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La Filosofia di S. Tommaso d'Aquino soggiacente al nostro ...

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Introduzione<br />

<strong>La</strong> <strong>Filosofia</strong> <strong>di</strong> S. <strong>Tommaso</strong> <strong>d'Aquino</strong><br />

<strong>soggiacente</strong> <strong>al</strong> <strong>nostro</strong> linguaggio<br />

d'ogni giorno<br />

L. Jean <strong>La</strong>uand<br />

"Grazie", "Complimenti", "Perdono", "Caro", "Condoglianze" e tante<br />

<strong>al</strong>tre forme del linguaggio quoti<strong>di</strong>ano - nelle <strong>di</strong>verse lingue - celano in sé<br />

profon<strong>di</strong> insegnamenti per la conoscenza filosofica dell'uomo. Al <strong>di</strong> là<br />

dell'eventu<strong>al</strong>e form<strong>al</strong>ismo vuoto - verso dove l'uso giorn<strong>al</strong>iero tende a<br />

scagliarle - queste espressioni così apparentemente inoffensive, incidono<br />

originariamente su importanti <strong>di</strong>mensioni della re<strong>al</strong>tà umana.<br />

D<strong>al</strong>la <strong>di</strong>scussione metodologico-tematica sul linguaggio e<br />

d<strong>al</strong>l'antropologia filosofica (guidati d<strong>al</strong> classico S. <strong>Tommaso</strong> <strong>d'Aquino</strong>),<br />

queste formule <strong>di</strong> convivenza si mostrano come messaggi cifrati, <strong>al</strong>le<br />

volte infinitamente sorprendenti e saggi... Come <strong>di</strong>ce S. Isidoro <strong>di</strong><br />

Siviglia, senza l'etimologia non si conosce la re<strong>al</strong>tà e con essa si può più<br />

rapidamente raccapezzare la forza espressiva delle parole (1).<br />

In verità le parole hanno un potenzi<strong>al</strong>e espressivo molto maggiore <strong>di</strong><br />

quanto noi - così automatico è l'uso che d'esse facciamo - possiamo<br />

immaginare. Perciò l'attenzione del filosofo per i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, per i<br />

contesti, le sottigliezze del linguaggio comune, nella sua stessa lingua od<br />

in <strong>al</strong>tre.<br />

Alcuni punti metodologici<br />

Quando la filosofia si rivolge <strong>al</strong> linguaggio comune, non compie un<br />

proce<strong>di</strong>mento periferico, ma qu<strong>al</strong>cosa <strong>di</strong> molto speci<strong>al</strong>e appartenente <strong>al</strong><br />

proprio nucleo della riflessione filosofica. L'an<strong>al</strong>isi delle forme<br />

quoti<strong>di</strong>ane è importante anche d<strong>al</strong> punto <strong>di</strong> vista dell'educazione, se<br />

veramente vogliamo che l'educazione trascenda l'ambito meramente<br />

form<strong>al</strong>ista e sia un processo d'autentica auto-re<strong>al</strong>izzazione nel qu<strong>al</strong>e il<br />

subietto s'appropria del contenuto e del significato antropologico che<br />

soggiace <strong>al</strong>le forme.<br />

T<strong>al</strong>e appropriazone, <strong>di</strong>cevamo, non è facile ne imme<strong>di</strong>ata. <strong>La</strong> nostra<br />

propensione è piuttosto quella dell'ottun<strong>di</strong>mento e dell'oblio del profondo


senso originario che si è concretizzato in questa od in quella<br />

formulazione.<br />

Perciocché sempre vige quella verità fondament<strong>al</strong>e messa in rilievo<br />

tanto d<strong>al</strong>l'antropologia occident<strong>al</strong>e come d<strong>al</strong>l'orient<strong>al</strong>e: l'uomo è<br />

essenzi<strong>al</strong>mente l'essere che oblia!(2).<br />

E così il linguaggio, la favella vivente del popolo, risulta in molti casi<br />

depositaria delle gran<strong>di</strong> esperienze <strong>di</strong>mentiche.<br />

E se vogliamo riscattare il senso umano che esse celano, dobbiamo<br />

rivolgerci criticamente a questo deposito...<br />

Non deve poi stupire che in un autore classico come S. <strong>Tommaso</strong><br />

<strong>d'Aquino</strong> troviamo una filosofia intimamente compromessa col<br />

linguaggio.<br />

In questo senso è opportuno ricordare <strong>al</strong>cuni dei suoi principi<br />

metodologici.<br />

1) Le nostre parole spesso solo attingono frammentariamente - <strong>Tommaso</strong><br />

usa l'avverbio <strong>di</strong>visim - la re<strong>al</strong>tà che è complessa, che supera <strong>di</strong> molto la<br />

capacità intelletu<strong>al</strong>e umana. D'<strong>al</strong>tronde è <strong>di</strong> <strong>Tommaso</strong> l'acuta<br />

osservazione che "nessun filosofo giammai è arrivato ad esaurire<br />

l'essenza d'una mosca". Al contrario <strong>di</strong> Dio, che esprime tutto in un<br />

unico Verbo, "noi dobbiamo esprimere frammentariamente le nostre<br />

conoscenze con molte ed imperfette parole"(3).<br />

2) Un <strong>al</strong>tro fenomeno interessante, anch'esso legato <strong>al</strong>le limitatezze della<br />

nostra conoscenza e del <strong>nostro</strong> linguaggio, è quello che potremmo<br />

chiamare: l'effetto girasole. Questo è così spiegato da <strong>Tommaso</strong>:<br />

