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Il ponte di Marreri - Sardegna Cultura

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– Bisogna ricordare, ma con l’anima nel presente, altrimenti<br />

si offende la vita.<br />

– Conta ciò che avete fatto a lui, – <strong>di</strong>sse Pepparosa fermandosi.<br />

– Dovevo farlo!<br />

Arrivarono al cancelletto. Pepparosa lo chiuse a chiave e,<br />

fatto un cenno <strong>di</strong> saluto, si avviò verso il paese.<br />

– Ad<strong>di</strong>o, Pepparosa, vorrei sentirti gridare, il tuo silenzio<br />

mi fa paura, – <strong>di</strong>sse don Satta, che riprese la strada per <strong>Marreri</strong><br />

rasentando il ciglione della cava <strong>di</strong> sabbione. Ombroso<br />

procedeva sempre svogliatamente. Nel camposanto tornò a<br />

gravare il silenzio della morte. La luce svaniva come per il<br />

sovrastare <strong>di</strong> un’imminente notte. <strong>Il</strong> cielo era corrucciato,<br />

come se <strong>di</strong>etro le nuvole ribollissero arcani cataclismi.<br />

A sera il vento soffiò dai monti e dalle valli con un moto<br />

vorticoso che travolgeva ogni resistenza. Nel paese le folate<br />

s’abbatterono con l’ululato <strong>di</strong> mille bestie ferite quando una<br />

folla sbigottita corse al ciglione <strong>di</strong> Pentumas per attendere<br />

Raimondo Piete che trasportava sul carro il corpo senza vita<br />

<strong>di</strong> don Satta. <strong>Il</strong> vocio pietoso naufragò nel frastuono assordante<br />

del vento che continuò a sferzare per tutta la notte e<br />

per i giorni che seguirono. Le ultime folate furono le più impetuose;<br />

una forza sovrumana scuoteva tutto ciò che affiorava<br />

dalla terra sollevando perfino i sassi. Ai funerali la folla fu<br />

<strong>di</strong>spersa come un mucchio <strong>di</strong> cenci senza peso. <strong>Il</strong> vescovo <strong>di</strong><br />

Nuoro non osò mettere il naso fuori dalla chiesa: <strong>di</strong>sse qualcosa<br />

per commemorare l’illustre estinto e, terrorizzato da<br />

quella bufera che curvava le querce, si raccolse in preghiera<br />

sollecitando gli altri con un cenno della mano. I preti venuti<br />

da ogni dove uscirono, ma nella piazza della chiesa in<strong>di</strong>etreggiarono<br />

con le sottane gonfie <strong>di</strong> vento. Al camposanto la bara<br />

arrivò trascinandosi <strong>di</strong>etro i portatori che pencolavano<br />

quasi dalle robuste maniglie <strong>di</strong> ferro. Planò vicino alla fossa,<br />

dove attendeva Berrittone, contento del vento e dello scompiglio<br />

ch’esso aveva portato. Dopo che la bara fu seppellita il<br />

cielo riacquistò la dolcezza delle secche <strong>di</strong> gennaio; delle pazzie<br />

del vento non rimase altro segno che l’eco lontano dei<br />

boschi che continuavano a gemere.<br />

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– Anime buone non erano, – ripeteva la gente cercando<br />

con gesti vaghi i possibili rifugi <strong>di</strong> quelle furie placate. Si<br />

parlava della fine <strong>di</strong> don Satta, come se in quel vento ci fosse<br />

stato lui, mutatosi per un’estrema bizzaria. Tutti sapevano<br />

del luogo, dell’ora, del modo, ma nessuno credeva che quello<br />

fosse un morire.<br />

L’inquisitore, venuto appositamente da Torino, faticava a<br />

capire i riferimenti contenuti nelle risposte degli interrogati.<br />

Sembrava reticenza, per sfiducia o <strong>di</strong>ffidenza, ma era solo travisamento<br />

per la superstiziosa paura dei fatti. <strong>Il</strong> marchese<br />

Monal<strong>di</strong>, torinese, inviato dal re con pieni poteri, si era inse<strong>di</strong>ato<br />

nella sala grande della casa <strong>di</strong> don Satta. Lo assistevano<br />

un capitano <strong>di</strong> giustizia e il comandante della guarnigione<br />

militare che presi<strong>di</strong>ava il paese e le zone vicine. La morte <strong>di</strong><br />

don Satta aveva convinto le autorità <strong>di</strong> Torino a stringere <strong>di</strong><br />

più i freni; ora che non c’era più il viceré ci si affidava alla polizia<br />

e all’esercito per reprimere senza pietà qualsiasi tentativo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza o ribellione. Monal<strong>di</strong> aveva meto<strong>di</strong> personalissimi<br />

e si avvalse poco dei suoi collaboratori, salvo che per<br />

la lingua, che lui capiva a stento. Si era documentato puntigliosamente.<br />

I suggerimenti più preziosi glieli aveva dati il<br />

conte de Viry, l’ex inviato del viceré, il quale oltre che riferirgli<br />

quanto lui aveva visto e sentito durante il soggiorno a Orvine,<br />

gli aveva fatto leggere un’infinità <strong>di</strong> rapporti segreti e le<br />

numerose lettere in<strong>di</strong>rizzategli dallo sfortunato rettore. Monal<strong>di</strong><br />

volle vedere i luoghi, da solo, per comporre la cornice.<br />

Ispezionò la casa <strong>di</strong> don Satta in ogni angolo, chiedendo a<br />

Carmela abitu<strong>di</strong>ni e orari; visitò la chiesa del Carmelo, <strong>di</strong><br />

giorno e <strong>di</strong> notte; salì sul campanile; si recò a Santandria; scese<br />

a <strong>Marreri</strong> e andò perfino alla Consolata, annotando nomi<br />

e particolari che lo colpivano; e tracciò perfino schizzi topografici.<br />

Attraverso quegli itinerari tentò <strong>di</strong> ricostruire la personalità<br />

<strong>di</strong> don Satta, che appariva notevole e affascinante, anche<br />

se molto bizzarra. Non era facile però penetrare nella<br />

mente e nel cuore <strong>di</strong> quello strano prete, che si muoveva per<br />

impulsi, generoso e tiranno, ingenuo e astuto, mutevolissimo<br />

negli umori, anche se voleva razionalizzare tutto a suo modo,<br />

come testimoniavano gli scritti custo<strong>di</strong>ti nello stu<strong>di</strong>o.<br />

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