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S.Anatolia, Cartore e dintorni - Sant'Anatolia

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Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong><br />

Storia di piccoli villaggi romano-medioevali<br />

Febbraio 2003 - Sant'<strong>Anatolia</strong> in inverno - Fotografia di Giulio Panei<br />

Roberto Tupone – 2001/2011<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 1/79


Premessa<br />

Il sito di Sant'<strong>Anatolia</strong> è il frutto di molti anni di ricerche fatte nei ritagli di tempo di tutta la mia vita. E' stato un lavoro lungo e faticoso ma<br />

entusiasmante. Più che un lavoro per me è stato un piacere e, nonostante penso sempre che non sia terminato, ne sono molto orgoglioso. La<br />

soddisfazione di iniziare non avendo nulla e riuscire poi con il tempo a scovare così tanto materiale è veramente grande.<br />

Ho iniziato a raccogliere informazioni da quando avevo 15 anni chiedendo ai miei genitori, zii e nonni di raccontarmi la storia dei miei antenati.<br />

Quando ho esaurito le fonti è stato naturale allargare il cerchio alla storia del nostro paese e quindi ho intervistato molti altri vecchi di Sant'<strong>Anatolia</strong> e,<br />

sempre naturalmente, ho proseguito andando in cerca di notizie nella biblioteca nazionale di Roma dove io sono nato.<br />

Ho spulciato centinaia di volumi, forse più di mille, alla ricerca di spezzoni di storia. Poi, quando ho esaurito anche le fonti bibliografiche, sono andato<br />

a cercare notizie negli archivi. Da principio sono andato a spulciare nell'archivio della parrocchia di San Nicola a Sant'<strong>Anatolia</strong> da dove poi in seguito<br />

ho tratto le notizie genealogiche. Poi sono stato nell'archivio del comune di Borgorose ma ancora ci sarebbe molto da cercare. Poi in qualche archivio<br />

di Roma ed infine nell'archivio della Diocesi di Rieti dove ho tratto molte delle informazioni inedite sulle chiese del nostro paese.<br />

C'è ancora tantissimo da fare anzi, quando qualcuno, spero stimolato dal lavoro fatto da me, andrà a frugare bene nello stesso archivio della Diocesi di<br />

Rieti, nell'Archivio Provinciale dell'Aquila e soprattutto nell'Archivio del Reame di Napoli e del Vaticano, potrà far sembrare il mio lavoro quasi<br />

insignificante. E' come se avessi scoperto la punta di una piramide, scava e scava, se avessi tempo ancora il grosso è tutto sotto terra.<br />

Già andando soltanto nell'Archivio di Rieti le notizie da trovare sono infinite. Si arriva tranquillamente al 1500 con informazioni inedite e dettagliate<br />

sulle chiese del paese, sul clero e a volte anche sulla popolazione, con nome e cognome di personaggi vissuti a Sant'<strong>Anatolia</strong> nel '500. Poi, volendo,<br />

nello stesso archivio si possono trovare notizie fino al 900 d.C. meno dettagliate ma interessanti.<br />

Alcuni anni fà, prima del 2000, pensavo che la naturale concretizzazione di tutto questo lavoro sarebbe stata la pubblicazione di un libro ma, non<br />

conoscendo il mondo dell'editoria, mi ero arreso di fronte alla "burocrazia" della pubblicazione. Ho tenuto tutto fermo per anni alimentando ogni tanto<br />

il "libro" di qualche nuova notizia. Quando ho scoperto internet ho trovato lo strumento che cercavo ed è stato grazie alla voglia di pubblicare le mie<br />

ricerche che mi sono ritrovato ad imparare a costruire siti web.<br />

Una delle mie ricerche è stata quella della genealogia. Il lavoro che abbiamo fatto io e mio fratello Alfredo, con l'aiuto di mia madre e di alcuni parenti<br />

e amici, è forse unico. Qualche anno fa' sono tornato a S. <strong>Anatolia</strong> per rivedere l'archivio della Parrocchia di San Nicola. Era da poco tempo cambiato il<br />

parroco poiché Don Giovanni Di Gasbarro era andato in pensione. Per fortuna il nuovo parroco (che ha esercitato soltanto un anno a Sant'<strong>Anatolia</strong><br />

prima di trasferirsi altrove) si è fidato di me e della mia passione per la storia e mi ha permesso di fotocopiare l'intero archivio.<br />

Ho rilegato le fotocopie, creando così una copia di sicurezza nel caso i documenti originali vadano perduti. Poi grazie a mio fratello Alfredo e ad un<br />

software di genealogia (geneweb - free software), abbiamo registrato quasi 5.000 nomi cioè tutto il popolo di Sant'<strong>Anatolia</strong> dal 1750 al 1930 (registro<br />

dei battesimi, dei matrimoni, dei morti e degli stati di famiglia). Abbiamo intrecciato i dati mettendo anche i nomi delle madrine o padrini di battesimo,<br />

testimoni di nozze, ecc. ed ora in pochi minuti possiamo inviare alberi genealogici a chiunque ne sia interessato.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 2/79


Da quando ho messo questa possibilità nel sito mi hanno iniziato a scrivere molte persone originarie di Sant'<strong>Anatolia</strong>. La soddisfazione più grande è<br />

stata quando ho visto che la richiesta maggiore proveniva da persone che non vivono in Italia, soprattutto argentini, che poi sono i nipoti degli<br />

emigranti che partirono da Sant'<strong>Anatolia</strong> all'inizio del secolo scorso. Molti mi scrivono anche dall'Italia, soprattutto da Roma, e sono contento perchè<br />

questa è una bellissima possibilità per riallacciare dei rapporti che altrimenti erano destinati a perdersi.<br />

Per quanto riguarda la genealogia qualcos'altro ancora si può trovare nell'archivio di Borgorose ma non si va più indietro del 1800 (anche i registri di<br />

Borgorose, quelli più antichi, li ho fotocopiati). Forse andando al catasto dell'Aquila qualche nome si può ricavare dai contratti di vendita, dai lasciti<br />

ereditari o dagli affitti dei terreni fatti al popolo di Sant'<strong>Anatolia</strong> o dai contratti fatti dai duchi che davano la terra in gestione ai contadini.<br />

Mi piacerebbe molto creare un gruppo di lavoro o un'associazione che si occupi di fare ulteriori ricerche e di ricreare un rapporto con i nostri<br />

concittadini che vivono lontano. Mi piacerebbe coinvolgere i ragazzi di Sant'<strong>Anatolia</strong> che a volte vivono alienati, quasi senza una speranza di lavoro, e<br />

con l'unica possibile via di uscita di andare a vivere in qualche città come L'Aquila, Roma o anche più lontano. Spero in futuro, semmai anche grazie<br />

all'iniziativa di qualcun altro, che quello che ho in mente si possa realizzare.<br />

Roberto Tupone - 19.09.2008<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 3/79


Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 4/79


Introduzione<br />

In questo testo non si parlerà di una città come Roma "Caput Mundi" e neanche di Rieti capoluogo della sua provincia, piene fin dalle origini di storia<br />

globale, di imperi, di capoluoghi, diocesi, province. Qui si parlerà di un piccolo villaggio privo di storie grandi, semplice e povero. La città più vicina<br />

Alba Fucense, ricca di storia d'età romana e medioevale, città vera e fortificata, con la sua fama coprirà il nome di tanti piccoli villaggi a lei adiacenti<br />

che solo ricerche nelle polverose carte degli archivi diocesani, comunali o provinciali, potranno trarre dall'oblio.<br />

S.<strong>Anatolia</strong> è un villaggio conosciuto da pochi, abitato fin dalle origini da povera gente, contadini e pastori, uno di quei villaggi che pian piano si va<br />

spopolando poichè molti giovani preferiscono scegliere per loro residenza città più grandi quali Roma, che con i moderni mezzi di viaggio è ormai<br />

vicina, oppure Avezzano, ricca città alle sponde del Fucino, lago che in nome del cieco progresso è stato cancellato dall'uomo, oppure Rieti o L'Aquila,<br />

capoluoghi delle omonime province.<br />

S.<strong>Anatolia</strong> dorme nella valle Cantu Riu vicina al fiume Salto e si risveglia raramente quando, o durante la festa annuale del 9 e 10 luglio o d'estate,<br />

molti dei giovani e meno giovani, che in passato si erano trasferiti nelle città più grandi, tornano con le loro famiglie per passare le vacanze nel loro<br />

paese ricco di ricordi di un passato ormai irripetibile. Le delusioni, nelle città dove si sono trasferiti, sono molte e inevitabili ed ognuno di loro<br />

rammenterà le gioie dell'adolescenza in quel piccolo villaggio pieno di verde, di montagne e di solitudine. Le città moderne non sono a portata d'uomo<br />

e, anche se attraggono per la loro fantasia e diversità, non potranno mai avere quella ricchezza di tranquillità e di emozioni forti che provoca un piccolo<br />

paese di montagna.<br />

Il terremoto del 1915 segnò la fine del villaggio antico di S. <strong>Anatolia</strong>. Per circa dieci anni i sopravvissuti vissero per lo più in baracche poste nella valle<br />

Cantu Riu, poi il comune costruì delle case antisismiche, sia nella zona alta, sia nella zona bassa del paese. Le case antiche, ruderi del terremoto,<br />

vennero dichiarate inagibili e per ricostruirle i proprietari furono costretti ad abbatterle. Alcune si salvarono, poi, pochi anni or sono, un successivo<br />

bisogno di case spinse i più a restaurarle ma più che di restauro si trattò di scempio. Non potendo ottenere le autorizzazioni per costruirne nuove,<br />

furono allora restaurate le vecchie case, ma per restauro i paesani intesero distruggere l'antico per ricostruire il nuovo in cemento armato. Purtroppo, a<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong>, il culto per la storia è poco sentito.<br />

Oggi chi vi entra troverà un paesino moderno, costruito un po' a caso, con case sparse un po' qua e un po' la, senza l'ombra di un piano regolatore, tutte<br />

o quasi costruite abusivamente e poi condonate. Di antico poco o niente, qualche stalla ha resistito alle distruzioni, le chiese, un fontanile e in montagna<br />

qualche muraglia antica.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 5/79


Capitolo I – Tiora Matiene – Pag. 7<br />

Dubbi e riflessioni<br />

Capitolo II – L'epoca romana – Pag. 12<br />

L'origine - Epigrafi romane - Presenze archeologiche<br />

Capitolo III – Medioevo – Pag. 21<br />

Caduta dell'Impero Romano e secoli bui - Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense - I Saraceni e la formazione dei Castelli<br />

- 1143-1268: Dominazione Normanna e Sveva - 1268-1280: Distruzione di <strong>Cartore</strong> e invasione degli Zingari<br />

Capitolo IV – L'età dei Castelli – Pag. 32<br />

I Castelli nei <strong>dintorni</strong> di <strong>Cartore</strong> dopo il 1268 - 1380: La battaglia di Torano - 1398-1418: Il Castello di S. <strong>Anatolia</strong> e le sue Chiese - La Contea<br />

di Albe e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI - Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo - I castelli di Corvaro, Collefegato,<br />

Poggiovalle, Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo<br />

Capitolo V – Secoli XVI – XVIII – Pag. 41<br />

<strong>Cartore</strong> e S.<strong>Anatolia</strong> nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali - Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo<br />

XVII - Sant'<strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> nelle visite pastorali del '700 - Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783 - Fra la fine del<br />

'700 e l'inizio dell'800<br />

Capitolo VI – La Chiesa – Pag. 53<br />

1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. <strong>Anatolia</strong> - 1832: Mons. Ferretti visita di nuovo S. <strong>Anatolia</strong> - 1835: Visita del<br />

Vescovo Filippo de' conti Curoli - 1839: Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli - La chiesa della Madonna Addolorata: errori e curiosità -<br />

Chiese sepolcrali e cimitero di S. Maria<br />

Capitolo VII – Briganti e viaggiatori – Pag. 65<br />

16 Agosto 1843: Edward Lear - Popolazione nel 1851 - Il brigantaggio - La banda di <strong>Cartore</strong> - I briganti di S. <strong>Anatolia</strong><br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 6/79


Capitolo I - Tiora Matiene<br />

Dubbi e riflessioni<br />

Ancora a Partire da Rieti, per chi procede lungo la Via Latina, dopo 30 stadi si trova Batia, e dopo 300, Tiora, detta Matiene. In questa città si<br />

sostiene che sia esistito un Oracolo di Ares molto antico, le cui caratteristiche erano, sempre secondo quanto narra la tradizione, assai prossime a<br />

quelle che, secondo le trattazioni mitiche, aveva un tempo l'Oracolo di Dodona, tranne che per un particolare. Si dice, infatti, che nell'Oracolo di<br />

Dodona vaticinasse una Colomba, appollaiata su una Quercia sacra, mentre in quello degli Aborigeni lo stesso servizio era reso da un uccello, inviato<br />

dalla Divinità, che loro chiamavano Pico e i Greci invece Drykolapten, che si manifestava su una colonna lignea. A 24 stadi da questa città si trovava<br />

Lista, la madre patria degli Aborigeni (1)<br />

Queste frasi furono scritte circa 2.000 anni or sono da uno storico greco di nome Dionisio la cui città di origine era Alicarnasso. Egli visse nel I secolo<br />

a.C. nel periodo in cui Roma da repubblica divenne impero, parlava e scriveva in lingua greca, e di lui c'è rimasta una "Storia di Roma Arcaica", libri<br />

unici ed importanti nel loro genere. Egli parlando di Tiora ripetè ciò che aveva scritto, in un'opera ora perduta, lo storico reatino Marco Terenzio<br />

Varrone il quale era vissuto circa 50 anni prima (2).<br />

Tiora Matiene è la città di cui parla Dionisio e il cui nome, gli storici del medioevo, tramutarono poi in Tyro, Tyra, Tyriam, Thuriensem, Thora e infine<br />

in Tora. Essa era una delle poche città degli Aborigeni che aveva resistito alle ingiurie degli anni, delle guerre e delle distruzioni e, al tempo di<br />

Dionisio, era considerata, soprattutto per quanto riguardava il tempio di Ares, una città antichissima fondata circa 13 secoli prima da un popolo venuto<br />

dalla Grecia in Italia attraverso il mare: i Pelasgi, un popolo favoleggiato di cui si parlava come di un sogno. Tiora esisteva quindi nel I secolo a.C. e fu<br />

in quel luogo che, il 10 luglio del 251 d.C. al tempo dell'imperatore Decio, una giovane romana di nome <strong>Anatolia</strong> ed un marso di nome Audace, a causa<br />

della loro fede cristiana, furono processati e condannati a morte. La storia di questi martiri è stata già ampiamente descritta e approfondita da Vincenzo<br />

Saletta nel suo libro "S.<strong>Anatolia</strong>" ed io, non potendo aggiungere nessun'altra informazione interessante, preferisco rimandare a lui. Ritengo importante<br />

invece, riferire il mio pensiero sulla ubicazione dell'antica città di Thora, visto che per la gente del mio paese essa ha assunto una notevole importanza<br />

storica.<br />

E' da oltre trecento anni che preti, abati e vescovi alla ricerca del luogo del martirio della giovane <strong>Anatolia</strong> e storici e archeologi appassionati di storia<br />

locale, dibattono ampiamente sull'ubicazione dell'antica città di Thora. La controversia si pone soprattutto se Thora si trovasse nei pressi della chiesa di<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> a Castel di Tora, o nei pressi della chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> nel villaggio omonimo.(3)<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 7/79


Se si dovesse studiare l'etimologia dei nomi il dubbio non verrebbe soddisfatto poichè l'una si trova nella valle del fiume Turano e l'altra nei pressi del<br />

paese di nome Torano. Il termine Castel di Tora risale al 1864 quando al paese, che allora si chiamava Castelvecchio, fu mutato il nome poichè si era<br />

sicuri che lì vi fosse stata anticamente la città in questione. Anche Colle di Tora era allora chiamato con un altro nome, cioè Colle Piccolo, e il Monte<br />

di Tora a metà dell'800 si chiamava Antuni. Vi era inoltre, nei pressi di Castelvecchio, un luogo nominato nei documenti antichi col nome Rocca Tura<br />

molto somigliante a Thora. Ma anche a Sant'<strong>Anatolia</strong> di Borgorose vi è un luogo chiamato <strong>Cartore</strong> ed un altro chiamato al catasto Dentro il Toro, in<br />

dialetto Dentre Tore, anch'essi molto somiglianti al termine Thora.<br />

Chiese intitolate a Sant'<strong>Anatolia</strong>, la santa martirizzata in Thora, si trovano, come ho già detto, in ambedue le parti e sono molto antiche. Indagini<br />

archeologiche approfondite non sono state fatte, e quindi si sa solamente che in entrambi i paesi sono state trovate delle epigrafi romane che provano<br />

che quelle zone in epoche imperiali erano abitate. Ma quale territorio in Italia non era abitato in epoca imperiale ?<br />

Ponendo la controversia sui documenti, la tesi che Thora si trovasse a Castelvecchio risulta molto più avvalorata, poichè si scopre che essa, in un<br />

documento del 1153, era denominata Plebem S. Anatholia in Tora, mentre la nostra nel 1182 era denominata Monasterio de S. Anatholiae in Vilano (4).<br />

Altri documenti medioevali a partire dall'VIII secolo d.C. ubicano una contrada denominata Massa Turana o Torana nei pressi di Castelvecchio ma un<br />

documento del 1110, riferito al 706 d.C., denomina anche la nostra chiesa con l'appellativo di Turano e cioè: Sanctae Anatholiae de Turanu (5). Ma non<br />

tutte le carte sono state ancora giocate.<br />

E' noto infatti che insieme alla Santa venne martirizzato anche un altro uomo di nome Audace da lei convinto a seguire la religione cristiana. Ebbene,<br />

egli era nativo della Marsica e ciò è confermato anche dal fatto che era un incantatore di serpenti ed è noto che i marsi, vedi la festa dei serpenti a<br />

Cocullo, siano stati maghi ed incantatori di serpenti. Il villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong> si trova nel Cicolano ai confini della Marsica o addirittura nella<br />

Marsica stessa e, visto che per tutto il medioevo e l'età moderna essa apparteneva alla Contea di Alba che si trovava in piena giurisdizione marsicana, il<br />

fatto che un marso fosse stato chiamato per custodire ed uccidere la nostra santa avvalora la tesi che Thora si trovasse nella nostra zona.<br />

Abbiamo detto che l'unica fonte classica che cita la città di Tiora è la "Storia di Roma Arcaica" di Dionisio d'Alicarnasso. Nella stessa opera un'altra<br />

città di nome Orvinio viene posta alla distanza di 230 stadi da Rieti su una via che prima di raggiungerla attraversava le città di Tribula, Suesbula, Suna<br />

e Mefula.<br />

Orvinio, quaranta stadi da Mefula, città illustre e grande quant'altra mai in questa regione. Si possono vedere le fondamenta delle mura, alcune tombe<br />

di stile molto arcaico ed i recinti con più sepolture che si estendono su tumuli molto alti. Vi si trova anche un antico Tempio di Atena, edificato sulla<br />

sommità. (1)<br />

Ora, la descrizione effettuata da Dionisio si adatta molto bene alla situazione del moderno paese di Corvaro sia per la distanza da Rieti di circa una<br />

cinquantina di Km. (uno stadio greco corrisponde a circa 210 m. odierni: 230 stadi sono circa 49 Km. attuali) sia per la descrizione dei tumuli che<br />

ricalca esattamente la situazione attuale soprattutto dopo le ultime scoperte archeologiche. Nella zona di Corvaro e nei suoi immediati <strong>dintorni</strong> sono<br />

stati individuati circa una quindicina di tumuli sepolcrali di cui almeno uno pare risulti essere il più grande tumulo d'Europa. Ora, il nome Corvaro si<br />

adatta benissimo al termine antico di Orvinio e forse l'antico tempio di Atena citato dalla fonte potrebbe corrispondere alla rocca del Corvaro, ora in<br />

rovina, situata sulla sommità. Inoltre Orvinio era una delle città più grandi in questa regione ed oggi Corvaro è il paese più grande dell'attuale Cicolano.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 8/79


Ora a me sembra che possa prendersi in considerazione, in attesa di prove più sicure, questa tesi, supportata ulteriormente da una epigrafe che recitava<br />

nel seguente modo:<br />

C.CLOELIVS. L. F. CLA. CORVINVS. VESTINAE. HLENAE. CONIVGI. BENEMERENTI.<br />

Questa lapide venne pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata in un antico sepolcro rinvenuto tra Corvaro e S. <strong>Anatolia</strong>. Certo che Martelli<br />

spesso di cose se ne inventava e certo è che da altri archeologi (soprattutto Theodor Mommsen) non venne mai preso sul serio ! Sembra che per<br />

supportare le proprie tesi egli arrivasse a creare lapidi false per poi pubblicarle nella sua opera ! Comunque è molto probabile che il territorio di<br />

Corvaro, fino almeno al Collepizzuto, appartenesse al tenimento di Orvinio e se ciò è vero ne vengono a seguire delle supposizioni contrarie rispetto<br />

alla tesi che asserisce che Tiora Matiene si trovasse nei pressi degli attuali paesi di S.<strong>Anatolia</strong> o <strong>Cartore</strong>.<br />

Tiora Matiene viene citata nella stessa opera di Dionisio. Egli scriveva: "Ancora a partire da Rieti, per chi procede lungo la Via Latina, dopo 30 stadi<br />

si trova Batia (Vazia) e, dopo 300, TIORA, detta Matiene...". Poi: "A 24 stadi da questa città si trovava la città che ha il nome di Lista, la madre patria<br />

degli Aborigeni..."<br />

E allora, se Tiora corrispondesse all'attuale paese di S. <strong>Anatolia</strong>, Dionisio avrebbe dovuto citarla subito dopo aver citato Orvinio (Corvaro) mentre<br />

invece la via che da Rieti portava ad Orvinio, e che passava per le città di Tribula, Suesbula, Suna e Mefula, era diversa da quella che portava a Tiora e<br />

che passava per le città di Vazia, Tiora e Lista. Ora secondo me è impossibile che contemporaneamente Orvinio possa corrispondere a Corvaro e Tiora<br />

a S. <strong>Anatolia</strong> o <strong>Cartore</strong> poichè le strade per giungere nelle due città erano diverse mentre nella realtà la strada che arriva a Corvaro e S. <strong>Anatolia</strong> (la via<br />

Cicolana) attualmente è una sola ! Ebbene, siccome io credo che la tesi di Orvinio quale primitiva città di Corvaro sia molto attendibile mi sembra<br />

improbabile l'altra di Tiora a S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Per quanto riguarda coloro che ritengono che Tiora fosse posta nei pressi di Castel di Tora quella tesi mi sembra ancora più errata vista la distanza<br />

troppo vicina a Rieti rispetto ai 330 stadi (circa 70 Km.) quale Dionisio la riporta, se non fosse che alcuni storici di quella versione asseriscano che ci<br />

possa essere stato un errore nella traduzione dal greco dell'opera di Dionisio e che la verità sia che Tiora si trovasse a 40 stadi da Reate e quindi nei<br />

pressi di Castel di Tora (6).<br />

La via Calatina era la strada che dall'antica Reate portava verso il mar Adriatico. Se essa corrispondesse alla via Latina di Dionisio, come asseriscono<br />

alcuni, e stando vicino a Rieti un paesino di nome VAZIA in quella direzione, mi sembra non assurdo supporre che forse la Tiora Matiene delle fonti si<br />

trovasse in tutt'altra zona, forse nei pressi di Amiterno visto che lì vi è un paesino nel comune di Pizzoli di nome TEORA o forse nei pressi di Cascia<br />

che si trova a circa 70 Km. da Rieti. Lista, a dire di Dionisio, sembra venisse assalita e conquistata dai Sabini abitanti di Amiterno e quindi supporre la<br />

