Testo - Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini
Testo - Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini
Testo - Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009<br />
Direttore<br />
FRANCO SALVATI<br />
Comitato di Redazione<br />
ALFONSO ALTIERI, FRANCESCO BELLI (Redattore capo),<br />
MAURO CALVANI, GIUSEPPE CARDILLO, PAOLO MATTIA,<br />
GIOVANNI MINARDI (Coordinatore), MAURIZIO MORUCCI, FABRIZIO NESI,<br />
BRUNO NOTARGIACOMO, SERGIO PILLON, ELIO QUARANTOTTO, PIETRO SACCUCCI,<br />
MICHELE SCOPPIO, GIANDOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO<br />
Segreteria di Redazione:<br />
RITA VESCOVO, ALMERINDA ILARIA<br />
Comitato Scientifico-Editoriale<br />
Coordinatore ROBERTO CANOVA<br />
LOREDANA ADAMI, MARIO GIUSEPPE ALMA, CATERINA AMODDEO, DONATO ANTONELLIS,<br />
GIANLUCA BELLOCCHI, FRANCO BERTI, FRANCO BIANCO,<br />
ELSA BUFFONE, PIO BUONCRISTIANI, ALESSANDRO CALISTI, ILIO CAMMARELLA,<br />
ALBERTO CIANETTI, ENRICO COTRONEO, FRANCESCO CREMONESE,<br />
ALBERTO DELITALA, FILIPPO DE MARINIS, SALVATORE DI GIULIO,<br />
CLAUDIO DONADIO, VITTORIO DONATO, GIUSEPPE MARIA ETTORRE, ALDO FELICI,<br />
LAURA GASBARRONE, CLAUDIO GIANNELLI, EZIO GIOVANNINI, LUCIA GRILLO,<br />
MASSIMO LENTINI, ANNA LOCASCIULLI, IGNAZIO MAJOLINO, CARLO MAMMARELLA,<br />
LUCIO MANGO, EMILIO MANNELLA, LAURO MARAZZA, MIRELLA MARIANI,<br />
MASSIMO MARTELLI, ANTONIO MENICHETTI, GIOVANNI MINISOLA, CINZIA MONACO,<br />
FRANCESCO MUSUMECI, REMO ORSETTI, PAOLO ORSI, GIOVACCHINO PEDICELLI,<br />
VINCENZO PETITTI, LUCA PIERELLI, ROBERTO PISA, LUIGI PORTALONE, GIOVANNI PUGLISI,<br />
SANDRO ROSSETTI, ENRICO SANTINI, EUGENIO SANTORO, GIOVANNI SCHMID,<br />
CIRIACO SCOPPETTA, CORA STERNBERG, GIUSEPPE STORNIELLO,<br />
PIERO TANZI, ROBERTO TERSIGNI, ANNA RITA TODINI, CLAUDIO TONDO,<br />
MIRELLA TRONCI, ROBERTO VIOLINI<br />
ROMA<br />
Segreteria:<br />
GIOVANNA DE PAOLA<br />
Società Editrice Universo
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> San <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong><br />
Roma<br />
Direttore Sanitario:<br />
Diamante Pacchiarini<br />
ROMA<br />
Direttore Generale:<br />
Luigi Macchitella<br />
Società Editrice Universo<br />
Direttore Amministrativo:<br />
Antonino Giliberto<br />
Abbonamenti 2009<br />
Italia: istituzionali € 100,00; privati € 73,00<br />
Estero: istituzionali € 200,00; privati € 146,00<br />
Il prezzo di ogni fascicolo (solo per l'Italia) è di € 20,00, se arretrato € 40,00<br />
Per la richiesta di abbonamenti e per la richiesta di inserzioni pubblicitarie<br />
rivolgersi a Società Editrice Universo s.r.l., Via G.B. Morgagni, 1, 00161 Roma, Italia<br />
Tel. +39.06.44231171 - 4402054 - 64503500; Fax +39.06.4402033; E-mail: amministrazione@seu-roma.it<br />
Garanzia e riservatezza per gli abbonati<br />
L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne<br />
gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a:<br />
Società Editrice Universo s.r.l., Via G.B. Morgagni, 1, 00161 Roma, Italia<br />
Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della Società Editrice Universo s.r.l., verranno utilizzate<br />
al solo scopo di inviare agli abbonati vantaggiose proposte commerciali (legge 675/96).<br />
Direttore responsabile: Franco Salvati<br />
Iscrizione al registro della Stampa n. 176/98 con ordinanza del Tribunale di Roma in data 6/5/1998<br />
© Copyright Società Editrice Universo s.r.l.,<br />
Finito di stampare nel mese di Dicembre 2009<br />
dalla Tipostampa s.rl. - Lama di S. Giustino (PG)<br />
I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo<br />
(compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi.
Contenuto<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009<br />
EDITORIALE<br />
Il cammino di una idea ambiziosa "I Primi tre anni 2005-2008"<br />
F. SALVATI 195<br />
An ambitious idea in progress "The first three years 2005-2008"<br />
ARTICOLI ORIGINALI<br />
Basi biologiche ed applicazioni terapeutiche delle cellule "cytokine-induced killer"<br />
A. PERILLO, G. BONANNO. G. SCAMBIA, L. PIERELLI 197<br />
Biological bases and therapeutic applications of "cytokine-induced killer cells"<br />
Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale<br />
M.B. PINAZZI, B. MONTANTE, A. LOCASCIULLI, I. MAJOLINO 203<br />
Umbilical cord blood stem cell transplantation<br />
Genetica della emocromatosi ereditaria<br />
S. MAJORE, F. BINNI, P. GRAMMATICO 214<br />
Genetic hereditary hemochromatosis<br />
FOCUS: SARCOIDOSI<br />
Introduzione<br />
C. RAIMONDI 224<br />
La sarcoidosi: quadri radiologici<br />
F. QUAGLIARINI 225<br />
Aspetti istopatologici della sarcoidosi polmonare<br />
P. GRAZIANO 229<br />
La sarcoidosi: ruolo della fisiopatologia respiratoria<br />
F. ARIENZO 231<br />
Sarcoidosi polmonare: la diagnostica broncoscopica<br />
G. GALLUCCIO, G. LUCANTONI, P. BATTISTONI, S, BATZELLA, V. LUCIFORA, R. DELLO IACONO 232<br />
Il BAL nello studio della sarcoidosi<br />
R. GASBARRA, A. DI LORENZO, M. BRONZINI 237<br />
Esperienza di un ambulatorio per la sarcoidosi<br />
C. RAIMONDI, A.M. ALTIERI, M. CICCARELLI, S. D'ANTONIO, M.G. ALMA 240<br />
Terapia della sarcoidosi con anti-TNFα<br />
P. ROTTOLI, C. OLIVIERI, E. BARBAGLI 244<br />
GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA<br />
Salute globale: i determinanti della salute e le conclusioni del rapporto dell'OMS<br />
a cura della Commissione sui determinanti sociali della salute<br />
C. RESTI 250<br />
Global health: health determinants and the final report by who's Commission on<br />
social determinants of health
“La Rivista è stata selezionata da<br />
ELSEVIER BV BIBLIOGRAPHIC DATABASES<br />
per l’indicizzazione nei databases EMBASE, SCOPUS,<br />
COMPEDEX, GEOBASE, EMBIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE,<br />
FLUIDEX E WORLD TEXTILES<br />
www.scamilloforlanini.rm.it
Editoriale<br />
IL CAMMINO DI UNA IDEA AMBIZIOSA<br />
“I Primi tre anni 2005 - 2008”<br />
Sotto svariati profili è stato di grande rilevanza<br />
per l’<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> San <strong>Camillo</strong>-<br />
<strong>Forlanini</strong> il triennio 2005-2008 e ben lo delinea<br />
il Volume ad esso dedicato, curato da Alberto<br />
Bersani (marzo 2009, pagg. 84). Nella Presentazione<br />
del Dott. Luigi Macchitella, Direttore<br />
Generale, viene resa con grande chiarezza la<br />
filosofia e le strategie ispiratrici del percorso<br />
che ha portato - tra l’altro - alla riformulazione<br />
del “Atto <strong>Azienda</strong>le” e alla ridefinizione sia<br />
degli assetti organizzativi che delle regole e<br />
delle procedure. Nel Volume questo percorso<br />
si snoda attraverso 16 capitoli in cui vengono<br />
illustrati i dettagli relativi ai singoli settori.<br />
In particolare nel capitolo “Formazione e<br />
Governo Clinico: anni 2005-2006-2007” viene<br />
sottolineato l’impegno nel campo dell’aggiornamento,<br />
della formazione e dell’educazione<br />
continua ed al riguardo viene rimarcata altresì<br />
la funzione della Biblioteca dell’<strong>Azienda</strong> soprattutto<br />
per quel che concerne l’obbiettivo di<br />
creare una rete di servizi che siano di supporto<br />
alla ricerca, alla didattica ed alla crescita della<br />
vita culturale degli Operatori della Sanità,<br />
trattandosi di Biblioteca specializzata in campo<br />
biomedico e dotata di materiale periodico<br />
con la finalità di facilitare l’accesso all’informazione<br />
scientifica.<br />
In questo contesto è da sottolineare che la<br />
Biblioteca è sede della Direzione della Rivista<br />
Scientifica “Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong><br />
e <strong>Forlanini</strong>” (nata nel 1999) e del Comitato di<br />
AN AMBITIOUS IDEA IN PROGRESS<br />
“The first three years 2005-2008”<br />
FRANCO SALVATI*<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009<br />
Redazione della Rivista stessa la quale nell’arco<br />
temporale 2005-2008 ha ricevuto e pubblicato<br />
(attualmente edita dalla prestigiosa<br />
Società Editrice Universo S.E.U.) numerosi lavori<br />
scientifici molti dei quali nella parte dedicata<br />
a “Gestione e Organizzazione Sanitaria”,<br />
lavori tutti provenienti anche da Autori stranieri<br />
e da Autori esterni all’<strong>Azienda</strong> operanti<br />
in qualificate Istituzioni sia Ospedaliere che<br />
Universitarie dislocate – per quanto concerne<br />
quelle italiane – su tutto il territorio nazionale<br />
ma anche rivolti con visus internazionale alle<br />
attività di Cooperazione <strong>Ospedaliera</strong> ai Paesi<br />
in via di sviluppo.<br />
Il percorso degli Annali degli Ospedali San<br />
<strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> nel triennio in questione<br />
ha in un certo qual modo accompagnato parallelamente,<br />
di pari passo, tutte le numerose<br />
realizzazioni che sono state puntualmente dettagliate<br />
nel Volume, tra le quali quelle relative<br />
al “Bilancio Sociale” (Curare prendendosi<br />
cura, Le Giornate dell’etica della cura, Dialogo<br />
e Solidarietà, ecc.). Un altro capitolo di grande<br />
rilievo è quello nel cui ambito va collocato il<br />
“Numero Unico” della Rivista dedicato esclusivamente<br />
all’istituzione ed all’attività del<br />
Centro per i Trapianti d’Organo.<br />
Inserita nel circuito internazionale dell’ELSEVIER<br />
BV Bibliographic Databases<br />
e pertanto indicizzata nei databases<br />
EMBASE,SCOPUS,COMPEDEX, GEOBA-<br />
SE, EMBRIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE,<br />
* Primario Pneumologo Emerito, Direttore della Rivista “Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong>”
196 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
FLUIDEX, WORLD TEXTILES, la Rivista<br />
si integra pienamente con quegli obbiettivi<br />
dell’<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> che hanno – come<br />
prima sottolineato – la finalità di promuovere<br />
l’aggiornamento e di favorire la crescita culturale<br />
in ambito sanitario multiprofessionale<br />
corrispondendo in tal modo all’auspicio espresso,<br />
come pubblicato sulla Rivista stessa, dal<br />
Dott. Luigi Macchitella al momento del suo<br />
insediamento quale Direttore Generale:realiz-<br />
zare “anche attraverso gli Annali e all’impegno<br />
di quanti vi collaborano” la idea ambiziosa di<br />
fare dell’<strong>Azienda</strong> un prestigioso edificio, centro<br />
propulsore e polo di attrazione.<br />
La pubblicazione, che qui segue di articoli<br />
sulle cellule staminali, in cui è riportata l’esperienza<br />
e la progettualità di altrettanti gruppi<br />
di ricerca della nostra <strong>Azienda</strong>, a valenza internazionale,<br />
sono una ulteriore testimonianza<br />
di quanto sopra auspicato.
Articoli originali<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre- Dicembre 2009<br />
BASI BIOLOGICHE ED APPLICAZIONI TERAPEUTICHE<br />
DELLE CELLULE “CYTOKINE-INDUCED KILLER”<br />
BIOLOGICAL BASES AND THERAPEUTIC APPLICATIONS<br />
OF “CYTOKINE-INDUCED KILLER CELLS”<br />
ALESSANDRO PERILLO 1 , GIUSEPPINA BONANNO 1,2 , GIOVANNI SCAMBIA 1 , LUCA PIERELLI 2*<br />
1 Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente,<br />
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; 2 Dipartimento di Medicina Trasfusionale,<br />
Laboratorio “Cellule Staminali e Terapie Cellulari”, Az. Osped. “S.<strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>”, Roma<br />
Parole chiave: Cellule CIK. Terapia cellulare. Immunoterapia<br />
Key words: CIK cells. Cell-therapy. Immunotherapy<br />
Riassunto – Le cellule “cytokine-induced killer” (CIK) rappresentano una popolazione di cellule T citotossiche<br />
con caratteristico fenotipo CD3 + CD56 + , identificata in tessuti sia umani che murini, da Lanier et al.<br />
nel 1986. Tali cellule sono dotate di notevole attività citotossica contro un’ampia varietà di cellule tumorali.<br />
La loro azione citotossica non è ristretta per il sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) né è il risultato<br />
di una citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC), ma dipende dal contatto cellula CIK/cellula bersaglio,<br />
coinvolgendo le molecole di adesione e l’esocitosi del contenuto di granuli citotossici. Le cellule CIK<br />
possono essere derivate da sangue periferico umano dopo espansione ex vivo in presenza di interferon-γ, di<br />
anticorpi monoclonali diretti contro il CD3, e di interleuchina-2. Le cellule CIK hanno dimostrato in studi<br />
preclinici e clinici promettenti effetti antitumorali contro diverse neoplasie, come le leucemie, l’epatocarcinoma,<br />
il cancro polmonare, renale, gastrico, ovarico e cervicale.<br />
Abstract – Cytokine-induced killer (CIK) cells are a population of cytotoxic T cells with typical CD3 + CD56 +<br />
phenotype, identified in both human and murine tissues by Lanier et al. in 1986. These cells are endowed<br />
with a high cytotoxic activity against a wide variety of cancer cells. Their cytotoxicity is not major histocompatibility<br />
complex (MHC)-restricted, neither antibody-dependent cellular cytotoxicity (ADCC)-dependent,<br />
but is due to CIK cell/target cell contact with the involvement of adhesion molecules and exocytosis<br />
of cytotoxic granules. CIK cells can be derived from human peripheral blood after ex vivo expansion with<br />
interferon-γ, anti-CD3 antibodies and interleukin-2. CIK cells showed promising antitumor effects against<br />
various cancers, including leukemia, hepatic, lung, renal, gastric, ovarian and cervical cancer, in preclinical<br />
and clinical studies.<br />
Aspetti biologici<br />
Negli ultimi 20 anni, sono state esplorate<br />
varie strategie per attivare cellule effettrici<br />
del sistema immune in grado di distruggere<br />
cellule tumorali residue o resistenti dopo trattamenti<br />
oncologici convenzionali.<br />
In questo contesto, i linfociti con fenotipo<br />
CD3 - CD56 + coltivati in presenza di alte con-<br />
centrazioni di interleuchina-2 (IL-2) danno<br />
origine a cellule “lymphokine-activated killer”<br />
(LAK). Tuttavia le cellule LAK presentano<br />
una bassa attività citotossica antitumorale,<br />
ed una difficoltà di espansione per poter essere<br />
utilizzate in ambito clinico; inoltre la<br />
loro attività necessita una somministrazione<br />
continua in vivo di IL-2 alla quale è associata<br />
tossicità.
198 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Un’altra possibilità è quella basata sui<br />
linfociti che infiltrano le neoplasie, denominati<br />
“tumor-infiltrating lymphocytes” (TIL),<br />
con fenotipo CD3 + CD8 + CD56 + , che esercitano<br />
una citotossicità contro le cellule tumorali<br />
autologhe ristretta per il sistema maggiore di<br />
istocompatibilità (MHC). Tali cellule possono<br />
essere espanse in vitro con concentrazioni<br />
medio-basse di IL-2 per poi essere infuse nel<br />
paziente. I TIL riconoscono il tumore attraverso<br />
meccanismi mediati dal “T-cell receptor”<br />
(TcR); tuttavia risulta difficile la loro espansione<br />
in vitro e non possono essere isolati da<br />
tumori di piccole dimensioni. Alte dosi di TIL<br />
possono essere infuse senza tossicità, ma la<br />
loro efficacia è legata alla contemporanea somministrazione<br />
di alte dosi di IL-2 alla quale è<br />
invece associata una significativa tossicità 1 .<br />
Una strategia alternativa è invece basata<br />
sulla possibilità di espandere cellule mononucleate<br />
di sangue periferico in presenza di<br />
interferon-γ (IFN-γ), IL-2 ed un anticorpo monoclonale<br />
contro l’antigene di superficie CD3<br />
(OKT3). Come risultato, si ottiene una popolazione<br />
cellulare con fenotipo e proprietà sia<br />
delle cellule T che delle cellule “natural killer”<br />
(NK). Tali cellule sono state denominate “cytokine-induced<br />
killer” (CIK) da Schmidt-Wolf<br />
e Negrin 2,3 per distinguerle da quelle NK. Le<br />
cellule CIK rappresentano dunque una popolazione<br />
di cellule T con caratteristico fenotipo<br />
CD3 + CD56 + ; esse costituiscono circa il 3% dei<br />
linfociti circolanti e sono state identificate in<br />
tessuti sia umani che murini da Lanier et al. nel<br />
1986 4 . Tali cellule, alla colorazione di Giemsa,<br />
sono morfologicamente simili ai grandi linfociti:<br />
hanno un diametro di 16-20μ, abbondante<br />
citoplasma e numerosi granuli citoplasmatici.<br />
Le cellule CIK sono dotate di notevole attività<br />
citotossica e sono in grado di lisare un’ampia<br />
varietà di cellule tumorali. La loro citotossicità<br />
non è MHC-ristretta e, dal momento che non<br />
esprimono il CD16 (recettore Fcγ), non sono<br />
in grado di attivare una “antibody-dependent<br />
cellular cytotoxicity” (ADCC). La loro citotossicità<br />
è invece mediata dal contatto cellula CIK/<br />
cellula bersaglio, coinvolgendo le molecole di<br />
adesione con esocitosi del contenuto di granuli<br />
citotossici 5 . Tali granuli citotossici contengono:<br />
(i) proteine “pore-forming”, denominate<br />
perforine o citolisine; (ii) granzimi (una famiglia<br />
di serin-esterasi); (iii) enzimi lisosomiali;<br />
(iv) molecole di proteoglicano. Le cellule CIK<br />
effettrici riconoscono le cellule tumorali bersaglio<br />
e rilasciano i loro granuli citotossici nello<br />
spazio extracellulare nel punto di contatto con<br />
le cellule bersaglio stesse; a questo punto le<br />
perforine lisano le cellule bersaglio e i granzimi<br />
ne inducono l’apoptosi. Sono stati descritti<br />
due meccanismi di degranulazione. Il primo,<br />
mediato dal “lymphocyte function-associated<br />
antigen” (LFA-1), determina una citolisi indotta<br />
dai granuli. Il secondo, TcR-dipendente,<br />
agisce invece attraverso la stimolazione dei<br />
recettori CD3 e CD3-simili sulle cellule CIK,<br />
determinando una citolisi mediata dai granuli.<br />
Entrambi i meccanismi sono sensibili<br />
agli aumenti intracellulari dei livelli di “cyclic<br />
adenosine monophosphate” (cAMP). Il primo<br />
meccanismo è dominante; infatti gli anticorpi<br />
anti-LFA-1 e anti-“intercellular adhesion molecule<br />
1” (ICAM-1) bloccano la lisi delle cellule<br />
tumorali mediata dalle cellule CIK, mentre gli<br />
anticorpi diretti contro le molecole del sistema<br />
“human leukocyte antigen” (HLA) di I e II<br />
classe, espresse dalle cellule bersaglio, o quelli<br />
diretti contro TcRα/β, CD3, CD4, CD8 e CD56<br />
non bloccano l’attività citolitica delle cellule<br />
CIK. Le cellule CIK posseggono anche un<br />
alto livello di attività citotossica contro linee<br />
cellulari tumorali resistenti agli agenti chemioterapici<br />
e, per tale motivo, possono essere<br />
utili nell’aggredire malattie caratterizzate da<br />
resistenza farmacologica. Infatti anticorpi monoclonali<br />
contro la glicoproteina-P (Pgp), responsabile<br />
della “multi-drug resistance”, non<br />
bloccano la lisi, da parte delle cellule CIK, di<br />
cellule tumorali resistenti alla chemioterapia.<br />
Questo indica che la Pgp, non è direttamente<br />
coinvolta nell’interazione fra cellula bersaglio<br />
tumorale e cellule CIK effettrici. Recentemente<br />
è stato dimostrato che l’azione citotossica<br />
delle CIK è mediata anche dal recettore NK<br />
di gruppo 2D (NKG2D); infatti anticorpi che<br />
bloccano l’espressione del NKG2D inibiscono<br />
la citotossicità delle cellule CIK. Le cellule<br />
CIK hanno attività antitumorale, sia in vitro<br />
che in vivo, nei riguardi di un ampio spettro<br />
di linee cellulari neoplastiche: OCI-Ly8, SU-<br />
DHL-4 (due differenti linee di linfoma umano<br />
a cellule B), K562, blasti di leucemia mieloide<br />
cronica di origine sia autologa che allogenica,<br />
e linee cellulari “multidrug resistant”. Nello<br />
stesso tempo, non è stato dimostrato alcun<br />
effetto tossico delle cellule CIK sui normali<br />
progenitori emopoietici CD34 + .
A. Perillo et al.: Immunoterapia con cellule CIK 199<br />
Le cellule CIK possono essere espanse in<br />
vitro 6000 volte dopo 21 giorni di coltura in<br />
presenza di IFN-γ. Quest’ultimo stimola i<br />
monociti a produrre IL-12, che porta le cellule<br />
ad esprimere il fenotipo Th1, e ha un’azione<br />
sinergica con l’anticorpo monoclonale anti-<br />
CD3, inducendo la proliferazione delle cellule<br />
T. L’anticorpo monoclonale anti-CD3 agisce<br />
inoltre come stimolo mitogenico per tutte le<br />
cellule T, che possono espandersi in presenza<br />
di IL-2. Dopo tre settimane di coltura, le cellule<br />
T si differenziano in due popolazioni: cellule<br />
CD3 + CD56 + e CD3 + CD56 - che possono essere<br />
ottenute da pazienti con varie patologie emopoietiche,<br />
e, per la loro attività in vivo dopo<br />
trapianto, non necessitano di somministrazione<br />
esogena di IL-2. Nel contesto allogenico, le<br />
cellule CIK, grazie alla produzione di IFN-γ,<br />
hanno dimostrato di determinare, a fronte<br />
di un’attività “graft-versus-leukemia” (GvL),<br />
scarso o assente effetto “graft-versus-host disease”<br />
(GvHD) 6 .<br />
Applicazioni terapeutiche:<br />
l’immunoterapia adottiva<br />
Per alcune tipologie di tumore, l’uso della<br />
chemioterapia e della radioterapia convenzionali,<br />
insieme alla resezione chirurgica, non<br />
sempre garantiscono un’efficacia terapeutica.<br />
Per tale motivo, nell’ultimo decennio, la<br />
ricerca oncologica ha concentrato il suo interesse<br />
anche sullo studio delle interazioni<br />
che intercorrono tra il sistema immunitario<br />
e la neoplasia, con l’obiettivo di identificare<br />
un meccanismo che possa essere adeguatamente<br />
sfruttato per eliminare specificamente<br />
le cellule neoplastiche, in particolare quelle<br />
esprimenti antigeni immunogenici sulla loro<br />
superficie. Infatti, nonostante gli straordinari<br />
progressi registrati nel trattamento delle<br />
malattie tumorali, sia nella chirurgia radicale<br />
che nella chemioterapia e radioterapia, l’insorgenza<br />
della resistenza ad ognuna delle ultime<br />
due, o ad entrambe, rappresenta ancor oggi<br />
uno dei problemi di più difficile gestione nella<br />
cura del paziente oncologico.<br />
Uno degli strumenti più efficaci per evitare<br />
o attenuare lo sviluppo della farmacoresistenza,<br />
oltre a potenziare l’attività citotossica di<br />
nuovi chemioterapici, e, in ultima analisi,<br />
migliorare la risposta terapeutica, è quello di<br />
esaltare le competenze del sistema immunitario<br />
del paziente che viene così messo in grado<br />
di eliminare completamente le cellule tumorali<br />
che comunque residuano. Tuttavia, sia a<br />
causa della malattia stessa che per l’azione<br />
di molte delle molecole ad attività antineoplastica,<br />
il sistema immunitario del paziente oncologico<br />
risulta depresso. Lo sviluppo attuale<br />
delle conoscenza della moderna immunologia<br />
consente oggi di intravedere la concreta possibilità<br />
di prevenire e curare le neoplasie con gli<br />
stessi criteri che hanno condotto con successo<br />
alla cura e prevenzione delle malattie infettive,<br />
sviluppando metodologie terapeutiche in<br />
grado di uccidere la cellula tumorale senza<br />
indurre effetti collaterali incidenti sulla qualità<br />
di vita. È opinione concorde che il sistema<br />
immunitario non riesce a combattere efficacemente<br />
lo sviluppo dei tumori perché questi<br />
ultimi mettono in atto una serie di meccanismi<br />
di elusione che solo da poco tempo si riesce a<br />
definire e comprendere con sufficiente chiarezza<br />
nella loro complessità 7 . Infatti, nonostante<br />
esista una chiara evidenza che la progressione<br />
della malattia nei pazienti neoplastici avvenga<br />
sotto il diretto controllo del sistema immunitario,<br />
è ugualmente evidente che le cellule<br />
neoplastiche sono in grado, a loro volta, di<br />
selezionare raffinati meccanismi per sfuggirne<br />
il controllo tra cui la crescita del tumore in<br />
spazi privilegiati, la secrezione di fattori immunosoppressivi,<br />
la selezione di varianti neoplastiche<br />
resistenti e l’induzione di tolleranza<br />
immunitaria. È quindi necessario adottare<br />
strategie in grado di aggirare le difese messe<br />
in atto dal tumore e rendere quest’ultimo<br />
suscettibile all’azione antitumorale. Una di<br />
queste strategie consiste nell’utilizzare contro<br />
il tumore cellule del sistema immunitario dello<br />
stesso paziente “educate” a combattere le<br />
cellule tumorali fuori dall’organismo. Questa<br />
procedura, variamente definita come immunoterapia<br />
adottiva o immunoterapia cellulare<br />
fa parte del più vasto quadro delle terapie<br />
cellulari. L’immunoterapia (cellulare) adottiva<br />
(detta anche passiva) si pratica infondendo<br />
direttamente nel paziente gli effettori cellulari<br />
specifici dell’immunità antitumorale generati<br />
ex vivo. A differenza di quanto avviene nell’immunoterapia<br />
attiva, il vantaggio dell’immunoterapia<br />
adottiva risiede nella possibilità di<br />
evitare gli impedimenti generati dalla parziale<br />
immuno-incompetenza dei pazienti portatori
200 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
di tumore, che potrebbero ostacolare la generazione<br />
di una efficace risposta antitumorale<br />
in vivo. È noto infatti che nel paziente oncologico<br />
la sorveglianza del sistema immunitario<br />
sul tumore è stata soppressa o elusa a seguito<br />
dell’incapacità dell’ospite di riconoscere gli<br />
antigeni tumorali, della tolleranza verso il<br />
“self”, della produzione di sostanze immunosoppressive,<br />
della generazione di varianti da<br />
parte del tumore primitivo, od altro. Aspetti<br />
critici sono la necessità di isolare ed espandere<br />
un numero di cellule effettrici sufficiente ad<br />
indurre una risposta efficace e persistente nel<br />
tempo, e l’adozione di terapie adiuvanti mirate<br />
a migliorare la funzione e la sopravvivenza<br />
delle cellule reinfuse o a promuovere l’induzione<br />
di un “milieu” (es: infiammatorio) favorente<br />
l’attivazione delle cellule stesse. E comunque,<br />
anche l’immunoterapia cellulare adottiva non<br />
è esente dall’influenza negativa di fattori di<br />
immunosoppressione (es: le cellule T-regolatorie).<br />
In ultima analisi, l’immunoterapia<br />
cellulare adottiva è una strategia terapeutica<br />
che ha come obiettivo il riconoscere le cellule<br />
tumorali ed indurre una risposta immune specifica<br />
in grado di causare la lisi delle cellule<br />
neoplastiche; il suo potenziale effetto antitumorale<br />
è stato già ampiamente documentato<br />
in studi condotti su modelli animali ed in sperimentazioni<br />
cliniche 2,3,8,9 .<br />
In questo contesto, le cellule CIK hanno<br />
dimostrato in studi preclinici e clinici promettenti<br />
effetti antitumorali contro diverse<br />
neoplasie ematologiche, come le leucemie 10 , o<br />
solide quali l’epatocarcinoma 11 , il cancro polmonare<br />
12 , renale 13 , gastrico 14 e ovarico 15 . Un<br />
recente studio ha inoltre evidenziato un effetto<br />
inibitorio delle cellule CIK sulla crescita del<br />
cervicocarcinoma umano sia in vitro che in<br />
vivo dopo xenotrapianto nel modello murino 16 .<br />
Sono inoltre disponibili in letteratura dati<br />
clinici preliminari ottenuti utilizzando cellule<br />
CIK in casistiche ancora limitate di pazienti.<br />
Per quanto riguarda i risultati ottenuti mediante<br />
utilizzo di cellule CIK di derivazione allogenica,<br />
in pazienti affetti da neoplasie ematologiche<br />
recidivanti dopo trapianto allogenico<br />
(leucemie, linfomi, mielodisplasie), Introna<br />
et al. hanno dimostrato che la produzione di<br />
cellule CIK è fattibile e la loro reinfusione ben<br />
tollerata ed in grado di contribuire ad una<br />
risposta clinica. In particolare, su 11 pazienti<br />
arruolati, sono state osservate 1 stabilizzazio-<br />
ne di malattia, 1 miglioramento ematologico<br />
e 3 risposte cliniche complete 6 . Per quanto<br />
riguarda invece l’uso di cellule CIK autologhe,<br />
i risultati di un recente studio pilota di Olioso<br />
et al. hanno evidenziato che l’immunoterapia<br />
adottiva con tali cellule è, anche in questo<br />
caso, sicura e dotata di un promettente livello<br />
di efficacia terapeutica sia in neoplasie ematologiche<br />
avanzate (6 casi di linfoma) che in<br />
tumori solidi metastatici (5 casi di carcinoma<br />
renale e 1 caso di epatocarcinoma). Su un totale<br />
di 12 pazienti arruolati sono state ottenute<br />
3 risposte complete (in 1 linfoma, 1 carcinoma<br />
renale e 1 epatocarcinoma) e 2 stabilizzazioni<br />
di malattia con una mediana di follow-up di<br />
33 mesi 5 .<br />
Progetto di studio<br />
Nell’ambito dei tumori solidi ginecologici, il<br />
carcinoma della cervice uterina è caratterizzato,<br />
in caso di diagnosi precoce, da una buona<br />
prognosi dopo trattamento con chirurgia radicale<br />
o radiochemioterapia. La radiochemioterapia<br />
concomitante è fortemente consigliata<br />
nei casi di carcinoma localmente avanzato;<br />
tuttavia, le pazienti con malattia metastatica<br />
o recidivante ottengono risultati terapeutici<br />
scadenti con opzioni di trattamento limitate.<br />
Nelle recidive di cervicocarcinoma, sono ragionevolmente<br />
candidate ad un secondo tentativo<br />
di cura solo quelle pazienti con malattia a<br />
localizzazione centrale nella pelvi e che non<br />
mostrino segni clinici di metastatizzazione<br />
linfonodale o a distanza. Tranne rare eccezioni,<br />
in tutti gli altri casi si può realisticamente<br />
parlare solo di terapie palliative. Prescindendo<br />
dalla modalità di trattamento, le pazienti<br />
con carcinoma cervicale recidivante mostrano<br />
globalmente una sopravvivenza a 24 mesi del<br />
10-15%, la quale scende drammaticamente<br />
al di sotto del 5% a 5 anni. Il trattamento<br />
suggerito per le pazienti con recidiva pelvica<br />
dopo chirurgia radicale è la radioterapia<br />
o, in particolari circostanze, l’eviscerazione<br />
pelvica. Globalmente, i risultati terapeutici<br />
sono comunque insoddisfacenti con tassi di<br />
cura generalmente inferiori al 5%. I migliori<br />
risultati si rilevano nei casi di recidiva pelvica<br />
isolata di piccolo volume, con sopravvivenze a<br />
5 anni comunque non superiori al 20-30%. Gli<br />
studi sull’efficacia della chemioterapia nella
A. Perillo et al.: Immunoterapia con cellule CIK 201<br />
malattia recidivante o metastatica con farmaci<br />
citotossici a dosi standard, da soli o in combinazione,<br />
condotti su un numero adeguato di<br />
pazienti, sono concordi nell’indicare basse percentuali<br />
di attività terapeutica e percentuali<br />
di risposta molto variabili (10-25%), che solo in<br />
alcune casistiche superano il 40%. Raramente<br />
si sono registrate risposte complete, che sono<br />
comunque di breve durata. Fino ad oggi non è<br />
stato ancor identificato un trattamento innovativo<br />
in grado di migliorare ulteriormente la<br />
sopravvivenza nel cancro metastatico o recidivante<br />
della cervice uterina, ed in questo contesto<br />
sono necessari nuovi approcci terapeutici<br />
per diminuire la mortalità e la morbidità nelle<br />
pazienti.<br />
A tale scopo, nell’ambito di una Convenzione<br />
stipulata tra l’<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> “San<br />
<strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>” e l’Università Cattolica del<br />
Sacro Cuore, che prevede una diversificata<br />
gamma di collaborazioni scientifiche e cliniche<br />
tra il Dipartimento di Medicina Trasfusionale<br />
(DMT) “Roma Ovest” Direttore il prof. Luca<br />
Pierelli, il Dipartimento Materno Infantile<br />
Direttore il prof. Claudio Donadio, dell’<strong>Azienda</strong><br />
<strong>Ospedaliera</strong> San <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong> e il<br />
Dipartimento Tutela della Salute della Donna<br />
e della Vita Nascente Direttore prof. Giovanni<br />
Scambia dell’Università Cattolica del Sacro<br />
Cuore è stato elaborato un progetto di studio.<br />
Tale progetto di fase I/II si propone di valutare<br />
la fattibilità e l’attività di una immunoterapia<br />
adottiva con cellule CIK autologhe in tumori<br />
ginecologici a prognosi molto sfavorevole quali<br />
i carcinomi metastatici o recidivanti della<br />
cervice uterina non responsivi ai trattamenti<br />
convenzionali.<br />
La produzione delle cellule CIK avverrà<br />
presso il laboratorio “Cellule Staminali e<br />
Terapie Cellulari” sito nel Dipartimento di<br />
Medicina Trasfusionale dell’<strong>Azienda</strong> “San <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>”,<br />
in seguito all’autorizzazione<br />
ottenuta dall’Agenzia Italiana del Farmaco<br />
(AIFA), che ha riconosciuto alla Struttura i<br />
requisiti richiesti per la produzione di medicinali<br />
per terapia cellulari e al direttore del Dipartimento<br />
suddetto i titoli e l’esperienza per<br />
svolgere tale attività sotto la propria responsabilità<br />
e direzione tecnica (in base al Decreto<br />
Legislativo 6 novembre 2007, n. 200).<br />
L’espansione delle cellule CIK verrà effettuata<br />
a partire da linfociti raccolti, mediante<br />
procedura di leucoaferesi, dalla stessa pazien-<br />
te che riceverà il trattamento. La terapia con<br />
cellule CIK verrà effettuata su singole pazienti<br />
in mancanza di valida alternativa terapeutica,<br />
nei casi di urgenza ed emergenza che pongono<br />
la paziente in pericolo di vita o di grave<br />
danno alla salute, nonché nei casi di grave<br />
patologia a rapida progressione. Tale terapia<br />
cellulare sarà effettuata sotto la responsabilità<br />
professionale del medico, in esecuzione di<br />
una prescrizione medica individuale per un<br />
prodotto specifico destinato ad un determinato<br />
paziente, in ottemperanza al Regolamento<br />
(CE) N. 1394/2007 del Parlamento Europeo<br />
e del Consiglio del 13 novembre 2007. Le<br />
preparazioni cellulari saranno effettuate nel<br />
rispetto dei requisiti di qualità farmaceutica<br />
approvati dall’Istituto Superiore di Sanità.<br />
I materiali utilizzati per la produzione ed<br />
espansione delle cellule CIK dovranno essere<br />
prodotti in “good manufacturing practice”<br />
(GMP); le citochine utilizzate (IFN-γ, IL-2,<br />
OKT3) saranno quelle per utilizzo clinico,<br />
fornite dalla farmacia ospedaliera di appartenenza<br />
