01.06.2013 Views

Appunti - Ama

Appunti - Ama

Appunti - Ama

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Preparatevi al quiz on line consultando gli “<strong>Appunti</strong>” come ulteriore strumento di<br />

approfondimento.<br />

Da Rifiuto a Risorsa<br />

<strong>Appunti</strong><br />

Da sempre, fin dalla comparsa delle prime forme di vita umana organizzata, ci si è<br />

dovuti confrontare con il problema della gestione e dello smaltimento dei rifiuti che<br />

inevitabilmente rimangono al termine delle diverse attività umane.<br />

Già nel IV secolo a.C. Atene organizzò probabilmente la prima discarica del mondo<br />

occidentale di cui si abbia notizia per scaricare i rifiuti ad almeno un miglio dalla<br />

città. Nel I secolo d.C. Marziale, un grande poeta latino, si lamentava che per le vie di<br />

Roma si corresse spesso il rischio di essere investiti dai rifiuti che venivano gettati<br />

dalle finestre, e verso la fine del XIV secolo il Parlamento inglese emanò la prima<br />

legge che vietava lo scarico dei rifiuti nelle pubbliche strade.<br />

Come si vede, quindi, il problema dello smaltimento dei rifiuti non è certamente nuovo.<br />

Anche il riciclaggio ha una storia che viene da lontano, considerando che si può far<br />

risalire al 3.000 a.C il riutilizzo di rottami di metallo, ai primi secoli dell’Impero<br />

Romano il riciclaggio di scarti di vetro e al 1.500 quello degli scarti tessili e cellulosici.<br />

Il rifiuto, quindi, appartiene al ciclo della vita e fa parte di quel processo naturale in<br />

cui tutto viene trasformato: il ciclo biologico non prevede rifiuti ma semplicemente<br />

trasformazioni della materia ( in fisica il celebre principio di conservazione della<br />

materia afferma che “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”).


Fino ai primi anni ’50 del secolo scorso, questo sistema naturale di “riciclaggio” e<br />

“riutilizzo” è stato in grado di assorbire i rifiuti prodotti dall’uomo e dalle sue attività.<br />

Successivamente, però, a partire dagli anni del cosiddetto boom economico (anni<br />

‘60/’70), con l’avvento del consumismo di massa e del grande aumento demografico<br />

delle nostre città, è entrato in crisi qualunque sistema di gestione dei rifiuti<br />

precedentemente applicato.<br />

Benessere economico e aumento della popolazione hanno determinato, in particolare a<br />

partire dagli anni ’60, un costante e inesorabile aumento pro-capite della produzione<br />

dei rifiuti solidi urbani e una loro inarrestabile diversificazione, con gli imballaggi in<br />

plastica che hanno occupato sempre più spazio nella nostra vita quotidiana.<br />

Nel breve spazio di 50 anni siamo passati dalla produzione di circa 300 gr./ giorno di<br />

rifiuti ad 1,5 Kg./giorno circa per un totale annuo in Italia di oltre 32 milioni di<br />

tonnellate.<br />

Senza contare che fino al 1960 gran parte dei rifiuti veniva recuperata e riciclata<br />

mentre oggi del milione e ottocentomila tonnellate prodotte dalla nostra città, solo<br />

poco più del 20% viene avviato a recupero attraverso la raccolta differenziata, con<br />

l’obiettivo di far rientrare i materiali differenziati nel ciclo della produzione<br />

industriale sotto forma di materia prima seconda.<br />

Esiste un rapporto diretto tra quantità dei rifiuti prodotti e la ricchezza di un Paese:<br />

pertanto, la maggior produzione dei rifiuti registrata negli ultimi anni sul pianeta è<br />

dovuta al livello generale della produzione e quindi agli stili di vita che si sono<br />

affermati negli stati occidentali ad economia avanzata.<br />

Questa situazione, nel breve spazio di alcuni decenni, ha comportato gravi problemi di<br />

inquinamento e di sostenibilità ambientale ed un conseguente scadimento della qualità


della vita, che, soprattutto nelle megalopoli di tutto il mondo, ha raggiunto livelli<br />

preoccupanti per la stessa sopravvivenza umana.<br />

La composizione merceologica dei rifiuti si è andata modificando nel tempo e<br />

diversificando sul territorio parallelamente con il mutamento delle attività umane e<br />

delle condizioni di vita delle popolazioni.<br />

Specialmente in alcune città orientali, mediorientali e dell’America Latina (il Cairo,<br />

Bombay, Shangay, Città del Messico, Buenos Aires…) il fenomeno dell’urbanesimo<br />

spinto a livelli insostenibili ha di fatto portato tali città allo stato di vero e proprio<br />

collasso ambientale, cui il problema dello smaltimento dei rifiuti ha contribuito in<br />

maniera determinante.<br />

Ma il motivo scatenante di questi incombenti disastri ambientali è rappresentato dal<br />

fatto che, con l’accrescimento della densità della popolazione, si è verificata anche<br />

una trasformazione continua dei materiali prodotti dalle industrie e usati dalle<br />

popolazioni. Si è così passati, nello spazio temporale di qualche decennio, da<br />

un’economia costituita in gran parte di prodotti naturali, ad una economia basata sulla<br />

produzione e il consumo di prodotti sintetici, in numero e quantità sempre crescente.<br />

Tanto per fare un esempio, basti sapere che i rifiuti di Roma, appena cento anni fa,<br />

erano ancora costituiti da stracci, ossa,vetro, carbone, scarpe, carta, pane, metalli<br />

diversi, mozziconi di sigari mentre le sostanze organiche, eccezion fatta per una<br />

piccolissima quantità di pane (1%) ed il carbone di scarto, erano del tutto assenti.<br />

Ma il passaggio dai “vecchi” rifiuti ai “nuovi”, difficilmente biodegradabili, non ha<br />

prodotto nuovi sistemi di smaltimento che sono rimasti gli stessi utilizzati sin<br />

dall’antichità cioè: discarica o incenerimento. In entrambi i casi le conseguenze sono<br />

state disastrose.


