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Sudtirolo<br />

Il cammino degli eredi<br />

Francesco Bocchetti<br />

Gianni Zotta<br />

prefazione di Enrico Camanni


Testi di Francesco Bocchetti<br />

Fotografie di Gianni Zotta<br />

Prefazione di Enrico Camanni<br />

Schede architettoniche a cura di Anna Grandi<br />

Progetto grafico di Andrea Mubi Brighenti<br />

Le immagini in bianco e nero alle pagine 96, 98, 126 e 181 sono riprodotte con autorizzazione<br />

di: Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, Rip.14, Ufficio Audiovisivi. Fotografo Flavio<br />

Faganello.<br />

Si ringraziano:<br />

Diego Andreatta, Silvia Angeli, Annamaria Brigadoi, Tarcisio Grandi, don Oswald Kuenzler, Arnold<br />

Lösch, Johann Mair, Giovanni Zoppoli, tutti i residenti e le persone incontrate durante il nostro<br />

viaggio nei masi per la collaborazione offerta nella realizzazione di questo volume.


Sommario<br />

Prefazione 7<br />

Introduzione 13<br />

Primo incontro – Maso Egg 31<br />

Il Bauer – Maso Vorra 41<br />

A scuola – Maso Grub 49<br />

Il meleto – Maso Lint 59<br />

Una sigaretta – Maso Löcher 65<br />

La nuova casa – Maso Greit 73<br />

Di padre in figlio – Maso Stallwies 81<br />

Nella nebbia – Maso Mitterhofer 87<br />

L’incendio – Maso Troter 95<br />

Soli – Maso Plank 103<br />

Epoche – Maso Finail 109<br />

Il Santo – Maso Raffein 117<br />

Dalla finestra – Maso Laseider 123<br />

Croci – Maso Holzer 131<br />

Trecento pecore – Maso Viertler 139<br />

Fuori programma – Casa Perger 147<br />

I bambini – Maso Wiesfleck 157<br />

Il pane– Maso Zernbrigl 165<br />

La falciatrice – Maso Kaarmann 173<br />

La regina del maso – Maso Hochstranser 179<br />

Processioni – Maso Paulheiss 187<br />

In Europa – Maso Kofler zwischen Wänden 197<br />

Epilogo 205<br />

Appendice – Architettura dei masi 211


Prefazione<br />

di Enrico Camanni<br />

Ormai ovunque, anche nei luoghi più insospettati, la montagna del terzo<br />

millennio mescola il vecchio e il nuovo. Le valli sono un impasto di tradizione<br />

e modernità, un mondo fragile e complesso che si trova davanti a scelte<br />

difficili e decisive, ma soprattutto lontane dai modi classici di pensare le Alpi,<br />

i montanari, le terre alte. Paradossalmente la sopravvivenza della tradizione<br />

dipenderà dalla sua capacità di evolvere e dalla disponibilità a macchiarsi<br />

con culture diverse, difendendo i valori irrinunciabili e accantonando gli altri,<br />

discutendo e imparando le due lingue del pianeta: quella locale e quella<br />

del mondo globale e globalizzato. Pena la museificazione o l’estinzione.<br />

La cultura alpina ha bisogno della cultura della città (ampiezza di visione,<br />

capacità di programmazione), così come i cittadini hanno bisogno<br />

delle montagne per ritrovare cieli liberi e tempi liberati. Il mondo è uno<br />

solo, ormai, declinato nelle concentrazioni abitative delle metropoli, nei distretti<br />

industriali, nelle campagne agricole, nei rarefatti avamposti dell’arco<br />

alpino.<br />

Se guardiamo all’altro capo delle Alpi, in Valle d’Aosta, scopriamo che<br />

7


uno dei caposaldi della cultura e dell’economia locale, riflesso nello stereotipo<br />

della vache, del malgaro e della fontina, è stato silenziosamente sradicato<br />

dalla progressiva indisponibilità dei giovani a fare il lavoro del pastore, nonostante<br />

i sussidi e le agevolazioni. In dieci anni i pastori magrebini hanno<br />

sostituito i valdostani, senza clamori e con ottimi risultati. Una rivoluzione<br />

antropologica che, in altri tempi, avrebbe richiesto l’uso dei forconi e della<br />

