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Franco Dolci: Vita e morte della lanca di Runchiin Vita e ... - oraSesta

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<strong>Vita</strong> e <strong>morte</strong> <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Franco</strong> <strong>Dolci</strong><br />

<strong>Franco</strong> <strong>Dolci</strong>: <strong>Vita</strong> e <strong>morte</strong> <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong><br />

Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

“La sapienza è figliola <strong>della</strong> sperienza.”<br />

“Fuggi i precetti <strong>di</strong> quelli speculatori, che le loro<br />

ragioni non son confermate dalla isperienza.”<br />

(Leonardo da Vinci) 1<br />

È stata creata dal Po, laggiù in fondo alla via che conduce al fiume, a cavallo dei<br />

territori <strong>di</strong> Pieve d’Olmi e San Daniele Po; anzi, <strong>di</strong>remo che non molto anticamente era<br />

un tutt’uno con il Po. Stiamo parlando <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong>. Il fiume la originava a<br />

Nord e nella sezione iniziale si presentava come uno stretto canale, attivo nei momenti<br />

<strong>di</strong> piena del fiume, pressoché asciutto nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> magra.<br />

Poi questo braccio d’acqua si <strong>di</strong>latava con una larghezza massima <strong>di</strong> circa 200<br />

metri per una lunghezza <strong>di</strong> almeno 800-900. Nella parte terminale, a Sud, si restringeva<br />

<strong>di</strong> nuovo in un piccolo canale che passava sotto la via Po; appena oltre il ponticello si<br />

<strong>di</strong>latava nuovamente in una piccola depressione; in<strong>di</strong> si restringeva ancora e, dopo<br />

aver percorso circa due chilometri, entrava nella <strong>lanca</strong> del Sibra. Da qui il suo<br />

successivo rifluire nel Po.<br />

Interessante la riflessione su questo <strong>di</strong>ffuso sistema acquitrinoso, <strong>di</strong> forme e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>verse, che si alimenta del fiume e infine, tributario, sfocia nuovamente<br />

nel fiume. Felice inter<strong>di</strong>pendenza, inizialmente creata dai moti spontanei <strong>della</strong> natura,<br />

poi regimata e <strong>di</strong>sciplinata, spesso in modo <strong>di</strong>ssennato, dall’uomo.<br />

Questo piccolo bacino, soprattutto fra i vecchi pescatori, era assurto a leggenda.<br />

Parlare <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong> significava in<strong>di</strong>care uno <strong>di</strong> quei luoghi che garantivano<br />

al pescatore le migliori sod<strong>di</strong>sfazioni. Ma non era solo questo il motivo <strong>di</strong> attrazione;<br />

altri motivi rendevano attraente il luogo: le caratteristiche ambientali complessive con<br />

la loro grande ricchezza <strong>di</strong> flora e fauna; l’umanità che gravitava attorno ad esso:<br />

vecchi pescatori libertari come il comunista Mario Fornari, perseguitato dal fascismo;<br />

1 Le citazioni <strong>di</strong> Leonardo da Vinci sono tratte da L’uomo e la natura, a cura <strong>di</strong> Mario De Micheli, E<strong>di</strong>zioni<br />

Universale Economica Feltrinelli, Milano 1984<br />

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<strong>Franco</strong> <strong>Dolci</strong>: <strong>Vita</strong> e <strong>morte</strong> <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong><br />

Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

braccianti agricoli che, spesso <strong>di</strong> frodo, si procacciavano il necessario per<br />

accompagnare la povera porzione <strong>di</strong> polenta; qualche raccoglitore che, in tempi storici<br />

