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glossario etrusco - Parco di Veio

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Ente Regionale <strong>Parco</strong> <strong>di</strong> <strong>Veio</strong><br />

I SEGRETI… DEGLI ETRUSCHI<br />

Testi per la sezione visitatori del cd rom interattivo sugli Etruschi e la città <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>.<br />

Giugno 2003


IL GIALLO DELLE ORIGINI<br />

IL TERRITORIO<br />

STORIA<br />

SOCIETÀ<br />

I SEGRETI DEGLI... ETRUSCHI<br />

LA NASCITA DELLA CIVILTÀ ETRUSCA<br />

AFFONDANO LE NAVI... L’INIZIO DEL DECLINO<br />

TAPPE SALIENTI DELLA STORIA ETRUSCA<br />

LA SOCIETÀ COM’ERA STRUTTURATA?<br />

LA FAMIGLIA<br />

LA DONNA<br />

IL PROFONDO CULTO DEI MORTI<br />

Il regno dei morti<br />

Le tombe<br />

I riti funebri<br />

VITA QUOTIDIANA<br />

ECONOMIA<br />

LA MODA, LA MUSICA, IL BANCHETTO E I GIOCHI<br />

OGGI LA VIOLENZA DÀ SPETTACOLO<br />

UN POPOLO DI INGEGNERI<br />

ARCHEOLOGIA IN CUCINA<br />

L’olio degli Etruschi<br />

Ricette etrusche<br />

VIE E COMMERCI: L’OREFICERIA E LE CERAMICHE, IL VINO E GLI SCHIAVI<br />

Il porto e la navigazione<br />

L’artigianato<br />

1


LA GUERRA, L’ESERCITO E LE ARMI<br />

LE NAVI E LA GUERRA SUL MARE<br />

BATTAGLIE TRA ETRUSCHI E GRECI D’ITALIA<br />

LA NASCITA DELLE CITTÀ<br />

LINGUA<br />

CULTURA<br />

RELIGIONE<br />

LE ABITAZIONI<br />

LA LINGUA: UN ENIGMA SVELATO?<br />

Scheda <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento: INTERPRETARE UN’ISCRIZIONE<br />

ASPETTO FISICO E PSICOLOGICO DEGLI ETRUSCHI<br />

SOPRAVVIVENZA OGGETTI SIMBOLO<br />

L’ETRURIA DISCIPLINA<br />

Scheda <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento: INTERPRETARE I FULMINI<br />

L’ARCHITETTURA RELIGIOSA<br />

VIAGGIO NEI LUOGHI DELL’ETRURIA MISTICA<br />

LA “MAPPA” DEGLI DÈI: TINA, APULU & C.<br />

L’EREDITÀ DI VEIO...<br />

LA CINTA MURARIA<br />

IL TEMPIO DI PORTONACCIO<br />

Scheda <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento: LE STATUE E GLI ALTRI OGGETTI VOTIVI DEL<br />

SANTUARIO DI PORTONACCIO<br />

IL SANTUARIO DI CAMPETTI<br />

IL SANTUARIO DI PORTA CAERE<br />

IL SANTUARIO DI PIAZZA D’ARMI<br />

L’ACROPOLI DI PIAZZA D’ARMI<br />

CAMPETTI<br />

LE NECROPOLI DI VEIO<br />

GLOSSARIO ETRUSCO<br />

2


IL GIALLO DELLE ORIGINI<br />

La provenienza, la formazione, la nascita del popolo <strong>etrusco</strong> è stato un argomento assai<br />

<strong>di</strong>battuto, nell’antichità come in tempi recenti.<br />

La <strong>di</strong>fficoltà a stabilire l’origine <strong>di</strong> questo popolo è dovuta al fatto che la lingua etrusca,<br />

decifrata solo <strong>di</strong> recente, presenta ancora molti punti oscuri, per <strong>di</strong> più, le 9.000 iscrizioni che<br />

ci sono pervenute, sono quasi tutte <strong>di</strong> tipo funerario.<br />

Alcuni stu<strong>di</strong>osi li ritengono <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> un popolo me<strong>di</strong>terraneo autoctono e sopravvissuto<br />

all’invasione indoeuropea; altri pensano che siano venuti dall’Oriente attraverso il mare,<br />

oppure scendendo dalle Alpi; altri ancora credono che essi, pur essendo giunti da Oriente, si<br />

siano fusi con le popolazioni in<strong>di</strong>gene incontrate in Italia: da ciò sarebbe nata un’originale<br />

civiltà aperta a influssi stranieri.<br />

Le fonti letterarie antiche ci parlano <strong>di</strong> spostamenti <strong>di</strong> popoli o <strong>di</strong> piccoli nuclei <strong>di</strong> navigatori,<br />

giunti in Italia centrale guidati da ar<strong>di</strong>ti condottieri, spesso figli <strong>di</strong> re. Il primo autore<br />

dell’antichità a porre il problema delle origini etrusche è lo storico Dionisio <strong>di</strong> Alicarnasso (I<br />

sec. a.C.) che, avvalendosi <strong>di</strong> scritti assai più antichi della sua epoca, re<strong>di</strong>ge le Antichità<br />

Romane, un trattato storico in venti libri. Lo storico, afferma la nascita locale degli Etruschi,<br />

sulla base della loro originalità linguistica e culturale rispetto agli altri popoli dell’Italia antica.<br />

Erodoto (V a.C.) sostiene una provenienza via mare da Oriente, dalle terre della Li<strong>di</strong>a in Asia<br />

minore (l’o<strong>di</strong>erna Turchia).<br />

Gli Etruschi in epoca storica conservavano nella loro cultura avanzi <strong>di</strong> un mondo preistorico,<br />

superato; caratteristiche così primitive che risultavano estranee. Ecco perché si pensava ad<br />

un’origine geograficamente lontana. L’equivoco è durato a lungo e non fece che confermare la<br />

convinzione <strong>di</strong> un “mistero <strong>etrusco</strong>”.<br />

È ormai tramontata la teoria secondo la quale un popolo, solidamente organizzato, si sarebbe<br />

spostato in massa inse<strong>di</strong>andosi nell’Italia Centrale, importandovi una civiltà più evoluta.<br />

La civiltà etrusca fiorì sul posto, in Italia, in questo processo formativo hanno avuto un ruolo<br />

determinante, i contatti e gli scambi commerciali e culturali con i viaggiatori provenienti dal<br />

Mare Egeo e con i coloni greci dell’Italia meri<strong>di</strong>onale, attratti dalle risorse metallifere dell’isola<br />

d’Elba e dei Monti della Tolfa.<br />

3


IL TERRITORIO<br />

La penisola italiana a partire dal IX secolo a.C. è popolata da vari gruppi culturali, che danno<br />

origine a <strong>di</strong>fferenti popoli. Fra questi gli Etruschi si <strong>di</strong>stinguono per il proprio territorio, la<br />

propria lingua e la propria cultura.<br />

Gli Etruschi, sono chiamati così dai Romani, mentre i Greci li chiamavano Tirreni.<br />

La regione occupata dagli Etruschi comprende il territorio tra il Tevere, l’Arno e la costa<br />

tirrenica delle attuali Toscana, Umbria, alto Lazio, a sud il territorio <strong>di</strong> Salerno, a nord nella<br />

pianura padana, Bologna e il territorio circostante.<br />

L’Etruria interna e la nazione etrusca<br />

L’Etruria interna, può essere sud<strong>di</strong>visa in due<br />

zone.<br />

La prima, settentrionale, con un paesaggio<br />

collinare ricco <strong>di</strong> acque, vegetazione e soprattutto<br />

<strong>di</strong> metalli. La seconda, meri<strong>di</strong>onale, altrettanto<br />

ricca, ma caratterizzata da rilievi montani che<br />

circondano laghi <strong>di</strong> origine vulcanica.<br />

I centri più importanti furono, da sud a nord:<br />

<strong>Veio</strong>, Caere (Cerveteri), Tarquinia, Vulci,<br />

Roselle, Vetulonia, Populonia, Volterra, Volsinii<br />

(Orvieto), Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo e<br />

Fiesole.<br />

Campania etrusca<br />

Questa regione costituiva un naturale punto <strong>di</strong><br />

passaggio per le rotte commerciali che portavano<br />

in Sicilia e nel Me<strong>di</strong>terraneo orientale, nonché<br />

una base <strong>di</strong> partenza per le spe<strong>di</strong>zioni militari.<br />

Notevole era quin<strong>di</strong> il significato strategico del<br />

possesso <strong>di</strong> questa regione: chi lo esercitava era<br />

in grado <strong>di</strong> controllare l’accesso al mar Tirreno.<br />

Coloni etruschi si inse<strong>di</strong>arono dal VII secolo<br />

a.C., prima nel litorale del Golfo <strong>di</strong> Salerno e poi espansero il loro controllo all’intera pianura<br />

campana.<br />

Arricchite dai traffici commerciali sorsero floride città quali Nocera, Pompei, e Capua.<br />

Padania etrusca<br />

Sotto la spinta della crescita economica e seguendo le vie commerciali, gli Etruschi, nel VI<br />

secolo a.C., varcarono gli Appennini verso nord ed iniziarono la colonizzazione della pianura<br />

padana.<br />

Tra le città fondate, prima fra tutte Felsina (l’attuale Bologna), Marzabotto, Monterenzio e<br />

Spina. La fertile pianura padana costituì un terreno quanto mai adatto per l’agricoltura etrusca e<br />

un punto <strong>di</strong> passaggio essenziale per raggiungere i mercati al <strong>di</strong> là delle Alpi.<br />

Questa ricca porzione del regno <strong>etrusco</strong> ebbe però vita breve. Già dall’inizio del IV secolo<br />

continui arrivi <strong>di</strong> popolazioni galliche, i Celti, che giungevano d'Oltralpe alla ricerca <strong>di</strong> territori<br />

fertili in cui inse<strong>di</strong>arsi, scacciarono progressivamente gli Etruschi dai loro territori e ne<br />

<strong>di</strong>strussero le città.<br />

4


LA NASCITA DELLA CIVILTÀ ETRUSCA<br />

(dal IX secolo a.C. al V secolo a.C.)<br />

La civiltà Etrusca dominò tutta l’area dell’Italia centrale prima dell’avvento dei Romani.<br />

La fase più antica è convenzionalmente definita “villanoviana” (IX - VIII sec. a.C.). Questo<br />

termine deriva da Villanova, piccolo centro vicino Bologna, dove fu scoperto il primo gruppo<br />

<strong>di</strong> tombe che in<strong>di</strong>viduano i caratteri fondamentali della cultura che si sviluppò in quel periodo.<br />

Etruschi in<br />

età<br />

Villanoviana<br />

Gli Etruschi rappresentano, dall’IX secolo a.C., la prima civiltà italica che intraprese una<br />

politica espansionista, generata più dalla crescita economica che da una cosciente volontà <strong>di</strong><br />

potenza. Senza incontrare un’opposizione organizzata, tra il VII ed il VI secolo a.C.,<br />

l’influenza etrusca arrivò a coprire una vasta area della penisola italica, dalla Pianura padana a<br />

nord alla Campania a sud. In questo periodo ci troviamo nella cosidetta fase “orientalizzante”<br />

(VII e VI sec. a.C.), ossia influenzata da elementi orientali.<br />

La <strong>di</strong>ffusione della moda orientale dà impulso non solo all’importazione <strong>di</strong> oggetti originali,<br />

ma anche alla produzione <strong>di</strong> imitazioni. Lo scambio con l’Oriente e la Grecia è intenso: fra<br />

VIII e VII secolo a.C. oltre alle merci giungono in momenti successivi, maestranze,<br />

innovazioni tecnologiche e culturali (il tornio, la scrittura, la viticoltura e l’olivicoltura).<br />

Nel corso del VI secolo a.C. e per la prima parte del V secolo a.C. la civiltà etrusca vive una<br />

fase <strong>di</strong> eccezionale splendore, l’“età arcaica”. Ad essere coinvolte da questo fenomeno<br />

positivo sono soprattutto le città costiere, le quali intrattengono i rapporti <strong>di</strong>retti con i mercanti<br />

e i viaggiatori stranieri, scambiando i prodotti con le città etrusche dell’interno.<br />

Nel 600 a.C. era stato fondato l’emporio <strong>di</strong> Gravisca, il porto <strong>di</strong> Tarquinia, un altro emporio,<br />

questa volta frequentato più dai Cartaginesi che dai Greci, è quello <strong>di</strong> Pyrgi, uno dei porti <strong>di</strong><br />

Caere (Cerveteri).<br />

Gli Etruschi seppero imporre per secoli il loro dominio e la loro cultura alla maggior parte della<br />

penisola, soprattutto perché <strong>di</strong>sponevano in notevole misura delle risorse fondamentali<br />

dell’economia antica: vino, olio e miniere.<br />

5


I mercanti etruschi giungevano<br />

con i loro prodotti in ogni località<br />

del Me<strong>di</strong>terraneo, ed erano in<br />

competizione, con Greci e Fenici.<br />

Gli Etruschi arrivarono al culmine<br />

della propria forza militare e<br />

commerciale verso la metà del VI<br />

secolo a.C. quando, occupati anche<br />

i porti della Corsica orientale,<br />

<strong>di</strong>vennero i padroni riconosciuti<br />

del Mar Tirreno. In questa fase <strong>di</strong><br />

espansione territoriale, i popoli<br />

con cui gli Etruschi si<br />

confrontarono furono i<br />

Cartaginesi, i tra<strong>di</strong>zionali alleati ed<br />

i Greci delle colonie dell’Italia<br />

meri<strong>di</strong>onale, gli avversari più<br />

agguerriti; mentre al nord i Celti<br />

non erano ancora in grado <strong>di</strong><br />

opporsi.<br />

Questa espansione fu dovuta al<br />

fatto che, al proprio interno la<br />

società etrusca era caratterizzata<br />

da lotte accanite fra gli<br />

aristocratici e gli strati sociali privi<br />

<strong>di</strong> patrimonio. Quest’ultimi, unitisi<br />

in bande armate sotto il comando<br />

<strong>di</strong> guerrieri nobili, cercarono non<br />

solo <strong>di</strong> conquistare il potere in<br />

<strong>di</strong>verse città, ma anche <strong>di</strong><br />

conquistare popolazioni limitrofe.<br />

Quanto hanno pesato gli Etruschi agli inizi <strong>di</strong> Roma? Quanto Roma doveva al popolo che<br />

un giorno avrebbe cancellato?<br />

Le risposte sono <strong>di</strong>verse. Per gli stu<strong>di</strong>osi tedeschi, Roma è stata fondata, costruita, governata<br />

dagli Etruschi: insomma è quasi un’appen<strong>di</strong>ce del mondo degli Etruschi.<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi italiani hanno un’opinione <strong>di</strong>versa, affermano una sicura presenza etrusca a Roma,<br />

ma una “ Roma etrusca” non è mai esistita. Roma ebbe per un periodo una monarchia etrusca e<br />

una presenza ben più lunga <strong>di</strong> tecnici ed artisti etruschi. Si potrebbe azzardare un paragone con<br />

una città dell’attuale terzo mondo, con una minoranza <strong>di</strong> tecnici occidentali al lavoro.<br />

La <strong>di</strong>sputa sulle origini <strong>di</strong> Roma porta alla mente il nome della più potente delle città etrusche:<br />

Tarquinia. È da qui che nel VI secolo a.C. sono venuti gli ultimi tre re <strong>di</strong> Roma.<br />

Tarquinio Prisco, un ricco personaggio, che, accattivatosi il favore della popolazione, fu eletto<br />

re alla morte Anco Marzio. A lui si attribuiscono guerre vittoriose, l’istituzione <strong>di</strong> giochi<br />

pubblici, il prosciugamento <strong>di</strong> zone paludose della città, la costruzione della Cloaca Massima<br />

(Fogna principale <strong>di</strong> Roma visibile ancora oggi) e del Circo Massimo.<br />

Il suo successore, Servio Tullio, secondo alcuni stu<strong>di</strong>osi sarebbe un avventuriero <strong>etrusco</strong>, <strong>di</strong><br />

nome Mastarna, fuggito dalla propria patria.<br />

6


Etrusco è pure l’ultimo re <strong>di</strong> Roma, Tarquinio il Superbo, figlio <strong>di</strong> Tarquinio Prisco, che<br />

avrebbe ucciso Servio Tullio per prenderne il posto. Il suo regno ebbe carattere autoritario;<br />

ecco spiegata la natura del suo soprannome.<br />

Cacciato da Roma nel 509 a.C., Tarquinio tentò più volte <strong>di</strong> riprendersi il trono con la forza. Il<br />

tentativo più importante fu quello operato con l’aiuto del re <strong>di</strong> Vulci, Porsenna. La leggenda<br />

ricorda la tenace resistenza dei Romani asse<strong>di</strong>ati dalle truppe dell’invasore. Porsenna riuscì a<br />

piegare Roma, ma non a riportarvi al potere il re <strong>etrusco</strong>. Di lì a breve fu nuovamente costretto<br />

a battaglia, nei pressi <strong>di</strong> Aricia avvenne lo scontro decisivo: Porsenna, sconfitto, fu costretto a<br />

ritirarsi, Roma, si trovò libera e Tarquinio andò a finire i suoi giorni presso Aristodemo,<br />

tiranno <strong>di</strong> Cuma.<br />

AFFONDANO LE NAVI... L’INIZIO DEL DECLINO<br />

(dalla metà del V sec. a.C. al III sec. a.C.)<br />

Alla fine del VI secolo a.C. gli Etruschi alleati <strong>di</strong> Cartagine, controllano il mar Tirreno, erano<br />

riusciti ad imporsi sulle colonie greche del meri<strong>di</strong>one d’Italia, contrastandone l’espansione sia<br />

sulla terra che sul mare.<br />

Dalla seconda metà del V secolo a.C. lo scenario però cambia ra<strong>di</strong>calmente. L’effettiva<br />

decadenza degli Etruschi iniziò con le sconfitte nella lotta contro i Greci dell’Italia<br />

meri<strong>di</strong>onale, quando i Greci d’Italia guidati dalla città <strong>di</strong> Siracusa, inflissero presso Cuma una<br />

sconfitta decisiva, dopo la quale gli Etruschi persero il controllo del Mar Tirreno (474 a.C.).<br />

Anche sulla terraferma la situazione andava rapidamente deteriorandosi, in meno <strong>di</strong> un secolo<br />

l’Etruria campana fu conquistata da popolazioni locali (i Sabini e i Sanniti); mentre quella<br />

padana fu invasa da popolazioni provenienti d’Oltralpe, i Celti, alla ricerca <strong>di</strong> territori fertili in<br />

cui inse<strong>di</strong>arsi.<br />

Anche ai confini Roma, un tempo dominata e governata da una <strong>di</strong>nastia etrusca, si era resa<br />

in<strong>di</strong>pendente e stava passando all’offensiva. Dal IV secolo Roma inizia una serie <strong>di</strong> guerre<br />

contro le città etrusche: in meno <strong>di</strong> un secolo cadono le principali città, nonostante avessero<br />

potenziato o e<strong>di</strong>ficato ex novo delle mura e delle opere <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa dagli attacchi esterni.<br />

Nel 396 a.C., dopo una guerra decennale, <strong>Veio</strong>, la città etrusca più vicina a Roma, è<br />

conquistata.<br />

Una ribellione degli Etruschi si ebbe nel 295 a.C. quando essi, alleatisi <strong>di</strong> alcuni popoli italici,<br />

affrontarono l’esercito <strong>di</strong> Roma a Sentino nelle Marche, la cosiddetta battaglia delle nazioni:<br />

gli Etruschi trovarono però la sconfitta, che portò nuove sottomissioni ed ad<strong>di</strong>rittura la<br />

<strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> alcune città etrusche. Un nuovo sussulto si ha nel 285 a.C. quando la coalizione<br />

gallo-etrusca cerca <strong>di</strong> annientare una Roma sempre più potente, che ha la meglio: seguono<br />

nuove sottomissioni regolate da trattati che assicuravano, spesso solo sulla carta,<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza delle città etrusche, ormai alleate ed annesse a Roma.<br />

Le superbe città-stato, prive <strong>di</strong> una forte identità nazionale, non riuscirono a coor<strong>di</strong>nare una<br />

resistenza efficace, e furono così sconfitte una ad una; l’ultima a cadere fu Volsini (Orvieto)<br />

nel 265 a.C.<br />

La potenza commerciale e militare, un tempo fiorente degli Etruschi, si era ridotta a città stato,<br />

arroccate nei loro territori <strong>di</strong> origine nell’Italia centrale.<br />

Con la per<strong>di</strong>ta dell’in<strong>di</strong>pendenza politica si concludeva il ciclo <strong>di</strong> un antico popolo, che per<br />

secoli aveva primeggiato, per cultura e per ricchezza, nel Me<strong>di</strong>terraneo occidentale.<br />

7


TAPPE SALIENTI DELLA STORIA ETRUSCA<br />

950-720 a.C. Circa – Età del Ferro: periodo villanoviano. Sviluppo dei primi villaggi<br />

Etruschi: <strong>Veio</strong>, Caere (Cerveteri), Tarquinia, Vulci, Vetulonia, Populonia,<br />

Volterra, Volsinii (Orvieto), Chiusi, Felsina (Bologna).<br />

720 a.C. – Età orientalizzante. Formazione delle aristocrazie guerriere. Le colonie<br />

greche, loro principali partner commerciali, esercitano forte influenza<br />

nello sviluppo delle nuove città etrusche.<br />

600-500 a.C. Circa - Età Arcaica.<br />

616 a.C. - Tarquinio Prisco <strong>di</strong>venta il primo <strong>etrusco</strong> a comandare su Roma<br />

550 a.C. - Fondazione <strong>di</strong> alcune città nella pianura Padana (Bologna, Modena,<br />

Parma) e espansione verso la Campania.<br />

535 a.C. - Il controllo della Corsica segna il punto più elevato dell’espansione<br />

etrusca.<br />

509 a.C. - La caduta dei Tarquini a Roma segna l’inizio del declino della<br />

civiltà etrusca.<br />

474 a.C. – Sconfitti da Siracusa nella battaglia navale <strong>di</strong> Cuma (Golfo <strong>di</strong> Napoli), gli<br />

Etruschi perdono il dominio del Mare Tirreno.<br />

396 a.C. – Roma <strong>di</strong>strugge <strong>Veio</strong>, dopo un asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni.<br />

358 a.C. – Roma inizia una serie <strong>di</strong> guerre contro le città etrusche, in meno <strong>di</strong> un<br />

secolo cade la maggior parte dei centri etruschi.<br />

265 a.C. - Capitolazione <strong>di</strong> Velzna-Volsinii (Orvieto), ultima città etrusca ad<br />

arrendersi allo strapotere romano.<br />

90 a.C. - Dopo secoli <strong>di</strong> declino, gli Etruschi <strong>di</strong>ventano citta<strong>di</strong>ni romani a<br />

tutti gli effetti.<br />

LA SOCIETÀ COM’ERA STRUTTURATA?<br />

8


Agli inizi del periodo Villanoviano (Età del Ferro - IX secolo a.C.), non c’è una <strong>di</strong>stinzione in<br />

classi all’interno della società etrusca, il sistema era più o meno paritario, con villaggi<br />

<strong>di</strong> 200/300 abitanti.<br />

Nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., si affermarono i primi ricchi, quando si scoprirono le<br />

materie prime: i minerali e il sale. Nacque la <strong>di</strong>stinzione sociale tra ricchi e poveri, che<br />

si affermò più nettamente nel VII secolo, con i principi che basavano il proprio<br />

potere sul controllo dei commerci con l’Oriente e delle attività agricole e pastorali, più che sul<br />

prestigio politico.<br />

Dalle iscrizioni possiamo riconoscere i membri della classe dominante, poiché il loro nome<br />

personale andava sempre accompagnato al nome della stirpe (famiglia).<br />

La nobiltà abiterà in piccole città fortificate, che formavano tanti Stati in<strong>di</strong>pendenti, città-stato,<br />

che avevano il nome della stirpe d’origine (ad es. Tarquinia veniva da Tarchna).<br />

In un primo tempo queste città erano monarchie, in seguito subentrarono le repubbliche<br />

aristocratiche. I re, chiamati lucumoni, da qui il nome <strong>di</strong> lucumonie per le città-stato,<br />

concentravano nelle loro mani, per un anno, i poteri politici, militari e religiosi.<br />

Erano assistiti da un consiglio degli anziani, scelti tra i capi delle famiglie nobili, e da<br />

un’assemblea popolare.<br />

Simbolo dell’autorità del re era un fascio <strong>di</strong> verghe in cui era inserita una scure. Altri simboli<br />

del potere erano la corona d’oro, lo scettro, il mantello <strong>di</strong> porpora, il trono d’avorio, che<br />

saranno gli stessi delle maggiori cariche romane.<br />

L’espansione etrusca nella penisola si deve al raggruppamento <strong>di</strong> 12 o 18 città in leghe, che in<br />

tempo <strong>di</strong> guerra eleggevano un comandante unico.<br />

Il ceto nobile fu all’origine sia dell’espansione, che della decadenza etrusca; responsabile del<br />

forte avanzamento economico in epoca arcaica e fino al V secolo a.C., non fu in grado <strong>di</strong><br />

accogliere gli sviluppi tecnologici e sociali che contrad<strong>di</strong>stinsero le altre civiltà antiche (i Greci<br />

e i Romani), condannando la propria cultura alla decadenza.<br />

Molto <strong>di</strong>ffuso era l’uso della clientela, cioè alcuni membri liberi <strong>di</strong> famiglie non nobili o<br />

decadute si mettevano sotto la protezione della nobiltà e venivano sfruttati, <strong>di</strong>ventando<br />

conta<strong>di</strong>ni-servi.<br />

La nascita <strong>di</strong> un ceto me<strong>di</strong>o, costituito da artigiani e mercanti, avviene nel VI secolo a.C., (età<br />

