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Ultime notizie dal mondo 1-15 Marzo 2007 - Il Dialogo

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<strong>Ultime</strong> <strong>notizie</strong> <strong>dal</strong> <strong>mondo</strong><br />

1-<strong>15</strong> <strong>Marzo</strong> <strong>2007</strong><br />

(http://www.rivistaindipendenza.org/)<br />

a) Irlanda del Nord. Una messa a punto politica, a partire <strong>dal</strong>l’importante esito delle elezioni del 7<br />

marzo. Cfr. 3, 9, 10, 13, 14 marzo. Due simpatiche <strong>notizie</strong> da Corsica (13) ed Euskal Herria (1).<br />

b) Torniamo sulla questione delle basi, dopo l’importante manifestazione del 17 marzo a Roma<br />

«per il ritiro delle truppe italiane <strong>dal</strong>l’Afghanistan e da tutti i teatri di guerra» e «in sostegno alla<br />

resistenza delle popolazioni in lotta, da Vicenza ai paesi invasi ed occupati». Vediamole <strong>dal</strong> cuore<br />

dell’imperialismo statunitense, in questa fase egemone: cfr. USA 9 marzo.<br />

c) America Latina. Viaggio di Bush e controviaggio di Chávez. Un occhio al nodo<br />

dell’agrocombustibile (cfr. scarrellata di <strong>notizie</strong> al 12 su Brasile e USA) vista a Washington come<br />

alternativa strategica al petrolio. Venezuela (cfr. 4 e 12) prosegue la sua anti-imperialista<br />

geopolitica: vedere Cuba (1 e 2), Nicaragua (13) Bolivia (2), Argentina (2). Un occhio anche alla<br />

Colombia: attacco FARC, connessione istituzioni-paramilitari e un ricordo del prete-guerrigliero<br />

Camilo Torres Restrepo (il tutto al 3 e al <strong>15</strong>) e ancora, sul fronte interno, a Bolivia (8), Venezuela<br />

(1). Assolutamente non irrilevanti i duri scontri interni istituzionali in Ecuador (8 e 14).<br />

Sparse ma significative:<br />

• Israele. L’attacco al Libano era programmato ben prima del sequestro –ad opera di<br />

Hezbollah– di militari di Tel Aviv penetrati in territorio libanese. Ad ammetterlo è niente-popo-di-meno-che<br />

l’attuale primo ministro Ehud Olmert. Stando alle sue parole pare proprio<br />

che lo sconfinamento armato (peraltro non occasionale) di un’unità israeliana non fosse<br />

casuale ma mirasse a creare il casus belli. Dal Libano nessuna sopresa in merito. <strong>Il</strong> tutto<br />

all’8. Intanto un ex presidente USA, Jimmy Carter, e l’inviato ONU nei Territori Occupati<br />

palestinesi accusano di apartheid e colonialismo Israele (cfr. 10 e 13). E tanto per non<br />

smentirsi in fatto di aggressività, prove generali di bombardamento sull’Iran a Cipro (cfr.<br />

Israele. 8). La Siria teme e si sta attrezzando di conseguenza, se è fondato quanto dicono<br />

i servizi segreti israeliani (9). Sul fronte palestinese? Una bambina usata come scudo<br />

umano dai militari israeliani (9) e il governo di unità nazionale palestinese (<strong>15</strong>) che smorza<br />

per adesso le aspettative di guerra civile su cui lavorano USA (cfr. 6) ed Israele.<br />

• Sull’Iraq. Spettro Vietnam (2). Si parla sempre più di exit startegy (13), mentre gli USA<br />

costruiscono carceri nel paese “liberato” (14) e intanto concorrono ad aumentare il numero<br />

degli sfollati (5). In relazione alla legge sul petrolio cfr. Gran Bretagna / Iraq al 10 marzo.<br />

Ma sul nucleare Londra parla chiaro: cfr. Gran Bretagna. <strong>15</strong> marzo.<br />

• Iran. Nuova stretta nella risoluzione in arrivo (<strong>15</strong>); Mosca si mostra compiacente con gli<br />

USA (cfr. Russia / Iran. 14 marzo). Sull’Iraq cfr. USA / Iran all’11. Infine Iran / Palestina (5<br />

marzo) e Iran / Arabia Saudita (4)<br />

• Nepal. <strong>Il</strong> nodo della regione del Terai (14 marzo).<br />

Tra l’altro:<br />

Germania (9 marzo)<br />

Sahara Occidentale (7 marzo)<br />

Somalia (6, 11, 14 marzo)<br />

Siria (9 marzo) e Unione Europea / Siria (<strong>15</strong> marzo)<br />

Polonia / Ucraina (6 marzo)<br />

1


Ucraina (1 marzo)<br />

Afghanistan (9, 11 marzo)<br />

Russia (<strong>15</strong> marzo)<br />

India (<strong>15</strong> marzo)<br />

Cina (9 marzo) e Cina / USA (5 marzo).<br />

Corea del Nord (<strong>15</strong> marzo)<br />

USA (1 marzo)<br />

• Euskal Herria. 1 marzo. Arresti domiciliari per Inaki de Juana Chaos, detenuto dell’ETA<br />

da 1<strong>15</strong> giorni in sciopero della fame. Lo hanno confermato fonti del ministero dell’Interno.<br />

Le autorità penitenziarie spagnole hanno deciso di scarcerare il detenuto «per ragioni<br />

umanitarie». Le fonti hanno precisato che de Juana sarà dapprima trasferito in un ospe<strong>dal</strong>e<br />

per poi tornare a casa. De Juana, divenuto un simbolo del movimento pro amnistia basco,<br />

protestava per una condanna a 12 anni, ridotta a tre, per reati di opinione (articoli di stampa)<br />

imputatigli mentre era in carcere. Aveva già trascorso 18 anni. Secondo de Juana e la<br />

sinistra indipendentista, la seconda condanna è solo servita ad evitare che uscisse di<br />

prigione, sotto la pressione delle destre. Negli ultimi mesi de Juana veniva alimentato con<br />

una sonda ma la scorsa settimana si era opposto con forza a tale misura costringendo alla<br />

sospensione del trattamento, poi ripreso ammanettandolo al letto.<br />

• Ucraina. 1 marzo. Tymoshenko incontra a Washington e New York organismi pubblici e<br />

privati –mass media, banche, think tanks (pensatoi)– e alte cariche accademiche e<br />

governative, tra cui il vice-presidente Dick Cheney e il Segretario di Stato Condoleezza<br />

Rice. L’obiettivo di Yulia Tymoshenko, oggi all’opposizione in Ucraina, è confermare che<br />

la Rivoluzione Arancione non è morta e che la sua squadra lotterà per sottrarre l’Ucraina<br />

alle iniziative filo-russe <strong>dal</strong> governo Yanukovich.<br />

• Ucraina. 1 marzo. Le prospettive di integrazione dell’Ucraina nella NATO sono uno dei<br />

temi caldi del momento. Dai due vertici dello Stato non arrivano che dichiarazioni<br />

discordanti. Yanukovich ne ha negato più volte l’opportunità (settembre 2006 a Bruxelles; a<br />

dicembre, a Washington, durante l’incontro con il Segretario di Stato USA Condoleezza<br />

Rice), e lo ha ribadito nei giorni scorsi, appellandosi al volere della popolazione. Sul fronte<br />

opposto, Yushchenko afferma che l’ingresso nella NATO non è altro che il naturale sbocco<br />

al processo di ricerca di un sistema di sicurezza collettivo, nel perseguire il quale l’Ucraina<br />

dovrebbe pensare più ai propri interessi nazionali, che ai timori e alle reazioni dei paesi<br />

vicini. Anche il Ministro della Difesa Anatoli Gritsenko, suo alleato, ne sostiene<br />

l’inevitabilità, negando la necessità di consultare la popolazione con un referendum. Oltre la<br />

metà dell’opinione pubblica ucraina si dice infatti ancora contraria all’ingresso nella NATO.<br />

• Ucraina. 1 marzo. Questione ancor più spinosa è la cooperazione militare con gli USA.<br />

Kiev nega di avere alcun ruolo. Di fronte all’irritazione russa sollevata dai piani USA di<br />

dispiegare radar e intercettori antimissilistici in Polonia e Repubblica Ceca, il governo<br />

ucraino ha voluto dimostrare la propria estraneità e una certa indignazione per non essere<br />

stato consultato in merito. La costituzione ucraina bandisce il dispiegamento di basi militari<br />

straniere sul territorio del paese. Secondo Yanukovich, gli USA avrebbero dovuto informare<br />

sia Kiev che Mosca prima di prendere una tale decisione. In un’intervista rilasciata alla<br />

vigilia del suo incontro con la cancelliera Angela Merkel, il Primo Ministro ha descritto il<br />

suo paese come un ponte ideale tra UE e Russia, per il quale la cooperazione in tema di<br />

energia, trasporti, “lotta al terrorismo” e ai traffici illeciti è fondamentale su entrambi i<br />

versanti, russo ed europeo. Per questo, la retorica anti-russa che l’opposizione solleva con<br />

sempre più insistenza potrebbe, secondo Yanukovich, non solo destabilizzare il paese ma<br />

ritorcersi pericolosamente contro i suoi stessi interessi.<br />

2


• Ucraina. 1 marzo. Minoranze russe in alcune zone del paese. Yanukovich sta da tempo<br />

lavorando a una serie di leggi che, in linea con la Carta Europea delle Lingue Minoritarie o<br />

Regionali, riconoscano e regolino l’uso del russo almeno nelle regioni sud-orientali del<br />

Donetsk, dove la popolazione russofona è fortemente discriminata. La primavera scorsa la<br />

sezione locale del Partito delle Regioni aveva di propria iniziativa dichiarato il russo “lingua<br />

regionale” e chiesto al governo di invertire la politica di “ucrainizzazione” della cultura (<strong>dal</strong><br />

gennaio 2006 i film russi devono obbligatoriamente essere doppiati in ucraino) coerente con<br />

il progetto di Yushchenko di fare della lingua ucraina il vero collante nazionale. Lo status<br />

della lingua russa è stato fin <strong>dal</strong>l’inizio uno dei principali pomi della discordia tra le due<br />

fazioni politiche, che potrebbe eventualmente sboccare in un referendum volto a riconoscere<br />

il russo quale seconda lingua ufficiale. Pare che la bocciatura del nuovo Ministro degli<br />

Esteri proposto da Yushchenko sia stata motivata proprio con il suo ostentato rifiuto di<br />

parlare il russo e di servirsi invece di un interprete che traduce i suoi discorsi <strong>dal</strong>l’ucraino.<br />

Secondo il Primo Ministro Yanukovich simili discriminazioni si riscontrano anche nei costi<br />

dei servizi pubblici fondamentali tra regioni differenti, ennesima prova della forte<br />

politicizzazione della vita pubblica, nonché specchio del confronto politico in atto tra le due<br />

fazioni rivali.<br />

• Ucraina. 1 marzo. In campo energetico, dopo la secca smentita di Kiev in merito alla<br />

creazione di un consorzio per la gestione congiunta russo-ucraina delle pipelines per il<br />

trasporto del gas, definita da Putin un “rivoluzionario sviluppo” nelle relazioni tra i due<br />

paesi, Kiev torna a pensare a una “strategia energetica europea”, imperniata sull’asse UE-<br />

Asia Centrale. <strong>Il</strong> presidente Yushchenko è d’accordo con il suo omologo lituano Valdas<br />

Adamkus sulla necessità che i paesi di “transito” delle attuali rotte del gas e del petrolio<br />

centro-asiatico uniscano i propri sforzi per costituire una fonte di approvvigionamento<br />

alternativa a quella russa. Lo scopo non è di sostituirsi ad essa, ma di consentire un<br />

atterraggio morbido qualora questa dovesse decidere, come successo l’inverno scorso, di<br />

tagliare i rifornimenti. Sorprendentemente tale accordo comprende un terzo paese: la<br />

Bielorussia, accomunata all’Ucraina <strong>dal</strong>l’aver improvvisamente scoperto la propria scomoda<br />

dipendenza <strong>dal</strong> vicino russo.<br />

Significativo è anche l’avvio dei colloqui con l’Uzbekistan per l’incremento delle sue<br />

forniture di gas all’Ucraina, che oggi ammontano a circa 2 miliardi di metri cubi annui, pari<br />

al 10% delle sue esportazioni totali. Yanukovich si recherà nella capitale uzbeca, Tashkent,<br />

nell’aprile <strong>2007</strong> per concludere l’accordo, che dovrebbe concretizzarsi nonostante l’Ucraina<br />

rappresenti, per il presidente uzbeko Islam Karimov, il prototipo di quel tipo di rivoluzioni<br />

colorate di cui Tashkent ha paura. Avere Yanukovich come interlocutore potrebbe tuttavia<br />

facilitare il dialogo, in aggiunta al fatto che, come molti analisti pensano, l’accordo vedrà la<br />

luce solo previo l’almeno tacito assenso del Cremlino.<br />

• USA. 1 marzo. Impeachment per il vicepresidente USA Dick Cheney? Ipotesi tutt’altro che<br />

peregrina in conseguenza del caso Libby, l’ex capo dello staff di Cheney e consigliere per la<br />

sicurezza nazionale accusato di reato per aver svelato alla stampa lo status di agente della<br />

CIA di Valerie Plame. Dopo il 20 febbraio, allorché la giuria si è riunita in camera di<br />

consiglio dopo cinque settimane di dibattimento, sui media USA sono apparsi diversi servizi<br />

che indicano in Cheney il vero regista della vicenda ai danni di Valerie Plame. L’ABC ha<br />

mandato in onda il 22 febbraio un servizio intitolato «Poi tocca a Cheney ? (…) Un verdetto<br />

di colpevolezza dell’ex collaboratore potrebbe suscitare inchieste penali sul conto del vice<br />

presidente Dick Cheney?». La risposta affermativa è data <strong>dal</strong> procuratore Kenneth Starr,<br />

inquirente speciale nel caso Whitewater ed ex accusatore dell’ex presidente USA Bill<br />

Clinton, secondo il quale la conseguenza ovvia del caso Libby è accertare se Cheney si sia<br />

macchiato di «ostruzione della giustizia». Uno scenario possibile è che, nel caso di<br />

condanna, l’inquirente speciale Fitzgerald possa offrire a Libby il patteggiamento, se è<br />

3


disposto a raccontare quello che sa sul vero ruolo di Cheney. Sempre la ABC ha poi mandato<br />

in onda un altro servizio intitolato “L’ossessione di Cheney”, in cui si spiega che «il<br />

processo a Libby ha mostrato un vice presidente preoccupato di liquidare le accuse di<br />

manipolazione dell’intelligence da parte dell’amministrazione Bush alla vigilia della guerra<br />

in Iraq». <strong>Il</strong> servizio continua citando le accuse dell’ambasciatore Joe Wilson, marito della<br />

Plame, secondo cui l’amministrazione aveva condotto il paese in guerra con falsi pretesti:<br />

«un attacco molto grave» che Cheney avrebbe gestito inducendo Libby ed altri ad aizzare la<br />

stampa contro Wilson.<br />

• USA. 1 marzo. Pure l’ultimo numero di Gentlemen’s Quarterly, rivista per uomini molto<br />

diffusa, ha pubblicato un articolo di Hylton sul vicepresidente USA, “<strong>Il</strong> popolo contro<br />

Richard Cheney”, in cui si prospettano quattro capi di accusa per l’impeachment del vice<br />

presidente. In tutta la storia degli Stati Uniti, scrive Hylton, solo 17 alti funzionari federali<br />

sono stati colpiti da impeachment. «Nel caso di George Bush vi saranno ragioni<br />

innumerevoli per non aggiungere un diciottesimo nome alla lista. Da quelle più moderate<br />

(due impeachment presidenziali consecutivi sono più un danno che un beneficio per la<br />

nazione) a quelle provocatorie (sebbene abbia sbagliato su un numero impressionante di<br />

questioni, Bush è sprovveduto oltre ogni misura per poter essere ritenuto responsabile) a<br />

quelle pragmatiche (se Bush subisce l’impeachment poi ci ritroviamo con il vice presidente<br />

Dick Cheney)(...) Ma tutto questo non vale invece per il vice presidente Cheney (...) Negli<br />

ultimi sei anni, con il paese che sprofondava nelle disavventure militari, nella follia fiscale e<br />

nello sfascio ambientale, gli errori del vice presidente non sono soltanto limitati a questi<br />

temi, ma egli ha dimostrato doppiezza, inganno e distruttività verso la democrazia<br />

americana». L’articolo passa quindi in rassegna le malefatte di Cheney, come le menzogne<br />

per istigare la guerra in Iraq, la corruzione e i rapporti con la Halliburton, l’usurpazione di<br />

poteri ben oltre quelli concessi <strong>dal</strong>la Costituzione tanto da agire di fatto come Primo<br />

Ministro. I quattro capi di accusa per l’impeachment: 1) ha deliberatamente condizionato e<br />

limitato la capacità dei servizi di raccogliere informazioni, 2) ha personalmente imbrogliato<br />

la popolazione statunitense, 3) ha deliberatamente accolto e protetto un noto criminale a<br />

danno della politica USA, ovvero Ahmed Chalabi, 4) ha mantenuto rapporti indebiti ed<br />

eticamente inammissibili con i suoi ex datori di lavoro della Halliburton e ne ha promosso<br />

programmi e interessi a scapito di quelli della popolazione statunitense.<br />

• Cuba / Venezuela. 1 marzo. Sottoscritti accordi nel settore dell’energia, della sanità,<br />

delll’industria agraria, dell’educazione e della preparazione del personale, nonché del<br />

finanziamento per le piccole industrie. <strong>Il</strong> presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha<br />

incontrato a Caracas il presidente del Venezuela, Hugo Chávez. Chávez ha ricordato che<br />

durante la sua visita a Managua per assistere alla nomina a presidente di Ortega, era stato<br />

deciso di aprire un ufficio della Banca Nazionale di Sviluppo, Economico e Sociale del<br />

Venezuela in Nicaragua. «Ora», ha detto ancora Chávez, «si metterà a punto una linea di<br />

credito per i piccoli e medi produttori, mentre i guadagni della banca andranno alle scuole<br />

nicaraguensi, per far sì che questo paese cominci a liberarsi <strong>dal</strong> giogo neoliberista». <strong>Il</strong><br />

Venezuela fornisce al paese centroamericano petrolio e derivati a condizioni molto<br />

favorevoli di pagamento, unite alla consegna di 32 impianti generatori di elettricità dei quali<br />

otto sono già stati sottoposti a prove di funzionamento molto positive ed incorporati al<br />

sistema elettrico del Nicaragua, mentre si prevede l’incorporazione degli altri impianti, dopo<br />

il rodaggio, nelle prossime settimane.<br />

• Venezuela. 1 marzo. Con la Ley de los Consejos Comunales, «il popolo sta prendendo le<br />

redini della costruzione della patria». Lo ha detto il presidente Chávez parlando di questo<br />

nuovo strumento legale, che mira a superare la democrazia rappresentativa per costruire una<br />

democrazia partecipativa.<br />

4


• Iraq. 2 marzo. Lo spettro del Vietnam sempre più reale in Iraq per le forze militari USA.<br />

«Vittoria entro sei mesi, oppure andremo incontro a un crollo verticale nel sostegno sia<br />

politico che dell’opinione pubblica, sulla falsariga di quanto accadde in Vietnam,<br />

costringendoci a battere in ritirata». Questo, in sostanza, il monito che un gruppo d’élite di<br />

ufficiali delle forze USA in Iraq ha depositato sul tavolo del generale David Petraeus, nuovo<br />

comandante in capo delle truppe statunitensi. <strong>Il</strong> gruppo di ufficiali, tutti veterani in<br />

antiguerriglia, sono stati incaricati dell’implementazione della “new way forward”, ossia<br />

della nuova strategia messa a punto da Casa Bianca e Pentagono per riprendere in mano la<br />

situazione dell’Iraq ed imprimere una svolta decisiva alle operazioni militari. <strong>Il</strong> team,<br />

conosciuto con il nome di “Baghdad brains trust”, lavora nella blindatissima Zona Verde<br />

della capitale irachena e –secondo il britannico Guardian– ha ingaggiato una vera e propria<br />

lotta contro il tempo per districare e risolvere una serie di questioni e problemi sul tappeto<br />

che rendono difficile l’attuazione del cambio di strategia voluto <strong>dal</strong> presidente Bush. «Sanno<br />

che stanno lavorando con il tempo contato. Sanno che a Washington si potrebbe discutere<br />

di imboccare la via del “piano B” entro l’autunno: ossia il ritiro», ha riferito al Guardian<br />

una fonte dell’Amministrazione Bush, coperta <strong>dal</strong>l’anonimato, che ha regolari contatti con il<br />

“Baghdad brains trust”. «Gli ufficiali sanno che i prossimi sei mesi sono la loro opportunità.<br />

Ma sanno anche che ogni giorno che passa è sempre più dura», ha aggiunto l’alto<br />

funzionario.<br />

• Cuba / Venezuela. 2 marzo. Bio-diesel: intesa tra Cuba e Venezuela per nuovo impulso a<br />

produzione etanolo. Undici gli impianti che verranno costruiti per produrre etanolo, l’alcool<br />

derivato <strong>dal</strong>la canna da zucchero utilizzato come combustibile ‘pulito’ per preservare<br />

l’ambiente, ridurre il consumo di combustibili fossili e sviluppare fonti alternative di<br />

energia. <strong>Il</strong> progetto si inscrive negli oltre 350 nuovi programmi bilaterali nei settori<br />

energetico, sanitario ed educativo, da ultimare entro fine <strong>2007</strong>. L’annuncio all’Avana al<br />

termine dei lavori della VII Commissione mista intergovernativa, alla presenza del<br />

presidente ‘ad interim’ Raúl Castro, il ministro dell’Energia venezuelano Rafael Ramírez e<br />

quello del dicastero dello Zucchero cubano, Ulises Rosales. Cuba riceve quotidianamente<br />

98mila barili di petrolio venezuelano, che L’Avana contraccambia con servizi medici ed<br />

educativi.<br />

• Venezuela / Argentina. 2 marzo. Basta con la dittatura del Fondo Monetario. Lo ha detto il<br />

presidente dell’Argentina, Nestor Kirchner, aprendo ieri i lavori del parlamento. <strong>Il</strong> prodotto<br />

interno lordo argentino sta crescendo da cinque anni, incluso quello in corso, dell’8% annuo<br />

e non è quindi il caso che subisca «la dittatura del Fondo Monetario Internazionale».<br />

Inoltre, la disoccupazione non supera l’8,7%, lo stesso livello di <strong>15</strong> anni fa, prima che il<br />

paese entrasse in un periodo di grave crisi. Per finire, riferendosi ai “Bonos del Sur”, titoli di<br />

borsa che Buenos Aires emette insieme a Caracas nonostante critiche formulate in più sedi<br />

economiche e finanziarie, il presidente argentino ha sottolineato i suoi buoni rapporti con il<br />

Venezuela e con il suo capo di stato Hugo Chávez. I “Bonos del Sur” emessi in questi giorni<br />

da Caracas per un valore complessivo di un miliardo e mezzo di dollari sono stati richiesti<br />

da operatori finanziari internazionali in quantità otto volte superiore alla disponibilità.<br />

• Venezuela / Bolivia. 2 marzo. Caracas stanzia <strong>15</strong> milioni di dollari per la Bolivia, colpita<br />

<strong>dal</strong>le più gravi alluvioni degli ultimi 25 anni che hanno causato finora 350mila disastrati e<br />

ingenti perdite al settore agricolo. <strong>Il</strong> presidente Hugo Chávez raggiungerà la settimana<br />

prossima il paese andino per una «visita di solidarietà» nelle regioni alluvionate.<br />

• Irlanda del Nord. 3 marzo. <strong>Il</strong> Sinn Féin intende essere parte delle amministrazioni nel nord<br />

e nel sud dell’Irlanda per adempiere alla «sua missione storica di creare una vera<br />

5


epubblica ed un vero governo nazionali». Lo ha detto oggi l’esponente del partito<br />

repubblicano, Gerry Adams, nell’intervento conclusivo al congresso annuale (Ard Fheis) del<br />

partito, a Dublino, che ha visto anche la presentazione dei candidati del partito. Delegati ed<br />

invitati di tutta l’Irlanda discutono di un’ampia serie di mozioni con particolare attenzione a<br />

quelle che saranno le priorità del partito nell’esecutivo multipartitico che dovrebbe formarsi<br />

il prossimo 26 marzo e alle politiche che saranno la chiave dell’agenda dei repubblicani del<br />

Sinn Féin nelle negoziazioni con il governo delle 26 contee (repubblica irlandese). Tra pochi<br />

giorni ci sono cruciali elezioni nel nord e tra pochi mesi quelle generali nel sud. <strong>Il</strong> Sinn Féin<br />

è l’unico partito irlandese che concorre in tutta l’isola. Rispondendo a chi gli rimprovera di<br />

rafforzare la divisione dell’Irlanda con la sua decisione di partecipare alle elezioni ed<br />

istituzioni nel nord e nel sud dell’isola, ieri il presidente del Sinn Féin ha chiarito il perché<br />

dell’impegno elettorale repubblicano: Sinn Féin vuole usare la sua partecipazione alle<br />

istituzioni per forzare politiche ed attuazioni che portino in modo irreversibile all’unità<br />

d’Irlanda. È questa la «missione storica» del Sinn Féin.<br />

• Irlanda del Nord. 3 marzo. Alla vigilia delle elezioni, Sinn Féin ribadisce i temi centrali<br />

del partito (sanità ed istruzione) ma non dimentica questioni che pure non sono, allo stato, di<br />

particolare premura per la maggioranza dei votanti, come la questione della connivenza tra i<br />

gruppi paramilitari lealisti e le forze di sicurezza britanniche, che tante vite sono costate non<br />

solo nel nord Irlanda, ma anche nella repubblica irlandese. Davanti alle telecamere che<br />

cercavano ansiosamente Gerry Adams, ad essere mandata per le interviste è stata spesso<br />

Amanda Fullerton, figlia di un consigliere del Sinn Féin ucciso a colpi d’arma da fuoco da<br />

paramilitari lealisti nel suo domicilio nella contea del Donegal (repubblica d’Irlanda).<br />

Questo è uno dei tanti casi irrisolti per i quali Sinn Féin reclama attenzione ed azione, tanto<br />

più ora che il partito repubblicano dà i suoi primi passi di implementazione della sua nuova<br />

politica di riconoscimento di una Polizia nordirlandese che ancora, in molti aspetti, continua<br />

ad essere parte della macchina repressiva che ha causato e mantenuto questa connivenza. La<br />

questione del sostegno ad una forza di polizia nordirlandese rifondata, approvata in una<br />

conferenza straordinaria del partito lo scorso 28 gennaio, è tornata ad essere discussa.<br />

Organizzazioni locali del partito hanno espresso opposizione e contrarietà. Si tratta di una<br />

decisione a lungo ponderata, ha detto Adams, e non è possibile tornare indietro. «<strong>Il</strong> Sinn<br />

Féin ha cambiato molto (..). Questo si deve al coraggio e alla dedizione di migliaia di<br />

persone che hanno dato il meglio della propria vita alla causa repubblicana... La pace deve<br />

essere costruita. Siamo i costruttori della pace. Siamo i costruttori della nazione», ha detto<br />

l’esponente repubblicano.<br />

• Irlanda del Nord. 3 marzo. «La transizione <strong>dal</strong> conflitto alla pace non è mai facile». Così<br />

il ministro dei servizi d’intelligence sudafricani, Ronnie Kasrils, che è stato uno dei membri<br />

fondatori dell’Umkhonto we Sizwe o MK, organizzazione militare affiliata all’ANC<br />

(African National Congress), che ha parlato alla conferenza del partito repubblicano per<br />

offrire l’esperienza sudafricana ai delegati irlandesi. Kasrils ha fatto riferimento alla<br />

decisione del Sinn Féin di appoggiare il lavoro della Polizia nordirlandese, sostenendo che<br />

un partito che guida, come è il caso del Sinn Féin, deve prendere decisioni difficili e<br />

controverse per la sua base se queste sono benefiche, in questo caso, per tutti gli irlandesi.<br />

Ha quindi aggiunto che la stessa forza, fiducia e resistenza che si mostra nella «lotta per la<br />

libertà» sono necessarie quando arriva il tempo della negoziazione. <strong>Il</strong> processo di pace<br />

sudafricano è stato sempre un referente per il Sinn Féin, e le sue relazioni con rappresentanti<br />

dell’ANC risalgono a tempi ed esperienze che precedono i processi tanto in Sudafrica come<br />

in Irlanda. Storicamente, per la discriminazione che i cattolici hanno sofferto ad opera dei<br />

governi unionisti, i repubblicani si sono identificati con le vittime dell’apartheid. Tra gli altri<br />

intervenuti, l’ambasciatore cubano in Irlanda, Noel Carrillo, ed il portavoce dell’illegalizzata<br />

Batasuna, formazione indipendentista basca, Arnaldo Otegi.<br />

6


• Irlanda del Nord. 3 marzo. Sanità ed educazione, il diritto alla casa (i repubblicani si<br />

impegnano alla costruzione iniziale di 5mila case all’anno e all’esproprio di quelle disabitate<br />

per porre fine alla speculazione urbanistica), proposte per la sicurezza sulle strade ed un<br />

ampio documento sui diritti dei lavoratori sono i temi su cui si discute al congresso del<br />

partito oltre alle tradizionali strategie per un’Irlanda unita. <strong>Il</strong> programma elettorale<br />

repubblicano include l’appoggio ai processi di pace in Euskal Herria e in Palestina, regole<br />

per un commercio giusto, la cancellazione del debito del terzo <strong>mondo</strong> e l’opposizione alla<br />

guerra in Iraq. Si lavorerà anche per indire un referendum sull’unità politica dell’isola.<br />

Sempre per il programma di governo, Sinn Féin vuole un regime fiscale controllato<br />

<strong>dal</strong>l’Assemblea di Stormont, si oppone alla privatizzazione dell’acqua, pone la necessità<br />

dell’incremento della spesa pubblica per i servizi sociali e per le zone rurali. In campo<br />

scolastico i repubblicani vogliono togliere ai centri educativi la potestà di scegliere gli<br />

studenti e trasferire ai genitori ed ai giovani la scelta del tipo di scuola. <strong>Il</strong> controllo della<br />

polizia e lo smantellamento delle strutture di connivenza tra lealisti e polizia sono i punti<br />

chiave della sicurezza per i repubblicani.<br />

• Colombia. 3 marzo. «11 militari morti e 38 feriti. Nelle nostre fila abbiamo perso 9<br />

combattenti, cui rendiamo un sentito tributo, e altri 12, che hanno riportato ferite, stanno<br />

guarendo in modo soddisfacente nei nostri ospe<strong>dal</strong>i». Lo comunica lo Stato Maggiore del<br />

Fronte 27 delle FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia – Esercito del<br />

Popolo). Nel villaggio Laureles, giurisdizione del municipio di Vista Hermosa nel<br />

dipartimento del Meta, ha avuto luogo un combattimento tra unità guerrigliere e truppe<br />

speciali della cosiddetta Forza Omega. «Nello sviluppo della demenziale politica uribista<br />

(Alvaro Uribe, presidente colombiano, ndr) di guerra contro il popolo, al servizio degli<br />

interessi statunitensi e con il pretesto di una crociata contro il terrorismo ed il<br />

narcotraffico, le truppe dell’esercito ufficiale conducono una vera e propria campagna di<br />

sterminio in cui gli sgomberi, la distruzione di ogni tipo di coltivazione con fumigazioni<br />

indiscriminate, i blocchi, le uccisioni di civili presentati ai media come risultati positivi<br />

contro la guerriglia, le sparizioni, le minacce, i bombardamenti generalizzati ed il furto di<br />

bestiame ed animali sono il pane quotidiano in queste regioni dimenticate del Paese. Gli<br />

immaginari bollettini militari diffusi <strong>dal</strong> bugiardo ministro della guerra Juan Manuel<br />

Santos, e dai generali subalterni agli ufficiali statunitensi, non riescono ad occultare la<br />

realtà della resistenza insorgente, che ogni giorno di più cresce e si riempie di gloria nelle<br />

battaglie per la Nuova Colombia». Dopo aver informato dell’«abbondante materiale di<br />

guerra» preso, le FARC invitano «il popolo colombiano a continuare a lottare ed a<br />

resistere in modo organizzato alla brutale offensiva del governo illegittimo e corrotto<br />

capeggiato da Uribe Vélez, con la certezza che la vera democrazia, l’indipendenza, la<br />

dignità e la giustizia sociale finiranno per imporsi sotto forma di un governo patriottico<br />

delle maggioranze, capace di agglutinare i diversi settori che oggi si oppongono all’attuale<br />

regime di terrore».<br />

• Iran / Arabia Saudita. 4 marzo. «Iran e Arabia Saudita devono lavorare uniti» nel <strong>mondo</strong><br />

islamico e in Medio Oriente. Lo ha detto il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad,<br />

prima di intraprendere il suo viaggio ufficiale a Riad che lo porterà ad incontrarsi con il re<br />

saudita. Oggetto dell’incontro questioni come gli scontri interconfessionali in Iraq, la crisi<br />

politica nel Libano («se il Libano chiede aiuto all’Iran per garantire la sua unità nazionale<br />

e la sua indipendenza, noi siamo disposti a collaborare») e il programma nucleare iraniano.<br />

• Venezuela. 4 marzo. «Negroponte assassino di professione». <strong>Il</strong> presidente Chávez denuncia<br />

i progetti di assassinarlo e dice che «sono cresciuti di peso» <strong>dal</strong>la designazione a numero<br />

due del Dipartimento di Stato USA di John Negroponte, che ha definito «assassino di<br />

7


professione». Nell’intervista concessa durante il nuovo programma televisivo dell’ex<br />

vicepresidente José Vicente Rangel, Chávez vede difficile la possibilità di un colpo di Stato<br />

o di un’insurrezione contro il suo governo pilotata da Washington, ma non esclude un<br />

attentato contro di lui. Secondo Chávez, in un tentativo di ucciderlo partecipò anni fa il Das,<br />

il servizio di spionaggio colombiano. Attualmente, ha aggiunto, «la gente di Posada<br />

Carriles (il terrorista anticastrista responsabile dell’attentato a un aereo cubano, ndr) si<br />

muove molto attivamente in Centro America e cerca di allacciare contatti in Venezuela».<br />

• Iraq. 5 marzo. L’Iraq potrebbe avere 2,3 milioni di sfollati al suo interno per fine anno a<br />

fronte dell’1,8 milione attuale. Lo ha sostenuto ieri l’Alto Commissario dell’ONU per i<br />

Rifugiati (ACNUR), Antonio Guterres, al Cairo.<br />

• Iran / Palestina. 5 marzo. <strong>Il</strong> movimento islamico di Hamas avrebbe inviato un numero<br />

imprecisato di militanti in Iran per ricevere addestramento militare. Lo scrive il New York<br />

Times che riporta l’analisi d’intelligence dei servizi segreti interni israeliani, lo Shin Bet. <strong>Il</strong><br />

capo dell’agenzia di intelligence, Yuval Diskin, ha dichiarato che il numero sarebbe<br />

destinato a crescere e che l’addestramento iniziato lo scorso mese, potrebbe andare avanti<br />

anni. <strong>Il</strong> portavoce del premier palestinese Ismail Haniyeh, Ahmed Youssef, ha respinto le<br />

accuse israeliane, definendole una propaganda mirata a colpire il nascente governo di unità<br />

nazionale palestinese. E forse, aggiungiamo noi, a preparare ancor meglio il terreno, per le<br />

opinioni pubbliche, per la già minacciata aggressione all’Iran.<br />

• Cina / USA. 5 marzo. Cina: + 17,8% per il budget per la difesa <strong>2007</strong>. L’annuncio, ieri, di<br />

Jiang Enzhu, portavoce del Congresso Nazionale del Popolo. Pechino prevede di spendere<br />

350,9 miliardi di yuan (44,94 miliardi di dollari). Secondo quanto riportato <strong>dal</strong> portavoce, il<br />

governo cinese destinerà alla difesa il 7,5 % delle spese totali dello Stato. La superiorità<br />

militare degli Stati Uniti rispetto alla Cina non è comunque messa in discussione. Infatti,<br />

con i vari supplementi alla richiesta iniziale di 439,3 miliardi di dollari, il Congresso degli<br />

Stati Uniti dovrebbe approvare un totale di 462,8 miliardi per il <strong>2007</strong>, mentre la richiesta per<br />

il 2008 è già di 481,4 miliardi di dollari. Resta il dato che le spese militari cinesi hanno<br />

mantenuto una crescita superiore al 10% nell’ultimo decennio, il che desta molta<br />

preoccupazione, soprattutto a Washington. Alla vertiginosa crescita economica Pechino<br />

affianca anche un incremento delle capacità militari che consentano di proteggere i suoi<br />

interessi nella regione. La Cina intende emergere quale principale attore regionale e non può<br />

permettersi di diventare un gigante economico rimanendo un nano militare. Dalla costante<br />

crescita delle spese militari cinesi emerge chiaro un messaggio: Pechino tiene ben presente<br />

la possibilità di ricorrere all’opzione militare per difendere i propri interessi strategici.<br />

• Cina / USA. 5 marzo. Negroponte critica l’assenza di trasparenza del budget militare<br />

cinese. Oggi, sul New York Times, il vicesegretario di Stato USA, John Negroponte,<br />

intervistato sulle scelte militari cinesi, ha criticato non tanto l’aumento in sé della spesa, ma<br />

la non trasparenza del budget. Negroponte ha riportato i dubbi espressi da diversi analisti<br />

militari sui dati ufficiali cinesi, che occulterebbero la reale quota di bilancio statale destinata<br />

al riarmo, che ammonterebbe a più del doppio.<br />

• Polonia / Ucraina. 6 marzo. Varsavia e Kiev vogliono una conferenza sull’energia con<br />

Azerbaigian, Kazakistan e Georgia. L’obiettivo è la promozione di un oleodotto che<br />

trasporti il petrolio del Kazakistan e dell’Azerbaigian verso la Polonia via Georgia ed<br />

Ucraina. Obiettivo dichiarato di Yushenko e Kaczynski è ridurre la propria dipendenza <strong>dal</strong>la<br />

Russia ed impedire “ricatti energetici” da parte di Mosca, che di recente si è fatta sentire<br />

anche con l’Azerbaigian. Tanto che negli scorsi mesi Tbilisi ha sottoscritto un’intesa con<br />

Baku e Ankara per trovare un’alternativa alle risorse energetiche provenienti da Mosca.<br />

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Attraverso l’accordo Varsavia e Kiev intendono soprattutto rispondere alla costruzione del<br />

“gasdotto del mare del Nord”, che toglie oggettivamente ai due paesi un’importante ruolo<br />

strategico, consentendo a Mosca di rifornire i paesi dell’Europa occidentale aggirando gli ex<br />

sudditi dell’Europa orientale. Da un punto di vista geostrategico, paesi come l’Azerbaigian<br />

mirano ad aumentare la propria capacità di contrattazione sia su Mosca ma anche su<br />

Washington, dato che si potrebbe discutere anche sull’eventualità o meno di consentire agli<br />

Stati Uniti di posizionare postazioni antimissile sul proprio territorio. In tal senso possono<br />

essere lette le dichiarazioni provenienti da Georgia e Azerbaijan giunte quasi in<br />

contemporanea, secondo cui i due paesi non avrebbero trovato nessun accordo con<br />

Washington sulla difesa antimissile<br />

• Somalia. 6 marzo. Violenti combattimenti oggi a Mogadiscio dopo che un centinaio di<br />

ribelli hanno attaccato i soldati del governo ad interim e i loro alleati etiopi presso una base<br />

all’interno dell’ex quartier generale della difesa nella zona industriale di Mogadiscio.<br />

L’edificio è divenuto nelle scorse settimane il quartier generale delle forze etiopiche. Questa<br />

mattina un gruppo di soldati (circa 400) dell’Uganda, parte di una missione di peace-keeping<br />

(8mila uomini) coordinata <strong>dal</strong>la Unione Africana, era arrivato nella capitale somala, dove il<br />

governo provvisorio e i suoi alleati etiopi devono fronteggiare quasi quotidianamente<br />

attacchi della guerriglia. Gli ugandesi rappresentano l’avanguardia della forza dell’Unione<br />

Africana messa in piedi per aiutare il governo provvisorio somalo a rendere sicuro il Paese<br />

del Corno d’Africa. Colpi di mortaio hanno preso di mira l’aeroporto, dove questi soldati si<br />

erano appena accampati.<br />

• USA / Palestina. 6 marzo. Washington rivedrà il progetto di fornire 86 milioni di dollari<br />

per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza leali al presidente palestinese Mahmoud<br />

Abbas. L’annuncio ieri con il prendere corpo del governo di unità nazionale formato da<br />

Fatah di Abbas e da Hamas, che guida l’attuale governo palestinese ma che gli USA<br />

considerano un’«organizzazione terroristica». <strong>Il</strong> Dipartimento di Stato aveva avviato il<br />

progetto per rafforzare la parte di Abbas contro Hamas e spingere alla guerra civile.<br />

• Sahara Occidentale. 7 marzo. Zapatero accetta il piano che nega l’indipendenza del<br />

Sahara. <strong>Il</strong> presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, ha accettato ieri<br />

che il piano di autonomia per il Sahara proposto <strong>dal</strong> Marocco sia «la base per dare impulso<br />

al dialogo tra entrambe le parti ed arrivare ad una soluzione definitiva». In tal modo<br />

Zapatero dà il suo appoggio al progetto marocchino che nega l’indipendenza del Sahara e la<br />

limita ad una autonomia. Madrid ha firmato con Rabat un accordo per vendere armi, mentre<br />

il Marocco faciliterà l’accesso dei pescherecci an<strong>dal</strong>usi nelle acque saharawi. La posizione<br />

di Zapatero è stata criticata <strong>dal</strong> presidente della Repubblica Saharawi, Mohamed Abdelaziz,<br />

che la considera «destabilizzatrice», e <strong>dal</strong>l’Algeria.<br />

• Sahara Occidentale. 7 marzo. Oltre l’aspetto territoriale, il Sahara Occidentale ha una forte<br />

valenza simbolica per il sovrano marocchino. Concedere l’indipendenza al popolo Saharawi,<br />

per Mohammed VI, significherebbe indebolire la propria immagine e ridurre il prestigio di<br />

cui gode tra i sudditi. Inoltre, in una prospettiva internazionale, l’Algeria diverrebbe, a<br />

seguito di una concessione di questo tipo, il vero Paese leader della sponda africana del<br />

Mediterraneo. Alla valenza simbolica, si affiancano ragioni economiche. <strong>Il</strong> Sahara<br />

Occidentale, infatti, è una zona particolarmente ricca di petrolio e fosfati, una risorsa<br />

energetica preziosa, cui Mohammed VI non intende rinunciare. Importanti risorse che il<br />

popolo Saharawi sta cercando di sfruttare, per sostenere la propria causa. Nel 2006 sono<br />

state siglate intese commerciali con diverse compagnie petrolifere straniere, per lo<br />

sfruttamento delle risorse energetiche off-shore.<br />

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• Sahara Occidentale / USA. 7 marzo. Gli Stati Uniti si trovano in una delicata posizione.<br />

La Casa Bianca non intende scontentare né il Marocco né l’Algeria, preoccupata dei risvolti<br />

economici della penetrazione cinese in Africa. Ignorare la questione del Sahara Occidentale<br />

può essere un tentativo per ridurre l’interesse marocchino per la Cina e la Russia, i due<br />

colossi asiatici partiti alla conquista dell’Africa.<br />

• Israele. 8 marzo. Prove generali d’Israele per il bombardamento all’Iran? «Ampie»<br />

esercitazioni militari di velivoli israeliani autorizzate <strong>dal</strong>le autorità cipriote si sono svolte<br />

lunedì nello spazio aereo della Repubblica di Cipro. Lo ha riferito ieri la stampa grecocipriota.<br />

La notizia era stata diffusa l’altro ieri <strong>dal</strong>la rivista greca Diplomatia, che si occupa<br />

di difesa. Secondo vari osservatori si tratta di una «prova generale» per un eventuale<br />

bombardamento israeliano ai danni di impianti nucleari iraniani. <strong>Il</strong> direttore dell’aviazione<br />

civile di Cipro, Leonidas Leonidou, ha ammesso che le autorità cipriote hanno autorizzato il<br />

sorvolo dello spazio aereo di Nicosia a soli sei aeroplani, mentre, secondo la rivista greca, le<br />

manovre sono state condotte da 26 velivoli: sette Boeing 703, un Gulfstream equipaggiato<br />

per la guerra elettronica e 25 caccia, tra F-<strong>15</strong> ed F-16.<br />

• Israele. 8 marzo. Pianificata l’aggressione israeliana in Libano dello scorso luglio. Lo<br />

scrive il quotidiano israeliano Haaretz che riporta una testimonianza di Olmert. L’attuale<br />

primo ministro israeliano ha affermato di aver scatenato l’aggressione del Libano dello<br />

scorso anno attenendosi ad un «piano di emergenza» («contingency plan») da lui già<br />

approvato quattro mesi prima. Olmert, sotto attacco per la gestione fallimentare della<br />

controproducente guerra durata 34 giorni, ha dichiarato il mese scorso, a seguito di<br />

un’inchiesta giudiziaria, che la cattura dei due soldati israeliani il dodici luglio ha fatto<br />

scattare i piani per un attacco su larga scala del Libano. Gli inquirenti della “Commissione<br />

Winograd” (che sta indagando sulle cause dei deludenti risultati del conflitto per Israele)<br />

dovrebbero pubblicare un rapporto per questo mese. Haaretz non specifica come ha appreso<br />

i dettagli della testimonianza di Olmert del primo febbraio. Di fronte a diverse opzioni,<br />

Olmert scelse quella che il giornale israeliano definisce come un «piano moderato» che<br />

includeva attacchi aerei con limitate operazioni di terra. Più di un migliaio di morti, diverse<br />

migliaia di feriti e più di un milione di rifugiati (su una popolazione poco sotto i 4 milioni),<br />

oltre a colossali danni all’ambiente ed alle infrastrutture, sono le devastazioni arrecate al<br />

Libano <strong>dal</strong>l’aggressione sionista.<br />

• Israele. 8 marzo. Durante l’audizione davanti alla “Commissione Winograd” –che indaga<br />

sul modo in cui è stata condotta l’aggressione in Libano– il premier israeliano Ehud Olmert<br />

ha anche sostenuto di aver avuto incontri sulla situazione in Libano più di qualsiasi altro<br />

predecessore, il primo dei quali l’8 gennaio dello scorso anno, quattro giorni dopo aver<br />

assunto la guida del governo a seguito dell’ictus che ha colpito Ariel Sharon. E poi ancora<br />

incontri ci sono stati a marzo, aprile, maggio e luglio, qualche giorno dopo il rapimento (il<br />

25 giugno) del caporale Gilad Shalit nella Striscia di Gaza. E a marzo, racconta ancora il<br />

quotidiano israeliano, Olmert chiese ai comandanti se esistesse un piano operativo che<br />

prevedesse una reazione «a un eventuale rapimento di militari israeliani in Libano<br />

[sottolineatura nostra, ndr]». Dinanzi alla loro risposta positiva, il premier chiese di poter<br />

vedere quei piani per evitare di dover prendere una decisione improvvisa nel caso si fosse<br />

presentata quella circostanza. Tra le varie opzioni presentate, scelse una definita<br />

«moderata», che prevedeva attacchi aerei accompagnati da una limitata operazione di terra.<br />

Sulla decisione di nominare ministro della Difesa Peretz, Olmert ha ricordato che secondo<br />

gli accordi di coalizione quel portafoglio spettava ai laburisti, mentre sull’avvio delle<br />

operazioni di terra 48 ore prima della tregua il premier ha spiegato di averlo deciso per<br />

influenzare il dibattito in corso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla<br />

risoluzione 1701 in modo che fosse il più possibile favorevole a Israele.<br />

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• Libano. 8 marzo. «Tali <strong>notizie</strong> non ci sorprendono, era tutto chiaro già la scorsa estate.<br />

Dichiarai subito che Israele aveva usato un pretesto (i due soldati catturati da Hezbollah al<br />

confine, <strong>dal</strong>la parte del territorio libanese, ndr) per lanciare un’aggressione gravissima<br />

contro il Libano. Avevamo intuito che si trattava di un piano preparato con cura ed eseguito<br />

al momento opportuno. Spero che la Comunità internazionale ora prenda in considerazione<br />

questa realtà e non dimentichi le distruzioni immense, le sofferenze enormi, i tanti morti<br />

subiti <strong>dal</strong>la nostra popolazione civile». Immediata la replica, oggi, del presidente libanese<br />

Emile Lahoud alle dichiarazioni di Ehud Olmert davanti alla Commissione Winograd che<br />

indaga sulla conduzione della guerra in Libano riportate ieri <strong>dal</strong> quotidiano Ha’aretz.<br />

Ammissioni che spazzano via l’idea, sostenuta lo scorso anno da molti, di un Israele colto di<br />

sorpresa, impreparato, di fronte all’azione compiuta da Hezbollah. <strong>Il</strong> fallimento delle forze<br />

armate israeliane in Libano del sud assume una dimensione ancora più devastante: erano<br />

pronte a scattare, ma ciò non le ha aiutate a sbaragliare le centinaia di guerriglieri Hezbollah<br />

che opponevano resistenza sul terreno e, tantomeno, a bloccare il lancio di razzi katiusha<br />

nello Stato ebraico.<br />

• Ecuador. 8 marzo. Si fa durissimo lo scontro politico in Ecuador. Appello del presidente<br />

alla «resistenza pacifica» contro la maggioranza del Congresso che si oppone all’assemblea<br />

costituente. <strong>Il</strong> Tribunale Supremo Elettorale ha il primo marzo fissato la consulta popolare in<br />

merito per il <strong>15</strong> aprile. Nello scontro istituzionale in corso, il presidente ecuadoriano Rafael<br />