<strong>di</strong>versi, continuava la sudata raccolta del legnatico. Ricor<strong>di</strong>amo Terzo Causa, un<br />

netturbino <strong>di</strong> San Sigismondo, innamorato dei boschi circostanti. Volti ru<strong>di</strong>, cotti dal<br />

sole e scavati dalla fatica. Era una presenza <strong>di</strong>screta, spesso furtiva. L’immagine <strong>di</strong> un<br />

uomo, avvolto in un vecchio tabarro, che si <strong>di</strong>leguava nella fitta nebbia, era tutt’altro<br />

che un’immagine simbolica <strong>della</strong> silenziosa solitu<strong>di</strong>ne padana. Era una frequente<br />

realtà. Una realtà umana che viveva in simbiosi con la natura, un’umanità priva <strong>di</strong><br />

convenzioni, ma sincera e rispettosa. C’era coscienza che l’uno (l’uomo) aveva bisogno<br />

dell’altra (la natura). Da qui il rispetto! Tempi andati....<br />

E a noi, ultima generazione che poté godere <strong>di</strong> questo splen<strong>di</strong>do lembo naturale,<br />

sovveniva spesso alla mente quel passaggio <strong>di</strong> Walden ovvero la vita nei boschi <strong>di</strong><br />

Thoreau 2, che <strong>di</strong>ceva: “ci occorre il tonico dello stato selvaggio, ci occorre talvolta<br />

passare a guado i pantani dove si nasconde il tarabuso e ascoltare il verso del<br />

beccaccino; sentire il profumo delle fruscianti carici dove soltanto qualche uccello più<br />

selvatico e solitario costruisce il suo nido...” “Non si può essere stanchi <strong>della</strong> natura.<br />

Dobbiamo trovare ristoro alla vista <strong>di</strong> un vigore inesauribile, <strong>di</strong> qualità vaste e<br />

titaniche, <strong>della</strong> costa marina con i suoi relitti, dei luoghi desolati con i loro alberi vivi e<br />

putrescenti, <strong>della</strong> nube burrascosa e <strong>della</strong> pioggia che dura tre settimane e provoca le<br />

piene. Abbiamo bisogno <strong>di</strong> vedere infrangere i nostri confini....” La <strong>lanca</strong> e il mondo<br />

naturale circostante ci davano la gradevole sensazione <strong>di</strong> un ritorno alle nostre origini.<br />

Questo specchio d’acqua, in ogni stagione, presentava i suoi spettacoli. Dal Nord<br />

al Sud la <strong>lanca</strong> si <strong>di</strong>spiegava in un lungo rettangolo che, restringendosi alle estremità,<br />

tendeva ad una forma ovale. Il canneto palustre, fitto e lussureggiante, forniva asilo a<br />

<strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong> uccelli, fra i quali, ormai rari, il tarabuso e il tarabusino. Le gallinelle<br />

d’acqua erano numerosissime e spesso era possibile osservarle in pastura seguite dalla<br />

ni<strong>di</strong>ata. Alcuni esemplari <strong>di</strong> anati<strong>di</strong> si erano definitivamente stanziati in luogo. In<br />

autunno e in inverno, durante il passo, era possibile osservarne migliaia. Non erano<br />

rare le occasioni per osservare il fagiano, con la sua appariscente livrea, che si<br />

accostava alla riva per abbeverarsi.<br />

2 Henry David Thoreau: Walden, ovvero la vita nei boschi, Mondadori, 1970<br />

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Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

Qua e là, appollaiate su vecchi tronchi, sostavano le nitticore; smerghi<br />

grufolavano in zone paludose semiasciutte; qualche tortora rovistava fra le stoppie;<br />

vecchi corvi, solitari o in piccole colonie, vivacchiavano pigramente sul territorio<br />

circostante la palude. Qui avevano ormai stabilito la loro <strong>di</strong>mora. In inverno, immensi<br />

stormi <strong>di</strong> passo, annerivano interi pioppeti. Gracchiavano tristemente! Il loro colore,<br />

nero lucido, accoppiato alla stagione che vedeva le piante spoglie, la vegetazione<br />

acquatica putrescente, il clima umido e rigidamente freddo, conferiva al luogo una<br />

immagine <strong>di</strong> tundra desolata e triste. Per noi era uno stimolo alla riflessione. Il<br />

complesso <strong>di</strong> suggerimenti che ci veniva da quel mondo, pur limitato nello spazio e nel<br />

tempo, dava un senso quasi doloroso alla consapevolezza dei limiti <strong>della</strong> nostra<br />

presunta razionalità.<br />

Come dare una risposta alla molteplicità <strong>di</strong> interrogativi che quel mondo ci<br />

