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1 I I MEDIA AUDIOVISIVI Giovanni Ganino Nel corso del Novecento ...

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I<br />

I <strong>MEDIA</strong> <strong>AUDIOVISIVI</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Ganino</strong><br />

<strong>Nel</strong> <strong>corso</strong> <strong>del</strong> <strong>Novecento</strong> l’importanza <strong>del</strong>la comunicazione audiovisiva è<br />

stata tale da considerarlo un secolo dominato dalla cultura visiva:<br />

l’immagine, prima cinematografica poi televisiva, ha avuto un ruolo centrale<br />

nella vita di tutti, condizionando gusti, mentalità e comportamenti <strong>del</strong>le<br />

masse. A partire dalla nascita <strong>del</strong> cinema, per la prima volta i prodotti <strong>del</strong>le<br />

idee e <strong>del</strong>l’immaginazione vengono messi a disposizione di un vasto<br />

pubblico e resi fruibili anche a chi non era in grado di leggere giornali e testi<br />

scritti.<br />

Con l’avvento <strong>del</strong>la televisione l’immagine entra in modo invasivo tra le<br />

pareti domestiche e la sua potenza aumenta a tal punto da determinare la<br />

fisionomia <strong>del</strong>l’immaginario sociale: il neologismo teledipendente richiama<br />

il potere persuasivo <strong>del</strong>le immagini, sempre più accattivanti e spettacolari,<br />

che scorrono sugli schermi <strong>del</strong>le nostre tv. Fenomeno parallelo alla<br />

teledipendenza è quello <strong>del</strong>la videocrazia, concetto che indica la propensione<br />

a utilizzare il mezzo televisivo in sostituzione dei luoghi deputati agli scambi<br />

sociali. Pensiamo al rapporto tra politici e salotti televisivi. Già nel 1960<br />

Enzo Biagi scrive (citato in Grasso, 2007):<br />

I leader hanno superato bene la difficile prova di eroi <strong>del</strong>la tv (…) Adesso anche Pietro<br />

Nenni può dire come Alfred Hitchcock: “Ho inchiodato gli spettatori alla poltrona”. I comizi<br />

piacciono quanto i telefilm <strong>del</strong> brivido (…) Non c’è più bisogno di andare in piazza: ora<br />

l’onorevole viene a domicilio.<br />

Oggi, cinema, televisione e nuovi media hanno un'importanza superiore a<br />

quella di qualsiasi altro linguaggio.<br />

Il solo ricordare che nelle società industriali sviluppate i media audiovisivi (e cioè il cinema,<br />

il video e, soprattutto la televisione) occupano in media tra le tre e le quattro ore <strong>del</strong> tempo<br />

libero giornaliero <strong>del</strong>le persone, fornisce già un'idea di quanto questo tipo di comunicazione<br />

sia entrato nelle nostre vite, con una forza e una capacità espressiva che probabilmente non è<br />

mai appartenuta a nessun mezzo di comunicazione nella storia (Profita, 2001, p. 14).<br />

Prima di analizzarne le caratteristiche riteniamo opportuno precisare il<br />

significato <strong>del</strong>l'aggettivo sostantivo audiovisivo alla luce <strong>del</strong> mutato scenario<br />

tecnologico e <strong>del</strong>la nascita di modalità espressive rivolte ad un mo<strong>del</strong>lo di<br />

convergenza multimediale. Con il termine audiovisivo si fa riferimento a<br />

tutti quei prodotti di comunicazione che utilizzano suoni (programmi<br />

1


adiofonici), immagini (film muti, video, programmi televisivi e qualsiasi<br />

prodotto a base di immagini in movimento senza una colonna sonora) o<br />

immagini e suoni (film, video, programmi televisivi e qualsiasi prodotto a<br />

base di immagini in movimento con una colonna sonora). Questi prodotti<br />

vengono di norma distribuiti in diretta, in differita, on demand, da radio,<br />

cinema, televisione, tv mobile, Internet, oppure in modalità off line su<br />

supporti in pellicola, video, digitali.<br />

I luoghi <strong>del</strong>la visione<br />

I “viaggi” che ci consentono di visitare luoghi distanti migliaia di chilometri senza<br />

spostarci dai nostri appartamenti, le esperienze di realtà virtuale in ambienti<br />

tridimensionali, le applicazioni informatiche, sono possibili grazie alla presenza degli<br />

schermi. La nostra è ormai la società <strong>del</strong>lo schermo e, conseguentemente, <strong>del</strong>le interfacce.<br />

La nuova geografia <strong>del</strong> vedere muta le modalità percettive dei soggetti – si considerino le<br />

relazioni tra l'osservatore, il suo corpo e le immagini che si susseguono all'interno <strong>del</strong>la<br />

cornice dei diversi terminali - e conseguentemente il modo in cui saperi e conoscenze<br />

vengono acquisiti. Bisogna inoltre considerare come lo schermo sia un'entità aggressiva -<br />

“funziona come filtro per tagliare, o rendere inesistente, tutto ciò che non rientra nei suoi<br />

confini” (Manovich, 2002, p. 131) - i cui bordi promuovono a luce, energia, sostanza,<br />

tutto ciò che rientra al proprio interno.<br />

1. Il cinema è il luogo deputato alla visione di film (pochissime volte anche di<br />

documentari!) a pagamento in una sala pubblica dotata di uno schermo<br />

grande e al buio. Il dispositivo cinematografico determina uno sguardo<br />

durevole – il film si guarda senza interruzioni, tempo di enunciazione e<br />

tempo di lettura coincidono –, e una modalità di visione precostituita - è il<br />

soggetto enunciatore che decide cosa lo spettatore deve vedere - e<br />

variabile – lo sguardo <strong>del</strong>lo spettatore varia perché cambiano<br />

continuamente le immagini che scorrono sullo schermo, gli occhi seguono<br />

l'andamento <strong>del</strong>la cinepresa (Aumont, 1998).<br />

2. La televisione diffonde ad un pubblico di massa, ma in un contesto privato,<br />

gratuitamente o a pagamento, programmi realizzati appositamente per una<br />

distribuzione televisiva oppure provenienti da altri media (si pensi ai film<br />

per il cinema). Gli schermi dei televisori stanno diventando sempre più<br />

sottili e aumentando le loro dimensioni. La fruizione televisiva ricalca<br />

quella cinematografica – sguardo durevole e visione precostituita – e ne<br />

estende i confini verso una maggiore intermittenza e mobilità. La regia<br />

“imposta” all'interno <strong>del</strong> singolo documento è affiancata dalla mobilità tra i<br />

diversi programmi consentita dallo zapping.<br />

Mentre lo sguardo <strong>del</strong>lo spettatore cinematografico è concentrato, si fonde<br />

con lo spazio <strong>del</strong>lo schermo, quello <strong>del</strong> telespettatore è disturbato, si<br />

integra con altre attività.<br />

3. I media digitali hanno aumentato luoghi e contesti di visione – da desk, su<br />

schermi sparsi per le città e in luoghi chiusi (digital signage), sui monitor di<br />

telefonini, lettori dvd e apparati multimediali, installazioni videoartistiche<br />

su monitor diversi che si integrano tra di loro - e modificato il tipo di<br />

fruizione, ipertestuale, in movimento, interattiva. <strong>Nel</strong>la sala<br />

cinematografica e in parte in televisione lo spettatore viene portato a spasso<br />

dalle tecniche di regia, vede ciò che viene inquadrato dall'obiettivo; nei<br />

nuovi terminali l'occhio, nel rapporto che viene a crearsi con la logica<br />

multischermo/multilevels, ha una maggiore libertà d'azione, non è più<br />

stabile. Lo sguardo diventa mobile. <strong>Nel</strong>la logica <strong>del</strong>le interfacce tipiche <strong>del</strong><br />

computer, diverse finestre coesistono nella stessa schermata: lo zapping<br />

televisivo è sostituito dai movimenti dei nostri occhi, ad un montaggio<br />

2


orizzontale si sostituisce un montaggio verticale.<br />

I singoli audiovisivi (film, documentari, programmi televisivi ecc.) possono<br />

essere fruiti su media diversi: l’esempio più evidente è quello dei film per il<br />

cinema trasmessi in televisione oppure visti in videocassetta o DVD, su<br />

Internet e telefonini. Questo spesso accade senza un idoneo processo di<br />

adattamento: immagini ideate per il grande schermo vengono distribuite su<br />

display dalle dimensioni ridotte; audiovisivi pensati per una visione lineare<br />

mantengono le loro caratteristiche anche su media o apparati multimediali<br />

funzionali ad una fruizione reticolare e interattiva.<br />

Inoltre, il nostro excursus sulle tecnologie e i linguaggi audiovisivi non può<br />

trascurare l'evoluzione di Internet verso il Web 2.0 e gli strumenti che ne<br />

enfatizzano la dimensione <strong>del</strong>la cooperazione, <strong>del</strong>l'interazione, <strong>del</strong>la<br />

creazione di contenuti da parte degli utenti (user generated content),<br />

<strong>del</strong>l'intelligenza collettiva formulata da Pierre Lévy (1996).<br />

1.1 Il cinema<br />

Il cinema, al contrario di altre modalità espressive che lo hanno preceduto,<br />

basate sulla scrittura e che necessitavano pertanto di un pubblico<br />

alfabetizzato, è la prima forma di comunicazione massmediale comprensibile<br />

a tutti. Introduce l’epoca post-alfabetica. La scrittura viene affiancata da<br />

canali comunicativi a centralità visiva che consentono alle persone con bassa<br />

scolarizzazione di avere una conoscenza <strong>del</strong> mondo superiore a quella dei<br />

loro antenati. <strong>Nel</strong>le parole di Marshall McLuhan (citato in Cecchi Paone,<br />

2004, p. 6),<br />

il cinema, considerato come medium, non ha rivali nella capacità di immagazzinare<br />

informazioni in forma accessibile.<br />

Il cinema segna il modo di registrare, documentare e mostrare tutto ciò che<br />

di visibile o non (si pensi all'impiego <strong>del</strong>le tecniche speciali) circonda<br />

l’essere umano. Fornisce persino l’illusione <strong>del</strong>l’immortalità. Il 30 dicembre<br />

1895, appena due giorni dopo la prima proiezione cinematografica pubblica,<br />

compare su La Poste un articolo in cui si prefigura una sorta di vita eterna<br />

(citato in Grignaffini, 1989, p. 18).<br />

Quando queste macchine saranno a disposizione di tutti, quando tutti potranno fotografare<br />

gli esseri a loro cari, non più nella forma immobile ma nel loro movimento, nella loro<br />

azione, nei loro gesti familiari, con la parola sulle labbra, la morte cesserà di essere assoluta.<br />

E’ bene sottolineare che per comprendere e correttamente interpretare i<br />

prodotti cinematografici c’è bisogno di un certo grado di cultura e<br />

“alfabetizzazione”. Vedere un film è comunemente considerato un<br />

divertimento, uno svago: si va al cinema quando si desidera trascorrere<br />

qualche ora in modo piacevole. Questa idea è chiaramente limitativa rispetto<br />

all’universo cinematografico: accanto ai film che prevedono una modalità di<br />

fruizione ludica e sostanzialmente passiva, ne esistono altri rivolti alla<br />

partecipazione attiva e che richiedono competenze di lettura.<br />

3


Cinema come linguaggio<br />

Il cinema riesce ad attrarre grandi masse, a superare barriere linguistiche e<br />

culturali, ad emozionare i suoi spettatori attraverso un modo nuovo di<br />

comunicare che non nasce il 28 dicembre 1895 (data ufficiale <strong>del</strong>la nascita<br />

<strong>del</strong> cinema), ma si sviluppa poco per volta. Dalla prima proiezione dei<br />

fratelli Lumière dovranno infatti passare circa due decenni – tanto dura il<br />

periodo <strong>del</strong> cinema primitivo – prima che si cominci ad usare la tecnica<br />

cinematografica come un vero e proprio linguaggio, una forma di<br />

comunicazione attraverso cui raccontare storie tratte dalla realtà o frutto<br />

<strong>del</strong>la fantasia, descrivere e interpretare situazioni reali e fatti <strong>del</strong>la vita,<br />

illustrare fenomeni scientifici ecc. <strong>Nel</strong>le parole <strong>del</strong>lo studioso francese Edgar<br />

Morin (citato in Costa, 1985, p. 44) il cinematografo è<br />

il puro e semplice apparecchio di ripresa e proiezione di fotografie animate messo a punto<br />

dai fratelli Lumière, il cinema invece quel complesso dispositivo espressivo-spettacolare<br />

capace di articolare un suo proprio linguaggio.<br />

Alla sua nascita il cinema utilizza modalità espressive derivate da fotografia<br />

e teatro ma in qualche decennio si dota di una propria autonomia linguistica.<br />

Vengono elaborati i cosiddetti segni cinematografici, prima quelli legati alla<br />

sfera visiva (i codici <strong>del</strong>l'inquadratura e <strong>del</strong> montaggio) e grafica (titoli e<br />

didascalie), poi a partire dalla fine degli anni Venti, anche quelli sonori<br />

(musica, parlato, rumori). La combinazione intenzionale di questi segni<br />

produce significato anche se, come affermato da Renato May (1954, p. 20):<br />

Il processo creativo artistico è di natura intuitiva. Il che vuol dire che esso è fuori dalla sfera<br />

<strong>del</strong> razionale, e che qualunque tentativo di costringerlo entro precisi limiti di tecnica o entro<br />

schemi prefissati è destinato a fallire. Non esistono formule, non esistono cifre per produrre<br />

opere d'arte: è tuttavia possibile considerare teoricamente il fatto che tra l'intuizione<br />

<strong>del</strong>l'artista e l'opera espressa esiste un necessario ponte costituito dal linguaggio che l'artista<br />

adotta per esprimere il suo mondo poetico.<br />

Cinema come tecnica<br />

Il cinema consente la ripresa, la conservazione e la proiezione di immagini in<br />

movimento.<br />

La registrazione cinematografica<br />

1. La macchina da presa impressiona su pellicola una porzione di<br />

realtà (così come è oppure ricostruita con attori e scenografie),<br />

scomposta in tanti fotogrammi che riproducono le diverse fasi<br />

<strong>del</strong>l'azione ripresa.<br />

2. Le immagini fisse (i singoli fotogrammi), dopo il necessario<br />

procedimento di sviluppo e stampa, vengono proiettate ad una<br />

velocità di 16 fotogrammi al secondo nel periodo <strong>del</strong> cinema muto,<br />

24 fotogrammi nell'epoca <strong>del</strong> sonoro.<br />

3. Risultato finale: impressione <strong>del</strong> movimento.<br />

4


Se escludiamo il passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore,<br />

le tecnologie cinematografiche non hanno subito profonde trasformazioni in<br />

più di cento anni. A partire dalla prima metà degli anni Novanta il processo<br />

produttivo di un film è stato in parte modificato dall’avvento <strong>del</strong>le nuove<br />

tecnologie: oggi si utilizzano in modo congiunto tecniche cinematografiche -<br />

i film di norma si girano e si proiettano in pellicola - e digitali - effetti<br />

speciali e montaggio si realizzano con potenti workstation. Inevitabilmente,<br />

tra qualche anno, l’intero ciclo produttivo - dalla fase di ripresa fino alla<br />

distribuzione in sala - avverrà in digitale.<br />

Cinema come tecnica: dal bianco e nero al colore<br />

Sin dai primi anni <strong>del</strong> <strong>Novecento</strong> esisteva la possibilità di dipingere<br />

manualmente o a macchina le copie dei film, ma è soltanto dagli anni Trenta<br />

che si parla di cinema a colori. Via col vento (Gone with the Wind, 1939) fa<br />

da spartiacque tra i due periodi, anche se, per diversi anni ancora dall'uscita<br />

<strong>del</strong> film, molti lavori verranno realizzati in bianco e nero.<br />

Teorici e studiosi di cinema reagiscono in modo diverso all’avvento <strong>del</strong><br />

colore. C’è chi vede nell’immagine colorata una maggiore propensione <strong>del</strong><br />

cinema a copiare la realtà e la conseguente diminuzione <strong>del</strong> processo di<br />

interpretazione da parte <strong>del</strong>l’autore. Al contrario, la possibilità di ottenere<br />

immagini sempre più simili a quelle reali è considerata positivamente da chi<br />

crede nella missione realista <strong>del</strong> cinema. Detto ciò è evidente come anche il<br />

colore possa essere utilizzato in modo antinaturalistico: per esprimere<br />

l’interiorità dei suoi personaggi Michelangelo Antonioni in Deserto rosso,<br />

arriva a reinventare il paesaggio ravennate dipingendo direttamente i muri, gli alberi, le case,<br />

i sentieri, gli elementi industriali per ottenere quel colore definito, funzionale all’espressione<br />

di quel sentimento, di quello stato d’animo e sfruttando d’altronde gli straordinari effetti di<br />

luce atmosferica resi possibili dalla nebbia che, come un gigantesco filtro diffusore<br />

nazionale, stempera uomini e cose nell’indistinzione di un paesaggio che trascolora in una<br />

dimensione immaginaria (Mazzoleni, 2002, p. 51).<br />

Cinema come tecnica: dal muto al sonoro<br />

Per i primi trent'anni dalla sua invenzione il cinema è muto. I film di quel<br />

periodo - proiettati con un accompagnamento musicale in sala - non vengono<br />

considerati sonori poiché la musica non era parte integrante <strong>del</strong> supporto su<br />

cui erano impressionate le immagini, ovvero la pellicola. La colonna sonora<br />

poteva pertanto cambiare ad ogni proiezione come avviene negli spettacoli<br />

dal vivo. E’ soltanto verso la fine degli anni Venti che nasce il cinema<br />

sonoro: il 15 agosto <strong>del</strong> 1926 viene proiettato a New York il film di Alan<br />

Crosland, Don Juan, in cui immagini e suoni (musiche e canti) sono<br />

sincronizzati con un sistema denominato Vitaphone. Il 23 ottobre <strong>del</strong> 1927<br />

viene presentato un altro film di Crosland, The Jazz Singer, la cui colonna<br />

sonora comprende anche i dialoghi. Il cinema sonoro prenderà il sopravvento<br />

diversi anni dopo: questo per ragioni tecniche, finanziarie e culturali. Mentre<br />

il passaggio dal bianco e nero al colore ha lasciato invariate le attrezzature di<br />

produzione e proiezione, è soltanto cambiato il tipo di pellicola, la tecnologia<br />

sonora ha comportato la comparsa dei necessari apparati per la registrazione<br />

dei suoni e per la loro integrazione con la parte visiva. Non senza problemi:<br />