"giacché i principi essenzi<strong>al</strong>i delle cose sono da noi sconosciuti, spesso<br />

per significare l'essenzi<strong>al</strong>e (che non raggiungiamo) le nostre definizioni<br />

incidono su un aspetto accident<strong>al</strong>e"(4). Così, per esempio, tutto l'essere<br />

della pianta che chiamiamo girasole è designato da un fenomeno-gancio,<br />

accident<strong>al</strong>e e periferico, nel caso, l'eliotropismo.<br />

3) E così anche non sfugge <strong>al</strong> Aquinate il fatto che spesso è <strong>di</strong>fferente il<br />

gancio, il cammino per il qu<strong>al</strong>e ogni lingua accede ad una determinata<br />

re<strong>al</strong>tà: lo stesso oggetto che mi protegge contro l'acqua (parapioggia,<br />

paracqua, paraguas, parapluie, guarda-chuva) causa ombra (ombrello,<br />

umbrella, sombrinha). Perciò <strong>di</strong>ce <strong>Tommaso</strong> che "<strong>di</strong>fferenti lingue<br />

esprimono la stessa re<strong>al</strong>tà <strong>di</strong> modo <strong>di</strong>verso"(5).<br />

"Molte grazie"- i tre livelli <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne.<br />

Dicevamo che la limitatezza della conoscenza umana si riflette nel<br />

linguaggio: non possiamo esprimere quello che le cose sono nella misura


in cui non sappiamo completamente cosa sono. Oltre a ciò, una parola<br />

spesso da rilievo originariamente a solo uno fra molti aspetti che offre la<br />

re<strong>al</strong>tà designata.<br />

E può ocorrere che col passar del tempo questa re<strong>al</strong>tà cambi, evolva<br />

sostanzi<strong>al</strong>mente fino a perdere la connessione con l'etimo della parola<br />

che rimane la stessa.<br />

Questo non ci lascia sb<strong>al</strong>or<strong>di</strong>ti perché nell'uso quoti<strong>di</strong>ano le parole<br />

vanno perdendo trasparenza: noi <strong>di</strong>ciamo ins<strong>al</strong>ata <strong>di</strong> riso (in Brasile si<br />

parla anche della dolce "ins<strong>al</strong>ata <strong>di</strong> frutta"! - che in it<strong>al</strong>iano si <strong>di</strong>ce<br />

"macedonia <strong>di</strong> frutta" - perché coinvolge mescolanza) e non notiamo più<br />

che ins<strong>al</strong>ata viene da s<strong>al</strong>e.<br />

Dello stesso modo il barbiere oggigiorno quasi non fa più barbe ma<br />

taglia i capelli; come anche la tintoria in<strong>di</strong>ca un negozio che provvede<br />

<strong>al</strong>la smacchiatura, lavatura e stiratura <strong>di</strong> abiti dove quasi non si tingono<br />

più tessuti; come il cameriere in<strong>di</strong>ca più chi serve a tavola che chi è<br />

addetto <strong>al</strong>la pulizia delle camere; od anche il villano che d<strong>al</strong> in<strong>di</strong>care<br />

l'abitante della compagna, il conta<strong>di</strong>no, in<strong>di</strong>ca oggidì la persona rozza,<br />

priva <strong>di</strong> garbo e cortesia; il chauffeur non risc<strong>al</strong>da ma <strong>di</strong>rige la vettura; e<br />

neanche per sogno ci verrebbe per la testa d'associare "capit<strong>al</strong>e", somma<br />

<strong>di</strong> denaro che frutta interesse con capo (d<strong>al</strong> lat. caput, capitis).<br />

Se queste incompatibilità non ci causano stranezza, è perché il<br />

linguaggio si è tornato opaco per noi.<br />

E così <strong>di</strong>ciamo collare, collaretto, collarino, torcicollo, capocollo, a<br />

rompi-collo (precipitosamente), il rompicollo (persona sconsiderata),<br />

scollare, scarpa scollata (che lascia scoperto il collo del piede), e non ci<br />

accorgiamo che derivano da collo (perciò l'espressione "portare un<br />

bambino in collo"(6) sembra incomprensibile <strong>di</strong> primo acchito).<br />

Queste considerazioni sono preliminari importanti <strong>al</strong>lo stu<strong>di</strong>o della<br />

gratitu<strong>di</strong>ne e delle varie formulazioni che essa riceve nelle <strong>di</strong>verse<br />

lingue.<br />

<strong>Tommaso</strong> <strong>d'Aquino</strong> insegna che la gratitu<strong>di</strong>ne è una re<strong>al</strong>tà umana<br />

complessa (e perciò sussegue che la sua espressione verb<strong>al</strong>e sia in ogni<br />

lingua frammentaria: questo o quel aspettogancio è accentuato): "<strong>La</strong><br />

gratitu<strong>di</strong>ne si compone <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong>. Il primo consiste nel riconoscere<br />

(ut recognoscat) il beneficio ricevuto; il secondo consiste in lodare e<br />

render grazie (ut gratias agat); il terzo consiste in retribuire d'accordo<br />

con le possibilità e secondo le circostanze più opportune <strong>di</strong> tempo e<br />

luogo" (II-II, 107, 2, c).