Arcaica) quando iniziano a prendere coscienza delle proprie capacità, operando per proprio<br />

conto e non più per i ricchi principi.<br />

Il VI secolo a.C. segna il consolidamento <strong>di</strong> nuove forme <strong>di</strong> potere, i lucumoni vennero<br />

sostituiti da regimi “repubblicani”, contrassegnati dalle pubbliche magistrature.<br />

Proprio l’esempio <strong>di</strong> Roma, cioè la fine della monarchia dei Tarquini, indurrebbe a risalire alla<br />

fine del VI secolo.<br />

Forse in concomitanza della nuova organizzazione sociale si attua anche il cambiamento<br />

politico.<br />

Oltre ai conta<strong>di</strong>ni sottomessi (molti dei quali erano <strong>di</strong>scendenti degli Umbri e dei Latini vinti<br />

un tempo), fanno parte della stratificazione sociale anche i lautni, gli schiavi, catturati durante<br />

le numerose guerre o importati come merce da paesi lontani.<br />

A volte si ritrovano i luoghi <strong>di</strong> sepoltura <strong>di</strong> questi esponenti della classe servile, cremati<br />

(bruciati) e posti in recipienti <strong>di</strong> terracotta, sepolti in piccole nicchie scavate nelle tombe dei<br />

padroni. Oggi possiamo <strong>di</strong>stinguerli nelle iscrizioni funebri in quanto il loro nome non contiene<br />

l’in<strong>di</strong>cazione della famiglia <strong>di</strong> appartenenza come per i nobili.<br />

La classe servile dal IV secolo a.C. fu autrice <strong>di</strong> sommosse sociali, il cui scopo era<br />

l’ottenimento dei <strong>di</strong>ritti politici, riven<strong>di</strong>cazioni che ebbero a volte violente conclusioni.<br />

Gli schiavi venivano utilizzati come forza lavoro, fornivano una mano d'opera a basso costo,<br />

ma poteva anche essere molto specializzata.<br />

9


Le occupazioni più comuni nelle città erano i lavori domestici nelle abitazioni del ceto<br />

aristocratico, oppure come lavoranti nelle botteghe artigiane; nelle campagne: l’agricoltura o<br />

l’estrazione dei metalli nelle miniere.<br />

In genere gli schiavi non erano maltrattati in quanto erano considerati beni preziosi e la morte<br />

<strong>di</strong> uno <strong>di</strong> essi era vista come una grave per<strong>di</strong>ta economica.<br />

Gli orafi, le tessitrici, i musicisti, le danzatrici, i ginnasti, i minatori... erano tutti schiavi.<br />

Le due immagini sembrano uguali, ma se aguzzi la vista scoprirai che ci sono sette<br />

<strong>di</strong>fferenze. Trovale!<br />

10


Sarcofago <strong>di</strong> terracotta della fine<br />

del VI sec.a.C. da Cerve teri<br />

LA FAMIGLIA<br />

La famiglia etrusca non è <strong>di</strong>versa da quella delle società greca e<br />

romana. Era cioè composta dalla coppia, padre e madre, spesso<br />

conviventi con i figli ed i nipoti e tale composizione è riflessa<br />

nella <strong>di</strong>sposizione dei letti e delle eventuali camere della<br />

maggior parte delle tombe.<br />

Conosciamo alcuni gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> parentela in lingua etrusca grazie<br />

alle iscrizioni, come papa (nonno), ati nacna (nonna), clan<br />

(figlio), sec (figlia), tusurhtir (sposi), puia (sposa), thuva<br />

(fratello) e papacs (nipote).<br />

LA DONNA<br />

La donna, a <strong>di</strong>fferenza del mondo romano e greco, godeva <strong>di</strong> una maggiore considerazione e<br />

libertà: se per i Romani la donna doveva stare in casa a filare la lana e nelle età più antiche, il<br />

pater familias (il capofamiglia) aveva il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> morte qualora fosse stata sorpresa a bere del<br />

vino, per gli Etruschi poteva partecipare persino ai banchetti sdraiata sulla stessa kline (letto)<br />

del suo uomo, alle cerimonie sacre o assistere ai giochi sportivi ed agli spettacoli.<br />

Questo era scandaloso per i Romani che non esitarono a considerare tale uguaglianza come<br />

in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> scarsa moralità da parte delle donne etrusche (ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>re “etrusca” era sinonimo<br />

<strong>di</strong> “prostituta”).<br />

La con<strong>di</strong>zione sociale della donna nella civiltà etrusca era veramente unica nel panorama del<br />

mondo me<strong>di</strong>terraneo. La donna poteva trasmettere il proprio cognome ai figli, soprattutto nelle<br />

classi più elevate della società.<br />

A volte nelle epigrafi il nome della donna (corrisponde al nostro cognome) è preceduto da un<br />

prenome (il nome personale), segno del desiderio <strong>di</strong> mostrarne l’in<strong>di</strong>vidualità all’interno del<br />

gruppo familiare a <strong>di</strong>fferenza dei Romani che ne ricordavano solo il nome della famiglia.<br />

Tra i nomi propri <strong>di</strong> donna più frequenti troviamo Ati, Culni, Fasti, Larthia, Ramtha,<br />

Tanaquilla, Veilia, Velia, Velka.<br />

Esempio Ramtha Apatrui<br />

Etruschi Prenome Nome (detto Gentilizio)<br />

Oggi Nome Cognome<br />

Non dobbiamo però generalizzare, in quanto la maggiore libertà era riservata solo nelle classi<br />

alte. Le donne delle classi più povere vivevano come le altre donne del Me<strong>di</strong>terraneo;<br />

praticavano anche la prostituzione sacra. Le case <strong>di</strong> tolleranza degli Etruschi assomigliavano<br />

agli attuali harem orientali. La mortalità femminile, come quella infantile, era altissima: una<br />

donna su tre moriva sotto i 15 anni. Nelle tombe tutte avevano un feto accanto: quin<strong>di</strong><br />

morivano <strong>di</strong> parto, o <strong>di</strong> febbre post parto.<br />

11


IL PROFONDO CULTO DEI MORTI<br />

L’alone <strong>di</strong> mistero che ancora aleggia sugli Etruschi, <strong>di</strong>pende anche dal fatto che, fino agli anni<br />

’50, le ricerche siano state condotte prevalentemente in ambito funerario.<br />

Nel Rinascimento si rinnova l’interesse verso le antichità classiche, spesso dettato più dalla<br />

volontà antiquaria <strong>di</strong> creare delle collezioni <strong>di</strong> oggetti preziosi che dal desiderio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are gli<br />

aspetti materiali dei popoli antichi, inizia una triste stagione per l’archeologia italiana. Una<br />

sorta <strong>di</strong> rapina continua del patrimonio antico e, soprattutto, <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione dei contesti<br />

archeologici col solo fine <strong>di</strong> recuperare statue, vasi, gioielli. Esempio eclatante <strong>di</strong> questa pratica<br />

sono i “cunicoli borbonici”, delle trincee sotterranee fatte scavare dai regnanti borbonici del<br />

Regno <strong>di</strong> Napoli nello spesso strato <strong>di</strong> lapilli e fango vulcanico soli<strong>di</strong>ficato che, per quasi 1700<br />

anni aveva celato il sito dell'antica Ercolano (la città fu coperta dal materiale vulcanico nel 79<br />

d.C.) col solo fine <strong>di</strong> acquisire statue ed arre<strong>di</strong> per la collezione reale. I materiali sono oggi al<br />

Museo Archeologico Nazionale <strong>di</strong> Napoli.<br />

E in Etruria, cosa avvenne?<br />

Diverse attività <strong>di</strong> “sterro”, più che <strong>di</strong> scavo archeologico, come quelle condotte da Luigi<br />

Bonaparte, cugino <strong>di</strong> Napoleone, Principe <strong>di</strong> Canino, nelle campagne <strong>di</strong> Vulci: dalle tombe<br />

della città etrusca, venivano presi i vasi decorati, soprattutto greci, mentre quelli non figurati<br />

venivano <strong>di</strong>strutti perché considerati <strong>di</strong> scarso valore artistico (ed economico).<br />

Se da un lato, possiamo in parte giustificare lo scavo condotto senza alcun criterio scientifico,<br />

visto che la nascita dell’archeologia moderna risale al XX secolo, non altrettanto si può <strong>di</strong>re<br />

delle attività <strong>di</strong> scavo clandestino che, ancora oggi, continuano in Etruria, soprattutto nella<br />

Tuscia.<br />

Il territorio molto vasto, i siti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile raggiungimento, la copertura della vegetazione <strong>di</strong><br />

molte aree archeologiche, forniscono spesso ai <strong>di</strong>scendenti degli antichi tymborichoi, i<br />

“tombaroli” o<strong>di</strong>erni, la possibilità <strong>di</strong> agire in<strong>di</strong>sturbati nella loro attività, con la conseguente<br />

<strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> importanti contesti archeologici e la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> dati storici ed artistici. Così<br />

fiorisce un ricco commercio <strong>di</strong> vasellame ed oggetti etruschi, favorito da una committenza che<br />

nulla ha a che vedere con i principi celti o i ricchi mercanti cartaginesi, rappresentata<br />

soprattutto da ricchi italiani, americani, svizzeri e tedeschi.<br />

Si è “cercato” nei contesti funerari perché, a <strong>di</strong>fferenza degli abitati, interessati da una<br />

continuità inse<strong>di</strong>ativa, che ha lasciato poche tracce delle fasi precedenti, restituivano molti<br />

oggetti <strong>di</strong> prestigio, secondo l’usanza etrusca <strong>di</strong> accumulare nelle tombe tutto ciò che era <strong>di</strong><br />

maggior valore per il viaggio del defunto nell’Oltretomba.<br />

Si ha così l'impressione, del tutto errata e fuorviante, che la<br />

civiltà etrusca abbia avuto uno smisurato culto dei morti, molto<br />

più accentuato e misterioso che negli altri popoli del mondo<br />

antico. Il rispetto per i propri defunti, il desiderio <strong>di</strong><br />

rappresentare le tombe come le <strong>di</strong>more per l’eternità, la<br />

perfetta <strong>di</strong>slocazione delle aree funerarie, rientrano in un più<br />

vasto ambito sacrale e religioso.<br />

Ciò che caratterizza gli Etruschi, più che il solo aspetto<br />

funerario, è la profonda religiosità, il rispetto per la ritualità e<br />

quin<strong>di</strong> per la <strong>di</strong>vinità.<br />

Il regno dei morti<br />

L’ossuario biconico conteneva le<br />

ossa del defunto e il corredo<br />

Nei tempi più antichi gli Etruschi credevano ad una qualche forma <strong>di</strong> sopravvivenza terrena del<br />

defunto, da ciò nasceva l’esigenza, come forma rispettosa <strong>di</strong> omaggio, <strong>di</strong> garantire la sepoltura<br />

e dotarla <strong>di</strong> richiami al mondo dei viventi.<br />

12


La tomba era quin<strong>di</strong> realizzata in modo da sembrare la casa del defunto, sia nell’architettura<br />

che negli arre<strong>di</strong>. Insieme al corpo venivano deposti anche i suoi beni personali e preziosi,<br />

vestiti, gioielli, armi, oggetti <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano. Sulle pareti del sepolcro erano <strong>di</strong>pinte scene dal<br />

forte significato vitale, come banchetti, giochi atletici, danze. Dal V secolo a.C. anche la<br />

concezione del mondo dei defunti risentì in modo più marcato dell’influenza della civiltà greca.<br />

Venne così a configurarsi un al <strong>di</strong> là, localizzato in un mondo sotterraneo, nel quale le anime<br />

dei defunti trasmigravano, abitato da <strong>di</strong>vinità infernali e dagli spiriti <strong>di</strong> antichi eroi.<br />

Il passaggio tra i due mon<strong>di</strong> era visto come un viaggio che il defunto compiva scortato da<br />

spiriti infernali. I più importanti <strong>di</strong> questi spiriti erano la dea Vanth dalle gran<strong>di</strong> ali, che regge<br />

una torcia, il demone Charun, armato <strong>di</strong> un pesante martello, il demone Tuchulcha, dal volto <strong>di</strong><br />

avvoltoio e dalle orecchie <strong>di</strong> asino, armato <strong>di</strong> serpenti. Il destino <strong>di</strong> ogni defunto era quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

essere condotto in un mondo senza luce e speranza. Le sofferenze delle anime dei morti<br />

potevano essere alleviate dai parenti con riti, offerte e sacrifici. Per personaggi particolarmente<br />

illustri doveva essere possibile, grazie a speciali cerimonie, provvedere alla beatificazione o in<br />

casi eccezionali alla deificazione.<br />

Le tombe<br />

Le tombe più antiche (IX secolo a.C.) sono a pozzetto e contengono un vaso biconico, usato<br />

come contenitore per le ceneri e gli oggetti <strong>di</strong> ornamento e d’uso del defunto. Il vaso è coperto<br />

da una ciotola o da un elmo. Nei corre<strong>di</strong> funerari già compaiono oggetti pregiati e <strong>di</strong><br />

importazione. È il primo segno dell’intensificarsi delle attività economiche intorno ai nuovi<br />

nuclei urbani, ma anche della presenza <strong>di</strong> gruppi aristocratici che detengono la ricchezza.<br />

Alla fine dell’VIII secolo a.C. si passa dall’usanza <strong>di</strong> bruciare i corpi dei morti, chiamata<br />

incinerazione, a quella <strong>di</strong> metterli nelle tombe, come facciamo noi oggi, detta inumazione.<br />

Verso la fine del secolo e nel successivo, l’esibizione <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> prestigio nelle tombe è<br />

evidentissima soprattutto in alcuni centri, dove si può supporre che i gruppi aristocratici<br />

fossero particolarmente forti. La massiccia presenza <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> produzione orientale, che<br />

giungevano in Etruria tramite il commercio, ha portato alla denominazione <strong>di</strong> questo periodo<br />

come orientalizzante.<br />

Agli inizi del VII secolo a.C. compare la tomba a camera scavata nella roccia con corridoio<br />

d’ingresso (dromos) dove spesso venivano poste offerte <strong>di</strong> cibo o oggetti. Sono e<strong>di</strong>ficate sul<br />

modello dell’abitazione allora in uso: una capanna a pianta circolare, costruita con gran<strong>di</strong><br />

blocchi <strong>di</strong> pietra e coperti con una falsa cupola. Nelle tombe più complesse alla camera<br />

principale si aggiungono delle stanze aperte sul corridoio per sepolture secondarie, come quelle<br />

dei congiunti nelle tombe <strong>di</strong> famiglia. Nei primi tempi gli Etruschi erano legati alla concezione<br />

della continuazione dopo la morte <strong>di</strong> una attività vitale del defunto. La tomba veniva così<br />

costruita nell’aspetto della casa e dotata <strong>di</strong> suppellettili e arre<strong>di</strong>, veri o riprodotti in miniature.<br />

A volte le pareti erano affrescate con scene della vita quoti<strong>di</strong>ana o dei momenti più significativi<br />

e piacevoli del defunto. Allo stesso modo, cornici, soffitti, frontoni, ricostruivano l’ambiente<br />

domestico, venivano <strong>di</strong>pinti oppure scolpiti nella roccia. A partire dal VI secolo a.C. la camera<br />

ha soffitto piano o a due spioventi o a cassettoni, talvolta sostenuto da pilastri o colonne per<br />

dargli maggiore soli<strong>di</strong>tà, ne è un esempio le tombe <strong>di</strong> Tarquinia<br />

Verso la metà del VII sec. a.C. sorgono a Caere (Cerveteri) alcuni enormi tumuli, tombe<br />

scavate in terreno pianeggiante e ricoperte da terra e pietrisco. I tumuli assumono a volte<br />

<strong>di</strong>mensioni monumentali, possono raggiungere fino a trenta metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, e spesso<br />

contenevano varie tombe della stessa famiglia. Sono tombe a pianta circolare, con un alto<br />

tamburo in muratura e una falsa cupola, ottenuta sovrapponendo verso l’interno filari <strong>di</strong> blocchi<br />

<strong>di</strong> pietra chiusi in alto da una lastra.<br />

13


Per tutto il V secolo a.C. si assiste ad un nuovo mutamento delle necropoli. La città dei morti<br />

ha ora le sue strade e talvolta persino delle piazze.<br />

Le tombe assumono sempre più una forma quadrangolare, sono uniformi, le facciate allineate<br />

sulle vie che si intersecano ad angolo retto. All’interno delle tombe vi erano solo due ambienti,<br />

all’esterno scalette laterali portavano in cima, dove esistevano altari per il culto. Tale<br />

cambiamento riflette quello che succede anche per le città.<br />

Nonostante i gran<strong>di</strong> mutamenti, i caratteri <strong>di</strong> continuità con il periodo precedente sono però<br />

chiarissimi: nelle necropoli <strong>di</strong> Vetulonia compaiono recinti funerari a circolo all’interno dei<br />

quali coesistono pozzetti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione villanoviana e nuove tombe a fossa per inumati, poi<br />

sostituiti dai gran<strong>di</strong> tumuli circolari (Tomba della Pietrera, Tombe del Diavolino 1 e 2).<br />

A Populonia, dopo la precoce comparsa del rito dell’inumazione e <strong>di</strong> tombe del tipo a camera<br />

(IX secolo a.C.), si <strong>di</strong>ffondono tombe a tumulo con alto tamburo cilindrico in muratura e ricchi<br />

corre<strong>di</strong> orientalizzanti.<br />

Esempi <strong>di</strong> primo piano sono osservabili a Cerveteri (Tomba Regolini-Galassi) e si ricollegano<br />

all’evoluzione delle tipologie abitative contemporanee alla necropoli (metà del VII secolo<br />

a.C.), quando le case si organizzarono in due o tre ambienti affiancati e preceduti da una sorta<br />

<strong>di</strong> vestibolo oppure attorno ad una corte centrale.<br />

Il grande tumulo riveste un carattere <strong>di</strong> rappresentanza, quasi politico, oltre ad avere uno scopo<br />

funzionale <strong>di</strong> protezione, con la sua grandezza, lascia il sigillo eterno della potenza della<br />

famiglia dominante.<br />

Dalla metà del VI secolo a.C. e per tutto il V secolo a.C. si assiste ad un nuovo mutamento<br />

delle necropoli. Essa <strong>di</strong>venta oggetto <strong>di</strong> un vero e proprio piano urbanistico: la città dei morti<br />

ha ora le sue strade e talvolta persino delle piazze.<br />

Le tombe assumono sempre più una forma quadrangolare,<br />

sono uniformi, le facciate allineate sulle vie che si<br />

intersecano ad angolo retto formando autentiche insulae.<br />

All’interno delle tombe vi erano solo due ambienti,<br />

all’esterno scalette laterali portavano alla sommità, dove<br />

esistevano altari per il culto.<br />

Tale cambiamento riflette un profondo mutamento della<br />

struttura sociale, con l’affermarsi <strong>di</strong> un ceto me<strong>di</strong>o,<br />

Tomba dei Rilievi, IV a.C. Cerveteri<br />

promotore <strong>di</strong> soluzioni abitative meno sfarzose e l’adozione<br />

del sistema greco ortogonale <strong>di</strong> razionalizzazione dello spazio, che ve<strong>di</strong>amo applicato anche<br />

nella struttura delle città.<br />

Inoltre, sempre a causa dell’influenza del mondo greco erano cambiate anche le concezioni <strong>di</strong><br />

fondo riguardo il destino dei defunti. Alla primitiva fede nella “sopravvivenza” del defunto<br />

dopo la morte, si sostituì l’idea <strong>di</strong> un “regno dei morti”, immaginato sul modello dell'Averno<br />

greco.<br />

14


I riti funebri<br />

La morte <strong>di</strong> un personaggio appartenente ad una famiglia illustre era celebrata con la<br />

partecipazione al lutto <strong>di</strong> tutta la citta<strong>di</strong>nanza. Il giorno della sepoltura un lungo corteo si<br />

snodava dall’abitazione del defunto alla tomba della famiglia. Sacerdoti con i simboli del loro<br />

ufficio religioso, suonatori <strong>di</strong> flauto, parenti e conoscenti con offerte votive, accompagnavano<br />

il corpo trasportato su <strong>di</strong> un carro a quattro ruote. Dal corteo, che procedeva con lentezza, si<br />

alzava un misto <strong>di</strong> preghiere, tristi musiche, lamenti dei familiari. Arrivati alla tomba,<br />

precedentemente preparata per la cerimonia, si procedeva al rito <strong>di</strong> sepoltura del defunto.<br />

Alcuni ritrovamenti <strong>di</strong> parti <strong>di</strong> testi religiosi riguardanti cerimonie funebri, ci permettono <strong>di</strong><br />

farci un’idea <strong>di</strong> quanta attenzione dovesse essere data dagli Etruschi a questo rituale.<br />

Purtroppo, la nostra incompleta conoscenza della lingua etrusca non ci consente <strong>di</strong><br />

comprendere chiaramente il linguaggio specializzato <strong>di</strong> questi testi, e quin<strong>di</strong> non siamo in<br />

grado <strong>di</strong> ricostruire con precisione le cerimonie. Ciò che possiamo <strong>di</strong>re con certezza è che la<br />

preghiera, la musica e la danza vi avevano grande importanza; e che, al momento più<br />

intensamente religioso, si affiancavano giochi <strong>di</strong> destrezza, gare atletiche e combattimenti <strong>di</strong><br />

gla<strong>di</strong>atori.<br />

15


LA MODA, LA MUSICA, IL BANCHETTO E I GIOCHI<br />

La moda<br />

L’abbigliamento degli Etruschi richiama dal VI secolo a.C. quello dei<br />

Greci. Gli uomini nell’età arcaica andavano a torso nudo, in seguito si<br />

<strong>di</strong>ffuse l’uso <strong>di</strong> una tunica corta o <strong>di</strong> un giubbetto, con un mantello<br />

colorato gettato sopra le spalle. Questo mantello, più ampio e ricamato, <strong>di</strong>venne poi la veste<br />

nazionale degli Etruschi: la tèbenna.<br />

Le donne e gli anziani usavano una tunica lunga fino ai pie<strong>di</strong>, la tunica era solitamente <strong>di</strong> stoffa<br />

leggera pieghettata o decorata ai bor<strong>di</strong>; sopra si portava un manto<br />

colorato più pesante. Tra l’abbigliamento femminile troviamo gonne, casacche, corpetti. Le<br />

calzature più comuni erano sandali, stivaletti alti e una caratteristica scarpa, <strong>di</strong><br />

origine greco-orientale, con la parte anteriore a punta e rivolta verso l’alto. Il<br />

copricapo più <strong>di</strong>ffuso era una calotta <strong>di</strong> lana, ma ne esistevano <strong>di</strong> molte<br />

forme: a punta, conici, a cappuccio, a falde larghe; spesso identificavano<br />

l’appartenenza <strong>di</strong> coloro che li portavano ad una precisa classe sociale. A<br />

partire dal V secolo a.C. prevale l’uso <strong>di</strong> andare a capo scoperto.<br />

Sempre dal V secolo a.C. gli uomini, che precedentemente usavano portare<br />

la barba e capelli lunghi con trecce, incominciarono a radersi e tenere i capelli corti. Le donne<br />

ricorrevano alle più svariate acconciature <strong>di</strong> capelli: lunghi, con la coda, intrecciati, o raccolti in<br />

reticelle o cuffie. L’abbigliamento era completato da gioielli <strong>di</strong> ottima fattura, orecchini,<br />

collane, bracciali, fibule (spille), pettorali, nella cui produzione gli Etruschi erano maestri.<br />

La musica<br />

Gli strumenti erano a percussione, a corda e a fiato, in particolare quello<br />

più utilizzato era il flauto, in tutte le sue svariate forme, anche se quello<br />

doppio (aulos) era considerato lo strumento nazionale <strong>etrusco</strong>. Gli<br />