Teora di Pizzoli quale candidata a Tiora, non mi sembra così improbabile. Lista si trovava a circa 5 Km. da Tiora e quindi se si trovava a 5 Km.<br />

dall'attuale Teora era comunque molto vicina ad Amiterno e quindi facilmente attaccabile.<br />

Certo che fare ipotesi per me è molto azzardato non conoscendo i territori di cui sto parlando, ma magari qualche storico locale, in futuro, su questa<br />

base potrà lavorare e magari scoprire l'antica città in una zona in cui mai ci si sarebbe immaginato che potesse esistere.<br />

I dubbi comunque sono moltissimi ed io ritengo che per almeno altri trecento anni essi non si scioglieranno. A mio parere solo in due modi potrà<br />

risolversi la questione:<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 9/79


a) Scavando: l'ipotesi è poco praticabile per Castel di Tora dato che la valle dove si troverebbe l'antica città è oggi completamente inondata dal lago<br />

artificiale del Turano. Nel villaggio, di Sant'<strong>Anatolia</strong> invece è possibile scavare visto che la valle Cantu Riu, dove si trova una delle due muraglie<br />

romane, è ancora libera da abitazioni. Si potrebbe scavare al fianco della muraglia cercandone le fondamenta per scoprire la profondità dello strato<br />

romano. Anche nel villaggio di <strong>Cartore</strong> è possibile scavare dato che quella valle è rimasta praticamente intatta e libera da costruzioni.<br />

b) Analizzando le reliquie: nel racconto del ritrovamento dei corpi di <strong>Anatolia</strong> e Audace si narra che i cittadini di Thora, prima di costruire la chiesa,<br />

ebbero in dono dai monaci di Subiaco una reliquia ed esattamente una "Scapola" della Santa che poi custodirono gelosamente (7). Attualmente la<br />

chiesa di Castel di Tora, quella di Sant'<strong>Anatolia</strong> e chiese in altri paesi, possiedono delle reliquie della Santa. Ebbene se si analizzassero le varie reliquie<br />

e si scoprisse un osso scapolare, si scoprirebbe con molta sicurezza qual è la chiesa costruita dai Torensi e quindi automaticamente anche il luogo dove<br />

si trovava la città di Thora.<br />

Da parte mia, non volendomi esporre a giudizi così incerti, ritengo che i popoli dei due paesi dovrebbero accontentarsi di sapere che in ambedue le<br />

parti in epoca imperiale vi era con certezza un centro abitato e le prove consistono sia nelle epigrafi che nelle muraglie romane ivi esistenti. Nell'uno<br />

queste vengono denominate Mura au pizzu, Mura a' rocca, Mura dei Franili e Rocca del Castellano (8); nell'altro vengono denominate Mura di Cantu<br />

Riu e Ara della Turchetta. Poi, quand'anche si scoprisse che il nostro villaggio corrisponda a Thora o Tiora, non bisogna montarsi la testa visto che<br />

comunque essa non era altro che un piccolo villaggio di provincia, poichè altrimenti, se ne sarebbe certamente parlato più spesso nei testi latini. Io<br />

infine, in attesa dei trecento anni necessari alle Belle Arti per fare ricerche archeologiche nei nostri siti, rinuncerò per il momento all'uso del termine<br />

Thora per denominare il nostro villaggio, preferendo utilizzare i termini <strong>Cartore</strong>, Vilano o Torano che sicuramente risultano con certezza dai documenti<br />

medioevali.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 10/79


Note<br />

1. Dionisio di Alicarnasso "Storia di Roma Arcaica" Lib.1 cap.14,5 (traduz. Rusconi 1984 - pag. 46)<br />

2. Dionisio, figlio di Alessandro, nacque ad Alicarnasso tra il 60 ed il 55 a.C. Alicarnasso era unantica città della Caria nella provincia romana<br />

dellAsia. Egli morì verso il 9-10 a.C. - Marco Terenzio Varrone storico Reatino, nacque nel 116 a.C. e morì il 27 a.C.<br />

3. Vedi Appendice 4 Documenti bibliografici<br />

4. Vedi Appendice 6 Cronologia - anno 1182<br />

5. Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 706<br />

6. Pietro Carrozzoni "Collepiccolo e la valle del Turano" pag. 21<br />

7. Vincenzo Saletta S.<strong>Anatolia</strong> cap. XIV pag.145-149<br />

8. Pietro Carrozzoni "Collepiccolo e la Valle del Turano" cap.III pag.19-34<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 11/79


L'origine<br />

Capitolo II - L'epoca romana<br />

L'origine - Epigrafi romane - Presenze archeologiche<br />

L'origine del paese di S.<strong>Anatolia</strong> è oscuro. Dell'epoca romana sopravvive qualche<br />

ricordo nelle due muraglie ciclopiche, probabili templi pagani, e nelle poche epigrafi che<br />

sono giunte sino a noi, poi, il buio completo del medioevo. La prima notizia ufficiale sul<br />

Castrum di S.<strong>Anatolia</strong> risale all'anno 1418 quando, in un documento contenente l'elenco<br />

dei castelli sottostanti alla contea di Alba & di Tagliacozzo, viene nominato assieme ai<br />

castelli di Torano, Spedino, Corvaro, Collefegato, ecc. Il villaggio era comunque più<br />

antico. La città più importante della zona era da secoli la colonia romana di Alba<br />

Fucense che, nonostante la caduta dell'impero romano, mantenne una grande importanza<br />

per la sua posizione strategica nel punto di confluenza fra la via Tiburtina - Valeria, che<br />

collegava Roma all'Adriatico, e la via Cicolana che univa Rieti al lago Fucino ed al sud<br />

Italia. Alba, da città militare romana, divenne nel medioevo sede del ducato e della<br />

contea dei Marsi, vi fu costruito un efficiente castello difensivo e continuò ad esercitare<br />

il suo potere in gran parte della Marsica e del Cicolano.<br />

La strada consolare Cicolana, fin dall'epoca romana, collegava per vie interne il nord al<br />

sud d'Italia ed in particolare, seguendo il corso del fiume Salto chiamato Imele dai<br />

romani, collegava la città provincia di Reate alla città fortezza di Alba Fucense ed all'allora più<br />

grande lago d'Italia, il Fucino. C'era un punto in cui la strada, lasciando sulla destra il fiume Salto,<br />

si addentrava per una valle molto stretta e, camminando al fianco delle montagne della catena del<br />

Velino, raggiungeva la Bocca di Teve per poi proseguire velocemente per Alba Fucense.<br />

In quel punto così strategico già in epoca romana era nato spontaneamente un piccolo villaggio<br />

che serviva da sosta e da ristoro per i viandanti e da difesa al brigantaggio e che viveva di<br />

pastorizia e di agricoltura avendo a disposizione molti pascoli, molta acqua e legna, e delle terre<br />

fertili e pianeggianti. La valle, oggi denominata della Ruara, si cosparse di case, di abitanti e di<br />

chiese e il villaggio chiamato <strong>Cartore</strong> divenne un piccolo centro di passaggio e di scambio. Nel<br />

punto più strategico, dove la via Cicolana incontrava la Bocca della Val di Teve, in epoche<br />

imprecisate venne eretta una rocca difensiva, "il Castiglione" (1), con una chiesa adiacente, il<br />

Santo Sepolcro (2), e nel medioevo, all'inizio della Val di Teve, una grotta molto capiente venne<br />

abitata da un eremita, forse San Costanzo.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 12/79


Sempre nel medioevo, ma forse anche in età romana, era sorto il monastero di<br />

San Leonardo a Val di Fua e sotto la valle, sempre sottoposto ai monaci di S.<br />

Paolo fuori le mura a Roma, venne costruita un'altra chiesa dedicata a San<br />

Nicola. La parrocchia di San Lorenzo, al centro di <strong>Cartore</strong>, lo dominava con<br />

la sua torre campanaria ed altre chiesette rurali, come quella di San<br />

Sebastiano, di Santa Maria di Brecciasecca e di Santa Maria del Colle,<br />

contornavano il villaggio.Circa nel 300-400 d.C., in una zona chiamata Vilano<br />

nelle vicinanze di <strong>Cartore</strong>, venne costruita una chiesetta dedicata a<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> e nei suoi <strong>dintorni</strong> si trasferirono alcuni abitanti di <strong>Cartore</strong>. Il<br />

territorio di Vilano faceva parte del tenimento di <strong>Cartore</strong> anche se già in epoca<br />

romana era probabilmente abitato. Nella stessa valle in epoche antiche<br />

scorreva un ruscello, da cui il termine "Cantu Riu", che venne incanalato e<br />

convogliato in un grande fontanile. Ancor oggi scavando a circa 6 o 8 mt.<br />

sotto terra vicino alla casupola della sorgente vi è una cisterna romana fatta in<br />

mura poligonali ed un cunicolo a volta che seguendo la valle chiamata "le<br />

vicenne", sotto l'odierno campo sportivo, sbocca dietro la fontana moderna a circa 4 m. nel sottosuolo (3).<br />

L'acqua in quella valle era molto fresca ed abbondante tutto l'anno e fu accanto a quel rio,<br />

che sorse il primo nucleo di Vilano; intorno ad essa vi erano boschi e foreste e, a circa due<br />

km. dietro un paio di colline, sorgevano le montagne alte 2.000 metri ed anche più; quelle<br />

che oggi vengono chiamate "Duchessa", "Murolungo", "Torricella", e più lontano il<br />

"Velino". In quella valle, molto riparata dai venti, e nei boschi vicini vivevano orsi,<br />

cinghiali, cervi, lupi, volpi, lepri ed altre bestie, ed il cielo era pieno di uccelli. In<br />

lontananza si vedeva il "Murolungo" una parete rocciosa, in quel tempo forse divinizzata,<br />

che aveva la cima raggiungibile solo per una strada stretta ed angusta che passava fra alti<br />

burroni e dietro ad essa, a 1.777 metri d'altezza, c'era un lago limpido e pulito dove si<br />

dissetavano tutte le bestie di quei luoghi.<br />

Nel mezzo di quella valle furono costruiti due edifici, forse templi o grandi ville, con mura<br />

fatte di pietre enormi tagliate irregolarmente ed appoggiate l'una sopra l'altra senza calce.<br />

Un edificio fu costruito nel mezzo della valle e, dopo il 313 d.C., anno dell'Editto di<br />

tolleranza di Costantino che mise fine alle persecuzioni contro i cristiani, venne utilizzato<br />

come base per la prima chiesa di S.<strong>Anatolia</strong> e in seguito come sostegno per il terreno sotto i Santuari costruiti posteriormente. L'altro, a circa duecento<br />

metri di distanza, all'Ara della Turchetta, serviva probabilmente da tempio o punto di scambio per i viandanti che venivano da <strong>Cartore</strong>.<br />

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Epigrafi romane<br />

A confermare che in epoca romana il luogo era abitato, oltre alle muraglie e alla cisterna di Cantu Riu, prima del 1900 esistevano anche delle epigrafi<br />

commemorative e sepolcrali che oggi sono quasi del tutto scomparse. Nel pavimento della chiesa di Santa Maria del Colle vi era, fino al 1907, una<br />

lapide scolpita con lettere molto grandi che segnalavano uno dei confini con Alba Fucense:<br />

ALBENS FINES<br />

La lapide fu vista intatta verso il 1850 dal canonico Stephani Anzimi di Scurcola e fu pubblicata nel 1859 da Raffaele Garrucci. Nel 1883 Theodor<br />

Mommsen la trovò segata in due parti e nel 1907 la vide ancora Domenico Lugini (4). La lapide conferma l'importanza che aveva in epoca romana la<br />

città di Alba Fucense e che già in quei tempi, come poi in tutto il medioevo, i territori di Sant'<strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> facevano parte della sua giurisdizione.<br />

Sempre nella chiesa di S.Maria del Colle vi era la seguente epigrafe che, in seguito al crollo della chiesa, venne trasportata nella villa della famiglia<br />

Placidi presso il Santuario. Ora si trova in Avezzano presso il Museo Lapidario comunale.<br />

Fotografia tratta dal sito: www.avezzanodigitale.it.<br />

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La lapide venne pubblicata dal Garrucci e dal Mommsen. Nel 1907 Domenico Lugini la descriveva in questo modo: "E' in pietra calcarea e con<br />

paleografia dei tempi Augustei". Il testo è il seguente: [D. M. - L.CALLIO.L.F.CLA – RESTITVTO.VE – TERANO.AVG – EX.CHO.PRI.PR –<br />

MAG.I.D.Q – HOSTILIA.C.F. - PROCVLA.CON.B.M – CVM.QVO.VIX.AN.X// - FACIVNDVM - CVRAVIT]. Vincenzo Saletta la traduceva:<br />

"A Lucio Gallio Restituto, figlio di Lucio Claudio, veterano augustale, della Coorte prima principale, magistrato... duunviro quinquennale, la moglie<br />

Ostilia Procula al marito di buona memoria, con il quale visse 10 anni, curò che fosse fatto" (5).<br />

M. PIO . M...<br />

CALVENO<br />

OSSA.SITA<br />

CALVENA.L.F.<br />

Anche questa lapide sepolcrale si trovava nella chiesa di S.Maria del Colle. Venne pubblicata dal Garrucci e dal Lugini che disse che era "in pietra<br />

calcarea e con arcaica paleografia". Il Saletta la tradusse "A Marco Pio Calveno, figlio di Marco. Qui sono poste le sue ossa. La liberta Calvena fece"<br />

(6). Il fatto che Marco Pio Calveno fosse sepolto nella chiesa di S.Maria del Colle rende possibile l'ipotesi che questa chiesa possa risalire ad epoche<br />

romane.<br />

La chiesa di S. Maria del Colle nel 1907 era già in fase avanzata di decadimento. In quel tempo, o forse dopo il terremoto del 1915, il bisogno di<br />

nuove terre, spinse la famiglia Placidi a coltivare anche sopra il suo sito e, se anche in precedenza vi resistevano le fondamenta, dopo, con l'intervento<br />

dell'aratro, della chiesa non rimase più traccia. Le epigrafi che vi si trovavano non sappiamo dove siano andate a finire, se siano andate distrutte, se<br />

siano state cementate in qualche altra costruzione o se si trovino, si spera, in casa dei sigg. Placidi.<br />

Anche nel Santuario antico di Sant'<strong>Anatolia</strong> vennero rinvenute iscrizioni romane fra cui una delle più importanti ci ricorda l'imperatore Marco Aurelio<br />

Antonino che probabilmente visitò il nostro villaggio:<br />

IMP. CAES.<br />

M.AVRELIO.ANTONI<br />

IMP.CAES.L.SEPTIMI.SEVERI.PII<br />

PERTINACIS.AVG.ARABICI<br />

ADIABENICI.PARTHICI.MAXIMI<br />

FILIO.COS.III<br />

Fu pubblicata dal Mommsen che la trovò nel pavimento di fronte all'altare della Vergine <strong>Anatolia</strong>. Anche lui era convinto assertore che la nostra chiesa<br />

si trovava "in ruinis Torae oppidi" soprattutto per la somiglianza del nome della città a quello di Torano. Il Saletta la tradusse nel seguente modo:<br />

"All'imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, augusto, pontefice massimo, figlio dell'imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, Pio, Pertinace,<br />

Augusto, Arabico, Adiabenico, Partico, Massimo, nel terzo anno del suo consolato" (7).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 15/79


Sempre il Mommsen vide che l'altare della chiesa antica di S.<strong>Anatolia</strong>, prima della distruzione del 1877, era sorretto da una grande lapide o colonna in<br />

pietra ("basis magna in vico S.<strong>Anatolia</strong>e in valle Salti ex altari ecclesiae S.<strong>Anatolia</strong>e nuper extracta") sulla quale era incisa questa iscrizione. Il Saletta<br />

la tradusse "A Calvena Veneria, figlio di Tito, Lucio (Giunio) Giusto, figlio di Lucio, pose alla moglie di buona memoria" (8).<br />

D.M.S.<br />

CALVENE.T.F<br />

VENERIAE<br />

L/////NIVS<br />

LF IVSTVS<br />

CONIVGI<br />

B.M.P.<br />

La seguente epigrafe "in pietra calcarea" si trova tuttora nella chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> incassata nel muro esterno della facciata sopra una delle porte<br />

d'ingresso.<br />

Essa venne pubblicata dal Mommsen il quale asserì che il Petronio dell'epigrafe abitasse nel territori di Alba poichè apparteneva alla tribù Fabia nella<br />

quale erano ascritti gli Equi Albensi. Il testo è il seguente: [L.PETRONIVS.C.F - FAB.EX.TES. - HS. CCCC]. Il Saletta la tradusse scrivendo fabbro<br />

anzichè Fabio: "Lucio Petronio, figlio di Caio Fabio, per testamento 400 sesterzi" (9). Ancora un'altra conferma che il nostro villaggio si trovava in<br />

giurisdizione Albense.<br />

EVLOGI<br />

C.N.T<br />

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Nei <strong>dintorni</strong> del Santuario fu rinvenuto un suggello di bronzo con questa piccola iscrizione; essa venne pubblicata dal Garrucci, dal Mommsen<br />

("Signaculum ad S.<strong>Anatolia</strong>e in Aequicolis: Eulogi C.N.T."), dal Lugini e dal Saletta (10).<br />

Nel 1877 la chiesetta di Sant'<strong>Anatolia</strong>, che aveva bisogno di qualche piccolo restauro, venne, alla maniera santanatoliese, praticamente distrutta per<br />

essere ricostruita più grande, accogliente e moderna. Alcune pareti si salvarono e con esse, per pura fortuna, anche l'epigrafe di Lucio Petronio. Essa<br />

si trovava incastonata nella parete esterna nei pressi della porta d'ingresso principale ma, non essendo gradita la sua posizione vicina al portale,<br />

venne ricoperta da un grosso strato di intonaco. Solo alcuni anni or sono l'epigrafe è stata riscoperta durante alcuni lavori di riverniciatura esterna.<br />

Delle altre epigrafi nella chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> non se ne trova alcuna traccia.<br />

IOVI.O.M. /<br />

L.SABIDIVS.<br />

TAVRVS<br />

L'epigrafe prima del 1645 si trovava incisa su una colonna "basis parva" della "ecclesia" di Torano. Fu pubblicata per la prima volta dal Febonio nel<br />

1678. Il Mommsen la ritrovò nell'orto della famiglia Cattivera. Il Lugini la vide ancora nel 1907. La traduzione del Saletta è la seguente: "A Giove,<br />

Ottimo, Massimo, Lucio Sabidio, Torense [Tauro]" (11).<br />

A.VARIVS.L.F.CLA.VARRO<br />

CENTHVRIO.LEG.IIII<br />

GAVIA.Q.F.VXOR<br />

EX.TESTAMENTO.SELEVCVS.L<br />

FECIT<br />

Nel 1907 Domenico Lugini la vide nella casa dei sig. Marchesi Antonini-Carradori di Torano (12).<br />

SILVANO.SANCTO<br />

THORANIVS<br />

L.CLOELI<br />

D.D.<br />

Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla rinvenuta in un bosco tra le Ville di Borgocollefegato ed il Villaggio delle Grotti. Lugini non la vide<br />

ma la pubblicò comunque nel 1907 (13).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 17/79


T.ALBIVS.T.F.<br />

Era un frammento di pietra calcarea e nel 1907 Lugini lo ritrovava nelle Peschie di Torano. Era stato in precedenza pubblicato dal Garucci (14).<br />

saBIDIVS.C.F.PAP.PRIM.PIL<br />

leG.V.ET.LEG.X.ET.LEG.VI.ITAVIT.IN<br />

legX.PRIMVMPIL.DVCERET.EODEM<br />

TEMPORE.PRINCEPS.ESSET.LEG.VI.PRAE.[F.Q.]Vinq<br />

C.CAESAR.DIVI.AVG.f.ET.TI.CAESARIS<br />

DO.M.SVA.PECVN.DONAVIT<br />

CORNELIA.PVPILLA.M.P.V.S.K.<br />

CRISPINI.NEPTIS<br />

Fu pubblicata dal Febonio che la vide nel Corvaro alla porta che guardava verso Borgocollefegato. Il Lugini nel 1907 non riuscì a trovarla ma la<br />

pubblicò copiandola dal Febonio (15).<br />

VERANA.C.F.<br />

L.TETTAEDIVS.L.F.FILIVS<br />

VNO.DIE.SEPVLTEI<br />

Fu ritrovata in un terreno di Pietro Rocco di Corvaro insieme ad altre grandi pietre lavorate a scalpello che costituivano un sepolcro. Lugini la descrisse<br />

in questo modo: "è in pietra calcarea ben incorniciata e sormontata da una testa di vitello a rilievo e da una rosa; è lunga cm.59 e larga cm.26" (16).<br />

DIANAE.NEMORESI.VESTAE<br />

SACRVM.DICT<br />

Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata sopra Borgocollefegato nell'antichissimo tempio di S.Giovanni in Leopardis. Il Lugini non<br />

la vide ma la pubblicò comunque (17).<br />

C.CLOELIVS.L.F.CLA<br />

CORVINVS<br />

VESTINAE.HLENAE<br />

CONIVGI.BENEMERENTI<br />

Fu pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata in un antico sepolcro rinvenuto tra il Corvaro e S.<strong>Anatolia</strong>. Il Lugini non la vide ma la pubblicò<br />

nel 1907 (18).<br />

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Presenze archeologiche<br />

Nei <strong>dintorni</strong> di Sant'<strong>Anatolia</strong> vi erano altri insediamenti romani e pre-romani, testimoniati da fortificazioni, edifici, necropoli e santuari che ancora oggi<br />

si possono osservare.<br />

Nelle vicinanze di Corvaro, sopra il paese di Santo Stefano, sorgeva a quota m. 1.167, l'oppidum di Monte Frontino, imponente insediamento Equicolo<br />

del quale si conserva parte della cinta muraria che lo recingeva con una circonferenza di circa 1 Km. Nei pressi di Spedino ed esattamente al di sopra<br />

del cimitero era situato, a quota m.951, il centro fortificato di Colle Civita del quale rimangono tracce della cinta muraria che si estendeva per una<br />

circonferenza di circa 500 metri. Nei pressi di Villerose a quota m. 932 si ergeva l'altra piccola fortezza o torre di avvistamento Equicola di<br />

Castelluccio.<br />

Lungo la strada che da <strong>Cartore</strong> porta a Bocca di Teva in località Costarelle e Dentro il Toro si trovano i resti di un vicus<br />

italico-romano testimoniato da terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale, numerosi frammenti di tegole e<br />

anfore, oggetti in ceramica, monete e oggetti in bronzo.<br />

A Bocca di Teve in un boschetto a monte della strada vicinale di Teve si trovano i resti di un Santuario italico-romano<br />

del sec. III-II a.C. di cui rimangono terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale rivestiti con raffinata cortina,<br />

resti murari e una cisterna circolare scavata nella roccia. Nella località S. Erasmo vicino Corvaro si trovano i resti di un<br />