della paziente. La procedura di raccolta<br />
ed espansione, con relativo cambio di terreno<br />
di coltura e aggiunta delle citochine, avverrà<br />
in un sistema chiuso mediante l’utilizzo di apposite<br />
sacche. Ogni settimana verrà effettuata<br />
la conta emocromocitometrica, l’analisi citofluorimetrica<br />
del fenotipo cellulare, i controlli<br />
microbiologici per endotossine e batteri, e lo<br />
studio citogenetico per la valutazione di alterazioni<br />
cromosomiche. Alla paziente verranno<br />
somministrate 1x10 7 cellule CIK per kg, ad<br />
intervalli di 3 settimane, e verrà valutata la<br />
tossicità locale e sistemica durante e dopo il<br />
trattamento. Prima del trattamento e durante<br />
il follow-up verranno effettuate le opportune<br />
valutazioni clinico-strumentali.<br />
Bibliografia<br />
1. Leemhuis T, Wells S, Scheffold C, et al. A phase<br />
I trial of autologous cytokine-induced killer cells<br />
for the treatment of relapsed Hodgkin disease<br />
and non-Hodgkin lymphoma. Biol Blood Marrow<br />
Transplant 2005; 11: 181-7<br />
2. Schmidt-Wolf IG, Negrin RS. Use of a SCID<br />
mouse/human lymphoma model to evaluate<br />
cytokine induced killer cells with potent antitumor<br />
cell activity. J Exp Med 1991; 174: 139–49<br />
3. Schmidt-Wolf IG, Lefterova P, Mehta BA, et al.<br />
Phenotypic characterization and identification
202 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
of effector cells involved in tumor cell recognition<br />
of cytokine-induced killer cells. Exp Hematol<br />
1993; 21: 1673–79<br />
4. Lanier LL, Phillips JH, Hackett J Jr, et al. Natural<br />
killer cells: definition of a cell type rather<br />
than a function. J Immunol 1986; 137: 2735-9<br />
5. Olioso P, Giancola R, Di Riti M, et al. Immunotherapy<br />
with cytokine induced killer cells in<br />
solid and haematopoietic tumours: a pilot clinical<br />
trial. Hematol Oncol 2009; (Epub ahead of<br />
print)<br />
6. Introna M, Borleri G, Conti E, et al. Repeated<br />
infusions of donor-derived cytokine-induced killer<br />
cells in patients relapsing after allogeneic<br />
stem cell transplantation: a phase I study. Haematologica<br />
2007; 92: 952-9<br />
7. Dunn GP, Bruce AT, Ikeda H, et al. Cancer<br />
immunoediting: from immunosurveillance to<br />
tumor escape. Nat Immunol 2002; 3: 991-8<br />
8. Rosenberg SA, Lotze MT, Muul LM. Observations<br />
on the systemic administration of autologous<br />
Lymphokine-activated killer cells and<br />
recombinant IL-2 to patients with metastatic<br />
cancer. N Engl J Med 1985; 313: 1485–92.<br />
9. Rosenberg SA, Spiess PS, Lafreniere R. A new<br />
approach to the adoptive immunotherapy of cancer<br />
with tumor infiltrating lymphocyte. Science<br />
1986; 233: 1318-21<br />
10. Kornacker M, Moldenhauer G, Herbst M, et al.<br />
Cytokine-induced killer cells against autologous<br />
CLL: direct cytotoxic effects and induction of immune<br />
accessory molecules by interferon-gamma.<br />
Int J Cancer 2006;119:1377–82<br />
11. Takayama T, Sekine T, Makuuchi M, et al.<br />
Adoptive immunotherapy to lower postsurgical<br />
recurrence rates of hepatocellular carcinoma: a<br />
randomised trial. Lancet 2000; 356:802–7<br />
12. Kim HM, Lim J, Park SK, et al. Antitumor<br />
activity of cytokine-induced killer cells against<br />
human lung cancer. Int Immunopharmacol<br />
2007;7:1802–7<br />
13. Schmidt-Wolf IG, Finke S, Trojaneck B, et al.<br />
Phase I clinical study applying autologous immunological<br />
effector cells transfected with the<br />
interleukin-2 gene in patients with metastatic<br />
renal cancer, colorectal cancer and lymphoma.<br />
Br J Cancer 1999; 81: 1009-16<br />
14. Sun S, Li XM, Li XD, Yang WS. Studies on inducing<br />
apoptosis effects and mechanism of CIK<br />
cells for MGC-803 gastric cancer cell lines. Cancer<br />
Biother Radiopharm 2005; 20: 173–80<br />
15. Kim HM, Kang JS, Lim J, et al. Inhibition of human<br />
ovarian tumor growth by cytokine-induced<br />
killer cells. Arch Pharm Res 2007; 30: 1464–70<br />
16. Kim HM, Lim J, Kang JS, et al. Inhibition of<br />
human cervical carcinoma growth by cytokineinduced<br />
killer cells in nude mouse xenograft<br />
model. Int Immunopharmacol 2009; 9: 375-80<br />
Corrispondenza e richiesta estratti:<br />
Prof. Luca Pierelli,<br />
e-mail lpierelli@scamilloforlanini.rm.it
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre- Dicembre 2009<br />
IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI DA SANGUE<br />
DI CORDONE OMBELICALE<br />
UMBILICAL CORD BLOOD STEM CELL TRANSPLANTATION<br />
MARIA BEATRICE PINAZZI, BARBARA MONTANTE, ANNA LOCASCIULLI 1 , IGNAZIO MAJOLINO<br />
Unità Operativa di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali, 1 Unità Operativa di Pediatria<br />
ed Ematologia Pediatrica, <strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S.<strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Introduzione<br />
Le cellule staminali emopoietiche (CSE)<br />
sono elementi presenti nel midollo osseo capaci<br />
di riprodurre interamente l’emopoiesi<br />
dopo trapianto e dotate pertanto di capacità<br />
di auto-rinnovamento e di differenziazione 1 .<br />
Il trapianto allogenico di cellule staminali<br />
emopoietiche (HSCT: hematopoietic stem cell<br />
transplantation) rappresenta il trattamento<br />
di scelta per numerose condizioni neoplastiche<br />
e non, sia ematologiche che non-ematologiche.<br />
Esso consiste nell’infondere al ricevente, solitamente<br />
per via endovenosa, un numero adeguato<br />
di CSE precedentemente prelevate da<br />
un donatore sano HLA-compatibile. L’HSCT<br />
è preceduto da un trattamento immuno-mieloablativo<br />
(regime di condizionamento) ed è<br />
seguito da una terapia immunosoppressiva<br />
che ha il fine di favorire l’attecchimento e di<br />
prevenire la complicanza più frequente: la<br />
graft-versus-host disease (GVHD, malattia da<br />
trapianto contro l’ospite) nelle sue forme acuta<br />
e cronica. Gli scopi del trapianto sono:<br />
1. sostituire con un tessuto ematologicamente<br />
ed immunologicamente normale il midollo<br />
osseo del paziente<br />
2. sfruttare l’effetto “graft-versus-leukemia”<br />
(GvL: reazione del trapianto contro la leucemia),<br />
sostenuto dai linfociti T del donatore.<br />
L’effetto GvL si basa sull’alloreattività<br />
nei confronti dei tessuti del ricevente e<br />
quindi anche della popolazione leucemica<br />
e rappresenta la terapia immuno-mediata<br />
peculiare del trapianto allogenico.<br />
Le cellule staminali sono residenti nel midollo<br />
osseo ma possono essere spinte a migrare<br />
nel torrente circolatorio sotto appropriati stimoli;<br />
si trovano normalmente anche nel cordone<br />
ombelicale del neonato come espressione<br />
di una fase precoce (fetale) dell’emopoiesi. Col<br />
tempo si è giunti ad impiegare correntemente<br />
le seguenti sorgenti di cellule staminali emopoietiche:<br />
a. midollo osseo<br />
b. sangue venoso periferico<br />
c. sangue di cordone ombelicale<br />
caratteristiche e vantaggi sono riassunti<br />
nella tabella 1.<br />
Le principali indicazioni all’HSCT sono<br />
rappresentate da:<br />
a. Malattie ematologiche acquisite: leucemia<br />
acuta, anemia aplastica, leucemia mieloide<br />
cronica, mieloma multiplo e patologie linfoproliferative<br />
in fase avanzata.<br />
b. Malattie congenite ematologiche e non:<br />
anemia di Fanconi, anemia di Blackfan-<br />
Diamond, talassemia, drepanocitosi, osteopetrosi,<br />
errori congeniti del metabolismo.<br />
c. Tumori solidi: neuroblastoma e sarcoma dei<br />
tessuti molli.<br />
Il limite principale che si pone all’esecuzione<br />
del trapianto è rappresentato dalla disponibilità<br />
di un donatore HLA-compatibile. Nella<br />
pratica quotidiana, più di un terzo dei pazienti<br />
in cui vi sarebbe indicazione al trapianto non
204 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 1. Confronto tra le sorgenti di cellule staminali<br />
Midollo Osseo PBSC mobilizzate con G-CSF Cordone Ombelicale<br />
• raccolta in anestesia generale<br />
• numero di cellule raccolte:<br />
N. medio di MNC: 2 x10^8 /kg<br />
N. medio CD34+: 2x10^6 /kg<br />
N. medio linfociti T: 2.2x10^7<br />
/kg<br />
• Raccolta semplice, non anestesia<br />
generale<br />
• Possibili effetti collaterali del fattore<br />
di crescita granulocitario (G-<br />
CSF)<br />
• numero di cellule raccolte:<br />
N. medio di MNC: 9 x10^8 /kg<br />
N. medio CD34+: 7 x10^6 /kg<br />
N. medio di linfociti T: 27 x10^7 /kg<br />
dispone di un donatore familiare. In questi<br />
casi si può ricorrere ai registri internazionali<br />
di donatori volontari ma, a causa del polimorfismo<br />
del sistema HLA, la ricerca non porta<br />
all’identificazione di un potenziale donatore in<br />
una percentuale dei casi superiore al 30%. Oltre<br />
a ciò i tempi di ricerca sono spesso troppo<br />
lunghi in rapporto all’urgenza del trapianto: la<br />
mediana è infatti di 3-4 mesi dall’avvio della<br />
procedura 2 . Per ovviare a questo inconveniente<br />
si può ricorrere all’impiego di donatori con<br />
una compatibilità solo parziale, sia consanguinei<br />
che non; tali trapianti sono però gravati da<br />
una più elevata mortalità trapianto-correlata<br />
(transplant related mortality, TRM).<br />
Il trapianto di cellule staminali da cordone<br />
ombelicale (UCB, umbilical cord blood) non<br />
correlato rappresenta una possibile soluzione<br />
ad alcune di queste limitazioni. Le cellule<br />
staminali di UCB trapiantate in soggetti di<br />
basso peso corporeo, cioè sostanzialmente in<br />
età pediatrica, sono in grado di ricostituire<br />
l’emopoiesi dopo terapia di condizionamento<br />
mieloablativo e, essendo immunologicamente<br />
meno mature di quelle adulte, rendono<br />
accettabile una maggiore disparità HLA tra<br />
donatore e ricevente. Con gli anni, dopo i<br />
primi successi clinici e le numerose esperienze<br />
di laboratorio, l’uso del cordone è andato<br />
estendendosi da una popolazione costituita<br />
esclusivamente da pazienti pediatrici 3 anche a<br />
pazienti adulti. Occorre precisare tuttavia che<br />
nell’adulto l’utilizzo di UCB è reso problemati-<br />
• Raccolta semplice e senza rischi<br />
• Immediata disponibilità dell’unità e basso<br />
rischio di malattie trasmissibili<br />
• Parziale mismatches HLA: consentito<br />
• numero di cellule raccolte:<br />
N. medio MNC: 0.3 x10^8 /kg<br />
N. medio CD34+: 0.2x10^6 /kg<br />
N. medio di linocitif T: 0.4 x10^7 /kg<br />
co dal basso contenuto di cellule emopoietiche<br />
e progenitori staminali in relazione al peso<br />
corporeo. Per ovviare a questo problema si è<br />
ricorsi a due modalità innovative:<br />
1. l’uso di due o più UCB per uno stesso paziente<br />
2. l’infusione di UCB direttamente nelle cavità<br />
midollari delle creste iliache.<br />
Il cordone ombelicale come sorgente<br />
di cellule staminali emopoietiche<br />
Il primo trapianto di CSE da cordone è stato<br />
eseguito con successo nel 1988 in un bambino<br />
affetto da anemia di Fanconi utilizzando sangue<br />
di cordone ombelicale del neonato fratello<br />
HLA-identico 4 . Da allora si sono susseguite<br />
numerose segnalazioni in letteratura, prevalentemente<br />
in ambito pediatrico, che hanno<br />
sancito l’efficacia e la fattibilità della procedura<br />
utilizzando cordoni da donatori familiari<br />
HLA-identici, familiari HLA-mismatched e<br />
donatori non consanguinei e l’utilizzo di questa<br />
sorgente di CSE è andato aumentando nel<br />
corso degli ultimi anni 5 (Tabella 2).<br />
Nel 1992 sono sorte le prime banche di<br />
cordone ombelicale a New York, Parigi, Milano<br />
e Düsseldorf, ed altre se ne sono aggiunte<br />
successivamente. Attualmente vi sono nel<br />
mondo 46 banche in 23 paesi, e 33 di queste<br />
contribuiscono al data-base mondiale BMDW<br />
(Bone Marrow Donors Worldwide). Secondo<br />
dati IBMDR (Italian Bone Marrow Donor<br />
Tabella 2. Trapianti da donatore non familiare e sorgente di cellule staminali, anni 2000-2008<br />
(dati IBMDR Italian Bone Marrow Donor Registry)<br />
Sorgente di CSE per trapianto 2000<br />
anno<br />
2005 2008<br />
Cordone 10% 13% 19%<br />
Sangue venoso periferico 4% 42% 49%<br />
Midollo osseo 86% 45% 32%
M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 205<br />
Registry), aggiornati al 31 dicembre 2008,<br />
nel mondo le unità cordonali criopreservate<br />
sono circa 400.000 e vengono raccolte circa<br />
40.000 unità all’anno. In Italia abbiamo 18<br />
banche con 43.542 unità bancate di cui 20.112<br />
sono state tipizzate ed inserite nel data-base<br />
IBMDR. Di queste ne sono state rilasciate 887<br />
a scopo di trapianto, distribuite come segue:<br />
Italia 34%, Europa 32%, USA 24%, Sud America<br />
4%, Canada 2%, Australia 2%, Israele 1%,<br />
Asia 1% . (Dati IBMDR/istituto Superiore di<br />
Sanità 31/12/2008, www.ibmdr.galliera.it).<br />
La ricerca e l’identificazione di una UCB<br />
per un potenziale trapianto hanno tempi piuttosto<br />
brevi dal momento che le unità di cordone<br />
vengono sistematicamente tipizzate per i<br />
loci HLA -A, -B a bassa risoluzione e -DRB1 ad<br />
alta risoluzione prima della criopreservazione:<br />
in uno studio è stato calcolato che per l’identificazione<br />
e la disponibilità di un cordone occorrono<br />
in media 13,5 giorni 6 . Anche le modalità<br />
di consegna delle unità selezionate dal centro<br />
richiedente sono veloci e ben programmabili;<br />
tutto questo si traduce nel vantaggio di limitare<br />
l’attesa per il trapianto, fattore di primaria<br />
importanza in pazienti senza un donatore<br />
familiare HLA-identico e con malattia ad alto<br />
rischio di recidiva.<br />
Caratteristiche del sangue cordonale<br />
I vasi placentari e del cordone ombelicale<br />
contengono elementi cellulari staminali con<br />
caratteristiche simili a quelle del soggetto<br />
adulto, ma con alcune importanti differenze<br />
che le rendono del tutto peculiari anche per<br />
la finalità del trapianto: il sangue placentare<br />
contiene un numero di progenitori sufficienti<br />
a determinare la ricostituzione emopoietica<br />
nell’animale letalmente irradiato; anche nel<br />
sangue placentare umano sono presenti progenitori<br />
emopoietici capaci di formare colonie in<br />
vitro (CFU, CFU-Bl e LTC-IC) 7, 8 , esse sono in<br />
numero superiore al midollo osseo e al sangue<br />
periferico 9 ed hanno una maggiore capacità di<br />
auto-rinnovamento ed una maggiore capacità<br />
proliferativa 10 . Il loro livello di immaturità e<br />
la ridotta reattività immunologica comportano<br />
una ridotta incidenza e severità della GvHD 11 .<br />
Le cellule staminali cordonali possono essere<br />
considerate delle cellule somatiche “unrestricted”<br />
in quanto non solo sono in grado di<br />
ricostituire il compartimento emopoietico ma<br />
possono dare origine ad altri tessuti. Infatti il<br />
sangue cordonale contiene: cellule staminali<br />
mesenchimali, cellule staminali endoteliali,<br />
cellule CD34+ CD11b+ che hanno capacità differenziativa<br />
verso cellule endoteliali, ed infine<br />
cellule VEGF-R3+ CD34+ che hanno elevata<br />
capacità di espansione e mantenimento della<br />
funzione angiogenetica in vivo 12 .<br />
Processazione e criopreservazione<br />
del sangue cordonale<br />
Il sangue placentare e cordonale viene prelevato<br />
dalla vena ombelicale, che subito dopo<br />
la nascita viene incannulata con apposito ago;<br />
viene raccolto in una sacca con anticoagulante,<br />
vengono prelevate le aliquote per gli esami di<br />
legge e si procede a centrifugazione del campione<br />
con separazione del supernatante ricco di<br />
leucociti che viene trasferito in una sacca più<br />
piccola. I leucociti sedimentati sono risospesi<br />
nel plasma ottenendo un volume totale di circa<br />
20 ml che viene sottoposto a criopreservazione<br />
in azoto liquido con aggiunta di dimetilsulfossido<br />
13 . La procedura non comporta rischi né<br />
per la madre né per il neonato (Fig. 1).<br />
Selezione dell’unità di sangue<br />
cordonale<br />
Tre importanti caratteristiche distinguono<br />
il trapianto di cellule staminali da cordone<br />
da quello di cellule staminali da midollo e da<br />
sangue periferico (Tabella 3):<br />
Fig. 1. Raccolta del sangue del cordone ombelicale
206 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 3. Benefici e limiti del trapianti di CSE da cordone ombelicale<br />
Vantaggi Svantaggi<br />
• Rapida disponibilità<br />
• Minore compatibilità HLA richiesta<br />
• GVHD meno frequente e meno severa<br />
• Nessun rischio per il donatore<br />
• per le minoranze etniche: maggiore probabilità di<br />
trovare UCB con identità HLA almeno 4/6 e con dose<br />
cellulare adeguata<br />
1. il minor grado di compatibilità HLA richiesto;<br />
2. il minor numero di cellule staminali;<br />
3. la disponibilità pressoché immediata dell’unità<br />
selezionata.<br />
La selezione dell’unità cordonale avviene in<br />
primo luogo sulla base del grado di compatibilità<br />
per il sistema HLA. Lo standard attuale per<br />
la selezione di un’unità è rappresentato dalla<br />
tipizzazione a bassa o intermedia risoluzione<br />
per i loci A e B e ad alta risoluzione (livello<br />
allelico) per il DRB1. Il grado di disparità consentito,<br />
che nei trapianti standard di midollo<br />
è (massimo) di 1 antigene, in questo caso può<br />
essere anche di 3 (consigliato max 2). Secondo<br />
gli standard IBMDR una UCB viene considerata<br />
utilizzabile quando le disparità antigeniche<br />
sono al massimo due in prima classe (HLA<br />
A,B) ovvero una in classe I (HLA A,B) e una<br />
al locus DRB1 a livello allelico. Ciò consente<br />
una maggiore frequenza di assegnazione delle<br />
UCB al potenziale candidato rispetto a quanto<br />
avviene per i campioni di midollo osseo 6 .<br />
Il fattore limitante più importante per l’assegnazione<br />
di un’UCB è rappresentato dal numero<br />
totale delle cellule mononucleate (CMN):<br />
la dose adeguata, calcolata sulla base del peso<br />
corporeo, è difficile da raggiungere quando il<br />
ricevente è un soggetto adulto 14 o comunque di<br />
peso superiore a 40 kg. Sebbene il potenziale<br />
rigenerativo e la capacità di ripopolare il compartimento<br />
emopoietico da parte delle CSE di<br />
cordone siano più spiccati rispetto alle CSE<br />
da sangue midollare o periferico, rimane il<br />
fatto che il numero totale di CMN di un’unita<br />
di sangue cordonale è mediamente 10 volte (1<br />
log) inferiore a quello contenuto in un campione<br />
di midollo osseo.<br />
Gluckman e coll. hanno dimostrato un<br />
recupero più rapido della conta dei polimorfonucleati<br />
neutrofili quando l’UCB infusa conteneva<br />
un numero di CMN > 3.7 x 10 7 /kg 5 .<br />
In generale il numero minimo di CMN per<br />
effettuare un trapianto da cordone dovrebbe<br />
• Bassa cellularità<br />
• Possibile variabilità nella qualità dell’UCB allo scongelamento<br />
• Ritardato attecchimento<br />
• Ritardato recupero immunologico<br />
• Aumentato rischio infettivo<br />
essere >2.0-2.5 x 10 7 /kg 15 . Anche il numero di<br />
progenitori emopoietici CD34+ (cellule staminali<br />
emopoietiche pluripotenti determinabili<br />
in citometria a flusso) ha un impatto significativo<br />
sull’attecchimento e sulla sopravvivenza<br />
globale (overal survival, OS): OS a 5 anni del<br />
60% nei pazienti che hanno ricevuto una dose<br />
di cellule CD34+ >2.3 x 10 5 /kg a confronto con<br />
un’OS a 5 anni del 30% nei pazienti che hanno<br />
ricevuto una dose inferiore (p 0.010) 16 .<br />
Le raccomandazioni EUROCORD per la<br />
scelta di una unità di sangue cordonale sono<br />
attualmente:<br />
I. nelle malattie neoplastiche: ≤2 differenze<br />
HLA e cellule nucleate >2.5x10 7 /kg o CD34<br />
≥2x10 5 /kg<br />
II. nelle malattie non-neoplastiche (dove è<br />
maggiore il rischio di rigetto, la dose cellulare<br />
dovrebbe essere incrementata e migliorata<br />
la compatibilità HLA) dovrebbero<br />
essere escluse le unità con incompatibilità<br />
HLA ≥ 2 e cellule nucleate < 3.5x10 7 /kg<br />
III.se non ci sono singole unità di sangue<br />
cordonale con queste caratteristiche ci si<br />
può orientare verso l’utilizzo di due unità<br />
provenienti da donatori diversi che non<br />
presentino possibilmente più di 1 differenza<br />
HLA tra loro e con il paziente e con una<br />
dose totale di cellule nucleate ≥ 3x10 7 /kg 17 .<br />
Effetto della compatibilità HLA<br />
Da un’analisi delle casistiche emerge che la<br />
maggior parte delle unità di sangue cordonale<br />
trapiantate presentava delle disparità HLA<br />
tra donatore e ricevente di grado variabile<br />
da 1 a 2 loci. Non vi è concordanza di opinioni<br />
relativamente all’effetto di tali disparità<br />
su attecchimento ed outcome del trapianto.<br />
L’analisi del National Cord Blood Program al<br />
New York Blood Center (NYCB) che esamina<br />
pazienti che hanno ricevuto UCB con grado di<br />
compatibilità variabile da 6/6 a 3/6 dimostra<br />
un effetto avverso del grado di incompatibilità
M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 207<br />
su attecchimento, incidenza di GVHD, TRM,<br />
e sopravvivenza libera da malattia (DFS: disease<br />
free survival) indipendentemente dalla<br />
dose cellulare; mentre la dose cellulare non ha<br />
nessun impatto nel trapianto con compatibilità<br />
6/6 può significativamente compensare l’impatto<br />
negativo del mismatch nei trapianti con<br />
compatibilità inferiore a 6/6 18-20 . Secondo i dati<br />
riportati da Gluckman e coll. 6 nel 2004, l’incompatibilità<br />
HLA sembra non avere impatto<br />
sulla sopravvivenza, mentre ha impatto negativo<br />
sull’attecchimento in concordanza con i<br />
risultati del NYCB 18-20 . L’analisi dell’Eurocord<br />
del 2006 21 dimostra che sebbene una maggiore<br />
incompatibilità HLA abbia un effetto avverso<br />
sull’attecchimento, può comportare una riduzione<br />
del rischio di recidiva nelle malattie<br />
neoplastiche (effetto GvL). La sopravvivenza<br />
al contrario è ridotta nelle malattie non-neoplastiche.<br />
Le tabelle 4 e 5 illustrano i risultati<br />
riportati relativamente all’attecchimento e<br />
alla sopravvivenza.<br />
Nel trapianto da cordone non correlato l’incidenza<br />
di GVHD acuta varia complessivamente<br />
tra il 33% e il 44% (grado II-IV) e tra l’11%<br />
ed il 22% per il grado severo (III-IV), mentre<br />
l’incidenza di GVHD cronica complessiva (forma<br />
limitata + estesa) viene riportata tra lo 0<br />
e il 25% 15 . Si consideri che la maggior parte<br />
delle UCB trapiantate presenta almeno una<br />
singola disparità sui loci HLA. Nello studio pediatrico<br />
COBLT 23 , l’incidenza di GVHD acuta<br />
era significativamente superiore nei riceventi<br />
di UCB con compatibilità 4/6 a confronto con<br />
5/6 o 6/6. L’influenza della disparità HLA sull’incidenza<br />
di GVHD dopo trapianto con UCB è<br />
comunque inferiore rispetto a quanto riportato<br />
nel trapianto di cellule midollari da donatore<br />
volontario 20 .<br />
Ricostituzione immunologica e rischio<br />
infettivo<br />
La ritardata ricostituzione immunologica<br />
rimane una delle più importanti cause di morbidità<br />
e mortalità del trapianto da cordone ombelicale<br />
in quanto associata a rischio infettivo<br />
soprattutto nelle prime fasi post-trapianto. In<br />
uno studio del gruppo spagnolo 24 di confronto<br />
tra CSE da cordone, sangue periferico e midollo<br />
si è evidenziato per il cordone una più elevata<br />
e significativa frequenza di infezioni severe<br />
nei primi 3 anni che giunge all’85% rispetto<br />
al 67-69% (p 0.009), con un trend di maggiore<br />
incidenza nei primi 30 giorni. Le infezioni sono<br />
per il 55% batteriche, 14% fungine, 32% virali.<br />
L’uso del siero antilinfocitario (ATG) per la<br />
profilassi della GVHD e la linfopenia correlano<br />
con il maggior rischio di sviluppare infezione<br />
da citomegalovirus (CMV), che comunque ha<br />
una maggiore incidenza nei pazienti CMVsieropositivi<br />
prima del trapianto. La GVHD<br />
aumenta il rischio di malattia da CMV in tutti<br />
i gruppi, e di infezioni fatali anche dopo i primi<br />
100 giorni. Tuttavia, proprio il basso rischio di<br />
GVHD cronica (cGVHD) nel trapianto da cordone<br />
può spiegare il minor rischio di infezioni<br />
tardive specialmente fungine 24 .<br />
Tabella 4. HLA: effetto del mismatch sull’attecchimento (definito come Neutrofili ≥500)<br />
HLA-A,B,DRB1:<br />
grado di compatibilità<br />
Rubinstein<br />
1998 22<br />
Attecchimento<br />
Gluckman 20046 Eapen 200720 Kurtzberg 200823 6/6 100% 83% 85% Favorevole p 0.04<br />
5/6 78% Ridotto 80%<br />
4/6 82% Ridotto 76% Sfavorevole<br />
≤ 3/6 69% p 0.01 53.2% p
208 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
L’analisi della ricostituzione immunologica<br />
mostra che nelle fasi successive al condizionamento<br />
il numero di linfociti-T CD4+ e CD8+<br />
è ridotto ed il normale rapporto CD4+/CD8+<br />
è invertito. Viceversa, il numero assoluto dei<br />
linfociti-B (CD19+) è normale ed il numero<br />
di linfociti-NK (CD16+/56+) è lievemente aumentato<br />
25 . A 30 giorni dal trapianto il numero<br />
di CD4+/CD8+ è ancora estremamente basso<br />
e tale si mantiene per almeno 6 mesi, dopo di<br />
che si assiste ad un aumento del loro numero<br />
assoluto fino a valori normali ad 1 anno dal<br />
trapianto; tuttavia già dopo i primi 100 giorni<br />
vi è la capacità, da parte dei linfociti “naive”<br />
(linfociti che non hanno mai incontrato l’antigene)<br />
di avviare una precoce risposta immune<br />
primaria ai patogeni. Il deficit della timopoiesi<br />
caratterizza la ricostituzione immunologica<br />
post-trapianto di cordone ed è associato ad un<br />
ritardato recupero dell’attività T-memoria 26 .<br />
Pur in presenza di queste alterazioni, l’effetto<br />
GVL non appare compromesso; non è stato osservato<br />
un aumentato rischio di recidiva dopo<br />
trapianto di cordone e, come per il trapianto<br />
con CSE adulte, l’incidenza di recidiva correla<br />
più con il tipo e lo stato della malattia al<br />
momento del trapianto che con l’immaturità<br />
immunologia del cordone.<br />
Trapianto di CSE da cordone e da<br />
midollo a confronto<br />
In letteratura non vi sono studi prospettici<br />
di confronto tra trapianto di cellule staminali<br />
cordonali e trapianto di cellule staminali adulte<br />
da donatore non-consanguineo. Gli studi<br />
retrospettivi più recenti di confronto sono dell’International<br />
Bone Marrow Transplant Registry<br />
(IBMTR/NYCB) 27 e dell’ EBMT 28 ,oltre ad<br />
uno studio monocentrico giapponese 29 .<br />
Il confronto mostra un attecchimento più<br />
lento nel gruppo che riceve cordone, mentre<br />
non vi sono differenze significative in termini<br />
di GVHD acuta (aGVHD) nonostante la maggior<br />
parte delle unità di cordone trapiantate<br />
presenti almeno 1 incompatibilità. Anche l’incidenza<br />
di recidiva e l’OS a 2 anni sono sovrapponibili<br />
nei due gruppi (Tabella 6). Una migliore<br />
sopravvivenza globale è stata registrata<br />
dopo trapianto di cordone nella popolazione<br />
giapponese: ciò è verosimilmente in relazione<br />
al basso peso corporeo ed alla maggiore omogeneità<br />
genetica.<br />
Anche nei pazienti pediatrici affetti da leucemia<br />
acuta e sottoposti a trapianto di CSE da<br />
cordone (N=99 di cui 89% con disparità HLA<br />
da 1 a 3 loci) a confronto con quelli di CSE da<br />
midollo (N=416, di cui 262 hanno ricevuto midollo<br />
non manipolato e 180 midollo T-depleto),<br />
i risultati evidenziano un aumento del tempo<br />
di attecchimento della linea mieloide e piastrinica<br />
nel gruppo cordone. Nello stesso gruppo<br />
appaiono ridotte sia l’incidenza di GVHD<br />
acuta (33% CB vs 56% BM senza T-deplezione)<br />
che cronica (25% CB vs 46% BM senza<br />
T-deplezione). Inoltre la velocità di recupero di<br />
neutrofili e piastrine correla con la dose totale<br />
di cellule infuse (cut-off 3.7 x 10 7 /kg) ma non<br />
Tabella 6. Studi di confronto: trapianto da cordone e da donatore non correlato nell’adulto<br />
Autore Laughlin 200427 (IBMTR+NYBC)<br />
Periodo di<br />
osservazione<br />
Rocha 2004 28<br />
(Eurocord + EBMT)<br />
Takahashi 2004 29<br />
1996-2001 1998-2002 1996-2003<br />
Sorgente di CSE Cordone Midollo Cordone Midollo Cordone Midollo<br />
N pazienti 150 367 98 584 68 45<br />
Compatibilità 6/6 0<br />
5/6 23 %<br />
4/6 77%<br />
No mismatch<br />
100%<br />
6/6 6%<br />
5/6 51%<br />
4/6 39%<br />
3/6 4%<br />
No mismatch<br />
100%<br />
6/6 0<br />
5/6 21 %<br />
4/6 54%<br />
3/6 25%<br />
No mismatch<br />
87%<br />
1 mismatch<br />
13%<br />
CNT x107 /kg 2,2 24 2,3 29 2,5 33<br />
PMN<br />
>500/mm3 27 (25- 18 (18-19) 26 (14-80) 19 (5-72) 22 (16-41) 18 (12-33)<br />
(giorni) 29)<br />
aGvHD II-IV 40% 48% 26% 39% 50% 66%<br />
cGvHD 50% 35% 30% 46% 77% 74%<br />
TRM 63% 46% 44% 2 aa 38% 2aa 9% 1-2 aa 29% 1-2 aa<br />
OS 26% 3 aa 35% 3 aa 36% 2 aa 42% 2 aa 74% 2 aa 44% 2 aa<br />
Recidiva 2 aa n.a. n.a. 23% 23% 16% 25%
M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 209<br />
con la disparità HLA, come invece osservato<br />
per il trapianto da donatore non correlato di<br />
CSE, la sopravvivenza a 2 anni è comparabile<br />
fra i diversi gruppi 40 .Questi risultati sono stati<br />
confermati dal recente studio IBMTR/ NYCB,<br />
in cui 503 bambini affetti da leucemia acuta<br />
sono stati trapiantati con cordone (221) o con<br />
midollo (282). La TRM nel gruppo che ha ricevuto<br />
cordone con 1 o 2 differenze indipendentemente<br />
dalla dose cellulare, appare maggiore<br />
nei pazienti che ricevono meno di 3 x 10 7 /kg<br />
cellule mononucleate. La sopravvivenza libera<br />
da leucemia (leukemia free survival, LFS) non<br />
è significativamente differente nel gruppo che<br />
ha ricevuto cordone con 1 o 2 mismatch rispetto<br />
al gruppo che ha ricevuto midollo HLA-genotipicamete<br />
identico 20 .<br />
In nessuno degli studi riportati è stato<br />
osservato un aumento del rischio di recidiva<br />
dopo HSCT con cordone, al contrario è stato<br />
ipotizzato che l’elevata frequenza di disparità<br />
HLA tra donatore e ricevente possa giocare<br />
un ruolo, potenziando l’attività anti-leucemica<br />
delle cellule implicate nell’effetto GVL (T-linfociti<br />
e NK).<br />
Trapianto di CSE da CB nell’adulto<br />
Il limite principale per l’applicazione del<br />
trapianto da CB nell’adulto è costituito dalla<br />
bassa dose di progenitori emopoietici in rapporto<br />
al peso corporeo del ricevente. Tuttavia<br />
vari studi hanno dimostrato che la procedura<br />
è fattibile anche nell’adulto. Dati recenti dell’Eurocord<br />
Registry 30 in 171 pazienti adulti con<br />
malattie ematologiche neoplastiche trapiantati<br />
dopo il 1997, mostrano che la DFS a 2 anni<br />
dal trapianto è significativamente influenzata<br />
dalla fase di malattia. La TRM a 2 anni è del<br />
51% ma raggiunge il 68% nei primi 100 giorni.<br />
Le principali cause di morte sono rappresentate<br />
da infezioni (36%), recidiva (23%) e GVHD<br />
(11%). Il numero di cellule mononucleate alla<br />
raccolta o al congelamento e l’uso del fattore<br />
di crescita granulocitario (G-CSF) a partire da<br />
una settimana dopo l’infusione sono i fattori<br />
associati al recupero dei neutrofili. L’incidenza<br />
cumulativa di aGVHD a 100 giorni è 32%<br />
(grado I 21%, II 16%, III 9%, IV 7%), mentre la<br />
cGVHD è stata rilevata nel 36% dei pazienti a<br />
2 anni. La TRM si è ridotta rispetto al periodo<br />
precedente al 1997, verosimilmente a causa di<br />
una migliore selezione delle UCB in termini di<br />
compatibilità e di cellularità. La TRM elevata<br />
nei primi 100 giorni è verosimilmente da attribuire<br />
al più lento attecchimento rispetto al<br />
trapianto di cellule staminali adulte. I migliori<br />
risultati sono stati registrati nei pazienti che<br />
hanno ricevuto una dose di cellule mononucleate<br />
> 2x 10 7 /kg 6,30 .<br />
Trapianto di due o più unità di<br />
sangue cordonale<br />
I risultati sono riportati prevalentemente in<br />
studi del gruppo dell’Università del Minnesota<br />
che per primo ha sperimentato la possibilità di<br />
inoculare nello stesso paziente due UCB allo<br />
scopo di migliorare l’attecchimento. In uno di<br />
questi studi 31 venivano selezionate unità di sangue<br />
cordonale con una compatibilità 4-6/6 verso<br />
il ricevente e con compatibilità 5-6/6 delle UCB<br />
tra loro. A confronto con il gruppo storico di controllo<br />
che aveva ricevuto una singola unità, l’attecchimento<br />
era più precoce con doppio cordone,<br />
con mediana di 23 giorni (range 15-41) rispetto<br />
a 27 giorni del gruppo storico, si osservava una<br />
bassa frequenza di fallimento (0-22%), una<br />
maggiore incidenza di aGVHD (44-65% grado<br />
II-IV, 13% III-IV rispetto al 40% grado II-IV<br />
del gruppo storico) ma cGVHD sovrapponibile<br />
(21-25%). La sopravvivenza libera da malattia<br />
ad 1 anno dal trapianto era del 72% nei pazienti<br />
trapiantati in remissione completa.<br />
È interessante osservare che di regola una<br />
delle due unità cordonali infuse predomina<br />
sull’altra. Con lo studio del chimerismo si osserva<br />
come, dopo una fase in cui si evidenzia<br />
l’attecchimento di ambedue le unità, approssimativamente<br />
dal giorno +100 il paziente mostra<br />
un’emopoiesi che deriva solo da una delle<br />
due unità trapiantate; la ragione di questo<br />
fenomeno non è nota né si conoscono fattori<br />
predittivi della predominanza di una unità<br />
sull’altra. L’unico fattore significativo sembra<br />
il numero di linfociti T CD3+: attecchisce definitivamente<br />
l’unità che ne contiene il maggior<br />
numero. Questo avvalora l’ipotesi che il meccanismo<br />
di prevalenza di un’unità sull’altra<br />
sia di tipo immuno-mediato e che lo stesso<br />
meccanismo sostenga nel tempo l’attecchimento<br />
dell’unità predominante 31 . La procedura è<br />
fattibile e sicura, l’attecchimento precoce e la<br />
bassa incidenza di GVHD acuta severa (III-IV)<br />
comportano una relativa riduzione della mortalità<br />
trapianto-correlata.