Etruschi apprezzavano molto la musica e solevano accompagnare con essa<br />

tutte le attività della giornata: il lavoro, il mangiare, le cerimonie civili e<br />

religiose.<br />

Anche sul campo <strong>di</strong> battaglia i movimenti delle truppe erano coor<strong>di</strong>nati<br />

facendo ricorso al suono delle trombe (tibiae). La musica spesso<br />

accompagnava i movimenti ritmati <strong>di</strong> danzatori e danzatrici, il cui ballo<br />

non era solo uno spettacolo, ma poteva essere una cerimonia legata a riti<br />

propiziatori o a celebrazioni funebri. La musica accompagnava anche gli Danzatrice dalla<br />

spettacoli scenici <strong>di</strong> più antica origine, che avevano carattere <strong>di</strong> mimo e tomba del Triclinio<br />

rappresentati da attori-danzatori mascherati. Dal IV secolo a.C. si <strong>di</strong>ffuse il teatro drammatico<br />

d’ispirazione greca.<br />

Il banchetto<br />

Il banchetto così spesso riprodotto negli affreschi delle tombe, aveva per gli Etruschi un<br />

duplice significato. Era cerimonia religiosa in quanto si pensava che fosse presente anche lo<br />

spirito del deceduto. Inoltre, nella vita quoti<strong>di</strong>ana, era un simbolo <strong>di</strong> ricchezza ed appartenenza<br />

ad una élite sociale. Infatti solo la classe nobile poteva permettersi <strong>di</strong> dare sfarzosi ricevimenti,<br />

in cui gli invitati, uomini e donne <strong>di</strong> alto rango, si sdraiavano a coppie su letti conviviali<br />

(klinai) accu<strong>di</strong>ti da numerosi servi, mentre musicisti e danzatori accompagnavano con suoni e<br />

danze lo svolgersi del banchetto. I tavoli erano coperti da tovaglie ricamate e apparecchiati con<br />

ricchi vasi; i cibi erano costituiti da ricche portate <strong>di</strong> carni, in particolare cacciagione, ortaggi e<br />

frutta.<br />

16


Questa usanza <strong>di</strong> banchettare <strong>di</strong>stesi, era un’abitu<strong>di</strong>ne che gli Etruschi presero dai Greci nel VI<br />

sec. a.C., mentre prima mangiavano seduti davanti a un tavolo come facciamo noi oggi.<br />

Questa usanza passò anche ai Romani, ma né Greci né Romani fecero mai autocritica, mentre<br />

non persero occasione per accusare gli Etruschi <strong>di</strong> essere troppo inclini alla mollezza e ai<br />

piaceri del cibo.<br />

I giochi<br />

Pur amando le gran<strong>di</strong> feste, gli Etruschi non <strong>di</strong>sdegnavano neppure i giochi semplici come<br />

quello dei da<strong>di</strong>, in osso, legno e del tutto identici a quelli moderni. Vi sono i da<strong>di</strong> a trottola, non<br />

mancano neppure quelli truccati con pesi collocati all’interno in modo da con<strong>di</strong>zionare la<br />

caduta e quin<strong>di</strong> il punteggio.<br />

Il gioco più documentato è il kóttabos, nasce in Sicilia nel V secolo a.C., si <strong>di</strong>ffuse poi in<br />

Grecia e in Etruria. Il gioco consisteva nel far cadere un piattino posto in equilibrio instabile<br />

sulla sommità <strong>di</strong> un’asta metallica situata nel mezzo della sala, colpendolo con un getto <strong>di</strong><br />

vino.<br />

Il convitato giocatore, dopo avere preso la coppa contenente il vino, doveva con un movimento<br />

rapido e calibrato, scagliare il liquido contro il bersaglio facendolo cadere.<br />

Il metodo originario siculo prevedeva che i giocatori stessero in pie<strong>di</strong>, mentre la posizione<br />

sdraiata sul letto conviviale, venne adottata dai Greci. Gli Etruschi praticavano entrambe le<br />

posizioni <strong>di</strong> lancio.<br />

Accanto all’aspetto agonistico del gioco, ve ne era anche uno amatorio: chi colpiva il bersaglio,<br />

pronunciava il nome della persona <strong>di</strong> cui desiderava procurarsi i favori e, sentimenti a parte,<br />

spesso era messa in palio una delle ancelle del padrone <strong>di</strong> casa.<br />

17


OGGI LA VIOLENZA DÀ SPETTACOLO<br />

La pratica del fisico è antica quanto l’uomo, lo sport invece corrisponde alla definizione <strong>di</strong><br />

forme e regole ben precise, entro le quali si svolge l’attività fisica.<br />

Il termine lu<strong>di</strong>, adoperato per in<strong>di</strong>care competizioni sportive è probabilmente <strong>di</strong> origine etrusca.<br />

L’elemento sacro che in origine animava queste manifestazioni, perse progressivamente<br />

importanza nella coscienza popolare, fino ad essere sostituito da un valore <strong>di</strong> spettacolo.<br />

Non a caso furono preferiti su tutti i giochi più spettacolari e violenti, come le corse dei carri,<br />

delle bighe o trighe (a 2 o 3 cavalli) documentate dal VI secolo a.C., i combattimenti <strong>di</strong>retti,<br />

come il pugilato e la lotta libera.<br />

Verso la fine del VI secolo a.C. compaiono specialità tipicamente greche, quali il lancio del<br />

<strong>di</strong>sco, il lancio del giavellotto, il salto in lungo, la lotta e la corsa, in sostanza il pentathlon<br />

greco. Non si deve tuttavia pensare che gli Etruschi abbiamo copiato <strong>di</strong> sana pianta gli usi<br />

greci.<br />

A testimonianza della pre<strong>di</strong>lezione degli Etruschi per gli sport più<br />

spettacolari, praticarono poco le corse al galoppo, mentre idearono<br />

gare acrobatiche, una sorta <strong>di</strong> cavallerizzi da circo, che saltavano<br />

da un cavallo all’altro.<br />

Un folto pubblico assisteva anche ai combattimenti <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>atori<br />

che avvenivano sempre all'ultimo sangue, uomo contro uomo o<br />

uomo contro animale.<br />

Biga particolare dalla tomba<br />

della Collina (Chiusi, V a.C.)<br />

Uno <strong>di</strong> questi cruenti giochi gla<strong>di</strong>atori vedeva contrapposti in una<br />

lotta impari e mortale un uomo con la testa infilata in un sacco,<br />

armato <strong>di</strong> una mazza e un cane tenuto con un lungo guinzaglio da<br />

un uomo mascherato, chiamato Phersu.<br />

Le occasioni per celebrare i giochi erano le più <strong>di</strong>verse: lu<strong>di</strong> <strong>di</strong> carattere privato, legati alla vita<br />

dei gruppi nobiliari e dunque connessi sia alle pratiche dei banchetti (simposio) che alla sfera<br />

funeraria, ossia celebrati in onore <strong>di</strong> un defunto.<br />

Tali manifestazioni avevano inoltre il significato <strong>di</strong> testimoniare la ricchezza, il potere e la<br />

nobiltà dei personaggi che or<strong>di</strong>navano l’organizzazione dei giochi (committenti).<br />

Si celebravano feste pubbliche citta<strong>di</strong>ne durante le quali si poteva assistere a gare atletiche ed<br />

equestri, organizzate dalle singole comunità in onore delle <strong>di</strong>vinità della nazione etrusca o <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>vinità locali. Questi giochi possono essere equiparati alle attuali sagre paesane.<br />

Vi erano anche le “Olimpia<strong>di</strong> d’Etruria” che si svolgevano a Volsini (Orvieto), sede della Lega<br />

dei 12 popoli (cioè le 12 città etrusche confederate), nel santuario del <strong>di</strong>o Voltumna, il Fanum<br />

Voltumnae, sulla base <strong>di</strong> uno strettissimo rapporto tra il mondo religioso e quello politico.<br />

Sappiamo inoltre <strong>di</strong> feste e gare (agoni) indette a fini propiziatori o <strong>di</strong> espiazione, in occasione<br />

<strong>di</strong> eventi negativi o <strong>di</strong> cattivo auspicio.<br />

Vi erano anche i lu<strong>di</strong> detti Consualia, che avevano il carattere <strong>di</strong> riti <strong>di</strong> fondazione e/o <strong>di</strong><br />

vittoria e che ritroviamo anche tra i rituali romani.<br />

Il compito <strong>di</strong> organizzare i giochi era affidato a magistrati-sacerdoti, identificabili con i<br />

personaggi che reggono il lituo (lungo bastone curvo all’estremità superiore), che troviamo su<br />

numerose raffigurazioni etrusche.<br />

In gara per... In origine i premi consistevano in tripo<strong>di</strong> (una specie <strong>di</strong> “sgabello” <strong>di</strong> bronzo a<br />

tre pie<strong>di</strong> per oggetti d’uso o <strong>di</strong> ornamento) e bracieri <strong>di</strong> bronzo, poi troviamo vasi <strong>di</strong> metallo o<br />

ceramica, anfore che contenevano olio o vino, o ricchi vestiti decorati.<br />

A <strong>di</strong>fferenza dei Greci che gareggiavano nu<strong>di</strong>, gli Etruschi si coprivano.<br />

I fantini indossavano un vestito corto, spesso vivamente colorato, un cappuccio a forma <strong>di</strong><br />

cono (tutulus) ed avevano una frusta.<br />

18


Tipica etrusca è anche la tecnica per altro molto pericolosa, <strong>di</strong> legarsi le re<strong>di</strong>ni intorno alla vita,<br />

che trasmetteranno poi ai Romani.<br />

Chi erano gli atleti?<br />

Gli sportivi etruschi erano veri e propri professionisti, <strong>di</strong> solito schiavi desiderosi <strong>di</strong> ottenere la<br />

libertà o quantomeno un miglioramento delle loro con<strong>di</strong>zioni, erano strettamente legati al loro<br />

signore e combattevano per lui, per offrire uno spettacolo forte ed emozionante.<br />

Dagli scavi archeologici non sono venuti alla luce sta<strong>di</strong>, circhi o teatri etruschi. Presso quasi<br />

tutte le gran<strong>di</strong> città etrusche, sono state identificate ampie zone pianeggianti, adatte allo<br />

svolgimento <strong>di</strong> gare, aree che potevano essere munite <strong>di</strong> strutture provvisorie, ad esempio<br />

tribune in legno per gli spettatori <strong>di</strong> riguardo o semplici cumuli <strong>di</strong> terra (terrapieni) per gli altri.<br />

Plutarco, cita un ippodromo della città <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, del quale però non restano tracce.<br />

UN POPOLO DI INGEGNERI<br />

Gli Etruschi svilupparono una grande capacità ingegneristica. Opere idrauliche<br />

d’incanalamento, <strong>di</strong> sfruttamento, d’irrigazione sono arrivate fino ai nostri giorni come ad<br />

esempio la galleria del Ponte Sodo, scavata nel tufo probabilmente per fornire acqua alla città<br />

<strong>di</strong> <strong>Veio</strong>.<br />

Gli Etruschi riconoscevano nell’acqua un fattore essenziale alla vita <strong>di</strong> ogni giorno e <strong>di</strong> ogni<br />

livello. L’acqua arrivava alla città con sapienti reticolati <strong>di</strong> acquedotti, veniva poi conservata in<br />

cisterne e in pozzi <strong>di</strong> perfetta tenuta stagna.<br />

Drenarono la vallata paludosa <strong>di</strong> Roma e vi costruirono la Cloaca Massima. Tra le scienze<br />

coltivarono la matematica applicata alla meccanica e all’idraulica, l’astronomia (conoscevano<br />

l’anno solare <strong>di</strong> 365 giorni <strong>di</strong>viso in 12 mesi) e la fisica (inventarono i mulini a mano, gli<br />

speroni delle navi, vari strumenti agricoli).<br />

Con gli Etruschi scopriamo che la tecnica e la tecnologia non sono un’esclusiva della nostra<br />

epoca.<br />

19


ARCHEOLOGIA IN CUCINA<br />

...servi fanno a pezzi la carne con una piccola ascia, altri preparano focacce, cuociono i<br />

cibi nel forno, mesciono le bevande nelle brocche.<br />

I loro padroni sono seduti o sdraiati sulle klinai, i letti del banchetto, in compagnia delle<br />

proprie donne dalle ricche vesti, illuminati da alti candelieri <strong>di</strong> bronzo lucente, serviti da<br />

schiavi nu<strong>di</strong> ed allietati da suonatori <strong>di</strong> lira e tibicines (flauti doppi)...<br />

Cosa si mangiava nell’antica Etruria?<br />

L’alimentazione del mondo me<strong>di</strong>terraneo antico è con<strong>di</strong>zionata, dai prodotti che la natura offre<br />

e dalle con<strong>di</strong>zioni climatiche simili nel mondo greco, latino ed <strong>etrusco</strong>, le quali hanno generato<br />

una <strong>di</strong>eta ed una cucina simili tra loro.<br />

Carciofi, rape, cipolle, farro, porri, aglio, asparagi, cavoli, carote, fave, lenticchie, carne<br />

costituivano l’essenza della cucina etrusca. Il miele, in particolare quello ricavato dal timo,<br />

costituiva il principale dolcificante. Gli Etruschi conoscevano ed apprezzavano le tagliatelle: lo<br />

desumiamo dalle attrezzature rinvenute nella tomba dei rilievi a Cerveteri.<br />

Oltre alla frutta e verdura, nei tempi più antichi si mangiava <strong>di</strong> frequente le minestre <strong>di</strong> cereali<br />

(<strong>di</strong> farro) e legumi (<strong>di</strong> fave), le zuppe <strong>di</strong> verdura: ne è un ricordo l’acquacotta, uno dei piatti<br />

della tra<strong>di</strong>zione culinaria viterbese.<br />

Le farine <strong>di</strong> cereali e legumi erano utilizzate per fare frittelle e focacce.<br />

La carne era bollita ed arrostita: nei corre<strong>di</strong> delle tombe troviamo gli spie<strong>di</strong> e le pinze per<br />

maneggiare i tizzoni <strong>di</strong> brace.<br />

Si allevavano suini, ovini e bovini, venivano cacciati il cervo, il capriolo e la lepre. Si tendeva<br />

soprattutto al consumo <strong>di</strong> suini, mentre i caprovini erano destinati alla produzione <strong>di</strong> latte e<br />

lana e i bovini al lavoro nei campi.<br />

Con<strong>di</strong>mento ideale per ogni cibo era l’olio d’oliva, <strong>di</strong> qualità ottima, esportato in tutto il<br />

Me<strong>di</strong>terraneo come testimonia il rinvenimento <strong>di</strong> anfore etrusche.<br />

Esempio <strong>di</strong> menù Etrusco<br />

Pane integrale con salsa <strong>di</strong> olive nere, pinoli e erbe aromatiche<br />

Bocconcini <strong>di</strong> cinghiale con salsa d’alloro e bacche <strong>di</strong> bosco<br />

Pasticcetto <strong>di</strong> fichi secchi e formaggio fresco<br />

Vino rustico miscelato con acqua, miele, spezie, semi e bacche<br />

Dall’antica Etruria...<br />

Dagli affreschi delle necropoli etrusche e dai reperti archeologici è possibile capire le abitu<strong>di</strong>ni<br />

gastronomiche degli antichi Etruschi.<br />

La nostra usanza <strong>di</strong> con<strong>di</strong>re con l’olio le verdure lessate, <strong>di</strong> arrostire sul fuoco, alla graticola o<br />

allo spiedo, la carne, la preferenza <strong>di</strong> alcune tra<strong>di</strong>zioni locali, <strong>di</strong> cuocere in un determinato<br />

modo le frattaglie, preferendole ad alcuni pezzi <strong>di</strong> carne scelta, risale agli inizi della civiltà.<br />

Per gli Etruschi il sedersi o meglio lo sdraiarsi a tavola per mangiare, era come partecipare ad<br />

un rito sacro. Gli Etruschi come lo faranno poi i romani, mangiavano sui letti conviviali<br />

(klinai).<br />

L’<strong>etrusco</strong> ricco, nell’età classica, consumava due pasti al giorno, in un banchetto che si<br />

<strong>di</strong>videva in due parti.<br />

L’uovo era il cibo obbligatorio dell’inizio, seguivano le carni arrostite, gli uccelli, le oche, le<br />

galline, i fagiani, la porchetta ripiena <strong>di</strong> svariati animali, i pesci d’acqua dolce, <strong>di</strong> mare ed i<br />

molluschi.<br />

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La seconda parte era de<strong>di</strong>cata ai dolci, alla frutta <strong>di</strong> ogni<br />

genere e alle torte a base <strong>di</strong> formaggio, miele e uova; il<br />

tutto accompagnato con del vino dolcificato con miele per<br />

suscitare allegria.<br />

Presso l’abitato <strong>di</strong> San Giovenale (Blera) che abbraccia<br />

un arco cronologico molto ampio, dall’età del Bronzo<br />

all’età romana, sono stati rinvenuti fornelli e pentole <strong>di</strong><br />

terracotta che testimoniano la vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />

L’olio degli Etruschi<br />

Servizio in bronzo per banchetto<br />

Albero sacro per i greci, che attribuirono la sua nascita alla dea Atena, molto probabilmente<br />

l’olivo proveniva dal Me<strong>di</strong>o Oriente. La pianta, e la coltivazione dei suoi frutti, si affermò<br />

comunque in tutta l’area me<strong>di</strong>terranea. Alla sua <strong>di</strong>ffusione contribuirono i commercianti greci,<br />

che arrivarono fin sulle coste etrusche.<br />

Il nome stesso scelto dagli Etruschi per l’olio, “eleiva”, è <strong>di</strong> origine greca.<br />

Così fra il 630 e il 550 a.C. l’olivicoltura è un’attività <strong>di</strong>ffusamente praticata in Etruria, sia<br />

nelle zone costiere che in quelle collinari, soprattutto in Val <strong>di</strong> Chiana e intorno a Chiusi. Gli<br />

Etruschi <strong>di</strong>ventarono così bravi che il loro olio, molto rinomato insieme al vino, era conosciuto<br />

in tutto il Me<strong>di</strong>terraneo.<br />

Gli Etruschi facevano grande consumo anche delle olive, mentre l’olio veniva impiegato per la<br />

preparazione <strong>di</strong> unguenti molto apprezzati nella cosmesi, sia dalle signore che dagli atleti<br />

dell’epoca, che li usavano per il beneficio dei muscoli.<br />

Meno consueto era l’uso dell’olio per l’illuminazione e infatti il famoso lampadario <strong>etrusco</strong> <strong>di</strong><br />

Cortona (esposto al museo dell'Accademia) è ritenuto un caso eccezionale, giustificabile solo<br />

con l’immensa ricchezza dei proprietari che potevano permettersi una grande <strong>di</strong>sponibilità del<br />

prezioso liquido.<br />

Fra le ricette etrusche, eccone alcune che potranno sod<strong>di</strong>sfare anche il gusto dei<br />

nostri moderni palati.<br />

Salsa a base <strong>di</strong> aglio Pestare l’aglio, aggiungere abbondante olio, poi sale e aceto. Lasciare<br />

riposare per qualche ora e quin<strong>di</strong> usare la salsa per accompagnare verdure lesse, pesci, carni<br />

oppure per crostini <strong>di</strong> pane.<br />

Arrosto <strong>di</strong> bue Cuocere il manzo con olio, sale e abbondante vino rosso. Si mangia freddo.<br />

Puls Era una polenta fatta con farina <strong>di</strong> fave. Ma “puls” era anche una pappa <strong>di</strong> frumento<br />

rinvenuto nell’acqua. Per i ricchi etruschi che conoscevano e si nutrivano <strong>di</strong> frumento, il puls<br />

era cibo or<strong>di</strong>nario della povera plebe.<br />

Suovetaurilia (una specie <strong>di</strong> spezzatino con carni <strong>di</strong>verse: maiale, vitello e manzo) si pone la<br />

carne al fuoco con olio <strong>di</strong> oliva ed un battuto <strong>di</strong> odori: cipolla ed aglio, prezzemolo, timo e<br />

menta fresca. Si lascia rosolare. Preso il colore si aggiunge un bicchiere <strong>di</strong> vino rosso si fa<br />

evaporare a fuoco allegro. Si copre con brodo e si lascia cuocere lentamente, far insaporire il<br />

tutto e servire.<br />

Pesce persico Si lessa il pesce persico e si tolgono le lische e la pelle. Si battono dei tuorli<br />

d’uova, vi si aggiunge il pesce, poco olio, del vino bianco, il sale, e delle chiare montate a<br />

neve. Si cuoce in uno stampo a fuoco moderato, si sforma e si serve.<br />

21


Polpo Il pesce pescato più frequentemente era il polpo e questo mollusco è stato sempre una<br />

buona risorsa alimentare e gli Etruschi che vivevano in quest’isola ne hanno approfittato a<br />

lungo. Dopo averlo sbattuto su <strong>di</strong> una roccia affinché si ammorbi<strong>di</strong>sca e privato dei suoi occhi,<br />

il polpo veniva lessato in acqua e con<strong>di</strong>to con solo olio.<br />

22


ECONOMIA<br />

Nel corso della loro lunga storia gli Etruschi raggiunsero un elevato livello <strong>di</strong> ricchezza.<br />

Le città e le campagne erano animate da ogni attività: commercio, agricoltura, attività<br />

manifatturiera ed estrattiva, gran<strong>di</strong> opere civili e militari.<br />

I mercanti etruschi situati in una regione strategica per i traffici commerciali tra Oriente ed<br />

Occidente, seppero sfruttare al meglio questa posizione <strong>di</strong> favore.<br />

Essi, ottenuto il controllo del Mar Tirreno, non erano meno noti dei Greci o Fenici ai popoli<br />

che abitavano le coste del Me<strong>di</strong>terraneo.<br />

Anche le vie commerciali <strong>di</strong> terra che portavano verso il nord Europa erano percorse dagli<br />

Etruschi, che in questo modo facevano da tramite tra le civiltà del Me<strong>di</strong>terraneo e quelle<br />

dell’Occidente.<br />

L’agricoltura degli Etruschi era tecnicamente avanzata, in particolare erano esperti nel<br />

drenaggio e nella bonifica dei terreni paludosi, bonificarono la pianura acquitrinosa, che in<br />

seguito <strong>di</strong>venne il centro <strong>di</strong> Roma.<br />

Le principali colture erano quelle del farro, del grano, del miglio, della segale, dell’avena e del<br />

lino, per non <strong>di</strong>menticare la vite e gli alberi da frutta.<br />

Anche l’allevamento era fiorente: greggi <strong>di</strong> pecore, mandrie <strong>di</strong> buoi, <strong>di</strong> maiali erano al pascolo<br />

nelle campagne.<br />

La fauna dell'entroterra, lepri, cinghiali, uccelli, cervi, caprioli, forniva abbondante cacciagione<br />

e ancora in età romana, la costiera etrusca era famosa per la pescosità delle sue acque.<br />

Nelle botteghe artigiane si fabbricavano vasi <strong>di</strong> terracotta <strong>di</strong> ogni forma, ispirati al gusto greco,<br />

recipienti ed oggetti in bronzo, raffinati gioielli in oro e in altri metalli preziosi. I prodotti<br />

venivano acquistati sul posto o prendevano la via per terre lontane.<br />

Le foreste garantivano il legname necessario ad armare le flotte, e servivano per l’industria<br />

metallurgica come combustibile.<br />

Le aree dei Monti della Tolfa e l’Isola d’Elba, ricche <strong>di</strong> metalli, costituirono una risorsa<br />

economica <strong>di</strong> grande valore per gli Etruschi, sia dal punto <strong>di</strong> vista commerciale, che da quello<br />

militare.<br />

Per secoli nelle miniere controllate dagli Etruschi si estrassero rame, ferro, piombo, stagno, con<br />

cui si realizzavano sia armi, che oggetti d’uso civile.<br />

È stata la ricchezza dei minerali che gli Etruschi possedevano a renderli una grande potenza e<br />

ad attirare i commercianti orientali sulle coste tirreniche.<br />

VIE E COMMERCI: L’OREFICERIA E LE CERAMICHE, IL VINO E GLI SCHIAVI<br />

Quali sono i prodotti, le merci, i manufatti importati ed esportati dal commercio <strong>etrusco</strong>?<br />

Quali i popoli con cui gli Etruschi intrapresero degli scambi, in Italia e nel bacino del mar<br />

Me<strong>di</strong>terraneo?<br />

Abbiamo visto come i primi contatti commerciali avvengano sin dal II millennio a.C., tra genti<br />

appenniniche e navigatori provenienti dal mare Egeo. L’apertura delle rotte verso le coste<br />

etrusche porterà nel I millennio all’aumento della presenza <strong>di</strong> navigatori greci in queste acque,<br />

soprattutto alla ricerca <strong>di</strong> metalli. Nel corso del IX secolo a.C. sono frequenti gli scambi con le<br />

altre popolazioni dell’Italia antica: questi sono testimoniati dalla presenza, nei contesti<br />

archeologici soprattutto funerari, <strong>di</strong> oggetti estranei alla cultura materiale etrusca, quali bottoni,<br />

statuette, oggetti miniaturistici sar<strong>di</strong> in Etruria e rasoi e fibule (spille) etrusche in Sardegna e<br />

Corsica.<br />

Se nel IX secolo a.C. i rapporti tra Greci ed Etruschi erano modesti, nel corso dell'VIII secolo<br />

a.C. i contatti <strong>di</strong>vengono frequenti, fino allo stabilirsi <strong>di</strong> relazioni stabili con Greci, Fenici ed<br />