5


1. i primitivi microfoni potevano essere efficacemente utilizzati soltanto<br />

in ambienti insonorizzati e molto silenziosi, questo rendeva<br />

difficoltose le riprese in esterni;<br />

2. per non interferire con la registrazione audio le rumorose macchine<br />

da presa dovevano essere rinchiuse in una cabina stagna;<br />

3. le copie internazionali necessitavano <strong>del</strong> doppiaggio. 1<br />

Il sonoro trova la forte opposizione di studiosi di cinema e di alcuni tra i più<br />

noti registi <strong>del</strong> periodo. La critica più diffusa riguarda la perdita<br />

<strong>del</strong>l’universalità <strong>del</strong> linguaggio <strong>del</strong>le immagini, “non si ha più il vantato<br />

esperanto cinematografico” (Bragaglia, 1929, p. 30). Più in generale i<br />

cineasti propensi ad una modalità espressiva fondata sulla plasticità<br />

<strong>del</strong>l’inquadratura e sulle risorse <strong>del</strong> montaggio non vedono di buon occhio<br />

l’avvento <strong>del</strong> sonoro. Al contrario, gli autori votati ad un cinema <strong>del</strong>la realtà<br />

considerano il realismo favorito dalla dimensione sonora “come un naturale<br />

prolungamento <strong>del</strong>l’arte cinematografica” (Bazin, 1973). Dialoghi e suoni<br />

avvicinano il cinema al modo in cui osserviamo e ascoltiamo il mondo; la<br />

loro assenza fa <strong>del</strong> cinema una forma d’arte originale che lo allontana dalla<br />

meccanica riproduzione <strong>del</strong> mondo reale.<br />

Il cinema sonoro di sicuro facilita il lavoro interpretativo <strong>del</strong>lo spettatore e<br />

avvicina l’ambiente cinematografico a quello reale, ma i concetti di<br />

naturalismo e anti-naturalismo dipendono dal modo in cui immagini e suoni<br />

vengono accostati. A questo proposito è interessante la Dichiarazione sul<br />

film sonoro elaborata nel 1928 dai cineasti sovietici Sergej Ejzenštejn,<br />

Vsevolod Pudovkin, Grigorij Aleksandrov e incentrata sul concetto di<br />

asincronismo.<br />

Dichiarazione sul film sonoro 2<br />

Solo l'utilizzazione <strong>del</strong> sonoro quale contrappunto in rapporto alla scena<br />

darà nuove possibilità allo sviluppo e al perfezionamento <strong>del</strong>la regia. I<br />

primi lavori sperimentali <strong>del</strong> cinema sonoro devono essere indirizzati nel<br />

senso di una discordanza netta con i quadri visivi. Soltanto il "contrasto"<br />

darà la sensazione voluta, sensazione che condurrà poi alla creazione di un<br />

nuovo contrappunto orchestrale di quadri visivi e auditivi. (…) Il sonoro<br />

trattato come elemento nuovo <strong>del</strong>la regia, come fattore indipendente<br />

<strong>del</strong>l'immagine visiva, farà sorgere nuovi mezzi di potenza inaudita per<br />

esprimere e risolvere i problemi più complicati. Tali problemi ci avevano<br />

1 “Prima <strong>del</strong>l’adozione <strong>del</strong> doppiaggio o dei sottotitoli, i produttori furono costretti ad<br />

adottare soluzioni costose e non totalmente soddisfacenti: ad esempio, fabbricare in serie<br />

varie versioni <strong>del</strong>lo stesso film. <strong>Nel</strong>lo stesso teatro di posa, nelle stesse scenografie, si<br />

giravano successivamente le stesse inquadrature, secondo sceneggiatura, nelle lingue più<br />

importanti: cambiavano gli attori e, talvolta, il regista. (…) La Paramount arrivò ad affittare<br />

per suo uso esclusivo i teatri di posa di Joinville (Parigi) per avere una base europea dove<br />

concentrare più a buon mercato i gruppi di attori parlanti in francese, tedesco, italiano,<br />

spagnolo, svedese e realizzare tutte queste versioni insieme, naturalmente dopo aver girato<br />

la versione anglosassone. (…) Anche il primo film sonoro italiano (La canzone <strong>del</strong>l’amore,<br />

di Gennaro Righelli, 1930) fu girato contemporaneamente in tre versioni: italiana, inglese,<br />

tedesca” (Tosi, 2001, p. 98).<br />

2 L’articolo riportato in parte appare il 20 luglio <strong>del</strong> 1928 sulla rivista Gisn Isscutsva. Lo si<br />

può trovare anche in S. M. Ejzenštejn, La forma cinematografica, Einaudi, Torino 1986.<br />

6


scoraggiato per l'impossibilità di risolverli per mezzo dei metodi imperfetti<br />

<strong>del</strong> cinema basato unicamente sull'immagine visiva.<br />

L’uso contrappuntistico <strong>del</strong> sonoro rispetto alle immagine - asincronia tra il<br />

suono e la sua fonte, tra la voce e il volto da cui proviene - allontana il<br />

cinema da un mo<strong>del</strong>lo teatrale e letterario.<br />

Cinema come industria<br />

Il cinema è la prima forma di spettacolo ad avere una dimensione industriale:<br />

la pellicola su cui è impresso il film può essere riprodotta infinite volte. Ciò<br />

determina enormi vantaggi da un punto di vista economico. Anche se il<br />

processo produttivo di un film è di norma molto costoso - necessita <strong>del</strong><br />

lavoro di diverse figure professionali, sia artistiche che tecniche, e di<br />

tecnologie complesse - la possibilità di avere tante copie ne permette una<br />

larghissima e simultanea distribuzione. Inoltre, procedure, modalità<br />

lavorative, standard di formato e durata, ne accentuano le caratteristiche di<br />

prodotto industriale.<br />

<strong>Nel</strong> <strong>Novecento</strong> non vi saranno mass media a carattere individuale. Tutta la loro produzione<br />

sarà il frutto di un lavoro di équipe e standardizzato, a cui si cerca di adeguare, con le fatiche<br />

<strong>del</strong> caso, l’originalità e la creatività che è pur necessaria per creare un prodotto valido<br />

(Menduni, 2002, p. 24).<br />

La storia <strong>del</strong> cinema è caratterizzata dal conflitto tra le ragioni <strong>del</strong>l'arte e<br />

quelle economiche, conflitto che ha portato ad autentiche lotte tra registi e<br />

produttori: è nostra opinione che oggi sia necessario considerare il prodotto<br />

audiovisivo nella sua complessità, instaurando un dialogo costruttivo tra il<br />

settore ideativo e quello finanziario.<br />

L’attività economica relativa alla produzione di un audiovisivo viene gestita<br />

dal produttore e dai suoi collaboratori e comprende una serie di<br />

problematiche relative non solo ai piani di concreta fattibilità <strong>del</strong> singolo<br />

prodotto (realizzazione, promozione e distribuzione), ma anche all’analisi <strong>del</strong><br />

mercato. E’ un lavoro complesso che necessita di competenze economiche,<br />

finanziarie, legislative e sindacali applicate ad un processo di creazione<br />

artistica, dall’ideazione fino alla distribuzione.<br />

Documentario o finzione<br />

Il cinema alle sue origini ha un carattere documentaristico, è cioè interessato<br />

ai fatti <strong>del</strong>la vita. Poco per volta comincia ad occuparsi di soggetti frutto<br />

<strong>del</strong>la fantasia o tratti da ricostruzioni romanzate di episodi realmente<br />

accaduti. Lumière contro Méliès. Cinema documentaristico contro cinema<br />

fiction. Anche se le due forme espressive coesisteranno, sviluppando<br />

ciascuna un proprio linguaggio, in realtà non senza contaminazioni,<br />

l'industria si dimostra ben presto più interessata al cinema di finzione. La<br />

direzione che il cinema intraprende verso il film lungometraggio narrativo,<br />

insieme alle politiche economiche, massmediologiche3 e industriali fanno sì<br />

3 Basta pensare all'assenza <strong>del</strong> documentario dai palinsesti televisivi, sia pubblici che<br />

privati, entrambi interessati esclusivamente al raggiungimento <strong>del</strong> maggior numero di<br />

audience. La RAI, nonostante il suo ruolo di servizio pubblico, non ha mai considerato il<br />

7


che il documentario divenga una sorta di genere di serie B, poco tenuto in<br />

considerazione, poco analizzato e studiato.<br />

Spettacolo pubblico e modalità di fruizione<br />

Le prime proiezioni di immagini in movimento avvengono nei caffè. La<br />

prima, datata 28 dicembre 1895, al Salon Indien <strong>del</strong> Grand Café di Parigi: 35<br />

persone paganti assistono al primo spettacolo cinematografico pubblico,<br />

poche scene <strong>del</strong>la durata di un minuto ciascuna. Successivamente le<br />

proiezioni si effettuano nelle fiere fino alla nascita <strong>del</strong>le sale<br />

cinematografiche fisse, intorno alla fine <strong>del</strong> primo decennio <strong>del</strong> secolo<br />

s<strong>corso</strong>. Il cinema è quindi un fenomeno pubblico: la gente si reca nella sala<br />

cinematografica, per assistere in modo collettivo ad uno spettacolo. 4<br />

La fruizione è molto coinvolgente – la sala buia e alcune tecniche di regia<br />

favoriscono processi di immedesimazione/fascinazione - ma sostanzialmente<br />

passiva, non vi è alcuna possibilità di feedback tra spettatore e film. Se però<br />

al concetto di interattività non diamo un significato esclusivamente fisico –<br />

cliccare su un link o scegliere percorsi diversi – ma culturale, allora anche il<br />

film diventa interattivo. Molti lungometraggi narrativi richiedono allo<br />

spettatore una forma di partecipazione: per colmare mentalmente il vuoto tra<br />

immagini collegate con lunghe ellissi temporali, per interpretare il significato<br />

<strong>del</strong>le singole inquadrature, per dare senso ai riferimenti culturali ecc. Questo<br />

lavoro richiesto allo spettatore è più sottile e personale - naturalmente<br />

dipende dallo spessore e dalla complessità di un film – <strong>del</strong>l’attività<br />

interattiva consentita dalla maggior parte dei prodotti multimediali: tale<br />

argomento si basa su una prospettiva cognitivista che sottolinea l'importanza<br />

dei processi mentali attivi nella comprensione di qualunque testo culturale.<br />

1.2 La radio<br />

<strong>Nel</strong> periodo che intercorre tra la prima e la seconda guerra mondiale nasce la<br />

radio. Le prime trasmissioni regolari avvengono in Gran Bretagna nel<br />

febbraio <strong>del</strong> 1920: dalla stazione Marconi in Cornovaglia per alcune<br />

settimane vengono trasmessi due ore al giorno di programmi radiofonici. Da<br />

questo momento la marcia <strong>del</strong>l’industria radiofonica è trionfale: l’uso <strong>del</strong>la<br />

radio trova immediato utilizzo sia in ambito politico e militare che in quello<br />

<strong>del</strong> divertimento e <strong>del</strong> consumo di massa. La radio risolve problemi di<br />

informazione-comunicazione a largo raggio e in modo istantaneo: i messaggi<br />

trasmessi in passato con segnali di fumo, colpi di cannone, piccioni<br />

viaggiatori, da questo momento saranno inviati sfruttando le caratteristiche<br />

<strong>del</strong>le onde elettromagnetiche. 5<br />

valore storico, sociale, di “bene culturale” <strong>del</strong> documentario. afferma marco Bertozzi: “Se<br />

pensiamo che nel 1997 il documentario francese costituiva circa il 50% <strong>del</strong> prodotto<br />

audiovisivo complessivo; se riflettiamo sulla comprensibile, enorme richiesta internazionale<br />

di documentari sull'Italia, comprendiamo come la situazione abbia ormai <strong>del</strong> paradossale”<br />

(citato in Zagarro, 2000, p. 396).<br />

4 La visione di film oggi è sia pubblica, quando avviene nelle sale cinematografiche, che<br />

privata, attraverso la fruizione di prodotti cinematografici in televisione o su nastro<br />

magnetico e supporti digitali.<br />

5 I Rotschild devono gran parte <strong>del</strong>la loro fortuna a un piccione viaggiatore che, portando<br />

tempestivamente la notizia <strong>del</strong>la sconfitta di Napoleone a Waterloo, rese possibili certi loro<br />

interventi speculativi sul mercato azionario (D. Bell, citato in G. <strong>Giovanni</strong>ni, 2003, p. 143).<br />

8


Supporto di trasmissione immateriale<br />

La tecnica radiofonica deve molto a Guglielmo Marconi che, sfruttando le<br />

caratteristiche <strong>del</strong>le onde hertziane (scoperte dal tedesco Heinrch Hertz nel<br />

1887), intorno al 1895 a Bologna trasmette segnali senza l’ausilio di fili, a<br />

distanza di qualche migliaia di metri, utilizzando il codice morse. Le distanze<br />

di trasmissione aumentano velocemente: alla fine <strong>del</strong>l’800 Marconi stabilisce<br />

un collegamento da una parte all’altra <strong>del</strong>la Manica 6 e nel 1901 dalla<br />

Cornovaglia a Terranova realizzando così il primo collegamento hertziano<br />

transatlantico. Dal 1908 le onde hertziane veicolano anche la voce umana.<br />

Il primo collegamento per la voce umana viene realizzato nel 1908 e parte dalla Tour Eiffel<br />

per raggiungere, una quindicina di chilometri più in là, Villejuif. Negli Stati Uniti Lee De<br />

Forest trasmette il canto di Caruso a una distanza di venti chilometri dal Metropolitan Opera<br />

di New York (Jeanneney, 1996, pp., 129-30).<br />

La modalità di trasmissione immateriale, che non necessita cioè di nessun<br />

supporto per inviare segnali sonori, si rivela idonea ad essere utilizzata in<br />

diversi campi: si pensi soltanto alla possibilità di mantenere collegamenti<br />

con le navi in navigazione oppure con le truppe impegnate in operazioni<br />

belliche. 7<br />

Modalità di comunicazione broadcasting<br />

I primi studi condotti per favorire i processi di comunicazione istantanea a<br />

distanza sono rivolti alla creazione di sistemi in grado di consentire un<br />

passaggio di informazioni punto a punto secondo una logica bidirezionale,<br />

dall’emittente al ricevente e viceversa. Questo al fine di sfruttare – come<br />

individuo o come organizzazione economica, politica ecc. - le notizie<br />

ottenute: l’informazione comincia ad acquisire un valore importantissimo<br />

perché può portare vantaggi economici, politici e militari prima<br />

inimmaginabili.<br />

E’ soltanto in un secondo momento che si pensa ad un sistema di<br />

comunicazione da una stazione di trasmissione a molti riceventi: viene<br />

concepita la radio come mezzo di comunicazione di massa. 8 A partire dagli<br />

anni Venti si comincia a trasmettere verso destinatari indefiniti secondo una<br />

modalità a rete piramidale discendente: il vertice è costituito dall’apparato<br />

emittente (la stazione radiofonica) e la base dai terminali riceventi (gli<br />

apparecchi radiofonici situati nell’area di ricezione). La comunicazione<br />

unidirezionale che si stabilisce tra emittente e una moltitudine di riceventi<br />

6 Questo il testo <strong>del</strong> messaggio inviato: Il signor Marconi invia al signor Branly i suoi<br />

rispettosi complimenti per la telegrafia senza fili attraverso la Manica, dal momento che<br />

questo bel risultato è dovuto in parte al notevole lavoro <strong>del</strong> signor Branly.<br />

7 La prima dimostrazione <strong>del</strong>l’utilità <strong>del</strong>la radio nota al grande pubblico si ebbe al<br />

momento <strong>del</strong>l’affondamento <strong>del</strong> Titanic (1912), quando il SOS venne intercettato – secondo<br />

una storia che diventò leggenda, con tutte le inesattezze <strong>del</strong> caso – da un giovane marconista<br />

<strong>del</strong>l’American Marconi (Menduni, 2002, pp. 29-30).<br />

8 I Mass media - espressione composta dal termine inglese mass, massa, e da quello latino<br />

media (plurale di medium), mezzo o strumento – sono mezzi di comunicazione basati su<br />

tecnologie elettriche-elettroniche che permettono di far giungere un messaggio<br />

simultaneamente ad un gran numero di persone sparse su un territorio molto vasto.<br />