poneva? Come dare una risposta alle numerose <strong>di</strong>fformità del suo essere nello spazio e<br />

nel tempo? Ci appariva allora, in quella dolce e malinconica solitu<strong>di</strong>ne, quanto illusoria<br />

fosse la nostra volontà <strong>di</strong> dominio <strong>della</strong> natura. E finivamo per cullarci nella dolcezza<br />

delle immagini, rinviando la riflessione “sull’uomo come protagonista <strong>della</strong><br />

trasformazione del mondo”. La natura ci invitava ad osservarla, smettendola con le<br />

nostre insolenze.<br />

Anche oggi, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo, compren<strong>di</strong>amo che aveva ragione. Perciò la<br />

smettiamo con le <strong>di</strong>vagazioni e ripren<strong>di</strong>amo a parlare degli spettacoli che il vasto<br />

repertorio del <strong>Runchiin</strong> gratuitamente ci offriva.<br />

II caldo meriggio estivo creava una luminosità chiara e trasparente ma l’acqua<br />

“volentieri si leva per lo caldo in sottile vapore per l’aria” (Leonardo da Vinci). E<br />

questo vapore, con il calore solare, produceva il tipico caldo umido <strong>della</strong> Padania.<br />

Insomma il fiume e il suo “braccio secondario”, ci ricordavano che non si poteva fare<br />

astrazione dalla loro esistenza. Il nostro corpo trasudava. Le libellule ronzavano<br />

accoppiate come acrobati sul trapezio; le cicale cantavano impazzite dal gran caldo e il<br />

cuculo, nel fondo del bosco, accompagnava lo scorrere del nostro tempo. Ove la<br />

giornata del pescatore fosse stata infruttuosa, quel canto veniva interpretato come un<br />

invito a raccogliere le canne e ad andarsene (cata sö…. cata sö… cata sö…). Lo si<br />

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Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

riteneva uno dei mo<strong>di</strong> con il quale la natura si scherniva <strong>di</strong> noi. E mestamente si<br />

facevano a ritroso quei sentieri che avevamo percorso in andata con ansiosa sicurezza.<br />

Povero uomo!<br />

II territorio circostante era “riserva <strong>di</strong> caccia”. Per parecchi mesi dell’anno vigeva<br />

comunque, come si <strong>di</strong>ce oggi, il “silenzio venatorio”. E gli spettacoli naturali più belli<br />

erano <strong>di</strong> questo periodo in cui i fucili tacevano. Poi in agosto e soprattutto in autunno,<br />

con l’esercizio <strong>della</strong> caccia, iniziava la mattanza. Spettacolo spesso indecoroso in<br />

quanto evidenziava una superiorità dell’uomo rispetto al selvatico che denudava il<br />

confronto da ogni parvenza logica. Ma il profitto dei gestori <strong>della</strong> riserva e il desiderio<br />

<strong>di</strong> piacere dei signori battitori erano, e purtroppo sono, al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni logica.<br />

Queste sparatorie turbavano la riposante tranquillità <strong>di</strong> questa piccola oasi e ci<br />

richiamavano alle dure leggi <strong>della</strong> vita, ove il più forte prevale sul più debole. Spentisi<br />

gli echi degli spari ritornava il dolente, riflessivo silenzio invernale.<br />

Con l’inoltrarsi <strong>della</strong> stagione estiva la vegetazione palustre si estendeva e<br />

progressivamente invadeva l’intera superficie <strong>della</strong> <strong>lanca</strong>. Fra questa vegetazione<br />

facevano capolino splen<strong>di</strong>de ninfee bianche (Ninphaea alba) dalle foglie tonde<br />

galleggianti, ra<strong>di</strong>cate al fondo con gambi lunghi e soli<strong>di</strong> che facevano la “gioia” dei<br />

pescatori con le canne. Al mattino col sopraggiungere del sole aprivano i loro <strong>di</strong>afani<br />

petali e, con l’approssimarsi del crepuscolo, li chiudevano. Sembrava che il sonno<br />

sopraggiungesse anche per loro.<br />

Oltre al <strong>di</strong>ffusissimo canniccio facevan bella mostra <strong>di</strong> sé fitti gruppi <strong>di</strong> tifa<br />