Santuario italico risalente dal IV al I sec. a.C. e nei suoi pressi alcuni anni fa' fu scoperta la grande necropoli preromana<br />

di Monteriolo con resti di anfore, statue, armature, scudi, lance, spade, etc. risalente circa al VII secolo a.C. A<br />

Borgorose la chiesa ormai diroccata di S. Giovanni in Leopardis poggia le sue fondamenta sopra i resti di un santuario Italico.<br />

Nella valle di <strong>Cartore</strong> a Campo di Mezzo o Curolo, lungo l'antica via Cicolana, sono visibili i resti di una villa romana d'età imperiale con murature di<br />

epoca incerta, materiali domestici in ceramica e frammenti di pavimentazione. Sul Colle Pezzuto, lungo la strada Pianara-<strong>Cartore</strong>, vi sono i resti di<br />

un'altra villa di tarda età repubblicana. A Borgorose, la chiesa di S. Maria delle Grazie utilizza le mura di un'antica villa romana, mentre anche a<br />

Castelmenardo, il cimitero di S.Savino, con i ruderi della sua chiesa, poggia le fondamenta su delle mura poligonali romane.<br />

Infine, lungo la strada comunale Valle del Tordo sotto la villa romana di Colle Pezzuto sono presenti i resti di una tomba monumentale romana alta m.<br />

2,5 e larga circa m. 6 per m. 5. (19)<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 19/79


Note<br />

1. Carta catastale del Comune di Borgorose foglio 76 part. 50<br />

2. Vincenzo Di Flavio "Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398" pag.79 n.36 - Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1398<br />

3. Vedi Appendice 3 - Descrizioni Topografiche<br />

4. Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.159 - Theodor Mommsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.3930 - Domenico<br />

Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.108<br />

5. Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.179 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4120 - Domenico<br />

Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.106 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.49<br />

6. Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.181 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"<br />

pag.107 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.50<br />

7. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4117 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.52<br />

8. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.3979 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.50 nota 12<br />

9. Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4017 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"<br />

pag.108 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.50<br />

10.Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.181 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.394 - Domenico<br />

Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.108 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.51<br />

11.Muzio Febonio "Historiae Marsorum" - Theodor Mommsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.4106 - Domenico Lugini "Memorie storiche<br />

della regione Equicola ora Cicolano" pag.105 - Vincenzo Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.51 3<br />

12.Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105<br />

13.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.161 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.107 - Vincenzo<br />

Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.51<br />

14.Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico Napoletano" pag.180 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano"<br />

pag.106<br />

15.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.159 - Muzio Febonio "Historiae Marsorum" p.177 - Raffaele Garrucci "Bullettino Archeologico<br />

Napoletano" pag.157 - Theodor Momsen "Corpus Inscriptionum Latinarum" n.6779 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione<br />

Equicola ora Cicolano" pag.104<br />

16.Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105<br />

17.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.189 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.107<br />

18.Martelli "Antichità de' Sicoli" t.II pag.160 - Domenico Lugini "Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano" pag.105 - Vincenzo<br />

Saletta "S.<strong>Anatolia</strong>" pag.48<br />

19.Alcuni archeologi moderni aiutati dalle nuove tecniche di sondaggio del territorio hanno iniziato da alcuni anni a fare ricerche e studi seri su<br />

questi nostri monumenti. C'è ancora molto da scoprire ma nel frattempo chi vuole approfondire l'argomento si legga le loro pubblicazioni:<br />

Grossi Giuseppe "Insediamenti Italici nel Cicolano" L'Aquila 1984 - Andrea Staffa "L'assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda<br />

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antichità e il medioevo", in "Xenia semestrale d'antichità" vol.13 p.45 anno 1987 1 semestre. - Edda Armani Martire "Resti Archeologici in<br />

località Monte Fratta di Alzano", in "Xenia semestrale d'antichità" vol.3 p.37 anno 1982 1 semestre. - Anna Maria Reggiani "Annotazioni sulla<br />

Sabina e sul territorio degli Equicoli" in "Enea nel Lazio, archeologia e mito", Roma 1981, p.56. - G. Filippi "Recenti acquisizioni su abitati e<br />

luoghi di culto nell'Ager Aequiculanus" in "Archeologia Laziale", VI, Roma, 1984, p.165 - G. Alvino "Corvaro di Borgorose: seconda<br />

campagna di scavo al tumulo" in "Archeologia Laziale", VIII, Roma 1986 - Anna Maria Reggiani "Santuario degli Equicoli a Corvaro" in<br />

"Lavori e Studi di Archeologia ..." L.S.A., 11, Roma 1988 - etc...<br />

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Capitolo III - Medioevo<br />

Caduta dell'Impero Romano e secoli bui - Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense - I Saraceni e la formazione dei Castelli - 1143-<br />

1268: Dominazione Normanna e Sveva - 1268-1280: Distruzione di <strong>Cartore</strong> e invasione degli Zingari<br />

Caduta dell'Impero Romano e secoli bui<br />

Durante la dominazione romana le notizie sul nostro villaggio sono date solamente da fonti archeologiche ed epigrafiche, mentre l'unica città che viene<br />

citata nei documenti classici è ALBA FUCENSE che già in piena epoca imperiale estendeva la sua giurisdizione fino al nostro villaggio.<br />

L'attuale Valle Caprina, detta in alcune carte topografiche del 1800 Valle Turanense, fa oggi da confine fra i territori di Sant'<strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> con<br />

quelli di Torano e Spedino e la situazione attuale rispecchia esattamente la situazione romana poichè nei suoi pressi, ed esattamente nella chiesa di<br />

Santa Maria del Colle, esisteva fino a circa un secolo fa' un cippo sul quale era indicato il limite territoriale di Alba nella nostra zona: ALBENS FINES.<br />

Il territorio di S. <strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> rientrava quindi già in epoca imperiale nella giurisdizione Albense e questa dipendenza si protrasse per tutto il<br />

medioevo fino alla fine del 1700.<br />

Agli inizi del V secolo d.C. l'Impero Romano d'Occidente, che durava da oltre quattro secoli, si avviava verso una lenta fine. I romani, intenti a godersi<br />

le ricchezze accumulate, non prestavano da tempo il servizio militare affidando la difesa dei propri territori ai barbari confinanti i quali erano gli unici<br />

che per bisogno di denaro si prestavano a quella rude vita. Per tutto il V secolo quasi tutti i generali dell'esercito imperiale avevano cognomi barbari e<br />

ciò creò una forte dipendenza di Roma da essi ma in compenso, le stabili alleanze con questi popoli, avevano creato una sorta di cuscinetto intorno<br />

all'Impero che lo proteggeva da eventuali assalti esterni. La fama della sua potenza giungeva sempre più lontana e ad est, il miraggio della ricchezza<br />

facile, spingeva le orde mongoliche, respinte dalla Cina, a dirigersi verso l'impero. Quando i terribili Unni guidati da Attila si spostarono verso ovest la<br />

loro bestialità mise un tale terrore che i popoli confinanti chiesero asilo e protezione a Roma la quale, per non dispiacere l'esercito composto soprattutto<br />

da barbari, li accolse nei propri confini determinando l'inizio delle prime invasioni.<br />

Odoacre fu l'autore del crollo definitivo dell'Impero. Egli, generale dell'esercito imperiale, e capo del popolo degli Eruli che nel frattempo si erano<br />

stanziati nei territori imperiali, nel 476 d.C. con un colpo di stato, depose l'ultimo imperatore d'Occidente Romolo Augustolo e governò l'Italia col<br />

titolo di patrizio in nome dell'imperatore d'Oriente Zenone. In seguito quest'ultimo, per togliersi di mezzo un altro alleato prepotente e fastidioso qual<br />

era Teodorico re degli Ostrogoti, che spesso invadeva e saccheggiava l'impero nella parte orientale, decise di mandarlo in Italia a spodestare Odoacre<br />

che nel frattempo gli era venuto in disgrazia. Teodorico invase e conquistò l'Italia, vi fondò un regno e la governò saggiamente ispirandosi alla<br />

tradizione romana.<br />

Ma poichè, qualche tempo dopo, gli Ostrogoti volevano affrancarsi dalla dipendenza dell'imperatore d'Oriente, quest'ultimo, che allora era Giustiniano,<br />

nel 535 organizzò una spedizione in Italia con un esercito Greco che pose sotto il comando di Belisario e successivamente di Narsete. In un primo<br />

tempo sembrava che la fortuna arridesse ai Goti tanto che Roma, tenuta da Belisario, fu da essi assediata. A questo riguardo, Procopio di Cesarea<br />

riferisce che "Giovanni, maestro dei militi, inviato da Giustiniano in aiuto di Belisario, nel 537, con 800 cavalli e 1.200 uomini, stabiliva i suoi<br />

quartieri invernali ad Alba Fucense".<br />

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La guerra "Gotica" durò circa venti anni e l'Italia fu traversata continuamente dai due eserciti che occupavano e rioccupavano i territori oggetto di<br />

conquista. La Marsica e le nostre zone non vennero risparmiate dalle incursioni degli avversari i quali massacravano spietatamente tutte le popolazioni<br />

che non si sottomettevano all'uno o all'altro di essi e distruggevano tutto ciò che trovavano nel loro passaggio (1).<br />

Alla fine i Greci ebbero la meglio ma, dopo appena 15 anni, nel 568, scesero dal nord i Longobardi condotti dal loro re Alboino, che provenivano dalla<br />

Pannonia, attuale Ungheria, dove si erano stanziati da diversi anni in qualità di federati dell'Impero. Alboino inizialmente conquistò senza alcun<br />

ostacolo la provincia Friulana e nell'anno seguente, scese nella Venezia, nell'Emilia e nell'Umbria. Infine, impossessatosi di Milano, si dichiarò, nel<br />

settembre di quell'anno, re d'Italia. Pavia resistette per tre anni ma stretta d'assedio alla fine nel 572 si arrese e fu eretta a capitale del regno. In Umbria<br />

Alboino istituì un Ducato e, creata capoluogo Spoleto, vi nominò per primo Duca Foroaldo. Ad Alboino successe Clefi e alla sua morte seguirono dieci<br />

anni di anarchia durante la quale Foroaldo ampliò i suoi domini a tutta l'Umbria e a parte della Sabina. Ariolfo, secondo duca di Spoleto, estese le sue<br />

conquiste, oltre al resto della Sabina, anche nelle regioni degli Equicoli, dei Marsi, dei Peligni, dei Vestini e dei Piceni e fu dunque in quel periodo, tra<br />

il 591 e il 603, anno della sua morte, che i nostri territori furono uniti al Ducato di Spoleto (2).<br />

Il medioevo, il Ducato di Spoleto e la dominazione Farfense<br />

Nell'anno 1110 il prete Adamo di Cliviano (S. Stefano di Corvaro) scrisse una lettera a Berardo, abate del monastero di Farfa, per chiarire la posizione<br />

di alcuni terreni e di alcune chiese che si trovavano sotto la sua giurisdizione:<br />

Al Signore Berardo venerabile Abate il presbitero Adam de Cliviano fedele servo. Per timore di dio e di S. Maria vi indichiamo per l'appunto le terre<br />

che il duca Faroaldus diede a S. Maria [Farfa], cioè il Cliviano e per i suoi vocaboli, moggia millecinquecento di terra coltivata arabile con n. 12<br />

abitanti; fino a Frontinum e fino alla Macchia Felicosam e fino alla grotta Machelmi. Di essa la terza parte di tutto il territorio insieme con la chiesa<br />

di S.Savino, la chiesa di S.Sebastiano e la chiesa di S.<strong>Anatolia</strong> di Turano. L'abate poi, che c'era in quei tempi, fece uno scambio con Soldone, e diede a<br />

quello la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> in cambio di quella di S. Maria di Loriano. Tutto il resto rimase al servizio di S. Maria [Farfa]. Ivi è edificato quel<br />

Corvarium. Per l'appunto in realtà gli uomini che ottennero lo scambio si raccomandano a voi affinchè veniate qui per vostra volontà, rimanendo al<br />

vostro servizio, la dove solamente il Signore cancella tutto e Voi modestamente tenere (3)<br />

Nei primi anni dell'VIII secolo d.C., durante la dominazione dei Longobardi, la chiesa di S.<strong>Anatolia</strong> venne donata da Foroaldo II duca di Spoleto al<br />

monastero di Farfa insieme ad altri territori ad essa adiacenti. Nel documento di cessione, che è il più antico a noi rimasto, essa venne denominata<br />

Sanctae Anatholiae de Turano e già in quell'epoca i territori limitrofi ad essa venivano denominati quasi come attualmente e cioè: Cliviano (S. Stefano<br />

in Cliviano), Macclam Felicosam (forse: Selve della Duchessa), Cripta Machelmi (Grotte di Torano), Frontinum (Monte Frontino), Sancti Savini<br />

(S.Saino, cimitero vicino a Castel Menardo), Sancti Sebastiani (Chiesa di S. Sebastiano un tempo esistente alle falde dei monti della Duchessa),<br />

Turanu (Torano), Sancta Maria de Loriano (S. Maria parrocchiale di Corvaro), e Corvarium (Corvaro).<br />

I termini Clivano e Torano riappaiono nel medioevo in vari documenti del Monastero di Farfa. Nell'anno 791: gualdum nostrum in Eciculis in integrum<br />

seu terram in Cliviliano ubi dicitur ...nuale (4); nell'813: in Eciculis loco qui dicitur Clivigiano (5); nel 957: Clivano, et Placidiscis, et Agello, et<br />

Torano (6)<br />

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Nel frattempo, dopo varie vicissitudini, il regno longobardo d'Italia passò nelle mani dei Franchi di Carlo Magno che, rifacendosi alla tradizione<br />

romana, dettero le fondamenta al Sacro Romano Impero. In Oriente gli Arabi conquistavano l'Africa del nord, la Palestina, la Spagna, la Sicilia, la<br />

Corsica e la Sardegna e creavano l'impero arabo che, sotto lo slogan Allah è il solo Dio e Maometto il suo profeta, diveniva sempre più potente. Il<br />

Mediterraneo, che durante l'impero romano era chiamato Mare Nostrum, era ormai divenuto il mare degli Arabi, un mare pericolosissimo per gli<br />

occidentali poichè pieno di pirati e corsari che, appoggiati dagli Arabi, saccheggiavano ed invadevano continuamente la nostra penisola. Solo Venezia<br />

con le sue possenti e veloci navi riusciva a mantenere dei contatti, soprattutto commerciali, con l'Impero d'Oriente. I porti principali, che durante<br />

l'epoca imperiale erano densi di popolazione, venivano lentamente abbandonati e le città si ritiravano sempre più nell'entroterra. Il Tevere, che da secoli<br />

era luogo di arrivo di ricche navi commerciali, diveniva per Roma una fonte di pericolo e delle grandi catene vi venivano poste per impedire il<br />

passaggio alle imbarcazioni. L'economia lentamente si comprimeva fino a giungere a quel mercato chiuso che caratterizzò l'Europa per tutto il<br />

medioevo.<br />

I Saraceni e la formazione dei Castelli<br />

Nel Chronicon Vulturnense si rileva che fin quando governarono i Longobardi nelle nostre regioni: "...i castelli erano rari, perchè non c'era paura o<br />

timore di guerre, tutti godevano di una grande pace, fin quando arrivarono i Saraceni ..." (7)<br />

Leone Ostiense o Marsicano nel suo Chronicon Casinense fa rilevare come le varie abbazie si preoccupassero delle popolazioni loro soggette facendo<br />

"...innalzare castelli e rocche fortificate nei luoghi di difficile accesso per evitare scorrerie e saccheggi da parte dei seguaci della Mezzaluna". (8)<br />

I Saraceni furono per l'Italia meridionale una grossa calamità. Essi, da veri corsari qual erano, appoggiati dagli Arabi, facevano spesso delle incursioni<br />

nell'entroterra e, guidati dal loro valoroso capo Seodan, risalendo lungo il corso del fiume Garigliano e del Liri, arrivarono spesso fin nella Marsica<br />

dove misero a ferro e a fuoco i nostri paesi. Già nell'anno 846 erano giunti sotto le mura di Roma dove, incontrata una forte resistenza, avevano<br />

depredato la basilica di San Pietro che allora si trovava fuori delle mura. In seguito incendiarono la città di Fondi uccidendo gran parte dei suoi abitanti.<br />

I superstiti vennero ridotti in schiavitù. L'imperatore Lodovico II, per contrastare quelle orde barbariche, dette ordine a Guido duca di Spoleto di<br />

formare un esercito con il quale si spinse a perseguitarli fin sotto le mura di Gaeta; ma, caduto in un agguato, Guido stesso rischiò di cadere nelle mani<br />

nemiche e si salvò per un pelo grazie all'aiuto di Cesario figlio di Sergio duca di Napoli.<br />

In seguito alla vittoria ottenuta, i Saraceni divennero più coraggiosi rinnovando le loro scorrerie fino al fiume<br />

Garigliano dove si stabilirono e si fortificarono. Il papa Leone IV, per arginare il pericolo Saraceno, si decise a porre<br />

delle catene lungo il Tevere per impedire alle imbarcazioni di risalirlo fino a Roma e, per salvaguardare la chiesa di<br />

San Pietro, la circondò di mura, quelle che in futuro delimiteranno la Città del Vaticano. Nell'865 Lamberto duca di<br />

Spoleto, sostenuto da Gerardo conte dei Marsi, attaccò i Saraceni che, in seguito a delle scorrerie nei territori di Capua<br />

e di Napoli, stavano facendo ritorno con un ingente bottino nelle loro sedi a Bari. In quella battaglia i Saraceni ebbero<br />

ancora la meglio e in quella sede venne ucciso addirittura Gerardo conte dei Marsi.<br />

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I Saraceni, ancora più inorgogliti dalle vittorie ottenute, si fecero più audaci tanto da invadere ed occupare parte della provincia Valeria che allora<br />

raggruppava la Marsica, il Cicolano e parte della Sabina. Anche il territorio di Benevento era continuamente messo a ferro e fuoco e, tanto i popoli si<br />

lamentarono, che l'imperatore Lodovico II rinnovò una Crociata contro quei barbari. Ma quel popolo di corsari non si fermava. Incendiarono il<br />

monastero di San Vincenzo del Volturno, di San Salvatore di Rieti e molte chiese. Saccheggiarono ripetutamente i nostri paesi e, nonostante che<br />

nell'anno 886 subirono una grande sconfitta in una battaglia condotta da Guido di Spoleto, si dovette attendere l'anno 916 per vederli definitivamente<br />

sconfitti (9).<br />

Alba Fucense nell'881, in una delle tante incursioni dei Saraceni, venne assalita, saccheggiata e distrutta da un tremendo incendio mentre la<br />

popolazione superstite fu costretta a fuggire sui monti; per questo motivo in seguito vi fu eretto un castello sul colle più alto che resistè fino al 1915<br />

anno del terribile terremoto che sconvolse la Marsica ed il Cicolano. Nelle cronache dei vari monasteri si rileva come i vari abati spingessero i loro<br />

subalterni ad innalzare nei vari villaggi Castelli con Poggi o rocche fortificate nei luoghi di più difficile accesso per poterli garantire dalle aggressioni<br />

dei Saraceni e dei cattivi vicini (10).<br />

Fu dunque da quel periodo che cominciarono ad essere costruiti i vari Castelli della Marsica e del Cicolano fra i quali<br />

quelli che a noi interessano in questa storia di S. <strong>Anatolia</strong>, Torano, Corvaro, Spedino, Collefegato, Castelmenardo e<br />

Poggiovalle. Nell'anno 1113 Annolino di Oderisio donò il castello di Torano alla diocesi di Rieti: Castrum quod<br />

Toranus vocatur (11) ed in quel periodo probabilmente erano già stati eretti i castelli di Collefegato, Spedino e<br />

Castelmenardo.<br />

Nel 1115 i confini della diocesi marsicana passavano per la zona di S.<strong>Anatolia</strong> ed infatti in quell'anno papa Pasquale II<br />

confermandoli a Berardo vescovo de' Marsi li individuava nel seguente modo: ... per Scalellas, per Tufum fluvii<br />

Remandi, per Trepontum; inde ad Vulpem Mortuam, per Buccam de Teba, per Campum de Pezza, ... (12). Nel 1182 ancora un papa, Lucio III,<br />

confermando i territori questa volta della diocesi reatina, di nuovo nominava la Bocca di Teva (Tabulam), <strong>Cartore</strong> (Cartonis) e le Volpi Morte (Vulpem<br />

Mortuam) quali zone di confine. Ancor oggi le Volpi Morte, in dialetto "le Urbi Morte", e la Bocca di Teva, zona di confine fra il Lazio e l'Abruzzo,<br />

sono termini di uso comune per indicare alcuni territori vicini a S.<strong>Anatolia</strong>.<br />

1143-1268: Dominazione Normanna e Sveva<br />

Nel 1143, con la creazione del regno delle due Sicilie, la nostra zona con tutto il Cicolano passò sotto la dominazione dei Normanni.<br />

Nel 1153 papa Anastasio IV, confermando al vescovo reatino tutti i possedimenti della sua diocesi, nominò per la prima volta l'antichissimo villaggio<br />

ora semi abbandonato di <strong>Cartore</strong>, Plebem Sancti Laurentii, et Sancti Leopardi in Cartoro (13), la parrocchia (Plebem) di Sancti Stephani in Clavano<br />

(Santo Stefano di Corvaro) e i monasteri di ... sancti Mauri supra Castilione de Valle de Petra (San Mauro a Castelmenardo) e di sancti Leopardi de<br />

Colle Fegati. Nel 1182 papa Lucio III nella sua bolla pontificia, oltre alla conferma dei confini della diocesi reatina, fece anche l'elenco delle chiese,<br />

parrocchie e monasteri, appartenenti alla stessa fra cui: (Parrocchie di) ... S.Laurentij in Cartoro, S.Mariae in Cornio, S.Martini in ... [Turano],<br />

S.Stephani in Clavano - (Monasteri di) ... S.Leonardi in Selva, S.<strong>Anatolia</strong>e in Vilano, S.Leopardi et S.Anastasiae in Collefecati ... (14).<br />

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Vilano era quindi il nome più antico del territorio ove si adagiava il Santuario "Monastero" antico di S.<strong>Anatolia</strong> nella<br />

valle Cantu Riu mentre Cartoro o <strong>Cartore</strong>, termine rimasto invariato nel tempo, era il paese principale visto che nel suo<br />

territorio si trovava la parrocchia principale di S. Lorenzo. Il villaggio di Frontino, con la parrocchia di S. Stefano in<br />

Clavano, dominava il territorio di Corvaro dove era già stata costruita una prima rocca, mentre <strong>Cartore</strong>, con la<br />

parrocchia di San Lorenzo e con i monasteri di S. Leonardo in Selva e di S. <strong>Anatolia</strong> in Vilano, predominava<br />

sull'odierno territorio di S.<strong>Anatolia</strong>. A Torano, dove già si ergeva la rocca, il Castrum, era già nata la parrocchia di S.<br />

Martino e a Collefegato si ergevano i due monasteri di S. Anastasia e di S. Leopardo.<br />

Collefegato (Collem Fecatum), Castel Menardo (Castellum Mannardi) e Spedino (Dispendium) già nel 1183 possedevano un castello e difatti il re di<br />

Napoli Guglielmo II normanno detto il Buono, nell'elenco dei baroni fatto in quell'anno in occasione di una delle Crociate per Gerusalemme, elencò i<br />

primi due come proprietà del barone Gentile Vetulo (15), il terzo come proprietà del conte Ruggero di Alba (16). Nel territorio del Cicolano Gentilis<br />

