1 VII. DISCORSI NELLE STORIE DI TUCIDIDE 1. L/elogio pericleo ...
1 VII. DISCORSI NELLE STORIE DI TUCIDIDE 1. L/elogio pericleo ...
1 VII. DISCORSI NELLE STORIE DI TUCIDIDE 1. L/elogio pericleo ...
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<strong>1.</strong> L’<strong>elogio</strong> <strong>pericleo</strong> della democrazia ateniese<br />
II 34. Nel medesimo inverno gli Ateniesi, seguendo l’uso<br />
dei padri, celebrarono a spese pubbliche le esequie dei<br />
primi caduti in questa guerra, nel modo che segue. (...) Per<br />
questi primi caduti, dunque, fu invitato a parlare Pericle<br />
figlio di Santippo. E quando arrivò il momento, dal cimitero<br />
salito su un palco che era stato costruito assai alto, affinché<br />
potesse essere udito dalla maggior parte della folla,<br />
disse queste parole.<br />
II 35. «La maggior parte di quanti hanno qui parlato loda<br />
chi alla tradizione ha aggiunto quest’<strong>elogio</strong> funebre, ritenendo<br />
bello che esso venga pronunciato per i caduti in<br />
guerra. A me invece sembrava sufficiente che per uomini<br />
che si sono rivelati prodi alla prova dei fatti anche le lodi<br />
funebri fossero illustrate nei fatti, e che il credere alle virtù<br />
di molti non dipendesse da un uomo solo, che può parlare<br />
bene o meno bene. (...)<br />
II 36. Comincerò innanzitutto dai nostri progenitori: è<br />
giusto infatti, ed insieme opportuno, che in questa solennità<br />
sia loro accordato questo onore della memoria. Essi<br />
infatti, che abitarono questa terra senza interruzione, nel<br />
volgere delle generazioni l’hanno tramandata libera sino<br />
ad oggi col proprio valore. Costoro son degni di lode, ed<br />
ancor più i nostri padri: venuti in possesso di quella parte<br />
di dominio che possediamo, oltre a quanto avevano ereditato,<br />
ce l’hanno lasciata in eredità, non senza fatica. Ma la<br />
maggior parte del nostro impero siamo proprio noi, e<br />
principalmente quelli in età matura, ad averla accresciuta<br />
e ad aver con ogni mezzo reso la città totalmente autosufficiente<br />
in vista tanto della guerra che della pace. (...)<br />
II 37. Da noi è in vigore una costituzione che non si ispira<br />
alle leggi dei popoli vicini, e invece di imitare gli altri,<br />
siamo noi ad essere di modello per loro; e poiché essa è<br />
rivolta non a pochi, ma ai più, viene chiamata democrazia.<br />
Per quel che riguarda le leggi, nella sfera individuale tutti<br />
si trovano in egual posizione, mentre per quanto riguarda<br />
l’influenza nella vita pubblica, ciascuno viene apprezzato<br />
a seconda che si segnali in qualche campo, non per la sua<br />
estrazione sociale ma per il suo valore; né, per quel che<br />
attiene alla povertà, chi ha la capacità di fare qualcosa di<br />
buono per la città ne è ostacolato dall’oscurità della propria<br />
origine. (...)<br />
II 38. E per la mente abbiamo predisposto moltissime occasioni<br />
di svago dalle fatiche, giacché ricorriamo abitualmente<br />
a giochi ed a sacrifici distribuiti in tutto il corso<br />
dell’anno, nonché ad eleganti arredi domestici, il cui diletto<br />
giorno dopo giorno scaccia il dolore. A causa della<br />
grandezza della città da tutta la terra vi affluisce ogni cosa<br />
(...).<br />
II 39. Nelle occupazioni belliche differiamo dai nemici nei<br />
seguenti particolari. Mettiamo la città a disposizione di<br />
tutti, e non ci accade con provvedimenti di espulsione degli<br />
stranieri di proibire a qualcuno di apprendere o osser-<br />
<strong>VII</strong>. <strong><strong>DI</strong>SCORSI</strong> <strong>NELLE</strong> <strong>STORIE</strong> <strong>DI</strong> TUCI<strong>DI</strong>DE<br />
1<br />
vare qualcosa che, se non celata, potrebbe essere di vantaggio<br />
ad uno dei nemici, qualora la notasse: non riponiamo<br />
infatti fiducia nei apprestamenti difensivi e nelle<br />
manovre elusive più che nel senso di corresponsabilità di<br />
ciascuno di noi nell’azione. E nell’educazione gli altri subito,<br />
fin dalla fanciullezza, inseguono con faticoso esercizio<br />
un animo virile; noi invece, pur vivendo senza regole,<br />
nondimeno affrontiamo pericoli equivalenti. (...) Eppure<br />