9


(da uno a molti) viene definita broadcasting, termine inglese che significa<br />

semina larga. 9<br />

Le stazioni radiofoniche che dal 1920 diffondono programmi regolari verso<br />

un pubblico di massa aumentano considerevolmente, passando da 200<br />

emittenti nel 1922 a circa 600 nel 1925. Gli apparecchi radiofonici nel 1921<br />

sono circa 50 mila, nel 1925 4 milioni, nel 1929 10 milioni.<br />

Mo<strong>del</strong>lo americano contro mo<strong>del</strong>lo europeo<br />

<strong>Nel</strong>l'economia liberista degli USA il mo<strong>del</strong>lo radiofonico si sviluppa come<br />

attività commerciale. I fruitori acquistano gli apparecchi radio con cui<br />

ascoltano gratuitamente i programmi, che sono finanziati prima<br />

dall’industria radiofonica e poi dalla pubblicità. Il primo messaggio<br />

pubblicitario – l’annuncio relativo alla vendita di una serie di appartamenti<br />

che immediatamente andarono a ruba - fu trasmesso il 23 agosto <strong>del</strong> 1922<br />

dalla stazione di NewYork <strong>del</strong>la AAT.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo radiofonico europeo si sviluppa secondo una concezione diversa<br />

che prevede il monopolio <strong>del</strong>lo Stato: il fruitore paga un canone di<br />

abbonamento, la tassa che permette di finanziare programmi senza ricorrere<br />

alla pubblicità.<br />

Due modi differenti di intendere e usare la radio: mentre negli Stati Uniti<br />

prevale una logica industriale, in Europa si pensa ad un servizio culturale e<br />

di conseguenza ad una impostazione pedagogica <strong>del</strong> servizio pubblico. Alla<br />

radio come impresa si contrappone un mo<strong>del</strong>lo basato sul paradigma istruire,<br />

informare, intrattenere. 10<br />

Modalità di fruizione<br />

Mentre quella cinematografica è una forma di comunicazione visiva (il<br />

sonoro nasce alla fine degli anni Venti) la radio utilizza come modalità<br />

espressiva il suono (parole, musica, rumori). Così come quella<br />

cinematografica, la fruizione radiofonica non necessita di alfabetizzazione<br />

ma, mentre la visione di un film richiede uno spostamento fisico, da casa ad<br />

un luogo pubblico, e l’acquisto <strong>del</strong> relativo biglietto d’ingresso, l’ascolto dei<br />

programmi radiofonici avviene all’interno <strong>del</strong>le pareti domestiche. La radio<br />

si afferma come medium <strong>del</strong>la sfera privata, per la prima volta lo spettacolo<br />

non è più associato allo spazio pubblico.<br />

Si tratta di una rivoluzione sociale di notevole portata, perché in grado di raggiungere le<br />

fasce sociali più basse, perché è gratuita, perché non richiede la capacità di saper leggere e<br />

scrivere (…) (Menduni, 2002, p. 33).<br />

Secondo Bertolt Brecht (1975, pp. 44-49) la portata rivoluzionaria di questo<br />

medium sarebbe stata maggiore se fosse stato utilizzato in modo diverso,<br />

ossia se avesse consentito a chiunque di poter essere oltre che ricevente<br />

passivo anche produttore di contenuti.<br />

9 Lo stesso termine sarà usato anche per la televisione. Con la nascita dei canali televisivi<br />

di nicchia e specializzati sarà coniato il neologismo narrowcasting (semina stretta).<br />

10 Tale mo<strong>del</strong>lo ideato dalla BBC (British Broadcasting Corporation) e dal suo primo<br />

direttore, John Reith, diventa un esempio per tutta l’Europa e determinerà successivamente<br />

la linea editoriale <strong>del</strong>la futura televisione.<br />

10


E’ potuto accadere che la tecnica fosse tanto progredita da produrre la radio in un’epoca in<br />

cui la società non era ancora tanto progredita da poterla accogliere. (…) D’improvviso si<br />

aveva la possibilità di dire tutto a tutti, ma, a pensarci bene, non si aveva nulla da dire. E chi<br />

erano poi questi tutti? All’inizio ci si arrangiò rinunciando a pensare. Ci si guardò intorno<br />

per vedere in quali posti qualcuno diceva a qualcun altro e si tentò di intrufolarsi,<br />

semplicemente entrando in concorrenza e dicendo qualcosa a qualcuno. Questa fu la radio<br />

nella sua prima fase, quando svolgeva la funzione di sostituto. Sostituto <strong>del</strong> teatro,<br />

<strong>del</strong>l’opera, <strong>del</strong> concerto, <strong>del</strong>le conferenze, <strong>del</strong> caffè concerto, <strong>del</strong>la cronaca cittadina dei<br />

giornali, ecc. Fin dall’inizio la radio ha imitato, più o meno, tutte le istituzioni esistenti che<br />

avessero in qualche modo a che fare con la diffusione di ciò che si può dire o cantare: da<br />

questa torre di Babele venne fuori un incrociarsi e accavallarsi di suoni che non era possibile<br />

ignorare. (…) Ma, anche a prescindere completamente da questa sua equivoca funzione (chi<br />

dà molto, non dà niente a nessuno), la radio ha una sola dimensione, mentre dovrebbe<br />

averne due. Essa è soltanto uno strumento di distribuzione, si limita a ripartire.<br />

Adesso cerchiamo di diventare positivi, di scoprire ossia ciò che di positivo c’è nella radio;<br />

ecco qui una proposta per modificare il funzionamento <strong>del</strong>la radio: si dovrebbe trasformare<br />

la radio da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazione. La radio potrebbe essere per<br />

la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno<br />

straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di<br />

trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di<br />

farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri. La radio dovrebbe di<br />

conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventasse<br />

fornitore. (…) La radio deve rendere possibile questo scambio.<br />

La visione utopistica di Brecht oggi sta diventando realtà.<br />

Trasmissione in diretta<br />

La fruizione <strong>del</strong>le immagini cinematografiche avviene in differita, dal<br />

momento <strong>del</strong>la ripresa alla proiezione in sala passa un periodo di tempo più<br />

o meno lungo: le inquadrature impressionate su pellicola devono essere<br />

sviluppate, stampate e montate. 11<br />

La novità introdotta dalla radio è costituita dalla diretta, ossia la simultaneità<br />

tra ripresa e ricezione <strong>del</strong> suono: ciò favorisce l’uso di questo medium per la<br />

diffusione di tutti i generi informativi, naturalmente predisposti alla<br />

immediatezza <strong>del</strong>la comunicazione. La diretta è una caratteristica che<br />

conferisce credibilità alle notizie e consente di influenzare la percezione<br />

<strong>del</strong>la realtà. Non è un caso che il mezzo radiofonico sia stato utilizzato nei<br />

Paesi a regime totalitario per uso propagandistico.<br />

In Italia il governo fascista esercitava un controllo di fatto sull’EIAR (Ente italiano per le<br />

audizioni radiofoniche) che operava in regime di monopolio; in Russia l’organizzazione<br />

radiofonica era parte <strong>del</strong>l’apparato propagandistico <strong>del</strong>lo Stato sovietico. L’uso più<br />

pervasivo <strong>del</strong>la radio fu operato tuttavia dal nazismo tedesco (Menduni, 2002, p. 35).<br />

Una trasmissione radiofonica, La guerra dei mondi (30 ottobre 1938) di<br />

Orson Welles, ha fatto credere agli americani che i marziani avessero invaso<br />

la Terra. 12 Studi scientifici condotti per esaminare gli effetti <strong>del</strong>la notizia<br />

sulla popolazione hanno rivelato come circa un milione e 200 mila persone<br />

11 E’ l’operazione di montaggio che influisce maggiormente sul tempo che passa tra il<br />

momento <strong>del</strong>la registrazione e la visione pubblica: il montaggio di un film o di un<br />

documentario può durare anche diversi mesi.<br />

12 E’ possibile ascoltare la trasmissione in rete al seguente indirizzo:<br />

http://orsatti.blogspot.com/2007/01/la-guerra-dei-mondi-di-orson-welles.html<br />

11


tra i 6 milioni di ascoltatori abbia creduto all’invasione aliena e provato<br />

panico e terrore (Pulcini, 2006).<br />

La guerra dei mondi 13<br />

Il 30 ottobre 1938, il ventitreenne Orson Welles ha interpretato all'interno<br />

<strong>del</strong> programma Mercury Theatre on the Air, trasmissione settimanale in cui<br />

venivano proposte letture di romanzi celebri, un adattamento radiofonico de<br />

La guerra dei mondi di Herbert George Wells. Il programma è rimasto<br />

celebre per aver scatenato il panico negli Stati Uniti: molti ascoltatori non si<br />

sono accorti che si trattava di una finzione e hanno creduto all'invasione<br />

<strong>del</strong>la terra da parte di astronavi marziane. Welles non aveva previsto quelle<br />

che sarebbero state le reazioni <strong>del</strong> suo pubblico; non aveva nessuna<br />

intenzione di fare uno scherzo, come talvolta si crede, e finita la<br />

trasmissione si è recato in un teatro vicino per prendere parte alle prove<br />

serali di uno spettacolo, venendo a conoscenza solo il giorno dopo <strong>del</strong><br />

putiferio che la sua interpretazione aveva scatenato. A dire il vero, Welles<br />

pensava che l'adattamento fosse noioso, e non avrebbe voluto proporlo, se<br />

non fosse che fu costretto ad usarlo perché si ritrovava senza altro materiale<br />

interessante a disposizione. Furono le dimensioni <strong>del</strong>la reazione ad essere<br />

sbalorditive:<br />

sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si<br />

riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava<br />

gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il<br />

New Jersey, che avevamo sottostimato l'estensione <strong>del</strong>la vena di follia <strong>del</strong>la nostra<br />

America.<br />

Con queste parole Welles stesso ha descritto a Peter Bogdanovich l'effetto<br />

<strong>del</strong> suo adattamento in un celebre libro-intervista. Gli ascoltatori sono stati<br />

presi dal panico credendo che la trasmissione fosse reale, non capendo che<br />

si trattava, in realtà, di un semplice programma radiofonico. La vicenda<br />

immaginaria narrata nel romanzo, infatti, è stata interpretata da Welles<br />

come una reale radiocronaca, con l'unico intento di creare un programma<br />

avvincente. L'adattamento <strong>del</strong> romanzo simulava un notiziario speciale che<br />

a tratti si inseriva sopra gli altri programmi <strong>del</strong> palinsesto per fornire<br />

aggiornamenti sull'atterraggio di astronavi marziane a Grovers Mill, nel<br />

New Jersey.<br />

Radio e altri media<br />

Oggi i cosiddetti nuovi media mettono in discussione la sopravvivenza dei<br />

vecchi media, considerati obsoleti. Il dibattito incentrato sul rapporto tra<br />

vecchi e nuovi media è cominciato con la nascita <strong>del</strong>la radio e ha portato a<br />

diverse posizioni, spesso contrapposte; tra le più equilibrate e condivisibili,<br />

quella di Roberto Grandi (1995, pp. 7-8), qui parzialmente riportata.<br />

Contrariamente a quanto ipotizzato dagli studiosi apocalittici <strong>del</strong>la società di massa,<br />

l’apparizione di un nuovo medium non ha eliminato quelli precedenti, li ha solo costretti a<br />

riposizionarsi nel panorama massmediatico. Ogni nuovo medium ha infatti indotto quei<br />

media che, a causa di una tale irruzione, venivano considerati tradizionali ad anestetizzare<br />

certe loro proprietà e a potenziarne altre. Anche la radio ha subito questo destino: una prima<br />

volta in quanto nuovo medium, una seconda volta in quanto medium ormai tradizionale.<br />

13 http://it.wikipedia.org/<br />

12


Alla messa in onda, all’inizio degli anni Venti, <strong>del</strong>le prime trasmissioni regolari di<br />

programmi radiofonici si parlò <strong>del</strong>la fine di tutti quei generi <strong>del</strong>lo spettacolo che iniziavano<br />

a essere veicolati attraverso l’etere: il varietà, la musica dal vivo, il teatro. Non solo. Il vero<br />

e proprio boicottaggio messo in atto – sia in Europa che negli Stati Uniti – dagli editori <strong>del</strong>la<br />

carta stampata contro il nuovo medium e la sua pretesa di trasmettere l’informazione, ed<br />

eventualmente la pubblicità, in diretta era dettato dalla previsione catastrofica che nessuno<br />

avrebbe poi avuto alcun interesse ad acquistare i quotidiani per leggere informazioni già<br />

note e vecchie di mezza giornata.<br />

Ma come sappiamo, il varietà, pur se modificato, continuò la sua esistenza, al pari degli<br />

spettacoli teatrali e di quelli musicali. Le edicole, poi, continuano ancora oggi a vendere<br />

giornali (…).<br />

La radio non aveva dunque ucciso gli altri media, ma li aveva costretti a ripensarsi, a trovare<br />

uno spazio diverso che contemplasse la presenza <strong>del</strong> nuovo, modificando il proprio formato<br />

mediante quel processo che McLuhan definì ibridazione.<br />

1.3 La televisione<br />

Alcune cifre<br />

13<br />

Oggi i bambini viaggiano con la TV<br />

in ogni parte <strong>del</strong> mondo ancora prima<br />

di avere il permesso di attraversare la strada<br />

(Meyrowitz, 1985, p. 238).<br />

Quanto tempo si trascorre davanti alla Tv? Sul sito <strong>del</strong>la Comunità Europea<br />

si legge che “la televisione è la nostra fonte principale di informazione e<br />

intrattenimento. Ciascuno di noi trascorre, in media, fino a tre ore al giorno<br />

guardando notizie, eventi sportivi, film e altri programmi”. 14<br />

Secondo una ricerca di Eurodata Tv Worldwide, condotta su 64 Paesi, il<br />

tempo medio di ascolto <strong>del</strong>la Tv nel mondo è aumentato nel 2005 a 3 ore e 4<br />

minuti al giorno a persona. Il Giappone resta il Paese dove si guarda più<br />

televisione con 5 ore e 11 minuti di visione media quotidiana, seguito dagli<br />

Stati Uniti con 4 ore e 11 minuti, 3 minuti in più rispetto all’anno precedente.<br />

L'Asia porta il suo tempo di ascolto quotidiano da 2 h 33 a 2 h 34 min. In<br />

questo continente il Pakistan è uno dei Paesi più dipendenti, con 3 h e 17<br />

min. In Medio Oriente, il Libano passa da 3 ore e 30 min a 3 h e 37, Israele<br />

da 3 h 10 min a 3 h e 17. Tre ore e 17 minuti sono registrate anche in Africa<br />

<strong>del</strong> Sud, mentre i latino-americani si fermano a 3 ore e 16.<br />

La ricerca ha preso in considerazione anche la tipologia dei programmi più<br />

visti: al primo posto ci sono le fiction che ottengono il 44% degli ascolti,<br />

contro il 38% dei varietà e 18% <strong>del</strong>l'informazione. Tra le fiction, in testa<br />

telefilm e serie a episodi (64% <strong>del</strong>l'audience nel 2005 contro 50% <strong>del</strong> 2004),<br />

mentre i film attirano solo il 16% degli ascolti. L’entertainment, categoria<br />

che comprende giochi, reality show e talk show, è preferito da un terzo <strong>del</strong>la<br />

popolazione mondiale. 15<br />

<strong>Nel</strong> mondo ci sono oggi più di 1,5 miliardi di apparecchi televisivi; circa 340<br />

milioni in Europa, 32 milioni in Italia. Ciò significa che per ogni mille<br />

abitanti <strong>del</strong> pianeta si contano 240 televisori, con punte di 806 per mille<br />

abitanti negli Stati Uniti, 710 in Canada, 686 in Giappone, 595 in Francia<br />

14 http://europa.eu/pol/av/index_it.htm<br />

15 I dati sono tratti dalla ricerca, L’Année de Télévision dans le Monde, Eurodata Tv<br />

Worldwide, 2006.


(446 in Europa; 528 in Italia). Solo in Cina ce ne sono 400 milioni. Più di<br />

200 satelliti diffondono programmi televisivi. Almeno un miliardo di<br />

persone vede la televisione ogni giorno.<br />

Elementi comunicativi<br />

La televisione unisce le caratteristiche <strong>del</strong> cinema (comunicazione attraverso<br />

immagini e suoni) e <strong>del</strong>la radio (trasmissione immateriale dei segnali); si<br />

configura pertanto come un mezzo di comunicazione via etere, audio-video,<br />

a distanza e in diretta. Il successo <strong>del</strong> mezzo televisivo è dovuto alla sua<br />

completezza comunicativa che facilita il lavoro di lettura <strong>del</strong>lo spettatore, il<br />

quale, senza sforzo fruisce, per lo più comodamente seduto sul proprio<br />

divano, i programmi trasmessi. Privo di immagini, l’ascolto radiofonico<br />

richiede un processo di ricostruzione, magari stimolante per alcuni, faticoso<br />

per altri. L’audiovisione rende gradevole e non complessa la fruizione<br />

televisiva ad un pubblico in cerca di relax dopo la giornata lavorativa.<br />

Diretta ed eventi televisivi<br />

Sin da subito è stata esaltata la possibilità <strong>del</strong>la tv di mostrare ciò che accade<br />

“qui e ora” (così come poteva fare la radio, ma soltanto in audio) al contrario<br />

<strong>del</strong> cinema che può mostrare qualcosa che “è stato”, è già accaduto da un<br />

lasso di tempo più o meno lungo. La peculiarità <strong>del</strong> mezzo televisivo di<br />

annullare il tempo tra l’accadimento e la presentazione <strong>del</strong>lo stesso al<br />

pubblico sparso su tutto il pianeta non riguarda soltanto gli episodi reali o<br />

considerati tali, ma anche quelli dichiaratamente ricostruiti, come ad esempio<br />

le fiction televisive. Secondo Sergej Michailovic Ejzenstein la diretta tv è<br />

paragonabile allo spettacolo teatrale: l’attore che recita davanti alla<br />

telecamera sente la presenza <strong>del</strong> pubblico perché sa che non c’è distanza tra<br />

la sua recitazione e la fruizione <strong>del</strong>la stessa da parte <strong>del</strong> telespettatore. 16<br />

L’attore (…) potrà trasmettere in modo immediato a milioni di ascoltatori e telespettatori la<br />

sua interpretazione artistica <strong>del</strong>l’avvenimento nel momento irripetibile in cui esso si compie,<br />

nel momento <strong>del</strong> primo e sconvolgente incontro con esso (Ejzenstein citato in Lischi, 2005,<br />

pp. 16-17).<br />

Il primo evento televisivo in diretta, l’incoronazione di re Giorgio VI nel<br />

1938, fu seguito da circa 10.000 persone; a meno di settant’anni di distanza<br />

sono 2 miliardi i telespettatori <strong>del</strong>la giornata inaugurale <strong>del</strong>le olimpiadi<br />

invernali 2006 di Torino. In mezzo tutta una serie di episodi ed eventi che<br />

hanno fatto la storia <strong>del</strong> <strong>Novecento</strong>, a cui i possessori <strong>del</strong>la scatola magica<br />

hanno potuto assistere da casa. Si pensi allo sbarco <strong>del</strong> primo uomo sulla<br />

Luna: nel luglio <strong>del</strong> 1969 le 28 ore consecutive di diretta televisiva via<br />

satellite in mondovisione consentono a più di 500 milioni di persone di<br />

condividere i primi passi sul suolo lunare. 17 Oppure ai recenti conflitti in<br />