(masagàt), ton<strong>di</strong>, luci<strong>di</strong>, d’un bel marrone scuro.<br />

Sulla sponda orientale che separava la <strong>lanca</strong> dal fiume si stendeva una fascia <strong>di</strong><br />

terreno ricoperta da un maestoso pioppeto e in prossimità del fiume da un fitto e lungo<br />

bosco allo stato naturale; sulla sponda occidentale fra la <strong>lanca</strong> e l’argine golenale<br />

ancora una striscia <strong>di</strong> terreno coltivato a pioppo. Su questa sponda vecchi salici<br />

gravitavano sulla superficie dell’acqua; vecchi ceppi abbandonati, corrosi dal sole e<br />

dall’acqua, trattenevano con le loro fitte ra<strong>di</strong>ci il terreno <strong>di</strong> ripa. A Nord, oltre l’argine<br />

golenale, un magnifico bosco ricco <strong>di</strong> olmi, roveri, salici, robinie, gaggia, ecc., un<br />

autentico micromonumento naturale che costituiva il cuore <strong>della</strong> riserva <strong>di</strong> caccia Della<br />

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Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

Zoppa detto “riserviin”, insi<strong>di</strong>ato da numerose faine e, si <strong>di</strong>ceva, da alcuni esemplari <strong>di</strong><br />

volpe.<br />

L’assalto dell’uomo a questo ambiente a fini <strong>di</strong> lucro, iniziava da lontano.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che nel dopo guerra (1945-1946) era precluso il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> pesca in quanto,<br />

<strong>di</strong>ceva un cartello, scritto molto grossolanamente, trattavasi <strong>di</strong> “zona <strong>di</strong><br />

ripopolamento”. Il che era falso in quanto la <strong>lanca</strong> era “appaltata” a un privato, tale<br />

Rivaroli, <strong>di</strong> professione infermiere, il quale a sua volta aveva sub appaltato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

pesca ad alcuni pescatori <strong>di</strong> professione. Questi, perio<strong>di</strong>camente, facevano “tiri” con<br />

reti a strascico (rèet de galòon). L’entità delle catture, ogni volta, ascendeva a <strong>di</strong>versi<br />

quintali <strong>di</strong> pesce pregiato: tinche, carpe, pesce gatto, anguille, persici trota. Il pescato<br />

veniva venduto sul mercato. Altro che “zona <strong>di</strong> ripopolamento!”<br />

Abbiamo avuto occasione <strong>di</strong> assistere a qualcuno <strong>di</strong> questi “tiri”. I pescatori<br />

immersi nell’acqua fino alla cintola, in certi momenti fino alla gola, trascinavano<br />

faticosamente la rete che, <strong>di</strong>sponendosi a semicerchio, abbracciava la <strong>lanca</strong> da una<br />

sponda all’altra. La posizione <strong>della</strong> rete era segnalata da grossi cilindri <strong>di</strong> sughero che<br />

si stendevano in superficie, anch’essi a semicerchio, in corrispondenza <strong>della</strong> rete calata<br />

sul fondo. I pescatori, curvi e sudati, procedevano lentamente, passo dopo passo. In<br />

qualche momento uno si fermava ad attendere l’altro che, magari per un ostacolo che<br />

bloccava la rete, faticava ad avanzare. Poi il contemporaneo lento avanzare riprendeva.<br />

A conclusione <strong>della</strong> loro fatica, senza impazienze, chiudevano la rete a cerchio; un<br />

cerchio che si stringeva sempre più. L’acqua all’interno <strong>di</strong> questo invaso ribolliva.<br />