23


Egiziani. Attratti dall’apertura <strong>di</strong> un nuovo mercato, dall’esistenza <strong>di</strong> una ricca classe nobiliare<br />

etrusca, amante della produzione orientale, alcuni artigiani “stranieri” si stabiliscono<br />

definitivamente in Etruria, impiantando piccole botteghe impegnate nella produzione <strong>di</strong> merci<br />

pregiate, come gli orafi siriani e fenici.<br />

È una fase <strong>di</strong> esportazione soprattutto <strong>di</strong> metallo grezzo o semilavorato. Le importazioni<br />

etrusche dell’VIII secolo a.C. riguardano soprattutto ceramiche, vino, olio e schiavi. Gli<br />

schiavi, detti lautni in <strong>etrusco</strong>, sono una merce pregiata.<br />

Nel corso del VII secolo a.C. protagonisti dello scambio sono soprattutto gli aristocratici, che si<br />

possono permettere raffinate ceramiche, vino, gioielli in oro, avori pregiati, vasi in bronzo,<br />

argento ed oro: la presenza <strong>di</strong> questi manufatti è legata più allo scambio occasionale con i<br />

mercanti ed i nobili stranieri.<br />

Stabili relazioni commerciali, si instaurano soprattutto agli inizi del VI secolo a.C., con un<br />

periodo <strong>di</strong> forte intensità nel secolo successivo. In questa fase nella cultura etrusca si sono<br />

affermate la coltura e la produzione <strong>di</strong> vino e olio che, introdotte forse nel corso del IX secolo<br />

a.C. dai primi navigatori greci, danno luogo ad una produzione etrusca <strong>di</strong> altissimo livello<br />

qualitativo.<br />

L’olio e, soprattutto, il vino sono esportati in tutto il bacino del Me<strong>di</strong>terraneo: l’esistenza <strong>di</strong><br />

una fitta rete commerciale è testimoniata dal rinvenimento <strong>di</strong> anfore e <strong>di</strong> buccheri etruschi (il<br />

bucchero è la tipica ceramica etrusca <strong>di</strong> colore grigio scuro per l’argilla usata e per la cottura),<br />

nei contesti archeologici celtici (coste della Francia meri<strong>di</strong>onale, lungo il corso del fiume<br />

Rodano) e punici (Cartagine in Tunisia).<br />

Lo stu<strong>di</strong>o della composizione del carico <strong>di</strong> alcuni relitti <strong>di</strong> navi etrusche, scoperti nelle acque<br />

del Tirreno (relitto dell’Isola del Giglio in Toscana, relitto <strong>di</strong> Cap d’Antibes e <strong>di</strong> Bon Porté<br />

sulla Costa Azzurra), ha evidenziato che la merce esportata era soprattutto composta da anfore<br />

vinarie e da vasi <strong>di</strong> qualità in bucchero o in ceramica etrusca d’imitazione greca (ceramica a<br />

figure nere e rosse). Frequente è la presenza <strong>di</strong> questa ceramica in Italia, testimonianza <strong>di</strong> una<br />

fitta rete <strong>di</strong> scambi tra i vari popoli dell’Italia antica.<br />

Lo scambio tra Etruschi e Celti, era finalizzato soprattutto all’approvvigionamento <strong>di</strong> stagno,<br />

minerale <strong>di</strong> importanza fondamentale nella fabbricazione <strong>di</strong> oggetti in bronzo (bronzo = rame +<br />

stagno), proveniente dalla Cornovaglia, lungo la via fluviale del Rodano.<br />

L’intensità degli scambi e dei rapporti con gli altri empori del Me<strong>di</strong>terraneo, cala drasticamente<br />

dopo il 474 a.C., data della battaglia navale <strong>di</strong> Cuma, che segna l’inizio <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> crisi<br />

economica per l’Etruria tirrenica, ma <strong>di</strong> nuova forza per l’Etruria interna e Padana.<br />

Il porto e la navigazione<br />

Il porto costituiva una zona <strong>di</strong> grande scambio economico e vivacità culturale. Spesso per<br />

ragioni <strong>di</strong>fensive le città non erano e<strong>di</strong>ficate sulla costa, ma un po’ all’interno. Fu così che le<br />

città più importanti ebbero dei porti, ad esempio Pyrgi (l’attuale Santa Severa) per Caere<br />

(Cerveteri), o Gravisca per Tarquinia, che si svilupparono fino a <strong>di</strong>ventare dei centri rinomati<br />

ed importanti loro stessi.<br />

I porti oltre ad accogliere il traffico commerciale e militare, erano il punto <strong>di</strong> raccolta <strong>di</strong><br />

numerose piccole imbarcazioni usate dai pescatori, le acque della costiera etrusca erano note<br />

per la loro pescosità. Le navi erano costruite con il legno delle foreste dell’entroterra<br />

dell’Etruria.<br />

Le navi da carico erano <strong>di</strong> forma tozza e panciuta, misuravano circa <strong>di</strong>eci metri, con il fondo<br />

(la chiglia) coperta a volte da una lamina <strong>di</strong> piombo, la poppa (parte posteriore<br />

dell’imbarcazione) alta e ricurva, la prua (parte davanti) appuntita, la vela quadrata era<br />

agganciata ad un albero centrale e sfruttavano il vento come sola forza motrice.<br />

24


Per <strong>di</strong>rigere la rotta il timoniere aveva uno o due remi situati <strong>di</strong>etro alla barca. Disponevano<br />

anche <strong>di</strong> ancore in pietra, la cui invenzione era dagli antichi, attribuita proprio agli Etruschi.<br />

La navigazione, per mancanza <strong>di</strong> strumentazione, e per la<br />

fragilità delle imbarcazioni, che non erano in grado <strong>di</strong> resistere<br />

alle tempeste, avveniva alla più breve <strong>di</strong>stanza possibile dalla<br />

costa, e solo <strong>di</strong> giorno. Di notte le navi da carico gettavano<br />

l’ancora in luoghi riparati, mentre le navi da guerra erano<br />

trascinate dagli equipaggi sulla riva.<br />

I marinai dell’epoca usavano per orientarsi le stelle e la<br />

Scena <strong>di</strong> pesca. Tomba della caccia e pesca<br />

520 a.C. Tarquinia<br />

conoscenza della conformazione delle coste.<br />

Nei tempi antichi la navigazione rappresentava il metodo meno costoso e più sicuro per il<br />

trasporto delle merci e delle persone. I mari e i fiumi navigabili erano attraversati da un traffico<br />

intenso <strong>di</strong> imbarcazioni, che trasportavano ogni tipo <strong>di</strong> merce.<br />

Già nel VII e nel VI secolo a.C. i mercanti etruschi raggiungevano sulle loro navi, ogni zona<br />

del Me<strong>di</strong>terraneo.<br />

È grazie allo sviluppo del commercio dunque ed ai rapporti con navigatori provenienti<br />

dall’Egeo, dalla Sardegna, dalle coste del Me<strong>di</strong>terraneo meri<strong>di</strong>onale, interessati alle risorse<br />

metallifere dell’Etruria, che si generano nella classe dominante nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> pensiero. Tra la<br />

fine VII e gli inizi del VI secolo a.C. (età “orientalizzante”) la maggiore <strong>di</strong>sponibilità<br />

economica appare legata quasi esclusivamente alla classe gentilizia, cioè ai nobili, che riescono<br />

ad esercitare il controllo sulle risorse da esportare e sulle vie commerciali terrestri, marine e<br />

fluviali, arricchendosi a <strong>di</strong>smisura.<br />

Nell’età successiva, detta “arcaica” (VI - inizi V secolo a.C.), osserviamo invece un notevole<br />

cambiamento nella società etrusca, con il sorgere <strong>di</strong> una nuova forza sociale, una classe me<strong>di</strong>a,<br />

composta per lo più dai commercianti e dagli artigiani. Così la produzione artigianale, non più<br />

sotto il <strong>di</strong>retto controllo della classe dominante, è esercitata <strong>di</strong>rettamente dagli artigiani i cui<br />

prodotti, si <strong>di</strong>ffondono in tutto il Me<strong>di</strong>terraneo. Questa nuova classe impren<strong>di</strong>toriale,<br />

consapevole del proprio valore e delle proprie capacità, è alla base del cambiamento sociale<br />

che vede, nel territorio <strong>etrusco</strong> o d’influenza etrusca, il passaggio del potere dalle mani dei<br />

nobili a quelle del nuovo ceto me<strong>di</strong>o.<br />

L’artigianato<br />

Sulle strade ed i vicoli delle città etrusche si affacciavano le botteghe degli artigiani.Tra gli<br />

artigiani troviamo anche appartenenti ad altre popolazioni: soprattutto Fenici e Greci, la cui<br />

abilità era molto apprezzata. Nei laboratori più gran<strong>di</strong> lavoravano anche schiavi specializzati,<br />

infatti sono stati ritrovati molti oggetti prodotti in serie, che fanno pensare ad una produzione<br />

organizzata, quasi industriale.<br />

Le ceramiche tipiche della vasta produzione etrusca furono i buccheri, si<br />

tratta <strong>di</strong> vasi caratterizzati dal colore nero lucido delle superfici,<br />

determinato dall’argilla <strong>di</strong> colore grigio-scuro e dalla cottura.<br />

Gli specchi in bronzo, sono stati trovati a centinaia nelle necropoli. Il<br />

modello più comune era quello rotondo con il manico. Il retro della<br />

superficie era inciso o lavorato a rilievo, <strong>di</strong> solito con soggetti della<br />

mitologia greca, della vita domestica oppure coperto <strong>di</strong> iscrizioni.<br />

A <strong>di</strong>fferenza degli analoghi manufatti greci e romani, a lastra piatta, lo specchio <strong>etrusco</strong> ha una<br />

superficie convessa, che restituisce un’immagine più piccola del reale, ma molto più nitida.<br />

In Etruria gli specchi erano riservati esclusivamente al mondo femminile.<br />

25


La produzione <strong>di</strong> gioielli e oggetti in oro, nella quale gli Etruschi <strong>di</strong>mostrarono un elevato<br />

grado <strong>di</strong> elaborazione tecnica, fu ricchissima e famosa. Il periodo <strong>di</strong> massimo splendore fu tra<br />

la metà del VII e la fine del VI secolo a.C., soprattutto a Populonia, Vetulonia e Vulci.<br />

Nell’oreficeria trionfò il gusto per l’eccesso, sia con l’utilizzo <strong>di</strong> motivi vegetali, figurati e<br />

geometrici, che con l’impiego delle <strong>di</strong>verse tecniche <strong>di</strong> lavorazione. Tali tecniche<br />

comprendevano l’incisione, la fusione, la filigrana e, soprattutto, la granulazione, consistente<br />

nell’applicare sulla superficie del metallo piccoli granelli d’oro saldati tra loro.<br />

Si realizzavano orecchini a forma <strong>di</strong> grappolo d’uva, <strong>di</strong> anfora, <strong>di</strong> uccello, a “bauletto”, a ferro<br />

<strong>di</strong> cavallo, a testa femminile; spille, spilloni per capelli a testa <strong>di</strong> animale, con applicazioni<br />

d’avorio o pasta <strong>di</strong> vetro. Le collane ed i pettorali erano ricchi <strong>di</strong> pendenti, con medaglioni,<br />

fiori, busti femminili spesso con ali. I bracciali semi-rigi<strong>di</strong> erano decorati con motivi<br />

geometrici e animali, come leoni.<br />

Orecchini in oro.<br />

Fibula d’oro<br />

26


LA GUERRA, L’ESERCITO E LE ARMI<br />

Per l’equipaggiamento degli eserciti gli Etruschi potevano contare su una grande <strong>di</strong>sponibilità<br />

<strong>di</strong> materiali ferrosi, estratti dalle miniere dell’Italia centrale. Le singole città-stato etrusche<br />

reclutavano i loro eserciti tra i citta<strong>di</strong>ni secondo il censo, in tal modo venivano costituiti corpi<br />

<strong>di</strong> cavalleria, <strong>di</strong> opliti e <strong>di</strong> fanti leggeri (soldati che combattono a pie<strong>di</strong> con armatura leggera).<br />

L’armamento offensivo del fante <strong>etrusco</strong> comprendeva per il combattimento corpo a corpo, una<br />

vasta scelta <strong>di</strong> armi: la lancia, la spada lunga, che dal VI secolo viene sostituita da una corta,<br />

asce normali e bipenni, spade ricurve, pugnali. Le armi da getto erano: giavellotti, archi e<br />

fionde.<br />

L’armamento <strong>di</strong>fensivo era costituito da una corazza per il torace, <strong>di</strong> tessuto rinforzata da<br />

borchie metalliche oppure interamente <strong>di</strong> bronzo, in due o più pezzi,<br />

foderata in lino.<br />

La testa era protetta da un elmo <strong>di</strong> bronzo, <strong>di</strong> forme molto <strong>di</strong>fferenti: con<br />

guanciali e paranaso, a calotta, semplice o crestato; le gambe erano<br />

<strong>di</strong>fese da schinieri in bronzo. Completava il tutto uno scudo in cuoio,<br />

legno o bronzo, <strong>di</strong> forma circolare ellittica o rettangolare.<br />

Come ultima risorsa, più <strong>di</strong> una volta parteciparono alle battaglie anche<br />

Elmo <strong>di</strong> bronzo da To<strong>di</strong><br />

450 a.C.<br />

schiere <strong>di</strong> sacerdoti armati <strong>di</strong> serpenti e fiaccole ardenti, il cui effetto era<br />

però più psicologico che effettivo.<br />

A volte gli Etruschi arruolarono truppe mercenarie assoldate presso le popolazioni confinanti.<br />

Nei tempi più antichi doveva essere <strong>di</strong>ffuso l’uso del carro da guerra. Non sappiamo se avesse<br />

la funzione <strong>di</strong> solo mezzo <strong>di</strong> trasporto sul campo <strong>di</strong> battaglia per i capi, oppure da vero e<br />

proprio strumento <strong>di</strong> combattimento. In epoca storica venne comunque abbandonato e per<br />

migliorare la mobilità delle truppe, si preferì costituire il reparto della cavalleria.<br />

La cavalleria, aveva la sua forza principale nella mobilità, quin<strong>di</strong> le erano assegnati compiti <strong>di</strong><br />

ricognizione, attacchi veloci e d’inseguimento.<br />

Gli opliti combattevano in formazione compatta, i migliori in prima fila, e cercavano l'urto<br />

contro la formazione nemica.<br />

Infine i fanti leggeri, dotati <strong>di</strong> armi da getto, ma non protetti da corazze, avevano lo scopo <strong>di</strong><br />

scompigliare e <strong>di</strong> provocare la formazione nemica, colpendola da lontano.<br />

Vi erano poi dei corpi <strong>di</strong> tecnici (ingegneri, agronomi...) che avevano il compito <strong>di</strong> erigere<br />

fortificazioni e <strong>di</strong> provvedere allo smantellamento <strong>di</strong> quelle nemiche, durante le operazioni <strong>di</strong><br />

asse<strong>di</strong>o.<br />

Manico in bronzo <strong>di</strong> un coperchio <strong>di</strong> cista, raffigurante<br />

due soldati che portano via un commilitone caduto<br />

27


LE NAVI E LA GUERRA SUL MARE<br />

Le navi da guerra erano affusolate e lunghe fino a trenta metri,<br />

erano spinte dai rematori posti su una o due file ed usavano il<br />

vento come forza motrice ausiliaria. Non c’era un ponte superiore,<br />

marinai, rematori e soldati occupavano gli stessi spazi, in seguito<br />

le navi furono dotate <strong>di</strong> un ponte dove prendevano posto i marinai<br />

e i soldati. Sulla prua aguzza andava ad inserirsi un rostro (trave <strong>di</strong><br />

ferro bronzo sporgente), che affiorava a pelo d’acqua, usato in<br />

combattimento per speronare le navi nemiche.<br />

Sul mare la tecnica del combattimento è quella della manovra e dello speronamento, allo scopo<br />

<strong>di</strong> aprire grosse aperture sotto la linea <strong>di</strong> galleggiamento delle navi nemiche. Il successo<br />

<strong>di</strong>pende perciò dall’abilità degli equipaggi e dalla forza dei rematori. Nell’avvicinamento si<br />

effettua un fitto lancio <strong>di</strong> dar<strong>di</strong>, anche infuocati; quando le navi sono accostate gli equipaggi<br />

cercano <strong>di</strong> colpirsi utilizzando lunghe lance.<br />

Si ricorreva all’abbordaggio ed al combattimento corpo a corpo, quando sono imbarcati<br />

contingenti <strong>di</strong> fanteria e nel caso in cui si mira alla cattura della nave nemica e del suo carico,<br />

più che all’affondamento.<br />

La navigazione, per mancanza <strong>di</strong> strumentazione, e per la fragilità delle imbarcazioni, che non<br />

erano in grado <strong>di</strong> resistere alle tempeste, avveniva alla più breve <strong>di</strong>stanza possibile dalla costa e<br />

solo <strong>di</strong> giorno. Di notte le navi da guerra venivano trascinate dagli equipaggi sulla riva.<br />

I marinai dell’epoca usavano per orientarsi le stelle e la loro conoscenza della conformazione<br />

delle coste.<br />

BATTAGLIE TRA ETRUSCHI E GRECI D’ITALIA<br />

Nel 545 a.C. circa nei pressi <strong>di</strong> Alalia (in latino Aleria, presso l’o<strong>di</strong>erna Bastia), in Corsica, si<br />

verificò la prima grande battaglia navale a noi nota, fra Cartaginesi ed Etruschi da una parte e<br />

Greci <strong>di</strong> Massalia (Marsiglia) dall’altra.<br />

In seguito all’esito della battaglia, i Greci, rinunciarono a ogni ulteriore colonizzazione nel<br />

Me<strong>di</strong>terraneo occidentale, ai Cartaginesi venne riconosciuto il controllo dei traffici del<br />

Me<strong>di</strong>terraneo meri<strong>di</strong>onale con la Sardegna e agli Etruschi quelli del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

settentrionale e del Tirreno, con la Corsica e l’arcipelago toscano.<br />

La per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Roma separa la Campania etrusca dalla madrepatria, gli Etruschi si vedono così<br />

sbarrare la via del mare in <strong>di</strong>rezione dei loro posse<strong>di</strong>menti, che ormai sfuggono completamente<br />

al loro controllo.<br />

La battaglia navale più famosa è quella <strong>di</strong> Cuma (Golfo <strong>di</strong> Napoli) del 474 a.C. che con l’aiuto<br />

<strong>di</strong> Ierone, tiranno <strong>di</strong> Siracusa, proclamatosi <strong>di</strong>fensore della libertà greca in Italia, <strong>di</strong>ede ai Greci<br />

dell’Italia meri<strong>di</strong>onale la vittoria contro gli Etruschi.<br />

La sconfitta <strong>di</strong> Cuma segnò la fine della libertà delle città etrusche <strong>di</strong> Campania, che,<br />

abbandonate al proprio destino, vennero presto, militarmente o pacificamente, assimilate dai<br />

Greci o dalle popolazioni circostanti.<br />

28


LA NASCITA DELLE CITTÀ<br />

Gli abitati interessati dal fenomeno dell’unione saranno poi il<br />

nucleo delle future città stato etrusche: tra <strong>di</strong> esse Tarquinia e<br />

Vulci.<br />

Con l’età arcaica (600-500 a.C.) il processo <strong>di</strong> formazione della<br />

città in Etruria, iniziato nell’età del Bronzo Finale, è<br />

definitivamente compiuto. Tipico <strong>di</strong> questo periodo è il nuovo<br />

rapporto <strong>di</strong> forza che le città tendono ad instaurare nei confronti<br />

del territorio e dei centri minori, o <strong>di</strong> città vicine.<br />

Agli inizi del periodo<br />

villanoviano (IX secolo a.C.)<br />

gli Etruschi vivevano in<br />

villaggi <strong>di</strong> 200/300 abitanti,<br />

all’interno <strong>di</strong> capanne a<br />

pianta ovale o rettangolare,<br />

costruite con mattoni cru<strong>di</strong><br />

(cioè <strong>di</strong> argilla cotti al sole),<br />

il tetto <strong>di</strong> paglia con<br />

l’intelaiatura in legno. Queste<br />

abitazioni ricordano le<br />

capanne del Palatino a Roma.<br />

La popolazione dei villaggi<br />

minori, affluisce negli abitati<br />

più importanti, dando vita<br />

alle prime città etrusche nel<br />

VII secolo a.C.<br />

Urna cineraria in bronzo a<br />

forma <strong>di</strong> capanna (VIII-VII a.C.)<br />

Nel corso dell’VII secolo si completa l’occupazione dei pianori tufacei <strong>di</strong> Castro, Poggio Buco-<br />

Le Sparne, Pitigliano, Sovana, mentre sulla costa compaiono o si definiscono come centri<br />

urbani, gli abitati <strong>di</strong> Populonia, Roselle, Vetulonia, Orbetello.<br />

Fra la fine dell’età orientalizzante e l’inizio dell’età arcaica, le maggiori città etrusche tendono a<br />

procurarsi uno sbocco al mare e a fondare inse<strong>di</strong>amenti portuali. Il porto <strong>di</strong> Vulci, Regae o<br />

Regisvilla, (in località Le Murelle presso Montalto <strong>di</strong> Castro) fu fondato nel corso del VI<br />

secolo. A questo periodo risalgono anche alcune strutture in<strong>di</strong>viduate ad Orbetello, da collegare<br />

alla funzione portuale del centro, e il porto <strong>di</strong> Talamone, (in località La Puntata). Restano<br />

invece da localizzare i porti <strong>di</strong> Roselle e <strong>di</strong> Vetulonia, che potrebbero essere stati sulle sponde<br />

opposte del lago Prile. L’inse<strong>di</strong>amento portuale più organico appare però quello <strong>di</strong> Populonia:<br />

ubicato nel Golfo <strong>di</strong> Baratti. Per la <strong>di</strong>fesa le città confidavano nell’inaccessibilità dei luoghi,<br />

infatti venivano spesso scelti colli o alture, circondati da corsi d’acqua, in prossimità del mare o<br />

vicino ad una pianura in grado <strong>di</strong> garantire il rifornimento alimentare ma anche l’esportazione<br />

dei prodotti agricoli.<br />

Durante il VI ed il V secolo a.C. le cinta murarie con cui venivano circondate le città più<br />

importanti erano molto semplici. Grossi massi squadrati venivano sovrapposti secondo un<br />

tracciato che si limitava a seguire il perimetro citta<strong>di</strong>no. I punti più deboli come le porte <strong>di</strong><br />

accesso erano rafforzate dalle torri. Le porte delle città, erano ad arco e generalmente tre,<br />

corrispondenti alle tre vie principali, cui fanno riscontro tre templi. L’origine dell’arco risale<br />

all’architettura orientale, probabilmente mesopotamica, e giunse in Italia, forse per opera dei<br />

Greci.<br />

Così sono le mura <strong>di</strong> Populonia, Volterra, <strong>Veio</strong>, Vetulonia, Perugia.<br />

29


Lo spazio abitativo era caratterizzato da agglomerati irregolari <strong>di</strong> capanne inframmezzati da<br />

aree <strong>di</strong> lavorazione dei prodotti agricoli, orti e recinti per gli animali domestici.<br />

Gli Etruschi rimasero sempre fedeli a questa antiquata concezione e non seguirono gli sviluppi<br />

dell’architettura militare, databili dal IV secolo a.C., secondo i quali il tracciato veniva<br />

<strong>di</strong>segnato secondo le esigenze <strong>di</strong>fensive. La conseguenza fu che le loro città <strong>di</strong>vennero<br />

vulnerabili agli attacchi nemici.<br />

È soprattutto dal contatto con il mondo greco che gli Etruschi cominciano ad attuare una<br />

relativa pianificazione dello spazio, con la ricerca razionale delle aree destinate alle abitazioni,<br />

alle aree sacre, al mercato o alle necropoli. Un esempio è offerto da Tarquinia.<br />

Nel IV secolo si può notare nel territorio <strong>di</strong> Vulci e in quello <strong>di</strong> Populonia, la nascita <strong>di</strong> nuovi<br />

centri in posizione strategica sulla costa o sui confini interni. Il fenomeno è generalizzato:<br />

anche Roma rafforza i suoi confini fondando fortezze, le priscae latinae coloniae, e l’entroterra<br />

<strong>di</strong> Tarquinia viene munito <strong>di</strong> centri fortificati. L’immagine complessiva è chiaramente quella <strong>di</strong><br />

un momento storico <strong>di</strong> grande tensione.<br />

Le fortezze <strong>di</strong> Populonia nascono soprattutto sulle alture dell’Isola d’Elba, a protezione dei<br />

giacimenti <strong>di</strong> ematite. Nell’interno nasce, forse per la prima volta in forma <strong>di</strong> nucleo urbano, il<br />

centro <strong>di</strong> Saturnia, in un’area che aveva subito una forte battuta d’arresto nel V secolo, mentre<br />

viene fondato più a sud, presso Scansano, il centro <strong>di</strong> Ghiaccioforte delimitato da una cinta <strong>di</strong><br />

mura <strong>di</strong> ciottoli, con doppie porte. Sulla costa viene rifondata Orbetello, fortificando<br />

l’estremità dell’istmo con mura poligonali, ancora oggi conservate lungo le lagune.<br />

