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Saverio Ricci Censura ecclesiastica, filosofia ... - Sapienza

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<strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong>,<br />

<strong>filosofia</strong>, Controriforma<br />

di <strong>Saverio</strong> <strong>Ricci</strong><br />

1<br />

<strong>Censura</strong>, <strong>filosofia</strong> e idea dell’Italia<br />

Un’incisione di Hans Holbein per il calendario protestante di Johann<br />

Copp, anno 1527, Cristo vera luce, mostra Platone, Aristotele, gli scolastici<br />

e il papa in procinto di essere inghiottiti da un abisso, mentre i veri<br />

credenti si dirigono verso il Signore 1 : immagine che traduce la ben nota<br />

avversione di Lutero nei confronti non solo della teologia scolastica, ma<br />

della relazione stessa tra la <strong>filosofia</strong>, inutile alla salvezza, e la fede. Poco<br />

prima dell’insorgenza luterana, il papato, nella occasione riformatrice<br />

del V Concilio Lateranense, aveva pur disposto, per la prima volta nella<br />

sua storia, una legislazione universale a disciplina del rapporto tra <strong>filosofia</strong><br />

e teologia nell’insegnamento universitario, per secoli lasciato alle<br />

diverse interpretazioni delle scuole teologiche, ma segnato da occasionali<br />

pronunce di vario rango, irrogate contro dottrine particolari, o singoli<br />

filosofi erranti. Si giudicava ormai che quel rapporto, se incontrollato<br />

nella didattica, sarebbe stato foriero di pericoli per le anime. All’inizio<br />

dell’evo moderno, la Chiesa sembra avvertire nella <strong>filosofia</strong> un rischio da<br />

contrastare con nuovi strumenti; i riformati paiono intenderla come una<br />

pratica di cui la fede dovrebbe essere alleggerita (pur non rinunciando<br />

la Riforma, nell’interpretazione melantoniana, a un rapporto con la<br />

<strong>filosofia</strong>).<br />

Ingeborg Jostock, introducendo il suo volume sulla censura nella<br />

Ginevra calvinista, nella quale neppur manca qualche divieto per filosofi<br />

(Tommaso commentato dal Gaetano, un pamphlet di Bruno, e le opere<br />

fondamentali di Montaigne e di Bodin), ha sottolineato di aver lavorato<br />

su un «terrain méconnu», laddove la ricerca «n’est qu’à ses débuts». E<br />

ha ascritto tale ritardo anche alle ragioni ideologiche che «associent le<br />

protestantisme à la liberté d’expression et non à la censure». La lunga<br />

durata di una certa visione della Riforma, che assicurava continuità tra<br />

questa e la civiltà moderna e liberale, avrebbe contribuito a oscurare il<br />

Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. 1/2012


I TEMI<br />

campo problematico della censura nei Paesi protestanti 2 , peraltro non<br />

ignorato negli studi italiani su censura e inquisizione cattolica 3 ; nei quali<br />

tuttavia è apparsa piuttosto viva, da un certo momento, la consapevolezza<br />

della «eclisse» del nesso tra Riforma e modernità, e dei suoi effetti sulla<br />

correlativa interpretazione della Controriforma come frattura rispetto<br />

a questa 4 .<br />

Campo problematico – la censura protestante, anche quella esercitata<br />

verso le idee filosofiche –, già ben avvertito da chi aveva occasione di<br />

esercitare una comparazione: si vedano per esempio le due lettere in cui<br />

Descartes, che pure aveva preferito vivere, da cattolico, nell’Olanda calvinista<br />

piuttosto che in Francia, denunciava, forse anche alla ricerca di un<br />

effetto retorico sui destinatari, l’equivalenza dei metodi dell’Inquisizione<br />

cattolica e delle autorità calviniste nei confronti della libertà speculativa 5 .<br />

A non dire del dibattito intrariformato, già alla fine del Seicento, sulla<br />

inquisitio in coscientias, trionfante nel mondo cattolico, ma vista incombere<br />

pericolosamente anche negli Stati protestanti 6 .<br />

Sul caso Descartes si dovrà tornare 7 . Ma restando in Olanda, in una<br />

ricostruzione delle ragioni del cherem inflitto a Baruch Spinoza dalla<br />

comunità sefardita di Amsterdam nel 1656, prima che quegli fosse noto<br />

per i libri che non aveva ancora né scritto né pubblicato, Steven Nadler,<br />

procedendo attraverso un contesto documentario piuttosto opaco, è<br />

giunto alla conclusione che l’espulsione di Baruch dal giudaismo fosse<br />

conseguenza delle sue opinioni filosofiche sull’immortalità dell’anima 8 .<br />

L’evocazione del caso Descartes e del caso Spinoza 9 – che sembrano<br />

ridurre ad unum, nel segno del comune riferimento bibliocentrico,<br />

la negazione nei diversi ambiti cattolico, protestante ed ebraico della<br />

philosophandi libertas – segnala che la censura cattolica romana costituì<br />

una delle maggiori varianti di un fenomeno riguardante, in modi diversi,<br />

l’intera Europa.<br />

La censura libraria fu per tempo avvertita già in sede di pensiero e di<br />

prassi politica come prerogativa importante del sovrano politico. Istituti<br />

censori secolari furono approntati, accanto e sempre in competizione<br />

o in collaborazione con quelli ecclesiastici, dai sovrani, monarchi o<br />

governi repubblicani che fossero, fin dai primi decenni del XVI secolo, e<br />

durarono a lungo, e dovunque, fino a gran parte dell’età liberale, spesso<br />

coinvolgendo anche la produzione filosofica 10 . Non stupisce dunque<br />

che la Jostock esordisca nell’introduzione al suo volume sulla censura<br />

ginevrina citando – prima che luoghi di Lutero e di Calvino teorizzanti su<br />

base neotestamentaria (Atti degli apostoli, 19, 19) la necessità di bruciare<br />

libri eretici e astrologici – quel capitolo I del libro VI della République di<br />

Jean Bodin – già richiamato negli studi italiani 11 –, nel quale viene trattato<br />

il ruolo della “censura dei costumi”, che comporta in Bodin l’esame dei<br />

126


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

rapporti tra censura <strong>ecclesiastica</strong> e potere secolare. Con corrispettiva<br />

“sacralizzazione” dello stesso ambito statale. Nel pensiero di Paolo Sarpi<br />

l’importanza della censura sulla stampa – il cui esercizio il sovrano avrà<br />

cura di non lasciare al solo potere ecclesiastico – è tale che certo il regime<br />

concordatario in merito dovrà essere sempre garantito, a presidio delle<br />

prerogative della Repubblica, come del resto nel campo dell’Inquisizione;<br />

ma le stesse proibizioni di libri «sediziosi, inonesti overo famosi» emanate<br />

dal sovrano dovranno essere osservate dai sudditi non solo «per timore<br />

della pena temporale», «ma ancora per coscienzia». Visione diversa<br />

in merito sarebbe per Sarpi «falsa e perversa e contraria alla dottrina<br />

cristiana», per aver san Paolo chiaramente annunciato che l’obbedienza<br />

al principe temporale è, al pari di quella dovuta alla Chiesa nelle cose<br />

spirituali, istituita da Dio 12 .<br />

Tuttavia, indagare e discutere il lato cattolico, soprattutto controriformista<br />

del tema della censura, e il generale problema dell’Inquisizione,<br />

da cui deriva, non è cosa che in Italia possa farsi senza avvertire che si<br />

tratta di operazione particolarmente sensibile. Benché negli ultimi decenni<br />

gli studi, italiani e non solo, sembrino essersi relativamente distaccati da<br />

quelle prospettive – spesso liquidate come “ideologiche”, nel generale<br />

quanto un po’ affrettato “tramonto delle ideologie” – che fin dall’Ottocento<br />

ne hanno inquadrato le ricerche storiche, e che secondo la Jostock<br />

avrebbero ritardato la ricerca sulla censura protestante, il mai sopito<br />

rammarico per una mancata “Riforma italiana”, e reazioni polemiche<br />

avverse, continuano non poco ad accompagnare l’attenzione storiografica<br />

per il soggetto, anche nel quadro di discussioni generali sull’“identità”<br />

italiana e sui caratteri “anomali” della sua storia.<br />

Secondo una visione a lungo molto diffusa, di matrice ottocentesca ma<br />

con presupposti illuministici, essendo “mancata” all’Italia “la Riforma”,<br />

o “una riforma”, impedite dal duro contrasto dell’eresia oltremontana<br />

ma anche delle correnti “evangeliche” autoctone, Santo Uffizio e censura<br />

romana sarebbero stati fra gli strumenti principali, non esclusivi,<br />

oltre che di quel contrasto, anche di una sostanziale mortificazione del<br />

pensiero e della cultura, stroncante l’Umanesimo, e procurante fine<br />

prematura al Rinascimento e al rapporto dell’Italia con l’Europa e con<br />

l’incipiente modernità. Sarebbe compito di una storiografia liberata da<br />

condizionamenti ideologici, o almeno, di quelli del XVIII e del XIX secolo,<br />

dotata di migliori strumenti e di più ampi e meglio conosciuti materiali<br />

documentari, sottoporre a verifica questa visione, muovendo per esempio<br />

proprio dall’esame rinnovato dei modi, dei tempi, delle finalità dell’azione<br />

inibitoria che la censura romana avrebbe esercitato nei confronti della<br />

<strong>filosofia</strong> moderna.<br />

127


I TEMI<br />

2<br />

Fondamenti dottrinali e strumenti giuridici<br />

della censura cattolica verso la <strong>filosofia</strong><br />

I fondamenti dottrinali (teologico-scritturali e giuridici) dell’azione censoria<br />

verso la <strong>filosofia</strong> esercitata durante la Controriforma sono mutuati<br />

da quelli costituitisi fra XIII e XVI secolo nella persecuzione inquisitoriale<br />

dell’eresia e nella vigilanza della didattica filosofica universitaria. Non<br />

dovrò qui ripercorrerne nel dettaglio la genesi e lo sviluppo, avendone<br />

io altrove, e altri trattato, e mi limiterò a dedurne solo alcune linee di<br />

fondo, utili alla comprensione dei meccanismi censori operanti nell’età<br />

tridentina 13 .<br />

L’istanza di correzione (e inclusione) della <strong>filosofia</strong> è tanto antica<br />

quanto il cristianesimo. Essa riposa su fonti paoline e patristiche, spesso<br />

esplicitamente richiamate da censori e inquisitori nelle loro scritture. Vale<br />

qui ritornare, poiché fondante, sulla tensione originaria tra contiguità e<br />

alterità radicale di <strong>filosofia</strong> e cristianesimo, ravvisabile in Paolo.<br />

Da un lato, in Romani, 1, 18-23, sviluppando un motivo di <strong>Sapienza</strong>,<br />

13, 1-9 che risentiva del contatto fra ebraismo ed ellenismo, l’Apostolo<br />

riconosce la effettività del percorso contemplativo dai visibilia naturali<br />

alle perfezioni invisibili di Dio: i filosofi pagani sono pertanto inescusabili,<br />

poiché il loro studio della natura, che dischiude il riconoscimento<br />

speculativo dell’unico Dio, da essi attinto, non li ha tuttavia mossi al riconoscimento<br />

“pubblico” di quel Dio, ed essi son restati nell’idolatria. Con<br />

modificazioni di volta in volta anche molto significative, dai primi Padri<br />

ad Agostino, dai teologi agostiniani a Tommaso, quest’affermazione darà<br />

fondamento alla comprensione della <strong>filosofia</strong> in un orizzonte cristiano e<br />

alla costituzione di teologie naturali e di una <strong>filosofia</strong> “al servizio” della<br />

teologia rivelata; e infine a una <strong>filosofia</strong> “moderna”, fino a Descartes (che<br />

riprende il tema e le relative fonti scritturali vistosamente, nella dedica<br />

delle Meditationes ai teologi della Sorbona) 14 , che si propone davvero<br />

compatibile con il quadro della Rivelazione. D’altro canto, in Colossesi, 2,<br />

6-8, Paolo proclama diffidenza nei riguardi dei «vuoti raggiri» della «<strong>filosofia</strong>»,<br />

e in I Corinzi, 1, 17-34, 2, 6-8, l’irriducibilità della sapiente stoltezza<br />

cristiana alla falsa sapienza dei pagani, inutile all’“uomo spirituale”. Queste<br />

ultime dichiarazioni, oltre ad alimentare diffidente vigilanza in ambito<br />

cristiano, potranno fondare anche atteggiamenti scettici, o addirittura<br />

contrari, con varietà di modulazione, al ruolo “ancillare” della <strong>filosofia</strong><br />

verso la teologia, al fine di rivendicare alla prima autonomia di discorso,<br />

come nel caso di Montaigne. La dichiarazione resa in Romani potrà infine<br />

essere invocata tanto nel contesto di una sorta di benedizione cristiana<br />

del filosofo pagano per eccellenza, Aristotele, postulandosi l’innesto della<br />

128


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

teologia cristiana nella pratica filosofica, quanto, se interpretata in senso<br />

pessimistico, nell’ambito di atteggiamenti svalutativi dell’apporto della<br />

<strong>filosofia</strong> al trionfo della vera fede. Il cristiano non potrà comunque restare<br />

né prono alla <strong>filosofia</strong>, né indifferente ad essa. In Atti degli apostoli, 17,<br />

16-43, di Paolo si dice che ad Atene annuncia il Vangelo ai filosofi, e che<br />

finanche adopera il linguaggio filosofico dell’epoca per annunciare il Dio<br />

«in cui siamo e viviamo»: prologo di inclusione della <strong>filosofia</strong> pagana<br />

nella visione cristiana.<br />

Ferma riconoscendosi la lunga durata e la diversamente interpretata<br />

vigenza di questa tensione di fondo delle fonti scritturali in tema (ribadita<br />

nella tradizione patristica), attraverso i secoli precedenti la Controriforma<br />

e nella Controriforma, quanto ai dispositivi giuridici correttivi dell’attività<br />

filosofica, essi non hanno alcun legame con l’“età confessionale” e<br />

il disciplinamento tridentino, “moderno” o meno che lo si voglia dire.<br />

Essi sono gradualmente elaborati e diffusi, ma non sulla base di pronunce<br />

solenni, bensì di misure e dichiarazioni locali (diocesane, accademiche,<br />

teologiche, inquisitoriali), fra XIII e XV secolo, soprattutto nelle fasi più<br />

acute del ricorrente problema del trattamento dell’aristotelismo e della<br />

didattica filosofica secolare, e nel contrasto dell’averroismo latino e di<br />

altre interpretazioni di Aristotele imbarazzanti per la fede. Le sentenze<br />

solenni e universali della Chiesa in merito (elaborate nei diversi contesti<br />

del Concilio di Vienne del 1311-12 e del V Concilio Lateranense del 1512-17)<br />

si collocano, non per caso, piuttosto entro tentativi di riforma cattolica<br />

anteriori al Concilio di Trento. La riorganizzazione di Inquisizione e<br />

censura intervenuta nell’età della Controriforma offrì però strumenti<br />

nuovi, dettati dall’emergenza protestante e dalla diffusione della stampa;<br />

strumenti che resero almeno in aspirazione possibile e maggiormente<br />

efficace l’applicazione di quegli strumenti giuridici approntati in età<br />

precedenti.<br />

È attribuito ad Egidio Romano, allievo di Tommaso, il catalogo di<br />

Errores philosophorum (1270), circolante manoscritto edito per la prima<br />

volta a stampa nel 1482 15 , ma entrato già nel XIV secolo nella letteratura<br />

inquisitoriale. Negli stessi anni, Tommaso elaborava nella Summa theologiae<br />

una dottrina dell’eresia come errore dell’intelletto cui la volontà può<br />

aderire con maggiore o minore pertinacia (Summa theologiae, secunda<br />

secundae, qq. 10-1), procurando l’eresia vera e propria (l’errore mentale<br />

è la materia o soggetto cui la volontà deviata e pertinace conferisce la<br />

forma); dottrina che sarà del pari recepita nella tradizione inquisitoriale.<br />

Peraltro Tommaso vi integrava una distinzione tra eresia diretta ed<br />

eresia indiretta, destinata ad essere pur essa inclusa nella tradizione e<br />

nella prassi inquisitoriale e che avrebbe permesso di comprendere nella<br />

fattispecie ereticale non solo dottrine apertamente confliggenti con le<br />

129


I TEMI<br />

Scritture o con le determinazioni della Chiesa su articoli della fede, ma<br />

anche vertenti su affermazioni secondarie, la cui pericolosità sarebbe<br />

stata riconosciuta, nel tempo, dalla Chiesa stessa. Questo passaggio è<br />

importante ai fini della comprensione del disciplinamento della <strong>filosofia</strong><br />

durante la Controriforma. Per Tommaso (Summa theologiae, pars prima,<br />

q. 32, art. 4) è eresia diretta l’affermazione che contraddice articoli della<br />

fede cattolica; ma vi si aggiunge l’eresia indiretta, che contraddicendo<br />

un’affermazione secondaria provoca tuttavia una conseguenza nociva,<br />

poiché indurrebbe a pensare che le Scritture possano sostenere il falso<br />

e non essere divinamente ispirate in ogni loro linea. Questo comporta<br />

che l’interpretazione di luoghi scritturali relativi alla costituzione della<br />

natura e alla natura dell’uomo può dare occasione di eresia. Tommaso<br />

stabilisce inoltre che le scienze che recano dichiarazioni confliggenti con<br />

quelle manifestate dalla teologia o scienza sacra devono essere ritenute<br />

qualcosa di falso e pertanto condannabili (Summa theologiae, pars prima,<br />

q. 1, art. 2, 5-7; ad art. 6: non spetta alla teologia di fondare i principi delle<br />

altre scienze, «sed solum iudicare de eis, quidquid enim in aliis scientiis<br />

invenitur huius scientiae repugnans, totum condemnatur ut falsum»). Ma<br />

esclude le scienze matematiche e le scienze a queste analoghe dal rischio<br />

di eresia (Summa theologiae, Secunda secundae, q. 11, art. 2).<br />

Egidio – il cui catalogo non aveva tuttavia alcun valore giuridico<br />

– valutava errori dei filosofi per rapporto alla fede cristiana molte dottrine<br />

dei “platonici” (in realtà di Platone e di platonici, ma anche di pitagorici<br />

ed epicurei), di Aristotele, di Averroè e di altri filosofi islamici, e di Mosè<br />

Maimonide, alcune delle quali, ma anche molte altre che non vi erano<br />

segnalate, furono vietate nei decreti che il vescovo Etienne Tempier emanò<br />

negli anni 1270-77 per l’università di Parigi, presto recepiti anche in<br />

Oxford e in altre università europee 16 . Anche la decretazione di Tempier,<br />

di cui fu contestata al tempo e anche in seguito la validità giuridica oltre<br />

il territorio di competenza, conviene circa il ruolo disciplinante della teologia<br />

e dei teologi sulle subordinate attività filosofiche, mentre dispositivi<br />

confutatori obbligatori in tal senso ispirati erano già stati adottati, per i<br />

docenti di <strong>filosofia</strong>, negli Statuti della Facoltà della Arti a Parigi.<br />

Il Directorium inquisitorum di Nicolau Eymerich (1376), pubblicato<br />

a stampa al principio del Cinquecento, ma riedito più volte, a partire<br />

dal 1578, per le cure del canonista spagnolo Francisco Peña, e con una<br />

sorta di ufficioso patronato del commissario del Santo Uffizio Tommaso<br />

Zobbio e del Maestro del Sacro Palazzo Paolo Costabili, introduce, prima<br />

della storia delle eresie sorte nel cristianesimo, il catalogo egidiano 17 . Un<br />

inserimento che a giudizio di Peña sarebbe potuto apparire illegittimo<br />

sotto il profilo canonistico, poiché solo il concetto erroneo creduto da un<br />

battezzato può essere formalmente eretico; ma che poteva essere accolto,<br />

130


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

e Peña accoglieva, proprio sulla base della dottrina tomista dell’eresia<br />

come errore intellettuale confermato da una perversione della volontà.<br />

Se questa è la “forma” dell’eresia, e la “materia” è un errore mentale,<br />

se la volontà “perfeziona” l’errore della mente con un atto di scelta, se<br />

è vero che solo un battezzato può esser definito eretico, sarà altrettanto<br />

vero che anche un pensiero concepito da un filosofo pagano potrà essere<br />

rubricato come eresia, in quanto possibile matrice della scelta eretica<br />

di un cristiano. Questa definizione di eresia non ab assertoribus, sed a<br />

natura rei, ovvero non sulla base della condizione giuridica (battezzato<br />

o non battezzato) del pronunciante, ma dell’indole del pensiero dichiarato,<br />

consentiva a Eymerich di inserire a buon titolo, secondo Peña, nei<br />

cataloghi delle eresie, anche alcune teorie filosofiche antiche e islamiche<br />

repertoriate da Egidio.<br />

Questa dottrina viene recepita anche da Alfonso de Castro, nel<br />

De iusta haereticorum punitione del 1547, laddove non solo individua<br />

nell’attività filosofica e nelle dottrine dei filosofi antichi possibili matrici<br />

di eresie, ma ritaglia la categoria dello error in fide come un errore che<br />

benché non sia pura eresia, può prepararla o accompagnarsi ad essa. Se<br />

l’eresia verte su enunciati cui il cristiano dovrebbe offrire assenso oltre<br />

le sue capacità razionali, ovvero per atto di fede, l’error in fide concerne<br />

enunciati (per esempio che l’anima umana sia prodotta da Dio e non dal<br />

seme del genitore) che benché presentati dalla fede, sono dimostrabili<br />

anche per via razionale 18 . Questo abilitava a condannare o censurare<br />

una tesi filosofica, in alcuni casi, non solo come contraria alle Scritture o<br />

eretica, ma anche come “stolta” o “assurda” o “erronea” in <strong>filosofia</strong>, ossia<br />

secondo la ragione naturale. Sarà il caso, per esempio, della definizione<br />

della teoria copernicana del 24 febbraio 1616, dichiarata dai consultori<br />

del Santo Uffizio formalmente eretica perché contraria alle Scritture, e<br />

stolta e assurda in <strong>filosofia</strong> 19 .<br />

Se i manuali inquisitoriali certo servirono a informare e istruire<br />

inquisitori e censori, provenendo peraltro da epoche lontane, come nel<br />

caso del Directorium, e degli Errores egidiani, la bolla Apostolici regiminis<br />