Medioriente trasmessi in diretta sulle televisioni di tutto il mondo grazie alle<br />

immagini dei cellulari dei giornalisti.<br />

16 S. M. Ejzenstein si riferisce al primo periodo <strong>del</strong>la televisione, quando non era ancora possibile<br />

registrare le trasmissioni, quindi anche i programmi cosiddetti di finzione venivano trasmessi in<br />

diretta.<br />

17 <strong>Nel</strong>le teche <strong>del</strong>la Rai consultabili in Internet è possibile visionare l’evento.<br />

14


La possibilità di far vedere gli avvenimenti nel loro accadere attribuisce alla<br />

televisione un alto grado di credibilità: la diretta televisiva conferisce status<br />

di evento reale a ciò che viene trasmesso.<br />

Le Fiandre hanno proclamato l'indipendenza!"<br />

13 novembre 2006. "Le Fiandre hanno proclamato l'indipendenza!", "Il re<br />

ha lasciato il paese!", "Il Belgio non esiste più!". La rete <strong>del</strong>la tv pubblica<br />

belga RTBF, in lingua francese, ha interrotto i programmi per dare una<br />

notizia che ha lasciato di stucco i telespettatori. Un annuncio che ricorda<br />

quello di Orson Welles che gettò nel panico l'America annunciando l'arrivo<br />

dei marziani. E in quel caso come in questo, si tratta di uno scherzo. Solo<br />

dopo 30 minuti di trasmissione è comparsa la scritta "Questa è una fiction",<br />

su richiesta <strong>del</strong> ministro <strong>del</strong>l'Audiovisivo <strong>del</strong>la comunità francofona Fadila<br />

Laanan. Per rendere la notizia più convincente, la tv ha orchestrato una<br />

messa in scena con dirette da tram bloccati ai nuovi "confini" e reazioni di<br />

esponenti politici che plaudono o denunciano la proclamazione unilaterale<br />

<strong>del</strong>l'indipendenza da parte <strong>del</strong> parlamento fiammingo. Il programma, nelle<br />

intenzioni degli autori, doveva "porre sulla piazza pubblica un dibattito che<br />

appassiona tutti i belgi", ha invece scatenato polemiche in un Paese<br />

dilaniato da annose diatribe fra i fiamminghi <strong>del</strong>le Fiandre e i francofoni<br />

<strong>del</strong>la Vallonia.<br />

Il mito <strong>del</strong>la diretta<br />

Le immagini effettuate dal vero vengono di norma percepite come reali.<br />

Esempi attualissimi sono le fotografie o le riprese effettuate nei luoghi di<br />

combattimento dove giornalisti, fotografi, cameramen rischiano la vita per<br />

informare.<br />

Quanto detto però può non essere sempre vero. Seguiamo Luisa Cicognetti<br />

(2003, p. 25) nella sua riflessione su come vengano raccontate le guerre<br />

moderne.<br />

Esiste negli archivi Rai un reportage <strong>del</strong> 1967, <strong>del</strong>la battaglia di Amman durante la guerra<br />

arabo israeliana dei Sei giorni, in cui il cronista racconta la battaglia dalla stanza <strong>del</strong> suo<br />

albergo, primo di una lunga serie di reportage di guerra da una stanza d'albergo, che<br />

continua con Peter Arnett <strong>del</strong>la CNN dall'albergo di Bagdad durante la guerra <strong>del</strong> G o l f o e<br />

con Ennio Remondino, inviato Rai, da Belgrado durante il conflitto per il Kosovo. La<br />

telecamera è posizionata alla finestra, per cui si scorgono i tetti <strong>del</strong>la città ed ogni tanto qua<br />

e là colonne di fumo, ma nient’altro.<br />

Altre volte si utilizzano tecniche di costruzione e messa in scena senza<br />

l’intenzione di barare con la realtà – si ricostruiscono episodi realmente<br />

accaduti – ma ciò evidenzia come l’immagine sia una rappresentazione, uno<br />

sguardo costruito, soggettivo.<br />

L’Imperial War Museum di Londra conserva moltissime riprese filmate che i Combat<br />

Cameramen, al seguito <strong>del</strong>l’esercito inglese, hanno girato durante la seconda guerra<br />

mondiale. La liberazione <strong>del</strong>le zone <strong>del</strong>la penisola italiana (in particolare la zona adriatica<br />

<strong>del</strong>la linea gotica, fino alle città di Ravenna e Bologna) è splendidamente documentata e le<br />

riprese sono conservate in ottimo stato. Ma uno storico attento che vede quelle immagini,<br />

noterà una cosa interessante: in tutte le zone riprese, città, campagne, strade, non si vedono<br />

persone, civili, ma solo soldati. Abbiamo bellissime immagini, di ottima qualità, di<br />

combattimenti terrestri, cannoneggiamenti, raid aerei. Ma i luoghi sono deserti. Questo<br />

15


perché le scene <strong>del</strong>le battaglie, la liberazione <strong>del</strong>le città occupate dai tedeschi venivano<br />

girate il giorno dopo, con una ricostruzione degli eventi, quando le città erano in mano<br />

alleata, dunque non c'era più rischio. Allora si facevano sfilare i soldati a ripetere le<br />

operazioni <strong>del</strong> giorno prima; oppure si facevano sparare i cannoni per effettuare le riprese<br />

cinematografiche.<br />

Questo non significa che tutte le scene di guerra siano “finte”, in quanto ricostruzioni a<br />

posteriori di un evento: i paesi distrutti, le rovine, i cadaveri, avevano lo stesso aspetto<br />

anche il giorno dopo. La vera questione ancora una volta non è se le immagini di guerra<br />

riproducano fe<strong>del</strong>mente o meno la realtà: sarebbe affrettato concludere che la guerra in<br />

televisione “è finta”. Piuttosto questo dovrebbe farci riflettere su un dato: l'immagine, così<br />

come qualsiasi altro testo, scritto, musicale, pittorico, si fabbrica (ivi, p. 26).<br />

La possibilità che la televisione ha di trasmettere in diretta immagini<br />

provenienti da qualsiasi parte <strong>del</strong> pianeta la rende una finestra sul mondo.<br />

Tale caratteristica oggi è amplificata dalla possibilità di utilizzare strumenti<br />

di ripresa e trasmissione poco ingombranti: le pesanti telecamere analogiche<br />

sono ormai sostituite da attrezzature leggere e alla portata di tutti, e sempre<br />

più spesso anche dai telefonini di nuova generazione. Tuttavia questo<br />

sguardo sul mondo è filtrato sia dal modo in cui gli obiettivi osservano gli<br />

accadimenti che dalla censura.<br />

Dalla guerra <strong>del</strong> Golfo in poi, è diventato abituale per il pubblico sentire in diretta gli inviati<br />

al “fronte” mentre leggono al telefono non una cronaca di quello che sta succedendo in quel<br />

momento, ma un resoconto – spesso censurato – <strong>del</strong>la giornata passata, sullo sfondo di<br />

immagini fisse e che poco hanno a che vedere con ciò che accade in quel momento: spesso<br />

si tratta di una telefoto <strong>del</strong> cronista o di un’immagine grafica <strong>del</strong> teatro <strong>del</strong>le operazioni. E<br />

allora uno spettatore avvertito dovrebbe chiedersi: in cosa consiste la diretta? <strong>Nel</strong> sentire il<br />

reporter che legge, in quello stesso preciso momento, un resoconto scritto qualche ora prima<br />

di eventi accaduti altrettante ore prima, filtrati e censurati dagli stati maggiori? (…) Durante<br />

il recente conflitto per il Kosovo, Ennio Remondino era uno dei pochissimi inviati speciali<br />

che poterono stare a Belgrado, a narrare l’esperienza dei bombardamenti su Belgrado.<br />

Remondino faceva tutto “in diretta”, però leggendo le veline, o comunque i comunicati, le<br />

cose che da Belgrado poteva diffondere nel mondo occidentale (ivi, pp. 29-32).<br />

Accanto alla censura non bisogna sottovalutare il controllo operato sulle<br />

notizie da parte dei network televisivi per opportunità politiche e di mercato.<br />

Lo spettatore deve pertanto essere consapevole di trovarsi di fronte a racconti<br />

che vanno sapientemente letti e interpretati perché potenzialmente frutto di<br />

verità, indizi, frammenti, falsità, propaganda, censura, manipolazioni. Lo<br />

stesso atteggiamento va tenuto nei confronti di tutta l’informazione<br />

televisiva: le news non sono lo specchio <strong>del</strong>la realtà, ma una sua<br />

rappresentazione. I media non vanno pertanto considerati semplici canali di<br />

comunicazione, nastri trasportatori di significato situati tra il mondo e il<br />

pubblico. Non sono una finestra sul mondo. Gli approcci semiotici allo<br />

studio sui media sostengono come siano i mezzi di comunicazione a<br />

strutturare quella realtà che sembrano solo descrivere o rappresentare.<br />

Verso una fruizione personalizzata<br />

La televisione è definita generalista quando la sua programmazione si<br />

rivolge al maggior numero di persone possibile. La tv diventa in questo<br />

modo il medium <strong>del</strong>la cultura di massa per eccellenza: i programmi sono<br />

realizzati in modo tale da soddisfare ideali e aspettative <strong>del</strong>l’audience media.<br />

Questa modalità comunicativa introduce una discriminazione culturale,<br />

accontenta il pubblico con orientamenti sociali e culturali medi, soddisfatto<br />

16


da programmi spesso simili e che non prevedono alcuna riflessione critica, e<br />

allontana chi cerca una visione che possa portare sia intrattenimento che<br />

arricchimento culturale. 18 Il mo<strong>del</strong>lo generalista, applicato in modo<br />

leggermente diverso dalla tv pubblica e da quella privata, in questi ultimi<br />

anni ha dato segnali di cedimento. Secondo dati auditel le reti generaliste dal<br />

2000 al 2005 hanno perso in media il 5,13% di telespettatori giornalieri e il<br />

4,80% in orario prime time (20.30-22.30).<br />

A partire dai primi anni Novanta in Italia accanto al mo<strong>del</strong>lo generalista si è<br />

sviluppato quello tematico, a pagamento o in chiaro, contraddistinto da una<br />

programmazione basata su generi specifici - film, sport, informazione,<br />

documentari - oppure rivolta a segmenti ristretti <strong>del</strong>la popolazione, bambini,<br />

donne, adulti, comunità straniere ecc. La televisione tematica consente una<br />

maggiore libertà sia in termini di contenuti (l’utente si abbona a ciò che<br />

vuole) che di gestione <strong>del</strong> tempo (la multidiffusione, trasmissione <strong>del</strong>lo<br />

stesso programma in fasce orarie e giornate diverse, cerca di soddisfare<br />

esigenze e abitudini individuali).<br />

La programmazione assomiglia a quella di una sala cinematografica, in cui lo stesso film sta<br />

in cartellone per un periodo determinato e viene programmato a orari fissi più volte al<br />

giorno (Menduni, 2002, p. 189).<br />

Il mo<strong>del</strong>lo d'offerta personalizzato comporta la scomparsa <strong>del</strong> palinsesto:<br />

l'impresa televisiva mette a disposizione un catalogo di programmi a cui lo<br />

spettatore può accedere quando crede, secondo la modalità pay per view o<br />

video on demand. La modalità pay per view prevede la trasmissione <strong>del</strong>lo<br />

stesso programma televisivo (il genere che va per la maggiore è il film) su<br />

più canali con orari d’inizio che differiscono di pochi minuti: se si vuole<br />

garantire ogni quindici minuti l'inizio di un film <strong>del</strong>la durata di due ore,<br />

occorrono otto canali che lo trasmettano ininterrottamente. E’ come andare<br />

in un multisala in cui viene proiettato un unico film in orari leggermente<br />

diversi. La modalità video on demand consente una interattività maggiore<br />

rispetto alla pay per view ed è possibile soltanto con un collegamento puntopunto,<br />

bidirezionale, tra l'utente e l'impresa che fornisce il servizio<br />

televisivo.<br />

Il futuro <strong>del</strong>la televisione<br />

Considerato che la maggior parte <strong>del</strong>le idee circolano sotto forma di<br />

immagini, ne consegue che i detentori dei canali distributivi assumono un<br />

potere enorme nel formare l’opinione pubblica e nel determinare abitudini<br />

culturali e sociali. Poteri politico ed economico, con differenze a seconda dei<br />

diversi paesi, hanno per questa ragione ‘controllato’ l'uso <strong>del</strong>la televisione,<br />

favoriti dagli enormi costi di produzione dei programmi e dal numero<br />

limitato di canali distributivi.<br />

Oggi il panorama sta cambiando: l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni<br />

ha determinato da un lato, l’abbattimento dei costi di produzione, dall’altro,<br />

l'aumento dei canali televisivi e la nascita di modalità distributive alternative<br />

ai sistemi classici.<br />

18 Tutto ciò risulta evidente ad una analisi <strong>del</strong>le scelte di programmazione relative alla<br />

prima serata di un giorno qualsiasi optate dai canali Rai e Mediaset.<br />

17


Nonostante la sua giovane età la televisione viene pertanto considerata un<br />

old medium e contrapposta ai new media. Ne conseguono nuove sfide<br />

comunicative che costringono i broadcaster televisivi a mettere in<br />

discussione posizioni acquisite in regime di oligopolio nell’epoca <strong>del</strong>la<br />

scarsità <strong>del</strong>le frequenze e <strong>del</strong>le marmoree barriere d’accesso. C’è chi prevede<br />

la fine <strong>del</strong>lo strapotere <strong>del</strong>la tv broadcast - “farà la fine dei dinosauri”<br />

(Gilder, 1995) - e dei grossi gruppi editoriali a favore di una “informazione<br />

personalizzata” (Negroponte, 1995) e libera “dall’influenza centralizzata dei<br />

mass media” (Gilder, 1995), di una comunicazione televisiva bidirezionale,<br />

più in generale <strong>del</strong>la costruzione di “uno spazio <strong>del</strong> sapere sociale” (Lévy,<br />

1994).<br />

Ciò che poteva sembrare utopistico fino a qualche decennio fa è oggi realtà:<br />

il web 2.0 non è più soltanto accessibilità di dati, canale di distribuzione a<br />

basso costo, rete di comunicazione utile ai grossi gruppi editoriali per<br />

aumentare i loro profitti e mantenere il controllo <strong>del</strong>l'informazione, ma è<br />

anche un modo per costruire relazioni sociali che ridanno centralità<br />

all'individuo e per promuovere forme di comunicazione alternative a quelle<br />

tradizionali, gerarchiche e verticali.<br />

Il fare televisivo in questo scenario diventa uno strumento comunicativo a<br />

disposizione di tanti: nascono nuovi editori e media company nei settori più<br />

diversi, prolificano televisioni aziendali o istituzionali, comunitarie,<br />

universitarie, di partito, di quartiere, i singoli cittadini possono diventare<br />

essi stessi canale televisivo. Naturalmente tutto via web.<br />

Contemporaneamente stanno cambiando le abitudini mediali a favore di un<br />

maggiore protagonismo <strong>del</strong>l’utente, non più ricevente passivo ma produttore<br />

egli stesso di contenuti. <strong>Nel</strong>le parole di Charles Leadbeater (in Pellegrini,<br />

2007, p. 44):<br />

Le società moderne si sono sviluppate nel contesto dei mass media e <strong>del</strong>la produzione<br />

industriale di comunicazione, il che ha immancabilmente influenzato la nostra percezionevisione<br />

di dove provengono le idee, di dove si forma il dibattito politico, di chi può fare<br />

informazione e di chi, invece, è solamente uno spettatore da divano. Oggi siamo nel bel<br />

mezzo di un cambiamento radicale, dalla produzione per le masse alla produzione <strong>del</strong>le<br />

masse.<br />

Proviamo a tracciare un quadro <strong>del</strong>la situazione attuale:<br />

1. La televisione sta perdendo il suo appeal sul pubblico, soprattutto<br />

quello giovane e che dispone <strong>del</strong>la banda larga, abituato ad una<br />

fruizione diversa dei contenuti e ad un nomadismo sulle diverse<br />

piattaforme multimediali. <strong>Nel</strong>lo spazio <strong>del</strong>l’abitare quotidiano si<br />

assiste alla progressiva dissoluzione <strong>del</strong> primato <strong>del</strong>la televisione<br />

come medium dominante a favore <strong>del</strong>le comunicazioni digitali<br />

(Rivoltella, 2006, Ferri, 2008).<br />

2. Il passaggio dalla logica broadcast a quella narrowcast ha<br />

frammentato in modo irreversibile l'audience: il mo<strong>del</strong>lo push che<br />

prevede la spinta verso la massa indefinita di telespettatori dei pochi<br />

contenuti decisi dai pochi produttori è ormai in declino; i canali<br />

tematici, la televisione on demand, la netvisione propendono verso<br />

un mo<strong>del</strong>lo pull che decreta la sovranità <strong>del</strong> consumatore. Il<br />

mainstream generalista e “nazionalpopolare” è destinato a<br />

18


idimensionarsi in una società in cui i prodotti culturali di massa<br />

sono affiancati da una serie di generi e sottogeneri di nicchia.<br />

3. La sfida apportata ai vecchi media dalla rivoluzione digitale deve<br />

indurre gli editori ad un cambiamento di rotta e pensare in termini di<br />

channel neutrality, come suggerito dal vicepresidente di Benchmark<br />

Capital, il più importante venture capital europeo specializzato nei<br />

media, Mark Evans: «l'editore <strong>del</strong> futuro dovrà essere channel<br />

agnostic, e i suoi prodotti dovranno essere pensati per approdare su<br />

diversi media» (in Pellegrini, p. 66).<br />

4. La diffusione di Internet sta dimostrando errata la tesi <strong>del</strong>la<br />

televisione broadcast secondo la quale la couch viewing (visione<br />

passiva da divano) è quella preferita dall'utente. E' sempre più<br />

evidente, ricorda John Naughton, come la passività <strong>del</strong>lo spettatore<br />

fosse dovuta a carenze tecnologiche più che «a un intrinseco difetto<br />

<strong>del</strong>la natura umana» (in ivi, 2007, p. 70).<br />

5. La maggiore diffusione <strong>del</strong>la banda larga amplificherà quanto<br />

appena descritto come risulta dalla ricerca (fig. 2) effettuata dalla<br />

Ofcom, autorità inglese per le telecomunicazioni: sono gli italiani a<br />

dichiarare una maggiore disaffezione al mezzo televisivo (41%),<br />

seguiti da francesi (34%) e cittadini <strong>del</strong> Regno Unito (33%); i più<br />

affezionati risultano essere gli americani (il 21% dichiara di guardare<br />

meno tv).<br />

6. I media digitali hanno aumentato luoghi e contesti di visione – da<br />

desk, su schermi sparsi per le città e in luoghi chiusi (digital<br />

signage), sui monitor di telefonini, lettori dvd e apparati<br />

multimediali, installazioni videoartistiche su monitor che si<br />

integrano tra di loro - e modificato il tipo di fruizione, ipertestuale, in<br />

movimento, interattiva. <strong>Nel</strong>la sala cinematografica e in parte in<br />

televisione lo spettatore viene portato a spasso dalle tecniche di<br />

regia, vede ciò che viene inquadrato dall'obiettivo; nei nuovi<br />

terminali l'occhio, nel rapporto che viene a crearsi con la logica<br />

multischermo/multilevels, ha una maggiore libertà d'azione, non è<br />

più stabile. Lo sguardo diventa mobile. <strong>Nel</strong>la logica <strong>del</strong>le interfacce<br />

tipiche <strong>del</strong> computer, diverse finestre coesistono nella stessa<br />

schermata: lo zapping televisivo è sostituito dai movimenti oculari,<br />

ad un montaggio orizzontale si sostituisce un montaggio verticale.<br />

Il quadro appena descritto va inserito nello scenario complessivo <strong>del</strong>la<br />

nuova società <strong>del</strong>la conoscenza e <strong>del</strong>l’informazione, <strong>del</strong>l’ambiente<br />

tecnologico postmoderno. Scenario contraddistinto dall’emergere dei nuovi<br />

media intesi non come dispositivi tecnici ma come strumenti che hanno un<br />

impatto sulle nostre pratiche sociali, culturali, comunicative, professionali<br />

