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sogno. Piangevo e, quando mi sono svegliata, ho continuato<br />
a piangere.<br />
Poi ho capito di aver sbagliato: non dovevo svegliarmi.<br />
Sarei morta lì, nel sogno, e la mia mente non avrebbe più<br />
riconosciuto il dolore.<br />
Boh!, ho deciso di tornarci, voglio rivedere quella<br />
ragazza; dovrà portarmi con sé.<br />
Penso proprio che questo sia un addio, Boh!; ma sicuro non<br />
ti dimenticherò, non dimenticherò il mio unico amore.<br />
Tua Beth.<br />
Sabato 14 agosto.<br />
Ore 5:30.<br />
Caro Boh, ora so tutto: non si trattava di un richiamo<br />
della morte. La ragazza mi ha spiegato tutto, la sua vita,<br />
il suo dolore ed il grande odio che prova per me e per gli<br />
altri. Non ha tutti i torti, neanche io pensavo di essere<br />
tanto crudele.<br />
Lei era<br />
L’ispettore Shock si trovava in quella che fino a poche ore<br />
prima era una comune camera da letto di un anonimo appartamento<br />
in Elisabeth St. Continuava a fissare quel diario; non trovava un<br />
particolare significato in quelle parole dettate dal delirio ma l’idea di<br />
evitare qualche antiemetico gli piaceva. Alla sua destra una testa<br />
mozzata, con due uncini negli occhi e una spada che la trapassava<br />
da un lato all’altro, affondata tra le tempia. Una spada! La bocca era<br />
cucita, con semplice cotone, sembrava. Le orecchie erano invece sul<br />
pavimento, di un rosso che ci stava bene con il blu delle pareti. Le<br />
forbici, che probabilmente le avevano tagliate, erano infilzate nel<br />
naso; strano che non cadessero. Sembravano provar piacere nel<br />
rimanere lì, tra le narici impregnate di sangue.<br />
Shock preferiva restare vicino alla scrivania, con al fianco il corpo<br />
senza volto di quella che prima era Beth Wilson, 25 anni, continue<br />
crisi depressive, mai un fidanzato, pochi amici.<br />
Il sergente Cought lesse le pagine del diario: