Saverio Ricci Censura ecclesiastica, filosofia ... - Sapienza
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<strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong>,<br />
<strong>filosofia</strong>, Controriforma<br />
di <strong>Saverio</strong> <strong>Ricci</strong><br />
1<br />
<strong>Censura</strong>, <strong>filosofia</strong> e idea dell’Italia<br />
Un’incisione di Hans Holbein per il calendario protestante di Johann<br />
Copp, anno 1527, Cristo vera luce, mostra Platone, Aristotele, gli scolastici<br />
e il papa in procinto di essere inghiottiti da un abisso, mentre i veri<br />
credenti si dirigono verso il Signore 1 : immagine che traduce la ben nota<br />
avversione di Lutero nei confronti non solo della teologia scolastica, ma<br />
della relazione stessa tra la <strong>filosofia</strong>, inutile alla salvezza, e la fede. Poco<br />
prima dell’insorgenza luterana, il papato, nella occasione riformatrice<br />
del V Concilio Lateranense, aveva pur disposto, per la prima volta nella<br />
sua storia, una legislazione universale a disciplina del rapporto tra <strong>filosofia</strong><br />
e teologia nell’insegnamento universitario, per secoli lasciato alle<br />
diverse interpretazioni delle scuole teologiche, ma segnato da occasionali<br />
pronunce di vario rango, irrogate contro dottrine particolari, o singoli<br />
filosofi erranti. Si giudicava ormai che quel rapporto, se incontrollato<br />
nella didattica, sarebbe stato foriero di pericoli per le anime. All’inizio<br />
dell’evo moderno, la Chiesa sembra avvertire nella <strong>filosofia</strong> un rischio da<br />
contrastare con nuovi strumenti; i riformati paiono intenderla come una<br />
pratica di cui la fede dovrebbe essere alleggerita (pur non rinunciando<br />
la Riforma, nell’interpretazione melantoniana, a un rapporto con la<br />
<strong>filosofia</strong>).<br />
Ingeborg Jostock, introducendo il suo volume sulla censura nella<br />
Ginevra calvinista, nella quale neppur manca qualche divieto per filosofi<br />
(Tommaso commentato dal Gaetano, un pamphlet di Bruno, e le opere<br />
fondamentali di Montaigne e di Bodin), ha sottolineato di aver lavorato<br />
su un «terrain méconnu», laddove la ricerca «n’est qu’à ses débuts». E<br />
ha ascritto tale ritardo anche alle ragioni ideologiche che «associent le<br />
protestantisme à la liberté d’expression et non à la censure». La lunga<br />
durata di una certa visione della Riforma, che assicurava continuità tra<br />
questa e la civiltà moderna e liberale, avrebbe contribuito a oscurare il<br />
Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. 1/2012
I TEMI<br />
campo problematico della censura nei Paesi protestanti 2 , peraltro non<br />
ignorato negli studi italiani su censura e inquisizione cattolica 3 ; nei quali<br />
tuttavia è apparsa piuttosto viva, da un certo momento, la consapevolezza<br />
della «eclisse» del nesso tra Riforma e modernità, e dei suoi effetti sulla<br />
correlativa interpretazione della Controriforma come frattura rispetto<br />
a questa 4 .<br />
Campo problematico – la censura protestante, anche quella esercitata<br />
verso le idee filosofiche –, già ben avvertito da chi aveva occasione di<br />
esercitare una comparazione: si vedano per esempio le due lettere in cui<br />
Descartes, che pure aveva preferito vivere, da cattolico, nell’Olanda calvinista<br />
piuttosto che in Francia, denunciava, forse anche alla ricerca di un<br />
effetto retorico sui destinatari, l’equivalenza dei metodi dell’Inquisizione<br />
cattolica e delle autorità calviniste nei confronti della libertà speculativa 5 .<br />
A non dire del dibattito intrariformato, già alla fine del Seicento, sulla<br />
inquisitio in coscientias, trionfante nel mondo cattolico, ma vista incombere<br />
pericolosamente anche negli Stati protestanti 6 .<br />
Sul caso Descartes si dovrà tornare 7 . Ma restando in Olanda, in una<br />
ricostruzione delle ragioni del cherem inflitto a Baruch Spinoza dalla<br />
comunità sefardita di Amsterdam nel 1656, prima che quegli fosse noto<br />
per i libri che non aveva ancora né scritto né pubblicato, Steven Nadler,<br />
procedendo attraverso un contesto documentario piuttosto opaco, è<br />
giunto alla conclusione che l’espulsione di Baruch dal giudaismo fosse<br />
conseguenza delle sue opinioni filosofiche sull’immortalità dell’anima 8 .<br />
L’evocazione del caso Descartes e del caso Spinoza 9 – che sembrano<br />
ridurre ad unum, nel segno del comune riferimento bibliocentrico,<br />
la negazione nei diversi ambiti cattolico, protestante ed ebraico della<br />
philosophandi libertas – segnala che la censura cattolica romana costituì<br />
una delle maggiori varianti di un fenomeno riguardante, in modi diversi,<br />
l’intera Europa.<br />
La censura libraria fu per tempo avvertita già in sede di pensiero e di<br />
prassi politica come prerogativa importante del sovrano politico. Istituti<br />
censori secolari furono approntati, accanto e sempre in competizione<br />
o in collaborazione con quelli ecclesiastici, dai sovrani, monarchi o<br />
governi repubblicani che fossero, fin dai primi decenni del XVI secolo, e<br />
durarono a lungo, e dovunque, fino a gran parte dell’età liberale, spesso<br />
coinvolgendo anche la produzione filosofica 10 . Non stupisce dunque<br />
che la Jostock esordisca nell’introduzione al suo volume sulla censura<br />
ginevrina citando – prima che luoghi di Lutero e di Calvino teorizzanti su<br />
base neotestamentaria (Atti degli apostoli, 19, 19) la necessità di bruciare<br />
libri eretici e astrologici – quel capitolo I del libro VI della République di<br />
Jean Bodin – già richiamato negli studi italiani 11 –, nel quale viene trattato<br />
il ruolo della “censura dei costumi”, che comporta in Bodin l’esame dei<br />
126
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
rapporti tra censura <strong>ecclesiastica</strong> e potere secolare. Con corrispettiva<br />
“sacralizzazione” dello stesso ambito statale. Nel pensiero di Paolo Sarpi<br />
l’importanza della censura sulla stampa – il cui esercizio il sovrano avrà<br />
cura di non lasciare al solo potere ecclesiastico – è tale che certo il regime<br />
concordatario in merito dovrà essere sempre garantito, a presidio delle<br />
prerogative della Repubblica, come del resto nel campo dell’Inquisizione;<br />
ma le stesse proibizioni di libri «sediziosi, inonesti overo famosi» emanate<br />
dal sovrano dovranno essere osservate dai sudditi non solo «per timore<br />
della pena temporale», «ma ancora per coscienzia». Visione diversa<br />
in merito sarebbe per Sarpi «falsa e perversa e contraria alla dottrina<br />
cristiana», per aver san Paolo chiaramente annunciato che l’obbedienza<br />
al principe temporale è, al pari di quella dovuta alla Chiesa nelle cose<br />
spirituali, istituita da Dio 12 .<br />
Tuttavia, indagare e discutere il lato cattolico, soprattutto controriformista<br />
del tema della censura, e il generale problema dell’Inquisizione,<br />
da cui deriva, non è cosa che in Italia possa farsi senza avvertire che si<br />
tratta di operazione particolarmente sensibile. Benché negli ultimi decenni<br />
gli studi, italiani e non solo, sembrino essersi relativamente distaccati da<br />
quelle prospettive – spesso liquidate come “ideologiche”, nel generale<br />
quanto un po’ affrettato “tramonto delle ideologie” – che fin dall’Ottocento<br />
ne hanno inquadrato le ricerche storiche, e che secondo la Jostock<br />
avrebbero ritardato la ricerca sulla censura protestante, il mai sopito<br />
rammarico per una mancata “Riforma italiana”, e reazioni polemiche<br />
avverse, continuano non poco ad accompagnare l’attenzione storiografica<br />
per il soggetto, anche nel quadro di discussioni generali sull’“identità”<br />
italiana e sui caratteri “anomali” della sua storia.<br />
Secondo una visione a lungo molto diffusa, di matrice ottocentesca ma<br />
con presupposti illuministici, essendo “mancata” all’Italia “la Riforma”,<br />
o “una riforma”, impedite dal duro contrasto dell’eresia oltremontana<br />
ma anche delle correnti “evangeliche” autoctone, Santo Uffizio e censura<br />
romana sarebbero stati fra gli strumenti principali, non esclusivi,<br />
oltre che di quel contrasto, anche di una sostanziale mortificazione del<br />
pensiero e della cultura, stroncante l’Umanesimo, e procurante fine<br />
prematura al Rinascimento e al rapporto dell’Italia con l’Europa e con<br />
l’incipiente modernità. Sarebbe compito di una storiografia liberata da<br />
condizionamenti ideologici, o almeno, di quelli del XVIII e del XIX secolo,<br />
dotata di migliori strumenti e di più ampi e meglio conosciuti materiali<br />
documentari, sottoporre a verifica questa visione, muovendo per esempio<br />
proprio dall’esame rinnovato dei modi, dei tempi, delle finalità dell’azione<br />
inibitoria che la censura romana avrebbe esercitato nei confronti della<br />
<strong>filosofia</strong> moderna.<br />
127
I TEMI<br />
2<br />
Fondamenti dottrinali e strumenti giuridici<br />
della censura cattolica verso la <strong>filosofia</strong><br />
I fondamenti dottrinali (teologico-scritturali e giuridici) dell’azione censoria<br />
verso la <strong>filosofia</strong> esercitata durante la Controriforma sono mutuati<br />
da quelli costituitisi fra XIII e XVI secolo nella persecuzione inquisitoriale<br />
dell’eresia e nella vigilanza della didattica filosofica universitaria. Non<br />
dovrò qui ripercorrerne nel dettaglio la genesi e lo sviluppo, avendone<br />
io altrove, e altri trattato, e mi limiterò a dedurne solo alcune linee di<br />
fondo, utili alla comprensione dei meccanismi censori operanti nell’età<br />
tridentina 13 .<br />
L’istanza di correzione (e inclusione) della <strong>filosofia</strong> è tanto antica<br />
quanto il cristianesimo. Essa riposa su fonti paoline e patristiche, spesso<br />
esplicitamente richiamate da censori e inquisitori nelle loro scritture. Vale<br />
qui ritornare, poiché fondante, sulla tensione originaria tra contiguità e<br />
alterità radicale di <strong>filosofia</strong> e cristianesimo, ravvisabile in Paolo.<br />
Da un lato, in Romani, 1, 18-23, sviluppando un motivo di <strong>Sapienza</strong>,<br />
13, 1-9 che risentiva del contatto fra ebraismo ed ellenismo, l’Apostolo<br />
riconosce la effettività del percorso contemplativo dai visibilia naturali<br />
alle perfezioni invisibili di Dio: i filosofi pagani sono pertanto inescusabili,<br />
poiché il loro studio della natura, che dischiude il riconoscimento<br />
speculativo dell’unico Dio, da essi attinto, non li ha tuttavia mossi al riconoscimento<br />
“pubblico” di quel Dio, ed essi son restati nell’idolatria. Con<br />
modificazioni di volta in volta anche molto significative, dai primi Padri<br />
ad Agostino, dai teologi agostiniani a Tommaso, quest’affermazione darà<br />
fondamento alla comprensione della <strong>filosofia</strong> in un orizzonte cristiano e<br />
alla costituzione di teologie naturali e di una <strong>filosofia</strong> “al servizio” della<br />
teologia rivelata; e infine a una <strong>filosofia</strong> “moderna”, fino a Descartes (che<br />
riprende il tema e le relative fonti scritturali vistosamente, nella dedica<br />
delle Meditationes ai teologi della Sorbona) 14 , che si propone davvero<br />
compatibile con il quadro della Rivelazione. D’altro canto, in Colossesi, 2,<br />
6-8, Paolo proclama diffidenza nei riguardi dei «vuoti raggiri» della «<strong>filosofia</strong>»,<br />
e in I Corinzi, 1, 17-34, 2, 6-8, l’irriducibilità della sapiente stoltezza<br />
cristiana alla falsa sapienza dei pagani, inutile all’“uomo spirituale”. Queste<br />
ultime dichiarazioni, oltre ad alimentare diffidente vigilanza in ambito<br />
cristiano, potranno fondare anche atteggiamenti scettici, o addirittura<br />
contrari, con varietà di modulazione, al ruolo “ancillare” della <strong>filosofia</strong><br />
verso la teologia, al fine di rivendicare alla prima autonomia di discorso,<br />
come nel caso di Montaigne. La dichiarazione resa in Romani potrà infine<br />
essere invocata tanto nel contesto di una sorta di benedizione cristiana<br />
del filosofo pagano per eccellenza, Aristotele, postulandosi l’innesto della<br />
128
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
teologia cristiana nella pratica filosofica, quanto, se interpretata in senso<br />
pessimistico, nell’ambito di atteggiamenti svalutativi dell’apporto della<br />
<strong>filosofia</strong> al trionfo della vera fede. Il cristiano non potrà comunque restare<br />
né prono alla <strong>filosofia</strong>, né indifferente ad essa. In Atti degli apostoli, 17,<br />
16-43, di Paolo si dice che ad Atene annuncia il Vangelo ai filosofi, e che<br />
finanche adopera il linguaggio filosofico dell’epoca per annunciare il Dio<br />
«in cui siamo e viviamo»: prologo di inclusione della <strong>filosofia</strong> pagana<br />
nella visione cristiana.<br />
Ferma riconoscendosi la lunga durata e la diversamente interpretata<br />
vigenza di questa tensione di fondo delle fonti scritturali in tema (ribadita<br />
nella tradizione patristica), attraverso i secoli precedenti la Controriforma<br />
e nella Controriforma, quanto ai dispositivi giuridici correttivi dell’attività<br />
filosofica, essi non hanno alcun legame con l’“età confessionale” e<br />
il disciplinamento tridentino, “moderno” o meno che lo si voglia dire.<br />
Essi sono gradualmente elaborati e diffusi, ma non sulla base di pronunce<br />
solenni, bensì di misure e dichiarazioni locali (diocesane, accademiche,<br />
teologiche, inquisitoriali), fra XIII e XV secolo, soprattutto nelle fasi più<br />
acute del ricorrente problema del trattamento dell’aristotelismo e della<br />
didattica filosofica secolare, e nel contrasto dell’averroismo latino e di<br />
altre interpretazioni di Aristotele imbarazzanti per la fede. Le sentenze<br />
solenni e universali della Chiesa in merito (elaborate nei diversi contesti<br />
del Concilio di Vienne del 1311-12 e del V Concilio Lateranense del 1512-17)<br />
si collocano, non per caso, piuttosto entro tentativi di riforma cattolica<br />
anteriori al Concilio di Trento. La riorganizzazione di Inquisizione e<br />
censura intervenuta nell’età della Controriforma offrì però strumenti<br />
nuovi, dettati dall’emergenza protestante e dalla diffusione della stampa;<br />
strumenti che resero almeno in aspirazione possibile e maggiormente<br />
efficace l’applicazione di quegli strumenti giuridici approntati in età<br />
precedenti.<br />
È attribuito ad Egidio Romano, allievo di Tommaso, il catalogo di<br />
Errores philosophorum (1270), circolante manoscritto edito per la prima<br />
volta a stampa nel 1482 15 , ma entrato già nel XIV secolo nella letteratura<br />
inquisitoriale. Negli stessi anni, Tommaso elaborava nella Summa theologiae<br />
una dottrina dell’eresia come errore dell’intelletto cui la volontà può<br />
aderire con maggiore o minore pertinacia (Summa theologiae, secunda<br />
secundae, qq. 10-1), procurando l’eresia vera e propria (l’errore mentale<br />
è la materia o soggetto cui la volontà deviata e pertinace conferisce la<br />
forma); dottrina che sarà del pari recepita nella tradizione inquisitoriale.<br />
Peraltro Tommaso vi integrava una distinzione tra eresia diretta ed<br />
eresia indiretta, destinata ad essere pur essa inclusa nella tradizione e<br />
nella prassi inquisitoriale e che avrebbe permesso di comprendere nella<br />
fattispecie ereticale non solo dottrine apertamente confliggenti con le<br />
129
I TEMI<br />
Scritture o con le determinazioni della Chiesa su articoli della fede, ma<br />
anche vertenti su affermazioni secondarie, la cui pericolosità sarebbe<br />
stata riconosciuta, nel tempo, dalla Chiesa stessa. Questo passaggio è<br />
importante ai fini della comprensione del disciplinamento della <strong>filosofia</strong><br />
durante la Controriforma. Per Tommaso (Summa theologiae, pars prima,<br />
q. 32, art. 4) è eresia diretta l’affermazione che contraddice articoli della<br />
fede cattolica; ma vi si aggiunge l’eresia indiretta, che contraddicendo<br />
un’affermazione secondaria provoca tuttavia una conseguenza nociva,<br />
poiché indurrebbe a pensare che le Scritture possano sostenere il falso<br />
e non essere divinamente ispirate in ogni loro linea. Questo comporta<br />
che l’interpretazione di luoghi scritturali relativi alla costituzione della<br />
natura e alla natura dell’uomo può dare occasione di eresia. Tommaso<br />
stabilisce inoltre che le scienze che recano dichiarazioni confliggenti con<br />
quelle manifestate dalla teologia o scienza sacra devono essere ritenute<br />
qualcosa di falso e pertanto condannabili (Summa theologiae, pars prima,<br />
q. 1, art. 2, 5-7; ad art. 6: non spetta alla teologia di fondare i principi delle<br />
altre scienze, «sed solum iudicare de eis, quidquid enim in aliis scientiis<br />
invenitur huius scientiae repugnans, totum condemnatur ut falsum»). Ma<br />
esclude le scienze matematiche e le scienze a queste analoghe dal rischio<br />
di eresia (Summa theologiae, Secunda secundae, q. 11, art. 2).<br />
Egidio – il cui catalogo non aveva tuttavia alcun valore giuridico<br />
– valutava errori dei filosofi per rapporto alla fede cristiana molte dottrine<br />
dei “platonici” (in realtà di Platone e di platonici, ma anche di pitagorici<br />
ed epicurei), di Aristotele, di Averroè e di altri filosofi islamici, e di Mosè<br />
Maimonide, alcune delle quali, ma anche molte altre che non vi erano<br />
segnalate, furono vietate nei decreti che il vescovo Etienne Tempier emanò<br />
negli anni 1270-77 per l’università di Parigi, presto recepiti anche in<br />
Oxford e in altre università europee 16 . Anche la decretazione di Tempier,<br />
di cui fu contestata al tempo e anche in seguito la validità giuridica oltre<br />
il territorio di competenza, conviene circa il ruolo disciplinante della teologia<br />
e dei teologi sulle subordinate attività filosofiche, mentre dispositivi<br />
confutatori obbligatori in tal senso ispirati erano già stati adottati, per i<br />
docenti di <strong>filosofia</strong>, negli Statuti della Facoltà della Arti a Parigi.<br />
Il Directorium inquisitorum di Nicolau Eymerich (1376), pubblicato<br />
a stampa al principio del Cinquecento, ma riedito più volte, a partire<br />
dal 1578, per le cure del canonista spagnolo Francisco Peña, e con una<br />
sorta di ufficioso patronato del commissario del Santo Uffizio Tommaso<br />
Zobbio e del Maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili, introduce, prima<br />
della storia delle eresie sorte nel cristianesimo, il catalogo egidiano 17 . Un<br />
inserimento che a giudizio di Peña sarebbe potuto apparire illegittimo<br />
sotto il profilo canonistico, poiché solo il concetto erroneo creduto da un<br />
battezzato può essere formalmente eretico; ma che poteva essere accolto,<br />
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S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
e Peña accoglieva, proprio sulla base della dottrina tomista dell’eresia<br />
come errore intellettuale confermato da una perversione della volontà.<br />
Se questa è la “forma” dell’eresia, e la “materia” è un errore mentale,<br />
se la volontà “perfeziona” l’errore della mente con un atto di scelta, se<br />
è vero che solo un battezzato può esser definito eretico, sarà altrettanto<br />
vero che anche un pensiero concepito da un filosofo pagano potrà essere<br />
rubricato come eresia, in quanto possibile matrice della scelta eretica<br />
di un cristiano. Questa definizione di eresia non ab assertoribus, sed a<br />
natura rei, ovvero non sulla base della condizione giuridica (battezzato<br />
o non battezzato) del pronunciante, ma dell’indole del pensiero dichiarato,<br />
consentiva a Eymerich di inserire a buon titolo, secondo Peña, nei<br />
cataloghi delle eresie, anche alcune teorie filosofiche antiche e islamiche<br />
repertoriate da Egidio.<br />
Questa dottrina viene recepita anche da Alfonso de Castro, nel<br />
De iusta haereticorum punitione del 1547, laddove non solo individua<br />
nell’attività filosofica e nelle dottrine dei filosofi antichi possibili matrici<br />
di eresie, ma ritaglia la categoria dello error in fide come un errore che<br />
benché non sia pura eresia, può prepararla o accompagnarsi ad essa. Se<br />
l’eresia verte su enunciati cui il cristiano dovrebbe offrire assenso oltre<br />
le sue capacità razionali, ovvero per atto di fede, l’error in fide concerne<br />
enunciati (per esempio che l’anima umana sia prodotta da Dio e non dal<br />
seme del genitore) che benché presentati dalla fede, sono dimostrabili<br />
