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Geologia dell'Ambiente - Centro Studi prof. ing. Angelo Spizuoco

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Figura 13 – Conoide poligenico, Valle del Rio Arno.<br />

La zona di scorrimento si articola alla<br />

base della struttura a imbuto, in sezione longitudinale,<br />

ha lunghezza variabile, la base<br />

concava, in sezione trasversale, è dovuta alla<br />

maggior erosione nella parte centrale rispetto<br />

alle aree laterali, come nel flusso gravitativo,<br />

e l’andamento si adatta alla morfologia del<br />

versante per le valanghe radenti ed è tendenzialmente<br />

rettilineo o leggermente sinuoso.<br />

Nelle valanghe nubiformi, prevalendo la componente<br />

aerea, il movimento è indipendente<br />

dalla morfologia del versante che non riesce<br />

a produrre ostacoli e la velocità di scorrimento<br />

è molto elevata. Quando il flusso della neve<br />

è abbondante e s’introduce nelle aree del bosco,<br />

rimangono i segni dell’abbattimento unidirezionale<br />

e nastriforme della fustaia (Figg.<br />

14 e 15) che tende ad assumere un <strong>prof</strong>ilo<br />

superiore orizzontale digitiforme lungo il versante,<br />

in cui la faggeta e le aree arbustive non<br />

soggette a valanghe e/o deflussi gravitativi,<br />

si innalzano di quota.<br />

La morfologia del substrato, in questi casi,<br />

si presenta generalmente convessa (semiconi,<br />

semicilindri) e/o si trova su linee di<br />

spartiacque gravitativi (Fig. 15), oppure è a<br />

valle di aree a basso rischio valanghivo.<br />

La causa della penetrazione del flusso<br />

di neve e ghiaccio nel bosco è da ricondurre<br />

alle particolari condizioni meteo-climatiche,<br />

alla capacità della nicchia di distacco, alla<br />

pendenza della zona di scorrimento e alla coalescenza<br />

di diverse aree di deflusso che ne<br />

amplifica la portata (Fig. 15).<br />

Nel versante occidentale del monte Siella<br />

2.027 m s.l.m, nella piana di Fonte Vetica<br />

1.632 m s.l.m, sono visibili alcune di queste<br />

tracce che risultano dalla coalescenza di più<br />

nicchie di distacco che si sono attivate a marzo<br />

2005, le quali hanno divelto e trasportato<br />

fusti di abeti che, dalle dimensioni, avevano<br />

<strong>Geologia</strong> dell’Ambiente • n. 1/2010<br />

presumibilmente trenta anni di età. Il luogo in<br />

cui fu effettuato il rimboschimento presenta<br />

le caratteristiche geomorfologiche di un area<br />

valanghiva, come è possibile verificare dalle<br />

immagini del versante effettuate prima del<br />

2005. Le valanghe di maggiori dimensioni, che<br />

per loro natura raggiungono le quote inferiori,<br />

tendono a ripetersi negli stessi luoghi con frequenze<br />

che hanno un periodo pluridecennale.<br />

I canali di deflusso hanno morfologie peculiari<br />

rilevabili geomorfologicamente e permettono<br />

di valutarne la vulnerabilità e la sua<br />

estensione alle quote inferiori.<br />

Nel periodo estivo, in questi solchi converge<br />

il movimento di pietrisco e detriti, resi<br />

instabili dall’azione criogenica e mobilitati<br />

dalla gravità e dal dilavamento superficiale.<br />

L’azione è particolarmente intensa durante<br />

i rovesci violenti e i clasti selezionandosi<br />

durante il percorso si accumulano a valle<br />

sedimentandosi sui coni di origine nivali,<br />

(Campo Pericoli, Campo Imperatore).<br />

Si formano in questo modo dei conoidi<br />

poligenici, particolarmente sviluppati nella<br />

sinistra idrografica della Val Maone, della<br />

Valle del Rio Arno e nelle pendici nord della<br />

Vetta Settentrionale d’Intermesoli (Fig. 13).<br />

La zona di accumulo della neve in una<br />

valanga, è caratterizzata da una pendenza<br />