210 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Trapianto di cellule staminali<br />
emopoietiche per via intra-ossea<br />
Nel trapianto di cellule cordonali la percentuale<br />
di fallimenti per mancato o ritardato<br />
attecchimento si avvicina al 20%. Dopo inoculazione<br />
per via endovenosa una larga parte<br />
dei precursori emopoietici viene catturata dai<br />
filtri fisiologici (fegato e polmone). Nel topo solo<br />
il 20% delle cellule staminali ematopoietiche<br />
inoculate si insedia stabilmente nel midollo<br />
osseo 32 . L’inoculo per via intraossea sembra<br />
dunque un’interessante alternativa a quello<br />
per via sistemica. Nel modello NOD/SCID il<br />
confronto tra l’inoculo di CSE cordonali per<br />
via intrafemorale rispetto a quella endovenosa<br />
mostra un grado di attecchimento dopo inoculo<br />
intraosseo da 6 a 12 volte superiore a quello<br />
ottenuto per via endovenosa 33 . Le altre sedi di<br />
emopoiesi fisiologica presentano un grado di attecchimento<br />
di poco inferiore a quello osservato<br />
in sede femorale, confermando la capacità delle<br />
CSE di migrare attraverso il torrente circolatorio<br />
anche dopo infusione per via intraossea.<br />
Uno stesso livello di ripopolamento del midollo<br />
emopoietico può essere ottenuto con un numero<br />
di progenitori emopoietici 10 volte inferiore<br />
a quello richiesto per via endovenosa 34 .<br />
In uno studio pioneristico del Karolinska<br />
Institut 35 venivano arruolati pazienti candidati<br />
a trapianto allogenico HLA-identico o con<br />
un singolo antigene mismatched da donatore<br />
familiare dopo condizionamento mieloablativo.<br />
Trentotto pazienti con diverse patologie ematologiche<br />
venivano randomizzati in tre bracci per<br />
ricevere rispettivamente: cellule staminali da<br />
midollo osseo di cui metà del volume endovena<br />
e metà per via intra-ossea (gruppo 1); l’intero<br />
volume di midollo osseo per via intra-ossea<br />
(gruppo 2); infine l’intero volume di midollo<br />
osseo endovena (gruppo 3). Il midollo osseo<br />
trapiantato per via intra-ossea attecchiva in<br />
tutti con tempi e modalità sovrapponibili senza<br />
differenze significative in termini di mortalità<br />
correlata al trapianto, GVHD acuta e cronica,<br />
sopravvivenza libera da malattia e recidiva. In<br />
particolare nel gruppo 2 non venivano osservati<br />
episodi infettivi locali o sistemici riconducibili<br />
alla procedura. La somministrazione di<br />
cellule staminali midollari per via intra-ossea<br />
si dimostra pertanto fattibile, sicura ed efficace<br />
ma non superiore alla convenzionale somministrazione<br />
per via endovenosa. Diversi sembrano<br />
i risultati se si impiegano cellule cordonali:<br />
un recente studio dell’Eurocord 36 confronta un<br />
gruppo selezionato di adulti trapiantati con<br />
cordone per via endovenosa con 50 pazienti che<br />
hanno ricevuto cordone per via intraossea. Non<br />
vi erano differenze tra i due gruppi in termini<br />
di diagnosi, numero di cellule, regime di condizionamento,<br />
precedente autotrapianto, stato<br />
di malattia. I risultati mostrano un vantaggio<br />
della somministrazione intraossea: in particolare<br />
un attecchimento delle piastrine più<br />
precoce (piastrine >20000/mm 3 a 60 giorni nell’<br />
82% vs il 40%), minore incidenza di aGVHD<br />
grado II-IV (12% vs 38%) e di aGVHD grado<br />
III-IV (2% vs 18%), mortalità correlata al trapianto<br />
a 90 giorni inferiore (27% vs 34%) e migliore<br />
sopravvivenza globale a 1 anno (67% vs<br />
43%) (Tabella 7). L’attecchimento dei neutrofili<br />
tuttavia era sovrapponibile nei due gruppi. Un<br />
follow-up più lungo è necessario per valutare<br />
con certezza i vantaggi di questa modalità di<br />
somministrazione.<br />
Impiego delle cellule staminali da<br />
cordone nelle malattie non ematologiche<br />
Nel sangue cordonale sono presenti anche<br />
cellule staminali non emopoietiche. Grazie ad<br />
una grande plasticità esse possono differenziare<br />
secondo diverse linee maturative dando<br />
origine a tessuti diversi. Tuttavia il potenziale<br />
terapeutico di queste cellule è tutto da esplo-<br />
Tabella 7. Studio comparativo eurocord: confronto tra infusione intraossea ed endovena di cellule<br />
staminali cordonali<br />
PMN+60 PLT +60 aGVHD<br />
II-IV<br />
aGVHD III-<br />
IV<br />
TRM +90 OS +365<br />
UCB I.O 70% 82% 12% 2% 27% 67%<br />
UCB e.v. 80% 40% 38% 18% 34% 43%<br />
p 0.27
M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 211<br />
rare e può essere collegato principalmente alla<br />
loro capacità di riparare il danno tissutale, ad<br />
esempio la riparazione del danno neuronale<br />
possibilmente attraverso la secrezione di fattori<br />
di crescita neurotropi. In studi preclinici è<br />
stato valutato il loro utilizzo nel trattamento di<br />
malattie neurodegenerative e nella riparazione<br />
del danno cerebrale traumatico e ischemico 37 .<br />
Sono in corso studi in vitro ed in vivo<br />
nell’animale sull’uso delle cellule staminali<br />
cordonali nel trattamento del diabete di tipo I.<br />
Infatti le cellule cordonali esprimono marcatori<br />
dei progentitori pancreatici ed hanno la capacità<br />
di generare cellule insulino-secernenti e<br />
strutture simili alle isole pancreatiche 38 ; il loro<br />
comportamento in vivo rimane tuttavia ancora<br />
sconosciuto.<br />
In ambito cardiologico sono in corso studi<br />
sull’uso delle cellule staminali nella riparazione<br />
del danno miocardico da infarto. L’efficacia<br />
della terapia cellulare con cellule staminali<br />
adulte è incerta mentre il cordone ombelicale<br />
potrebbe rappresentare un’alternativa valida<br />
essendo una sorgente di cellule giovani, immature<br />
e in grado di differenziare. Nell’animale<br />
il trapianto di cellule cordonali nel tessuto<br />
miocardico ischemico porta ad miglioramento<br />
funzionale del miocardio sede di infarto legato<br />
ad una neo-cardiomiogenesi e vasculogenesi 39 .<br />
Conclusioni<br />
L’uso delle cellule staminali da cordone<br />
ombelicale rappresenta una valida alternativa<br />
per quei pazienti candidati a trapianto che<br />
non dispongono di un donatore familiare o<br />
volontario compatibile. Il suo principale limite<br />
è rappresentato dalla bassa dose di cellule<br />
staminali contenute nell’unità: ciò comporta,<br />
specie nell’adulto, un ritardo nell’attecchimento,<br />
che di conseguenza espone il paziente ad un<br />
maggior rischio infettivo.<br />
L’immaturità del sistema immunitario del<br />
cordone consente di infondere unità con un<br />
grado variabile di incompatibilità HLA, ma ritarda<br />
la ricostituzione immunologica. Questa<br />
stessa immaturità riduce il rischio e la severità<br />
della GVHD acuta. La sopravvivenza a<br />
lungo termine è sovrapponibile a quanto osservato<br />
nel trapianto di cellule staminali adulte<br />
anche se la mortalità registrata nei primi 100<br />
giorni dal trapianto è superiore.<br />
Questi risultati giustificano la contemporanea<br />
ricerca di donatore vivente e cellule<br />
staminali da cordone a scopo di trapianto ma<br />
la scelta sarà poi basata sulla cellularità dell’unità<br />
cordonale, sul grado di compatibilità<br />
HLA e sull’urgenza del trapianto.<br />
Le prospettive future per migliorare l’outcome<br />
del trapianto di cordone ombelicale sono<br />
rappresentate da<br />
• incremento del numero di unità bancate<br />
per migliorare la probabilità di reperire<br />
unità con matching 6/6 (migliore attecchimento,<br />
GVHD ridotta, sopravvivenza apparentemente<br />
migliore);<br />
• trapianto con doppio cordone: capace di migliori<br />
risultati in termini di attecchimento e<br />
minore incidenza di recidiva<br />
• infusione intra-ossea delle cellule staminali<br />
cordonali che mostra migliori risultati in<br />
termini di attecchimento piastrinico e minore<br />
incidenza e severità dalla GVHD acuta;<br />
• in corso di studio è l’espansione in vitro delle<br />
cellule staminali cordonali con l’ausilio di<br />
citochine e fattori di crescita.<br />
L’uso delle cellule staminali cordonali nei<br />
trapianti non emopoietici rappresenta, inoltre,<br />
una possibile novità per il trattamento di varie<br />
patologie ma al momento gli studi clinici in<br />
corso non consentono di esprimere un giudizio<br />
sull’efficacia in vivo delle terapie cellulari al di<br />
fuori dell’ambito ematologico.<br />
Bibliografia<br />
1. Weissman I, Shizuru JA. The origin of the<br />
identificatio and isolation of hematopoietic stem<br />
cells and their capability to induce donor-specific<br />
transplantation tolerance and treat auitoimmune<br />
disease. Blood 2008; 112: 3543-53<br />
2. Brunstein CG, Setubal DC,Wagner JE. Expanding<br />
the role of umbelical cord blood transplantation.<br />
British J Haemat 2007; 137: 20-35<br />
3. Locatelli F, Giorgiani G, Giraldi E, et al. Cord<br />
blood transplantation in childhood. Haematologica<br />
2000; 85(11 Suppl): 26-29<br />
4. Gluckman E, Broxmeyer HA, Auerbach AD, et<br />
al. Hematopoietic reconstitution in a patient<br />
with Fanconi’s anemia by means of umbilicalcord<br />
blood from an HLA-identical sibling. N<br />
Engl J Med 1989; 321: 1174–8<br />
5. Gluckman E, Rocha V, Boyer Chammard A, et<br />
al. Outcome of cord blood transplantation from<br />
related and unrelated donors. NEJM 1997; 337:<br />
373-81
212 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
6. Gluckman E, Rocha V, Arcese W et al. Factors<br />
associated with outcomes of unrelated cord<br />
blood transplant: guidelines for donor choice.<br />
Exp Hematol. 2004; 32: 397-407<br />
7. Broxmeyer HE, Douglas GW, Hangoc G, et<br />
al. Human umbilical cord blood as a potential<br />
source of transplantable hematopoietic stem/<br />
progenitor cells. Proc Natl Acad Sci U S A 1989;<br />
86(10): 3828-32<br />
8. Nakahata T, Ogawa M. Hemopoietic colonyforming<br />
cells in umbilical cord blood with extensive<br />
capability to generate mono- and multipotential<br />
hemopoietic progenitors. J Clin Invest.<br />
1982; 70(6): 1324-8<br />
9. Wang JC, Doedens M, Dick JE. Primitive human<br />
hematopoietic cells are enriched in cord<br />
blood compared with adult bone marrow or<br />
mobilized peripheral blood as measured by the<br />
quantitative in vivo SCID-repopulating cell assay.<br />
Blood 1997; 1;89(11): 3919-24<br />
10. Hao QL, Shah AJ, Thiemann FT, et al. A functional<br />
comparison of CD34 + CD38- cells in cord<br />
blood and bone marrow. Blood 1995; 86(10):<br />
3745-53<br />
11. Cairo MS, Wagner JE. Placental and/or umbilical<br />
cord blood: an alternative source of hematopoietic<br />
stem cells for transplantation. Blood.<br />
1997 Dec 15;90(12):4665-78<br />
12. Kögler G, Radke TF, Lefort A, et al. Cytokine<br />
production and hematopoiesis supporting activity<br />
of cord blood-derived unrestricted somatic<br />
stem cells. Exp Hematol 2005; 33(5): 573-83<br />
13. Rubinstein P, Dobrila L, Rosenfield R, et al.<br />
Processing and cryopreservation of placental/<br />
umbilical cord blood for unrelated bone marrow<br />
reconstitution. PNAS 1995; 92:10119-22<br />
14. Rubinstein P, Carrier C, Carpenter C, et al.<br />
Graft selection in unrelated placental/umbilical<br />
cord blood (PCB) transplantation: influence and<br />
weight of HLA match and cell dose on engraftment<br />
and survival [abstract]. Blood 2000; 96:<br />
588a 1<br />
15. Schoemans H, Theunissen K, Maertens J, et<br />
al. Adult umbelical cord blood transplantation:<br />
a comprehensive review. Bone Marrow Transplantation<br />
2006; 38: 83-93<br />
16. Kamani N, Spellman S, Hurley C.H, et al. State<br />
of the art review: HLA matching and outcome of<br />
unrelated donor umbilical cord blood transplantation.<br />
Biology of Blood and marrow transplantation<br />
2008; 14: 44-53<br />
17. Gluckman E, Rocha V. Cord Bloob Transplantatio:<br />
state of art. Haematologica 2009; 94: 451-4<br />
18. Wagner JE, Barker JN, DeFor TE, et al. Transplantation<br />
of unrelated donor umbilical cord<br />
blood in 102 patients with malignant and nonmalignant<br />
diseases: influence of CD34 cell dose<br />
and HLA disparity on treatment-related mortality<br />
and survival. Blood 2002; 100: 1611-8<br />
19. Stevens CE, Rubinstein P, Scaradavou A. HLA<br />
matching in cord blood transplantation: clinicla<br />
outcome and implication for cord blood unit<br />
selection and inventory size and ethnic composition.<br />
Blood 2006; 108 (abstract 885a)<br />
20. Eapen M, Rubistein P, Zhang MJ, et al. Outcome<br />
of transplantation of unrelated donor umbelical<br />
cord blood bone marrow in children with<br />
acute leukemia: a comparison study. Lancet<br />
2007; 369: 1947:54<br />
21. Gluckman E, Rocha V. Donor selection for unrelated<br />
cord blood transplant. Curr Opin Immunol<br />
2006; 18: 565-70<br />
22. Rubinstein P, Carrier C, Scaradavou A. Outacome<br />
among 562 recipients of placental-blood<br />
transplant from unrelated donor. N England J<br />
Med 1998; 339: 1565-77<br />
23. Kurtzberg J, Prasad VK, Carter SL, et al.<br />
COBLT Steering Committee.Results of the Cord<br />
Blood Transplantation Study (COBLT): clinical<br />
outcomes of unrelated donor umbilical cord<br />
blood transplantation in pediatric patients with<br />
hematologic malignancies. Blood 2008; 112:<br />
4318-27<br />
24. Parody R, Martino R, Rovira M, et al. Severe<br />
infections after unrelated donor allogeneic hematopoietic<br />
stem cell transplantation in adults:<br />
comparison of cord blood transplantation with<br />
peripheral blood and bone marrow transplantation.<br />
Biol of Blood and Marrow Transplantation<br />
2006; 12: 734-48<br />
25. Krishna V Komanduri, Lisa S St John, Marcos<br />
de Lima, et al. Delayed immune reconstitution<br />
after cord blood transplantation is characterized<br />
by impaired thymopoiesis and late memory Tcell<br />
skewing. Blood 2007; 110: 4543-51<br />
26. Talvensaari K, Clave E, Douay C, et al. A broad<br />
T-cell repertoire diversity and an efficient thymic<br />
function indicate a favorable long-term immune<br />
reconstitution after cord blood stem cell<br />
transplantation. Blood 2004; 99: 1458-64<br />
27. Laughlin MJ,Eapen MRubistein, Wagner JM, et<br />
al. Outcome after transplantation of cord blood<br />
or bone marrow from unrelated donors in adult<br />
with leukemia. N Engl J Med 2004; 351: 2265-<br />
75<br />
28. Rocha V, Labopin M, Sanz G, et al. transplant of<br />
umbelical cord or bone marrow from unrelated<br />
donors in adults with acute leukemia. N Engl J<br />
Med 2004; 351: 2276-85<br />
29. Takahashi S, Iseki T, Ooi J, et al. Single-institute<br />
comparative analysis of unrelated bone<br />
marrow transplantation and cord blood transplantation<br />
for adult patients with hematological<br />
malignancies. Blood 2004; 104: 3813-20<br />
30. Arcese W, Rocha V, Labopin M, et al. Unrelated<br />
cord blood transplant in adults with hematologic<br />
malignancies. Haematol 2006; 91(2): 223-30<br />
31. Barker JN, Weidsorf DJ, DeFor TE, et al. Trans-
M.B. Pinazzi et al.: Il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale 213<br />
platation of 2 HLA-matched umbelical cord<br />
units to enahnce engraftment in adults with hematologic<br />
malignancy. Blood 2005: 105:1343-7<br />
32. Dick JE, Lapidot T. Stem cells take a shortcut to<br />
the bone marrow. Blood 2003; 101: 2901-2<br />
33. Mazurier F, Doedens M, Gan OIet al. Rapid<br />
myeloerythroid repopulation after intrafemoral<br />
transplantation of NOD-SCID mice reveals a<br />
new class of human stem cells. Nature Med<br />
2003; 9: 959-63<br />
34. Castello S, Podesta M, Menditto VG, et al. Intra-bone<br />
marrow injection of bone marrow and<br />
cord blood cells: an alternative way of transplantation<br />
associated with a higher seedin efficiency.<br />
Exp Hematol 2004; 32(8): 782-7<br />
35. Hagglund H, Ringden O, Agren B, et al. Intraosseous<br />
compared to intravenous infusion of allogeneic<br />
bone marrow. Bone Marrow Transplantation<br />
1998; 21: 331-315<br />
36. Frassoni F, Labopin M, Gualandi F, et al. Intrabone<br />
marrow transplantation of cord blood cells<br />
is associated with better platelet recovery and<br />
decreased acute GVHD as compared with intravenus<br />
transplantation: an Eurocord matchedpair<br />
analysis. EBMT 2009 (Abstract 106)<br />
37. Sanberg PR Willing AE, Garbuzova-Davis S, et<br />
al. Umbelical cord blood-derived stem cells and<br />
brain repair. Ann N Y Acad Sci 2005; 1049: 67-<br />
83<br />
38. Parekh VS, Joglekar MV, Hardikar AA. Differentiation<br />
of human umbilical cord blood-derived<br />
mononuclear cells to endocrine pancreatic lineage.Differentiation.<br />
2009 Aug 5. [Epub ahead<br />
of print]<br />
39. Iwasaki H, Kawamoto A, Willwerth C, et al.<br />
Therapeutic Potential of Unrestricted Somatic<br />
Stem Cells Isolated From Placental Cord Blood<br />
for Cardiac Repair Post Myocardial Infarction.<br />
Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2009 Aug 13.<br />
[Epub ahead of print]<br />
40. Rocha V, Cornish J, Sievers EL, et al. Comparison<br />
of outcomes of unrelated bone marrow and<br />
umbilical cord blood transplants in children with<br />
acute leukaemia. Blood 2001; 97(10): 2962-71<br />
Corrispondenza e richiesta estratti:<br />
Dott.ssa Maria Beatrice Pinazzi,<br />
E-mail:mpinazzi@scamilloforlanini.rm.it
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre- Dicembre 2009<br />
GENETICA DELLA EMOCROMATOSI EREDITARIA<br />
GENETIC HEREDITARY HEMOCHROMATOSIS<br />
SILVIA MAJORE, FRANCESCO BINNI, PAOLA GRAMMATICO<br />
U.O.C. Laboratorio di Genetica Medica, “Sapienza”, Università di Roma,<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Emocromatosi ereditaria. Eterogeneità genetica. Metabolismo del ferro. Epcidina<br />
Key words: Hereditary hemochromatosis. Genetic heterogeneity. Iron metabolism. Hepcidin<br />
Riassunto – L’emocromatosi ereditaria, una delle più frequenti malattie mendeliane, è stata considerata a<br />
lungo come un’unica entità clinica e genetica. Questa condizione patologica, caratterizzata da sovraccarico<br />
di ferro nell’organismo conseguente ad alterato assorbimento intestinale di questo metallo, è, di fatto, nella<br />
maggior parte degli individui di discendenza nord-europea, associata alla stessa mutazione biallelica del<br />
gene HFE. I notevoli avanzamenti delle conoscenze sul metabolismo del ferro compiuti negli ultimi anni<br />
hanno permesso di comprendere molti dei meccanismi coinvolti nella regolazione dell’omeostasi marziale<br />
e, allo stesso tempo, di identificare molteplici nuove forme genetiche di emocromatosi ed iperferritinemie<br />
ereditarie. In questo scenario il numero e la complessità delle indagini molecolari che possono essere offerte<br />
ai pazienti con alterazione degli indici di sovraccarico del ferro e ai loro familiari hanno subito un drammatico<br />
aumento. La programmazione e l’interpretazione di questi esami genetici dovrebbe essere affidata allo<br />
specialista in Genetica medica nell’ambito di una Struttura in grado di effettuare indagini molecolari di II<br />
livello.<br />
Abstract – Hereditary hemochromatosis, one of the most frequent mendelian disorders, has been regarded<br />
for a long time as a unique clinical and genetic entity. This affection, characterized by body iron overload<br />
due to abnormal absorption of the metal by the intestinal mucosa, in the majority of Northern European<br />
ancestry patients, is associated with the same biallelic mutation of the HFE gene. In the latest years, our<br />
knowledge of iron metabolism has much improved allowing us to understand many of the mechanisms acting<br />
in the regulation of iron homeostasis, and, at the same time, to identify several new genetic forms of<br />
hereditary hemochromatosis and hereditary hyperferritnemia. In this scenario, the number and complexity<br />
of molecular analysis that can be offered to patients with abnormal iron indices and to their relatives, have<br />
dramatically increased. Therefore, the Medical Genetist, operating for a Medical Genetics Department able<br />
to perform molecular studies of II level, should be responsible for the planning and interpretation of such<br />
these genetic exams.<br />
.<br />
Introduzione<br />
Il ferro è il metallo contenuto in maggiore<br />
quantità nell’organismo umano. Grazie alle<br />
sue proprietà chimiche questo elemento svolge<br />
un ruolo unico in una serie di processi metabo-<br />
lici, quali il trasporto dell’ossigeno nel sangue,<br />
il legame dell’ossigeno nella mioglobina e la<br />
respirazione cellulare. Catalizza inoltre numerose<br />
reazioni ossidative ed è necessario per<br />
la crescita e per la proliferazione cellulare 1 .<br />
Nonostante sia quindi un elemento essenziale
S. Majore et al: Genetica della emocromatosi ereditaria 215<br />
per la vita, il ferro può essere dannoso se presente<br />
in eccesso. La tossicità del ferro è in gran<br />
parte dovuta alla sua capacità di catalizzare<br />
la formazione di radicali che danneggiano le<br />
macromolecole cellulari promuovendo la morte<br />
cellulare ed il danno tessutale 1 .<br />
Tutti gli esseri viventi hanno perciò sviluppato<br />
sistemi più o meno raffinati per assumere<br />
il ferro dall’ambiente, immagazzinarlo all’interno<br />
delle cellule e ridistribuirlo nei vari comparti<br />
ma anche per controllare il contenuto di<br />
ferro dell’organismo e rendere tale metallo innocuo.<br />
Diviene sempre più evidente che i fattori<br />
coinvolti nella regolazione dell’omeostasi del<br />
ferro sono numerosissimi e che il non corretto<br />
funzionamento di ciascuno di questi può avere<br />
conseguenze patologiche che si traducono in<br />
quadri clinici associati a carenza, eccesso o<br />
alterata redistribuzione del metallo 1 .<br />
Negli ultimi anni le conoscenze sul metabolismo<br />
del ferro hanno compiuto notevoli<br />
progressi e ciò ha permesso di caratterizzare<br />
le basi molecolari di molte di queste condizioni<br />
e di comprendere i meccanismi fisiopatologici<br />
che le determinano. Tutto ciò ha contribuito ad<br />
un migliore inquadramento dell’emocromatosi<br />
ereditaria (EE) 2 , la più frequente patologia<br />
associata a sovraccarico di ferro.<br />
Assorbimento ed omeostasi del ferro<br />
Nell’organismo umano il ferro è presente<br />
nelle due forme ferrosa (Fe++) e ferrica<br />
(Fe+++), entrambe estremamente reattive,<br />
per cui in massima parte legate a proteine di<br />
trasporto e di deposito. L’intestino tenue, ed<br />
in particolare il duodeno, è la sede principale<br />
dell’assorbimento del ferro che avviene con<br />
diversa modalità a seconda che questo venga<br />
introdotto con la dieta in forma organica oppure<br />
inorganica.<br />
L’uomo ingerisce complessivamente circa<br />
13-18 mg di ferro al giorno, assorbendone<br />
mediamente solo 1,5 mg, ma, a seconda delle<br />
necessità dell’organismo, in quantità variabile<br />
da 0,5 mg a 4 mg.<br />
Prima di essere assorbito dalle cellule intestinali,<br />
il ferro inorganico presente allo stato<br />
ossidato (ferrico) viene ridotto a ione ferroso<br />
ad opera di una reduttasi espressa dall’orletto<br />
a spazzola delle cellule dell’epitelio duodenale.<br />
Il ferro bivalente viene quindi trasportato attraverso<br />
la superficie cellulare apicale dal così<br />
detto trasportatore “divalente dei metalli 1”<br />
(DMT1), proteina in grado di svolgere la sua<br />
funzione anche nei confronti di altri metallo-ioni.<br />
La maggior parte del Fe++ assorbito<br />
dagli enterociti, resta all’interno di queste<br />
cellule sotto forma di ferritina (ed eliminato<br />
con l’enterocita senescente), mentre solo quello<br />
necessario all’organismo viene trasferito<br />
alla membrana basolaterale da una proteina<br />
denominata ferroportina. Ossidato quindi a<br />
ferro trivalente dalla ferro-ossidasi efaestina,<br />
il metallo viene immesso nei vasi del sistema<br />
portale e legato alla transferrina.<br />
L’emoglobina, la mioglobina e le altre proteine<br />
alimentari caratterizzate dalla presenza<br />
di un gruppo ferro prostetico (ferro organico)<br />
subiscono, all’interno del lume intestinale,<br />
scissione enzimatica in anello metallo-porfirinico<br />
e globina. La ferro-porfirina viene<br />
successivamente veicolata in forma integra<br />
all’interno della membrana apicale dei duodenociti<br />
da uno o più trasportatori ad oggi non<br />
noto/i (è ancora ipotetico il possibile ruolo di<br />
HCP1 individuato da Shayeghi et al nel 2005)<br />
3 . Una volta all’interno delle cellule duodenali,<br />
l’eme viene scisso in ione ferroso e biliverdina<br />
dall’enzima eme-ossigenasi. In seguito, il<br />
ferro derivato dall’eme viene, al pari del ferro<br />
inorganico, trasportato dalla ferroportina alla<br />
membrana basolaterale e riversato nel circolo<br />
sanguigno dove, previa ossidazione, viene legato<br />
alla transferrina.<br />
Dai vasi del circolo portale, il ferro legato<br />
alla transferrina, giunge ai vari organi, in<br />
primo luogo al fegato, principale sito di deposito<br />
di questo metallo (ferritina). Gli epatociti<br />
internalizzano il complesso transferrina-ferro<br />
tramite il recettore 1 della transferrina (TFR1)<br />
ed, in misura minore, per mezzo del recettore<br />
2 della transferrina (TFR2). Il principale sito<br />
di utilizzo del ferro è invece il midollo osseo,<br />
dove il metallo viene assunto dai precursori<br />
eritroidi, tramite il TFR1.<br />
Il ferro legato all’eme viene riciclato grazie<br />
all’ingestione degli eritrociti senescenti da parte<br />
dei macrofagi reticolo-endoteliali. I macrofagi<br />
immagazzinano il ferro sotto forma di ferritina<br />
o lo riversano nel plasma, utilizzando il trasportatore<br />
ferroportina, dove questo viene ossidato<br />
dalla ceruloplasmina e legato dalla transferrina<br />
per venire riutilizzato. Il fegato ed il sistema<br />
reticoloendoteliale rappresentano quindi i principali<br />
siti di deposito mobilizzabile del ferro.<br />
L’organismo umano contiene complessivamente<br />
circa 3-5 g di ferro. Il 50-60% di questo
216 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
è contenuto all’interno dell’emoglobina nei<br />
globuli rossi circolanti. Approssimativamente<br />
il 20-30% del ferro dell’organismo è contenuto<br />
negli epatociti e nei macrofagi del sistema reticolo-endoteliale,<br />
all’interno della ferritina e<br />
del suo prodotto di degradazione, emosiderina.<br />
I muscoli contengono, all’interno della mioglobina,<br />
circa 300 mg di ferro.<br />
Un individuo sano assorbe mediamente 1,5<br />
mg di ferro introdotto dalla dieta, che compensa<br />
le perdite non specifiche che avvengono<br />
per desquamazione cellulare nella cute e nelle<br />
mucose. Non esiste alcun meccanismo che<br />
regoli l’eliminazione del ferro dall’organismo.<br />
L’omeostasi del ferro è quindi modulata a livello<br />
dell’assorbimento e della redistribuzione<br />
tessutale e vede in gioco numerosi fattori che<br />
hanno come effetto finale quello di segnalare ai<br />
duodenociti l’entità del fabbisogno marziale del<br />
sistema eritropoietico e del contenuto di ferro<br />
nei depositi. La principale molecola in grado di<br />
modulare l’entità dell’assorbimento marziale e<br />
la sua redistribuzione è un piccolo polipeptide<br />
costituito da 25 residui aminoacidici, denominato<br />
epcidina 4-5 . Alti livelli di epcidina inibiscono<br />
l’assorbimento enterico del ferro ed il suo<br />
rilascio da parte dei macrofagi. Al contrario,<br />
l’assorbimento intestinale e la fuoriuscita dalle<br />
cellule del sistema reticolo-endoteliale subiscono<br />
un notevole incremento quando la concentrazione<br />
di epcidina è bassa 5,7 .<br />
Epcidina è in grado di svolgere le sue azioni<br />
in quanto interagisce, a livello delle membrane<br />
cellulari, con la proteina ferroportina<br />
causando l’internalizzazione e la degradazione<br />
di quest’ultima. 6 Epcidina regola quindi l’assorbimento<br />
di ferro esercitando un controllo<br />
post-traduzionale della concentrazione di ferroportina,<br />
modulando quindi l’esportazione di<br />
ferro da parte dell’unica molecola in grado di<br />
trasportare il ferro al di fuori delle cellule. Le<br />
molecole che convergono in questa ed in altre<br />
pathway regolative sono numerose (Figura 1)<br />
e la lista dei componenti che hanno un ruolo<br />
nel metabolismo del ferro soggette a continuo<br />
aggiornamento 7 .<br />
Emocromatosi ereditaria: definizione<br />
e cenni storici<br />
L’emocromatosi ereditaria (EE) è una patologia<br />
multisistemica ereditaria del metabolismo<br />
del ferro che si trasmette, nella maggior<br />
parte dei casi, con modalità autosomica reces-<br />
Fig. 1. Forme alternative dell’emocromatosi<br />
ereditaria di tipo 4<br />
siva ed è causata da un eccessivo assorbimento<br />
marziale da parte della mucosa intestinale che<br />
consegue in un progressivo sovraccarico del<br />
metallo nell’organismo. Il ferro, a causa del<br />
suo ruolo lesivo, può quindi provocare danni,<br />
che con il tempo diventano irreversibili, a<br />
molti organi e tessuti, quali fegato, cuore,<br />
pancreas e articolazioni. Le complicanze della<br />
malattia possono però essere prevenute o, se<br />
già comparse, in parte trattate, ottenendo una<br />
drastica riduzione dell’entità dei depositi di<br />
ferro dell’organismo per mezzo della rimozione<br />
periodica di sangue periferico.<br />
La prima descrizione dell’EE fu di Trousseau<br />
che, nel 1865 8 notò, al riscontro autoptico<br />
di un soggetto diabetico deceduto per cirrosi<br />
epatica, una peculiare colorazione bronzina<br />
della cute e la consistenza del fegato notevolmente<br />
aumentata. Nel 1889 von Recklinghausen<br />
9 definì “emocromatosi” l’entità morbosa<br />
identificata da Trousseau e caratterizzata<br />
dalla presenza di cirrosi epatica, diabete e cute<br />
bronzina.<br />
L’eziologia genetica dell’emocromatosi idiopatica<br />
fu ipotizzata da Sheldon nel 1935 10 a seguito<br />
del rilievo di alcuni casi familiari e confermata<br />
solo nel 1974 quando ne fu dimostrata<br />
la trasmissione autosomica rececessiva 11 .<br />
Alcuni anni dopo, Simon et al (1976) 12 rilevarono<br />
l’esistenza di una significativa associazione<br />
tra l’EE e l’allele A3 del sistema maggiore<br />
di istocompatibiltà (MHC). Divenne quindi<br />
evidente che il gene causativo dell’emocromatosi<br />
ereditaria mappava sul braccio corto del<br />
cromosoma 6 in prossimità del locus HLA-A<br />
(6p21) e che nella maggior parte dei soggetti
S. Majore et al: Genetica della emocromatosi ereditaria 217<br />
con EE di origine caucasica era presente una<br />
regione di linkage disequilibrium associata ad<br />
una mutazione ancestrale. Il principale gene<br />
responsabile dell’EE, inizialmente denominato<br />
HLA-H, e poi HFE, venne identificato solo 20<br />
anni dopo da Feder et al (1996) 13 . Questi ricercatori<br />
isolarono una regione di 250 kb, localizzata<br />
3 Mb circa a valle dal complesso maggiore<br />
di istocompatibilita, all’interno della quale un<br />
segmento trascritto conteneva, nell’85% dei<br />
pazienti con EE, una transizione in omozigosi,<br />
c.845G→A, che produceva una sostituzione<br />
aminoacidica (p.C282Y) in un dominio fondamentale<br />
della proteina codificata. Un' altra<br />
mutazione missenso, p.H63D (c.187C→G), che<br />
converte una istidina in posizione 63 ad aspartato,<br />
fu rilevata nel 21% dei cromosomi in cui<br />
non era presente la mutazione p.C282Y. Fu<br />
in seguito confermato che HFE è responsabile<br />
dell’EE nella maggior parte dei pazienti di<br />
origine nord-europea e che p.C282Y è la mutazione<br />
presente nella quasi totalità di quei<br />
soggetti 14 . Venne quindi ipotizzato che la variante<br />
p.C282Y, che è generalmente associata<br />
ad un aplotipo comune a tutti i pazienti, sia<br />
originata circa 2000 anni prima nella popolazione<br />
celtica e si sia diffusa seguendo il flusso<br />
migratorio di questa etnia 15 . La frequenza della<br />
mutazione si rivelò notevolmente inferiore<br />
nel sud rispetto al nord dell’Europa e praticamente<br />
nulla in Africa, Asia, Polinesia e tra gli<br />
aborigeni australiani 16 . La mutazione p.H63D<br />
venne rilevata in una piccola percentuale dei<br />
cromosomi dei pazienti con forme attenuate di<br />
EE 16-17 , mentre altre mutazioni in HFE sono<br />
state identificate successivamente, perlopiù<br />
in singole famiglie 17-18 . Se da una parte, l’identificazione<br />
di HFE, della mutazione p.C282Y<br />
e delle ulteriori varianti patogenetiche fu di<br />
grande utilità ai fini diagnostici e di ricerca,<br />
divenne progressivamente evidente che EE è,<br />
in realtà, una condizione geneticamente eterogenea<br />
e che ulteriori geni, oltre ad HFE, sono<br />
coinvolti, seppur più raramente, nel determinismo<br />
di diversi quadri clinici con sovraccarico<br />
primitivo di ferro. Fu inoltre progressivamente<br />
compreso che la patologia non viene sempre<br />
ereditata con modalità autosomica recessiva<br />
e che a volte l’emocromatosi non si comporta<br />
come pura malattia mendeliana 2,17 .<br />
Dal 2000 al 2004 sono stati quindi progressivamente<br />
identificati 4 nuovi geni coinvolti<br />
in altrettante forme di EE, clinicamente distinguibili<br />
tra loro 19-21 . Tra queste, una forma<br />
atipica della malattia (EE tipo 4), si trasmette<br />
con modalità autosomica dominante.<br />
La descrizione di alcuni casi con EE che<br />
seguono il modello di ereditarietà digenico o<br />
di tipo multifattoriale 2,21 ha infine confermato<br />
la notevole varietà e complessità eziologica di<br />
questa affezione, modificando profondamente<br />
l’opinione che per molti anni ha visto l’emocromatosi<br />
come una malattia geneticamente<br />
omogenea.<br />
Classificazione dell’emocromatosi<br />
ereditaria<br />
Il termine EE è stato a lungo riferito alla<br />
forma più comune e per prima caratterizzata di<br />
sovraccarico primitivo di ferro causata da mutazioni<br />
in omozigosi o in eterozigosi composta<br />
nel gene HFE. I progressi scientifici compiuti<br />
nell’ultimo decennio hanno fatto sì che oggi<br />
vengano riconosciuti almeno quattro sottotipi di<br />
EE (Tabella 1). Il termine di emocromatosi classica<br />
(EE di tipo 1), viene riservato alla forma<br />
correlata al gene HFE, mentre per EE di tipo 2,<br />
EE di tipo 3 e EE di tipo 4 si definiscono alcuni<br />
quadri clinici ad ereditarietà mendeliana, ritenuti<br />
rari, associati a mutazioni in geni di più<br />
recente individuazione 2-19-21 . È inoltre noto che<br />
esistono anche svariati casi in cui l’EE mostra<br />
una ereditarietà più complessa, che vede nel<br />
suo determinismo l’azione combinata di più geni<br />
coinvolti nel metabolismo del ferro 2,19,21-22 .<br />
L’effetto finale delle mutazioni in tutti geni<br />
causativi noti è una diminuzione della sintesi<br />
o dell’attività di epcidina la cui inadeguata<br />
funzione determina un amento dell’assorbimento<br />
del ferro intestinale È stato infatti<br />
dimostrato che i prodotti proteici dei geni<br />
responsabili delle EE di tipo 1, di tipo 2A e di<br />
tipo 3 operano nella stessa complessa pathway<br />
che regola l’espressione di quest’ultimo polipeptide<br />
(codificato dal gene responsabile dell’EE<br />
di tipo 2B), e che ferroportina (EE di tipo<br />
4) viene invece a sua volta regolata, a livello<br />
post-traduzionale, dalla stessa epcidina 5-7 .<br />
La molteplicità delle molecole coinvolte<br />
nell’omeostasi del ferro e, al tempo stesso,<br />
l’esistenza di molti individui con sovraccarico<br />
marziale ad eziologia ancora sconosciuta, rendono<br />
assai probabile che, nel prossimo futuro,<br />
la classificazione delle EE includerà nuove<br />
forme causate da geni che giocano un ruolo nel<br />
controllo della funzione di epcidina o in cascate<br />
regolative alternative.