Per arginare questa inarrestabile marcia dei rifiuti che minacciano di sommergerci,<br />

molti paesi europei sin dagli anni ’70 hanno emanato leggi e regolamenti per<br />

proteggere l’ambiente e contemporaneamente hanno dato grandi incentivi per attivare<br />

le raccolte differenziate di quei rifiuti che, attraverso il riciclaggio, potevano<br />

rientrare nel circuito industriale e del consumo.<br />

Solo nel 1997 l’Italia con il decreto 22 del 5 febbraio, ha emanato una normativa nota<br />

come “Decreto Ronchi” (dal nome dell’allora ministro dell’Ambiente), che ci ha allineato<br />

a tutti gli altri Paesi europei nella gestione dei rifiuti e ha segnato per noi un’autentica<br />

svolta anche culturale.<br />

Finalmente venne introdotto il principio della responsabilità nella gestione e nello<br />

smaltimento dei rifiuti, un principio che coinvolge sia l’industria che produce, sia il<br />

cittadino/consumatore che acquista, usa e getta nella pattumiera ciò che diventa<br />

rifiuto.<br />

E venne sancito, per una corretta ed ecosostenibile gestione dei rifiuti, un percorso<br />

virtuoso che prevede al primo punto la riduzione della loro produzione ed a seguire la<br />

raccolta differenziata, con precisi obbiettivi e percentuali da raggiungere negli anni a<br />

venire, ed ancora il ricorso agli inceneritori per la frazione secca non riciclabile ed<br />

infine la discarica destinata ad accogliere solo il rifiuto non riciclabile.<br />

Il decreto fissava degli obbiettivi a breve , medio e lungo termine per incrementare<br />

le raccolte differenziate. Meta finale da raggiungere per tutti i Comuni era quota<br />

35% di raccolta differenziata entro il 2003.<br />

La realtà dei nostri giorni ci conferma come sia ancora lontana quella percentuale e<br />

come la gestione di questo problema sia ugualmente lontana dall’essere risolta<br />

nonostante il D.L. 22/95. I dati ISTAT 2008 ci dicono che a fronte di una media<br />

nazionale di Raccolta Differenziata pari al 28,5% abbiamo i comuni del nord che hanno<br />

raggiunto il 39,9%, i comuni del centro il 25,5% e i comuni del sud appena il 14,5%.


A livello di grandi comuni, i valori maggiori li raggiungiamo a Torino con il 41,5%<br />

mentre quelli più bassi a Catania con il 10,1% e a Palermo con il 4,6%.<br />

Esistono comunque piccole realtà soprattutto al Nord, ma anche al centro e al sud<br />

della nostra penisola, in cui si è raggiunta la quota a del 60/70% e anche 80% di<br />

raccolta differenziata a dimostrazione che gran parte dei nostri rifiuti possono<br />

essere avviati a recupero e che nei Comuni medio-piccoli e con una grande sensibilità<br />

ambientale è più facile organizzare un servizio capillare di raccolta dei rifiuti ed è più<br />

facile il coinvolgimento attivo dei singoli cittadini.<br />

Forse è proprio quest’ultimo aspetto uno dei grandi responsabili del mancato<br />

raggiungimento degli obbiettivi previsti dal Decreto Ronchi. Molti cittadini non si<br />

sentono ancora parte del problema, non ne avvertono la responsabilità individuale e<br />

neanche lontanamente avvertono i preoccupanti scenari futuri che si prospettano<br />

perdurando questa situazione di disinteresse.<br />

Continuando in questo breve excursus tra i rifiuti ci poniamo ora alcune domande alle<br />

quali tenteremo di dare una risposta:<br />

Qual’ è la composizione merceologica dei nostri rifiuti (in pratica, cosa consumiamo?);<br />

Qual’ è il percorso che attualmente i rifiuti fanno dalla “culla alla tomba”?<br />

Quali le alternative messe in campo dalle varie Amministrazioni per risolvere i<br />

problemi della gestione e dello smaltimento finale dei rifiuti?<br />

Ed infine, quali le prospettive ?<br />

COMPOSIZIONE MERCEOLOGICA DEI RIFIUTI<br />

Abbiamo accennato che fino alla fine del 1800 i rifiuti prodotti nelle realtà urbane<br />

erano costituiti in gran parte da materiali naturali che, a parte considerazioni<br />

igieniche, venivano comunque smaltiti dai batteri decompositori presenti sul nostro


pianeta da centinaia di milioni di anni che li metabolizzavano e li riciclavano. Oggi la<br />

situazione è molto cambiata, e i rifiuti che produciamo sono molto diversi per qualità e<br />

per quantità. Le moderne tecnologie ci hanno permesso di avere oggetti in materiali<br />

nuovi, molto più leggeri e pratici, igienici e sicuri, con costi industriali molto bassi. Ma<br />

c’è un particolare di non secondaria importanza da considerare: non esistono organismi<br />

decompositori capaci di metabolizzarli e riciclarli in natura. Dobbiamo assolutamente<br />

essere consapevoli che non possiamo smaltire questi “nuovi” rifiuti utilizzando metodi<br />

che risalgono alla notte dei tempi della storia dell’umanità.<br />

Da analisi campionarie effettuate negli ultimi anni, questa è la composizione media dei<br />

rifiuti solidi urbani che si è riscontrata a Roma:<br />

rifiuti organici 30- 35%<br />

carta e cartone 20-25%<br />

plastiche 13-15%<br />

vetro 5-8%<br />

metalli 3-4%<br />

imballaggi compositi<br />

tessili, legno<br />

piccoli elementi 15-20%<br />

materiali pericolosi<br />

(farmaci, pile, vernici…) 1%<br />

Ora, se escludiamo la voce relativa ai materiali pericolosi e quella parte di rifiuti<br />

difficilmente separabile, la gran parte dei rifiuti che produciamo potrebbero essere<br />

recuperati e riciclati. Parliamo in dettaglio di quelle voci che di più fanno parte della<br />

nostra pattumiera e che possono essere recuperate e riciclate con relativa facilità.