se consentiamo ad affrontare il pericolo con spensieratezza<br />
più che con duri addestramenti, e con un ardore che<br />
non scaturisce dalle leggi più che dai nostri costumi, ne<br />
ricaviamo il privilegio di non soffrire anticipatamente per<br />
i patimenti futuri, e di non sembrare più privi di coraggio<br />
di quanti sono sempre in travaglio: ed alla città ne deriva<br />
di apparir degna di ammirazione per questi e per altri motivi.<br />
II 40. Amiamo il bello con semplicità, e ricerchiamo la sapienza<br />
senza mollezza; usiamo il denaro più quando si<br />
presenta l’occasione di farne uso che per vantarcene a<br />
parole, e l’esser poveri non è considerato da nessuno disonorevole,<br />
mentre riteniamo un’onta piuttosto il non<br />
sottrarsene con il lavoro. È contemporaneamente presente<br />
in noi la cura degli affari privati e di quelli pubblici, e<br />
chi è dedito al lavoro è pure al corrente in modo non superficiale<br />
delle questioni politiche. Siamo i soli a giudicare<br />
chi se ne disinteressi non pigro, ma inutile. (...) Anche in<br />
ciò che riguarda la nobiltà d’animo differiamo dagli altri:<br />
ci acquistiamo infatti gli amici non col ricevere un beneficio,<br />
ma col compierlo. Chi lo compie si rivela un amico più<br />
saldo, in modo tale da conservarsi la stima del beneficato<br />
mediante il proprio sentimento di benevolenza; chi invece<br />
deve restituirlo è più freddo, sapendo che è tenuto a<br />
ricambiare quel gesto di nobiltà non in forza della riconoscenza,<br />
ma di un obbligo morale. (...)<br />
II 4<strong>1.</strong> In conclusione, io dico che l’intera città è di ammaestramento<br />
per la Grecia, e mi sembra che da noi ciascun<br />
uomo possa con facilità applicare la propria persona, autonomamente<br />
e con eleganza, in moltissimi campi. (...)<br />
Per una tale città, dunque, costoro sono caduti combattendo<br />
con magnanimità, poiché ritenevano giusto non<br />
esserne privati; ed è ragionevole credere che ciascuno di<br />
noi, che ancora siamo in vita, desideri sacrificarsi per lei».<br />
2. Il dialogo tra Meli e Ateniesi<br />
V 84. Nell’estate successiva Alcibiade con una squadra di<br />
venti navi fece un’incursione ad Argo, catturando gli individui<br />
ancora sospetti di nutrire simpatie politiche per<br />
gli Spartani: i trecento detenuti furono confinati nelle isole<br />
vicine, suddite di Atene. Quindi gli Ateniesi si rivolsero<br />
contro gli isolani di Melo con trenta navi della propria<br />
flotta, sei di Chio, due di Lesbo, milleduecento opliti propri,<br />
trecento arcieri e duecento arcieri montati; gli alleati<br />
e gli abitanti delle isole avevano contribuito con circa millecinquecento<br />
opliti. Melo è una colonia degli Spartani,<br />
per nulla disposta ad inchinarsi alla grandezza di Atene<br />
come gli altri isolani. Nelle fasi iniziali del conflitto i Meli
si mantenevano in sapiente equilibrio tra gli stati in lotta:<br />
ma in seguito, incalzati dagli Ateniesi che ne devastavano<br />
il territorio, ruppero la propria neutralità e fu guerra aperta.<br />
Dunque, piantato il campo sul suolo dei Meli con gli<br />
effettivi militari di cui s’è dato cenno, gli strateghi Cleomede<br />
figlio di Licomede e Tisia figlio di Tisimaco, prima di<br />
infliggere danni al paese, mandarono un’ambasceria con<br />
l’intento di intavolare subito dei preliminari. I Meli non<br />
introdussero i delegati al cospetto del popolo, ma li invitarono<br />
ad esprimere le ragioni della visita alla presenza<br />
delle principali autorità e dei notabili. E gli ambasciatori<br />
ateniesi esposero questi punti:<br />
V 85. «Poiché questo colloquio tra noi deve restare segreto<br />
alle orecchie del popolo (...) rinunciate a discorsi complessi<br />
e lunghi; esaminate ogni singola ragione esposta e<br />
giudicatela contrapponendovi le eccezioni che vi parranno<br />
opportune. E per cominciare dite se questa proposta vi<br />
conviene.»<br />
V 89. (...) Dal canto nostro, rinunceremo all’armamentario<br />
fastoso dell’eloquenza, alla retorica interminabile di quei<br />
discorsi celebrativi che non danno frutto. Perciò non ribadiremo<br />
che per avere demolito la prepotenza persiana<br />