Nel IV secolo a.C. si registra anche una ripresa della città <strong>di</strong> Vetulonia. A questo periodo<br />

potrebbero risalire le fortificazioni, oggi visibili all’interno del paese me<strong>di</strong>evale, mentre è certo<br />

che la città inizi a coniare monete su esempio e modello <strong>di</strong> Populonia, che le coniava già dal<br />

secolo precedente. Si tratta in pratica delle uniche emissioni monetali etrusche <strong>di</strong> questa zona:<br />

le monete <strong>di</strong> Talamone con legenda TLA, spesso citate in passato, sembra siano falsi del secolo<br />

scorso, mentre a Vulci potrebbero forse essere state emesse monete con legenda THEZI, note<br />

in pochissimi esemplari.<br />

Nel periodo <strong>di</strong> maggiore ricchezza (VI secolo a.C.) la città etrusca era una città caotica,<br />

rumorosa, colorata, vitale. Con gran<strong>di</strong> palazzi signorili e tutto intorno, gente che lavorava e<br />

produceva e musica, tanta musica. Gli Etruschi erano affascinati dalla musica: pare che a suon<br />

<strong>di</strong> musica picchiassero gli schiavi e che al ritmo <strong>di</strong> strumenti catturassero i cinghiali.<br />

E gli odori: odore <strong>di</strong> cibi, <strong>di</strong> sacrifici e <strong>di</strong> incensi, che tra<strong>di</strong>scono la profonda religiosità e la<br />

forte superstizione <strong>di</strong> questo popolo.<br />

Le città costiere della Toscana sono il centro della produzione, dell’industria; Roselle è la città<br />

dei commerci, Vetulonia delle miniere, Populonia con le fonderie (sfruttate fino alla prima<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale) e le miniere, era il centro produttivo più importante.<br />

<strong>Veio</strong> aveva il ruolo <strong>di</strong> emporio e <strong>di</strong> sentinella dell’Etruria.<br />

Bologna, Marzabotto, Monterenzio, Spina erano i centri più importanti con funzione <strong>di</strong><br />

collegamento tra il sud dell’Etruria, i Celti a nord e i Greci a est.<br />

Tarquinia - Tarchuna era la città sacra, poiché era considerata la città madre del popolo<br />

<strong>etrusco</strong>.<br />

Caere e Vulci erano le maggiori produttrici <strong>di</strong> vino, ceramica e per questo <strong>di</strong> grande<br />

importanza per gli scambi commerciali.<br />

Perugia dal IV sec. a.C. fu un potente centro <strong>etrusco</strong> dell’Alta Val Tiberina.<br />

LE ABITAZIONI<br />

Agli inizi del periodo villanoviano (IX secolo a.C.) gli Etruschi vivevano all’interno <strong>di</strong> capanne<br />

a pianta ovale o rettangolare, costruite con mattoni cru<strong>di</strong> (cioè <strong>di</strong> argilla cotti al sole), il tetto <strong>di</strong><br />

paglia con l’intelaiatura in legno I materiali con cui erano costruite le case del ceto popolare,<br />

non erano molto <strong>di</strong>versi da quelli utilizzati per le <strong>di</strong>more delle classi gentilizie: le fondamenta<br />

30


erano in pietra, su cui venivano alzati muri <strong>di</strong> terra battuta o <strong>di</strong> mattoni d’argilla cru<strong>di</strong> (cioè<br />

cotti al sole), sorretti da tetti <strong>di</strong> tegole e legno. La forma tipica del tetto era a spiovente<br />

ricoperto da tegole, ma erano presenti anche tetti a terrazza. Le case erano affiancate e<br />

raggruppate in isolati, gli ambienti erano piccoli e poco sviluppate in altezza. Secondo le regole<br />

della religione, le strade dovevano incrociarsi ad angolo retto. Nella realtà, siccome spesso le<br />

città venivano e<strong>di</strong>ficate su alture, ciò era impossibile, e gli abitati si formavano adeguandosi<br />

alle caratteristiche del luogo, dando vita ad un labirinto <strong>di</strong> stretti vicoli.<br />

La città <strong>di</strong> Marzabotto (vicino Bologna) ci ha restituito la pianta <strong>di</strong> una città con le strade che si<br />

intersecano ad angolo retto.<br />

Le case dei nobili sono caratterizzate da un ampio cortile centrale, da cui si accedeva ai vari<br />

ambienti, (atrium) con un’apertura sul tetto (compluvium) che dava sia luce alle stanze poste<br />

intorno a questo spazio, che rifornimento d’acqua, al centro vi era un’apposita vasca dove si<br />

riversavano le acque piovane.<br />

L’esterno delle case era riccamente decorato da lastre <strong>di</strong> terracotta colorata e modellata, che<br />

rivestivano la parte superiore dei muri, lungo le grondaie dei tetti all’estemità dei coppi, si<br />

applicavano le antefisse, <strong>di</strong> solito costituite da una testa, contornata da un nimbo, cioè una<br />

cornice semicircolare, talvolta si trovano anche figure intere isolate o <strong>di</strong>sposte in gruppi. Le<br />

antefisse sono uno dei motivi ornamentali più caratteristici dell’architettura etrusca, compaiono<br />

prima nell’architettura civile, poi cominciarono ad essere applicate anche in quella sacra.<br />

All’interno le pareti delle stanze erano affrescate a motivi geometrici o con scene figurate.<br />

Questa tipologia <strong>di</strong> abitazione sarà ripresa dall’architettura civile romana.<br />

31


LA LINGUA: UN ENIGMA SVELATO?<br />

Sono circa 10.000 le iscrizioni in lingua etrusca ritrovate, la stragrande maggioranza <strong>di</strong><br />

carattere funerario, quin<strong>di</strong> le parole sono soprattutto nomi <strong>di</strong> persona e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità.<br />

Attualmente le singole lettere sono perfettamente conosciute, mentre persistono le <strong>di</strong>fficoltà<br />

nella comprensione del significato delle parole.<br />

Nessun mistero per la lingua: si tratta <strong>di</strong> un alfabeto greco, parzialmente mo<strong>di</strong>ficato, comparso<br />

in Etruria tra l’VIII secolo a.C. e gli inizi del VII a.C., quando più intensi si fecero i contatti<br />

commerciali con le colonie greche dell’Italia Meri<strong>di</strong>onale.<br />

Un alfabeto comprensibile che già gli eru<strong>di</strong>ti del XVIII secolo leggevano per tradurre qualche<br />

iscrizione etrusca.<br />

Le origini del mistero della lingua vanno ricercate nel fatto che, il nucleo centrale della lingua<br />

etrusca, derivava da strati linguistici molto arcaici (preindoeuropei), che risultavano estranei<br />

alle popolazioni con le quali gli Etruschi avevano contatti.<br />

Ad aggravare le <strong>di</strong>fficoltà d’interpretazione c’è il fatto che la gran<strong>di</strong>ssima maggioranza delle<br />

iscrizioni pervenuteci (leggibili solitamente da destra a sinistra) è rappresentata da lapi<strong>di</strong><br />

tombali o de<strong>di</strong>che che ripetono formule stereotipate composte da poche parole (è un po’ come<br />

se qualcuno dovesse stu<strong>di</strong>are l’italiano attraverso le scritte reperibili nei nostri cimiteri).<br />

Pochissimi sono i documenti <strong>di</strong> una certa lunghezza ed anche questi si riferiscono al mondo dei<br />

rituali religiosi.<br />

Il più lungo è costituito dalle bande <strong>di</strong> una mummia proveniente dall’Egitto, che furono<br />

“fabbricate” tagliando a strisce un libro <strong>etrusco</strong> <strong>di</strong> lino contenente prescrizioni per cerimonie<br />

religiose.<br />

Non si è mai scoperto come questo libro, conservato al Museo <strong>di</strong> Zagabria, forse appartenuto a<br />

un sacerdote <strong>etrusco</strong>, sia finito nell’antico Egitto per poi tornare alla luce sotto forma <strong>di</strong> bende.<br />

Altri due esempi <strong>di</strong> iscrizioni lunghe sono: la “tegola <strong>di</strong> Capua” e il “cippo <strong>di</strong> Perugia”,<br />

riguardanti rispettivamente un rituale funerario e <strong>di</strong>sposizioni giuri<strong>di</strong>che per la <strong>di</strong>visione <strong>di</strong><br />

proprietà tra due famiglie perugine.<br />

Una iscrizione bilingue (cioè iscrizioni che<br />

presentano un parallelo in altra lingua)<br />

<strong>etrusco</strong>-punica, databile al 500 a.C. circa, fu<br />

scoperta nel 1964 a Pyrgi (il porto <strong>di</strong> Caere).<br />

Sono lamine d’oro con incise due de<strong>di</strong>che<br />

(una in <strong>etrusco</strong> e l’altra in punico) a una<br />

<strong>di</strong>vinità femminile; Uni. Sebbene siano<br />

in<strong>di</strong>cati come bilingui, i due testi non sono<br />

esattamente corrispondenti, per cui l’attesa<br />

suscitata da questa scoperta fu in parte delusa.<br />

Certi stu<strong>di</strong>osi hanno ipotizzato che qualche<br />

relitto della lingua etrusca sia ancora oggi<br />

rintracciabile nei <strong>di</strong>aletti toscani, come<br />

La prima delle due lamine in <strong>etrusco</strong> e la sua<br />

corrispondente in punico<br />

l'aspirazione tipica della pronuncia toscana,<br />

ma questa ipotesi non trova tutti d’accordo.<br />

32


Breve <strong>di</strong>zionario <strong>etrusco</strong><br />

Avil = anno<br />

Ais = <strong>di</strong>o<br />

Apa = padre, antenati<br />

Ati = madre<br />

Ati nacna = nonna<br />

Car, cer = fare, costruire<br />

Cver, cvil = dono<br />

Clan = figlio<br />

Eleiva = vino<br />

Hiuls = civetta<br />

Lautni = schiavi<br />

Leu = leone, leonessa<br />

Lucumone = re<br />

Malena, maestria = specchio<br />

Man, mani, manim = defunti,<br />

Mani<br />

Mi, me = io, me<br />

Nefts, nefis = nipote<br />

Papa = nonno<br />

Pua = sposa<br />

Ruma = acqua<br />

Sec = figlia<br />

Tanasa vanasa = attore<br />

Thuva = fratello<br />

Tin = giorno<br />

Tiu, tiv, tivr = luna, mese<br />

Tusurhtir = sposi<br />

Usil = sole, <strong>di</strong>o del sole<br />

Vers = fuoco<br />

Vinum, vinm = vino<br />

Zilath = magistrato<br />

33


MI ARANTH RAMUTHASI VESTIRICINALA<br />

MULUVANICE<br />

Iscrizione de<strong>di</strong>catoria incisa su un anfora <strong>di</strong> bucchero da Caere, verso la fine<br />

del VII - inizio VI secolo a.C., ora al Museo Nazionale. (bibl. TLE 868; C. de Simone, in<br />

SE XXXVIII 1970, p.116 sgg.)<br />

A- ANALISI DELL’ISCRIZIONE<br />

1-Iscrizione a DUCTUS DESTRORSO cioè lettura da sinistra a destra.<br />

2-Con SCRIPTIO CONTINUA cioè ininterrotta da punti o altri segni.<br />

B-DEFINIZIONE SPAZIALE E TEMPORALE<br />

Il periodo Arcaico dell’iscrizione (VII-VI secolo a.C.) è sottolineato da:<br />

1-Il TETA ancora notato con la croce centrale.<br />

2-Il Mi a 5 tratti e il Sigma a 4 tratti.<br />

3-Il Gamma ancora usato davanti alla vocale i invece del Kappa<br />

4-Le lettere ancora angolate invece che arrotondate.<br />

5-Upsilon, Epsilon, Digamma, Ni, Mi e Ro ancora allungate.<br />

L’uso del Gamma davanti alla vocale i e l’uso del Sigma a 4 tratti permettono infine <strong>di</strong><br />

determinare l’iscrizione come appartenente al sistema alfabetico dell’area meri<strong>di</strong>onale e<br />

localizzarla nell’area intorno a Caere.<br />

C-TRANSLITTERAZIONE FONETICA<br />

D-ANALISI GRAMMATICALE<br />

Mi Aranth Ramuthasi vestircinala muluvanice<br />

MI caso soggettivo per il pronome personale: IO. In questa sede è stato proposto <strong>di</strong> vederlo<br />

come un errore, al suo posto dovrebbe esserci MINI la forma oggettiva <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> MI.<br />

ARANTH è uno dei prenomi etruschi più <strong>di</strong>ffusi, che, più tar<strong>di</strong>, con la sincope della vocale<br />

postonica <strong>di</strong>venterà ARNTH. Poichè non presenta nessun morfema aggiunto in fondo, si<br />

tratta <strong>di</strong> un caso soggettivo.<br />

34


RAMUTHA_SI: Ramutha. è prenome femminile che si trasformerà in seguito in Ramtha,<br />

_SI aggiunto in fondo in<strong>di</strong>ca il complemento dativo ovvero la forma dativa del prenome<br />

Ramutha. Trattandosi <strong>di</strong> un nome che termina in vocale viene usato il morfema _si mentre<br />

nel caso del gentilizio <strong>di</strong> Ramutha cioè Vestiricina anche se questo termina in vocale,<br />

essendo un gentilizio femminile, termina al contrario in _la.<br />

VESTIRICI_NA_LA è composto come abbiamo visto ora sia dal morfema dativo che dal<br />

suffisso _na, che rappresenta un gentilizio <strong>di</strong> origine italica adeguatosi alla serie dei<br />

gentilizi etruschi uscenti in _na.<br />

MULUVANI_CE è la forma verbale per DONARE il cui tempo passato è rappresentato<br />

dal morfema _ce.<br />

E-INTERPRETAZIONE<br />

Potrebbe essere una formula enfatizzata<br />

IO ARANTH A RAMUTHA VESTIRICINA HO DONATO (quest’anfora)<br />

OPPURE<br />

ARANTH A RAMUTHA VESTIRICINA HA DONATO ME (l’anfora)<br />

(Era infatti uso comune rendere gli oggetti “parlanti”)<br />

35


ASPETTO FISICO E PSICOLOGICO DEGLI ETRUSCHI<br />

Gli Etruschi furono bersaglio costante <strong>di</strong> critiche, soprattutto da parte dei Greci. Gli Etruschi<br />

erano una potenza militare temibile, che controllò a lungo le rotte del mar Tirreno, impedendo<br />

ai Greci <strong>di</strong> estendere la loro influenza e i loro traffici commerciali. Di qui una serie <strong>di</strong> attacchi<br />

denigratori che segnarono l’immagine fisica e morale degli Etruschi.<br />

Le testimonianze degli scrittori antichi romani (Catullo e Virgilio soprattutto) li definisce<br />

grassi, molli, corrotti, crudeli, ma più che una rappresentazione <strong>di</strong> un dato fisico reale, è un<br />

ritratto finalizzato alla propaganda politica.<br />

Secondo alcuni, gli Etruschi, somigliavano più alle popolazioni del Vicino Oriente (Anatolia,<br />

Palestina) che agli autoctoni della Toscana.<br />

Anche l’esame delle opere d’arte, apparentemente il modo migliore per conoscere l’aspetto<br />

fisico degli Etruschi si presta ad equivoci, poiché gli artisti produssero un’immagine del tipo<br />

umano che corrispondeva all’ideale estetico del tempo.<br />

Un gruppo <strong>di</strong> ceramiche provenienti da Volterra, ci presenta un’immagine che non ha niente <strong>di</strong><br />

orientale.<br />

È stata condotta anche un’indagine anagrafica, l’Etrusco del II-I sec. a.C. aveva speranza <strong>di</strong><br />

vivere fino a 40 anni circa, un’età apprezzabile se si tiene presente che all’inizio del Novecento<br />

l’età me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un italiano era 44 anni.<br />

Dall’esame degli scheletri è poi risultato che la statura me<strong>di</strong>a degli uomini era 1,64 metri e<br />

quella delle donne 1,55: una me<strong>di</strong>a ragguardevole raggiunta nel nostro Paese solo nel 1920.<br />

Più insolito è il ritratto psicologico, che ci presenta un popolo avvolto in tra<strong>di</strong>zioni risalenti a<br />

culture arcaiche, imprigionato in una rete <strong>di</strong> formalità rituali <strong>di</strong> una religione, secondo la quale,<br />

il singolo in<strong>di</strong>viduo è totalmente <strong>di</strong>pendente al volere dei propri dèi.<br />

SOPRAVVIVENZA OGGETTI SIMBOLO<br />

Proprio nelle insegne del potere sia religioso che politico, è più evidente la sopravvivenza <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zioni ed oggetti etruschi, che tramandarono alla cultura romana e oltre, fino ad arrivare ai<br />

nostri giorni.<br />

Il caso più evidente è il lituo, lungo bastone terminante a spirale dei sacerdoti.<br />

Il lituo <strong>etrusco</strong>, non cambiando né nome né forma, passò <strong>di</strong>rettamente nelle mani del pontefice<br />

massimo romano e poi a quelle dei vescovi, che tutt’oggi lo portano.<br />

Altro caso <strong>di</strong> sopravvivenza <strong>di</strong> oggetto-simbolo è rappresentato dal fascio (poi riscoperto anche<br />

dall’Italia fascista), che do<strong>di</strong>ci littori portavano in spalla precedendo i re etruschi nei cortei: da<br />

questo popolo passò ai magistrati romani come insegna del loro potere. Costituito da una serie<br />

<strong>di</strong> sbarre riunite intorno al manico <strong>di</strong> un’ascia, il fascio era secondo gli antichi storici,<br />

un’invenzione della città <strong>di</strong> Vetulonia e il caso ha voluto che qui si rinvenisse uno in ferro, in<br />

una sepoltura del VII secolo a.C., detta appunto Tomba del littore.<br />

Il terzo esempio suggestivo <strong>di</strong> continuità tra modelli etruschi e moderni è dato dalla tra<strong>di</strong>zione<br />

popolare; in varie filastrocche della Toscana infatti, si possono riconoscere i nomi <strong>di</strong> alcune<br />

<strong>di</strong>vinità etrusche. L’Inno a Turanna (la dea dell'amore etrusca era Turan) nel quale il conta<strong>di</strong>no<br />

toscano della fine dell’Ottocento, afflitto da pene d’amore invocava dopo oltre duemila anni,<br />

l’antica dea Turan chiamandola Turanna!<br />

36


Oppure le raccomandazioni al <strong>di</strong>o del vino Fanfluns nell’Inno a Fanflon, dove si chiedeva una<br />

buona vendemmia o l’Inno a Tinia (la massima <strong>di</strong>vinità etrusca assimilata a Giove, signore dei<br />

fulmini e delle nuvole) per chiedere piogge abbondanti.<br />

La storpiatura dei nomi non riesce a nascondere l’identità del <strong>di</strong>o invocato, al quale si<br />

riconoscono le stesse caratteristiche per le quali era venerato dagli Etruschi.<br />

37


LA RELIGIONE<br />

“CREDONO CHE LE COSE NON ABBIANO UN SIGNIFICATO IN QUANTO AVVENGONO,<br />

MA PIUTTOSTO CHE AVVENGONO PER AVERE UN SIGNIFICATO”<br />

(SENECA)<br />

L’ETRURIA DISCIPLINA<br />

La religione degli Etruschi sosteneva la completa soggezione dell’uomo al volere degli dèi. Gli<br />

dèi erano concepiti come esseri soprannaturali, misteriosi, vaghi e l’uomo non ne aveva alcuna<br />

conoscenza.<br />

Ogni azione dell’uomo era “controllata” da <strong>di</strong>vinità preposte, similmente alla religiosità<br />

popolare degli altri popoli dell’Italia antica, in particolare dei Latini.<br />

Gli uomini potevano soltanto cercare <strong>di</strong> capire le manifestazioni e i desideri delle <strong>di</strong>vinità<br />

attraverso l’interpretazione <strong>di</strong> segni, spesso costituiti da semplici fenomeni naturali, con i quali<br />

si manifestava la volontà <strong>di</strong>vina; o cercare <strong>di</strong> trarre i favori attraverso riti, sacrifici ed offerte.<br />

Questo senso <strong>di</strong> profonda religiosità, quasi <strong>di</strong> inferiorità nei confronti <strong>di</strong> tutto ciò che rientrava<br />

nella sfera del <strong>di</strong>vino, ci comunica quasi una sensazione <strong>di</strong> oppressione.<br />

Tutte le pratiche religiose, i riti, i sacrifici erano talmente importanti nella vita e nella cultura<br />

degli Etruschi, da renderli celebri e essere ammirati per la loro profonda religiosità dagli altri<br />

popoli antichi. Gli scrittori cristiani invece condannarono la religione etrusca, come Arnobio<br />

(IV secolo d.C.) che avrebbe accusato l’Etruria <strong>di</strong> essere la “patria <strong>di</strong> tutte le superstizioni”.<br />

I mo<strong>di</strong> per interpretare la volontà <strong>di</strong>vina e cercare <strong>di</strong> correggerla, costituirono un patrimonio <strong>di</strong><br />

conoscenze e riti accumulati fin dalla preistoria, che trovano una stesura definitiva nei libri<br />

dell’Etruria <strong>di</strong>sciplina, la cui origine veniva fatta risalire ad una rivelazione <strong>di</strong>vina.<br />

La leggenda racconta che in un campo <strong>di</strong> Tarquinia, era nato dalla terra un bambino <strong>di</strong>vino, già<br />

vecchio e per questo saggio, <strong>di</strong> nome Tages, che dettò i fondamenti dell’Etruria <strong>di</strong>sciplina<br />

affinché fossero trascritti nei libri sacri.<br />

Questi testi contenevano tutto quanto si doveva sapere per conoscere il futuro.<br />

La letteratura religiosa etrusca ed in particolare questi libri, ebbero un grande successo nella<br />

Roma antica, apprezzati soprattutto dal II e III secolo d.C. quando cioè si <strong>di</strong>ffusero delle<br />

dottrine esoteriche analoghe e contrapposte al nascente Cristianesimo.<br />

C’erano i libri fulgurales, che spiegavano come leggere il significato dei fulmini, gli<br />

haruspicini che contenevano le istruzioni per l’osservazione delle interiora degli animali<br />

sacrificati; i rituales che comprendevano tutte le prescrizioni dei templi, la guida dei morti<br />

nell’oltretomba, la definizione dei confini, la fondazione delle città; rituali <strong>di</strong> fondazione che i<br />

Romani fecero propri.<br />

Per conoscere le modalità con cui si svolgevano alcuni <strong>di</strong> questi riti ci vengono in aiuto le fonti<br />

epigrafiche e, in particolare due documenti <strong>di</strong> eccezionale valore: la tegola <strong>di</strong> Capua, una<br />

grossa tegola in terracotta con le norme per le offerte agli dei e la mummia <strong>di</strong> Zagabria, un<br />

libro costituito da rotoli <strong>di</strong> lino iscritti, riutilizzati in Egitto nel I secolo a.C. per avvolgere il<br />

corpo <strong>di</strong> un defunto. La mummia fu portata da un mercante nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Zagabria attorno<br />

alla metà dell’Ottocento, ma solo alla fine del secolo ne fu riconosciuta l’importanza. Il libro<br />

giunse in Egitto al seguito <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> Etruschi, recatisi in Africa, anch’essa territorio<br />

coloniale romano, forse in cerca <strong>di</strong> fortuna. Sulle bende <strong>di</strong> lino è iscritto, in inchiostro nero, una<br />

sorta <strong>di</strong> calendario <strong>di</strong> festività religiose, <strong>di</strong> offerte e preghiere da de<strong>di</strong>care <strong>di</strong> volta in volta alla<br />

<strong>di</strong>vinità del giorno.<br />

Detentori dell’Etruria <strong>di</strong>sciplina erano i sacerdoti, chiamati aruspici, da qui aruspicina per la<br />

tecnica <strong>di</strong>vinatoria. Essi costituivano il tramite tra gli uomini e gli dèi, poiché potevano capire<br />

quali erano le decisioni <strong>di</strong>vine ed erano in grado <strong>di</strong> intervenire con particolari rituali per<br />

ottenere un rinvio delle “sentenze”.<br />

38


L’aruspice era un sacerdote molto considerato da questo popolo, tanto importante nel<br />

prevedere il futuro che, come “professione”, sopravvisse per secoli alla civiltà etrusca stessa,<br />

dopo essere stata assorbita in quella romana.<br />

I sacerdoti erano <strong>di</strong>visi in collegi ed in<strong>di</strong>cati con nomi <strong>di</strong>versi a seconda del settore in cui erano<br />

esperti, aruspice specializzato nell’interpretazione delle viscere o fulgitur dei fulmini o àugure<br />

nell’osservazione del volo degli uccelli. I sacerdoti partecipavano a tutte le attività pubbliche,<br />

che per gli Etruschi assumevano un forte significato sacro.<br />

I sacerdoti si riconoscevano a colpo d’occhio, indossavano un abbigliamento particolare, un<br />

corto mantello, un alto cappello a cono e portavano un bastone con una estremità ricurva, il<br />

lituo.<br />

Alla base della <strong>di</strong>sciplina religiosa etrusca vi era il fondamento teorico della corrispondenza<br />

magica tra mondo celeste e mondo terrestre. I due mon<strong>di</strong> si corrispondevano e tutto ciò che<br />

accadeva nella volta celeste (<strong>di</strong>visa in caselle che erano le <strong>di</strong>more dei singoli dèi) doveva avere<br />

necessariamente una ripercussione sulla zona corrispondente nel mondo umano.<br />