polvere da sparo.<br />

Se invece guardiamo ai masi del Sudtirolo utilizzando l’accurata ricerca<br />

di Francesco Bocchetti e Gianni Zotta, verifichiamo che un altro baluardo<br />

della civiltà e della mitologia alpina è in fase di rapida, anche se subliminale,<br />

trasformazione. Non è tanto lo stillicidio di giovani e meno giovani<br />

alpigiani verso i centri di valle, il rifiuto dei figli primogeniti maschi di farsi<br />

carico dell’eredità, il fastidio delle donne nel presidiare l’alta montagna, il<br />

passaggio dall’economia dell’autoconsumo all’economia del reddito, quanto<br />

– sottolinea Bocchetti – l’introduzione di una variabile eversiva: la variabile<br />

della scelta.<br />

Come ha scritto Hartmann Gallmetzer, “i giovani sanno che giù, nel<br />

fondovalle, li attende una vita “migliore” (nell’accezione oggi prevalente nella<br />

società), se proprio la vogliono. Basta scegliere… Per dirlo platealmente,<br />

hanno un futuro, anche se forse non è quello che, nel loro intimo, si erano<br />

immaginati, perché è un futuro che ha dei costi”.<br />

C’è una bella distanza dalle parole di Aldo Gorfer, che nell’accorata<br />

inchiesta sui masi di trentacinque anni fa annotava:<br />

“I masi di montagna sono un mondo a sé. Ognuno è simile a un veliero<br />

in viaggio nel mare. Un incredibile lungometraggio storico, una reliquia<br />

che ci scotta nelle mani. Inoltre, il sogno perduto che la malinconia e la<br />

noia della nostra civiltà vanamente rincorre… E così il burrone che separa<br />

questo misconosciuto terzo mondo dal nostro smog quotidiano minaccia di<br />

rimanere senza ponte”.<br />

Oggi il ponte è gettato, anche se per il turista ospite dell’agriturismo il<br />

maso resta un’architettura bella come allora, e se ci sono il telefono e la te-<br />

8


levisione è meglio, perché agevolano la vacanza senza togliere il silenzio,<br />

l’aria buona, i muggiti delle mucche, l’odore della stalla. E invece la televisione<br />

e internet hanno cambiato tutto, perché, appunto, hanno spiegato<br />

ai giovani “eredi” che la solitudine non è l’unico modo di vivere il proprio<br />

tempo ma ce ne sono degli altri, che andarsene è possibile ma è una scelta<br />

difficile, perché vuol dire lasciare un mondo conosciuto, sicuro, assestato,<br />

onorato, per affrontare l’incertezza.<br />

Naturalmente il futuro non prevede solo viaggi dall’alpe verso la<br />

città. Le Alpi e i masi che verranno possono contemplare anche viaggi e<br />

incertezze in senso contrario, di migranti che scelgono la montagna per<br />

necessità, oppure di gente satura di città che decide di salire alla ricerca di<br />

quegli stessi valori (o disvalori) che generavano la fuga dei valligiani.<br />

Dipende dallo sguardo. Così come i viaggi dei pionieri e degli innovatori,<br />

i valori possono avere due direzioni. Normalmente i montanari<br />

guardano alla montagna come a un’eredità del passato, talvolta amata e<br />

talvolta subita, ma dopo aver sperimentato i limiti dell’urbanizzazione si<br />

può cambiare prospettiva, leggendo nel mondo di ieri i segni del domani.<br />

9


Introduzione<br />

Durante l’inverno 1971-1972 il giornalista Aldo Gorfer e il fotografo Flavio<br />

Faganello intrapresero un viaggio per visitare alcuni tra i masi più sperduti<br />

e disagiati dell’Alto Adige. Frutto di questo viaggio fu un libro-inchiesta che<br />

fece scalpore. Il libro, intitolato Gli eredi della solitudine. Inchiesta sui masi del Sud<br />

Tirolo, mise a nudo la realtà dei contadini di montagna e delle loro condizioni<br />

di vita ancora legate a ritmi e comportamenti antichi, immutati da secoli.<br />

Il libro svelò l’esistenza, sconosciuta o volutamente ignorata dalla maggior<br />

parte dei lettori, di un mondo parallelo posto a poca distanza dai centri<br />

abitati ma in cui ancora vigevano usi e stili di vita medievali. I testi lirici e<br />

spietati di Gorfer imponevano all’attenzione del lettore la durezza della vita<br />

quotidiana nei masi chiusi e in particolare in quelli più poveri e più remoti.<br />