I RIFIUTI ORGANICI (frazione umida dei rifiuti):<br />

(Tutti i sistemi viventi si trovano sulla terra e nell’aria, muoiono sul terreno<br />

trasformandosi continuamente, ma senza lasciare traccia di rifiuti: unica eccezione,<br />

l’animale uomo.)<br />

Ogni italiano produce in media ogni anno, circa 150 kg. di rifiuti organici per un totale<br />

di circa 10 milioni di tonnellate riferito al dato nazionale. Una quantità enorme di<br />

bucce di frutta, scarti di ortaggi,resti di carne, pesce, formaggio, fondi di caffè, erba<br />

di sfalcio, residui di potatura, tutti rifiuti che, se smaltiti in discarica, fermentano e<br />

producono liquami (percolato) e gas (biogas) provocando gravi problemi di<br />

inquinamento ambientale se non aspirati dalla massa dei rifiuti. Ritorneremo su questo<br />

argomento quando affronteremo il problema delle discariche.<br />

CARTA E CARTONE (frazione secca dei rifiuti):<br />

Ossa, pareti di caverna, tavole di pietra, tavolette di argilla, il papiro in Occidente e le<br />

pelli di animali (la pergamena), la seta in Oriente, poi finalmente nel 105 d.C in Cina,<br />

utilizzando vecchi stracci,residui di reti da pesca e scorza d’albero apparve il primo<br />

materiale leggero, economico e resistente da cui ebbe origine la carta, che dalla Cina<br />

arrivò in Arabia e da questa in Spagna finché, intorno all’anno 1.000, si diffuse anche<br />

in Italia. Oggi possiamo produrre carta utilizzando il legno (per ottenere la pasta di<br />

cellulosa), il riso, il lino, il cotone, la seta, gli stracci, il mais, il luppolo, le alghe e<br />

tantissimi altri materiali. Se la scrittura è stata la base dello sviluppo e del progresso<br />

dell’umanità, l’invenzione della carta ha reso possibile questo processo evolutivo<br />

perché ha reso possibile la trasmissione della cultura, delle conoscenze, del sapere.<br />

Oggi la carta è usata anche per molti prodotti per l’igiene personale, e della casa,<br />

mentre il cartone viene ampiamente usato nelle confezioni e nel settore degli<br />

imballaggi.


LE PLASTICHE (frazione secca dei rifiuti):<br />

Il discorso sulle plastiche è necessariamente più complesso, in quanto questo<br />

materiale, più di tutti gli altri, è l’emblema dei rapidi cambiamenti cui l’umanità è stata<br />

testimone nell’ultimo secolo, ma anche dei gravi problemi ambientali che ancora<br />

aspettano una soluzione.<br />

Già negli anni ’30 circolavano più di 16 tipi diversi di plastiche e di queste molte erano<br />

derivate dal petrolio. Tuttavia è con gli anni ‘50 e ‘60, gli anni del boom economico e<br />

della diffusione del consumo di massa che le plastiche entrarono in ogni casa e in ogni<br />

aspetto della nostra vita quotidiana.<br />

La “ricetta “ per costruire la maggior parte delle plastiche è abbastanza semplice e gli<br />

ingredienti sono pochi, basta solo petrolio, carbone, sale da cucina e metano. Il<br />

processo chimico-industriale parte dalla scomposizione molecolare del petrolio<br />

(cracking) da cui si ottengono molecole più piccole (monomeri) : Propilene – Butadiene –<br />

Stirene – Etilene.<br />

Legando questi monomeri in nuove catene (polimerizzazione) o miscelandoli con altri<br />

additivi, si ottengono i diversi materiali plastici che possono presentarsi in granuli, in<br />

polvere o sotto forma di liquido o soluzione.<br />

Un italiano, Giulio Natta nel 1963 vinse il premio nobel per la chimica per avere<br />

scoperto il processo di polimerizzazione del propilene, inventando il polipropilene.<br />

I tipi di plastica più diffusi si dividono poi in due grandi famiglie: le termoplastiche e<br />

le plastiche termoindurenti. Le prime si ammorbidiscono se vengono riscaldate e<br />

possono cambiare forma, le seconde non possono cambiare forma né ammorbidirsi<br />

anche se vengono portate ad alte temperature.<br />

Oggi sono 36 i tipi di plastiche, e rispondono alle più diverse esigenze del mercato.<br />

Dalla pellicola per alimenti in LLPE (polietilene lineare), alla guaina di protezione in<br />

HDPE, (polietilene ad alta densità) per evitare inquinamenti da percolato nelle<br />

discariche, dai giocattoli, alla strumentazione più sofisticata, per non parlare del


grande uso di plastica in campo automobilistico e nel settore degli imballaggi. Le<br />

plastiche più comuni e con le quali ogni giorno entriamo in contatto sono:<br />

il PE – (polietilene) - Materiale termoplastico nato dalla polimerizzazione dell’etilene,<br />

che possiamo trovare anche come LDPE (polietilene a bassa densità) sacchetti,<br />

pellicole ecc…, oppure come HDPE (polietilene ad alta densità) per fabbricare<br />

bottiglie, flaconi, tubi, giocattoli;<br />

il PVC (polivinilcloruro) – Materiale termoplastico ricavato da etilene e cloruro di<br />

sodio (il sale da cucina), con cui si fabbricano i contenitori per alimenti, porte ,<br />

finestre, carte di credito… oggi si tende a limitare l’utilizzo di questo materiale per<br />

gli evidenti problemi di inquinamento che da esso derivano in fase di smaltimento<br />

(diossina);<br />

il PET (polietilentereftelato) – Materiale termoplastico proveniente dalla<br />

polimerizzazione dell’ etilene con acido tereftalico in presenza di ossigeno. Viene<br />

usato nella fabbricazione di bottiglie di acqua minerale, come fibra sintetica nella<br />

produzione del pile, tute da sci , nastri video e audio;<br />

il PP (polipropilene) – Materiale termoplastico ottenuto dalla polimerizzazione del<br />

propilene è una delle plastiche più diffuse al mondo, si trasforma facilmente in<br />

qualsiasi oggetto: dai contenitori per alimenti ai flaconi per detersivi, dagli oggetti<br />

d’arredamento ai prodotti per l’igiene personale,ai giocattoli, alla moquette, ai mobili<br />

per giardino;<br />

il PS (polistirolo) - Materiale termoplastico ottenuto dalla polimerizzazione dello<br />

stirene, si può trasformare in vaschette per alimenti, posate piatti, tappi, e nella sua


forma espansa (EPS – polistirolo espanso) acquista proprietà isolanti, estremamente<br />

leggere.<br />

La scoperta della plastica ha rivoluzionato, in particolare, il mercato degli imballaggi e<br />

del confezionamento alimentare e non alimentare, essendo la plastica un materiale<br />

resistente, leggero, lavabile, ed economico.<br />

IL VETRO<br />

Il vetro nasce da sabbie fluviali e marine e si ottiene facendo fondere tre materiali<br />

diversi: la silice, la soda e il calcio. E’ considerato fin dall’antichità un materiale<br />

prezioso scoperto nel 3000 a.C., forse casualmente, da marinai Fenici che notarono<br />

strane pietre sotto le braci di un falò acceso su un terreno sabbioso ricco di silicio.<br />