anche per via razionale 18 . Questo abilitava a condannare o censurare<br />
una tesi filosofica, in alcuni casi, non solo come contraria alle Scritture o<br />
eretica, ma anche come “stolta” o “assurda” o “erronea” in <strong>filosofia</strong>, ossia<br />
secondo la ragione naturale. Sarà il caso, per esempio, della definizione<br />
della teoria copernicana del 24 febbraio 1616, dichiarata dai consultori<br />
del Santo Uffizio formalmente eretica perché contraria alle Scritture, e<br />
stolta e assurda in <strong>filosofia</strong> 19 .<br />
Se i manuali inquisitoriali certo servirono a informare e istruire<br />
inquisitori e censori, provenendo peraltro da epoche lontane, come nel<br />
caso del Directorium, e degli Errores egidiani, la bolla Apostolici regiminis<br />
20 emanata da Leone X nel 1513 durante il V Concilio Lateranense<br />
in una prospettiva di lotta alla diffusione delle tendenze più radicali<br />
dell’aristotelismo areligioso e dell’averroismo latino nelle università, e<br />
di rigorizzazione della formazione cristiana e di quella del clero nella<br />
visione riformatrice di quel Concilio, offrì tuttavia un criterio di base<br />
fondante, proclamato nella forma più solenne (papa cum concilio). La<br />
<strong>filosofia</strong> deve essere confutata – dagli stessi professori della disciplina<br />
nell’esposizione e nel commento di Aristotele, con ogni mezzo sia filosofico<br />
che teologico – tutte le volte che la teologia la giudica in contrasto<br />
con la fede, come per esempio su quei punti (durata del mondo e natura<br />
131
I TEMI<br />
dell’anima) che molti interpreti pagani, islamici e anche cristiani del testo<br />
aristotelico volgevano in termini incompatibili con l’insegnamento della<br />
Chiesa. La bolla disponeva un obbligo per i docenti universitari; ma quel<br />
testo fu invocato molto spesso da inquisitori e censori per condannare o<br />
censurare filosofi che sostenessero in qualunque contesto teorie apparse<br />
in contrasto con la fede. Dal caso Galileo al caso Montaigne, da quello<br />
Cremonini a quello Bruno e molti altri, un dispositivo nato nel 1513, ma<br />
che si fondava sulla tradizione medievale parigina e su misure locali dei<br />
secoli successivi, fu applicato così nella censura di testi filosofici, come in<br />
processi inquisitoriali intentati a filosofi. La Controriforma, in questo, non<br />
elaborò nulla di nuovo. Semmai, attraverso la manualistica inquisitoriale,<br />
che presto ovviamente incluse la Apostolici regiminis, e l’azione congiunta<br />
di Santo Uffizio, Indice e Maestro del Sacro Palazzo, dotato di competenze<br />
censorie in Roma, ma collaborante in universale con le prime due<br />
istituzioni, si rese possibile, almeno in teoria, ma con ricorrente efficacia<br />
pratica in molti casi concreti, l’applicazione di quel dispositivo più diffusamente<br />
che nella prima metà del Cinquecento. Allora, finanche la grave<br />
infrazione di Pietro Pomponazzi alla bolla di Leone X aveva ricevuto a<br />
Roma, di contro al rogo acceso dal patriarca di Venezia sotto esemplari<br />
del suo De immortalitate animae del 1516, trattamento derogante alla<br />
norma. Nel secondo Cinquecento la forte problematicità – avvertita per<br />
il periodo precedente – di una effettiva “ortodossia filosofica cattolica”,<br />
ovvero di un conseguito disciplinamento della <strong>filosofia</strong> da parte della<br />
teologia su specifici punti capitali e in generale, dovuta a vari elementi,<br />
sembra ridimensionarsi per effetto dell’inclusione dell’impostazione di<br />
Tommaso, ma anche di Tempier e della prassi universitaria parigina, non<br />
solo nel magistero (che avviene già nel 1513), ma nel diritto e nella prassi<br />
inquisitoriale e nella prassi censoria 21 .<br />
Nello stesso V Lateranense furono ribadite da Leone X con la bolla<br />
Inter sollicitudines (1515) le prerogative della censura <strong>ecclesiastica</strong> già<br />
stabilite da Innocenzo VIII nel 1487 con la bolla Inter multiplices, aggiungendosi<br />
in sede locale la competenza inquisitoriale a quella vescovile:<br />
cominciava a prendere forma la censura libraria come parte della riforma<br />
o correzione della vita cristiana, che nell’età tridentina la riorganizzazione<br />
della censura e la istituzione della congregazione dell’Indice avrebbero<br />
ampiamente sviluppato 22 .<br />
Fu sull’inviolabilità dell’interpretazione <strong>ecclesiastica</strong> della Scrittura<br />
che la Controriforma elaborò un principio fermo, con effetti anche sul<br />
trattamento dell’eresia a base filosofica, attraverso il decreto De canonicis<br />
scripturis della IV sessione del Concilio di Trento (8 aprile 1546).<br />
In questo si proibisce al credente di proporre interpretazioni personali<br />
della Scrittura su punti riguardanti la fede e i costumi, difformi dal senso<br />
132
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
tradizionalmente conferito dalla Chiesa e radicato nel consenso dei Padri,<br />
anche se tali interpretazioni personali non fossero “date in luce”, ovvero<br />
pubblicate 23 . Durante gli anni a venire sarà autorevolmente conferito a<br />
questo divieto, proprio in contesto rilevante per la <strong>filosofia</strong>, un senso<br />
molto ampio, includente punti della Scrittura che non riguardassero la<br />
fede o i costumi, ma argomenti naturali, quali la posizione del Sole e il<br />
moto della Terra 24 .<br />
Infine, nella prassi inquisitoriale e censoria – esemplificata nella manualistica<br />
della Controriforma e in prontuari interni alle congregazioni<br />
e ai loro uffici – sarà recepita l’articolazione dei diversi livelli di eresia e<br />
di meno gravi fenomeni devianti, che dovevano essere comunque eventualmente<br />
perseguiti in quanto capaci di avviare all’eresia o di denotarla,<br />
risultante dalla tradizione medievale e dalle posteriori discussioni, nel cui<br />
ambito si erano peraltro registrati forti dissensi fra i teologi 25 . In quanto<br />
recettiva di questa tradizione nella sua forma più sofisticata, si potrebbe<br />
assumere a esempio di criterio orientante le Notae, seu censurae Propositionum<br />
damnabilium datate alla fine degli anni Ottanta del XVI secolo e<br />
rinvenute fra le carte del Santo Uffizio, che evidentemente normalizzano<br />
criteri assodati e correnti 26 .<br />
3<br />
Uniformitas teologica e <strong>filosofia</strong><br />
Indicate le fonti scritturali, dottrinali e giuridiche del disciplinamento<br />
inquisitoriale e censorio della letteratura e della didattica filosofica, e<br />
riconosciuto che le fonti del disciplinamento della <strong>filosofia</strong> convergono<br />
nello stabilire per pronuncia solenne nel 1513 il criterio generale della<br />
subordinazione della philosophandi libertas all’ortodossia teologica 27 ,<br />
è lecito chiedersi come si configuri l’uniformità teologica nell’età della<br />
Controriforma.<br />
La tradizione dottrinale intorno alla categoria di eresia e a quelle<br />
collegate e subordinate (riassunte nell’età tridentina per esempio di<br />
nuovo nel De iusta haereticorum punitione di de Castro, e nel De locis<br />
theologicis di Melchior Cano) tende infatti a indicare come colpevoli<br />
non solo affermazioni direttamente contrarie alle Scritture, ai dogmi e al<br />
magistero solenne (papale e conciliare), al consenso generale della Chiesa,<br />
alle tradizioni apostoliche e patristiche, e così via, ma anche a conclusioni<br />
teologiche consensualmente “derivate”, nei Padri e nel magistero, da punti<br />
principali della fede, e alle comuni sentenze dei teologi scolastici, anche<br />
viventi. La “verità” che il filosofo rischia di contrastare non è solo quella<br />
“di fede divina”, ma anche quella “cattolica” o “teologica”, non contenuta<br />
immediatamente nella Rivelazione. Contraddire il consenso dei Padri e<br />
133
I TEMI<br />
dei teologi, un grande teologo o un’intera facoltà teologica, anche sopra<br />
un argomento secondario o derivato, è meno grave che contraddire un<br />
passo della Scrittura o un decreto conciliare; ma può muovere a censura,<br />
o provocare una denuncia e un’indagine inquisitoriale. Il punto fu dibattuto<br />
e si registrarono opinioni diverse 28 , ma basta sfogliare le censure e le<br />
expurgationes di testi filosofici, o scorrere i capi d’imputazione di processi<br />
intentati a filosofi, per avvertire che l’area del possibile errore era di fatto<br />
e di diritto amplissima; e che riconosciuto il criterio della subordinazione<br />
della <strong>filosofia</strong> alla teologia, resterebbe interessante capire a quale tipo di<br />
teologia il censore o l’inquisitore facesse concretamente riferimento nella<br />
sua attività, posta anche la problematicità del “consenso generale” dei<br />
Padri e della tradizione teologica.<br />
Durante la fase di formazione degli strumenti fondamentali del disciplinamento,<br />
fra XIII e XVI secolo, benché questi si costituiscano in parte<br />
nell’alveo del tomismo o di esso risentano, questo indirizzo filosofico e<br />
teologico non si impone certo come prevalente o consacrato; anzi, accolto<br />
come proprio dai domenicani, esso è a lungo contrastato nelle università,<br />
negli studia teologici e dall’ordine francescano. Risulta tuttavia evidente<br />
dalla bolla Fidei catholicae tenenda, irrogata nel 1312 da Clemente V nel<br />
Concilio di Vienne 29 ed elevante a verità cattolica la dottrina tomistica<br />
dell’anima come unica forma del corpo e forma per sé immortale – i cui<br />
avversari sarebbero stati passibili di denuncia per eresia, bolla confermata<br />
da Leone X nella Apostolicis regiminis –, che almeno su alcuni punti<br />
essenziali, come la dottrina dell’anima, le soluzioni tomistiche vengono<br />
considerate dirimenti e incluse nel magistero.<br />
Il Concilio di Trento selezionò i temi messi a repentaglio dall’offensiva<br />
protestante (fonti della Rivelazione, peccato, giustificazione, sacramentaria,<br />
in particolare l’eucaristia) e non pretese di fornire una risistemazione<br />
organica della teologia del tempo, nel quadro di un equilibrio di ruoli fra<br />
magistero e teologia, ma anche di un’emergenza polemica particolarmente<br />
insidiosa. I lavori si aprirono sullo scenario di una significativa maggioranza<br />
d’orientamento scotista e sullo sfondo, per esempio sul tema della<br />
grazia, di un diffuso agostinismo. Favorendo su punti capitali possibili<br />
convergenze fra tomismo e scotismo, il Concilio mantenne il rispetto per<br />
le varietà di scuola attestate in teologia, respingendo semmai piuttosto<br />
inclinazioni di ispirazione umanistica. La prevalenza delle impostazioni<br />
scolastiche sul tema, per esempio, della giustificazione, alimentò l’isolamento<br />
di posizioni di altro carattere, come quelle di Girolamo Seripando,<br />
complesse e soggette a fraintendimenti, e problematiche nel loro stesso<br />
rapporto con teologie della “mediazione” come quelle del Gaetano, di<br />
Reginald Pole, Jacopo Sadoleto, Tommaso Sanfelice 30 . Nel corso del<br />
secolo, con la prevalenza di un certo rigorismo tomistico nelle influenti<br />
134
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
scuole spagnole e nell’ordine domenicano e poi con la proclamazione di<br />
Tommaso a dottore della Chiesa da parte di Pio V (1567) e la promozione<br />
della edizione Piana (1570) delle opere del santo, il pensiero dell’Aquinate<br />
fu tuttavia fissato dal magistero papale quale punto di riferimento fondamentale<br />
per tutta la Chiesa. Nella bolla del 29 luglio 1570 Pio V definì<br />
la dottrina di Tommaso come più affidabile e sicura delle altre diffuse<br />
nella Chiesa, benché non certo l’unica ammessa.<br />
Il disciplinamento della <strong>filosofia</strong> da parte della teologia si rende più<br />
agevole in contesto tomistico che nelle altre scuole. Il tomismo considera<br />
la teologia scienza principalmente e in sé speculativa, e ad essa sono subordinate<br />
e con essa collaboranti tutte le altre scienze. In ambito scotista<br />
– l’altra via antiqua accanto alla tomistica, ritenuta immune da censura ma<br />
non privilegiata dal magistero come avvenne per la tomistica negli ultimi<br />
decenni del secolo – la teologia in nobis, quella esercitata dall’uomo, è<br />
scienza invece eminentemente pratica, fissata sull’indirizzo della volontà<br />
d’amore verso Dio, e i rapporti fra teologia e <strong>filosofia</strong> sono radicalmente<br />
modificati: i contenuti della Rivelazione, per esempio l’immortalità dell’anima,<br />
non sono in parte deducibili anche razionalmente. In contesto<br />
occamista, la cosiddetta via moderna (indirizzo contrastato dalle gerarchie<br />
fin dal suo apparire, quanto alla eversione che Ochkam faceva dell’aristotelismo<br />
e di temi ecclesiologici e del potere pontificio) le relazioni<br />
fra teologia e <strong>filosofia</strong> sono messe profondamente in crisi dalla critica<br />
nominalistica della conoscenza. Ockham aveva sostenuto che neppure i<br />
papi potessero intervenire nelle questioni strettamente filosofiche e che<br />
fosse eretico solo ciò che contrastasse apertamente le Scritture; nell’Indice<br />
di Paolo IV il filosofo inglese sarà proibito, ma negli Indici posteriori il<br />
divieto varrà solo per alcuni suoi scritti anti-papali 31 .<br />
In questi indirizzi, in ragione delle caratteristiche del tutto contrapposte<br />
che in ciascuno di essi assume il discorso teologico in sé considerato,<br />
si rende evidentemente molto diverso tanto il rapporto fra teologia e<br />
<strong>filosofia</strong>, quanto l’atteggiamento verso le capacità (e pertanto l’autonomia)<br />
della <strong>filosofia</strong>, e di quella aristotelica in primo luogo. Non senza<br />
motivo, la storiografia ha segnalato come la formalizzazione solenne del<br />
principio di disciplinamento avvenuta con la Apostolici regiminis sia stata<br />
resa possibile proprio dalla convergenza, in funzione anti-averroistica,<br />
fra ispiratori della decisione papale provenienti da differenti tradizioni<br />
(tomistica, scotista, neoplatonica), ma solidarizzanti su posizioni tomistiche,<br />
generali (subordinazione e “servizio” rigorosi della <strong>filosofia</strong> alla<br />
teologia, e obbligo per i professori di <strong>filosofia</strong> di esercitare una funzione<br />
correttiva della loro disciplina anche con strumenti teologici) e particolari<br />
(dimostrabilità filosofica di alcune verità di fede, in primis l’immortalità<br />
dell’anima), difficilmente possibili in contesti integralmente scotisti o oc-<br />
135
I TEMI<br />
camisti – e suscitanti forti riserve finanche in un tomista come Tommaso<br />
de Vio, che fu tra i pochi padri conciliari a dare voto contrario almeno<br />
su una parte del decreto papale. E si è visto in quella convergenza uno<br />
degli effetti dell’infedeltà allo scotismo di alcuni teologi scotisti, e di una<br />
sorta di latitanza dell’impostazione occamista nel quadro della cultura<br />
<strong>ecclesiastica</strong> italiana del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento 32 .<br />
In età tridentina, è un controversista domenicano e tomista tanto influente<br />
quanto Melchior Cano a offrire il tono della situazione: non solo è eretico<br />
affermare che secondo ragione l’anima è mortale, mancandosi di confutare<br />
questa dichiarazione, o dire che è mortale secondo la <strong>filosofia</strong> e immortale<br />
secondo la fede (Apostolici regiminis), ma è eretico insegnare che secondo<br />
ragione l’immortalità sia indimostrabile e pericoloso e temerario asserire<br />
che nessun argomento filosofico in favore sia stato trovato, con conseguente<br />
riprovazione da parte di Cano delle posizioni di Scoto e di de Vio,<br />
asserenti la non dimostrabilità filosofica dell’immortalità personale 33 .<br />
La declinazione di <strong>filosofia</strong> e teologia all’interno della Compagnia<br />
di Gesù, pur mossa inizialmente da un richiamo, spesso ribadito, a un<br />
rigoroso tomismo, anche attraverso le accuse di grave deviazione che altre<br />
componenti ecclesiastiche, in primis domenicane e ispaniche, ma non solo,<br />
le rivolsero in varie fasi, sta tuttavia a documento del fatto che sarebbe<br />
ben difficile concludere che un monolitico tomismo ufficiale facilmente<br />
ottenga ossequio totale nella società <strong>ecclesiastica</strong>. La vicenda non meno<br />
complessa delle violente dispute teologiche sia sulla grazia, sia mariane,<br />
fra domenicani e gesuiti (e francescani) tra XVI e XVII secolo, tacitate da<br />
Paolo V e da Urbano VIII con decisioni di temporanea “indecidibilità”<br />
del magistero, che finivano con il proibire le polemiche, ma che di fatto<br />
riconoscevano inevitabile la pluralità di posizioni all’interno del pensiero<br />
scolastico, testimonia dell’ulteriore difficoltà a stabilire una definitiva<br />
uniformità teologica nell’ambito della Chiesa, anche su punti non leggeri,<br />
e per tutta la fase iniziale della Controriforma, da parte del papato.<br />
“Centro”, questo, che è apparso uniformante più sul piano “politico” e<br />
“fattivo”, “liturgico” e “catechistico”, che “teologico” 34 .<br />
A quella uniformità teologica (e filosofica) bloccata e integrale, in<br />
fondo la stessa Compagnia di Gesù appare da un certo punto incline<br />
a rinunciare, optando, con la Ratio studiorum del 1586 e del 1599 – non<br />
a caso avversata in Spagna, e non solo, da posizioni di tomismo rigido<br />
– per una uniformità relativa, che muova dalla pragmatica formazione<br />
aristotelico-tomistica di base, per poi ammettere una certa ampiezza di<br />
fonti e libertà e sperimentazione di indirizzo, sebbene sempre molto sorvegliata<br />
dalle autorità dell’ordine, nella consapevolezza della deperibilità<br />
di visioni particolari e di una sorta di “progresso” dello spirito umano 35 .<br />
Un esito che avrebbe avuto le sue ripercussioni anche sulla nozione stessa<br />
136
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
di “ortodossia filosofica” in ambito di <strong>filosofia</strong> secolare, come dimostrano<br />
certi tratti del caso Telesio e del caso Patrizi nel tanto che coinvolsero a<br />
vario titolo gesuiti di rilievo, avvertiti da quegli autori come interlocutori<br />
comprensivi o consenzienti 36 . Entro il quadro della sua <strong>filosofia</strong> e della<br />
sua teologia, la cultura della Compagnia avrebbe sviluppato, con Benito<br />
Pereira, un’esegesi capace di servire, in modi diversi, anche strumentali,<br />
alcuni novatores come Patrizi, Galileo e Federico Cesi 37 ; da Francisco<br />
Suárez in avanti, un nuovo indirizzo della metafisica 38 . In ambito gesuitico<br />
maturò la prima offensiva nella disputa sulla grazia, dimostrante possibili<br />
nessi anche con il dibattito interno alla Compagnia sulla <strong>filosofia</strong> naturale<br />
39 ; e, insieme, un’attenzione feconda alle scienze matematiche, con<br />
apertura di una crisi nell’architettura aristotelica dei saperi; e si verificò<br />
l’accoglienza e discussione delle “novità celesti”, con graduale approccio<br />
innovativo rispetto alla cosmologia aristotelica-tolemaica, ma anche critico<br />
del copernicanesimo 40 ; e finale prevalente adesione, sebbene inizialmente<br />
contrastata dentro e fuori la Compagnia, al modello astronomico e ad<br />
alcune teorie ticoniche 41 .<br />
Da indagini sul trattamento censorio di voci della teologia pre-tridentina<br />
come quella di Tommaso de Vio emerge che la vicenda fu profondamente<br />
condizionata, tra il papato del domenicano Pio V e i regni<br />
di Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII, papi non domenicani e spesso<br />
non favorevoli all’ordine dei predicatori, dalla rottura dell’egemonia di<br />
quest’ordine intervenuta a un certo punto nella censura centrale e nel<br />
Santo Uffizio, e dalla pluralità di impostazioni teologiche e filosofiche<br />
emergente dagli avvicendamenti nel personale degli uffici; personale<br />
proveniente sempre più largamente dal clero secolare e da altri ordini<br />
religiosi, con conseguente caduta o mutamento di interesse per certi<br />
autori o questioni e manifestazione di tendenze teologiche, e pertanto<br />
di orientamenti censori ed espurgatori e di valutazioni decisorie anche<br />
fortemente contrapposti 42 .<br />
Se poi si fa ancora mente alla cultura specificamente filosofica del ceto<br />
dei censori, paiono istruttive le riflessioni compiute da due personalità<br />
molto radicate nel lavoro censorio: Agostino Valier, prefetto dell’Indice<br />
nei regni di Sisto V e di Clemente VIII, e il gesuita Antonio Possevino,<br />