Vetulus doveva fornire al Re di Napoli, per la spedizione in Terra Santa da lui progettata, i seguenti soldati (militis):<br />

quattro soldati dal feudo di Castrum Pescli, due da Barim, uno da Macclatemonem, uno da Castellionem, uno da Roccam Melitum, uno da Castellum<br />

Mannardi, uno da Collem Fecatum, tre da Sanctum Johannem de Lapidio e uno da Roccam Randisi.<br />

Nel territorio dei Marsi Rogerius, conte (comes) di Albe, doveva invece fornire:<br />

sette soldati dal feudo di Albe, uno da Castellum Novum, tre da Paternum, cinque da Petram Aquarum, 6 da Tresacco e Luco, uno da Capranicum, due<br />

da Pesclum Canalem, sei dal feudo di Carcerem e Podio Sancti Biasii, e uno e dimidii da Dispendium.<br />

Il feudo di Moranum, allora di proprietà di Taynus de Ponte, doveva fornire tre soldati.<br />

Fra la fine del secolo XII e l'inizio del XIII si verificò nelle nostre zone come anche altrove, il fenomeno dell'incastellamento per il quale i centri o<br />

castelli minori si univano, soprattutto per difesa, ai castelli di maggiore importanza. Antonio Ludovico Antinori nei suoi Annali" così si esprime:<br />

...si erano cominciate a fare le incastellazioni. Si chiamavano così le unioni de' Castelli più piccioli alle Città vicine, o ai Castelli più grandi, e<br />

confinanti; acciocchè gli abitatori vivessero con maggior sicurezza, e commodo. Era una specie di ascrizione del Castello minore all'agro, o territorio<br />

del Castello maggiore, e più ricco. In vigore di essa gli incastellati entravano a parte di tutti i commodi, utili, e pesi, che solevano avere gli altri<br />

Castelli della ... terra incastellante, tanto in tempo di pace, quanto di guerra. Per conseguenza, come se fosse l'istesso campo venivano ad avere<br />

comuni, e promiscue le leggi, e gli statuti sull'annona, i pesi e le misure, i Mercati, gli opportuni sussidj, e tal genere di altre cose. Aveva l'aspetto<br />

d'una pubblica confederazione ... L'unione liberamente contratta, concorrendo poi giuste cause, liberamente si poteva disciogliere. (17)<br />

I territori di <strong>Cartore</strong> e di Vilano non vennero nominati nel Catalogo dei baroni poichè essendo di secondaria importanza rientravano, insieme ai territori<br />

di Rosciolo, Magliano e Torano, nella giurisdizione del castello più vicino di Carcerem in Marsi che a sua volta dipendeva dalla contea di Albe mentre<br />

il territorio di Clivano con la rocca del Corvaro dipendevano probabilmente dai feudi più importanti di Roccam Melitum (odierna Valle di Malito) o di<br />

Collem Fecatum.<br />

Il Monte Carce, situato fra Magliano de' Marsi e Rosciolo, si innalza a circa m. 1.000 d'altezza s.l.m. e visto da Magliano è a forma di cono. Nel punto<br />

più alto c'è una piccola pianura rettangolare sopra la quale ancora oggi si intravedono i resti delle fondamenta di una fortezza, un'antica oppidum pre-<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 26/79


omana, che poi nel medioevo venne trasformata nel castello di Carcerem. Questo, nominato in altri documenti medioevali col nome di Castiri, Cartio,<br />

Carchium, Carchio, Carchi e Carci, era già nel X sec. d.C. un castello di primaria importanza per la sua posizione strategica, tanto importante che il 4<br />

settembre del 970 l'imperatore Ottone I di Germania vi tenne un placito. Esso venne descritto dall'Antinori in questo modo:<br />

... quello che poi si disse Carce nei Marsi era feudo del conte Roggiero d'Albe, incastellato a forma di rocca nell'estrema vetta del monte, interposto<br />

alla valle, onde si passa a Cicoli, e donde scorrendo il fiume Anio scende verso gli Equi. Avendo quella cima una forma ovale, il castello veniva<br />

compitamente d'ogni intorno cinto di mura. Vi si ascendeva per aspro, ed insolito cammino, nè per altra via, che pel giogo, e via così stretta, che<br />

appena vi possono andare tre insieme di lato. Sulle prime era l'ingresso del Castello per una sola porta, ma poi renduto Fortelizio, ne ebbe munite due<br />

di vallo ... (18)<br />

Sopra la Val di Fua (in dialetto "Fiui") a circa m.1.400 s.l.m. fra le montagne della Duchessa sopra il villaggio di <strong>Cartore</strong>, esiste una grotta con antichi<br />

ruderi di marmi e muraglie. La grotta non ha vie di accesso facili e la mancanza di sentieri e gli strapiombi rendono la ricerca molto difficile anche per i<br />

visitatori più esperti; eppure in quel posto, sconosciuto dalle carte ufficiali, si trovava anticamente un monastero.<br />

Il Monastero di S. Leonardo in <strong>Cartore</strong>, apparso per la prima volta nella bolla del 1153<br />

e in seguito detto di S. Leonardo in Selva nel 1182, apparteneva ai monaci benedettini<br />

e precisamente ai monaci del monastero di S. Paolo di Roma. Infatti nel 1218 il papa<br />

Onorio III, confermando tutti i beni del suddetto monastero, recitava:<br />

Sanctum Leonardum supra in <strong>Cartore</strong> cum cellulis, villis<br />

et molis, et alii pertinentiis (19)<br />

La chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> de Turano nell'anno 706 era stata donata da Foroaldo duca di Spoleto ai monaci benedettini di S. Maria di Farfa. Anticamente<br />

esisteva nei pressi di <strong>Cartore</strong> un altro monastero molto importante denominato S. Maria in valle Porclaneta al quale nel 1048 fu donato il castello di<br />

Rosciolo da Berardo conte de' Marsi (20). Nel 1084 il monastero assieme al castello furono donati sempre dal conte Berardo a Desiderio abate di<br />

Monte Cassino (21) e da quel momento la giurisdizione passò a quest'ultima abbazia. Fu in questo periodo probabilmente che la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong><br />

di Vilano, divenuta nel frattempo un monastero benedettino come dimostra la bolla del 1182, insieme alla chiesa di S. Lorenzo in <strong>Cartore</strong>, passarono<br />

sotto la giurisdizione del monastero di S. Maria in Valle Porclaneta.<br />

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Infatti, nel 1250 in un registro delle rendite di tale chiesa, il suo preposto esigeva, dai preposti e rettori delle chiese di S. Lorenzo e di S.<strong>Anatolia</strong>, che,<br />

nei giorni festivi di quei santi, si preparassero dei pranzi per sè e per i suoi chierici (22).<br />

Il 13 dicembre dell'anno 1240 papa Gregorio IX delegò come Commissari Pontifici don Maccabeo abate di Torano insieme a frà Pietro dè minori<br />

conventuali per prendere informazioni sulla vita e sui miracoli del monaco certosino Oddone venerato a Tagliacozzo qual beato (23).<br />

1268-1280: Distruzione di <strong>Cartore</strong> e invasione degli Zingari<br />

Nel 1268 le truppe di Corradino di Svevia, nei movimenti di avvicinamento precedenti alla battaglia contro Carlo D'Angiò, passarono per le nostre<br />

zone e ... trovata troppo angusta ed impraticabile la strada che porta a Tagliacozzo, essendo fra dirupi si stretta che appena vi poteano capire due<br />

persone se mai s'incontravano una in faccia all'altra, prese il cammino a sinistra, e avviandosi per la valle di Uppa o Luppa spuntò a Tecle, detto poi<br />

bocca di Tecce, luogo fra colli e valli al di qua di Turano e di S.<strong>Anatolia</strong> e al di là di Rosciolo: scese quindi al piano senza contrasto, si diresse a<br />

Scurcola... (24)<br />

Le genti di <strong>Cartore</strong> al passaggio di Corradino per la loro terra, lo accolsero con gioia e, alleandosi a lui, gli diedero manforte alimentando il suo esercito<br />

già numeroso. Purtroppo a Scurcola, nei piani Palentini, Corradino perse la sua più importante battaglia e ciò ebbe grandi ripercussioni sia per la storia<br />

italiana, sia per i molti suoi piccoli alleati.<br />

Chiedendo ad alcune persone anziane del paese se sapevano di come fosse stata distrutta l'antica città di Tora ho scoperto fortuitamente una leggenda<br />

che ha dell'incredibile poichè tramandata oralmente per ben sette secoli; Giovanni Sgrillletti infatti, anziano signore di Sant'<strong>Anatolia</strong>, mi raccontò:<br />

circa 700 anni fa' c'erano due imperatori in guerra, uno di nome Corradini ed l'altro di nome Carlo d'Escia, con le loro battaglie avvenne la<br />

distruzione di Tora. I cittadini fuggirono nei paesi vicini e pochi rimasero fra i resti della città. Dopo alcuni anni, sui resti di tora si era formata una<br />

folta vegetazione, giunsero alcune carovane di zingari che, vistosi scacciate da tutti gli altri paesi e trovata l'acqua fra i resti della città, vi si<br />

accamparono. Qui dovettero litigare con la gente del luogo ma infine si stabilirono pacificamente e costruirono delle case nel posto ora chiamato<br />

"Case Vecchie". Così iniziò a sorgere il paese.<br />

E' chiaro che il villaggio distrutto da Corradino di Svevia (Corradini) e Carlo d'Angiò (Carlo d'Escia) fosse quello di <strong>Cartore</strong>, detto in alcuni documenti<br />

Cartora, mentre il termine Città di Tora è sicuramente un'influenza posteriore. Infatti, verso la metà del '700, vennero pubblicati i primi libri di storia<br />

locale quali "La Storia de' Marsi" del Febonio, "La Reggia Marsicana" del Corsignani e, in particolare, le "Memorie di S. Barbara" del Marini che, con<br />

molta puntigliosità, asserivano che l'antica città romana di Tora si trovasse sepolta nelle nostre contrade. Nel nostro villaggio passavano con molta<br />

frequenza vescovi e pellegrini che, avendo letto quei libri, li riportavano ai nostri parroci o ai nostri cittadini più istruiti i quali poi, parlandone con il<br />

popolo, ne influenzavano la memoria storica. Comunque, in nessun documento e in nessun libro di storia locale, risulta la notizia della distruzione di<br />

<strong>Cartore</strong> e ciò mi sembra una buona garanzia per dimostrare che il racconto di Giovanni Sgrilletti è genuino e sicuramente, perlomeno in generale, non<br />

influenzato.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 28/79


Dopo aver ascoltato questo racconto, in un primo momento pensai che esso fosse frutto di pura fantasia, poichè non riuscivo a trovare dei documenti<br />

che avessero una qualche connessione con gli Imperatori Corradini e Carlo d'Escia e la distruzione dell'antica città romana di "Tora"; in seguito,<br />

intuendo la possibilità dell'influenza e quindi della trasformazione del termine di <strong>Cartore</strong> in Tora, e incappando in alcuni brani di libri e documenti che<br />

parlavano dei <strong>dintorni</strong> di S. <strong>Anatolia</strong> fra il 1250 e il 1300, ebbi finalmente la prova inconfutabile che il racconto era vero e che esso si riferiva<br />

veramente al villaggio di <strong>Cartore</strong>.<br />

Domenico Lugini, storico del Cicolano, nel 1907 nelle sue "Memorie", parlando della famiglia Mareri del Cicolano, scriveva:<br />

Il Re Carlo, dopo la riportata vittoria, si diede a perseguitare e a castigar tutti coloro che erano stati del partito di Corradino, e furono moltissimi<br />

quelli che perirono per tale cagione (25)<br />

poi, sempre lui, parlando della fine di Alba Fucense e basandosi sulla testimonianza di Boezio di Rainaldo, detto anche Buccio Ranallo, scriveva:<br />

Alba Fucense fu fatta devastare da Carlo nel 1268 dopo esser rimasto vincitore di Corradino sia perchè in essa si erano fortificati i Ghibellini, che<br />

favorivano il partito Svevo, e sia perchè gli Albensi avevano acclamato Corradino che, nel primo scontro, era rimasto vincitore degli Angioini (26)<br />

Giovanni Pagani, storico Avezzanese, nel 1979, parlando del santuario di "Pietraquaria" nella Marsica scriveva:<br />

Quale feudo del conte d'Albe, che apertamente era dalla parte di Corradino di Svevia, non mancò di sostenere il suo signore Ghibellino: non dovrebbe<br />

quindi esservi dubbio che l'ira vendicativa di Carlo d'Angiò si abbattè inflessibile su Pietraquaria: lo lascia credere, sopra ogni altra cosa, la terribile<br />

devastazione di Albe medesima, avvenuta ad opera degli Angioini subito dopo la battaglia di Tagliacozzo. (27)<br />

Paolo Fiorani nel suo volume "Una Città Romana - Magliano de' Marsi" scriveva:<br />

Carlo d'Angiò ... non pago del successo ottenuto, fece seviziare i superstiti prigionieri svevi, mentre i soldati francesi si davano a saccheggiare i paesi<br />

limitrofi. Si dice che da essi fu persino distrutto il convento dei benedettini in Valle Porclaneta, sopra Rosciolo. (28)<br />

Dopo la battaglia di Tagliacozzo quindi, fra Corradino di Svevia e Carlo D'Angiò di Francia, anche il villaggio di <strong>Cartore</strong>, schieratosi a favore di<br />

Corradino, venne distrutto da Carlo verso l'anno 1268 (29).<br />

Da alcuni anni era stata costruita dagli abitanti di <strong>Cartore</strong> e di Vilano una torre di avvistamento sul colle dominante il monastero di S. <strong>Anatolia</strong> e questa<br />

rocca sembra che venisse denominata, per la sua funzione, Torre della guardia. Anche gli abitanti di Torano sembra che si schierassero a favore dello<br />

Svevo e quando Carlo, dopo aver vinto a Scurcola la sua battaglia più importante, decise di sottomettere i villaggi a lui alleati, questi non si arresero<br />

immediatamente ma gli diedero molto filo da torcere. Un racconto tramandatoci oralmente narra che:<br />

Al tempo in cui c'erano le guerre civili e da Magliano doveva venire un esercito di centinaia di uomini a cavallo, i nostri per difendersi osservarono il<br />

loro arrivo chi dalla Torre di Torano, chi dalla Torre di Guardia, chi da un altro punto verso Colle Pizzo Dente, e quando il nemico si avvicinò al<br />

centro fra le tre torri, i padroni di queste ultime li circondarono e ne uccisero in molti. In quell'occasione furono uccisi anche moltissimi cavalieri e<br />

tale ricordo rimase impresso nel nome del territorio dove avvenne la battaglia e cioè "Scannacavalli" che è una zona vicinissima a S. <strong>Anatolia</strong>. (30)<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 29/79


La zona bassa vicina al Santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong>, ed esattamente l'odierna "Case Vecchie", era in principio l'unica parte abitata della contrada di<br />

Vilano; negli anni seguenti alla sconfitta di Corradino la trascuratezza derivata dalla guerra e un clima troppo afoso fecero sì che quella zona divenisse<br />

rifugio di molte bestie, soprattutto serpenti.<br />

Queste motivazioni, alimentate dal bisogno di ricostruire un villaggio appena distrutto, spinsero gli abitanti di <strong>Cartore</strong> e di Vilano a trasferirsi sul colle<br />

alto del paese tutt'intorno alla rocca dall'aria più fresca e strategicamente più difendibile. (31).<br />

In quel tempo, una colonia di zingari proveniente dall'Ungheria, scese in Italia e, errando nelle nostre zone, chiese asilo ai vari castelli del circondario.<br />

Bussarono alle porte di Corvaro, di Torano e di Spedino ma non ebbero ospitalità e infine vennero dirottati verso il paese di S. <strong>Anatolia</strong> ove si<br />

accamparono. Nessuno in quel periodo aveva voglia di altre guerre ed infatti i pochi abitanti del nuovo castello di S. <strong>Anatolia</strong>, i sopravvissuti di <strong>Cartore</strong><br />

e di Vilano, dopo alcune scaramucce e trovando che gli zingari erano abili cacciatori di serpenti, preferirono accordarsi; questi ultimi fecero piazza<br />

pulita di quelle bestie, si stabilirono in quel luogo e lentamente si fusero con gli abitatori naturali (32). S.<strong>Anatolia</strong> divenne la santa degli Zingari, "la<br />

Madonna nera di Sant'<strong>Anatolia</strong>", o già lo era, ed infatti attualmente il 9 e 10 luglio a Gerano, un paese vicino Subiaco, gli zingari moderni si<br />

riuniscono a centinaia ogni anno per la festa, poichè anche lì vi è una chiesa in onore della santa. Ancor oggi i paesani limitrofi di Corvaro, Torano,<br />

Spedino, ecc. chiamano con disprezzo gli abitanti del nostro paese: "Zingari di Sant'<strong>Anatolia</strong>" ("gli zengari"), cosa che viceversa non succede. Dopo il<br />

1268 con la sconfitta di Corradino il villaggio di <strong>Cartore</strong> non riuscì più a risorgere e quello di Vilano o di S.<strong>Anatolia</strong> dovette attendere più di un secolo<br />

prima di ristabilirsi.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 30/79


Note<br />

1. Procopio di Cesarea De Bello Gotico, lib. II pag.281 in Rerum Italicarum Scriptores - Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi -<br />

Dalle origini al medioevo pag. 127-128<br />

2. Paolus Warnefridus De Gestis Longobardorum Lib. III cap. 7 - Giancolombino Fatteschi Memorie istorico diplomatiche riguardante la serie dei<br />

Duchi e la topografia dei tempi di mezzo del Ducato di Spoleto parte I pag. 9-11 - Domenico Lugini Memorie storiche della regione Equicola<br />

ora Cicolano pag. 113-114 - Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi - Dalle origini al medioevo pag. 129<br />

3. Domno Berardo venerabili abbati praesbiter Adam de Cliviano fidele servitium. pro dei et Sanctae Mariae timore, Indicamus vobis ipsas terras<br />

quas dux Faroaldus dedit Sanctae Mariae, videlicet in Cliviano et per eius vocabula, terras cultas modiorum milium quingentorum arabiles cum<br />

manentibus XII. Usque Frontinum et usque Macclam Felicosam et usque Cripta Machelmi, ipsam tertiam partem ex omnibus rebus una cum<br />

ecclesia Sancti Savini et ecclesia Sancti Sebastiani et ecclesia Sanctae Anatholiae de Turano. Abbas autem qui erat illis temporibus fecit<br />

concambium cum Soldone, et dedit illi ecclesiam Sanctam Anatholiam in Sancta Maria de Loriano. Alia omnia remanserunt ad opus Sanctae<br />

Mariae. Ibique est edificatum illud Corvarium. Ipsi vero homines qui tenent concambium mandant vobis ut veniatis quia per vos volunt retinere<br />

vobisque servire, eo quo modo seniores tollunt omnia et vos modicum tenetis. Regesto Farfense pag.290, fol. MCCXV, V, doc. 1303 -<br />

Chronicon Farfense di Gregorio di Catino Tomo II pag. 205 n. 8: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 706 d.C.<br />

4. Regesto di Farfa T. II, n.100 - 1227 v p.215 - Lugini p.116<br />

5. Regesto di Farfa n.218 - 201 II p.165 - Lugini p.117<br />

6. Andrea Staffa L'assetto territoriale della Valle del Salto p.54 - in Xenia semestrale d'antichità vol. 13 p.45 e segg. anno 1987 1 semestre - tratto<br />

da Liber Largitorius mon. Farfense doc.180 I p.124-doc.140 I p.103-doc.324 I p.179<br />

7. ...Rara in his regionibus Castella habebantur, nec erat formido aut metus bellorum, quoniam alta pace omnes gaudebant usque ad tempora<br />

Saracenorum... Chronicon Volturnense Lib. II - Secolo IX<br />

8. Chronicon Casinense Lib. I cap. 33<br />

9. Domenico Lugini Memorie storiche della regione Equicola ora Cicolano pag. 120-125<br />

10.Paolo Fiorani Una città romana - Magliano de' Marsi - Dalle origini al medioevo pag. 138<br />

11.Michele Michaeli ;Memorie storiche della città di Rieti libro II, pag. 163 - tratto dall'archivio della Diocesi di Rieti arm. IV, fasc. L, n. 6 -<br />

Andrea Staffa L'assetto territoriale della Valle del Salto p.72<br />

12.Bolla di Pasquale II a Berardo vescovo dei Marsi Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1115<br />

13.Bolla di Anastasio IV a favore della Chiesa Reatina: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1153<br />

14.Bolla di Lucio III determinante i confini della Diocesi Reatina: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1182<br />

15.Catalogus Baronum: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1183<br />

16.Catalogus Baronum: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1183<br />

17.Giuseppe Di Girolamo La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi XVIII Bibliot. Prov. L'Aquila Vol.VIII f.584 sub anno 1230<br />

18.Giuseppe Di Girolamo La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi pag. 11 - tratto da A. L. Antinori Annali mss. sec. XVIII Bibliot. Prov.<br />

L'Aquila Vol. VIII f. 69 sub anno 1185<br />

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19.Trifone B. in Archivio R. Soc. Romana di Storia Patria XXXVI - 1908 pag. 294 d. XVI<br />

20.Il conte Berardo de' Marsi offre il castello di Rosciolo a Giovanni abate del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta: Vedi Appendice 6 -<br />

Cronologia - anno 1048<br />

21.Il conte Berardo de' Marsi offre il monastero di S. Maria in Valle Porclaneta a Desiderio abate di Montecassino: Vedi Appendice 6 - Cronologia<br />

- anno 1084<br />

22.Registro delle Rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1250<br />

23.Domenico Lugini Memorie storiche pag. 145 - Antonio Ludovico Antinori Corografia... Vol. 41 lett. T.Torano<br />

24.Battaglia di Tagliacozzo: Tommaso Brogi La Marsica pag.216<br />

25.Lugini Memorie pag. 162<br />

26.Lugini Memorie pag. 52 - da Boezio di Rainaldo Cose dell'Aquila stanz. 142<br />

27.Pagani G.Pietraquaria p.21.<br />

28.Fiorani Paolo Una città Romana - Magliano de' Marsi p.141 - Comune di Magliano de' Marsi Santa Maria in Valle Porclaneta pag.8 ... il<br />

monastero fu distrutto ... probabilmente ... nella guerra combattuta nei Campi Palentini tra Corradino di Svevia e Carlo I d'Angiò nel 1268.<br />

29.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali<br />

30.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali<br />

31.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali<br />

32.Vedi Appendice 2 - Racconti e tradizioni orali - Tradizioni orali<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 32/79


Capitolo IV - L'età dei Castelli<br />

I Castelli nei <strong>dintorni</strong> di <strong>Cartore</strong> dopo il 1268 - 1380: La battaglia di Torano - 1398-1418: Il Castello di S. <strong>Anatolia</strong> e le sue Chiese - La Contea di Albe<br />

e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI - Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo - I castelli di Corvaro, Collefegato, Poggiovalle,<br />

Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo<br />

I Castelli nei <strong>dintorni</strong> di <strong>Cartore</strong> dopo il 1268<br />

Torano, Corvaro, Spedino, Castelmenardo e Collefegato, forti delle loro posizioni strategiche e delle loro appetitose fortezze,<br />

nonostante la sconfitta riuscirono subito a risorgere. Il 5 ottobre del 1273, in un diploma di Carlo d'Angiò, in cui divise l'ampio<br />

giustiziarato di Abruzzo in due, e cioè in ultra et citra flumen Piscariae, sono ricordati nel nostro Abruzzo ulteriore: Marano,<br />

Spedino, Collefegato, Castellum Maynardi, Corbanum, Maleto, Latuscolo, ecc. (1). Nel 1279 tutti i conti, baroni e feudatari del<br />

Giustizierato d'Abruzzo, quasi completamente sostituiti da Carlo d'Angiò, dovettero passare la mostra dinanzi al giustiziere<br />

Brunello in Sulmona e Penne e furono registrati.<br />

Il 28 aprile del 1279 si presentarono: Sinibaldo de Aquilano nuovo proprietario del Corvaro che fu valutato 1 feudo (2);<br />

Sibilia, mg. di Tommaso Ammone, per Castel Menardo, valutato 1/8 di feudo, e per Castel Maleto, valutato 2 once e 25 tareni;<br />

Guglielmo Stacca provenzale per Collefegato e Tufo valutati 2/3 di feudo; un certo Giovannino si presentò come procuratore<br />

di Maria di Aquino per Marano che fu valutato 1/2 feudo; il 10 maggio Stefano Colonna mandò come suo vicario Giovanni da<br />

Poggiovalle per i feudi che possedeva nel Cicolano, fra i quali Poggiovalle (3).<br />

Carlo d'Angiò morì il 5 maggio del 1309 e gli successe nel regno il figlio Roberto il quale nei suoi registri dell'anno 1316 rammentò vari castelli del<br />

Cicolano. In quel tempo Corvaro e Spedino erano posseduti dalla contessa di Albe e Torano, con altri beni feudali posti nei confini con gli Abruzzi, era<br />

posseduto da Amelio di Corvaro ma faceva parte delle terre della contessa di Albe. Nel 1319 era signore del Corvaro, Gentile di Amiterno (4). Nel<br />

1324 Ugo Stacca di Collefegato vendette a Raimondo di Catania il suo castello di Poggiovalle, ed il re vi prestò il suo assenso (5). Nel 1325 Roberto<br />

Orsini era Conte di Alba (6). Nel 1338 Collefegato "tranquillo castello di campagna" era di proprietà di un certo Fidanza (7)<br />

Il 19 gennaio del 1343 morì il re Roberto d'Angiò e gli successe la nipote Giovanna moglie di Andrea il fratello di Lodovico re d'Ungheria. La sorella<br />

di lei, Maria, ebbe dal suo avo paterno la contea di Albe dei Marsi con molti altri feudi in altri luoghi (8). Il 20 maggio 1366 quest'ultima morì e la<br />

contea di Albe tornò al regio demanio (9). Il 30 settembre 1371 Giuntarello di Poppleto era il signore dei castelli di Corvaro, Collefegato e<br />

Poggiovalle e alcuni anni dopo questi furono ereditati da Antonio suo figlio (10).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 33/79


1380: La battaglia di Torano<br />

Il 1378 fu l'anno del grande scisma d'occidente nel quale furono eletti contemporaneamente due pontefici, Urbano VI dai<br />

vescovi romani e Clemente VII dai francesi. La regina Giovanna prese le parti del pontefice Clemente VII mentre Carlo II di<br />

Durazzo, discendente degli Angioini e aspirante al trono del regno, parteggiò per Urbano.<br />

A quel punto anche l'Abruzzo come l'Italia si spaccò in due. L'Aquila parteggiò per la regina Giovanna e quindi per il papa<br />

Clemente mentre il nostro Cicolano per il papa Urbano. Questa situazione provocò vari scontri fra cui una battaglia per noi<br />

molto importante perchè combattuta nei pressi di Torano.<br />

In quel tempo vi erano due grandi famiglie a L'Aquila, i Camponeschi ed i Pretatti, che, per vecchie inimicizie e rancori,<br />

cercavano sempre la scusa per poter andare in guerra. Lo scisma fu preso al balzo e quando la famiglia Pretatti, capitanata da<br />

Francescantonio, si mise dalla parte di Carlo di Durazzo quella dei Camponeschi, capitanata da Antonio, si mise dalla parte<br />

opposta. Francescantonio detto Ceccantonio era figlio di Nicolò e di Pasqua di Poppleto ed era cugino di Antonuccio da<br />

Giunta, signore di Corvaro, Collefegato e Poggiovalle. Dopo una sconfitta avvenuta a L'Aquila nel novembre del 1378 in una<br />

battaglia contro Antonio Camponeschi, Ceccantonio si riparò nel castello di Poggiovalle e da lì a più riprese tentò di riconquistare i suoi feudi Aquilani.<br />

In una delle sue scorrerie mise a fuoco le terre di Pendenza e di Rascino; assalì Antrodoco per prenderne la rocca ma fu respinto; s'impadronì della<br />

rocca di Pelino, vicina all'Aquila; il 22 settembre del 1379 entrò nel territorio di Amiterno scorrendo fino a Pile e facendo danni e rovine; si accampò a<br />

S. Vittorino, a Preturo e a Civita Tomassa, ma poi trovata una forte resistenza dovette uscire, dirigendosi a Leonessa, dal regno di Sicilia.<br />

Gli Aquilani, sdegnati da tali assalti, riunirono un esercito e andarono contro il castello di Corvaro dove fecero molte prede e<br />

prigionieri. La vedova di Giuntarello, signora del Corvaro, riunì un altro esercito e ricambiò l'offesa facendo prede e<br />

prigionieri a Tornimparte. Questi fatti scatenarono una reazione per cui gli Aquilani ripeterono più volte le scorrerie contro i<br />

Corvaresi e, chi più ne pagò, fu la valle di Maleto che rimase molto danneggiata. Ceccantonio, chiamato in aiuto dai<br />

Corvaresi, irruppe nel contado aquilano e, giunto in una villa a Tornimparte, vi predò e uccise alcune persone. Nel gennaio del<br />

1381 Ceccantonio si impadronì della roccaforte di S. Donato al centro del territorio aquilano e ciò creò una situazione<br />

talmente difficile per gli aquilani che anche la potente famiglia Orsini per paura si mise contro di lui.<br />

Nel giugno dello stesso anno l'esercito aquilano, capitanato da Antonio Camponeschi, partì alla volta di Torano e, accampatosi<br />

in quel castello, si diede a fare scorrerie nei luoghi vicini e ad assaltare frequentemente i castelli di Corvaro, Collefegato e<br />

Poggiovalle. Rinaldo Orsini invece si diresse nel suo castello di Tagliacozzo a radunare gente per dare manforte al<br />

Camponeschi.<br />

Ceccantonio, infastidito da tali scorrerie, dopo aver radunato un piccolo esercito a Poggiovalle, il 15 luglio si presentò a Torano e, dopo aver ordinato le<br />

sue schiere ed assegnati i posti ai fanti ed ai cavalieri, si mise a provocare il Camponeschi che accettò la sfida e, uscito dal castello, iniziò la battaglia.<br />

Alcune ore dopo Ceccantonio stava decisamente vincendo la battaglia quando arrivò in soccorso degli aquilani un rinforzo mandato da Rinaldo Orsini<br />

condotto da Gianni di Lello. A quel punto le sorti della battaglia si capovolsero e, dopo poco tempo, l'esercito del Pretatti cominciò a piegare.<br />

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Stanchi del lungo combattimento, molti dei suoi uomini fuggirono nei castelli vicini. Ceccantonio invece, infuriatosi ancor più dall'evidente disfatta,<br />

continuò a combattere ma, alla fine, caduto da cavallo, venne fatto prigioniero. Il seguito fu molto tragico per Ceccantonio che, dopo lunghe trattative<br />

non andate in porto fra gli aquilani, l'Orsini e Pasqua, la madre del Pretatti, il 16 agosto del 1381 fu condannato a morte per taglio della testa (11)<br />

1398-1418: Il Castello di S. <strong>Anatolia</strong> e le sue Chiese<br />

Nel 1398, nel villaggio abbandonato di <strong>Cartore</strong>, esisteva ancora la parrocchiale di San Laurento de Cartola, il<br />

monastero di S.Leonardus et S. Nicolaus, dipendenti dal monastero di San Paolo di Roma, la chiesa di S. Sebastiano<br />

alle falde della Duchessa, la chiesa del S.Sepulcro vicino Castiglione a Bocca di Teve e l'eremo di S. Costantio a Val di<br />

Teve. In quel tempo la chiesa di S.Anatholia dipendeva in parte dai benedettini, ma questa volta dai monaci del<br />

Monasterio S. Salvatoris vicino a Rieti. Nelle sue vicinanze sorgeva la chiesetta rurale di S. Maria de Collis (12).<br />

130 anni dopo la battaglia di Corradino la popolazione di <strong>Cartore</strong>, assimilata a quella degli zingari, si era pian piano<br />

spostata vicino alla rocca sul colle della contrada di Vilano. Il termine Vilano con il passar del tempo andò in disuso e<br />

già ai primi del ‘400 venne definitivamente sostituito con quello della chiesa più vicina, ormai la principale, di<br />

"Sant'<strong>Anatolia</strong>". 150 anni dopo la battaglia di Corradino nacque ufficialmente il Castello di Sant'<strong>Anatolia</strong> che, in un documento di tal data (ottobre<br />

1418), veniva nominato quale castello della Contea di Alba (13).<br />

Nel 1366, morta Maria, sorella della regina Giovanna, la contea era tornata al regio demanio. Un documento datato 6<br />

ottobre 1372 nomina Giovanna col titolo di duchessa di Albe ed è probabile che da lei i nostri monti presero il nome di<br />

Montagne della Duchessa (14). Verso l'anno 1390 il re di Napoli Luigi II d'Angiò investì Luigi di Savoia, figlio di<br />

Filippo conte di Piemonte, della Contea di Alba ma già nel 1393 il regno passò nelle mani di Ladislao e la contea tornò<br />

al regio demanio.<br />

Nel 1418 la regina Giovanna II, per gratificarsi il pontefice Martino V, investì suo fratello Lorenzo Colonna della<br />

contea di Albe de' Marsi (15). In quel tempo facevano parte della nostra contea i seguenti castelli: Alba, S. <strong>Anatolia</strong>,<br />

Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara,<br />

Castronovo de Vallibus, Roccadevivo, et Civitantine. Lorenzo, marito di Sveva Caetani, Conte d'Albe e Gran Camerario del Regno di Napoli, fu il<br />

primo Colonnese ad essere investito della nostra contea e la mantenne fino al 1423 anno in cui, a causa di un incendio, morì. I suoi titoli e tutti i feudi<br />

che gli erano appartenuti furono confermati dalla Regina Giovanna II ai suoi figli Antonio (16) e Odoardo (17).<br />

La Contea di Albe e Tagliacozzo nei secoli XV e XVI<br />

Nel febbraio del 1427, il pontefice Martino V, per prevenire delle liti, divise l'eredità in due parti e la contea d'Albe passò ad Odoardo Colonna gestita<br />

dalla madre poichè quest'ultimo era d'età minore. In quel tempo il contado era così composto:<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 35/79


Celanum, Piscinam, Canullum, Collum Cerchium, Agellum, S.Petitum, Ovindellum, Roveram, S. Ionam, Paternum, Gallianum, castrum Vetus,<br />

Castrum Deceri, Scinarium, Vendelum, Ortrechiam, Resignam, Archium, Speronasinum, S.Sebastianum, e Capistranum de provincia Aprutij Citra<br />

flumen Piscariae. Baroniam Caropelle, Castrum Vetus, S.Stephanum, Calanu, Roccam Calani. Licium, Ioyam de provincia Apruty ultra flumen<br />

Piscariae, Vasalanum, portam, e serram de provincia terrae Laboris, nen non, e Comitatum Albae, e usque terras castra loca, e fortellitia subscriptas,<br />

videlicet Albam, Sanctam Anastasiam, Risolum, Civitellam, Rendenariam, Castrum Novum de Vallibus, Roccamdenino, e Civitatem Anturae de dicta<br />

provincia Aprutiy ultra<br />

Il 21 febbraio del 1432 la regina Giovanna II confermò a Odoardo Colonna il Ducato di Marsi & Albe e Celano con una quantità di terre nell'Apruzzi<br />

Citrae e Ultra. Sotto il nome di Contea di Celano fu compresa anche la contea di Albe, poichè si legge nel diploma che il ducato e la contea formavano<br />

44 terre e castelli dei quali si menzionarono soltanto: Albe, Avezzano, Capistrello, Castelnuovo della valle, Celano, Civitella, Luco, Sant'<strong>Anatolia</strong> e<br />

Trasacco. Ora Albe, Avezzano, Civitella, Luco, Sant'<strong>Anatolia</strong> e Trasacco facevano parte della Contea di Albe (18)<br />

S.<strong>Anatolia</strong> Fontanile in pietra quattrocentesco<br />

Nel 1436 la contea di Alba passò sotto il dominio di Giacomo Caldora che morì il 25 novembre del 1439 e gli successe il figlio Antonio il quale la<br />

tenne fino al 1441, anno in cui ne fu spogliato da Giovanni Orsini (19). Fra il 1435 e il 1441 ci furono delle grandi lotte per la successione al regno di<br />

Napoli fra Renato d'Angiò ed Alfonso V d'Aragona (1385-1458). Nel 1441, dopo la lunga contesa, Alfonso d'Aragona detto il magnanimo, figlio<br />

adottivo della regina Giovanna II, morta nel 1435, divenne re di Napoli e, nonostante che l'Orsini fosse stato a lui nemico, gli confermò tutti i suoi<br />

domini fra cui le contee di Alba e di Tagliacozzo.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 36/79


Nel 1445 fu imposta a tutti i feudatari una tassa sulle terre demaniali che essi possedevano nel regno di Napoli. In quel tempo gli Orsini possedevano<br />

nelle nostre contee i seguenti territori:<br />

Auricola, Rocca de Bucchi, Collefecato, Castrum Mainardi, Teraco, Spidinum, Tagliacotium, Circum Collum, Petra de Venula, Cappadocium, Rocca<br />

de Cerro, Alto, Sancta Maria, Castrum Vetus, Scanzanum, Sanctus Donatus, Podium Filippi, Castellum Paleaiae, Maranum, Scolcura, Collis de<br />

Luppa, Colle, Barrochia, Piccetum, Albae, Cappella, Tarascum, Patuvium, Corvara, cum Magliano, Sancta Natolia, Succem, Avezzanum, Canistrum,<br />

La Meta, Civitas Antoia, Civitella, Castrum Caroli, Castrum de Flumine, Cose, Rocca de Supra, Girgutum, Rocca Randisiu, Podum Sancti Ioannis,<br />

Radicaria, Turris de Taglia, Capradosso (20)<br />

Nel 1456 morì Giovanni Antonio Orsini senza eredi e le contee tornarono per tre anni al regio demanio; in questo intervallo i popoli non obbedivano al<br />

feudatario ma erano direttamente sottomessi al comando del Re (21). Nel 1458 morì Alfonso e gli successe nel regno di Napoli Ferdinando I d'Aragona<br />

(1431-1494). Nel 1461 il re Ferdinando investì i due fratelli Roberto e Napoleone Orsini delle contee di Alba e Tagliacozzo ma, quando questi<br />

morirono, rispettivamente nel 1470 e nel 1480, il re ne riprese il possesso e cedette quella di Alba a Prospero Colonna in cambio di 20.000 ducati. La<br />

contea di Tagliacozzo fu ereditata da Virginio figlio di Napoleone il quale, poichè quella di Alba era stata ceduta al Colonna, si inquietò moltissimo<br />

tanto da giungere a schierarsi apertamente contro il re Ferdinando; per questo motivo fu dichiarato ribelle e gli furono confiscati tutti i feudi. Fra le due<br />

potentissime famiglie si accese un odio furibondo che portò a sanguinose battaglie per fermare le quali dovette intervenire il pontefice e lo stesso re che<br />

mediarono restituendo nel 1484 la contea d'Albe all'Orsini (22)<br />

Nel 1485 la contea di Albe si ribellò all'Orsini alzando l'arma Colonnese e, il 5 gennaio 1486, Fabrizio Colonna, con esclusione della rocca del Corvaro<br />

(23), ne riprese il possesso in nome della chiesa. Contro di lui marciò Virginio Orsini il quale, appoggiato dal duca di Calabria Alfonso, riprese il<br />

possesso della contea (24). Nel 1494 a Ferdinando successe nel regno di Napoli il figlio Alfonso II d'Aragona (1448-1495) ed a lui nel 1495 successe<br />

Ferdinando II (1467-1496) detto il cattolico. Fra le famiglie Orsini e Colonna l'odio si riaccese e, quando Carlo VIII di Francia nel 1494 scese in Italia<br />

e conquistò il regno di Napoli, a Virginio Orsini, dichiaratosi apertamente in suo favore, vennero riconfermate le due contee (25).<br />

Il Ducato di Tagliacozzo e la famiglia Colonna nel XVI secolo<br />

L'Aragonese in quel tempo fu costretto a fuggire dal regno ed a rifugiarsi in Sicilia; in seguito Fabrizio con altri colonnesi, a loro spese, assoldarono<br />

genti per la sua difesa. L'anno dopo (1495) Ferdinando, scacciato Carlo VIII, ritornò sul trono e, per ringraziarlo dei servizi resi, donò a Fabrizio<br />

Colonna fra l'altro le contee di Alba e Tagliacozzo (26). Ferdinando II non ebbe la possibilità di spedirgli il privilegio di tale donazione perchè<br />

prevenuto dalla morte (1496). Fu quindi il re Federico II (1451-1504), fratello di Ferdinando I e suo successore nel regno di Napoli, che, dopo aver<br />

dichiarato ribelle Virginio Orsini, condannandolo a morte, nel 1497 emise a favore di Fabrizio Colonna i due diplomi con i quali gli confermò la contea<br />

di Albe, di Tagliacozzo e la Baronia di Civitella Roveto. In quel tempo facevano parte delle suddette contee i seguenti castelli e villaggi:<br />

Taleacozzi, Alba, Cellanum, Criculae, Roccam de Brato, Perisi, Collis Intermontis, Rochiae de Cerro, Verrechiae, Capadotis, Petrellae, Paleanis,<br />

Castelli de Flumine, Curcumelli, Caesae, Scurculae, Pody, S. Donati, Scanzani, S. Mariae, Castelli Veteris, Marani, Terani, Tusely, Speriandidi,<br />

Corvary, Castelli Manandi, S. <strong>Anatolia</strong>e, Ricciolo, Magliani, Paterni, Avellani, Luci, Trasacchi, Caressi, Civite Dantinae e Cappellae<br />

Tutte queste terre presero il nome di Stato o Ducea di Tagliacozzo da cui i duchi di Tagliacozzo o de' Marsi (27).<br />

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Fabrizio Colonna (n.1460), gran contestabile del Regno di Napoli, poi comandante degli eserciti di Giulio II, primo duca di Tagliacozzo, morì in<br />

Aversa nel marzo del 1520. Egli aveva avuti dalla moglie Agnese di Montefeltro, figlia del duca d'Urbino, quattro figli dei quali gli era sopravvissuto il<br />

solo Ascanio che ereditò l'intero suo patrimonio.<br />

Nel 1500 un morbo epidemico e contagioso, del quale s'ignora il nome, infierì per ogni dove senza risparmiare le nostre contrade; ribelle ad ogni<br />

rimedio mieteva centinaia di vittime e la cosa più terribile fu che i medici, il parroco e gli assistenti non potevano avvicinarsi senza il certo pericolo di<br />

contrarre la malattia. Per questo gli alimenti, i farmaci e gli stessi conforti religiosi si apprestavano agli infelici per mezzo di una canna per mantenere<br />

la distanza (28).<br />

Ascanio, nato a Roma circa nel 1485, sposò Giovanna di Aragona, figlia del duca di Montalto (1500-1577) e fu duca di Tagliacozzo, dei Marsi e di<br />

Palliano e gran contestabile del regno di Napoli. Egli, uomo d'arma, partecipò al sacco di Roma costringendo Clemente VII a rifugiarsi a Castel S.<br />

Angelo. Morì nel 1557 lasciando la moglie vedova col figlio erede Marcantonio. Marcantonio I Colonna nacque a Civita Lavinia nel 1535 ed ereditò i<br />

titoli del padre; Marcantonio, Principe di Palliano e duca di Tagliacozzo, ammiraglio, sposò Felice Ursina della casa dei duchi di Bracciano, fu capitano<br />

generale dal 1570 della flotta pontificia contro i Turchi ed ebbe massima parte nell'impresa e nella vittoria di Lepanto (1571).<br />

Nel 1577 fu nominato da Filippo II vicerè di Sicilia. Recatosi in Spagna dietro invito vi morì forse avvelenato. Alla sua morte, avvenuta il 2 agosto del<br />

1584, gli successe nei numerosi feudi il nipote Marcantonio II (n.ca.1560), figlio del suo primogenito Federico, ma che morì giovanissimo il 1<br />

novembre 1595.<br />

I castelli di Corvaro, Collefegato, Poggiovalle, Castelmenardo e Torano fra il XV e il XVI secolo<br />

Verso il 1393 il Regno era passato sotto il dominio di Ladislao figlio di Carlo di Durazzo che costituì verso l'anno 1400 la Contea del Corvaro che<br />

comprendeva i castelli di Corvaro, di Collefegato, di Poggiovalle, di Castelmenardo, di parte del castello di Monte Odorisio, delle ville di Castiglione e<br />

di Valle Maleto e di altri feudi nella provincia dell'Aquila.<br />

Il primo feudatario investito di tale contea fu Bonomo di Poppleto, forse fratello di Antoniuccio di Giunta, a cui successe il figlio Piero. Questo ebbe<br />

due figli: Gionata e Paola; Gionata morì senza prole e Paola divenne quindi contessa del Corvaro e ne ebbe l'investitura dalla regina Giovanna II nel<br />

1434. Paola di Poppleto sposò Francesco Mareri, appartenente ad una potentissima famiglia del Cicolano, il quale, nominato a sua volta conte del<br />

Corvaro, ebbe da lei tre figli Filippo, Giovanni e Giulio (29).<br />

Francesco Mareri, da Ferdinando I, con conferma poi di Federico III d'Aragona, ottenne il privilegio di poter disporre ad arbitrio dei suoi feudi fra i<br />

suoi discendenti. Giovanni, il secondogenito, venne riconosciuto dal padre il più abile fra i suoi fratelli e, dopo il suo matrimonio avvenuto nel 1500<br />

con la contessa Laura Cantelmi, gli furono riconosciuti in eredità la metà dei castelli di Collefegato e Poggiovalle ed altri beni. L'altra metà dei castelli<br />

fu ereditata dal terzogenito Giulio. Alla morte di Giovanni i suoi feudi passarono al figlio Francesco e alla morte di Giulio i suoi passarono al figlio<br />

Franciotto. Nel 1527, durante la guerra fra Francesco I re di Francia e l'imperatore Carlo V, Renzo di Ceri, a capo dell'esercito pontificio, invase<br />

l'Abruzzo e si impadronì di Tagliacozzo e di altri luoghi.<br />

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Francesco e Franciotto combatterono sotto le bandiere di Carlo V ma, durante una delle battaglie contro Renzo, Franciotto rimase ucciso (30). I suoi<br />

beni furono ceduti dal vicerè di Napoli a Francesco ma questa donazione non fu valida poichè, non essendo stato avvertito l'imperatore, questi li aveva<br />

già donati a Giovan Giorgio Cesarini. Francesco rimase quindi con la metà dei feudi che già possedeva e l'imperatore, per scusarsi dello sgarbo, gli<br />

assegnò, quale ricompensa ai servigi resi, la somma di trecento ducati annui con la facoltà di prelevarli sui pagamenti fiscali del regno (31). Questi<br />

decise di prelevarli su quelli delle sue terre di Collefegato e Poggiovalle e su altre terre di Raiano e di Pentarsia. Da Francesco, morto verso l'anno<br />

1573, i feudi passarono al figlio Giovanni Antonio che ne fu investito ufficialmente l'anno 1584. L'ultimo dei Mareri, possessore di tale contea, fu<br />

Cesare che nel 1669 venne nominato, nella situazione fiscale del regno, come feudatario dell'Adoe di Collefegato e della metà di Poggiovalle (32).<br />

La rocca di Corvaro<br />

Giovan Giorgio Cesarini figlio di Gabriele, gonfaloniere del popolo romano, nel 1530<br />

era divenuto proprietario dell'altra metà dei feudi di Collefegato e Poggiovalle; nel 1533<br />

essi furono ereditati dal figlio Giuliano, procreato da Marzia di Guido Sforza, che in<br />

seguito, nel 1560 comprò da Lodovico Savelli la terra di Castelmenardo. La famiglia<br />

Savelli era stata investita del feudo di Castelmenardo verso l'anno 1520 dall'imperatore<br />

Carlo V per importanti servigi a lui resi. Da Giuliano Cesarini e dalla moglie Giulia<br />

Colonna, nacque Gian Giorgio che nel 1565 ereditò i beni; Gian Giorgio sposò Clarice<br />

Farnese da cui ebbe un figlio di nome Giuliano che ereditò i beni nel 1585; Giuliano<br />

sposò Livia di Virginio Orsini duca di S. Gemini, da cui ebbe cinque figli: Alessandro,<br />

Ferdinando, Giangiorgio, Pietro e Virginio. Giuliano morì a Roma il 14 gennaio del<br />

1613 (33).<br />

Nel 1520 Fabrizio Colonna aveva concesso, per importanti servizi resi, a Pietro<br />

Caffarelli, cavaliere romano, il feudo di Torano; nel 1585 era signore dello stesso<br />

Ascanio Caffarelli, nel 1610 Giovan Pietro Caffarelli e nel 1669 Gaspare Caffarelli. Ma<br />

il feudo di Torano, la famiglia Caffarelli lo possedeva solo in parte, poichè nel 1533<br />

Ferdinando Rota era possessore dei feudi di Torano, Marano, Rosciolo e Pizzicorno; nel 1546 era signore degli indicati castelli Antonio Rota che ebbe<br />

vari figli e di essi gli successe Ferdinando che morì senza aver lasciato prole; gli successe il fratello Alfonso che morì nel 1565 anch'esso senza aver<br />

lasciato prole e gli successe l'altro fratello Bernardino cavaliere di S. Giacomo che morì nel 1575 (34).<br />

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Note<br />

1. Lugini Memorie pag. 165<br />

2. Lugini Memorie pag. 163<br />

3. Lugini Memorie pag. 164<br />

4. Lugini Memorie pag. 168-169<br />

5. Lugini Memorie pag. 170<br />

6. Corsignani Reggia Marsicana pag.280: Rubertus Ursinus miles Taleacotii, et Albae Comes, armorum Capitaneus in honorem S. Ioannis<br />

Baptistae fieri fecit: anno M. CCC. VI. Septembris. VIII. Indict.<br />

7. Lugini Memorie pag. 179 - da Cirillo Annali Aquilani lib.3<br />

8. Lugini Memorie pag. 179 - da Buccio Rainaldi Cose dell'Aquila stanza 592<br />

9. Lugini Memorie pag. 184 - da Ciarlanti Memorie del Sannio lib.IV, cap.25, p.401<br />

10.Lugini Memorie pag. 185-6 - da da Matilde Oddo Bonafede Storia popolare della città dell'Aquila degli Abruzzi cap.XIII, pag.113,114,<br />

Lanciano 1889.<br />

11.Lugini Memorie<br />

12.Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1398<br />

13.Archivio di Napoli Fascicoli Angioini pag.476 fol.58 Fasc.74: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1418<br />

14.Corsignani Reggia Marsicana Tomo 1 - pag.151 : Johanna Ducissa Duratii Albae e Gravinae Comitissa Regni Albaniae et honoris Montis<br />

Sancti Angeli Domina ... - Febonio Hist. Mars. pag.134<br />

15.Lugini Memorie pag.192-193 e pag.243 Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1418<br />

16.Lugini Memorie pag.243 - da Coppi Memorie Colonnesi 1 c.40: documento del 5 luglio 1424 in cui viene ricordato Antonio Colonna conte di<br />

Albe.<br />

17.La Regina Giovanna IIa nel 1423 conferma ad Odoardo Colonna, dopo la morte del padre Lorenzo, l'investitura di tutte le terre a lui<br />

appartenute: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1423<br />

18.Brogi Tommaso La Marsica pag. 263 - Tutini Camillo Discorsi de' sette offici ovvero... pag. 167<br />

19.Lugini Memorie pag.243: Giacomo Caldora ... ebbe l'investitura nell'anno anzidetto [1436] con diploma della regina Isabella, quale vicaria di<br />

Renato suo marito - da Tommaso Brogi La Marsica c.IX pag.265,282,283 - Antinori Raccolta di memorie storiche t.III c.2 p.25<br />

20.All'incoronazione del Re Alfonso viene imposta una nuova tassa -colletta e vengono in questo modo riconfermati tutti i Baroni con le terre a<br />

loro appartenute: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1445 - Lugini Memorie pag.244 - Arch. Vecchio di Napoli quint. I - Aloi Dissertaz.<br />

Stor. sulla Badia Vittoria pag.10 - Brogi Tommaso La Marsica pag.284-285 - Corsignani P. A. Reggia Marsicana Tomo I pag. 307<br />

21.Gattinara G. Storia di Tagliacozzo<br />

22.Lugini Memorie pag.245 - da G. Albino De Gest. Reg. Neap. pag.279<br />

23.Lugini Memorie pag.208-9 - da G. Albino De gest. Reg. Napol. p.89-90 -Infessura Diar. di Roma presso Muratori Rer. Ital. Script. t.XXIII,<br />

c.1202<br />

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24.Lugini ;Memorie pag.212 - da G. Albino De gest.reg. Napol. p.334-5<br />

25.Lugini Memorie pag.245 - da F. Sansovino Hist. di casa Orsina lib. 9 pag.119<br />

26.Tutini Camillo Discorsi de' sette offic pag.182 - Domenico Lugini nelle sue Memorie a pag. 245 da una sua versione dell'accaduto<br />

completamente divergente e la trae da Coppi Memorie Colonnesi pag.107, 109 e da Contelori Archivio Colonnese pag.232.<br />

27.Il Re Federico II investe Fabrizio Colonna della contea di Albe e Tagliacozzo Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1497 - [Lugini Memorie<br />

pag. 306 -Tommaso Brogi La Marsica pag. 317]<br />

28.Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 94<br />

29.Lugini Memorie pag.202 - 204<br />

30.Lugini Memorie pag.223<br />

31.Lugini Memorie pag.224 - 225, doc. cess.ne da Franciotto a Francesco a pag.434-437 - da De Lellis p.220 e da doc. vari del Regno (arch.<br />

dell'Aquila e di Napoli).<br />

32.Lugini Memorie pag.225 - 228<br />

33.Lugini Memorie pag.228 - 229 - da G. Tascagnota Nuova sit.ne di Napoli p.375<br />

34.Lugini Memorie pag.233 - 234<br />

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Capitolo V - Secoli XVI - XVIII<br />

<strong>Cartore</strong> e S.<strong>Anatolia</strong> nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali - Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo XVII<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> nelle visite pastorali del '700 - Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783<br />

Fra la fine del '700 e l'inizio dell'800<br />

<strong>Cartore</strong> e S.<strong>Anatolia</strong> nel Vicariato del Corvaro: Prime Visite Pastorali<br />

Nel 1561 il vescovo di Rieti, monsignor Osio, visitò la sua diocesi e, passando per le nostre parti, fece, come suo dovere, l'elenco delle chiese e dei<br />

sacerdoti che esercitavano nei nostri villaggi; in quel tempo i territori della diocesi di Rieti erano stati divisi in Vicariati e nella nostra zona era stato<br />

costituito il vicariato del Corvaro che comprendeva i paesi di Corvaro, Santo Stefano, Castelmenardo, Collefegato, Poggiovalle, Collorso, Spedino,<br />

Latusco, Torano, <strong>Cartore</strong>, Sant'<strong>Anatolia</strong>, Grotti e Ville.<br />

Il vecchio borgo di <strong>Cartore</strong> era ormai ridotto in luogo di nessuna importanza ma la chiesa di S. Lorenzo, detta abbazia e collegiata, era ancora retta da<br />

un abate coadiuvato da ben tre canonici; essa era comunque ridotta, parole del vescovo Osio, in uno stato veramente miserabile. Anche il monastero di<br />

San Leonardo era ridotto in uno stato di completo abbandono, ma ancora si conservava il culto antico per il quale i malati di dolori articolari, dopo aver<br />

percorso con grande fatica il difficile sentiero che vi conduceva, prelevavano, nei pressi dell'altare del Santo, frammenti di minera le di ferro<br />

proveniente dalle rocce soprastanti. In quel tempo l'eremo di S. Costanzo era amministrato da un rettore mentre la chiesa di S.<strong>Anatolia</strong> era detta<br />

abbazia ed era amministrata da un rettore e tre canonici. (1).<br />

Nel quinquennio 1560-65 diversi appezzamenti di S. Maria del Colle, beneficio del seminario di Rieti, tra S.<strong>Anatolia</strong> e Torano, restano sodi (incolti)<br />

perchè, come riferisce il vicario di Corvaro, nessuno "ha voluto pigliarli in affitto, ne lavorarli et dicevano che non li possevano lavorare per non<br />

venire in disgratia del si. Giovanni Vincenzo Valignano, quale è padrone di S. Natologlia, et dicevano chel signore predetto non voleva che li<br />

lavorassero, ma non dicevano per che causa il signore non volesse". Nel 1565 il Valignani permetteva che se ne lavorasse una parte, a condizione però,<br />

"che dal frutto di esse terre se ne riparasse la chesia". Per gli anni sfitti il seminario aveva perso circa 50 some di grano e fu sempre per volontà del<br />

Valignani che restarono incolti, in quegli stessi anni, i terreni di S. Lorenzo in <strong>Cartore</strong> e di S. Maria di Brecciasecca (2).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 42/79


Negli anni 1570-1580 erano sorti nelle nostre zone vari ospedali fra cui a Sant'<strong>Anatolia</strong> quello di San Liberatore e di San Martino; gli ospedali<br />

venivano costruiti dai residenti per motivi di origine caritativa ed ecclesiastica e sorgevano in genere nelle immediate vicinanze di una chiesa della<br />

quale poi prendevano il nome; molti di essi non avevano la funzione di raccogliere e curare gli infermi, ma piuttosto quella di ospitare, cioè di<br />

accogliere, rifocillare ed alloggiare i pellegrini, i viandanti, gli accattoni ed i bisognosi.<br />

Carta topografica dell'Abruzzo Ulteriore dell'anno 1590<br />

Particolare della zona nei <strong>dintorni</strong> di S.<strong>Anatolia</strong> che però non viene menzionata<br />

La chiesa di San Liberatore era sorta, per devozione del popolo di Spedino, nelle vicinanze di S. Maria di Brecciasecca. Essa passò poi alle dipendenze<br />

dei Santesi di S. <strong>Anatolia</strong> ai quali si deve probabilmente l'iniziativa di aprirvi un ospizio. Nel 1570 la chiesa era piccola, spoglia e senza porta e ridotta<br />

quasi "ad stabulum bestiarum"; l'ospizio era "nudum et vacuum". Il vescovo Amulio chiamò allora a rapporto i Santesi i quali si giustificarono<br />

asserendo di non avere la avuto possibilità di riparare a tale stato di cose poichè l'ospizio non aveva nessun introito tranne i frutti molto miseri di una<br />

vigna. Il Vescovo, non accontentandosi della giustificazione, li depose dalla carica ed ordinò ai massesi di Sant'<strong>Anatolia</strong> di sceglierne dei nuovi sia per<br />

la cura della chiesa di Sancte Anatolie che per l'Hospitalis (3).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 43/79


Qualche anno dopo i redditi dell'ospedale assommavano a 20 giuli; davvero troppo poco per fornire, secondo i decreti di Sacra Visita, la chiesa della<br />

suppellettile necessaria e di una porta e l'ospizio "de cubilibus et aliis necessariis". In quel tempo, nel 1582, era ospitalaro Giacomo di Giovanni di<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong>.<br />

Nel 1587 a <strong>Cartore</strong> esisteva ancora la chiesa di S.Lorenzo di cui si ignoravano i sacerdoti, la chiesa di S.Nicola detta di Cartoro, il cui curato era don<br />

Vincenzo Innocentio, l'eremo di S. Costanzo detto di S.Costantio semplice, il cui sacerdote era don Berardino Mario, il monastero di S.Leonardo detto<br />

di S.Paulo semplice, il cui sacerdote era don Giovanni Antonio figlio del notaio Marco e la cappella di S. Sebastiano (S.Bastiano), tenuta dai frati.<br />

A Sant'<strong>Anatolia</strong> vi era la parrocchia omonima, S.Natoglia, retta da don Vincenzo Innocentio, e tre canonici, don Berardino Mario, don Antonello di<br />

Giovan Marino e don Antonio Di Giovan Battista; nel castello era già nata la chiesa Curata di S. Niccola il cui sacerdote era sempre don Vincenzo<br />

Innocentio; la chiesa di S.Maria del Colle detta semplice, rurale fra i villaggi di S. <strong>Anatolia</strong> e Torano, era retta da don Bartolomeo Alberti di Bologna e<br />

la Cappella di S.Maria era vacante. Fuori delle mura del paese erano stati costruiti due ospedali che dovevano fornire asilo e riposo ai pellegrini in<br />

visita al nostro santuario (4).<br />

Il Ducato di Tagliacozzo e del Corvaro e la Contea di Alba nel secolo XVII<br />

A Marcantonio II Colonna successe il figlio neonato Marcantonio III (1595-1611) che morì nel 1611 a 16 anni promesso sposo di Eleonora Gonzaga.<br />

Non avendo eredi diretti gli successe lo zio Filippo (1585-1639), figlio di Fabrizio, secondogenito di Marcantonio I il quale, marito di Lucrezia<br />

Tomacella della casa di papa Bonifacio IX, ereditò dal nipote il titolo di principe di Palliano e di Tagliacozzo.<br />

Nei primi anni del '600 Magini Giovanni Antonio, geografo bolognese, disegnò un Atlante Geografico che denominò Italia. Nel 1620 suo figlio Fabio<br />

Magini lo pubblicò dedicandolo al "Serenissimo Ferdinando Gonzaga duca di Mantova e di Monferrato, etc.". Esso si trova ora nella biblioteca<br />

nazionale di Roma e contiene fra le altre, una carta topografica dell'Abruzzo (Citra - Ultra) molto dettagliata, piena di nomi di paesi, cittadelle, castelli,<br />

monti e fiumi. E tra gli altri:<br />

S.Anatoglia, Turano, Latusci, Spendino, Risciolo, Lo Cervaro, Le Grotte,<br />

Vellino, Collefecato, Vil. Col. Fec., C. Monardo, La Duchessa, Coll'Arso, Magliano, etc.<br />

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Carta topografica dell'Abruzzo Citra ed Ultra del Magini nel 1620<br />

Particolare della zona nei <strong>dintorni</strong> di S.<strong>Anatolia</strong><br />

Da Filippo Colonna e Lucrezia Tomacella nacque nel 1601 Federico; questi sposò Margarita Branciforte d'Austria, ed ereditò nel 1639 il titolo di duca<br />

di Tagliacozzo, Principe di Botera e Contestabile del Regno di Napoli. Morì nel 1641 non lasciando figli.<br />

Nel 1646 Beltrano Ottavio, storico e geografo nato in Terranova, città della Calabria, pubblicò a Napoli l'opera Breve descrizione del Regno di Napoli e<br />

a pag. 282 e segg. nominò tutti i paesi e città di Abruzzo Ultra, con tutti i fuochi, cioè le famiglie, secondo l'ultima numerazione avvenuta circa<br />

nell'anno 1595, e secondo il vecchio censimento avvenuto nel 1561. Fra le tante terre registrate si nominano:<br />

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Vecchia<br />

num.ne<br />

1561<br />

NUMERAZIONE DEI FUOCHI<br />

Nuova<br />

num.ne<br />

1595<br />

99 Collefecato 92<br />

82 Castello Minardo 61<br />

164 Corvaro 124<br />

291 Magliano 126<br />

53 Marano 38<br />

26 Poio di Valle 17<br />

141 Rosciolo 121<br />

29 Spedino 21<br />

130 S.Natolia 114<br />

100 Torano 84<br />

1115 TOTALE 798<br />

Marcantonio IV Colonna germano di Federico nacque circa nel 1620 e sposò Isabella Gioieni Cardona; egli ereditò i feudi di Federico nel 1641 circa e<br />

con essi i titoli di Duca di Tagliacozzo, dei Marsi e del Corvaro, e Gran Contestabile del Regno di Napoli. Lorenzo Onofrio Colonna figlio di<br />

Marcantonio IV, nacque circa nel 1649 ed ereditò dal padre nel 1659 i seguenti titoli: Principe Romano, Duca di Tagliacozzo, de' Marsi, e Ernici, e del<br />

Corvaio; Principe di Paliano, Sonnino, e Castiglione, marchese dell'Atessa, e di Giuliana, Conte di Rhegio, d'Albe, di Chiusa, e Manupello; Grande di<br />

Spagna di prima classe, e Gran Contestabile del Regno di Napoli. Egli sposò Maria Mancini (1649-1715), nipote del cardinale Giulio Mazzarino, la<br />

quale gli diede un figlio Filippo erede dei suoi beni.<br />

Nel 1656 la peste orientale, cosiddetta perchè originaria dell'Etiopia o dell'Egitto, assalì nuovamente e con furore le contrade Marsicane e Cicolane. I<br />

suoi sintomi erano bubboni, pustole maligne, petecchie e carboncelli su varie parti del corpo e soprattutto sui gangli linfatici. Per questa epidemia il<br />

villaggio di Gallo, nei pressi di Marano, restò completamente deserto ed in quello di San Donato sopravvissero solo otto persone (5).<br />

Nel 1671 Beltrano Ottavio pubblicò a Napoli un altro libro dallo stesso titolo del precedente ma rimodernato ed attualizzato; le nuove numerazioni dei<br />

fuochi riguardano ora gli anni 1648-1669; ecco alcune delle terre in esso riportate:<br />

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Vecchia<br />

num.ne<br />

1648<br />

NUMERAZIONE DEI FUOCHI<br />

Nuova<br />

num.ne<br />

1669<br />

50 Collefecato 63<br />

50 Castel Minardo 67<br />

124 Corvara del Conte 53<br />

210 Magliano 120<br />

30 Marano 19<br />

12 Poio de Valle 16<br />

121 Risciolo 41<br />

12 Spedino 13<br />

90 S.Natoglia 43<br />

84 Turano dell'Aquila 61<br />

783 TOTALE 496<br />

Dai due libri del Beltrano, e anzi dalla quattro numerazioni da lui riportate dei fuochi del Regno di Napoli, si ottiene il seguente dato statistico: nel<br />

1561 la popolazione di S. <strong>Anatolia</strong> era di 130 famiglie cioè circa 650 persone; nel 1595 essa diminuì fino a diventare di 114 famiglie cioè circa 570<br />

persone; nel 1656 imperversò la peste orientale e difatti troviamo che la popolazione andò ancora diminuendo: nel 1648 essa era di circa 90 famiglie<br />

pari a circa 450 persone; nel 1669 il paese quasi scomparve riducendosi a 43 famiglie con circa 215 individui. In conclusione la peste e forse altri mali<br />

a noi sconosciuti in un secolo, cioè circa dal 1560 al 1660, ridusse la popolazione da 650 a 215 persone pari al 60 % circa; ed in particolare, nel<br />

ventennio 1648-1669, cioè nel periodo ufficiale della peste (1656), il paese si dimezzò passando da 450 a circa 215 individui. Anche Corvaro,<br />

Magliano, Marano, Rosciolo, Spedino e Torano subirono la stessa sorte di S.<strong>Anatolia</strong>, mentre gli altri paesi del Cicolano e in particolare Collefegato,<br />

Castelmenardo e Poggiovalle furono risparmiati dal terribile flagello (6).<br />

Il 15 aprile del 1689 morì Lorenzo Onofrio Colonna a cui successe il figlio Filippo II; questi ebbe due mogli: la prima fu Lorenza di Gian Luigi della<br />

Garda Aragona e l'altra Olimpia del principe Giovan Battista Pamphili. Filippo morì il 6 novembre del 1714 e lasciò tutti i suoi beni al figlio<br />

primogenito Fabrizio II Colonna.<br />

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Sant'<strong>Anatolia</strong> e <strong>Cartore</strong> nelle visite pastorali del '700<br />

Nel 1712 il vescovo Guinigi visitò il paese di Sant'<strong>Anatolia</strong> che nel frattempo era passato sotto la giurisdizione ecclesiastica del Vicariato foraneo di<br />

Borgo Collefegato (Vicariati Suburby Collis Fegati) (7).<br />

Il villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong>, sotto il dominio dell'Eccellentissimo Contestabile Colonna, era governato dal suo capitano Franco Cimoli di Ponticelli e la<br />

parrocchia principale era ormai divenuta quella di Sant'<strong>Anatolia</strong> col parroco sessantunenne don Giovanni Antonino della terra di Torano. Il villaggio<br />

era popolato da 50 famiglie composte da: 98 uomini e 96 donne adulti, da comunione; 58 fanciulli e 52 fanciulle minori, che non si comunicano; e da 6<br />

sacerdoti secolari e 2 chierici liberi. Anime in tutto 304. Vi erano quindi ben 6 sacerdoti e due chierici: don Giovanni Antonino abbate; don Giacomo<br />

Silvy, don Leonardo Placidi e don Franco Antonio Luce canonici; don Alessio Innocenzi e don Tommaso Luce sacerdoti senza beneficio; Berardino<br />

Luce e Vincenzo Innocenzi chierici.<br />

Inoltre vi erano i benefici semplici che consistevano in vari terreni di proprietà delle singole chiese, chiesette rurali, cappelle o altari con i ricavi dei<br />

quali ne beneficiava il sacerdote prescelto; dai benefici posseduti dalla parrocchia di Sant'<strong>Anatolia</strong>, consistenti in terre coltivate direttamente o date in<br />

affitto, si ricavavano in totale "salme undici di grano in circa, et uno scudo di prata e venti, inventicinque carlini d'incerti e trentacinque carlini di<br />

vigna". Il sacerdote, in cambio del godimento del beneficio, doveva occuparsi delle riparazioni all'interno ed all'esterno delle chiese o altari e doveva<br />

recitare delle messe in onore del fondatore, donatore dei terreni. I benefici a Sant'<strong>Anatolia</strong> erano sei e cioè: "San Lorenzo in <strong>Cartore</strong> e S. Maria del<br />