ci spetta il diritto all’impero, o che la nostra attuale campagna<br />
è la risposta a un attentato inferto al nostro onore.<br />
Ma pretendiamo che neppure voi tentiate di piegarci giustificando<br />
il vostro rifiuto di fornire leve all’armata con la<br />
circostanza che siete coloni di Sparta, o soggiungendo che<br />
nei nostri riguardi siete innocenti e puri. Sentite: sforziamoci<br />
di restringere le ipotesi di compromesso nei confini<br />
del realizzabile, attingendole ciascuno ai veri principi cui<br />
di norma ispira la sua condotta. Siete consapevoli quanto<br />
noi che nel linguaggio degli uomini i concetti della giustizia<br />
affiorano e assumono corpo quando la bilancia della<br />
necessità resta sospesa in equilibrio tra due forze pari. In<br />
caso contrario i più potenti agiscono, i deboli si piegano.»<br />
V 90. Meli: «È nostro avviso, almeno per quanto concerne<br />
il nostro interesse (ormai è questa l’espressione da usare,<br />
poiché voi avete subito accordato il dibattito su questo<br />
tono dell’utile, ignorando quello della giustizia), che non<br />
vi convenga ridicolizzare le riflessioni che concernono il<br />
vantaggio comune, e che sia ragionevole concedere a chiunque<br />
i diritti che gli spettano se non altro in quanto creatura<br />
umana (...). Questa considerazione vi tocca da vicino<br />
più di chiunque altro, perché nell’eventualità di una disfatta<br />
vi scolpireste esempio eterno nella memoria dei<br />
popoli, per l’atrocità sanguinosa della vostra pena.»<br />
V 9<strong>1.</strong> Ateniesi: «Piano. Non ci sgomenta la possibile decadenza<br />
della nostra signoria, se mai tramonterà. Non è chi<br />
domina su altre genti – come ad esempio Sparta – la sorgente<br />
più viva di terrore per i vinti: e noi, tra l’altro, non<br />
siamo in conflitto con Sparta. Piuttostom i popoli soggetti<br />
devono incutere angoscia quando rovesciano il potere di<br />
chi li tiene a freno. Ma vedercela con questo rischio è affar<br />
nostro. Per ora siamo qui a documentare due circostanze:<br />
primo, che il nostro intervento si ripromette un<br />
utile per il nostro dominio; secondo, che con le offerte sul<br />
tappeto proveremo la nostra volontà politica di salvaguardare<br />
la sicurezza del vostro stato. Intendiamo darvi<br />
2<br />
un governo libero da ansie e da rischi, e impiegare integre<br />
le vostre forze per un comune profitto.»<br />
V 92. Meli: «E come potrebbero collimare i nostri interessi,<br />
se noi fossimo resi schiavi e voi ci dominaste?»<br />
V 93. Ateniesi: «Voi avreste la fortuna di vivere da sudditi,<br />
invece di soffrire il castigo più crudele; e per noi sarebbe<br />
un guadagno non avervi annientati.»<br />
V 94. Meli: «Non sareste paghi della nostra neutralità, se<br />
invece di incrociare le armi restassimo amici?»<br />
V 95. Ateniesi: «No; per noi è minaccia più pericolosa la<br />
vostra amicizia che il vostro odio aperto: la prima offrirebbe<br />
agli altri sudditi un esempio di fiacchezza da parte<br />
nostra, mentre il rancore invece ricorderebbe loro perennemente<br />
la nostra potenza». (...)<br />
V 98. Meli: «E non vedete che per voi la sicurezza sta in<br />
quell’altra politica? (...) Tutti gli stati che attualmente non<br />
sono iscritti a nessuna lega, credete che non prepareranno<br />
le armi, quando, riflettendo sul nostro destino, temeranno<br />
di ora in ora che vibriate loro il primo assalto? E<br />
non accrescerete con le vostre mani le potenze che già vi<br />
sfidano, spronando a giurarvi odio chi ancora se ne vive in<br />
disparte?»<br />
V 99. Ateniesi: «Non ci pare che la minaccia di costoro incomba<br />
tanto grave. È gente di terra, sparsa per il continente:<br />
vivono liberi, e passerà molto tempo prima che avvertano<br />
seriamente l’obbligo di mettersi in guardia contro<br />
di noi! Gli isolani invece ci fanno tremare, quelli sì! Non<br />
solo quelli che, come voi, chi su un’isola, chi su un’altra,<br />
non soffrono nessun giogo, ma quelli che, esacerbati, già<br />
mordono il freno del nostro impero: giacché costoro, in<br />
uno scatto folle e senza speranza, potrebbero coinvolgerci<br />
in una caduta verso ben prevedibili abissi.» (...)<br />