20 emanata da Leone X nel 1513 durante il V Concilio Lateranense<br />

in una prospettiva di lotta alla diffusione delle tendenze più radicali<br />

dell’aristotelismo areligioso e dell’averroismo latino nelle università, e<br />

di rigorizzazione della formazione cristiana e di quella del clero nella<br />

visione riformatrice di quel Concilio, offrì tuttavia un criterio di base<br />

fondante, proclamato nella forma più solenne (papa cum concilio). La<br />

<strong>filosofia</strong> deve essere confutata – dagli stessi professori della disciplina<br />

nell’esposizione e nel commento di Aristotele, con ogni mezzo sia filosofico<br />

che teologico – tutte le volte che la teologia la giudica in contrasto<br />

con la fede, come per esempio su quei punti (durata del mondo e natura<br />

131


I TEMI<br />

dell’anima) che molti interpreti pagani, islamici e anche cristiani del testo<br />

aristotelico volgevano in termini incompatibili con l’insegnamento della<br />

Chiesa. La bolla disponeva un obbligo per i docenti universitari; ma quel<br />

testo fu invocato molto spesso da inquisitori e censori per condannare o<br />

censurare filosofi che sostenessero in qualunque contesto teorie apparse<br />

in contrasto con la fede. Dal caso Galileo al caso Montaigne, da quello<br />

Cremonini a quello Bruno e molti altri, un dispositivo nato nel 1513, ma<br />

che si fondava sulla tradizione medievale parigina e su misure locali dei<br />

secoli successivi, fu applicato così nella censura di testi filosofici, come in<br />

processi inquisitoriali intentati a filosofi. La Controriforma, in questo, non<br />

elaborò nulla di nuovo. Semmai, attraverso la manualistica inquisitoriale,<br />

che presto ovviamente incluse la Apostolici regiminis, e l’azione congiunta<br />

di Santo Uffizio, Indice e Maestro del Sacro Palazzo, dotato di competenze<br />

censorie in Roma, ma collaborante in universale con le prime due<br />

istituzioni, si rese possibile, almeno in teoria, ma con ricorrente efficacia<br />

pratica in molti casi concreti, l’applicazione di quel dispositivo più diffusamente<br />

che nella prima metà del Cinquecento. Allora, finanche la grave<br />

infrazione di Pietro Pomponazzi alla bolla di Leone X aveva ricevuto a<br />

Roma, di contro al rogo acceso dal patriarca di Venezia sotto esemplari<br />

del suo De immortalitate animae del 1516, trattamento derogante alla<br />

norma. Nel secondo Cinquecento la forte problematicità – avvertita per<br />

il periodo precedente – di una effettiva “ortodossia filosofica cattolica”,<br />

ovvero di un conseguito disciplinamento della <strong>filosofia</strong> da parte della<br />

teologia su specifici punti capitali e in generale, dovuta a vari elementi,<br />

sembra ridimensionarsi per effetto dell’inclusione dell’impostazione di<br />

Tommaso, ma anche di Tempier e della prassi universitaria parigina, non<br />

solo nel magistero (che avviene già nel 1513), ma nel diritto e nella prassi<br />

inquisitoriale e nella prassi censoria 21 .<br />

Nello stesso V Lateranense furono ribadite da Leone X con la bolla<br />

Inter sollicitudines (1515) le prerogative della censura <strong>ecclesiastica</strong> già<br />

stabilite da Innocenzo VIII nel 1487 con la bolla Inter multiplices, aggiungendosi<br />

in sede locale la competenza inquisitoriale a quella vescovile:<br />

cominciava a prendere forma la censura libraria come parte della riforma<br />

o correzione della vita cristiana, che nell’età tridentina la riorganizzazione<br />

della censura e la istituzione della congregazione dell’Indice avrebbero<br />

ampiamente sviluppato 22 .<br />

Fu sull’inviolabilità dell’interpretazione <strong>ecclesiastica</strong> della Scrittura<br />

che la Controriforma elaborò un principio fermo, con effetti anche sul<br />

trattamento dell’eresia a base filosofica, attraverso il decreto De canonicis<br />

scripturis della IV sessione del Concilio di Trento (8 aprile 1546).<br />

In questo si proibisce al credente di proporre interpretazioni personali<br />

della Scrittura su punti riguardanti la fede e i costumi, difformi dal senso<br />

132


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

tradizionalmente conferito dalla Chiesa e radicato nel consenso dei Padri,<br />

anche se tali interpretazioni personali non fossero “date in luce”, ovvero<br />

pubblicate 23 . Durante gli anni a venire sarà autorevolmente conferito a<br />

questo divieto, proprio in contesto rilevante per la <strong>filosofia</strong>, un senso<br />

molto ampio, includente punti della Scrittura che non riguardassero la<br />

fede o i costumi, ma argomenti naturali, quali la posizione del Sole e il<br />

moto della Terra 24 .<br />

Infine, nella prassi inquisitoriale e censoria – esemplificata nella manualistica<br />

della Controriforma e in prontuari interni alle congregazioni<br />

e ai loro uffici – sarà recepita l’articolazione dei diversi livelli di eresia e<br />

di meno gravi fenomeni devianti, che dovevano essere comunque eventualmente<br />

perseguiti in quanto capaci di avviare all’eresia o di denotarla,<br />

risultante dalla tradizione medievale e dalle posteriori discussioni, nel cui<br />

ambito si erano peraltro registrati forti dissensi fra i teologi 25 . In quanto<br />

recettiva di questa tradizione nella sua forma più sofisticata, si potrebbe<br />

assumere a esempio di criterio orientante le Notae, seu censurae Propositionum<br />

damnabilium datate alla fine degli anni Ottanta del XVI secolo e<br />

rinvenute fra le carte del Santo Uffizio, che evidentemente normalizzano<br />

criteri assodati e correnti 26 .<br />

3<br />

Uniformitas teologica e <strong>filosofia</strong><br />

Indicate le fonti scritturali, dottrinali e giuridiche del disciplinamento<br />

inquisitoriale e censorio della letteratura e della didattica filosofica, e<br />

riconosciuto che le fonti del disciplinamento della <strong>filosofia</strong> convergono<br />

nello stabilire per pronuncia solenne nel 1513 il criterio generale della<br />

subordinazione della philosophandi libertas all’ortodossia teologica 27 ,<br />

è lecito chiedersi come si configuri l’uniformità teologica nell’età della<br />

Controriforma.<br />

La tradizione dottrinale intorno alla categoria di eresia e a quelle<br />

collegate e subordinate (riassunte nell’età tridentina per esempio di<br />

nuovo nel De iusta haereticorum punitione di de Castro, e nel De locis<br />

theologicis di Melchior Cano) tende infatti a indicare come colpevoli<br />

non solo affermazioni direttamente contrarie alle Scritture, ai dogmi e al<br />

magistero solenne (papale e conciliare), al consenso generale della Chiesa,<br />

alle tradizioni apostoliche e patristiche, e così via, ma anche a conclusioni<br />

teologiche consensualmente “derivate”, nei Padri e nel magistero, da punti<br />

principali della fede, e alle comuni sentenze dei teologi scolastici, anche<br />

viventi. La “verità” che il filosofo rischia di contrastare non è solo quella<br />

“di fede divina”, ma anche quella “cattolica” o “teologica”, non contenuta<br />

immediatamente nella Rivelazione. Contraddire il consenso dei Padri e<br />

133


I TEMI<br />

dei teologi, un grande teologo o un’intera facoltà teologica, anche sopra<br />

un argomento secondario o derivato, è meno grave che contraddire un<br />

passo della Scrittura o un decreto conciliare; ma può muovere a censura,<br />

o provocare una denuncia e un’indagine inquisitoriale. Il punto fu dibattuto<br />

e si registrarono opinioni diverse 28 , ma basta sfogliare le censure e le<br />

expurgationes di testi filosofici, o scorrere i capi d’imputazione di processi<br />

intentati a filosofi, per avvertire che l’area del possibile errore era di fatto<br />

e di diritto amplissima; e che riconosciuto il criterio della subordinazione<br />

della <strong>filosofia</strong> alla teologia, resterebbe interessante capire a quale tipo di<br />

teologia il censore o l’inquisitore facesse concretamente riferimento nella<br />

sua attività, posta anche la problematicità del “consenso generale” dei<br />

Padri e della tradizione teologica.<br />

Durante la fase di formazione degli strumenti fondamentali del disciplinamento,<br />

fra XIII e XVI secolo, benché questi si costituiscano in parte<br />

nell’alveo del tomismo o di esso risentano, questo indirizzo filosofico e<br />

teologico non si impone certo come prevalente o consacrato; anzi, accolto<br />

come proprio dai domenicani, esso è a lungo contrastato nelle università,<br />

negli studia teologici e dall’ordine francescano. Risulta tuttavia evidente<br />

dalla bolla Fidei catholicae tenenda, irrogata nel 1312 da Clemente V nel<br />

Concilio di Vienne 29 ed elevante a verità cattolica la dottrina tomistica<br />

dell’anima come unica forma del corpo e forma per sé immortale – i cui<br />

avversari sarebbero stati passibili di denuncia per eresia, bolla confermata<br />

da Leone X nella Apostolicis regiminis –, che almeno su alcuni punti<br />

essenziali, come la dottrina dell’anima, le soluzioni tomistiche vengono<br />

considerate dirimenti e incluse nel magistero.<br />

Il Concilio di Trento selezionò i temi messi a repentaglio dall’offensiva<br />

protestante (fonti della Rivelazione, peccato, giustificazione, sacramentaria,<br />

in particolare l’eucaristia) e non pretese di fornire una risistemazione<br />

organica della teologia del tempo, nel quadro di un equilibrio di ruoli fra<br />

magistero e teologia, ma anche di un’emergenza polemica particolarmente<br />

insidiosa. I lavori si aprirono sullo scenario di una significativa maggioranza<br />

d’orientamento scotista e sullo sfondo, per esempio sul tema della<br />

grazia, di un diffuso agostinismo. Favorendo su punti capitali possibili<br />

convergenze fra tomismo e scotismo, il Concilio mantenne il rispetto per<br />

le varietà di scuola attestate in teologia, respingendo semmai piuttosto<br />

inclinazioni di ispirazione umanistica. La prevalenza delle impostazioni<br />

scolastiche sul tema, per esempio, della giustificazione, alimentò l’isolamento<br />

di posizioni di altro carattere, come quelle di Girolamo Seripando,<br />

complesse e soggette a fraintendimenti, e problematiche nel loro stesso<br />

rapporto con teologie della “mediazione” come quelle del Gaetano, di<br />

Reginald Pole, Jacopo Sadoleto, Tommaso Sanfelice 30 . Nel corso del<br />

secolo, con la prevalenza di un certo rigorismo tomistico nelle influenti<br />

134


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

scuole spagnole e nell’ordine domenicano e poi con la proclamazione di<br />

Tommaso a dottore della Chiesa da parte di Pio V (1567) e la promozione<br />

della edizione Piana (1570) delle opere del santo, il pensiero dell’Aquinate<br />

fu tuttavia fissato dal magistero papale quale punto di riferimento fondamentale<br />

per tutta la Chiesa. Nella bolla del 29 luglio 1570 Pio V definì<br />

la dottrina di Tommaso come più affidabile e sicura delle altre diffuse<br />

nella Chiesa, benché non certo l’unica ammessa.<br />

Il disciplinamento della <strong>filosofia</strong> da parte della teologia si rende più<br />

agevole in contesto tomistico che nelle altre scuole. Il tomismo considera<br />

la teologia scienza principalmente e in sé speculativa, e ad essa sono subordinate<br />

e con essa collaboranti tutte le altre scienze. In ambito scotista<br />

– l’altra via antiqua accanto alla tomistica, ritenuta immune da censura ma<br />

non privilegiata dal magistero come avvenne per la tomistica negli ultimi<br />

decenni del secolo – la teologia in nobis, quella esercitata dall’uomo, è<br />

scienza invece eminentemente pratica, fissata sull’indirizzo della volontà<br />

d’amore verso Dio, e i rapporti fra teologia e <strong>filosofia</strong> sono radicalmente<br />

modificati: i contenuti della Rivelazione, per esempio l’immortalità dell’anima,<br />

non sono in parte deducibili anche razionalmente. In contesto<br />

occamista, la cosiddetta via moderna (indirizzo contrastato dalle gerarchie<br />

fin dal suo apparire, quanto alla eversione che Ochkam faceva dell’aristotelismo<br />

e di temi ecclesiologici e del potere pontificio) le relazioni<br />

fra teologia e <strong>filosofia</strong> sono messe profondamente in crisi dalla critica<br />

nominalistica della conoscenza. Ockham aveva sostenuto che neppure i<br />

papi potessero intervenire nelle questioni strettamente filosofiche e che<br />

fosse eretico solo ciò che contrastasse apertamente le Scritture; nell’Indice<br />

di Paolo IV il filosofo inglese sarà proibito, ma negli Indici posteriori il<br />

divieto varrà solo per alcuni suoi scritti anti-papali 31 .<br />

In questi indirizzi, in ragione delle caratteristiche del tutto contrapposte<br />

che in ciascuno di essi assume il discorso teologico in sé considerato,<br />

si rende evidentemente molto diverso tanto il rapporto fra teologia e<br />

<strong>filosofia</strong>, quanto l’atteggiamento verso le capacità (e pertanto l’autonomia)<br />

della <strong>filosofia</strong>, e di quella aristotelica in primo luogo. Non senza<br />

motivo, la storiografia ha segnalato come la formalizzazione solenne del<br />

principio di disciplinamento avvenuta con la Apostolici regiminis sia stata<br />

resa possibile proprio dalla convergenza, in funzione anti-averroistica,<br />

fra ispiratori della decisione papale provenienti da differenti tradizioni<br />

(tomistica, scotista, neoplatonica), ma solidarizzanti su posizioni tomistiche,<br />

generali (subordinazione e “servizio” rigorosi della <strong>filosofia</strong> alla<br />

teologia, e obbligo per i professori di <strong>filosofia</strong> di esercitare una funzione<br />

correttiva della loro disciplina anche con strumenti teologici) e particolari<br />

(dimostrabilità filosofica di alcune verità di fede, in primis l’immortalità<br />

dell’anima), difficilmente possibili in contesti integralmente scotisti o oc-<br />

135


I TEMI<br />

camisti – e suscitanti forti riserve finanche in un tomista come Tommaso<br />

de Vio, che fu tra i pochi padri conciliari a dare voto contrario almeno<br />

su una parte del decreto papale. E si è visto in quella convergenza uno<br />

degli effetti dell’infedeltà allo scotismo di alcuni teologi scotisti, e di una<br />

sorta di latitanza dell’impostazione occamista nel quadro della cultura<br />

<strong>ecclesiastica</strong> italiana del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento 32 .<br />

In età tridentina, è un controversista domenicano e tomista tanto influente<br />

quanto Melchior Cano a offrire il tono della situazione: non solo è eretico<br />

affermare che secondo ragione l’anima è mortale, mancandosi di confutare<br />

questa dichiarazione, o dire che è mortale secondo la <strong>filosofia</strong> e immortale<br />

secondo la fede (Apostolici regiminis), ma è eretico insegnare che secondo<br />

ragione l’immortalità sia indimostrabile e pericoloso e temerario asserire<br />

che nessun argomento filosofico in favore sia stato trovato, con conseguente<br />

riprovazione da parte di Cano delle posizioni di Scoto e di de Vio,<br />

asserenti la non dimostrabilità filosofica dell’immortalità personale 33 .<br />

La declinazione di <strong>filosofia</strong> e teologia all’interno della Compagnia<br />

di Gesù, pur mossa inizialmente da un richiamo, spesso ribadito, a un<br />

rigoroso tomismo, anche attraverso le accuse di grave deviazione che altre<br />

componenti ecclesiastiche, in primis domenicane e ispaniche, ma non solo,<br />

le rivolsero in varie fasi, sta tuttavia a documento del fatto che sarebbe<br />

ben difficile concludere che un monolitico tomismo ufficiale facilmente<br />

ottenga ossequio totale nella società <strong>ecclesiastica</strong>. La vicenda non meno<br />

complessa delle violente dispute teologiche sia sulla grazia, sia mariane,<br />

fra domenicani e gesuiti (e francescani) tra XVI e XVII secolo, tacitate da<br />

Paolo V e da Urbano VIII con decisioni di temporanea “indecidibilità”<br />

del magistero, che finivano con il proibire le polemiche, ma che di fatto<br />

riconoscevano inevitabile la pluralità di posizioni all’interno del pensiero<br />

scolastico, testimonia dell’ulteriore difficoltà a stabilire una definitiva<br />

uniformità teologica nell’ambito della Chiesa, anche su punti non leggeri,<br />

e per tutta la fase iniziale della Controriforma, da parte del papato.<br />

“Centro”, questo, che è apparso uniformante più sul piano “politico” e<br />

“fattivo”, “liturgico” e “catechistico”, che “teologico” 34 .<br />

A quella uniformità teologica (e filosofica) bloccata e integrale, in<br />

fondo la stessa Compagnia di Gesù appare da un certo punto incline<br />

a rinunciare, optando, con la Ratio studiorum del 1586 e del 1599 – non<br />

a caso avversata in Spagna, e non solo, da posizioni di tomismo rigido<br />

– per una uniformità relativa, che muova dalla pragmatica formazione<br />

aristotelico-tomistica di base, per poi ammettere una certa ampiezza di<br />

fonti e libertà e sperimentazione di indirizzo, sebbene sempre molto sorvegliata<br />

dalle autorità dell’ordine, nella consapevolezza della deperibilità<br />

di visioni particolari e di una sorta di “progresso” dello spirito umano 35 .<br />

Un esito che avrebbe avuto le sue ripercussioni anche sulla nozione stessa<br />

136


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

di “ortodossia filosofica” in ambito di <strong>filosofia</strong> secolare, come dimostrano<br />

certi tratti del caso Telesio e del caso Patrizi nel tanto che coinvolsero a<br />

vario titolo gesuiti di rilievo, avvertiti da quegli autori come interlocutori<br />

comprensivi o consenzienti 36 . Entro il quadro della sua <strong>filosofia</strong> e della<br />

sua teologia, la cultura della Compagnia avrebbe sviluppato, con Benito<br />

Pereira, un’esegesi capace di servire, in modi diversi, anche strumentali,<br />

alcuni novatores come Patrizi, Galileo e Federico Cesi 37 ; da Francisco<br />

Suárez in avanti, un nuovo indirizzo della metafisica 38 . In ambito gesuitico<br />

maturò la prima offensiva nella disputa sulla grazia, dimostrante possibili<br />

nessi anche con il dibattito interno alla Compagnia sulla <strong>filosofia</strong> naturale<br />

39 ; e, insieme, un’attenzione feconda alle scienze matematiche, con<br />

apertura di una crisi nell’architettura aristotelica dei saperi; e si verificò<br />

l’accoglienza e discussione delle “novità celesti”, con graduale approccio<br />

innovativo rispetto alla cosmologia aristotelica-tolemaica, ma anche critico<br />

del copernicanesimo 40 ; e finale prevalente adesione, sebbene inizialmente<br />

contrastata dentro e fuori la Compagnia, al modello astronomico e ad<br />

alcune teorie ticoniche 41 .<br />

Da indagini sul trattamento censorio di voci della teologia pre-tridentina<br />

come quella di Tommaso de Vio emerge che la vicenda fu profondamente<br />

condizionata, tra il papato del domenicano Pio V e i regni<br />

di Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII, papi non domenicani e spesso<br />

non favorevoli all’ordine dei predicatori, dalla rottura dell’egemonia di<br />

quest’ordine intervenuta a un certo punto nella censura centrale e nel<br />

Santo Uffizio, e dalla pluralità di impostazioni teologiche e filosofiche<br />

emergente dagli avvicendamenti nel personale degli uffici; personale<br />

proveniente sempre più largamente dal clero secolare e da altri ordini<br />

religiosi, con conseguente caduta o mutamento di interesse per certi<br />

autori o questioni e manifestazione di tendenze teologiche, e pertanto<br />

di orientamenti censori ed espurgatori e di valutazioni decisorie anche<br />

fortemente contrapposti 42 .<br />

Se poi si fa ancora mente alla cultura specificamente filosofica del ceto<br />

dei censori, paiono istruttive le riflessioni compiute da due personalità<br />

molto radicate nel lavoro censorio: Agostino Valier, prefetto dell’Indice<br />

nei regni di Sisto V e di Clemente VIII, e il gesuita Antonio Possevino,<br />

consulente dell’Indice e autore della celebre Bibliotheca selecta (1593).<br />

Dalle riflessioni del primo, venute alla luce nel 1577 ma risalenti al suo<br />

insegnamento di <strong>filosofia</strong> a Rialto negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo,<br />

sale la visione di un prudente eclettismo, che giudica i pericoli della<br />

<strong>filosofia</strong> minori dei suoi benefici per il cristiano e per il teologo; pondera<br />

i rischi contenuti sia in Platone che in Aristotele e respinge pregiudizialmente<br />

solo le filosofie a impianto materialistico; seleziona un metodo<br />

“liberale” che non elegge nessun filosofo antico a maestro indiscutibile,<br />

137


I TEMI<br />

e annovera la lettura di tutti i commentatori pagani e islamici dei testi<br />

aristotelici; vi sovrascrive, sui punti sensibili, come quello dell’anima,<br />

un superiore ricorso alla sistemazione tomistica e all’adempimento della<br />

Apostolici regiminis 43 .<br />

A questa impostazione si richiama esplicitamente Possevino, che nella<br />

Bibliotheca selecta esibisce l’approvazione, più che rituale, del Maestro del<br />

