La dematerializzazione contemporanea delle superfici
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Il crollo di un muro, così come la fine di una lite o di una controversia, non è veramente una<br />
fine, ma piuttosto un inizio nel quale i partecipanti sono costretti di trovare o spesso accettare<br />
un nuovo equlibrio. Si tratta di un lavoro difficile. Spesso e volentieri chi si rallegra del crollo<br />
dimentica questo aspetto, o meglio, lo vuole dimenticare, non lo vuole vedere. Probabilmente<br />
perché chi si deve adattatare prima ma o poi fa <strong>delle</strong> domande o non dimentica<br />
perché il muro in questione era stato costruito.<br />
Ma prima o poi i problemi tornano, come è il caso per la crescente disuguaglianza e<br />
l’indifferenza per i socialmente esclusi. E non è sicuro che noi siamo in grado di affrontarli<br />
in modo tale per evitare che vengano costruiti nuovi muri, i quali forse assumeranno forme<br />
diverse, ma saranno pur sempre dei muri.<br />
I muri di mattoni o di cemento sono certamente più visibili, ma non per questo i muri<br />
mentali sono meno pesanti. Anzi sono questi ultimi che spesso portano alla costruzione dei<br />
primi quando tutte le altre soluzioni per la convivenza vengono scartate. Ed eccoci: il muro è<br />
simbolo di una sconfitta, di una rottura pesante, di un’incapacità di dialogo.<br />
Intendiamoci bene, non parliamo di un dialogo semplice, perché si confrontano interessi<br />
conflittuali ed il massimo che si può raggiungere è un buon compromesso. Battere la porta,<br />
uscire gridando o cercarsi addirittura un altro partner per scappare dalle difficoltà (e ogni<br />
tanto dalle incoerenze personali) sono fenomeni che conosciamo bene nel nostro piccolo.<br />
Ma i muri, le barriere, le differenze erette e mantenute durante la storia cos’altro sono se non<br />
dimostrazioni della stessa incapacità umana di creare un mondo nel quale tutti gli attori<br />
coinvolti vengono rispettati?<br />
Blu<br />
(Spain)<br />
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