L’analisi di Aldo Gorfer mirabilmente corredata dalle fotografie di Flavio<br />

Faganello non lasciava allora molto spazio all’ottimismo. Solo l’eroismo,<br />

l’abnegazione e il senso della propria dignità impedivano agli abitanti dei<br />

masi di cedere alla disperazione, eppure anche la tenacia più ostinata era<br />

messa in difficoltà dal persistente immobilismo e dalla convinzione diffusa<br />

13


che non si potesse far nulla per cambiare la situazione.<br />

Trent’anni dopo il primo lavoro, lo stesso Faganello aveva fatto un nuovo giro a visitare i<br />

masi di un tempo, stavolta accompagnato dai funzionari del Bauernbund, per constatare i progressi<br />

fatti nel tempo nei “suoi” masi. La documentazione fotografica metteva in luce una situazione<br />

ormai stabilizzata in cui l’integrazione e la ricchezza avevano raggiunto anche i lembi<br />

più estremi della provincia e in cui i masi di montagna avevano semmai perso buona parte della<br />

loro antica identità per diventare simili al fondovalle. La modernità con le sue comodità e le sue<br />

piaghe aveva ormai avuto il sopravvento su ogni cosa.<br />

Gli eredi della solitudine è diventato un classico letto e studiato dagli etnografi, dai politici,<br />

dai sociologi, dagli architetti, dai tecnici e rappresenta un lavoro imprescindibile per chi voglia<br />

comprendere la storia e lo spirito sudtirolese.<br />

Nel tardo autunno del 2006 in un incontro informale nacque la proposta, da parte<br />

dell’allora Vicepresidente dell’Autostrada del Brennero, Tarcisio Grandi, di ripercorrere le vecchie<br />

strade dei masi, ma con un nuovo approccio, non condizionato dall’immagine preconcetta<br />

di un Sudtirolo lontano e diverso. Occhi trentini che potessero raccontare i volti e le storie dei<br />

loro cugini nobili del Nord, ma cresciuti fuori dalla logica stantia della contrapposizione e della<br />

diversità. Occhi nuovi per un Sudtirolo – e un Trentino – nuovi.<br />

Abbiamo quindi provato a ripetere l’esperienza di Gorfer e Faganello a trentacinque anni<br />

di distanza. Siamo partiti di slancio viaggiando in terzetto: gli autori e Tarcisio Grandi, che ha<br />

messo a disposizione il suo tempo, la macchina, i panini, idee ed esperienza in abbondanza e,<br />

fattore essenziale, la sua fiducia incondizionata nell’esito finale. Abbiamo fatto ogni cosa con<br />

la massima semplicità, senza pensare troppo a difficoltà e ostacoli. Una volta alla settimana,<br />

durante tutto l’inverno, si caricava la macchina con ogni cosa necessaria: il pranzo al sacco, le<br />

macchine fotografiche, le mappe e i libri. Siamo partiti di buon mattino come ai vecchi tempi.<br />

Ogni volta abbiamo visitato due o tre masi, orientandoci con il testo degli Eredi e con le carte<br />

Kompass.<br />

Questa volta, però, non abbiamo voluto essere accompagnati. Abbiamo sì chiesto una<br />

lettera di presentazione al presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder, ma non tanto<br />

perché la ritenessimo necessaria ai fini dell’inchiesta, quanto perché ci sembrava naturale in<br />

qualche modo farci riconoscere. Poi però non l’abbiamo mai usata, l’abbiamo soltanto sempre<br />

portata segretamente con noi come potente talismano invisibile.<br />

14


Non abbiamo faticato a raggiungere i masi: le strade salgono<br />

ovunque. Né abbiamo faticato a stabilire un contatto con le persone,<br />

un po’ perché tutti ormai studiamo le lingue straniere – chi<br />

l’italiano e chi il tedesco – un po’ perché l’ostilità si è progressivamente<br />