Questo insegnamento, apparentemente così semplice, può essere<br />

rincontrato nei <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> con cui le <strong>di</strong>verse lingue si v<strong>al</strong>gono per<br />

ringraziare: ognuna accentuando un aspetto della multiforme re<strong>al</strong>tà della<br />

gratitu<strong>di</strong>ne.<br />

Alcune lingue esprimono la gratitu<strong>di</strong>ne prendendola nel primo livello:<br />

esprimendo più nitidamente la riconoscenza <strong>di</strong> chi ha ricevuto la grazia.<br />

Per <strong>di</strong> più riconoscenza (come reconnaissance in francese) è proprio un<br />

sinonimo <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne.<br />

In questo senso è estremamente interessante verificare l'etimologia:<br />

nella saggezza della lingua inglese to thank (ringraziare) e to think<br />

(pensare) sono nella sua origine, e non per caso, la stessa parola.<br />

Al definire l'etimologia <strong>di</strong> thank l'Oxford English Dictionary è chiaro:<br />

"The primary sense was therefore thought"(7). E nello stesso modo in<br />

tedesco danken (ringraziare) è originariamente denken (pensare).<br />

Tutto questo è insomma molto comprensibile, poi come tutti sanno,<br />

solo si sente veramente grato chi pensa nel favore che ha ricevuto come<br />

t<strong>al</strong>e.<br />

Solo è grato chi pensa, pondera, considera la liber<strong>al</strong>ità del<br />

benefattore. Quando questo non ocorre, viene il giustissimo rammarico:<br />

"Che mancanza <strong>di</strong> considerazione!"(8).<br />

Perciò S. <strong>Tommaso</strong> - facendo notare che il massimo negativo è la<br />

negazione del grado infimo positivo (l'ultima a destra <strong>di</strong> chi s<strong>al</strong>e è la<br />

prima a sinistra <strong>di</strong> chi scende...) - afferma che la mancanza <strong>di</strong><br />

riconoscenza, l'ignorare, è la suprema ingratitu<strong>di</strong>ne(9): "il m<strong>al</strong>ato che<br />

non si rende conto del morbo, non si vuol curare"(10).<br />

L'espressione araba <strong>di</strong> ringraziamento, shukran, shukran jazylan, si<br />

trova <strong>di</strong>rettamente nel secondo livello: quello <strong>di</strong> lode del benefattore e<br />

del beneficio ricevuto.<br />

Già la formulazione latina per gratitu<strong>di</strong>ne, gratias ago, che si è<br />

proiettata nel it<strong>al</strong>iano grazie, nel castigliano (gracias) e nel francese<br />

(merci, mercè)(11) è relativamente complessa. S. <strong>Tommaso</strong> <strong>di</strong>ce (I-II,<br />

110, 1) che il suo nucleo, grazia, comporta tre <strong>di</strong>mensioni:<br />

1) ottenere grazia, entrare nelle grazie, nei favori, nell'amore <strong>di</strong> qu<strong>al</strong>cuno<br />

che dunque ci fa qu<strong>al</strong>que beneficio;<br />

2) grazia in<strong>di</strong>ca anche un dono, qu<strong>al</strong>cosa <strong>di</strong> non dovuto, gratuitamente<br />

dato, senza merito da parte del beneficiario;<br />

3) la retribuzione, "fare grazie" (render grazie) da parte del beneficiario.


Nel trattato De M<strong>al</strong>o (9,1) si aggiunge un quarto significato <strong>di</strong> gratias<br />

agere: quello <strong>di</strong> lode; chi considera che il bene ricevuto procede da un<br />

<strong>al</strong>tro e che deve essere lodato.<br />

Nel ampio quadro che abbiamo mostrato in vista - quello delle<br />

espressioni <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne in inglese, tedesco, francese, castigliano,<br />

it<strong>al</strong>iano, latino ed arabo - riss<strong>al</strong>ta il carattere profon<strong>di</strong>ssimo della forma<br />

portoghese: "obrigado".<br />

<strong>La</strong> formulazione portoghese, così incantevole e singolare, è l'unica a<br />

trovarsi chiaramente nel più profondo livello <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cui parla S.<br />

<strong>Tommaso</strong>, il terzo (che natur<strong>al</strong>mente racchiude in sé i due anteriori):<br />

quello del vincolo (ob-ligatus), del obbligo, del dovere <strong>di</strong> retribuire.<br />