Segno che la pesca era copiosa. Era dato <strong>di</strong> vedere, non raramente, qualche<br />

ragguardevole carpa che “saltava” fuori dalla trappola in cui si trovava riguadagnando<br />

la libertà. Spettacolari i salti dei persici trota che volavano letteralmente fuori da quella<br />

prigione in cui l’uomo li aveva ristretti.<br />

Su quell’autentico vivaio lucravano in quattro: lo Stato, l’appaltatore, i sub<br />

appaltatori, il commerciante <strong>di</strong> pesce all’ingrosso. Era un po’ troppo! Ma quel che<br />

urtava la coscienza comune era questa pratica dell’appalto, per cui beni demaniali, cioè<br />

dello Stato, cadevano in mano alla speculazione mentre insod<strong>di</strong>sfatte restavano le<br />

legittime esigenze collettive. Si cercò <strong>di</strong> forzare questa situazione. I più ar<strong>di</strong>mentosi, fra<br />

cui annoveriamo gli amici B. Maggi, R. Antonioli, L. Ghisani e altri, incominciarono a<br />

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recarvisi a pescare. Sfidando la legge? Non ci sembra. Sicuramente sfidando la<br />

speculazione. Sul loro esempio altri presero coraggio e le rive <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> si<br />

popolarono.<br />

Ma le guar<strong>di</strong>e caccia e pesca, sia quelle <strong>di</strong>pendenti dal Consorzio Lombardo<br />

Tutela Pesca, sia quelle <strong>della</strong> Amministrazione Della Zoppa, erano schierate contro le<br />

esigenze dei più. Le molestie nei loro confronti furono sistematiche. Una mattina arrivò<br />

una guar<strong>di</strong>a detta “Nasàa l’àaria”, uomo che aveva fama <strong>di</strong> duro. Sparsasi la voce del<br />

suo arrivo, fu un fuggi fuggi generale. Io che ero fra i promotori dell’azione<br />

protestataria, rimasi. Mi rilevò le generalità e, suppongo, stese un verbale. Fui poi<br />

invitato in un ufficio in via Sicardo ove sedeva il signor Rivaroli, l’appaltatore, il quale<br />

mi contestò il non possesso <strong>della</strong> tessera dell’appalto. Ma non mi <strong>di</strong>sse che ivi non si<br />

poteva pescare. Capii in sostanza che il “<strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> pesca” era privo <strong>di</strong> legittimità. Presi<br />

la tessera dell’appalto, balzello purtroppo dovuto, per pescare nel Po e nelle sue<br />

derivazioni e continuai a pescare anche ai <strong>Runchiin</strong>. Ma le molestie continuarono. Una<br />

guar<strong>di</strong>a dell’Amministrazione Della Zoppa, <strong>di</strong> origine veneta, un tipo magro, <strong>di</strong> bassa<br />

statura, insolente, aspro e acido, non perdeva occasione per contestare la nostra<br />

presenza affermando con voce imperiosa che stavamo “pescando sbagliatamente”.<br />

Poveretto!<br />

Una piovosa mattina d’aprile, costui reclamava il nostro allontanamento.<br />

Sfidammo la pioggia, la sua doppietta leggermente abbassata verso <strong>di</strong> noi, il verbale<br />

che stendeva con mano malferma, e non ci muovemmo. La guar<strong>di</strong>a si allontanò e noi<br />

restammo al nostro posto. Anche questo episo<strong>di</strong>o non ebbe alcun seguito.<br />

Visto che l’arroganza non ci intimoriva, la speculazione, dopo aver fatto man<br />

bassa del patrimonio ittico, abbandonò il campo. Ma sul campo rimasero solo le rovine<br />

<strong>di</strong> quella suggestiva ricchezza. La collettività subentrava ma ormai del cospicuo<br />

patrimonio ittico restava ben poco. La borghesia, se è lecito un accostamento<br />

sicuramente un po’ forzato, quando è indotta a lasciare il campo, lascia terra bruciata.<br />

Così è stato nel caso <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong>. Dopo il suo splendore, la <strong>lanca</strong> iniziava la<br />

sua decadenza e fu purtroppo un processo irreversibile.<br />

L’aggressione continuò e con forme ancor più devastanti. Come? Il Po segnava in<br />

quegli anni l’avvio <strong>di</strong> un periodo in cui le magre erano sempre più frequenti, per cui<br />