218 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 1. Classificazione dell’emocromatosi ereditaria<br />
Classificazione Gene Proteina Trasmissione N° Omim<br />
Emocromatosi tipo 1 HFE HFE AR 235200<br />
Emocromatosi tipo 2A<br />
(emocromatosi giovanile)<br />
Emocromatosi tipo 2B<br />
(emocromatosi giovanile)<br />
Emocromatosi ereditaria di tipo 1<br />
(forma classica)<br />
Rappresenta la forma più comune di EE ed<br />
è dovuta a mutazioni del gene HFE, localizzato<br />
nella regione 6p21.3. Il prodotto di HFE<br />
è una proteina transmembrana, HFE, simile<br />
alle molecole MHC di classe I, che, al pari di<br />
quest’ultime, si lega alla β2-microglobulina<br />
(B2-M) 13 . Si riteneva, fino a qualche tempo fa,<br />
che la funzione di questa proteina fosse quella<br />
di inibire l’assorbimento di ferro e che questa<br />
funzione si espletasse in prevalenza a livello<br />
delle cellule delle cripte intestinali. È invece<br />
ora noto che HFE, agisce prevalentemente nel<br />
fegato come regolatore positivo della sintesi di<br />
epcidina 5,7 .<br />
La mutazione più comune in HFE, denominata<br />
p.C282Y è presente in omozigosi nella<br />
maggior parte dei pazienti con sovraccarico<br />
primitivo di ferro originari dal nord-Europa<br />
14,17-18 . La variante p.H63D del medesimo gene<br />
è, in ordine di frequenza, la seconda mutazione<br />
riscontrata nei soggetti affetti da EE di tipo<br />
1 14,17-18 . È stato da prima ipotizzato che questa<br />
sostituzione aminoacidica potesse essere in<br />
realtà un polimorfismo, privo di effetto funzionale<br />
sulla proteina HFE 21 . p.H63D mostra<br />
infatti la medesima frequenza nei pazienti con<br />
HH e nella popolazione generale ed è presente<br />
solo in una piccola percentuale dei casi con EE<br />
clinicamente accertata. Inoltre, la maggior parte<br />
degli individui omozigoti per questa variante<br />
o eterozigoti composti p.C282Y/p.H63D non<br />
mostra alcun segno o sintomo di sovraccarico<br />
di ferro 2,17,18 . Si è infine giunti alla conclusione<br />
che p.H63D sia una mutazione causativa a<br />
bassa penetranza 22 . Oltre alle due mutazioni<br />
HJV Emojuvelina AR 602390-608374<br />
HAMP Epcidina AR 602390-606464<br />
Emocromatosi tipo 3 TFR2 TFR2 AR 604250<br />
Emocromatosi tipo 4 SLC40A1 Ferroportina AD 606069<br />
HFE/HAMP HFE/Epcidina Digenica<br />
HFE/TFR2 HFE/TFR2 Digenica<br />
principali, sono state identificate ulteriori 20<br />
mutazioni puntiformi in HFE 2,17-18,21 . Tra queste,<br />
l’unica rilevata con discreta frequenza è la<br />
variante (p.S65D), implicata in una forma lieve<br />
di HH e presente nel 1,5% della popolazione<br />
Europea 23 . Tutte le altre varianti di HFE sono<br />
molte rare o sono state addirittura descritte<br />
solo in forma “privata” (unico nucleo familiare).<br />
È stata tuttavia recentemente rilevata, in più<br />
di una famiglia originaria dalla Sardegna, la<br />
presenza di una delezione di 32.744 paia di<br />
basi, comprendente l’intero gene HFE 24 . Questo<br />
riarrangiamento genomico ricorrente, verosimilmente<br />
generatosi per crossing-over ineguale<br />
ed indagabile solo in laboratori di genetica medica<br />
di II livello, potrebbe essere responsabile<br />
di una significativa parte di quei casi di EE nei<br />
quali la diagnosi clinica di EE non è stata ad<br />
oggi confermata dagli studi molecolari 24 .<br />
L’EE di tipo 1 è una malattia con frequenza<br />
variabile, nelle diverse popolazioni di origine<br />
caucasica, da 1 caso su 100 abitanti in Irlanda<br />
ad 1 su 400 in Francia 2,13,16-17 . In Italia, la<br />
prevalenza della malattia è soggetta ad ampie<br />
differenze tra gli individui originari dal nord,<br />
in cui la prevalenza è più alta (1 caso su 500<br />
abitanti), e quelli di provenienza centro-meridionale<br />
(probabilmente meno di un caso su<br />
2000). Inoltre, in Italia, ed in particolare nel<br />
centro sud e nelle isole, solo il 30-66% dei casi<br />
con EE è correlabile a mutazioni di HFE 15-16<br />
La penetranza (la probabilità che un genotipo<br />
si renda clinicamente evidente) della malattia<br />
nei soggetti con genotipo omozigote p.C282Y<br />
è oggi considerata come pari al 50% circa nel<br />
maschio e di grado inferiore nella donna 2,17-18,21 .<br />
L’EE classica mostra poi, un ampio spettro in<br />
termini di gravità, in quanto le manifestazioni
S. Majore et al: Genetica della emocromatosi ereditaria 219<br />
cliniche variano dalla semplice alterazione biochimica<br />
degli indici del ferro a quadri gravi con<br />
compromissione multiorgano. La variabilità<br />
fenotipica viene attribuita all’azione sinergica<br />
di geni modulatori e di fattori ambientali 2,17,21 .<br />
La storia naturale della patologia è caratterizzata<br />
dalla precoce comparsa di parametri<br />
biochimici indicativi di sovraccarico ematico<br />
di ferro (incremento dei valori dell’indice di<br />
saturazione della transferrina), seguita da un<br />
progressivo aumento dei valori della ferritina<br />
ematica (come indice indiretto di sovraccarico<br />
tissutale di ferro). In un’alta percentuale dei<br />
casi le alterazioni biochimiche evolvono nello<br />
sviluppo di segni e sintomi correlati a danno<br />
degli organi interessati. L’esordio clinico varia<br />
da individuo a individuo anche se mediamente<br />
la fase sintomatica ha inizio nella IV-V decade<br />
di vita nell’uomo e dopo la menopausa nella<br />
donna. I primi segni relativi a danno d’organo<br />
sono generalmente quelli epatici. La compromissione<br />
epatica si manifesta con sintomi<br />
aspecifici, lieve rialzo dei livelli serici degli<br />
indici di necrosi epatica ed aumento di volume<br />
del fegato. Il corrispettivo quadro istologico è<br />
quello di una fibrosi, che è, fino ad un certo<br />
grado, reversibile. In fase più avanzata, ed in<br />
stretta relazione con la quantità di ferro accumulato<br />
negli epatociti, è possibile l’evoluzione<br />
in cirrosi ed eventualmente in epatocarcinoma.<br />
Segni di disfunzione delle ghiandole endocrine<br />
(diabete mellito, ipogonadismo ipogonadotropico,<br />
ipotirodismo) e di danno cardiaco (aritmie<br />
o scompenso cardiaco), possono comparire più<br />
tardivamente e, in genere, solo quando i valori<br />
della ferritinemia hanno raggiunto la soglia<br />
di 1000 µg/L. Tali complicanze non mostrano<br />
specifiche peculiarità. Il coinvolgimento in un<br />
individuo di più di uno dei sopra menzionati<br />
organi dovrebbe però sempre suggerire l’ipotesi<br />
diagnostica di EE. L’iperpigmentazione<br />
cutanea, manifestazione anch’essa tardiva e<br />
correlata all’entità dei depositi cutanei è, al<br />
contrario, piuttosto patognomonica per sovraccarico<br />
di ferro 2,17-18 .<br />
Manifestazione di frequente riscontro nell’EE<br />
è anche una artropatia cronica che colpisce<br />
in particolare le articolazioni metacarpofalangee<br />
raffigurando un quadro radiologico<br />
piuttosto caratteristico 20 . La presentazione<br />
clinica più comune di tale complicanza è quella<br />
di un’artrite cronica spesso multiarticolare<br />
e dolente che provoca rigidità e tumefazione<br />
delle articolazioni interessate È ancora fonte<br />
di dibattito se questa complicanza sia funzione<br />
o meno del grado di accumulo marziale dell’organismo<br />
20 .<br />
Il trattamento dell’EE classica, come anche<br />
delle altre forme della malattia, prevede la<br />
rimozione del ferro in eccesso per mezzo di flebotomie<br />
periodiche. Lo stato di ferrodeplezione<br />
o di normalizzazione del contenuto di ferro<br />
dell’organismo viene in genere raggiunto con<br />
la iniziale rimozione settimanale di 350-400 ml<br />
di sangue intero e successivamente mantenuto<br />
con poche sedute salassoterapeutiche all’anno.<br />
Nei pazienti con EE la salassoterapia è<br />
solitamente ben tollerata senza che i pazienti<br />
sviluppino alcun grado di anemia. Nelle rare<br />
condizioni in cui sussiste una controindicazione<br />
assoluta alla salassoterapia sono invece<br />
indicati i chelanti del ferro 2,17 .<br />
Emocromatosi ereditaria di tipo 2<br />
(emocromatosi giovanile)<br />
L’EE tipo 2 (EE giovanile) comprende in<br />
realtà due forme di sovraccarico primitivo di<br />
ferro clinicamente simili ma geneticamente<br />
distinte 2,17,19 : l’EE di tipo 2A e l’ EE di tipo 2B.<br />
Il gene HJV, mappato nella regione 1q21 e<br />
costituito da 3 esoni codificanti, è responsabile<br />
del sottotipo di più frequente riscontro (EE di<br />
tipo 2A). L’ EE di tipo 2B, più rara, è causata<br />
da mutazioni in un gene di 3 esoni, denominato<br />
HAMP, localizzato in 19q13.1.<br />
Entrambi i geni codificano molecole con<br />
ruolo centrale nel metabolismo del ferro: l’ormone<br />
epcidina (HAMP), il principale regolatore<br />
dell’emostasi marziale ed emojuvelina<br />
(HJV), a sua volta regolatrice di epcidina.<br />
L’emocromatosi giovanile è caratterizzata<br />
da un quadro clinico molto più grave rispetto<br />
a quello dell’EE classica e da un’età di esordio<br />
precoce in entrambi i sessi. La maggioranza<br />
dei soggetti manifesta i primi segni clinici<br />
relativi a danno d’organo verso i 20 anni e, in<br />
alcuni casi, anche in età infantile.<br />
La sintomatologia clinica iniziale è generalmente<br />
a carico dell’asse ipofisi-gonadi (amenorrea<br />
secondaria nella donna, impotenza nell’uomo)<br />
e del cuore (cardiopatia dilatativa e scompenso<br />
cardiaco). La malattia può anche esordire<br />
con diabete mellito insulino-dipendente. In tutti<br />
i casi è anche interessato il fegato con frequente<br />
sviluppo di cirrosi epatica. L’iperpigmentazione<br />
cutanea è precocemente evidente e l’artropatia<br />
presente in quasi tutti i pazienti.
220 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Le due forme di EE di tipo 2 sono a trasmissione<br />
autosomica recessiva e comportano<br />
un massivo accumulo sistemico di ferro. Si manifestano<br />
in uguale proporzione ed alla stessa<br />
età nei maschi e nelle femmine.<br />
L’emocromatosi giovanile, seppur rara, viene<br />
più frequentemente riscontrata nei paesi<br />
del centro-sud Europa 2,17,19,21 .<br />
Emocromatosi ereditaria di tipo 3<br />
Questa forma di EE, ritenuta estremamente<br />
rara (22 casi ad oggi riportati in letteratura),<br />
è di prevalente appannaggio della popolazione<br />
italiana 20 . Nonostante lo scarso numero dei<br />
casi descritti non abbia reso possibile tracciarne<br />
con precisione la storia naturale, è ormai<br />
noto che il fenotipo associato all’EE di tipo 3<br />
mostra mediamente una gravità intermedia<br />
tra quello della EE classica e quello della EE<br />
giovanile. Le manifestazioni cliniche sono le<br />
stesse della forma classica ma l’età d’inizio dei<br />
segni di sovraccarico marziale tende ad essere<br />
più precoce ed il decorso della malattia più rapido.<br />
Allo stesso tempo, l’esordio clinico in età<br />
infantile è insolito e l’evoluzione dei sintomi è<br />
meno rapida rispetto all’ EE tipo 2 20-21,25 .<br />
L’EE tipo 3 è causata da mutazioni bialleliche<br />
del gene TFR2, clonato, mappato e sequenziato<br />
nel 1999 19 . Esso mappa sul cromosoma<br />
7q22 ed è costituito da 18 esoni. Il suo prodotto<br />
proteico è il recettore 2 della transferrina<br />
(TFR2). Si ritiene che questa molecola, espressa<br />
prevalentemente nel fegato, sia in grado di<br />
percepire i livelli serici di ferro e di indurre,<br />
quando complessata con la proteina HFE, la<br />
sintesi del polipeptide epcidina 7 .<br />
Emocromatosi ereditaria di tipo 4<br />
L’emocromatosi di tipo 4 è la forma più comune<br />
di EE non correlata al gene HFE e, per<br />
quanto ad oggi noto, la sola ad ereditarietà<br />
autosomica dominante 17,19,21 . È dovuta a mutazioni<br />
eterozigoti di SLC40A1, gene costituito<br />
da 8 esoni che mappa nella regione 2q32. SL-<br />
C40A1 codifica per la proteina ferroportina,<br />
l’unico esportatore cellulare di ferro presente<br />
nell’organismo 1 . Caratteristica aggiuntiva<br />
dell’EE di tipo 4 è che essa si manifesta, a<br />
seconda del tipo di mutazione che ne è alla base,<br />
con due fenotipi clinici alternativi tra loro<br />
alquanto dissimili (figura 2) 17,26-27 . Di fatto, un<br />
primo gruppo di pazienti con EE di tipo 4 (EE<br />
di tipo 4a) mostra, come prima manifestazione<br />
biochimica, un incremento dei livelli sierici<br />
della ferritina, ma, contrariamente a tutte<br />
le altre forme, valori normali o bassi della<br />
saturazione della transferrina. In questi casi,<br />
l’accumulo di ferro avviene principalmente<br />
nelle cellule del sistema reticoloendoteliale ed<br />
è quindi spesso presente una lieve splenomegalia.<br />
È inoltre facile, a differenza di quanto<br />
avviene nelle altre forme, lo sviluppo di anemia<br />
nel corso del programma flebotomico. Responsabili<br />
di questo quadro clinico sono mutazioni<br />
eterozigoti di SLC40A1 che causano diminuzione<br />
o perdita di funzione alla proteina ferroportina.<br />
Un secondo gruppo di pazienti con EE<br />
di tipo 4 (EE di tipo 4b) presenta, invece, un<br />
fenotipo clinico molto simile a quello dell’emocromatosi<br />
classica, e, al pari di quest’ultima,<br />
precoce aumento dei livelli di saturazione della<br />
transferrina ed accumulo di ferro prevalentemente<br />
nelle cellule parenchimali.<br />
In questi soggetti le mutazioni in SLC40A1<br />
determinano, invece, acquisizione di funzione<br />
al prodotto genico, conferendo a ferroportina<br />
resistenza alla degradazione (Figura 2).<br />
Fig. 2. Pathway regolativo di epcidina<br />
Rappresentazione parziale del complesso pathway che modula<br />
l’espressione del principale regolatore dell’omeostasi del ferro; il<br />
polipeptide epcidina, codificato dal gene HAMP. L’induzione dell’espressione<br />
di HAMP è mediata dalle proteine “bone morfogenetic”<br />
(BMPs) che si legano ai loro recettori (BMPR) sulla superficie<br />
cellulare degli epatociti causando la fosforilazione di SMAD1/5/8.<br />
HJV, nella sua forma non solubile, amplifica questo segnale.<br />
SMAD1/5/8 fosforilato forma un complesso con SMAD4 che trasloca<br />
nel nucleo dove lega il promotore di HAMP stimolando l’espressione<br />
di quest’ultimo. Il ruolo di HFE e TFR2 quali regolatori positivi<br />
di HAMP non è ancora ben chiaro ma è probabile che entrambi<br />
funzionino come sensori dei livelli della transferrina diferrica.<br />
TMPRSS6, gene responsabile di IRIDA, è un regolatore negativo<br />
di HAMP in quanto taglia il complesso BMP/BMPR/HJV.