Possiamo adesso an<strong>al</strong>izzare la ricchezza che racchiude in sé anche la<br />

forma giapponese per ringraziamento: Arigatô.<br />

Questa rimette ai seguenti significati primitivi: "l'esistenza è<br />

<strong>di</strong>fficile", "è <strong>di</strong>fficile vivere", "rarità", "eccellenza (eccellenza della<br />

rarità)". I due ultimi sensi sopra riferiti sono comprensibili: in un mondo<br />

in cui la tendenza gener<strong>al</strong>e è quella d'ognuno pensare a sé e, se tanto, i<br />

rapporti umani si regolano per la stretta e fredda giustizia, "l'eccellenza"<br />

e la "rarità" si fanno notare come caratteristiche del favore.<br />

Ma "<strong>di</strong>fficoltà d'esistere" e "<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> vivere", a prima vista niente<br />

hanno a che vedere col ringraziamento. Tuttavia S. <strong>Tommaso</strong> insegna<br />

che la gratitu<strong>di</strong>ne deve - per lo meno nell'intenzione - superare il favore<br />

ricevuto. E che ci sono debiti per natura ins<strong>al</strong>dabili: d'un uomo in<br />

relazione ad un <strong>al</strong>tro suo benefattore, e sopratutto in relazione a Dio:<br />

"Che cosa renderò <strong>al</strong> Signore - <strong>di</strong>ce il S<strong>al</strong> 115 - per quanto mi ha dato?".<br />

In queste situazioni <strong>di</strong> debito impagabile - così frequenti <strong>al</strong>la<br />

sensibilità <strong>di</strong> chi è giusto - l'uomo riconoscente si sente in imbarazzo e fa<br />

tutto quello che è <strong>al</strong>la sua portata (quidquid potest), tendendo a spandersi<br />

in un excessum che si sa insufficiente(12) (cfr. III, 85, 3 ad 2).<br />

Arigatô si riferisce così <strong>al</strong> terzo grado <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne, significando la<br />

coscienza <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>viene l'esistenza (d<strong>al</strong> momento in che si è<br />

ricevuto t<strong>al</strong>e favore immeritato, e perciò si è rimasti nel dovere <strong>di</strong><br />

retribuire, sempre impossibile <strong>di</strong> compiere...).<br />

Sinonimi?<br />

San <strong>Tommaso</strong> è molto stretto nell'uso della parola "sinonimo": per lui<br />

sono sinonime soltanto parole <strong>di</strong> significato assolutamente equiv<strong>al</strong>ente,<br />

cioè, che non solo in<strong>di</strong>cano la stessa re<strong>al</strong>tà (res) ma anche lo stesso


aspetto, la stessa ratio. Dice per esempio nella Contra Gentiles:<br />

"Nonostante queste parole significhino la stessa re<strong>al</strong>tà non sono<br />

sinonime perché non la foc<strong>al</strong>izzanno sotto lo stesso aspetto"(13).<br />

Così, per <strong>Tommaso</strong>, due (o più parole sono sinonime) se (e solo se...)<br />

in qu<strong>al</strong>siasi contesto possono essere commutate senza <strong>al</strong>terazione re<strong>al</strong>e <strong>di</strong><br />

senso: l'esempio che ci da, nel Commentario <strong>al</strong>le Sentenze, è tunica,<br />

vestis e indumentum. Qu<strong>al</strong>siasi cosa che si affermi (o neghi) <strong>di</strong> tunica<br />

sarà affermato (o negato) anche <strong>di</strong> vestis(14). Sarebbe come cambiare<br />

"sei" per "mezza dozzina"...<br />

Noi oggi con meno precisione ammettiamo come sinonime<br />

giustamente parole che - sebbene con titoli <strong>di</strong>fferenti o enfasi - si<br />

riferiscono <strong>al</strong>la stessa re<strong>al</strong>tà. Così <strong>di</strong> "sinonimo" ci <strong>di</strong>ce il <strong>di</strong>zionario<br />

brasiliano Aurélio: "parola che ha quasi (sic) la stessa significazione <strong>di</strong><br />

un <strong>al</strong>tra". Già il <strong>La</strong>rousse è più esplicito: "mots qui se présentent dans la<br />

langue avec des sens très proches et qui se <strong>di</strong>fférencient entre eux par<br />

une nuance (trait particulier)".<br />

Già l'Oxford <strong>di</strong>stingue e registra due sensi, quello stretto e quello lato:<br />

"Synonym - 1. Strictly, a word having the same sense as another (in the<br />

same language); but more usu<strong>al</strong>ly, either or any of two or more words (in<br />

the same language) having the same gener<strong>al</strong> sense, but possessing each<br />

of them meanings which are not shared by the other or others, or having<br />

<strong>di</strong>fferent shades of meaning or implications appropriate to <strong>di</strong>fferent<br />

contexts: e.g. serpent, snake; ship, vessel etc."<br />

Per <strong>Tommaso</strong>, <strong>al</strong> contrario, come <strong>di</strong>cevamo, due parole possono<br />

riferirsi <strong>al</strong>la stessa ed unica re<strong>al</strong>tà e nonostante non essere sinonime:<br />

perché <strong>di</strong>fferenti sono le sue rationes. È il caso per esempio dei <strong>di</strong>versi<br />

nomi con i qu<strong>al</strong>i designamo a Dio od ai suoi attributi (Creatore,<br />