Sacro Palazzo Bartolomeo de Miranda e di ben otto revisori ecclesiastici,<br />

e sviluppa il discorso giungendo alle seguenti conclusioni, e in qualche<br />

modo a un prudente “canone” di <strong>filosofia</strong> cattolica: convenienza dello<br />

studio filosofico per il cristiano, e certo subordinazione della <strong>filosofia</strong> alla<br />

teologia, che conferma e completa la prima; la “<strong>filosofia</strong> mosaica” come<br />

prima <strong>filosofia</strong>, ovvero la Scrittura contiene le prime informazioni che<br />

Dio ha voluto comunicare agli uomini anche intorno alla costituzione<br />

della natura; respingimento dell’aristotelismo secolare o areligioso e<br />

della “doppia verità” e forte diffidenza verso l’averroismo; attenta profilassi<br />

anche nello studio cattolico di Platone e della tradizione platonica;<br />

vigile correzione di Aristotele sui punti sensibili, senza esasperare né il<br />

sospetto verso quel maestro, né la sudditanza nei suoi confronti: anche<br />

le sue dottrine sono suscettibili di critica e di abbandono; studio di tutta<br />

la tradizione tardo-antica e medievale, con un primato di affidabilità in<br />

Tommaso; rinnovato valore della tradizione manualistica degli Errores<br />

egidiani e ovvio adempimento della Apostolici regiminis 44 .<br />

Appare dunque che, benché non si dia un sistema filosofico esclusivo<br />

e ufficiale della Chiesa, alcune idee regolative e strategie di fondo siano<br />

state elaborate. Una consumata tradizione, riepilogata da Valier e da<br />

Possevino, ha sviluppato il massimo di cautela possibile nei confronti<br />

delle tradizioni platonica e aristotelica, e soprattutto dell’aristotelismo<br />

secolare; nessuna delle due tradizioni è immune da rischi; l’elaborazione<br />

tomistica è senz’altro di riferimento, soprattutto nei punti di maggiore<br />

delicatezza; nessuna tradizione interpretativa è tuttavia pregiudizialmente<br />

esclusa, a meno che non si tratti di testi o autori, è ovvio, già vietati dalla<br />

Chiesa; molte teorie antiche e islamiche (ne aveva fatto il catalogo Egidio,<br />

e Possevino lo ribadisce) possono diventare, se abbracciate da cristiani<br />

con l’intento di offendere le verità della fede, eresia; il riferimento al<br />

superiore valore informativo-normativo delle Scritture anche in materia<br />

naturale e al consenso dei Padri, dei Concili e dei teologi, oltre che al<br />

dispositivo Fidei catholicae tenenda-Apostolici regiminis, resta dirimente<br />

rispetto a certi aspetti del dibattito filosofico.<br />

La Chiesa non perviene dunque né a stabilire una <strong>filosofia</strong> del tutto<br />

conveniente cui pretendere di uniformare il dibattito, e in certi termini<br />

neppure la didattica filosofica, né a formulare una sorta di “sillabo” solenne<br />

delle teorie riprovevoli 45 . Il programma della uniformitas teologica<br />

138


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

da realizzarsi garantendo il rispetto di una certa forma di tomismo come<br />

teologia e <strong>filosofia</strong> ufficiale “delle scuole” si scontra non solo con l’ammessa<br />

pluralità di indirizzi all’interno del sistema formativo del clero, ma<br />

anche con la vivacità della discussione filosofica profana. Questa spesso<br />

ricorre al vecchio stile averroista della “doppia verità”, cercando di eludere<br />

con differenti o analoghe movenze gli antichi dispositivi contrari in<br />

merito (come nella <strong>filosofia</strong>, ma anche nel comportamento processuale,<br />

di Bruno; come in Montaigne; come in una certa parte della strategia<br />

di Galileo; a pieno, nell’apologia di Cremonini). Oppure ad ancor più<br />

insidiosi comportamenti: l’accomodamento autonomo delle Scritture in<br />

quadri filosofici originali (lo tentano in modi diversi Telesio e Patrizi;<br />

lo si può ravvisare in certi segmenti “concordisti” finanche di Bruno,<br />

prima che esploda il tratto radicalmente anti-cristiano della sua <strong>filosofia</strong>);<br />

il tentativo di operare e di rendere approvata dalla Chiesa anche a fini<br />

apologetici e conversionistici, o presentati come tali, la sostituzione del<br />

tomismo come <strong>filosofia</strong> “delle scuole” con forme filosofiche recentiores ma<br />

offerte come “novantique”, a sfondo o platonizzante o telesiano, e con uso<br />

personale e disinvolto della tradizione patristica e della Scrittura e delle<br />

fonti ermetiche e neoplatoniche (di nuovo in Patrizi e in Campanella). O<br />

anche con una <strong>filosofia</strong> radicalmente nuova, ma prospettata come perfetto<br />

adempimento della missione del filosofo cristiano, e capace di scalzare<br />

definitivamente aristotelismo e tomismo e di rimpiazzarli nell’insegnamento<br />

(Descartes). In tutti questi tentativi permane in forme diverse,<br />

anche spesso ritorcendo contro l’aristotelismo e il tomismo la tradizione<br />

<strong>ecclesiastica</strong> e lo stesso disciplinamento e le diffidenze cattoliche verso lo<br />

studio di Aristotele, l’assunzione che l’apparente accordo fra tomismo e<br />

aristotelismo costituisca invece una fallacia e un nocumento per la fede,<br />

questa venendo invece garantita nella nuova proposta filosofica di volta<br />

in volta avanzata.<br />

4<br />

Centro e periferia<br />

In questo quadro si dovrà tuttavia avvertire un ulteriore problema di<br />

fondo: quello del rapporto tra centro e periferia del sistema inquisitoriale<br />

e censorio, e fra la stessa corte papale, gli ambienti dell’alto clero e gli<br />

uffici di quel sistema, che ripropone da altro angolo la questione della<br />

uniformitas teologica e filosofica.<br />

La normalizzazione che attraverso gli Indici e i loro aggiornamenti<br />

gli uffici cercano di porre in essere costituisce un atto di censura repressiva,<br />

che praticamente smonta e rimonta gran parte del lavoro censorio<br />

preventivo che dal 1487 il papa aveva assegnato in periferia ai vescovi, e<br />

139


I TEMI<br />

che dal periodo della Controriforma viene attribuito anche agli inquisitori<br />

locali in collaborazione con i vescovi. Tutti i libri vietati omnino o<br />

donec repurgentur dagli Indici e dalle liste integrative degli Indici sono<br />

ovviamente libri approvati in prima istanza da censori locali, che hanno<br />

agito sotto l’autorità dei vescovi e degli inquisitori. In alcuni casi sono<br />

libri pubblicati con un’approvazione bilanciata da emendazioni in calce<br />

(come la Nova de universis philosophia di Patrizi). O sono stati corretti<br />

prima della stampa dagli autori, all’esito di un’interlocuzione con i censori<br />

periferici e anche con lettori ecclesiastici non d’ufficio – gli autori che<br />

appartengono ad alcuni ordini religiosi, domenicano e gesuita, rispondono<br />

inoltre anche a una censura preventiva interna 46 ; o presentano gli effetti<br />

di riscritture autocensorie, condotte per timore di cadere nell’eterodossia<br />

(di nuovo il caso Telesio configura sia la prima che l’ultima fattispecie).<br />

Ma sono libri pur sempre approvati dalla periferia, e poi vietati al centro.<br />

In alcuni casi si tratta di libri editi con dediche a pontefici e cardinali,<br />

presso autorevoli editori, e che hanno goduto del consenso o dell’interesse<br />

presso elevati ambienti ecclesiastici. Pertanto il sistema ha elaborato – ma<br />

certo non per la sola letteratura filosofica – un secondo grado di verifica,<br />

l’Indice dei libri proibiti e la sua congregazione (1571), che non valuta<br />

solo libri pubblicati fuori del sistema censorio preventivo cattolico e che<br />

dovrebbe correggere la peraltro fisiologica incertezza di quel sistema. È<br />

demandato alla congregazione dell’Indice, ma anche allo stesso Santo<br />

Uffizio − presieduto dal papa, congregazione suprema della Chiesa che<br />

ebbe competenza esclusiva anche su materia libraria in sede centrale<br />

fino al 1571, e che spesso anche dopo quella data continuò a produrre<br />

interventi autorevoli − un supremo vaglio di ortodossia della letteratura<br />

in primo grado approvata e circolante.<br />

L’efficacia del sistema dovrebbe pertanto essere documentata non<br />

solo dalla mole e dalla qualità delle proibizioni e delle espurgazioni decise<br />

in sede centrale e dalla valutazione del loro effetto dissuasivo, ma<br />

anche dalla mole e dalla qualità dei libri che mai ottennero l’imprimatur<br />

e restarono nel cassetto degli autori, e dalle caratteristiche e dagli esiti<br />

delle tante negoziazioni svoltesi in sede locale per l’ottenimento dell’imprimatur<br />

a prezzo di emendazioni e ripuliture, note tuttavia per alcuni<br />

casi importanti (di nuovo: Telesio, Patrizi, Galileo).<br />

Questi versanti del problema richiederebbero per esempio l’interrogazione<br />

di molti casi periferici, lo studio più ampio dei sistemi di censura<br />

interni agli ordini religiosi e dell’attività censoria delle autorità locali,<br />

soprattutto nei confronti della produzione filosofica legata alle università,<br />

e della stessa didattica universitaria. Possevino, in un resoconto della<br />

sua attività espurgatoria inviato fra il 1593 e il 1596 al Maestro del Sacro<br />

Palazzo Bartolomeo de Miranda, lamentava non solo che non si fosse<br />

140


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

ancora tirato via da ogni esemplare dell’edizione giuntina di Aristotele<br />

con i commenti di Averroè un’avvertenza editoriale scandalosa per la<br />

dottrina cattolica dell’anima; ma che quell’edizione così diffusa nelle<br />

università (e capitale per lo studio dell’aristotelismo) non fosse mai stata<br />

purgata o vietata; e che ancora non si sorvegliassero le «lettioni» manoscritte<br />

dei docenti universitari, e le «empietà» che i «libri manoscritti»<br />

potevano diffondere 47 .<br />

La storia delle relazioni tra centro e periferia nel sistema censorio romano<br />

durante la Controriforma è, si sa, costellata di continue inclinazioni<br />

centrifughe e centripete, di spinte verso il decentramento (soprattutto<br />

nella espurgazione dei molti libri vietati solo donec repurgentur) e di<br />

avocazioni al centro. Il disappunto dei pontefici e dei cardinali censori<br />

verso lentezze e inefficienze degli uffici locali sono note. All’inizio del<br />

Seicento se ne fece eloquente interprete uno sconsolato memoriale di<br />

Bellarmino 48 . Il tema era la censura espurgatoria: ma l’insoddisfazione<br />

verso il sistema e la sua complessiva efficacia stava sullo sfondo di questo<br />

come di altri documenti. L’impazienza di Possevino e la delusione di<br />

Bellarmino avevano ragion d’essere?<br />

5<br />

La <strong>filosofia</strong> vista dagli Indici.<br />

Da Paolo IV a Clemente VIII<br />

Sembra mancare attenzione specifica e organica alla <strong>filosofia</strong> nei primi<br />

Indici non romani 49 ; tale mancanza pare doversi registrare anche nei primi<br />

Indici emanati dalla Santa Sede nel 1559 e nel 1564. Le regulae preposte a<br />

quest’ultimo non menzionano la <strong>filosofia</strong>. La normazione generale contempla<br />

libri di tema religioso e non, scritti da eretici; le edizioni in volgare<br />

delle Scritture, dei Padri e di autori classici ed ecclesiastici curate da<br />

protestanti; i testi di devozione, spiritualità e controversistica in volgare; le<br />

opere di magia e di astrologia. Quest’ultimo campo sembra costituire un<br />

punto di speciale vigilanza degli inquisitori, con divieto della letteratura<br />

astrologica “giudiziaria”, quando pretenda la certezza della previsione,<br />

e che esclude chiaramente dalla proibizione solo l’astrologia utile alla<br />

pratica medica, all’agricoltura e alla navigazione. Qui emerge un aspetto<br />

filosofico, considerate le relazioni fra certe tendenze naturalistiche e la<br />

tematica astrologica: non sono ammessi testi di carattere deterministico<br />

che trattino degli eventi futuri come eventi del tutto prevedibili, confliggendo<br />

con il principio del libero arbitrio 50 . Ovviamente, quando l’Indice<br />

del 1564 impegna la censura a scrutinare ed eventualmente espurgare e<br />

quindi riabilitare testi di materia non religiosa di scrittori eretici 51 , induce<br />

a considerare sotto questa categoria anche libri o commentari filosofici.<br />

141


I TEMI<br />

Un lungo elenco vergato da anonimo nel 1557-58, in preparazione<br />

dell’Indice di Paolo IV, contempla naturalisti e filosofi da vietare e comprende<br />

qualche autore condannato in passato dalla Chiesa, come Arnaldo<br />

di Villanova e Lullo, ma soprattutto autori presi in esame, a giudicare<br />

dalle sintetiche motivazioni, quasi esclusivamente per le loro simpatie<br />

eterodosse, o per la loro adesione alla Riforma, o per legami con le arti<br />

esoteriche 52 . Su questa base, sono ribaditi nell’Indice del 1564 53 i divieti<br />

per scrittori come Agrippa, Gesner, Rheticus, la cui copernicana Narratio<br />

prima viene vietata a motivo della religione dell’autore e non della sua<br />

adesione all’eliocentrismo.<br />

La teoria eliocentrica, in ragione degli sviluppi traumatici che la sua<br />

recezione in ambito cattolico denoterà in futuro, costituisce senza dubbio<br />

un primo nodo importante. Nonostante la tempestiva registrazione del<br />

tema da parte di ecclesiastici intransigenti come il teologo domenicano<br />

Giovanni Maria Tolosani e il Maestro del Sacro Palazzo Bartolomeo Spina<br />

54 , la compatibilità dell’eliocentrismo con l’ortodossia cattolica resta poi<br />

a lungo inosservata negli apparati censori. Ancora nel 1581 il matematico<br />

gesuita Cristoforo Clavio, pur avvertendo il contrasto del copernicanesimo<br />

con le Scritture, non rubricò quella teoria come suscettibile di eresia; e<br />

il teologo Diego Lopez de Zuñiga poté sostenere, nel commento al libro<br />

di Giobbe uscito a Toledo nel 1584, vietato dall’Indice solo nella crisi<br />

del 1616, la possibilità di accordare l’eliocentrismo con le sacre lettere.<br />

Ancora alla fine del XVI secolo, nei casi Patrizi, Stigliola e Bruno, l’accusa<br />

di seguire la teoria del moto della terra risulterà piuttosto marginale e non<br />

suffragata da unanime giudizio nel ceto inquisitoriale e censorio, stante<br />

l’assenza di una pronuncia solenne della Chiesa sul punto 55 .<br />

Lo scontro è rinviato ai primi decenni del XVII secolo 56 , al primo round<br />

del caso Galileo, sebbene con forti tracce di continuità, a quell’altezza,<br />

dell’atteggiamento rigoristico con le tendenze dell’apologetica domenicana<br />

accennatesi in materia al primo apparire della dottrina copernicana.<br />

Custodi di queste tendenze, si mobiliteranno settori dell’ordine dei predicatori,<br />

dell’aristotelismo accademico e delle curie fiorentina, pisana e<br />

romana 57 , miranti, sull’onda dell’avvertita minaccia galileiana all’esegesi<br />

tradizionale delle Scritture, rilevabile nell’intercettato insegnamento<br />

orale ed epistolare dello scienziato, oltre che alla cosmologia aristotelica<br />

messa in crisi nelle sue opere a stampa, a ottenerne la tacitazione per via<br />

giudiziaria e una pronuncia della Chiesa contro l’eliocentrismo come<br />

dottrina eretica, oltre che assurda in <strong>filosofia</strong>. Questa fu sì infine proposta<br />

dai qualificatori del Santo Uffizio, il 24 febbbraio 1616, ma come si è<br />

venuto precisando di recente, papa Paolo V non l’adottò come base di<br />

una solenne sentenza del magistero, che di là dai timori e rumori di cui<br />

è eco nell’epistolario galileiano e nell’opinione generalmente ma non<br />

142


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

uniformemente creduta al tempo, e soprattutto in seguito, in effetti mancò;<br />

bensì solo del divieto donec corrigatur del De revolutionibus orbium<br />

coelestium (che si sarebbe dovuto sgravare del suo senso “realistico”, e<br />

ricollocare in circolazione quale pura dottrina matematica, come in effetti<br />

avvenne nel 1620) e della proibizione di altre scritture filo-copernicane in<br />

senso “concordista”, emanato dalla congregazione dell’Indice, in forma<br />

che appare attenuata (la teoria eliocentrica non vi è detta eretica, ma<br />

“contraria alle Scritture”), il 5 marzo 1616 58 . Un “effetto collaterale” ma<br />

intenzionale e molto significativo del decreto dell’Indice fu per Paolo V<br />

la possibilità di esigere da Galileo di non affrontare se non come ipotesi<br />

matematica la tesi copernicana, senza coinvolgerlo in un procedimento<br />

giudiziario, per tramite di quel “monito” privato di Bellarmino circa il<br />

tenore del decreto dell’Indice (non «difendere né tenere», ovvero non<br />

sostenere come valida absolute la teoria copernicana) cui il commissario<br />

del Santo Uffizio, presente alla circostanza, probabile portavoce dei domenicani<br />

intransigenti, sovrappose tuttavia il celebre e discusso “precetto”<br />

giudiziale (non tenere, né insegnare, né difendere quovis modo la suddetta<br />

teoria), che nelle intenzioni del papa si sarebbe però dovuto infliggere solo<br />

se Galileo avesse “resistito” al monito. Se ne sarebbe creato un ambiguo<br />

intrico dottrinale e giudiziario sul quale la storiografia ancora dibatte, ma<br />

dal quale nondimeno sortiranno nel processo del 1632-33 il danno finale<br />

a Galileo e la consumazione della prima più radicale rottura fra Chiesa<br />

e scienza moderna 59 .<br />

Cade presto, al tempo dell’Indice del 1559, benché resti a lungo ricorrente<br />

sospetto sull’autore nel suo complesso, un appena documentato<br />

tentativo di vietare una delle voci filosofiche più importanti del XV secolo,<br />

Nicola Cusano 60 che già in vita aveva dovuto difendersi da accuse di<br />

eterodossia, e che infine viene condannato a fine Cinquecento solo per<br />

l’aspetto ecclesiologico. Questo comporterà per il suo neoplatonismo<br />

profondamente eversivo della sistemazione aristotelico-tomistica così<br />

tanta totale libertà di diffondersi da costituire infine una delle fonti<br />

(insieme a una certa interpretazione proprio del copernicanesimo) del<br />

maggior episodio di incompatibilità della <strong>filosofia</strong> con il cristianesimo<br />

in generale, e non solo con aristotelismo, tomismo e dottrina e prassi<br />

cattolica, la <strong>filosofia</strong> di Giordano Bruno.<br />

Nel 1564 la pubblicazione dell’Indice di Pio IV non costituisce occasione<br />

neppure per saldare i conti con l’espressione più radicale dell’aristotelismo<br />

a sfondo averroistico o alessandrista. Il De immortalitate<br />

animae di Pomponazzi, che nel 1516, pur suscitando scandalo, già aveva<br />

mancato di costituire un esempio di perfetta applicazione della Apostolici<br />

regiminis, venendo per esso adottata una soluzione in parte derogatoria 61 ,<br />

non è ripreso in considerazione. In ragione delle problematiche astrolo-<br />

143


I TEMI<br />

giche e magiche e del tema dei miracoli, è piuttosto il De incantationibus<br />

del 1520 a venir proibito negli Indici di Sisto V (1590) e di Clemente VIII<br />

(1593, 1596), all’esito di esami e divieti locali trascinatisi fin dalla seconda<br />

metà degli anni Settanta; un progetto di correzione di tutte le opere di<br />

Pomponazzi, con particolare riferimento al De fato (1520) e con evidente<br />

collegamento al soggetto della libertà umana, più volte accennato, non<br />

viene invece portato a segno 62 .<br />

La congregazione dell’Indice e il Maestro del Sacro Palazzo (con<br />

impegno della élite dell’ordine domenicano) lavorano fin dal 1571 a un<br />

complesso disegno, già avviato tra Paolo IV e Pio V (nell’ambito della<br />

produzione dell’edizione Piana di Tommaso e dei suoi commenti): la<br />

correzione sistematica, alla luce della situazione teologica ed ecclesiologica<br />

di quegli anni, e dell’istanza di uniformazione dottrinale del tomismo<br />

e della teologia cattolica nel tomismo, dell’opera di Tommaso de Vio,<br />

anch’egli attaccato in vita dalla Sorbona e da importanti controversisti<br />

cattolici, fino al postumo sospetto di eresia, anche in riferimento alla sua<br />

posizione sul problema filosofico dell’immortalità dell’anima oltre che<br />

per il suo metodo esegetico e altre posizioni teologiche e sul canone, che<br />

nell’assise tridentina si erano viste peraltro soccombere nelle personalità<br />