consulente dell’Indice e autore della celebre Bibliotheca selecta (1593).<br />
Dalle riflessioni del primo, venute alla luce nel 1577 ma risalenti al suo<br />
insegnamento di <strong>filosofia</strong> a Rialto negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo,<br />
sale la visione di un prudente eclettismo, che giudica i pericoli della<br />
<strong>filosofia</strong> minori dei suoi benefici per il cristiano e per il teologo; pondera<br />
i rischi contenuti sia in Platone che in Aristotele e respinge pregiudizialmente<br />
solo le filosofie a impianto materialistico; seleziona un metodo<br />
“liberale” che non elegge nessun filosofo antico a maestro indiscutibile,<br />
137
I TEMI<br />
e annovera la lettura di tutti i commentatori pagani e islamici dei testi<br />
aristotelici; vi sovrascrive, sui punti sensibili, come quello dell’anima,<br />
un superiore ricorso alla sistemazione tomistica e all’adempimento della<br />
Apostolici regiminis 43 .<br />
A questa impostazione si richiama esplicitamente Possevino, che nella<br />
Bibliotheca selecta esibisce l’approvazione, più che rituale, del Maestro del<br />
Sacro Palazzo Bartolomeo de Miranda e di ben otto revisori ecclesiastici,<br />
e sviluppa il discorso giungendo alle seguenti conclusioni, e in qualche<br />
modo a un prudente “canone” di <strong>filosofia</strong> cattolica: convenienza dello<br />
studio filosofico per il cristiano, e certo subordinazione della <strong>filosofia</strong> alla<br />
teologia, che conferma e completa la prima; la “<strong>filosofia</strong> mosaica” come<br />
prima <strong>filosofia</strong>, ovvero la Scrittura contiene le prime informazioni che<br />
Dio ha voluto comunicare agli uomini anche intorno alla costituzione<br />
della natura; respingimento dell’aristotelismo secolare o areligioso e<br />
della “doppia verità” e forte diffidenza verso l’averroismo; attenta profilassi<br />
anche nello studio cattolico di Platone e della tradizione platonica;<br />
vigile correzione di Aristotele sui punti sensibili, senza esasperare né il<br />
sospetto verso quel maestro, né la sudditanza nei suoi confronti: anche<br />
le sue dottrine sono suscettibili di critica e di abbandono; studio di tutta<br />
la tradizione tardo-antica e medievale, con un primato di affidabilità in<br />
Tommaso; rinnovato valore della tradizione manualistica degli Errores<br />
egidiani e ovvio adempimento della Apostolici regiminis 44 .<br />
Appare dunque che, benché non si dia un sistema filosofico esclusivo<br />
e ufficiale della Chiesa, alcune idee regolative e strategie di fondo siano<br />
state elaborate. Una consumata tradizione, riepilogata da Valier e da<br />
Possevino, ha sviluppato il massimo di cautela possibile nei confronti<br />
delle tradizioni platonica e aristotelica, e soprattutto dell’aristotelismo<br />
secolare; nessuna delle due tradizioni è immune da rischi; l’elaborazione<br />
tomistica è senz’altro di riferimento, soprattutto nei punti di maggiore<br />
delicatezza; nessuna tradizione interpretativa è tuttavia pregiudizialmente<br />
esclusa, a meno che non si tratti di testi o autori, è ovvio, già vietati dalla<br />
Chiesa; molte teorie antiche e islamiche (ne aveva fatto il catalogo Egidio,<br />
e Possevino lo ribadisce) possono diventare, se abbracciate da cristiani<br />
con l’intento di offendere le verità della fede, eresia; il riferimento al<br />
superiore valore informativo-normativo delle Scritture anche in materia<br />
naturale e al consenso dei Padri, dei Concili e dei teologi, oltre che al<br />
dispositivo Fidei catholicae tenenda-Apostolici regiminis, resta dirimente<br />
rispetto a certi aspetti del dibattito filosofico.<br />
La Chiesa non perviene dunque né a stabilire una <strong>filosofia</strong> del tutto<br />
conveniente cui pretendere di uniformare il dibattito, e in certi termini<br />
neppure la didattica filosofica, né a formulare una sorta di “sillabo” solenne<br />
delle teorie riprovevoli 45 . Il programma della uniformitas teologica<br />
138
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
da realizzarsi garantendo il rispetto di una certa forma di tomismo come<br />
teologia e <strong>filosofia</strong> ufficiale “delle scuole” si scontra non solo con l’ammessa<br />
pluralità di indirizzi all’interno del sistema formativo del clero, ma<br />
anche con la vivacità della discussione filosofica profana. Questa spesso<br />
ricorre al vecchio stile averroista della “doppia verità”, cercando di eludere<br />
con differenti o analoghe movenze gli antichi dispositivi contrari in<br />
merito (come nella <strong>filosofia</strong>, ma anche nel comportamento processuale,<br />
di Bruno; come in Montaigne; come in una certa parte della strategia<br />
di Galileo; a pieno, nell’apologia di Cremonini). Oppure ad ancor più<br />
insidiosi comportamenti: l’accomodamento autonomo delle Scritture in<br />
quadri filosofici originali (lo tentano in modi diversi Telesio e Patrizi;<br />
lo si può ravvisare in certi segmenti “concordisti” finanche di Bruno,<br />
prima che esploda il tratto radicalmente anti-cristiano della sua <strong>filosofia</strong>);<br />
il tentativo di operare e di rendere approvata dalla Chiesa anche a fini<br />
apologetici e conversionistici, o presentati come tali, la sostituzione del<br />
tomismo come <strong>filosofia</strong> “delle scuole” con forme filosofiche recentiores ma<br />
offerte come “novantique”, a sfondo o platonizzante o telesiano, e con uso<br />
personale e disinvolto della tradizione patristica e della Scrittura e delle<br />
fonti ermetiche e neoplatoniche (di nuovo in Patrizi e in Campanella). O<br />
anche con una <strong>filosofia</strong> radicalmente nuova, ma prospettata come perfetto<br />
adempimento della missione del filosofo cristiano, e capace di scalzare<br />
definitivamente aristotelismo e tomismo e di rimpiazzarli nell’insegnamento<br />
(Descartes). In tutti questi tentativi permane in forme diverse,<br />
anche spesso ritorcendo contro l’aristotelismo e il tomismo la tradizione<br />
<strong>ecclesiastica</strong> e lo stesso disciplinamento e le diffidenze cattoliche verso lo<br />
studio di Aristotele, l’assunzione che l’apparente accordo fra tomismo e<br />
aristotelismo costituisca invece una fallacia e un nocumento per la fede,<br />
questa venendo invece garantita nella nuova proposta filosofica di volta<br />
in volta avanzata.<br />
4<br />
Centro e periferia<br />
In questo quadro si dovrà tuttavia avvertire un ulteriore problema di<br />
fondo: quello del rapporto tra centro e periferia del sistema inquisitoriale<br />
e censorio, e fra la stessa corte papale, gli ambienti dell’alto clero e gli<br />
uffici di quel sistema, che ripropone da altro angolo la questione della<br />
uniformitas teologica e filosofica.<br />
La normalizzazione che attraverso gli Indici e i loro aggiornamenti<br />
gli uffici cercano di porre in essere costituisce un atto di censura repressiva,<br />
che praticamente smonta e rimonta gran parte del lavoro censorio<br />
preventivo che dal 1487 il papa aveva assegnato in periferia ai vescovi, e<br />
139
I TEMI<br />
che dal periodo della Controriforma viene attribuito anche agli inquisitori<br />
locali in collaborazione con i vescovi. Tutti i libri vietati omnino o<br />
donec repurgentur dagli Indici e dalle liste integrative degli Indici sono<br />
ovviamente libri approvati in prima istanza da censori locali, che hanno<br />
agito sotto l’autorità dei vescovi e degli inquisitori. In alcuni casi sono<br />
libri pubblicati con un’approvazione bilanciata da emendazioni in calce<br />
(come la Nova de universis philosophia di Patrizi). O sono stati corretti<br />
prima della stampa dagli autori, all’esito di un’interlocuzione con i censori<br />
periferici e anche con lettori ecclesiastici non d’ufficio – gli autori che<br />
appartengono ad alcuni ordini religiosi, domenicano e gesuita, rispondono<br />
inoltre anche a una censura preventiva interna 46 ; o presentano gli effetti<br />
di riscritture autocensorie, condotte per timore di cadere nell’eterodossia<br />
(di nuovo il caso Telesio configura sia la prima che l’ultima fattispecie).<br />
Ma sono libri pur sempre approvati dalla periferia, e poi vietati al centro.<br />
In alcuni casi si tratta di libri editi con dediche a pontefici e cardinali,<br />
presso autorevoli editori, e che hanno goduto del consenso o dell’interesse<br />
presso elevati ambienti ecclesiastici. Pertanto il sistema ha elaborato – ma<br />
certo non per la sola letteratura filosofica – un secondo grado di verifica,<br />
l’Indice dei libri proibiti e la sua congregazione (1571), che non valuta<br />
solo libri pubblicati fuori del sistema censorio preventivo cattolico e che<br />
dovrebbe correggere la peraltro fisiologica incertezza di quel sistema. È<br />
demandato alla congregazione dell’Indice, ma anche allo stesso Santo<br />
Uffizio − presieduto dal papa, congregazione suprema della Chiesa che<br />
ebbe competenza esclusiva anche su materia libraria in sede centrale<br />
fino al 1571, e che spesso anche dopo quella data continuò a produrre<br />
interventi autorevoli − un supremo vaglio di ortodossia della letteratura<br />
in primo grado approvata e circolante.<br />
L’efficacia del sistema dovrebbe pertanto essere documentata non<br />
solo dalla mole e dalla qualità delle proibizioni e delle espurgazioni decise<br />
in sede centrale e dalla valutazione del loro effetto dissuasivo, ma<br />
anche dalla mole e dalla qualità dei libri che mai ottennero l’imprimatur<br />
e restarono nel cassetto degli autori, e dalle caratteristiche e dagli esiti<br />
delle tante negoziazioni svoltesi in sede locale per l’ottenimento dell’imprimatur<br />
a prezzo di emendazioni e ripuliture, note tuttavia per alcuni<br />
casi importanti (di nuovo: Telesio, Patrizi, Galileo).<br />
Questi versanti del problema richiederebbero per esempio l’interrogazione<br />
di molti casi periferici, lo studio più ampio dei sistemi di censura<br />
interni agli ordini religiosi e dell’attività censoria delle autorità locali,<br />
soprattutto nei confronti della produzione filosofica legata alle università,<br />
e della stessa didattica universitaria. Possevino, in un resoconto della<br />
sua attività espurgatoria inviato fra il 1593 e il 1596 al Maestro del Sacro<br />
Palazzo Bartolomeo de Miranda, lamentava non solo che non si fosse<br />
140
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
ancora tirato via da ogni esemplare dell’edizione giuntina di Aristotele<br />
con i commenti di Averroè un’avvertenza editoriale scandalosa per la<br />
dottrina cattolica dell’anima; ma che quell’edizione così diffusa nelle<br />
università (e capitale per lo studio dell’aristotelismo) non fosse mai stata<br />
purgata o vietata; e che ancora non si sorvegliassero le «lettioni» manoscritte<br />
dei docenti universitari, e le «empietà» che i «libri manoscritti»<br />
potevano diffondere 47 .<br />
La storia delle relazioni tra centro e periferia nel sistema censorio romano<br />
durante la Controriforma è, si sa, costellata di continue inclinazioni<br />
centrifughe e centripete, di spinte verso il decentramento (soprattutto<br />
nella espurgazione dei molti libri vietati solo donec repurgentur) e di<br />
avocazioni al centro. Il disappunto dei pontefici e dei cardinali censori<br />
verso lentezze e inefficienze degli uffici locali sono note. All’inizio del<br />
Seicento se ne fece eloquente interprete uno sconsolato memoriale di<br />
Bellarmino 48 . Il tema era la censura espurgatoria: ma l’insoddisfazione<br />
verso il sistema e la sua complessiva efficacia stava sullo sfondo di questo<br />
come di altri documenti. L’impazienza di Possevino e la delusione di<br />
Bellarmino avevano ragion d’essere?<br />
5<br />
La <strong>filosofia</strong> vista dagli Indici.<br />
Da Paolo IV a Clemente VIII<br />
Sembra mancare attenzione specifica e organica alla <strong>filosofia</strong> nei primi<br />
Indici non romani 49 ; tale mancanza pare doversi registrare anche nei primi<br />
Indici emanati dalla Santa Sede nel 1559 e nel 1564. Le regulae preposte a<br />
quest’ultimo non menzionano la <strong>filosofia</strong>. La normazione generale contempla<br />
libri di tema religioso e non, scritti da eretici; le edizioni in volgare<br />
delle Scritture, dei Padri e di autori classici ed ecclesiastici curate da<br />
protestanti; i testi di devozione, spiritualità e controversistica in volgare; le<br />
opere di magia e di astrologia. Quest’ultimo campo sembra costituire un<br />
punto di speciale vigilanza degli inquisitori, con divieto della letteratura<br />
astrologica “giudiziaria”, quando pretenda la certezza della previsione,<br />
e che esclude chiaramente dalla proibizione solo l’astrologia utile alla<br />
pratica medica, all’agricoltura e alla navigazione. Qui emerge un aspetto<br />
filosofico, considerate le relazioni fra certe tendenze naturalistiche e la<br />
tematica astrologica: non sono ammessi testi di carattere deterministico<br />
che trattino degli eventi futuri come eventi del tutto prevedibili, confliggendo<br />
con il principio del libero arbitrio 50 . Ovviamente, quando l’Indice<br />
del 1564 impegna la censura a scrutinare ed eventualmente espurgare e<br />
quindi riabilitare testi di materia non religiosa di scrittori eretici 51 , induce<br />
a considerare sotto questa categoria anche libri o commentari filosofici.<br />
141
I TEMI<br />
Un lungo elenco vergato da anonimo nel 1557-58, in preparazione<br />
dell’Indice di Paolo IV, contempla naturalisti e filosofi da vietare e comprende<br />
qualche autore condannato in passato dalla Chiesa, come Arnaldo<br />
di Villanova e Lullo, ma soprattutto autori presi in esame, a giudicare<br />
dalle sintetiche motivazioni, quasi esclusivamente per le loro simpatie<br />
eterodosse, o per la loro adesione alla Riforma, o per legami con le arti<br />
esoteriche 52 . Su questa base, sono ribaditi nell’Indice del 1564 53 i divieti<br />
per scrittori come Agrippa, Gesner, Rheticus, la cui copernicana Narratio<br />
prima viene vietata a motivo della religione dell’autore e non della sua<br />
adesione all’eliocentrismo.<br />
La teoria eliocentrica, in ragione degli sviluppi traumatici che la sua<br />
recezione in ambito cattolico denoterà in futuro, costituisce senza dubbio<br />
un primo nodo importante. Nonostante la tempestiva registrazione del<br />
tema da parte di ecclesiastici intransigenti come il teologo domenicano<br />
Giovanni Maria Tolosani e il Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo Spina<br />
54 , la compatibilità dell’eliocentrismo con l’ortodossia cattolica resta poi<br />
a lungo inosservata negli apparati censori. Ancora nel 1581 il matematico<br />
gesuita Cristoforo Clavio, pur avvertendo il contrasto del copernicanesimo<br />
con le Scritture, non rubricò quella teoria come suscettibile di eresia; e<br />
il teologo Diego Lopez de Zuñiga poté sostenere, nel commento al libro<br />
di Giobbe uscito a Toledo nel 1584, vietato dall’Indice solo nella crisi<br />
del 1616, la possibilità di accordare l’eliocentrismo con le sacre lettere.<br />
Ancora alla fine del XVI secolo, nei casi Patrizi, Stigliola e Bruno, l’accusa<br />
di seguire la teoria del moto della terra risulterà piuttosto marginale e non<br />
suffragata da unanime giudizio nel ceto inquisitoriale e censorio, stante<br />
l’assenza di una pronuncia solenne della Chiesa sul punto 55 .<br />
Lo scontro è rinviato ai primi decenni del XVII secolo 56 , al primo round<br />
del caso Galileo, sebbene con forti tracce di continuità, a quell’altezza,<br />
dell’atteggiamento rigoristico con le tendenze dell’apologetica domenicana<br />
accennatesi in materia al primo apparire della dottrina copernicana.<br />
Custodi di queste tendenze, si mobiliteranno settori dell’ordine dei predicatori,<br />
dell’aristotelismo accademico e delle curie fiorentina, pisana e<br />
romana 57 , miranti, sull’onda dell’avvertita minaccia galileiana all’esegesi<br />
tradizionale delle Scritture, rilevabile nell’intercettato insegnamento<br />
orale ed epistolare dello scienziato, oltre che alla cosmologia aristotelica<br />
messa in crisi nelle sue opere a stampa, a ottenerne la tacitazione per via<br />
giudiziaria e una pronuncia della Chiesa contro l’eliocentrismo come<br />
dottrina eretica, oltre che assurda in <strong>filosofia</strong>. Questa fu sì infine proposta<br />
dai qualificatori del Santo Uffizio, il 24 febbbraio 1616, ma come si è<br />
venuto precisando di recente, papa Paolo V non l’adottò come base di<br />
una solenne sentenza del magistero, che di là dai timori e rumori di cui<br />
è eco nell’epistolario galileiano e nell’opinione generalmente ma non<br />
142
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
uniformemente creduta al tempo, e soprattutto in seguito, in effetti mancò;<br />
bensì solo del divieto donec corrigatur del De revolutionibus orbium<br />
coelestium (che si sarebbe dovuto sgravare del suo senso “realistico”, e<br />
ricollocare in circolazione quale pura dottrina matematica, come in effetti<br />
avvenne nel 1620) e della proibizione di altre scritture filo-copernicane in<br />
senso “concordista”, emanato dalla congregazione dell’Indice, in forma<br />
che appare attenuata (la teoria eliocentrica non vi è detta eretica, ma<br />
“contraria alle Scritture”), il 5 marzo 1616 58 . Un “effetto collaterale” ma<br />
intenzionale e molto significativo del decreto dell’Indice fu per Paolo V<br />
la possibilità di esigere da Galileo di non affrontare se non come ipotesi<br />
matematica la tesi copernicana, senza coinvolgerlo in un procedimento<br />
giudiziario, per tramite di quel “monito” privato di Bellarmino circa il<br />
tenore del decreto dell’Indice (non «difendere né tenere», ovvero non<br />
sostenere come valida absolute la teoria copernicana) cui il commissario<br />
del Santo Uffizio, presente alla circostanza, probabile portavoce dei domenicani<br />
intransigenti, sovrappose tuttavia il celebre e discusso “precetto”<br />
giudiziale (non tenere, né insegnare, né difendere quovis modo la suddetta<br />
teoria), che nelle intenzioni del papa si sarebbe però dovuto infliggere solo<br />
se Galileo avesse “resistito” al monito. Se ne sarebbe creato un ambiguo<br />
intrico dottrinale e giudiziario sul quale la storiografia ancora dibatte, ma<br />
dal quale nondimeno sortiranno nel processo del 1632-33 il danno finale<br />
a Galileo e la consumazione della prima più radicale rottura fra Chiesa<br />
e scienza moderna 59 .<br />
Cade presto, al tempo dell’Indice del 1559, benché resti a lungo ricorrente<br />
sospetto sull’autore nel suo complesso, un appena documentato<br />
tentativo di vietare una delle voci filosofiche più importanti del XV secolo,<br />
Nicola Cusano 60 che già in vita aveva dovuto difendersi da accuse di<br />
eterodossia, e che infine viene condannato a fine Cinquecento solo per<br />
l’aspetto ecclesiologico. Questo comporterà per il suo neoplatonismo<br />
profondamente eversivo della sistemazione aristotelico-tomistica così<br />
tanta totale libertà di diffondersi da costituire infine una delle fonti<br />
(insieme a una certa interpretazione proprio del copernicanesimo) del<br />
maggior episodio di incompatibilità della <strong>filosofia</strong> con il cristianesimo<br />
in generale, e non solo con aristotelismo, tomismo e dottrina e prassi<br />
cattolica, la <strong>filosofia</strong> di Giordano Bruno.<br />
Nel 1564 la pubblicazione dell’Indice di Pio IV non costituisce occasione<br />
neppure per saldare i conti con l’espressione più radicale dell’aristotelismo<br />
a sfondo averroistico o alessandrista. Il De immortalitate<br />
animae di Pomponazzi, che nel 1516, pur suscitando scandalo, già aveva<br />
mancato di costituire un esempio di perfetta applicazione della Apostolici<br />
regiminis, venendo per esso adottata una soluzione in parte derogatoria 61 ,<br />
non è ripreso in considerazione. In ragione delle problematiche astrolo-<br />
143
I TEMI<br />
giche e magiche e del tema dei miracoli, è piuttosto il De incantationibus<br />
del 1520 a venir proibito negli Indici di Sisto V (1590) e di Clemente VIII<br />
(1593, 1596), all’esito di esami e divieti locali trascinatisi fin dalla seconda<br />
metà degli anni Settanta; un progetto di correzione di tutte le opere di<br />
Pomponazzi, con particolare riferimento al De fato (1520) e con evidente<br />
collegamento al soggetto della libertà umana, più volte accennato, non<br />
viene invece portato a segno 62 .<br />
La congregazione dell’Indice e il Maestro del Sacro Palazzo (con<br />
impegno della élite dell’ordine domenicano) lavorano fin dal 1571 a un<br />
complesso disegno, già avviato tra Paolo IV e Pio V (nell’ambito della<br />