V 102. Meli: «Eppure è noto che talvolta le sorti della<br />
guerra si orientano verso equilibri che le rispettive potenze<br />
in campo non lascerebbero mai supporre. Sicché<br />
per noi chinare subito il capo significa precluderci ogni<br />
speranza, mentre agendo si può forse nutrirla ancora,<br />
questa speranza di risorgere.»<br />
V 103. Ateniesi: «La speranza, incanto che illude ad osare!<br />
Sempre pronta a vibrare un colpo, anche se non a prostrare<br />
in ginocchio, chi arrischia con lei il superfluo. Ma<br />
chi getta nell’avventura tutto ciò che ha, dopo la disfatta<br />
impara a riconoscerne il volto (...). Il vostro paese è debole,<br />
e alla bilancia della sorte basterà oscillare di poco per<br />
cancellarvi: evitatelo. (...)»<br />
V 106. Meli: «(...) Melo è una colonia di Sparta. Sarà il suo<br />
interesse politico a distoglierla dall’idea di tradirci, per<br />
non apparire infida a quanti tra i Greci favoreggiano la<br />
sua causa, e far così un dono prezioso ai nemici.»<br />
V 107. Ateniesi: «Ne siete certi? Allora ignorate che, in<br />
politica, l’utile va d’accordo con la sicurezza dello stato,<br />
mentre a praticare il giusto e l’onesto ci si espone a pe-
santi rischi. Non sono da Spartani queste prodezze: non è<br />
la loro natura.»<br />
V 108. Meli: «Però noi pensiamo che, in nostro favore,<br />
Sparta sarà più portata a imboccare questa strada rischiosa<br />
e valuterà meno pericolosi i suoi passi in questo scacchiere<br />
che in altri: siamo prossimi, come teatro<br />
d’operazioni, al Peloponneso, e per concezioni politiche la<br />
comunanza di stirpe ci rende più degni di fiducia degli<br />
estranei.»<br />
V 11<strong>1.</strong> Ateniesi: «Quand’anche quest’ipotesi s’avverasse,<br />
non ci coglierebbe sprovvisti d’esperienza (...). I vostri<br />
temi ricorrenti e più solidi sono speranze, fantasie campate<br />
nel futuro: e le concrete difese con cui vi proponete di<br />
sbarrare il passo al congegno bellico che già preme alle<br />
vostre porte sono troppo fragili per garantirvi scampo. Vi<br />
renderete colpevoli di una più sinistra follia, se dopo averci<br />
congedati non stillerete dalle vostre menti qualche<br />
risoluzione più avveduta. Non vi appellerete, speriamo, al<br />
sentimento dell’onore: causa prima di tanta rovina tra gli<br />
stati, tra i funesti e minacciosi bagliori di un abisso che<br />
può inghiottire un popolo e seppellirlo in un silenzio avvilente.<br />
Già più d’uno, con gli occhi ben aperti sul destino<br />
cui volava incontro, fu fatalmente trascinato dall’istinto<br />
noto tra gli uomini con nome di onore. (...)»<br />
V 112. A questo punto gli Ateniesi troncarono il negoziato<br />
e si ritirarono. I Meli rimasero da soli, e ostinati in quei<br />
medesimi principi che avevano espresso in sede di dibattito<br />
emisero il seguente comunicato: «La nostra decisione<br />
non è mutata, cittadini d’Atene: non strapperemo la libertà<br />
a una città ormai in vita da ottocento anni. Pieni di fede<br />
nella fortuna che sotto il governo degli dei l’ha per tanti<br />
secoli salvaguardata, tenteremo di salvare la città con le<br />
nostre forze e aspettando l’aiuto spartano. Ci offriamo<br />
neutrali alla vostra amicizia, e vi proponiamo di allontanarvi<br />
dal nostro suolo dopo aver sancito quei patti che ad<br />
ambedue promettano e garantiscano un profitto.»<br />
V 113. Fu tutto qui il responso dei Meli. Gli Ateniesi, sospendendo<br />
definitivamente i negoziati, replicarono: «A<br />
giudicare da questa risposta, frutto di una risoluzione<br />
meditata, si potrebbe dire che tra gli uomini voi siete gli<br />
unici a valutare il patrimonio del futuro più solido di quello<br />
del presente. Per il desiderio che vibra in voi scorgete<br />
una realtà concreta laddove è l’invisibile. E per esservi<br />
dati, anima e corpo, agli Spartani, alla sorte, alle speranze<br />
con la più incondizionata fiducia, finirete nel più sanguinoso<br />
disastro.»<br />
3. Il dibattito sulla spedizione in Sicilia<br />
VI 15. (...) Tra gli Ateniesi saliti al palco, i più incoraggiavano<br />
alla campagna, vietando di riesaminare la questione:<br />