(Girolamo Seripando, Tommaso Sanfelice) da esse influenzate. Tuttavia<br />

il problema de Vio, autore molto importante per la trasmissione critica<br />

dell’eredità tomistica, con ricadute significative sulla stessa materia<br />

filosofica, si trascinerà a lungo e il lavoro espurgatorio avviato sui suoi<br />

testi, imponente nella durata e nella pur discontinua mobilitazione, ma<br />

molto modesto se non fallimentare nei risultati, stante anche la crisi del<br />

monopolio domenicano e la divaricazione nel giudizio sul Gaetano e nella<br />

interpretazione della tradizione tomistica fuori e dentro gli organi censori<br />

di fine Cinquecento (per esempio tra un Bellarmino, patron del Gaetano,<br />

e un Francisco Peña, suo puntuto «Gegner») 63 , non impedirà alla sua<br />

metodologia e alle sue posizioni filosofiche e teologiche di continuare a<br />

esercitare una certa influenza 64 .<br />

Quel che sembra piuttosto interessante annotare qui è che proprio nei<br />

tentativi di correzione di autori come Cusano e come de Vio, e nel primo<br />

allarme, presto rientrato, verso Copernico, sembrano manifestarsi forze<br />

intransigenti, ad epicentro domenicano, nelle quali paiono convergere<br />

l’istanza di reazione al neoplatonismo cusaniano, al particolare tomismo<br />

di de Vio e alla maggiore novità della <strong>filosofia</strong> naturale e della scienza<br />

astronomica di primo Cinquecento. Il domenicano Bartolomeo Spina si<br />

trova ad esempio al centro sia della prima sensibilità anti-copernicana,<br />

sia della polemica contro il de Vio. Ma la resa dei conti con tutte queste<br />

tendenze, apparentemente divergenti o estranee fra loro (a parte il legame<br />

tra cosmologia cusaniana e certe interpretazioni del copernicanesimo),<br />

144


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

verrà rinviata al XVII secolo, con un bilancio piuttosto complesso: sostanziale<br />

immunità per Cusano; contenimento dell’offensiva domenicana su<br />

de Vio; compromesso del 1616, con disappunto degli ambienti domenicani<br />

fiorentini che l’avevano suscitata, sulla questione copernicana, con la<br />

sua incompiuta condanna dottrinale e la sua ammissione almeno quale<br />

semplice ipotesi astronomica, stante la expurgatio del De revolutionibus<br />

assicurata nel 1620. Non sembra forse casuale che l’azione del gesuita<br />

Bellarmino si riveli decisiva sia nel ridimensionamento del caso de Vio,<br />

sia nella prima fase del caso Copernico. Ma contestualmente si verifica,<br />

sia sul naturalismo di Telesio, sia sul neoplatonismo di Patrizi, a dispetto<br />

della protezione accordata a quei filosofi (come pure a Cardano) da alte<br />

gerarchie e degli stessi pontefici regnanti, di là di iniziali moderazioni<br />

di marca gesuitica, sostanziale convergenza di diverse componenti<br />

(domenicana e gesuitica, intransigente e moderata) nella finale effettiva<br />

proibizione di quei due autori, sebbene mitigata da un donec repurgetur<br />

rilevatosi poi impraticabile.<br />

Appena un anno dopo la pubblicazione dell’Indice di Pio IV, Telesio,<br />

da quello stesso papa da poco proposto, ma con rifiuto dell’interessato,<br />

quale arcivescovo della natìa Cosenza, protetto dal segretario di Pio, e di<br />

lì a breve cardinale Tolomeo Gallio, pubblica (con revisione del domenicano<br />

Eustachio Locatelli, ma anche di altri censori ecclesiastici), presso<br />

l’editore pontificio Antonio Blado, la più importante decostruzione della<br />

fisica aristotelica del tempo, il De rerum natura iuxta propria principia,<br />

dove il filosofo avanza dottrine dei cieli e dell’anima umana incompatibili<br />

non solo con la visione aristotelica, ma anche con quella tomistica, e si<br />

appella alle Scritture per avvalorare le sue tesi 65 .<br />

Questo clima relativamente favorevole alla <strong>filosofia</strong> anti-aristotelica<br />

registra a breve sussulti. Nel 1566 l’ascesa di Pio V comporta il rilancio<br />

del Santo Uffizio, il potenziamento del Maestro del Sacro Palazzo e, dal<br />

1571, la creazione dell’apposita congregazione dell’Indice. Proprio il caso<br />

Telesio porta qualche segno, quando si ricordi che nel 1570 il filosofo citò<br />

in sua garanzia da ventilate denunce contro la seconda edizione della sua<br />

opera propizi lettori gesuiti: Alfonso Salmerón e Gaspar Fernández 66 . La<br />

seconda edizione del De rerum natura uscì tuttavia a Napoli senza problemi,<br />

e per un più di un decennio susciterà discussioni anche violente<br />

ma nessuna iniziativa della censura. Un altro radicale attacco all’aristotelismo<br />

poté liberamente essere condotto da Patrizi con le Discussiones<br />

peripateticae del 1571. Nel 1586 Telesio poté pubblicare la terza edizione<br />

completa del De rerum natura, nella quale curerà però di inserire non<br />

solo una dichiarazione di disponibilità a revocare le sue tesi ove vi si<br />

fosse ritrovato qualcosa di eterodosso, ma anche una revisione di punti<br />

sensibili della sua <strong>filosofia</strong>, mirante a renderla il più possibile conveniente<br />

145


I TEMI<br />

con la teologia cattolica e con le Scritture, sebbene mai inclinante a una<br />

conciliazione con Aristotele 67 .<br />

Del pari risalenti al principio degli anni Settanta i problemi di Girolamo<br />

Cardano e Francesco Giorgio Veneto. Nel primo caso, l’attenzione<br />

della censura repressiva è provocata dal procedimento inquisitoriale<br />

patito dall’autore, celebrato professore nell’Università di Bologna, legato<br />

a importanti cardinali (fra i quali Carlo Borromeo, Giovanni Morone e<br />

Ugo Boncompagni, dal ’72 papa Gregorio XIII), e che diverse sue opere<br />

aveva già visto però proibite in altri Indici cattolici, fra il 1570 e il ’71<br />

(situazione lenita dalla pensione che Gregorio XIII gli concede nel ’72,<br />

e dalla riabilitazione all’insegnamento intervenuta però troppo tardi,<br />

nel ’76, poco prima che il medico morisse). Nel 1572 il Santo Uffizio ha<br />

comunque vietato donec corrigantur tutte le sue opere che non siano di<br />

medicina 68 . Prese avvio una vicenda espurgatoria fra le più tormentose,<br />

che approdò alla deludente expurgatio del 1607 per solo alcune delle opere<br />

in questione. Il punto essenziale, fra i moltissimi sollevati dalla censura,<br />

sembra essere costituito dal fatto che la mente di Cardano appare fare<br />

convergenza fra tre elementi di massima sensibilià: una posizione del<br />

tutto eterodossa sull’anima umana, il determinismo astrale, una visione<br />

“naturalistica” e “politica” del fatto religioso e delle manifestazioni soprannaturali.<br />

Nel caso di Giorgio Veneto, cominciato nella seconda metà<br />

degli anni Settanta e portante al pur esso tardivo divieto donec corrigantur<br />

del De Harmonia mundi (1525) e dei In Sacram Scripturam Problemata<br />

(1536) nel 1584 (ma con divieti parziali locali negli anni precedenti), la<br />

vicenda espurgatoria è pur essa molto lenta e complessa, con analogo<br />

approdo all’Indice espurgatorio del 1607, e molto lavoro, spesso ingrato e<br />

disperante, dei censori 69 . La maggior mole dei rilievi si attesta sugli effetti<br />

dell’assimilazione che l’autore ha compiuto, nell’esegesi delle Scritture<br />

e dei dogmi, della letteratura talmudistica e cabalistica, combinata con<br />

elementi neoplatonici.<br />

Nel contesto dell’aggiornamento dell’Indice del ’64, dell’attività<br />

censoria ed espurgatoria che l’ufficio del Maestro del Sacro Palazzo e<br />

la congregazione dell’Indice svolgono tra la fine del papato Ghislieri e<br />

il regno di Gregorio XIII, lo spazio della <strong>filosofia</strong> (soprattutto nelle sue<br />

connessioni con arti mediche ed esoteriche e ragioni religiose) sembra percorso<br />

da interventi confermanti l’aspirazione degli uffici a una copertura<br />

vasta, che pur mancando di una sistematica strategia, perviene a divieti<br />

e a correzioni comunque significativi per varie opere, le cui motivazioni<br />

e i cui spesso lunghi e discontinui itinerari vanno tuttavia collocati ciascuno<br />

nel suo specifico contesto: la Magia naturalis di Giovan Battista<br />

Della Porta, sullo sfondo del processo inquisitoriale sofferto dall’autore<br />

nel 1577-78 per negromanzia 70 ; gli scritti del luterano Paracelso e del<br />

146


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

calvinista Pierre de la Ramée 71 ; il De vita coelitus comparanda di Marsilio<br />

Ficino; il De humana mente di Simone Porzio; i dialoghi di Sperone<br />

Speroni; il De incantationibus di Pomponazzi 72 ; edizioni e commenti di<br />

opere antiche curati da riformati; autori medievali quali Lullo (questione<br />

molto disputata all’interno della censura e della curia romana) e Arnaldo<br />

di Villanova, già proibiti nella tradizione 73 .<br />

Su questo sfondo ha suscitato interrogativi, stante anche la piuttosto<br />

recente pubblicazione di documenti decisivi del caso, il fatto che un<br />

testo fondamentale della modernità filosofica, gli Essais di Michel de<br />

Montaigne, trovasse blando trattamento nella censura romana del 1581,<br />

soprattutto alla luce della meno intempestiva condanna a Ginevra nel 1602<br />

da parte della censura calvinista, del divieto donec expurgetur nell’Indice<br />

spagnolo del 1640 e soprattutto della tardiva ma totale proibizione totale<br />

irrogata nel 1676 dalla congregazione dell’Indice 74 .<br />

La complessità dell’autore, la sua posizione politico-religiosa nelle<br />

guerre francesi, il suo genere e stile di scrittura, la struttura dei suoi saggi,<br />

erano certo tali da non aiutare tanto la decifrazione del personaggio,<br />

quanto quella del suo pensiero. Non aiutarono infatti la lettura della<br />

copia degli Essais, sequestrata al gentiluomo al suo arrivo a Roma, che<br />

il Maestro del Sacro Palazzo Sisto Fabri da Lucca affidò a due censori<br />

in grado di intendere il francese. Questi non sollevarono alcun punto di<br />

schietta eresia e non dedussero le vaste conseguenze della decostruzione<br />

scettica che Montaigne accennava di tutti i secolari costrutti della <strong>filosofia</strong><br />

e della teologia cristiana: teologia naturale e <strong>filosofia</strong> come preambulum<br />

fidei; anima e dimostrabilità filosofica della sua immortalità; provvidenza,<br />

fine e antropocentrismo; religione divina e cause umane; correzione giudiziaria<br />

dell’eresia e uniformitas confessionale; civiltà e barbarie; uomo e<br />

bestia; ragione, immaginazione e sensi. I censori certo elencano nelle loro<br />

parallele perizie luoghi sospetti molto più numerosi di quelli registrati<br />

dall’interessato nel racconto del caso presentato nel Journal de voyage. Il<br />

prestigio o forse anche le protezioni politiche di Montaigne, trattato con<br />

tutti gli onori durante la sua permanenza a Roma, gli spunti anti-luterani<br />

coglibili in certe sue pagine, il discutibile rilievo, a parere di Fabri, di molte<br />

delle censure mosse agli Essais indussero il Maestro solo a una benevola e<br />

ridimensionante esortazione all’autocensura secondo coscienza, nel caso<br />

l’autore avesse inteso ristampare la sua opera. Una decisione che anche<br />

nel racconto che ne fece Montaigne echeggia qualche dissenso interno<br />

agli uffici. Montaigne si limiterà peraltro a inserire, muovendo dall’edizione<br />

del 1582 degli Essais, una dichiarazione cautelativa (nel saggio I,<br />

LVI, Delle preghiere, continuamente emendata nelle edizioni successive,<br />

con meticolosa assidua riscrittura) circa il carattere non asseverativo ma<br />

incerto e dubbioso di certe sue riflessioni, di obbedienza alla Chiesa, e di<br />

147


I TEMI<br />

sottomissione alla sua censura, sul cui valore non infamante egli ricorda<br />

nel Journal di aver peraltro ricevuto una bonaria lezione proprio da Fabri;<br />

nulla sostanzialmente attenuando o correggendo sui punti intorno ai quali<br />

i revisori avevano richiamato la sua attenzione, anzi spesso “rincarando<br />

la dose” 75 . Salvo avvertire che il suo uso del termine “fortuna” era da<br />

tenersi quale traduzione letteraria classicheggiante del termine cristiano<br />

di “provvidenza”, e che le sue menzioni di letterati eretici e di Giuliano<br />

l’Apostata erano da riferirsi non alle loro idee o posizioni religiose, ma<br />

alle loro virtù poetiche o politiche e intellettuali.<br />

Mette qui conto rilevare che proprio ancora nel Delle preghiere, e<br />

con ricorso a continui riassestamenti fra i diversi stati testuali registrabili<br />

attraverso le varie edizioni e integrazioni manoscritte degli Essais, viene<br />

riproposto da Montaigne, tentando di eludere le prescrizioni ecclesiastiche,<br />

il ricorso alla “doppia verità”, al punto che egli è parso «anticipare la<br />

vicenda postuma e la tragica conclusione della vita di Giordano Bruno, ma<br />

anche punti di forza della difesa del Nolano davanti all’Inquisizione: ho<br />

parlato da filosofo, non da teologo» 76 ; benché, si deve dire, la posizione di<br />

Bruno, accusato di gravi eresie, sarà piuttosto diversa, e certo la sua linea<br />

difensiva, invocante lo “stile” averroista, fu in realtà «perdente», poiché<br />

quello “stile” era riprovato dalla Chiesa, e da lungo tempo 77 . Montaigne,<br />

su basi diverse rispetto a Bruno, anche per rapporto a una diversa idea<br />

di <strong>filosofia</strong>, riscrive in termini scettici quello “stile”. Egli rivendica il<br />

diritto a parlare «temerariamente» e in lingua di «laico» opinante, sempre<br />

«molto religioso», ma non «clericale», di qualunque materia, anche<br />

morale e spirituale, non definita dal dogma, asserendo tuttavia il rispetto<br />

più profondo per le verità insegnate dalla Chiesa, per l’uso liturgico e<br />

“professionale” delle Scritture (motivo del resto anti-protestante) e per<br />

il linguaggio e il rango specifici della teologia, e procedendo sul crinale<br />

rischioso della distinzione tra la <strong>filosofia</strong> come pratica “libera” e “umana”,<br />

poiché tanto debole e incerta, quanto inutile alla teologia, e questa come<br />

scienza sacra che della <strong>filosofia</strong> non ha bisogno. Appare degno di nota<br />

che Montaigne, contro l’impostazione scolastica, e soprattutto tomistica,<br />

si appelli incidentalmente sul punto, nella continua riscrittura di questi<br />

passaggi del Delle preghiere, alla interpretazione data da Giovanni Crisostomo<br />

di I Corinzi, 2, 6-7, dove Paolo secondo il Padre greco dice della<br />

ragione umana come di ancilla contempta dalla scienza sacra, dissolvendo i<br />

legami tra <strong>filosofia</strong> e teologia; e ad Agostino, De civitate Dei, X, 29, dove il<br />

Padre latino però non condona, ma piuttosto rimprovera ai filosofi pagani<br />

di evocare verbis indisciplinatis verità intuite e rappresentate pur nella<br />

confusione del linguaggio (e infine, a differenza dei cristiani, dai pagani<br />

non abbracciate) 78 . Nel quadro della problematicità di applicazione della<br />

Apostolici regiminis, resta il ben diverso dramma: nel caso di Bruno quella<br />

148


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

bolla fu applicata in vita e contribuì a spezzarla; in quello di Montaigne,<br />

solo post mortem 79 . L’opera di Montaigne continuò infatti a circolare a<br />

lungo liberamente e a essere presentata in ambito cattolico come suscettibile<br />

di un’interpretazione apologetica in chiave scettico-fideistica, che<br />

non attenua tuttavia la complessità della “religione di Montaigne” e del<br />

suo rapporto con la teologia cristiana, anche riformata 80 .<br />

La riforma dell’Indice riavviata nel 1587 da Sisto V dal languore in<br />

cui l’aveva lasciata nel 1584, morendo, il prefetto della congregazione<br />

Guglielmo Sirleto, è stata largamente indagata dalla storiografia nei suoi<br />

diversi aspetti, anche con riguardo alla dialettica fra moderazione (della<br />

congregazione) e finale durezza (del pontefice) che l’aveva segnata 81 .<br />

Per la <strong>filosofia</strong>, si riorganizza il lavoro espurgatorio su autori intorno<br />

ai quali, come Cardano e Giorgio Veneto, questo era già cominciato; è<br />

sempre molto vivo e consapevole l’interesse a correggere e rimettere in<br />

circolo opere di naturalisti protestanti, utili o indispensabili nei rispettivi<br />

campi disciplinari, ivi incluso il Rheticus che con Copernico sostiene il<br />

moto della terra; e si discorre di emendare autori poi giudicati inemendabili,<br />

come Erasmo e finanche i Discorsi e le Istorie di Machiavelli. Si apre<br />

il dibattito intorno alla complessa produzione politica, demonologica e<br />

filosofica di Jean Bodin, intrecciata con la questione delle guerre civili<br />

in Francia; si riprende quello non meno difficile su Lullo e intorno alla<br />

questione del Talmud, che invece investono altri scenari anche politici.<br />

Sono presenti nella pratica espurgatoria testi di tradizione neoplatonica,<br />

da Leone Ebreo ad Agostino Steuco. Tra vecchi dossiers come quelli intestati<br />

agli autori sopra ricordati, a Ramo o ad altri critici o commentatori<br />

protestanti di Platone e di Aristotele, a filosofi medievali quali Ochkam<br />

e ad aristotelici secolari come Pomponazzi e Simone Porzio, finalmente<br />

affiora anche l’attualità filosofica. Si discute e infine si fa divieto sopra<br />

l’Examen de ingenios (1575) di Juan Huarte, medico di Filippo II, per le<br />

sue concezioni dell’anima e la sua visione naturalistica 82 . E in carte della<br />

congregazione risalenti al 1587 spunta il nome di Telesio come filosofo<br />

da correggere, contro il quale Giacomo Antonio Marta pubblica in quell’anno<br />

il suo Pugnaculum Aristotelis 83 .<br />

Vittorioso sulla resistenza offerta dalla congregazione, Sisto V ha infine<br />

ricavato un nuovo Indice, indurito nelle regole e nelle liste proibitorie,<br />

che, pronto per la promulgazione nel 1590, risparmia tuttavia Telesio, il<br />

cui nome non compare fra gli autori vietati, a differenza dell’averroista<br />

Alessandro Achillini, di Porzio e Speroni, di Leone Ebreo e degli illustri<br />

sospesi donec repurgentur Giorgio Veneto, Cardano, ma anche dell’aristotelico<br />

inglese John Case e del nuovo arrivato Bodin. Ma pare sia invece<br />

l’applicazione di quella clausola limitativa al divieto al Talmud – terreno<br />

di aspri scontri in curia – a indurre il cardinale Giulio Antonio Santori,<br />

149


I TEMI<br />

in nome del Santo Uffizio, a ottenere dal successore di Sisto V, morto<br />

nell’agosto del ’90, Urbano VII, papa per poche settimane, di revocare la<br />

promulgazione già sospesa del nuovo Indice, che aveva peraltro suscitato<br />

le immediate preoccupazioni della diplomazia veneziana, interprete degli<br />

interessi della patria editoria 84 . La ripresa nel 1592, regnante Clemente VIII,<br />

della riforma della censura è stata anch’essa studiata, fino al compimento<br />

dell’Indice nuovo, che poté essere tuttavia pubblicato solo nel 1596, dopo<br />

ben due sospensioni della promulgazione disposte dal pontefice per diverse<br />

cause: una vicenda politica che si deve qui prescindere dal trattare,<br />

essendo stato fatto altrove, in generale, e anche in relazione al tema della<br />

<strong>filosofia</strong>, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi 85 .<br />