Correa ha intimato a 57 deputati di accettare la sentenza della Corte elettorale che li ha<br />

licenziati. La decisione del Tribunale Supremo Elettorale di sospendere i 57 era arrivata<br />

dopo che i deputati avevano a loro volta chiesto l’impeachment di quattro membri sui sette<br />

che compongono la Corte incluso lo stesso presidente del Tribunale Supremo, Jorge Acosta,<br />

dopo che quella aveva approvato un referendum sulla revisione della Costituzione. Quando i<br />

57 deputati hanno tentato di occupare i loro seggi, sono stati fermati da un cordone di<br />

poliziotti e da manifestanti filogovernativi. <strong>Il</strong> referendum è stato chiesto da Correa per<br />

ristrutturare il Congresso, in vista delle sue riforme di rottura nei confronti del Fondo<br />

Monetario e della Banca Mondiale. I sondaggi di opinioni mostrano che il 70% degli<br />

ecuadoriani appoggia il presidente. Dalla stragrande maggioranza della popolazione la<br />

costituente, sostiene l’analista politico e filosofo Matteo Martinez è sostenuta perché<br />

«percepita come la possibilità di un cambiamento di un sistema politico ed economico<br />

profondamente corrotto».<br />

• Ecuador. 8 marzo. L’accordo che concede ai militari statunitensi l’operatività della base di<br />

Manta non sarà rinnovato. Lo ha assicurato il presidente Correa nel corso di un incontro con<br />

Helga Serrano, dirigente della Coalición No Base Ecuador. L’accordo scade nel 2009.<br />

• Bolivia. 8 marzo. <strong>Il</strong> rifiuto della guerra nella nuova Carta Magna boliviana. È la proposta<br />

che il presidente Evo Morales, in visita ufficiale in Giappone, ha annunciato che porterà<br />

all’Assemblea Costituente. «Noi popoli indigeni boliviani e americani viviamo in armonia<br />

con la Madre Terra. Per questo apparteniamo alla cultura della vita e non condividiamo<br />

politiche di militarizzazione o di nuclearizzazione», ha affermato Morales.<br />

• Irlanda del Nord. 9 marzo. Vincono DUP e Sinn Féin. Superiore al 63,8% del 2003<br />

l’affluenza alle urne. I risultati del voto, annunciati nel tardo pomeriggio di oggi,<br />

confermano infatti che il Democratic Unionist Party (Dup), il più oltranzista dei partiti<br />

unionisti, è il maggiore partito nelle Sei Contee occupate e ha ottenuto oltre il 30,1% dei<br />

consensi e 36 seggi (sei in più di quelli ottenuti nel 2003) sui 108 dell’Assemblea. Subito<br />

dietro il Sinn Fein, partito cattolico nazionalista, braccio politico dell’IRA (Esercito<br />

Repubblicano Irlandese), che ha ricevuto il 26,2% dei voti e ha conquistato 28 seggi (quattro<br />

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in più rispetto alle precedenti elezioni). I leader dei due partiti, il reverendo Ian Paisley del<br />

DUP e Gerry Adams e Martin McGuinness del Sinn Féin, sono stati rieletti a grande<br />

maggioranza. Secondo il sistema proporzionale in vigore, altri quattro partiti minori si sono<br />

divisi i restanti seggi. <strong>Il</strong> moderato Ulster Unionists Party, che fino a pochi anni fa era il<br />

partito di riferimento per gli unionisti, è stato il grande perdente ottenendo meno del <strong>15</strong>%<br />

(solo diciotto dei ventisette seggi che aveva). <strong>Il</strong> SDLP (nazionalisti moderati,<br />

socialdemocratici) ha perso due seggi ed ora ne ha sedici. L’Alliance Party (per la<br />

cooperazione repubblicani-unionisti) 7. I restanti 3 seggi sono andati a formazioni minori. I<br />

settori –sia repubblicani, sia unionisti– contrari agli Accordi del Venerdì Santo e di Saint<br />

Andrews, sono usciti nettamente sconfitti. È il caso di Robert McCartney, esponente<br />

dell’UKUP (Partito Unionista del Regno Unito) e contrario al processo di pace: si<br />

presentava in sei distretti elettorali e non ha conseguito nessun seggio, come il suo partito,<br />

sparito <strong>dal</strong>la mappa politica. Un suo successo (tredici i candidati) sarebbe stata chiaramente<br />

una brutta notizia per il processo di pace, giacché la sua vittoria avrebbe potuto essere intesa<br />

come una perdita per il DUP, e favorire le componenti oltranziste contrarie ad un cambio di<br />

politica dentro il partito, come la formazione di un governo con il Sinn Féin. Lo stesso può<br />

dirsi di coloro che, da una prospettiva repubblicana, ritenevano che il Sinn Féin avesse<br />

concesso troppo accettando una polizia nordirlandese sia pur riformata. Nessun eletto ed i<br />

voti che hanno avuto non hanno causato alcuna perdita al Sinn Féin.<br />

• Irlanda del Nord. 9 marzo. Partono ora i delicati negoziati per formare un Governo entro<br />

la scadenza del 26 marzo imposta da Londra e Dublino. Se i partiti nordirlandesi riusciranno<br />

a nominare un governo condiviso (cioè con ministri sia dello schieramento repubblicano<br />

nazionalista che unionista) allora Londra mollerà il direct rule, il controllo diretto di questa<br />

parte di isola irlandese. Ma se il 26 marzo il nuovo parlamento uscirà con un nulla di fatto,<br />

allora l’Assemblea Stormont, già chiusa <strong>dal</strong> 2002, verrà nuovamente sospesa. A quel punto<br />

per le sei contee nordirlandesi sarebbe davvero difficile sostenere una tale situazione.<br />

L’Assemblea di Stormont, il parlamento regionale, fu istituita con la storica intesa di pace<br />

del 1998, passata alla storia come «l’Accordo del Venerdì Santo». Gli esperti sono convinti<br />

che il reverendo presbiteriano Ian Paisley cercherà di tirare fino all’ultimo ma poi darà luce<br />

verde per evitare che Dublino, con Londra che progressivamente si sta sganciando,<br />

acquisisca voce in capitolo diretta sulle Sei Contee occupate. Ciò che conta, secondo gli<br />

esperti, è che Paisley sia primo con un netto margine di vantaggio. In tal modo potrà<br />

convincere la propria base di poter dettare le condizioni. Secondo la recente riforma<br />

elettorale chi ha la maggioranza relativa esprime il Primo ministro e il secondo classificato il<br />

vicepremier. Sotto Paisley vi sarà dunque MacGuinness, in una sorta di Governo di unità<br />

nazionale.<br />

• Germania. 9 marzo. A volte ritornano: strategia tedesca per il rilancio della Costituzione<br />

Europea evitando il ricorso ai referendum popolari. Angela Merkel, il cancelliere tedesco<br />

presidente di turno dell’UE, intende arrivare, entro un anno al massimo, all’approvazione di<br />

una mini Costituzione Europea da far ratificare senza indizione di referendum nazionali.<br />

Anche se la dimensione del Trattato sarebbe molto ridotta rispetto a quello concordato dai<br />

governi dell’Unione Europea nel 2004 ma poi respinto da francesi e olandesi nei referendum<br />

del 2005, i punti chiave verrebbero riproposti. Secondo indiscrezioni raccolte <strong>dal</strong> quotidiano<br />

inglese The Guardian, per raggiungere l’obiettivo la Merkel intende: far firmare il prossimo<br />

25 marzo ai leaders europei la “dichiarazione di Berlino” per rilanciare il processo di un<br />

Trattato Europeo approfittando dell’anniversario dei 50 anni <strong>dal</strong>la firma del Trattato di<br />

Roma; indire una conferenza di governi UE in giugno; far redigere un Trattato entro<br />

dicembre; farlo approvare a tutti gli Stati membri entro febbraio 2008.<br />

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• Germania. 9 marzo. Secondo The Guardian, la Merkel deve comunque ancora persuadere i<br />

dubbiosi e ricercare accordi, in particolare con la Gran Bretagna, sebbene il governo Blair<br />

abbia già dato il suo assenso ai cambiamenti chiave nel modo in cui la UE è organizzata.<br />

Ossia: una presidenza europea singola con termine prefissato che sostituisca l’attuale<br />

sistema della rotazione semestrale tra i 27 paesi; un unico “ministro degli esteri” europeo<br />

che rappresenti una linea comune dell’UE negli affari interni (sebbene la qualifica ufficiale<br />

non sarà quella di “ministro degli esteri”; un sistema di votazione a doppia maggioranza nei<br />

consigli dell’UE che erode i diritti di veto nazionali e che, per la prima volta, riconosce la<br />

posizione della Germania come il più grande ed il più potente tra i paesi dell’UE). Questi<br />

erano i cambiamenti centrali concordati nel 2004 e sfumati nel 2005 e che probabilmente<br />

sopravviveranno nella nuova versione “semplificata” del Trattato che si sta negoziando. Per<br />

rendere il progetto più appetibile agli scettici come Gran Bretagna, Polonia e Repubblica<br />

Ceca, e soprattutto per evitare qualsiasi ricorso ad un referendum popolare sul progetto, lo<br />

statuto non sarà più chiamato Costituzione, ma “Trattato” o “Trattato semplificato”.<br />

• Israele / Palestina. 9 marzo. «Bambina come scudo umano» a Nablus. La denuncia arriva<br />

direttamente da lei, l’11enne palestinese Jihan Daadush, che ha raccontato a B’Tselem,<br />

organizzazione israeliana per i diritti umani, cosa le avrebbero fatto i militari israeliani nella<br />

sua Nablus, città del nord della Cisgiordania. La settimana scorsa l’esercito occupante ha<br />

condotto una serie di raid e operazioni «a caccia di terroristi». «Un soldato mi ha ordinato<br />

di dirigermi verso una casa (da perquisire, ndr), tre altri militari mi seguivano», ha detto<br />

Jihan. «Quando abbiamo raggiunto l’abitazione mi hanno ordinato di entrare e io ho<br />

obbedito». Dopo averla usata come scudo umano per ripararsi da eventuali colpi dei<br />

combattenti palestinesi, un militare, sempre secondo il racconto della bambina, le avrebbe<br />

detto «Grazie per l’aiuto, ma non raccontarlo a nessuno». Quella di utilizzare i civili come<br />

scudi umani è una pratica vietata <strong>dal</strong>la legge israeliana e <strong>dal</strong>le convenzioni internazionali.<br />

L’esercito ha fatto sapere che verificherà la denuncia. Intanto, in un video trasmesso sui<br />

circuiti internazionali ed anche <strong>dal</strong>la italiana RAI, si vede un giovane palestinese utilizzato<br />

come scudo umano da militari israeliani, prima che questi facciano di volta in volta<br />

irruzione nelle case palestinesi.<br />

• Siria. 9 marzo. Damasco starebbe dislocando migliaia di razzi lungo il confine con Israele.<br />

Timore che il paese finisca nelle mire d’Israele come il Libano? Non entra in merito il sito<br />

Debka, legato all’intelligence israeliana che ricalca quanto diffuso <strong>dal</strong>l’agenzia di stampa<br />

francese Afp, la quale dichiara con certezza che la Siria sta dislocando razzi a medio e lungo<br />

raggio, capaci di colpire le città settentrionali di Israele. Nel suo rapporto Afp parla di razzi<br />

da 220mm e 302mm che, con i loro 100 km di gittata, possono raggiungere le città di Haifa,<br />

Tiberias e Kiryat Shemona. Diversi lanciatori di sistemi Frog (razzi terrestri non guidati),<br />

con testata da 550 chilogrammi e raggio d’azione di 70 chilometri, sarebbero stati dislocati<br />

nei pressi del confine e nelle vicinanze di Damasco. Aver concentrato gran parte dei missili<br />

a lunga gittata nel nord del Paese, lascia pensare che Damasco si stia organizzando per<br />

anticipare un’invasione delle forze di difesa israeliane. Infatti, se Tel Aviv cercasse di<br />

attraversare il confine per distruggere le batterie nemiche, i razzi Frog e i missili a lunga<br />

gittata verrebbero lanciati contro le truppe israeliane. Le fonti Afp ipotizzano che la Siria si<br />

stia preparando ad affrontare una guerra a bassa intensità. Uno scenario d’attacco alla Siria è<br />

già previsto <strong>dal</strong>l’intelligence israeliano.<br />

• Afghanistan. 9 marzo. «La risoluzione dei problemi in Afghanistan non potrà avvenire in<br />

tempi brevissimi». Lo dice a <strong>Il</strong> Messaggero il generale Mauro Del Vecchio, ex comandante<br />

della missione ISAF a Kabul (agosto 2005-maggio 2006) premiato a Parma come “Uomo<br />

dell’anno <strong>2007</strong> - una vita per la pace”. Del Vecchio ricorda che, durante il periodo del suo<br />

comando, di attacchi «ce ne sono stati di numerosi, purtroppo. Ci furono dei caduti e<br />

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vivemmo quei momenti con grande dolore». <strong>Il</strong> generale auspica un ulteriore sforzo sul piano<br />

militare, «ma senza tralasciare gli interventi in termini di aiuti finanziari».<br />

• Cina. 9 marzo. La proprietà privata ora è garantita per legge. Formalmente la sta discutendo<br />

da ieri l’Assemblea del Popolo, che alla fine approverà. <strong>Il</strong> tema era dibattuto da 14 anni. La<br />

bozza presentata è un compromesso quanto a toni, definizioni e dispositivi, ma apre una<br />

breccia epocale soggetta ad essere allargata, quando i tempi lo consentiranno. Una breccia<br />

che comunque era stata ben delineata con la modifica apportata nel 2004 alla Costituzione<br />

quando nella legge fondamentale si era aggiunto che «La proprietà privata legale dei<br />

cittadini è inviolabile». Nella presentazione si dice che «la legge è resa necessaria <strong>dal</strong>la<br />

necessità di rafforzare le basi del sistema economico socialista» in uno Stato «al primo<br />

stadio del socialismo», dove «la proprietà pubblica resta dominante ma le altre forme di<br />

proprietà si sviluppano e operano fianco a fianco». Così che «lo Stato consolida e sviluppa<br />

il settore della proprietà pubblica e incoraggia, sostiene e guida lo sviluppo del settore<br />

economico non pubblico».<br />

• Cina. 9 marzo. Nell’accezione più limitata, la legge, che consta di 247 articoli suddivisi in<br />

5 parti, servirà a delimitare i confini della proprietà e come sarà possibile ottenerla, venderla<br />

o trasmetterla nei tre settori fondamentali: proprietà pubblica, collettiva (che riguarda<br />

soprattutto i villaggi e le contee) e privata, andando a toccare anche i regolamenti<br />

condominiali. Su una questione importante, tuttavia, gli oppositori hanno ottenuto una<br />

vittoria sostanziale: la proprietà delle terre agricole non sarà privatizzata. Resta in vigore il<br />

sistema in base al quale la proprietà è collettiva e le famiglie contadine ne “posseggono”<br />

l’uso sulla base di contratti le cui scadenze sono sempre più a lungo termine (fino a 50 anni).<br />

«Si è preso atto» ha spiegato il vice presidente Wang «che non si è ancora stabilita nelle<br />

nostre campagne una rete di sicurezza sociale». Non vi sono dunque le condizioni per fare a<br />

meno di un sistema che rappresenta una sorta di welfare per gli agricoltori.<br />

• USA. 9 marzo. «Una volta erano le colonie, oggi sono le 700 basi militari e 2 milioni di<br />

soldati nel <strong>mondo</strong> a misurare la potenza di Washington». Così Chalmers Johnson, storico<br />

statunitense, scrive nel suo ultimo libro “Nemesis: the last days of the american republic”<br />

(Metropolitan Books).<br />

«Una volta si poteva seguire l’espansione dell’imperialismo contando le colonie. La<br />

versione statunitense delle vecchie colonie sono le basi militari. Seguendo su scala globale i<br />

cambiamenti che riguardano le basi possiamo conoscere molto dell’“impronta” imperiale<br />

americana e del militarismo che l’accompagna. Non è facile tuttavia valutare le dimensioni<br />

o il valore esatto dell’impero di basi militari degli Stati Uniti. I dati ufficiali disponibili<br />

sull’argomento sono fuorvianti, anche se istruttivi. Secondo il Base structure report –gli<br />

inventari (<strong>dal</strong> 2002 al 2005) delle proprietà immobiliari possedute nel <strong>mondo</strong> <strong>dal</strong><br />

dipartimento della difesa– ci sono stati molti cambiamenti nel numero delle installazioni.<br />