le voci discordanti erano poche. Al progetto di spedizione<br />
si scaldava con più intenso slancio Alcibiade figlio di Clinia,<br />
sia per il vivo desiderio di sopraffare Nicia, cui<br />
l’opponevano in materia di politica non poche altre divergenze,<br />
sia soprattutto per quell’allusione polemica<br />
dell’avversario nei suoi confronti. Ma ardevano in lui, implacabili,<br />
la passione del comando e la speranza di ridurre<br />
3<br />
la Sicilia e Cartagine in suo potere. Tra i cittadini godeva<br />
di un larghissimo seguito, ma la sua febbre per<br />
l’allevamento dei cavalli e per altre costose estrosità lo<br />
travolgeva spesso oltre i limiti delle disponibilità familiari:<br />
un particolare che col correre degli anni fu origine - e<br />
non la meno importante - della disfatta ateniese. Scosso<br />
dalle frenetiche e smodate stranezze della sua personale<br />
condotta e del suo tenore di vita, sorpreso dalla sconfinata<br />
ampiezza dei suoi disegni, qualunque fosse l’impresa<br />
scelta ad esprimerli un vasto strato d’Atene gli giurava<br />
aperto odio, nel sospetto che ambisse a farsi tiranno; e<br />
trascurando il fatto che nella sfera pubblica aveva fornito<br />
le indicazioni più efficaci per regolare il corso della guerra,<br />
toccati personalmente sul vivo dal ricordo molesto dei<br />
suoi privati costumi costoro trasmisero ad altri il compito<br />
di reggere lo stato, ed in breve sopravvenne la rovina.<br />
Dunque in quella circostanza Alcibiade si fece largo sul<br />
palco, e rivolto agli Ateniesi così prese a parlare:<br />
VI 16. «O Ateniesi, il comando spetta a me più che a chiunque<br />
altro (...), e ho la chiara coscienza d’esserne degno.<br />
(...) Abbagliai i Greci del mio splendore nella sacra cornice<br />
d’Olimpia; e quel giorno, di fronte alla schiera dei miei<br />
sette carri (...), quando oltre al trionfo del primo conquistai<br />
anche il secondo e il quarto premio, coronando ogni<br />
altro momento della cerimonia con un fulgore degno della<br />
vittoria, si diffuse magnifica nel pubblico l’immagine di<br />
un’Atene superba; mentre cadde dai cuori quella ormai<br />
consueta di una città in ginocchio per i sacrifici del suo<br />
lungo duello. (...) Lo sfarzo con cui mi rendo illustre in Atene<br />
- coregie o altre prestazioni - mi attira, com’è naturale,<br />
le gelosie dei miei propri cittadini: ma tra genti forestiere<br />
anche da esso spira un senso di grandezza. Dunque<br />
non è sterile questa follia, quando uno splende del proprio<br />
per creare un profitto non solo a sé, ma allo stato.<br />
Neppure è in torto chi concependo di sé un alto sentimento<br />
rifiuta di porsi alla pari con gli altri, giacché chi è vittima<br />
della sventura incontra forse chi lo allievi d’una parte<br />
del suo fardello? È pur vero che quando la fortuna ci<br />
volge le spalle nessuno si degna più di rivolgerci la parola:<br />
un buon motivo perché si stia contenti, se chi è sull’onda<br />
di un fausto successo ci riserva un contegno orgoglioso. Io<br />
so che gli uomini eletti, e chi in qualche campo ha guadagnato<br />
una cospicua vetta, riescono in vita anzitutto molesti<br />
ai propri contemporanei, e il fastidio tocca prima quelli<br />
della stessa cerchia, poi si diffonde con l’ampliarsi dei<br />
contatti personali, delle relazioni; ma tra i posteri essi lasciano<br />
l’eredità della propria figura e in alcuni perfino<br />
l’esigenza di rivendicare con loro legami di parentela<br />
spesso inesistenti. Intanto la terra che ha dato loro i natali<br />
ne trae gloria, fiera e commossa nel ricordarli come suoi<br />
propri figli, artefici di nobili gesta, né certo pensa a sconfessarli<br />
per le loro presunte colpe. A tanto io aspiro! E se<br />
per tali motivi la mia vita personale è bersaglio di continue<br />
polemiche, vedete se in fatto di politica non so destreggiarmi<br />
meglio di chiunque altro. Ho spinto le città<br />
più poderose nel Peloponneso, senza sperperi di mezzi e<br />
con minimi rischi, a far lega con voi e ho condotto Sparta<br />
a gettar tutta se stessa allo sbaraglio nella sola giornata di<br />
Mantinea: se la cavò sul campo, ma da allora la sua fierezza<br />
non si erge più tanto impavida.