Il nuovo Indice avrebbe costituito una sorta di strozzatura delle<br />

principali tendenze filosofiche italiane di indirizzo anti-aristotelico,<br />

rappresentate appunto da quei due filosofi, fino ad allora tollerate o<br />

addirittura incoraggiate nell’ambiente ecclesiastico e, nel caso di Patrizi,<br />

finanche dallo stesso pontefice. Tali proibizioni coincisero con altri<br />

episodi inquisitoriali e censori, che avrebbero marcato con ulteriore<br />

drammaticità l’atteggiamento della Chiesa verso la <strong>filosofia</strong>: l’inizio delle<br />

vicende inquisitoriali di Tommaso Campanella e la contestuale proibizione<br />

di opere sue; la persecuzione di Nicola Antonio Stigliola (nel cui<br />

caso la <strong>filosofia</strong> in quanto tale non appare però centrale) 86 ; e soprattutto<br />

il processo e il rogo di Bruno e il divieto di tutti i suoi libri. Sì che non ci<br />

si può sottrarre all’impressione che il regno di Clemente VIII, cominciato<br />

nel segno di una certa protezione dei filosofi 87 , poi in fondo riassumibile<br />

nel singolare rapporto fra l’Aldobrandini e Patrizi, abbia nel volgere di<br />

poco tempo imboccato una via esiziale e costituito il prologo della posteriore<br />

storia del caso copernico-galileiano, anche per certa oscillazione<br />

fra intransigenza e moderazione. Nelle nuove liste proibitorie approntate<br />

dalla congregazione non compaiono filosofi già inclusi in quelle sistine<br />

(Achillini, Porzio, Speroni). Ma Bellarmino propone l’inserimento nel<br />

nuovo Indice dell’opera principale e di alcuni opuscoli di Telesio 88 ; e il<br />

caso Patrizi dimostra nel suo complesso svolgimento problematiche di<br />

vivo rilievo.<br />

Il nuovo papa Aldobrandini ha studiato nel particolare ambiente<br />

di Padova e fra le prime scelte del suo regno in campo profano compie<br />

quella di chiamare alla <strong>Sapienza</strong>, a insegnarvi <strong>filosofia</strong> “platonica”, un<br />

personaggio come Patrizi, che nel 1591 ha dato fuori a Ferrara la Nova de<br />

universis philosophia. Il libro del Patrizi è in certo senso un libro “quasi<br />

proibito” sul nascere e in parte già teoricamente “espurgato”, se si pone<br />

mente alle molte annotationes che la censura locale ha disposto fossero<br />

collocate in calce a numerose pagine dell’opera, condizione della sua<br />

pubblicabilità. Dalla dedica dell’opera all’allora regnante Gregorio XIV,<br />

150


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

e dalle ben undici ulteriori dediche ad altrettanti cardinali (fra cui Aldobrandini)<br />

che decorano le varie sezioni del sontuoso progetto, sale un<br />

disegno inquivocabile: restaurare la <strong>filosofia</strong> platonica e neoplatonica, con<br />

il suo denso corteo di “concordanze” con le più diverse fonti sapienziali<br />

pagane, come più vicina e accordabile alla Rivelazione; far sloggiare dalle<br />

scuole l’aristotelica, ritenuta profondamente incomponibile con la stessa;<br />

e tutto sulla base di un disegno apologetico, ovvero di aiutare la Chiesa<br />

nel recupero del terreno perduto in Europa con la Riforma. L’allora<br />

ancora cardinale Aldobrandini si disse entusiasta dell’opera e volle, da<br />

papa, Patrizi a Roma. Circostanza che in sé dovrebbe indurre a ritenere<br />

che nella curia romana il richiamo severo alla uniformitas tomistica non<br />

appare così consequenziale.<br />

La censura del domenicano Saragoza (avallata dal Maestro del Sacro<br />

Palazzo Bartolomeo de Miranda), sulla cui base fin dall’ottobre 1592 la<br />

congregazione decide l’inserimento di Patrizi nel nuovo Indice con la<br />

formula nisi fuerit ad auctore correcta, salvo chiederne conferma al papa 89 ,<br />

rappresenta un tipico esempio di scontro fra la sopra richiamata istanza<br />

dell’uniformitas tomistica e una tendenza del tutto contrastante. Saragoza<br />

ha respinto la Nova philosophia come per più aspetti contrastante con le<br />

Scritture, con i Padri, con la tradizione della Chiesa, poiché proponente<br />

una sorta di teologia platonica del tutto inconciliabile sia con le fonti della<br />

Rivelazione, sia con il magistero, sia con la teologia scolastica, insolentemente<br />

criticata da Patrizi; e tesi di <strong>filosofia</strong> naturale (moto della Terra,<br />

infinità dell’universo, animazione degli astri) contrastanti non solo con la<br />

scienza aristotelica, il che appare in fondo secondario, ma di nuovo con<br />

le Scritture e con la tradizione patristica e teologica, che vanno intese<br />

dal censore come dirimenti non solo per le questioni di fede e di morale,<br />

ma anche per punti naturali. Saragoza respinse infine proprio e anche in<br />

Patrizi il tentativo di proporre un’esegesi delle verità cristiane a mezzo di<br />

quelle «espressioni indisciplinate» (verbis indisciplinatis) o «temerarie»<br />

che Agostino e i buoni teologi definivano anticamera dell’eresia, e che<br />

nella riscrittura che ne aveva proposto Montaigne avrebbe dovuto costituire<br />

l’area di tolleranza della trattazione non teologico-professionale<br />

dei temi cristiani da parte dei “laici” o “filosofi”. Secondo Saragoza,<br />

Patrizi sostiene spesso tesi chiaramente eretiche, sulle quali dovrebbe<br />

pronunciare il suo ripudio, secondo la Apostolici regiminis.<br />

Già nel novembre 1592 Patrizi − che con una Apologia aveva chiesto<br />

più equanime e competente censore e invocato i Padri, la teologia negativa<br />

dello Pseudo-Dionigi e il Gaetano per dimostrare l’empietà di Aristotele<br />

e la congruenza del platonismo con le fonti cristiane e implorato di poter<br />

scrivere da filosofo intorno a cose della fede nella quali crede tuttavia<br />

secondo le formule stabilite dalla Chiesa (riedizione della “doppia ve-<br />

151


I TEMI<br />

rità”) − si dice pronto a ritrattare eventuali errori, non eresie; di queste<br />

si protesta invece del tutto innocente. Ne offre prova nelle arrendevoli<br />

Emendationes proposte alla congregazione, che in fondo accolgono parte<br />

dei rilievi di Saragoza (molto contestati nell’Apologia) e che dovrebbero<br />

costituire base dell’applicazione al suo caso dell’autoconfutazione. Nei<br />

mesi successivi, gli sforzi di Patrizi – che passano attraverso l’appoggio<br />

non negato del pontefice – si appunteranno sul tentativo di evitare che<br />

la sua opera venga menzionata nel nuovo Indice, sia pure come in via<br />

di espurgazione, che le sue emendazioni non vengano valutate di nuovo<br />

dal Maestro del Sacro Palazzo ma da altro censore. Questi dovrebbe<br />

elaborare una Admonitio al lettore da premettersi a una nuova edizione<br />

della Nova, nella quale l’autore rifonderebbe le emendazioni approntate<br />

e pubblicherebbe anche una lettera al papa, in effetti già vergata, nelle<br />

cui righe il sostanziale ribadimento del disegno platonico-apologetico<br />

originario viene accompagnato dalla consapevolezza dello scandalo che<br />

il linguaggio non scolastico adoperato potrebbe suscitare.<br />

In altri termini − dobbiamo ritenere − la soluzione proposta da Patrizi,<br />

annuente Pontifice, è che l’autore possa ottenere una sia pur molto castigata<br />

libertà di scrivere da filosofo, in linguaggio non scolastico, di temi anche<br />

teologici, oltre che filosofici. Appare significativo che questa linea trovi<br />

iniziale collaborazione, con l’avallo papale, nella Compagnia di Gesù, al<br />

cui generale Claudio Acquaviva, attaccato dai tomisti “rigidi” per le sue<br />

posizioni “liberali” sulla uniformitas dottrinale e la Ratio studiorum, la<br />

congregazione dell’Indice chiede di designare un nuovo censore della<br />

Nova. La scelta cade su un canonista più che teologo, padre Benedetto<br />

Giustiniani, la cui censura si risolve nella Admonitio desiderata da Patrizi.<br />

Un testo interessante che, per dissolvere il rischio dello scandalo del lettore,<br />

per un verso subito neutralizza il potenziale ereticale della <strong>filosofia</strong><br />

naturale di Patrizi, asserendo che le teorie avanzate o ripetute dall’autore<br />

(incluso il moto della Terra), benché avversanti la tradizione filosofica,<br />

in quanto vertenti su cose opinabili devono essere discusse dai filosofi e<br />

godono di una relativa autonomia. Contraddire Aristotele non è peccato.<br />

Ma soprattutto che l’interpretazione tradizionale delle Scritture e dei Padri<br />

in materia potrebbe essere rivista e accordata a queste, come ad altre teorie<br />

sulla natura (preannuncio di posizioni in parte galileiane, che lo stesso<br />

Giustiniani smentirà e invertirà di lì ad alcuni anni, firmando la celebre<br />

qualificazione di eresia dell’eliocentrismo del 24 febbraio 1616). Per un<br />

altro verso, circa il Patrizi che “teologizza”, Giustiniani smussa gli angoli:<br />

l’autore è un filosofo, non un teologo; il suo linguaggio è spesso oscuro<br />

e incauto, certo non scolastico; si avvale della teologia negativa, o della<br />

teologia neoplatonica o ermetica, o di fonti sospette o inquietanti, di cui<br />

spesso mutua gli ambigui termini, o ripete gli errori, ma la sua intenzione<br />

152


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

è cattolica, il lettore non si scandalizzi. Quanto all’efficacia apologetica e<br />

conversionistica di questa intenzione, essa è però virtualmente destituita:<br />

Giustiniani conclude di fatto che lo scopo dell’autore è ben lungi dall’essere<br />

conseguito, poiché se l’intento era apologetico, l’effetto è così torbido da<br />

richiedere appunto Admonitio e castigatio. Ed è il papa, ciò fatto, a chiedere<br />

a Patrizi un ulteriore impegno: compilare declarationes sui luoghi più<br />

delicati, dotandone la ristampa dell’opera; ed è ancora un gesuita, Juan<br />

Azor, a dare su di esse, infine prodotte, la sua approvazione. Solo la prima<br />

sospensione dell’Indice ormai stampato decisa dal papa nel luglio 1593 risparmia<br />

a Patrizi l’onta di esservi menzionato, seppure donec corrigatur. Ma<br />

nel contesto molto complesso delle tensioni fra congregazione e pontefice<br />

su più generali problemi, il filosofo resta impigliato e infine modestamente<br />

favorito. Invece che dar corso al progetto dell’immediata riedizione della<br />

Nova, la congregazione chiede al cardinale Francisco Toledo un parere<br />

dirimente. Gesuita, ma avversario tenace di Acquaviva, e portavoce della<br />

corona e dell’inquisizione di Spagna nelle loro polemiche contro la sua<br />

direzione della Compagnia, Toledo non è incline ad alcun “liberalismo”<br />

filosofico-teologico. Nel 1573, nei suoi commenti alla Fisica aristotelica,<br />

ha ribadito con dure espressioni la validità del quadro giuridico stabilito<br />

in materia filosofica dalla Apostolici regiminis. Sulla base del suo parere,<br />

il 2 luglio 1594 la congregazione proibisce omnino la Nova, ne congela la<br />

expurgatio e al suo cospetto sottopone il filosofo a umiliante sconfessione.<br />

Il carattere del divieto appare però di nuovo mitigato nell’Indice infine<br />

promulgato nel 1596, laddove è ripetuta la formula già adottata nel 1593:<br />

l’opera è vietata fino a quando l’autore non l’avrà espurgata sotto il controllo<br />

del Maestro del Sacro Palazzo. Ma Patrizi muore nel febbraio del<br />

1597 e nessuna expurgatio sarà più realizzata, benché per un certo tempo<br />

ancora tenuta in programma 90 . Nel documentato contesto di una rigorosa<br />

rilettura della tradizione platonica nel suo confronto con la cultura<br />

teologico-filosofica vigente 91 , Bellarmino convinceva Clemente VIII che<br />

alla fede cristiana nuoceva più Platone, che ad essa qualcuno avvertiva<br />

più vicino, di Aristotele, che ne era più distante; così come alla Chiesa<br />

recavano maggior danno i libri di altri cristiani, ma eretici, come i luterani,<br />

che quelli dei filosofi pagani 92 .<br />

Contemporaneo all’irrigidimento contro le tendenze neoplatoniche<br />

fu, durante la riforma clementina dell’Indice, quello contro il naturalismo<br />

telesiano e la sua ripresa da parte di Tommaso Campanella 93 . Questi<br />

aveva pubblicato a Napoli nel 1591 la Philosophia sensibus demonstrata,<br />

intensa apologia di Telesio 94 , con imprimatur del vicario Bruto Farneti,<br />

su revisione del teologo dell’arcivescovo Annibale Di Capua, frate Pietro<br />

Roberto. Tra l’altro, l’autore tentava di volgervi in vantaggio del nuovo naturalismo<br />

diffidenze verso l’aristotelismo maturate nella stessa tradizione<br />

153


I TEMI<br />

domenicana e tomistica, ed espresse in tempi recenti da Melchior Cano<br />

(De locis theologicis); sosteneva però la piena concordia di Telesio con le<br />

Scritture e i Padri e respingeva come empia la <strong>filosofia</strong> di Aristotele.<br />

Se per un verso la Philosophia contribuì a compromettere la posizione<br />

di Campanella nell’ordine domenicano, sì che nella sentenza con cui il<br />

Capitolo napoletano concluse, il 28 agosto 1592, il processo disciplinare<br />

per evocazione demonica, gli si ingiunse di attenersi alla dottrina tomista<br />

e di riprovare Telesio; per un altro verso cooperò forse ad avvalorare<br />

nella censura centrale la sensazione di pericolosità della <strong>filosofia</strong> telesiana.<br />

Inserito il nome di Telesio con la nota donec expurgetur nella seconda<br />

classe dei libri proibiti già nell’Indice stampato e non promulgato del<br />

1593, nonostante fra gli amici del defunto filosofo corresse voce di un<br />

intervento in suo favore del cardinale Gallio, suo protettore in vita 95 , il<br />

divieto è ribadito nell’Indice definitivo del 1596, sebbene forse qualcuno<br />

abbia cercato in extremis di rimuovere Telesio dagli elenchi finali 96 . La<br />

proibizione investe il De rerum natura iuxta propria principia e due opuscoli<br />

pubblicati postumi nel 1590 da Antonio Persio. L’espurgabilità dei libri<br />

telesiani sarebbe tuttavia apparsa molto opinabile fra i consultori 97 . Ma è<br />

certo che ancor prima del divieto ufficiale, l’apologia di Telesio costituiva<br />

motivo di sospetto verso Campanella nel cardinale Francesco Maria Del<br />

Monte e in Baccio Valori. Consapevoli del fatto che l’Indice vagliava<br />

Telesio, essi misero sull’avviso il granduca di Toscana Ferdinando I, al<br />

quale Campanella si era rivolto, lasciata Napoli, per ottenere sistemazione<br />

accademica, predisponendolo a una decisione negativa 98 .<br />

L’atteggiamento repressivo nei confronti del telesianismo, nonostante<br />

esitazioni e dissensi interni agli organi censori che i documenti lasciano<br />

divinare, risultò infine piuttosto determinato e tale da contribuire ad<br />

aggravare anche la posizione di Campanella.<br />

La questione delle opere fin lì pubblicate dal frate non fu sollevata,<br />

nella congregazione dell’Indice, che solo dopo che quegli ebbe subìto,<br />

tra la fine del 1593 e l’ottobre 1595, il suo primo processo inquisitoriale tra<br />

Padova e Roma (e nel quale gli fu chiesto conto di dottrine esposte nel<br />

manoscritto De sensu rerum sequestratogli a Bologna forse da emissari<br />

dell’Inquisizione), giacché è punto registrato, sebbene rinviato, già nei<br />

verbali della congregazione del 3 luglio 1593. La decisione di lì a breve<br />

assunta dal papa di sospendere la promulgazione dell’Indice contribuì a<br />

differire il caso. Il 7 novembre 1595 l’Indice vietò almeno la Philosophia<br />

sensibus demonstrata, forse in relazione con il processo inquisitoriale<br />

appena concluso. E all’esito del secondo processo, per eresia e superstizione,<br />

aperto nel 1597 a seguito delle accuse di Scipione Prestinace, sarà<br />

il Santo Uffizio a disporre il divieto per tutte le opere edite e gli scritti<br />

di Campanella 99 .<br />

154


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

Non dovrà essere qui rievocata la più generale problematica, ben<br />

presente in letteratura, della parziale delega “in periferia”, decisa dalla<br />

congregazione dell’Indice verso la fine del 1596, alle autorità episcopali e<br />

inquisitoriali, che dovranno avvalersi della consulenza di censori locali e<br />

di facoltà universitarie e ordini religiosi, della expurgatio dei libri vietati,<br />

entro cui un notevole rilievo (e difficoltà e lentezze) denota la espurgazione<br />

dei libri di <strong>filosofia</strong>, e fra questi dei libri di Telesio 100 . Un meccanismo<br />

che non diede grandi risultati, con relativa irritazione della congregazione<br />

romana, pressata dalle richieste di permessi di lettura da parte degli<br />

studiosi, e che nel caso della <strong>filosofia</strong> riguardò un po’ meno di sessanta<br />

titoli proibiti fino a correzione, di cui si occuparono il vescovo di Padova<br />

e gli inquisitori di Padova e di Vicenza (e più tardi anche l’inquisitore di<br />

Pisa e la curia di Napoli), con l’ausilio, a Padova, non proprio efficiente<br />

e tempestivo, delle facoltà teologica e filosofico-medica dello Studio.<br />

La maggior parte dei libri espurgandi era costituita da titoli vietati da<br />

Indici cattolici precedenti, e non solo e tanto dal clementino; spesso si<br />

trattava di libri usciti da molto tempo; e la lista spedita a Roma da Padova<br />

probabilmente entro il marzo 1598 riguardava prevalentemente edizioni<br />

aristoteliche o libri filosofici e di argomento naturalistico pubblicati in<br />

terra di Riforma o da curatori protestanti. In questo contesto, la censura<br />

firmata dal teologo scotista Guglielmo Pallantieri, da Cesare Cremonini<br />

e da altri teologi e filosofi patavini e avallata il 25 novembre 1600 dal vescovo<br />

e dall’inquisitore di Padova, condotta sui soli primi dodici capitoli<br />

del libro primo del De rerum natura, si presenta più come liquidazione<br />

dell’opera, che quale progetto espurgatorio, destinato del resto a fallire<br />

del tutto in capo ad alcuni anni 101 .<br />

La censura di Padova, che vede convergere nella demolizione di Telesio<br />

la teologia scolastica e la <strong>filosofia</strong> aristotelica “laica” del Cremonini,<br />

vale tuttavia a ben documentare le ragioni essenziali della non procedibilità<br />

di un Telesio “accomodato”. Le fonti teologiche e scritturali del<br />

disciplinamento medievale dell’aristotelismo sono addotte dai censori<br />

per dimostrare ma anche accentuare oltre il consueto una sorta di “consacrazione”<br />

cattolica della <strong>filosofia</strong> di Aristotele criticata da Telesio. La<br />

“inescusabilità” (sottolineata da Paolo e da Agostino) dei filosofi pagani<br />

che hanno intuito l’unico Dio ma non l’hanno voluto adorare è rovesciata<br />

nella “inescusabilità” di un filosofo cristiano che voglia allontanarsi<br />

da Aristotele nella spiegazione della natura, poiché quella spiegazione<br />

viene elevata, sulla base di Clemente Alessandrino, al rango di pur<br />

parziale “rivelazione” data da Dio ai greci. Laddove questi producono<br />

affermazioni contrarie a punti fondamentali della superiore Rivelazione<br />

cristiana, come la mortalità dell’anima, si invocano le decisioni conciliari<br />

(Vienne e Apostolici regiminis). Ma i filosofi pagani sono “inescusabili”<br />

155


I TEMI<br />

per aver mancato nel culto dell’unico Dio, non per aver questo sia pur<br />

imperfettamente configurato nei loro ragionamenti. Pertanto, erra Telesio<br />

quando attacca Aristotele in quanto filosofo e soprattutto maneggia<br />

erroneamente le Scritture quando si permette di adoperarle contro la<br />

cosmologia aristotelica e in favore della propria.<br />

Questo documento restituisce il livello di compenetrazione (e di<br />

forzatura) fra teologia scolastica e aristotelismo che certi apparati dimostrano,<br />

di là dei differenziati atteggiamenti che sul tema si avvertivano<br />

soprattutto in quel contesto gesuitico (ma non solo gesuitico) cui si era<br />

per esempio appigliato in vita lo stesso Telesio. Inoltre, la sferzante durezza<br />

dei censori sull’intangibilità dei sacri testi da parte di un filosofo<br />

profano e sui suoi tentativi di “concordismo” sembra preparare la linea<br />

su cui moderati e intransigenti si ritroveranno sostanzialmente uniti nel<br />

caso Copernico-Galileo del 1616 (sebbene divisi sulla operabilità di una<br />

definizione magisteriale in tema e sulla conduzione politico-giudiziaria<br />

del caso). La linea prevalsa a Padova su Telesio con la firma di Cremonini<br />

finirà d’altra parte per ispirare poco più avanti anche la persecuzione di<br />

quest’ultimo: la compenetrazione fra scolastica e aristotelismo se non<br />

consente a Telesio di attaccare Aristotele, non può permettere neppure<br />

a Cremonini di insegnarne la teoria dell’anima secondo lo stile della<br />

“doppia verità”; le prime inchieste sul professore di Padova su questo<br />

vertono e si collocano tra il 1598 e il 1604. Secondo questa stessa logica,<br />

negli stessi anni, la censura centrale, superando ambiguità e ritardi della<br />

censura locale, riduce a postuma correzione nei termini della Apostolici<br />

regiminis, sul punto dell’immortalità dell’anima, i libri di uno dei grandi<br />

maestri dell’aristotelismo padovano di indirizzo alessandrista, Jacopo<br />

Zabarella, morto nel 1589 102 .<br />

Nel complesso processo a Bruno, l’intreccio di ragioni teologiche<br />

e filosofiche (nel cui ambito i temi cosmologici cominciano tuttavia ad<br />

apparire con maggior rilievo) è come noto molto profondo, sebbene proprio<br />

nel caso del Nolano sia l’appello alla “doppia verità”, formalmente<br />

vietato dalla Apostolici regiminis, a pregiudicare la strategia difensiva<br />

dell’imputato e ad alimentarne, anche proprio sullo scabroso argomento<br />

della natura dell’anima, la finale impenitenza 103 . Il ruolo dell’irriducibile<br />