Il cielo era sud<strong>di</strong>viso in se<strong>di</strong>ci zone: le <strong>di</strong>more degli dèi, ad est si trovavano quelli propizi, ad<br />

ovest quelli sfavorevoli. In questo modo, per quanto riguarda la <strong>di</strong>vinazione, ogni evento<br />

atmosferico poteva essere tradotto in un messaggio della <strong>di</strong>vinità che abitava quel luogo.<br />

Secondo i casi poteva trattarsi <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne, un avvertimento lieto o funesto, un segno <strong>di</strong> ira o<br />

<strong>di</strong> scontento. Questo sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>visioni veniva riprodotto anche sul fegato degli animali<br />

sacrificati, cosicché anche dall’osservazione delle sue caratteristiche fisiche si poteva<br />

comprendere il volere degli dèi.<br />

L’osservazione delle viscere degli animali è una pratica che aveva precedenti anche nel mondo<br />

mesopotamico, tra gli Etruschi ebbe un ruolo talmente spiccato da assurgere a caratteristica<br />

nazionale.<br />

Il fegato era il più importante fra gli organi da esaminare.<br />

Un modello in bronzo <strong>di</strong> fegato <strong>di</strong> montone, datato al II<br />

sec. a.C. trovato vicino a Piacenza, doveva essere lo<br />

strumento <strong>di</strong>dattico <strong>di</strong> una scuola <strong>di</strong> aruspicina, sul quale<br />

sono incisi i nomi delle <strong>di</strong>vinità; e può essere considerato<br />

il simbolo dell’antica religione etrusca.<br />

Fegato <strong>di</strong> Piacenza (II sec a.C.)<br />

La vita <strong>di</strong> un <strong>etrusco</strong>, <strong>di</strong>cevano i testi sacri, era sud<strong>di</strong>visa<br />

in perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> sette anni e l’arrivo <strong>di</strong> ogni scadenza<br />

settennale era da considerarsi un momento critico, tanto<br />

da prestare attenzione ad ogni segnale degli dèi.<br />

Anche i popoli come gli in<strong>di</strong>vidui erano soggetti a scadenze prestabilite, il destino assegnava a<br />

un popolo o a una città 10 secoli. Gli storici romani basandosi sulla data del 44 a.C. come<br />

ultimo secolo <strong>etrusco</strong> e sui precedenti conteggi fatti dagli aruspici, calcolarono che il tempo<br />

<strong>etrusco</strong> era iniziato tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del X secolo a.C., per concludersi<br />

all’epoca <strong>di</strong> Vespasiano (I d.C.).<br />

Questa data non segnò la scomparsa degli Etruschi, che continuarono a vivere nel mondo<br />

romano. L’insegnamento dell’Etruria <strong>di</strong>sciplina cominciò a decadere nel II sec. a.C., la<br />

<strong>di</strong>sciplina era finita nelle mani <strong>di</strong> maghi e ciarlatani, che approfittavano della credulità del<br />

popolino.<br />

Col regno <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o (I d.C.), che fu il primo stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> storia etrusca, venne istituito un<br />

“Or<strong>di</strong>ne dei 60 aruspici” con l’incarico <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re l’Etruria <strong>di</strong>sciplina ed assicurarne la<br />

sopravvivenza fino all’epoca bizantina.<br />

39


FULMINI<br />

Seneca (n.q. II 32 ss.) e Plinio (n.h. II,135 ss:), hanno conservato una larga parte <strong>di</strong> excepta dai libri<br />

fulgorales etruschi e della loro minuziosa casistica (soprattutto delle opere del volterrano Cecina).<br />

Il principio basilare è quello secondo il quale:<br />

alcuni Dei posseggono le Manubiae, ovvero le potestà <strong>di</strong> scagliare i fulmini. (Serv. Aen. I,42.)<br />

In particolare 9 Dèi (Plin. n. h.,II,138),forse da identificare con i misteriosi <strong>di</strong>i novensiles o<br />

novensides della lista <strong>di</strong> Marziano Capella, ma noti anche in de<strong>di</strong>che romane (ILLRP 20; Vetter<br />

364).<br />

I tipi <strong>di</strong> Fulmine sono 11 per 9 Dei, perchè Tinia (Tin = Giove) possiede 3 manubiae. (Plin. n.h.,<br />

II, 138; Sen. n.q. II, 41).<br />

Le 3 manubie possono <strong>di</strong>stinguersi per il loro significato e per il fatto <strong>di</strong> essere scagliati da Giove<br />

da solo o con il “consiglio” degli altri Dei.<br />

Prima manubia del Solo Tinia<br />

Seconda manubia <strong>di</strong> Tinia + i 12 Dei Consentes<br />

Terza Manubia <strong>di</strong> Tinai + Dei Involuti<br />

I 3 Tipi <strong>di</strong> fulmini possono essere:<br />

<strong>di</strong> natura fisica (Fest. p. 114 L; Sen. n.q. II, 40) oppure per alcuni (Serv. auct. Aen. VIII, 429)<br />

ostentatorium = <strong>di</strong>mostrativo (dopo consultazione con i 12 Dei Consentes).<br />

Segno <strong>di</strong> Ira degli Dei.<br />

Utile e dannoso serve per impaurire<br />

peremptorium = perentorio (dopo consultazione con i Dei superiores et involuti).<br />

Devasta, in<strong>di</strong>ca che tutto verrà ra<strong>di</strong>calmente trasformato nella vita pubblica o privata.)<br />

presagum = presago (Di avvertimento per suadere (convincere) o <strong>di</strong>ssuadere (far cambiare idea)).<br />

Da Seneca ...manubia placata est et ipsius concilio iovis mittitur.. oppure per altri (Serv. Aen. I,<br />

230)<br />

quod terreat = che atterisce<br />

quod adflet = che soffia<br />

quod puniat = che punisce<br />

Degli altri 9 Dèi abbiamo solo degli in<strong>di</strong>zi, dalle fonti letterarie, per 5 <strong>di</strong> essi:<br />

Uni = Giunone<br />

Menerva = (Mnrva, Menerva)= Minerva<br />

Sethlans = Vulcano<br />

Mari = (Mars, Maris) Marte<br />

Satres = (Satrs) Saturno<br />

La dottrina romana del fulmine attribuiva i fulmini notturni a Summanus e tenendo conto del fegato<br />

<strong>di</strong> Piacenza e ciò che <strong>di</strong>ce Capella, probabilmente il corrispondente <strong>etrusco</strong> potrebbe essere Cilen -<br />

Nocturnus.<br />

Mentre l'identità tra Vetisl <strong>etrusco</strong> e <strong>Veio</strong>vis romano, farebbe attribuire a questo una manubia<br />

infera, anche in considerazione <strong>di</strong> uno Zeus sbarbato, munito <strong>di</strong> fulmine frequente nella iconografia<br />

etrusca.<br />

Anche per i fulmini vale la dottrina delle 16 regioni che vale per l’epatoscopia (Plin. n.h. II, 143).<br />

40


L’esame del fulmine (e del tuono) da parte dell’aruspice prevede va una casistica precisa,<br />

enunciataci da Seneca (n.q. II, 48, 2 ).<br />

1-Da parte <strong>di</strong> quale Dio proviene<br />

2-quale = <strong>di</strong> che tipo è<br />

3-quantum = la durata<br />

4-ubi factum sit, cui = l’oggetto colpito<br />

5-quando, in qua re = in che circostanza<br />

Per quel che riguarda il tipo:<br />

1.-<strong>di</strong> che colore era il fulmine<br />

manubiae albae = bianche = forse <strong>di</strong> Tinia<br />

manubiae nigrae = nere = <strong>di</strong> Sethlans<br />

manubiae rubrae = rosse = forse <strong>di</strong> Mari<br />

-Provenienti dai Pianeti associati al nome <strong>di</strong>vino e non dal Dio.<br />

-I fulmini provenienti da Satres provenivano anche dalla Terra in inverno ed erano detti Infernali.<br />

2.- genus:<br />

l’acre del fulmine<br />

il grave del tuono<br />

L’intensità e capacità erano <strong>di</strong> 3 tipi:<br />

quod terebrat = che perfora,sottile e fiammeggiante.<br />

quod <strong>di</strong>ssipat = che si <strong>di</strong>sperde,passante,capace <strong>di</strong> rompere senza perforare.<br />

quod urit = che brucia in 3 mo<strong>di</strong><br />

• come un soffio (afflat) e senza grave danno<br />

• bruciando<br />

• dando fuoco<br />

3.- C’erano fulmini Secchi - Umi<strong>di</strong> e Clarum (Plinio).<br />

Per quel che riguarda l'oggetto colpito i fulmini possono essere:<br />

fati<strong>di</strong>ca = cioè portatori espressi <strong>di</strong> segni eventualmente comprensibili (fata)<br />

bruta = privi <strong>di</strong> significato<br />

vana = il cui significato si perde<br />

l’oggetto può essere:<br />

schiantato = <strong>di</strong>scutere<br />

non rompersi = terebrare<br />

essere più o meno affumicato = urere<br />

restare affumicato = fuscare<br />

Per quel che riguarda l’aruspice Seneca <strong>di</strong>ce che il sacerdote procedeva:<br />

1.-con l’analisi sistematica = quomodo exploremus<br />

2.-con l’interpetazione dei segni = quomodo interpretemus<br />

3.-con l’espiazione, propiziazione e purificazione = quomodo exoremus<br />

Il sacerdote non era solo in grado <strong>di</strong> leggere i segni,<br />

ma anche <strong>di</strong> evocarli con l’attirare (exocare) il fulmine.<br />

* * *<br />

41


L’ARCHITETTURA RELIGIOSA<br />

Dei templi etruschi posse<strong>di</strong>amo pochi resti (a <strong>Veio</strong>, Marzabotto, Pyrgi, Fiesole, Orvieto), che<br />

riguardano in genere i muri <strong>di</strong> fondazione e le terrecotte architettoniche che decoravano la<br />

copertura. Per ricostruire la struttura ci si è avvalsi <strong>di</strong> modellini fittili, come per esempio, quello<br />

rinvenuto nel santuario <strong>di</strong> Diana a Nemi e della descrizione che ne ha lasciato Vitruvio nella<br />

sua opera De Architectura.<br />

Definitosi nel corso del VI secolo a.C. il tempio <strong>etrusco</strong> è rimasto poi sostanzialmente<br />

inalterato, per la cui costruzione erano stabilite precise regole. Era caratterizzato da una pianta<br />

quasi quadrata, la metà anteriore era costituita da un portico colonnato, colonne <strong>di</strong> tipo<br />

tuscanico, a fusto liscio, molto <strong>di</strong>stanziate tra loro, la metà posteriore era occupata da tre celle,<br />

che ospitavano le statue <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>vinità, oppure da una cella singola fiancheggiata da due ali<br />

aperte.<br />

La costruzione veniva realizzata in muratura leggera, mattoni cru<strong>di</strong> per i muri e legno per la<br />

struttura, mentre il basamento e le fondamenta erano in pietra. Il tempio <strong>etrusco</strong> a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

quello greco, poggiava su un alto basamento in pietra, il po<strong>di</strong>o, che lo proteggeva dall’umi<strong>di</strong>tà<br />

e gli dava slancio, al po<strong>di</strong>o si accedeva attraverso una scalinata posta solo sul lato anteriore. La<br />

caratteristica del po<strong>di</strong>o verrà ripresa dall’architettura romana.<br />

Il tetto era a doppio spiovente, molto ampio e basso, <strong>di</strong> notevole sporgenza laterale e sulla<br />

facciata dominava un frontone triangolare aperto o chiuso. Il tetto era completato da un sistema<br />

<strong>di</strong> rivestimento in terracotta con funzione sia protettiva che estetica. I <strong>di</strong>versi elementi in<br />

terracotta, ottenuti per lo più in serie me<strong>di</strong>ante l’uso <strong>di</strong> stampi, erano figurati, a rilievo o a<br />

tuttotondo e rappresentavano motivi vegetali, gruppi <strong>di</strong> persone e animali, <strong>di</strong>pinti poi a colori<br />

vivaci. Erano chiamati acroteri, se collocati ai vertici del triangolo frontale o sugli spioventi<br />

del tetto, uno dei resti acroteriali più famosi è l’Apollo del tempio <strong>di</strong> Minerva a <strong>Veio</strong>, antefisse,<br />

se collocati invece sull’orlo del tetto e applicati a chiusura delle tegole.<br />

Modellino votivo del tempio <strong>di</strong> Vulci<br />

42


VIAGGIO NEI LUOGHI DELL’ETRURIA MISTICA<br />

Pyrgi<br />

Pyrgi (l’attuale Santa Severa) era il porto della città <strong>di</strong> Caere<br />

(Cerveteri), da cui <strong>di</strong>stava circa tre<strong>di</strong>ci chilometri, presso gli<br />

Etruschi godeva <strong>di</strong> grande fama per la sua area sacra.<br />

Gli scavi effettuati hanno portato alla luce i resti <strong>di</strong> due templi.<br />

Le iscrizioni ritrovate fanno ipotizzare che fossero de<strong>di</strong>cati alle dee<br />

Uni (corrispondente alla Giunone romana) ed Astarte (una <strong>di</strong>vinità<br />

cartaginese). Il tempio più antico è databile al VI secolo a.C., il più<br />

recente alla metà del V a.C.<br />

Abbondanti sono le terrecotte architettoniche, mentre delle strutture murarie sono rimaste solo<br />

parti delle fondamenta.<br />

I ritrovamenti più importanti effettuati nell’area sono stati due. I frammenti <strong>di</strong> un altorilievo<br />

che ornava il frontone del tempio più recente, raffigurante un episo<strong>di</strong>o della lotta tra Eteocle e<br />

Polinice per la conquista del trono della città Tebe. Due lamine d’oro conosciute col nome<br />

delle “lamine <strong>di</strong> Pyrgi” con inciso un testo in <strong>etrusco</strong> e la traduzione non letterale in lingua<br />

fenicia, in cui si legge la de<strong>di</strong>ca del tempio più antico alla dea Uni. Questi due reperti sono<br />

conservati a Roma presso il Museo <strong>di</strong> Villa Giulia.<br />

Il santuario <strong>di</strong> Portonaccio (<strong>Veio</strong>)<br />

Nei pressi <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, <strong>di</strong> cui oggi rimangono non molte tracce della città<br />

etruscaura, si trova il santuario <strong>di</strong> Portonaccio.<br />

Databile tra il VI ed il V secolo a.C., era de<strong>di</strong>cato alla dea Minerva e<br />

godeva <strong>di</strong> grande prestigio presso gli Etruschi, per gli autorevoli<br />

responsi dell’oracolo che vi venivano dati..<br />

Ad oggi sono rimaste le fondamenta del tempio, quelle <strong>di</strong><br />

un’a<strong>di</strong>acente piscina e resti <strong>di</strong> un altare e <strong>di</strong> strutture apertinenti. Di<br />

notevole importanza sono i ritrovamenti: una copiosa quantità <strong>di</strong><br />

statue <strong>di</strong> terracotta che ornavano il frontone e il tetto del tempio; per i<br />

quali, caso unico nell’arte etrusca, siamo in grado <strong>di</strong> stabilire il nome<br />

dell’autore: il maestro Vulca, artista conosciuto anche nella tra<strong>di</strong>zione<br />

romana.<br />

La statua più celebre tra quelle ritrovate è l’Apollo <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, conservato nel Museo <strong>di</strong> Villa<br />

Giulia a Roma.<br />

Volsini e il Fanum Voltumne<br />

La città <strong>di</strong> Volsini (Orvieto) dominava la sponda orientale del lago <strong>di</strong> Bolsena ed il territorio ad<br />

oriente dello stesso. Si sollevò insieme a Vulci contro Roma nel 282 a.C. con l’arrivo in Italia<br />

del re Pirro, il quale sconfisse le legioni romane, ma non fu in grado <strong>di</strong> infliggere un colpo<br />

decisivo allo stato romano.<br />

La vendetta <strong>di</strong> Roma si completò nel 265 a.C. quando Volsini fu saccheggiata e rasa al suolo.<br />

Il territorio <strong>di</strong> Volsini nasconde tuttora un mistero: il Fanum Voltumne. Esso era un luogo<br />

sacro <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima importanza, dove ogni anno i rappresentanti della Lega etrusca si<br />

43


incontravano per trattare gli affari politici, militari ed economici e per onorare gli dei comuni.<br />

Era una specie <strong>di</strong> santuario “nazionale” della “nazione” etrusca.<br />

Numerose ed importanti dovevano essere le cerimonie religiose, tra le quali ricor<strong>di</strong>amo quella<br />

che, per il conteggio del tempo, consisteva nell’infiggere un chiodo ogni anno nel santuario<br />

della dea Northia e le “Olimpia<strong>di</strong> d’Etruria”.<br />

In concomitanza delle celebrazioni religiose e delle assemblee politiche si svolgeva un<br />

importante mercato che richiamava genti da tutti i territori circostanti.<br />

Il tempio Ara della Regina (Tarquinia)<br />

L’antica città <strong>di</strong> Tarquinia, era considerata la città sacra, la città madre degli<br />

Etruschi.<br />

Le sue mura erano realizzate in blocchi squadrati <strong>di</strong> calcare e si estendevano<br />

per una lunghezza <strong>di</strong> otto chilometri.<br />

Città <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a importanza fino alla fine del V secolo a.C., conobbe una fase<br />

<strong>di</strong> grande espansione, che terminò solo con la sconfitta ad opera <strong>di</strong> Roma nei<br />

primi decenni del III secolo a.C.<br />

Testimonianza della sua importanza e ricchezza sono le tombe della necropoli, ad oggi se ne<br />

conoscono circa centocinquanta <strong>di</strong>pinte.<br />

Nell’area dove sorgeva la città sono stati trovati i resti <strong>di</strong> un tempio della prima metà del IV<br />

secolo a.C., detto “Ara della Regina”. Si tratta <strong>di</strong> un tempio a pianta rettangolare con una cella<br />

<strong>di</strong>visa in tre parti, fiancheggiata da due ali e preceduta da un portico frontale chiuso da due file<br />

<strong>di</strong> colonne.<br />

Nel museo <strong>di</strong> Tarquinia sono conservati parti delle decorazioni in terracotta colorata e<br />

frammenti <strong>di</strong> iscrizioni relative alla vita dei sacerdoti del tempio.<br />

Il pezzo più importante giunto fino a noi è un gruppo in altorilievo, che decorava il frontone del<br />

tempio, raffigurante due cavalli alati attaccati al timone <strong>di</strong> una biga.<br />

44


LA “MAPPA” DEGLI DÈI: TINA, APULU & C.<br />

Dall’VIII secolo a.C. con l’intensificarsi dei contatti con la cultura greca, iniziò un processo <strong>di</strong><br />

fusione degli dèi etruschi con le <strong>di</strong>vinità dell’Olimpo greco, come poi accadde per il mondo<br />

romano. Tuttavia questo processo non attenuò la specificità del sentimento religioso degli<br />

Etruschi ed il senso <strong>di</strong> completo annullamento dell’uomo <strong>di</strong> fronte al volere <strong>di</strong>vino.<br />

FUNFLUS (BACCO/DIONISO)<br />

ARTUMIDE (DIANA/ARTEMIDE)<br />

HERCLE (ERCOLE/ERACLE)<br />

TURMS<br />

(MERCURIO/ERMES)<br />

UNI (GIUNONE/ERA)<br />

MENERVA<br />

(MINERVA/ATENA)<br />

SATRES (SATURNO/CRONO)<br />

TINIA (GIOVE/ZEUS)<br />

TURAN (VENERE/AFRODITE)<br />

APULU (APOLLO)<br />

SETHLANS<br />

(VULCANO/EFESTO)<br />

LARAN (MARTE/ARES)<br />

MARIS (AMORE/EROS)<br />

VELTUNA (VERTUMNO)<br />

NORTHIA<br />

AITA (ADE/PLUTONE) e PHERSIPNAI<br />

(PROSERPINA/PERSEPHONE)<br />

DEI ETRUSCHI E LORO CARATTERISTICHE (DA INSERIRE COME<br />

COLLEGAMENTO IPERTESTUALE A CIASCUN DIO E DOVE DISPONIBILE<br />

INSERIRE RELATIVA FOTO)<br />

1. TINIA (GIOVE-ZEUS) Signore del cielo e re degli dèi, giu<strong>di</strong>ce supremo nelle<br />

questioni umane e <strong>di</strong>vine.<br />

45


2. FUNFLUS (BACCO-DIONISO) Comunemente considerato il <strong>di</strong>o del vino, è in origine<br />

<strong>di</strong>o della fertilità.<br />

3. ARTUMIDE (DIANA-ARTEMIDE) É la dea della caccia, l’arco e la freccia infatti<br />

sono gli oggetti che la identificano.<br />

4. HERCLE (ERCOLE-ERACLE) Eroe-<strong>di</strong>o, è la personificazione del coraggio e della<br />

forza fisica.<br />

5. TURMS (MERCURIO-ERMES) È il messaggero degli dèi.<br />

6. UNI (GIUNONE-ERA) È la più importante <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>vinità femminili, proteggeva<br />

tutti gli aspetti della vita femminile e dei commerci e dei naviganti.<br />

7. MENERVA (MINERVA-ATENA) Nata dalla testa <strong>di</strong> Giove/Zeus è la dea della<br />

ragione e presiede le attività dell’intelletto.<br />

8. SATRES (SATURNO-CRONO) Antica <strong>di</strong>vinità legata all’agricoltura, <strong>di</strong>viene in<br />

seguito personificazione del tempo.<br />

9. TURAN (VENERE-AFRODITE) Dea della bellezza e dell’amore.<br />

10. APULU (APOLLO) Dio del sole, della bellezza, dell’or<strong>di</strong>ne morale, <strong>di</strong> oracoli e<br />

profezie, della musica e della poesia.<br />

11. AITA (PLUTONE-ADE) e PHERSIPNAI (PROSERPINA-PERSEPHONE) Coppia<br />

<strong>di</strong> sposi, dèi degli Inferi e dei morti.<br />

12. SETHLANS (VULCANO-EFESTO) Dio del fuoco e fabbro degli dèi.<br />

13. MARIS (AMORE-EROS) Dio dell’amore e della fecon<strong>di</strong>tà.<br />

14. VELTUNA (VERTUMNO) È la personificazione del cambiamento delle forme<br />

vegetali dal fiore al frutto e presiede al succedersi delle stagioni. È una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>o<br />

nazionale <strong>etrusco</strong>, in onore del quale si celebravano le Olimpia<strong>di</strong> d’Etruria a Volsini,<br />

l’o<strong>di</strong>erna Orvieto.<br />

15. LARAN (MARTE-ARES) Dio della guerra.<br />

16. NORTHIA Dea del fato, del destino.<br />

46


L’EREDITÀ DI VEIO…<br />

Sul pianoro <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, il tramonto è un buon momento per sognare.<br />

Siamo alle porte <strong>di</strong> Roma, il traffico della Cassia non scorre lontano e da qualche parte sotto i<br />

nostri pie<strong>di</strong> il ponte Sodo, meraviglia dell’ingegneria idraulica etrusca, riposa tranquillo.<br />

<strong>Veio</strong> non è solo la città etrusca geograficamente più vicina a Roma, ma è anche quella legata<br />

più <strong>di</strong> ogni altra alla sua storia. Città <strong>di</strong> frontiera, vissuta da sempre a stretto contatto con<br />

popoli d’altra stirpe e d’altra lingua, quali i Latini, i Capenati, i Falisci, <strong>Veio</strong> ha gravitato sullo<br />

stesso ambito territoriale, la bassa valle del Tevere, <strong>di</strong> Roma <strong>di</strong>venuta ben presto la maggiore<br />

città dei Latini. Se per ovvie ragioni <strong>di</strong> tutela della propria in<strong>di</strong>pendenza politica i Romani non<br />

avrebbero mai accettato <strong>di</strong> farsi governare da un loro concitta<strong>di</strong>no originario <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, tuttavia<br />

fu a <strong>Veio</strong> che si rivolsero senza remora alcuna per le loro prime statue <strong>di</strong> culto, come quelle<br />

fatte eseguire da Vulca per il tempio <strong>di</strong> Giove Capitolino.<br />

L’antica città sorge su <strong>di</strong> uno scosceso altopiano <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni e <strong>di</strong> forma triangolare,<br />

con il vertice verso Sud, costituito dall’acropoli <strong>di</strong> Piazza d’Armi.<br />

Il nome della città deriva da Vei, la <strong>di</strong>vinità etrusca corrispondente alla romana Cerere (dea<br />

della terra, è protettrice dell’agricoltura e della vegetazione).<br />

All’orizzonte orientale <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> le montagne della Sabina alzano una barriera protettiva, i fiumi<br />