VI 17. «Fu questa mia giovinezza a indovinare il tono giusto<br />
per riaprire il dialogo con gli stati del Peloponneso<br />
(...). Non abbiatene timore, ma mentre questa mia giovinezza<br />
mi solleva al culmine dell’energia e Nicia pare sospinto<br />
dalla fortuna cogliete il frutto che l’impegno<br />
dell’uno e dell’altro sapranno offrirvi. Non mutate avviso<br />
sulla spedizione in Sicilia, quasi fosse un urto contro una<br />
potenza troppo grande. In quelle città s’affollano genti di<br />
razza mista, ed è frequente in loro il traffico di cittadini in<br />
partenza o di nuovi abitanti in arrivo. A causa di tali continui<br />
cambiamenti s’estingue il sentimento di patria: e<br />
quindi il privato non si cinge d’armi a difesa di una patria<br />
che non sente cara, né lo stato, nel suo complesso, dispone<br />
di ordinate installazioni difensive. Tutti coloro si sforzano<br />
di incassare a spese della comunità l’occorrente per<br />
emigrare da tutt’altra parte, se non trovano fortuna in<br />
patria. Si può pensare che un gregge di questa specie sappia<br />
concentrarsi e seguire la traccia prescritta da chi li<br />
dirige? O si volga all’azione con unità di intenti? Basterà<br />
intonare un discorso a loro gradimento, e uno dopo l’altro<br />
saranno subito attratti dalla nostra causa: soprattutto se,<br />
come ben sappiamo, sono in lotta tra loro. Tra l’altro non<br />
possiedono tanti opliti quanti pretendono. Allo stesso<br />
modo risultò che le altre genti greche non avevano in dotazione<br />
forze oplitiche di entità pari a quelle proclamate<br />
dal loro vanto. La Grecia che aveva fornito in proposito<br />
cifre fortemente artefatte s’è trovata, alla prova di questa<br />
guerra, con un numero di opliti appena sufficiente. Ecco<br />
dunque le condizioni della Sicilia quali le riferiscono le<br />
mie fonti: e non tarderanno a farsi più vantaggiose per<br />
noi (potremo contare su una folla di barbari che spinti<br />
dall’odio contro Siracusa combatterà sotto i nostri vessilli).<br />
Dalla Grecia non nasceranno intralci, se sceglierete la<br />
politica adatta. I nostri padri avevano contro quegli stessi<br />
nemici che ora ci lasciamo alle spalle salpando, e in più li<br />
premeva la minaccia persiana: eppure fondarono<br />
l’impero, amministrando saldamente un solo vantaggio, la<br />
supremazia della marina. Mai come in questi momenti è<br />
caduta in basso per il Peloponneso la speranza di trionfare<br />
di noi. Supponiamo in loro un improvviso rigoglio<br />
d’energia bellica: sarebbero senza dubbio in grado<br />
d’invaderci, anche se lasciassimo cadere il progetto della<br />
spedizione oltremare, ma comunque la loro flotta non ci<br />
infliggerebbe perdite: perché a coprire Atene lasceremmo<br />
una parte della nostra marina, di forza pari a quella di cui<br />
essi dispongono. (...)<br />
VI 19. Suonò così in sostanza il discorso di Alcibiade. Ad<br />
ascoltare le sue parole, quelle dei Segestani e quelle dei<br />
fuoriusciti di Leontini che sulla tribuna chiedevano e imploravano<br />
l’aiuto ateniese, l’assemblea arse più che mai<br />
dal desiderio di compiere la spedizione. Nicia a quel punto,<br />
sentendo che se ricorreva ai consueti argomenti non li<br />
avrebbe più dissuasi e che forse calcando la mano sulla<br />
larghezza dei preparativi necessari e insistendo con richieste<br />
gravose avrebbe ottenuto lo scopo d’indurli a ragionare<br />
diversamente, si presentò per la seconda volta e<br />
prese la parola esprimendo questi motivi:<br />
VI 20. «Poiché, Ateniesi, noto come le vostre volontà convergano<br />
su un solo oggetto, e cioè questa campagna, ebbene<br />
ch’essa appaghi infine i nostri voti. Ma l’occasione<br />
4<br />
mi pare giunga a proposito per esporvi chiaramente la<br />
mia idea. Regolandomi su voci riferite, mi sembra che il<br />
nostro sforzo dovrà urtare contro città vaste, indipendenti<br />
l’una dall’altra e quindi non disposte a scosse politiche,<br />
nel senso che in una gente sottomessa a un dominio severo<br />
può talvolta sorgere viva l’aspirazione a scuotere e migliorare<br />
il proprio stato. Com’è naturale non si adatteranno<br />
con entusiasmo a veder soppiantata la propria libertà<br />
dal nostro impero. E il numero di quei centri è elevato,<br />
considerando che sono compresi in un’unica isola; inoltre<br />
sono Greci. Togliamo Nasso e Catania, che mi auguro passeranno<br />
da noi per l’affinità con Leontini. Ne restano altre<br />
sette dotate di armamenti di efficacia pari e di tipo analogo<br />
a quelli che costituiscono il nostro potenziale bellico, e<br />
tra le altre le più potenti son quelle scelte come diretto<br />
bersaglio della nostra offensiva: Selinunte e Siracusa. Dispongono<br />
di numerose divisioni oplitiche, ranghi completi<br />
di arcieri e lanciatori di giavellotto, una marina poderosa<br />