produzione dell’edizione Piana di Tommaso e dei suoi commenti): la<br />
correzione sistematica, alla luce della situazione teologica ed ecclesiologica<br />
di quegli anni, e dell’istanza di uniformazione dottrinale del tomismo<br />
e della teologia cattolica nel tomismo, dell’opera di Tommaso de Vio,<br />
anch’egli attaccato in vita dalla Sorbona e da importanti controversisti<br />
cattolici, fino al postumo sospetto di eresia, anche in riferimento alla sua<br />
posizione sul problema filosofico dell’immortalità dell’anima oltre che<br />
per il suo metodo esegetico e altre posizioni teologiche e sul canone, che<br />
nell’assise tridentina si erano viste peraltro soccombere nelle personalità<br />
(Girolamo Seripando, Tommaso Sanfelice) da esse influenzate. Tuttavia<br />
il problema de Vio, autore molto importante per la trasmissione critica<br />
dell’eredità tomistica, con ricadute significative sulla stessa materia<br />
filosofica, si trascinerà a lungo e il lavoro espurgatorio avviato sui suoi<br />
testi, imponente nella durata e nella pur discontinua mobilitazione, ma<br />
molto modesto se non fallimentare nei risultati, stante anche la crisi del<br />
monopolio domenicano e la divaricazione nel giudizio sul Gaetano e nella<br />
interpretazione della tradizione tomistica fuori e dentro gli organi censori<br />
di fine Cinquecento (per esempio tra un Bellarmino, patron del Gaetano,<br />
e un Francisco Peña, suo puntuto «Gegner») 63 , non impedirà alla sua<br />
metodologia e alle sue posizioni filosofiche e teologiche di continuare a<br />
esercitare una certa influenza 64 .<br />
Quel che sembra piuttosto interessante annotare qui è che proprio nei<br />
tentativi di correzione di autori come Cusano e come de Vio, e nel primo<br />
allarme, presto rientrato, verso Copernico, sembrano manifestarsi forze<br />
intransigenti, ad epicentro domenicano, nelle quali paiono convergere<br />
l’istanza di reazione al neoplatonismo cusaniano, al particolare tomismo<br />
di de Vio e alla maggiore novità della <strong>filosofia</strong> naturale e della scienza<br />
astronomica di primo Cinquecento. Il domenicano Bartolomeo Spina si<br />
trova ad esempio al centro sia della prima sensibilità anti-copernicana,<br />
sia della polemica contro il de Vio. Ma la resa dei conti con tutte queste<br />
tendenze, apparentemente divergenti o estranee fra loro (a parte il legame<br />
tra cosmologia cusaniana e certe interpretazioni del copernicanesimo),<br />
144
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
verrà rinviata al XVII secolo, con un bilancio piuttosto complesso: sostanziale<br />
immunità per Cusano; contenimento dell’offensiva domenicana su<br />
de Vio; compromesso del 1616, con disappunto degli ambienti domenicani<br />
fiorentini che l’avevano suscitata, sulla questione copernicana, con la<br />
sua incompiuta condanna dottrinale e la sua ammissione almeno quale<br />
semplice ipotesi astronomica, stante la expurgatio del De revolutionibus<br />
assicurata nel 1620. Non sembra forse casuale che l’azione del gesuita<br />
Bellarmino si riveli decisiva sia nel ridimensionamento del caso de Vio,<br />
sia nella prima fase del caso Copernico. Ma contestualmente si verifica,<br />
sia sul naturalismo di Telesio, sia sul neoplatonismo di Patrizi, a dispetto<br />
della protezione accordata a quei filosofi (come pure a Cardano) da alte<br />
gerarchie e degli stessi pontefici regnanti, di là di iniziali moderazioni<br />
di marca gesuitica, sostanziale convergenza di diverse componenti<br />
(domenicana e gesuitica, intransigente e moderata) nella finale effettiva<br />
proibizione di quei due autori, sebbene mitigata da un donec repurgetur<br />
rilevatosi poi impraticabile.<br />
Appena un anno dopo la pubblicazione dell’Indice di Pio IV, Telesio,<br />
da quello stesso papa da poco proposto, ma con rifiuto dell’interessato,<br />
quale arcivescovo della natìa Cosenza, protetto dal segretario di Pio, e di<br />
lì a breve cardinale Tolomeo Gallio, pubblica (con revisione del domenicano<br />
Eustachio Locatelli, ma anche di altri censori ecclesiastici), presso<br />
l’editore pontificio Antonio Blado, la più importante decostruzione della<br />
fisica aristotelica del tempo, il De rerum natura iuxta propria principia,<br />
dove il filosofo avanza dottrine dei cieli e dell’anima umana incompatibili<br />
non solo con la visione aristotelica, ma anche con quella tomistica, e si<br />
appella alle Scritture per avvalorare le sue tesi 65 .<br />
Questo clima relativamente favorevole alla <strong>filosofia</strong> anti-aristotelica<br />
registra a breve sussulti. Nel 1566 l’ascesa di Pio V comporta il rilancio<br />
del Santo Uffizio, il potenziamento del Maestro del Sacro Palazzo e, dal<br />
1571, la creazione dell’apposita congregazione dell’Indice. Proprio il caso<br />
Telesio porta qualche segno, quando si ricordi che nel 1570 il filosofo citò<br />
in sua garanzia da ventilate denunce contro la seconda edizione della sua<br />
opera propizi lettori gesuiti: Alfonso Salmerón e Gaspar Fernández 66 . La<br />
seconda edizione del De rerum natura uscì tuttavia a Napoli senza problemi,<br />
e per un più di un decennio susciterà discussioni anche violente<br />
ma nessuna iniziativa della censura. Un altro radicale attacco all’aristotelismo<br />
poté liberamente essere condotto da Patrizi con le Discussiones<br />
peripateticae del 1571. Nel 1586 Telesio poté pubblicare la terza edizione<br />
completa del De rerum natura, nella quale curerà però di inserire non<br />
solo una dichiarazione di disponibilità a revocare le sue tesi ove vi si<br />
fosse ritrovato qualcosa di eterodosso, ma anche una revisione di punti<br />
sensibili della sua <strong>filosofia</strong>, mirante a renderla il più possibile conveniente<br />
145
I TEMI<br />
con la teologia cattolica e con le Scritture, sebbene mai inclinante a una<br />
conciliazione con Aristotele 67 .<br />
Del pari risalenti al principio degli anni Settanta i problemi di Girolamo<br />
Cardano e Francesco Giorgio Veneto. Nel primo caso, l’attenzione<br />
della censura repressiva è provocata dal procedimento inquisitoriale<br />
patito dall’autore, celebrato professore nell’Università di Bologna, legato<br />
a importanti cardinali (fra i quali Carlo Borromeo, Giovanni Morone e<br />
Ugo Boncompagni, dal ’72 papa Gregorio XIII), e che diverse sue opere<br />
aveva già visto però proibite in altri Indici cattolici, fra il 1570 e il ’71<br />
(situazione lenita dalla pensione che Gregorio XIII gli concede nel ’72,<br />
e dalla riabilitazione all’insegnamento intervenuta però troppo tardi,<br />
nel ’76, poco prima che il medico morisse). Nel 1572 il Santo Uffizio ha<br />
comunque vietato donec corrigantur tutte le sue opere che non siano di<br />
medicina 68 . Prese avvio una vicenda espurgatoria fra le più tormentose,<br />
che approdò alla deludente expurgatio del 1607 per solo alcune delle opere<br />
in questione. Il punto essenziale, fra i moltissimi sollevati dalla censura,<br />
sembra essere costituito dal fatto che la mente di Cardano appare fare<br />
convergenza fra tre elementi di massima sensibilià: una posizione del<br />
tutto eterodossa sull’anima umana, il determinismo astrale, una visione<br />
“naturalistica” e “politica” del fatto religioso e delle manifestazioni soprannaturali.<br />
Nel caso di Giorgio Veneto, cominciato nella seconda metà<br />
degli anni Settanta e portante al pur esso tardivo divieto donec corrigantur<br />
del De Harmonia mundi (1525) e dei In Sacram Scripturam Problemata<br />
(1536) nel 1584 (ma con divieti parziali locali negli anni precedenti), la<br />
vicenda espurgatoria è pur essa molto lenta e complessa, con analogo<br />
approdo all’Indice espurgatorio del 1607, e molto lavoro, spesso ingrato e<br />
disperante, dei censori 69 . La maggior mole dei rilievi si attesta sugli effetti<br />
dell’assimilazione che l’autore ha compiuto, nell’esegesi delle Scritture<br />
e dei dogmi, della letteratura talmudistica e cabalistica, combinata con<br />
elementi neoplatonici.<br />
Nel contesto dell’aggiornamento dell’Indice del ’64, dell’attività<br />
censoria ed espurgatoria che l’ufficio del Maestro del Sacro Palazzo e<br />
la congregazione dell’Indice svolgono tra la fine del papato Ghislieri e<br />
il regno di Gregorio XIII, lo spazio della <strong>filosofia</strong> (soprattutto nelle sue<br />
connessioni con arti mediche ed esoteriche e ragioni religiose) sembra percorso<br />
da interventi confermanti l’aspirazione degli uffici a una copertura<br />
vasta, che pur mancando di una sistematica strategia, perviene a divieti<br />
e a correzioni comunque significativi per varie opere, le cui motivazioni<br />
e i cui spesso lunghi e discontinui itinerari vanno tuttavia collocati ciascuno<br />
nel suo specifico contesto: la Magia naturalis di Giovan Battista<br />
Della Porta, sullo sfondo del processo inquisitoriale sofferto dall’autore<br />
nel 1577-78 per negromanzia 70 ; gli scritti del luterano Paracelso e del<br />
146
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
calvinista Pierre de la Ramée 71 ; il De vita coelitus comparanda di Marsilio<br />
Ficino; il De humana mente di Simone Porzio; i dialoghi di Sperone<br />
Speroni; il De incantationibus di Pomponazzi 72 ; edizioni e commenti di<br />
opere antiche curati da riformati; autori medievali quali Lullo (questione<br />
molto disputata all’interno della censura e della curia romana) e Arnaldo<br />
di Villanova, già proibiti nella tradizione 73 .<br />
Su questo sfondo ha suscitato interrogativi, stante anche la piuttosto<br />
recente pubblicazione di documenti decisivi del caso, il fatto che un<br />
testo fondamentale della modernità filosofica, gli Essais di Michel de<br />
Montaigne, trovasse blando trattamento nella censura romana del 1581,<br />
soprattutto alla luce della meno intempestiva condanna a Ginevra nel 1602<br />
da parte della censura calvinista, del divieto donec expurgetur nell’Indice<br />
spagnolo del 1640 e soprattutto della tardiva ma totale proibizione totale<br />
irrogata nel 1676 dalla congregazione dell’Indice 74 .<br />
La complessità dell’autore, la sua posizione politico-religiosa nelle<br />
guerre francesi, il suo genere e stile di scrittura, la struttura dei suoi saggi,<br />
erano certo tali da non aiutare tanto la decifrazione del personaggio,<br />
quanto quella del suo pensiero. Non aiutarono infatti la lettura della<br />
copia degli Essais, sequestrata al gentiluomo al suo arrivo a Roma, che<br />
il Maestro del Sacro Palazzo Sisto Fabri da Lucca affidò a due censori<br />
in grado di intendere il francese. Questi non sollevarono alcun punto di<br />
schietta eresia e non dedussero le vaste conseguenze della decostruzione<br />
scettica che Montaigne accennava di tutti i secolari costrutti della <strong>filosofia</strong><br />
e della teologia cristiana: teologia naturale e <strong>filosofia</strong> come preambulum<br />
fidei; anima e dimostrabilità filosofica della sua immortalità; provvidenza,<br />
fine e antropocentrismo; religione divina e cause umane; correzione giudiziaria<br />
dell’eresia e uniformitas confessionale; civiltà e barbarie; uomo e<br />
bestia; ragione, immaginazione e sensi. I censori certo elencano nelle loro<br />
parallele perizie luoghi sospetti molto più numerosi di quelli registrati<br />
dall’interessato nel racconto del caso presentato nel Journal de voyage. Il<br />
prestigio o forse anche le protezioni politiche di Montaigne, trattato con<br />
tutti gli onori durante la sua permanenza a Roma, gli spunti anti-luterani<br />
coglibili in certe sue pagine, il discutibile rilievo, a parere di Fabri, di molte<br />
delle censure mosse agli Essais indussero il Maestro solo a una benevola e<br />
ridimensionante esortazione all’autocensura secondo coscienza, nel caso<br />
l’autore avesse inteso ristampare la sua opera. Una decisione che anche<br />
nel racconto che ne fece Montaigne echeggia qualche dissenso interno<br />
agli uffici. Montaigne si limiterà peraltro a inserire, muovendo dall’edizione<br />
del 1582 degli Essais, una dichiarazione cautelativa (nel saggio I,<br />
LVI, Delle preghiere, continuamente emendata nelle edizioni successive,<br />
con meticolosa assidua riscrittura) circa il carattere non asseverativo ma<br />
incerto e dubbioso di certe sue riflessioni, di obbedienza alla Chiesa, e di<br />
147
I TEMI<br />
sottomissione alla sua censura, sul cui valore non infamante egli ricorda<br />
nel Journal di aver peraltro ricevuto una bonaria lezione proprio da Fabri;<br />
nulla sostanzialmente attenuando o correggendo sui punti intorno ai quali<br />
i revisori avevano richiamato la sua attenzione, anzi spesso “rincarando<br />
la dose” 75 . Salvo avvertire che il suo uso del termine “fortuna” era da<br />
tenersi quale traduzione letteraria classicheggiante del termine cristiano<br />
di “provvidenza”, e che le sue menzioni di letterati eretici e di Giuliano<br />
l’Apostata erano da riferirsi non alle loro idee o posizioni religiose, ma<br />
alle loro virtù poetiche o politiche e intellettuali.<br />
Mette qui conto rilevare che proprio ancora nel Delle preghiere, e<br />
con ricorso a continui riassestamenti fra i diversi stati testuali registrabili<br />
attraverso le varie edizioni e integrazioni manoscritte degli Essais, viene<br />
riproposto da Montaigne, tentando di eludere le prescrizioni ecclesiastiche,<br />
il ricorso alla “doppia verità”, al punto che egli è parso «anticipare la<br />
vicenda postuma e la tragica conclusione della vita di Giordano Bruno, ma<br />
anche punti di forza della difesa del Nolano davanti all’Inquisizione: ho<br />
parlato da filosofo, non da teologo» 76 ; benché, si deve dire, la posizione di<br />
Bruno, accusato di gravi eresie, sarà piuttosto diversa, e certo la sua linea<br />
difensiva, invocante lo “stile” averroista, fu in realtà «perdente», poiché<br />
quello “stile” era riprovato dalla Chiesa, e da lungo tempo 77 . Montaigne,<br />
su basi diverse rispetto a Bruno, anche per rapporto a una diversa idea<br />
di <strong>filosofia</strong>, riscrive in termini scettici quello “stile”. Egli rivendica il<br />
diritto a parlare «temerariamente» e in lingua di «laico» opinante, sempre<br />
«molto religioso», ma non «clericale», di qualunque materia, anche<br />
morale e spirituale, non definita dal dogma, asserendo tuttavia il rispetto<br />
più profondo per le verità insegnate dalla Chiesa, per l’uso liturgico e<br />
“professionale” delle Scritture (motivo del resto anti-protestante) e per<br />
il linguaggio e il rango specifici della teologia, e procedendo sul crinale<br />
rischioso della distinzione tra la <strong>filosofia</strong> come pratica “libera” e “umana”,<br />
poiché tanto debole e incerta, quanto inutile alla teologia, e questa come<br />
scienza sacra che della <strong>filosofia</strong> non ha bisogno. Appare degno di nota<br />
che Montaigne, contro l’impostazione scolastica, e soprattutto tomistica,<br />
si appelli incidentalmente sul punto, nella continua riscrittura di questi<br />
passaggi del Delle preghiere, alla interpretazione data da Giovanni Crisostomo<br />
di I Corinzi, 2, 6-7, dove Paolo secondo il Padre greco dice della<br />
ragione umana come di ancilla contempta dalla scienza sacra, dissolvendo i<br />
legami tra <strong>filosofia</strong> e teologia; e ad Agostino, De civitate Dei, X, 29, dove il<br />
Padre latino però non condona, ma piuttosto rimprovera ai filosofi pagani<br />
di evocare verbis indisciplinatis verità intuite e rappresentate pur nella<br />
confusione del linguaggio (e infine, a differenza dei cristiani, dai pagani<br />
non abbracciate) 78 . Nel quadro della problematicità di applicazione della<br />
Apostolici regiminis, resta il ben diverso dramma: nel caso di Bruno quella<br />
148
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
bolla fu applicata in vita e contribuì a spezzarla; in quello di Montaigne,<br />
solo post mortem 79 . L’opera di Montaigne continuò infatti a circolare a<br />
lungo liberamente e a essere presentata in ambito cattolico come suscettibile<br />
di un’interpretazione apologetica in chiave scettico-fideistica, che<br />
non attenua tuttavia la complessità della “religione di Montaigne” e del<br />
suo rapporto con la teologia cristiana, anche riformata 80 .<br />
La riforma dell’Indice riavviata nel 1587 da Sisto V dal languore in<br />
cui l’aveva lasciata nel 1584, morendo, il prefetto della congregazione<br />
Guglielmo Sirleto, è stata largamente indagata dalla storiografia nei suoi<br />
diversi aspetti, anche con riguardo alla dialettica fra moderazione (della<br />
congregazione) e finale durezza (del pontefice) che l’aveva segnata 81 .<br />
Per la <strong>filosofia</strong>, si riorganizza il lavoro espurgatorio su autori intorno<br />
ai quali, come Cardano e Giorgio Veneto, questo era già cominciato; è<br />
sempre molto vivo e consapevole l’interesse a correggere e rimettere in<br />
circolo opere di naturalisti protestanti, utili o indispensabili nei rispettivi<br />
campi disciplinari, ivi incluso il Rheticus che con Copernico sostiene il<br />
moto della terra; e si discorre di emendare autori poi giudicati inemendabili,<br />
come Erasmo e finanche i Discorsi e le Istorie di Machiavelli. Si apre<br />
il dibattito intorno alla complessa produzione politica, demonologica e<br />
filosofica di Jean Bodin, intrecciata con la questione delle guerre civili<br />
in Francia; si riprende quello non meno difficile su Lullo e intorno alla<br />
questione del Talmud, che invece investono altri scenari anche politici.<br />
Sono presenti nella pratica espurgatoria testi di tradizione neoplatonica,<br />
da Leone Ebreo ad Agostino Steuco. Tra vecchi dossiers come quelli intestati<br />
agli autori sopra ricordati, a Ramo o ad altri critici o commentatori<br />
protestanti di Platone e di Aristotele, a filosofi medievali quali Ochkam<br />
e ad aristotelici secolari come Pomponazzi e Simone Porzio, finalmente<br />
affiora anche l’attualità filosofica. Si discute e infine si fa divieto sopra<br />
l’Examen de ingenios (1575) di Juan Huarte, medico di Filippo II, per le<br />
sue concezioni dell’anima e la sua visione naturalistica 82 . E in carte della<br />
congregazione risalenti al 1587 spunta il nome di Telesio come filosofo<br />
da correggere, contro il quale Giacomo Antonio Marta pubblica in quell’anno<br />
il suo Pugnaculum Aristotelis 83 .<br />
Vittorioso sulla resistenza offerta dalla congregazione, Sisto V ha infine<br />
ricavato un nuovo Indice, indurito nelle regole e nelle liste proibitorie,<br />
che, pronto per la promulgazione nel 1590, risparmia tuttavia Telesio, il<br />
cui nome non compare fra gli autori vietati, a differenza dell’averroista<br />
Alessandro Achillini, di Porzio e Speroni, di Leone Ebreo e degli illustri<br />
sospesi donec repurgentur Giorgio Veneto, Cardano, ma anche dell’aristotelico<br />
inglese John Case e del nuovo arrivato Bodin. Ma pare sia invece<br />
l’applicazione di quella clausola limitativa al divieto al Talmud – terreno<br />
di aspri scontri in curia – a indurre il cardinale Giulio Antonio Santori,<br />
149
I TEMI<br />
in nome del Santo Uffizio, a ottenere dal successore di Sisto V, morto<br />
nell’agosto del ’90, Urbano VII, papa per poche settimane, di revocare la<br />
promulgazione già sospesa del nuovo Indice, che aveva peraltro suscitato<br />
le immediate preoccupazioni della diplomazia veneziana, interprete degli<br />
interessi della patria editoria 84 . La ripresa nel 1592, regnante Clemente VIII,<br />
della riforma della censura è stata anch’essa studiata, fino al compimento<br />
dell’Indice nuovo, che poté essere tuttavia pubblicato solo nel 1596, dopo<br />
ben due sospensioni della promulgazione disposte dal pontefice per diverse<br />
cause: una vicenda politica che si deve qui prescindere dal trattare,<br />
essendo stato fatto altrove, in generale, e anche in relazione al tema della<br />
<strong>filosofia</strong>, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi 85 .<br />
Il nuovo Indice avrebbe costituito una sorta di strozzatura delle<br />
principali tendenze filosofiche italiane di indirizzo anti-aristotelico,<br />
rappresentate appunto da quei due filosofi, fino ad allora tollerate o<br />
addirittura incoraggiate nell’ambiente ecclesiastico e, nel caso di Patrizi,<br />
finanche dallo stesso pontefice. Tali proibizioni coincisero con altri<br />
episodi inquisitoriali e censori, che avrebbero marcato con ulteriore<br />
drammaticità l’atteggiamento della Chiesa verso la <strong>filosofia</strong>: l’inizio delle<br />
vicende inquisitoriali di Tommaso Campanella e la contestuale proibizione<br />