Campanella nella congiura calabrese del 1599 travolge il “filosofo”, oltre<br />

che il “profeta”, e la sentenza di carcere perpetuo per eresia del 1603<br />

prelude all’inserimento di tutte le sue opere nel decreto integrativo dell’Indice<br />

del 1596 stilato nell’agosto 1603 dal Maestro del Sacro Palazzo, in<br />

cui sono ricomprese anche tutte le opere di Bruno, per conseguenza della<br />

condanna capitale per eresia comminata all’autore nel febbraio 1600 104 .<br />

La soluzione “intra-gesuitica” del caso di Patrizi protetto dal papa<br />

(con il superamento della posizione molto dura del primo censore<br />

156


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

domenicano e il confronto fra censori della Compagnia di difforme<br />

orientamento), la liquidazione rigidamente scolastica del caso Telesio e il<br />

trattamento di Campanella e di Bruno hanno l’effetto di bloccare forme<br />

importanti di critica radicale dell’aristotelismo e del suo accordo con la<br />

teologia cristiana, che nei primi decenni del secondo Cinquecento erano<br />

state tuttavia ammesse in alcune loro formulazioni, e finanche incoraggiate<br />

anche nella società <strong>ecclesiastica</strong>, in corrispondenza di interpretazioni<br />

differenziate di quell’accordo, verificate nel seno stesso della cultura<br />

teologico-filosofica degli ordini religiosi e delle gerarchie.<br />

Il nuovo secolo si apre con un duplice monito rivolto dal “centro”<br />

alla “periferia” della Controriforma: i filosofi “novatori” si astengano dal<br />

maneggiare le Scritture e i Padri a sostegno di visioni fortemente deroganti<br />

o contrapposte rispetto al tradizionale accordo fra aristotelismo e teologia<br />

scolastica, o dal rivendicare l’indipendenza del discorso filosofico, sia<br />

pure nel formale ossequio del magistero e della teologia; gli aristotelici<br />

si attengano alle consolidate prescrizioni in merito ai luoghi della lettera<br />

aristotelica e della sua tradizione interpretativa per solito imbarazzanti<br />

la fede del cristiano. Nonostante le lentezze e i limiti del sistema censorio<br />

ed espurgatorio, Clemente VIII, il papa “protettore dei filosofi”, ha<br />

suggellato entro la fine del suo regno (1605) un sostanziale giro di vite,<br />

conseguenza tuttavia non di una strategia precisa, ma dell’intreccio fra gli<br />

schemi medievali e di primo evo moderno adattati nella Controriforma<br />

e congiunture di vasta articolazione. Su questa fase, ma con proiezione<br />

nelle vicende del secolo XVII 105 , non sarà inutile richiamare ancora il caso<br />

Montaigne: la moderazione dimostrata nel 1581 e l’intransigenza adottata<br />

nel finale divieto del 1676 verificano sì la lunga durata di quegli schemi,<br />

ma anche l’importanza dei contesti specifici e delle condizioni particolari<br />

in cui vengono fatti valere.<br />

Note<br />

1. Cfr. A. Chastel, Il sacco di Roma. 1527, Einaudi, Torino 2010 2 , p. 49.<br />

2. Cfr. I. Jostock, La censure négociée. Le contrôle du livre a Genève 1560-1625, Droz,<br />

Genève 2007, p. 14 s. Fra le altre cause di questo “ritardo” rispetto alle indagini intorno<br />

alla censura cattolica, l’autrice annovera la eterogeneità e la elevata distribuzione territoriale<br />

delle fonti documentarie, dovute al carattere “plurale” della Riforma, di contro al<br />

tono “unitario” attribuito alla storia della censura cattolica. Si dovrebbe tuttavia osservare<br />

che un sia pur minore carattere policentrico è rilevabile anche nella censura cattolica, in<br />

ragione dell’attribuzione a diversi centri di potere, ecclesiastico, universitario e secolare,<br />

delle prerogative di censura preventiva e repressiva e della emissione di Indici proibitori<br />

indipendenti; un sistema variegato sul quale la preminenza della censura romana e dei<br />

suoi Indici fu poco effettiva fuori dei territori italiani. Inoltre nello stesso sistema della<br />

censura romana, la delega a vescovi e inquisitori locali dei poteri preventivi contribuisce<br />

a connotarlo, almeno al livello della prima istanza, come tendenzialmente “pluralistico”.<br />

Ma la maggiore differenza fra censura cattolica e censura protestante (che fu preventiva<br />

157


I TEMI<br />

e repressiva, e conobbe anche la prassi espurgatoria) va ravvisata nello strumento almeno<br />

in aspirazione sistematico degli Indici proibitori, strumento peraltro apprezzato – per<br />

quanto nella sola prospettiva della riforma dei costumi e della fede cristiana rispetto alla<br />

letteratura profana “disonesta” e “superstiziosa” – , sia da esponenti della eterodossia<br />

italiana, sia da rappresentanti dell’indirizzo “spirituale” interno alla Chiesa cattolica; cfr.<br />

V. Frajese, Nascita dell’Indice. La censura <strong>ecclesiastica</strong> dal Rinascimento alla Controriforma,<br />

Morcelliana, Brescia 2006, p. 79 s. Per la bibliografia relativa alla censura in ambito<br />

protestante si rinvia a Jostock, La censure négociée, cit., pp. 409-24.<br />

3. Cfr. A. Rotondò, La censura <strong>ecclesiastica</strong> e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti,<br />

t. 2, Einaudi, Torino 1973, pp. 1399-492, p. 1404 s., laddove sottolinea il carattere<br />

meno organico e meno pervasivo, benché non occasionale, della censura protestante,<br />

con la conseguenza che lo «spazio del dissenso», pur fortemente ridotto, non fu mai del<br />

tutto eradicato. A differenza della Chiesa cattolica, le confessioni riformate non spensero<br />

«tutti i fermenti d’opposizione e di rinnovamento»; e negli Stati aderenti alla Riforma<br />

i poteri politici seppero elevare argini sicuri contro «le pretese repressive degli organi<br />

ecclesiastici». Molto attenuata la differenza tra area cattolica e area riformata nell’odierna<br />

valutazione comparativa, con proiezione cronologica fino al XVIII secolo, e tematica fino<br />

alla censura politica, offerta dalla riflessione di S. Seidel Menchi, S. Luzzi, L’Italia della<br />

Riforma, l’Italia senza Riforma, in Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, dir.<br />

scientifica di A. Melloni, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2011, 2 voll., vol. I,<br />

parte I, pp. 75-88, p. 84: «Per l’eterodossia esplicita non c’è spazio, come, del resto, non<br />

ce n’è nella gran parte d’Europa. Un approccio comparativo si rende in effetti necessario:<br />

la libera manifestazione del proprio pensiero è ovunque soggetta a forti limiti, imposti<br />

non solo dalla censura <strong>ecclesiastica</strong>, ma anche dalla censura di Stato, che nel Settecento, il<br />

secolo del libro trionfante, mostra una capacità di controllo superiore […]. A dispetto di<br />

miti radicati, anche in Olanda si celebra il triste rito del rogo dei libri […]». Fra gli studi<br />

italiani recenti, la censura libraria come soggetto interessante anche i Paesi protestanti<br />

è presente in U. Rozzo (a cura di), La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, Forum,<br />

Udine 1997. Un panorama problematico e bibliografico aggiornato della giustizia spirituale<br />

e della correzione giudiziaria di eterodossia e costumi anche in area protestante offre E.<br />

Brambilla, La giustizia intollerante. Inquisizione e tribunali confessionali in Europa (secoli<br />

IV-XVIII), Carocci, Roma 2006, ma senza accenni alla censura.<br />

4. Cfr. A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi,<br />

Torino 1996, p. XVI, dove, rilevate la «lunga durata e il fascino di quella linea ideale che la<br />

storiografia democratica dell’800 ha costruito da Lutero alla Rivoluzione francese», ne ha<br />

contestualmente indicato la «eclisse» nella cultura di oggi, nella quale la «triade Riforma<br />

(protestante) − Rivoluzione − Mondo moderno» appare compromessa dal fatto che è<br />

«come evaporato l’alone positivo che per secoli ha circondato l’idea di Rivoluzione come<br />

processo produttivo della modernità […]. Il risultato in termini storiografici è stato di<br />

rovesciare il rapporto tra l’Europa figlia della Riforma protestante e l’Europa cattolica:<br />

si tratti di stregoneria, di inquisizione, di casuistica, o di altre forme dell’oscurantismo<br />

un tempo attaccato dagli illuministi, oggi si tende a rovesciare il giudizio tradizionale e a<br />

rivalutare l’Europa cattolica».<br />

5. Cfr. la lettera a Elisabetta del Palatinato del 10 maggio 1647 (i teologi di Olanda vorrebbero<br />

«sottopormi ad un’inquisizione più severa di quanto non lo sia mai stata quella di<br />

Spagna, e fare di me l’avversario della loro Religione») e quella al diplomatico francese Abel<br />

Servien del 12 maggio dello stesso anno (dove Descartes auspica che il principe d’Orange<br />

e i Curatori della università di Leida «non approveranno che, dopo tanto sangue versato<br />

dai Francesi per aiutarli a cacciare da qui l’Inquisizione spagnola, un Francese, che un<br />

tempo ha anche imbracciato le armi per la stessa causa, sia oggi sottoposto all’Inquisizione<br />

dei Ministri di Olanda»); R. Descartes, Tutte le lettere 1619-1650, trad. it con testo francese,<br />

latino e olandese, a cura di G. Belgioiso, Bompiani, Milano 2009 2 , pp. 2439, 2447. Sul punto<br />

cfr. G. Rodis-Lewis, Cartesio. Una biografia, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 218 s.<br />

158


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

6. Cfr. A. Prosperi, L’arsenale degli inquisitori, inquisizione e Indice nei secoli XVI-XVII.<br />

Testi e immagini nelle raccolte casanantensi, Biblioteca Casanatense, Aistehsis, Roma 1998,<br />

pp. 6-12: p. 11 s.; e Id., I caratteri originali di una controversia secolare, in Comitato del<br />

Grande Giubileo dell’anno 2000. Commissione teologico-storica, L’Inquisizione, Atti del<br />

Simposio internazionale, a cura di A. Borromeo, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del<br />

Vaticano 2003, pp. 731-64: p. 742. Intorno alle polemiche anti-inquisitoriali cfr. ora M.<br />

Valente, Contro l’inquisizione. Il dibattito europeo secc. XVI-XVIII, Claudiana, Torino 2009.<br />

Cfr. anche A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in<br />

C. Mozzarelli (a cura di), Identità italiana e cattolicesimo. Una prospettiva storica, Carocci,<br />

Roma 2003, pp. 75-137: 87-9.<br />

7. Sulla proibizione di Descartes da parte della Chiesa cattolica nel 1663 cfr. J.-R.<br />

Armogathe, V. Carraud, La première condamnation des Oeuvres de Descartes, d’après<br />

des documents inédites aux Archives du Saint-Office, in “Nouvelles de la République des<br />

Lettres”, II, 2001, pp. 103-37. Su questo divieto e sulle condanne precedentemente emanate<br />

in Olanda da autorità calviniste cfr. ora anche per ulteriore letteratura M. Priarolo,<br />

Descartes, René, in A. Prosperi (sotto la direzione di), V. Lavenia e J. Tedeschi (con la<br />

collaborazione di), Dizionario storico dell’Inquisizione, Edizioni della Normale, Pisa 2010,<br />

vol. I, pp. 469-70. Sulle inchieste e misure disciplinari intorno alla diffusione del cartesianesimo<br />

in Olanda è sempre fondamentale P. Dibon, Regards sur la Hollande au siècle<br />

d’or, Vivarium, Napoli 1990, pp. 693-757.<br />

8. Cfr. S. Nadler, L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, Einaudi,<br />

Torino 2005.<br />

9. Per i divieti di Spinoza in ambito cattolico, ma con riferimenti a quelli pronunciati<br />

in ambito protestante, cfr. E. Canone, P. Totaro, Spinoza all’Indice. Nota su un capitolo<br />

poco conosciuto della storia dello spinozismo, in “Studi filosofici”, XVI, 1993, pp. 63-87; P.<br />

Totaro La Congrégation de l’Index et la censure des oeuvres de Spinoza, in W. van Bunge,<br />

W. Klever (eds.), Disguised and Overt Spinozism around 1700, Brill, Leiden-New York-Köln<br />

1996, pp. 353-78; Ead., Documenti su Spinoza nell’Archivio del Sant’Uffizio dell’Inquisizione,<br />

in “Nouvelles de la République des Lettres”, 20, 2000, pp. 95-128; Ead., Spinoza, Baruch,<br />

in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1472 s.<br />

10. Una sintetica introduzione anche al tema della censura statale, molto vasto e molto<br />

studiato, con ampia bibliografia, è data da M. Infelise, I libri proibiti, Laterza, Roma-Bari<br />

1999. Sul contemporaneo allestimento di strutture censorie ecclesiastiche e politiche nel<br />

primo Cinquecento cfr. le osservazioni di Frajese, Nascita dell’Indice, cit., pp. 20-3, 39-41 e la<br />

letteratura ivi ricordata, e H. Wolf, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, Donzelli,<br />

Roma 2006, pp. 11-5. Sul tema dei rapporti tra potere secolare e potere ecclesiastico in<br />

merito alla censura nei Paesi protestanti, ma anche più ampiamente sulla censura politica,<br />

cfr. le indicazioni critiche e bibliografiche date dalla Jostock, La censure négociée, cit.,<br />

pp. 14-21, 409-24. Per il caso inglese si aggiunga C. S. Clegg, Censorship and the Courts of<br />

Star Chamber and High Commission in England to 1640, in “Journal of Modern European<br />

History”, 3, 2005, pp. 50-80; ma va visto tutto il fascicolo, essendo dedicato a Censorship<br />

in the Early Modern Europe. Sull’aspetto “dottrinale” cfr. D. Quaglioni, “Conscientiam<br />

munire”: Dottrine della censura tra Cinque e Seicento, in <strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong> e cultura<br />

politica in Italia tra Cinque e Seicento, Sesta Giornata Luigi Firpo, Atti del Convegno, 5<br />

marzo 1999, a cura di C. Stango, Olschki, Firenze 2001, pp. 37-54, volume tutto da tener<br />

presente. Fra i contributi più recenti che riguardino anche la censura secolare e sul lungo<br />

periodo cfr. La censure en France sous l’ancien régime, Atti della giornata di studio tenuta<br />

in Sorbona il 19 gennaio 2008, in “Papers on French Seventeenth Century Literature”,<br />

vol. XXXVI, 71, 2009, pp. 323-503, a cura di M. Bernard e M. Levesque.<br />

11. Quaglioni, “Conscientiam munire”, cit. Intorno alla posizione di Bodin sulla libertà<br />

religiosa cfr. anche per ulteriore letteratura A. Suggi, Sovranità e armonia. La tolleranza<br />

religiosa nel Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />

Roma 2005.<br />

159


I TEMI<br />

12. Cfr. P. Sarpi, Sopra l’ufficio dell’inquisizione (18 novembre 1613), in Id., Scritti giurisdizionalistici,<br />

a cura di G. Gambarin, Laterza, Bari 1958, p. 203 s. Ma cfr. ivi anche Del<br />

vietare la stampa di libri perniciosi al buon governo (17 agosto 1615), pp. 213-20. Cfr. sul punto<br />

A. Del Col, Osservazioni preliminari sulla storiografia dell’Inquisizione romana, in Mozzarelli<br />

(a cura di), Identità italiana e cattolicesimo, cit., pp. 89-93, e più ampiamente V. Frajese,<br />

Sarpi scettico. Stato e Chiesa a Venezia tra Cinque e Seicento, Il Mulino, Bologna 1994.<br />

13. Cfr., anche per ulteriore letteratura, S. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo<br />

scenario della Controriforma, Salerno Editrice, Roma 2008, cap. I; Id., Davanti al Santo<br />

Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. I-V; Id., La censura filosofica dei testi filosofici.<br />

Centro e periferia, in S. Ferretto, P. Gori, M. Rinaldi, (a cura di), con la supervisione di<br />

A. Olivieri, Libertas philosophandi in naturalibus. Libertà di ricerca e criteri di regolamentazione<br />

istituzionale tra ’500 e ’700, Clueb, Padova 2011, pp. 191-215. Sulla censura in<br />

ambito universitario e filosofico durante il Medioevo, cfr., dedicati all’osservatorio tanto<br />

significativo della Parigi del XIII e XIV secolo, i lavori di L. Bianchi, Censure et liberté<br />

intellectuelle à l’Université de Paris (XIII e -XIV e siècles), Les Belles Lettres, Paris 1999, e Id.,<br />

Pour une histore de la double vérité, Vrin, Paris 2008, e la letteratura ivi citata. Per gli evidenti<br />

nessi fra ambito filosofico e ambito scientifico-naturalistico, e la censura nel primo<br />

ambito come “preistoria”, e non solo, della censura nel secondo ambito in età moderna,<br />

cfr. ora la trattazione offerta da M. P. Donato, Scienza della natura, in Dizionario storico<br />

dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1394-8.<br />

14. Cfr. Descartes, Opere 1637-1649, a cura di G. Belgioioso, cit., pp. 681-3.<br />

15. Cfr. Gilles de Rome, Errores philosophorum, testo critico, introduzione e note di<br />

J. A. Koch, trad. inglese e note di J. O. Rield, Marquette University Press, Milwaukee<br />

1984. Cfr. la letteratura cit. in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit.,<br />

p. 33 nota e s.<br />

16. Cfr. E. Tempier, La condamnation parisienne de 1277, testo latino, introduzione<br />

e commento a cura di D. Piché, con la collaboraz. di C. Lafleur, Vrin, Paris 1999, e la<br />

bibliografia cit. in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. 29.<br />

17. Cfr. Directorium inquisitorum F. Nicolai Eymerici ordinis praed. Cum commentariis<br />

Francisci Pegñae, In Aedibus populi romani, Apud Georgium Ferrarium, Romae 1587,<br />

pp. 238-41.<br />

18. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., pp. 62-5, e Fratris<br />

Alfonsi A Castro, Zamarensis, […] De iuxta haereticorum punitione libri tres, nunc recens<br />

accurate recogniti, ad signum Spei, Venetiis 1569, p. 13 b.<br />

19. Oltre che nella Edizione nazionale delle opere di Galileo, nelle diverse edizioni<br />

degli atti del processo a Galileo e spesso nella letteratura su Galileo, questa dichiarazione<br />

si può utilmente rileggere, con gli altri importanti documenti relativi a quel momento, in<br />

appendice a G. Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni<br />

scientifiche, a cura di F. Motta, Introduzione di M. Pesce, Marietti, Genova 2000,<br />

pp. 167 s.<br />

20. Sulla Apostolici regiminis, il testo, il contesto e le ragioni per cui venne formulata e<br />

la sua “fortuna” cfr. G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Welter,<br />

Paris 1902, vol. XXXII, coll. 841-3; F. Gilbert, Cristianesimo, umanesimo e la bolla «Apostolici<br />

regiminis» del 1513, in “Rivista storica italiana”, LXXXIX, 1967, pp. 976-90; J. Monfasani, Aristotelians,<br />

Platonists and the Missing Ockhamists: Philosophical Liberty in Pre-Reformation<br />

Italy, in “Renaissance Quarterly”, 46, 1993, pp. 247-76; E. A. Constant, A Reinterpretation<br />

of the Fifth Lateran Council Decree Apostolici regiminis, in “The Journal of Early Modern<br />

Studies”, XXXIII, 2002, pp. 353-79; F. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine<br />

aux 16 e -17 e siècles. Un essai d’interpretation, in “Historia philosophica”, 3, 2005, pp. 67-96;<br />

<strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., cap. I; Bianchi, Pour une histoire de la “double vérité”,<br />

cit., cap. IV; <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, pp. 55-9.<br />

21. Cfr. su questi punti Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine,<br />

cit., pp. 67 s., 76 s.<br />

160


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

22. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte I, cap. I; parte III, cap. II.<br />

23. «Praeterea ad coercenda petulantia ingenia decernit, ut nemo, suae prudentiae<br />

innixus, in rebus fidei et morum ad aedificationem doctrinae Christianae pertinentium,<br />

sacram scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum, quem tenuit et tenet<br />

sancta mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpretatione scripturarum<br />

sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum Patrum ipsam scripturam sacram<br />

intepretari audeat, etiamsi huiusmodi interpretationes nullo unquam tempore in lucem<br />

edendae forent»; Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, cit., t. XXXIII,<br />

col. 23.<br />

24. Cfr. la lezione epistolare impartita sul punto da Bellarmino al padre Paolo Antonio<br />

Foscarini, in termini schiettamente tomistici, nella lettera del 12 aprile 1615, cui rinvio nella<br />

forma e nel commento datone in appendice a Galilei, Lettera a Cristina di Lorena sull’uso<br />

della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., pp. 155-61.<br />

25. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio, Filosofi sotto processo, cit., pp. 66-8. Resta fondamentale<br />

sul tema B. Neveu, L’erreur et son juge, Remarques sur les censures doctrinales<br />