Nel 2005 le basi militari americane all’estero erano 737. E a causa della presenza militare<br />

in Iraq e della strategia della guerra preventiva del presidente George W. Bush, il numero<br />

continua ad aumentare. <strong>Il</strong> Pentagono può considerarsi uno dei più grandi proprietari<br />

terrieri del <strong>mondo</strong>».<br />

• USA. 9 marzo. <strong>Il</strong> Base structure report del 2005 non fa però parola di tutte le guarnigioni e<br />

basi effettivamente occupate dagli Stati Uniti nel <strong>mondo</strong>. «Omette, ad esempio», prosegue<br />

Johnson, «nella provincia autonoma del Kosovo, l’immenso Camp bondsteel, costruito nel<br />

1999 e gestito <strong>dal</strong>la Kbr corporation (già conosciuta come Kellogg Brown & Root), una<br />

filiale della Halliburton corporation di Houston. Omette anche le basi in Afghanistan, in<br />

Iraq (106 guarnigioni nel maggio del 2005), in Israele, in Kirghizistan, in Qatar e in<br />

Uzbekistan, nel golfo Persico e nell’Asia centrale. <strong>Il</strong> rapporto non comprende le venti<br />

14


installazioni in Turchia, tutte di proprietà del governo turco e usate congiuntamente con gli<br />

statunitensi. <strong>Il</strong> Pentagono omette inoltre <strong>dal</strong> suo resoconto gran parte delle strutture militari<br />

e di spionaggio situate in Gran Bretagna, del valore di 5 miliardi di dollari, che sono state<br />

camuffate da basi dell’aeronautica militare del Regno Unito. Se ci fosse una stima veritiera,<br />

l’impero militare statunitense supererebbe le mille basi all’estero. Ma nessuno, e forse<br />

nemmeno il Pentagono, ne conosce il numero esatto. In alcuni casi sono i paesi stranieri a<br />

tenere segrete le loro basi USA, temendo ripercussioni imbarazzanti se venisse a galla la<br />

loro complicità con l’imperialismo USA. In altri casi il Pentagono ha sminuito l’importanza<br />

della costruzione di impianti destinati a gestire le fonti energetiche oppure, come in Iraq, ha<br />

conservato una rete di basi per mantenere l’egemonia sul paese, qualunque sia il futuro<br />

governo iracheno».<br />

• USA. 9 marzo. Washington cerca di non divulgare nessuna informazione sulle basi che usa<br />

per intercettare le comunicazioni globali né sugli arsenali e sui depositi di armamenti<br />

nucleari. Lo storico statunitense Chalmers Johnson cita William Arkin, esperto di questioni<br />

militari: «gli Stati Uniti hanno mentito a molti dei loro più stretti alleati, perfino all’interno<br />

della NATO, sui loro progetti nucleari. Decine di migliaia di testate nucleari, centinaia di<br />

basi, decine di navi e sottomarini vivono in un <strong>mondo</strong> segreto, senza nessun ragionevole<br />

motivo tattico». Prosegue Johnson: «in Giordania, per limitarci a un solo esempio,<br />

Washington ha dislocato cinquemila soldati in varie basi lungo il confine con l’Iraq e la<br />

Siria. La Giordania ha anche collaborato agli “interrogatori” dei prigionieri catturati<br />

<strong>dal</strong>la CIA. E malgrado tutto continua a sostenere di non avere nessun accordo particolare<br />

con gli Stati Uniti, e che sul suo territorio non c’è nessuna base e nessun tipo di presenza<br />

militare americana. <strong>Il</strong> paese è formalmente sovrano ma in realtà è un satellite degli Stati<br />

Uniti, e lo è da almeno dieci anni».<br />

• USA. 9 marzo. Nel 2005 ci sono state molte variazioni nello spiegamento militare in patria<br />

e all’estero. La causa è stata una serie di cambiamenti strategici necessari per conservare il<br />

dominio globale e chiudere le basi in esubero in patria. «In realtà», dice Johnson, «molti di<br />

questi cambiamenti dipendono <strong>dal</strong>l’intenzione dell’amministrazione Bush di punire i paesi –<br />

e gli stati all’interno della federazione americana– che non hanno appoggiato l’intervento<br />

in Iraq, e di premiare chi lo ha sostenuto. Così le basi negli Stati Uniti sono state spostate<br />

nel sud. Negli stati meridionali, sostiene il quotidiano The Christian Science Monitor, “c’è<br />

più sintonia con le tradizioni marziali” rispetto al nordest, al midwest o alla costa del<br />

Pacifico. Secondo un imprenditore del North Carolina, soddisfatto dei suoi nuovi clienti, “i<br />

militari vanno dove hanno più sostegno”. <strong>Il</strong> programma di chiusura delle basi avviato nel<br />

2005 era in realtà un programma di consolidamento e di allargamento, con un enorme<br />

afflusso di finanziamenti e di fornitori dirottati verso poche zone chiave. Al tempo stesso<br />

l’apparente riduzione della presenza dell’impero all’estero è in realtà una crescita<br />

esponenziale di un nuovo tipo di basi –senza familiari e senza le strutture a loro destinate–<br />

situate nelle aree più remote, dove finora non c’è mai stata una presenza militare<br />

statunitense. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, era chiaro che l’alta<br />

concentrazione di forze militari americane in Germania, Italia, Giappone e Corea del Sud<br />

non era più essenziale per far fronte a eventuali minacce: non ci sarebbero più state guerre<br />

con l’Urss né con altri paesi di quell’area. L’amministrazione di George Bush senior<br />

avrebbe dovuto cominciare a disarmare o a trasferire le forze militari in esubero. Più tardi<br />

Bill Clinton chiuse varie basi in Germania, nella zona di Fulda, che un tempo si pensava<br />

fosse la via più probabile per un’invasione sovietica dell’Europa».<br />

• USA. 9 marzo. «Alla fine degli anni Novanta», dice Jonhson, «i neocon misero a punto<br />

teorie grandiose per promuovere apertamente l’imperialismo della “superpotenza unica”:<br />

azioni militari preventive unilaterali, la diffusione della democrazia all’estero con le armi,<br />

<strong>15</strong>


l’eventualità di ostacolare l’emergere di qualsiasi paese o blocco di paesi “quasi alla pari”<br />

in grado di sfidare la supremazia militare americana e un Medio Oriente “democratico”<br />

che avrebbe rifornito gli USA di tutto il petrolio di cui avevano bisogno. Un elemento di<br />

questo immenso progetto era il riposizionamento e l’ottimizzazione delle forze armate. Era<br />

inoltre previsto un programma per trasformare l’esercito in una forza militare più leggera,<br />

agile e ad alta tecnologia: grazie a questa mossa, secondo le previsioni, si sarebbero<br />

liberati dei fondi consistenti da investire in operazioni di polizia globale».<br />

• USA. 9 marzo. E per le basi all’estero? Lo storico statunitense entra nel merito: «Per<br />

potersi espandere in nuove zone, i ministeri degli esteri e della difesa devono negoziare con<br />

i paesi stranieri un accordo specifico, il cosiddetto Status of forces agreement (Sofa).<br />

Devono inoltre siglare molti protocolli d’intesa, come il diritto di accesso per i velivoli e le<br />

navi nelle acque territoriali e nei cieli stranieri. Inoltre devono ottenere la firma del<br />

cosiddetto Artide 98 agreement, basato sull’articolo 98 dello Statuto di Roma della Corte<br />

penale internazionale. L’accordo consente di sottrarre i cittadini americani in territorio<br />

straniero <strong>dal</strong>la giurisdizione della Corte. Questi trattati di immunità sono stati creati con<br />

una legge statunitense del 2002 (l’American service members’ protection act) per<br />

proteggere il personale militare all’estero. Gli altri accordi internazionali bilaterali<br />

indispensabili sono quelli di cooperazione nel settore militare tra Stati Uniti e forze della<br />

NATO, che riguardano il rifornimento e lo stoccaggio di carburante per gli aerei e le<br />

munizioni, i contratti di affitto per le proprietà immobiliari, gli accordi bilaterali di<br />

sostegno politico ed economico agli Stati Uniti (il cosiddetto sostegno della nazione-ospite),<br />

le disposizioni per le esercitazioni e l’addestramento (sono consentiti gli atterraggi<br />

notturni? E le esercitazioni di tiro con armi cariche?) e le responsabilità ambientali per<br />

l’inquinamento. Quando gli Stati Uniti non sono presenti nei paesi stranieri come<br />

conquistatori o salvatori –come è accaduto in Germania, Giappone e Italia dopo la seconda<br />

guerra mondiale e in Corea del Sud dopo l’armistizio della guerra di Corea nel 1953– è<br />

molto più difficile che riescano a ottenere quegli accordi che consentono al Pentagono di<br />

fare ciò che vuole, lasciando al paese ospite l’onere di pagare il conto».<br />

• Irlanda del Nord. 10 marzo. I dirigenti dello Sinn Féin lo stanno ripetendo in queste ore: il<br />

DUP ha voluto queste elezioni come un referendum sull’Accordo di St. Andrews (13 ottobre<br />

2006) per assicurarsi che il documento contasse sull’appoggio della gente ed ora devono<br />

accettare il risultato. «<strong>Il</strong> popolo ha parlato e hanno detto ‘andiamo a farlo’ (il governo<br />

multipartitico, ndr) e questo è quel che deve fare Ian Paisley», ha detto Gerry Adams,<br />

presidente della formazione repubblicana. In seguito ad un incontro con il ministro<br />

britannico per l’Ulster, Peter Hain, Adams ha affermato di «sperare che entrambi i governi<br />

(britannico e irlandese, ndr) accettino quello che la gente a maggioranza ha votato. Spetta<br />

ora ai politici locali, che hanno chiesto un mandato, eseguire quel mandato nelle istituzione<br />

create con l’accordo del Venerdì Santo». Ieri, in conferenza stampa, il candidato alla carica<br />

di viceprimo ministro nordirlandese e responsabile della delegazione negoziale del partito<br />

repubblicano, Martin McGuinness, ha ricordato che il Sinn Féin è «ansioso» di accettare la<br />

sfida della formazione del governo ed «è preparato». Da parte sua il dirigente del partito<br />

oltranzista unionista DUP (Democratic Unionist Party), Ian Paisley, non si smentisce: sì ad<br />

un possibile governo multipartitico «sempre e quando io sia convinto dell’impegno<br />

repubblicano per la pace». All’interno del partito, figure come Peter Robinson, Jeffrey<br />

Donaldson o Gregory Campbell, che non scartano la formazione di un governo con i<br />

repubblicani, hanno ricevuto tanto appoggio, in termini di voti, quanto coloro che si<br />

oppongono alla negoziazione con il Sinn Féin, tra i quali Nigel Dodds o il reverendo<br />

William McCrea.<br />

16


• Gran Bretagna / Iraq. 10 marzo. Blair nega di aver influito sulla legge irachena del<br />

petrolio. <strong>Il</strong> governo di Tony Blair nega di aver partecipato o influito su una legge che<br />

prevede che i benefici dello sfruttamento petrolifero siano sì ripartiti tra le 18 province<br />

dell’Iraq, ma dà il controllo alle multinazionali.<br />

• Israele / Palestina. 10 marzo. «È apartheid» nei Territori Occupati. L’ex presidente USA<br />

Jimmy<br />

Carter torna ad attaccare Israele. «La vita dei palestinesi è quasi insopportabile e malgrado<br />

il ritiro di Israele da Gaza e la rimozione degli insediamenti ebraici <strong>dal</strong>la Striscia, non c’è<br />

libertà per la popolazione, né accesso al <strong>mondo</strong> esterno». Intervenendo all’università<br />

“George Washington”, negli USA, Carter ha ribadito i contenuti del suo recente libro<br />

“Palestina, pace non apartheid”, che ha suscitato vaste polemiche, spiegando che per<br />

«apartheid» intende la segregazione forzata di un popolo sulla propria terra da parte di un<br />

altro.<br />

• Somalia. 11 marzo. Etiopici sotto tiro, l’Eritrea inquieta per i soldati ugandesi. Attacco con<br />

numero imprecisato di vittime ai soldati etiopici che si ritirano da Kismayo, riconsegnata<br />

alle truppe filo-governative. Quando si trovava a circa 60 km da Mogadiscio, un convoglio<br />

sarebbe saltato su un campo di mine. I sopravvissuti sarebbero poi stati bersagliati da<br />

raffiche di mitra. In giornata erano stati segnalati nuovi combattimenti a Mogadiscio, dove<br />

almeno un poliziotto è rimasto ucciso. Sempre ieri, in un’intervista alla BBC, il ministro<br />

eritreo per l’Informazione Ali Abdu ha detto che «le truppe di pace dell’Unione Africana<br />

(UA, ndr) in Somalia rischiano di peggiorare la situazione nell’intera regione». I circa<br />

mille soldati ugandesi della forza di pace UA sono a Mogadiscio da pochi giorni ma già<br />

sono stati attaccati più volte. <strong>Il</strong> ministro Abdu è quindi tornato ad accusare l’Etiopia di<br />

essere uno «Stato fantoccio» al servizio degli USA e di voler spaccare la Somalia.<br />

• Turchia / Kurdistan. 11 marzo. Decine di kurdi arrestati <strong>dal</strong>la polizia turca. È la risposta<br />

alle varie manifestazioni che si sono svolte in diverse città del Kurdistan Nord. Nei cortei si<br />

rivendicavano diritti democratici per il popolo kurdo.<br />

• Afghanistan. 11 marzo. La Casa Bianca conferma l’invio di 3.500 militari supplementari in<br />

Afghanistan. L’annuncio è del portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Gordon<br />

Johndroe. <strong>Il</strong> livello dei militari USA in Afghanistan raggiungerà di nuovo il massimo storico<br />

di 27mila circa, in risposta alla paventata offensiva di primavera dei Taliban.<br />

• USA / Iran. 11 marzo. Teheran insiste: «Via le truppe <strong>dal</strong>l’Iraq». Senza data del ritiro non<br />

cambia nulla. È quanto ha caratterizzato la conferenza sulla «stabilizzazione» dell’Iraq<br />

iniziata ieri a Baghdad e alla quale hanno preso parte ambasciatori e viceministri di Iran,<br />

Siria, Egitto, Bahrein, i cinque paesi del Consiglio di Sicurezza ONU, la Conferenza<br />

Islamica e la Lega Araba. Alla fine dei lavori non è stato chiaro neppure se sia davvero<br />

avvenuto l’incontro di cui tanto si era parlato alla vigilia: quello tra i rappresentanti di Stati<br />

Uniti e Iran. Secondo l’ambasciatore USA a Baghdad, Zalmay Khalilzad, il colloquio c’è<br />

stato, diretto e senza peli sulla lingua, almeno, ha precisato, da parte statunitense. Ha<br />

smentito invece il faccia a faccia il viceministro iraniano per gli affari internazionali, Abbas<br />

Araghchi, che ha parlato di discussioni con i diplomatici USA avvenute sempre in presenza<br />

degli altri partecipanti. L’inviato dell’Iran ha sottolineato di aver spiegato con estrema<br />

chiarezza che senza il ritiro delle truppe di occupazione USA <strong>dal</strong>l’Iraq e senza che sia<br />

fissato un calendario per la partenza dei soldati stranieri, l’Iraq non troverà pace. «Siamo a<br />

favore della stabilità, della pace, della democrazia e della prosperità in Iraq. La sicurezza<br />

dell’Iraq rappresenta la nostra sicurezza», ha detto.<br />

17


• USA / Brasile. 12 marzo. Bush in viaggio in America Latina. In ballo ragioni politiche<br />

(contrastare lo chavismo venezuelano) ed economiche. Con il Brasile, primo produttore<br />

mondiale di etanolo, gli Stati Uniti hanno sottoscritto un accordo per l’incremento del<br />

mercato dei biocombustibili. L’etanolo USA (prodotto con il mais) ha bassa produttività,<br />

mentre quello brasiliano (prodotto con la canna da zucchero) è cinque volte più efficiente.<br />

Grazie all’accordo con Brasilia, Washington mira a ridurre la dipendenza <strong>dal</strong> petrolio<br />

venezuelano e mediorientale (e a indebolire i governi di Caracas e La Paz). Ma si tratta di<br />

prospettive a lungo termine: il Brasile produce 17.500 milioni di litri di etanolo all’anno (di<br />

cui il 90% è destinato al consumo interno), mentre gli Stati Uniti avrebbero bisogno di<br />