di opere sue; la persecuzione di Nicola Antonio Stigliola (nel cui<br />
caso la <strong>filosofia</strong> in quanto tale non appare però centrale) 86 ; e soprattutto<br />
il processo e il rogo di Bruno e il divieto di tutti i suoi libri. Sì che non ci<br />
si può sottrarre all’impressione che il regno di Clemente VIII, cominciato<br />
nel segno di una certa protezione dei filosofi 87 , poi in fondo riassumibile<br />
nel singolare rapporto fra l’Aldobrandini e Patrizi, abbia nel volgere di<br />
poco tempo imboccato una via esiziale e costituito il prologo della posteriore<br />
storia del caso copernico-galileiano, anche per certa oscillazione<br />
fra intransigenza e moderazione. Nelle nuove liste proibitorie approntate<br />
dalla congregazione non compaiono filosofi già inclusi in quelle sistine<br />
(Achillini, Porzio, Speroni). Ma Bellarmino propone l’inserimento nel<br />
nuovo Indice dell’opera principale e di alcuni opuscoli di Telesio 88 ; e il<br />
caso Patrizi dimostra nel suo complesso svolgimento problematiche di<br />
vivo rilievo.<br />
Il nuovo papa Aldobrandini ha studiato nel particolare ambiente<br />
di Padova e fra le prime scelte del suo regno in campo profano compie<br />
quella di chiamare alla <strong>Sapienza</strong>, a insegnarvi <strong>filosofia</strong> “platonica”, un<br />
personaggio come Patrizi, che nel 1591 ha dato fuori a Ferrara la Nova de<br />
universis philosophia. Il libro del Patrizi è in certo senso un libro “quasi<br />
proibito” sul nascere e in parte già teoricamente “espurgato”, se si pone<br />
mente alle molte annotationes che la censura locale ha disposto fossero<br />
collocate in calce a numerose pagine dell’opera, condizione della sua<br />
pubblicabilità. Dalla dedica dell’opera all’allora regnante Gregorio XIV,<br />
150
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
e dalle ben undici ulteriori dediche ad altrettanti cardinali (fra cui Aldobrandini)<br />
che decorano le varie sezioni del sontuoso progetto, sale un<br />
disegno inquivocabile: restaurare la <strong>filosofia</strong> platonica e neoplatonica, con<br />
il suo denso corteo di “concordanze” con le più diverse fonti sapienziali<br />
pagane, come più vicina e accordabile alla Rivelazione; far sloggiare dalle<br />
scuole l’aristotelica, ritenuta profondamente incomponibile con la stessa;<br />
e tutto sulla base di un disegno apologetico, ovvero di aiutare la Chiesa<br />
nel recupero del terreno perduto in Europa con la Riforma. L’allora<br />
ancora cardinale Aldobrandini si disse entusiasta dell’opera e volle, da<br />
papa, Patrizi a Roma. Circostanza che in sé dovrebbe indurre a ritenere<br />
che nella curia romana il richiamo severo alla uniformitas tomistica non<br />
appare così consequenziale.<br />
La censura del domenicano Saragoza (avallata dal Maestro del Sacro<br />
Palazzo Bartolomeo de Miranda), sulla cui base fin dall’ottobre 1592 la<br />
congregazione decide l’inserimento di Patrizi nel nuovo Indice con la<br />
formula nisi fuerit ad auctore correcta, salvo chiederne conferma al papa 89 ,<br />
rappresenta un tipico esempio di scontro fra la sopra richiamata istanza<br />
dell’uniformitas tomistica e una tendenza del tutto contrastante. Saragoza<br />
ha respinto la Nova philosophia come per più aspetti contrastante con le<br />
Scritture, con i Padri, con la tradizione della Chiesa, poiché proponente<br />
una sorta di teologia platonica del tutto inconciliabile sia con le fonti della<br />
Rivelazione, sia con il magistero, sia con la teologia scolastica, insolentemente<br />
criticata da Patrizi; e tesi di <strong>filosofia</strong> naturale (moto della Terra,<br />
infinità dell’universo, animazione degli astri) contrastanti non solo con la<br />
scienza aristotelica, il che appare in fondo secondario, ma di nuovo con<br />
le Scritture e con la tradizione patristica e teologica, che vanno intese<br />
dal censore come dirimenti non solo per le questioni di fede e di morale,<br />
ma anche per punti naturali. Saragoza respinse infine proprio e anche in<br />
Patrizi il tentativo di proporre un’esegesi delle verità cristiane a mezzo di<br />
quelle «espressioni indisciplinate» (verbis indisciplinatis) o «temerarie»<br />
che Agostino e i buoni teologi definivano anticamera dell’eresia, e che<br />
nella riscrittura che ne aveva proposto Montaigne avrebbe dovuto costituire<br />
l’area di tolleranza della trattazione non teologico-professionale<br />
dei temi cristiani da parte dei “laici” o “filosofi”. Secondo Saragoza,<br />
Patrizi sostiene spesso tesi chiaramente eretiche, sulle quali dovrebbe<br />
pronunciare il suo ripudio, secondo la Apostolici regiminis.<br />
Già nel novembre 1592 Patrizi − che con una Apologia aveva chiesto<br />
più equanime e competente censore e invocato i Padri, la teologia negativa<br />
dello Pseudo-Dionigi e il Gaetano per dimostrare l’empietà di Aristotele<br />
e la congruenza del platonismo con le fonti cristiane e implorato di poter<br />
scrivere da filosofo intorno a cose della fede nella quali crede tuttavia<br />
secondo le formule stabilite dalla Chiesa (riedizione della “doppia ve-<br />
151
I TEMI<br />
rità”) − si dice pronto a ritrattare eventuali errori, non eresie; di queste<br />
si protesta invece del tutto innocente. Ne offre prova nelle arrendevoli<br />
Emendationes proposte alla congregazione, che in fondo accolgono parte<br />
dei rilievi di Saragoza (molto contestati nell’Apologia) e che dovrebbero<br />
costituire base dell’applicazione al suo caso dell’autoconfutazione. Nei<br />
mesi successivi, gli sforzi di Patrizi – che passano attraverso l’appoggio<br />
non negato del pontefice – si appunteranno sul tentativo di evitare che<br />
la sua opera venga menzionata nel nuovo Indice, sia pure come in via<br />
di espurgazione, che le sue emendazioni non vengano valutate di nuovo<br />
dal Maestro del Sacro Palazzo ma da altro censore. Questi dovrebbe<br />
elaborare una Admonitio al lettore da premettersi a una nuova edizione<br />
della Nova, nella quale l’autore rifonderebbe le emendazioni approntate<br />
e pubblicherebbe anche una lettera al papa, in effetti già vergata, nelle<br />
cui righe il sostanziale ribadimento del disegno platonico-apologetico<br />
originario viene accompagnato dalla consapevolezza dello scandalo che<br />
il linguaggio non scolastico adoperato potrebbe suscitare.<br />
In altri termini − dobbiamo ritenere − la soluzione proposta da Patrizi,<br />
annuente Pontifice, è che l’autore possa ottenere una sia pur molto castigata<br />
libertà di scrivere da filosofo, in linguaggio non scolastico, di temi anche<br />
teologici, oltre che filosofici. Appare significativo che questa linea trovi<br />
iniziale collaborazione, con l’avallo papale, nella Compagnia di Gesù, al<br />
cui generale Claudio Acquaviva, attaccato dai tomisti “rigidi” per le sue<br />
posizioni “liberali” sulla uniformitas dottrinale e la Ratio studiorum, la<br />
congregazione dell’Indice chiede di designare un nuovo censore della<br />
Nova. La scelta cade su un canonista più che teologo, padre Benedetto<br />
Giustiniani, la cui censura si risolve nella Admonitio desiderata da Patrizi.<br />
Un testo interessante che, per dissolvere il rischio dello scandalo del lettore,<br />
per un verso subito neutralizza il potenziale ereticale della <strong>filosofia</strong><br />
naturale di Patrizi, asserendo che le teorie avanzate o ripetute dall’autore<br />
(incluso il moto della Terra), benché avversanti la tradizione filosofica,<br />
in quanto vertenti su cose opinabili devono essere discusse dai filosofi e<br />
godono di una relativa autonomia. Contraddire Aristotele non è peccato.<br />
Ma soprattutto che l’interpretazione tradizionale delle Scritture e dei Padri<br />
in materia potrebbe essere rivista e accordata a queste, come ad altre teorie<br />
sulla natura (preannuncio di posizioni in parte galileiane, che lo stesso<br />
Giustiniani smentirà e invertirà di lì ad alcuni anni, firmando la celebre<br />
qualificazione di eresia dell’eliocentrismo del 24 febbraio 1616). Per un<br />
altro verso, circa il Patrizi che “teologizza”, Giustiniani smussa gli angoli:<br />
l’autore è un filosofo, non un teologo; il suo linguaggio è spesso oscuro<br />
e incauto, certo non scolastico; si avvale della teologia negativa, o della<br />
teologia neoplatonica o ermetica, o di fonti sospette o inquietanti, di cui<br />
spesso mutua gli ambigui termini, o ripete gli errori, ma la sua intenzione<br />
152
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
è cattolica, il lettore non si scandalizzi. Quanto all’efficacia apologetica e<br />
conversionistica di questa intenzione, essa è però virtualmente destituita:<br />
Giustiniani conclude di fatto che lo scopo dell’autore è ben lungi dall’essere<br />
conseguito, poiché se l’intento era apologetico, l’effetto è così torbido da<br />
richiedere appunto Admonitio e castigatio. Ed è il papa, ciò fatto, a chiedere<br />
a Patrizi un ulteriore impegno: compilare declarationes sui luoghi più<br />
delicati, dotandone la ristampa dell’opera; ed è ancora un gesuita, Juan<br />
Azor, a dare su di esse, infine prodotte, la sua approvazione. Solo la prima<br />
sospensione dell’Indice ormai stampato decisa dal papa nel luglio 1593 risparmia<br />
a Patrizi l’onta di esservi menzionato, seppure donec corrigatur. Ma<br />
nel contesto molto complesso delle tensioni fra congregazione e pontefice<br />
su più generali problemi, il filosofo resta impigliato e infine modestamente<br />
favorito. Invece che dar corso al progetto dell’immediata riedizione della<br />
Nova, la congregazione chiede al cardinale Francisco Toledo un parere<br />
dirimente. Gesuita, ma avversario tenace di Acquaviva, e portavoce della<br />
corona e dell’inquisizione di Spagna nelle loro polemiche contro la sua<br />
direzione della Compagnia, Toledo non è incline ad alcun “liberalismo”<br />
filosofico-teologico. Nel 1573, nei suoi commenti alla Fisica aristotelica,<br />
ha ribadito con dure espressioni la validità del quadro giuridico stabilito<br />
in materia filosofica dalla Apostolici regiminis. Sulla base del suo parere,<br />
il 2 luglio 1594 la congregazione proibisce omnino la Nova, ne congela la<br />
expurgatio e al suo cospetto sottopone il filosofo a umiliante sconfessione.<br />
Il carattere del divieto appare però di nuovo mitigato nell’Indice infine<br />
promulgato nel 1596, laddove è ripetuta la formula già adottata nel 1593:<br />
l’opera è vietata fino a quando l’autore non l’avrà espurgata sotto il controllo<br />
del Maestro del Sacro Palazzo. Ma Patrizi muore nel febbraio del<br />
1597 e nessuna expurgatio sarà più realizzata, benché per un certo tempo<br />
ancora tenuta in programma 90 . Nel documentato contesto di una rigorosa<br />
rilettura della tradizione platonica nel suo confronto con la cultura<br />
teologico-filosofica vigente 91 , Bellarmino convinceva Clemente VIII che<br />
alla fede cristiana nuoceva più Platone, che ad essa qualcuno avvertiva<br />
più vicino, di Aristotele, che ne era più distante; così come alla Chiesa<br />
recavano maggior danno i libri di altri cristiani, ma eretici, come i luterani,<br />
che quelli dei filosofi pagani 92 .<br />
Contemporaneo all’irrigidimento contro le tendenze neoplatoniche<br />
fu, durante la riforma clementina dell’Indice, quello contro il naturalismo<br />
telesiano e la sua ripresa da parte di Tommaso Campanella 93 . Questi<br />
aveva pubblicato a Napoli nel 1591 la Philosophia sensibus demonstrata,<br />
intensa apologia di Telesio 94 , con imprimatur del vicario Bruto Farneti,<br />
su revisione del teologo dell’arcivescovo Annibale Di Capua, frate Pietro<br />
Roberto. Tra l’altro, l’autore tentava di volgervi in vantaggio del nuovo naturalismo<br />
diffidenze verso l’aristotelismo maturate nella stessa tradizione<br />
153
I TEMI<br />
domenicana e tomistica, ed espresse in tempi recenti da Melchior Cano<br />
(De locis theologicis); sosteneva però la piena concordia di Telesio con le<br />
Scritture e i Padri e respingeva come empia la <strong>filosofia</strong> di Aristotele.<br />
Se per un verso la Philosophia contribuì a compromettere la posizione<br />
di Campanella nell’ordine domenicano, sì che nella sentenza con cui il<br />
Capitolo napoletano concluse, il 28 agosto 1592, il processo disciplinare<br />
per evocazione demonica, gli si ingiunse di attenersi alla dottrina tomista<br />
e di riprovare Telesio; per un altro verso cooperò forse ad avvalorare<br />
nella censura centrale la sensazione di pericolosità della <strong>filosofia</strong> telesiana.<br />
Inserito il nome di Telesio con la nota donec expurgetur nella seconda<br />
classe dei libri proibiti già nell’Indice stampato e non promulgato del<br />
1593, nonostante fra gli amici del defunto filosofo corresse voce di un<br />
intervento in suo favore del cardinale Gallio, suo protettore in vita 95 , il<br />
divieto è ribadito nell’Indice definitivo del 1596, sebbene forse qualcuno<br />
abbia cercato in extremis di rimuovere Telesio dagli elenchi finali 96 . La<br />
proibizione investe il De rerum natura iuxta propria principia e due opuscoli<br />
pubblicati postumi nel 1590 da Antonio Persio. L’espurgabilità dei libri<br />
telesiani sarebbe tuttavia apparsa molto opinabile fra i consultori 97 . Ma è<br />
certo che ancor prima del divieto ufficiale, l’apologia di Telesio costituiva<br />
motivo di sospetto verso Campanella nel cardinale Francesco Maria Del<br />
Monte e in Baccio Valori. Consapevoli del fatto che l’Indice vagliava<br />
Telesio, essi misero sull’avviso il granduca di Toscana Ferdinando I, al<br />
quale Campanella si era rivolto, lasciata Napoli, per ottenere sistemazione<br />
accademica, predisponendolo a una decisione negativa 98 .<br />
L’atteggiamento repressivo nei confronti del telesianismo, nonostante<br />
esitazioni e dissensi interni agli organi censori che i documenti lasciano<br />
divinare, risultò infine piuttosto determinato e tale da contribuire ad<br />
aggravare anche la posizione di Campanella.<br />
La questione delle opere fin lì pubblicate dal frate non fu sollevata,<br />
nella congregazione dell’Indice, che solo dopo che quegli ebbe subìto,<br />
tra la fine del 1593 e l’ottobre 1595, il suo primo processo inquisitoriale tra<br />
Padova e Roma (e nel quale gli fu chiesto conto di dottrine esposte nel<br />
manoscritto De sensu rerum sequestratogli a Bologna forse da emissari<br />
dell’Inquisizione), giacché è punto registrato, sebbene rinviato, già nei<br />
verbali della congregazione del 3 luglio 1593. La decisione di lì a breve<br />
assunta dal papa di sospendere la promulgazione dell’Indice contribuì a<br />
differire il caso. Il 7 novembre 1595 l’Indice vietò almeno la Philosophia<br />
sensibus demonstrata, forse in relazione con il processo inquisitoriale<br />
appena concluso. E all’esito del secondo processo, per eresia e superstizione,<br />
aperto nel 1597 a seguito delle accuse di Scipione Prestinace, sarà<br />
il Santo Uffizio a disporre il divieto per tutte le opere edite e gli scritti<br />
di Campanella 99 .<br />
154
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
Non dovrà essere qui rievocata la più generale problematica, ben<br />
presente in letteratura, della parziale delega “in periferia”, decisa dalla<br />
congregazione dell’Indice verso la fine del 1596, alle autorità episcopali e<br />
inquisitoriali, che dovranno avvalersi della consulenza di censori locali e<br />
di facoltà universitarie e ordini religiosi, della expurgatio dei libri vietati,<br />
entro cui un notevole rilievo (e difficoltà e lentezze) denota la espurgazione<br />
dei libri di <strong>filosofia</strong>, e fra questi dei libri di Telesio 100 . Un meccanismo<br />
che non diede grandi risultati, con relativa irritazione della congregazione<br />
romana, pressata dalle richieste di permessi di lettura da parte degli<br />
studiosi, e che nel caso della <strong>filosofia</strong> riguardò un po’ meno di sessanta<br />
titoli proibiti fino a correzione, di cui si occuparono il vescovo di Padova<br />
e gli inquisitori di Padova e di Vicenza (e più tardi anche l’inquisitore di<br />
Pisa e la curia di Napoli), con l’ausilio, a Padova, non proprio efficiente<br />
e tempestivo, delle facoltà teologica e filosofico-medica dello Studio.<br />
La maggior parte dei libri espurgandi era costituita da titoli vietati da<br />
Indici cattolici precedenti, e non solo e tanto dal clementino; spesso si<br />
trattava di libri usciti da molto tempo; e la lista spedita a Roma da Padova<br />
probabilmente entro il marzo 1598 riguardava prevalentemente edizioni<br />
aristoteliche o libri filosofici e di argomento naturalistico pubblicati in<br />
terra di Riforma o da curatori protestanti. In questo contesto, la censura<br />
firmata dal teologo scotista Guglielmo Pallantieri, da Cesare Cremonini<br />
e da altri teologi e filosofi patavini e avallata il 25 novembre 1600 dal vescovo<br />
e dall’inquisitore di Padova, condotta sui soli primi dodici capitoli<br />
del libro primo del De rerum natura, si presenta più come liquidazione<br />
dell’opera, che quale progetto espurgatorio, destinato del resto a fallire<br />
del tutto in capo ad alcuni anni 101 .<br />
La censura di Padova, che vede convergere nella demolizione di Telesio<br />
la teologia scolastica e la <strong>filosofia</strong> aristotelica “laica” del Cremonini,<br />
vale tuttavia a ben documentare le ragioni essenziali della non procedibilità<br />
di un Telesio “accomodato”. Le fonti teologiche e scritturali del<br />
disciplinamento medievale dell’aristotelismo sono addotte dai censori<br />
per dimostrare ma anche accentuare oltre il consueto una sorta di “consacrazione”<br />
cattolica della <strong>filosofia</strong> di Aristotele criticata da Telesio. La<br />
“inescusabilità” (sottolineata da Paolo e da Agostino) dei filosofi pagani<br />
che hanno intuito l’unico Dio ma non l’hanno voluto adorare è rovesciata<br />
nella “inescusabilità” di un filosofo cristiano che voglia allontanarsi<br />
da Aristotele nella spiegazione della natura, poiché quella spiegazione<br />
viene elevata, sulla base di Clemente Alessandrino, al rango di pur<br />
parziale “rivelazione” data da Dio ai greci. Laddove questi producono<br />
affermazioni contrarie a punti fondamentali della superiore Rivelazione<br />
cristiana, come la mortalità dell’anima, si invocano le decisioni conciliari<br />
(Vienne e Apostolici regiminis). Ma i filosofi pagani sono “inescusabili”<br />
155
I TEMI<br />
per aver mancato nel culto dell’unico Dio, non per aver questo sia pur<br />
imperfettamente configurato nei loro ragionamenti. Pertanto, erra Telesio<br />
quando attacca Aristotele in quanto filosofo e soprattutto maneggia<br />
erroneamente le Scritture quando si permette di adoperarle contro la<br />
cosmologia aristotelica e in favore della propria.<br />
Questo documento restituisce il livello di compenetrazione (e di<br />
forzatura) fra teologia scolastica e aristotelismo che certi apparati dimostrano,<br />
di là dei differenziati atteggiamenti che sul tema si avvertivano<br />
soprattutto in quel contesto gesuitico (ma non solo gesuitico) cui si era<br />
per esempio appigliato in vita lo stesso Telesio. Inoltre, la sferzante durezza<br />
dei censori sull’intangibilità dei sacri testi da parte di un filosofo<br />
profano e sui suoi tentativi di “concordismo” sembra preparare la linea<br />
su cui moderati e intransigenti si ritroveranno sostanzialmente uniti nel<br />
caso Copernico-Galileo del 1616 (sebbene divisi sulla operabilità di una<br />
definizione magisteriale in tema e sulla conduzione politico-giudiziaria<br />
del caso). La linea prevalsa a Padova su Telesio con la firma di Cremonini<br />
finirà d’altra parte per ispirare poco più avanti anche la persecuzione di<br />
quest’ultimo: la compenetrazione fra scolastica e aristotelismo se non<br />
consente a Telesio di attaccare Aristotele, non può permettere neppure<br />
a Cremonini di insegnarne la teoria dell’anima secondo lo stile della<br />
“doppia verità”; le prime inchieste sul professore di Padova su questo<br />
vertono e si collocano tra il 1598 e il 1604. Secondo questa stessa logica,<br />
negli stessi anni, la censura centrale, superando ambiguità e ritardi della<br />
censura locale, riduce a postuma correzione nei termini della Apostolici<br />
regiminis, sul punto dell’immortalità dell’anima, i libri di uno dei grandi<br />
maestri dell’aristotelismo padovano di indirizzo alessandrista, Jacopo<br />
Zabarella, morto nel 1589 102 .<br />
Nel complesso processo a Bruno, l’intreccio di ragioni teologiche<br />
e filosofiche (nel cui ambito i temi cosmologici cominciano tuttavia ad<br />