S. Majore et al: Genetica della emocromatosi ereditaria 221<br />
Approccio al paziente con sospetta<br />
malattia da alterato metabolismo<br />
del ferro<br />
L’EE, benché codificata tra le malattie rare,<br />
è una delle patologie genetiche più frequenti ed<br />
una delle poche che si avvale di una terapia, la<br />
flebotomia periodica, capace di prevenire tutte<br />
le complicanze. Riconoscerne l’esistenza prima<br />
della comparsa di qualsiasi danno da accumulo<br />
di ferro è dunque un obiettivo doveroso. La<br />
diagnosi di EE viene formulata sulla base di<br />
criteri clinici ed, eventualmente, di valutazioni<br />
di natura genetica 2,17-19 . Il parametro biochimico<br />
che si rivela più precocemente alterato e<br />
che è più specifico per un iperassorbimento di<br />
ferro alimentare non è l’iperferritinemia (che<br />
non ha valore di specificità), ma piuttosto la<br />
percentuale di saturazione della transferrina<br />
che corrisponde al rapporto tra la sideremia e<br />
la capacità totale della transferrina di legare<br />
il ferro (TIBC). Un valore di saturazione della<br />
transferrina ripetutamente uguale o superiore<br />
al 45% è generalmente indicativo di un sovraccarico<br />
marziale a livello ematico e deve quindi<br />
far sospettare la EE. Al contrario, nella EE,<br />
l’aumento della ferritina è relativamente tardivo.<br />
La concentrazione sierica di tale proteina<br />
è di fatto direttamente correlata all’entità del<br />
sovraccarico globale di ferro dell’organismo<br />
e mostra, quindi, nei pazienti con EE, un<br />
incremento progressivo nel corso degli anni.<br />
Vengono considerati anomali valori >200 µg/L<br />
nella donna e >300 µg/L nell’uomo. Qualora<br />
secondario ad eccesso di ferro, un valore di<br />
ferritinemia ≥1000 µg/L suggerisce, invece, la<br />
presenza di danno epatico.<br />
D’altro canto, bisogna sempre tener conto<br />
che un’iperferritinemia può essere osservata<br />
in molte affezioni, alcune delle quali, come ad<br />
esempio la sindrome dismetabolica e l’epatopatia<br />
alcolica, di frequente riscontro. Pertanto,<br />
tale reperto, quando non associato ad aumento<br />
significativo della percentuale di saturazione<br />
della transferrina, richiede, in prima istanza,<br />
una diagnosi differenziale per altre patologie<br />
che possono associarsi ad iperferritinemia<br />
(Tabella 2). Va comunque considerato che la<br />
causa di iperferritinemia persistente è spesso<br />
benigna e che questa rimane sconosciuta in<br />
un’alta percentuale dei casi. È però possibile<br />
che il recente riscontro, in circa il 50% dei casi<br />
con iperferritinemia benigna familiare, di una<br />
mutazione ricorrente nella regione codificante<br />
Tabella 2. Cause di iperferritinemia<br />
(non associate a significativo sovraccarico<br />
di ferro)<br />
Sindrome iperferritinemia-cataratta ereditaria<br />
Iperferritinemia benigna<br />
EE di tipo 4A<br />
Sindrome dismetabolica<br />
Infezioni<br />
Infiammazioni acute e croniche<br />
Patologie autoimmuni<br />
Neoplasie<br />
Abuso alcoolico<br />
Epatopatie acute e croniche<br />
Sindrome emofagocitica<br />
del gene L-ferritina, consentirà la caratterizzazione<br />
molecolare di molti di quei pazienti<br />
con iperferritinemia “idiopatica” 28 .<br />
Il percorso diagnostico nei casi in cui gli<br />
indici biochimici suggeriscono piuttosto la<br />
presenza di sovraccarico marziale, prevede<br />
che il sospetto venga in ogni caso confermato<br />
da una biopsia epatica (d’obbligo nei casi con<br />
ferritinemia >1000 µg/L) o mediante una metodologia<br />
non invasiva (risonanza magnetica,<br />
SQUID o MID) in grado di definire l’entità del<br />
contenuto in ferro del parenchima epatico. In<br />
caso di esito positivo di un tale approfondimento<br />
vanno valutate, oltre all’EE, anche le<br />
altre cause di sovraccarico marziale (Tabella<br />
3). A causa delle possibili difficoltà diagnostiche<br />
e delle conseguenze multisistemiche di un<br />
sovraccarico cronico di ferro, l‘approccio clinico<br />
Tabella 3. Principali patologie associate a sovraccarico<br />
di ferro<br />
Sovraccarico primitivo<br />
EE di tipo 1(classica)<br />
EE giovanile<br />
di tipo 2A<br />
di tipo 2B<br />
EE di tipo 3<br />
EE di tipo 4b<br />
Aceruloplasminemia<br />
Ipotransferrinemia congenita<br />
Mutazioni del gene DMT1<br />
Sovraccarico secondario<br />
Anemie con eritropoiesi inefficace<br />
Anemie emolitiche<br />
Trasfusioni<br />
Somministrazione di ferro parenterale<br />
Epatopatie croniche<br />
Sindrome dismetabolica
222 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
del paziente che mostra una qualsivoglia alterazione<br />
degli indici biochimici del ferro, può<br />
comportare il coinvolgimento di più specialisti<br />
(ematologo, epatologo, oncologo, infettivologo,<br />
endocrinologo) 2,17,19 .<br />
La valutazione genetica si inserisce nell’ottica<br />
di una diagnosi differenziale con altre<br />
cause di sovraccarico marziale/iperferritinemia,<br />
nella gestione (prevalentemente a<br />
carattere preventivo) della famiglia e nella<br />
valutazione dell’opportunità di eseguire test<br />
genetici di conferma. Una delle peculiarità<br />
della genetica medica, infatti, è che essa pone<br />
la massima attenzione non solo al paziente<br />
inteso come singolo individuo, ma alla intera<br />
famiglia, muovendosi principalmente nell’ambito<br />
della prevenzione e, quando opportuno,<br />
della diagnosi prenatale. Nella medicina<br />
moderna, sempre più attenta alla diagnosi<br />
precoce come strumento principale per il<br />
miglioramento della qualità e delle attese di<br />
vita della popolazione e sempre più orientata<br />
alla razionalizzazione dei costi della spesa<br />
sanitaria, tale approccio è assolutamente<br />
imprescindibile da quello terapeutico della<br />
medicina classica.<br />
Nello specifico, la consulenza genetica può<br />
essere di ausilio per un corretto inquadramento<br />
diagnostico di quei casi che mostrano alterazioni<br />
persistenti degli indici del ferro e per<br />
individuare in fase presintomatica i familiari<br />
con genotipo a rischio di patologia.<br />
Le indagini molecolari per EE che possono<br />
essere oggi effettuate sono molteplici e soggette<br />
a progressivo ampliamento grazie alle<br />
nuove conoscenze che si rendono man mano<br />
evidenti. Il livello di approfondimento degli<br />
esami genetici è variabile e solo pochi laboratori<br />
di genetica medica sono in grado di eseguire<br />
studi di II livello.<br />
La mutazione p.C282Y del gene HFE è<br />
la causa più frequente di EE ed è rilevabile<br />
allo stato omozigote nella maggior parte dei<br />
pazienti del Nord Europa. Tale mutazione,<br />
originata nella popolazione celtica, mostra<br />
una distribuzione secondo un gradiente negativo<br />
nord-sud. In Italia, il genotipo p.C282Y/<br />
p.C282Y è presente in circa il 65% dei pazienti<br />
con diagnosi certa di EE ed, in particolare, solo<br />
nel 40% circa dei casi nell’Italia del centro-sud<br />
ed in percentuale ancor minore in quella insulare.<br />
p.H63D, variante a bassa penetranza<br />
e a frequenza polimorfica, mostra invece una<br />
distribuzione ubiquitaria. L’indagine moleco-<br />
lare di I livello per EE prevede generalmente<br />
la ricerca di queste due mutazioni e di p.S65C,<br />
un’ulteriore mutazione del gene HFE riscontrata<br />
in una percentuale significativa dei<br />
pazienti..<br />
L’eventualità di procedere in casi selezionati<br />
ad un secondo livello d’indagine necessita,<br />
tra l’altro, di una attenta valutazione del<br />
rapporto costo/beneficio e della probabilità<br />
di ottenere un esito positivo. A seconda delle<br />
caratteristiche del singolo paziente e della<br />
sua famiglia è possibile approfondire l’esame<br />
di HFE mediante lo studio di tutta la sua<br />
sequenza e/o la ricerca di delezione dell’intero<br />
gene. In altri casi, è invece indicato esaminare<br />
dapprima uno o più geni tra HJV, HAMP o<br />
SLC40A1 nell’intera sequenza codificante e<br />
nelle giunzioni esone-introne.<br />
La recente identificazione di una forma<br />
grave di EE nel topo associata al gene Bmp6 29<br />
e, nell’uomo, di una nuova molecola regolatrice<br />
di epcidina (TMPRSS6) 30 , rendono altamente<br />
verosimile che a breve sarà possibile studiare<br />
nuovi geni responsabili di sovraccarico primitivo<br />
di ferro. Infine, grazie ai recenti avanzamenti<br />
delle conoscenze sarà possibile avere a<br />
disposizione nuovi strumenti per la diagnosi<br />
e la terapia delle patologie da alterato metabolismo<br />
del ferro. Di fatto, il dosaggio della<br />
forma attiva dell’ epcidina sierica o urinaria si<br />
sta già rilevando un parametro discriminante<br />
nella diagnostica differenziale delle condizioni<br />
associate ad eccesso o a carenza di ferro. Si ipotizza<br />
allo stesso tempo che la stessa epcidina<br />
e/o altre molecole che con essa interagiscono<br />
potranno essere presto utilizzate per la cura di<br />
alcune tra queste condizioni patologiche 5 .<br />
Bibliografia<br />
1. Papanikolaou G, Pantopoulos K. Iron metabolism<br />
and toxicity. Toxicol Appl Pharmacol. 2005;<br />
202: 199-211<br />
2. Pietrangelo A. Hereditary Hemochromatosis<br />
— A New Look at an Old Disease. N Engl J Med<br />
2004; 350: 2383-97<br />
3. Shayeghi M, Latunde-Dada G O, Oakhill J S, et<br />
al. Identification of an intestinal heme transporter.<br />
Cell 2005; 122: 789-801<br />
4. Papanikolaou G, Tzilianos M, Christakis JI, et<br />
al. Hepcidin in iron overload disorders. Blood;<br />
2005; 105: 4103-5<br />
5. Lee PL, Beutler E. Regulation of hepcidin and<br />
iron-overload disease. Annu Rev Pathol. 2009;<br />
4: 489-515
S. Majore et al: Genetica della emocromatosi ereditaria 223<br />
6. Nemeth E, Tuttle MS, Powelson J, et al. Hepcidin<br />
regulates cellular iron efflux by binding<br />
to ferroportin and inducing its internalization.<br />
Science 2004; 306: 2090-3<br />
7. Darshan D, Anderson GJ. Interacting signals in<br />
the control of hepcidin expression. Biometals.<br />
2009; 22: 77-87<br />
8. Trousseau A (1865). Glycosurie, diabète sucré.<br />
Clinique médicale de l’Hôtel-Dieu de Paris 2:<br />
663-98<br />
9. von Recklinghausen FD (1890). “Hämochromatose”.<br />
Tageblatt der Naturforschenden Versammlung<br />
1889: 324.<br />
10. Sheldon JH. Hemochromatosis. Oxford. Oxford<br />
University Press, 1935.<br />
11. Saddi R, Feingold J. Idiopathic haemochromatosis:<br />
an autosomal recessive disease. Clin Genet.<br />
1974; 5: 234-41<br />
12. Simon M, Bourel M, Fauchet R, et al. Association<br />
of HLA-A3 and HLA B14 antigens with idiopathic<br />
haemochromatosis.Gut. 1976; 17: 332-4<br />
13. Feder JN, Gnirke A, Thomas W, et al. A novel<br />
MHC class 1-like gene is mutated in patients<br />
with hereditary haemochromatosis. Nat Genet<br />
1996; 13: 399-408<br />
14. Beutler E, Pointon JJ, Fischer, et al. Mutation<br />
analisis in hereditary hemochromatosis.Blood<br />
Cells Mol Dis 1996; 22: 187-94<br />
15. Lucotte G. Frequency analysis and allele map in<br />
favour of the celtic origin of the C282Y mutation<br />
in hemochromatosis. Blood Cells Mol Dis 2001;<br />
27: 549-56<br />
16. Hanson EH, Imperatore G, Burke W. HFE gene<br />
and hereditary hemochromatosis: a HuGE review.<br />
Am J Epidemiol 2001; 154: 193-206.<br />
17. Pietrangelo A. Hereditary hemochromatosis.<br />
Biochim Biophys Acta. 2006; 1763: 700-10<br />
18. Alexander J, Kowdley KV. HFE-associated hereditary<br />
hemochromatosis. Genet Med. 2009;<br />
11: 307-13<br />
19. Camaschella C, Roetto A. New insights into iron<br />
homeostasis through the study of non-HFE hereditary<br />
haemochromatosis. Best Prac Res Clin<br />
Haematol 2005; 18: 235-250<br />
20. Ricerca BM, Radio FC, De Marinis L, et al. Natural<br />
History of TFR2-Related Hereditary Hemochromatosis<br />
in a 47-year-old Italian Patient.<br />
Eur J Haematol. 2009 Jun 15. [Epub ahead of<br />
print]<br />
21. Le Gac G, Férec C. The molecular genetics of<br />
haemochromatosis. Eur J Hum Genet. 2005; 13:<br />
1172-85.<br />
22. Beutler E. Genetic irony beyond haemochromatosis:<br />
clinical effects of HLA-H mutations.<br />
Lancet. 1997; 349: 296-7<br />
23. Mura C, Raguenes O, Férec C. HFE mutations<br />
Analysis in 711 hemochromatosis probands:<br />
evidence for S65C implication in mild form of<br />
hemochromatosis. Blood 1999; 93: 2502-5<br />
24. Pelucchi S, Mariani R, Bertola F, Arosio C,<br />
Piperno A. Homozygous deletion of HFE: the<br />
Sardinian hemochromatosis? Blood. 2009; 113:<br />
3886<br />
25. Majore S, Milano F, Binni F, et al. Homozygous<br />
p.M172K mutation of the TFR2 gene in an Italian<br />
family with type 3 hereditary hemochromatosis<br />
and early onset iron overload. Haematologica<br />
2006; 91: 92-3<br />
26. Pietrangelo A. The ferroportin disease. Blood<br />
Cells Mol Dis 2004; 32: 131-8<br />
27. Létocart E, Le Gac G, Majore S, et al. A novel<br />
missense mutation in SLC40A1 results in resistance<br />
to hepcidin and confirms the existence<br />
of two ferroportin-associated iron overload<br />
diseases. Br J Haematol. 2009 Aug 25. [Epub<br />
ahead of print]<br />
28. Kannengiesser C, Jouanolle AM, Hetet G, et<br />
al. A new missense mutation in the L ferritin<br />
coding sequence associated with elevated levels<br />
of glycosylated ferritin in serum and absence of<br />
iron overload. Haematologica. 2009; 94: 335-9<br />
29. Meynard D, Kautz L, Darnaud V, Canonne-Hergaux<br />
F, Coppin H, Roth MP. Lack of the bone<br />
morphogenetic protein BMP6 induces massive<br />
iron overload. Nat Genet. 2009; 41: 478-81<br />
30. Finberg KE, Heeney MM, Campagna DR, et<br />
al. Mutations in TMPRSS6 cause iron-refractory<br />
iron deficiency anemia (IRIDA). Nat Genet.<br />
2008; 40: 569-71<br />
Corrispondenza e richiesta estratti:<br />
Dr.ssa Silvia Majore<br />
Az. <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>, Roma
Focus<br />
SARCOIDOSI<br />
SARCOIDOSIS: A FOREWORD<br />
CARMELO RAIMONDI<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009<br />
Ambulatorio della Sarcoidosi - U.O.C. di Broncopneumologia e Tisiologia,<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Sarcoidosi<br />
Key words: Sarcoidosis<br />
La sarcoidosi è, tutt’ora, una malattia di<br />
origine sconosciuta. La teoria oggi prevalente<br />
la vuole come il risultato dell’esposizione ad<br />
uno o più agenti ambientali (talco, pollini,<br />
insetticidi, ecc.) microbici (Propionibacterium<br />
acnes, Mycobatteri, ecc.), virali (Retrovirus,<br />
Cytomegalovirus, ecc.) che agendo su un organismo<br />
geneticamente predisposto (in causa<br />
sembra essere il complesso maggiore di istocompatibilità<br />
HLA) innescano il relativo processo<br />
patologico.<br />
La mortalità è stimata tra l’1 ed il 5% ed è<br />
dovuta quasi esclusivamente all’insufficenza<br />
respiratoria.<br />
In questo Focus abbiamo volutamente evitato<br />
di trattare l’etiologia della sarcoidosi<br />
in quanto è stato nostro intendimento porre<br />
l’accento sulla identificazione diagnostica e<br />
sul trattamento terapeutico di tale malattia:<br />
aspetti che, pensiamo, possano più immediatamente<br />
interessare gli specialisti nella loro<br />
pratica clinica quotidiana.<br />
Poiché si tratta di una patologia spesso<br />
multi sistemica che può interessare più organi<br />
e apparati risulta necessaria la cooperazione<br />
tra diversi specialisti.<br />
In quest’ottica Franco Quagliarini sviluppa<br />
gli aspetti radiologici evidenziando il ruolo<br />
della TC torace ad alta risoluzione (HRCT) e<br />
della scintigrafia polmonare con gallio, Francesco<br />
Arienzo tratta dei patterns di fisiopatologia<br />
respiratoria, Paolo Graziano descrive<br />
accuratamente i caratteri anatomo-patologici,<br />
Giovanni Galluccio e Gabriele Lucantoni (con<br />
Paolo Battistoni, Sandro Batzella, Vito Lucifora<br />
e Raffaele Dello Iacono) con sintetica<br />
ma esaustiva trattazione ci illustrano le varie<br />
tecniche broncoscopiche, Rita Gasbarra (con<br />
Angela Di Lorenzo e Monica Bronzini) ci mostrano<br />
in dettaglio l’importanza del Liquido<br />
di Lavaggio Broncoalveolare (BAL), Carmelo<br />
Raimondi (con Alfonso Maria Altieri, Marcello<br />
Ciccarelli, Salvatore D’Antonio e Mario Giuseppe<br />
Alma) ci descrivono l’esperienza di un<br />
ambulatorio dedicato alla sarcoidosi ponendo<br />
l’accento sulla diagnostica, la terapia e la modalità<br />
di follow-up, chiude il Focus la Prof.ssa<br />
Paola Rottoli dell’Università di Siena che,<br />
dopo un breve excursus sulla terapia tradizionale<br />
tratta (insieme con C. Olivieri ed E. Bargagli)<br />
delle nuove frontiere aperte dall’impiego<br />
dell’anti TNFα nel combattere la Sarcoidosi.<br />
Corrispondenza: Dott. C. Raimondi, Ambulatorio della Sarcoidosi, Az. <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>,<br />
Roma, UOC Broncopneumologia e Tisiologia, P.zza <strong>Forlanini</strong>, 1, Roma
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 225<br />
LA SARCOIDOSI: QUADRI RADIOLOGICI<br />
SARCOIDOSIS: RADIOLOGIC FEATURES<br />
FRANCO QUAGLIARINI<br />
U.O.C. Radiologia <strong>Forlanini</strong><br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Sarcodosi. Tomografia Computerizzata ad alta risoluzione<br />
Key words: Sarcoidosis. High Resolution Computed Tomography<br />
Riassunto – La sarcoidosi è una malattia multi sistemica che può coinvolgere più organi.<br />
L’interessamento polmonare è la forma più frequente ed è quella che coinvolge direttamente il radiologo.<br />
La stadiazione radiologica della sarcoidosi toracica è diffusamente accettata e costituisce un importante<br />
riferimento fra i vari specialisti che si interessano di questa malattia.<br />
Il radiologo attualmente può offrire un grosso contributo al clinico, grazie alle possibilità diagnostiche della<br />
TC ad alta risoluzione.<br />
La Tc ad alta risoluzione oltre a mostrare le alterazioni interstiziali (noduli, opacità lineari), evidenzia la loro<br />
distribuzione peribroncovascolare e lungo le limitanti pleuriche, particolarmente a livello delle scissure.<br />
La peculiarità dei quadri radiologici, permette di porre sia il sospetto di malattia che lo stadio.<br />
Abstract – The sarcoidosis is a multisystemical disease which can involve numerous organs.<br />
The pulmonary involvement is the most frequent form and is the one which concerns directly the radiologist.<br />
The radiological staging of thoracic sarcoidosis is accepted everywhere and constitutes an important reference<br />
for the numerous specialist who are interested in this illness.<br />
The radiologist currently can offer a big contribution to the clinical, thanks to the diagnostic possibilities<br />
that the use of the High Resolution CT offers.<br />
The High Resolution CT shows interstial alterations (nodules, linears opacitys), underlines their distribution<br />
peribronchial and perivascular along the limiting pleura, particularly at the level of scissures.<br />
The pecuriality of radiological pictures allows to suspect both the illness and the stage.<br />
La sarcoidosi è una malattia cronica, ad<br />
eziologia ignota, che si localizza in tutte le<br />
sedi dove è presente il sistema istiocitario; è<br />
caratterizzata dalla formazione negli organi<br />
colpiti di granulomi non caseosi (e per questo<br />
che viene anche definita granulomatosi sistemica)<br />
e determina sovvertimento della normale<br />
architettura. Si tratta di una malattia<br />
multi sistemica a patogenesi immunologica<br />
che colpisce pazienti giovani o di media età, interessando<br />
vari organi: prevalentemente polmoni,<br />
linfonodi mediastinici, cute, occhi e più<br />
raramente altri distretti corporei quali fegato,<br />
milza (Fig.1), cuore, reni, apparato oste-muscolare<br />
e sistema nervoso.<br />
Le varie manifestazioni della malattia assumono<br />
caratteri diversi in rapporto con l’età,<br />
il sesso, la razza e l’area geografica 1.<br />
Il radiologo, nell’esecuzione di un occasionale<br />
esame radiografico del torace, può<br />
sospettare la presenza di sarcoidosi e quindi<br />
richiedere l’esecuzione di una TC ad alta risoluzione<br />
(HRCT) 2,3 .<br />
Per l’accertamento diagnostico della sarcoidosi<br />
è necessaria una sintesi fra aspetti<br />
clinici, radiologici, istologici, biochimici ed<br />
immunologi.<br />
Nella sarcoidosi polmonare, che interessa<br />
circa il 90% dei pazienti, il medico radiologo,<br />
pur intervenendo in seconda istanza in base al<br />
sospetto clinico di malattia, può offrire tuttavia<br />
un contributo fondamentale per confermare<br />
la diagnosi, grazie alla presenza di alcuni<br />
segni semeiologi caratteristici della malattia<br />
evidenziabili solo con l’ HRCT 4,5 .<br />
L’HRCT è un esame che va eseguito secondo<br />
precisi parametri tecnici (Tab 1).
226 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Fig. 1 - Donna di 70 anni con sarcoidosi al III Stadio e con granulomi epatici e splenici<br />
Tabella 1<br />
Parametri Tecnici HRCT<br />
Collimazione mm 1-1,5<br />
KV 120<br />
Ma 200<br />
Tempo di scansione 1-2sec<br />
Matrice 512x512<br />
Algoritmo di ricostruzione frequenza spaziale alta<br />
(filtro per osso)<br />
Livello medio della finestra fra -500 e -700 UH<br />
Ampiezza finestra 1700<br />
Con le TC di ultima generazione TCms (Tomografi<br />
computerizzati multistrato) tali problematiche<br />
sono state in parte superate poiché<br />
lo stesso esame può essere ricostruito in post<br />
processing con differenti algoritmi in base alle<br />
esigenze diagnostiche del radiologo.<br />
Nelle TCms più moderne è possibile impostare<br />
automaticamente alcuni parametri<br />
tecnici in modo da limitare al massimo la dose<br />
di radiazioni ai pazienti.<br />
Convenzionalmente la stadiazione della<br />
sarcoidosi intratoracica prevede 5 quadri radiologici:<br />
– Stadio 0: Radiografia toracica negativa;<br />
– Stadio I: Linfoadenopatia ilare;<br />
– Stadio II: Linfoadenopatia ilare ed infiltrazione<br />
polmonare;<br />
– Stadio III: Infiltrazione polmonare senza<br />
linfoadenopatia ilare;<br />
– Stadio IV: Fibrosi polmonare.<br />
La classificazione radiologica è grossolana<br />
ma, per la sua semplicità ed immediatezza,<br />
viene di fatto riconosciuta e compresa in tutto<br />
il mondo.<br />
Lo stadio 0 comprende quei pazienti che<br />
non mostrano alterazioni al controllo radiologico<br />
del torace, pur presentando manifestazioni<br />
cliniche di sarcoidosi in altri organi<br />
(5%-10% dei casi).<br />
Lo Stadio I è quello che raggruppa in maggior<br />
numero di pazienti (50% dei casi): si tratta<br />
di pazienti che mostrano uno slargamento simmetrico<br />
del mediastino e un incremento volumetrico<br />
delle regioni ilari legati alla presenza di<br />
adenopatie; in questi casi va posta una diagnosi<br />
differenziale nei confronti dei linfomi Hodgkin<br />
e non Hodgkin (dirimente l’esame istologico),<br />
della TBC (spesso monolaterale ed associata ad<br />
alterazioni parenchimali caratteristiche) e delle<br />
linfoadenopatie infettive non specifiche (che in<br />
genere mostrano un quadro emato-chimico che<br />
indirizza verso la diagnosi corretta).<br />
La diagnosi differenziale nei confronti delle<br />
pneumoconiosi silicotiche può essere posta in<br />
base ad alcuni aspetti radiologici caratteristici<br />
(calcificazioni “a guscio d’uovo”) e sulla positività<br />
dell’esposizione lavorativa.<br />
Nello Stadio II l’associazione di tumefazioni<br />
linfonodali e di lesioni parenchimali impegna<br />
notevolmente il radiologo, ma la valutazione accurata<br />
dei segni semiologici presenti all’ HRCT 4,5<br />
pur nella loro molteplicità e variabilità, possono<br />
indirizzare correttamente la diagnosi (Tab.<br />
2), tenendo sempre conto dell’importanza dell’anamnesi<br />
(Fig. 2).<br />
Le aree di “air-trapping”, apprezzabili<br />
nell’ HRCT eseguita in fase espiratoria sono<br />
un segno abbastanza aspecifico poiché possono<br />
presentarsi anche in presenza di altre patologie<br />
che interessano le piccole vie aeree: esse<br />
sono conseguenti alla presenza di granulomi<br />
sarcoidei all’interno della mucosa del bronchiolo<br />
terminale, siano essi in fase attiva o in<br />
evoluzione fibrotica.<br />
La diagnosi differenziale va posta con la<br />
TBC miliare, la silicosi, la paracoccidiosi,<br />
l’alveolite allergica e con altre interstiziopatie<br />
fibrosanti immunologiche.<br />
Nello Stadio III le alterazioni parenchimali<br />
sono analoghe a quelle del II stadio senza la<br />
presenza di linfonodi in sede mediastinica<br />
(Fig.3).
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 227<br />
Tabella 2<br />
•Noduli a margini netti ed irregolari (Ø 1-5 mm)<br />
•Situati lungo l’interstizio peri-bronco-vascolare (sia<br />
centrale che periferico), a livello dei setti interlobulari,<br />
delle superfici pleuriche e lungo le scissure: distribuzione<br />
perilinfatica<br />
•Distribuzione simmetrica, prevalente nei campi polmonari<br />
medio-superiori<br />
•Aree di aumentata densità parenchimale con aspetto<br />
“a vetro smerigliato”<br />
•Coesistenza di noduli di dimensioni maggiori di 1-2<br />
cm<br />
•Distribuzione irregolare per la contemporanea presenza<br />
di aree di parenchima sano e di aree di consolidazione<br />
di forma e dimensioni irregolari<br />
•Presenza di aree di “air trapping” nelle scansioni<br />
assunte in fase espiratoria<br />
•Slargamento del mediastino per la presenza di tumefazioni<br />
linfonodali bilaterali<br />
Fig. 2A - Maschio 37a<br />
sarcoidosi II stadio<br />
Il IV Stadio è sicuramente lo stadio più difficile<br />
da diagnosticare poiché le alterazioni sono<br />
a prevalente carattere fibrosante aspecifico,<br />
caratterizzate dalla distorsione del parenchima<br />
polmonare (conseguente a lesioni parenchimali<br />
di tipo reticolare), da un ispessimento irregolare<br />
dei setti interlobari con dislocazione dei bronchi.<br />
L’eventuale presenza di polmone ad alveare è<br />
rara e sicuramente esprime una condizione di<br />
fibrosi irreversibile. In tale fase il polmone può<br />
andare incontro ad una riduzione di volume che<br />
interessa soprattutto i lobi superiori.<br />
In fase tardiva si possono creare delle<br />
masse conglobate a prevalente localizzazione<br />
parailare conseguenti alla confluenza di più<br />
addensamenti adiacenti, con associate alterazioni<br />
di tipo bronchiettasico e bronchioloectasico<br />
da trazione con bolle<br />
ed aree di enfisema paracicatriziale.<br />
La sarcoidosi, come del<br />
resto tutte le fibrosi polmonari,<br />
può causare un<br />
quadro di insufficienza<br />
respiratoria e una condizione<br />
di cuore polmonare<br />
cronico con ipertensione<br />
polmonare.<br />
Poiché il quadro della<br />
fibrosi polmonare è l’evoluzione<br />
finale di molte patologie<br />
polmonari (infettive,<br />
da esposizione professionale,<br />
neoplastiche, immunologiche),<br />
la diagnosi differenziale<br />
è possibile soltan-<br />
Fig. 2B - Maschio 53a micronoduli<br />
diffusi da metastasi da ADK polmonare<br />
Fig. 3 - RX 2p donna di anni 41 Sarcoidosi III stadio<br />
to quando si hanno tracce<br />
della patologia iniziale.<br />
I quadri radiologici della<br />
sarcoidosi possono essere<br />
estremamente complessi<br />
poiché si può andare<br />
incontro a riprese di malattia e<br />
quindi alla comparsa di nuove<br />
ondate di noduli (Fig.4) che<br />
possono localizzarsi sia su polmoni<br />
completamente guariti o<br />
sommarsi ad alterazioni fibrosanti<br />
precedenti.<br />
La medicina nucleare permette<br />
di ottenere altre informazioni<br />
valide ai fini della diagnosi<br />
e sullo stato di attività
228 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Fig. 4 - Giovane donna di 36 anni che dopo una prima<br />
fase di remissione completa presenta a distanza<br />
di 3 anni, una ripresa di malattia caratterizzata<br />
dalla comparsa di micronodulia diffusa<br />
della sarcoidosi. La metodica più utilizzata<br />
è la scintigrafia con Gallio marcato che<br />
può essere altamente diagnostica come<br />
ad esempio quando si rileva la caratteristica<br />
immagine del “Panda” a livello del<br />
cranio 6 , che permette di visualizzare le<br />
aree di attività interessanti le ghiandole<br />
lacrimali e le parotidi. Tale segno sebbene<br />
non specifico e molto sensibile soprattutto<br />
nel I e II stadio (Fig. 5).<br />
Recentemente l’introduzione della Pet-<br />
TC con (18)FDG ha stimolato molti studi<br />
nella sarcoidosi, sia per la diagnosi che<br />
nel follow-up dei pazienti in terapia 7 .<br />
Bibliografia<br />
Fig. 5 - Segno del Panda: Scintigrafia con Ga 67: a livello del cranio<br />
si evidenziano le aree di attività che interessano le ghiandole<br />
lacrimali e le ghiandole parotidee<br />
1. Agostini C, Semenzato G. La sarcoidosi.<br />
Giorn It Allergol Immunol Clin 2003;13:51-65<br />
2. Costabel U, Ohshimo S, Guzman J. Diagnosis<br />
of sarcoidosis. Curr Opin Pulm Med.<br />
2008 Sep; 14(5): 455-61<br />
3. Miller BH, Rosado-de-Christenson ML, Mc<br />
Adams HP, et al. Thoracic Sarcoidosis: Radiologic-Pathologic<br />
Correlation. RadioGraphics<br />
1995; 15 :42 l-43’<br />
4. Webb W R, Muller N L .Naidich DP et al.<br />
Of The Lung Philadelphia Lippincott Willlams<br />
& Wilkins 2001<br />
5. Maffessanti M, Dalpiaz G. Pneumopatie<br />
Infiltrative Diffuse: Clinica ,Anatomia Patologica,<br />
HRCT Milano Springer-Verlag 2004<br />
6. Karen A. Kurdziel, MD The Panda Sign<br />
Radiol 2000; 215: 884-5<br />
7. Prager E, Wehrschuetz M,<br />
Bisail B, Woltsche M et al. Comparison<br />
of 18F-FDG and 67Gacitrate<br />
in sarcoidosis imaging<br />
Nuklearmedizin. 2008; 47: 18-<br />
23
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 229<br />
ASPETTI ISTOPATOLOGICI DELLA SARCOIDOSI POLMONARE<br />
HISTOPATHOLOGIC FEATURES OF PULMONARY SARCOIDOSIS<br />
Parole chiave: Sarcodosi. Granulomatosi. Polmone<br />
Key words: Sarcoidosis. Granulomatosis. Lung<br />
La sarcoidosi è una malattia cronica granulomatosa<br />
multisistemica ad eziologia sconosciuta<br />
caratterizzata dalla formazione di<br />
granulomi epitelioidi. In un appropriato contesto<br />
clinico-radiologico, l’esame broncoscopico<br />
e l’acquisizione di multipli campioni bioptici<br />
consentono generalmente di raggiungere la<br />
diagnosi di sarcoidosi. La caratteristica morfologica<br />
maggiormente significativa della sarcoidosi<br />
è rappresentata dalla presenza di granulomi<br />
ben definiti, non necrotizzanti, tipicamente<br />
confluenti (Fig. 1). I granulomi sono costituiti<br />
da aggregati di istiociti epitelioidi, talora commisti<br />
a cellule giganti multinucleate e ad una<br />
minor quota di elementi infiammatori e linfociti.<br />
I granulomi possono andare incontro ad<br />
un processo evolutivo che comporta parziale<br />
o totale sostituzione dei granulomi stessi ad<br />
opera di tessuto fibroso ialino. Il pattern di<br />
distribuzione dei granulomi è una delle caratteristiche<br />
maggiormente utili per il riconoscimento<br />
della sarcoidosi e per la sua distinzione<br />
da altre forme di granulomatosi polmonare.<br />
I granulomi della sarcoidosi si distribuiscono<br />
lungo le vie linfatiche (Fig. 2) e di<br />
conseguenza coinvolgono i setti interstiziali<br />
disponendosi lungo le arterie, le vene e i bronchi,<br />
sino ad interessare la pleura. I granulomi<br />
possono anche interessare la parete delle<br />
strutture vascolari, coinvolgendone la tonaca<br />
media ed intima e configurando aspetti di<br />
PAOLO GRAZIANO<br />
U.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Riassunto - La sarcoidosi è una malattia cronica granulomatosa multisistemica ad eziologia sconosciuta.<br />
Gli aspetti istopatologici ed il caratteristico pattern di distribuzione perilinfatico dei granulomi, integrati<br />
ad un approfondito studio clinico-radiologico, permettono di differenziare la sarcoidosi dalle altre malattie<br />
granulomatose polmonari.<br />
Abstract - Sarcoidosis is a chronic multisystemic granulomatous disease of unknown etiology. The histopathologic<br />
features and the characteristic perilymphatic distribution of granulomas, joined to an accurate<br />
clinical and radiological analysis, allow to differentiate sarcoidosis from the other granulomatous diseases<br />
of the lung.<br />
vasculite granulomatosa in assenza di necrosi<br />
del vaso. È opportuno rammentare come una<br />
minima quota di necrosi fibrinoide sia osservabile<br />
in circa il 20-30% dei granulomi rinvenuti<br />
in corso di sarcoidosi e che, nel parenchima<br />
polmonare circostante i granulomi, non sia<br />
usualmente osservabile una significativa quota<br />
di infiltrato infiammatorio. La coesistenza<br />
di un’abbondante quota flogistica e di granulomi<br />
mal definiti, deve suggerire ipotesi<br />
diagnostiche alternative quali la polmonite da<br />
ipersensibilità, da aspirazione od un’eziologia<br />
infettiva. Le cellule giganti dei granulomi possono<br />
contenere inclusioni citoplasmatiche non<br />
specifiche, rappresentate da corpi asteroidi e<br />
corpi di Schaumann o cristalli di ossalato di<br />
calcio birifrangenti alla luce polarizzata. Il<br />
pattern di distribuzione e le caratteristiche<br />
morfologiche descritte, se integrate ad un<br />
approfondito quadro clinico-radiologico, sono<br />
usualmente caratteristiche e coerenti con la<br />
diagnosi di sarcoidosi, ma non sono di per sé<br />
diagnostiche. Le principali condizioni patologiche<br />
che devono essere poste in diagnosi differenziale<br />
con la sarcoidosi includono le forme<br />
infettive, la berilliosi, le pneumoconiosi e la<br />
polmonite da ipersensibilità. Ogni volta che si<br />
rileva la presenza di un processo granulomatoso<br />
polmonare, soprattutto necrotizzante, è<br />
mandatorio lo studio colturale microbiologico<br />
ed il patologo deve necessariamente eseguire
230 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Fig. 1 - Caratteristici granulomi epitelioidei<br />
gigantocellulari non necrotizzanti<br />
colorazioni istochimiche volte alla ricerca di<br />
eventuali forme microbiche che possano comprovarne<br />
l’eziologia infettiva.<br />
Gli aspetti istopatologici in corso di berilliosi<br />
sono del tutto sovrapponibili a quelli<br />
evidenziabili nella sarcoidosi. La diagnosi di<br />
berilliosi è pertanto essenzialmente di pertinenza<br />
clinica e si basa principalmente sull’accertamento<br />
di una storia di esposizione.<br />
Un’accurata anamnesi patologica può sempre<br />
facilitare il corretto inquadramento di un<br />
processo granulomatoso polmonare ed accertare<br />
un’eventuale eziologia da esposizione a<br />
polveri. La presenza di cristalli nelle cellule<br />
giganti e nei granulomi può suggerire anche la<br />
possibilità di una malattia da inalazione, che<br />
però, usualmente, non mostra la caratteristica<br />
distribuzione perilinfatica osservata nella sarcoidosi.<br />
Anche la polmonite da ipersensibilità<br />
(alveolite estrinseca allergica) può mostrare<br />
punti di somiglianza con la sarcoidosi.<br />
A differenza della sarcoidosi, nella polmonite<br />
da ipersensibilità i granulomi appaiono<br />
usualmente mal definiti e non ben circoscritti.<br />
Inoltre, nella sarcoidosi non si rileva quel<br />
prominente infiltrato infiammatorio bronchiolocentrico<br />
che coinvolge l’interstizio polmonare<br />
e si associa ad aspetti di bronchiolite obliterante<br />
e di polmonite in via di organizzazione<br />
(BOOP) presenti invece nell’alveolite allergica<br />
estrinseca.<br />
In conclusione, il patologo può sospettare,<br />
prospettare od avere elementi morfologici coerenti<br />
con la diagnosi di sarcoidosi.<br />
Fig. 2 - Caratteristica distribuzione perilinfatica<br />
e subpleurica dei granulomi<br />
Le sole caratteristiche morfologiche, seppur<br />
suggestive, non sono patognomoniche di per sé<br />
e necessitano dell’usuale integrazione con le<br />
informazioni cliniche, radiologiche e dei dati<br />
di laboratorio, in modo da escludere le altre<br />
forme di granulomatosi polmonare a differente<br />
eziologia ed a diverso trattamento terapeutico,<br />
che possono presentare aspetti sovrapponibili<br />
a quelli osservati in corso di sarcoidosi.<br />
Bibliografia essenziale<br />
Gilman MJ, Wang KP. Transbronchial lung biopsy<br />
in sarcoidosis. An approach to determine the<br />
optimal number of biopsies. Am Rev Respir Dis<br />
1980; 122: 721-4<br />
Hunninghake GW, Costabel U, Ando M, et al. ATS/<br />
ERS/WASOG statement on sarcoidosis. American<br />
Thoracic Society/European Respiratory Society/World<br />
Association of Sarcoidosis and other<br />
Granulomatous Disorders. Sarcoidosis Vasc Diffuse<br />
Lung Dis; 1999; 16: 149-73<br />
Hsu RM, Connors AF Jr, Tomashefski JF Jr. Histologic,<br />
microbiologic, and clinical correlates of<br />
the diagnosis of sarcoidosis by transbronchial<br />
biopsy. Arch Pathol Lab Med 1996; 120: 364-8<br />
Leslie KO, Gruden JF, Parish JM, Scholand MB.<br />
Transbronchial biopsy interpretation in the patient<br />
with diffuse parenchymal lung disease. Arch<br />
Pathol Lab Med. 2007; 131: 407-23. Review<br />
Sundaram B, Gross BH, Oh E, et al. Reader accuracy<br />
and confidence in diagnosing diffuse<br />
lung disease on high-resolution computed tomography<br />
of the lungs: impact of sampling frequency.<br />
Acta Radiol 2008; 49: 870-5
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 231<br />
LA SARCOIDOSI: RUOLO DELLA FISIOPATOLOGIA RESPIRATORIA<br />
SARCOIDOSIS: SIGNIFIANCE OF RESPIRATORY PHISIOPHATOLOGY<br />
La Fisiopatologia respiratoria(FR) ha un<br />
ruolo limitato nella definizione diagnostica<br />
della Sarcoidosi ma diventa determinante per<br />
la valutazione del grado di impegno funzionale<br />
e quindi del decorso della malattia e della efficacia<br />
del trattamento terapeutico.<br />
È bene, dunque, affiancare sin dall’inizio<br />
lo studio funzionale a quello clinico così da<br />
avere poi (la Sarcoidosi necessita spesso di<br />
trattamenti assai lunghi) un sicuro punto di<br />
riferimento.Ci si può avvalere del contributo<br />
della FR nelle diverse fasi della respirazione:<br />
ventilatoria, della diffusione alveolo-capillare,<br />
circolatoria,della respirazione tissutale. La fase<br />
ventilatoria viene studiata essenzialmente con<br />
la Spirometria e la Pletismografia corporea;<br />
la fase della diffusione col il test della DLCO;<br />
la fase circolatoria con la Emogasanalisi e la<br />
Saturimetria dinamica. La fase della respirazione<br />
tissutale si può indagare indirettamente<br />
con il test da sforzo cardiorespiratorio completo<br />
della parte metabolica. Come è noto la<br />
Sarcoidosi viene distinta in quattro stadi anatomo-clinico-radiologici:<br />
lo stadio zero,quello<br />
dell’adenopatia ilomediastinica isolata, quello<br />
parenchimale e quello della fibrosi.Questa<br />
suddivisione non deve intendersi come assoluta<br />
perché in diversi casi può essere presente<br />
l’interessamento parenchimale senza che sia<br />
documentabile quello linfonodale. Lo stesso interessamento<br />
parenchimale può non essere visibile<br />
radiologicamente ma rivelato dall’esame<br />
istologico o dalla captazione scintigrafica .La<br />
fase della fibrosi può essere caratterizzata da<br />
diverso impegno funzionale anche con quadri<br />
radiologici simili.È proprio questa complessità<br />
anatomoclinica che può essere meglio definita<br />
dallo studio funzionale.<br />
FRANCESCO ARIENZO<br />
U.O. di Fisiopatologia Respiratoria<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Spirometria. Capacità di diffusione polmonare dell’ossido di carbonio (DLCO), Sarcoidosi<br />
Key words: Spirometry. Diffusing Lung Capacity Carbon Oxide (DLCO). Sarcoidosis<br />
Nello stadio zero lo studio funzionale deve<br />
escludere in assenza di anomalie radiologiche<br />
del torace un eventuale interessamento funzionale.<br />
Nella fase dell’adenopatia le prove di<br />
funzionalità respiratoria sono normali e solo<br />
raramente vi è un interessamento spirometrico<br />
che mostra un lieve deficit restrittivo quando<br />
l’impegno mediastinico è considerevole. La<br />
spirometria correlata con lo studio del volume<br />
residuo e dei parametri da questo derivabili è<br />
determinante negli stadi III e IV della malattia.<br />
Il danno funzionale principale caratteristico<br />
della Sarcoidosi florida è l’ Insufficienza<br />
Ventilatoria Restrittiva.Il deficit restrittivo<br />
è in rapporto all’interessamento interstiziale<br />
ed allo sviluppo della fibrosi come in tutte le<br />
malattie fibrosanti.<br />
Lo stadio IV, caratterizzato da fibrosi irreversibile,<br />
può portare allo sviluppo di enfisema<br />
bolloso. Negli stadi piu’ conclamati si potra’ allora<br />
registrare una Insufficienza Ventilatoria<br />
Mista con componente ostruttiva non reversibile<br />
con broncodilatatore. Sempre nella Sarcoidosi<br />
florida l’altro parametro caratteristico rilevabile<br />
nella fase della diffusione dei gas è la<br />
diminuzione della DLCO. Molti autori hanno<br />
però dimostrato che la diminuzione della diffusione<br />
del monossido di carbonio può essere<br />
presente in alcuni casi anche nelle fasi iniziali<br />
della malattia quando l’interessamento parenchimale<br />
interstiziale non è visibile all’esame<br />
RX torace e poco visibile anche all’HRTC.<br />
È bene ricordare l’importanza della membrana<br />
alveolo-capillare come unita’ morfofunzionale<br />
costituita da living alveolare,membrana<br />
alveolare,liquido interstiziale,endotelio capillare,<br />
plasma, membrana eritrocitaria. Quando<br />
la membrana alveolo-capillare si ispessisce
232 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
subito lo scambio di O2 si riduce mentre quello<br />
della CO2 rimane inizialmente inalterato poiche’<br />
questo gas nei liquidi biologici è 24 volte<br />
più solubile e 20 volte piu’ diffusibile dell’ossigeno.<br />
È con l’Emogasanalisi che possiamo indagare<br />
sul trasporto dei gas nel sangue.L’emogasanalisi<br />
si presenta inizialmente normale<br />
ma può mostrare anche una alcalosi respiratoria<br />
con una p O2 normale. Questo quadro è<br />
indotto dalla iperventilazioone che può caratterizzare<br />
clinicamente le primissime fasi della<br />
malattia e può arrivare sino ad uno scompenso<br />
con un valore del ph superiore ai 7,45: alcalosi<br />
respiratoria scompensata. Nelle fasi successive<br />
si potrà avere prima una ipossiemia normocapnica<br />
e solo successivamente, per quanto<br />
abbiamo gia’ detto,negli stadi avanzati della<br />
fibrosi polmonare, una ipossiemia con ipercapnia:<br />
acidosi respiratoria compensata o scompensata.<br />
Gli studi di molti autori sono stati<br />
indirizzati, naturalmente, all’inquadramento<br />
funzionale nelle primissime fasi della Sarcoidosi.<br />
Accanto ai lavori già citati sulla possibile<br />
diminuzione della DLCO molti autori hanno<br />
dimostrato, sia pure in un numero ridotto di<br />
casi, un “esordio” della malattia con un Deficit<br />
Ventilatorio Ostruttivo. Ma ancora oggi non<br />
vi è una spiegazione chiara ed univoca di questa<br />
situazioni come per altro del riscontro,sia<br />
pur raro,di un aumento dell’Iperreattività<br />
Bronchiale. Il test da sforzo cardiorespiratorio<br />
può permettere di individuare precocemente<br />
deficit che qualche volta non correlano con il<br />
quadro clinico. È importante ricordare, a tal<br />
proposito, che la Sarcoidosi è una malattia<br />
sistemica che può anche interessare il cuore e<br />
gli stessi muscoli respiratori.<br />
Per la loro semplicità di esecuzione sono<br />
assai utili il test del cammino (6mWT) e la<br />
saturimetria delle 24 ore che possono mostrare<br />
desaturazioni poco o non sospettate.<br />
Sinteticamente i risultati caratteristici<br />
dello studio funzionale nella Sarcoidosi sono<br />
i seguenti:<br />
– Danno restrittivo con riduzione della capacità<br />
vitale (CV) e della capacità polmonare<br />
totale (CPT).<br />
– Flusso d’aria normale.<br />
– Ridotta capacità di diffusione del monossido<br />
del carbonio (DLCO).<br />
– Ipossiemia arteriosa che peggiora con lo<br />
sforzo fisico e nelle fasi più avanzate ipossiemia<br />
ed ipercapnia.<br />
Studi recenti mostrano correlazioni solo limitate<br />
tra lo studio funzionale e quello clinico<br />
condotto anche con biopsie.<br />
Concludendo tutto lo studio funzionale,<br />
iniziale e ripetuto nel tempo, permette un monitoraggio<br />
della patologia che è indispensabile<br />
affiancare allo studio clinico e biologico.<br />
Bibliografia essenziale<br />
Cardaci G: Fisiopatologia Cardiorespiratoria.Biomedicainternazionale,<br />
Roma 1995<br />
Hamid Q, Shannon J, Martin J: Le basi fisiologiche<br />
delle patologie respiratorie, ed. it. Momento Medico,<br />
Salerno 2007<br />
SARCOIDOSI POLMONARE: LA DIAGNOSTICA BRONCOSCOPICA<br />
PULMONARY SARCOIDOSIS: THE BRONCHOSCOPIC DIAGNOSIS<br />
GIOVANNI GALLUCCIO, GABRIELE LUCANTONI, PAOLO BATTISTONI,<br />
SANDRO BATZELLA, VITO LUCIFORA, RAFFAELE DELLO IACONO<br />
U.O.C. Endoscopia Toracica, <strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Lavaggio Broncoalveolare. Biopsia Transbronchiale. Agoaspirato Transbronchiale. Agobiopsia<br />
Transbronchiale<br />
Key words: Bronchoalveolar Lavage. Transbronchial Biopsy. Transbronchial Needle Aspiration. Transbronchial<br />
Needle Biopsy<br />
Riassunto - Con lo sviluppo e le evoluzione tecnologiche delle strumentazioni endoscopiche sia rigide che<br />
flessibili la broncoscopia ha assunto una diffusione vastissima, tanto da rappresentare oggi l’esame principe<br />
nella diagnostica di una vasta gamma di patologie del torace.