Onnipotente, la Bontà, la Giustizia ecc.): tutti incidono sulla stessa<br />

re<strong>al</strong>tà, ma non sono sinonimi(15).<br />

Sia come sia, d<strong>al</strong> punto <strong>di</strong> vista metodologico sono <strong>di</strong> speci<strong>al</strong>e<br />

interesse per il filosofo due punti:<br />

1) la ricerca <strong>di</strong> contesti del linguaggio comune in cui una parola non può<br />

- senza <strong>al</strong>terazione del senso - essere sostituita da nessun "sinonimo":<br />

questo è un fecondo proce<strong>di</strong>mento per scoprire la re<strong>al</strong>tà antropologica<br />

significata d<strong>al</strong> vocabolo.<br />

2) Il secondo punto a <strong>di</strong>staccare è il fatto che ogni "sinonimo" ha la sua<br />

ratio, si riferisce a un determinato aspetto <strong>di</strong>fferente della stessa ed unica<br />

re<strong>al</strong>tà: così come quando parliamo <strong>di</strong> "casa", focolare", "domicilio",


"residenza", "abitazione", "<strong>di</strong>mora" o "reggia". In sé la re<strong>al</strong>tà a cui si<br />

riferiscono queste parole è la stessa ed unica e<strong>di</strong>ficazione - nella via t<strong>al</strong>e,<br />

numero t<strong>al</strong>e -, però nessuno <strong>di</strong>ce "domicilio, dolce domicilio", neanche<br />

la prefettura riscuote le tasse sul focolare ecc.(16).<br />

Questa molteplicità <strong>di</strong> forme del linguaggio per la stessa res ha<br />

importanza nell'an<strong>al</strong>isi che <strong>Tommaso</strong> fa del amore.<br />

"Mio caro"<br />

<strong>La</strong> ricchezza (e la precisione) del vocabolario vivo riguardante un<br />

determinato soggetto in una lingua denota l'interesse vit<strong>al</strong>e dei parlanti<br />

per quel tema. In questo senso si noti per esempio (in Brasile o in It<strong>al</strong>ia)<br />

l'incre<strong>di</strong>bile dettagliare del lessico riguardante il c<strong>al</strong>cio: c<strong>al</strong>cio atletico,<br />

c<strong>al</strong>cio bailado, c<strong>al</strong>cio tot<strong>al</strong>e, c<strong>al</strong>cio parlato, c<strong>al</strong>cio giocato.<br />

Nello stesso modo S. <strong>Tommaso</strong> presenta <strong>di</strong>stinzioni fra i <strong>di</strong>versi<br />

"sinonimi" d'amore in latino, interessanti d<strong>al</strong> punto <strong>di</strong> vista<br />

dell'antropologia filosofica. Così <strong>al</strong> affermare (in I Sent. d 10, q 1, a 5)<br />

che lo Spirito Santo è amor o caritas o <strong>di</strong>lectio del Padre e del Figlio,<br />

precisa che amor in<strong>di</strong>ca la semplice inclinazione dell'affetto per l'amato,<br />

mentre <strong>di</strong>lectio ("come la propria etimologia in<strong>di</strong>ca") presuppone la<br />

scelta e quin<strong>di</strong> è razion<strong>al</strong>e. Già caritas, obietto <strong>di</strong> particolare stu<strong>di</strong>o in<br />

questo topico, accentua la veemenza dell'amore (<strong>di</strong>lectio) mentre si tiene<br />

l'amato per un prezzo inestimabile ("inquantum <strong>di</strong>lectum sub<br />

inaestimabili pretio habetur"), nello stesso senso che si <strong>di</strong>ce che le cose<br />

(il costo della vita, le compre) sono care ("secundum quod res multi<br />

pretii carae <strong>di</strong>cuntur").<br />

Qui c'è un fatto sorprendente e molto suggestivo. Non è per caso che<br />

anche in <strong>al</strong>tre lingue si usa la stessa ed unica parola per <strong>di</strong>re: "mio caro<br />

amico" e "i fagioli sono cari" ("my dear friend", "beans are too dear";<br />

"mon cher ami" e "haricots sont trop cher"; "meu caro amigo" e "o feijão<br />

está caro"; "mein teurer Freund" e "Bohnen sind teuer").<br />

Per il re<strong>al</strong>ismo me<strong>di</strong>ev<strong>al</strong>e, non c'è nessun stupore per la parola<br />

"carità", scelta per designare l'amore <strong>di</strong> Dio (e l'amore del prossimo per<br />

Dio), essere la parola precristiana legata <strong>al</strong> danaro, ai prezzi: carità,<br />

l'amore per l'amato, insiste <strong>Tommaso</strong>, in<strong>di</strong>ca quello (una cosa, un<br />

oggetto) che consideriamo d'inestimabile prezzo, come carissimo:


"Caritas <strong>di</strong>citur, eo quod sub inaestimabili pretio, quasi carissimam<br />

rem, ponat amatum caritas" (In III Sent. d.27, q.2, a.1, ag7).<br />

Così, quando <strong>di</strong>ciamo "mio caro amico" o "carissimo tizio" ci<br />

serviamo <strong>di</strong> metafore <strong>di</strong> prezzo (perciò anche: apprezzare, pregiato,<br />