Colle" con le loro terre godute dal sacerdote Giacomo Silvy; il "beneficio di San Costanzo in <strong>Cartore</strong>" goduto dal chierico Cesiddio nominato da don<br />

Franco Antonio Luce; "l'altare della Madonna del Loreto" con le sue terre godute da don Leonardo Placidi; la "cappella di San Giovanni battista", jus<br />

patronato della famiglia Spera, goduta dall'abbate Silvy; il " beneficio di San Leonardo sul camino" che veniva goduto dal parroco don Giovanni<br />

Antonino e che dipendeva dai monaci di San Paolo di Roma.<br />

La chiesa parrocchiale era munita di campanile ed al suo interno aveva cinque altari cioè "il capo altare con il titolo della Natività di Nostro Signore<br />

Gesù Cristo, la Cappella della Pietà a latere destro, e a latere sinistro la Cappella di San Sebastiano e nell'ingresso della chiesa la Cappella di Santa<br />

<strong>Anatolia</strong> e dall'altro lato l'altare della Santa Vergine Maria di Loreto".<br />

I morti venivano seppelliti soprattutto nella chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> ma vi erano pile mortuarie anche nella chiesa di San Lorenzo a <strong>Cartore</strong>. Trovandosi<br />

la parrocchia fuori dal centro abitato, venne costruita dai suoi abitanti, più vicina al castello e proprio nella piazza centrale del villaggio, un'altra chiesa<br />

dedicata a San Nicola. Già in precedenza esisteva una chiesa dallo stesso nome sotto la Val di Fua a <strong>Cartore</strong> dipendente dai monaci di San Paolo di<br />

Roma ma che, coll'abbandono di <strong>Cartore</strong>, era ridotta ormai a macerie.<br />

La chiesa di San Nicola nel 1712 era munita del fonte battesimale, privilegio che non aveva la chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong>, ma in essa non vi si poteva<br />

seppellire. In un certo senso si nasceva nella chiesa di San Nicola e si moriva in quella di Sant'<strong>Anatolia</strong>.<br />

Nel 1712 l'abbate parroco Giovanni Antonini rispondendo al vescovo sullo stato generale della popolazione del paese scriveva:<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 48/79


"[...] In detta parrocchia non vi sono meretrici ne persone scandalose e ne vi sono bestembiatori ereticali; tutti i maritati abitano assieme; non vi sono<br />

ne usurai ne altre persone malefiche; le feste pare che poco si osservino e l'inosservanza deriva dai lavori che si fanno: le censure e gli sbirri<br />

sarebbero l'opportuno rimedio; la mamma [l'ostetrica] è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo, si chiama<br />

Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita; Amico di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fino ad ora; [...] vi è il<br />

maestro di scuola et è di buoni costumi ma non ave fatta la professione della fede essendo scuola di semplici fanciulli e si chiama Claudio Cherubbini;<br />

[...] non vi è medico; [...] non vi sono persone inosservanti; [...] non vi è persona alcuna che tenga libri proibiti; [...]"<br />

Inutile commentare la chiarezza del nostro parroco.<br />

Nel 1742 replicate scosse di terremoto colpirono la nostra zona nei giorni 4, 5 e 6 febbraio causando dei considerevoli guasti; la chiesa di San Nicola<br />

ne risentì alquanto e la sua riparazione fu terminata nel 1749, data ancora impressa sul portale (8).<br />

Il 24 agosto del 1783 il Vescovo Marini venne a far visita nel nostro villaggio (9). In quel tempo si erano formate due congregazione che riunivano i<br />

sacerdoti delle varie parrocchie nel nostro Vicariato; per cui da una parte si era formata la congregazione dei sacerdoti di Collefegato, Borgo, Villa,<br />

Santo Stefano, Castel Menardo, Colle Maggiore e Poggio di Valle e dall'altra la nostra congregazione formata dai sacerdoti di Grotte, Turano,<br />

S.<strong>Anatolia</strong> e Spedino. Corvaro dapprima apparteneva alla nostra congregazione, poi, dato il cattivo esempio che davano alcuni sacerdoti di S.<strong>Anatolia</strong>,<br />

si spostò nell'altra congregazione di Collefegato.<br />

I preti che a S. <strong>Anatolia</strong> davano scandalo erano soprattutto don Urbano Innocenzi, don Arcangelo Amanzi e don Urbano Amanzi. Il primo di anni 50<br />

era "di poco buoni costumi e ignoranza". Il secondo era "dedito al vino e dai costumi cattivi". Don Arcangelo Amanzi aveva poi dei rapporti con una<br />

donna del paese Antonia Scafati con la quale pare che avesse avuto un figlio. Poi c'era don Urbano Amanzi che "si ubbriaca sempre e dice parole<br />

scandalose", parola di Leonardo Pozzi testimone. Fulgenzio Peduzzi invece testimonia al vescovo che sia Urbano Amanzi che Urbano Innocenzi<br />

"pubblicamente s'ubbriacano e strapazzano li secolari ".<br />

Per il povero Abbate don Germano Amanzi la situazione era pesantissima; alcuni anni prima aveva perso la pazienza tanto che, in piazza San Nicola<br />

davanti a tutto il paese, aveva dato una sonora sberla a Urbano Innocenzi che completamente ubriaco faceva scandalo. Per questo fatto il povero abbate<br />

venne inquisito ma, avute le opportune informazioni, il vescovo decise di archiviare il caso. Infine, per la situazione così grave, il vescovo dopo aver<br />

accusato i sacerdoti Amanzi e Innocenzi, scriveva nel suo resoconto: "Bisogna mandare la missione in questo paese, a Turano, Corvaro e<br />

Collefegato !!!"<br />

Nel 1783 la popolazione ascendeva a "circa 430 anime, molte delle quali sono sparse fuori dalla terra benchè non in molta distanza". Il curato o<br />

abbate era don Germano Amanzi e gli altri sacerdoti oltre a don Urbano Innocenzi, a don Arcangelo e a don Urbano Amanzi erano: don Agapito<br />

Placidi di anni 84 canonico; don Gennaro Luce di anni 70 canonico; Luigi Placidi chierico di anni 18; Francesco Maria Luce e Carlo Scafati<br />

nuovissimi inabili.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 49/79


Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita del 25 ag. 1783<br />

Provvedimenti e decreti fatti nella Sacra Visita dei 25 ag. 1783 a riparo di molti disordini accaduti in S. <strong>Anatolia</strong> diocesi di Rieti, in ordine alle pie<br />

oblazioni, e sodisfazioni di messe<br />

1. [...] nella chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> che spetta all'abb.e e can.ci, che sta fuori della terra, la chiave della sagrestia debba stare in mani dell'abbate e<br />

di qualche can.co. Intanto si è affidata altra chiave al can.co Luce, che deve dipendere anche dall'abbate.<br />

2. Niun sacerd.e nei giorni festivi potrà celebrare la messa prima della messa parochiale.<br />

3. Per la festa di S. Anatoglia concorrendo molto popolo a venerare la Santa, e a prendere l'oglio, che arde nella lampada, quest'oglio dovrà<br />

distribuirsi o dall'abbate, o qualcuno dei due canonici, o da altro prete deputato dall'abbate, e non da verun altro, che non sia stato deputato<br />

dall'abb.e e can.ci tutti.<br />

4. Solendo il popolo fedele portare le oblazioni o per messe o per altro sacro culto, queste si dovranno in chiesa ricevere dall'abbate o da uno dei<br />

can.ci di modo che da uno solo non si devono ricevere, ma da due, cioè dall'abb.e, e da un can.co, o in luogo del can.co da un prete deput.o dai<br />

can.ci, e non altrimenti.<br />

5. Queste oblazioni si devono notare a libro, subito alla presenza dell'abb., e collocare in deposito [...] con due chiavi, una delle quali si tenga<br />

dall'abb.e, e l'altra da uno dei can.ci.<br />

6. Nel detto libro deve notarsi l'erogazione delle oblazioni secondo la pia mente dei fedeli e la sodisfazione della messa col giornale di mano del<br />

sacerdote che celebrerà; però si faccia il libro e si osservi la nostra prescrizione sotto pena di sospensione.<br />

7. Li preti, chierici, e novizi nei giorni festivi vadano ad assistere alla messa solenne, ed ad altre sacr. funzioni, che si fanno nella parrocchiale. Se<br />

saranno negligenti i novizi e chierici non saranno promossi agli [...] maggiori; li preti poi resteranno privi delle oblazioni che sogliono<br />

ripartirsi e dal vescovo non saranno considerati nelle vacanze dai benefizi e impieghi ma in altra contingenza. Fin qui le provvidenze generali.<br />

Fra la fine del '700 e l'inizio dell'800<br />

Il 28 ottobre del 1755 Fabrizio II Colonna duca di Tagliacozzo morì lasciando la moglie, Caterina Zefirina di Antonio Salviati, vedova con ben sedici<br />

figli. Suo figlio Lorenzo, erede nei suoi feudi, morì il 2 ottobre del 1779 e dei suoi tre figli, che aveva avuti da Marianna di Carlo Filippo d'Este, fu suo<br />

erede Filippo. Nel 1784 ci fu un altro assalto del morbo epidemico che molte vittime trasse alla tomba (Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 -<br />

pag. 95) e difatti, negli anni subito appresso, la popolazione di Sant'<strong>Anatolia</strong> scese di nuovo al di sotto dei 400 abitanti.<br />

Nel 1795 l'abate don Francesco Sacco pubblicò il 'Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli' dove alla pagina 301 del terzo tomo così<br />

si esprimeva:<br />

"San Natoglia (Sancta <strong>Anatolia</strong>): Villaggio nella provincia dell'Aquila, ed in diocesi di Rieti in regno, situato sopra una collina, d'aria buona, e nella<br />

distanza di ventidue miglia in circa dalla città dell'Aquila, che si appartiene in feudo alla famiglia contestabile Colonna di Roma. In esso è da notarsi<br />

soltanto una chiesa parrocchiale sotto il titolo di San Natoglia. La produzione del suo terreno sono grani, granidindia, vini, e ghiande. La sua<br />

popolazione ascende a trecento ottantasei sotto la guida spirituale di un parroco, che porta il titolo di abate, e di due canonici coadiutori"<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 50/79


Carta topografica dell'Abruzzo citeriore ed ulteriore e della contea del Molise nel 1790<br />

Particolare della zona nei <strong>dintorni</strong> di S.<strong>Anatolia</strong><br />

Nel 1806 Filippo III Colonna, erede dei feudi di Tagliacozzo, Albe, Corvaro, etc., a causa della rivoluzionaria legge sull'abolizione dei feudi, pubblicata<br />

da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat, rimase spoglio di tutti i feudi che possedeva nel regno di Napoli. In quel tempo le terre e le ville<br />

comprese nel ducato dei Marsi, erano:<br />

Albe, Androsciano, Atessa, Avezzano, Canistro, Capistrello, Cappadocia, Cappelli, Carsoli, Castel a Fiume, Castel Nuove, Castel Vecchio, Cese,<br />

Civita d'Antino, Civitella, Val di Roveto, Colle, Corcumello, Corvaro, Fara Filiorum Petri, Forme, Gallo, Luco, Magliano, Manopello, Marano,<br />

Massa, Meta, Morono, Oricola, Orsognia, Paterno, Penna, Pereto, Peschio Canale, Poggio San Filippo, Puggitello, Pretoro, Rapino, Rocca de' Vivi,<br />

Rocca di Botte, Rocca di Cerro, Rocca di Monte Piano, Rosciolo, San Donato, San Giovanni, San Pelino, Sant'<strong>Anatolia</strong>, Sante Marie, S.to Stefano,<br />

Scanzano, Scurcula, Sorbo, Spedino, Tagliacozzo, Trasacco, Torre Reccio, Tremonti, Tubione, Villa Romana, Villa Sabinese, Villa San Sebastiano.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 51/79


Nel 1811 l'intera provincia del 2 Abruzzo Ulteriore fu divisa in tre distretti e cioè in quelli dell'Aquila, di Cittaducale e di Sulmona; tutte le università<br />

del Cicolano furono aggregate al distretto di Cittaducale e per esse furono stabiliti due circondari, cioè quello di Mercato, in cui vennero compresi i<br />

comuni centrali di Mercato e di Petrella, e quello di Borgocollefegato, in cui vennero compresi i comuni centrali di Borgocollefegato e Pescorocchiano.<br />

Nello stesso anno venne eseguito il censimento dell'intera popolazione del Regno e il numero complessivo degli abitanti del circondario di<br />

Borgocollefegato risultò essere 6.169 ripartiti secondo il quadro statistico seguente:<br />

1811 - Censimento del circondario di Borgocollefegato - 6.169 abitanti<br />

Borgocollefegato 502 Pescorocchiano 756<br />

Castelmenardo 520 Leofreni 307<br />

Torano 480 Tonnicoda 283<br />

S.<strong>Anatolia</strong> 398 Macchiatimone 652<br />

Corvaro 809 Torre di Taglio 582<br />

Spedino 156 Poggio S.Giovanni 250<br />

Poggiovalle 127 Girgenti 347<br />

Comune di Borgocollefegato 2.992 Comune di Pescorocchiano 3.177<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 52/79


Note<br />

1. Comunità Montana San Francesco nella civiltà medioevale Rieti 1983 pag.200 -Arch. Vesc. di Rieti, visita della Diocesi Reatina del Vescovo<br />

Osio, a.1561, posiz.X, cart.2, n.2, f.81-82-83v.<br />

2. Vincenzo di Flavio La patria di Niccolò V nelle visite pastorali del '500& p.63 - da: Arch. Vesc. Rieti Sacra visita varii anni 1565-1687 c. 3<br />

fondo Visite X, 15 A5651124<br />

3. Vincenzo Di Flavio Antichi ospedali nella valle del Salto pag.424<br />

4. Nota delle chiese sottoposte al Vescovato di Riete estratta dalla visita di Ms. Malvaglia visitat. [...] aplico dell'Umbria nell'anno 1587 esist. nel<br />

Vaticano Archivio Diploma. Tratto da A.V.R. Cart.50 Visita Marini Anno 1783-1788 Visita città Montereale, Scai e Cicolano Vedi Appendice 6<br />

- Cronologia - anno 1587<br />

5. Lugini Memorie pag. 170<br />

6. Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 95<br />

7. Lugini Memorie pag. 313<br />

8. VISITA VICARIATO SUBURBY COLLIS FEGATI: Vedi Appendice 6 - Cronologia - anno 1712 [Estratto da Visita Guinigi - Anno 1712 -<br />

Risposte dei parroci - Archivio Vescovile di Rieti - Cartella 17 - Volume V, pag. 29-30]<br />

9. Gattinara Giuseppe Storia di Tagliacozzo 1894 - pag. 95<br />

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Capitolo VI - La Chiesa<br />

1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. <strong>Anatolia</strong> - 1832: Mons. Ferretti visita di nuovo S. <strong>Anatolia</strong> - 1835: Visita del Vescovo<br />

Filippo de' conti Curoli - 1839: Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli - La chiesa della Madonna Addolorata: errori e curiosità - Chiese sepolcrali<br />

e cimitero di S.Maria<br />

1828: Visita Pastorale del Vescovo Ferretti al villaggio di S. <strong>Anatolia</strong><br />

Nel 1828 il vescovo di Rieti Gabriele Ferretti visitò la nostra regione Cicolana posta all'interno della sua diocesi e, come di consuetudine, scrisse il<br />

resoconto dello stato delle chiese, dei sacerdoti e della popolazione delle varie parrocchie. Attualmente nell'Archivio Vescovile di Rieti, posizionato<br />

nella cartella n. 66 titolata Visita Ferretti Anno 1828, è archiviato il manoscritto originale e, esattamente dalla pag.179 alla 187, vi è il resoconto della<br />

situazione della parrocchia di S. <strong>Anatolia</strong>. Poichè il documento è molto chiaro e scritto in un italiano praticamente perfetto e soprattutto non è noioso<br />

ma è pieno di molte curiosità interessanti, in particolare per la descrizione dettagliatissima della struttura delle chiese, lo riporterò qui di seguito<br />

integralmente e senza inutili commenti:<br />

Prima visita pastorale nel Cicolano fatta nell'anno 1828 da Monsignore Gabriele de' Conti Ferretti<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> - 27 aprile 1828 - Da Torano Mons. Vescovo col suo seguito passò alla terra di S. Anatoglia e venne accolto nella casa del Sig. Abate d.<br />

Pietro Placidi dove si trasferì dopo di aver gravemente orato nella chiesa parrocchiale. La terra di S. Anatoglia dista circa un miglio e 1/2 da Torano.<br />

E' situata sopra una amena collina alle falde degli Appennini non molto lungi dall'agro Torense. E' composta di 443 anime, divise in 64 famiglie circa.<br />

Era feudo di Colonna, ora è unita alla comune di Borgo Colle Fegato.<br />

CHIESA PARROCCHIALE<br />

La C. P. posta dentro il paese è dedicata a S. Niccola. E' di moderna architettura a volta, lunga canne 10 larga canne<br />

4. Ha 10 archi aperti, ed uno chiuso per parte. - In fondo è l'altare Magg. elevato dal resto della chiesa, per mezzo di<br />

due gradini con un ovato al di sopra ove in un quadro è dipinta la Vergine S.ma e San Niccola ed ai lati due statue di<br />

legno dorate ed inverniciate, rappresentanti San Niccola e Santa Anatoglia; sotto le quali sono 2 porte che danno<br />

l'ingresso alla Sagrestia. E' dedicata a S. Niccola di Bari: ed in esso conservasi il S.mo Sagramento.<br />

Il Sagramento aveva un monte frumentario di 15 salme, che ora è soppresso; e possiede alcuni beni dalla cui rendita<br />

l'amministratore deve render conto alla pubblica beneficenza. Con tal vendita si deve mantenere la lampada; si deve<br />

provveder la cena per tutte le Sante Domeniche, e solennità dell'anno, e per soddisfare gli obblighi seguenti: quattro<br />

messe all'anno per Antonio Placidi. Una messa all'anno per Francesco Gentili. Quattro messe all'anno per Antonia Amanzi. - Non si sono soddisfatte;<br />

onde si è risoluto di scrivere al Sig. Intendente affinchè faccia metter questi obblighi nei cosiddetti Stati discussi, onde almeno in avvenire siano<br />

adempiti. In oltre colle medesime vendite si danno 4 carlini a parroco per la messa solenne, ed un tarino a ciascun canonico nel dì del Corpo del<br />

Signore, e a' 4 maggio, giorno dedicato a San Atanasio.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 54/79


Il primo altare a cornu epistule è del S.mo Suffragio. Possedeva quell'altare un piccolo fondo che più non esiste. - Il secondo altare<br />

è dedicato alla Madonna S.ma del Carmine, ed è patronato della famiglia Placidi. Vi è un beneficio semplice patronato della<br />

medesima famiglia, fondato da Antonio, e Camilla Placidi coll'obbligo di 2 messe al mese, e di altre 3 all'anno. Si possiede dal Sig.<br />

don Giuseppe Placidi, il quale ha giurato di averle sempre celebrate. - Il terzo altare è dedicato a S. Luigi Gonzaga; - Il quarto alla<br />

nascita di Maria Santissima, che fu eretto nel 1785 dalla congregazione di alcune zitelle, che tutt'ora ospita, e che ogni anno fa<br />

celebrare la festa. - Il primo altare a cornu evangelii è dedicato alla Madonna del Rosario. Aveva un monte frumentario di venti<br />

salme di grano, che ora è dissipato. Possiede ancora de' beni particolari, colle di cui rendite si devono far celebrare due messe<br />

all'anno per Carlo Amanzi che lasciò alcuni pezzetti di terra ascendenti a coppe 44.<br />

Anche nella prima domenica di ottobre si danno 14 carlini all'abate, ed un tarino a ciascun canonico. L'abate per altro è obbligato<br />

a provvedere la cena per la messa, e per i primi, e secondi vesperi della solennità del rosario; a recitare il rosario in tutte le feste<br />

dell'anno, a celebrarvi in ogni prima domenica del mese, e farvi la processione. - Le due messe per Carlo Amanzi non si sono<br />

celebrate; onde siccome il procuratore del Rosario deve ogni anno render conto alla pubblica beneficienza; si è risoluto di scrivere al Sig. Intendente,<br />

affinchè faccia porre anche questa partita negli Stati discussi. Il Sig. Presidente della Commissione Diocesana ci ha assicurati, che in quest'altare<br />

trovasi eretto sin dal 1640 un beneficio semplice, che si possiede dal Sig. d. Angelo Falcioni. - Il secondo altare è dedicato a S. Gio. Battista. E' senza<br />

pietra sacra. Appartiene alla famiglia Spera. Ha un beneficio semplice patronato col peso di una messa al mese, che si possiede dal Sig. abate d.<br />

Pietro Placidi, il quale ha giurato di aver soddisfatto.<br />

CAPITOLO<br />

Questa chiesa parrocchiale è ancora collegiata; ed il Capitolo è composto dell'abate, e di tre canonici. Devono per antica<br />

consuetudine assistere alle messi solenni, ai Vesperi, ed alle altre funzioni; intervenire alle processioni; ed associare i cadaveri.<br />

Partecipano coll'abate alle decime, ed agli emolumenti de' funerali. Tanto l'abbazia, quanto i canonicati sono patronati della<br />

casa Colonna. Ma il diritto resta in sospeso, perchè non ha ancora questa casa mostrata la fondazione. - La Bolla dell'abbazia<br />

è stata spedita da Mons. Ascenzi al Sig. Pietro Placidi nominato dagli eredi Colonna, e ritrovato idoneo per esame ad formam<br />

concussy ma siccome non è certo il diritto della casa Colonna, la Bolla non fu eseguita. Onde presentemente l'abazia viene<br />

amministrata dal prelodato Sig. d. Pietro Placidi in qualità di economo. Egli è nell'età di circa 46. Il canonico più anziano è il<br />

Sig. d. Arcangelo Amanzi di anni 80. Il secondo can.o è il Sig. d. Giuseppe Placidi di anni 52. Il terzo can.o è il Sig. d. Angelo<br />

Falcioni di anni 54. Non vi sono altri ecclesiastici.<br />

Circa le ore ventitrè Monsig. Vescovo si portò in questa chiesa parrocchiale ove accolto dalle solite cerimonie, fece le consuete<br />

aboluzioni, tenne un lungo eloquente discorso, ed amministrò il sagramento della Cresima a più di 230 persone. Tornato a casa<br />

parlò con molti di vari rilevanti affari; e dopo di aver cenato andò a riposare.<br />

28 Aprile 1828 - Monsignor Vescovo ha questa mattina celebrata la messa nella chiesa di S. Anatoglia, nell'altare dedicato alla Santa. Terminata la<br />

messa ha cresimato altre 15 persone; è tornato a casa ha procurato di conciliare varie discordie, ha dati dei consigli a chi lo ha consultato, ha<br />

paternamente ammoniti coloro che tengono pratiche scandalose.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 55/79