Valchetta (l’antico Crèmera) e Fiordo costituiscono ancora i bastioni naturali <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, mentre il<br />

fiume Tevere scorre ad ovest.<br />

All’epoca del primo splendore <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, VIII sec. a.C., vi erano semplici capanne <strong>di</strong> barcaioli e<br />

pastori, l’unione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi piccoli villaggi <strong>di</strong>ede origine poi alla città. Purtroppo conosciamo<br />

ancora assai poco <strong>di</strong> quel che vorremmo dell’antica <strong>Veio</strong>. La ricerca archeologica, iniziata col<br />

car<strong>di</strong>nale Chigi dopo la metà del XVII secolo e ripresa vigorosamente nell’età napoleonica, ma<br />

rivolta soprattutto ai resti monumentali del municipio romano, ha conosciuto una notevole<br />

espansione nel corso del XIX secolo, sull’onda della riscoperta romantica dell’Etruria. Gli<br />

scavi furono condotti con larghezza <strong>di</strong> mezzi fino al 1921, quin<strong>di</strong> l’esplorazione archeologiche<br />

avvennero a più riprese dalla Soprintendenza in collaborazione con la Scuola Britannica <strong>di</strong><br />

Roma e negli ultimi anni con l’Università La Sapienza <strong>di</strong> Roma.<br />

Non resta molto <strong>di</strong> antico, oggi, sull’altopiano <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>; ma le rovine sparse, i frammenti <strong>di</strong><br />

vasi, le monete, i ritrovamenti eccezionali (come la statua <strong>di</strong> Apollo dello scultore Vulca)<br />

parlano del ruolo <strong>di</strong> confine che aveva <strong>Veio</strong>, <strong>di</strong> “ponte” fra Etruschi e Latini, della sua<br />

vocazione a emporio e insieme sentinella dell’Etruria.<br />

A scatenare le ostilità tra <strong>Veio</strong> e Roma è quasi sicuramente un fattore economico; il controllo<br />

dei commerci e delle saline situate alla foce del Tevere. Il sale è stato forse per il mondo antico<br />

quello che il petrolio è per il mondo <strong>di</strong> oggi: essenziale per gli uomini e per gli animali, serviva<br />

anche a conservare gli alimenti.<br />

Ciò <strong>di</strong>mostra che il fiume Tevere, confine tra Etruschi, Latini e Umbro-Sabini, nella sua qualità<br />

<strong>di</strong> via d’acqua per il collegamento fra il ricco entroterra e il mare, era motivo centrale della<br />

<strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a tra Roma e <strong>Veio</strong>.<br />

Fra le mire dei Romani, c’era anche il possesso delle terre. Un conflitto all’ultimo sangue con<br />

Roma, che durò novant’anni.<br />

I primi scontri cominciarono con una guerra fra clan, nella quale si <strong>di</strong>stinse tragicamente la<br />

famiglia dei Fabii. Nel tentativo <strong>di</strong> estendere i loro possessi a nord <strong>di</strong> Roma, i Fabii, e i loro<br />

clientes furono decimati sul Crèmera, il fiume che bagnava <strong>Veio</strong> (477 a.C.).<br />

Dai primi spora<strong>di</strong>ci scontri si passò alla guerra aperta: nel 474 a.C. un primo armistizio, poi nel<br />

438 a.C. la ripresa delle ostilità <strong>di</strong> Roma contro <strong>Veio</strong> e Fidene alleate, quando il console<br />

romano Aulo Cornelio Cosso, galoppò tra i combattenti innalzando su una lancia la testa del re<br />

<strong>di</strong> <strong>Veio</strong> Larth Tolumnias.<br />

Gli ultimi decenni del IV sec. a.C. videro la posizione <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> indebolirsi pian piano e pochi<br />

furono gli aiuti delle città etrusche del nord. Nel 426 a.C. <strong>Veio</strong> chiede aiuto alla lega etrusca<br />

47


iunita al “Fanum Voltumnae” a Volsini (Orvieto), ma, tranne Falerii, Fidene e Capena, fedeli<br />

alleate <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, nessuna città etrusca viene in soccorso <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, colpevole <strong>di</strong> essersi data<br />

nuovamente un regime monarchico.<br />

Nel 396 a.C. ci fu lo scontro finale, che durò <strong>di</strong>eci anni (406-396 a.C.).<br />

Gli storici romani accostano l’episo<strong>di</strong>o al celebre asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Troia.<br />

Spronati dai presagi <strong>di</strong> vittoria, i Romani scavarono un passaggio nella tenera roccia vulcanica<br />

del sottosuolo <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> e passarono attraverso le fogne, irruppero in città e spalancarono le<br />

porte. Seguì il massacro <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>mensione, che lo stesso comandante romano, Furio Camillo,<br />

così la tra<strong>di</strong>zione pretende, ne rimase sconvolto. Per tre giorni i legionari uccisero, appiccarono<br />

il fuoco, saccheggiarono; furono <strong>di</strong>velte le porte <strong>di</strong> bronzo dei templi e i superstiti venduti a<br />

Roma come schiavi.<br />

Conquistata <strong>Veio</strong> gli scontri si spostarono più a nord, contro Sutri, Nepi, Tarquinia, Vulci e<br />

Volsini (Orvieto).<br />

Sui luoghi delle antiche battaglie, sorse in pochi anni la via Cassia, l’orgoglioso segno dei<br />

nuovi padroni.<br />

È <strong>di</strong>fficile fissare i limiti antichi dell’ager veientanus; il confine meri<strong>di</strong>onale è certo il corso del<br />

Tevere, a Nord-Est il suolo veiente comprende il territorio <strong>di</strong> Capena, che le fonti descrivono<br />

come colonia <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>.<br />

Verso nord non sappiamo se il territorio terminasse<br />

nella valle <strong>di</strong> Baccano o se proseguisse fino alla<br />

strettoia verso Sutri e verso Nepi, i “claustra Etruriae”<br />

(le porte d’Etruria), che segnavano certamente un<br />

confine tra i territori falisci e tarquiniesi. Ad Qvest<br />

dobbiamo cercare i confini nelle alture attorno al lago<br />

<strong>di</strong> Bracciano, l’antico “lacus Sabatinus”.<br />

L’area della città fu forse frequentata nell’Età del<br />

Etruria Meri<strong>di</strong>onale Bronzo: alcuni frammenti spora<strong>di</strong>ci attesterebbero<br />

presenze <strong>di</strong> epoca subappenninica, mentre una tomba nella necropoli <strong>di</strong> Grotta Gramiccia-<br />

Casale del Fosso, un abitato <strong>di</strong> capanne in prossimità <strong>di</strong> Isola Farnese, nonché materiali e<br />

strutture <strong>di</strong> un piccolo inse<strong>di</strong>amento databile tra il IX e il V secolo a.C. a Campetti,<br />

documentano un’intensa frequentazione in età villanoviana (IX-VIII a.C.).<br />

Altro dato importante è costituito dalla presenza nelle tombe villanoviane dei primi decenni<br />

dell’VIII sec. a.C. <strong>di</strong> materiali in stile geometrico greco, che <strong>di</strong>mostrano come determinante per<br />

<strong>Veio</strong> (al pari della vicina Roma, dove troviamo le stesse ceramiche) fosse il controllo degli<br />

appro<strong>di</strong> tiberini, dove i naviganti greci venivano ad intessere i loro primi traffici commerciali.<br />

<strong>Veio</strong> in età arcaica controlla saldamente la sponda destra del Tevere, che le fonti latine<br />

chiamano significativamente “ripa veiens”, la riva <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>: il Gianicolo e il Trastevere sono<br />

luoghi <strong>di</strong> contesa, dove frequente è il ricordo <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> frontiera e l’archeologia, con la<br />

scoperta dell’“oppidum” <strong>di</strong> Colle S. Agata (a Monte Mario), <strong>di</strong>feso da mura e delle tombe a<br />

camera <strong>di</strong> tipo veiente del VII-VI sec. a.C. a S. Onofrio, conferma questo dato delle fonti.<br />

La conseguente <strong>di</strong>stribuzione delle terre della città sottomessa, fra plebei romani e <strong>di</strong>sertori <strong>di</strong><br />

<strong>Veio</strong>, Falerii e Capena, è la premessa della soluzione del conflitto tra patrizi e plebei nelle<br />

prime fasi della Repubblica romana. <strong>Veio</strong>, negli anni successivi all’incen<strong>di</strong>o gallico <strong>di</strong> Roma<br />

nel 390 a.C., <strong>di</strong>venta il centro <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito sul possibile trasferimento nel suo suolo della<br />

Roma <strong>di</strong>strutta.<br />

48


Modello <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficio, da <strong>Veio</strong> ( V secolo a.C. Roma, Museo <strong>di</strong> Villa Giulia).<br />

Vi sono gli elementi strutturali e decorativi del tetto.<br />

Di questa presenza romana a <strong>Veio</strong> nel IV sec. a.C. abbiamo<br />

numerose e importanti testimonianze, case in località Macchia<br />

Grande, iscrizioni sacre ad Apollo, Minerva, Giove, e tutti gli<br />

altri dèi, depositi votivi a Campetti e Portonaccio. La presenza<br />

romana tra IV e III sec. era imponente; poiché anche la<br />

campagna ha restituito una fittissima rete <strong>di</strong> presenze <strong>di</strong> questo<br />

periodo, con numerose fattorie, espressione tangibile della<br />

piccola proprietà conta<strong>di</strong>na. Tuttavia, con il crollo della piccola proprietà nel II sec. a.C., <strong>Veio</strong><br />

viene progressivamente abbandonata, fino a <strong>di</strong>ventare sinonimo, tra il I a.C. e I d.C., della<br />

desolazione e dell’abbandono.<br />

L’imperatore Augusto, nel suo programma <strong>di</strong> restaurazione sociale, politica e religiosa, crea<br />

nel centro dell’altopiano, un inse<strong>di</strong>amento municipale, il “municipium Augustum Veiens”, con<br />

e<strong>di</strong>fici prestigiosi. Le fonti parlano <strong>di</strong> un importante centro <strong>di</strong> culto imperiale, <strong>di</strong> templi <strong>di</strong><br />

Marte e della Vittoria Augusta, <strong>di</strong> terme, i probabili resti <strong>di</strong> un teatro, le terme dette Bagno<br />

della Regina e soprattutto le do<strong>di</strong>ci colonne ioniche <strong>di</strong> marmo lunense (scoperte negli scavi del<br />

1812-17 e rimontate nel portico <strong>di</strong> Palazzo Vedekind a Roma, in Piazza Colonna).<br />

Degli e<strong>di</strong>fici della <strong>Veio</strong> augustea, rimangono in vista pochissimi muri e verso la porta delle<br />

Vignacce, un avvallamento profondo del terreno comunemente in<strong>di</strong>cato come area del teatro<br />

romano.<br />

Le iscrizioni <strong>di</strong>stinguono abitanti del centro urbano e della campagna, prova questa <strong>di</strong> una forte<br />

presenza <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni nelle “villae” del territorio. Ciò non solo denuncia l’artificiosità della<br />

restaurazione augustea, ma fa presagire il destino successivo della città, che nuovamente<br />

tornerà allo stato <strong>di</strong> abbandono a vantaggio della campagna.<br />

49


I resti posteriori al I sec. d.C. sono scarsissimi, soprattutto pertinenti a ville sparse e ad alcune<br />

tombe in località Vignacce e Macchia Grande; l’ultimo tentativo <strong>di</strong> ripresa nella zona è quello,<br />

in pieno Me<strong>di</strong>oevo, <strong>di</strong> papa Adriano I (772-95), che costruisce una fattoria in località S.<br />

Cornelia a tre chilometri a Nord-Est dalla città, nota dalle fonti come “domus culta” o<br />

“fundum Capracorum”, sopravvissuta fino al XII sec. Nel X sec. sorgono il castello <strong>di</strong> Isola<br />

Farnese, con il vicino mulino (noto dal 1029) sul fosso detto appunto della Mola.<br />

La cinta muraria etrusca era costruita in blocchi <strong>di</strong> tufo reperiti nelle cave locali: in basso i<br />

blocchi sono leggermente bugnati, in alto ben lisciati, alle spalle (e sulla parte bassa, nei luoghi<br />

più pianeggianti) c’era un poderoso aggere (bastione) <strong>di</strong> terra riportata.<br />

Sono conosciute almeno <strong>di</strong>eci porte, oltre alla porta della cinta quasi in<strong>di</strong>pendente dell'acropoli<br />

<strong>di</strong> Piazza d’Armi: purtroppo nessuna conserva l’aspetto originario e molte sono state<br />

mo<strong>di</strong>ficate in età romana con il passaggio delle strade pavimentate.<br />

Il tempio <strong>di</strong> Portonaccio<br />

Il santuario in località Portonaccio sorgeva in un sito suburbano, su un non grande terrazzo<br />

naturale <strong>di</strong> forma trapezoidale, piuttosto accidentato a causa della sensibile pendenza del<br />

terreno. A sud, verso valle, il terrazzo affaccia su uno<br />

strapiombo <strong>di</strong> rocce, al cui piede scorre il fosso della Mola. Il<br />

complesso del santuario, e soprattutto il tempio, ha subito<br />

gravi danni dal crollo, sia del bordo verso valle della<br />

piattaforma, sia della zona centrale dell’area sacra, in seguito<br />

al ce<strong>di</strong>mento del soffitto <strong>di</strong> grotte praticate in epoca postclassica<br />

nella collina per cavare materiali. Ciò ha fatto cadere<br />

tutte le parti centrali del tempio nel fondo della cava, dal quale<br />

sono state raccolte blocco per blocco e restaurate nella forma<br />

attuale.<br />

Il carattere assai particolare del sant uario risulta già dalla sua<br />

ubicazione, in una cornice naturale fortemente marcata da rupi<br />

scoscese, acque impetuose e rigogliose frange <strong>di</strong> bosco. Si<br />

tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un santuario extraurbano, detto <strong>di</strong> Apollo dalla<br />

celebre scultura ritrovata nel 1916, ma dalle iscrizioni e dal<br />

materiale votivo, sappiamo che in realtà era de<strong>di</strong>cato a<br />

Veduta dalla Porta <strong>di</strong><br />

Portonaccio<br />

Menerva (Minerva).<br />

Il culto è iniziato in questa zona almeno nella prima metà del<br />

VII a.C., (I fase del santuario a cielo aperto) fu allora steso sul terreno in precedenza occupato<br />

da capanne, un piano battuto, delimitato sul lato settentrionale da un muro <strong>di</strong> sostruzione,<br />

avente al centro un altare ed una piccola struttura del tipo <strong>di</strong> un’e<strong>di</strong>cola. Nei pressi <strong>di</strong> tale<br />

struttura fu accumulata all’aperto un’ingente quantità <strong>di</strong> offerte, (il più notevole deposito<br />

votivo <strong>di</strong> questo periodo rinvenuto in Etruria) costituito da vasi <strong>etrusco</strong>-corinzi e <strong>di</strong> bucchero,<br />

donari metallici e preziosi, sepolti più tar<strong>di</strong> (450 a.C. circa) in qualità <strong>di</strong> offerta <strong>di</strong> fondazione<br />

nel grande altare del tempio. Nessun dubbio può sussistere, a giu<strong>di</strong>care dalle offerte, sulla<br />

natura prevalentemente femminile delle <strong>di</strong>vinità venerate, confermata dalle numerose iscrizioni<br />

vascolari <strong>di</strong> de<strong>di</strong>ca, che menzionano più volte Minerva, associata ad altre <strong>di</strong>vinità (quali Turan<br />

e Apollo).<br />

Era un prestigioso luogo <strong>di</strong> culto oracolare, frequentato da aristocratici <strong>di</strong> tutta l’Etruria e<br />

l’esistenza dell’oracolo associato al culto <strong>di</strong> Minerva, giustifica la provenienza anche da altre<br />

città come Caere, Vulci, Castro e Orvieto e le de<strong>di</strong>che <strong>di</strong> personaggi importanti rivelano la<br />

fama e l’autorevolezza dei responsi che vi venivano dati.<br />

50


Le iscrizioni d’altra parte testimoniano l’esistenza <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> locale scriptorium, gestito<br />

dagli addetti al santuario. Per tali addetti, residenti sul posto, e col tempo trasformatisi in un<br />

potente gruppo gentilizio, ospitante i visitatori <strong>di</strong> riguardo venuti da lontano, non è ipotizzabile<br />

una sede <strong>di</strong>versa e migliore dell’e<strong>di</strong>ficio a forma <strong>di</strong> torre con tetto <strong>di</strong> tegole e fregio a rilievo<br />

con felini, <strong>di</strong> cui resta il basamento. A giu<strong>di</strong>care infatti dai rinvenimenti avvenuti all’interno<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> una notevole varietà <strong>di</strong> animali sacrificati non poteva che trattarsi della “casa<br />

dei sacerdoti”.<br />

La seconda fase <strong>di</strong> vita del santuario (540-500 a.C) ha segnato l’avvio <strong>di</strong> una generale<br />

monumentalizzazione dell’area, realizzata interamente in tufo rosso. Fu allora costruito il lungo<br />

muro <strong>di</strong> terrazzamento dal lato del <strong>di</strong>rupo, munito <strong>di</strong> contrafforti, il sacello (spazio aperto<br />

recintato con altare) a cella rettangolare, e un altare quadrato. Il complesso fu inoltre dotato <strong>di</strong><br />

un profondo portico e <strong>di</strong> una scala per accedere alla strada. La “casa dei sacerdoti” venne<br />

demolita a favore <strong>di</strong> un altro e<strong>di</strong>ficio che <strong>di</strong>venne la sede ufficiale della gens che ha ere<strong>di</strong>tato<br />

dagli antichi sacerdoti-scribi la gestione del santuario. Venne costruita una grande cisterna<br />

cilindrica in opera quadrata <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> tufo (<strong>di</strong>ametro 5,50 metri e una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> almeno<br />

6 metri),in connessione con la piscina che fiancheggia il tempio.<br />

La terza fase e<strong>di</strong>lizia, coincise a partire dalla fine del VI secolo a.C., con una ra<strong>di</strong>cale<br />

ristrutturazione del santuario che gli conferì l’aspetto col quale lo conosciamo ancora oggi.<br />

Opera certamente <strong>di</strong> un’autorità <strong>di</strong> stampo regale, che con essa pose fine alla tutela gentilizia<br />

esercitata sul santuario. Demolita la supposta residenza “privata” dei sacerdoti, al suo posto<br />

furono costruiti il tempio <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza <strong>di</strong> cui restano le fondazioni, la grande piscina<br />

rettangolare (20 metri <strong>di</strong> lato) costruita a blocchi e rivestita <strong>di</strong> argilla impermeabile come la<br />

cisterna e alimentata da un apposito cuniculo. L’e<strong>di</strong>ficio sorgeva su un po<strong>di</strong>o quadrato, con<br />

pronao e tre celle profonde. Il pronao era aperto sulla facciata con due colonne <strong>di</strong> tufo a fusto<br />

liscio. Si tratta <strong>di</strong> un gioiello architettonico contrad<strong>di</strong>stinto da una cura estrema nella<br />

decorazione che lo rendono unico in Etruria. Evidente è la personalità <strong>di</strong> un maestro<br />

progettatore, che ha saputo abilmente combinare le armoniose strutture portanti con i<br />

complicati rivestimenti decorativi in terracotta.<br />

51


La parte più impegnativa e<br />

originale è quella delle<br />

numerose statue acroteriali,<br />

do<strong>di</strong>ci sul culmine del tetto<br />

e otto sugli spioventi delle<br />

due facciate, <strong>di</strong> grandezza<br />

per lo più pari o superiore al<br />

naturale, coinvolte in<br />

narrazioni mitiche a gruppi<br />

<strong>di</strong> due o tre, come i gruppi<br />

<strong>di</strong> Ercole e Minerva, e <strong>di</strong><br />

Latona con in braccio il<br />

piccolo Apollo, nonché la<br />

statua <strong>di</strong> Apollo.<br />

I resti <strong>di</strong> questi gruppi<br />

furono trovati in parte<br />

sepolti sul lato del tempio e<br />

in parte crollati verso il<br />

fondovalle, e sono stati<br />

pazientemente ricomposti (conservati al Museo <strong>di</strong> Villa Giulia).<br />

Una buona parte <strong>di</strong> questi gruppi appartiene ad un’unica bottega <strong>di</strong> coroplasti (cioè scultori <strong>di</strong><br />

terracotta), identificata con quella de maestro Vulca (fine VI a.C.).<br />

Si ritiene che il tempio sia stato e<strong>di</strong>ficato con larghissimo <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o, quasi come fosse esso<br />

stesso un prezioso dono <strong>di</strong> ringraziamento, da qualcuno che governava da re la città, forte <strong>di</strong><br />

una vantata investitura <strong>di</strong>vina.<br />

Circa la <strong>di</strong>vinità o le <strong>di</strong>vinità venerate nel tempio dobbiamo confessare che gli archeologi<br />

hanno avuto non poche <strong>di</strong>fficoltà ed incertezze, poiché non si conosce un deposito votivo ad<br />

esso specificatamente correlabile, come invece si è visto accadere per l’altare e il sacello <strong>di</strong><br />

Minerva. Nella terza fase <strong>di</strong> vita del santuario (fine VI a.C), quella dove è manifesta un’autorità<br />

politica <strong>di</strong> tipo monarchico, il culto <strong>di</strong> Minerva sembra venir meno e la titolarità del tempio<br />

venga con<strong>di</strong>visa da Ercole e Apollo.<br />

Dopo la metà del V secolo a.C. (IV fase) il santuario venne ristrutturato, demolito il sacello <strong>di</strong><br />

Minerva, sembra che al suo posto sia stato creato un recinto d’ingresso-confine (tèmenos), la<br />

sostituzione dell’altare con un altro più grande e monumentale posto a quota più alta e spostato<br />

a ridosso dell’ex sacello, che accolse gran parte del deposito votivo accumulato presso la<br />

preesistente struttura (I fase) come offerta <strong>di</strong> fondazione. Al portico già esistente ne fu<br />

affiancato un altro, con la conseguente unificazione spaziale dei due settori, che conservano<br />

altari <strong>di</strong>stinti. A questa fase <strong>di</strong> vita che durò fino alla conquista romana, si documenta una netta<br />

ripresa del culto <strong>di</strong> Minerva, non più come dea oracolare ma come protettrice delle nascite e<br />

della iniziazione giovanile. Storicamente la svolta è molto importante, poiché segna con tutta<br />

probabilità la fine del regime tirannico, cui sono attribuite sia la costruzione del tempio che<br />

l’esaltazione della figura <strong>di</strong> Ercole e il potenziamento del culto <strong>di</strong> Apollo. Il ritorno in primo<br />

piano <strong>di</strong> Minerva, ossia alla <strong>di</strong>vinità collegata alle origini del santuario, mai del resto venuta<br />

meno, significa probabilmente che l’aristocrazia citta<strong>di</strong>na si è ormai riappropriata del santuario<br />

e ne ha rifunzionalizzato i culti al servizio della collettività.<br />

È importante notare che l’asse<strong>di</strong>o e la conquista <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> da parte <strong>di</strong> Roma, non hanno apportato<br />

né danni materiali al santuario, né mutamenti dei culti, evidentemente temuto e rispettato. Il<br />

tempio con l’annessa piscina sono rimasti in funzione, ma sempre più abbandonati a se stessi,<br />

finchè il primo fu smantellato seppellendo l’Apollo e altre statue (III secolo a.C.) Invece<br />

l’altare <strong>di</strong> Minerva e i suoi annessi continuarono ad essere intensamente frequentati, sia dai<br />

superstiti abitanti che dai nuovi coloni, con offerte e de<strong>di</strong>che votive, tra le quali quella <strong>di</strong> Enea<br />

52


che porta il padre Anchise sulle spalle, de<strong>di</strong>cata dai coloni romani del IV sec. a.C. come<br />

simbolo del loro trasferimento da Roma incen<strong>di</strong>ata dai Galli alla seconda Roma (<strong>Veio</strong>).<br />

All’inizio del II secolo a.C., i portici furono demoliti, la cisterna colmata e l’altare smontato, il<br />

santuario fu frequentato fino al I sec. a.C.,poi attraversato dalla strada romana.<br />

Alla cessazione del culto seguì l’apertura <strong>di</strong> una grande cava <strong>di</strong> tufo a cielo aperto che tuttavia<br />

rispettò sia la zona dell’altare che quella del tempio, devastando solo la piazza interme<strong>di</strong>a. La<br />

zona dell’altare fu rispettata anche dalle tombe romane <strong>di</strong> età imperiale, <strong>di</strong>sseminate in buon<br />

numero sull’area del tempio e del bosco sacro. Sembra in conclusione che l’antica sacralità<br />

dell’altare <strong>di</strong> Minerva e della zona circostante sia stata in qualche modo percepita anche<br />

quando da secoli era venuta meno ogni forma <strong>di</strong> culto e che proprio ad essa il settore orientale<br />

debba la sua conservazione notevolmente migliore <strong>di</strong> quella del resto del santuario.<br />

Portonaccio, la piscina<br />

Poronaccio, la zona dell’altare<br />

53


LE STATUE E GLI ALTRI OGGETTI VOTIVI DEL SANTUARIO DI<br />

PORTONACCIO<br />

Nel santuario <strong>di</strong> Portonaccio convergono stimoli culturali ed esigenze che portano alla<br />

formazione <strong>di</strong> una scuola <strong>di</strong> coroplasti, cioè scultori <strong>di</strong> terracotta, il cui linguaggio si<br />

esprime a seconda delle esigenze della committenza, sia nella realizzazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> opere<br />