<strong>di</strong>sprezzo, spregevole, spregio, pregiare), <strong>di</strong> stima, <strong>di</strong> stimare...<br />

Guarda caso, in questa medesima linea si situa la formula <strong>di</strong> cortesia<br />

araba <strong>di</strong>nanzi un amico che <strong>di</strong>ce che va a chiedere qu<strong>al</strong>cosa: "Anta g<strong>al</strong>ly<br />

wa t<strong>al</strong>ibuka rakhiz" ("tu sei caro e la tua richiesta è a buon mercato").<br />

E quando noi ci ricor<strong>di</strong>amo che Cristo compara il Regno dei Cieli ad<br />

un tesoro che un uomo ha trovato in un campo o ad un mercatore che<br />

cerca pietre preziose e che l'ottenimento <strong>di</strong> questo bene richiede la<br />

ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tutto il resto, non ci sorprenderà che "carità"sia la parola per<br />

designare il bene apprezzato.<br />

"Complimenti"<br />

Ci rivolgiamo adesso ad un'<strong>al</strong>tra situazione del quoti<strong>di</strong>ano, quella<br />

delle felicitazioni, cercando <strong>di</strong> riscattare il senso origin<strong>al</strong>e dei voti <strong>di</strong><br />

congratulazione.<br />

Seguendo il proce<strong>di</strong>mento me<strong>di</strong>ev<strong>al</strong>e, resteremo attenti <strong>al</strong>l'etimologia.<br />

Quando trascen<strong>di</strong>amo l 'ambito delle form<strong>al</strong>ità e della consuetu<strong>di</strong>ne, i<br />

voti <strong>di</strong> felicitazioni: "Auguri!" (e i suoi confratelli in <strong>al</strong>tre lingue: lo<br />

spagnolo Enhorabuena!, l 'inglese Congratulations!, il portoghese<br />

Parabéns!, ecc.), ve<strong>di</strong>amo che portano con sé <strong>di</strong>fferenti e complementari<br />

in<strong>di</strong>cazioni sul mistero dell'essere e del cuore umano.<br />

Cosa significano esattamente queste formulazioni? Cosa veramente<br />

vogliamo <strong>di</strong>re quando <strong>di</strong>ciamo "auguri" o "congratulations" ecc.? Tutte<br />

queste espressioni portano con sé un profondo significato, per così <strong>di</strong>re,<br />

"invisibile ad occhio nudo".<br />

Cominciamo per la formula castigliana: Enhorabuena!, letter<strong>al</strong>mente<br />

"in buona ora". Enhorabuena in<strong>di</strong>ca che un determinato cammino (gli<br />

anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o che sboccano in una laurea, l'arduo lavoro per stabilire<br />

un'impresa che si inaugura ecc.) arriva in quest'ora in cui si danno le<br />

felicitazioni <strong>al</strong> suo termine: questa è veritieramente l'ora buona,<br />

enhorabuena!


Precisamente il fatto d'essere l'ora della conclusione è quello che la fa<br />

una buona ora. <strong>La</strong> saggezza degli antichi ci parla "dell'ora d'ognuno",<br />

delle ore buone e cattive. Ma la buona ora, l'ora migliore, è quella della<br />

conclusione, della consumazione dell'opera, quella del buon termine del<br />

cammino, l'ora della fine, che è migliore che quella del cominciamento:<br />

"Melior est finis quam principium" (Ecl. 7, 8), <strong>di</strong>ce la propria Sapienza<br />

<strong>di</strong>vina.<br />

Già la formulazione inglese, anche presente in tedesco e in <strong>al</strong>tre<br />

lingue, congratulations, esprime l'<strong>al</strong>legria per il bene dell'<strong>al</strong>tro con il<br />

qu<strong>al</strong>e ci congratuliamo, cioè ci co-<strong>al</strong>legriamo. Questa communione<br />

d'<strong>al</strong>legrezza è suggerita anche per la forma deponente dei verbi latini<br />

gratulor e con-gratulor. <strong>La</strong> forma deponente in<strong>di</strong>ca che l'azione descrita<br />

nel verbo non è attiva ne passiva: ma un'azione che, esercitata d<strong>al</strong><br />

soggetto, ripercuote in sé stesso. Vuol <strong>di</strong>re, nel caso, che l'<strong>al</strong>legria che<br />

esterniamo <strong>al</strong> felicitare t<strong>al</strong>e persone è anche, a titolo proprio, molto<br />

nostra.<br />

L'arabo mabruk ricorda il carattere <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>zione con che felicitiamo<br />