inferiore che causa il rallentamento e/o l’arresto<br />

della massa in movimento, dove l’energia<br />

della massa nevosa si riduce notevolmente<br />

fino ad azzerarsi.<br />

Un deflusso di neve in movimento si<br />

muove anche su pendii di 18° di pendenza<br />

(McClung-Schaerer,1996).<br />

Il deposito di considerevoli volumi di neve,<br />

e il relativo costipamento, riducono la porosità,<br />

Figura 14 – Pizzo Intermesoli, Vetta settentrionale. Nicchia<br />

di distacco nell’area prativa e antico canale di scorrimento<br />

nel bosco parzialmente rimarginato dalla vegetazione. In<br />

alto a sinistra in evidenza nicchia di distacco su roccia e<br />

area di accumulo di valanghe recenti nel bordo settentrionale<br />

del bosco.<br />

favorendo l’aggregazione e la formazione di nevati<br />

che, per forme e dimensioni, sono analoghi<br />

a piccoli ghiacciai, alla base di questi, in zona<br />

frontale è possibile osservare la formazione di<br />

ghiaccio compatto stagionale, (Fig. 12).<br />

I nevati maggiori occupano particolari zone<br />

depresse uno è prossimo al limite superiore<br />

della vegetazione evoluta (Fondo della Salsa),<br />

e distribuiscono e conservano notevoli volumi<br />

di neve e ghiaccio.<br />

Il fronte dell’accumulo ha una pendenza<br />

elevata poiché l’angolo di attrito interno della<br />

neve, a queste quote dopo il rotolamento e<br />

successivo mescolamento di strati a diverso<br />

grado di metamorfismo, permette una stabilità<br />

maggiore.<br />

Le masse nevose che si accumulano a<br />

valle sono pertanto eterogenee nella struttura<br />

e composizione e <strong>ing</strong>lobano detriti rocciosi<br />

e una parte organica, in taluni casi rilevante,<br />

visibili nel tardo periodo estivo per la copertura<br />

che conferiscono alla superficie nevosa.<br />

Massi anche di un metro di diametro,<br />

rimangono <strong>ing</strong>lobati e/o sospesi sulla coltre<br />

nevosa e solo nella fase di ablazione (fusione)<br />

si compattano, muovendosi e generando<br />

instabilità nella zona di accumulo.<br />

La superficie prospiciente al fronte di<br />

accumulo tende ad abbassarsi formando<br />

depressioni circondate da accumuli a festoni<br />

e a semiluna: le nivomorene (D’Alessandro,<br />

Pecci..., 2003-2004).<br />

Nelle pendenze maggiori e dove avviene<br />

un’evidente variazione di acclività, gli accumuli<br />

detritici assumono la forma a ventaglio, e a conoide<br />

quando la pendenza è elevata (Fig. 13).<br />

CONCLUSIONI<br />

Le morfostrutture valanghive attive occupano<br />

ora superfici ridotte e si trovano a quote<br />

superiori, se paragonate a quelle non attive o<br />

relitte (Fig. 14), è lo stesso fenomeno che ha<br />

ridotto e traslato le forme glaciali: l’innalzamento<br />

dell’isoterma 0 C° ha portato il livello<br />

delle nevi perenni nel Gran Sasso a superare<br />

i 3000 m di quota, (Fraternali, 2009).<br />

L’accumulo nevoso che si determina in<br />

aree protette da particolari condizioni morfologiche<br />

è causa di formazione e mantenimento<br />

di glacio-nevati e nevati eccezionalmente<br />

sviluppati in dimensioni e numero in questo<br />

gruppo montuoso.<br />

La diffusione di queste forme è comunque<br />

insignificante rispetto ai ghiacciai rigenerati<br />

e alle relative nivomorene relitte che troviamo<br />

alle quote inferiori, a ridosso di salti morfologici<br />

(Valle delle Cornacchie).<br />

Questi ci ricordano gli accumuli gravitativi<br />

di ghiaccio e detriti avvenuti nelle passate<br />

glaciazioni. Le nivomorene e i conoidi detritici<br />

valanghivi durante l’ablazione estiva perdono<br />

il cemento di neve interno, cui segue la diminuzione<br />

del valore di attrito interno di questi

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