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l’emungimento <strong>di</strong>retto dal Po, a scopo irriguo, <strong>di</strong>veniva problematico. Così ogni pozza<br />

d’acqua <strong>di</strong>venne una manna e ad esse si rivolsero gli agricoltori. Anche presso la <strong>lanca</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong> si piazzò una idrovora, alimentata da un potente trattore, e iniziò il suo<br />

sfruttamento a scopo irriguo. Tanto si emunse che la <strong>lanca</strong> si prosciugò. Ben ricor<strong>di</strong>amo<br />

quello spettacolo <strong>di</strong> desolazione e <strong>di</strong> <strong>morte</strong>. Era un pomeriggio d’estate quando con il<br />

giovane amico G. M. Antonioli ci recammo a fare una delle consuete visite <strong>di</strong> cortesia.<br />

Di quello splen<strong>di</strong>do bacino non rimanevano che <strong>di</strong>eci centimetri circa d’acqua, torbida<br />

e terrosa. In essa, sotto riva, numerose anguille boccheggiavano alla <strong>di</strong>sperata ricerca <strong>di</strong><br />

ossigeno. Sulla riva numerosi pesci in putrefazione. Il grosso, nottetempo, era già stato<br />

razziato. Si <strong>di</strong>sse che ne furono catturati alcuni quintali. In un piccolo spazio le tracce<br />

<strong>di</strong> nafta del trattore che azionava l’idrovora. Questo è stato il colpo mortale.<br />

Tutt’intorno il silenzio. Imprecammo! Le nostre imprecazioni erano purtroppo<br />

l’espressione <strong>della</strong> nostra impotenza. Con un bastone, senza <strong>di</strong>fficoltà, catturammo<br />

alcune anguille.<br />

Mentre facevamo i nostri esacerbati commenti sopraggiunse E. Fontana,<br />

pescatore professionista, bracconiere fra i più abili e senza scrupoli. Imprecò con noi:<br />

«Ara che ròba… Ròba de s’ciòp…» Costui, che <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong> una barca, non perse<br />

tempo e, aiutandosi con una lunga pertica, rastrellò gli ultimi resti <strong>di</strong> quell’ingente<br />

patrimonio ittico che per anni aveva aiutato a vivere non poche famiglie. Questa figura<br />

che si stagliava in quell’acquitrino agonizzante, suggellava la fine <strong>di</strong> un luogo che fu<br />

caro ai nostri padri e a noi stessi.<br />

Dopo l’agonia sopraggiunse rapida la <strong>morte</strong>. Il gran caldo estivo produceva<br />

fen<strong>di</strong>ture nel terreno argilloso su cui riposava la poca acqua residua. E questa, nel giro<br />

<strong>di</strong> pochi giorni, fu totalmente risucchiata. Un terreno argilloso, coperto da crepe che ne<br />

facevano un ricamo suggestivo, uscito dalle mani <strong>di</strong> un’abile ricamatrice, subentrò<br />

all’acqua e alla sua lussureggiante vegetazione. Il mondo animale si <strong>di</strong>sperse e si<br />

impoverì moltissimo. Poi iniziò la colonizzazione. La vegetazione spontanea si<br />

impadronì <strong>di</strong> quella depressione e in luogo <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong> sorse una landa<br />

desolata. A quando un “razionale” pioppeto?<br />

Interroghiamoci: quali le cause <strong>di</strong> fondo <strong>della</strong> sua <strong>morte</strong>? Il fiume non la<br />

alimentava ancora, almeno nelle tra<strong>di</strong>zionali piene primaverili e autunnali? No! Anche<br />

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Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

questo fenomeno naturale era cessato. Con il passare degli anni l’alveo del fiume si era<br />

notevolmente abbassato. L’escavazione <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> metri cubi <strong>di</strong> materiali litei, ne<br />

avevano determinato questo abbassamento. A Cremona si era abbassato <strong>di</strong> ben tre<br />

metri rispetto ai suoi livelli normalmente registrati; gli invasi alpini, a scopo<br />

idroelettrico, hanno trattenuto altri milioni <strong>di</strong> metri cubi d’acqua a monte; lo sviluppo a<br />

scopo agricolo delle aree golenali e le colture agricole sempre più intensive in generale,<br />