à l’époque moderne, Bibliopolis, Napoli 1993; Id., Y a-t-il une hérésie inquisitoriale?, in<br />

Comitato del Grande Giubileo dell’anno 2000. Commissione teologico-storica, L’Inquisizione,<br />

cit., pp. 469-91, è da vedere non solo per ulteriore letteratura ma per la messa a<br />

fuoco del problema di una estensione-articolazione della categoria di eresia nel concreto<br />

lavoro inquisitoriale.<br />

26. Cfr. il testo in Catholic Church and Modern Science. Documents from the Archives<br />

of the Roman Congregations of the Holy Office and the Index, U. Baldini General Editor,<br />

vol. I, Sixteenth-Century Documents, ed. by U. Baldini, L. Spruit, Libreria Editrice Vaticana,<br />

Roma 2009, t. I, pp. 150-2, dove si fissa la graduazione di livelli di illiceità delle dottrine aventi<br />

l’eresia come massimo livello di una complessa scala: una propositio può essere censurata o<br />

vietata se impertinens, blasphema, impia, injuriosa, schismatica, temeraria, scandalosa, piarum<br />

aurium offensiva, male sonans, sapiens haeresim, erronea, haeretica. L’autore dello schema<br />

scrive di derivarlo dalle condanne di John Wycliff e Jan Hus al Concilio di Costanza e<br />

dalle bolle di Pio V e Gregorio XIII contro le posizioni in materia di grazia e giustificazione<br />

tenute da Michel De Bay; ma è in gran parte presente con variazioni nella discussione<br />

teologica intorno al concetto di eresia e nella manualistica inquisitoriale.<br />

27. Cfr. Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., p. 78.<br />

28. Cfr. su questo le indicazioni fornite supra a nota 25.<br />

29. Cfr. sulla bolla Fidei catholicae tenenda di Clemente V il testo in G. D. Mansi,<br />

Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio, t. XXV, apud Antonium Zattam, Venetiis<br />

1782, coll. 367-426, in particolare col. 411, e le osservazioni date in <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo<br />

Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., p. 43.<br />

30. Cfr. su questa materia la ben chiara e utile introduzione di F. Buzzi, Il Concilio<br />

di Trento (1545-1563). Breve introduzione ad alcuni temi teologici, Glossa, Milano 1995, in<br />

particolare le pp. 78-82, 92, 103-9, 148 s. Intorno al panorama teologico fra Quattro e Cinquecento<br />

e nell’età tridentina cfr., anche per la nutrita letteratura in merito, ancora una<br />

ottima sintesi di F. Buzzi, Teologia e cultura cristiana tra XV e XVI secolo, Marietti, Genova<br />

2000, in partic. il cap. I. Per il quadro conciliare dei dibattiti e delle tendenze teologiche<br />

resta fondamentale H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Morcelliana, Brescia 1973-81, 4<br />

voll.; cfr. Storia della Chiesa, dir. da H. Jedin, vol. VI, Riforma e Controriforma, Jaca Book,<br />

Milano 1975 2 ; ma cfr., anche per un aggiornamento storiografico e bibliografico, A. Prosperi,<br />

Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Einaudi, Torino 2001.<br />

31. Cfr. Bianchi, Censure et liberté intellectuelle à l’Université de Paris, cit., p. 269 s., e<br />

Neveu, L’erreur et son juge, cit., pp. 98 s., 104. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo Uffizio. Filosofi<br />

sotto processo, cit., p. 45 s.<br />

32. Cfr. Monfasani, Aristotelians, Platonists and the Missing Ockhamists, cit., p. 269<br />

s.; Beretta, Orthodoxie philosophique et Inquisition romaine, cit., pp. 73-5.<br />

33. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 82 s.<br />

161


I TEMI<br />

34. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis (1558-1601),<br />

cit., pp. 45 s., 53. La problematica “centralità” teologica di Roma – dovuta pure alla minore<br />

fecondità degli studia regolari e delle università italiane in fatto di teologia, e che<br />

fa contrasto con la centralità su altri piani del papato romano –, cui il ricorso al sistema<br />

dei collegi romani per le nazioni e per gli ordini intendeva porre rimedio, e la pluralità<br />

di orientamenti teologici resistente negli stessi ordini, spesso deplorata da personalità<br />

richiamantesi a un tomismo rigido, furono tali che finanche gli Stati (fu il caso della corona<br />

spagnola, delle sue università e della sua inquisizione, con ruolo protagonistico sia nella<br />

disputa sulla grazia, che su quella della Immacolata Concezione), poterono farvi il loro<br />

diretto investimento politico, sposando posizioni ed esercitando pressioni. Cfr. P. Broggio,<br />

La teologia e la politica. Controversie dottrinali, curia romana e Monarchia spagnola tra<br />

Cinque e Seicento, Olschki, Firenze 2009.<br />

35. Intorno al tono pragmatico e didattico del persistente richiamo dei gesuiti al tomismo,<br />

le prudenti aperture a novità e la dialettica fra tomismo e scotismo nella Compagnia<br />

cfr. R. Ariew, Descartes and the Jesuits: Doubt, Novelty, and the Eucharist, in M. Feingold<br />

(ed.), Jesuit Science and the Republic of Letters, The MIT Press, Cambridge (Mass.)-London<br />

2003, pp. 157-94. Per il dibattito intorno alla uniformitas et soliditas dottrinali e alla Ratio<br />

studiorum cfr. le osservazioni e la bibliografia cit. in S. Pavone, I gesuiti dalle origini alla<br />

soppressione, Laterza, Roma-Bari 2004, pp. 57-9, 145; e in Broggio, La teologia e la politica,<br />

cit., pp. 27-38, 48-50.<br />

36. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />

239-46.<br />

37. Cfr. R. Nanni, Per lo studio dei teologi di Galilei: le “regulae” del commentario “in<br />

Genesim” di Benito Pereira, in I primi Lincei e il Sant’Uffizio: questioni di scienza e di fede,<br />

Atti del convegno di Roma, 12-13 giugno 2003, Bardi editore, Roma 2005, pp. 422-6.<br />

38. Tema che ha generato vasti studi. Per la scolastica dei gesuiti cfr. almeno P. Di Vona,<br />

Studi sulla scolastica della Controriforma. L’esistenza e la sua distinzione metafisica dall’essenza,<br />

La Nuova Italia, Firenze 1968; nella recente edizione italiana con testo latino a fronte<br />

delle Disputazioni metafisiche di Suárez, a cura di C. Esposito, Bompiani, Milano 2007, si<br />

danno ricca bibliografia (pp. 711-44) e una densa storia della critica (pp. 747-853).<br />

39. Cfr. M. J. Gorman, Molinist Theology and Natural Knowledge in the Society of<br />

Jesus 1580-1610, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), Atti del convegno<br />

di Roma, 12-14 dicembre 1996, École française de Rome, Roma 1999, pp. 235-54.<br />

40. Sulla cultura scientifica dei gesuiti e la sua fortuna storiografica cfr. le osservazioni<br />

e indicazioni bibliografiche di Romano, La science moderne, ses enjeux, ses pratiques,<br />

cit., p. 20 e n., e almeno i seguenti lavori: U. Baldini, Legem impone subactis. Studi su<br />

<strong>filosofia</strong> e scienza dei gesuiti in Italia. 1540-1632, Bulzoni, Roma 1992; R. Gatto, Tra scienza<br />

e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (1552-1670 ca.), Olschki,<br />

Firenze 1994; Christoph Clavius e l’attività scientifica dei gesuiti nell’età di Galileo,<br />

Atti del convegno di Chieti, 28-30 aprile 1993, a cura di U. Baldini, Bulzoni, Roma 1995;<br />

A. Romano, La Contre-Réforme mathématique: constitution et diffusion d’une culture<br />

mathématique jésuite à la Renaissance (1540-1640), École française de Rome, Roma 1999; R.<br />

Gatto, Matematica e ortodossia nel tardo ’500. L’esempio dei gesuiti napoletani, in Sciences<br />

et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), cit., pp. 281-93; U. Baldini, Saggi sulla cultura<br />

della Compagnia di Gesù (secoli XVI-XVIII), Cluep, Padova 2001, capp. I e II; Feingold (ed.),<br />

Jesuit Science and the Republic of Letters, cit.<br />

41. Cfr., anche per ulteriore bibliografia, M. Lerner, Tycho Brahe Censured, in J.<br />

Robert et alii (eds.), Tycho Brahe and Prague. Crossroads of European Science, Harri Deutsch,<br />

Frankfurt a. M. 2002, pp. 95-101, e A. Damanti, Brahe, Tycho, in Dizionario storico<br />

dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. 219 s., dove si ricorda come l’opposizione a Brahe, anche a<br />

motivo del suo calvinismo, tra gli scienziati gesuiti e nella Chiesa, cominciò a dissolversi<br />

dopo il 1616, poiché il suo sistema consentiva l’inclusione delle scoperte galileiane in un<br />

sistema comunque geocentrico. Adottato da alcuni gesuiti, ferma restando la espurgazione<br />

162


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

dei Progymnasmata da riferimenti a protestanti decisa nel 1620 da Bellarmino, il sistema<br />

ticonico si affermò più ampiamente all’interno della Compagnia nella seconda metà del<br />

Seicento.<br />

42. Cfr. Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und Contarinis, cit., pp.<br />

159-67, 333 s. Del pari nello studio della stessa politica romana dei collegi e degli studia<br />

per la formazione del clero regolare, le oscillazioni organizzative e culturali tra la centralità<br />

domenicana e tomista di Pio V, il filo-gesuitismo di Gregorio XIII e l’interesse per la<br />

tradizione bonaventuriana del francescano Sisto V, pongono il problema dei riflessi che<br />

esse produssero sulla composizione interna e sugli atteggiamenti culturali del personale<br />

di consulenza dell’Indice e del Santo Uffizio; cfr. Broggio, La teologia e la politica, cit.,<br />

pp. 40-4.<br />

43. Cfr. l’analisi che ho condotto in <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />

della Controriforma, cit., pp. 62-8.<br />

44. Un’analisi più dettagliata delle posizioni di Possevino ivi, pp. 89-94, 395-406.<br />

45. Un’impresa – la definizione solenne di un complesso di errori della <strong>filosofia</strong> – che,<br />

secoli più tardi, e in altre condizioni, caratterizzate da un potente intervento magisteriale<br />

in favore della uniformitas tomistica e dalla fioritura della neoscolastica, sarebbe apparsa<br />

tuttavia impraticabile ad Agostino Gemelli, al tempo in cui il divieto delle opere di Gentile<br />

da lui sostenuto sembrava doversi accompagnare con una pronuncia contro la <strong>filosofia</strong><br />

idealistica in quanto tale. Inusitato il genere (con eccezione della enciclica Pascendi di Pio<br />

X contro il modernismo, che era stata in certa misura un “sillabo” di posizioni filosofiche<br />

“moderne”); sfuggente l’oggetto (l’idealismo) nelle sue tante filiazioni; inevitabilmente<br />

traboccante, la pronuncia, in una condanna complessiva della <strong>filosofia</strong> moderna, difficilmente<br />

configurabile. Cfr. Verucci, Idealisti all’Indice, cit., pp. 180, 256-8. Sul carattere<br />

filosofico e “sintetico” dell’eresia modernista nel punto di vista magisteriale cfr. Id.,.L’eresia<br />

del Novecento. La Chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino 2010,<br />

pp. 26-33, anche per ulteriore bibliografia.<br />

46. Cfr. sul tema le indicazioni ora date da L. Biasiori, <strong>Censura</strong> librorum, Compagnia<br />

di Gesù, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 323 s.<br />

47. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />

403 s. Cfr. ora il testo in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp. 270-3:<br />

p. 273.<br />

48. Cfr. G. Fragnito, Aspetti e problemi della censura espurgatoria, in L’Inquisizione<br />

e gli storici: un cantiere aperto, Atti della tavola rotonda nell’ambito della conferenza<br />

annuale della ricerca, Roma, 24-25 giugno 1999, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma<br />

2000, pp. 161-78: p. 161.<br />

49. Storia, struttura e composizione di questi Indici e di quelli romani, e relativa<br />

letteratura, sono restituiti nella grande impresa Index des livres interdits, dir. J. M. de Bujanda,<br />

Centre d’Études de la Renaissance, Éditions de l’Université de Sherbrooke, Droz,<br />

Genève 1985-2002, 11 voll. Per una sintesi essenziale relativa agli Indici non romani cfr.<br />

Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, pp. 775-80, 784-7, ad voces: Indice dei libri<br />

proibiti, Cinquecento; Indice dei libri proibiti, Portogallo; Indice dei libri proibiti, Spagna,<br />

a cura di J. M. de Bujanda. Cfr. sul tema <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />

della Controriforma, cit., cap. 1, par. 2.<br />

50. Cfr. la Regula IX dell’Indice del 1564 Index des livres interdits, cit., vol. VIII,<br />

Index de Rome 1557, 1559, 1564, p. 818: sono proibiti i libri «qui de futuris contingentibus<br />

successibus, fortuitisve casibus, aut iis actionibus, quae ab humana voluntate pendent,<br />

certo aliquid affirmare audent». Questo permette di vietare, o di considerare almeno con<br />

sospetto, un testo filosofico che orienti verso un deciso determinismo astrale o naturale,<br />

tema che aveva offerto materia per secoli alla riflessione filosofica e teologica ed era<br />

stato largamente dibattuto nella cultura anche <strong>ecclesiastica</strong>, ma che susciterà assidue<br />

discussioni interpretative nella censura romana. Sul trattamento cattolico dell’astrologia<br />

e sull’atteggiamento verso di essa di Indice e Inquisizione sono molto importanti i lavori<br />

163


I TEMI<br />

recenti di U. Baldini, The Roman Inquisition’s Condemnation of Astrology: Antecedents,<br />

Reasons and Consequences, in G. Fragnito (ed.), Church, Censorship and Culture in Early<br />

Modern Italy, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 79-110; ma, nel quadro<br />

generale dello studio delle scienze naturali nella censura romana, cfr. l’introduzione al<br />

capitolo Astrology, in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp. 440-69, e<br />

i documenti inquisitoriali e censori ad esso relativi (pp. 470-585), come pure il dibattito<br />

sulla interpretazione della Regula IX (pp. 155-201), e gli studi anteriori di Baldini elencati<br />

nella bibliografia che chiude, nell’opera, il t. 4, pp. 3210-2. La letteratura sull’astrologia<br />

fra Medioevo ed età moderna nei suoi diversi aspetti è immensa; ma per l’atteggiamento<br />

teologico cristiano qui implicato è molto importante il saggio di T. Gregory, Astrologia e<br />

teologia nella cultura medievale, in Id., Mundana sapientia, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />

Roma 1992, pp. 291-328.<br />

51. Cfr. la Regula II dell’Indice del 1564 Index des livres interdits, cit., vol. VIII, Index<br />

de Rome 1557, 1559, 1564, p. 813: «Qui [haereticorum libri]vero de religione non tractant,<br />

a Theologis Catholicis iussu Episcoporum, et Inquisitorum examinati, et approbati<br />

permittuntur».<br />

52. Cfr. Anonymus, Instructiones nonnulle circa libros nominatim prohibitos in S.to<br />

Indice, BAV, Vat. Lat. 6207, cc. 220r-239v, pubblicato parzialmente in Catholic Church and<br />

Modern Science, cit., vol. I, t. I, pp. 131-8.<br />

53. Cfr. sul punto <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi, cit., p. 60 s.<br />

54. Tolosani stese nel 1546 la prima confutazione teologica cattolica, rimasta inedita<br />

al tempo suo, del De revolutionibus; Spina, in carica dal 1542 e al 1546, pare intendesse<br />

far vietare l’opera come eretica. Cfr. ora sul tema, anche per letteratura precedente, L.<br />

Guerrini, Cosmologie in lotta. Le origini del processo di Galileo, Edizioni Polistampa,<br />

Firenze 2010, cap. I e Appendice.<br />

55. Cfr. le osservazioni e le indicazioni bibliografiche di Baldini, Spruit in Catholic<br />

Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, pp. 1473-80.<br />

56. Analogamente, benché l’eliocentrismo susciti tempestive reazioni negative in<br />

Lutero, Calvino e Melantone (cfr. Th. Kuhn, La rivoluzione copernicana. L’astronomia<br />

planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale, Einaudi, Torino 1972, pp. 245-7), anche<br />

in campo riformato il sospetto non sembra registrarsi prima della fine del XVI secolo, con<br />

documento, per esempio, nella reazione provocata dall’interpretazione realistica della<br />

teoria copernicana presentata da Bruno Inghilterra, e con la dissuasione operata da un<br />

teologo riformato su Keplero, affinché non affrontasse il tema della componibilità dell’eliocentrismo<br />

con le Scritture; cfr. M. Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e<br />

teologia nell’Età della Controriforma, Einaudi, Torino 2003, p. 7 n.; sull’ambiente luterano<br />

di Tubinga in cui si formò Keplero e gli stimoli allo studio dei coelestia che ne poterono<br />

provenire cfr. tuttavia Ch. Methuen, The Teachers of Johannes Kepler. Theological Impulses<br />

to the Study of the Heavens, in Sciences et religions de Copernic à Galilée, (1540-1610), cit.,<br />

pp. 183-203. In ambito riformato, il favore verso una trattazione solo “tecnica” e “ipotetica”<br />

dell’astronomia copernicana, certificata dalla prefazione di Andreas Osiander al<br />

De revolutionibus a espressione di timori dello stesso ambiente di Copernico, sembrava<br />

garantire dai pericoli ereticali comportati da una sua lettura filosofica, in un contesto<br />

comunque segnato dall’adattamento melantoniano dell’aristotelismo entro una nuova<br />

cornice pur sempre religiosa e confessionale; cfr. S. Kusukawa, The natural philosophy of<br />

Melanchton and his followers, ivi, pp. 443-53, dalla quale tuttavia non sarebbero emersi<br />

divieti formali di autorità spirituali; cfr. M.-P. Lerner, L’«héresie» heliocentrique: du soupçon<br />

à la condamnation, ivi, pp. 69-91: 69-71.<br />

57. Sull’affare del 1616 e le sue radici cfr. M. Bucciantini, Contro Galileo. Alle origini<br />

dell’affaire, Olschki, Firenze 1995, e le tre recenti monografie di L. Guerrini, Galileo e<br />

la polemica anticopernicana a Firenze, Edizioni Polistampa, Firenze 2009; Galileo e gli<br />

aristotelici. Storia di una disputa, Carocci, Roma 2010; Cosmologie in lotta. Le origini del<br />

processo di Galileo, cit. Ora mi pare fondamentale il lavoro di V. Frajese, Il processo a<br />

164


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

Galilei. Il falso e la sua prova, Morcelliana, Brescia 2010. La letteratura sulla questione<br />

copernicana e il processo a Galileo è così vasta che non se ne può qui dare una sintesi.<br />

Larghi rinvii a ulteriore bibliografia sono ovviamente nei sopra menzionati contributi;<br />

ma un’agile ricognizione del caso fino al XIX secolo è data da F. Motta, Copernicanesimo,<br />

in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 408-13; da vedersi anche i relativi<br />

rimandi e le indicazioni bibliografiche fornite. Fra i contributi maggiori recenti cfr.: S. M.<br />

Pagano (a cura di), I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741), Archivio<br />

Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2009; F. Beretta, Il processo di Galileo. Due nuove<br />

edizioni di documenti, in “Rivista storica italiana”, CXXII, 2010, pp. 1199-234; G. M. Bravo,<br />

V. Ferrone (a cura di), Il processo a Galileo Galilei e la questione galileiana, Edizioni di<br />

Storia e Letteratura, Roma 2010.<br />

58. A mio avviso l’insistenza sulla differenza tra affermazione eretica e affermazione<br />

contraria alle Scritture è tuttavia opinabile, poiché nella dottrina in merito, configurata nella<br />

trattazione tomistica, il primo tipo di affermazione eretica è appunto quella che contraddica,<br />

directe o indirecte, le dichiarazioni scritturali su qualunque argomento. D’altro canto,<br />

è del pari di qualche valore che la congregazione dell’Indice abbia derivato dall’ordine<br />

del pontefice – che si fondava evidentemente sulla qualificazione del Santo Uffizio – una<br />

definizione di contrarietà alla Scrittura, piuttosto che di eresia conclamata; definizione che<br />

peraltro poteva del resto competere solo al pontefice in forma solenne e non alla congregazione<br />

in quanto tale, che aveva potere di vietare libri, non di definire eresie. Benché non<br />

faccia esplicito riferimento alla qualificazione dottrinale dei consultori del Santo Uffizio<br />

del 24 febbraio 1616, né a specifici ordini del papa, da ordine deciso da questi il 3 marzo<br />

1616 dipende il decreto emanato dall’Indice il 5 marzo, nel quale genericamente si dice<br />

della pericolosa diffusione della «falsa dottrina pitagorica» sul moto della Terra e sulla<br />

centralità del Sole, «del tutto contraria alla Sacra Scrittura». Cfr. in appendice a Galilei,<br />

Lettera a Cristina di Lorena sull’uso della Bibbia nelle argomentazioni scientifiche, cit., p.<br />

167 s. e n. Cfr. Frajese, Il processo a Galilei. Il falso e la sua prova, cit., pp. 12 s., 33 s.<br />