<strong>al</strong>trui.<br />

Con l'incantevole forma portoghese "Parabéns" si esprime<br />

precisamente questo: che il bene conquistato, che la meta raggiunta sia<br />

adoperata per il bene: "parabéns". Poiché qu<strong>al</strong>siasi bene ottenuto (il dono<br />

della vita, sol<strong>di</strong> o la conquista <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ploma) può, come tutti sanno,<br />

essere adoperato sia per il bene che per il m<strong>al</strong>e.<br />

L'it<strong>al</strong>iano "auguri, auguri tanti!" annuncia (o cagiona) che questo bene<br />

celebrato è solo preannuncio, prefigurazione, augurio <strong>di</strong> <strong>al</strong>tri ancora<br />

maggiori che stanno per venire.<br />

"Le mie condoglianze"<br />

"Adossavo una tristezza..." <strong>di</strong>ce l'antica samba <strong>di</strong> Paulinho da Viola:<br />

la tristezza è - evidentemente - un peso, gravità, la famosa gravezza...! E<br />

per caricare il peso del dolore, della tristezza, niente <strong>di</strong> meglio - insegna<br />

<strong>Tommaso</strong> - che l'aiuto degli amici: "perché la tristezza è come una carica<br />

pesante che si torna più leggera per caricare quando con<strong>di</strong>visa da molti:<br />

perciò la presenza degli amici è così apprezzata nei momenti <strong>di</strong><br />

dolore"(17). Così si comprende imme<strong>di</strong>atamente che l'espressione <strong>di</strong><br />

condoglianze ("dolersi con") sia in portoghese (e in <strong>al</strong>tre lingue)


"pêsames", che letter<strong>al</strong>mente vuol <strong>di</strong>re "mi pesa" ("io t'aiuto a caricare il<br />

peso della tua tristezza").<br />

"Perdonami"<br />

"Perdonare" è una forma tar<strong>di</strong>va che non si trova in S. <strong>Tommaso</strong>. <strong>La</strong><br />

parola corrispondente ed usu<strong>al</strong>e da lui usata è parcere. Tuttavia troviamo<br />

in S. <strong>Tommaso</strong> le ragioni filosofiche che giustificano la gran<strong>di</strong>osa<br />

etimologia delle forme moderne: "perdonare", "perdono", "pardon",<br />

"pardonner", "perdão" ecc.<br />

Il prefisso per accumula i sensi <strong>di</strong> "per" (attraverso <strong>di</strong>") e <strong>di</strong> pienezza,<br />

grado massimo: come in perdurare (durare completamente); perlucido<br />

(completamente luminoso); perfrigerare (rinfrescare intensamente);<br />

perorare (orare, parlare intensamente); permanganato (s<strong>al</strong>e dell'acido in<br />

cui il manganese esplica la sua massima v<strong>al</strong>enza <strong>di</strong> sette) ecc.<br />

E così il perdono appare come il superlativo <strong>di</strong> donazione. Lo stesso<br />

occorre con le forme inglesi e tedesche: for-give, vor-geben.<br />

Come l'Aquinate pensa il tema del perdono e come lo rapporta <strong>al</strong><br />

massimo <strong>di</strong> donazione? Ci sono influenze bibliche e liturgiche. Nella<br />

liturgia <strong>Tommaso</strong> s'impressiona con l'orazione spesso da lui citata, della<br />

messa della X domenica dopo la Pentecoste (e ancora oggi preservata<br />

nella XXVI domenica del tempo comune), che <strong>di</strong>ce: "Deus qui<br />

omnipotentiam tuam parcendo maxime manifestas" ("Dio che manifesti<br />

la tua onnipotenza massimamente perdonando...").<br />

E afferma che il perdono <strong>di</strong> Dio è un potere superiore a quello <strong>di</strong><br />

creare i cieli e la terra (II-II, 113, 9, sc).<br />

D'<strong>al</strong>tra parte lui vede nella traduzione latina della Lettera agli Efesini:<br />

"siate anche scambievolmente benevoli, misericor<strong>di</strong>osi, 'donandovi' tra<br />

voi come anche Dio ha 'donato' a voi per Cristo" (Ef 4,32)(18). Ed in II<br />

Cor 2:10 "A chi voi 'donate' 'dono' anch'io, perché quello che io ho<br />

'donato' ecc."(19). <strong>Tommaso</strong> non ne ha dubbi: il donare per eccellenza<br />

non è donare sol<strong>di</strong> o tempo o qu<strong>al</strong>cosa d'<strong>al</strong>tro, ma si perdonare(20).<br />

E conclude, con la sua abitu<strong>al</strong>e sobrietà, com suggestivi id est:<br />

"Donate, id est parcite" (Super II ad Cor. cp 12, lc 4) e "Donantes, id est<br />

parcentes" (Super ad Coloss. cp 3 lc 3).