apparire con maggior rilievo) è come noto molto profondo, sebbene proprio<br />
nel caso del Nolano sia l’appello alla “doppia verità”, formalmente<br />
vietato dalla Apostolici regiminis, a pregiudicare la strategia difensiva<br />
dell’imputato e ad alimentarne, anche proprio sullo scabroso argomento<br />
della natura dell’anima, la finale impenitenza 103 . Il ruolo dell’irriducibile<br />
Campanella nella congiura calabrese del 1599 travolge il “filosofo”, oltre<br />
che il “profeta”, e la sentenza di carcere perpetuo per eresia del 1603<br />
prelude all’inserimento di tutte le sue opere nel decreto integrativo dell’Indice<br />
del 1596 stilato nell’agosto 1603 dal Maestro del Sacro Palazzo, in<br />
cui sono ricomprese anche tutte le opere di Bruno, per conseguenza della<br />
condanna capitale per eresia comminata all’autore nel febbraio 1600 104 .<br />
La soluzione “intra-gesuitica” del caso di Patrizi protetto dal papa<br />
(con il superamento della posizione molto dura del primo censore<br />
156
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
domenicano e il confronto fra censori della Compagnia di difforme<br />
orientamento), la liquidazione rigidamente scolastica del caso Telesio e il<br />
trattamento di Campanella e di Bruno hanno l’effetto di bloccare forme<br />
importanti di critica radicale dell’aristotelismo e del suo accordo con la<br />
teologia cristiana, che nei primi decenni del secondo Cinquecento erano<br />
state tuttavia ammesse in alcune loro formulazioni, e finanche incoraggiate<br />
anche nella società <strong>ecclesiastica</strong>, in corrispondenza di interpretazioni<br />
differenziate di quell’accordo, verificate nel seno stesso della cultura<br />
teologico-filosofica degli ordini religiosi e delle gerarchie.<br />
Il nuovo secolo si apre con un duplice monito rivolto dal “centro”<br />
alla “periferia” della Controriforma: i filosofi “novatori” si astengano dal<br />
maneggiare le Scritture e i Padri a sostegno di visioni fortemente deroganti<br />
o contrapposte rispetto al tradizionale accordo fra aristotelismo e teologia<br />
scolastica, o dal rivendicare l’indipendenza del discorso filosofico, sia<br />
pure nel formale ossequio del magistero e della teologia; gli aristotelici<br />
si attengano alle consolidate prescrizioni in merito ai luoghi della lettera<br />
aristotelica e della sua tradizione interpretativa per solito imbarazzanti<br />
la fede del cristiano. Nonostante le lentezze e i limiti del sistema censorio<br />
ed espurgatorio, Clemente VIII, il papa “protettore dei filosofi”, ha<br />
suggellato entro la fine del suo regno (1605) un sostanziale giro di vite,<br />
conseguenza tuttavia non di una strategia precisa, ma dell’intreccio fra gli<br />
schemi medievali e di primo evo moderno adattati nella Controriforma<br />
e congiunture di vasta articolazione. Su questa fase, ma con proiezione<br />
nelle vicende del secolo XVII 105 , non sarà inutile richiamare ancora il caso<br />
Montaigne: la moderazione dimostrata nel 1581 e l’intransigenza adottata<br />
nel finale divieto del 1676 verificano sì la lunga durata di quegli schemi,<br />
ma anche l’importanza dei contesti specifici e delle condizioni particolari<br />
in cui vengono fatti valere.<br />
Note<br />
1. Cfr. A. Chastel, Il sacco di Roma. 1527, Einaudi, Torino 2010 2 , p. 49.<br />
2. Cfr. I. Jostock, La censure négociée. Le contrôle du livre a Genève 1560-1625, Droz,<br />
Genève 2007, p. 14 s. Fra le altre cause di questo “ritardo” rispetto alle indagini intorno<br />
alla censura cattolica, l’autrice annovera la eterogeneità e la elevata distribuzione territoriale<br />
delle fonti documentarie, dovute al carattere “plurale” della Riforma, di contro al<br />
tono “unitario” attribuito alla storia della censura cattolica. Si dovrebbe tuttavia osservare<br />
che un sia pur minore carattere policentrico è rilevabile anche nella censura cattolica, in<br />
ragione dell’attribuzione a diversi centri di potere, ecclesiastico, universitario e secolare,<br />
delle prerogative di censura preventiva e repressiva e della emissione di Indici proibitori<br />
indipendenti; un sistema variegato sul quale la preminenza della censura romana e dei<br />
suoi Indici fu poco effettiva fuori dei territori italiani. Inoltre nello stesso sistema della<br />
censura romana, la delega a vescovi e inquisitori locali dei poteri preventivi contribuisce<br />
a connotarlo, almeno al livello della prima istanza, come tendenzialmente “pluralistico”.<br />
Ma la maggiore differenza fra censura cattolica e censura protestante (che fu preventiva<br />
157
I TEMI<br />
e repressiva, e conobbe anche la prassi espurgatoria) va ravvisata nello strumento almeno<br />
in aspirazione sistematico degli Indici proibitori, strumento peraltro apprezzato – per<br />
quanto nella sola prospettiva della riforma dei costumi e della fede cristiana rispetto alla<br />
letteratura profana “disonesta” e “superstiziosa” – , sia da esponenti della eterodossia<br />
italiana, sia da rappresentanti dell’indirizzo “spirituale” interno alla Chiesa cattolica; cfr.<br />
V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura <strong>ecclesiastica</strong> dal Rinascimento alla Controriforma,<br />
Morcelliana, Brescia 2006, p. 79 s. Per la bibliografia relativa alla censura in ambito<br />
protestante si rinvia a Jostock, La censure négociée, cit., pp. 409-24.<br />
3. Cfr. A. Rotondò, La censura <strong>ecclesiastica</strong> e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti,<br />
t. 2, Einaudi, Torino 1973, pp. 1399-492, p. 1404 s., laddove sottolinea il carattere<br />
meno organico e meno pervasivo, benché non occasionale, della censura protestante,<br />
con la conseguenza che lo «spazio del dissenso», pur fortemente ridotto, non fu mai del<br />
tutto eradicato. A differenza della Chiesa cattolica, le confessioni riformate non spensero<br />
«tutti i fermenti d’opposizione e di rinnovamento»; e negli Stati aderenti alla Riforma<br />
i poteri politici seppero elevare argini sicuri contro «le pretese repressive degli organi<br />
ecclesiastici». Molto attenuata la differenza tra area cattolica e area riformata nell’odierna<br />
valutazione comparativa, con proiezione cronologica fino al XVIII secolo, e tematica fino<br />
alla censura politica, offerta dalla riflessione di S. Seidel Menchi, S. Luzzi, L’Italia della<br />
Riforma, l’Italia senza Riforma, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, dir.<br />
scientifica di A. Melloni, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2011, 2 voll., vol. I,<br />
parte I, pp. 75-88, p. 84: «Per l’eterodossia esplicita non c’è spazio, come, del resto, non<br />
ce n’è nella gran parte d’Europa. Un approccio comparativo si rende in effetti necessario:<br />
la libera manifestazione del proprio pensiero è ovunque soggetta a forti limiti, imposti<br />
non solo dalla censura <strong>ecclesiastica</strong>, ma anche dalla censura di Stato, che nel Settecento, il<br />
secolo del libro trionfante, mostra una capacità di controllo superiore […]. A dispetto di<br />
miti radicati, anche in Olanda si celebra il triste rito del rogo dei libri […]». Fra gli studi<br />
italiani recenti, la censura libraria come soggetto interessante anche i Paesi protestanti<br />
è presente in U. Rozzo (a cura di), La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, Forum,<br />
Udine 1997. Un panorama problematico e bibliografico aggiornato della giustizia spirituale<br />
e della correzione giudiziaria di eterodossia e costumi anche in area protestante offre E.<br />
Brambilla, La giustizia intollerante. Inquisizione e tribunali confessionali in Europa (secoli<br />
IV-XVIII), Carocci, Roma 2006, ma senza accenni alla censura.<br />
4. Cfr. A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi,<br />
Torino 1996, p. XVI, dove, rilevate la «lunga durata e il fascino di quella linea ideale che la<br />
storiografia democratica dell’800 ha costruito da Lutero alla Rivoluzione francese», ne ha<br />
contestualmente indicato la «eclisse» nella cultura di oggi, nella quale la «triade Riforma<br />
(protestante) − Rivoluzione − Mondo moderno» appare compromessa dal fatto che è<br />
«come evaporato l’alone positivo che per secoli ha circondato l’idea di Rivoluzione come<br />
processo produttivo della modernità […]. Il risultato in termini storiografici è stato di<br />
rovesciare il rapporto tra l’Europa figlia della Riforma protestante e l’Europa cattolica:<br />
si tratti di stregoneria, di inquisizione, di casuistica, o di altre forme dell’oscurantismo<br />
un tempo attaccato dagli illuministi, oggi si tende a rovesciare il giudizio tradizionale e a<br />
rivalutare l’Europa cattolica».<br />
5. Cfr. la lettera a Elisabetta del Palatinato del 10 maggio 1647 (i teologi di Olanda vorrebbero<br />
«sottopormi ad un’inquisizione più severa di quanto non lo sia mai stata quella di<br />
Spagna, e fare di me l’avversario della loro Religione») e quella al diplomatico francese Abel<br />
Servien del 12 maggio dello stesso anno (dove Descartes auspica che il principe d’Orange<br />
e i Curatori della università di Leida «non approveranno che, dopo tanto sangue versato<br />
dai Francesi per aiutarli a cacciare da qui l’Inquisizione spagnola, un Francese, che un<br />
tempo ha anche imbracciato le armi per la stessa causa, sia oggi sottoposto all’Inquisizione<br />
dei Ministri di Olanda»); R. Descartes, Tutte le lettere 1619-1650, trad. it con testo francese,<br />
latino e olandese, a cura di G. Belgioiso, Bompiani, Milano 2009 2 , pp. 2439, 2447. Sul punto<br />
cfr. G. Rodis-Lewis, Cartesio. Una biografia, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 218 s.<br />
158
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
6. Cfr. A. Prosperi, L’arsenale degli inquisitori, inquisizione e Indice nei secoli XVI-XVII.<br />
Testi e immagini nelle raccolte casanantensi, Biblioteca Casanatense, Aistehsis, Roma 1998,<br />
pp. 6-12: p. 11 s.; e Id., I caratteri originali di una controversia secolare, in Comitato del<br />
Grande Giubileo dell’anno 2000. Commissione teologico-storica, L’Inquisizione, Atti del<br />
Simposio internazionale, a cura di A. Borromeo, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del<br />
Vaticano 2003, pp. 731-64: p. 742. Intorno alle polemiche anti-inquisitoriali cfr. ora M.<br />
Valente, Contro l’inquisizione. Il dibattito europeo secc. XVI-XVIII, Claudiana, Torino 2009.<br />
Cfr. anche A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in<br />
C. Mozzarelli (a cura di), Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica, Carocci,<br />
Roma 2003, pp. 75-137: 87-9.<br />
7. Sulla proibizione di Descartes da parte della Chiesa cattolica nel 1663 cfr. J.-R.<br />
Armogathe, V. Carraud, La première condamnation des Oeuvres de Descartes, d’après<br />
des documents inédites aux Archives du Saint-Office, in “Nouvelles de la République des<br />
Lettres”, II, 2001, pp. 103-37. Su questo divieto e sulle condanne precedentemente emanate<br />
in Olanda da autorità calviniste cfr. ora anche per ulteriore letteratura M. Priarolo,<br />
Descartes, René, in A. Prosperi (sotto la direzione di), V. Lavenia e J. Tedeschi (con la<br />
collaborazione di), Dizionario storico dell’Inquisizione, Edizioni della Normale, Pisa 2010,<br />
vol. I, pp. 469-70. Sulle inchieste e misure disciplinari intorno alla diffusione del cartesianesimo<br />
in Olanda è sempre fondamentale P. Dibon, Regards sur la Hollande au siècle<br />
d’or, Vivarium, Napoli 1990, pp. 693-757.<br />
8. Cfr. S. Nadler, L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, Einaudi,<br />
Torino 2005.<br />
9. Per i divieti di Spinoza in ambito cattolico, ma con riferimenti a quelli pronunciati<br />
in ambito protestante, cfr. E. Canone, P. Totaro, Spinoza all’Indice. Nota su un capitolo<br />
poco conosciuto della storia dello spinozismo, in “Studi filosofici”, XVI, 1993, pp. 63-87; P.<br />
Totaro La Congrégation de l’Index et la censure des oeuvres de Spinoza, in W. van Bunge,<br />
W. Klever (eds.), Disguised and Overt Spinozism around 1700, Brill, Leiden-New York-Köln<br />
1996, pp. 353-78; Ead., Documenti su Spinoza nell’Archivio del Sant’Uffizio dell’Inquisizione,<br />
in “Nouvelles de la République des Lettres”, 20, 2000, pp. 95-128; Ead., Spinoza, Baruch,<br />
in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1472 s.<br />
10. Una sintetica introduzione anche al tema della censura statale, molto vasto e molto<br />
studiato, con ampia bibliografia, è data da M. Infelise, I libri proibiti, Laterza, Roma-Bari<br />
1999. Sul contemporaneo allestimento di strutture censorie ecclesiastiche e politiche nel<br />
primo Cinquecento cfr. le osservazioni di Frajese, Nascita dell’Indice, cit., pp. 20-3, 39-41 e la<br />
letteratura ivi ricordata, e H. Wolf, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, Donzelli,<br />
Roma 2006, pp. 11-5. Sul tema dei rapporti tra potere secolare e potere ecclesiastico in<br />
merito alla censura nei Paesi protestanti, ma anche più ampiamente sulla censura politica,<br />
cfr. le indicazioni critiche e bibliografiche date dalla Jostock, La censure négociée, cit.,<br />
pp. 14-21, 409-24. Per il caso inglese si aggiunga C. S. Clegg, Censorship and the Courts of<br />
Star Chamber and High Commission in England to 1640, in “Journal of Modern European<br />
History”, 3, 2005, pp. 50-80; ma va visto tutto il fascicolo, essendo dedicato a Censorship<br />
in the Early Modern Europe. Sull’aspetto “dottrinale” cfr. D. Quaglioni, “Conscientiam<br />
munire”: Dottrine della censura tra Cinque e Seicento, in <strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong> e cultura<br />
politica in Italia tra Cinque e Seicento, Sesta Giornata Luigi Firpo, Atti del Convegno, 5<br />
marzo 1999, a cura di C. Stango, Olschki, Firenze 2001, pp. 37-54, volume tutto da tener<br />
presente. Fra i contributi più recenti che riguardino anche la censura secolare e sul lungo<br />
periodo cfr. La censure en France sous l’ancien régime, Atti della giornata di studio tenuta<br />
in Sorbona il 19 gennaio 2008, in “Papers on French Seventeenth Century Literature”,<br />
vol. XXXVI, 71, 2009, pp. 323-503, a cura di M. Bernard e M. Levesque.<br />
11. Quaglioni, “Conscientiam munire”, cit. Intorno alla posizione di Bodin sulla libertà<br />
religiosa cfr. anche per ulteriore letteratura A. Suggi, Sovranità e armonia. La tolleranza<br />
religiosa nel Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />
Roma 2005.<br />
159
I TEMI<br />
12. Cfr. P. Sarpi, Sopra l’ufficio dell’inquisizione (18 novembre 1613), in Id., Scritti giurisdizionalistici,<br />
a cura di G. Gambarin, Laterza, Bari 1958, p. 203 s. Ma cfr. ivi anche Del<br />
vietare la stampa di libri perniciosi al buon governo (17 agosto 1615), pp. 213-20. Cfr. sul punto<br />
A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in Mozzarelli<br />
(a cura di), Identità italiana e cattolicesimo, cit., pp. 89-93, e più ampiamente V. Frajese,<br />
Sarpi scettico. Stato e Chiesa a Venezia tra Cinque e Seicento, Il Mulino, Bologna 1994.<br />
13. Cfr., anche per ulteriore letteratura, S. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo<br />
scenario della Controriforma, Salerno Editrice, Roma 2008, cap. I; Id., Davanti al Santo<br />
Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. I-V; Id., La censura filosofica dei testi filosofici.<br />
Centro e periferia, in S. Ferretto, P. Gori, M. Rinaldi, (a cura di), con la supervisione di<br />
A. Olivieri, Libertas philosophandi in naturalibus. Libertà di ricerca e criteri di regolamentazione<br />
istituzionale tra ’500 e ’700, Clueb, Padova 2011, pp. 191-215. Sulla censura in<br />
ambito universitario e filosofico durante il Medioevo, cfr., dedicati all’osservatorio tanto<br />
significativo della Parigi del XIII e XIV secolo, i lavori di L. Bianchi, Censure et liberté<br />
intellectuelle à l’Université de Paris (XIII e -XIV e siècles), Les Belles Lettres, Paris 1999, e Id.,<br />
Pour une histore de la double vérité, Vrin, Paris 2008, e la letteratura ivi citata. Per gli evidenti<br />
nessi fra ambito filosofico e ambito scientifico-naturalistico, e la censura nel primo<br />
ambito come “preistoria”, e non solo, della censura nel secondo ambito in età moderna,<br />
cfr. ora la trattazione offerta da M. P. Donato, Scienza della natura, in Dizionario storico<br />
dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1394-8.<br />
14. Cfr. Descartes, Opere 1637-1649, a cura di G. Belgioioso, cit., pp. 681-3.<br />
15. Cfr. Gilles de Rome, Errores philosophorum, testo critico, introduzione e note di<br />
J. A. Koch, trad. inglese e note di J. O. Rield, Marquette University Press, Milwaukee<br />
1984. Cfr. la letteratura cit. in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit.,<br />
p. 33 nota e s.<br />
16. Cfr. E. Tempier, La condamnation parisienne de 1277, testo latino, introduzione<br />
e commento a cura di D. Piché, con la collaboraz. di C. Lafleur, Vrin, Paris 1999, e la<br />
bibliografia cit. in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. 29.<br />
17. Cfr. Directorium inquisitorum F. Nicolai Eymerici ordinis praed. Cum commentariis<br />
Francisci Pegñae, In Aedibus populi romani, Apud Georgium Ferrarium, Romae 1587,<br />
pp. 238-41.<br />
18. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., pp. 62-5, e Fratris<br />
Alfonsi A Castro, Zamarensis, […] De iuxta haereticorum punitione libri tres, nunc recens<br />
accurate recogniti, ad signum Spei, Venetiis 1569, p. 13 b.<br />
19. Oltre che nella Edizione nazionale delle opere di Galileo, nelle diverse edizioni<br />
degli atti del processo a Galileo e spesso nella letteratura su Galileo, questa dichiarazione<br />
si può utilmente rileggere, con gli altri importanti documenti relativi a quel momento, in<br />
appendice a G. Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni<br />
scientifiche, a cura di F. Motta, Introduzione di M. Pesce, Marietti, Genova 2000,<br />
pp. 167 s.<br />
20. Sulla Apostolici regiminis, il testo, il contesto e le ragioni per cui venne formulata e<br />
la sua “fortuna” cfr. G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Welter,<br />
Paris 1902, vol. XXXII, coll. 841-3; F. Gilbert, Cristianesimo, umanesimo e la bolla «Apostolici<br />
regiminis» del 1513, in “Rivista storica italiana”, LXXXIX, 1967, pp. 976-90; J. Monfasani, Aristotelians,<br />
Platonists and the Missing Ockhamists: Philosophical Liberty in Pre-Reformation<br />
Italy, in “Renaissance Quarterly”, 46, 1993, pp. 247-76; E. A. Constant, A Reinterpretation<br />
of the Fifth Lateran Council Decree Apostolici regiminis, in “The Journal of Early Modern<br />
Studies”, XXXIII, 2002, pp. 353-79; F. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine<br />
aux 16 e -17 e siècles. Un essai d’interpretation, in “Historia philosophica”, 3, 2005, pp. 67-96;<br />
<strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., cap. I; Bianchi, Pour une histoire de la “double vérité”,<br />
cit., cap. IV; <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, pp. 55-9.<br />
21. Cfr. su questi punti Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine,<br />
cit., pp. 67 s., 76 s.<br />
160
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
22. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte I, cap. I; parte III, cap. II.<br />
23. «Praeterea ad coercenda petulantia ingenia decernit, ut nemo, suae prudentiae<br />
innixus, in rebus fidei et morum ad aedificationem doctrinae Christianae pertinentium,<br />
sacram scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit et tenet<br />
sancta mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturarum<br />
sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum Patrum ipsam scripturam sacram<br />
intepretari audeat, etiamsi huiusmodi interpretationes nullo unquam tempore in lucem<br />
edendae forent»; Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, cit., t. XXXIII,<br />
col. 23.<br />
24. Cfr. la lezione epistolare impartita sul punto da Bellarmino al padre Paolo Antonio<br />
Foscarini, in termini schiettamente tomistici, nella lettera del 12 aprile 1615, cui rinvio nella<br />
forma e nel commento datone in appendice a Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso<br />
della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., pp. 155-61.<br />
25. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio, Filosofi sotto processo, cit., pp. 66-8. Resta fondamentale<br />
sul tema B. Neveu, L’erreur et son juge, Remarques sur les censures doctrinales<br />
à l’époque moderne, Bibliopolis, Napoli 1993; Id., Y a-t-il une hérésie inquisitoriale?, in<br />
Comitato del Grande Giubileo dell’anno 2000. Commissione teologico-storica, L’Inquisizione,<br />