132.000 milioni per raggiungere l’obiettivo che si sono prefissati: ridurre di circa il 20% il<br />

consumo di benzina. E c’è il rovescio della medaglia: l’espansione di coltivazioni a fini<br />

energetici aumenterà il prezzo degli alimenti e incrementerà il degrado del suolo per l’abuso<br />

di pesticidi. Sono questi i timori dei movimenti sociali della regione, in particolare Sem<br />

Terra e Via Campesina, per i quali «l’attuale modello di produzione di bioenergia si basa<br />

sugli stessi elementi che hanno sempre causato l’oppressione dei nostri popoli:<br />

appropriazione del territorio, dei beni naturali, della forza lavoro». Questo modello rischia<br />

inoltre di provocare tragiche ripercussioni sull’agricoltura tropicale, trasformando «grandi<br />

estensioni delle nostre terre in immense monoculture solo per far viaggiare le automobili»,<br />

come ha sottolineato la dirigente contadina Irma Ostrosky.<br />

• USA / Brasile. 12 marzo. Tuttavia, anche dietro quello che potrebbe apparire un successo<br />

dell’amministrazione, si nasconde un ulteriore elemento di debolezza dell’attuale presidenza<br />

repubblicana. Nelle discussioni con Lula, Bush non ha fornito nulla in cambio. Ciò che stava<br />

a cuore a Lula era che gli Stati Uniti si impegnassero ad abrogare la tassazione imposta alla<br />

importazione di etanolo <strong>dal</strong>l’estero, e quindi anche <strong>dal</strong> Brasile, di 54 centesimi di dollaro a<br />

gallone: Bush non ha potuto prendere alcun impegno, costretto a fare i conti con i produttori<br />

statunitensi di mais (da cui può ricavarsi ugualmente etanolo) pronti a boicottare ogni<br />

tentativo di eliminare tale tassa.<br />

• Brasile. 12 marzo. <strong>Il</strong> mais nel motore va bene, ma a modo nostro. <strong>Il</strong> movimento dei<br />

contadini Sem terra del Brasile e l’organizzazione internazionale Via Campesina<br />

condannano l’iniziativa del presidente Bush, che nel suo imminente viaggio latinoamericano<br />

si propone di sedurre e cooptare i governi della regione perché promuovano la produzione su<br />

larga scala di biocombustibili –come l’alcool <strong>dal</strong>la canna da zucchero e l’etanolo <strong>dal</strong> mais–<br />

per esportarli verso il mercato statunitense. Parlano di «alleanza diabolica» di interessi di tre<br />

grandi settori del capitale internazionale: le corporation petrolifere, le transnazionali che<br />

controllano il commercio agricolo e le sementi transgeniche, e le imprese automobilistiche.<br />

Cosa vogliono? Mantenere l’attuale livello di consumi nel primo <strong>mondo</strong>, con tutti i suoi<br />

tassi di guadagno. Per ottenerlo, pretendono che i paesi del sud concentrino la loro<br />

agricoltura nella produzione di combustibili per rifornire i motori del primo <strong>mondo</strong>.<br />

L’energia contenuta nelle granaglie o nelle piante è in realtà una metamorfosi agrochimica<br />

dell’energia solare che attraverso gli oli vegetali o l’alcool si trasforma in combustibile. Le<br />

migliori condizioni per la realizzazione di questo processo sono nel sud del <strong>mondo</strong>, dove<br />

maggiore è l’incidenza dell’energia solare e dove ci sono ancora terre disponibili. Inoltre le<br />

imprese vogliono approfittare della spinta verso gli agrocombustibili per espandere l’uso<br />

delle sementi transgeniche di soia e mais, assicurandosi i guadagni derivanti <strong>dal</strong>la vendita di<br />

sementi brevettate e da quella di prodotti agrotossici per lo sviluppo dell’agricoltura<br />

energetica.<br />

• Brasile. 12 marzo. Produrre combustibili con girasole, mais, soia, mandorle, palma africana<br />

o canna da zucchero è in apparenza un comportamento animato da una buona intenzione:<br />

quella di sostituire il petrolio, combustibile inquinante e non rinnovabile, con combustibili<br />

18


innovabili che non danneggiano l’ambiente. Questa alternativa sarà premiata da un’ampia<br />

pubblicità gratuita, perché si presenterà come un gesto di buona volontà per contenere il<br />

riscaldamento del pianeta. Ma ciò che interessa l’alleanza trilaterale è solo ottenere<br />

guadagni. La questione ambientale non li preoccupa minimanente. L’alleanza ha optato per<br />

l’energia rinnovabile solamente per non dipendere <strong>dal</strong> petrolio importato da paesi che hanno<br />

governi nazionalisti come il Venezuela e l’Iran, per il fallimento della guerra in Iraq che ha<br />

impedito agli Stati uniti di impadronirsi di quel petrolio, e per l’instabilità politica di<br />

Nigeria, Arabia Saudita, Angola.<br />

• Brasile. 12 marzo. I movimenti contadini sostengono in primo luogo che non va impiegato<br />

il termine biocombustibile, perché mettere genericamente in relazione energia e vita (bio) è<br />

manipolare un concetto che non esiste. <strong>Il</strong> termine va rimpiazzato con agrocombustibile.<br />

Secondo, ammesso che l’agrocombustibile sia più adeguato all’ambiente del petrolio, ciò<br />

non modifica l’essenza della scelta a cui è chiamata l’umanità: il modello attuale di spreco<br />

di energia e di trasporto individuale, che deve essere sostituito da un modello basato sul<br />

trasporto collettivo (treno, metropolitana eccetera). Terzo, i movimenti contadini sono<br />

contrari all’impiego di beni destinati all’alimentazione umana per produrre combustibili.<br />

Quarto, nonostante la produzione di agrocombustibili sia considerata necessaria, deve essere<br />

fatta in modo sostenibile. L’attuale modello neoliberale di agricoltura su larga scala e di<br />

monocoltura danneggia l’ambiente con l’uso intensivo di agrotossici e meccanizzazione,<br />

elimina la manodopera e aggrava il riscaldamento del pianeta distruggendo biodiversità e<br />

impedendo che l’umidità e le piogge si mantengano in equilibrio con la produzione agricola.<br />

Affermano che è possibile realizzare combustibili con prodotti agricoli se essi vengono<br />

coltivati in modo sostenibile, in unità produttive piccole e medie, che non squilibrino<br />

l’ambiente e che comportino maggiore autonomia per i contadini nel controllo dell’energia e<br />

nei rifornimenti alle città.<br />

• Brasile. 12 marzo. <strong>Il</strong> viaggio di Bush segna l’inizio dell’offensiva per l’esportazione di<br />

agrocombustibili latinoamericani verso il mercato statunitense. In cambio, i capitalisti<br />

nordamericani dell’alleanza trilaterale esigono il diritto di installare decine di nuovi<br />

stabilimenti per l’alcool in tutto il continente americano. Per rendere fattibile il proprio<br />

programma, il governo Bush postula che all’alcool-etanolo venga riconosciuto lo status di<br />

«materia prima energetica» non agricola, per sfuggire alle norme imposte<br />

<strong>dal</strong>l’Organizzazione mondiale del commercio sui prodotti agricoli. Bush propone inoltre che<br />

Brasile, Stati Uniti, India, Sudafrica e altri paesi negozino un registro tecnologico comune<br />

per l’agrocombustibile derivato da canna da zucchero, mais o piante al fine di giungere a<br />

una formula internazionalmente riconosciuta, dando forma a una sorta di Opec dell’energia<br />

agricola, che ne controllerebbe il commercio mondiale. I movimenti contadini, nei prossimi<br />

mesi, continueranno a dibattere per una migliore definizione dei concetti e delle iniziative<br />

politiche di fronte a questa nuova sfida, compresa la definizione di una proposta di<br />

produzione realizzabile e sostenibile. Soprattutto, discuteranno come combattere questo<br />

disegno statunitense il cui eventuale successo comporterebbe una tragedia per l’agricoltura<br />

tropicale, poiché trasformerebbe grandi estensioni della terra migliore in monocolture,<br />

aggraverebbe la perdita di biodiversità e ridurrebbe la quantità di terra dedicata alla<br />

produzione di alimenti, espellendo verso le favelas milioni di contadini in tutto il <strong>mondo</strong>.<br />

Tutto questo per rifornire il trasporto individuale motorizzato e mantenere i consumi<br />

dell’american way of life.<br />

• Venezuela. 12 marzo. Mentre George W. Bush compie il suo viaggio in America Latina, il<br />

presidente Chávez realizza una sorta di “controviaggio”, che ha visto come prima tappa<br />

l’Argentina. Qui il presidente venezuelano ha firmato accordi di cooperazione in campo<br />

agricolo, scientifico e tecnologico con il suo omologo argentino Néstor Kirchner. Tra i<br />

progetti «vitali e strategici» presi in esame dai due capi di Stato, la realizzazione del Banco<br />

19


del Sur e il rafforzamento del processo di integrazione energetica. <strong>Il</strong> giorno dopo è partito<br />

alla volta della Bolivia, dove ha visitato la zona colpita <strong>dal</strong>le recenti inondazioni (il governo<br />

di Caracas ha offerto <strong>15</strong> milioni di dollari in aiuti umanitari, contro il milione e mezzo<br />

promesso da Bush) e ha poi preso parte –insieme a Morales– a una seconda manifestazione<br />

antimperialista nella combattiva città di El Alto. <strong>Il</strong> viaggio di Chávez non si è fermato qui: si<br />

è recato in Nicaragua, dove è stato ricevuto da Daniel Ortega e dove ha concordato la<br />

costruzione di una raffineria di petrolio nella località di León e l’incorporazione di Managua<br />

al progetto Telesur. Lunedì 12 è sbarcato in Giamaica, dove si è incontrato con la prima<br />

ministra Portia Lucretia Simpson-Miller. Nel colloquio sono stati presi in esame i progressi<br />

negli accordi in campo energetico, delle finanze e della viabilità sottoscritti tra i due paesi<br />

nell’agosto 2006.<br />

• Irlanda del Nord. 13 marzo. La Commissione di Verifica lascia senza scuse il DUP. Nel<br />

suo ultimo rapporto (il quattordicesimo) reso noto ieri, si dice che l’IRA non è venuto meno<br />

ai suoi impegni con il processo di pace, anche se gruppi dissidenti repubblicani si<br />

mantengono attivi. <strong>Il</strong> rapporto tratta anche dell’evoluzione del piano di smilitarizzazione<br />

britannica e notifica la chiusura di altre due basi militari nei sei mesi analizzati. In totale, le<br />

enclave militari si sono ridotte da ventiquattro a venti, e delle quattordici che si riteneva<br />

rimanessero operative, Londra ha detto che saranno chiuse quattro. Quanto alla riduzione del<br />

numero delle truppe a cinquemila soldati, la Commissione rileva che questa sarà conseguita<br />

entro questa estate.<br />

• Irlanda del Nord. 13 marzo. Domani DUP, Sinn Féin, SDLP e UUP nomineranno i loro<br />

ministri per il nuovo governo. Se il DUP lo farà, sarà un passo in avanti verso l’esecutivo<br />

multipartitico, all’interno del quale il DUP avrà quattro ministri, Sinn Féin tre, SDLP due e<br />

UUP uno.<br />

• Israele / Palestina. 13 marzo. Tel Aviv sotto accusa per apartheid e colonialismo ai danni<br />

dei palestinesi. Sono questi i crimini attribuiti a Israele da John Dugard, inviato ONU per la<br />

situazione palestinese ed esperto di diritti umani, in una relazione letta nel corso del quarto<br />

meeting dell’ONU sui diritti umani in corso a Ginevra. «Ci sono elementi di occupazione<br />

che rappresentano forme di colonialismo e di apartheid, e che violano la legge<br />

internazionale», scrive Dugard, che fa riferimento anche alle conseguenze legali del<br />

comportamento adottato <strong>dal</strong> governo israeliano: «La questione potrà essere<br />

appropriatamente posta alla Corte internazionale di giustizia per un ulteriore parere».<br />

• Iraq. 13 marzo. Una rapida exit strategy <strong>dal</strong>l’Iraq nel caso in cui l’invio di truppe<br />

supplementari si rivelasse inefficace o se il Congresso ostacolasse il dispiegamento dei<br />

rinforzi. È l’ipotesi allo studio del Pentagono confermata <strong>dal</strong>la Casa Bianca dopo che la<br />

notizia è apparsa sul The Los Angeles Times. <strong>Il</strong> portavoce Gordon Johndroe ha citato le<br />

parole del segretario alla Difesa Robert Gates che la scorsa settimana aveva dichiarato che<br />

sarebbe «irresponsabile per gli USA non considerare una via d’uscita alternativa se<br />

l’attuale escalation del livello delle truppe non riuscisse a porre fine alla violenza in Iraq».<br />

A indurre gli strateghi del Pentagono a puntare a un programma alternativo c’è la<br />

consapevolezza, ormai largamente maturata, che potrebbe non bastare nemmeno la<br />

decisione di Bush d’inviare nel paese arabo occupato ulteriori 21.500 uomini con compiti<br />

bellici in senso stretto, più 4.500 adibiti a funzioni logistiche, per un totale di 26.000<br />

effettivi da aggiungere ai 140.000 già di stanza nel Paese del Golfo Persico.<br />

• Venezuela / Nicaragua. 13 marzo. Chávez e Ortega siglano intesa su energia e<br />

comunicazioni. «Non abbiamo più bisogno di andare a mendicare <strong>dal</strong> nefasto Fondo<br />

Monetario Internazionale né da nessun altro. Oggi abbiamo creato la ‘Banca del Sud’, in<br />

20


cui è incluso anche il Nicaragua»: lo ha detto il presidente venezuelano Hugo Chávez<br />

durante l’incontro dedicato alla «fratellanza latinoamericana» ospitato nel quartiere<br />

Subtiava di León, 90 km a nord-est di Managua, ultima tappa del suo viaggio ufficiale che<br />

ha già toccato Argentina e Bolivia. «Sono felice di annunciare che qui costruiremo una<br />

grande raffineria per lavorare il greggio venezuelano», ha aggiunto Chávez prima di<br />

firmare con il suo omologo nicaraguense Daniel Ortega un ‘memorandum di intenti’ per la<br />

costruzione dell’impianto, con un costo stimato di 2 miliardi e mezzo di dollari, in cui<br />

transiteranno giornalmente <strong>15</strong>0mila barili di greggio venezuelano. «Crederemo agli Stati<br />

Uniti e al presidente Bush» –gli ha fatto eco Ortega– «solo se si ritireranno immediatamente<br />

<strong>dal</strong>l’Iraq e impiegheranno quel denaro per tirare fuori <strong>dal</strong>la povertà gli statunitensi e<br />

investire nello sviluppo dell’America Latina».<br />

• Corsica. 14 marzo. Vogliono portar via un dirigente nazionalista dopo avergli perquisito la<br />

casa, ma lui si rifiuta di seguirli. Parecchie decine di militanti gli danno man forte, pone le<br />

sue condizioni e alla fine la spunta. Uomini dell’antiterrorismo dello SdaT (Sous direction<br />

des affaires terroristes, ex-Dnat) si sono presentati ieri, alle 06.30 del mattino, a Lavasina<br />

(nell’Alta Corsica), una dozzina di km a nord di Bastia, all’abitazione di Paul-Fêlix<br />

Benedetti. <strong>Il</strong> nome del portavoce del movimento indipendentista pubblico còrso, U Rinnovu,<br />

è inscritto nell’inchiesta del giudice parigino dell’antiterrorismo Gilbert Thiel. Questi sta<br />

indagando su una serie di attentati attribuiti ad uno dei due principali movimenti<br />

indipendentisti clandestini còrsi (l’FLNC 22 ottobre) e su delle conferenze stampa<br />

clandestine di detto movimento. Dopo tre ore di perquisizione l’invito a Benedetti a seguirli<br />

al commissariato di Bastia. Nel frattempo, grazie a quella che sull’isola è chiamata<br />

«fratelliphone», amici e militanti di U Rinnovu affluivano presso l’abitazione presidiata<br />

anche da un consistente dispiegamento di gendarmi. Benedetti ha declinato l’invito<br />

«perché», ha detto Gérard Dysktra, altro dirigente di U Rinnovu e suo amico personale, «lui<br />

non ha niente da rimproverarsi e poi non gradisce salire sulle vetture della polizia». Le sue<br />

condizioni di recarsi al commissariato a piedi ed insieme al centinaio di amici e compagni<br />

presenti non passa. <strong>Il</strong> più vicino commissariato dista <strong>dal</strong> luogo 8 km. Dopo interminabili<br />

negoziazioni tra gli uomini della SdaT, la prefettura ed i militanti nazionalisti presenti, e di<br />

fronte all’impossibilità di prelevare Benedetti, si decide di procedere alla sua audizione sul<br />

posto. Un fatto mai avvenuto in Corsica e pare in tutta la Francia, stando a quanto riportato<br />