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 233<br />
La patologia immunologia dell’interstizio polmonare si avvale in modo determinate, a fini diagnostici e studiativi,<br />
di numerose metodiche endoscopiche come il lavaggio bronco-alveolare, la biopsia transbronchiale,<br />
l’agoaspirato transbronchiale e l’agobiopsia transbronchiale.<br />
Abstract - The development and technological evolution of both rigid and flexible endoscopic instruments<br />
has widened so much that, at present time, the bronchoscopy is considered one of the most important exam<br />
in the diagnosis of thoracic diseases.<br />
For the diagnosis and study of the immunologic interstitial lung diseases there are many endoscopic techniques<br />
such as the broncoalveolar lavage, the transbronchial biopsy, the transbronchial needle aspiration and<br />
the transbronchial needle biopsy.<br />
Definizione<br />
La sarcoidosi è una malattia infiammatoria<br />
cronica, ad eziologia sconosciuta, che può colpire<br />
qualsiasi organo con predilezione per il distretto<br />
toracico. È una patologia caratterizzata<br />
dalla presenza di granulomi non caseificanti,<br />
da una aumentata risposta dei linfociti helper<br />
tipo1 (Th1) e dei fagociti mononucleati in sede<br />
di malattia e da un incremento nella produzione<br />
di numerose citochine e chemochine infiammatorie.<br />
A livello polmonare è presente una<br />
reazione immunitaria linfocitaria che interessa<br />
gli spazi aerei e l’interstizio polmonare, denominata<br />
alveolite; questa è caratterizzata da<br />
essudazione alveolare, dall’espansione delle<br />
cellule infiammatorie,sia a livello degli spazi<br />
alveolari che dell’interstizio,dei linfociti T e dei<br />
macrofagi alveolari evidenziabili nel liquido di<br />
lavaggio alveolare (BAL).<br />
Tecniche Diagnostiche<br />
L’approccio diagnostico per i pazienti affetti<br />
da sarcoidosi comprende metodiche come<br />
il lavaggio broncoalveolare (BAL), la biopsia<br />
transbronchiale (TBB), l’agoaspirato transbronchiale<br />
(TBNA), la biopsia transcarenale<br />
con ago rigido (TBNB) ed eventuali tecniche<br />
chirurgiche più invasive mediante VATS, mediastionoscopia<br />
e toracotomia.<br />
LAVAGGIO BRONCOALVEOLARE (BAL)<br />
Il lavaggio broncoalveolare (BAL) consiste<br />
nella instillazione di soluzione fisiologica in<br />
piccole quote ripetute nelle vie aeree distali<br />
e nel recupero dell’aspirato per l’analisi delle<br />
componenti cellulari e non cellulari.<br />
Si tratta di una tecnica che differisce concettualmente<br />
dal semplice aspirato bronchiale<br />
in quanto la instillazione ed il recupero di<br />
materiale riguardano il tratto bronchiolo-al-<br />
veolare le cui cellule e i vari componenti non<br />
cellulari sono rappresentativi del sistema infiammatorio<br />
ed immunitario di tutto il tratto<br />
respiratorio inferiore.<br />
Tecnica<br />
Il BAL va eseguito dopo una esplorazione<br />
routinaria di tutto l’albero bronchiale, prima<br />
di manovre quali biopsie o brushing che potrebbero<br />
contaminare con sangue il materiale<br />
recuperato. Usualmente si preferiscono il<br />
bronco lobare medio o la lingula per l’effettuazione<br />
dell’esame al fine di sfruttare per quanto<br />
possibile l’effetto della gravità per migliorare<br />
il recupero in relazione alla posizione anatomica<br />
dei suddetti lobi. La punta del broncoscopio<br />
viene fatta avanzare fino a farla incuneare in<br />
un bronco subsegmentario, ciò produce una<br />
aderenza tra la parete bronchiale e lo strumento<br />
e limita il reflusso di liquido (e quindi la<br />
perdita di materiale) durante la aspirazione.<br />
Successivamente si instilla un totale di almeno<br />
100ml di soluzione fisiologica pre-riscaldata<br />
a 37° (il riscaldamento riduce la tosse e il<br />
broncospasmo). La instillazione si effettua in<br />
boli ripetuti di 20-50ml. Dopo ogni bolo e una<br />
attesa di circa 30 secondi si aspira il liquido.<br />
Normalmente il recupero è intorno al 40-60%<br />
con variazioni legate soprattutto alla tendenza<br />
al collasso bronchiale in pazienti affetti da<br />
BPCO. Una eccessiva pressione di aspirazione<br />
può comunque causare un collasso bronchiale<br />
e ridurne il recupero. Durante la manovra di<br />
aspirazione è importante mantenere il canale<br />
operativo del fibroscopio al centro del bronco<br />
e quindi non preoccuparsi di vedere completamente<br />
il lume stesso in quanto in questo caso<br />
il canale operativo potrebbe aderire alla parete,<br />
più che vedere è importante posizionarsi<br />
in base al liquido che si riesce ad aspirare. La<br />
quantità totale di liquido di lavaggio dovrebbe
234 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
essere tra i 100 e 150 ml, volumi maggiori non<br />
modificano le concentrazioni di cellule recuperate<br />
e sono associate a maggiore morbilità.<br />
Quale che sia il volume dei boli di lavaggio<br />
in genere la prima aliquota viene utilizzata<br />
per esami di tipo batteriologico e citodiagnostico<br />
ma non per la valutazione della concentrazione<br />
di cellule o per le sottopopolazioni<br />
linfocitarie in quanto il recupero della prima<br />
aliquota rappresenta un lavaggio di cellule e<br />
materiale non cellulare proveniente da bronchi<br />
distali e non da bronchioli o alveoli.<br />
Effetti collaterali<br />
In pratica corrispondono a quelli della fibrobroncoscopia<br />
eseguita in anestesia locale.<br />
I più frequenti effetti collaterali comprendono<br />
infiltrazione alveolare, broncospasmo, febbre,<br />
ipossia lieve.<br />
Complicanze gravi si possono verificare<br />
nello scompenso cardiaco grave (edema polmonare)<br />
o nei pz con insufficienza respiratoria<br />
grave (peggioramento della ipossiemia). Il sanguinamento<br />
è assolutamente infrequente anche<br />
in caso di coagulopatia o trombocitopenia.<br />
Fattori di rischio<br />
Estesi addensamenti polmonari, ipossiemia<br />
(PaO2
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 235<br />
pinza e la si spinge perifericamente sino alla<br />
zona subpleurica; a questo punto si ritira<br />
lievemente la pinza e la si chiude per eseguire<br />
il prelievo di parenchima polmonare.<br />
Agoaspirato transbronchiale (TBNA)<br />
L’impiego di aghi flessibili (Fig. 3) attraverso<br />
il canale operativo del broncoscopio flessibile<br />
consente di prelevare materiale citologico o<br />
anche istologico (a seconda del tipo di ago) da<br />
quasi tutte le stazioni linfoghiandolari peribronchiali.<br />
In caso di masse linfonodali (linfoadenopatie<br />
infiammatorie o neoplastiche) in sede<br />
paratracheale destra e sinistra, precarenale, in<br />
finestra aorto-polmonare, sottocarenale, oppure<br />
localizzate sotto gli speroni di divisione<br />
dei grossi bronchi, il prelievo transbronchiale<br />
è possibile, grazie al rapporto di contiguità<br />
con l’albero bronchiale. Le uniche stazioni non<br />
raggiungibili sono le mediastiniche anteriori e<br />
posteriori e le sotto-sottocarenali. I rapporti fissi<br />
fra le singole stazioni linfonodali e trachea e<br />
bronchi hanno consentito di stabilire una vera e<br />
propria mappa dei punti da pungere per l’agoaspirato.<br />
In questo<br />
modo è possibile<br />
non solo caratterizzare<br />
eventuali<br />
linfoadenopatie,<br />
ma anche ottenere<br />
una stadiazione<br />
preoperatoria<br />
in caso di neoplasie<br />
polmonari. È<br />
comunque sempre<br />
opportuna una<br />
accurata localizzazionetopografica<br />
effettuata con<br />
esame TAC con<br />
contrasto, anche<br />
al fine di escludere<br />
la presenza di<br />
una vascolarizzazione<br />
anomala o<br />
di laghi sanguigni<br />
nel contesto del<br />
tessuto. La penetrazione<br />
dell’ago è<br />
limitata a 1,5 cm<br />
e l’esame TAC de-<br />
Fig. 3<br />
ve informare della<br />
disponibilità di questo spazio di sicurezza nel<br />
contesto della massa. La metodica è sicura e<br />
le complicanze (sanguinamento, pnx, pneumomediastino)<br />
molto rare, vanno evitate stazioni<br />
troppo vicine a grossi vasi.<br />
Agobiopsia transbronchiale (TBNB)<br />
Dopo l’introduzione di un tracheoscopio rigido<br />
in anestesia generale si usa un ago rigido,<br />
retto, a ghigliottina (Flexitemno). Si tratta di<br />
uno strumento caratterizzato da una camicia<br />
metallica, ed un ago rigido al suo interno (16-19<br />
G). Quest’ultimo, dietro la punta, ha una scanalatura<br />
di circa 1 cm per la raccolta del frustolo<br />
di tessuto è collegato ad un dispositivo a molla<br />
tramite un bottone<br />
che permette di<br />
caricare e far scattare<br />
la camicia sopra<br />
di esso a mo’<br />
di saracinesca di<br />
ghigliottina (Fig.<br />
4). L’ago viene introdotto<br />
nel canale<br />
del broncoscopio<br />
rigido e la punta<br />
inserita nel sito del<br />
prelievo (Fig. 5).<br />
Fig. 4<br />
Fig. 5<br />
Dopo aver penetrato<br />
interamente la<br />
parete tracheale o<br />
bronchiale, si ottiene<br />
la resezione di<br />
una carota di tessuto<br />
mediante lo<br />
scatto della saracinesca<br />
della ghigliottina.<br />
Il frustolo<br />
viene fissato in formaldeide<br />
e quindi<br />
incluso per l’esame<br />
istologico (Fig. 6). Sono raggiungibili con questa<br />
metodica le stazioni linfonodali sottocarenali<br />
(N7 sec. Naruke), paratracheali destre, ilari.<br />
Il materiale ricavato<br />
è abbondante e<br />
consente una precisazione<br />
istologica<br />
anche in patologie<br />
ematologiche o immunologichecom-<br />
Fig. 6<br />
plesse.
236 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 1 - Controindicazioni dell’agobiopsia<br />
transcarenale<br />
Assolute Relative<br />
Diatesi emorragica Ipertensione polmonare<br />
Trombocitopenia<br />
Uremia<br />
Ostruzione vena cava superiore<br />
Controindicazioni e complicanze<br />
Le controindicazioni assolute (Tabella 1)<br />
comprendono la diatesi emorragica, per trombocitopenia<br />
e uremia, mentre tra quelle relative<br />
sono da annoverare l’ipertensione polmonare e<br />
l’ostruzione della vena cava superiore la quale,<br />
causando un circolo collaterale attraverso<br />
l’emiazygos, ne determina un aumento dimensionale<br />
che, in caso di puntura accidentale dell’ago<br />
in questa sede, può provocare un’emorragia<br />
paratracheale ed ematomi. Fatta eccezione<br />
per questo caso, la regione carenale è priva<br />
di strutture vascolari importanti, e quindi il<br />
rischio di emorragia è minimo.Le complicanze<br />
(Tabella 2) sono rare e sono rappresentate da<br />
piccola emorragia alla rimozione dell’ago dalla<br />
parete tracheo-bronchiale, saltuaria comparsa<br />
di febbricola con emocoltura negativa, ed infine<br />
qualche rarissimo caso di pneumotorace o<br />
pneumomediastino.<br />
Processi della più svariata natura possono<br />
colpire i linfonodi mediastinici: infettivi, granulomatosi,<br />
linfoproliferativi, neoplastici. La<br />
metodica endoscopica più efficace prevede il<br />
posizionamento preliminare di un broncoscopio<br />
rigido avente un calibro sufficientemente<br />
ampio. In tal modo sarà possibile introdurre<br />
nel lume dello strumento aghi rigidi taglienti,<br />
con o senza parte terminale a ghigliottina, di<br />
grosso calibro (inferiore ai 20 G), che consentono<br />
il prelievo di carote di tessuto adeguate alla<br />
lavorazione istologica. L’importanza di poter<br />
effettuare un prelievo sufficientemente grande<br />
sono intuitive secondo il giusto principio che<br />
maggiore è la quantità di tessuto patologico<br />
asportata migliori sono le probabilità per il pa-<br />
Tabella 2 - Complicanze dell’agobiopsia transcarenale<br />
Poco frequenti Rare<br />
Emorragia paratracheale Pneumotorace<br />
Febbricola Pneumomediastino<br />
Fig. 7<br />
tologo di fare una corretta diagnosi istologica.<br />
È evidente inoltre che l’utilizzo del broncoscopio<br />
rigido consente anche un adeguato controllo<br />
dell’emostasi in caso di sanguinamento<br />
nel punto del prelievo ( e questa rappresenta<br />
l’unica vera complicanza di tale esame diagnostico).<br />
Il limite tecnico della procedura è legato<br />
alle dimensioni della massa sottocarenale in<br />
rapporto alla lunghezza della parte penetrante<br />
dell’ago; è buona norma pertanto una valutazione<br />
preliminare caso per caso delle masse<br />
sottocarenali mediante TAC del torace (Fig. 7)<br />
onde esser certi di avere tessuto bioptizzabile<br />
sufficiente attorno alla all’ago stesso e non<br />
rischiare di penetrare in mediastino.<br />
Quanto detto non esclude tuttavia la possibilità<br />
di un approccio diagnostico endoscopico<br />
diverso nella diagnostica delle masse sottocarenali<br />
e non solo. Più semplicemente l’esame<br />
può essere eseguito con broncoscopio flessibile<br />
ed utilizzare aghi flessibili che generalmente<br />
hanno un calibro inferiore a quelli utilizzati<br />
in broncoscopia rigida. In tal caso il patologo<br />
è in grado di analizzare uno striscio citologico<br />
che, inevitabilmente, per quanto detto sopra,<br />
ha una minore sensibilità diagnostica.<br />
Bibliografia<br />
1. American Thoracic Society. Statement on Sarcoidosis.<br />
Am J Respir Crit Care Med 1999; 160:<br />
736-755<br />
2. Prakash UBS. Broncoscopia. Mayo Foundation<br />
Ed. 1994. Raven Press<br />
3. European Respiratory Monograph 2001. Endoscopia<br />
Polmonare e tecniche bioptiche. Vol. 5<br />
Monografia 3 Dicembre 2001. EdiAIPO Scientifica
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 237<br />
IL BAL NELLO STUDIO DELLA SARCOIDOSI<br />
BAL IN SARCOIDOSIS<br />
RITA GASBARRA, ANGELA DI LORENZO, MONICA BRONZINI<br />
U.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica, <strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> - <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: BAL. Citofluorimetria. Rapporto CD4/CD8. Sarcoidosi<br />
Key words: BAL. Flow cytometry. CD4/CD8 ratio. Sarcoidosis<br />
Riassunto - La metodologia di studio del BAL, semplice nell’esecuzione e tollerabile per il paziente, fornisce<br />
informazioni per la diagnosi differenziale delle alveoliti. Nel nostro laboratorio viene eseguita sia l’immunofenotipizzazione<br />
della popolazione linfocitaria del pellet, sia l’analisi citologica e il citogramma. Un rapporto<br />
CD4/CD8 uguale o superiore a 4 ha una sensibilità superiore al 50% ed una specificità del 94-96% per la<br />
diagnosi di sarcoidosi, e comunque, per valori inferiori, un aumento della quota linfocitaria e un relativo<br />
aumento della quota di CD4, può rivelarsi utile al supporto della diagnosi clinica. Di particolare interesse<br />
risulta inoltre l’apporto del BAL nel follow-up delle sarcoidosi.<br />
Abstract - The bronchoalveolar lavage (BAL) analysis, a procedure of easy performance and good tolerance<br />
for the patient, gives useful information in the differential diagnosis of alveolitis. In our laboratory, lymphocyte<br />
immunophenotyping on the pellet obtained by BAL centrifugation, cytological examination and<br />
cytogram are routinely performed. In sarcoidosis a CD4/CD8 ratio of 4 or more has respectively a sensitivity<br />
over 50% and a specificity of 94-96%. Anyway, lower values together with increased number of lymphocytes<br />
and CD4 amounts might be helpful in supporting clinical diagnosis of sarcoidosis. In follow-up of patients<br />
affected by sarcoidosis, BAL study seems to be of great interest.<br />
La metodologia di studio del BAL, proposta<br />
nel 1974 da Reynords e Newball, è stata paragonata<br />
ad una “finestra sul polmone”. Essa<br />
infatti consente di studiare la componente cellulare<br />
dell’alveolite e di monitorare i fenomeni<br />
immunologici che hanno luogo in sede polmonare.<br />
Sulla esecuzione ed sulla interpretrazione<br />
dei risultati del BAL sono oggi disponibili<br />
linee guida formulate dall’American Thoracic<br />
Society, dall’European Respiratory Society e<br />
dal Gruppo di studio di “Endoscopia Toracica”<br />
dell’AIPO sulla esecuzione del broncoaspirato<br />
e sulla interpretrazione dei risultati. La<br />
semplicità di esecuzione dell’indagine e la sua<br />
ottima tollerabilità anche nei pazienti critici,<br />
ha portato allo sviluppo e all’applicazione della<br />
metodica nella pratica clinica, anche se con<br />
alterne vicende di critiche ed entusiasmi.<br />
In ogni caso lo studio delle cellule recuperate<br />
con il BAL ha dato luogo ad una nuova<br />
semiologia cellulare del polmone profondo che<br />
ha dimostrato come le risposte infiammatorie<br />
polmonari siano differenti rispetto a quelle<br />
dell’organismo.<br />
Le informazioni di rilevanza clinica che si<br />
ottengono dalla processazione del liquido recuperato<br />
sono:<br />
– Valutazione della cellularità totale a livello<br />
broncoalveolare<br />
– Analisi morfologica cellulare<br />
– Tipizzazione immunofenotipica citofluorimetrica<br />
– Indagini batteriologiche<br />
– Indagini chimiche<br />
I principali problemi che il laboratorio deve<br />
affrontare nello studio del BAL riguardano la<br />
standardizzazione di alcuni passaggi chiave<br />
quali: la sede del lavaggio, la tipologia del<br />
fluido impiegato, le fasi della processazione del<br />
liquido recuperato, la definizione dei valori di<br />
normalità. Nella nostra esperienza il campione<br />
del lavaggio broncoalveolare viene accettato<br />
entro 1 ora dal prelievo, affinché la vitalità<br />
cellulare rimanga entro limiti accettabili,che<br />
abbiamo fissato intorno al 60%. In caso di<br />
tempi prolungati, si consiglia il trasporto ed<br />
il mantenimento in ghiaccio, fino al momento<br />
della lavorazione. Dopo un filtraggio su doppio
238 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
strato di garza inumidita in PBS, per allontanare<br />
muco e detriti macroscopici, il BAL<br />
viene centrifugato a 1000/1200g per 10’. Delle<br />
due fasi ottenute, quella liquida, o sovranatante,<br />
viene utilizzata per indagini chimiche<br />
(dosaggio di citochine,proteinosi ecc) mentre<br />
quella solida o pellet, che contiene la frazione<br />
cellulata, viene impiegata per l’esame citofluorimetrico.<br />
Il pellet, risospeso in una quantità<br />
di PBS tale da ottenere una concentrazione<br />
approssimativa di 1x 10 6 cellule/ml, viene utilizzato<br />
per la immunofenotipizzazione.<br />
La determinazione dell’immunofenotipo<br />
linfocitario si esegue nel nostro laboratorio<br />
con un citofluorimetro FACScan BD impiegando<br />
triplette di anticorpi, secondo lo schema<br />
seguente:<br />
– CD45/CD3/CD4 linfociti T helper<br />
– CD45/CD3/CD8 linfociti T suppressor<br />
– CD45/CD3/CD19 linfociti T e B totali<br />
– CD45/CD3/CD16+56 linfociti Natural Killer (NK)<br />
Per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati<br />
viene impiegato il programma Multiset della<br />
Becton Dickinson, che impiega provette<br />
dedicate per la conta assoluta e identifica e<br />
quantizza i diversi subsets. Mediante l’anticorpo<br />
CD45, infatti, si identifica la popolazione<br />
linfocitaria, che servirà per definire il ‘Gate’ di<br />
interesse, e all’interno del ‘gate’ così definito,<br />
gli altri anticorpi classificheranno le diverse<br />
sottopopolazioni in percentuale numerica.<br />
Almeno 3000 eventi riconosciuti dal citofluorimetro<br />
come appartenenti alla serie linfocitaria<br />
vengono analizzati per singolo test.<br />
Il volume di liquido inviato al laboratorio, il<br />
recupero cellulare ottenuto (cell/ml) e la quantità<br />
di emazie totali vengono registrati come<br />
parte integrante del referto.<br />
I vetrini per l’esame citologico ed il citogramma<br />
alveolare vengono allestiti su citocentrifugati<br />
colorati in MGG. L’esame morfologico<br />
contiene informazioni rilevanti il citotipo e le<br />
sue caratteristiche (tipico, atipico, benigno<br />
o maligno) e la presenza di eventuali forme<br />
batteriche e/o fungine. L’osservazione alla luce<br />
polarizzata può evidenziare presenza di corpi<br />
birifrangenti (silicati) e l’eventuale presenza<br />
di fibre o manubri quali i corpi dell’asbesto.<br />
La presenza di un’eccessiva quota epiteliale<br />
(> 3%) indica un prelievo in sede bronchiale e<br />
quindi non rappresentativo del reale ambiente<br />
alveolare.<br />
In casi particolari possono essere eseguiti<br />
esami immunoistochimici mirati ad identificare<br />
citotipi specifici quali le cellule del Langherans<br />
(CD1a+).<br />
Nel soggetto normale non fumatore il citogramma,<br />
seppure con ampie variazioni, si<br />
attesta su un range come sottoriportato:<br />
– 90-97% di macrofagi<br />
– 3-8% di linfociti<br />
– 0,5-3% di neutrofili<br />
La sensibile variazione di queste percentuali<br />
orienta verso diagnosi differenziali ad<br />
es. un’alveolite linfocitaria accompagna una<br />
sarcoidosi o una polmonite da ipersensibilità<br />
mentre un’alveolite eosinofila differenzia una<br />
polmonite eosinofila o un’alveolite macrofagica<br />
accompagna un’istiocitosi X o una sarcoidosi al<br />
1° stadio). In ambito clinico acquista particolare<br />
significato la valutazione della quota B e T<br />
linfocitaria e delle cellule T a fenotipo CD4+ o<br />
CD8+. Sono riportati di seguito valori di normalità,<br />
non confrontabili con quanto ottenibile<br />
con lo studio sul sangue periferico:<br />
CD3 pan T 77% del “gate” linfocitario (65-88%)<br />
CD4 helper 49% “ “ (36-62%)<br />
CD8 suppressor 27% “ “ (15-40%)<br />
CD19 pan B 7% “ “ (3-12%)<br />
CD16+56 NK 5% “ “ (1-14%)<br />
È possibile l’invio di campioni per esami<br />
microbiologici (batteri, virus, miceti, protozoi,<br />
ecc.) o citologici, in base al contesto clinico<br />
specifico. Oltre alla valutazione dell’intensità<br />
e del tipo di alveolite e al monitoraggio<br />
della infiammazione durante il trattamento,<br />
le possibilità diagnostiche possono essere<br />
risolutive solo in un numero limitato di malattie,<br />
quali la già citata Istiocitosi X CD1a<br />
positiva, la proteinosi alveolare, la berilliosi,<br />
la polmonite lipoidea esogena (polmonite da<br />
aspirazione).<br />
In un ampio gruppo di patologie il pattern<br />
cellulare del BAL, pur non fornendo elementi<br />
di sufficiente specificità da risultare diagnostici,<br />
può essere di supporto alla diagnosi clinica<br />
ed orientarla più correttamente.<br />
È questo il caso della sarcoidosi. La malattia,<br />
ad interessamento polmonare, nella<br />
fase iniziale presenta un quadro citologico<br />
al BAL con aumento della cellularità totale<br />
rappresentato dalla popolazione linfocitaria<br />
attivata, che risulta prevalentemente di tipo<br />
helper (CD4+). Il rapporto CD4/CD8 uguale o
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 239<br />
Fig.1a Fig.1b Fig.1c Fig.1d<br />
Fig. 1a – L’area R1 identifica il campo; Fig. 1b – UR: linfociti CD45+/CD3+ (linf.T) di analisi,<br />
CD45+ (gate) UL: linfociti CD45+/CD19+ (linf.B); Fig. 1c – UR: linfociti CD3+/CD4+ (T-Helper);<br />
Fig. 1d – UR: linfociti CD3+/CD8+ (T-Suppressor)<br />
Fig. 1 - Studio citofluorimetrico delle sottopopolazioni linfocitarie<br />
Legenda: UL = quadrante superiore sinistro; UR= quadrante superiore destro;<br />
LL = quadrante inferiore sinistro; LR = quadrante inferiore destro<br />
superiore a 4 ha una sensibilità superiore al<br />
50% ed una specificità del 94-96% per la diagnosi<br />
di sarcoidosi. Interessante è il confronto<br />
dello studio delle sottopopolazioni linfocitarie<br />
eseguito su liquido di lavaggio broncoalveolare<br />
con quello su sangue periferico. In quest’ultimo<br />
infatti è presente una quota normale<br />
o lievemente diminuita di linfociti CD4+, a<br />
fronte dell’aumento descritto nell’ambiente<br />
alveolare.<br />
È sottoriportato un esempio di referto di<br />
BAL fornito dal nostro laboratorio riferito ad<br />
un paziente affetto da sarcoidosi (Figg. 1-2).<br />
Nello studio si evidenzia il forte aumento della<br />
quota linfocitaria (55%) e il valore del rapporto<br />
H/S > 4 (15,5), in questo caso altamente diagnostico<br />
per sarcoidosi.<br />
Volume accettato ml: 23<br />
Cellule esaminate: 826.000/ml<br />
Vitalità: 90%<br />
Rapporto H/S = 15.5<br />
CD3 = 98%<br />
CD19 = / %<br />
CD4 = 92%<br />
CD8 = 6%<br />
CD16+56 = 2%<br />
CD45 = 100% = 61% degli eventi totali<br />
Formula<br />
Macrofagi = 23%<br />
Linfociti = 55%<br />
Neutrofili = 20%<br />
Eosinofili = 2%<br />
Fig. 2 - Referto relativo allo studio delle sottopopolazioni<br />
linfocitarie e citogramma in<br />
paziente affetto da sarcoidosi
240 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Conclusioni<br />
Nella diagnostica delle pneumopatie infiltrative<br />
diffuse il BAL può risultare diagnostico in<br />
un numero limitato di patologie; tuttavia spesso<br />
può rivelarsi utile al supporto della diagnosi<br />
clinica o può orientarla più correttamente.Di<br />
particolare interesse risulta l’apporto del BAL<br />
nella diagnosi e nel follow-up delle sarcoidosi.<br />
Bibliografia essenziale<br />
AIPO – Gruppo di Studio Lavaggio Broncoalveolare<br />
ed Indagini Biologiche in Pneumologia. Standard<br />
tecnico-operativo del Lavaggio Broncoalveolare.<br />
Rassegna di Patologia dell’Apparato<br />
Respiratorio 1998, 13: 160-64<br />
American Thoracic Society (a). Clinical role of<br />
bronchoalveolar lavage in adults with pulmo-<br />
nary disease.Am Rev Respir Dis 1990; 142:<br />
481-86<br />
American Thoracic Society (b). Medical section of<br />
the American Lung Association.Statement on<br />
Sarcoidosis.Am J Respir Crit Care Med 1999;<br />
160: 736-55<br />
Clinical guidelines and indications for bronchoalveolar<br />
lavage (BAL). Report of the European<br />
Society for Pneumology Task group on BAL. Eur<br />
Resoir J 1990; 3: 937-74<br />
Costabel U. Diagnostic problems: bronchoalveolar<br />
lavage (BAL) – The Menarini Series on Pneumology,<br />
2000; 16-7<br />
Ghio P et al. La gestione del lavaggio bronco-alveolare<br />
nel laboratorio di citometria a flusso.<br />
Lettere GIC 2000; 3: 75-80<br />
Marruchella A, Fiorenzano G, Dottorini M. L’applicazione<br />
clinica del Lavaggio Broncoalveolare<br />
nell’adulto. Rassegna di Patologia dell’Apparato<br />
Respiratorio 2001; 16: 281-89<br />
Reynolds HY. Bronchoalveolar lavage. Am Rev<br />
Respir Dis 1985; 135: 250-63<br />
ESPERIENZA DI UN AMBULATORIO PER LA SARCOIDOSI<br />
TRIAL OF AMBULATORY FOR SARCOIDOSIS<br />
CARMELO RAIMONDI, ALFONSO MARIA ALTIERI,<br />
MARCELLO CICCARELLI, SALVATORE D’ANTONIO, MARIO GIUSEPPE ALMA<br />
Unità operativa complessa di Broncopneumologia e Tisiologia,<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong> - <strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Sarcoidosi. Steroidi. Diagnosi differenziale<br />
Key words: Sarcoidosis. Steroids. Differential diagnosis<br />
Riassunto - Gli autori presentano 151 casi di Sarcoidosi nei loro aspetti diagnostici e terapeutici.<br />
Abstract - The Authors, introduce 151 cases of Sarcoidosis with their diagnostic and therapeutic expressions.<br />
La Sarcoidosi è caratterizzata da infiltrati infiammatori<br />
granulomatosi non caseificanti che possono<br />
interessare ogni organo ed apparato anche se<br />
il polmone è l’organo più colpito (nel 90% dei casi)¹;<br />
seguono il sistema linfatico (30%), la cute(25%), il<br />
sistema muscolo-scheletrico (25-39%), il fegato (50-<br />
80%), l’occhio (11-83%), il sistema nervoso centrale<br />
periferico (10%), il cuore (5%), le parotidi, la milza,<br />
l’apparato gastro-enterico, la tiroide, il rene e così<br />