Attorno all’anno 1000 Venezia divenne il centro mondiale della produzione artigianale<br />

del vetro esportandolo e diffondendone le tecniche in molti paesi europei. Per evitare<br />

possibilità di incendi, essendo il vetro un materiale che fonde a temperature<br />

elevatissime, (1.700 gradi) tutte le officine del vetro vennero trasferite a Murano,<br />

un’isola piccola e poco distante dove gli incendi potevano essere circoscritti alla sola<br />

isola e dove spegnerli sarebbe stato molto più semplice. Nel tempo, si è ricorso al<br />

nitrato di sodio per favorire l’uscita di bolle d’aria e gas dall’impasto, e al carbonato di<br />

calcio per portare a 1500 gradi il punto di fusione con conseguente risparmio<br />

energetico.<br />

La produzione del vetro resta artigianale fino ai primi anni del secolo XX, infatti è del<br />

1903 la prima macchina industriale di presso/soffiatura automatica per la<br />

fabbricazione di bottiglie, barattoli e flaconi.<br />

Il vetro non inquina, è igienico ed è il materiale d’imballaggio interamente riciclabile<br />

per eccellenza, che mantiene intatte tutte le sue qualità all’infinito. Gli imballaggi in<br />

vetro più comuni sono: bottiglie, flaconi, barattoli, vasetti.


Per fabbricare una singola bottiglia di vetro occorrono 400 g. di sabbia, 100 g. di soda,<br />

90 g. di gasolio e 100 g. di calcare. Per averne una in vetro riciclato servono solo 10 g.<br />

di gasolio.<br />

L’ALLUMINIO<br />

L’alluminio viene estratto dalla bauxite, un materiale molto comune in natura che<br />

costituisce circa l’8% della crosta terrestre. E’ stato prodotto per la prima volta su<br />

scala industriale nel 1807, quando venne scoperto il processo che consentì la<br />

separazione dal metallo del suo ossido: l’allumina. Nel 1825 si riuscì ad ottenere per la<br />

prima volta alluminio puro e risale al 1886 il brevetto sul processo di fusione<br />

elettrolitica per la produzione di alluminio metallico ottenuto dall’allumina.<br />

La prima lattina di alluminio per bevande nasce nel 1955. L’alluminio è leggero circa 1/3<br />

del rame e dell’acciaio, è resistente agli urti e alla corrosione, buon conduttore<br />

termico è atossico e soprattutto, come il vetro, è riciclabile all’infinito e garantisce un<br />

ottimo effetto barriera alla luce, all’aria e all’umidità. Grazie a queste caratteristiche<br />

è un materiale ideale per la costruzione di aeroplani, automobili, elementi di arredo,<br />

nell’edilizia e soprattutto nella produzione di imballaggi (lattine –vaschette – fogli<br />

ecc…)<br />

L’ACCIAIO<br />

Nel 1321 viene prodotta la prima latta: una lamina di ferro ricoperta di stagno fuso. Lo<br />

stagno impedisce la corrosione e l’ossidazione che avviene a contatto con l’acqua o il<br />

cibo, il ferro ne garantisce la robustezza. Le prime “scatolette” a banda stagnata<br />

compaiono durante le Campagne Napoleoniche in Europa e vennero usate per<br />

contenere e conservare gli alimenti destinati ai soldati.<br />

L’acciaio è un metallo ferroso che si ottiene dalla fusione di rottame ferroso e ghisa<br />

nei forni elettrici delle acciaierie. Dalla colata si ottengono semilavorati (lastre e<br />

blocchi) dai quali derivano tutta una serie di prodotti: lamiere, tubi, travi, tondini per


cemento armato, filo di ferro, banda stagnata, fusti. Dal lamierino si ricavano gli<br />

imballaggi in acciaio come i barattoli, le scatole e le lattine che servono per<br />

conservare alimenti come pomodori, frutta sciroppata, tonno, cibo per animali, olio<br />

d’oliva ecc.<br />

LA DISCARICA<br />

Dopo aver esaminato la tipologia di gran parte dei rifiuti che noi giornalmente<br />

produciamo, vediamo ora qual è il percorso che questi fanno una volta usciti dalla<br />

nostre case.<br />

Per quanto riguarda Roma, come abbiamo già detto, circa il 70% dei nostri rifiuti<br />

urbani, passa purtroppo, dalla pattumiera al cassonetto verde, quello della raccolta<br />

indifferenziata, e da questo, alla discarica di Malagrotta, vicino Ponte Galeria.<br />

Malagrotta, la discarica di Roma, è la più grande d’Europa ed ha un’estensione di circa<br />

140 h., che arrivano a 200 h se comprendiamo anche le diverse strutture industriali ed<br />

il resto della superficie disponibile. E’ senza dubbio un’area molto grande ma rimane<br />

comunque piccola se la paragoniamo alla più grande discarica del mondo, quella di New<br />

York che raggiunge una estensione addirittura di 1.500 h ed è visibile anche dallo<br />

spazio.<br />

Attiva fin dal 1948, la discarica di Fresh Kills Landfill ha totalmente riempito la<br />

vallata fino a creare, al di sopra di essa, una collina che dieci anni fa aveva raggiunto i<br />

60 m.<br />

Malagrotta è in funzione dal 1975, e la sua area è costituita da una serie di colline da<br />

cui negli anni ’50 e ’60 sono stati estratti i materiali necessari per la costruzione del<br />

quartiere della Magliana e dell’Aeroporto di Fiumicino. L’intensa attività estrattiva e<br />

la coltivazione della discarica ha modificato l’aspetto originario della zona<br />

cancellandone l’antica vocazione a prati per pascolo e alle attività agricole.