(Manovich, 2002, Jenkins, 2007, Ferri, Mizzella, Scenini, 2009, Castells<br />

2003). Siamo nell’era <strong>del</strong>la transizione mediale contraddistinta, come spesso<br />

accade nel campo <strong>del</strong>le invenzioni, da scelte strategiche unite a conseguenze<br />

accidentali e soprattutto da territori di frontiera in continuo movimento e<br />

direzioni ipotetiche. Per queste ragione risulterebbe fuorviante dare una<br />

visione linerare di questo scenario, ricco, secondo Henry Jenkins (2006, p.<br />

xxxv), di diverse prospettive e punti di vista:<br />

19


Pubblicitari in lotta che si contendono il mercato, artisti creativi che scoprono nuovi modi<br />

di raccontare storie, educatori che individuano comunità di apprendimento informale,<br />

attivisti che usano nuove risorse per plasmare il futuro politico, gruppi religiosi che<br />

contestano tendenze culturali e, naturalmente, le comunità di fan che fungono sempre più<br />

da pionieri creativi dei media emergenti.<br />

Senza alcuna pretesa di esaustività è comunque possibile indicare alcuni<br />

principi ispiratori <strong>del</strong> panorama mediatico contemporaneo che non<br />

riguardano, ripetiamo, uno sterile elenco di strumenti e nuove tecnologie ma<br />

pratiche culturali. Di seguito le caratteristiche individuate da Jenkins verso<br />

la fine <strong>del</strong> 2006:<br />

Innovativo. I cambiamenti tecnologici avvenuti negli ultimi anni sono stati<br />

così veloci da non essere stati supportati da pratiche politiche, economiche,<br />

educative in grado di accompagnare tale cambiamento. Pertanto, non vi è<br />

ancora consapevolezza riguardo la ricaduta sociale ed estetica di questo<br />

scenario. Uno dei segni più evidenti <strong>del</strong>l’innovazione è, secondo<br />

l’antropologo Grant McCracken, l’”abbondanza” e la diversificazione<br />

culturale che amplia i mezzi <strong>del</strong>l’espressione personale e collettiva. Alla<br />

base di questi cambiamenti ci sarebbero due fattori: l’abbattimento <strong>del</strong>le<br />

barriere di accesso nel mercato culturale dovuto alle nuove tecnologie; la<br />

diminuzione <strong>del</strong>l’influenza <strong>del</strong> potere <strong>del</strong>le istituzioni che tradizionalmente<br />

hanno tenuto sotto controllo l’innovazione (tale processo è definito da<br />

McCracken “withering of the witherers”). E’ sotto gli occhi di tutti la<br />

diversificazione <strong>del</strong>l’attuale produzione culturale al punto tale da dover<br />

mettere in discussione la definizione, elaborata sul finire degli anni<br />

Quaranta da parte di Adorno e Horkheimer, di industria culturale. Ossia di<br />

quel processo di industrializzazione <strong>del</strong>le forme estetiche che ha portato, ad<br />

esempio, alla fabbrica hollywoodiana in cui la produzione di un film<br />

avveniva attraverso gli stessi meccanismi che regolavano la produzione di<br />

una qualsiasi altra merce. Meccanismo applicato in modo altrettanto<br />

rigoroso in televisione attraverso il sistema dei generi e dei format.<br />

Altro segnale, frutto <strong>del</strong>la rapidità con cui le tecnologie compaiono nella<br />

nostra società, è la percezione, non supportata scientificamente, che le<br />

attività consentite dalla rete, dalla televisione digitale, dagli apparati di<br />

comunicazione mobile ecc. determinano un impoverimento culturale e<br />

umano.<br />

Convergente. Lo scenario <strong>del</strong>la convergenza è esemplificato molto bene da<br />

Jenkins attraverso il racconto <strong>del</strong> viaggio di un’immagine creata con<br />

photoshop dallo studente liceale filippino-americano Dino Ignacio<br />

nell’autunno <strong>del</strong> 2001. L’immagine, raffigurante Bert (personaggio <strong>del</strong>la<br />

serie animata per bambini Sesame Street, in onda negli Stati Uniti dal 1970)<br />

accanto al leader terrorista Osama Bin Laden e pubblicata nel sito <strong>del</strong><br />

ragazzo, viene scelta da un editore <strong>del</strong> Bangladesh e stampata su magliette,<br />

poster e cartelli anti-americani. Dalla stanza di Dino Ignacio il collage<br />

finisce sul web e poi in Medio Oriente. Qui attraverso i poster Bert e Bin<br />

Laden arrivano in una manifestazione anti-americani ripresa dalle<br />

telecamere <strong>del</strong>la CNN. Le immagini televisive riportano il collage negli<br />

Stati Uniti, oltre che nei salotti degli spettatori di tutto il mondo, dove alcuni<br />

rappresentanti <strong>del</strong> Children’s Television Workshop e creatori <strong>del</strong>la serie<br />

20


Sesame Street indignati per tale uso “spiacevole e disgustoso dei loro<br />

personaggi” minacciano di intraprendere un’azione legale. In seguito alcuni<br />

fan hanno continuato a pubblicare in molti siti altri personaggi <strong>del</strong>la serie<br />

televisiva associati a volti di terroristi. Il documento creato da Ignacio nella<br />

sua cameretta oltre ad aver acceso una controversia internazionale ha fatto il<br />

giro <strong>del</strong> mondo ed è diventato oggetto di culto.<br />

Benvenuti nella Cultura Convergente, dove i vecchi e i nuovi media collidono, dove si<br />

incrociano i media grassroots e quelli <strong>del</strong>le corporation, dove il potere dei produttori e<br />

quello dei consumatori interagiscono in modi imprevedibili (Jenkins, p. XXV).<br />

<strong>Nel</strong> processo di convergenza sono evidenti i cambiamenti sociali,<br />

economici, tecnologici e culturali nel settore <strong>del</strong>la comunicazione mediale:<br />

troviamo un flusso di contenuti su tutte le piattaforme disponibili, il<br />

coinvolgimento di tutti i settori <strong>del</strong>l’industria editoriale e <strong>del</strong>le<br />

telecomunicazioni, l’utente che partecipa ad un triplo livello, come fruitore,<br />

come produttore e come medium. Questo nuovo paradigma comunicativo<br />

evidenzia errata la tesi secondo la quale i nuovi media avrebbero<br />

soppiantato i vecchi attraverso un processo di convergenza di contenuti<br />

all’interno di pochissime piattaforme multimediali (il teleputer ad esempio<br />

di George Gilder), poche scatole nere in grado di controllare tutto il flusso<br />

mediatico. Basta osservare, come racconta Jenkins, le nostre case per<br />

rendersi conto <strong>del</strong> contrario: una miriade di fili collegano alla corrente<br />

elettrica televisori, monitor, computer, apparati di videoregistrazione, radio,<br />

lettori dvd, consolle di videogiochi, alimentatori per telefonini, iPod, iPad<br />

ecc...<br />

Cross-mediale. In un sistema di comunicazione in cui, grazie al processo di<br />

digitalizzazione <strong>del</strong>le informazioni (Manovich, 2002), tutti i media<br />

interagiscono tra di loro e attribuiscono un nuovo ruolo al consumatore, si<br />

devono ridefinire forme estetiche e pratiche di consumo. La nuova<br />

drammaturgia cross-mediale soppianta le logiche <strong>del</strong>la scrittura e <strong>del</strong>la<br />

sceneggiatura tradizionale e si avvicina al consumo <strong>del</strong>lo spettatore post<br />

industriale. Da qui la necessità di realizzare progetti editoriali e di<br />

comunicazione nei diversi settori, dall'informazione allo spettacolo,<br />

dall'intrattenimento alla didattica, in modo integrato:<br />

Incrociando i mezzi e facendoli interagire gli uni con gli altri in modo sempre più<br />

suggestivo, contaminato e partecipato dal pubblico, sfruttando in primis il potenziamento<br />

emozionale <strong>del</strong> racconto e la messa a punto di drammaturgie alternative di fruizione e<br />

condivisione (Giovagnoli 2005, p. 10).<br />

Giovagnoli per esemplificare questa nuova modalità espressiva, ancora poco<br />

studiata dalle discipline che fanno capo al settore <strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la<br />

comunicazione, descrive una possibile nuova fruizione di una puntata <strong>del</strong><br />

commissario Maigret. Alla televisione è collegato un set-top-box2 che vi<br />

permetterà di interagire con le immagini <strong>del</strong> commissario proposte dal<br />

vecchio film ormai vicino al finale. In un angolo <strong>del</strong>lo schermo, in basso, un<br />

link vi consente in ogni momento di entrare nel sito ufficiale <strong>del</strong>la serie per<br />

saperne di più sulla vita e il "curriculum" di Maigret. <strong>Nel</strong>l'interfaccia <strong>del</strong> sito<br />

esiste inoltre un'area games in cui è possibile, come in un vecchio cluedo<br />

trovare tutte le schede degli indiziati e il minuzioso rapporto <strong>del</strong>la scientifica<br />

21


sul caso. Sulla scrivania ai piedi <strong>del</strong>la Tv c'è ancora, capovolta, una copia<br />

<strong>del</strong>l'ultima edizione di Maigret e il cadavere scomparso. Alla copertina <strong>del</strong><br />

libro è incollata la custodia di un CD che contiene una lettura in lingua<br />

originale <strong>del</strong> libro più una serie di esercizi grammaticali e pronuncia da<br />

svolgere (e verificare eventualmente con un assistente telefonico, oppure<br />

online). Tornate con gli occhi sullo schermo. Sulle ultime immagini<br />

trasmesse scorre il testo di un sottopancia. Vi avverte che stasera alle 21, in<br />

diretta su una radio locale, potrete ascoltare un'intervista fatta all'ultimo<br />

traduttore <strong>del</strong> libro, e un vecchio intervento di repertorio <strong>del</strong> regista (ormai<br />

scomparso) <strong>del</strong> film. Da domani a questa stessa ora, infine, sarà possibile -<br />

chiamando un certo numero - conoscere direttamente via SMS l'identità<br />

<strong>del</strong>l'assassino o, con un piccolo filmato disponibile sui videofonini rivedere<br />

la scena clou in cui Maigret è riuscito anche stavolta a smascherare il<br />

colpevole. Ovviamente in tutte le edicole <strong>del</strong> paese è già disponibile da un<br />

paio di settimane l'intera serie a fumetti <strong>del</strong>le avventure <strong>del</strong> commissario, e<br />

nelle giocherie sono stati distribuiti per tempo tutti i gadget legati alla<br />

promozione <strong>del</strong> progetto (Giovagnoli 2005, p. 11). Naturalmente un<br />

progetto di comunicazione molti-mediale necessita, da un lato, capacità di<br />

adattamento dei contenuti, in funzione <strong>del</strong>le caratteristiche dei diversi<br />

linguaggi mediali, dall'altro, di un coivolgimento culturale e fisico <strong>del</strong><br />

fruitore-esploratore (per guardare, navigare, approfondire, scegliere,<br />

intervenire, collaborare, creare ecc.).<br />

Partecipativo. La diffusione dei documenti creati dagli utenti o dagli editori<br />

attraverso le piattaforme oggi disponibili avviene anche attraverso la<br />

partecipazione attiva dei consumatori. Per questa ragione, secondo Jenkins,<br />

la convengenza riguarda cambiamenti culturali piuttosto che dispositivi<br />

tecnologici in grado di consentire il trasferimento degli stessi contenuti su<br />

più piattaforme.<br />

La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media - per quanto sofisticate possano<br />

essere - ma nei cervelli dei singoli consumatori nonché nelle loro reciproche interazioni<br />

sociali. Ognuno di noi si crea una sua personale mitologia dalle unità e dai frammenti di<br />

informazione estratti dal flusso mediatico e trasformati in risorse da cui trovare il senso<br />

<strong>del</strong>la propria vita quotidiana.<br />

La centralità <strong>del</strong>l’utente, reso più potente da questo nuovo scenario,<br />

costringe le corporation a rinegoziare il proprio rapporto con i consumatori.<br />

Inevitabilmente le industrie <strong>del</strong>lo spettacolo, <strong>del</strong>la pubblicità, <strong>del</strong>l’editoria<br />

che non gestiscono al meglio questo scenario sono destinate ad affrontare un<br />

calo di consensi e di vendite.<br />

Intelligenza collettiva. Consumo passivo e produzione si affiancano dando<br />

origine ad un processo collettivo, definito dal cyberteorico francese Pierre<br />

Lévy “intelligenza collettiva”, intesa come fonte alternativa al potere<br />

mediatico. Questo nuovo modo di produrre significati può arrivare, secondo<br />

Jenkins, “a cambiare l’agire e il senso <strong>del</strong>la religione, <strong>del</strong>l’educazione, <strong>del</strong>la<br />

legge, <strong>del</strong>la politica, <strong>del</strong>la pubblicità e <strong>del</strong>le forze armate” (p. XXVI).<br />

Wikinomics. Cambiando le strategie di comunicazione, cambiano<br />

inevitabilmente anche i mo<strong>del</strong>li economici. In un ambiente ridisegnato dalle<br />

nuove tecnologie, l'informazione e la conoscenza stanno reinventando se<br />

22


stesse e i loro mo<strong>del</strong>li di business. Imprese che operavano in settori<br />

industriali distinti - telefonia fissa e mobile, Internet, televisione, stampa<br />

ecc... - convergono sulle reti a protocolo IP e quindi lavorano su mercati<br />

simili. La televisione via web come gran parte <strong>del</strong>l’informazione online è<br />

contraddistinta da un paradigma comunicativo fondato sull’uso sociale <strong>del</strong>la<br />

Rete (Social Networking), sulla Tagging Strategy, sulla User Generated<br />

Content, sulla Clip Culture e sulla Viral Communication (propagazione dei<br />

clip attraverso il passaparola digitale, alla stessa velocità con cui si propaga<br />

un virus e in modo incontrollabile) <strong>del</strong>la cui formula “magica” vorrebbero<br />

impossessarsi tutti gli addetti al marketing e alla promozione. Non è però,<br />

ancora chiaro se il nuovo ambiente digitale e le nuove forme di distribuzione<br />

dei contenuti portino nuove opportunità oppure minore libertà a proposito<br />

<strong>del</strong>la remunerazione per il lavoro creativo (Lucchi, 2009). Di sicuro, il<br />

successo <strong>del</strong> contenuto non dipende dagli investimenti pubblicitari, come<br />

accade nel mondo dei mass media, ma dalle nuove regole <strong>del</strong> cyberspazio<br />

più inclini alla trasparenza e alla meritocrazia. E’ il giudizio <strong>del</strong> popolo <strong>del</strong><br />

web che può decretare il successo dei contenuti online.<br />

Conseguentemente le strategie economiche devono necessariamente<br />

considerare questo nuovo scenario contraddistinto dalla disintegrazione <strong>del</strong><br />

mainstream (industria <strong>del</strong>l'intrattenimento e <strong>del</strong>lo spettacolo <strong>del</strong> secolo<br />

s<strong>corso</strong> incentrata su pochi prodotti di successo per tanti) in un mercato di<br />

frammenti culturali diversi e milioni di nicchie. <strong>Nel</strong>l'analisi di Chris<br />

Anderson (in Mizzella 2009, p. 248) il tramonto <strong>del</strong> mainstream ci introduce<br />

nell'era <strong>del</strong>la coda lunga:<br />

Potendo contare su un numero pressoché infinito di "scaffali” i negozi online (Amazon,<br />

eBay, Rhapsody, iTunes) ottengono grandi guadagni dalla "coda lunga" <strong>del</strong>le "non hit",<br />

ovvero tutti quei prodotti di nicchia ignorati dal mercato di massa. Per la prima volta nella<br />

storia, hit e nicchie sono sullo stesso livello economico, entrambi voci in un database che<br />

vengono richiamate a richiesta, entrambe ugualmente degne di essere trattate.<br />

All'improvviso, la popolarità non detiene più il monopolio <strong>del</strong>la redditività.<br />