stemperata grazie alla conoscenza reciproca. Per scelta<br />

siamo sempre arrivati senza preavviso e senza accompagnatori,<br />

perché gli incontri avvenissero in modo spontaneo, non preparato,<br />

imprevedibile. Davanti a ogni maso abbiamo bussato, ci siamo<br />

presentati e abbiamo chiesto di raccontare e di mostrare le vecchie<br />

e le nuove case. Con il blocco degli appunti e il registratore si cercava<br />

di intavolare un dialogo, in tedesco, in italiano qualche volta,<br />

il più delle volte in una specie di lingua franca in cui le due lingue<br />

finivano per mescolarsi. Si metteva la macchina al sole e Tarcisio<br />

con il binocolo scrutava i pendii oppure tendeva l’orecchio per<br />

cogliere frammenti di conversazione. Dopo le visite e nei trasferimenti<br />

c’era il momento dell’analisi, ognuno raccontava le sue<br />

impressioni di fotografo, di ascoltatore, di osservatore. Ogni tanto<br />

la nostra compagnia si è allargata con ospiti che ci hanno accompagnato<br />

nelle nostre ascese e discese, tra loro anche Anna, che,<br />

colpita dalla bellezza e dalla suggestione dei luoghi, ha voluto dare<br />

il suo contributo visibile alla riuscita di questo lavoro, e Annamaria<br />

che anche se non ha lasciato nulla di scritto ha partecipato alle<br />

missioni aggiungendo il suo buonumore al nostro piccolo gruppo.<br />

Abbiamo visitato luoghi bellissimi e difficili, incontrato persone<br />

interessanti e profonde. In troppe occasioni è mancato il tempo<br />

per approfondire la conoscenza e i discorsi, ma anche questo<br />

fa parte della nuova realtà dei masi e dei ritmi di vita del ventunesimo<br />

secolo. La modernità non è solo questione di asfalti e di<br />

corrente elettrica, nei nuovi masi anche gli orologi hanno ripreso<br />

a correre.<br />

L’intenzione di questo volume non è proporre una replica<br />

o un seguito di un lavoro già fatto, né quella di fare un ulteriore<br />

aggiornamento delle vecchie immagini e dei vecchi pensieri. Que-<br />

16


sto volume nasce come progetto nuovo, che raccoglie una sfida<br />

lanciata dallo stesso Gorfer nel momento in cui, spingendosi lungo<br />

i sentieri più tortuosi, ricercava una via d’uscita per i suoi Eredi.<br />

Senza trovarla.<br />

Una via che fosse in grado di coniugare l’onore, il rispetto<br />

per se stessi, la dignità di popolo ed al tempo stesso restituisse<br />

alle persone il proprio futuro liberandole da quelle prigioni senza<br />

sbarre che erano diventate le loro stesse case. Il legame con la<br />

terra, sancito con la forza della legge dall’istituto del maso chiuso,<br />

non doveva diventare una gabbia da cui era impossibile uscire per<br />

mancanza di mezzi e prospettive.<br />

Il Cammino degli eredi è il racconto di quanto visto e sentito durante<br />

la visita a 21 masi di alta montagna sparsi in tutti gli angoli<br />

del Sudtirolo. Le impressioni sono raccolte in 21 capitoli, uno per<br />

ogni maso. Tutti questi, tranne uno, furono presi ad oggetto, trentacinque<br />

anni fa, dell’inchiesta di Aldo Gorfer e Flavio Faganello.<br />

Sono tutti luoghi di montagna tra i più impervi ed affascinanti<br />

della Provincia di Bolzano e, con un’eccezione, sono ancora sottoposti<br />

al regime del cosiddetto “maso chiuso” o Erbhof.<br />

L’Erbhof<br />

L’Erbhof, che letteralmente significa “maso ereditario” e viene tradotto<br />

in italiano con la brutta espressione di “maso chiuso”, è un<br />

istituto giuridico tipico di alcune aree alpine di lingua e cultura<br />

tedesca. In Sudtirolo ha trovato un terreno molto fertile per la sua<br />

diffusione e, al di là della sua codificazione legale formale nelle<br />

diverse epoche, è un fenomeno fortemente radicato nella cultura e<br />

nelle consuetudini locali.<br />

L’origine di questo particolare istituto viene fatta risalire al<br />

tempo dell’Imperatore Massimiliano I che per primo ne formalizzò<br />

l’esistenza con successivi interventi nel 1502, 1526 e 1532,<br />

ma è più che probabile che l’Erbhof fosse già diffuso negli usi della<br />

17


gente tirolese. In seguito ha goduto di varie formulazioni giuridiche evolvendosi nel tempo fino<br />

a giungere alla forma attuale, disciplinata dalla Legge Provinciale numero 17 del 2001, che ha<br />

sostituito una precedente norma del 1954.<br />

L’Erbhof consiste in un’azienda agricola completa di terreni, edifici, animali ed attrezzi,<br />

scorte vive e morte ed attività accessorie. Tra gli edifici è necessariamente compresa l’abitazione<br />

del conduttore che risiede stabilmente all’interno della proprietà con la sua famiglia. Le<br />

dimensioni dell’azienda devono consentire il mantenimento del conduttore e dei suoi familiari<br />

ma allo stesso tempo non possono superare di molto questa soglia, differenziando così l’Erbhof<br />

dall’azienda agroindustriale e dal latifondo.<br />

Caratteristica peculiare dell’Erbhof è il fatto di essere inalienabile da parte del conduttore.<br />