<strong>dal</strong>la stampa. Dopo parecchie ore d’«interrogatorio», consistente in «una discussione su<br />

questioni di politica generale», Benedetti è stato rimesso in libertà (h. <strong>15</strong>.<strong>15</strong>), le varie forze<br />

di polizia se ne sono andate e si è aperto sul posto un mega-picnic a base di pizza. Rinnovu<br />

ha poi convocato un’immediata conferenza stampa a Bastia. «Non c’è alcun dubbio: sono<br />

stati il coraggio e la mobilitazione rapida di un centinaio di militanti e simpatizzanti e di<br />

sindacalisti dell’STC (Sindacato dei Lavoratori Còrsi, ndr) che hanno impedito questo tipo<br />

di azione repressiva della giustizia speciale (francese, ndr) e della sua polizia politica», ha<br />

detto Benedetti, che ha rivendicato il diritto all’autodeterminazione del «popolo còrso,<br />

legittimo sulla sua terra, esasperato di vedere questi muri che gli vengono frapposti in casa<br />

propria». Sconcerto sulla stampa francese che parla di schiaffo alla prestigiosa SdaT.<br />

• Irlanda del Nord. 14 marzo. Mandelson critica Blair. Peter Mandelson, ex ministro per il<br />

nord Irlanda, ha criticato la politica di Tony Blair per aver «irresponsabilmente fatto troppe<br />

concessioni al Sinn Féin per arrivare ad un accordo». Lo fa intervistato ieri <strong>dal</strong> pro<br />

laburista The Guardian. Queste dichiarazioni arrivano nel pieno delle negoziazioni per la<br />

formazione del governo nel nord Irlanda dopo le elezioni della scorsa settimana. Subito<br />

dopo la pubblicazione di queste dichiarazioni, Mandelson ne ha sfumato la portato<br />

sostenendo che non intendeva criticare le attuazioni di Blair.<br />

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• Somalia. 14 marzo. Bombe sul palazzo presidenziale di Mogadiscio, villa Somalia, dove il<br />

presidente Abdullahi Yusuf si era ufficialmente reinsediato da lunedì. «Molti morti». <strong>Il</strong><br />

disastro politico è anche peggio. I “signori della guerra” e le Corti islamiche, cacciate<br />

<strong>dal</strong>l’intervento etiopico, rendono insostenibile la situazione del governo di transizione che<br />

gli etiopici e i peace-keeper dell’Unione Africana cercano di sostenere.<br />

• Russia / Iran. 14 marzo. Mosca blocca una fornitura di uranio per la centrale di Busher.<br />

L’Iran definisce «deplorevole» la decisione della Russia. La Atomstroiexport, la compagnia<br />

di Mosca che sovrintende alla costruzione della centrale di 1.000 Megawatt di Busher, sulle<br />

rive del Golfo Persico, ha annunciato lunedì sera che cento tonnellate di uranio parzialmente<br />

arricchito che avrebbero dovuto raggiungere questo mese la repubblica islamica non<br />

arriveranno «per carenza di fondi», mancati pagamenti da parte dei committenti. Di<br />

conseguenza –ha detto il Cremlino– la prima centrale atomica iraniana a fini civili non potrà<br />

iniziare a funzionare, come previsto, nel settembre di quest’anno. Tehran ha negato qualsiasi<br />

ritardo nei pagamenti e il negoziatore Ali Larijani, l’uomo che sta difendendo il suo<br />

programma atomico in tutte le sedi internazionali, ha definito «deplorevole» la decisione di<br />

Mosca. Larijani ha dichiarato all’Irna che il «ritardo» evidenzia la necessità per l’Iran di<br />

riuscire a produrre in proprio combustibile nucleare: «Non c’è alcuna garanzia per le<br />

forniture di combustibile nucleare e l’insistenza e le richieste dell’Iran a questo proposito<br />

sono assolutamente giustificate». Intanto l’Aipac, la lobby ebraica statunitense, passa<br />

all’azione e lancia una campagna di boicottaggio contro le aziende che investono in Iran.<br />

Nel mirino del direttore esecutivo dell’Aipac, Howard Kohr, i fondi pensione dello Stato<br />

della California (i CalPERS), oltre un miliardo di dollari che verrebbero in parte investiti in<br />

aziende straniere che contribuiscono allo sviluppo del settore energetico iraniano. La lobby<br />

ebraica –ha annunciato Kohr– farà pressione per il disinvestimeno in dieci stati<br />

nordamericani.<br />

• Nepal. 14 marzo. Le ribellioni nel Terai, regione ormai fuori del controllo governativo,<br />

rischiano di rallentare fortemente il processo di pace. Dopo dieci anni di guerra civile e oltre<br />

13mila morti, il 19 gennaio <strong>2007</strong> è stata approvata la Costituzione provvisoria. Tra le novità<br />

della nuova carta l’ingresso in Parlamento dei maoisti (83 deputati), sia uomini che donne,<br />

con l’esclusione di Prachanda leader del gruppo maoista ma non membro del Parlamento,<br />

che si preparano anche a far parte del governo provvisorio e ad essere eletti, in giugno,<br />

nell’assemblea costituente che sancirà la nascita del nuovo Nepal. Dopo l’approvazione del<br />

testo costituzionale sono iniziate le proteste antigovernative della popolazione della regione<br />

del Terai, degenerate in violenti scontri.<br />

• Nepal. 14 marzo. La popolazione del Terai, scrive Maria Iolanda Famà su Equilibri.net,<br />

rivendica una ridefinizione delle circoscrizioni elettorali tale da garantire ai madhesi (da<br />

Madhesh, altro nome della regione del Terai, che significa «terre umide») un’adeguata<br />

rappresentanza nell’assemblea costituente che verrà eletta a giugno e la garanzia che il<br />

futuro assetto statale del Nepal sarà federale, con un’ampia autonomia per la regione del<br />

Terai. Le proteste antigovernative della popolazione della regione, nei giorni successivi<br />

all’approvazione della Carta, sono degenerate in scontri con almeno una quindicina di morti,<br />

tra manifestanti e poliziotti. Assaltate decine di stazioni di polizia e uffici governativi.<br />

Numerose strade della regione, le principali del paese, sono bloccate dai manifestanti ormai<br />

da settimane.<br />

• Nepal. 14 marzo. A guidare la rivolta è il Forum per i Diritti del Popolo Madhese (Madhesi<br />

Janadhikar Forum), capeggiato da Upendra Yadav, che chiede la creazione di un sistema<br />

federale, una maggiore autonomia per il Terai e una rappresentanza su base proporzionale in<br />

vista delle elezioni di giugno dell’Assemblea costituente. <strong>Il</strong> Forum, che denuncia di essere<br />

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stato escluso <strong>dal</strong> processo di pace tra governo e maoisti, ha annunciato il 12 marzo per bocca<br />

dello stesso Yadav l’intenzione di cambiare strategia di protesta, abbandonando lo sciopero<br />

generale che ha fino ad oggi paralizzato qualsiasi attività pubblica nei 22 distretti del Terai<br />

per concentrarsi sulla chiusura di tutti i punti d’accesso tra India e Nepal. L’accesso ai centri<br />

di Nepalgunj, Birgunj, Janakpur e Kakarbhitta è già interdetto da febbraio e gli uffici<br />

doganali sono stati di fatto chiusi. <strong>Il</strong> prossimo passo dovrebbe essere il blocco di tutti gli<br />

uffici governativi nel Terai, inclusi gli uffici che riscuotono le tasse, e i pagamenti delle<br />

bollette di elettricità e telefono. Ai cittadini è stato chiesto di non effettuare alcun<br />

pagamento. Secondo il programma di Upendra Yadav, il 29 marzo migliaia di abitanti del<br />

Terai dovrebbero circondare Singha Durbar (Kathmandu), il cuore dell’amministrazione<br />

centrale, dove hanno sede l’ufficio del Primo Ministro, il Parlamento e i principali ministeri<br />

nepalesi. Le pressioni del Forum sono volte ad ottenere come primo passo le dimissioni del<br />

ministro degli interni Krishna Prasad Sitaula, ritenuto moralmente responsabile per la morte<br />

delle persone rimaste vittime degli scontri seguiti alle proteste (sino ad oggi circa 35<br />

persone). <strong>Il</strong> primo ministro, Girija Prasad Koirala, ne ha però escluso le dimissioni, perché<br />

gode del supporto anche dei maoisti.<br />

• Nepal. 14 marzo. Oltre agli scioperi e ai blocchi attuati <strong>dal</strong> Forum, c’è il Fronte di<br />

Liberazione Democratico del Terai – Fazione Jwala (Janatantrik Terai Mukti Morcha–<br />

Jwala, JTMM-Jwala). <strong>Il</strong> Fronte di Liberazione Democratico del Terai (JTMM) è nato nel<br />

2004 <strong>dal</strong>la scissione del gruppo fedele a Jai Krishna Goit (uno dei luogotenenti del leader<br />

maoista Prachanda) <strong>dal</strong> Partito Comunista del Nepal - Maoista. <strong>Il</strong> leader del JTMM, chiede<br />

l’indipendenza di questa regione, e <strong>dal</strong> 2004 combatte per la creazione di uno Stato Terai<br />

indipendente, con un proprio esercito, una propria polizia e una propria amministrazione.<br />

Dal luglio 2006 i guerriglieri del JTMM si sono ripetutamente scontrati con i maoisti, oltre<br />

che con le truppe governative. Goit, che si nasconde nel nord dell’India, minaccia di<br />

dichiarare guerra al nuovo governo di unità nazionale nepalese se le rivendicazioni del Terai<br />

non verranno accolte. Le rivendicazioni del Fronte si basano sul fatto che la regione del<br />

Terai è situata al confine con l’India (è una fascia pianeggiante e molto fertile) abitata dai<br />

madhesi che sono di lingua hindi e costituiscono metà dell’intera popolazione nepalese, da<br />

sempre però tenuta dai pahadi (che significa gente delle colline) ai margini della vita politica<br />

ed economica del paese.<br />

• Nepal. 14 marzo. I pahadi che abitano la fascia centrale del paese, detto anche pahad, ossia<br />

gli altopiani ai piedi dell’Himalaya, sono sempre stati i protagonisti della vita politica del<br />

Paese, essendo gli unici ad essere eletti e a lavorare per le istituzioni del Nepal. Questa<br />

marginalizzazione politica unita ad una differenza linguistica hanno fatto sì che le due<br />

regioni del Nepal convivano senza però instaurare legami politici od economici. Dal JTMM<br />

si è inoltre recentemente resa di fatto autonoma la già citata Fazione Jwala, guidata,<br />

appunto, da Jwala Singh. <strong>Il</strong> 12 marzo il JTMM-Jwala ha annunciato la rottura della «tregua<br />

unilaterale» e immediatamente dopo si sono registrati scontri a fuoco con unità paramilitari<br />

dei maoisti. <strong>Il</strong> giorno seguente la fazione ha rapito tre dipendenti governativi richiedendo un<br />

riscatto di un milione di rupie nepalesi (circa 10.600 euro). L’ingresso in campo del JTMM-<br />

Jwala rende la situazione ancora più instabile dato che, mentre il Forum impiega come<br />

mezzo di lotta principalmente scioperi e blocchi, il gruppo di Jwala Singh è da tempo dedito<br />

a rapimenti, estorsioni e omicidi di attivisti politici. Non a caso la recente offensiva del<br />

JTMM-Jwala segue il rifiuto da parte del governo di garantire l’amnistia per i reati<br />

commessi dai membri del gruppo.<br />

• Nepal. 14 marzo. Alle rivendicazioni dei ribelli, le risposte della classe politica sono state<br />

diverse. <strong>Il</strong> leader maoista Prachanda ha dichiarato di essere ben consapevole della minaccia<br />

rappresentata <strong>dal</strong> movimento separatista. Per lui la soluzione sarebbe la creazione di una<br />

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epubblica federale che garantisca autonomia ed eguali diritti alle popolazioni nepalesi. <strong>Il</strong><br />

leader maoista ha anche dichiarato: «Se dovessimo decidere di combatterli, li<br />

sconfiggeremmo nel giro di una settimana». Dichiarazioni d’avvertimento nel caso in cui le<br />

rivendicazioni si spingessero troppo oltre. <strong>Il</strong> fatto che Prachanda abbia fatto sapere di<br />

ritenere legittime le rivendicazioni della popolazione del Terai ha indotto il primo ministro<br />

nepalese, Girija Prasad Koirala, preoccupato anche del degenerare della protesta, a rivolgere<br />

ai manifestanti un appello alla calma e al dialogo, dicendosi pronto ad intavolare un<br />

negoziato politico sulle questioni sollevate: ridefinizione delle circoscrizioni elettorali che<br />

garantisca ai madhesi un’adeguata rappresentanza nell’assemblea costituente che verrà eletta<br />

a giugno e garanzia che il futuro assetto statale del Nepal sarà federale, con ampia<br />

autonomia per la regione del Terai.<br />

• Nepal. 14 marzo. <strong>Il</strong> numero due dei maoisti, Barubarm Bhattarai, ha invece pubblicamente<br />

dichiarato di condividere la tesi che va per la maggiore negli ambienti governativi di<br />

Kathmandu: quella del «complotto indiano». Secondo Bhattarai, dietro la rivolta del Terai ci<br />

sarebbe lo zampino dei nazionalisti indiani del Bharatiya Janata Party, da sempre desiderosi<br />

di mettere le mani sulle pianure meridionali del Nepal, abitate da una popolazione affine a<br />

quella indiana, che condivide con l’India anche la medesima lingua. «<strong>Il</strong> BJP ha fatto<br />

arrivare nel Terai camion carichi di gente del Bihar», ha detto Bhattarai, spiegando che si<br />

tratterebbe di «agitatori mandati a fomentare le violenze». Un Terai indipendente<br />

cercherebbe legami molto stretti con il vicino gigante indiano e l’attuale fase di transizione<br />

del Nepal rappresenta per Nuova Delhi un’irripetibile occasione d’intervento. Non tutti la<br />

pensano come lui e vedono la volontà dei movimenti politici madhesi di alzare la posta per<br />

acquisire più peso nel futuro assetto istituzionale del Nepal.<br />

• Nepal. 14 marzo. <strong>Il</strong> governo nepalese non può permettersi una manovra militare nella<br />

regione del Terai per due ragioni: una di carattere politico ed una economica. La ragione<br />

politica è che i maoisti vogliono provare a dialogare con i ribelli, ed in parte accettano le<br />

rivendicazioni. Riconoscono che l’assetto politico del Paese è stato finora sbilanciato a<br />

favore della popolazione pahadi, ed il processo di pace potrebbe essere l’occasione per<br />

riequilibrare la situazione. Se il primo ministro decidesse di inviare delle truppe, quindi,<br />

rischierebbe di generare una nuovo conflitto con i maoisti. La ragione economica è<br />

riassumibile con i dati presentati <strong>dal</strong>la Federazione Nepalese delle Camere di Commercio ed<br />

Industrie, che mostrano come, solo nei primi 20 giorni di agitazione politica, le oscillazioni<br />

della moneta del paese abbiano portato perdite di miliardi di dollari alle esportazioni, alle<br />

importazioni e alle industrie dei trasporti. L’unica via praticabile sembra essere quella del<br />

dialogo.<br />

• USA / Iraq. 14 marzo. <strong>Il</strong> Pentagono avvia l’espansione dei suoi due maggiori centri di<br />

detenzione militari in Iraq, in previsione dell’ondata di arresti che dovrebbe essere tra le<br />

conseguenze del nuovo piano per la sicurezza in corso di attuazione a Baghdad. Lo scrive il<br />

Washington Post, citando documenti di appalti per lavori nelle prigioni. L’espansione<br />

riguarda il centro di detenzione di Camp Bucca, nel sud dell’Iraq e quello di Camp Cropper,<br />

alla periferia della capitale. <strong>Il</strong> primo ospita oggi circa 13.800 detenuti iracheni, mentre il<br />

secondo ne contiene circa 3.300.<br />

• USA. 14 marzo. Traumatizzato 1 su 3, ed un quarto dei soldati USA di ritorno da Iraq e<br />

Afghanistan ha bisogno di cure mediche soffrendo problemi di salute mentale. Lo rivela uno<br />

studio pubblicato da Archives of Internal Medicine, che ha esaminato 103.788 militari fra il<br />

2001 e il 2005. La diagnosi più frequente è stress post traumatico, seguito da ansietà,<br />

depressione e dipendenza da droghe. Ma quella rappresentata non è ancora la realtà poiché<br />