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1. "Nisi enim nomen scieris, cognitio rerum perit" (Et. I, 7,1) e "Nam dum videris unde<br />

ortum est nomen, citius vim eis intellegis" (Et. I, 29,2).<br />

2. Si veda a questo proposito in <strong>La</strong>uand, Me<strong>di</strong>evália , S Paulo, Hottopos, 1997, il capitolo<br />

"Educação e Memória".<br />

3. "Quia enim nos non possumus omnes nostras conceptiones uno verbo expri-mere, ideo<br />

oportet quod plura verba imperfecta formemus, per quae <strong>di</strong>visim exprimamus omnia, quae in<br />

scientia nostra sunt"(Super Ev. Io. cp 1, lc1).<br />

4. "Et quia essenti<strong>al</strong>ia principia sunt nobis ignota, frequenter ponimus in definitionibus<br />

<strong>al</strong>iquid accident<strong>al</strong>e, ad significandum <strong>al</strong>iquid essenti<strong>al</strong>e" (In I Sent. ds 25, q 1, a 1, r 8).<br />

5. "Diversae linguae habent <strong>di</strong>versum modum loquen<strong>di</strong>" (I, 39, 3 ad 2).<br />

6. L'espressione "portare un bambino "<strong>di</strong> collo o in collo" (ein Kind auf dem Ar-me tragen),<br />

oggidì non è tanto usata in it<strong>al</strong>iano quanto in portoghese. Così l'es-pressione portoghese "ao<br />

colo" si traduce per "in braccio"; ma è importante no-tare che essa era usata anche in it<strong>al</strong>iano.<br />

Così nel <strong>di</strong>zionario <strong>di</strong> P. Petrocchi: No-vo Dizionario Univers<strong>al</strong>e della Lingua It<strong>al</strong>iana,<br />

Milano, Trèves E<strong>di</strong>tori, 1924, v. I, p. 506, cè l'espressione: "Tiento un momento in collo<br />

questo bambino. Non portate troppo in collo i bambini".<br />

7. Citerò questo <strong>di</strong>zionario in hipertesto in Cd-ROM Oxford English Dictionary 2nd. ed. on<br />

CD-ROM, 1994.<br />

8. Già Seneca - citato da <strong>Tommaso</strong>, II-II, 106, 3 ad 4 - parla che non si può avere gratitu<strong>di</strong>ne<br />

tranne per quello che oltrepassa lo strettamente dovuto, "ultra debitum". Ministerium tuum<br />

est ("Tu non fai più che il tuo obbligo") ed <strong>al</strong>tre formulazioni dello stesso contenuto sono,<br />

come si vede, già molto antiche.<br />

9. "Est gravissimum inter species ingratitu<strong>di</strong>nis, cum scilicet homo beneficium non<br />

recognoscit" (In II Sent. d.22 q.2 a.2 r.1).<br />

10. "Quia dum morbum non cognoscit, me<strong>di</strong>cinam non quaerit", ibidem.<br />

11. Merci deriva da merces (s<strong>al</strong>ario), che a preso nel latino popolare il senso <strong>di</strong> prezzo d<strong>al</strong><br />

qu<strong>al</strong>e deriva il senso <strong>di</strong> "favore" e quello <strong>di</strong> "grazia".<br />

12. Da questa insufficienza <strong>di</strong> chi sa <strong>di</strong> non <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> moneta forte, nasce il ricorso a Dio,<br />

consolidato nell'espressione "Dio gliene renda merito" o "Dio ti paghi", che natur<strong>al</strong>mente<br />

lascia sottinteso che un povero uomo (un povero <strong>di</strong>avolo) come me non possa farlo.<br />

13. "Quamvis nomina <strong>di</strong>cta eandem rem significent, non tamen sunt synonyma: quia non<br />

significant rationem eandem" (CG I, 35, 1).<br />

14. "Sicut patet etiam in synonimis; tunica enim et vestis eamdem rem signi-ficant, tamen<br />

nomina sunt <strong>di</strong>versa; et similiter indumentum. Unde affirmationes et negationes quae<br />

pertinent ad rem, non possunt verificari, ut <strong>di</strong>catur: tunica est <strong>al</strong>ba, indumentum non est<br />

<strong>al</strong>bum" (In I Sent. d. 34, q.1, a.1, r.2)<br />

15."Osten<strong>di</strong>tur etiam ex <strong>di</strong>ctis quod, quamvis nomina de Deo <strong>di</strong>cta eandem rem significent,<br />

non tamen sunt synonyma: quia non significant rationem eandem" CG I, 35, 1. Ou "Cum non<br />

secundum eandem rationem attribuantur, constat ea non esse synonyma, quamvis rem


omnino unam significent: non enim est eadem nominis significatio, cum nomen per prius<br />

conceptionem intellectus quam rem intellectam significet" CG I, 35, 2.<br />

16. Anche se natur<strong>al</strong>mente ci sono casi in che è legitima la sostituzione d'una <strong>di</strong> queste<br />

parole per un'<strong>al</strong>tra o in<strong>di</strong>fferentemente l'uso <strong>di</strong> questa o quella: infine sono "sinonime".!<br />

17."Quod tristitia est sicut onus grave quod quanto plures transsumunt fit levius ad<br />

portandum et sic presentia amici delectabilis" (Tabula libri Ethicorum, cpt).<br />

18. "Estote autem invicem benigni misericordes donantes invicem sicut et Deus in Christo<br />

donavit nobis".<br />

19. "Cui autem <strong>al</strong>iquid donatis et ego nam et ego quod donavi si quid donavi propter vos in<br />

persona Christi".<br />

20."Donare qui è usato nel senso <strong>di</strong> perdonare" Super II ad Cor. cp 12, lc 4.<br />

Questo testo è stato scaricato da: http://jacopo.agnesina.it<br />

Su suggerimento <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Mancino

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