Il Bauer, ovvero il conduttore-contadino, pur esercitando il pieno diritto di possesso della casa,<br />

dei terreni e dell’azienda non ne è proprietario, perlomeno non nel senso completo sancito dal<br />

diritto latino. In particolare il Bauer non può disporre dell’azienda e delle sue parti: non può<br />

vendere i terreni né frazionarli ma è obbligato a mantenere integralmente la proprietà ed a trasmetterla<br />

intera ad un unico erede designato detto Anerbe.<br />

Nei tempi antichi l’Anerbe coincideva quasi sempre con il figlio primogenito, naturalmente<br />

maschio, per cui era fondamentale per la sopravvivenza del maso stesso che ci fosse un erede<br />

maschio all’interno di ogni famiglia. L’erede veniva cercato con insistenza e anche adottato se<br />

necessario. La nuova legge provinciale permette anche alle donne di ereditare il maso e stabilisce<br />

criteri per il risarcimento degli altri coeredi.<br />

Il sistema basato sull’Erbhof aveva indubbi vantaggi per quanto riguarda il presidio del<br />

territorio, il controllo demografico, il mantenimento delle unità colturali e quindi uno sfruttamento<br />

razionale dei terreni agricoli. I costi umani di questo istituto erano però altissimi e il<br />

Agricoltura Industria Servizi<br />

1971 26,8 % 29,9 % 43,3 %<br />

2006 9,9 % 26,4 % 63,7 %<br />

Occupazione in provincia di Bolzano<br />

18


Abitanti Centri Nuclei Case sparse<br />

Bolzano<br />

1971<br />

2001<br />

303.606<br />

73,3%<br />

369.639<br />

79,8%<br />

25.698<br />

6,2%<br />

22.971<br />

5,0%<br />

84.737<br />

20,5%<br />

70.389<br />

15,2%<br />

Italia<br />

1971<br />

2001<br />

47.106.387<br />

87,0%<br />

51.487.845<br />

91,0%<br />

2.197.695<br />

4,1%<br />

1.716.114<br />

3,0%<br />

4.832.465<br />

8,9%<br />

3.390.062<br />

6,0%<br />

Popolazione in provincia di Bolzano per tipologia di centro abitato<br />

meccanismo ereditario finiva per cristallizzare l’intero sistema sociale con pochissime possibilità<br />

di modificare la propria sorte, creando di fatto un feudalesimo in scala ridotta.<br />

I figli cadetti, non prediletti, ricevevano un risarcimento poco più che simbolico e potevano<br />

scegliere se andarsene dal maso oppure rimanervi con il solo diritto al mantenimento. In<br />

questo caso perdevano praticamente ogni libertà personale salvo quella di essere alloggiati, vestiti<br />

e nutriti. Lavoravano per il fratello maggiore senza retribuzione e rinunciavano di fatto alla<br />

possibilità di avere in futuro una propria casa o una propria famiglia, vivendo in condizione di<br />

servi nella propria casa. Chi lasciava il maso d’altra parte poteva intraprendere un mestiere ma<br />

spesso finiva per offrirsi come bracciante agricolo e divenire così servo nelle terre altrui.<br />

Oggi le cose sono cambiate e l’erede non designato possiede dei diritti maggiori in ordine<br />

ai risarcimenti. Al tempo stesso la società, più variegata e mobile, consente di percorrere vie<br />

molto più differenziate verso la propria realizzazione personale. Sempre più spesso la prospettiva<br />

si va capovolgendo e, specialmente nei masi più disagiati, diventa difficile trovare eredi che<br />

siano disposti ad accollarsi l’onere di condurre l’azienda.<br />

Tuttavia ad oggi sono oltre 12.000 le proprietà che, iscritte all’apposita sezione del libro<br />