Il nuovo ruolo attribuito al consumatore, non più utente passivo ma<br />

produttore egli stesso di messaggi, spinge alcuni economisti a parlare di<br />

economia collaborativa, ossia un mo<strong>del</strong>lo più funzionale al paradigma<br />

comunicativo <strong>del</strong> web 2.0 e quindi ad una produzione orizzontale e<br />

democratica di informazione e conoscenza. Don Tapscott e Anthony D.<br />

Williams introducono il concetto di wikinomics che riguarda l’insieme dei<br />

«profondi cambiamenti strutturali e operativi che la grande impresa e la<br />

nostra economia stanno vivendo, cambiamenti basati su nuovi principi<br />

competitivi come l’apertura, il peering, la condivisione e l’azione su scala<br />

globale» (in Ferri, Mizzella, Scenini, pp. 266-67). Secondo i due autori,<br />

stiamo entrando in una nuova era nella quale la gente parteciperà all’economia come non ha<br />

mai fatto finora. (...) le nuove forme di collaborazione di massa stanno cambiando il modo<br />

in cui i beni e i servizi vengono inventati, prodotti, promossi e distribuiti in tutto il mondo.<br />

(...) Ciò permette alla gente di partecipare all’innovazione e alla creazione <strong>del</strong>la ricchezza in<br />

tutti i settori <strong>del</strong>l’economia» (in Ferri, Mizzella, Scenini, p. 267).<br />

1.4 Il video<br />

23


Al mondo <strong>del</strong>la comunicazione audiovisiva appartiene la modalità<br />

espressiva, di derivazione televisiva, definita genericamente video:<br />

quegli usi cioè leggeri e portatili, personali, indipendenti, artistici, sociali <strong>del</strong>l’immagine<br />

elettronica esplorata e praticata al di fuori degli studi, <strong>del</strong>le emittenti, degli apparati<br />

insomma <strong>del</strong>la produzione-diffusione <strong>del</strong>la TV commerciale o di Stato (Lischi, 2005, p. 12).<br />

Le tecnologie di produzione (di ripresa e montaggio) sono identiche a quelle<br />

utilizzate dalle televisioni anche se di norma vengono impiegate attrezzature<br />

meno costose perché il livello qualitativo richiesto dal mercato <strong>del</strong> video è<br />

inferiore a quello necessario per trasmettere sui grossi broadcaster nazionali<br />

e internazionali. La tecnologia video è direttamente legata ai sistemi<br />

televisivi di videoregistrazione portatili messi a punto nella seconda metà<br />

degli anni Sessanta. <strong>Nel</strong> 1967 compaiono negli Stati Uniti le prime<br />

telecamere e i videoregistratori portatili; nel decennio successivo<br />

diminuiscono dimensioni <strong>del</strong> nastro e fanno la loro comparsa i<br />

videoregistratori a cassette. Da quel momento in poi i formati, sia<br />

professionali (U-Matic, betacam, betacam sp) che amatoriali (betamax e vhs)<br />

si moltiplicano fino ad arrivare agli attuali formati digitali.<br />

Il video o videotape viene salutato come una vera e propria rivoluzione nel<br />

sistema dei media audiovisivi.<br />

La video rivoluzione<br />

1. nascono i sistemi a circuito chiuso;<br />

2. il video sostituisce l’uso <strong>del</strong>le piccole cineprese super-8 nelle<br />

produzioni private, amatoriali, famigliari;<br />

3. da un punto di vista espressivo e comunicativo il video si rivela<br />

adatto agli autori portati alla ricerca e alla sperimentazione;<br />

4. consente a chiunque di esprimersi attraverso il linguaggio <strong>del</strong>le<br />

immagini in movimento: inizia quel processo che si conclude con<br />

la messa a punto <strong>del</strong>le ultime tecnologie digitali attraverso cui si<br />

semplifica la lavorazione audiovisiva e si abbattono i costi di<br />

realizzazione;<br />

5. determina l’aumento <strong>del</strong>le produzioni audiovisive in tutti quei<br />

settori che non necessitano di una distribuzione televisiva o<br />

cinematografica: video didattici, industriali, di promozione<br />

turistica, personali ecc., distribuiti su dvd e altri supporti digitali;<br />

6. aumentano i video di documentazione di eventi censurati o<br />

trascurati dal sistema tradizionale dei media, video di<br />

controinformazione collegati al più recente fenomeno di<br />

mediattivismo.<br />

Realizzare audiovisivi per le televisioni significa di norma seguire procedure<br />

lavorative industriali e altamente codificate: al fine di garantire ai loro<br />

sponsor il più alto numero di spettatori possibile, i canali televisivi utilizzano<br />

format e un linguaggio omologato comprensibile allo spettatore medio. Fare<br />

sperimentazione in televisione è pertanto difficile. Al contrario il video, non<br />

24


sottoposto alle ferree leggi <strong>del</strong> mercato, consente una maggiore autonomia<br />

creativa. Non è forse un caso che questo strumento nasca in un periodo, gli<br />

anni Sessanta, di grande fermento sociale, culturale, artistico.<br />

Il video nasce in questo contesto e viene salutato come il medium più adatto a esprimere le<br />

istanze, a documentare quotidianamente quanto accade, a veicolare rapidamente quella che<br />

allora si chiamava “controinformazione”, non solo in campo politico ma anche in campo<br />

culturale e artistico. Tanto che ben presto viene coniato uno slogan significativo: VT is not<br />

TV, il videotape non è televisione.<br />

Si può quindi dire che il video, figlio <strong>del</strong>la tecnologia televisiva, è un medium che si<br />

affianca alla TV e insieme se ne distacca: è la forma indipendente che assume l’immagine<br />

elettronica; schematizzando un po’, sta agli apparati televisivi come il cinema indipendente<br />

sta a quello hollywoodiano; contempla l’uso artistico <strong>del</strong>la TV ma anche usi<br />

controinformativi; si distacca dai generi e dalle durate codificate; esplora tematiche che i<br />

media lasciano in ombra. (…) Possiamo dire che per certi aspetti il video è “la televisione<br />

che non c’è”, la televisione che avrebbe potuto essere, una televisione in grado di esplorare e<br />

valorizzare appieno il proprio linguaggio e di riservare uno spazio all’arte, alla<br />

sperimentazione, a una narratività innovativa, alla ricerca di nuove forme espressive, di<br />

nuovi generi, di nuove modalità sia informative sia spettacolari; e allo stesso tempo<br />

possiamo dire che il video raccoglie forme anomale e non codificate di “cinema”, dal corto<br />

d’animazione al documentario, allo sperimentale (ivi, pp. 26-27).<br />

Alla luce <strong>del</strong>la diffusione dei nuovi apparati di registrazione, il video è<br />

diventato una sorta di “protesi”dei sensi <strong>del</strong> nuovo cittadino digitale che<br />

consente di vedere, ascoltare, registrare e trasmettere in tempo reale. Un dato<br />

di fatto che sta mettendo in crisi i dogmi di alcune professionalità – si pensi<br />

ad esempio al mondo <strong>del</strong> giornalismo televisivo – e le classiche strutture<br />

mediali.<br />

Reporter diffuso (Carelli, 2004, pp. 43-44)<br />

Internet sta cambiando il ruolo stesso <strong>del</strong> giornalista all’interno <strong>del</strong>la<br />

società. La prova di questo cambiamento è apparsa agli occhi di tutti<br />

durante i tragici avvenimenti <strong>del</strong>l’11 settembre 2001. Come spiega<br />

chiaramente Michele Mezza (2001) all’interno <strong>del</strong> suo saggio “E’<br />

l’innovazione, bellezza!”, nel momento in cui, alle 8.45 di quella limpida<br />

mattina di settembre, un allibito pompiere che lavorava ai piedi <strong>del</strong>le Twin<br />

Towers ha alzato l’obiettivo <strong>del</strong>la sua camera digitale riprendendo<br />

inconsapevolmente quella che è divenuta l’immagine simbolo <strong>del</strong> nuovo<br />

millennio, è svanita l’ultima illusione <strong>del</strong>l’indispensabilità <strong>del</strong> giornalistatestimone.<br />

In quel momento, il più clamoroso evento globale <strong>del</strong>la storia è<br />

entrato contemporaneamente nelle case di almeno un miliardo di persone in<br />

tutto il pianeta. Secondo il sito www.journalism.net circa l’80% <strong>del</strong>le<br />

informazioni che arrivarono alla gente in tutto il mondo nelle tre ore<br />

successive alla tragedia – in forma audio, video o scrittura – non ebbe<br />

un’origine professionale.<br />

Si costituiva così, di fronte alla platea più sterminata che un messaggio<br />

comunicativo abbia mai avuto, un nuovo soggetto <strong>del</strong>l’informazione che<br />

comunemente viene chiamato reporter diffuso, testimone <strong>del</strong>l’evento di cui<br />

si trova a essere protagonista. (…) Molto è stato ripreso e trasmesso<br />

direttamente dai protagonisti stessi <strong>del</strong>la tragedia in <strong>corso</strong>, senza alcuna<br />

mediazione professionale. Al punto da poter dire che l’evento si è in<br />

qualche modo auto-rappresentato. (…) Un dato di fatto che, nel momento in<br />

cui tutti possono essere testimoni <strong>del</strong>la notizia e soprattutto avere i mezzi<br />

per registrarla e diffonderla, sta mettendo in crisi il vecchio dogma <strong>del</strong><br />

giornalismo secondo cui la testimonianza diretta è l’essenza stessa <strong>del</strong>la<br />

25


professione, ciò che maggiormente la legittima. Nessuna testata<br />

giornalistica, per grande che possa essere, potrebbe mai avere una copertura<br />

informativa pari a quella <strong>del</strong> reporter diffuso, presidio sociale <strong>del</strong>la gente<br />

che è naturalmente presente sui luoghi degli eventi, essendone<br />

improvvisamente e inaspettatamente protagonista.<br />

1.5 Web tv e retevisione<br />

Esistono diverse tecniche attraverso cui trasmettere segnali televisivi: alcune<br />

- via etere, cavo o satellite - costose, limitate in termini numerici e<br />

controllate da poteri economici o politici; altre, grazie alle tecnologie<br />

digitali, più accessibili e, in particolare quella via web, poco costosa,<br />

illimitata, libera.<br />

Grazie alle tecnologie di streaming 19 a partire dalla metà degli anni Novanta<br />

diventa possibile inserire su Internet contenuti audio e successivamente<br />

anche video. Si parla a questo proposito di televisione on line o più<br />

semplicemente di web-tv.<br />

Ma di che tipo di televisione si tratta? Possiamo ancora utilizzare il termine<br />

televisione per indicare una modalità comunicativa bidirezionale,<br />

personalizzata, interattiva, libera, diversa da quella monodirezionale e<br />

passivizzante <strong>del</strong>la tv classica? Qual è il grado di parentela che le web tv<br />

hanno nei confronti <strong>del</strong>la tv tradizionale, da cui in qualche modo prendono<br />

origine? Quale rapporto si crea tra comunicazione broadcasting e social<br />

networking? In che modo i generi tv continuano a rappresentare un<br />

riferimento e come si contaminano con i linguaggi <strong>del</strong> web?<br />

I contenuti video sono l’elemento principale che le accomuna, la modalità di<br />

fruizione e di interazione ciò che più separa questi due mondi ancora molto<br />

lontani, ma sinergici:<br />

1. La tv è un medium sociale attorno a cui si adunano valori<br />

socialmente condivisi, il computer è un medium individuale che<br />

tende ad escludere i soggetti tecnologicamente non abilitati.<br />

2. La tv è un medium lineare e non consente interazione, il computer<br />

consente di sfruttare l’efficacia comunicativa <strong>del</strong>l’immagine e dei<br />

suoni (come la tv) e la possibilità di approfondimento e di interazione<br />

offerti dagli strumenti <strong>del</strong>la rete (retevisione).<br />

3. La tv è monodirezionale, passivizzante, controllata da grossi gruppi<br />

editoriali; la webtv è libera, bidirezionale, personalizzata,<br />

collaborativa, è pubblicazione di video, videoblog, screencast, video<br />

live con webcam, condivisione di video, trasmissione in diretta di<br />

19 Lo streaming media permette la trasmissione di un contenuto multimediale, come l'audio o<br />

il video, tramite server e attraverso reti a banda larga (broadband). In particolare lo<br />

streaming consente la visualizzazione <strong>del</strong> file video non appena il primo blocco di dati<br />

(packet) arriva al computer <strong>del</strong>l'utente eliminando in questo modo le lunghe attese di<br />

download. C'è soltanto un breve periodo di buffering, in cui una risorsa di memoria viene<br />

utilizzata per memorizzare il primo packet e per prevenire eventuali ritardi nella<br />

riproduzione dovuti alla congestione <strong>del</strong>la rete (De Rosa, 2001, pp. 2-6).<br />

26


manifestazioni, sedute politiche, lezioni universitarie, eventi pubblici<br />

o privati. E' mandare in rete il segnale proveniente da una telecamera<br />

accesa 24 ore al giorno su una piazza, una spiaggia, la propria stanza<br />

ecc. E’ dare la possibilità a aziende, università, associazioni,<br />

istituzioni, scuole, singoli individui di creare la propria televisione.<br />

Tutto ciò la tv che conosciamo non lo ha mai fatto e, inoltre, forme, durate,<br />

linguaggi e contenuti <strong>del</strong>la televisione on line sono debitori <strong>del</strong> paradigma<br />

comunicativo imposto dalla rete e dalla cosiddetta clip culture. Da un punto<br />

di vista terminologico proponiamo pertanto l’utilizzo di netvisione per<br />

indicare forme di comunicazione a base di immagini in movimento e suoni<br />

fruibili in rete.<br />

Le forme <strong>del</strong>la net-tv<br />

Il fare televisivo diventa uno strumento comunicativo a disposizione di<br />

tanti: nascono nuovi editori e media company nei settori più diversi,<br />

prolificano televisioni aziendali o istituzionali, comunitarie, universitarie, di<br />

partito, di quartiere, i singoli cittadini possono diventare essi stessi canale<br />

televisivo.<br />

Quello che accadrà non è ancora chiaro: molti si interrogano sulle<br />

prospettive; alcuni sperimentano per cercare di capire se esistono mo<strong>del</strong>li di<br />

business in grado di reggere uno sforzo produttivo comunque gravoso. Di<br />

sicuro il successo <strong>del</strong> video in rete è indiscusso: rappresenta un modo di<br />

comunicare più coinvolgente <strong>del</strong>la parola o <strong>del</strong>l’immagine statica, è un<br />

linguaggio di facile comprensione, immediato ed emozionale (si pensi al<br />

ruolo <strong>del</strong>la colonna sonora), sicuramente vicino al sentire <strong>del</strong>la netgeneration.<br />

I mo<strong>del</strong>li: dirette <strong>del</strong>le tv broadcast, contenuti trasmessi da grandi network<br />

tradizionali e in seguito pubblicati online (tv on demand), grandi archivi di<br />

contenuti, televisioni create per il web con una propria linea editoriale: per<br />

dialogare con pubblici mirati (Business tv, corporate tv), per creare<br />

un’alternativa alla tv tradizionale (street tv, Babelgum tv, Current tv ecc.),<br />

per utilizzare il linguaggio televisivo in diversi ambiti (didattica a distanza,<br />

pubbliche amministrazioni ecc..); videoportali o aggregatori di contenuti<br />

(YouTube, Google video ecc.).<br />

YouTube<br />

Di seguito una scheda su YouTube, osservatorio <strong>del</strong>le tendenze planetarie in<br />

ambito audio-video, considerato il ruolo che il sito di file sharing sta avendo<br />

nella mutazione <strong>del</strong>l’Era digitale contraddistinta da un paradigma<br />

comunicativo fondato sull’uso sociale <strong>del</strong>la Rete (Social Networking), sulla<br />

Tagging Strategy (sistema che consente attraverso l’inserimento di parole<br />

chiave, dette tag, il rapido accesso alle informazioni), sulla User Generated<br />

Content, sulla Clip Culture e sulla Viral Communication. Poi analizziamo<br />

alcuni dei paradigmi comunicativi citati.<br />

27


Il fenomeno YouTube<br />

L’idea iniziale. I tre fondatori <strong>del</strong> sito, tutti sotto i trent’anni – Chad, Steve e Jawed –<br />

decidono di lavorare per risolvere un problema che riguardava centinaia di milioni di utenti<br />

Internet: la possibilità di consentire a chiunque di condividere le proprie riprese televisive<br />

(registrazioni video con telecamere, telefonini, macchine fotografiche) senza grosse<br />

difficoltà tecnologiche. Fornire una traccia, come ricordato da Chad Hurley, “per realizzare<br />

questa nuova estrema Tv <strong>del</strong>la realtà” costituita da immagini provenienti da ogni angolo<br />

<strong>del</strong> pianeta.<br />

Trovata la soluzione software adeguata ed acquisita la possibilità, grazie ad un cospicuo<br />

finanziamento (3,5 milioni di dollari) da parte <strong>del</strong>la società di venture capital Sequoia<br />

Capital, di disporre di uno spazio per ospitare un numero enorme di videoclip, i tre<br />

rilasciano la seguente dichiarazione: “YouTube ha sviluppato nuovi servizi che consentono<br />

alla gente di caricare facilmente, identificare tramite tag e condividere videoclip personali<br />

utilizzando il sito www.YouTube.com. Il servizio consente inoltre di creare il proprio<br />

canale video personale”.<br />

<strong>Nel</strong> sito – compare in rete nel dicembre 2005, l’anno successivo la società YouTube Inc.<br />

viene acquisita da Google - quotidianamente vengono visualizzati 100 milioni di video,<br />

circa 65.000 sono i videoclip aggiunti autonomamente dagli utenti ogni 24 ore (dati<br />

gennaio 2008). Questi numeri gli hanno consentito di diventare il quarto sito più visitato<br />

nel mondo dopo Google, Msn e Yahoo.<br />

In una prima fase YouTube ha consentito l’inserimento di video realizzati direttamente<br />

dagli autori (il regolamento vieta l'upload di materiale protetto da diritto d'autore), i<br />

contenuti inseriti illegalmente vengono rimossi a fronte di una verifica ex post richiesta dai<br />

detentori dei diritti o dagli utenti. You Tube ha in questo modo contribuito alla diffusione<br />

dei cosiddetti User Generated Content, materiali prodotti da utenti piuttosto che da società<br />

specializzate: “Ci siamo anche noi. Ecco le nostre facce, le nostre vite, le nostre stanze, i<br />

nostri animali domestici. Eccoci! Siamo diversi da quelli che mostrate nei programmi Tv e<br />

nei film. Noi siamo così. E siamo milioni di milioni” (in Benigni, 2008, p. 63).<br />