hanno richiesto, nei perio<strong>di</strong> estivi, sempre più gran<strong>di</strong> quantitativi d’acqua a scopo<br />

irriguo. Ne è derivato che il fiume ha iniziato una vita stentata, con un regime <strong>di</strong> magra<br />

prevalente, quin<strong>di</strong> non più in grado <strong>di</strong> alimentare le sue naturali casse <strong>di</strong> espansione,<br />

ossia le lanche. E queste muoiono. Solo in presenza <strong>di</strong> piene eccezionali il fiume arriva<br />

ancora, ma è un arrivo temporaneo, irruente, dannoso più che benefico. Lascia sì<br />

dell’acqua, ma la mancanza <strong>di</strong> un collegamento permanente con il fiume, o comunque<br />

la mancanza <strong>di</strong> un regolare rapporto perio<strong>di</strong>co, fa sì che i processi naturali <strong>di</strong><br />

assorbimento del fondo, uniti all’evaporazione, la <strong>di</strong>sperdano nel giro <strong>di</strong> qualche<br />

settimana.<br />

A proposito <strong>di</strong> piene eccezionali, ricor<strong>di</strong>amo la grande piena del 1976. Il Po in<br />

quell’occasione, a monte <strong>della</strong> <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong>, riprese il suo antico corso e <strong>di</strong>lagò in<br />

essa. Nel punto in cui si aperse il passaggio scassò il terreno per una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

almeno <strong>di</strong>eci metri. Sembrava si fosse ven<strong>di</strong>cato delle amputazioni cui era stato<br />

sottoposto nel passato. Ma la sua fu una presenza effimera. Dopo poche settimane, la<br />

<strong>lanca</strong> fu nuovamente asciutta. La stessa falda sotterranea si è abbassata e non<br />

costituisce più un fattore <strong>di</strong> alimentazione <strong>di</strong> questi sistemi acquitrinosi collaterali al<br />

fiume.<br />

L’alterazione dei caratteri fisici del fiume ha quin<strong>di</strong> segnato la fine delle zone<br />

palustri. La <strong>lanca</strong> <strong>di</strong> <strong>Runchiin</strong> è stata una delle vittime illustri. Anche questo episo<strong>di</strong>o è<br />

una testimonianza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>venire e trasformarsi continuo <strong>della</strong> natura. Purtroppo in<br />

negativo. Ciò avviene non ad opera <strong>della</strong> spontanea azione degli elementi naturali, ma<br />

grazie alla irrazionale iniziativa dell’uomo; non dell’uomo generalmente inteso, ma <strong>di</strong><br />

quella categoria <strong>di</strong> uomini cui preme soprattutto il profitto.<br />

Tuttavia la razionalità dell’uomo, ove non sia accecata dalla logica del profitto, ha<br />

in sé le capacità e le possibilità <strong>di</strong> salvare, o recuperare, un patrimonio <strong>di</strong> un valore<br />

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Cronache del fiume e <strong>della</strong> golena<br />

inestimabile per la comunità umana. Noi, nonostante tutto, abbiamo fiducia in queste<br />

capacità e possibilità. Dobbiamo interpretare, con modestia e con spirito creativo, gli<br />

insegnamenti <strong>di</strong> Leonardo: “è semplicità (ingenuità) l’andar cercando i sensi delle cose<br />

<strong>della</strong> natura nelle carte <strong>di</strong> questo e <strong>di</strong> quello più che nell’opere <strong>della</strong> natura, la quale<br />

vive sempre, ed operante ci sta presente avanti a gli occhi, veri<strong>di</strong>ca ed immutabile in<br />

tutte le sue cose.”<br />

Basta – aggiungiamo noi – avvalendosi <strong>della</strong> “sperienza”, rispettarne e<br />

<strong>di</strong>sciplinarne con saggia misura l’opera, senza stravolgerne le leggi che alimentano il<br />

suo essere ed il suo <strong>di</strong>venire; realizzando quella simbiosi fra uomo e natura che fu alla<br />

base degli albori del nostro essere e <strong>di</strong>venire uomini. Non c’è alternativa!<br />

Cremona, 4 luglio 1984<br />

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