19


fondiario, sono vincolate alle regolamentazioni proprie dell’Erbhof, e la tendenza<br />

mostra una lieve ma costante crescita numerica.<br />

I contadini di montagna<br />

Non tutti i masi sono uguali. Molti, posti nel fondovalle o in posizione collinare<br />

favorevole, consentono la viticoltura e la frutticoltura, altri si trovano<br />

nei pressi dei paesi e delle vie di comunicazione. L’agricoltura di alcune<br />

zone del Sudtirolo è ricca e consente da sempre, grazie anche alle superfici<br />

relativamente ampie dei masi, una vita dignitosa se non agiata. Una regione<br />

20


montuosa, però, presenta enormi disparità al suo interno. In passato fattori<br />

come il bisogno di libertà e di sicurezza, i terreni non bonificati del fondovalle,<br />

le minori disparità delle tecnologie e delle infrastrutture, spinsero molte<br />

persone a trasferire la propria residenza sui fianchi delle vallate, a quote<br />

sempre più elevate.<br />

I masi di montagna possiedono ampie estensioni di terreno ma si tratta<br />

in massima parte di terreni poco produttivi, tenuti a pascolo o bosco. Gli<br />

arativi, limitatissimi, producevano fino a non molti anni fa, in condizioni<br />

di estrema difficoltà, solo il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Il<br />

maso di montagna è distante dal fondovalle e non era provvisto di strade di<br />

collegamento. Per raggiungere i villaggi erano necessarie ore di cammino su<br />

sentieri ripidi e difficili. Fino alla costruzione della strada, perciò, gli scambi<br />

con il fondovalle erano limitati e il maso doveva produrre al suo interno quasi<br />

tutto il fabbisogno dei suoi abitanti. Quasi ogni cosa veniva realizzata nel<br />

maso: il cibo, i vestiti, gli attrezzi. Solo alcuni beni come il sale, lo zucchero<br />

e il caffè, venivano “importati”.<br />

Il resto del mondo era lontano da questa gente, lontano in tutti i sensi.<br />

Per arrivare ai masi più sperduti servivano ore di cammino, non c’era<br />

strada, non c’era telefono, non c’era elettricità. La gente di valle trattava i<br />

montanari da inferiori, gente senza arte né parte. Li legava alla montagna<br />

l’impossibilità di scegliere altrimenti, ma anche un attaccamento viscerale<br />

e senza compromessi alla terra su cui loro e i loro antenati avevano tanto<br />

lavorato e sofferto.<br />

Il mondo dei masi di montagna era fatto di isolamento, di silenzi, di<br />

buio e di solitudine, di persone in lotta per la propria vita quotidiana, contro<br />

la fame, le valanghe, i cattivi raccolti, costretta nei lacci dell’endogamia,<br />

schiava di un lavoro faticosissimo che aveva per obbiettivo la sopravvivenza<br />

e nulla più.<br />

“Non c’è spazio nella nuova Europa per una riserva alpina nel cui<br />

ambito la popolazione sudritolese dovrebbe vegetare mantenendo un ritmo<br />

di vita decisamente anacronistico” (Alto Adige 12 dicembre 1971). Il giudizio<br />

sul ruolo dei masi di montagna nel futuro del Sudtirolo non avrebbe potuto<br />

21


essere più netto, così come il percorso di sviluppo della provincia che la politica locale voleva<br />

portar avanti: piuttosto che l’industria e l’immigrazione italiana, meglio l’emigrazione dei tirolesi.<br />

L’Alto Adige, giornale di lingua italiana, accusava il mondo politico altoatesino, la borghesia<br />

commerciale e i grossi proprietari terrieri, di trascurare lo sviluppo industriale della provincia.<br />

“I masi di montagna possono tutt’al più garantire ai loro proprietari il pane senza companatico”,<br />

si diceva, perciò occorre investire nel turismo, nella formazione professionale, nell’industria<br />

e nel terziario. Grazie al pacchetto di recente approvato, osservava allora il giornalista dell’Alto<br />