<strong>di</strong> carattere pubblico che nella produzione <strong>di</strong> statue votive richieste da singoli devoti.<br />

La notevole sensibilità verso la riproduzione della figura umana e l’attenzione costante per<br />

le innovazioni stilistiche e i repertori figurativi, caratterizzano gli artisti che operano<br />

nell’ambito del santuario. A questa attenzione si associa una costante innovazione dal<br />

punto <strong>di</strong> vista degli espe<strong>di</strong>enti tecnici adottati.<br />

Se si considera il regime delle offerte così come ci è stato restituito dagli scavi, si rileva<br />

che, per il periodo arcaico, la netta prevalenza è costituita da ceramiche ed oggetti<br />

d’ornamento personale, a cui si sostituiscono gradualmente statuine votive a stampo. È<br />

importante osservare come a Portonaccio le offerte <strong>di</strong> notevole impegno siano costituite<br />

quasi esclusivamente da rappresentazioni complete della figura umana, realizzate con<br />

l’esclusiva finalità votiva.<br />

Un esame dei punti <strong>di</strong> rinvenimento delle statue votive ci permette <strong>di</strong> ricostruire come<br />

siano stati ammassati, nel momento in cui si abbandonò il santuario con i suoi annessi, i<br />

doni votivi, figurati e non, e l’apparato architettonico.<br />

I materiali votivi sono concentrati in prossimità del sacello (spazio aperto recintato con<br />

altare) e dell’altare. Il fondovalle si rivelò il punto dove le offerte votive erano<br />

maggiormente concentrate. Un secondo punto in cui furono raccolte esclusivamente statue<br />

votive e i gruppi acroteriali è una lunga cavità a ridosso del muro <strong>di</strong> confine del tempio.<br />

Il gruppo <strong>di</strong> Ercole e Minerva rinvenuto nel fondovalle della terrazza del santuario nel<br />

1914, è stato concepito come dono votivo, parzialmente ricomposto da un centinaio <strong>di</strong><br />

frammenti, raffigura a tre quarti del vero l’introduzione <strong>di</strong> Ercole nell’Olimpo da parte<br />

della dea Minerva. Ercole, l’eroe-<strong>di</strong>o, è raffigurato nudo, coperto solo dalla pelle <strong>di</strong> leone<br />

che lo identifica; con una mano impugna l’arco mentre col braccio destro piegato esibiva la<br />

clava, altro simbolo identificativo <strong>di</strong> Ercole. Il personaggio <strong>di</strong> Ercole è <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> un colore<br />

rosso vivo e rivela una dettagliata resa dell’anatomia muscolare, a <strong>di</strong>mostrazione della<br />

virilità dell’eroe. La Minerva dal luminoso viso color avorio, è al contrario piena <strong>di</strong><br />

elegante riserbo. È inguainata in una rigida corazza, con scudo e elmo, nella mano destra<br />

perduta, stringeva probabilmente una lancia.<br />

Altro celebre gruppo acroteriale è quello <strong>di</strong> Latona e Apollo che saetta il serpente Pitone,<br />

secondo il mito, Apollo ancora bambino, uccide il serpente Pitone che infesta la regione<br />

nei pressi <strong>di</strong> Delfi. Il luogo <strong>di</strong>viene così la sede del santuario e del culto <strong>di</strong> Apollo, dove il<br />

<strong>di</strong>o comunica gli oracoli agli dèi e agli uomini.<br />

Nel 1916 si risveglia dal suo sonno millenario l’Apollo <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, questo acroterio (cioè<br />

statua concepita per essere posta alla sommità del tetto) è senza dubbio opera del grande<br />

maestro della scultura in terracotta, l’unico artista <strong>etrusco</strong> <strong>di</strong> cui le fonti ci hanno<br />

tramontato il nome: Vulca <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>.<br />

Il grosso del materiale è ascrivibile al VI secolo a.C., così da far in<strong>di</strong>viduare in questo<br />

periodo una delle fasi <strong>di</strong> maggiore vitalità del santuario. Si registra una quantità molto<br />

contenuta <strong>di</strong> ceramiche d’importazione, mentre numerosi e vari sono i vasi <strong>di</strong> bucchero,<br />

che rappresentano in questo momento l’offerta privilegiata alla <strong>di</strong>vinità. Attestata anche la<br />

ceramica d’imitazione greco-orientale e le statuine in bronzo fuso. L’eccezionale quantità<br />

<strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> ornamento costituisce un altro importante elemento per la ricostruzione dei<br />

culti e del tipo <strong>di</strong> frequentazione che ha interessato il santuario, nell’ambito del quale un<br />

ruolo primario sembra aver avuto la componente femminile.<br />

54


Il santuario <strong>di</strong> Campetti è il luogo <strong>di</strong> culto <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vinità ctonia, "Vei" , dea eponima della<br />

città e assimilata alla dea greca Demetra (Cerere per i Romani).<br />

Se la ricchezza <strong>di</strong> de<strong>di</strong>che nel santuario <strong>di</strong> Portonaccio evidenziano il prestigio “internazionale”<br />

<strong>di</strong> questo tempio e <strong>di</strong> chi lo frequentava, al contrario, la povertà <strong>di</strong> de<strong>di</strong>che nel tempio <strong>di</strong> Vei<br />

coincide con il carattere subalterno, plebeo e grecizzante del culto: ma il fatto che il santuario<br />

fosse nel cuore della città e che alla dea si debba il nome stesso <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> stanno a convalidare<br />

l’ipotesi della centralità dei gruppi plebei della città e la matrice greca, mercantile e artigianale,<br />

<strong>di</strong> tali gruppi. Il santuario <strong>di</strong> Campetti, è l’unica presenza urbana <strong>di</strong> questo culto greco, altrove<br />

costantemente extraurbano (Roma, Gravisca).<br />

Gli scavi hanno messo in luce una grotta artificiale e, sulla fronte <strong>di</strong> questa, resti <strong>di</strong> muri a<br />

blocchi pertinenti ad un grande recinto <strong>di</strong> circa 20 m con tracce <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici molto più tar<strong>di</strong>, <strong>di</strong> età<br />

imperiale romana, sovrapposti a quello. Intorno erano i materiali della stipe votiva, in gran<br />

parte del IV-III sec. a.C., documento del culto <strong>di</strong> Vei.<br />

Il santuario <strong>di</strong> Porta Caere è stato scavato nel 1965-70, era costituito da un grande terrapieno<br />

delimitato da un muro <strong>di</strong> contenimento a blocchi <strong>di</strong> tufo, databile al 470 a.C. circa; entro il<br />

terrapieno vi sono una vasta cisterna, sempre costruita in opera quadrata e i resti <strong>di</strong> un piccolo<br />

e<strong>di</strong>ficio rettangolare, forse il sacello, sostituito nella seconda metà del I sec. a.C. da un<br />

ambiente poverissimo (sopravissuto fino a tutta l’età giulio-clau<strong>di</strong>a) che ha inglobato nei suoi<br />

riempimenti <strong>di</strong> fondazione una stipe votiva del III-II sec. a.C.<br />

Sembra che anche il culto <strong>di</strong> Porta Caere fosse centrato sulla figura <strong>di</strong> Minerva.<br />

Il santuario <strong>di</strong> Piazza d’Armi, databile agli inizi del VI a.C., a pianta rettangolare (m 15 x 8),<br />

le fondazioni a blocchi regolari. Le terrecotte architettoniche sono costituite da fregi<br />

raffiguranti processioni <strong>di</strong> carri. Collegato al tempio da un breve<br />

muro è un ambiente rettangolare con pozzo. Poco <strong>di</strong>scostata è<br />

tuttora conservata una gigantesca cisterna ellittica con scala <strong>di</strong><br />

accesso interna.<br />

Lastra del tempio con rappresentazione <strong>di</strong> guerriero che sale sul carro in<br />

armatura <strong>di</strong> tipo greco (Roma, Museo <strong>di</strong> Villa Giulia)<br />

L’acropoli <strong>di</strong> Piazza d’Armi si trova su una grande terrazza a sud dell’area occupata<br />

dall’antica città. La collina,<br />

già abitata in età<br />

villanoviana (come<br />

<strong>di</strong>mostrano i fon<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

capanna rinvenuti negli<br />

scavi), è cinta da un muro in<br />

opera quadrata. Di queste<br />

mura si conserva un lungo<br />

tratto con una gran<strong>di</strong>osa<br />

porta <strong>di</strong> ingresso all’abitato<br />

con due aperture. La zona<br />

appare ampiamente riusata<br />

in epoca romana imperiale<br />

come luogo <strong>di</strong> sepoltura.<br />

Sono state riconosciute<br />

almeno quattro fasi e<strong>di</strong>lizie<br />

riferibili alla città etrusca. Una prima fase <strong>di</strong> capanne dal IX al VII secolo, sembra presentare<br />

gruppi <strong>di</strong> abitazioni sparse: le strutture riconosciute appaiono del tipo a pianta circolare, con<br />

tetto conico sorretto da un palo centrale.<br />

55


Alla seconda fase (fine VII-metà del VI secolo a.C.) si attribuisce la costruzione <strong>di</strong> almeno due<br />

case <strong>di</strong> tipo aristocratico, con tetti decorati e un tempio.<br />

Alla metà del VI secolo (III fase) risale l’impianto urbano con la via principale (andamento<br />

Nord-Ovest Sud-Est), larga 5 metri e le vie minori perpen<strong>di</strong>colari ad essa larghe 2,80 metri,<br />

una grande piazza lastricata con cisterna, le case affacciate su gran<strong>di</strong> cortili interni. A questa<br />

fase va riferito probabilmente il primo impianto delle mura.<br />

Una forte attività e<strong>di</strong>lizia interessa il pianoro anche tra il VI e il V secolo a.C. (IV fase) con la<br />

costruzione della porta a doppia entrata, la realizzazione <strong>di</strong> porticati e strutture per le botteghe<br />

artigiane.<br />

Dalla fine del IV secolo l’altura <strong>di</strong> Piazza d’Armi, variamente interpretata come acropoli cioè<br />

sede del potere politico o villaggio a sé stante, risulta avere un’occupazione a carattere<br />

prevalentemente agricolo. Gli scavi in corso stanno evidenziando i resti <strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> epoca<br />

repubblicana, come una fattoria nella zona settentrionale. Dopo un lungo periodo <strong>di</strong> abbandono<br />

un e<strong>di</strong>ficio a due navate, <strong>di</strong> cui non appare ancora chiara la funzione e alcuni sarcofagi fuori le<br />

mura, in<strong>di</strong>cano il riutilizzo del sito in epoca romano-imperiale.<br />

In età alto me<strong>di</strong>evale strutture <strong>di</strong> tipo piuttosto precario (recinti, magazzini, testimoniati da<br />

fosse <strong>di</strong> scarico e da buchi <strong>di</strong> palo) hanno occupato il pianoro, da allora fino ai giorni nostri<br />

impiegato esclusivamente per scopo agricolo.<br />

Campetti L’area archeologica si estende su un leggero pen<strong>di</strong>o nella parte sud-ovest del<br />

pianoro <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>, vicino alla porta delle mura etrusche detta “Porta <strong>di</strong> Portonaccio” e occupa<br />

una superficie <strong>di</strong> circa 10.000 metri quadrati. Le strutture scavate erano state interpretate come<br />

una villa privata, datata al I secolo a.C. - I secolo d.C. Le recenti indagini archeologiche però,<br />

hanno portato ad una nuova interpretazione: si tratta <strong>di</strong> un complesso <strong>di</strong> carattere pubblico,<br />

probabilmente un luogo <strong>di</strong> culto e stabilimento termale. L’area è <strong>di</strong>sposta in leggero pen<strong>di</strong>o<br />

vicino all’antica porta delle mura <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> (la porta <strong>di</strong> Portonaccio). I resti più antichi, ci<br />

testimoniano che la zona è stata abitata a partire dal IX secolo a.C., (Età del Ferro), vi sono<br />

infatti le buche <strong>di</strong> palo delle capanne (le abitazioni <strong>di</strong> questo periodo), recinti, canalette <strong>di</strong> scolo<br />

e altre strutture secondarie. L’e<strong>di</strong>lizia monumentale inizia nel VI secolo a.C. e prosegue fino<br />

all’età imperiale romana (I secolo d.C.).<br />

Si è conservata una cisterna ricoperta a volta, che serviva a fornire d’acqua un ninfeo posto<br />

nella parte inferiore. De<strong>di</strong>cato inizialmente al culto delle ninfe, poi destinato ad abbellire le<br />

<strong>di</strong>more private, il ninfeo era un e<strong>di</strong>ficio che aveva spesso una fontana nel centro, absi<strong>di</strong>, nicchie<br />

e portici a colonne. Quello della villa è decorato con lastre <strong>di</strong> marmo, ha la pianta semicircolare<br />

e nicchie per gli zampilli d’acqua. Di fronte al ninfeo sono venuti alla luce, mosaici in bianco e<br />

nero con scene marine che decoravano le terme, <strong>di</strong> cui si conservano i caratteristici ambienti<br />

(frigidarium -sala fredda-, calidarium -sala calda-, apodyterium -spogliatoi o stanze <strong>di</strong><br />

servizio-).<br />

56


Le necropoli <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> sono <strong>di</strong>sposte tutt’intorno al grande pianoro sede dell’abitato <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> ed<br />

in prossimità delle principali strade <strong>di</strong> accesso alla città. I nuclei delle sepolture, <strong>di</strong> varia<br />

grandezza ed importanza, si sono sviluppati tra il IX e il VI secolo a.C. e cingono <strong>Veio</strong> come<br />

molte città etrusche.<br />

Le tombe più antiche si trovano a<br />

Macchia della Comunità, Casale del<br />

Fosso-Grotta Gramiccia e<br />

Vaccareccia. Sono a pozzetto e<br />

contengono un vaso, usato come<br />

contenitore per le ceneri e gli oggetti<br />

<strong>di</strong> ornamento e d’uso del defunto. Il<br />

vaso è coperto da una ciotola o da un<br />

elmo. Nell’VIII secolo a.C. accanto<br />

al rito dell’incinerazione prende<br />

sempre più piede il rito inumatorio.<br />

Anche i pozzi si fanno sempre più<br />

complessi, in genere con loculo<br />

laterale. La copertura era costituita<br />

da gran<strong>di</strong> lastre e da <strong>di</strong>schi <strong>di</strong> tufo,<br />

utilizzati anche per segnare il luogo<br />

della sepoltura.<br />

Agli inizi del VII secolo a.C.<br />

compare la tomba a camera scavata<br />

nella roccia con corridoio d’ingresso<br />

(dromos). Nelle tombe più<br />

complesse alla camera principale si<br />

aggiungono delle stanze aperte sul<br />

corridoio per sepolture secondarie, come quelle dei congiunti nelle tombe <strong>di</strong> famiglia. Esempi<br />

<strong>di</strong> questo tipo sono la tomba principesca <strong>di</strong> Monte Michele (670-650 a.C.) contenente le ceneri<br />

<strong>di</strong> un uomo maturo e il corredo personale, costituito da un ventaglio, da uno scettro e<br />

ornamenti d’oro nonché un carro funebre a quattro ruote e le Tombe a camera <strong>di</strong> Riserva del<br />

Bagno e Picazzano.<br />

Il sepolcreto <strong>di</strong> Riserva del Bagno è costituito da cinque tombe a camera che sono <strong>di</strong>sposte su<br />

varie terrazze attraversate da una strada. In questa piccola necropoli, nella Tomba detta “delle<br />

Anatre”, si conserva il più antico esempio <strong>di</strong> tomba etrusca <strong>di</strong>pinta (680-670 a.C.). È affrescata<br />

a colori vivaci: rosso, giallo e nero, ha una volta a vela e una banchina sul lato sinistro: era il<br />

letto del defunto e si otteneva, durante lo scavo della tomba, lasciando parte del tufo naturale<br />

rialzato; qui è rinforzata da blocchi dello stesso materiale, <strong>di</strong>sposti a sostenerla. Si notano<br />

ancora le tracce per l’incasso <strong>di</strong> un baldacchino <strong>di</strong> legno a due spioventi. Le pareti hanno uno<br />

zoccolo rosso separato dal fregio superiore (sul muro destro e quello <strong>di</strong> fondo) me<strong>di</strong>ante strisce<br />

rosse e gialle che si alternano a strisce a nere; nel fregio della parete <strong>di</strong> fondo ci sono cinque<br />

anatre <strong>di</strong>pinte in modo schematico, in rosso e giallo con particolari in nero.<br />

Nelle pen<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Monte Michele è scavata un’altra tomba <strong>di</strong>pinta, detta tomba Campana dal<br />

nome del banchiere collezionista che la scavò nel secolo scorso. Dopo un lungo corridoio si<br />

entra, attraverso una piccola porta ad arco, nella prima delle due stanze che compongono la<br />

tomba. La tomba ha in basso una decorazione con animali e motivi vegetali, in alto due scene<br />

figurate ciascuna con un cavaliere accompagnato da personaggi a pie<strong>di</strong> o da animali fantastici,<br />

inseriti nei riquadri con fitto intreccio <strong>di</strong> motivi ornamentali <strong>di</strong> riempimento. Nella seconda<br />

stanza, erano <strong>di</strong>pinti gran<strong>di</strong> scu<strong>di</strong> colorati. Il corredo della tomba ha un’associazione <strong>di</strong><br />

materiali dubbiosa, dal momento che il marchese Campana, per aumentarne l’importanza,<br />

57


trasportò oggetti trovati in altre località: lo stile delle pitture, data la tomba alla fine del VII sec.<br />

a.C.<br />

I tumuli <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> sono pochi e soltanto quattro sono veramente gran<strong>di</strong>, come i sepolcri<br />

principeschi d’Etruria, che possono raggiungere fino a trenta metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro: il tumulo <strong>di</strong><br />

Vaccareccia, quello <strong>di</strong> Monte Aguzzo, che contiene la tomba Chigi, (inserire foto tumulo<br />

Chigi) i tumuli <strong>di</strong> Oliveto Grande, presso Piazza d’Armi. Sono tombe a pianta circolare, con un<br />

alto tamburo in muratura e una falsa cupola, ottenuta sovrapponendo verso l’interno filari <strong>di</strong><br />

blocchi <strong>di</strong> pietra chiusi in alto da una lastra.<br />

Questi tumuli, sono databili tra il 650 e il 600<br />

a.C., epoca del massimo splendore <strong>di</strong> <strong>Veio</strong>.<br />

Nel V secolo a.C. la zona <strong>di</strong> <strong>Veio</strong> appare quasi<br />

del tutto priva <strong>di</strong> necropoli; lo stesso avviene nel<br />

vicino Lazio a <strong>di</strong>fferenza del resto dell’Etruria<br />

Meri<strong>di</strong>onale.<br />

Percorrendo l’antica strada etrusca e poi romana<br />

per Capena, tra le colline <strong>di</strong> Quattro Fontanili,<br />

Vaccareccia, verso la Porta delle Vignacce, sono<br />

visibili i colombari romani, tombe scavate nel<br />

Olpe Chigi, dettaglio dei guerrieri armati<br />

tufo.<br />

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GLOSSARIO ETRUSCO<br />

Alari:<br />

utensili da cucina, in terracotta o metallo, usati per<br />

sorreggere la legna o gli spie<strong>di</strong>.<br />

Anforetta:<br />

piccolo vaso in terracotta, destinato a contenere<br />

liqui<strong>di</strong>. Il vaso aveva probabilmente un importante<br />

valore rituale nelle pratiche funerarie.<br />

Ascia:<br />

strumento <strong>di</strong> lavoro o arma, costituita da una lama<br />

affilata e da un’impugnatura entro cui si inseriva il<br />

manico <strong>di</strong> legno.<br />

Askòs:<br />

vaso destinato a contenere e versare liqui<strong>di</strong>, con<br />

un’ansa sulla sommità del corpo. Il nome, <strong>di</strong> origine<br />

greca, significa otre.<br />

Attingitoio:<br />

piccola coppa in metallo con manico ricurvo, usata per<br />

attingere liqui<strong>di</strong> da recipienti profon<strong>di</strong>.<br />

Cinturone:<br />

oggetto <strong>di</strong> ornamento femminile, costituito da una<br />

lamina in bronzo decorata, leggermente incurvata per<br />

aderire al corpo e agganciata ad una cintura <strong>di</strong> cuoio.<br />

Cista:<br />

vaso <strong>di</strong> forma cilindrica con o senza coperchio, in<br />

genere <strong>di</strong> lamina in bronzo, utilizzato probabilmente per<br />

contenere oggetti <strong>di</strong> toeletta femminile.<br />

Dolio:<br />

vaso <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> forma globulare con<br />

imboccatura larga, contenitore <strong>di</strong> granaglie o liqui<strong>di</strong>.<br />

Nel rituale funerario è usato come contenitore delle<br />

ceneri del defunto e del corredo.<br />

59


Fàlera:<br />

Disco in metallo usato per ornare la bardatura del<br />

cavallo.<br />

Fermamozzo:<br />

elemento in ferro inserito nella parte terminale<br />

dell’asse, per mantenere la ruota in sede.<br />

“Fermatrecce”:<br />

filo <strong>di</strong> bronzo, o altro metallo, avvolto a spirale e<br />

utilizzato probabilmente come ornamento della<br />

capigliatura.<br />

Fibula:<br />

spilla in metallo -con arco <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>verse, spesso<br />

ornato <strong>di</strong> perle, <strong>di</strong> vetro e <strong>di</strong> ambra- usata come<br />

ornamento e per fermare i vestiti.<br />

Fusaiola:<br />

Peso inserito nella parte inferiore del fuso per rendere<br />

regolare la rotazione durante la filatura.<br />

Fuso:<br />

asta <strong>di</strong> legno o <strong>di</strong> bronzo, utilizzata per torcere la<br />

fibra grezza avvolta sulla conocchia e trasformarla,<br />

me<strong>di</strong>ante un movimento rotatorio, in filo.<br />

“Incensiere”:<br />

recipiente in bronzo con coperchio, manici e catenelle<br />

per appenderlo. Il suo uso non è conosciuto; il nome<br />

deriva dalla sua somiglianza con i contenitori usati per<br />

bruciare incenso.<br />

Morso da cavallo:<br />

oggetto in metallo la cui parte centrale viene posta in<br />

bocca al cavallo, mentre le parti laterali, a cui vengono<br />

agganciate le cinghie della briglia, stanno al <strong>di</strong> fuori e<br />

agiscono ai lati della bocca per <strong>di</strong>rigere l'animale.<br />

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Ossuario:<br />

vaso in terracotta o in metallo a forma <strong>di</strong> due tronchi<br />

<strong>di</strong> cono uniti per la base maggiore, destinato a<br />

contenere le ceneri del defunto.<br />

Paletta:<br />

strumento costituito da una larga lama e da un manico<br />

impostato sul lato opposto al taglio. Aveva una funzione<br />

rituale, collegata probabilmente ai riti della sepoltura.<br />

Piattello:<br />

piatto a fruttiera contenente uva e nocciole.<br />

Presentatoio:<br />

vassoio con piede, generalmente in bronzo, su cui<br />

appoggiare due vasi <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni. Era usato per<br />

porgere offerte.<br />

Rasoio:<br />

formato da una lama a semiluna con un solo bordo<br />

tagliente e da un piccolo manico con occhiello per<br />

appenderlo.<br />

Rocchetto:<br />

utensile in terracotta che serve ad avvolgere il filo e<br />

tenerlo teso, usato probabilmente come peso da telaio.<br />

Scodella:<br />

vaso poco profondo con imboccatura larga, fornito <strong>di</strong> un<br />

solo manico, usato nel rituale funerario come coperchio<br />

dell’ossuario.<br />

Situla:<br />

vaso generalmente in metallo, <strong>di</strong> forma troncoconica,<br />

con manico mobile; veniva usato per contenere o<br />

trasportare liqui<strong>di</strong>.<br />

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Spillone:<br />

oggetto in metallo con capocchia <strong>di</strong> varie forme, usato<br />

per fissare sia i vestiti che le acconciature.<br />

Stele:<br />

lastra in pietra talvolta decorata a rilievo; corrisponde<br />

all'o<strong>di</strong>erna lapide funeraria.<br />

Stimolo:<br />

strumento tubolare in metallo terminante a punta,<br />

usato per incitare il cavallo.<br />

Tintinnabulo:<br />

pendaglio trapezoidale in bronzo <strong>di</strong> uso rituale, con un<br />

anello per la sospensione. Secondo una vecchia<br />

interpretazione, da cui deriva il nome allusivo al suono,<br />

l’oggetto era uno strumento musicale (gong?).<br />

Vaso a <strong>di</strong>aframma:<br />

vaso cilindrico <strong>di</strong> terracotta, con un piano orizzontale<br />

all’interno, forse usato come supporto o come scaldavivande.<br />

Vaso a saliera:<br />

vaso in terracotta composto da due bicchieri uniti da<br />

un'ansa, spesso a forma <strong>di</strong> animale.<br />

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