cit., pp. 469-91, è da vedere non solo per ulteriore letteratura ma per la messa a<br />
fuoco del problema di una estensione-articolazione della categoria di eresia nel concreto<br />
lavoro inquisitoriale.<br />
26. Cfr. il testo in Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives<br />
of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index, U. Baldini General Editor,<br />
vol. I, Sixteenth-Century Documents, ed. by U. Baldini, L. Spruit, Libreria Editrice Vaticana,<br />
Roma 2009, t. I, pp. 150-2, dove si fissa la graduazione di livelli di illiceità delle dottrine aventi<br />
l’eresia come massimo livello di una complessa scala: una propositio può essere censurata o<br />
vietata se impertinens, blasphema, impia, injuriosa, schismatica, temeraria, scandalosa, piarum<br />
aurium offensiva, male sonans, sapiens haeresim, erronea, haeretica. L’autore dello schema<br />
scrive di derivarlo dalle condanne di John Wycliff e Jan Hus al Concilio di Costanza e<br />
dalle bolle di Pio V e Gregorio XIII contro le posizioni in materia di grazia e giustificazione<br />
tenute da Michel De Bay; ma è in gran parte presente con variazioni nella discussione<br />
teologica intorno al concetto di eresia e nella manualistica inquisitoriale.<br />
27. Cfr. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., p. 78.<br />
28. Cfr. su questo le indicazioni fornite supra a nota 25.<br />
29. Cfr. sulla bolla Fidei catholicae tenenda di Clemente V il testo in G. D. Mansi,<br />
Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio, t. XXV, apud Antonium Zattam, Venetiis<br />
1782, coll. 367-426, in particolare col. 411, e le osservazioni date in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo<br />
Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. 43.<br />
30. Cfr. su questa materia la ben chiara e utile introduzione di F. Buzzi, Il Concilio<br />
di Trento (1545-1563). Breve introduzione ad alcuni temi teologici, Glossa, Milano 1995, in<br />
particolare le pp. 78-82, 92, 103-9, 148 s. Intorno al panorama teologico fra Quattro e Cinquecento<br />
e nell’età tridentina cfr., anche per la nutrita letteratura in merito, ancora una<br />
ottima sintesi di F. Buzzi, Teologia e cultura cristiana tra XV e XVI secolo, Marietti, Genova<br />
2000, in partic. il cap. I. Per il quadro conciliare dei dibattiti e delle tendenze teologiche<br />
resta fondamentale H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Morcelliana, Brescia 1973-81, 4<br />
voll.; cfr. Storia della Chiesa, dir. da H. Jedin, vol. VI, Riforma e Controriforma, Jaca Book,<br />
Milano 1975 2 ; ma cfr., anche per un aggiornamento storiografico e bibliografico, A. Prosperi,<br />
Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Einaudi, Torino 2001.<br />
31. Cfr. Bianchi, Censure et liberté intellectuelle à l’Université de Paris, cit., p. 269 s., e<br />
Neveu, L’erreur et son juge, cit., pp. 98 s., 104. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi<br />
sotto processo, cit., p. 45 s.<br />
32. Cfr. Monfasani, Aristotelians, Platonists and the Missing Ockhamists, cit., p. 269<br />
s.; Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., pp. 73-5.<br />
33. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 82 s.<br />
161
I TEMI<br />
34. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis (1558-1601),<br />
cit., pp. 45 s., 53. La problematica “centralità” teologica di Roma – dovuta pure alla minore<br />
fecondità degli studia regolari e delle università italiane in fatto di teologia, e che<br />
fa contrasto con la centralità su altri piani del papato romano –, cui il ricorso al sistema<br />
dei collegi romani per le nazioni e per gli ordini intendeva porre rimedio, e la pluralità<br />
di orientamenti teologici resistente negli stessi ordini, spesso deplorata da personalità<br />
richiamantesi a un tomismo rigido, furono tali che finanche gli Stati (fu il caso della corona<br />
spagnola, delle sue università e della sua inquisizione, con ruolo protagonistico sia nella<br />
disputa sulla grazia, che su quella della Immacolata Concezione), poterono farvi il loro<br />
diretto investimento politico, sposando posizioni ed esercitando pressioni. Cfr. P. Broggio,<br />
La teologia e la politica. Controversie dottrinali, curia romana e Monarchia spagnola tra<br />
Cinque e Seicento, Olschki, Firenze 2009.<br />
35. Intorno al tono pragmatico e didattico del persistente richiamo dei gesuiti al tomismo,<br />
le prudenti aperture a novità e la dialettica fra tomismo e scotismo nella Compagnia<br />
cfr. R. Ariew, Descartes and the Jesuits: Doubt, Novelty, and the Eucharist, in M. Feingold<br />
(ed.), Jesuit Science and the Republic of Letters, The MIT Press, Cambridge (Mass.)-London<br />
2003, pp. 157-94. Per il dibattito intorno alla uniformitas et soliditas dottrinali e alla Ratio<br />
studiorum cfr. le osservazioni e la bibliografia cit. in S. Pavone, I gesuiti dalle origini alla<br />
soppressione, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 57-9, 145; e in Broggio, La teologia e la politica,<br />
cit., pp. 27-38, 48-50.<br />
36. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />
239-46.<br />
37. Cfr. R. Nanni, Per lo studio dei teologi di Galilei: le “regulae” del commentario “in<br />
Genesim” di Benito Pereira, in I primi Lincei e il Sant’Uffizio: questioni di scienza e di fede,<br />
Atti del convegno di Roma, 12-13 giugno 2003, Bardi editore, Roma 2005, pp. 422-6.<br />
38. Tema che ha generato vasti studi. Per la scolastica dei gesuiti cfr. almeno P. Di Vona,<br />
Studi sulla scolastica della Controriforma. L’esistenza e la sua distinzione metafisica dall’essenza,<br />
La Nuova Italia, Firenze 1968; nella recente edizione italiana con testo latino a fronte<br />
delle Disputazioni metafisiche di Suárez, a cura di C. Esposito, Bompiani, Milano 2007, si<br />
danno ricca bibliografia (pp. 711-44) e una densa storia della critica (pp. 747-853).<br />
39. Cfr. M. J. Gorman, Molinist Theology and Natural Knowledge in the Society of<br />
Jesus 1580-1610, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), Atti del convegno<br />
di Roma, 12-14 dicembre 1996, École française de Rome, Roma 1999, pp. 235-54.<br />
40. Sulla cultura scientifica dei gesuiti e la sua fortuna storiografica cfr. le osservazioni<br />
e indicazioni bibliografiche di Romano, La science moderne, ses enjeux, ses pratiques,<br />
cit., p. 20 e n., e almeno i seguenti lavori: U. Baldini, Legem impone subactis. Studi su<br />
<strong>filosofia</strong> e scienza dei gesuiti in Italia. 1540-1632, Bulzoni, Roma 1992; R. Gatto, Tra scienza<br />
e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (1552-1670 ca.), Olschki,<br />
Firenze 1994; Christoph Clavius e l’attività scientifica dei gesuiti nell’età di Galileo,<br />
Atti del convegno di Chieti, 28-30 aprile 1993, a cura di U. Baldini, Bulzoni, Roma 1995;<br />
A. Romano, La Contre-Réforme mathématique: constitution et diffusion d’une culture<br />
mathématique jésuite à la Renaissance (1540-1640), École française de Rome, Roma 1999; R.<br />
Gatto, Matematica e ortodossia nel tardo ’500. L’esempio dei gesuiti napoletani, in Sciences<br />
et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), cit., pp. 281-93; U. Baldini, Saggi sulla cultura<br />
della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Cluep, Padova 2001, capp. I e II; Feingold (ed.),<br />
Jesuit Science and the Republic of Letters, cit.<br />
41. Cfr., anche per ulteriore bibliografia, M. Lerner, Tycho Brahe Censured, in J.<br />
Robert et alii (eds.), Tycho Brahe and Prague. Crossroads of European Science, Harri Deutsch,<br />
Frankfurt a. M. 2002, pp. 95-101, e A. Damanti, Brahe, Tycho, in Dizionario storico<br />
dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. 219 s., dove si ricorda come l’opposizione a Brahe, anche a<br />
motivo del suo calvinismo, tra gli scienziati gesuiti e nella Chiesa, cominciò a dissolversi<br />
dopo il 1616, poiché il suo sistema consentiva l’inclusione delle scoperte galileiane in un<br />
sistema comunque geocentrico. Adottato da alcuni gesuiti, ferma restando la espurgazione<br />
162
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
dei Progymnasmata da riferimenti a protestanti decisa nel 1620 da Bellarmino, il sistema<br />
ticonico si affermò più ampiamente all’interno della Compagnia nella seconda metà del<br />
Seicento.<br />
42. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis, cit., pp.<br />
159-67, 333 s. Del pari nello studio della stessa politica romana dei collegi e degli studia<br />
per la formazione del clero regolare, le oscillazioni organizzative e culturali tra la centralità<br />
domenicana e tomista di Pio V, il filo-gesuitismo di Gregorio XIII e l’interesse per la<br />
tradizione bonaventuriana del francescano Sisto V, pongono il problema dei riflessi che<br />
esse produssero sulla composizione interna e sugli atteggiamenti culturali del personale<br />
di consulenza dell’Indice e del Santo Uffizio; cfr. Broggio, La teologia e la politica, cit.,<br />
pp. 40-4.<br />
43. Cfr. l’analisi che ho condotto in <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />
della Controriforma, cit., pp. 62-8.<br />
44. Un’analisi più dettagliata delle posizioni di Possevino ivi, pp. 89-94, 395-406.<br />
45. Un’impresa – la definizione solenne di un complesso di errori della <strong>filosofia</strong> – che,<br />
secoli più tardi, e in altre condizioni, caratterizzate da un potente intervento magisteriale<br />
in favore della uniformitas tomistica e dalla fioritura della neoscolastica, sarebbe apparsa<br />
tuttavia impraticabile ad Agostino Gemelli, al tempo in cui il divieto delle opere di Gentile<br />
da lui sostenuto sembrava doversi accompagnare con una pronuncia contro la <strong>filosofia</strong><br />
idealistica in quanto tale. Inusitato il genere (con eccezione della enciclica Pascendi di Pio<br />
X contro il modernismo, che era stata in certa misura un “sillabo” di posizioni filosofiche<br />
“moderne”); sfuggente l’oggetto (l’idealismo) nelle sue tante filiazioni; inevitabilmente<br />
traboccante, la pronuncia, in una condanna complessiva della <strong>filosofia</strong> moderna, difficilmente<br />
configurabile. Cfr. Verucci, Idealisti all’Indice, cit., pp. 180, 256-8. Sul carattere<br />
filosofico e “sintetico” dell’eresia modernista nel punto di vista magisteriale cfr. Id.,.L’eresia<br />
del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino 2010,<br />
pp. 26-33, anche per ulteriore bibliografia.<br />
46. Cfr. sul tema le indicazioni ora date da L. Biasiori, <strong>Censura</strong> librorum, Compagnia<br />
di Gesù, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 323 s.<br />
47. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />
403 s. Cfr. ora il testo in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp. 270-3:<br />
p. 273.<br />
48. Cfr. G. Fragnito, Aspetti e problemi della censura espurgatoria, in L’Inquisizione<br />
e gli storici: un cantiere aperto, Atti della tavola rotonda nell’ambito della conferenza<br />
annuale della ricerca, Roma, 24-25 giugno 1999, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma<br />
2000, pp. 161-78: p. 161.<br />
49. Storia, struttura e composizione di questi Indici e di quelli romani, e relativa<br />
letteratura, sono restituiti nella grande impresa Index des livres interdits, dir. J. M. de Bujanda,<br />
Centre d’Études de la Renaissance, Éditions de l’Université de Sherbrooke, Droz,<br />
Genève 1985-2002, 11 voll. Per una sintesi essenziale relativa agli Indici non romani cfr.<br />
Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, pp. 775-80, 784-7, ad voces: Indice dei libri<br />
proibiti, Cinquecento; Indice dei libri proibiti, Portogallo; Indice dei libri proibiti, Spagna,<br />
a cura di J. M. de Bujanda. Cfr. sul tema <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />
della Controriforma, cit., cap. 1, par. 2.<br />
50. Cfr. la Regula IX dell’Indice del 1564 Index des livres interdits, cit., vol. VIII,<br />
Index de Rome 1557, 1559, 1564, p. 818: sono proibiti i libri «qui de futuris contingentibus<br />
successibus, fortuitisve casibus, aut iis actionibus, quae ab humana voluntate pendent,<br />
certo aliquid affirmare audent». Questo permette di vietare, o di considerare almeno con<br />
sospetto, un testo filosofico che orienti verso un deciso determinismo astrale o naturale,<br />
tema che aveva offerto materia per secoli alla riflessione filosofica e teologica ed era<br />
stato largamente dibattuto nella cultura anche <strong>ecclesiastica</strong>, ma che susciterà assidue<br />
discussioni interpretative nella censura romana. Sul trattamento cattolico dell’astrologia<br />
e sull’atteggiamento verso di essa di Indice e Inquisizione sono molto importanti i lavori<br />
163
I TEMI<br />
recenti di U. Baldini, The Roman Inquisition’s Condemnation of Astrology: Antecedents,<br />
Reasons and Consequences, in G. Fragnito (ed.), Church, Censorship and Culture in Early<br />
Modern Italy, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 79-110; ma, nel quadro<br />
generale dello studio delle scienze naturali nella censura romana, cfr. l’introduzione al<br />
capitolo Astrology, in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp. 440-69, e<br />
i documenti inquisitoriali e censori ad esso relativi (pp. 470-585), come pure il dibattito<br />
sulla interpretazione della Regula IX (pp. 155-201), e gli studi anteriori di Baldini elencati<br />
nella bibliografia che chiude, nell’opera, il t. 4, pp. 3210-2. La letteratura sull’astrologia<br />
fra Medioevo ed età moderna nei suoi diversi aspetti è immensa; ma per l’atteggiamento<br />
teologico cristiano qui implicato è molto importante il saggio di T. Gregory, Astrologia e<br />
teologia nella cultura medievale, in Id., Mundana sapientia, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />
Roma 1992, pp. 291-328.<br />
51. Cfr. la Regula II dell’Indice del 1564 Index des livres interdits, cit., vol. VIII, Index<br />
de Rome 1557, 1559, 1564, p. 813: «Qui [haereticorum libri]vero de religione non tractant,<br />
a Theologis Catholicis iussu Episcoporum, et Inquisitorum examinati, et approbati<br />
permittuntur».<br />
52. Cfr. Anonymus, Instructiones nonnulle circa libros nominatim prohibitos in S.to<br />
Indice, BAV, Vat. Lat. 6207, cc. 220r-239v, pubblicato parzialmente in Catholic Church and<br />
Modern Science, cit., vol. I, t. I, pp. 131-8.<br />
53. Cfr. sul punto <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 60 s.<br />
54. Tolosani stese nel 1546 la prima confutazione teologica cattolica, rimasta inedita<br />
al tempo suo, del De revolutionibus; Spina, in carica dal 1542 e al 1546, pare intendesse<br />
far vietare l’opera come eretica. Cfr. ora sul tema, anche per letteratura precedente, L.<br />
Guerrini, Cosmologie in lotta. Le origini del processo di Galileo, Edizioni Polistampa,<br />
Firenze 2010, cap. I e Appendice.<br />
55. Cfr. le osservazioni e le indicazioni bibliografiche di Baldini, Spruit in Catholic<br />
Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, pp. 1473-80.<br />
56. Analogamente, benché l’eliocentrismo susciti tempestive reazioni negative in<br />
Lutero, Calvino e Melantone (cfr. Th. Kuhn, La rivoluzione copernicana. L’astronomia<br />
planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale, Einaudi, Torino 1972, pp. 245-7), anche<br />
in campo riformato il sospetto non sembra registrarsi prima della fine del XVI secolo, con<br />
documento, per esempio, nella reazione provocata dall’interpretazione realistica della<br />
teoria copernicana presentata da Bruno Inghilterra, e con la dissuasione operata da un<br />
teologo riformato su Keplero, affinché non affrontasse il tema della componibilità dell’eliocentrismo<br />
con le Scritture; cfr. M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e<br />
teologia nell’Età della Controriforma, Einaudi, Torino 2003, p. 7 n.; sull’ambiente luterano<br />
di Tubinga in cui si formò Keplero e gli stimoli allo studio dei coelestia che ne poterono<br />
provenire cfr. tuttavia Ch. Methuen, The Teachers of Johannes Kepler. Theological Impulses<br />
to the Study of the Heavens, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), cit.,<br />
pp. 183-203. In ambito riformato, il favore verso una trattazione solo “tecnica” e “ipotetica”<br />
dell’astronomia copernicana, certificata dalla prefazione di Andreas Osiander al<br />
De revolutionibus a espressione di timori dello stesso ambiente di Copernico, sembrava<br />
garantire dai pericoli ereticali comportati da una sua lettura filosofica, in un contesto<br />
comunque segnato dall’adattamento melantoniano dell’aristotelismo entro una nuova<br />
cornice pur sempre religiosa e confessionale; cfr. S. Kusukawa, The natural philosophy of<br />
Melanchton and his followers, ivi, pp. 443-53, dalla quale tuttavia non sarebbero emersi<br />
divieti formali di autorità spirituali; cfr. M.-P. Lerner, L’«héresie» heliocentrique: du soupçon<br />
à la condamnation, ivi, pp. 69-91: 69-71.<br />
57. Sull’affare del 1616 e le sue radici cfr. M. Bucciantini, Contro Galileo. Alle origini<br />
dell’affaire, Olschki, Firenze 1995, e le tre recenti monografie di L. Guerrini, Galileo e<br />
la polemica anticopernicana a Firenze, Edizioni Polistampa, Firenze 2009; Galileo e gli<br />
aristotelici. Storia di una disputa, Carocci, Roma 2010; Cosmologie in lotta. Le origini del<br />
processo di Galileo, cit. Ora mi pare fondamentale il lavoro di V. Frajese, Il processo a<br />
164
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
Galilei. Il falso e la sua prova, Morcelliana, Brescia 2010. La letteratura sulla questione<br />
copernicana e il processo a Galileo è così vasta che non se ne può qui dare una sintesi.<br />
Larghi rinvii a ulteriore bibliografia sono ovviamente nei sopra menzionati contributi;<br />
ma un’agile ricognizione del caso fino al XIX secolo è data da F. Motta, Copernicanesimo,<br />
in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 408-13; da vedersi anche i relativi<br />
rimandi e le indicazioni bibliografiche fornite. Fra i contributi maggiori recenti cfr.: S. M.<br />
Pagano (a cura di), I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741), Archivio<br />
Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2009; F. Beretta, Il processo di Galileo. Due nuove<br />
edizioni di documenti, in “Rivista storica italiana”, CXXII, 2010, pp. 1199-234; G. M. Bravo,<br />
V. Ferrone (a cura di), Il processo a Galileo Galilei e la questione galileiana, Edizioni di<br />
Storia e Letteratura, Roma 2010.<br />
58. A mio avviso l’insistenza sulla differenza tra affermazione eretica e affermazione<br />
contraria alle Scritture è tuttavia opinabile, poiché nella dottrina in merito, configurata nella<br />
trattazione tomistica, il primo tipo di affermazione eretica è appunto quella che contraddica,<br />
directe o indirecte, le dichiarazioni scritturali su qualunque argomento. D’altro canto,<br />
è del pari di qualche valore che la congregazione dell’Indice abbia derivato dall’ordine<br />
del pontefice – che si fondava evidentemente sulla qualificazione del Santo Uffizio – una<br />
definizione di contrarietà alla Scrittura, piuttosto che di eresia conclamata; definizione che<br />
peraltro poteva del resto competere solo al pontefice in forma solenne e non alla congregazione<br />
in quanto tale, che aveva potere di vietare libri, non di definire eresie. Benché non<br />
faccia esplicito riferimento alla qualificazione dottrinale dei consultori del Santo Uffizio<br />
del 24 febbraio 1616, né a specifici ordini del papa, da ordine deciso da questi il 3 marzo<br />
1616 dipende il decreto emanato dall’Indice il 5 marzo, nel quale genericamente si dice<br />
della pericolosa diffusione della «falsa dottrina pitagorica» sul moto della Terra e sulla<br />
centralità del Sole, «del tutto contraria alla Sacra Scrittura». Cfr. in appendice a Galilei,<br />
Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., p.<br />
167 s. e n. Cfr. Frajese, Il processo a Galilei. Il falso e la sua prova, cit., pp. 12 s., 33 s.<br />
59. Su questo intrico e sull’assenza nel 1616 di una formale condanna come eretica<br />
della teoria di Copernico da parte di Paolo V, irrogabile ma non effettivamente irrogata<br />
sulla base della qualificazione dei consultori, e intorno alle conseguenze di questa circostanza<br />
sul prosieguo della vicenda galileiana, cfr. ora Frajese, Il processo a Galilei. Il falso<br />
e la sua prova, cit.<br />
60. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit.,<br />
pp. 131, 266, 280, 353, 355. Nel 1574 è già vietato vendere tutte le opere del cardinale nello<br />
