Padre Juan come arepa - Rauscedo.org
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Chamil divenne un punto di influenza: ancor oggi vi accorrono in<br />
diverse occasioni gli abitanti di altri dieci villaggi, soprattutto per le<br />
celebrazioni religiose.<br />
Con l’aiuto degli stessi paesani, P. <strong>Juan</strong> vi attrezzò una casetta, nella<br />
quale si poteva stare alla meno peggio. Non vi risiedeva stabilmente,<br />
ma si può dire che non passavano tre settimane senza che vi arrivasse<br />
lui o un altro sacerdote per celebrare la messa e per la catechesi ai bimbi<br />
e agli adulti.<br />
L’impresa più grandiosa compiuta dal P. <strong>Juan</strong> D’Andrea negli<br />
anni in cui lavorò in questa zona fu l’aver iniziato e portato quasi a<br />
compimento la costruzione di una strada di dieci chilometri, per dare<br />
uno sbocco a Chamil e ad altri dieci villaggi, mediante un raccordo con<br />
la strada che dalle miniere di Caquipec conduce a S. Pedro Carchá e<br />
a Cobán. Un’impresa ardita, che può essere considerata un’autentica<br />
avventura.<br />
Per un Ministero Nazionale delle Comunicazioni o per un’Impresa<br />
di Costruzioni è molto facile costruire dieci chilometri di strada, anche<br />
attraverso una regione montagnosa e rocciosa <strong>come</strong> quella dell’Alta<br />
Verapaz. Ma per un piccolo gruppo di missionari, che non possono<br />
fare assegnamento che sulla buona volontà di aiutare i poveri indigeni,<br />
l’impresa diventa una vera e propria avventura. Ma ogni missionario<br />
deve essere, poco o tanto, un pioniere, se non vuole lasciare le cose<br />
<strong>come</strong> le ha trovate.<br />
P. <strong>Juan</strong> D’Andrea soffriva nel vedere l’arretratezza e l’abbandono<br />
in cui vivevano gli indigeni di Alta Verapaz, e voleva fare qualcosa per<br />
lo sviluppo, sia pure minimo, dei territori abitati dai Kekchí. Nel 1969<br />
rientrò in Italia per rivedere i suoi cari, e per tre mesi andò viaggiando<br />
senza riposo per la penisola, bussando a molte porte e chiedendo aiuti<br />
per la Missione salesiana tra i Kekchí. Le sue premure e i suoi sforzi<br />
raggiunsero l’effetto desiderato: il Centro Internazionale di Aviazione<br />
e Motorizzazione Missionaria (CIAM) d’Italia donò alla Missione<br />
salesiana un trattore FIAT cingolato. Con l’aiuto dei Salesiani e dei<br />
benefattori degli Stati Uniti, acquistò un piccolo compressore. In<br />
Guatemala chiese al Ministero delle Comunicazioni che gli fornisse<br />
operai specializzati per le macchine e a quello delle Finanze che gli<br />
concedesse l’esonero dalle tasse sul combustibile. Scrisse una quantità<br />
di lettere e fece mille giri, ma infine riuscì a ottenere quello che<br />
desiderava.<br />
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