong>di</strong>a necessaria. Argomenti a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> un sentimento rimosso, Impronte,<br />

N. 12, Rivista telematica, www.rivistaimpronte.it<br />

Bion, W.R., (1961), Experiences in groups, and other papers, New York; trad. It. Esperienze nei<br />

gruppi e altri saggi, Roma 1972.<br />

Bion W.R. (1970). Attenzione e interpretazione. Armando, Roma, 1973.<br />

Bion W. R. (1992). Cogitations (e<strong>di</strong>ted by Francesca Bion). London, Karnac Books; trad. It. <strong>di</strong><br />

Parthenope Bion Talamo e <strong>di</strong> Silvio A. Merciai, Roma, Armando Armando E<strong>di</strong>tore.


Bontempo, G. (2000), Il dolore <strong>di</strong> Aglauro, Impronte, N. 12, Rivista telematica,<br />

www.rivistaimpronte.it<br />

Boris, N.H. (1986), The "Other" Breast—Greed, Envy, Spite and Revenge. Contemp. Psychoanal.,<br />

22:45-59.<br />

Casagrande, C. &Vecchio, S. (2000) I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Me<strong>di</strong>oevo. Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino.<br />

Cortellazzo, M. & Zolli P. (1983), Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli,<br />

Bologna.<br />

Cosmai, M. (2010), Dizionario dei mali necessari, E<strong>di</strong>tore Croce Libreria, Roma.<br />

De Nar<strong>di</strong>s, P. (2000), L’invi<strong>di</strong>a. Un rompicapo per le scienze sociali, Meltemi, Roma.<br />

Etchegoyen, H., Lopez B., Rabim M. (1987), Envy and how to interpret it, Int. J. Psycho-anal., 68,<br />

49-61.<br />

Etchegoyen, R.H. & Nemas, C.R. (2003). Salieri’s Dilemma. Int. J. Psycho-Anal., 84:45-58.<br />

Ferrari, A. (1998), L’alba del pensiero. Roma: Borla.<br />

Frankiel, R. (1985). The stolen child: A fantasy, a wish and a source of counter-transference. Int.<br />

Rev. Psycho-Anal. 12:417-430.<br />

Frankiel, R. (2000), Envy and the danger of <strong>di</strong>fference, Paper presented to the American<br />

Psychoanalytic Association panel “To Have and Have Not: Clinical Treatment of Envy,” New<br />

York, December 2000.<br />

Freud, S. (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere, Vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino,<br />

1989.<br />

Freud, S. (1921), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, vol. IX, Bollati Boringhieri,<br />

Torino, 1989.<br />

Girard, R. (1990), Shakespeare. Il teatro dell’invi<strong>di</strong>a, Adelphi, Milano.<br />

Harris, A. (2000), “Women’s Envy: Disowned Excitements”. Paper presented to the American<br />

Psychoanalytic Association panel “To Have and Have Not: Clinical Treatment of Envy,” New<br />

York, December 2000.<br />

Hemingway E. “Avere e non avere”, collana ‘I Meri<strong>di</strong>ani’ vol.II, traduzione <strong>di</strong> Vincenzo<br />

Mantovani, Mondadori E<strong>di</strong>tore, 1993.<br />

Lussana, P. (1992). Invi<strong>di</strong>a. Rivista Psicoanal., 38:123-153<br />

Joffe, W.G. (1969). A Critical Review of the Status of the Envy Concept. Int. J. Psycho-Anal. 50,<br />

533-545.<br />

Kite, J. (2001), in Cairo-Chiaran<strong>di</strong>ni, I. (2001). To Have and Have Not. J. Amer. Psychoanal. Assn.,<br />

49:1391-1404<br />

Klein, M. (1957), Invi<strong>di</strong>a e gratitu<strong>di</strong>ne. Martinelli, Firenze, 1969.<br />

Lacan, J. (1964), Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einau<strong>di</strong>,<br />

1979.<br />

Meltzer, D. & Harris M. (1988), Amore e timore della bellezza, Quad. Psicoter. Inf. 20.<br />

Nietzsche, F. (1899), Genealogia della morale, Milano, Adelphi, 1984.<br />

Parsons, T. (1951), The social system, Glencoe (Illinois), Free Press; trad. It. Il sistema sociale,<br />

Milano, Comunità, 1981.<br />

Parkin, F. (1979), Marxism and class theory. A bourgeois critique, London, Tavistock; trad. It.<br />

Classi sociali e stato. Un’analisi neo-weberiana, Bologna, Zanichelli, 1985.<br />

Racalbuto, A. (2006), citato da Salomon Resnik, in Lo spazio dei limiti, a cura <strong>di</strong> Vito Sava, Elena<br />

La Rosa, Franco Angeli, Milano.<br />

Racker, H. (1957), Contribution to the problem of psychopathological stratification Int. J.<br />

Psychoanal. 38:223-239.<br />

Riesman, D., Glazer, N., Denney, R. (1950), The lonely crowd, A study of the changing american<br />

character, New Haven, Yale University Press,; trad. It. La folla solitaria, Bologna, Il Mulino, 1956.


Riviere, J. (1929), La féminité comme mascarade, IJP, vol. X, trad. fr. in La Psychanalyse, vol. 7, p.<br />

257.<br />

Roccato, P. (1991), Aspetti cognitivi e relazionali dell’emozione, in Gli affetti nella psicoanalisi, a<br />

cura <strong>di</strong> G. Hautmann e A. Vergine, Borla, Roma.<br />

Rosenfeld, H. (1972), L’accostamento clinico alla teoria psicoanalitica degli istinti <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong><br />

morte: una ricerca sugli aspetti aggressivi del narcisismo. Rivista <strong>di</strong> Psicoanalisi, 18, 47-67.<br />

Rosenfeld, H.A. (1987). Impasse and Interpretation. Tavistock Publications, London.<br />

Rosenthall, M. (1963), Envy and the contrasexual archetype. J. Analyt. Psychol., 8, 1.<br />

Schafer, R. (1994). Presentation to panel, Classics Revisited: Envy and Gratitude by Melanie Klein,<br />

Association for Psychoanalytic Me<strong>di</strong>cine.<br />

Scheler, M. (1912), Ressentiment. Tr. William W. Holdheim. New York, Free Press, 1961.<br />

Segal, H. (1968), Introduzione all’opera <strong>di</strong> Melanie Klein. Martinelli E<strong>di</strong>tore, Firenze.<br />

Spillius, E.B. (1993). Varieties of Envious Experience. Int. J. Psycho-Anal., 74: 1199-1212.<br />

Stearns, C.Z. & Stearns, P.N. (1986), Anger: the struggle for emotional control in America’s<br />

history, Chicago, Chicago University Press.<br />

Weber, M. (1904-05), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, 1970

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!