Dal punto di vista geologico la zona interessata dalla discarica di Malagrotta è<br />

costituita da un basamento argilloso su cui poggiano strati di ghiaia, sabbia e ciottoli e<br />

ulteriori strati di argille limose. Per evitare problemi di contaminazione delle falde<br />

idriche profonde, nei primi anni ’80, intorno a tutto il perimetro della discarica, venne<br />

realizzato un muro di contenimento (polder) costituito da un nastro di argilla e<br />

cemento dello spessore variabile da 0,60 ad 1 m. che venne fatto scendere fino ad<br />

incontrare lo strato di argilla che fa da protezione naturale per le acque sottostanti,<br />

in questo modo fu realizzato un specie di serbatoio sotterraneo, isolato da tutte le<br />

circolazioni idriche esterne alla discarica stessa.<br />

Nelle discariche il principale fattore di rischio di inquinamento è determinato dal<br />

percolato, un liquido formato dall’acqua piovana che filtra attraverso i rifiuti e<br />

trascina con sé sostanze organiche e inorganiche, ricco quindi dei batteri responsabili<br />

della decomposizione (fermentazione aerobica) dei rifiuti e perciò pericoloso se viene<br />

a contatto con la falda idrica.<br />

Studi effettuati dall’Università di Bologna nei primi anni 2000 hanno dimostrato che<br />

in una discarica, per ogni metro cubo di rifiuti indifferenziati, si producono circa 230<br />

l. di percolato.<br />

Il sito adibito a discarica, quindi, deve essere stabile dal punto di vista idrogeologico e<br />

deve possedere una corretta impermeabilizzazione naturale (come nel caso di<br />

Malagrotta) e artificiale proteggendo il fondo dalle infiltrazioni con teli di polietilene<br />

ad alta densità (HDPE) di spessore adeguato e con altri presidi messi a disposizione<br />

dalla esperienza e dalla tecnologia, come previsto dalla legge.<br />

Altro importante fattore di rischio ambientale legato alla discarica è la formazione di<br />

gas dalla fermentazione anaerobica, il biogas, una miscela composta da :<br />

50% di metano (CH4),<br />

40% di anidride carbonica (CO2),<br />

8% di azoto (N2),


1% di ossigeno (O2),<br />

1% costituito da più di cento composti presenti in tracce, per lo più idrocarburi<br />

(esano, eptano, metarcaptano- responsabile del cattivo odore- e benzene).<br />

All’interno della discarica controllata di Malagrotta esistono più di 700 pozzi<br />

attraverso i quali viene costantemente captato ed estratto sia il percolato che il<br />

biogas. Il percolato, molto acido, viene stoccato in serbatoi di acciaio e fatto reagire<br />

chimicamente con un elemento a forte basicità come il latte di calce (una miscela di<br />

acqua e calce vergine) che lo rende neutro, dopodiché può essere usato per innaffiare<br />

il lotto della discarica che viene coltivato e abbattere le polveri. Il biogas captato, può<br />

essere utilizzato sia per produrre energia elettrica, sia come carburante (metano)<br />

dopo essere stato depurato da CO2 e N2.<br />

La produzione di energia elettrica è affidata a due impianti che sono in grado di<br />

produrre una potenza elettrica di 15 Mw tramite due turbine e sei motogeneratori.<br />

Occorre tener presente tuttavia, che solo una parte del biogas prodotto dalla<br />

discarica viene aspirato tramite la rete di captazione. Considerando infatti, tutta una<br />

serie di variabili relative al tipo di discarica, è stato calcolato un indice di efficienza<br />

di captazione pari al 65%. Questo significa che circa il 35/40% del metano e<br />

dell’anidride carbonica vengono comunque dispersi in atmosfera. Se allarghiamo<br />

questa considerazione a tutte le migliaia di discariche, controllate e non, del pianeta,<br />

che per la quasi totalità sono prive di sistemi di recupero dei gas, avremo un’idea<br />

dell’enorme quantità di biogas che ogni giorno viene disperso in atmosfera e del<br />

relativo impatto ambientale negativo che le discariche hanno sull’effetto serra.<br />

Il decreto Ronchi cui si è accennato in precedenza, prevedeva la fine delle discariche,<br />

come soluzione finale per lo smaltimento dei rifiuti, a partire dall’anno 2000. La realtà<br />

a 10 anni da quella data, è diversa e purtroppo ancora oggi milioni di tonnellate di<br />

legno, carta, plastica, vetro, metalli, materiali organici, elettrodomestici, pile, farmaci,


vanno a “morire” nelle discariche: una “ricchezza” sprecata ed un continuo motivo di<br />

preoccupazione per i sempre presenti rischi di inquinamento.<br />

Come si è già accennato , il decreto Ronchi individuava delle alternative alla discarica<br />

per recuperare e riciclare tutte quelle tipologie di rifiuto che potevano rientrare sul<br />

mercato attraverso le industrie di filiera e veniva stabilito un percorso virtuoso che<br />

prevedeva:<br />

- RIDUZIONE DELLA QUANTITA’ DEI RIFIUTI PRODOTTI;<br />

- RACCOLTE DIFFERENZIATE E RICICLAGGIO;<br />

- COMPOSTAGGIO DEI RIFIUTI ORGANICI;<br />

- TERMOVALORIZZAZIONE DELLA FRAZIONE SECCA DEI RIFIUTI NON<br />

RICICLABILE;<br />

- DISCARICA ESCLUSIVAMENTE PER GLI SCARTI DI LAVORAZIONE DEI<br />

PROCESSI DI RICICLAGGIO, COMPOSTAGGIO, E TERMOVALORIZZAZIONE;<br />

RIDUZIONE DEI RIFIUTI<br />

Obbiettivo importante che coinvolge in prima persona il singolo utente possessore del<br />

“rifiuto”. Il cittadino infatti è il primo anello della catena virtuosa che permette al<br />

rifiuto di ritornare ad essere materia prima. Attraverso il suo senso civico, la sua<br />

educazione al rispetto dell’Ambiente, le sue scelte di acquisto può contribuire alla<br />

riduzione degli imballaggi. Privilegiando, per esempio, quei prodotti con minor numero<br />

di “involucri” si ottengono due risultati nello stesso tempo: si lancia un preciso<br />

messaggio alle aziende produttrici e spesso si risparmia sul costo rispetto ad un<br />

prodotto analogo ma “pieno” di imballaggi.<br />

RACCOLTA DIFFERENZIATA<br />

Anche in questo caso il percorso “virtuoso” parte da un semplice gesto e da una<br />

consapevolezza: a seconda di dove getto il mio rifiuto ne determino la sua “morte” o la<br />

sua possibilità di ritornare a “vivere” per una seconda, terza, quarta, … ennesima volta.