Stato della Chiesa e nel 1576 l’autore è fra i “sospetti” (cfr. Catholic Church and Modern<br />
Science, cit., t. 1, pp. 263, 265, 294). Resta memoria al tempo di Gregorio XIII del fatto che<br />
sotto Paolo IV si sarebbe voluto vietare tutto Cusano, del quale viene proscritto nel 1579<br />
solo il De concordantia catholica, con ricezione nell’Indice di Parma del 1580. Nel 1587<br />
viene affidata al cardinale Costanzo Sarnano una non meglio specificata expurgatio delle<br />
opere di Cusano assieme a quelle del de Vio e di Gasparo Contarini. La questione della<br />
expurgatio delle sue opere sarà ripresa al tempo di Clemente VIII, ma il De concordantia,<br />
inserito donec corrigatur nell’Indice sistino, non compare nell’Indice del 1596; cfr. Index<br />
des livres interdits, cit., vol. IX, Index de Rome 1590, 1593, 1596, pp. 159, 390.<br />
61. Sul caso del De immortalitate animae nel contesto dei primi anni di vigore della<br />
Apostolici regiminis cfr., anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />
sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 47-50. Cfr. ora V. Perrone Compagni, Pomponazzi,<br />
Pietro, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1230-2.<br />
62. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 3, pp. 2277-80.<br />
63. Cfr. il lavoro condotto da Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und<br />
Contarinis, cit., soprattutto le pp. 59-74, 98-107, 159-70, 331-7. Se ne veda la estrema sintesi<br />
in Id., De Vio, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 471-3.<br />
64. Peraltro del Gaetano, che in vita era stato fra i pochissimi teologi a sollevare<br />
dubbi sul dispositivo della Apostolici regiminis, la visione sull’anima e la non dimostrabilità<br />
165
I TEMI<br />
filosofica della sua immortalità − duramente attaccata nele1519 dal domenicano Bartolomeo<br />
Spina, e nella quale un altro domenicano eccellente, Melchior Cano, aveva ravvisato<br />
i termini di una posizione «erronea» e «temeraria», «se non eretica», pur notata nelle<br />
ponderose operazioni espurgatorie − finirà per esser lasciata intatta e potrà per esempio<br />
essere adoperata da Tommaso Campanella per invocare la maggior congruità con la dottrina<br />
cristiana della sua teoria dell’anima, piuttosto che quella a base aristotelica seguita<br />
dai tomisti ma non dal de Vio. Cfr. su questi punti <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo<br />
scenario della Controriforma, cit., pp. 45-50, 68-77, 79-83.<br />
65. Sul caso Telesio cfr. ora, anche per ulteriore bibliografia, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori,<br />
filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. IV e passim; e Catholic Church and<br />
Modern Science, cit., t. 3, pp. 2415-25. Cfr. anche Telesio, Bernardino, a cura di D. Pirillo,<br />
in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1564-66.<br />
66. Cfr. sul tema <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma,<br />
cit., pp. 232-49.<br />
67. Cfr. ivi, pp. 255-8. In quello stesso 1586 il concordismo tra telesianismo e dottrina<br />
cattolica fu recato alla massima espressione dal filosofo napoletano Giulio Cortese, con i<br />
suoi Concetti cattolici ridotti in forma d’orationi, sebbene si trattasse di una posizione piuttosto<br />
precaria, revocata dal suo stesso autore nel 1595 nel De Deo et mundo sive de catholica<br />
philosophia. Cfr. L. Bolzoni, Per uno studio delle accademie napoletane di fine ’500, in “La<br />
rassegna della letteratura italiana”, 77, 1973, pp. 478-84, e P. Redondi, Fede lincea e teologia<br />
tridentina, in “Galilaeana. Journal of Galilean Studies”, I, 2004, pp. 117-41: p. 130 s.<br />
68. Sul caso Cardano, anche per bibliografia precedente, cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori,<br />
censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 140-5; Catholic Church and Modern<br />
History, cit., t. 3, pp. 1033-472 e L. Spruit, Cardano, Girolamo, in Dizionario storico<br />
dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. 271.<br />
69. Sul caso Giorgio cfr., anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori,<br />
filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 134-9; Catholic Church and Modern<br />
Science, cit., vol. I, t. 3, pp. 1738-880, e G. Bartolucci, Giorgio, Francesco, in Dizionario<br />
storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, p. 695.<br />
70. Cfr. ora Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, pp. 1507-62, per<br />
documentazione e letteratura precedente, e la sintesi in M. Valente, Della Porta, G. B., in<br />
Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 460-1.<br />
71. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 3, rispettivamente le pp.<br />
2166-96, 2285-96.<br />
72. Ivi, pp. 2277-80.<br />
73. Cfr. su questa fase, anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />
sullo scenario della Controriforma, cit., 126-59. Ma ora è preziosa l’edizione di materiali<br />
d’ufficio di quegli anni data in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp.<br />
280-307, 386-93. Intorno ai casi di Villanova e Lullo cfr. op. cit., rispettivamente vol. I, t.<br />
1, pp. 769-98, e t. 3, pp. 1983-2050.<br />
74. Sul caso Montaigne nei diversi momenti della censura romana cfr., anche per<br />
la letteratura precedente, che tuttavia (con l’eccezione di J.-R. Armogathe, V. Carraud,<br />
Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in J.-L. Quantin, J.-C. Waquet<br />
(eds.), Papes, princes et savants dans l’Europe moderne. Mélanges à la memoire de Bruno<br />
Neveu, Droz, Genève 2007, pp. 79-96) non conosceva i documenti più diretti e importanti<br />
del caso: <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., capp.<br />
II-III; Id., La censura romana e Montaigne. Con un documento relativo alla condanna del<br />
1676 edito a cura di C. Fastella, in “Bruniana & Campanelliana”, XV, 2008, pp. 59-79; Id.,<br />
Montaigne, Michel de, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, 1067-70. Le censure<br />
romane del 1581 sono state pubblicate per la prima volta da P. Godman, The Saint<br />
as a Censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Brill, Leiden-Boston-Köln<br />
2000, pp. 339-342. Vi ritorna A. Legros, Montaigne face à la censure romaine de 1581, in<br />
“Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, LXXXV, 2009, 1, pp. 7-33, che nel suo impor-<br />
166
S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
tante lavoro Montaigne. Essais I, 56. Des prières, Édition annotée des sept premiers états du<br />
texte avec étude de genèse et commentaire, Droz, Genève 2003, intestato allo studio della<br />
evoluzione della scrittura dell’autore su obbedienza alla Chiesa e rapporti tra <strong>filosofia</strong> e<br />
teologia all’esito dell’incidente del 1581, ignorava i documenti censori editi da Godman.<br />
Cfr. la dettagliata analisi che ora ne conduce, correggendo in alcuni punti Godman, e<br />
inquadrandole in un’interpretazione generale di Montaigne, N. Panichi, Montaigne,<br />
Carocci, Roma 2010, capp. 2 e 4. Per il trattamento di Montaigne nella censura calvinista<br />
cfr., anche per bibliografia ulteriore, Jostock, La censure négociée, cit., pp. 212-7, 259 s.,<br />
394. Su Montaigne nella censura ispanica cfr. O. Lopez Fanego, Quelques précisions sur<br />
Montaigne et l’Inquisition espagnole, in P. Michel (éd.), Montaigne et les Essais. 1580-1980,<br />
Champion-Slatkine, Paris-Genève 1983, pp. 368-78.<br />
75. Cfr. Panichi, Montaigne, cit., p. 50.<br />
76. Ivi, p. 55 s.<br />
77. Cfr. F. Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul processo,<br />
in “Bruniana & Campanelliana”, VII, 2001, 1, pp. 15-49: p. 35.<br />
78. Esame dettagliato dei diversi “stati” testuali del Delle preghiere è condotta in<br />
Legros, Montaigne. Essais I, 56. Des prières, cit., laddove si dimostra che l’incidente romano<br />
del 1581 non fu interpretato dall’interessato come occasione di autocorrezione, ma di<br />
precisazione di una duplice strategia: irrigidire finanche terminologicamente la formale<br />
sottomissione alla Chiesa e alla sua censura; rivendicare però all’“umanista” una libertas<br />
opinandi o philosophandi che per un lato si sottrae al disciplinamento teologico e per un<br />
altro affronta qualunque tema non definito dal magistero con disinvoltura linguistica, e<br />
con forti accenti di rigorismo etico, e di diffidenza verso i connubi tra <strong>filosofia</strong> e teologia<br />
(non distante peraltro, di là di altri cospicui motivi di deplorazione, invece, della Riforma,<br />
e di distanza da Calvino, da certi punti del riformismo calvinista, come sottolinea Panichi,<br />
Montaigne, cit., cap. 4).<br />
79. Sul divieto omnino degli Essais nel 1676, cfr. anche per ulteriore bibliografia<br />
Armogathe-Carraud, Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in Papes,<br />
princes et savants, cit.; <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma,<br />
cit., cap. III; Id., La censura romana e Montaigne, cit., pp. 59-79; Id., Montaigne, Michel de,<br />
in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, 1067-70.<br />
80. Sulla fortuna di Montaigne fino ai primi decenni del Seicento cfr. O. Millet, La<br />
première réception des Essais de Montaigne (1580-1640), Honoré Champion, Paris 1995. Ma<br />
cfr. per un orientamento generale sulla ricezione dell’autore R. Ragghianti, Introduzione a<br />
Montaigne, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 87-109. Per un orientamento tematico (e bibliografico)<br />
sul rapporto tra Montaigne, religione e teologia, anche riformata, cfr. ora Panichi,<br />
Montaigne, cit., cap. 4, e la letteratura data ivi, alle pp. 304-6. In Italia, la traduzione di<br />
Girolamo Naselli (1590) presentò al pubblico più che una ripulitura, una vera e propria<br />
mutilazione manipolante del testo, di cui finora non si è documentata la dipendenza da una<br />
expurgatio <strong>ecclesiastica</strong>, e che né però precludeva il ricorso alle non vietate edizioni francesi<br />
o in altre lingue, né avrebbe oscurato il campo editoriale, nel quale sarebbe intervenuta la<br />
nuova importante edizione italiana integrale procurata da Marco Ginammi a Venezia nel<br />
1633; ma anche la manipolazione del Naselli sarebbe stata interessata dal divieto omnino di<br />
qualunque edizione e traduzione di Montaigne del 1676. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />
sullo scenario della Controriforma, cit., p. 167 e n., 197-9, e M. de Montaigne, Discorsi morali<br />
politici e militari, ristampa della prima traduzione italiana degli Essais, nota introduttiva di<br />
E. Canone e M. Palumbo, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2009.<br />
81. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte II, capp. II e III, e parte III. Ulteriore<br />
bibliografia e la collocazione della censura ed expurgatio di opere filosofiche nel contesto<br />
della riforma sistina dell’Indice in <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />
Controriforma, cit., cap. V, parr. 1 e 2. Importante documentazione e valutazioni di carattere<br />
generale e relative a scienze e <strong>filosofia</strong> naturale e astrologia ora in Catholich Church and<br />
Modern History, cit., vol. I, t. 1.<br />
167
I TEMI<br />
82. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />
375-6 e n., 390; e Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. 1, p. 238 s.<br />
83. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />
267, e Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, p. 247.<br />
84. Per la vicenda finale dell’Indice sistino e la questione del Talmud e dell’intervento<br />
del Santo Uffizio, e i relativi precedenti e retroscena, cfr. la letteratura indicata in <strong>Ricci</strong>,<br />
Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. 282 s. n. Per il Talmud e<br />
la letteratura ebraica nella visuale della censura romana e dell’Inquisizione cfr. ora in sintesi<br />
e per bibliografia M. Perani, <strong>Censura</strong>, sequestri e roghi di libri ebraici, in Dizionario storico<br />
dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 319-22, e F. Parente, Talmud, ivi, vol. III, pp. 1557-9.<br />
85. Si rimanda del pari per questa fase istituzionale e politica molto complessa al<br />
fondamentale Frajese, Nascita dell’Indice, cit., anche per ulteriore letteratura. Per il trattamento<br />
della <strong>filosofia</strong> in questo contesto, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi, cfr.,<br />
anche per letteratura precedente, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />
Controriforma, cit., cap. V, e Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp.<br />
VI-XIII. Per i documenti dei due summenzionati casi cfr. ora Catholic Church and Modern<br />
History, cit., vol. I, t. 3, pp. 2197-2264, 2415-25.<br />
86. Sul caso Stigliola cfr. anche per letteratura precedente <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo<br />
Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI e VII, e Id., Stigliola, Nicolantonio, in Dizionario<br />
storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1483-6.<br />
87. Cfr. l’eco di questa fama di papa Aldobrandini nelle carte processuali relative a<br />
Bruno, in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Salerno Editrice,<br />
Roma 1993, p. 248.<br />
88. Cfr. Godman, The Saint as Censor, cit., p. 274; M.-P. Lerner, Vérité des philosophes<br />
et vérité des théologiens selon Tommaso Campanella o. p., in “Freiburger Zeitschrift für<br />
Philosophie und Theologie”, XLVIII, 2001, pp. 281-300: p. 281; Catholic Church and Modern<br />
Science, cit., vol. I, t. I, p. 223; ivi, vol. I, t. 3, p. 2417.<br />
89. La congregazione indicò una formula più mite rispetto alle opzioni (divieto totale,<br />
o divieto subordinato a correzione da parte di teologi autorevoli) presentate da Saragoza,<br />
offrendo all’autore la possibilità dell’autocorrezione, ovviamente soggetta a verifica.<br />
90. Cfr. Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. 1, p. 375: la espurgazione<br />
di Patrizi compare in una lista di libri da espurgare anteriore al febbraio 1597.<br />
91. Cfr. anche per ulteriori rinvii <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />
Controriforma, cit., pp. 350 s., 400.<br />
92. Sulla “spiegazione” di Bellarmino al papa cfr. L. Firpo, Filosofia italiana e Controriforma,<br />
in “Rivista di <strong>filosofia</strong>”, XLI, 1950, pp. 150-73, 390-401; XLII, 1951, pp. 30-47: p. 166;<br />
A. Rotondò, Cultura umanistica e difficoltà di censori. <strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong> e discussioni<br />
cinquecentesche sul platonismo, in Le pouvoir et la plume. Incitation, contrôle et répression<br />
dans l’Italie du XVI e siècle, Atti del convegno di Aix-en-Provence e Marsiglia, 14-16 maggio<br />
1981, Université de la Sorbonne nouvelle, Paris 1982, pp. 15-50: p. 46 n.; Id., La censura<br />
<strong>ecclesiastica</strong> e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, cit., p. 1455.<br />
93. Per i complessi, assidui problemi di Campanella prima nell’ordine domenicano, e<br />
poi per tutta la vita con censura e Inquisizione (e per la bibliografia relativa), cfr. S. <strong>Ricci</strong>,<br />
<strong>Censura</strong>, in Enciclopedia Bruniana e Campanelliana, a cura di E. Canone e G. Ernst, Fabrizio<br />
Serra Editore, Pisa-Roma 2010, pp. 198-214; nonché Id., Inquisizione, censura e <strong>filosofia</strong><br />
nella Controriforma. Il caso Campanella e alcune recenti edizioni, in “Rinascimento”, XLVII,<br />
2008, pp. 411-23; Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI, VIII, X,<br />
XII-XIII; V. Frajese, Campanella, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I,<br />
pp. 250-2. I documenti inquisitoriali e censori relativi a Campanella nel periodo 1593-1600<br />
conservati in ACDF sono ora riuniti in Catholic Church and Moderne Science, cit., vol. I, t.<br />
2, pp. 981-1032. Resta imprescindibile L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura<br />
di E. Canone, Salerno Editrice, Roma 1998.<br />
94. Qualche anno dopo, fra il 1593 e il 1595, nella prima stesura della Monarchia di<br />
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S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />
Spagna, la sostituzione dell’aristotelismo, che nega punti fondamentali della Rivelazione,<br />
con la <strong>filosofia</strong> platonica, stoica e soprattutto telesiana, in quanto conforme ai Padri della<br />
Chiesa, diventa per Campanella finanche un “consiglio” per il re di Spagna, reiterato nella<br />
più tarda versione della stessa opera. Cfr. T. Campanella, La monarchia di Spagna, prima<br />
stesura giovanile, a cura di G. Ernst, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1989,<br />
p. 37, e Id., Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, textes originaux introduits, édités<br />
et annotés par G. Ernst, Presses Universitaires de France, Paris 1997, p. 96.<br />
95. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />
379 s.<br />
96. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, p. 227; ivi, vol. I t. 3, p.<br />
2415.<br />
97. Cfr. i documenti ivi, vol. I, t. 1, pp. 275, 278, 337, 409, e t. 3, p. 2415.<br />
98. G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 21, 23, 27.<br />
99. Cfr. ora il decreto in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, p.<br />
1005.<br />
100. Cfr. anche per ulteriore bibliografia <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />
della Controriforma, cit., cap. V, par. 7. Per il funzionamento della censura espurgatoria,<br />
anche in relazione a quella di testi filosofici, cfr. ora i documenti dell’ACDF pubblicati in<br />
Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, parte I, capp. VII e VIII; parte II, cap.<br />
IV (Medicina e <strong>filosofia</strong> naturale).<br />
101. Cfr. anche per letteratura precedente <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />
della Controriforma, cit., cap. V, par. 8. Cfr. ora l’edizione del documento in Catholic<br />
Church and Modern History, cit., vol. I, t. 3, pp. 2417-25.<br />
102. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />
370-2, 404 s.<br />
103. Sul caso Bruno cfr. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, cit.; L. Spruit, Due<br />
documenti noti e due documenti sconosciuti sul processo di Bruno nell’Archivio del Santo<br />
Uffizio, in “Bruniana & Campanelliana”, IV, 1998, pp. 469-73; S. <strong>Ricci</strong>, Giordano Bruno<br />
nell’Europa del Cinquecento, Salerno, Roma 2000, capp. VII-VIII; D. Quaglioni, “Ex his quae<br />
deponet iudicetur”. L’autodifesa di Bruno, in “Bruniana & Campanelliana”, VI, 2000, pp.<br />
299-319; Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul processo, cit.;<br />
Spruit, Giordano Bruno eretico: le imputazioni del processo nel contesto storico-dottrinale,<br />
in Cosmología, teología y religíon en la obra y en nel proceso de Giordano Bruno, Atti del<br />
convegno di Barcellona, 2-4 dicembre 1999, a cura di M. A. Granada, Barcelona 2001, pp.<br />
111-29: pp. 119-22, e Id., Una rilettura del processo di Giordano Bruno: procedure e aspetti<br />
giuridico-formali, in P. Giustiniani et alii (a cura di), Giordano Bruno. Oltre il mito e le<br />
opposte passioni, Biblioteca Teologica Napolitana, Napoli 2002, pp. 217-34; cfr. anche S.<br />
<strong>Ricci</strong>, Da Santori a Bellarmino. La politica romana e il processo a Giordano Bruno, ivi, pp.<br />
235-66, e P. Giustiniani, Bellarmino e Bruno. L’immaginario religioso di un inquisitore, ivi,<br />
pp. 267-314; M. Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Mondadori, Milano 2007,<br />
cap. X, e S. <strong>Ricci</strong>, Bruno, Giordano, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp.<br />
228-32.<br />
104. Su questo decreto cfr. E. Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e<br />
Campanella, in “Bruniana & Campanelliana”, I, 1995, pp. 43-60, e J. M. de Bujanda, E.<br />
Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella. Un’analisi bibliografica,<br />
ivi, VII, 2002, pp. 451-79.<br />
105. Linee di sviluppo del problema della censura <strong>ecclesiastica</strong> verso la <strong>filosofia</strong> nel<br />
XVII e XVIII secolo affronto in La censura dei filosofi “moderni”: vecchie regole, incostanti<br />
applicazioni, variegati effetti, Atti del convegno “L’uomo moderno e la Chiesa” tenutosi a<br />
Roma presso la Pontificia Università Gregoriana, 16-19 novembre 2011, a cura di P. Gilbert<br />
s. j., G & BP, Roma 2012, pp. 99-126.<br />
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