di triremi, un’infinità di gente pronta ad armarle. Hanno<br />
consistenti depositi finanziari privati, cui s’aggiungono<br />
le riserve auree dei santuari specie a Selinunte. A Siracusa<br />
inoltre affluiscono i tributi di popolazioni barbare in suo<br />
potere. Sul piano strategico vantano su di noi questa supremazia<br />
significativa, un nerbo potente di cavalieri. Poi<br />
possono contare su raccolti propri di grano, senza preoccuparsi<br />
d’importarne.<br />
VI 2<strong>1.</strong> «Contro una macchina militare di tal mole, la solita<br />
squadra navale, con il suo contingente limitato di sbarco,<br />
è inoffensiva. Occorre imbarcare un’armata ingente, se<br />
intendiamo realizzare un successo pratico degno del piano<br />
ambizioso e sperare che una cavalleria agguerrita non<br />
ci spazzi via in un lampo dalla spiaggia dopo lo sbarco:<br />
soprattutto se l’allarme collegherà i vari centri e se la solidarietà<br />
di altre potenze - che non sia esclusivamente<br />
quella di Segesta - non ci provvederà a nostra volta di cavalleria<br />
sufficiente al contrattacco. Sarà in gioco il nostro<br />
onore, se sommersi dall’avversario dovremo ritirarci e<br />
ridurci a successive richieste di truppe per non aver decretato,<br />
con colpevole imprevidenza, le misure in proporzione<br />
allo sforzo. È indispensabile che già alla partenza gli<br />
effettivi siano completi e in ordine, nella coscienza che un<br />
tratto immenso d’acqua ci dividerà dalle nostre basi in<br />
patria e la campagna avrà caratteristiche troppo diverse<br />
da quando in teatri di guerra vicini siete scesi in campo al<br />
fianco di qualche stato tributario, per contendere il passo<br />
a un aggressore: allora i rifornimenti giungevano comodi<br />
da una terra amica, mentre in questa circostanza rimarrete<br />
staccati in regioni straniere, da cui nei quattro mesi<br />
d’inverno sarà assai arduo che riesca il passaggio anche di<br />
un solo corriere.<br />
VI 22. «Sicché a mio giudizio deve risultare molto nutrito<br />
il corpo di opliti da far passare in Sicilia, sia mobilitando i<br />
nostri, sia quelli alleati e sudditi, e provvedendo a trarre<br />
rinforzi anche dal Peloponneso. Ci servono arcieri in gran<br />
folla e frombolieri per contrastare la cavalleria nemica.<br />
Sul mare ci occorre subito una superiorità indiscussa, per<br />
sveltire i collegamenti: ciò non ci esimerà tuttavia dal trasportare<br />
anche dall’Attica riserve abbondanti di viveri.<br />
Impiegheremo navi da carico: ci vorrà grano, orzo tostato,<br />
e un certo numero di panettieri al seguito e requisiti dai
diversi mulini in proporzione. Torneranno utili se resteremo<br />
bloccati dal tempo cattivo e l’esercito avrà necessità<br />
di viveri (poiché sarà tale il suo numero che non tutte le<br />
città avranno spazio ad accoglierlo). Quanto al resto, tutti<br />
i preparativi dovranno riuscire il più possibile perfetti,<br />
per garantirci una totale autonomia. Noi dobbiamo partire<br />
con riserve monetarie di tutto rispetto: i Segestani affermano<br />
di tener pronti tesori in casa propria, ma se credete<br />
a me potete aspettarvi laggiù di trovare ben poca sostanza<br />
oltre alle loro chiacchiere.<br />
VI 23. «(...) Alla città qui raccolta ho espresso i miei piani, i<br />
più sicuri a garantire incolume lo stato e salvi e vittoriosi<br />
noi, destinati a dirigere l’impresa sui campi di battaglia.<br />
Se altri sono in disaccordo, offro loro il mio comando.»<br />
VI 24. Nicia tacque, ritenendo che l’esposizione di necessità<br />
così tremende avrebbe distolto gli Ateniesi, o, almeno -<br />
nel caso che la spedizione fosse ormai inevitabile - si sarebbe<br />
garantito con questi mezzi un margine ampio di<br />
sicurezza. Ma l’impegno faticoso dell’armamento suscitò<br />
ben altro in Atene che la rinuncia a quella campagna desiderata:<br />
anzi era tutto un accendersi d’entusiasmi, di ora<br />
in ora. Sicché Nicia ottenne un effetto opposto: si commentava<br />
che i suoi erano consigli d’oro, e da quel momento<br />
non c’era proprio più nulla da star preoccupati (...).<br />
VI 25. Da ultimo si fece avanti uno d’Atene e interpellando<br />
personalmente Nicia protestò che non era più l’ora di trastullarsi<br />
con pretesti e ritardi: svelasse al popolo a viso<br />
aperto l’entità delle forniture belliche da lui fissata, per<br />
sottoporla all’approvazione dell’assemblea. Di malumore<br />
Nicia replicò che avrebbe scelto di ragionarne piuttosto<br />
con i colleghi del comando con calma; ad ogni modo, per<br />
quanto fosse un preventivo del tutto personale, esprimeva<br />
come minima, per avviare la spedizione, la cifra di cento<br />
triremi (compito degli Ateniesi sarebbe stato allestire<br />
quante unità credevano opportune per trasporto truppe:<br />
il resto era da requisirsi tra gli alleati). Gli organici della<br />