per N volte. Infatti non ci sono limiti nel riciclaggio della carta, del vetro, della<br />

plastica, dei metalli, ed ogni volta che arriva sul mercato un prodotto realizzato con<br />

materiali riciclati dobbiamo ricordare che non solo abbiamo risparmiato risorse del<br />

pianeta ma anche quella parte di energia che avremmo dovuto utilizzare se lo stesso<br />

prodotto l’avessimo ottenuto da materia prima vergine.<br />

Altro aspetto importante è che tutto ciò che ricicliamo lo sottraiamo alla necessità di<br />

smaltimento in discarica, visto che oggi solo gli imballaggi occupano il 70% del volume<br />

ed il 40% in peso dell’intera massa di RSU.<br />

A Roma le prime raccolte differenziate di carta e vetro risalgono agli anni ’80, ma<br />

solo dall’entrata in vigore del decreto Ronchi tutta la città è stata coinvolta in questo<br />

cambiamento di mentalità, per cui ciò che prima era considerato solo un rifiuto di cui<br />

disfarsi con disinteresse diventa oggi una risorsa, che può essere riutilizzata più volte<br />

attraverso il riciclaggio.<br />

Le Amministrazioni di tutti i Comuni italiani sono tenute a raggiungere degli obbiettivi<br />

di raccolta differenziata dei rifiuti. Nel 2003 l’obbiettivo fissato dal decreto Ronchi<br />

era del 35% sull’intera massa di RSU prodotti e come abbiamo visto la media nazionale<br />

al 2008 era ancora del 28,5%.<br />

(Per quanto attiene la raccolta differenziata a Roma si può consultare il sito di<br />

AMA ricco di dati e di ogni informazione utile riguardo alle diverse modalità in<br />

vigore nella nostra città, per effettuarla in modo corretto).<br />

Va ricordato, inoltre, che nella nostra città, per i singoli cittadini, è possibile disfarsi<br />

in maniera corretta e gratuita di oggetti ingombranti come mobili, elettrodomestici, o<br />

calcinacci presso le isole ecologiche o i centri di raccolta AMA (vedi sito).<br />

RICICLAGGIO<br />

“Tutti i sistemi viventi sulla terra e nell’aria, muoiono sul terreno trasformandosi<br />

continuamente, ma senza lasciare traccia di rifiuti: unica eccezione: l’animale uomo”.


Il riciclaggio è la fase successiva della raccolta differenziata, in cui tutti i materiali<br />

selezionati vengono trasformati in materia prima seconda, che viene utilizzata nei cicli<br />

industriali per realizzare nuovi prodotti. In Italia abbiamo una tradizione industriale<br />

di riciclaggio che affonda le sue radici nel periodo tra le due guerre, quando si volle<br />

attuare il principio di “autarchia”. Fu in questo periodo, per esempio, che si<br />

cominciarono a sviluppare tecnologie che permettono ora di riciclare l’olio lubrificante<br />

esausto (da 1,5 kg di olio lubrificante usato si ottiene 1 kg di olio sintetico), la carta, i<br />

metalli, e perfino i rifiuti organici. Questa tradizione ricevette un duro colpo durante<br />

gli anni del consumismo e “dell’usa e getta”, quando ci si perse nell’illusione che la<br />

parola spreco potesse rappresentare un sinonimo di benessere. Gli anni 50 e 60 furono<br />

anni di scempio ambientale senza leggi né regole. Uno scempio le cui dimensioni e<br />

conseguenze sono giunte fino ad oggi.<br />

Riciclare significa, salvare risorse naturali, risparmiare energia, fare economia,<br />

diminuire l’effetto serra, ridurre l’inquinamento complessivo:in sintesi riciclare<br />

significa aiutare noi stessi e le generazioni future ed aiutare il pianeta.<br />

IMPIANTO Di SELEZIONE DEL MULTIMATERIALE<br />

Tra i materiali che conferiamo in maniera differenziata (all’interno del cassonetto blu)<br />

e l’industria del riciclaggio esiste un passaggio fondamentale e necessario svolto dagli<br />

impianti di selezione in cui la plastica, il vetro, l’alluminio e l’acciaio vengono separati<br />

in frazioni omogenee.<br />

(Per una migliore comprensione di questo processo si rimanda al n.6 della rivista<br />

<strong>Ama</strong>roma del mese di febbraio 2010 facilmente accessibile dal sito AMA)


Impianto di trattamento dei rifiuti indifferenziati.<br />

In questo tipo di impianto giungono i rifiuti indifferenziati che vengono conferiti nei<br />

cassonetti di colore verde.<br />

Le operazioni di selezione vengono precedute da una separazione della “frazione<br />

umida” del rifiuto (verdure, frutta, scarti di cucina, rifiuti verdi in genere…), dalla<br />

“frazione secca” costituita da materiali ad alto potere calorico (carta, plastica, legno,<br />

stracci…).<br />

La frazione umida viene avviata ad un processo di ossidazione biologica nei digestori<br />

aerobici ed a ciclo di maturazione ultimato si otterrà una Frazione Organica<br />

Stabilizzata (FOS), utilizzabile solo per le bonifiche ambientali di terreni e per la<br />

copertura in discarica del lotto coltivato.<br />

La frazione secca viene depurata dal vetro, ferro e alluminio e trasformata in CDR<br />

(combustibile da rifiuti) da avviare ai termovalorizzatori per il recupero energetico. Il<br />

ferro e l’alluminio, separati per via elettromagnetica, vengono depurati, pressati in<br />

balle ed avviati a recupero presso le industrie metallurgiche e siderurgiche.<br />

Al termine dell’intero “ciclo di recupero” vengono avviati in discarica unicamente i<br />

residui di lavorazione che sono equivalenti al 30% in peso rispetto all’iniziale massa dei<br />

rifiuti trattati.<br />

IL COMPOSTAGGIO (Frazione umida dei rifiuti)<br />

Di cosa si intenda per rifiuti organici abbiamo già accennato, per cui ora cercheremo<br />

di illustrare il processo di “riciclaggio spontaneo” di questo particolare tipo di scarto:<br />

processo che va sotto il nome di “Compostaggio”.<br />

Il compostaggio è un processo di degradazione aerobica (bio-ossidazione) della<br />

sostanza organica, che avviene in presenza di ossigeno e riguarda tutti gli scarti<br />

organici facilmente decomponibili derivanti da attività domestiche, agrarie,


commerciali, industriali e artigianali non contaminati da elementi inquinanti. Al termine<br />

di questo processo si ottiene un terriccio ricco e fertile chiamato COMPOST che<br />

potrà essere usato come ammendante (correttore naturale) del terreno arricchendolo<br />

di sostanze adatte alla nutrizione vegetale.<br />

COME AVVIENE IL COMPOSTAGGIO?<br />

La degradazione aerobica si sviluppa ad opera di diverse specie di microrganismi che<br />

attaccano la massa dei rifiuti organici decomponendola e trasformandola in composti<br />

organici assimilabili dalle radici delle piante.<br />

Durante la prima fase di tale processo la temperatura della massa in compostaggio<br />

tende a salire rapidamente fino a raggiungere, già dopo 4/5 giorni, livelli di oltre 60°C.<br />