Adige, i Sudtirolesi si trovavano ad un punto di svolta. Avevano ottenuto la garanzia della loro<br />

sopravvivenza e la libertà di amministrarsi. La sopravvivenza del gruppo etnico, però, non poteva<br />

essere solo il frutto di diritti scritti sulla carta, ma doveva anche essere supportata da una<br />

struttura sociale ed economica solida a moderna.<br />

Da allora l’economia della provincia di Bolzano è molto cambiata. L’agricoltura è un<br />

settore ancora importante, anche dal punto di vista occupazionale, ma il suo peso si è ridotto in<br />

modo considerevole. Il numero di addetti nell’agricoltura è comunque superiore a quello delle<br />

regioni vicine, anche perché il territorio montano richiede un maggiore impiego di manodopera,<br />

essendo più difficoltoso l’utilizzo di macchinari. L’industria non è decollata, confermando la<br />

carenza di vocazione manifatturiera della provincia. La vera esplosione si è verificata nei servizi.<br />

Questi comprendono il turismo, che è diventato il principale settore trainante dell’economia, e<br />

la pubblica amministrazione, i cui addetti sono moltiplicati dopo il trasferimento delle competenze<br />

dalla Regione alla Provincia, avvenuto proprio con lo Statuto del 1972.<br />

Il 1971 e il 1972 sono stati anni cruciali per il destino dell’Alto Adige, con la sofferta<br />

approvazione del pacchetto e la realizzazione del secondo Statuto di Autonomia, che trasferiva<br />

molte competenze dalla Regione alla Provincia e di fatto da Trento a Bolzano. Da allora la<br />

provincia di Bolzano ha effettuato ingenti investimenti nelle realtà marginali, anche a costo di<br />

sacrificare altri settori, con l’obbiettivo di mantenere lo stampo di regione montana caratterizzata<br />

dall’agricoltura e dall’insediamento sparso. Sono stati costruiti chilometri di strade, tesi fili<br />

elettrici e telefonici, scavate condotte per l’acqua, migliorate le condizioni di vita e di lavoro nei<br />

masi.<br />

I risultati di questo grande lavoro sono positivi, anche se c’è stata una significativa riduzione<br />

del numero di persone che vivono nei masi di montagna, dovuta tanto all’emigrazione<br />

che alla riduzione della natalità. Il maso di montagna, pur essendo migliorate sensibilmente le<br />

condizioni di vita e le opportunità di realizzazione, rimane poco attraente come luogo di dimo-<br />

23


a permanente.<br />

Nei trent’anni tra i censimenti del 1971 e del 2001, il numero dei residenti<br />

nei centri abitati è cresciuto di 66.000 unità in provincia di Bolzano,<br />

mentre quello dei nuclei e delle case sparse è diminuito di oltre 15.000 unità.<br />

In complesso il peso demografico della popolazione residente al di fuori dei<br />

centri abitati è calato di oltre un quinto, passando dal 27,1% al 20,2%.<br />

Questa tendenza è in parte dovuta all’emigrazione, in parta alla mancata<br />

immigrazione, e in parte al riallineamento della natalità rurale rispetto<br />

a quella dei centri urbani. Sta di fatto, comunque, che l’Alto Adige, pur<br />

mantenendo una spiccata diversità rispetto al resto del paese per quanto<br />

riguarda la distribuzione della popolazione sul territorio, si sta muovendo<br />

verso una progressiva concentrazione degli abitanti nei centri maggiori.<br />

Nei venti masi visitati da Gorfer e Faganello trentacinque anni fa abitavano<br />

144 persone, oggi sono solamente 65. Un maso è andato distrutto, due<br />

sono abbandonati e uno è abitato solo nella stagione estiva. Paradossalmente,<br />

tre dei quattro masi non più abitati permanentemente erano tra quelli<br />

che trentacinque anni fa si trovavano nella situazione migliore per quanto<br />

riguarda la strada e l’elettricità. Pur trattandosi di un campione molto piccolo<br />

si evidenzia come la strada e i servizi in genere non siano che strumenti di<br />

interventi molto più articolati e che di per sé non sono sufficienti a garantire<br />

la sopravvivenza e lo sviluppo dei masi di montagna.<br />

Una realtà economica multidimensionale<br />

Il maso moderno è una realtà economica multidimensionale. L’agricoltura<br />

non è più l’unica fonte di reddito della famiglia e in molti casi non è più<br />

nemmeno la fonte di reddito principale. La vocazione multidimensionale in<br />

realtà era insita da sempre nella natura del maso di montagna che era forzatamente<br />

condannato all’autarchia. Per questo motivo quasi sempre il Bauer<br />

era, oltre che contadino, anche boscaiolo, artigiano, veterinario, muratore e<br />