fanteria pesante non dovevano essere inferiori a cinquemila<br />
opliti tra Ateniesi e alleati, meglio poi se si poteva<br />
disporne di più. I reparti delle diverse armi, arcieri ateniesi<br />
e di Creta, frombolieri, e le altre forze che si stimasse<br />
conveniente adunare per l’imbarco, dovevano adeguarsi,<br />
come proporzione numerica, al resto degli effettivi.<br />
VI 26. Attenti a questi calcoli, gli Ateniesi decretarono<br />
all’istante che gli strateghi disponessero di pieni poteri<br />
per designare il numero preciso degli armati e perché regolassero<br />
con vantaggio dello stato e sulla base della propria<br />
competenza ogni altro particolare della spedizione.<br />
Conclusi i preliminari, si passò ai preparativi concreti, si<br />
diramò alla lega l’all’erta e si procedette alla mobilitazione<br />
cittadina. Atene s’era appena risollevata dalla malattia<br />
e dalla guerra ininterrotta, mentre la tregua consentiva<br />
l’avvento sempre più copioso di classi giovani all’età di<br />
leva, e all’economia statale d’irrobustirsi: sicché si provvedeva<br />
con larghezza a ogni preparativo. E ferveva in tutti<br />
la volontà di prodigarsi.<br />
VI 27. A quel punto, le Erme marmoree erette in città dagli<br />
Ateniesi (sono parecchi, secondo la tradizione locale,<br />
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questi blocchi quadrangolari, nei vestiboli delle abitazioni<br />
o nei recinti sacri) ebbero in maggioranza il volto mutilato,<br />
in una stessa notte. Sui responsabili restava il mistero:<br />
ma si dava loro la caccia con ricche taglie statali. Non bastò;<br />
si decise dunque che chiunque dei cittadini e degli<br />
stranieri - e persino dei servi - volesse, denunciasse pure<br />
senza paura qualunque diverso atto sacrilego gli fosse noto.<br />
L’opinione pubblica ne fu seriamente scossa: vi si riconosceva<br />
un segno infausto per la partenza, collegato forse<br />
a torbide trame per sovvertire lo stato e la democrazia.<br />
VI 28. Finché, ad opera di certi meteci e di alcuni servi,<br />
approda all’autorità una denuncia, che pur non avendo<br />
nulla da spartire con lo scandalo delle Erme, riguarda certe<br />
altre statue sfregiate tempo prima da un gruppetto di<br />
giovani ubriachi e in vena di stranezze: in certi ambienti<br />
inoltre ci si diverte a scimmiottare i misteri. Le accuse<br />
non risparmiavano Alcibiade, e furono lesti a raccoglierle<br />
quelli cui la personalità di Alcibiade incuteva più geloso<br />
fastidio, intralciando la scalata ai seggi più alti e solidi del<br />
governo democratico; e pieni di speranza di ascendere ai<br />
vertici della società ateniese, se lo avessero tolto di mezzo,<br />
facevano un chiasso eccessivo di quest’affare, insistendo<br />
in pubblico che le parodie dei misteri e la mutilazione<br />
delle Erme rientravano nel piano criminale di sconvolgere<br />
la compagine democratica e che nell’una e<br />
nell’altra empietà spiccava evidente lo stile di Alcibiade.<br />
Ne adducevano a prova il suo modo personalissimo di vita<br />
che calpestava la tradizione: un autentico schiaffo alla<br />
democrazia.<br />
VI 29. Alcibiade rintuzzò direttamente l’attacco, aggiungendo<br />
ch’era disposto ad affrontare un processo prima<br />
dell’imbarco, perché si facesse piena luce sulle sue responsabilità<br />
nei delitti di cui lo si imputava (ormai erano<br />
stati aggiunti anche gli ultimi ritocchi alle forze in partenza);<br />
e se fosse risultato colpevole di qualche mancanza,<br />
avrebbe pagato; se invece fosse stato assolto, il comando<br />
sarebbe rimasto suo. Li pregava di non dar credito alle<br />
menzogne fatte circolare durante la sua assenza e di fargli<br />
giustizia sommaria piuttosto, se era colpevole; e insisteva<br />
che sarebbe stato assurdo affidargli il comando di una<br />
armata così ingente sotto l’incubo di quell’accusa, prima<br />
che in tribunale si emettesse un verdetto risolutore. Ma i<br />
suoi avversari, temendo che le simpatie dell’esercito si<br />
sarebbero orientate su di lui se si fosse celebrato un processo<br />
immediato, e che il popolo si sarebbe lasciato sedurre<br />
alla clemenza, riconoscente per il merito d’aver convinto<br />
personalmente Argo e qualche reparto di Mantinea<br />
a seguire la spedizione, si preoccupavano con ogni zelo di<br />
far cadere quella supplica d’Alcibiade. Sobillarono così più<br />
di un oratore, il quale si fece avanti a dire che Alcibiade<br />
doveva imbarcarsi subito senza bloccare la partenza<br />
dell’armata, mentre al suo ritorno si sarebbero stabiliti i<br />
giorni per il processo. L’intento era di gonfiare le calunnie<br />
accumulando indizi e prove con più comodo, nel periodo<br />
in cui era assente, e riconvocandolo quindi in patria per<br />
risponderne. Così si decretò che Alcibiade salpasse.