via. La Sarcoidosi può simulare molte altre malattie<br />
granulomatose (berilliosi, istoplasmosi, ecc.) ma,<br />
in primis, la tubercolosi: è quindi necessario effettuare<br />
una corretta diagnosi differenziale.<br />
Nella nostra <strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> esiste l’Ambulatorio<br />
dedicato alla Sarcoidosi presso la U.O.C.<br />
di Broncopneumologia e Tisiologia. A tale ambula-
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 241<br />
Tabella 1<br />
Numero<br />
pazienti<br />
Età<br />
media<br />
Età alla<br />
diagnosi<br />
DONNE 87 57 54<br />
UOMINI 64 52 48<br />
GLOBALE 151 56 52<br />
Rapporto donne/uomini = 1,35<br />
torio hanno avuto accesso, a tutt’oggi, 151 pazienti<br />
affetti sicuramente da tale malattia.<br />
Nella Tabella 1 sono riportati l’età media di tali<br />
pazienti e l’età media in cui è stata posta la diagnosi.<br />
La diagnosi posta attorno ai 50 anni di età è da<br />
imputare probabilmente, a nostro avviso, ad una<br />
ancora non adeguata conoscenza della malattia da<br />
parte di molti operatori sanitari e contemporaneamente,<br />
al carattere spesso sfumato e non sempre<br />
persistente dei primi sintomi che così vengono presi<br />
in considerazione talora solo a distanza di anni dalla<br />
loro prima presentazione.<br />
All’ambulatorio accedono pazienti spesso inviati<br />
da altre strutture anche per il solo sospetto clinico<br />
di malattia.<br />
Noi procediamo nel seguente modo:<br />
a) Per i pazienti con diagnosi istologica ci avvaliamo<br />
della revisione dei preparati istologici da<br />
parte dei nostri colleghi del Servizio di Anatomia<br />
Patologica dell’<strong>Azienda</strong>, allenati a confrontarsi<br />
quotidianamente con questa patologia; con<br />
tale iter i preparati istologici di due pazienti<br />
hanno portato ad escludere la sarcoidosi.<br />
b) Per i casi di sospetta malattia procediamo alla<br />
esecuzione o al completamento degli accertamenti<br />
radiologici, strumentali e clinici.<br />
In ambulatorio vengono seguiti pure i pazienti<br />
dimessi dal nostro reparto con diagnosi di Sarcoidosi:<br />
interessante notare che ben 26 di essi erano stati<br />
avviati al ricovero per altre patologie che potevano<br />
simulare la Sarcoidosi.<br />
Tabella 2<br />
Da questo punto di vista ci troviamo in una<br />
posizione privilegiata in quanto, ricoverando e<br />
trattando malati di pertinenza tisiologica, il personale<br />
medico del reparto è abituato costantemente a<br />
formulare diagnosi differenziale tra TBC ed altre<br />
malattie granulomatose.<br />
Nella Tabella 2 sono riportati i dati inerenti ai<br />
casi ricoverati nel reparto, poi transitati nell’ambulatorio,<br />
ed i casi di accesso diretto all’ambulatorio.<br />
La Tabella 3 mostra le sedi e la metodica di prelievo<br />
per la diagnosi istologica.<br />
Nella Tabella 4 riportiamo la classificazione in<br />
stadi della Sarcoidosi polmonare basati sulla radiografia<br />
standard del torace; anche se la TC torace<br />
ad alta risoluzione (HRCT) talora ci mostra una<br />
stadiazione non corrispondente a quella ricavata<br />
Tabella 3<br />
Sede e metodica di prelievo per<br />
diagnosi istologica<br />
Pazienti<br />
Mediastinoscopia o Toracoscopia<br />
video assistita (biopsia linfonodi<br />
toracici)<br />
46<br />
Biopsia trans-bronchiale o transcarenale<br />
in corso di fibrobroncoscopia<br />
29<br />
Biopsia linfonodi periferici 17<br />
Biopsia della cute 16<br />
Biopsia del fegato 5<br />
Biopsia della milza 2<br />
Biopsia altre sedi (parotidi, labbra) 7<br />
Totale 122<br />
Diagnosi istologica su un totale di 122 pazienti<br />
Tabella 4<br />
Stadio Radiografia del Torace<br />
0 Normale<br />
I Linfoadenopatie ilari bilaterali (LIB)<br />
II LIB più infiltrati polmonari<br />
III Infiltrati polmonari<br />
IV Fibrosi polmonare<br />
Diagnosi di accesso Diagnosi<br />
confermata<br />
TIPO Numero<br />
Sospetta TB polmonare 15 0<br />
In reparto<br />
TB polmonare 5 0<br />
Altre diagnosi 6 0<br />
Sospetta Sarcoidosi 8 6<br />
In ambulatorio<br />
Sarcoidosi su base clinica 29 26<br />
Sarcoidosi su base istologica 97 95<br />
Totale di prima diagnosi di sarcoidosi confermata su base clinica o istologica effettuata ambulatorialmente ed in regime<br />
di ricovero: 58
242 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 5<br />
Stadio Pazienti<br />
0 25<br />
I 27<br />
II 29<br />
III 49<br />
IV 21<br />
dalla radiografia, è norma internazionalmente riconosciuta<br />
continuare a basarsi sulla radiografia<br />
standard. Nella Tabella 5, quindi, è possibile osservare<br />
la distribuzione in stadi dei pazienti affetti<br />
dalla forma polmonare. Corre l’obbligo di precisare<br />
che la maggior parte dei pazienti con malattia allo<br />
stadio IV soffriva già da diversi anni della patologia<br />
quando è pervenuta alla nostra osservazione; di<br />
questi pazienti tre erano affetti da grave insufficienza<br />
respiratoria (si trovavano in ossigenoterapia<br />
continua) ed erano non responders ai farmaci: due<br />
di essi sono successivamente deceduti ed uno è stato<br />
inviato per essere sottoposto, con successo, a doppio<br />
trapianto di polmone. La localizzazione della malattia<br />
nei vari organi ed apparati è mostrata nella<br />
Tabella 6 dove abbiamo, fra l’altro, differenziato<br />
l’interessamento polmonare da quello anche polmonare.<br />
Alla voce “altri organi” sono riportati solo<br />
5 casi e ciò si identifica nell’interessamento prevalente<br />
di tali organi, anche se, ad esempio, fegato e<br />
milza sono interessati in percentuale maggiore, ma<br />
molto secondariamente negli altri casi.<br />
Le patologie preesistenti alla diagnosi di sarcoidosi<br />
erano numerose e varie; da notare (Tab. 7) le<br />
oculopatie, le discrasie ematiche, le cardiopatie, i<br />
distiroidismi, patologie tutte riportate in letteratura<br />
come manifestazioni di accompagnamento o anche<br />
come manifestazioni prodromiche della sarcoidosi.<br />
Tabella 6<br />
Tipo di sarcoidosi Pazienti<br />
Polmonare 86<br />
Polmonare e linfonodi periferici 17<br />
Linfonodi periferici 9<br />
Polmonare e altri organi 21<br />
Cutane 9<br />
Altri organi 5<br />
Polmonare e pleurica 2<br />
Midollare 1<br />
Muscolare 1<br />
Tabella 7<br />
Patologie preesistenti Pazienti<br />
Ipertensione arteriosa 30<br />
Distiroidismi 27<br />
Ernie iatali con reflusso GE 15<br />
Cardiopatie 15<br />
Discrasie ematiche 14<br />
Diabete mellito 12<br />
Oculopatie 13<br />
Ansia depressione 11<br />
Pregressi K operati 10<br />
Gastriti croniche 10<br />
Cisti renali 8<br />
Cisti epatiche 6<br />
Litiasi renali 6<br />
Diverticolosi coliche 6<br />
Gammapatie monoclonali 5<br />
Litiasi biliari 5<br />
cerebropatie 4<br />
ipoalbuminemie 3<br />
Cisti spleniche 2<br />
Litiasi parotidee 2<br />
Insufficienza renale cronica 2<br />
Ulcera duodenale 2<br />
Diabete insipido 1<br />
Deficit fattore XII 1<br />
Nella Tabella 8 sono riportati i sintomi e le manifestazioni<br />
di esordio della patologia sarcoidea che<br />
presentano maggiore rilevanza statistica; abbiamo<br />
omesso le manifestazioni percentualmente minori<br />
Tabella 8<br />
Sintomi di esordio<br />
Tosse 29%<br />
Dispnea 18%<br />
Toracoalgie 7%<br />
Astenia 24%<br />
Mialgie 12%<br />
Artralgie 11%<br />
Febbricola 10%<br />
Linfonodi superficiali 9%<br />
Eritema nodoso 9%<br />
Noduli sottocutanei 8%<br />
Lesioni cutanee 6%<br />
}54% (33-50%)<br />
}23% (25-39%)<br />
}23% (25%)
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 243<br />
Tabella 9<br />
Quando iniziare il trattamento<br />
•Pazienti sintomatici (tosse, dispnea, astenia, ecc.)<br />
•Linfonodi ilo-mediastinici aumentati di volume<br />
•Interstiziopatia polmonare in evoluzione<br />
•Interessamento oculare, cutaneo, cardiaco, neurologico<br />
•Linfonodi retroperitoneali iperplastici<br />
•Ipercalcemia/ipercalciuria<br />
(ad esempio idrartro al ginocchio); tra parentesi<br />
abbiamo riportato le percentuali riferite dalla WA-<br />
SOG¹ (World Association of Sarcoidosis and Other<br />
Granulomatous Disorders); notiamo come le nostre<br />
osservazioni siano sostanzialmente coincidenti con<br />
tali dati. Una questione che non sempre trova<br />
unanimità di consensi fra gli studiosi ed i clinici<br />
consiste nell’individuare il momento in cui iniziare<br />
il trattamento terapeutico. Noi concordiamo con<br />
quanto specificato nella Tabella 9 e sui relativi<br />
fattori che, anche singolarmente, autorizzano<br />
l’intervento terapeutico. La terapia, d’altronde, è<br />
tuttora prevalentemente basata sugli steroidi come<br />
farmaci di prima scelta. Il dosaggio indicato (Tab.<br />
10) è puramente orientativo in quanto, ovviamente,<br />
deve essere adattato al peso corporeo del paziente,<br />
alla sua tollerabilità ed alla dose comunque efficace<br />
caso per caso; tale terapia deve essere iniziata a dosaggi<br />
pieni che vanno poi ridotti gradualmente fino<br />
alla cessazione della stessa nell’arco di nove-dodici<br />
mesi, valutandone già dopo i primi tre-quattro mesi<br />
l’efficacia e regolandosi di conseguenza in un attento<br />
follow-up nei mesi successivi.<br />
I pazienti vengono preventivamente informati<br />
sui possibili effetti collaterali della terapia ed educati<br />
a coglierne in tempo i primi segni con controllo<br />
periodico della glicemia, della pressione arteriosa,<br />
degli elettroliti sierici, controllando nel contempo<br />
la densitometria ossea con MOC e ponendoli sotto<br />
costante protezione gastrica preferibilmente con<br />
inibitori di pompa protonica. Quando lo steroide<br />
presenta controindicazioni (diabete non ben con-<br />
Tabella 10<br />
Farmaci usati nella sarcoidosi<br />
Prednisone-metilprednisolone 25-40 mg/die<br />
Metotrexate 7,5-20 mg/sett.<br />
Azatioprina 50-150 mg/die<br />
Ciclofosfamide 50/150 mg/die<br />
Idrossiclorochina 200 mg/die<br />
Infliximab 50/150 mg/die<br />
Altri farmaci utilizzati:<br />
Minociclina, Doxiciclina, Pentossifilina, Talidomide, ecc.<br />
trollato, scarsa compliance, ecc.) si possono adoperare<br />
con discrete possibilità di successo farmaci<br />
di seconda linea come metrotessato, azatioprina e<br />
gli altri elencati sempre nella Tabella 10, da soli<br />
o meglio associati a basse dosi di steroidi quando<br />
possibile.<br />
I farmaci suddetti sono stati da noi impiegati<br />
come specificato nella Tabella 11.<br />
Non sono stati trattati 24 pazienti che, a nostro<br />
avviso non rientravano nei criteri richiedenti terapia.<br />
Negli altri pazienti, in tre casi lo steroide ha<br />
evidenziato un diabete latente (comunque sempre<br />
in pazienti con uno od entrambi i genitori già diabetici)<br />
in un caso l’assunzione di metotressato, già solo<br />
nell’arco di una settimana, è coincisa con anomalie<br />
ematiche che, indagate, hanno condotto ad identificare<br />
un linfoma non Hodgkin sulla preesistente sarcoidosi;<br />
in altri due casi si è imposta la sospensione<br />
del farmaco per innalzamento persistente dei valori<br />
degli enzimi epatici; a parte queste tre situazioni il<br />
metotressato si è rivelato ben tollerato ed efficace<br />
soprattutto nel ridurre le tumefazioni dei linfonodi<br />
mediastinici che avevano resistito al solo steroide;<br />
molto efficace anche l’idrossiclorochina per le manifestazioni<br />
cutanee talora deturpanti (specie al viso)<br />
di pazienti ovviamente monitorati dai colleghi oculisti<br />
prima, durante e dopo tale terapia per cui non<br />
abbiamo mai dovuto registrare i possibili temuti<br />
effetti collaterali a carico dell’apparato visivo.<br />
A tutt’oggi, 23 pazienti necessitano attualmente<br />
di terapia di mantenimento in quanto la sospensione<br />
della stessa è coincisa con la ripresa dei segni di<br />
malattia (aumento delle tumefazioni linfonodali in<br />
dimensioni e numero, ripresa della ipercalciuria,<br />
ecc.); intendiamo come terapia di mantenimento un<br />
dosaggio di prednisone di 5-15 mg o di metilprednisolone<br />
di 4-12 mg.<br />
Possiamo pertanto affermare che l’armamentario<br />
terapeutico di cui disponiamo oggi ci permette<br />
se non di guarire almeno di poter mantenere sotto<br />
accettabile controllo la malattia, tenendo però<br />
Tabella 11<br />
Terapia<br />
Farmaco pazienti<br />
Steroide 99<br />
Steroide + Metotrexate 15<br />
Steroide + idrossiclorochina 9<br />
Steroide + ciclofosfamide 1<br />
Steroide + idrossiclorochina+azatioprina 1<br />
Steroide + azatioprina 3<br />
Nessuna terapia 24
244 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Tabella 12<br />
Responder alla terapia<br />
Stabili dopo fine della terapia da un minimo 25<br />
di sei mesi ad un massimo di 4 anni<br />
Tuttora in terapia di mantenimento 23<br />
Attualmente in trattamento 71<br />
Recidive poi rispondenti alla ripresa della 5<br />
terapia a dosaggi inizialmente maggiori del<br />
trattamento iniziale<br />
Totale 124<br />
Non responder alla terapia<br />
Decessi per insufficienza respiratoria 2<br />
Doppio trapianto polmonare con successo 1<br />
Totale 3<br />
sempre ben presente che la sarcoidosi è, per definizione,<br />
una malattia “capricciosa”, che mostra un<br />
atteggiamento spesso imprevedibile con improvvise<br />
riaccensioni che possono presentarsi da pochi mesi<br />
a molti anni dopo la fase terapeutica.<br />
Introduzione<br />
Per tale motivo, nella Tabella 12, abbiamo<br />
preferito definire “stabili” e non “guariti” coloro<br />
che avevano completato con successo la terapia,<br />
poiché se vera guarigione sarà intervenuta, lo si<br />
potrà affermare solo dopo un congruo numero di<br />
anni.<br />
I pazienti che avevano presentato localizzazioni<br />
polmonari (ormai asintomatici), vengono controllati<br />
ambulatorialmente in follow-up con il seguente<br />
programma:<br />
– radiografia standard del torace con dosaggio della<br />
calciuria delle 24 ore ed esami ematochimici<br />
di routine ogni 6 mesi e per 3 anni.<br />
– TC torace con cadenza annuale per i primi 3<br />
anni.<br />
– radiografia standard del torace con periodicità<br />
annuale dal 4° anno in poi.<br />
Bibliografia essenziale<br />
ATS/ERS/WASOG Statement on Sarcoidosis. Sarcoidosis<br />
Vasc Diffuse Lung Dis 1999; 16: 149-73<br />
TERAPIA DELLA SARCOIDOSI CON ANTI-TNFα<br />
THERAPY FOR SARCOIDOSIS WITH ANTI-TNFα<br />
P. ROTTOLI, C. OLIVIERI, E. BARGAGLI<br />
Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche,<br />
Sezione Malattie Respiratorie, Università di Siena, Siena-Italia<br />
Parole chiave: Sarcoidosi. Terapia. Anti-TNFα<br />
Key words: Sarcoidosis. Therapy, Anti-TNFα<br />
La terapia della sarcoidosi è tuttora oggetto di<br />
dibattito, anche se non vi sono stati cambiamenti<br />
essenziali negli ultimi vent’anni relativamente ai<br />
farmaci di prima scelta e agli schemi terapeutici impiegati<br />
1,2 . Le ultime linee guida internazionali sulla<br />
malattia risalgono al Consensus dell’ ATS/ERS del<br />
1999 3 , ma una revisione delle raccomandazioni<br />
terapeutiche non è stata ancora formulata, anche<br />
se sono uscite numerose reviews sull’argomento 4,5 .<br />
Indubbiamente i corticosteroidi restano il cardine<br />
della terapia nel trattamento iniziale del paziente,<br />
pur con il limite di non pochi effetti collaterali, seb-<br />
bene negli ultimi dieci anni siano stati condotti vari<br />
studi, controllati e osservazionali, volti alla ricerca<br />
di nuovi farmaci mirati più a modificare la storia<br />
naturale della malattia che al solo controllo dei sintomi<br />
6 . Infatti la mancata conoscenza dell’eziologia<br />
della sarcoidosi ha condizionato pesantemente il<br />
trattamento e la notevole variabilità dell’esordio e<br />
dell’andamento clinico creano non poche difficoltà<br />
nelle scelte terapeutiche per la esigenza sia di<br />
controllare la sintomatologia che di prevenire la<br />
progressione della malattia.<br />
Altri punti non ancora completamente definiti<br />
sono l’indicazione al trattamento e il timing al trattamento,<br />
cioè stabilire con esattezza quali pazienti
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 245<br />
devono ricorrere alla terapia, quando iniziare il trattamento<br />
e quanto proseguirlo nel tempo. Infatti non<br />
tutti i pazienti con sarcoidosi devono essere trattati,<br />
ad esempio se sono asintomatici o hanno una sarcoidosi<br />
polmonare al primo stadio o una sindrome di<br />
Lofgren secondo le linee ATS/ERS non necessitano<br />
di terapia 2 . Se i pazienti sono sintomatici o hanno<br />
una forma polmonare progressiva o coinvolgimento<br />
extrapolmonare con compromissione funzionale di<br />
organi vitali devono effettuare terapia sistemica.<br />
In particolare la terapia è indispensabile in caso di<br />
coinvolgimento cardiaco, neurologico, muscolare,<br />
oculare, se c’è ipercalcemia o se la malattia persiste<br />
in un arco di tempo variabile da due a cinque<br />
anni 3 . Quest’ultima condizione è definita sarcoidosi<br />
cronica ed è caratterizzata dalla persistenza della<br />
malattia con un quadro di infiammazione cronica<br />
che richiede una terapia a lungo termine 5 . Questi<br />
sono criteri generali ma mancano parametri precisi<br />
e condivisi che permettano di stabilire con sufficiente<br />
certezza che la malattia è attiva e progressiva 7 .<br />
In genere la terapia comunemente utilizzata<br />
si basa sull’impiego di corticosteroidi alla dose di<br />
attacco di 20-40mg/die (0,5 mg/kg di peso corporeo),<br />
a scalare fino a raggiungere un dosaggio di<br />
mantenimento in grado di conservare nel tempo il<br />
miglioramento ottenuto con la terapia, 5-15mg/die.<br />
Il trattamento non si interrompe prima di 9-12 mesi<br />
e, se vi è evidenza di ripresa della malattia, si valuta<br />
la possibilità di riprenderlo.<br />
Un attento monitoraggio del paziente si rende<br />
necessario non solo per valutare la risposta alla<br />
terapia, ma anche per la tossicità legata ad un<br />
trattamento a lungo termine con steroidi o nel caso<br />
siano stato utilizzati farmaci immunosoppressori<br />
quali il metotrexate o l’azatioprina. Spesso, infatti,<br />
il paziente non rimane aderente a cicli protratti di<br />
terapia, come quelli che si rendono necessari in questa<br />
malattia, a causa dei frequenti effetti collaterali<br />
e delle complicazioni legate al trattamento, da qui<br />
la necessità di avere a disposizione varie opzioni terapeutiche<br />
che siano basate sulle nuove conoscenze<br />
dei meccanismi patogenetici della sarcoidosi e sul<br />
fenotipo dei pazienti 4,8 .<br />
Poichè la sarcoidosi è una malattia infiammatoria<br />
granulomatosa cronica, le ricerche verso nuovi<br />
approcci terapeutici hanno preso spunto dallo studio<br />
delle citochine coinvolte nei complessi processi<br />
immuno-infiammatori che portano alla formazione<br />
del granuloma epitelioide senza necrosi caseosa,<br />
elemento patognomonico della malattia 2,9 . Tra queste,<br />
particolare interesse è stato rivolto verso il TNF<br />
α, una potente citochina proinfiammatoria prodotta<br />
principalmente dai monociti e dai macrofagi alveolari.<br />
È stato dimostrato che colture di macrofagi<br />
alveolari ricavati dal liquido ottenuto con il lavaggio<br />
broncoalveolare in pazienti con sarcoidosi attiva<br />
rilasciano spontaneamente elevati livelli di TNF α 10<br />
e, confrontando i livelli di questa citochina tra pazienti<br />
con sarcoidosi e controlli sani, sono emersi<br />
valori significativamente più alti nei malati rispetto<br />
ai controlli 11 .<br />
A conferma del ruolo chiave del TNFα nella sarcoidosi<br />
attiva Ziegenhagen et al. riportavano che i<br />
pazienti affetti da sarcoidosi che peggiorava nell’arco<br />
di sei mesi presentavano valori iniziali maggiori di<br />
TNFα rispetto ai pazienti con sarcoidosi stabile 12 .<br />
Tutte queste osservazioni hanno creato una<br />
base razionale per l’impiego di molecole in grado<br />
di bloccare il TNFα prima che si leghi con il suo recettore<br />
e determini l’attivazione cellulare che porta<br />
alla cascata di citochine infiammatorie. I farmaci<br />
con azione specifica verso il TNFα attualmente disponibili<br />
sono l’infliximab, l’etanercept e l’adalimumab,<br />
comunemente utilizzati nella cura delle malattie<br />
infiammatorie croniche reumatiche. Attività<br />
antiTNF α è attribuita anche ad altri farmaci come<br />
la talidomide o la pentossifillina. Pertanto sarà<br />
considerata la letteratura disponibile sull’utilizzo di<br />
queste molecole nella sarcoidosi.<br />
Infliximab<br />
È un anticorpo monoclonale chimerico che lega<br />
sia il TNF α libero che quello presente sulla superficie<br />
delle cellule e, attivato il complemento, porta alla<br />
lisi cellulare 13 . Viene utilizzato nel trattamento dell’artrite<br />
reumatoide, della spondilite anchilosante,<br />
dell’artrite psoriasica e del morbo di Crohn.<br />
Il primo studio che parla dell’utilizzo dell’infliximab<br />
nella sarcoidosi resistente ad altri trattamenti<br />
risale al 2001 14 ; da allora in letteratura sono<br />
comparsi diversi case reports che descrivono il suo<br />
impiego nel trattamento della sarcoidosi 15- 17 , in particolare<br />
nelle localizzazioni cutanee 18, 56 , oculari 19 ,<br />
neurologiche 20-22 e polmonari 23 . Sulla base di questi<br />
studi è stato effettuato uno studio di fase II in doppio<br />
cieco, randomizzato, multicentrico, placebo-controllo<br />
effettuato su 138 pazienti affetti da sarcoidosi<br />
polmonare cronica sottoposti a terapia con due diverse<br />
dosi di infliximab 16 . Lo studio, iniziato nel settembre<br />
2003 e conclusosi nell’agosto 2004, prevedeva<br />
la somministrazione di infliximab endovena alla<br />
dose di 3 o 5 mg/kg oppure placebo alle settimane<br />
0, 2, 6, 12, 18, 24. I pazienti sono stati selezionati in<br />
base al coinvolgimento polmonare della sarcoidosi,
246 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
provata istologicamente ed a valori di FVC compresi<br />
tra il 50% e l’85% del valore predetto.<br />
L’end point primario era la variazione dei valori<br />
di FVC dopo 24 settimane. I pazienti trattati con<br />
infliximab presentavano un miglioramento, peraltro<br />
modesto (2,5%), della capacità vitale forzata rispetto<br />
ai controlli dopo 24 settimane di terapia. La risposta<br />
alla terapia con infliximab risultava nella analisi post<br />
hoc più significativa per quei pazienti che presentavano<br />
un quadro più grave di malattia, evidenziato<br />
da un volume corrente più basso e da una durata<br />
maggiore del quadro clinico. Successivamente l’efficacia<br />
dell’infliximab è stata indagata nel trattamento<br />
della sarcoidosi extrapolmonare dimostrando una<br />
significativa riduzione del grado di interessamento<br />
extrapolmonare nei pazienti trattati con infliximab<br />
(3 o 5 mg/kg) rispetto al gruppo placebo 24 . Judson et<br />
al. dimostravano che la terapia con infliximab migliorava<br />
la sarcoidosi extrapolmonare, sebbene tutti i<br />
pazienti arruolati nello studio continuassero a prendere<br />
una dose di corticosteroidi e non avessero una<br />
diagnosi istologica di sarcoidosi extrapolmonare 24 .<br />
Questo dato ha portato gli autori ad affermare che<br />
l’infliximab può apportare benefici nei pazienti con<br />
sarcoidosi extrapolmonare già in terapia con corticosteroidi.<br />
Questi risultati in realtà sono stati oggetto<br />
di critica (in particolare l’impiego di un nuovo score<br />
per quantificare il coinvolgimento extrapolmonare<br />
chiamato Extrapulmonary Physician Organ Severity<br />
Tool) e la reale efficacia dell’infliximab nella sarcoidosi<br />
extrapolmonare resta ancora da definire 25 .<br />
Etanercept<br />
È un recettore solubile del TNFα che, legatosi<br />
a questa molecola, ne inibisce competitivamente il<br />
legame con il suo recettore presente sulla superficie<br />
cellulare. È utilizzato per il trattamento dell’artrite<br />
reumatoide, della spondilite anchilosante, dell’artrite<br />
psoriasica e della psoriasi 26 .<br />
Ad oggi, gli studi clinici condotti per provare<br />
l’efficacia del farmaco nel trattamento della sarcoidosi<br />
non hanno provato nessuna evidenza di<br />
miglioramento, anzi aumenta il numero dei case<br />
report che parlano dell’insorgenza della sarcoidosi<br />
in pazienti affetti da malattie reumatiche e trattati<br />
con questo farmaco. Il primo case report sull’utilizzo<br />
dell’etanercept nella sarcoidosi con coinvolgimento<br />
cutaneo ed articolare risale al 2003 27 . Nello stesso<br />
anno Utz et al. provarono l’utilizzo dell’etanercept<br />
nei pazienti con sarcoidosi polmonare in stadio II<br />
e III, ma furono costretti ad interrompere lo studio<br />
perché i pazienti svilupparono una progressione<br />
della malattia 28 . Successivamente è stato condotto<br />
un secondo studio in doppio cieco randomizzato<br />
sull’utilizzo dell’etanercept in 18 pazienti affetti da<br />
sarcoidosi cronica oculare, refrattari alla terapia con<br />
methotrexate 29 . Ai pazienti venivano somministrati<br />
25 mg di etanercept per via sottocutanea due volte a<br />
settimana. Sebbene il farmaco venisse ben tollerato<br />
dai pazienti, il suo utilizzo non è stato associato ad<br />
un miglioramento effettivo dei pazienti considerati<br />
né fu raggiunto l’end point primario dello studio<br />
che era la riduzione della terapia steroidea con<br />
l’etanercept. Alcuni reports hanno evidenziato che<br />
la somministrazione intraarticolare di etanercept<br />
è stata usata con successo per trattare un paziente<br />
affetto da artrite cronica sarcoidea 30 e con vasculite<br />
sarcoidea refrattaria ad altri trattamenti 31 .<br />
Adalimumab<br />
Anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro<br />
il TNFα 32 e utilizzato nell’artrite reumatoide e<br />
psoriasica. Si somministra sottocute piuttosto che<br />
per via endovenosa come l’infliximab. Attualmente<br />
in letteratura esistono soli pochi case reports che<br />
descrivono il suo utilizzo in pazienti affetti da sarcoidosi<br />
cronica. Due case report presentano dei pazienti<br />
con sarcoidosi cutanea resistente alla terapia<br />
con altri farmaci, ma responsiva all’adalimumab 33, 34 .<br />
Callejas-Rubio et al. 35 descrivono il primo caso di<br />
sarcoidosi polmonare che risponde con successo al<br />
trattamento con adalimumab quando nessun altro<br />
trattamento era risultato efficace. Gli autori riportano<br />
che dopo la somministrazione di 40 mg di adalimumab<br />
per due settimane il paziente presentava<br />
una riduzione della tosse e della dispnea oltre che<br />
una regressione della linfoadenopatia ilare. Attualmente<br />
si è concluso un trial volto a verificare la sicurezza<br />
e l’efficacia dell’adalimumab in 11 pazienti<br />
con sarcoidosi polmonare cronica, sintomatici. I dati<br />
non sono stati ancora pubblicati.<br />
Reazioni avverse associate alla<br />
terapia con anti TNFα<br />
L’impiego di questi farmaci richiede molta attenzione<br />
specialmente perché possono aumentare il<br />
rischio infettivo, in particolare è stato segnalata, specialmente<br />
per infliximab, la possibilità di riattivare la<br />
tubercolosi dovuta all’azione soppressiva sull’immunità<br />
cellulo-mediata. Uno screening accurato del paziente<br />
da trattare con esclusione di soggetti ad alto rischio<br />
e in casi selezionati una profilassi antibiotica possono<br />
minimizzare questa possibile complicazione 36,37 .
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 247<br />
In modo analogo appare aumentato il rischio<br />
di contrarre infezione da Listeria monocytogenes,<br />
sebbene i casi riportati in letteratura ricevessero<br />
farmaci immunosoppressivi contemporaneamente<br />
alla terapia con anti TNFα 38 .<br />
Vari disordini immunologici sono stati riferiti<br />
come effetti collaterali attribuiti all’utilizzo di questi<br />
farmaci 39 e, tra questi, dobbiamo segnalare anche<br />
casi di sarcoidosi insorta durante il trattamento con<br />
anti TNF α utilizzati per la cura di malattie croniche<br />
infiammatorie, specialmente per l’artrite reumatoide.<br />
Si tratta di case reports che evidenziano questo<br />
strano effetto paradosso, dovuto probabilmente al<br />
disequilibrio citochinico che ha portato alla comparsa<br />
di sarcoidosi polmonare durante il trattamento<br />
con infliximab 40,41 , adalimumab 42 ed etanercept 43 e<br />
che si è risolto dopo l’interruzione della terapia.<br />
Tra le reazioni avverse è stato segnalato un aumentato<br />
rischio di sviluppare tumori linfoproliferativi,<br />
soprattutto linfomi non Hodgkin, e scompenso<br />
cardiaco 44, 45 .<br />
Risulta pertanto fondamentale una accurata<br />
valutazione iniziale ed un attento follow up dei<br />
pazienti in trattamento ad intervalli regolari, con<br />
grande attenzione verso i parametri di laboratorio.<br />
L’impiego di questi farmaci va limitato a Centri<br />
Specialistici competenti.<br />
Purtroppo interrotta la terapia i pazienti possono<br />
presentare riattivazioni della malattia quindi<br />
per un corretto e sicuro utilizzo di questi farmaci<br />
si rendono necessari trials clinici prospettici, randomizzati,<br />
in doppio cieco, con un gran numero<br />
di pazienti, in modo da poter stabilire il dosaggio<br />
ottimale e la durata della terapia a lungo termine,<br />
valutandone anche la possibile tossicità.<br />
Ad oggi l’evidenza ricavata da trials clinici dotati<br />
di queste caratteristiche per supportare l’uso di<br />
questi farmaci risulta ancora limitata, gli studi in<br />
corso sono piccoli, con un numero esiguo di pazienti<br />
arruolati e con la segnalazione di numerosi eventi<br />
avversi 46 .<br />
Altri farmaci che inibiscono la produzione<br />
di TNF alpha: thalidomide<br />
e pentossifillina<br />
Insieme a farmaci che agiscono legandosi al<br />
TNF già formato inattivandolo, vi sono altre molecole<br />
che invece ne inibiscono la produzione e che<br />
sono state oggetto di studi .<br />
La talidomide agisce sopprimendo il rilascio di<br />
TNF da parte dei macrofagi alveolari 47,48 , ma sembra<br />
possedere anche attività anti-infiammatorie e<br />
anti-angiogenetiche che rendono il suo meccanismo<br />
d’azione ancora non del tutto chiaro. È stata usata<br />
con successo nella terapia della sarcoidosi cutanea<br />
cronica (49,50) ad un dosaggio di 100 mg/die mentre<br />
non è risultata efficace nel trattamento della sarcoidosi<br />
polmonare (51). Inoltre non possono essere<br />
omessi gli effetti collaterali legati all’uso del farmaco,<br />
per lo più dose correlati, come lo sviluppo di sonnolenza,<br />
costipazione, rash, neuropatia periferica e<br />
la ben nota teratogenicità (52).<br />
La pentossifillina è una metilxantina che agisce<br />
aumentando i livelli di cAMP e determinando come<br />
conseguenza una ridotta espressione del gene del<br />
TNF quindi una minore produzione di TNF α da<br />
parte dei fagociti mononucleati ed in particolare<br />
dei macrofagi alveolari 53,54 . In uno studio clinico<br />
del 1997 su un numero limitato di casi, 23 pazienti<br />
affetti da sarcoidosi, la pentossifillina sembrava<br />
promettere una buona risposta nella terapia della<br />
sarcoidosi polmonare progressiva ad un dosaggio di<br />
25 mg/kg al giorno 55 . Gli effetti avversi riferiti erano<br />
di natura gastrointestinale fatta eccezione per qualche<br />
raro caso di pancitopenia o epatite tossica. Nel<br />
1999 è iniziato un nuovo studio randomizzato, in<br />
doppio cieco, in pazienti con sarcoidosi polmonare<br />
già in terapia con corticosteroidi. L’obiettivo dello<br />
studio era di valutare l’efficacia della pentossifillina<br />
nei pazienti con sarcoidosi polmonare. Lo studio<br />
non è ancora concluso 57 .<br />
Conclusioni<br />
Sulla base dei dati della letteratura risulta che<br />
pur avendo i farmaci ad attività anti TNF α un<br />
rationale per il loro impiego basato sul coinvolgimento<br />
del TNF α nella patogenesi della malattia,<br />
non abbiamo ad oggi una dimostrazione chiara<br />
della loro efficacia basata su evidenze indiscutibili<br />
. I pochi studi clinici controllati non hanno dato i<br />
risultati sperati, questo può dipendere da vari fattori<br />
e non necessariamente dalla scarsa attività di<br />
queste molecole nella sarcoidosi. Infatti potrebbe<br />
essere dovuto alla scelta di casistiche non adeguate<br />
o eterogenee (pazienti con sarcoidosi non particolarmente<br />
attiva o scarsamente progressiva), ai<br />
dosaggi impiegati, agli intervalli e ai tempi di somministrazione<br />
non sufficienti, alla mancata associazione<br />
con altri farmaci (steroidi o metotrexate). Gli<br />
studi osservazionali portano a sperare nell’efficacia<br />
in casistiche selezionate o in forme resistenti alla<br />
terapia standard. Inoltre è emerso che vi è una variabilità<br />
di risposta legata al tipo di molecola. Con
248 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
queste considerazioni che ne limitano fortemente<br />
l’uso (non solo quindi per gli alti costi), si evince che<br />
si tratta di una terapia di seconda o meglio di terza<br />
scelta da impiegare solo in casi particolari in Centri<br />
specializzati e con l’approvazione dei comitati etici<br />
nonché con il consenso informato del paziente.<br />
Bloccare il TNFα non sembra rappresentare la risposta<br />
definitiva alla richiesta di una terapia per la<br />
sarcoidosi cronica o refrattaria ad altri trattamenti,<br />
ma costituisce uno strumento in più da approfondire<br />
ulteriormente per raggiungere l’obiettivo di bloccare<br />
definitivamente la progressione della malattia e non<br />
soltanto ridurre i sintomi. È necessario continuare<br />
con la ricerca e con studi clinici prospettici ben<br />
disegnati che dimostrino un aumento di efficacia,<br />
una ridotta tossicità e una migliorata qualità di vita<br />
legati all’utilizzo di questi nuovi farmaci, nonché<br />
sarebbe opportuna una riduzione dei costi. Inoltre<br />
portare avanti gli studi sulla patogenesi della malattia<br />
permetterà di rendere la terapia sempre più<br />
mirata verso un preciso bersaglio.<br />
Bibliografia<br />
1. Rottoli P. La terapia della Sarcoidosi: Attualità<br />
in medicina interna. A cura di F. Balsano, G.<br />
Bruno. Fond. A. Cisalpino, Roma 1987; 167-173<br />
2. Iannuzzi MC, Rybicki BA, Teirstein AS. Sarcoidosis.<br />
N Engl J Med 2007; 357: 2153-65<br />
3. Hunninghake GW, Costabel U, Ando M, et<br />
al. ATS/ERS/WASOG statement on sarcoidosis.<br />
Sarcoidosis Vasc Diffuse Lung Disease 1999; 16:<br />
149-73<br />
4. Baughman RP, Lower EE. Novel therapy for<br />
sarcoidosis. Sermin Respir Crit Care Med 2007;<br />
28: 128-33<br />
5. Baughman RP, Costabel U, Du Bois RM. Treatment<br />
of sarcoidosis. Clin Chest Med 2008; 29:<br />
533-48<br />
6. Baughman RP, Lower EE. Therapy for sarcoidosis.<br />
Eur Respir Mon, 2005; 32: 301-15<br />
7. Bargagli E, Mazzi A, Rottoli P. Markers of inflammation<br />
in sarcoidosis: blood, urine, BAL,<br />
sputum and exhaled gas. Clin Chest Med 2008;<br />
29: 445-58<br />
8. Prasse A, Katic C, Germann M, et al. Phenotyping<br />
sarcoidosis from a pulmonary perspective.<br />
Am J Respir Crit Care Med 2008; 177: 330-6<br />
9. Iannuzzi MC. Advances in the genetics of sarcoidosis.<br />
Proc Am Thorac Soc 2007; 4: 457-60<br />
10. Baughman RP, Stohofer SA, Buchsbaum J, et<br />
al. Release of TNF by alveolar macrophages of<br />
patients with sarcoidosis. J Lab Clin Med 1990;<br />
115: 36-42<br />
11. Ziegenhagen MW, Rothe E, Zissel G, et al. Exag-<br />
gerated TNF alpha release of alveolar macrophages<br />
in corticosteroid resistant sarcoidosis. Sarc<br />
Vasc Diffuse Lung Disease 2002; 19: 185-90<br />
12. Ziegenhagen MW, Benner UK, Zissel G, et<br />
al. Sarcoidosis: TNFα release from alveolar<br />
macrophages and serum levels of s IL-2R are<br />
prognostic markers. Am J Respir Crit Care Med<br />
1997; 156: 1586-592<br />
13. Scallon BJ, More MA, Trinh H. Chimeric anti-TNF-alpha<br />
monoclonal antibody cA2 binds<br />
recombinant transmembrane TNF-alpha and<br />
activates immune effector functions. Cytochine<br />
1995; 7: 251-9<br />
14. Baughman RP, Lower EE. Infliximab for refractory<br />
sarcoidosis. Sarc Vasc Diffuse Lung Disease<br />
2001; 18: 70-4<br />
15. Doty JD, Mazur JE, Judson MA. Treatment of<br />
sarcoidosis with infliximab. Chest 2005; 127:<br />
1064-71<br />
16. Baughman RP, Drent M, Kavuru MS, et al.<br />
Infliximab therapy in patients with chronic<br />
sarcoidosis and pulmonary involvement. Am J<br />
Respir Crit Care Med 2006; 174: 795-802<br />
17. Saleh S, Ghodsian S, Yakimova V, et al. Effectiveness<br />
of infliximab in treating selected<br />
patients with sarcoidosis. Respir Med 2006; 100:<br />
2053-9 .<br />
18. Meyerle JH, Shoor A. The use of infliximab in<br />
cutaneous sarcoidosis. J Drugs Dermatol 2003;<br />
2:413-14.<br />
19. Baughman RP, Bradley DA, Lower EE. Infliximab<br />
for ocular chronic inflammation. Int J Clin<br />
Pharmacol Therapy 2005; 43: 7-11<br />
20. Sollberger M, Fluri F, Baumann T. Successful<br />
treatment of steroid refractory neurosarcoidosis<br />
with infliximab. J Neurol 2004; 251: 760-1<br />
21. Kobylecki C, Shaunak S. Refractory neurosarcoidosis<br />
responsive to infliximab. Pratical Neurol<br />
2007; 7: 112-5<br />
22. Moravan M, Segal BM. Treatment of CNS<br />
sarcoidosis with infliximab and mycophenolate<br />
mofetil. Neurol 2009; 72: 337-40<br />
23. Rossman M, Newman LS, Baughman RP, et al.<br />
A double-blind, randomized, placebo-controlled<br />
trial of infliximab in subjects with active pulmonary<br />
sarcoidosis. Sarc Vasc Diffuse Lung Dis<br />
2006; 23: 201-8<br />
24. Judson MA, Baughman RP, Costabel U, et al.<br />
Efficacy of infliximab in extrapulomary sarcoidosis:<br />
results from a randomized trial. Eur<br />
Respir J 2008; 31: 1189-96<br />
25. Wells AU. Infliximab in extrapulmonary sarcoidosis:<br />
tantalising but inconclusive. Eur Respir J<br />
2008; 31: 1148-9<br />
26. Moreland LW, Schiff MH, Baumgartner SW.<br />
Etanercept therapy in rheumatoid arthritis: a<br />
randomized, controlled trials. An Intern Med<br />
1999; 130: 478-86
C. Raimondi et al.: Sarcoidosi 249<br />
27. Khanna D, Liebling M, Louise JS. Etanercept<br />
ameliorates sarcoidosis arthritis and skin disease.<br />
J Rheumatol 2003; 30: 1864-67<br />
28. Utz JP, Limper AH, Kalra S, et al. Etanercept<br />
for the treatment of stage II and III progressive<br />
pulmonary sarcoidosis. Chest 2003; 124: 177-85<br />
29. Baughman RP, Lower EE, Bradley DA, et al.<br />
Etanercept for refractory ocular sarcoidosis: results<br />
of a double-blind randomized trial. Chest<br />
2005; 128: 1062-47<br />
30. Hobbs K. Chronic sarcoid arthritis treated with<br />
intraarticular etanercept. Arthritis Rheum<br />
2005; 52: 987-8<br />
31. Sweiss NJ, Welsch MJ, Curran JJ, Ellman MH.<br />
Tumor necrosis factor inhibition as a novel<br />
treatment for refractory sarcoidosis. Arthritis<br />
Rheum 2005; 53: 788-91<br />
32. Baker DE. Adalimumab: human recombinant<br />
immunoglobulin G1 anti- tumor necrosis factor<br />
monoclonal antibody. Rev Gastroenterol Disord<br />
2004; 4: 196-210<br />
33. Philips MA, Lynch J, Azmi FH. Ulcerative cutaneous<br />
sarcoidosis responding to adalimumab.<br />
Acad Dermatol 2005; 53: 917<br />
34. Hefferman MP, Smith DI. Adalimumab for<br />
treatment of cutaneous sacoidosis. Arch Dermatol<br />
2006; 142; 17-9<br />
35. Callejas-Rubio JL, Ortego-Centeno N, Lopez-<br />
Perez L, et al. Treatment of therapy- resistant<br />
sarcoidosis with adalimumab. Clin Reumatol<br />
2005; 1-2<br />
36. Keane J, Gershon S, Wise RP. Tuberculosis associated<br />
with infliximab, a tumor necrosis factor<br />
α neutralizing agent. N England J Med 2001;<br />
345: 1098-1104<br />
37. Efde M, Houtman PM, et al. Tonsillar tuberculosis<br />
in a rheumathoid arthritis patient receiving<br />
anti TNF α(adalimumab) treatment. Neth J<br />
Med 2005; 63:112-4<br />
38. Slifman NR, Gershon SK, Lee JH, et al. Listeria<br />
monocytogenes infection as a complication of<br />
treatment with tumor necrosis factor α neutralizing<br />
agents. Arthritis Rheum 2003; 48: 319-24<br />
39. Ramos-Casals M, Brito-Zeron P, Munoz S. Autoimmune<br />
disease induced by TNF-targeted<br />
therapies: analysis of 233 cases. Medicine Baltimore<br />
2007; 86: 242-51<br />
40. O’Shea FD, Marras TK, Inman RD. Pulmonary<br />
sarcoidosis developing during infliximab therapy.<br />
Arth Rheum 2006; 15: 978-81<br />
41. Toussirot E, Pertuiset E, et al. Sarcoidosis occurring<br />
during anti-TNF-alpha treatment for<br />
inflammatory rheumatic diseases: report of two<br />
cases. Clin Exp Rheumatol 2008; 26: 471-5<br />
42. Massara A, Cavazzini L, La Corte R, et al. Sarcoidosis<br />
appearing during anti tumor necrosis<br />
factor α therapy: a new “class effect” paradoxical<br />
phenomenon. Two case reports and literature<br />
review. Semin Arth Rheum 2009. (articolo in<br />
stampa)<br />
43. Ishiguro T, Takayanagy N et al. Development<br />
of sarcoidosis during etanercept therapy. Inter<br />
Med 2008; 47: 1021-1025<br />
44. Denys BG, Bogaerts Y, Coenegrachts KL, et al.<br />
Steroid-resistant sarcoidosis: is antagonism of<br />
TNF alpha the answer? Clin Sci 2007; 112: 281-9<br />
45. Chung ES, Paker M, Lo KH. Randomized, double<br />
blind, placebo-controlled, pilot vtrial of infliximab,<br />
a chimeric monoclonal antibody to TNF<br />
alpha, in patients with moderate to severe heart<br />
failure: results of anti TNF therapy against congestive<br />
heart failure trial. Circulation 2003; 107:<br />
3133-40<br />
46. Paramonthayan S, Lasserson T. Treatments for<br />
pulmonary sarcoidosis. Resp Med 2008; 102: 1-<br />
9<br />
47. Tavares JL, Wangoo A, Dilworth P, et al. Thalidomide<br />
reduces tumour necrosis factor-alpha<br />
production by human alveolar macrophages.<br />
Respir Med 1997; 91: 31-9<br />
48. Ye Q, Chen B, Tong Z, et al. Thalidomide reduces<br />
IL-18, IL-8 and TNF-alpha release from<br />
alveolar macrophages in interstitial lung disease.<br />
Eur Respir J 2006; 26: 824-31<br />
49. Carlesimo M, Giustini S, Rossi A,et al. Treatment<br />
of cutaneous and pulmonary sarcoidosis<br />
with thalidomide. J Am Acad Dermatol 1995;<br />
32: 866-9<br />
50. Baughman RP, Judson MA, Teirstein AS, et al.<br />
Thalidomide for chronic sarcoidosis. Chest 2002;<br />
122: 227-32<br />
51. Judson MA, Silvestri J, Hartung C, et al. The<br />
effect of thalidomide on corticosteroid dependent<br />
pulmonary sarcoidosis. Sarc Vasc Diffuse Lung<br />
Dis 2006; 23: 51-7<br />
52. Marriott JB, Dredge K, Dalgreish AG. Thalidomide<br />
derived immunomodulatory drugs (ImiDs)<br />
as potential therapeutic agents. Curr Drug Targets<br />
Immune Endocr Metabol Disord 2003; 3:<br />
181-6<br />
53. Marques LJ, Zheng L, Poulakis N, Guzman<br />
J, Costabel U. Pentoxifylline inhibits TNFα<br />
production from alveolar macrophages. Am J<br />
Respir Crit Care Med 1999; 159: 508-11<br />
54. Tong Z, Dai H, Chen B, et al. Inhibition of<br />
cytokine release from alveolar macrophages in<br />
pulmonary sarcoidosis by pentoxifylline: comparison<br />
with dexamethasone. Chest 2004; 124:<br />
1526-32<br />
55. Zabel P, Entzian P, Dalhoff K, et al. Pentoxifylline<br />
in treatment of sarcoidosis. Am J Crit Care<br />
Med 1997; 155: 1665-9<br />
56. Doherty CB, Rosen T. Evidence-based therapy<br />
for cutaneous sarcoidosis. Drugs 2008; 68:1361-<br />
83<br />
57. Manganiello VC, Park MK, Stylianou M, et al. A<br />
randomized trial of pentoxifylline in pulmonary<br />
sarcoidosis. American Thoracic Society 2005<br />
international conference, San Diego, California,<br />
2005; A14
Gestione e organizzazione sanitaria<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI<br />
San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong><br />
Volume 11, Numero 4, Ottobre - Dicembre 2009<br />
SALUTE GLOBALE: I DETERMINANTI DELLA SALUTE E LE<br />
CONCLUSIONI DEL RAPPORTO DELL’OMS A CURA DELLA<br />
COMMISSIONE SUI DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE<br />
GLOBAL HEALTH: HEALTH DETERMINANTS AND THE FINAL REPORT<br />
BY WHO’S COMMISSION ON SOCIAL DETERMINANTS OF HEALTH<br />
CARLO RESTI<br />
U.O Sanità Internazionale e Cooperazione Direzione Generale,<br />
<strong>Azienda</strong> <strong>Ospedaliera</strong> S. <strong>Camillo</strong>-<strong>Forlanini</strong>, Roma<br />
Parole chiave: Salute Globale. Determinanti della salute. Diseguaglianze in salute. Politiche<br />
socio-sanitarie<br />
Key words: Global health. Determinants of health. Inequalities in health. Social and health<br />
system policies<br />
«Le disuguaglianze di salute sono una<br />
questione di vita e di morte, ma i sistemi<br />
sanitari non tendono per loro natura all’uguaglianza.<br />
L’assistenza primaria è la<br />
cornice migliore in cui agire per fare in<br />
modo che tutti gli attori, anche al di fuori<br />
del settore sanitario, esaminino il loro impatto<br />
sulla salute». Così ha commentato<br />
Margareth Chan, direttore dell’Organizzazione<br />
Mondiale della Sanità (OMS/WHO)<br />
alla presentazione del rapporto finale della<br />
commissione dell’OMS sui determinanti<br />
sociali della salute, composta da “decision<br />
makers”, accademici, ex-capi di Stato ed<br />
ex-ministri della salute. La commissione<br />
ha lavorato per tre anni sul tema dei determinanti<br />
sociali della salute, e ad agosto<br />
2008 ha pubblicato i suoi risultati in un<br />
rapporto di 246 pagine (Fig.1) intitolato<br />
“Closing the Gap in a Generation: Health<br />
Equity through Action on the Social Determinants<br />
of Health”. 1<br />
La Commissione ha descritto e documentato<br />
senza reticenze come l’ingiustizia<br />
sociale “uccide su larga scala”, con toni<br />
più in uso da parte di sociologi e politici<br />
che da parte di professionisti della salute,<br />
invitando la comunità internazionale ad<br />
annullare questo divario sociale nel corso<br />
di una generazione.<br />
Fig.1
C. Resti: Salute globale 251<br />
Ma ci pare evidente come questo messaggio,<br />
che mette in luce le ingiustizie e le<br />
diseguaglianze in salute e nell’accesso ai<br />
servizi sanitari dei Paesi ricchi come dei<br />
Paesi poveri, non può non toccare le coscienze<br />
e l’operato di chi si dedica all’assistenza<br />
e alle cure dei malati nell’ospedale<br />
e sul territorio.<br />
Lo stato di salute di un individuo e più<br />
estesamente di una comunità o di una popolazione<br />
è influenzato, determinato, da<br />
molteplici fattori.<br />
Lo studio dei determinanti della salute<br />
costituisce la base e la sostanza della<br />
sanità pubblica, perché consente di analizzare<br />
e possibilmente modificare attraverso<br />
opportune politiche di contrasto, i fattori<br />
che influenzano l’insorgenza e l’evoluzione<br />
delle malattie.<br />
Per descriverli in modo sintetico, ma<br />
comprensivo, si può fare riferimento a tre<br />
diversi modelli 2,3,4 .<br />
Un primo modello, che rispecchia l’enfasi<br />
che negli Stati Uniti viene posta nella<br />
responsabilità individuale nei confronti<br />
della salute e delle malattie, attribuisce<br />
per il 50% lo stato di salute delle persone<br />
ai loro comportamenti e stili di vita (vedi<br />
“slide 1”), dando molto meno importanza<br />
ad altri fattori.<br />
Un secondo modello, di scuola nord europea,<br />
è un modello molto più articolato e<br />
complesso del precedente. Parte dai determinanti<br />
più prossimi ed individuali che si<br />
esprimono nel genoma: età, sesso, fattori<br />
costituzionali e genetici che si trovano al<br />
centro di uno schema “a cipolla”. Poi vi<br />
sono i fattori relativi agli stili di vita dell’individuo<br />
che possono influire sulla sua<br />
salute. Qui si possono considerare sia i<br />
consumi voluttuari (alcool, droghe, tabacco,<br />
etc.) sia i comportamenti individuali<br />
(sessuali, alimentari, di esercizio fisico,<br />
di mobilità nell’ambiente, di personalità,<br />
etc.). Poi, mano a mano più distali, ma<br />
non per questo meno influenti, vi sono i<br />
“networks” sociali e di comunità che un<br />
individuo si sceglie oppure subisce. Ad<br />
esempio hanno una importanza crescente<br />
secondo gli studi i primi anni di vita, la<br />
cosiddetta “early life”. Poi si incontrano<br />
fattori più facilmente individuabili e studiabili<br />
anche singolarmente, che possono<br />
essere: il reddito; il livello di istruzione;<br />
l’accesso ai servizi sanitari di base, l’abitazione<br />
e i luoghi di vita; l’ambiente di<br />
lavoro come salubrità fisica e come “clima”<br />
entro cui si svolgono tutte le attività lavorative;<br />
la disoccupazione; l’acqua potabile;<br />
le disponibilità alimentari. Infine occorre<br />
tener conto di determinanti relativi al contesto<br />
generale socioeconomico e culturale<br />
nel quale si vive e all’ambiente nel quale<br />
si nasce e si cresce anche all’interno della<br />
stessa città (vedi “slide 2”).<br />
Il terzo modello è proposto in una<br />
originale cornice concettuale proprio dalla<br />
Commissione sui Determinanti Sociali<br />
della Salute e comprende non solo i fattori<br />
che influenzano lo stato di salute degli<br />
individui e delle comunità, ma anche i fattori<br />
coinvolti nella distribuzione diseguale<br />
della salute all’interno di una popolazione<br />
(vedi “slide 3”).<br />
Slide 1. Determinanti della salute (USA) Slide 2. Determinanti della salute (Europa)
252 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
Slide 3. Commission on Social Determinants of<br />
Health conceptual framework<br />
Si evidenziano tutti i fattori che a diverso<br />
titolo hanno un impatto sulla distribuzione<br />
di benessere e salute: da sinistra a destra<br />
nello schema, il contesto politico e socioeconomico,<br />
la posizione sociale (determinanti<br />
strutturali) e le condizioni di vita e di lavoro,<br />
i comportamenti individuali, i fattori<br />
biologici e l’influenza su questi del sistema<br />
sanitario (determinanti intermedi).<br />
In sanità pubblica vi sono dunque due<br />
orientamenti nell’approccio ai problemi<br />
di salute della collettività: un approccio<br />
socio-strutturale, di tipo “politico”, che<br />
studia argomenti come le disuguaglianze,<br />
le povertà, con finalità di integrare il più<br />
possibile gli interventi con gli altri settori<br />
che hanno influenza sulla salute e un approccio<br />
agli stili di vita di tipo “tecnico”,<br />
che analizza i rischi individuali causati<br />
dai differenti stili di vita con finalità di<br />
prevenzione dei gruppi a rischio.<br />
In particolare la scuola inglese, ha sviluppato<br />
l’approccio socio-strutturale studiando<br />
i vari aspetti della povertà. Secondo<br />
questa scuola 5 la carenza di reddito,<br />
considerata come povertà (economica e di<br />
mezzi) presenta due facce: “carenti condizioni<br />
materiali” e “mancanza di partecipazione<br />
sociale”. In sostanza, oltre una<br />
certa soglia di reddito procapite, non sono<br />
più le differenze nelle condizioni materiali<br />
(strutturali) come acqua pulita, adeguata<br />
nutrizione, accesso ai servizi di base, etc.<br />
che si correlano con differenze nello stato<br />
di salute, bensì entrano in gioco diversi<br />
fattori “sociali” che potrebbero causare disuguaglianze<br />
nella salute all’interno della<br />
stessa nazione (esempio dei paesi ricchi)<br />
in relazione ad opportunità differenti che<br />
favoriscono la partecipazione sociale, la<br />
soddisfazione di una vita in “pienezza”, un<br />
controllo maggiore sulla propria esistenza.<br />
In conlusione si può affermare che<br />
secondo la teoria socio-strutturale, circostanze<br />
economiche e sociali possono avere<br />
influenza sullo stato di salute attraverso<br />
effetti fisiologici derivanti da moventi<br />
emozionali e sociali, sia da effetti diretti<br />
causati da circostanze strutturali (materiali).<br />
Le disuguaglianze all’interno dei<br />
Paesi<br />
Le disuguaglianze sanitarie fra i Paesi<br />
sono studiate da tempo, ma la commissione<br />
evidenzia ora anche quelle presenti<br />
all’interno dei singoli Paesi: c’è un legame<br />
diretto fra reddito e salute, chiamato gradiente<br />
sociale, presente non solo nei Paesi<br />
in via di sviluppo, ma anche nei più ricchi.<br />
Il gradiente sociale può essere più o meno<br />
marcato, ma è un fenomeno universale.<br />
Per esempio:<br />
• in Indonesia la mortalità materna nelle<br />
fasce povere è 3-4 volte maggiore rispetto<br />
alle fasce ricche;<br />
• la mortalità infantile negli slum di<br />
Nairobi è 2,5 volte superiore rispetto ad<br />
altre zone della città;<br />
• l’aspettativa di vita di un aborigeno<br />
maschio australiano è minore di 17<br />
anni rispetto a un maschio australiano<br />
non aborigeno;<br />
• negli Stati Uniti, fra il 1991 e il 2000,<br />
886.202 morti si sarebbero potute evitare<br />
se gli afroamericani avessero avuto<br />
lo stesso tasso di mortalità dei bianchi<br />
(nello stesso periodo, le vite salvate negli<br />
Stati Uniti grazie ai progressi della<br />
medicina sono state in tutto 176.633).<br />
Il benessere non è necessariamente<br />
un determinante<br />
La crescita economica, in atto in molti<br />
Paesi, da sola non sempre basta a migliorare<br />
la salute della popolazione: senza<br />
un’equa distribuzione dei benefici, la<br />
crescita economica può anzi esacerbare le
C. Resti: Salute globale 253<br />
disuguaglianze. D’altra parte, alcuni Paesi<br />
a basso reddito hanno raggiunto buoni<br />
livelli sanitari: per esempio Cuba, Costa<br />
Rica, Cina, Sri Lanka e lo Stato indiano<br />
del Kerala.<br />
La commissione ha sottolineato che il<br />
benessere deve essere usato con giudizio e<br />
ha portato, come esempio di eccellenza da<br />
seguire in tutto il mondo, i Paesi dell’Europa<br />
settentrionale, che hanno sviluppato<br />
politiche per l’uguaglianza dei benefici e<br />
dei servizi, la piena occupazione e l’integrazione<br />
di una società multietnica per<br />
eccellenza, la parità fra i sessi e un basso<br />
livello di emarginazione sociale.<br />
Secondo la commissione, buona parte<br />
del lavoro di riduzione delle disuguaglianze<br />
è al di là delle possibilità del settore<br />
sanitario: la causa di molte malattie non<br />
è la mancanza di antibiotici, ma di acqua<br />
pulita, e le malattie cardiache non dipendono<br />
tanto dalla scarsità di unità coronariche,<br />
quanto dagli stili e dagli ambienti di<br />
vita. Di conseguenza, il settore sanitario<br />
deve attirare l’attenzione sulle cause alla<br />
radice delle disuguaglianze.<br />
«Ci affidiamo troppo agli interventi<br />
medici. Un modo migliore per aumentare<br />
l’aspettativa di vita e migliorare la qualità<br />
della vita sarebbe l’adozione, da parte<br />
di ogni governo, di politiche e programmi<br />
per la salute e l’uguaglianza sanitaria», ha<br />
commentato Michael Marmot, presidente<br />
della Commissione.<br />
Le raccomandazioni della Commissione<br />
La Commissione ha formulato tre raccomandazioni<br />
generali per contrastare gli<br />
effetti delle disuguaglianze:<br />
• migliorare le condizioni della vita quotidiana.<br />
In particolare, la Commissione<br />
richiama gli Stati ad agire e collaborare<br />
per l’infanzia, i rifornimenti di acqua<br />
pulita e la copertura universale dei sistemi<br />
sanitari;<br />
• contrastare, a livello globale, nazionale<br />
e locale, la distribuzione ingiusta del<br />
potere, del denaro e delle risorse, che<br />
sono i determinanti strutturali delle<br />
condizioni di vita. Ai Paesi più ricchi<br />
la commissione chiede di onorare l’impegno<br />
di dedicare lo 0,7% del prodotto<br />
nazionale lordo agli aiuti. A livello globale,<br />
raccomanda l’adozione dell’equità<br />
sanitaria come obiettivo centrale dello<br />
sviluppo, e dei determinanti sociali della<br />
salute come indice del progresso;<br />
• misurare e analizzare il problema e verificare<br />
l’impatto dell’azione. Per questo<br />
è necessario innanzitutto investire in sistemi<br />
di registrazione e nella formazione<br />
di decisori e professionisti sanitari.<br />
«Un crimine non agire»<br />
«Un mondo più giusto sarebbe un mondo<br />
più sano. I servizi sanitari e gli interventi<br />
medici sono solo uno dei fattori che<br />
influenzano la salute della popolazione.<br />
L’aumento delle disuguaglianze sanitarie<br />
è un fenomeno presente nei Paesi a medio-basso<br />
reddito ma anche in Europa. Sarebbe<br />
un crimine non intraprendere tutte<br />
le azioni possibili per contrastarlo», ha<br />
affermato Giovanni Berlinguer, membro<br />
della commissione, deputato al Parlamento<br />
europeo ed ex-componente del Comitato<br />
internazionale di bioetica dell’Unesco.<br />
Un altro membro della Commissione,<br />
Amartya Sen, professore di Economia e di<br />
Filosofia ad Harvard e premio Nobel per<br />
l’Economia nel 1998, ha invece dichiarato:<br />
«L’obiettivo primario dello sviluppo, per<br />
ogni singolo Paese e per il mondo in generale,<br />
è l’eliminazione delle limitazioni che<br />
impoveriscono la vita delle persone e ne riducono<br />
la durata. La causa fondamentale<br />
della deprivazione umana è l’impossibilità<br />
di vivere vite lunghe e in salute, e questo<br />
è molto più che un problema medico: è<br />
legato agli svantaggi che hanno profonde<br />
radici sociali».<br />
Conclusioni<br />
Anche se si avverte la necessità di ulteriori<br />
studi, le conoscenze attuali sono<br />
sufficienti per avviare l’azione. In 30 anni<br />
l’Egitto ha ridotto la mortalità infantile dal<br />
235 per mille al 33 per mille, e la Grecia e<br />
il Portogallo dal 50 per mille sono arrivati<br />
quasi ai livelli di Svezia, Islanda e Giappo-
254 Annali degli Ospedali San <strong>Camillo</strong> e <strong>Forlanini</strong> 11, 4, 2009<br />
ne. Nel 2000, Cuba ha raggiunto una copertura<br />
del 99% dei servizi per l’infanzia.<br />
La Commissione ha già messo in moto<br />
azioni concrete in diverse parti del mondo:<br />
Brasile, Canada, Svezia, Regno Unito,<br />
Kenya, Iran, Mozambico, Cile e Sri Lanka<br />
sono diventati “Paesi partner” della Commissione<br />
impegnandosi a far progredire<br />
l’equità sanitaria, e stanno già sviluppando<br />
politiche in proposito. Questi esempi<br />
dimostrano che se c’è la volontà politica<br />
il cambiamento è possibile. La strada da<br />
fare è ancora lunga ma, secondo la Commissione,<br />
la direzione è stata fissata e il<br />
percorso è chiaro. L’Oms metterà il rapporto<br />
a disposizione degli Stati membri,<br />
che decideranno come le rispettive Agenzie<br />
sanitarie dovranno rispondere.<br />
Bibliografia<br />
1. CSDH (2008) Closing the gap in a generation:<br />
health equity through action on the social determinants<br />
of health. Final Report of the Commission<br />
on Social Determinants of Health. Geneva,<br />
World Health organization<br />
2. Institute for the future (IFTF), Health and<br />
Health care 2010. The forecast, The challenge.<br />
Jossey-Bass, Princeton 2003<br />
3. Dahlgren G, Whitehead M, Policies and strategy<br />
to promote social equity in health. Stockholm:<br />
Institute of Future Studies, 1991<br />
4. CSDH. A conceptual framework for Action on<br />
the Social Determinants of Health. Discussion<br />
paper (Final Draft), April 2007<br />
5. Marmot M , The influence of income on health:<br />
views of an epidemiologist, Health Affairs March/April<br />
2002<br />
Per corrispondenza e richiesta estratti:<br />
Dott. Carlo Resti,<br />
Via Cassia 603, 00189 ROMA<br />
E mail: cresti@scamilloforlanini.rm.it
Società editrice UniverSo S.r.L.<br />
Via G.B. Morgagni 1 - 00161 Roma<br />
Tel. 064402053/4 - 0644231171 - 0664503500 – Fax 064402033<br />
E-mail: amministrazione@seu-roma.it - Indirizzo Web: http://www.seu-roma.it<br />
GRUPPO PERIODICI<br />
LA CLINICA TERAPEUTICA: Rivista bimestrale di clinica e terapia medica, diretta da Pietro Cugini e Massimo<br />
Lopez.<br />
MEDICINA PSICOSOMATICA: Rivista trimestrale di medicina psicosomatica, psicologia clinica e psicoterapia,<br />
diretta da Massimo Biondi, redatta da Roberto Delle Chiaie.<br />
ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITà: Rivista bimestrale, diretta da G.M. Fara, A.<br />
Gullotti, V. Leoni, A. Panà, A. Simonetti D’Arca.<br />
ZACCHIA - Archivio di Medicina Legale, sociale e criminologica: Rivista trimestrale, diretta da Ferdinando<br />
Antoniotti, Paolo Arbarello, Luigi Macchiarelli, Silvio Merli.<br />
LA CLINICA TERMALE: Rassegna trimestrale di idrologia e climatologia medica, fondata da Mariano Messini.<br />
SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE: Rivista trimestrale, diretta da V. M. Saraceni.<br />
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES: Rivista quadrimestrale di ricerca infermieristica, diretta da<br />
Paola Binetti.<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI SAN CAMILLO E FORLANINI: Rivista trimestrale, diretta da Franco Salvati.<br />
ABBONAMENTI ANNO 2010<br />
Italia Estero + sp.Postali<br />
Euro Euro Euro<br />
LA CLINICA TERAPEUTICA 56,00 112,00 + 32,00<br />
LA CLINICA TERAPEUTICA ... on-line 45,16 + Iva 20% 45,16<br />
MEDICINA PSICOSOMATICA 45,00 90,00 + 20,00<br />
MEDICINA PSICOSOMATICA ... on-line 38,00 + Iva 20% 38,00<br />
ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITà 69,00 138,00 + 32,00<br />
ANNALI DI IGIENE .... on-line 55,16 + Iva 20% 55,16<br />
ZACCHIA 50,00 100,00 + 32,00<br />
ZACCHIA ...... on line 39,00 + Iva 20% 39,00<br />
LA CLINICA TERMALE 32,00 64,00 + 20,00<br />
SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE 39,00 78,00 + 20,00<br />
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES 33,00 66,00 + 17,00<br />
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES ..... on line 24,00 + Iva 20% 24,00<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (Istituzionale) 100,00 200,00 + 20,00<br />
ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (privato) 73,00 146,00 + 20,00<br />
Il pagamento può essere effettuato mediante versamento sul conto corrente postale N° 925008, a mezzo vaglia postale o assegno<br />
bancario intestati alla Società Editrice Universo - via G. B. Morgagni, 1 - 00161 Roma, a mezzo bonifico bancario c/o<br />
UNICREDIT BaNCa DI IMpRESa - Via Bari 11 - Roma - IBaN IT51F0322603204000004119717 -<br />
MONTE DEI paSCHI DI SIENa - aG. 90 - IBaN IT84R0103003268000001001854 -<br />
o a mezzo carta di credito: Visa - Cartasì - american Express.<br />
I supplementi di ogni rivista si spediscono in contrassegno su richiesta al prezzo di euro 25,00 + 5,00 euro di spese<br />
spedizione.<br />
I fascicoli non pervenuti all'abbonato devono essere richiesti entro 30 giorni dalla ricezione del fascicolo successivo, decorso tale<br />
termine si spediscono, se disponibili, soltanto dietro pagamento.<br />
per altre informazioni rivolgersi a: Società Editrice Universo, Via Morgagni 1, 00161 Roma<br />
Tel. 064402054 - 064402053 - 0644231171 - 0664503500 - Fax 064402033 - E-mail: amministrazione@seu-roma.it<br />
PER GLI ABBONAMENTI SI RICHIEDE IL PAGAMENTO ANTICIPATO<br />
a RICHIESTa SI INVIaNO FaSCICOLI DI SaGGIO