Da tale momento ha inizio la seconda fase, tecnicamente definita “termofila”, durante<br />

la quale è importantissima la presenza di ossigeno; in questa fase ossidativa le elevate<br />

temperature raggiunte garantiscono la completa igienizzazione della massa con<br />

l’eliminazione degli agenti patogeni presenti nella massa organica trattata.<br />

Dopo alcune settimane, inizia la terza fase quella della maturazione del cumulo.<br />

Entrano in azione altri gruppi di decompositori, i funghi e i batteri attinomiceti che<br />

insieme degradano le parti più complesse come quelle legnose. Il processo rallenta, la<br />

richiesta di ossigeno è minore e la temperatura nel cumulo si abbassa. E’ la volta dei<br />

piccoli animali come lombrichi e millepiedi che danno il loro contributo triturando,<br />

sminuzzando e mescolando tra loro le diverse sostanze. Alla fine, dopo un periodo che<br />

va dai 2 ai 3 mesi, della massa dei rifiuti organici iniziale rimane un terriccio<br />

fertilizzante stabile, di colore scuro e dal profumo simile alla terra del bosco: il<br />

compost.


Il corretto andamento del processo di compostaggio può essere seguito e controllato<br />

attraverso due parametri fondamentali: umidità e ossigeno.<br />

L’umidità del cumulo deve mantenersi a valori inferiori al 60% mentre il contenuto di<br />

ossigeno deve essere tra il 5 ed il 15%.<br />

Altro aspetto importante è quello che riguarda la massa in ossidazione che deve<br />

essere miscelata, aerata e sminuzzata in maniera uniforme per aumentare al massimo<br />

la superficie di contatto delle diverse frazioni organiche.<br />

Presso il Comune di Fiumicino, a Maccarese, l’Azienda Municipale Ambiente di Roma ha<br />

realizzato un impianto per la produzione di compost di alta qualità utilizzando sia i<br />

residui verdi come sfalci, resti di potature, manutenzione del verde, sia gli scarti<br />

vegetali dei mercati generali e rionali, i cosiddetti rifiuti mercatali.<br />

Queste, in sintesi, le fasi principali di produzione industriale di compost:<br />

• pesatura del materiale e scarico in area coperta dei residui organici;<br />

• stoccaggio dei rifiuti verdi in un’area aperta vicina all’impianto dove vengono<br />

triturati da un biofrantumatore e aggiunti in linea agli altri rifiuti mercatali in<br />

miscela controllata;<br />

• convoglio con un sistema di nastri trasportatori della frazione organica e del<br />

materiale legnoso triturato alle sezioni di compostaggio;<br />

Il processo di compostaggio vero e proprio avviene al chiuso in edificio coperto, in un<br />

bacino ad aerazione forzata per assicurare l’ossigeno necessario alla trasformazione<br />

aerobica. Un sistema di tubazioni idriche garantisce l’umidificazione del materiale.<br />

Dopo questa fase di compostaggio “accelerato” (circa 30 giorni) il compost viene<br />

inviato alla fase di raffinazione e/o alla fase di maturazione.


Durante il processo di raffinazione vengono eliminati dal compost tutti i materiali<br />

inerti e i frammenti di scarto;<br />

Gli scarti vengono avviati in discarica ed il compost raffinato passa al bacino di<br />

maturazione al coperto, dove rimane per altri 30 giorni, dopodiché può essere<br />

utilizzato come fertilizzante organico biologicamente stabilizzato, nella<br />

florovivaistica, in agricoltura in sostituzione dei concimi chimici e minerali,<br />

nell’agricoltura biologica, in alternativa al letame, nei recuperi ambientali per<br />

bonificare terreni o riempire cave.<br />

LA TERMOVALORIZZAZIONE<br />

Per termovalorizzazione si intende l’utilizzo dell’energia prodotta dalla combustione<br />

dei rifiuti, soprattutto quelli non altrimenti riciclabili. Può infatti verificarsi il caso in<br />

cui selezionare e trattare alcuni rifiuti risulta controproducente, in quanto<br />

richiederebbe sforzi e costi eccessivi. Il recupero di energia di questi materiali<br />

consente invece di riciclarli, creando calore e quindi energia elettrica.<br />

A partire dagli anni 60 si è andata sempre più sviluppando in Europa ed anche in Italia<br />

la cultura di incenerire i rifiuti e ridurre così il ricorso alle discariche. Negli anni 80 la<br />

tecnica dell’incenerimento venne applicata con successo per la distruzione dei rifiuti<br />

ospedalieri che fino ad allora venivano avviati in discarica ed infine a partire dagli anni<br />

90, soprattutto in Paesi europei come la Svezia, la Danimarca, la Germania, la<br />

Svizzera, si è sviluppato in maniera sempre più consistente lo smaltimento dei rifiuti<br />

attraverso l’incenerimento, ma passando dalla termodistruzione alla<br />

termovalorizzazione con recupero energetico finalizzato alla produzione di energia<br />

elettrica e di energia termica .