59. Su questo intrico e sull’assenza nel 1616 di una formale condanna come eretica<br />

della teoria di Copernico da parte di Paolo V, irrogabile ma non effettivamente irrogata<br />

sulla base della qualificazione dei consultori, e intorno alle conseguenze di questa circostanza<br />

sul prosieguo della vicenda galileiana, cfr. ora Frajese, Il processo a Galilei. Il falso<br />

e la sua prova, cit.<br />

60. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit.,<br />

pp. 131, 266, 280, 353, 355. Nel 1574 è già vietato vendere tutte le opere del cardinale nello<br />

Stato della Chiesa e nel 1576 l’autore è fra i “sospetti” (cfr. Catholic Church and Modern<br />

Science, cit., t. 1, pp. 263, 265, 294). Resta memoria al tempo di Gregorio XIII del fatto che<br />

sotto Paolo IV si sarebbe voluto vietare tutto Cusano, del quale viene proscritto nel 1579<br />

solo il De concordantia catholica, con ricezione nell’Indice di Parma del 1580. Nel 1587<br />

viene affidata al cardinale Costanzo Sarnano una non meglio specificata expurgatio delle<br />

opere di Cusano assieme a quelle del de Vio e di Gasparo Contarini. La questione della<br />

expurgatio delle sue opere sarà ripresa al tempo di Clemente VIII, ma il De concordantia,<br />

inserito donec corrigatur nell’Indice sistino, non compare nell’Indice del 1596; cfr. Index<br />

des livres interdits, cit., vol. IX, Index de Rome 1590, 1593, 1596, pp. 159, 390.<br />

61. Sul caso del De immortalitate animae nel contesto dei primi anni di vigore della<br />

Apostolici regiminis cfr., anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />

sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 47-50. Cfr. ora V. Perrone Compagni, Pomponazzi,<br />

Pietro, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1230-2.<br />

62. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 3, pp. 2277-80.<br />

63. Cfr. il lavoro condotto da Arnold, Die römische Zensur der Werke Cajetans und<br />

Contarinis, cit., soprattutto le pp. 59-74, 98-107, 159-70, 331-7. Se ne veda la estrema sintesi<br />

in Id., De Vio, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 471-3.<br />

64. Peraltro del Gaetano, che in vita era stato fra i pochissimi teologi a sollevare<br />

dubbi sul dispositivo della Apostolici regiminis, la visione sull’anima e la non dimostrabilità<br />

165


I TEMI<br />

filosofica della sua immortalità − duramente attaccata nele1519 dal domenicano Bartolomeo<br />

Spina, e nella quale un altro domenicano eccellente, Melchior Cano, aveva ravvisato<br />

i termini di una posizione «erronea» e «temeraria», «se non eretica», pur notata nelle<br />

ponderose operazioni espurgatorie − finirà per esser lasciata intatta e potrà per esempio<br />

essere adoperata da Tommaso Campanella per invocare la maggior congruità con la dottrina<br />

cristiana della sua teoria dell’anima, piuttosto che quella a base aristotelica seguita<br />

dai tomisti ma non dal de Vio. Cfr. su questi punti <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo<br />

scenario della Controriforma, cit., pp. 45-50, 68-77, 79-83.<br />

65. Sul caso Telesio cfr. ora, anche per ulteriore bibliografia, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori,<br />

filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., cap. IV e passim; e Catholic Church and<br />

Modern Science, cit., t. 3, pp. 2415-25. Cfr. anche Telesio, Bernardino, a cura di D. Pirillo,<br />

in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1564-66.<br />

66. Cfr. sul tema <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma,<br />

cit., pp. 232-49.<br />

67. Cfr. ivi, pp. 255-8. In quello stesso 1586 il concordismo tra telesianismo e dottrina<br />

cattolica fu recato alla massima espressione dal filosofo napoletano Giulio Cortese, con i<br />

suoi Concetti cattolici ridotti in forma d’orationi, sebbene si trattasse di una posizione piuttosto<br />

precaria, revocata dal suo stesso autore nel 1595 nel De Deo et mundo sive de catholica<br />

philosophia. Cfr. L. Bolzoni, Per uno studio delle accademie napoletane di fine ’500, in “La<br />

rassegna della letteratura italiana”, 77, 1973, pp. 478-84, e P. Redondi, Fede lincea e teologia<br />

tridentina, in “Galilaeana. Journal of Galilean Studies”, I, 2004, pp. 117-41: p. 130 s.<br />

68. Sul caso Cardano, anche per bibliografia precedente, cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori,<br />

censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 140-5; Catholic Church and Modern<br />

History, cit., t. 3, pp. 1033-472 e L. Spruit, Cardano, Girolamo, in Dizionario storico<br />

dell’Inquisizione, cit., vol. I, p. 271.<br />

69. Sul caso Giorgio cfr., anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori,<br />

filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp. 134-9; Catholic Church and Modern<br />

Science, cit., vol. I, t. 3, pp. 1738-880, e G. Bartolucci, Giorgio, Francesco, in Dizionario<br />

storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, p. 695.<br />

70. Cfr. ora Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, pp. 1507-62, per<br />

documentazione e letteratura precedente, e la sintesi in M. Valente, Della Porta, G. B., in<br />

Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 460-1.<br />

71. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 3, rispettivamente le pp.<br />

2166-96, 2285-96.<br />

72. Ivi, pp. 2277-80.<br />

73. Cfr. su questa fase, anche per ulteriore letteratura, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />

sullo scenario della Controriforma, cit., 126-59. Ma ora è preziosa l’edizione di materiali<br />

d’ufficio di quegli anni data in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, pp.<br />

280-307, 386-93. Intorno ai casi di Villanova e Lullo cfr. op. cit., rispettivamente vol. I, t.<br />

1, pp. 769-98, e t. 3, pp. 1983-2050.<br />

74. Sul caso Montaigne nei diversi momenti della censura romana cfr., anche per<br />

la letteratura precedente, che tuttavia (con l’eccezione di J.-R. Armogathe, V. Carraud,<br />

Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in J.-L. Quantin, J.-C. Waquet<br />

(eds.), Papes, princes et savants dans l’Europe moderne. Mélanges à la memoire de Bruno<br />

Neveu, Droz, Genève 2007, pp. 79-96) non conosceva i documenti più diretti e importanti<br />

del caso: <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., capp.<br />

II-III; Id., La censura romana e Montaigne. Con un documento relativo alla condanna del<br />

1676 edito a cura di C. Fastella, in “Bruniana & Campanelliana”, XV, 2008, pp. 59-79; Id.,<br />

Montaigne, Michel de, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, 1067-70. Le censure<br />

romane del 1581 sono state pubblicate per la prima volta da P. Godman, The Saint<br />

as a Censor. Robert Bellarmine between Inquisition and Index, Brill, Leiden-Boston-Köln<br />

2000, pp. 339-342. Vi ritorna A. Legros, Montaigne face à la censure romaine de 1581, in<br />

“Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, LXXXV, 2009, 1, pp. 7-33, che nel suo impor-<br />

166


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

tante lavoro Montaigne. Essais I, 56. Des prières, Édition annotée des sept premiers états du<br />

texte avec étude de genèse et commentaire, Droz, Genève 2003, intestato allo studio della<br />

evoluzione della scrittura dell’autore su obbedienza alla Chiesa e rapporti tra <strong>filosofia</strong> e<br />

teologia all’esito dell’incidente del 1581, ignorava i documenti censori editi da Godman.<br />

Cfr. la dettagliata analisi che ora ne conduce, correggendo in alcuni punti Godman, e<br />

inquadrandole in un’interpretazione generale di Montaigne, N. Panichi, Montaigne,<br />

Carocci, Roma 2010, capp. 2 e 4. Per il trattamento di Montaigne nella censura calvinista<br />

cfr., anche per bibliografia ulteriore, Jostock, La censure négociée, cit., pp. 212-7, 259 s.,<br />

394. Su Montaigne nella censura ispanica cfr. O. Lopez Fanego, Quelques précisions sur<br />

Montaigne et l’Inquisition espagnole, in P. Michel (éd.), Montaigne et les Essais. 1580-1980,<br />

Champion-Slatkine, Paris-Genève 1983, pp. 368-78.<br />

75. Cfr. Panichi, Montaigne, cit., p. 50.<br />

76. Ivi, p. 55 s.<br />

77. Cfr. F. Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul processo,<br />

in “Bruniana & Campanelliana”, VII, 2001, 1, pp. 15-49: p. 35.<br />

78. Esame dettagliato dei diversi “stati” testuali del Delle preghiere è condotta in<br />

Legros, Montaigne. Essais I, 56. Des prières, cit., laddove si dimostra che l’incidente romano<br />

del 1581 non fu interpretato dall’interessato come occasione di autocorrezione, ma di<br />

precisazione di una duplice strategia: irrigidire finanche terminologicamente la formale<br />

sottomissione alla Chiesa e alla sua censura; rivendicare però all’“umanista” una libertas<br />

opinandi o philosophandi che per un lato si sottrae al disciplinamento teologico e per un<br />

altro affronta qualunque tema non definito dal magistero con disinvoltura linguistica, e<br />

con forti accenti di rigorismo etico, e di diffidenza verso i connubi tra <strong>filosofia</strong> e teologia<br />

(non distante peraltro, di là di altri cospicui motivi di deplorazione, invece, della Riforma,<br />

e di distanza da Calvino, da certi punti del riformismo calvinista, come sottolinea Panichi,<br />

Montaigne, cit., cap. 4).<br />

79. Sul divieto omnino degli Essais nel 1676, cfr. anche per ulteriore bibliografia<br />

Armogathe-Carraud, Les Essais de Montaigne dans les archives du Saint-Office, in Papes,<br />

princes et savants, cit.; <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma,<br />

cit., cap. III; Id., La censura romana e Montaigne, cit., pp. 59-79; Id., Montaigne, Michel de,<br />

in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. II, 1067-70.<br />

80. Sulla fortuna di Montaigne fino ai primi decenni del Seicento cfr. O. Millet, La<br />

première réception des Essais de Montaigne (1580-1640), Honoré Champion, Paris 1995. Ma<br />

cfr. per un orientamento generale sulla ricezione dell’autore R. Ragghianti, Introduzione a<br />

Montaigne, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 87-109. Per un orientamento tematico (e bibliografico)<br />

sul rapporto tra Montaigne, religione e teologia, anche riformata, cfr. ora Panichi,<br />

Montaigne, cit., cap. 4, e la letteratura data ivi, alle pp. 304-6. In Italia, la traduzione di<br />

Girolamo Naselli (1590) presentò al pubblico più che una ripulitura, una vera e propria<br />

mutilazione manipolante del testo, di cui finora non si è documentata la dipendenza da una<br />

expurgatio <strong>ecclesiastica</strong>, e che né però precludeva il ricorso alle non vietate edizioni francesi<br />

o in altre lingue, né avrebbe oscurato il campo editoriale, nel quale sarebbe intervenuta la<br />

nuova importante edizione italiana integrale procurata da Marco Ginammi a Venezia nel<br />

1633; ma anche la manipolazione del Naselli sarebbe stata interessata dal divieto omnino di<br />

qualunque edizione e traduzione di Montaigne del 1676. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi<br />

sullo scenario della Controriforma, cit., p. 167 e n., 197-9, e M. de Montaigne, Discorsi morali<br />

politici e militari, ristampa della prima traduzione italiana degli Essais, nota introduttiva di<br />

E. Canone e M. Palumbo, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2009.<br />

81. Cfr. Frajese, Nascita dell’Indice, cit., parte II, capp. II e III, e parte III. Ulteriore<br />

bibliografia e la collocazione della censura ed expurgatio di opere filosofiche nel contesto<br />

della riforma sistina dell’Indice in <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />

Controriforma, cit., cap. V, parr. 1 e 2. Importante documentazione e valutazioni di carattere<br />

generale e relative a scienze e <strong>filosofia</strong> naturale e astrologia ora in Catholich Church and<br />

Modern History, cit., vol. I, t. 1.<br />

167


I TEMI<br />

82. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />

375-6 e n., 390; e Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. 1, p. 238 s.<br />

83. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />

267, e Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, p. 247.<br />

84. Per la vicenda finale dell’Indice sistino e la questione del Talmud e dell’intervento<br />

del Santo Uffizio, e i relativi precedenti e retroscena, cfr. la letteratura indicata in <strong>Ricci</strong>,<br />

Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p. 282 s. n. Per il Talmud e<br />

la letteratura ebraica nella visuale della censura romana e dell’Inquisizione cfr. ora in sintesi<br />

e per bibliografia M. Perani, <strong>Censura</strong>, sequestri e roghi di libri ebraici, in Dizionario storico<br />

dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp. 319-22, e F. Parente, Talmud, ivi, vol. III, pp. 1557-9.<br />

85. Si rimanda del pari per questa fase istituzionale e politica molto complessa al<br />

fondamentale Frajese, Nascita dell’Indice, cit., anche per ulteriore letteratura. Per il trattamento<br />

della <strong>filosofia</strong> in questo contesto, e in particolare per i casi Telesio e Patrizi, cfr.,<br />

anche per letteratura precedente, <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />

Controriforma, cit., cap. V, e Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp.<br />

VI-XIII. Per i documenti dei due summenzionati casi cfr. ora Catholic Church and Modern<br />

History, cit., vol. I, t. 3, pp. 2197-2264, 2415-25.<br />

86. Sul caso Stigliola cfr. anche per letteratura precedente <strong>Ricci</strong>, Davanti al Santo<br />

Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI e VII, e Id., Stigliola, Nicolantonio, in Dizionario<br />

storico dell’Inquisizione, cit., vol. III, pp. 1483-6.<br />

87. Cfr. l’eco di questa fama di papa Aldobrandini nelle carte processuali relative a<br />

Bruno, in L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Salerno Editrice,<br />

Roma 1993, p. 248.<br />

88. Cfr. Godman, The Saint as Censor, cit., p. 274; M.-P. Lerner, Vérité des philosophes<br />

et vérité des théologiens selon Tommaso Campanella o. p., in “Freiburger Zeitschrift für<br />

Philosophie und Theologie”, XLVIII, 2001, pp. 281-300: p. 281; Catholic Church and Modern<br />

Science, cit., vol. I, t. I, p. 223; ivi, vol. I, t. 3, p. 2417.<br />

89. La congregazione indicò una formula più mite rispetto alle opzioni (divieto totale,<br />

o divieto subordinato a correzione da parte di teologi autorevoli) presentate da Saragoza,<br />

offrendo all’autore la possibilità dell’autocorrezione, ovviamente soggetta a verifica.<br />

90. Cfr. Catholic Church and Modern History, cit., vol. I, t. 1, p. 375: la espurgazione<br />

di Patrizi compare in una lista di libri da espurgare anteriore al febbraio 1597.<br />

91. Cfr. anche per ulteriori rinvii <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della<br />

Controriforma, cit., pp. 350 s., 400.<br />

92. Sulla “spiegazione” di Bellarmino al papa cfr. L. Firpo, Filosofia italiana e Controriforma,<br />

in “Rivista di <strong>filosofia</strong>”, XLI, 1950, pp. 150-73, 390-401; XLII, 1951, pp. 30-47: p. 166;<br />

A. Rotondò, Cultura umanistica e difficoltà di censori. <strong>Censura</strong> <strong>ecclesiastica</strong> e discussioni<br />

cinquecentesche sul platonismo, in Le pouvoir et la plume. Incitation, contrôle et répression<br />

dans l’Italie du XVI e siècle, Atti del convegno di Aix-en-Provence e Marsiglia, 14-16 maggio<br />

1981, Université de la Sorbonne nouvelle, Paris 1982, pp. 15-50: p. 46 n.; Id., La censura<br />

<strong>ecclesiastica</strong> e la cultura, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, cit., p. 1455.<br />

93. Per i complessi, assidui problemi di Campanella prima nell’ordine domenicano, e<br />

poi per tutta la vita con censura e Inquisizione (e per la bibliografia relativa), cfr. S. <strong>Ricci</strong>,<br />

<strong>Censura</strong>, in Enciclopedia Bruniana e Campanelliana, a cura di E. Canone e G. Ernst, Fabrizio<br />

Serra Editore, Pisa-Roma 2010, pp. 198-214; nonché Id., Inquisizione, censura e <strong>filosofia</strong><br />

nella Controriforma. Il caso Campanella e alcune recenti edizioni, in “Rinascimento”, XLVII,<br />

2008, pp. 411-23; Id., Davanti al Santo Uffizio. Filosofi sotto processo, cit., capp. VI, VIII, X,<br />

XII-XIII; V. Frajese, Campanella, Tommaso, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I,<br />

pp. 250-2. I documenti inquisitoriali e censori relativi a Campanella nel periodo 1593-1600<br />

conservati in ACDF sono ora riuniti in Catholic Church and Moderne Science, cit., vol. I, t.<br />

2, pp. 981-1032. Resta imprescindibile L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura<br />

di E. Canone, Salerno Editrice, Roma 1998.<br />

94. Qualche anno dopo, fra il 1593 e il 1595, nella prima stesura della Monarchia di<br />

168


S. RICCI, CENSURA ECCLESIASTICA, FILOSOFIA, CONTRORIFORMA<br />

Spagna, la sostituzione dell’aristotelismo, che nega punti fondamentali della Rivelazione,<br />

con la <strong>filosofia</strong> platonica, stoica e soprattutto telesiana, in quanto conforme ai Padri della<br />

Chiesa, diventa per Campanella finanche un “consiglio” per il re di Spagna, reiterato nella<br />

più tarda versione della stessa opera. Cfr. T. Campanella, La monarchia di Spagna, prima<br />

stesura giovanile, a cura di G. Ernst, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1989,<br />

p. 37, e Id., Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, textes originaux introduits, édités<br />

et annotés par G. Ernst, Presses Universitaires de France, Paris 1997, p. 96.<br />

95. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., p.<br />

379 s.<br />

96. Cfr. Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, p. 227; ivi, vol. I t. 3, p.<br />

2415.<br />

97. Cfr. i documenti ivi, vol. I, t. 1, pp. 275, 278, 337, 409, e t. 3, p. 2415.<br />

98. G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 21, 23, 27.<br />

99. Cfr. ora il decreto in Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 2, p.<br />

1005.<br />

100. Cfr. anche per ulteriore bibliografia <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />

della Controriforma, cit., cap. V, par. 7. Per il funzionamento della censura espurgatoria,<br />

anche in relazione a quella di testi filosofici, cfr. ora i documenti dell’ACDF pubblicati in<br />

Catholic Church and Modern Science, cit., vol. I, t. 1, parte I, capp. VII e VIII; parte II, cap.<br />

IV (Medicina e <strong>filosofia</strong> naturale).<br />

101. Cfr. anche per letteratura precedente <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario<br />

della Controriforma, cit., cap. V, par. 8. Cfr. ora l’edizione del documento in Catholic<br />

Church and Modern History, cit., vol. I, t. 3, pp. 2417-25.<br />

102. Cfr. <strong>Ricci</strong>, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, cit., pp.<br />

370-2, 404 s.<br />

103. Sul caso Bruno cfr. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, cit.; L. Spruit, Due<br />

documenti noti e due documenti sconosciuti sul processo di Bruno nell’Archivio del Santo<br />

Uffizio, in “Bruniana & Campanelliana”, IV, 1998, pp. 469-73; S. <strong>Ricci</strong>, Giordano Bruno<br />

nell’Europa del Cinquecento, Salerno, Roma 2000, capp. VII-VIII; D. Quaglioni, “Ex his quae<br />

deponet iudicetur”. L’autodifesa di Bruno, in “Bruniana & Campanelliana”, VI, 2000, pp.<br />

299-319; Beretta, Giordano Bruno e l’Inquisizione romana. Considerazioni sul processo, cit.;<br />

Spruit, Giordano Bruno eretico: le imputazioni del processo nel contesto storico-dottrinale,<br />

in Cosmología, teología y religíon en la obra y en nel proceso de Giordano Bruno, Atti del<br />

convegno di Barcellona, 2-4 dicembre 1999, a cura di M. A. Granada, Barcelona 2001, pp.<br />

111-29: pp. 119-22, e Id., Una rilettura del processo di Giordano Bruno: procedure e aspetti<br />

giuridico-formali, in P. Giustiniani et alii (a cura di), Giordano Bruno. Oltre il mito e le<br />

opposte passioni, Biblioteca Teologica Napolitana, Napoli 2002, pp. 217-34; cfr. anche S.<br />

<strong>Ricci</strong>, Da Santori a Bellarmino. La politica romana e il processo a Giordano Bruno, ivi, pp.<br />

235-66, e P. Giustiniani, Bellarmino e Bruno. L’immaginario religioso di un inquisitore, ivi,<br />

pp. 267-314; M. Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Mondadori, Milano 2007,<br />

cap. X, e S. <strong>Ricci</strong>, Bruno, Giordano, in Dizionario storico dell’Inquisizione, cit., vol. I, pp.<br />

228-32.<br />

104. Su questo decreto cfr. E. Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e<br />

Campanella, in “Bruniana & Campanelliana”, I, 1995, pp. 43-60, e J. M. de Bujanda, E.<br />

Canone, L’editto di proibizione delle opere di Bruno e Campanella. Un’analisi bibliografica,<br />

ivi, VII, 2002, pp. 451-79.<br />

105. Linee di sviluppo del problema della censura <strong>ecclesiastica</strong> verso la <strong>filosofia</strong> nel<br />

XVII e XVIII secolo affronto in La censura dei filosofi “moderni”: vecchie regole, incostanti<br />

applicazioni, variegati effetti, Atti del convegno “L’uomo moderno e la Chiesa” tenutosi a<br />

Roma presso la Pontificia Università Gregoriana, 16-19 novembre 2011, a cura di P. Gilbert<br />

s. j., G & BP, Roma 2012, pp. 99-126.<br />

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