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solo un terzo dei veterani si è rivolto alle strutture mediche governative dove l’indagine è<br />

stata condotta.<br />

• Ecuador. 14 marzo. I deputati di destra rientrano a forza nel Congresso. Scontri. <strong>Il</strong><br />

presidente fa appello al popolo. La crisi istituzionale in Ecuador precipita. <strong>Il</strong> gruppo di 57<br />

deputati destituiti (cfr. Ecuador. 8 marzo) <strong>dal</strong> Tribunale Supremo Elettorale (TSE) ieri è<br />

rientrato a forza nel palazzo del Congresso. <strong>Il</strong> palazzo era circondato da due cordoni di<br />

polizia. Uno, la Polizia nazionale, agli ordini del governo e del TSE, che cercava di<br />

bloccarli; l’altro della Scorta legislativa agli ordini <strong>dal</strong> presidente del Congresso nazionale,<br />

Jorge Cevallos, che voleva farli entrare. Facendosi largo a spintoni, urla e imprecazioni, i<br />

deputati espulsi sono riusciti a sfondare il cordone della Polizia nazionale con l’appoggio<br />

della Scorta legislativa e di gruppi di civili arrivati da Guayaquil con pulman organizzati da<br />

Noboa. L’azione è stata cruenta. Anche qualche colpi d’arma da fuoco. Alla fine gli espulsi<br />

sono riusciti a entrare nell’aula. Alle 10 di ieri mattina il presidente del Congresso Cevallos,<br />

dopo aver consentito l’entrata violenta degli espulsi, ha dichiarato sospesa, adducendo<br />

ragioni tecniche, ogni attività del Congresso per una settimana. Quindi è saltata la seduta<br />

parlamentare prevista con i supplenti al posto dei 57 destituiti. Gli eventi si sono susseguiti<br />

tumultuosi. La strategia di Cevallos e dei partiti conservatori che rappresenta è chiara:<br />

prendere tempo, per permettere al Tribunale Costituzionale (TC), cui i 57 hanno fatto<br />

ricorso, di annullare la decisione del TSE. Ma il TC se n’è lavato le mani sostenendo la sua<br />

incompetenza e rimandando la palla. E il TSE ha dichiarato allora che «si sta prendendo in<br />

considerazione la possibilità di destituire Cevallos».<br />

• Gran Bretagna. <strong>15</strong> marzo. «Basta sensi di colpa per le guerre». All’insegna di questo il<br />

primo ministro Tony Blair ha fatto passare il riarmo nucleare, sostenuto dai voti dei<br />

conservatori e nonostante il no di 95 deputati Labour e le proteste pacifiste. Blair ha portato<br />

a casa la vittoria, dopo sei ore di acceso dibattito. Prima del dibattito di ieri sera in<br />

parlamento c’erano state le dimissioni di tre sottosegretari e le proteste di ambientalisti,<br />

movimento no war, no nuke, oltre a decine di personaggi celebri. Non è bastato. Tony Blair<br />

ha usato toni apocalittici alla House of Commons con l’aut aut: o si rinnova il Trident<br />

(sistema di difesa nucleare) o la Gran Bretagna sarà esposta a rischi enormi.<br />

Prima del voto finale c’era stato l’estremo tentativo dei ribelli di far passare una mozione<br />

che ritardava la decisione sul sistema missilistico, visto che la necessità di un suo rinnovo<br />

non era affatto dimostrata. Parlando a Sky Blair ha detto che «finché il <strong>mondo</strong> occidentale<br />

non la smetterà di chiedere scusa per i suoi valori, di chiedere scusa per ciò che le sue<br />

truppe stanno facendo in Iraq e Afghanistan, non sconfiggeremo mai i tentativi di chi con il<br />

terrorismo vuole distruggere la democrazia. Finiremo in una situazione in cui più queste<br />

persone si comportano male, più aumenteranno le ragioni di un nostro ritiro, anzichè la<br />

nostra determinazione a portare a termine un giusto compito». <strong>Il</strong> sistema missilistico<br />

Trident, commissionato da Margaret Thatcher nel 1980, è un sistema di difesa marino,<br />

composto da tre elementi: i sottomarini, le testate nucleari e i missili. Le testate nucleari<br />

sono 200.<br />

• Unione Europea / Siria. <strong>15</strong> marzo. Sostegno sul Golan, ma stop a Hezbollah. Ieri, a<br />

Damasco, il rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, Xavier Solana, ha<br />

detto di sostenere le rivendicazioni siriane sul Golan, occupato da Israele, ma di pretendere<br />

un’azione del regime di Assad contro il libanese Hezbollah.<br />

• Russia. <strong>15</strong> marzo. La Russia sta elaborando un sistema di difesa anti-missile che «supera<br />

per le sue caratteristiche quello attualmente in uso, il S-400 ‘Triumf’». Lo annuncia il<br />

comandante in capo delle forze aeree Vladimir Mikhailov all’agenzia Itar-Tass. «Stiamo<br />

passando <strong>dal</strong>la fase teorica a quella sperimentale», dice il generale che tiene a precisare il<br />

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«carattere difensivo» del nuovo sistema. Mosca è irritata <strong>dal</strong>l’annuncio USA di voler<br />

installare in Polonia e in Repubblica Ceca sistemi anti-missile giustificati come difesa contro<br />

eventuali ordigni iraniani o nordcoreani. Una mossa che lascia perplesse anche l’Europa e la<br />

NATO, dato che non assicurerebbe protezione a tutti i membri dell’Alleanza, ma lascerebbe<br />

scoperta la fascia sud, Italia compresa. Per il Cremlino, la principale obiezione è che lo<br />

scudo USA appare più uno strumento in chiave anti-russa che un’arma di difesa contro i<br />

cosiddetti «paesi canaglia».<br />

• Palestina. <strong>15</strong> marzo. Per il nuovo governo palestinese di unità nazionale è fatta. Oggi il<br />

premier incaricato Ismail Haniyeh (Hamas) ha consegnato la lista dei ministri al presidente<br />

Abu Mazen che poco dopo ha firmato il documento. <strong>Il</strong> nuovo gabinetto e il suo programma<br />

saranno presentati sabato prossimo al Consiglio Legislativo Palestinese (CLP), il parlamento<br />

dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), per il voto di fiducia (che appare scontato).<br />

Subito dopo il nuovo esecutivo sarà in carica e a quel punto si capirà se verrà finalmente<br />

revocato l’embargo scattato contro l’ANP un anno fa dopo la vittoria elettorale di Hamas.<br />

Le prospettive sono poco incoraggianti. Israele ha ieri comunicato che non tratterà con il<br />

nuovo governo palestinese e si aspetta che la comunità internazionale faccia lo stesso. Non<br />

sarà deluso. Emma Udwin, portavoce del commissario alle relazioni esterne, Benita Ferrero-<br />

Waldner, ha fatto sapere che «occorrono consultazioni con i nostri partner (USA e Israele,<br />

ndr) per capire in che modo e quando riprendere le relazioni» con l’esecutivo palestinese.<br />

Washington da parte sua ha già fatto sapere di allinearsi alla posizione di Tel Aviv.<br />

• Palestina. <strong>15</strong> marzo. L’assedio continuerà, ma il nuovo governo rappresenta già una<br />

risposta ad un problema urgente: lo scontro tra Hamas e Fatah. <strong>Il</strong> conflitto ora dovrebbe<br />

terminare. <strong>Il</strong> programma di governo prevede il «rispetto» dei precedenti accordi con Israele<br />

ma stabilisce che «la resistenza è un legittimo diritto del popolo palestinese» e che la sua<br />

fine dipenderà «<strong>dal</strong>la fine dell’occupazione e il ritorno della libertà». «La chiave della<br />

stabilità e della sicurezza nella regione», si sostiene, «sta nella fine dell’occupazione<br />

israeliana della terra palestinese, del riconoscimento del diritto dei palestinesi<br />

all’autodeterminazione... e nel ristabilimento dei diritti legittimi del popolo palestinese». Si<br />

rivendica inoltre «il diritto al ritorno dei profughi palestinesi». Alla stretta di mano decisiva<br />

tra Abu Mazen e Haniyeh si è giunti dopo settimane di trattative sul ministero dell’Interno,<br />

affidato ad Hani Kawasmi, considerato un indipendente vicino ad Hamas. <strong>Il</strong> nuovo ministro<br />

degli esteri sarà il deputato e docente universitario Ziad Abu Amr. Vice premier, Azzam al<br />

Ahmed, capo gruppo di Fatah in Parlamento. In tutto Hamas avrà 9 ministri, Fatah 6, il<br />

Partito del Popolo uno, il Fronte Democratico uno. Restano fuori <strong>dal</strong>la coalizione il Fronte<br />

popolare e il movimento della Jihad Islamica. <strong>Il</strong> ministero dell’informazione è andato al<br />

leader del partito di sinistra “Iniziativa democratica”, Mustafa Barghouti. Hamas si è tenuto<br />

ministeri dove è più facile avere rapporti con la società: l’istruzione, lo sport e la gioventù,<br />

la giustizia.<br />

• Iran. <strong>15</strong> marzo. Accordo per una nuova risoluzione che inasprisce le sanzioni all’Iran per il<br />

nucleare civile che Washington addita invece, senza alcuna prova, come militare. La Casa<br />

Bianca spera ora in un voto veloce già per la prossima settimana. <strong>Il</strong> contenuto dell’accordo<br />

di oggi tra i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania, reso noto<br />

<strong>dal</strong>l’agenzia Reuters prevede: 1) 60 giorni di tempo per l’Iran per sospendere l’attività di<br />

arricchimento dell’uranio e l’AIEA ha il compito di verificare la scadenza. 2) Si allunga la<br />

lista di società e singoli le cui proprietà saranno congelate: fra cui la banca Sepah, di<br />

proprietà statale e aziende controllate dai pasdaran. 3) Embargo totale all’esportazione di<br />

armi convenzionali made in Iran. 4) Tutti i paesi e le istituzioni finanziarie internazionale<br />

non dovranno concedere nuovi «finanziamenti e prestiti al paese» eccetto che per «scopi<br />

umanitari e di sviluppo». 5) Ai governi di tutto il <strong>mondo</strong> viene chiesto, ma non imposto, di<br />

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vigilare sui viaggi all’estero dei funzionari iraniani coinvolti in attività nucleari. Se entro 60<br />

giorni <strong>dal</strong>l’approvazione della risoluzione l’Iran sospenderà i suoi programmi nucleari le<br />

sanzioni saranno sospese, altrimenti ne saranno adottate altre, più dure. Viene comunque<br />

escluso un intervento militare.<br />

• India. <strong>15</strong> marzo. La guerrilla maoista uccide 49 poliziotti nella regione centrale di<br />

Chastisgarh. L’attacco, oggi, è il più consistente <strong>dal</strong>l’inizio dell’anno. Secondo l’ispettore<br />

generale della polizia dell’area di Bastar, R.K. Vij, citato <strong>dal</strong>l’agenzia Efe, «circa 500<br />

naxaliti (guerriglieri maoisti, ndr) armati hanno attaccato il posto di polizia con granate e<br />

bottiglie molotov, e aprendo il fuoco all’impazzata». Nel commissariato si trovavano 24<br />

agenti del Corpo Armato e 55 membri della Polizia Speciale.<br />

• Corea del Nord. <strong>15</strong> marzo. Pyongyang non inizierà il disarmo finché Washington non<br />

toglierà le sanzioni. È il compromesso (la «disponibilità») che il governo nordcoreano ha<br />

trasmesso ieri al direttore generale dell’Agenzia Internazionale di Energia Atomica (AIEA),<br />

Mohamed el Baradei, per smantellare il proprio arsenale nucleare e che questi ha reso<br />

pubblico in conferenza stampa. Si tratta del primo passaggio sulla via dell’attuazione degli<br />

accordi raggiunti il 13 febbraio a Pechino nel corso dei colloqui a sei per lo smantellamento<br />

degli arsenali e dei programmi nucleari di Pyongyang. La Corea del Nord si è dichiarata<br />

pronta a rientrare nell’AIEA e aprire le porte dei suoi impianti atomici agli ispettori<br />

dell’Agenzia internazionale per il disarmo nucleare e gli Stati uniti, poche ore dopo, hanno<br />

reso noto di aver intrapreso le prime azioni per sbloccare i fondi bancari nordcoreani<br />

congelati da due anni a causa di sanzioni finanziare decise contro Pyongyang.<br />

• Colombia. <strong>15</strong> marzo. Politici reclutavano paramilitari. Sono stati politici governativi<br />

colombiani di spicco a reclutare i paramilitari delle Autodedefensas Unidas de Colombia<br />

(AUC) e non il contrario. Lo sostiene il procuratore generale, Mario Iguarán, in un’intervista<br />

ad un canale regionale della televisione pubblica. Ha precisato che la sua è l’«impressione»<br />

e la «sensazione» che gli lasciano le carte dell’inchiesta sul cosiddetto scan<strong>dal</strong>o della<br />

«parapolitica», i presunti nessi tra uomini del Congresso, funzionari ed esponenti di<br />

governo con le AUC. L’inchiesta «è molto importante perché ci sta dimostrando (...) che<br />

non furono le AUC a reclutare la classe politica, ma fu la classe politica che reclutò le<br />

AUC», ha proseguito Iguarán.<br />

• Colombia. <strong>15</strong> marzo. Camilo 41 anni dopo. <strong>Il</strong> <strong>15</strong> febbraio del 1966 veniva ucciso il preteguerrigliero<br />

Camilo Torres Restrepo nel suo primo conflitto a fuoco. Ad ucciderlo l’esercito<br />

regolare colombiano nella remota regione di Santander, a Patiocemento, tra il Cerro de los<br />

Andes e la Cordillera de los Cobardes. <strong>Il</strong> suo cadavere fu fotografato e minuziosamente<br />

esaminato <strong>dal</strong>le autorità militari colombiane e da esperti dei servizi segreti USA al fine di<br />

essere certi dell’identità del guerrigliero caduto. Quando furono sicuri che si trattava di<br />

Camilo tirarono un sospiro di sollievo: il più popolare leader politico e guerrigliero<br />

colombiano era stato messo a tacere per sempre. Troppo carismatico per dargli una degna<br />

sepoltura, il suo cadavere fu occultato e ancora oggi (quasi) nessuno sa dove si trovino i suoi<br />

resti.<br />

• Colombia. <strong>15</strong> marzo. In Colombia la popolarità di Camilo, a tanti anni di distanza,<br />

rivaleggia solo con quella del Che e di Bolivar. Ancora ci si ricorda di quanto fossero<br />

affollati e partecipati i suoi comizi con il Frente Unido a Cali, Bogotà, Buenaventura,<br />

Barranquilla, Cartagena de Indias.<br />

La parabola politica e umana di Camilo Torres lo portò gradualmente ma ineluttabilmente su<br />

posizioni sempre più radicali e rivoluzionarie. Nato nel 1929 in una famiglia borghese,<br />

benestante ed anticlericale di Bogotà, scuote familiari ed amici con la sua vocazione e la<br />

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susseguente ordinazione sacerdotale. Con una borsa di studio in Belgio riesce poi a laurearsi<br />

in sociologia all’università di Lovanio, culla dei preti-operai belgi e francesi degli anni ’50 e<br />

’60. Ritorna in Colombia come prete-operaio nel malfamato quartiere bogotano di Tunjelito,<br />

poi viene nominato cappellano dell’università di Bogotà dove diviene presto popolarissimo<br />

tra gli studenti ed i professori. <strong>Il</strong> suo carisma e la sua lettura radicale della Teologia della<br />

Liberazione lo portano presto a scontrarsi con la gerarchia cattolica colombiana, che lo<br />

costringe a spretarsi. Ma il cammino di padre Torres ormai è segnato: dà vita al giornale<br />

Frente Unido che poi diventa un abbozzo di movimento politico intorno a cui si<br />

raggruppano comunisti, socialisti, cattolici del dissenso, contadini diseredati, sindacalisti ed<br />

indipendenti di sinistra.<br />

Camilo diventa «un pericolo» per l’oligarchia colombiana al potere e per i suoi sponsor<br />

statunitensi. <strong>Il</strong> passo verso la clandestinità e la lotta armata diventa ai suoi occhi una scelta<br />

conseguente e ineludibile, e nel 1965 entra nell’ELN (Ejercito de liberacion nacional), il<br />

gruppo armato che si rifaceva a Guevara. Non gli basta più essere un teorico, vuole<br />

partecipare alla lotta di liberazione a tutti gli effetti. Cade nel primo scontro a fuoco con<br />

l’esercito. Come per “Che” Guevara, nel momento stesso in cui muore, nasce il mito di<br />

Camilo Torres, il prete-guerrigliero. <strong>Il</strong> suo esempio sarà seguito da altri: padre Domingo<br />

Laìn, ‘el cura Perez’ che diventerà poi il capo dell’ELN, padre Uribe, padre Ernesto<br />

Cardenal che si batterà nelle file sandiniste in Nicaragua.<br />

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