Attualmente, grazie anche a tecnologie sempre più sicure ed innovative, oltre che a<br />

norme di protezione ambientale tra le più restrittive a livello internazionale, possiamo<br />

affermare che la termovalorizzazione può costituire un’alternativa accettabile<br />

all’utilizzo intensivo delle discariche.<br />

Ovviamente questo tipo di impianti dovrà essere sottoposto al rigido controllo degli<br />

organi pubblici preposti a garanzia del rispetto delle normative ambientali. In sintesi,<br />

termovalorizzare la frazione secca dei nostri rifiuti significa ottenere un duplice<br />

risultato: produrre energia elettrica e termica, ridurre il consumo di combustibili<br />

fossili.<br />

IL PROCESSO DI COMBUSTIONE<br />

Carta, plastica, legno e stoffa (CDR) sviluppano un potere calorifico di circa 16 kj/kg e<br />

sono percentualmente in crescita all’interno della massa complessiva dei rifiuti<br />

raccolti. Quando arrivano all’impianto vengono immessi nella fossa di stoccaggio, da<br />

qui, dopo essere stati amalgamati vengono avviati dagli addetti, alla combustione vera<br />

e propria.<br />

Questo processo è costantemente controllato anche variando, a seconda dei casi, la<br />

immissione di ossigeno, perché la combustione si svolga sempre in maniera ottimale. In<br />

questa fase la combustione può raggiungere gli 850/950 gradi circa per ridurre le<br />

concentrazioni di ossido di carbonio (CO) , di ossido di azoto (NOX) e soprattutto di<br />

DIOSSINE.<br />

I fumi prodotti dalla camera di combustione passano alla camera di post-combustione<br />

con un tempo di permanenza di almeno 2 sec., dove le temperature possono<br />

raggiungere anche i 1.200 gradi e dove vengono ulteriormente abbattute le<br />

DIOSSINE e gli OSSIDI. A questo punto, quando i fumi surriscaldati escono dalla<br />

camera di post-combustione inizia la fase di filtrazione, depurazione e abbassamento


della temperatura che da 1.200 gradi li porterà a 70/80 gradi quando usciranno dal<br />

camino dell’impianto.<br />

Dopo la camera di post-combustione i fumi vengono convogliati verso lo scambiatore<br />

termico della caldaia dove sviluppano vapore surriscaldato destinato alle turbine che<br />

azionano i turboalternatori per la produzione di energia elettrica, che viene immessa<br />

nella rete di distribuzione.<br />

Il vapore in uscita dalla turbina viene successivamente condensato in acqua e può<br />

ritornare in caldaia a raffreddare i fumi in uscita dalla camera di post-combustione.<br />

Un impianto che brucia mediamente 300 tonn/giorno di CDR produce circa 10 MWh di<br />

energia elettrica.<br />

I fumi in uscita dalla caldaia continuano a raffreddarsi e vengono avviati alla sezione<br />

trattamento fumi dove i sistemi di depurazione possono essere di diversi tipi allo<br />

scopo di abbattere i metalli pesanti (mercurio,zinco,cromo, rame) l’acido cloridrico<br />

(HCL), e l’acido solforico (SO2). I fumi in uscita dal camino, dopo essere stati lavati e<br />

raffreddati all’interno della torre ad umido, vengono inviati al camino di uscita dove<br />

prima di essere immessi in atmosfera vengono analizzati in continuo da una centralina<br />

di rilevazione collegata con la sala controllo dell’impianto, dove i tecnici possono<br />

monitorare in continuo l’andamento della combustione e l’eventuale presenza di<br />

inquinanti nei fumi ed intervenire all’occorrenza.<br />

La quantità di scorie e di ceneri sommato il materiale iniettato per la depurazione e il<br />

trattamento fumi, (calce per abbattere gli acidi) e carboni attivi (per abbattere i<br />

metalli pesanti) si aggira su un 25/30% del materiale che viene bruciato. Le scorie<br />

pesanti prodotte dalla combustione, le ceneri leggere della caldaia e quelle separate<br />

dalla sezione filtri vengono avviate a smaltimento in discariche autorizzate.


La situazione attuale in Italia circa lo smaltimento dei RSU è di emergenza pressoché<br />

generalizzata ad esclusione di poche “isole felici” per lo più presenti al nord della<br />

penisola, dove la percentuale di raccolta differenziata viene effettuata in maniera<br />

efficace e sistematica.<br />

Degli oltre 32 milioni di tonnellate circa di RSU prodotti in Italia lo scorso anno,<br />

ancora più del 50% è destinato alle oltre 2.000 discariche pubbliche sparse sul<br />

nostro territorio, molte delle quali rimangono aperte per motivi di salute pubblica e<br />

con ordinanze dei vari Prefetti, pur avendo quasi del tutto esaurito la loro capacità di<br />

accoglimento dei rifiuti.<br />

IL TRAFFICO DEI RIFIUTI SPECIALI E PERICOLOSI IN ITALIA<br />

Liquidi tossici, residui delle concerie, polveri di abbattimento fumi, oli e solventi delle<br />

imprese chimiche, residui delle imprese siderurgiche, scorie di ospedali e aziende<br />

farmaceutiche, residui tossici provenienti da bonifiche, metalli pesan ti come il<br />

mercurio, l’arsenico, il cadmio ecc… questo è solo un breve elenco dei rifiuti pericolosi<br />

che sono oggetto ormai da più di venti anni del traffico e dello smaltimento illegale sul<br />

nostro territorio.<br />

Anche per questo tipo di rifiuti si registra ogni anno un costante aumento della<br />

produzione, nel 2005 ne sono stati prodotti 19,7 milioni di tonnellate, secondo i dati<br />

dell’Agenzia per L’Ambiente e Territorio, e di questi ben 11,2 milioni sembra siano<br />

stati smaltiti illegalmente. Raccolti in barili, sacchi di plastica, o altro, i rifiuti<br />

pericolosi sono spesso scaricati in mare, messi sotto terra, miscelati con materiali da<br />

costruzione, nascosti nelle cave, miniere o in siti industriali dimessi. Rifiuti tossici<br />

sono stati anche trovati in canali artificiali, nelle reti fognarie, nei laghi, nelle<br />

discariche di RSU, o spalmati sui campi agricoli, abbandonati in territori fuori mano e<br />

poco abitati.<br />

In molti casi i proprietari dei terreni sono pagati per accettare i carichi di cui<br />

ignorano la pericolosità e la tossicità. Solo nel 2000 sono state censite in Italia ben


4.866 discariche abusive nelle regioni Puglia, Lombardia, Calabria, Veneto, Campania,<br />

Liguria, Abruzzo.<br />

Il fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti è in allarmante crescita per gli<br />

enormi guadagni che la malavita organizzata e le imprese disoneste ne ricavano, in un<br />

rapporto mafioso di collaborazione per limitare i costi di eliminazione dei rifiuti<br />

pericolosi nel disinteresse più assoluto dei problemi ambientali e della salute pubblica.<br />

E’ stato stimato che solo nel 2002 gli introiti illeciti prodotti dal traffico dei rifiuti<br />

speciali e pericolosi in Italia siano stati di almeno 4,4 miliardi di euro.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!