carpentiere. Insomma nel maso era necessario saper fare di tutto.<br />

Anche il ruolo femminile della Bäuerin era necessariamente a tutto ton-<br />

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do. La donna del maso era una presenza forte e autonoma rispetto al marito<br />

con compiti distinti rispetto a quelli dell’uomo. I ruoli dei sessi erano definiti<br />

in base alla distinzione di genere ma anche alla necessità di cooperare alla<br />

gestione della famiglia ed alla conduzione dell’azienda con una chiara suddivisione<br />

di compiti e una certa specializzazione del lavoro. Madre e moglie,<br />

quindi, ma anche contadina, cuoca, sarta, allevatrice, medico.<br />

Nella generale durezza delle condizioni di vita, la presenza femminile<br />

nei masi di montagna era fortemente condizionata dal contesto familiare.<br />

Situazioni di disagio familiare erano praticamente impossibili da riconoscere<br />

e gestire a causa dell’isolamento anche sociale in cui si svolgeva la vita<br />

quotidiana del maso di montagna.<br />

La rottura dell’isolamento ha esaltato la vocazione multidimensionale<br />

dell’economia perché, se da un lato non è più necessario produrre sul posto<br />

tutto il necessario alla vita quotidiana, si sono aperte nuove opportunità di<br />

realizzare reddito.<br />

Da questo punto di vista un importante cambiamento nell’economia<br />

del maso è il passaggio dall’economia dell’autoconsumo a un’economia del<br />

reddito. I servizi come la strada, il telefono, la televisione, la luce elettrica<br />

hanno aumentato le opportunità ma anche i bisogni. I prodotti che devono<br />

essere importati, e tra questi ci sono l’elettricità, le telefonate e la benzina,<br />

devono essere pagati in denaro. Aumentando il numero e il valore dei prodotti<br />

importati è aumentato anche il fabbisogno di denaro.<br />

Il maso moderno ha molte più esigenze: la luce elettrica, la bolletta<br />

telefonica, il televisore e gli elettrodomestici, l’automobile e la benzina. Tutte<br />

esigenze nuove ma anche opportunità nuove. Il lavoro è stato indirizzato<br />

perciò ad attività che non sono più rivolte alla produzione di beni per il consumo<br />

diretto ma soprattutto a beni per il mercato.<br />

L’agricoltura si è specializzata in un solo tipo di bestiame allevato, pecore,<br />

capre o bovini e in un solo tipo di prodotto; latte, carne, lana. La produzione<br />

viene venduta per intero a consorzi o aziende commerciali che, a<br />

valle, lavorano il prodotto e lo distribuiscono. Il lavoro agricolo è molto spes-<br />

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so integrato da altre attività, magari nelle stesse imprese che lavorano i prodotti della terra, in<br />

qualità di operai, oppure da attività artigianali come dipendenti ma anche come imprenditori in<br />

proprio. Le donne sono spesso impiegate nel settore dei servizi e contribuiscono come un tempo<br />

alla creazione del reddito familiare. Anche il lavoro stagionale sia maschile che femminile è un<br />

importante integratore del reddito.<br />

In diversi casi il maso stesso è stato riconvertito in azienda turistica con possibilità di affittare<br />

camere, oppure con la realizzazione di ristoranti che utilizzano in parte le materie prime<br />

prodotte sul posto. Nei masi visitati abbiamo trovato tutte queste fattispecie: ristoranti, affittacamere,<br />

artigiani, operai, lavoratori stagionali, impiegati…<br />

La multidimensionalità economica del maso e la presenza di molte fonti di reddito diverse<br />

permette di mantenere un tenore di vita dignitoso in linea con le necessità e con il livello di<br />

servizi offerto dalla moderna economia.<br />

Il Cammino degli Eredi offre un piccolo squarcio di questa realtà, complessa e ricchissima di<br />

varianti, attraverso il racconto di alcuni luoghi remoti e dell’incontro con le persone che vivono<br />

in questi luoghi.<br />

Negli ultimi decenni i masi di montagna hanno vissuto grandi trasformazioni, sono state<br />

realizzate infrastrutture, è cambiato il modo di vivere nel maso, è cambiata l’economia e la<br />

società, ed è cambiato infine il modo di relazionarsi con il resto del mondo. Le trasformazioni<br />

realizzate nei masi di montagna sono state enormi ma la realtà è continuamente in mutamento,<br />

il cammino degli eredi non è ancora finito.<br />

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