In seguito YouTube ha concluso numerose partnership con fornitori di contenuti come<br />

CBS, BBC, Universal Music Group, MTV, Sony Music Group, Warner Music Group, Fox,<br />

NBA, Sundance Channel e molti altri.<br />

I fruitori <strong>del</strong> sito hanno la possibilità di consultare video riguardanti hobby e argomenti di<br />

loro interesse, episodi curiosi o insoliti inseriti su Internet con l’intento di stupire e<br />

meravigliare, fatti di cronaca, materiali di autopromozione, cortometraggi, video<br />

confessioni, materiali provenienti da archivi pubblici e privati, scene di film o programmi<br />

televisivi ecc.<br />

La crescente popolarità di YouTube ha consentito al sito di ricevere il riconoscimento di<br />

Best Invention of the Year dal Time e ai loro fondatori di essere annoverati fra le 50<br />

persone più influenti nel mondo degli affari.<br />

28


Comunicazione virale<br />

In un contesto in cui i mercati sono sempre più iperframmentati e i<br />

consumatori sempre più disinteressati e scettici nei confronti <strong>del</strong>la<br />

comunicazione <strong>del</strong>le imprese, quest’ultime stanno usufruendo di tecniche<br />

non convenzionali per promuovere i propri prodotti e/o servizi 20 . La<br />

comunicazione è sfruttata, cioè, in modo innovativo e originale per<br />

sopperire alle lacune <strong>del</strong> marketing tradizionale nella veicolazione dei<br />

messaggi aziendali 21 . Adottare pratiche non convenzionali significa sfruttare<br />

l’attività di World of Mouth (WOM), passaparola tra le persone, ritenuto da<br />

sempre il miglior metodo pubblicitario. Lo strumento di marketing non<br />

convenzionale che verrà preso in esame in questo lavoro è il viral<br />

marketing, il quale, identifica prodotti o campagne che hanno in sé la<br />

propensione a diffondersi spontaneamente tra le persone, esattamente come<br />

un virus 22 . Si tratta di una strategia stimolante che può essere indotta<br />

attraverso differenti media 23 anche se la Rete è il canale più utilizzato per<br />

questo tipo di comunicazione. Il viral video, ad esempio, sfrutta a pieno le<br />

potenzialità <strong>del</strong> web: esso si realizza grazie alla diffusione online di un<br />

breve filmato che, per la sua originalità, stimola il passaparola tra gli utenti<br />

generando in modo autonomo una diffusione a “macchia d’olio”. Le<br />

applicazioni web 2.0 consentono di ampliare la comunicazione virale<br />

generando in rete un effetto buzz (passaparola effettuato ad altissima<br />

frequenza). I documenti si propagano attraverso il passaparola digitale, alla<br />

stessa velocità con cui si propaga un virus e in modo incontrollabile al punto<br />

che tutti gli addetti al marketing e alla promozione vorrebbero impossessarsi<br />

<strong>del</strong>la formula magica che sta dietro la comunicazione virale. Il termine<br />

“virale” viene utilizzato per la prima volta nel 1997 da Steve Jurvetson e<br />

Tim Draper per indicare il successo ottenuto dal servizio di posta elettronica<br />

“Hotmail” che è riuscita a rendere il suo brand un “genoma contagioso” ed<br />

inserirlo direttamente all’interno di un organismo sociale. 24 Era il 4 luglio<br />

<strong>del</strong> 1996, quando i fondatori di Hotmail, Jack Smith e Sabeer Bhatia,<br />

lanciarono quella che passerà alla storia come la prima azione di marketing<br />

virale di successo. Nessun video, nessun sistema di sharing peer to peer,<br />

niente giochini divertenti e sofisticati, né tanto meno contenuti html<br />

avanzati. 25<br />

Solamente un semplice testo che compariva alla fine di ogni messaggio<br />

inviato (da una casella di posta hotmail.com), sotto forma di Post Scriptum:<br />

P.S. Get your free e-mail account at http://www.hotmail.com<br />

20 B. Cova, A. Giordano, Marketing non- convenzionale. Viral, guerrilla, tribal e i 10 principi fondamentali <strong>del</strong><br />

marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, 2008, p.31<br />

21 http://www.nuovomarketing.altervista.org/viralmarketing.htm (consultato il 31.03.11)<br />

22 http://www.ninjamarketing.it/2011/03/25/che-cose-il-marketing-non-convenzionale-primi-passi/ (consultato<br />

31.03.11)<br />

23 http://www.nuovomarketing.altervista.org/index.htm (consultato il 31.03.11)<br />

24 http://www.nuovomarketing.altervista.org/influenzavirale.htm (consultato il 31.05.2011)<br />

25 http://www.nobrandagency.com/articoli-marketing/marketing-virale-nobrand.pdf (consultato il 31.05.2011)<br />

29


Il marketing virale comporta uno sforzo principalmente nella fasi iniziali<br />

quando occorre far appello alla creatività per trovare un’idea originale che<br />

sia una solida base per la propria campagna virale. La diffusione<br />

esponenziale <strong>del</strong>l’idea che si può ricavare successivamente, è totalmente<br />

nelle mani degli utenti che, spesso, si ritrovano ad essere testimonial<br />

inconsapevoli <strong>del</strong> prodotto/servizio. Un chiaro esempio di quanto affermato<br />

si ritrova nel caso appena citato: ogni utente di Hotmail, spedendo messaggi<br />

a decine e centinaia di persone, ha fatto una potentissima pubblicità <strong>del</strong> sito,<br />

anche perché il “testimonial” era assolutamente credibile:<br />

l’utente/promotore usava un ottimo servizio di mail gratuito e a sua insaputa<br />

lo proponeva ai suoi amici e conoscenti. 26<br />

Il fenomeno User Generated Content<br />

Il fenomeno User Generated Content (UGC) va inquadrato nel nuovo<br />

ambiente Web 2.0. Il Web 1.0 era monodirezionale e gli utenti Internet<br />

avevano perlopiù la possibilità di consultare le informazioni prodotte da chi<br />

controllava il software e le applicazioni. Il Web 2.0 è bidirezionale, non è<br />

più soltanto una fonte di informazioni, chiunque può assumere un<br />

atteggiamento attivo e diventare produttore di contenuto. Queste<br />

caratteristiche trasformano il Web in una piattaforma per la partecipazione,<br />

da parte degli utenti, al processo <strong>del</strong>la produzione dei contenuti (UGC), le<br />

cui manifestazioni più evidenti sono il citizen journalism, i blog, Flickr,<br />

YouTube, Wikipedia, Second Life, i Social Network (Facebook, LinkedIn,<br />

MySpace, Netlog). Non più gestione di contenuti curati da professionisti<br />

attraverso applicazioni di Content Management System ma sistemi aperti ai<br />

contributi degli utenti.<br />

Alla voce User Generated Content su Wikipedia, l’Organisation for<br />

Economic Co-operation and Development (OECD) ha definito tre<br />

caratteristiche centrali per gli UGC.<br />

Requisiti di pubblicazione. I contenuti devono essere pubblicati in un<br />

contesto per essere visti, che sia su un sito internet accessibile da tutti o su<br />

una pagina di un social network ristretto a un gruppo selezionato di persone.<br />

Questo è un modo per escludere e-mail, chat e simili.<br />

Sforzo creativo. <strong>Nel</strong>la costruzione <strong>del</strong> materiale o nell’adattamento di<br />

qualcosa di preesistente deve essere chiaro l’intervento personale e creativo<br />

degli utenti. Per esempio, copiare un pezzo di uno show televisivo e<br />

“postarlo” in un sito web che pubblica materiale video non può essere<br />

considerato UGC. Se un utente carica le sue fotografie, oppure esprime i<br />

suoi pensieri in un blog o crea un video musicale, questo può essere<br />

considerato UGC. Non è comunque semplice stabilire quale sia il livello<br />

minimo di sforzo creativo ammissibile, e rimane una valutazione dipendente<br />

dal contesto.<br />

Creazione al di fuori <strong>del</strong>le pratiche e <strong>del</strong>le routine professionali. Il<br />

contenuto generato dagli utenti è generalmente creato fuori dalle routine e<br />

dalle pratiche professionali. Spesso non ha un contesto di mercato<br />

istituzionale o commerciale. Alla base ci sono fattori motivazionali: la<br />

connessione con altri utenti, ottenere un certo livello di notorietà, prestigio e<br />

26 http://www.verymarketingpeople.com/?p=32 (consultato il 01.06.2011)<br />

30


il desiderio di esprimersi. In certi casi la produzione di contenuti da parte di<br />

soggetti specializzati viene affiancata o sostituita dalla produzione degli<br />

utenti non professionisti la cui azione - per la loro massa, passione,<br />

possibilità di intervento in tempo reale - si può rivelare più incisiva di quella<br />

<strong>del</strong>le redazioni di società editoriali.<br />

Autorialità diffusa<br />

Il Web 2.0 è una rivoluzione tecnologica, comunicativa, culturale. E' una<br />

esplosione di creatività che ha dato voce ai senza voce. Milioni di individui,<br />

giovani e non, studenti e lavoratori, nel tempo libero danno sfogo alle loro<br />

passioni: suonano, scrivono, realizzano video, discutono di arte, cultura,<br />

spettacolo, fanno informazione ecc. I contenuti generati dagli utenti (UGC)<br />

possono trovare spazio sui blog, oppure alimentare grandi basi dati – le<br />

piazze virtuali quali MySpace o YouTube – per avere potenzialmente<br />

accesso a un'audience mondiale. Rivoluzione riconosciuta dal Time che ha<br />

assegnato, con la motivazione riportata parzialmente di seguito, la<br />

prestigiosa copertina <strong>del</strong>l'anno 2007 all'utente-autore: “You”.<br />

(...) Chi sono queste persone? Seriamente, chi, dopo una dura giornata di lavoro, si siede e<br />

dice: “Bene, questa sera non guardo Lost. Accendo il computer e creo un video con la mia<br />

iguana domestica come protagonista”? Oppure “Mi faccio un bel mix con la voce di 50<br />

Cent e le sonorità dei Queen? O ancora: “Metto giù un bel blog su come mi sento, o sulle<br />

condizioni <strong>del</strong> paese, o sulle patate fritte in quella nuova rosticceria dietro l'angolo”? Chi ha<br />

il tempo, l'energia, la passione per tutto questo?<br />

La risposta è: voi. E per prendere in mano i media globali, per fondare e definire la nuova<br />

democrazia digitale, per lavorare in cambio di niente e battere i professionisti sul loro stesso<br />

terreno? Sempre voi. Voi siete la persona <strong>del</strong>l'anno 2006 di Time.<br />

Certo, è un errore mitizzare queste novità più <strong>del</strong> necessario. Il Web 2.0 convoglia su di sé<br />

la stupidità <strong>del</strong>le masse non meno <strong>del</strong>la loro intelligenza. Alcuni dei commenti che si<br />

leggono su YouTube fanno trepidare per il futuro <strong>del</strong>l'umanità anche solo per la loro<br />

ortografia, per non parlare <strong>del</strong>le oscenità e <strong>del</strong>l'odio in cui ci si imbatte. Ma è proprio questa<br />

miscela che rende tanto interessante il Web 2.0: è un esperimento sociale su scala di massa<br />

e, come ogni esperimento che vale la pena di tentare, potrebbe anche fallire. Non abbiamo<br />

idea di come un organismo che non è un batterio possa vivere e collaborare su un pianeta<br />

con oltre 6 miliardi di abitanti. Ma il 2006 ci ha dato qualche indicazione. Si tratta di<br />

un'opportunità di costruire un nuovo tipo di inter-relazioni internazionali, non da politico a<br />

politico, da VIP a VIP, ma da cittadino a cittadino, da persona a persona. E' un'opportunità<br />

affinché le persone possano guardare lo schermo di un computer e chiedersi con sincerità e<br />

genuinità chi c'è lì dietro che comunica con loro. Avanti, allora. Non dite che non siete<br />

almeno un po' curiosi.<br />

Siamo in presenza di una profonda rivoluzione culturale: «La tecnologia<br />

esce dal dominio ristretto <strong>del</strong>le tecniche per diventare attore caratterizzante<br />

di un’intera civiltà (...). Entra nella quotidianità e assume forme familiari.<br />

Sostituisce o si ibrida con i media e costituisce l’habitat degli umani nel<br />

secolo XXI» (Ricciardi, 2009, p. 37). La nuova attività <strong>del</strong> prosumer<br />

contraddistinta dalla sintesi produzione-fruizione determina pertanto<br />

importanti cambiamenti negli apparati produttivi e nel rapporto tra industria<br />

culturale e consumo. Un segnale evidente è l’aumento <strong>del</strong>la produttività<br />

come risulta dalla ricerca How much information?2003 (Lyman & Varian,<br />

2003), anche se la produzione dal basso, <strong>del</strong> dilettante, «non genera valore<br />

se non in misura modesta rispetto ai professional e alle imprese» (Ricciardi,<br />

2009, p. 39). Il rapporto tra produzione dall’alto e produzione dal basso, tra<br />

31


professionisti e dilettanti, apre nuovi scenari e dibattiti che investono aspetti<br />

economici, culturali, scientifici, normativi ecc.: «cultura underground e<br />

libera, cultura di élites globali e nello stesso tempo popolari (Jenkins, 2006),<br />

oppure cultura per il profitto e per la realizzazione di business» (Ricciardi,<br />

2009, p. 39). Problema evidente già da diversi anni nel rapporto tra il<br />

giornalista professionista e il reporter diffuso o citizen/grassroots journalists<br />

- l’informazione si sta trasformando da “lettura” a “conversazione”<br />

orizzontale e in tempo reale (Gillmor, 2004 in Ferri, Mizzella, Scenini 2009)<br />

- e che adesso sta investendo diversi altri settori. Più in generale non si può<br />

non essere d’accordo con Jenkins (2006, pp. XLVII) quando afferma la<br />

necessità per i produttori di rinegoziare il loro rapporto con i consumatori:<br />

I pubblici, resi più potenti dalle nuove tecnologie, occupano uno spazio di intersezione tra<br />

vecchi e nuovi media e rivendicano il diritto di partecipazione culturale. I produttori che<br />

falliscono l’accordo con questa nuova cultura partecipativa dovranno affrontare un calo di<br />

consensi e di vendite. I conseguenti conflitti e compromessi definiranno la cultura pubblica<br />

<strong>del</strong> futuro.<br />

Il web diventa un ambiente dinamico (un beta perpetuo) e l’architettura<br />

partecipativa che lo contraddistingue trasforma l’utente, consentendogli di<br />

aggiungere continuamente valore ai servizi offerti, in co-sviluppatore.<br />

L’indipendenza dei dati prodotti e la relativa messa in discussione <strong>del</strong><br />

concetto di autore nel senso classico <strong>del</strong> termine accanto alla centralità dei<br />

contenuti rappresentano la vera rivoluzione culturale e sociale dei nuovi<br />

ambienti digitali.<br />

L’aumento dei contenuti prodotti dagli utenti sta influenzando le dinamiche<br />

economiche <strong>del</strong>l’industria culturale ed editoriale. Le logiche imprenditoriali<br />

dei grossi gruppi editoriali, già segnate, come descritto nella prima parte <strong>del</strong><br />

testo, dalla frantumazione <strong>del</strong> mainstream in milioni di frammenti culturali,<br />

risentono anche <strong>del</strong>la filosofia user-centrista fondata sullo scambio gratuito<br />

dei contenuti prodotti da loro stessi.<br />

Questo nuovo paradigma comunicativo fondato sull’assenza di<br />

“professionalità” ha acceso il dibattito sulla qualità dei contenuti usergenerated<br />

e sulla cultura partecipativa. In uno dei suoi post Jenkins è<br />

intervenuto “in difesa <strong>del</strong>la spazzatura” (p. 308):<br />

Non bisogna ridurre il valore <strong>del</strong>la cultura partecipativa ai suoi prodotti, bisogna invece<br />

pensare al suo processo. Pensate per un momento a tutti i corsi d’arte e di scrittura creativa<br />

che si tengono nelle scuole di tutto il mondo. Pensate, per esempio, a quanti bambini<br />

imparano a produrre vasi d’argilla. Non glielo insegniamo perché pensiamo che molti di<br />

loro da adulti diventeranno ceramisti di professione. In effetti, molti di loro produrranno<br />

solo blocchi informi di argilla che solo una mamma può apprezzare (...). Lo facciamo<br />

perché vediamo un valore nel processo di creazione di qualcosa, nell’apprendere a<br />

manipolare l’argilla o quello che si ha a disposizione. In altre parole, c’è un valore nella<br />

creazione, <strong>del</strong> tutto indipendente dal valore che attribuiamo poi al frutto <strong>del</strong>l’atto creativo.<br />

In questa prospettiva, l’allargamento <strong>del</strong> numero di quanti possono creare e condividere con<br />

altri quello che hanno creato è importante anche se nessuno di noi produce nulla di meglio<br />

<strong>del</strong>l’equivalente letterario di un grumo informe di argilla che verrà apprezzato da coloro a<br />

cui è destinato (la mamma o la comunità dei fan) e da nessun altro.<br />

Si è già detto come l’abbattimento <strong>del</strong>le barriere d’accesso al settore <strong>del</strong>la<br />

comunicazione audiovisiva abbia aumentato le possibilità produttive e<br />

consentito ad aziende, organizzazioni, singoli individui di poter utilizzare<br />

per i propri scopi una nuova forma espressiva. Tutto ciò grazie al processo<br />

32


definito da Jean-Louis Missika (2007) di demediazione ossia la possibilità<br />

di comunicare senza la mediazione degli apparati (televisivi, radiofonici<br />

ecc.) controllati da grossi network e gruppi editoriali. Collegato al fenomeno<br />

<strong>del</strong>la demediazione vi è quello <strong>del</strong>la de-professionalizzazione: basti pensare<br />

a tutte quelle situazioni - video e foto realizzati con i telefonini, blog,<br />

microgiornalismo ecc. - in cui l’utente non professionista produce<br />

documenti che entrano nel circuito <strong>del</strong>la trasmissione <strong>del</strong>le informazioni.<br />

Naturalmente in questa sede non si sta valutando il problema deontologico,<br />

<strong>del</strong>la qualità e <strong>del</strong>l’attendibilità <strong>del</strong>le fonti, tematiche che giocano al<br />

contrario a favore ad esempio <strong>del</strong> giornalista professionista.<br />

Quello che a noi interessa è sottolineare come, sempre di più, i media<br />

digitali e gli strumenti <strong>del</strong> web 2.0 favoriscano una logica autoriale: il web<br />

partecipativo è fondato sul lavoro di milioni di persone che continuamente<br />

inseriscono in rete contenuti digitali (video, foto, musica, blog,<br />

informazioni, creazione di interi mondi virtuali come Second Life, pagine su<br />

facebook, contributi su wikipedia ecc.). Questo cambiamento ci conduce da<br />

un mondo di consumatori passivi ad un mondo di comunità di utenti sempre<br />

più attivi.<br />

Stiamo assistendo ad una esplosione di creatività e alla nascita di nuove<br />

modalità espressive, impensabili nell'epoca <strong>del</strong>la produzione industriale.<br />

Spesso le creazioni sono banali, non sono ossia creative se diamo a questo<br />

temine una connotazione qualitativa. Altre volte ci si imbatte in contributi<br />

molto interessanti. Affascinanti paiono molti lavori rientranti nel genere<br />

remix o mush-up. Il remix prevede l'utilizzo di materiali esistenti,<br />

programmi televisivi soprattutto, rimontati e manipolati con intenti critici,<br />

ironici oppure solo per gioco. Il mush-up è invece un genere musicale in cui<br />

l'operazione di manipolazione prevede l'accostamento <strong>del</strong>la traccia vocale di<br />

una canzone con la base musicale di un'altra. Molto diffusa è la pratica<br />

attraverso la quale si realizza un prodotto audiovisivo - definito machinima -<br />

utilizzando materiali provenienti da videogiochi e da mondi sintetici<br />

(Second Life, IMVU). Su IMVU in particolare è comparsa la "prima<br />

musicista virtuale", la cantante inglese Lady Wallas che utilizza il proprio<br />

avatar nei videoclip e che ha realizzato il video d'esordio (Lady Wallace<br />

Sings) quasi interamente in IMVU. E' importante, infine, sottolineare come<br />

tale modo di lavorare, basato sul riuso di materiale d'archivio e che produce<br />

opere definite "derivate" da un punto di vista normativo, rischia di violare la<br />

legge sul copyright.<br />

Da diverse parti ci si chiede come mai si è spinti a creare e condividere<br />

contenuti online. Secondo John Palfrey e Urs Gasser (2009) diverse sono le<br />

motivazioni. La creatività intanto è insita nell'essere giovani. Si produce poi<br />

per motivi economici. Anshe Chung ha creato un’impresa di costruzioni<br />

sintetiche all’interno di Second Life che impegna 80 dipendenti occupati a<br />

costruire edifici e spazi urbani venduti in dollari veri. La ricerca <strong>del</strong>la fama è<br />

un’altra ragione. Stevie Ryan ad esempio è diventata una star grazie alla sua<br />

serie di video distribuiti su YouTube che vedono protagonista Cynthia,<br />

diciottenne latino-americana più nota come Little Loca. I casi di persone<br />

comuni diventate famose grazie al video online sono tantissimi. Accanto a<br />

queste ragioni ve ne sono altre “più alte”, di impegno etico, sociale, civile. Il<br />

desiderio di esprimere e condividere le proprie idee e opinioni attraverso<br />

forme di comunicazione coinvolgenti spinge tante persone ad operare nel<br />

33


mondo <strong>del</strong>la produzione video a basso costo, oltre che naturalmente in<br />

quello dei blog, <strong>del</strong> microgiornalismo ecc..<br />

La realizzazione di documenti “dal basso” investe più in generale il<br />

problema <strong>del</strong> controllo <strong>del</strong>la produzione culturale non più da pochi a tanti<br />

secondo la logica dei mass media e dei vecchi intermediari (agenzie, case<br />

editrici, produttori, professionisti <strong>del</strong>l’industria dei contenuti) ma da molti a<br />

molti. Tutti possono esprimersi, parlare e raggiungere una vasta platea:<br />

“ormai non è più veritiero affermare che Rupert Murdoch e Katie Couric<br />

sono gli unici a poter dire al mondo come si sono svolti i fatti. <strong>Nel</strong>l’era<br />

digitale migliaia di persone descrivono i momenti importanti e creano le<br />

icone <strong>del</strong>la nostra cultura. E i nuovi intermediari, come i motori di ricerca<br />

Google e Baidu, o come Microsoft e Daily Motion, le aziende che<br />

sviluppano tecnologie e offrono servizi, si stanno facendo strada,<br />

rimpiazzando i vecchi giganti <strong>del</strong>l’informazione” (Palfrey, Gasser, p. 180). I<br />

nativi digitali sono la prima generazione consapevole <strong>del</strong>la loro centralità<br />

nei processi culturali che diventano in questo modo sempre meno industriali<br />

e più eterogenei, di nicchia, rappresentativi <strong>del</strong>le diverse istanze, tradizioni,<br />

credenze, modi di vita ecc. Pluralismo, partecipazione e molteplicità<br />

culturale favoriscono dunque i processi democratici. Tutto ciò è<br />

imprenscindibile da un maggior alfabetismo digitale, maggiore sarà il<br />

numero di persone in grado di creare significati culturali all’interno di una<br />

nuova forma di cittadinanza digitale più solida sarà questa democrazia<br />

partecipata.<br />

Il fenomeno <strong>del</strong>l’autorialità diffusa investe per queste ragioni il problema<br />

educativo. La possibilità che i giovani hanno di produrre documenti e<br />

distribuirli in rete senza la necessaria preparazione comporta dei rischi,<br />

comunicativi e qualitativi da un lato, deontologici, etici e normativi<br />

dall’altro. Afferma a tale proposito Rivoltella (2010, p. 49): “Crediamo che<br />

una <strong>del</strong>le ragioni principali <strong>del</strong> cosiddetto cyber-bullismo stia proprio in<br />

questo: la scarsa consapevolezza di quel che comporta l’essere autori. Un<br />

problema che non è senza conseguenze rispetto al modo di concepire<br />

l’educazione a essi rivolta, spesso ancora eccessivamente preoccupata di<br />

formare il lettore critico dei messaggi, mentre invece dovrebbe trattarsi<br />

piuttosto di formare (anche) un autore responsabile”.<br />

L’essere autori investe inoltre, come ricordato da Rivoltella (2010), il<br />

sistema <strong>del</strong>la scuola digitale e l’introduzione nelle classi 2.0 di LIM, mobile<br />

device ed e-book, tutti dispositivi che necessitano di studenti attivi. “Tutto<br />

questo promuove un ritorno <strong>del</strong>la didattica laboratoriale, rompe la frontalità<br />

<strong>del</strong>la lezione, attiva gli studenti che si trovano coinvolti in un processo di<br />

costruzione culturale educandosi nel controllo <strong>del</strong>la scrittura quando essa è<br />

rivolta allo spazio pubblico, nella prospettiva <strong>del</strong>la cittadinanza attiva e <strong>del</strong>la<br />

Information Literacy” (Rivoltella, 2010, p. 86). I mo<strong>del</strong>li di<br />

insegnamento/apprendimento dovrebbero tener conto di questa ondata di<br />

“giovani autori” e individuare strategie didattiche “che considerino gli<br />

studenti non ‘vasi da riempire’ ma talenti di cui favorire la crescita e le<br />

potenzialità” (Ferri, p. 2).<br />

Alcuni dati sulle modalità espressive giovanili. I dati riportati di seguito<br />

sono frutto di un’indagine osservativa effettuata su un campione di n. 20<br />

video (nessuno dei quali rientrante nella categoria “video di montaggio”)<br />

realizzati presso il centro di aggregazione giovanile (NOTA) da giovani con<br />

età compresa tra i 15 e i 18 anni, frequentanti il liceo scientifico e l'istituto<br />

34


professionale di Argenta. Questa attività ha consentito un’analisi <strong>del</strong>le<br />

modalità espressive utilizzate dai giovani autori argentani e la loro<br />

consapevolezza rispetto all’utilizzo <strong>del</strong> linguaggio <strong>del</strong>le immagini e dei<br />

suoni, il modo con cui utilizzano le diverse tecnologie (telecamera,<br />

telefonino ecc.), nonché la loro consapevolezza rispetto alla problematica<br />

<strong>del</strong> copyright. L’indagine ha evidenziato:<br />

Utilizzo strumentale <strong>del</strong> linguaggio audiovisivo. La modalità comunicativa<br />

dominante (per non dire unica!) è il piano sequenza, si utilizza cioè lo<br />

strumento di ripresa (telecamera/telefonino) in sostituzione dei nostri occhi.<br />

Si registra ciò che si osserva senza porsi il problema <strong>del</strong>la mediazione<br />

linguistica, non c'è una sottolineatura di un dettaglio significativo, di un<br />

volto, di una situazione generale attraverso impiego di codici visivi o sonori.<br />

Questo dato che accomuna tutto il mondo open content <strong>del</strong> Web 2.0, ossia la<br />

diminuzione <strong>del</strong>la qualità nella creazione di contenuti, è ampiamente<br />

bilanciato dal valore democratico, partecipativo e relazionale che ne<br />

consegue. «Possiamo pensare sempre più la Rete come ambiente nel quale<br />

la dimensione di produzione di contenuti da parte degli individui e le<br />

pratiche culturali correlate si intersecano con una realtà che unisce forme<br />

riflessive <strong>del</strong>l’individualità e percorsi collettivi <strong>del</strong>l’essere in relazione con<br />

gli altri: ciò che muta è cioè la percezione <strong>del</strong>l’essere in relazione a partire<br />

dalla messa in connessione <strong>del</strong>le esperienze attraverso i contenuti che<br />

produciamo nei media digitali» (Kazis 2008, in Boccia Artieri, 2009).<br />

Tecnica poco curata. Da un punto di vista tecnico la fotografia non è curata,<br />

non vi sono tracce di inquadrature costruite né di soluzioni di montaggio:<br />

qualsiasi tentativo di messa in scena è legato al caso. Lo strumento di ripresa<br />

preferito, nonostante il centro di aggregazione abbia messo a disposizione<br />

telecamere, microfoni e stazioni di videoediting, è risultato il telefonino.<br />

Scomparsa <strong>del</strong> racconto ed individualismo. La funzione dei video non è<br />

quella di “dire qualcosa”, raccontare una storia tratta dalla fantasia o dalla<br />

realtà. Il telefonino o la videocamera testimoniano ciò che accade o ciò che<br />

viene appositamente costruito per la ripresa e la successiva distribuzione<br />

online (su You Tube). Tutto con il tentativo di stupire, meravigliare o in<br />

chiave autocelebrativa22. La logica <strong>del</strong>la condivisione, fondante all’interno<br />

dei paradigmi comunicativi 2.0, appare secondaria rispetto alla voglia di<br />

mostrarsi, l’esibizionismo, caratterizzato da un certo individualismo, sembra<br />

prevalere sulle attività di collaborazione.<br />

Difficoltà di lavorare su progetti lunghi. Open Media Educational ha gestito<br />

attività educative (due giorni la settimana, dalle 16:00 alle 18:00, per un<br />

periodo di 6 mesi, da dicembre 2007 a giugno 2008) condotte da un<br />

educatore affiancato da un esperto di produzione audiovisiva, con il fine di<br />

coinvolgere i frequentatori <strong>del</strong> centro di aggregazione intorno ad attività di<br />

comunicazione video. Le attività hanno previsto le seguenti fasi di lavoro,<br />

scandite non in modo cronologico: conoscenza e socializzazione,<br />

discussioni libere, scelte dei temi di interesse dei giovani da affrontare<br />

successivamente attraverso la produzione di uno o più video,<br />

documentazione e progettazione, effettuazione <strong>del</strong>le riprese e <strong>del</strong><br />

montaggio, analisi e verifica, discussione. Questo lavoro ha evidenziato la<br />

difficoltà ad operare su progetti collettivi di lunga durata: le presenze,<br />

nonostante il tipo di attività coinvolgente, sono risultate discontinue (la<br />

media di presenza complessiva dei 10 giovani di età compresa tra i 14 e i 18<br />

anni è risultata pari al 40%, con una punta massima <strong>del</strong> 65% e una minima<br />

35


<strong>del</strong> 25%). Risulta evidente da questi dati come i comportamenti dei giovani<br />

siano rivolti al raggiungimento immediato di un desiderio/risultato piuttosto<br />

che all’ottenimento <strong>del</strong>lo stesso attraverso un processo lungo e duraturo.<br />

Del resto non si può pensare ai giovani come a degli autori competenti, in<br />

modo particolare quando si confrontano con linguaggi, come quello <strong>del</strong><br />

video, che a scuola non vengono studiati. Hanno di sicuro, come detto, una<br />

fiducia naturale nel rapporto con la tecnologia e di conseguenza, al contrario<br />

degli adulti, non sono spaventati dalle macchine (Williams, 1999). Ma non<br />

si può non essere d’accordo con Buckingham (2006, p. 190) quando<br />

afferma: “La maggior parte dei giovani sono comunque ancora piuttosto<br />

lontani dall’essere ‘cyber-kids’ autonomi: sono incerti, mancano di<br />

informazioni, e sono spesso frustrati dal fatto che la tecnologia non<br />

mantenga le sue promesse nei risultati. Dobbiamo iniziare dal provare a<br />

scoprire ciò che i giovani effettivamente sanno, e riconoscere che è possibile<br />

che ci sia ancora molto da imparare”.<br />

1.6 I media audiovisivi mobili<br />

Il numero dei terminali su cui ricevere immagini in movimento è altissimo e<br />

la presenza pervasiva dei linguaggi audiovisivi indiscussa. Questo strapotere<br />

<strong>del</strong>la televisione sta per invadere con lo sviluppo <strong>del</strong>la Tv mobile anche il<br />

territorio, già occupato da telefonia e radio, degli spostamenti. Secondo<br />

l’Autorità per le comunicazioni entro il 2010 ci saranno in Europa 25 milioni<br />

di terminali Dvb-h (Digital video broadcasting handheld, tecnologia di<br />

trasmissione video adottata in Europa) di cui 5 milioni in Italia; 125 milioni<br />

gli utenti mondiali. 27<br />

La televisione diventa portatile attraverso il TVfonino o il Videofonino e<br />

consente la fruizione dei programmi durante gli spostamenti. E' come avere<br />

la tv in tasca. Sarà possibile informarsi, vedere film e tutti quei programmi<br />

disponibili sui canali digitali terrestri, grazie alla compatibilità tra i due<br />

sistemi. La sfida consiste nel capire quali contenuti potranno funzionare<br />

nella cosiddetta snack tv: 28 ri-trasmissione di interi palinsesti, re-packaging<br />

di programmi tradizionali in pillole di breve durata, canali tv pensati<br />

esclusivamente per la trasmissione sui videotelefonini (vedi l'iniziativa di<br />

H3G), trasmissione di programmi ripresi 24 ore al giorno (reality show),<br />

format fondati su innovazione di prodotto.<br />

Pertanto, oltre al “trasloco” dei classici programmi televisivi, questa nuova<br />

modalità comunicativa avrà bisogno di materiali funzionali ad una visione da<br />

passeggio e su schermo piccolo, da vicino, spesso in piedi, nei luoghi e nelle<br />

situazioni più diverse: le esigenze ancora in parte sconosciute <strong>del</strong> pubblico<br />

<strong>del</strong>la tv mobile saranno sicuramente diverse da quelle <strong>del</strong>lo spettatore<br />

casalingo. L’industria dei contenuti deve considerare questi aspetti. Di certo<br />

la durata dei nuovi format dovrà essere molto breve secondo la logica <strong>del</strong>la<br />

27 DVB-H è una tecnologia trasmissiva in tutto e per tutto televisiva con una resa qualitativa<br />

migliore <strong>del</strong>l'UMTS. Si prevede che i ricavi legati alla televisione mobile saranno circa 10<br />

miliardi di dollari entro il 2010 non a caso intorno a questa nuova tecnologia si concentrano<br />

gli interessi <strong>del</strong>l’industria <strong>del</strong>l’information technology.<br />

28 La fruizione <strong>del</strong>la mobile tv può essere paragonata ad uno snack consumato velocemente<br />

mentre la tv tradizionale equivale alla cena completa consumata in casa.<br />

36


televisione in pillole: flash di informazioni e avvenimenti sportivi avranno<br />

uno spazio importante e lo stesso sarà per i video musicali e in genere per<br />

tutti quei programmi con struttura modulare che consentono un consumo<br />

estemporaneo, entrate e uscite veloci dal flusso <strong>del</strong> palinsesto. Il canale<br />

televisivo americano Fox ha adattato una sitcom di successo The Simple Life<br />

in episodi, detti mobisodes, <strong>del</strong>la durata di un minuto ciascuno. Secondo i<br />

dati di una ricerca <strong>del</strong>la Bocconi effettuata nel mese di maggio <strong>del</strong> 2006 ( Di<br />

Chio, 2006, p. 254) rispetto alle preferenze dei programmi visibili su<br />

telefonino, al primo posto ci sono le news (20 %), seguite da sport e<br />

programmi televisivi (15 %), infine la musica (10%). Con riferimento ai dati<br />

sulle modalità di consumo, i momenti <strong>del</strong>la giornata preferiti dai fruitori di tv<br />

mobile sono la mattina dalle 08:00 alle 9:30, l'ora <strong>del</strong> pranzo, tra le 12:00 e<br />

le 14:30, nel tardo pomeriggio dalle 18:00 alle 20:00 e in tarda serata, dalle<br />

22:30 alle 24:00. Bisogna naturalmente considerare come questi dati siano<br />

riferiti ad un pubblico ancora ristretto, che spende in media 15-20 minuti al<br />

massimo davanti lo schermo a 2 pollici.<br />

Accanto ai format televisivi di nuova generazione centrali saranno i servizi<br />

person to person.<br />

SITOGRAFIA<br />

Video, How the Internet changed advertising<br />

http://www.youtube.com/watch?v=5wx0GfbC0BA<br />

Video: I migliori video virali in 200 secondi<br />

http://www.youtube.com/watch?v=IMD2hjGtx3I<br />

www.osservatoriocontenutidigitali.it<br />

37

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