CHIESA DI SANTA ANATOGLIA<br />

Questa stessa mattina si è fatta la visita della chiesa di S. Anatoglia. Rimane in poca distanza fuori del paese. L'antichissima<br />

e Consagrata. Ha di lunghezza circa 11 canne, di larghezza cinque. E' a tre navate con diversi archi; e tutte le navate sono a<br />

volta. Era qui un monastero di Monaci Benedettini; ma presentemente non ne rimangono che pochi indizi. - L'altare<br />

maggiore ha una pittura a fresco, che rappresenta la nascita di nostro Signore con alcuni angeli che tengono in mano gli<br />

emblemi della Passione, l'Annunciazione di Maria S.ma da un lato, dall'altro l'adorazione dei Magi. Questa pittura è stata<br />

recentemente ritoccata, e solennemente deturpata.<br />

In fondo alla navata a destra di chi entra in chiesa, vi è una cappella con altare dedicato alla S.ma Pietà. E' umilissima,<br />

recinta da una balaustra di legno; e vi sono due sepolture. Il quadro rappresenta Gesù già deposto dalla Croce. Aveva<br />

quest'altare un monte frumentario, che a tempo di Mons. Camanda ascendeva a 80 salme di grano. Ora è dissipato. Possiede<br />

però alcuni beni stabili; e deve far celebrare una messa in ogni mercoledì pel G. Fabio Di Domenico. Queste messe si<br />

celebrano dall'abate per due porzioni, per la terza porzione da' canonici. - A cornu evangelii esiste un'altra Cappella in<br />

fondo alla navata. E' dedicata a S. Sebastiano, di cui evvi una statua di legno. La comune celebrava la festa di questo Santo; e dava il conveniente<br />

stipendio all'abate, ed a Canonici. Ora non più. Nell'altare vi è un ciborietto inservibile, e dentro il recinto della cappella, due sepolture.<br />

Nella parete a cornu epistole si vede dipinto un Santo Vescovo, e S. Antonio Abate; sotto le quali figure leggesi: Le redi<br />

de Marchittu lasciò ducati dui per lascite de lu patre es.<br />

A cornu Evangelii è rappresentato il Paradiso, il Purgatorio e l'Inferno. Nell'alto è il Paradiso, nel quale vedesi Gesù<br />

nostro signore cinto da vergini, angeli, arcangeli alcuni dei quali nuotanti fra le nuvole suonano cetre, timpani. Il<br />

Purgatorio è a sinistra. E' diviso come in due piani. Nel più basso vedesi un grande stagno, ove stanno immerse le<br />

anime purganti, alcune delle quali co' piedi in sù. Nel più alto scorgesi come un forte cinto di<br />

mura, dalle quali sono accerchiate alcune anime di cui due sono già uscite, e vi sono<br />

incamminate verso il Paradiso, avendo a tergo un angelo, che è in atto di pregare con una<br />

palma. Mirasi la porta del Purgatorio in mezzo ad un'alta torre; ed innanzi ad essa un sacerdote colle chiavi in atto di<br />

aprirla; e presso al sacerdote una turba di fedeli, che genuflessi stanno pregando. A destra è l'Inferno diviso parimente in due<br />

piani. Nel piano inferiore vedesi il principe de' demoni Satanasso, che a destra, e a sinistra ha i capitani de' peccati capitali. A<br />

destra Rubiconte capit. dell'accidia, Farfarelli cap. dell'invidia, Anciacciu cap. della lussuria; a sinistra Boccarotta capit. de'<br />

lira, Gammarotta cap. del usuria; Calcabricu capit. della gola. Nella parte inferiore mirasi molti dannati tormentati in varie<br />

guise. Sulla porta leggesi: Lassate onne speranza o voi che intrate, e più sotto Ecco il vecchiu Caronte, intu alla riva. Vicino<br />

alla porta dell'inferno la barca di Caronte. Fra l'inferno e il Purgatorio l'arcangelo S. Michele, che co' piedi calpesta il drago<br />

infernale; e colla destra regge una bilancia, in cui pesa le anime. A lui dappresso vedesi una persona sospesa in aria, che<br />

afferra l'anima posta nel disco più vicino all'inferno.<br />

L'altare di S. Sebastiano aveva un monte frumentario di circa dieci salme di grano, che trovasi disperso; e possiede alcune rendite particolari. Nella<br />

navata a cornu evangelii trovasi un altro altare dedicato alla Madonna SS.ma di Loreto. E' senza pietra sagra, e senza ornati; e perciò è interdetto. In<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 56/79


quest'altare è fondato un beneficio semplice di Jus-Patrono della casa Colonna, che presentemente si possiede dal Sig. d. Angelo Falcioni. E' stato<br />

decretato, che il beneficiante dentro tre mesi lo ristauri, lo provvegga di pietra sagra, e di ornati.<br />

Nell'arco medio tra la navata grande, e la navata a cornu epistole, esiste una cappellina, con 4 colonne di stucco, recinta da un bel cancello di ferro<br />

inverniciato, entro la quale esiste un altare dedicato a S. Anatoglia con pittura a fresco rappresentante la Santa. Nella volta della Cappella è dipinto il<br />

Redentore, e ha quattro lati, i 4 Evangelisti. Questa pittura è stata di fresco ritoccata, e deturpata. Vicina alla immagine della Santa leggesi in<br />

caratteri gotici <strong>Anatolia</strong>.<br />

CHIESA SANTA MARIA DEL COLLE<br />

Evvi ancora un'altra chiesa rurale tra Torano e S. Anatoglia, chiamata S. Maria del Colle. E' lunga circa 4 canne, larga 2. Ha un solo altare ed è<br />

siffatto. Il tetto e le mura minacciano rovina. L'ingresso è senza porta; il pavimento fracassato; l'altare semi diruto. In questa chiesa suoleva<br />

processionalmente portarsi, l'abate di S. Anatoglia col popolo due volte all'anno, cioè nel giorno di Pasqua, e nel<br />

giorno della Visitazione della Madonna; e vi cantavano. - Anche il popolo di Torano vi accedeva in processione nel<br />

lunedì di Pasqua. - In questa chiesa trovasi retto un beneficio semplice di Jus-patron. della casa Colonna; che<br />

presentemente si possiede dal Sig. Don. Franco Fabrizi di S. Stefano del Corvaro. E' a carico del beneficiato la<br />

manutenzione di questa chiesa (Vis. del 1777 pg. 436 a Far.). Perciò è stato ordinato sotto pena della sospensione Ipso<br />

facto incurrendo al Sig. d. Franco Fabrizi, di riattare dentro il mese di settembre questa chiesa col suo beneficio.<br />

Questa violenta misura si è resa indispensabile; perchè egli ad onta delle preghiere e delle minacce del Sig. Vicario<br />

Gen. Pacifici, e ad onta delle promesse, che egli stesso ha più volte fatto, ha sempre temporeggiato, ne mai ha posta la<br />

mano all'opera permettendo che la chiesa ogni giorno più deteriorasse. Intanto la chiesa è interdetta.<br />

GROTTA DI SAN LEONARDO<br />

Nel territorio di S. Anatoglia e precisamente nel monte Fiui, vi è una grotta con un altare diruto, dedicato a San<br />

Leonardo. Ha un beneficio semplice padronato della casa Colonna la cui istituzione spettava all'abate di San Paolo di<br />

Roma. Il beneficiato aveva l'obbligo di contribuire al predetto abate 11 once di zafferano all'anno. Oggi dì è<br />

padronato reggio; si possiede dal Sig. Canonico don Giuseppe Placidi e le once di zafferano non più si pagano.<br />

CHIESA DI SAN LORENZO IN CARTORA<br />

Altra chiesa rurale è quella di San Lorenzo in Cartora. E' patronato della casa Colonna. Ha un beneficio semplice<br />

similmente patronato, che rende 4 salme di grano all'anno; e gli è annesso il peso di una messa al mese. Ora questo<br />

beneficio è presso la commissione diocesana. La chiesa è larga c. 3; lunga 5. Ha un solo altare ha 2 sepolture. Tutto in cattivo stato.<br />

CHIESA DI SANT'ATANASIO<br />

Sotto le mura del paese esisteva un'altra chiesa dedicata a S. Atanasio, che da Mons. Vincenzo Ferretti venne interdetta. Ora è affatto rovinata. Vi era<br />

l'obbligo di una messa solenne, e di 3 lette. Quest'obbligo ora appartiene alla compagnia del Sacramento, da cui si fa soddisfare per mezzo<br />

dell'abbate, e dei Canonici.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 57/79


1832 - Mons. Ferretti visita di nuovo S. <strong>Anatolia</strong><br />

Il 29 giugno del 1832 il vescovo di Rieti monsignor Gabriele Ferretti, dopo aver concluso la sua visita a Torano, partì su un cavallo alla volta di<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> dove vi giunse alle ore 13.00 accolto dal popolo e dal clero col suono dei sacri bronzi e collo sparo dei fucili. Sant'<strong>Anatolia</strong> era divenuta<br />

in quel tempo uno dei vicariati principali del Cicolano che all'epoca, oltre a S.<strong>Anatolia</strong>, erano Petrella, Baccareccia e Marmosedio. Nel Vicariato<br />

Foraneo di Sant'<strong>Anatolia</strong> erano comprese le parrocchie dei seguenti villaggi: S. <strong>Anatolia</strong>, residenza del Vicario Foraneo, Spedino, Corvaro, S. Stefano<br />

del Corvaro, Borgo Colle Fegato, Collefegato (che non era una parrocchia), Castel Menardo (che invece aveva due parrocchie), Colle Maggiore,<br />

Collorso, Ville Collefegato, Poggio di Valle, Grotte di Torano e Torano. Essa faceva parte del Comune di Borgocollefegato nel Regno di Napoli.<br />

A Sant'<strong>Anatolia</strong> la casa parrocchiale non era mai esistita, essendo stati i parroci sempre nativi del luogo, e quindi il vescovo prese ristoro e si trattenne<br />

nel palazzo dei signori Placidi alla quale famiglia apparteneva il Vicario Foraneo nonchè Abate e parroco del paese don Pietro. Lo stesso giorno celebrò<br />

la messa alle Ville di Collefegato dove cresimò 32 fanciulli; in seguito rientrò in paese e dopo aver visitato le varie chiese impartì la benedizione colla<br />

sacra pisside. In quel tempo la chiesa principale era quella di San Nicola e dentro il suo recinto parrocchiale vi erano altri quattro luoghi di culto e cioè:<br />

il Santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong>, la chiesa di S. Maria del Colle, la grotta di S. Leonardo e la chiesa di S. Lorenzo in Cartora.<br />

Nella parrocchia di S. <strong>Anatolia</strong>, Vicariato principale dei paesi dei <strong>dintorni</strong>, oltre a don Pietro Placidi abate curato di 50 anni, vi erano altri due sacerdoti:<br />

don Giuseppe Placidi canonico di 55 anni e don Angelo Falcioni canonico di 56 anni; tutti e tre i sacerdoti erano nativi del luogo. Il vescovo Ferretti in<br />

questo modo descriveva i tre sacerdoti di Sant'<strong>Anatolia</strong>:<br />

- don Pietro Placidi abate curato di S. Anatoglia; è un sacerdote di media scienza, ma attento ai suoi doveri ed, al pari, di una condotta irreprensibile;<br />

- don Giuseppe Placidi canonico, così detto, di S. Anatoglia; è un sacerdote che fa gli affari di sua casa e poco vale nel ministerio ecclesiastico; frasi<br />

ricorse si ebbero contro di esso in materia morale, ma ora sembra cambiato; - don Angelo Falcioni canonico, così detto, di S. Anatoglia; è un<br />

sacerdote di qualche talento, ma di poco studio; anch'esso è stato accusato in passato in materia morale; ora non si hanno reclami.<br />

1835 - Visita del Vescovo Filippo de' conti Curoli<br />

Il 7 luglio del 1835 intorno alla mezzanotte, allo scampanare dei sacri bronzi e al frastuono di 150 botti di mortali commissionati dal parroco don<br />

Pietro, giunse a Sant'<strong>Anatolia</strong> su un cavallo e con gran seguito il nuovo vescovo di Rieti monsignor Filippo della famiglia dei conti Curoli.<br />

Egli prese alloggio nel palazzo della famiglia Placidi ove pernottò anche la notte seguente. La mattina dell'8 luglio celebrò la santa messa nella<br />

parrocchia di S. Nicola assistito dal clero di S.<strong>Anatolia</strong> e dal suo seguito e amministrò il sacramento della Cresima a 15 fanciulli tutti diocesani. In<br />

seguito visitò il Santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong>, la sepolcrale, dove, dopo la predica, benedì il popolo del paese.<br />

Si dispiacque il vescovo di una pratica scandalosa che c'era da alcuni anni fra una certa Irene Pozzi, moglie di Marco Fracassi, e il vedovo Nicola<br />

Amanzi. Per riparare a questo scandalo il suo segretario, vicario Carlo Pacifici, spedì la seguente lettera di lamentela al sottintendente di<br />

Borgocollefegato:<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 58/79


Al Sott'Intendente, lì 8 luglio 1835. - Signore, è in questo paese una prattica scandalosa ed inveterata tra il vedovo Nicola Amanzi, ed Irene Moglie di<br />

Marco Fracassi. Questo infelice invano si è adoperato per richiamare la moglie al suo dovere, e finalmente per quieto vivere, ha dovuto abbandonare<br />

la propria casa, e mettersi a servire in qualità di garzone in Castelmenardo. Li due scandalosi protervi hanno amareggiato il cuore di questo mio<br />

monsignore vescovo di Rieti, anche perchè li medesimi da cinque anni in qua sono lontani dai sacramenti, ed io ne fò rapporto perciò a lei<br />

Illustrissimo Sott'Intendente, perchè si compiaccia di adottare contro di essi le misure le più forti ed energiche in linea di pulizia. - f.to Carlo Pacifici<br />

La chiesa di Santa Maria del Colle andava sempre più degradandosi e già nel 1828 il vescovo Ferretti, dopo averla interdetta, aveva ordinato<br />

all'arciprete don Franco Fabrizi di Santo Stefano del Corvaro, che aveva il dovere della manutenzione, di restaurarla per riadattarla agli scopi<br />

ecclesiastici; nel 1835 i restauri ordinati erano stati eseguiti solo parzialmente e per questo motivo il vicario Carlo Pacifici spedì la seguente lettera<br />

ingiuntiva a don Franco ordinandogli di completarli:<br />

Curia Vescovile di Rieti in Regno - Borgo Collefegato, 10 luglio 1835 - S. <strong>Anatolia</strong>, beneficio di S. Maria del Colle ritenuto da don Franco Fabrizi.-<br />

Signor Arciprete, con decreto del 25 agosto 1828 ella fu precettata a restaurare la chiesa di S. Maria del Colle titolare del beneficio, che ella possiede.<br />

I restauri è vero che sono stati fatti da lei, ma è vero ancora, che i restauri medesimi non sono finiti, e che manca il paracielo nell'altare, che deve<br />

restaurarsi la statua della Madonna SS. ma, e che deve finalmente provvedersi l'altare di sei candelieri almeno, di Croce, di vasetti, di fiori e di<br />

tovaglie. Le fu ingiunto di più di restaurare la chiesa di S. Croce, dove ella ha pure un beneficio semplice. Ma anche in questa chiesa manca tuttavia il<br />

paracielo sopra l'altare, e lo stesso altare ha bisogno di essere provveduto come quello di S. M. del Colle, di candelieri, Croce, vasetti, fiori e tovaglie.<br />

Pel compimento finale di tutti i restauri dell'una, e dell'altra chiesa, e per la provvista di tutti gli oggetti espressi di sopra, io le do tempo sino a<br />

maggio venturo, scorso il quale ella verrà immediatamente sospeso se non avrà ubbidito. Carlo Pacifici Vic. St.e. Al Sig.r Arciprete Fabrizi (S.to<br />

Stefano).<br />

Il sacerdote don Franco Fabrizi non si scompose, ma rispose alla lettera nel seguente modo:<br />

Borgo Collefegato 10 luglio 1835. - Monsignor Vicario Illustrissimo, oggi predetto ho ricevuti i suoi ordini in quanto debbo adempiere per la chiesa di<br />

S. Maria del Colle nel distretto di S. Anatoglia, e di S. Croce di Corvaro. Ubbidisco a tutto ciò che mi prescrive, e spero eseguirlo prima del tempo<br />

stabilito tanto per i miei doveri, quanto per ubbidire cecamente ai suoi ordini. E nell'atto che le recuso la vocazione della sua stimatissima passo a<br />

baciarle le sue mani e sono al Sig. Vicario Illustrissimo di Rieti in Regno. - f.to Franco Arciprete Fabrizi.<br />

1839 - Seconda Visita del Vescovo Filippo Curoli<br />

Nell'anno 1839 il vescovo Filippo Curoli fece una seconda visita pastorale nella sua diocesi e, il 19 luglio proseguendo il viaggio, si volse verso S.<br />

<strong>Anatolia</strong>; ivi vi giunse al tramontar del sole. La prima chiesa che egli visitò fu quella di S. Maria del Colle, situata sulla strada che viene da Torano, per<br />

la quale, siccome don Franco Fabrizi non aveva eseguito praticamente quasi nessuno dei lavori prescritti, furono emessi i decreti che qui sotto riporto:<br />

Che fornisca l'altare dell'occorrente per la celebrazione dei divini misterji; che formasse un armadio, che gli arredi sacri, e per potersi vestire il<br />

sacerdote celebrante, e si provvedino i medesimi sacri arredi. Che alla fenestra a cornu epistole si mettesse un'impannata almeno, che si eseguisse<br />

tutto ciò entro due mesi, ed il Vicario Foraneo Placidi ne riferisse l'esito.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 59/79


La sera, il vescovo con la sua comitiva, fu accolto in casa dei Sigg. Placidi ove alloggiò e terminata la cena, dopo aver pregato nella cappella della<br />

famiglia Placidi, andò a dormire. La mattina il vescovo visitò la chiesa parrocchiale di San Nicola, da dove benedì il popolo di Sant'<strong>Anatolia</strong>; in seguito<br />

per questa chiesa emanò i seguenti decreti:<br />

Si riatti la fronte dell'altare di S. Nicola e del Carmine: si pongano le nuove stampe alle carta-glorie dell'altare di S.Luigi e del SS.mo Rosario: si<br />

mettano ai due confessionali i casi riservati in diocesi stampati, e il caso manoscritto contra alienantes non retinentes, etc. etc.<br />

In seguito il vescovo, avendo parlato con l'abate Placidi e avendo saputo che c'erano dei problemi in parrocchia per la distribuzione delle elemosine dei<br />

fedeli e dei pellegrini che, soprattutto durante la festa di S.<strong>Anatolia</strong> il 9 e 10 luglio, erano considerevoli, emise il seguente decreto:<br />

Decreto emesso per la regolare distribuzione delle elemosine di messe offerte nella chiesa di S. <strong>Anatolia</strong><br />

1. A cura del rettore della chiesa si aprirà un registro di tutte le elemosine che verranno offerte tanto nella vigilia che cade ai 9 di luglio quanto<br />

nella festa della Santa che ricorre nel giorno 10 dello stesso mese.<br />

2. Si provvederà del pari un libro in cui si noteranno le distribuzioni che si faranno di elemosine ai sacerdoti, coll'indicazione del giorno, mese, e<br />

del nome del sacerdote a cui si faranno, e si ritirerà dal medesimo la corrispondente dichiarazione che verrà inserita nel libro.<br />

3. Tanto il registro quanto il libro suddetti si presenteranno in atto di S. Visita a noi e ai nostri successori per apporvi i convenienti decreti.<br />

4. In conseguenza sarà ufficio dei sacerdoti confessori di dirigere in quei ed in ogni altro tempo all'ecclesiastico destinato a registrare tutte le<br />

elemosine i penitenti, che intendono di darle per le messe, e di consegnare al suddetto quelle che saranno loro offerte dai fedeli che non<br />

amassero presentarsi alla sagrestia, sotto pena della sospensione a Divinis da incorrersi ipso facto in caso di contravenzione.<br />

5. Viene espressamente proibito di distribuire siffatte limosine ai sacerdoti del clero secolare o regolare i quali non appartengano alla nostra<br />

diocesi.<br />

6. Il presente decreto verrà dal rettore communicato all'uopo ad ogni sacerdote, e si terrà affisso alla porta della sagrestia nella chiesa di S.<br />

<strong>Anatolia</strong>, affinchè ogni ecclesiastico ne abbia la piena conoscenza sotto la responsabilità del Rettore suddetto.<br />

S.<strong>Anatolia</strong> in visita lì 20 luglio 1839.<br />

Il 20 luglio 1839, dopo pranzo, il vescovo andò a far visita alla famiglia dei Baroni Masciarelli a Magliano de' Marsi con l'obbiettivo di andare poi a<br />

vedere il lago Fucino ed, in particolare, l'emissario eseguito dagli imperatori romani e ripurgato in quel tempo dai re di Napoli. La mattina del 21 luglio<br />

il vescovo andò a far visita a questo lago e poi a pranzo andò a mangiare da don Giovanni Battista Masciarelli a Paterno; la sera tornò a dormire a<br />

Magliano. Il 22 luglio, dopo aver celebrato la messa nell'oratorio privato dei Sigg. Masciarelli, tornò a Sant'<strong>Anatolia</strong> dove, dopo aver cresimato tre<br />

bambini, si trattenne tutto il resto della giornata ad ascoltare sia i sacerdoti che tutte le persone che volevano parlare con lui, soprattutto per cercare di<br />

comprendere lo stato morale della popolazione del villaggio; la notte dormì ancora in casa dei Sigg. Placidi e la mattina del 23 luglio, dopo aver<br />

celebrato la messa, si diresse verso Spedino.<br />

In seguito, dopo aver visitato Spedino, e prima di deviare per Corvaro, passò a far visita al villaggio semi abbandonato di <strong>Cartore</strong> ed in particolare alla<br />

chiesa di San Lorenzo e alla chiesa di S. Maria di Brecciasecca:<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 60/79


Visita di San Lorenzo in <strong>Cartore</strong><br />

Fu visitata la chiesa di San Lorenzo in Cartora la quale trovasi a poca distanza da S. <strong>Anatolia</strong> da chi parte da questo<br />

paese e va al Corvaro per la strada della valle lasciando a manca Spedino. Com'è tradizione in questo luogo era un<br />

monastero di monaci: i pochi beni rimasti sono stati riuniti alla chiesa parrocchiale di S. <strong>Anatolia</strong>. Dicesi inoltre<br />

essere qui stata l'antica città di Tora ove conseguì il martirio S. <strong>Anatolia</strong>. A poca distanza da questa chiesa si<br />

osservano alcuni ruderi con un fonte ove i fedeli sono chiamati per devozione onde guarire dai loro malori: essendovi<br />

forse anticamente qualche chiesa evvi un benefizio sotto il nome di S. Costanzo, ora riunito alla parrocchia di<br />

S.<strong>Anatolia</strong>. Decreti: nella visita della chiesa di San Lorenzo in Cartora si decretò che: Si ponesse sull'altare un quadro<br />

in tela essendo espressamente proibito dai sacri riti di porre alla pubblica venerazione immagini fragili come sono quelle di carta.<br />

S. Maria di Brecciasecca<br />

A poca distanza da S. Lorenzo in Cartora vi è l'altra piccola chiesa rurale di S. Maria di Brecciasecca: per questa si decretò che < Si facesse la chiave<br />

alla porta > essendosi asserito non essersi mai detto messa in tale chiesa, non essendovi altare con pietra consacrata, ma una semplice mensa non si è<br />

dettagliato il bisogno che avrebbe al fine di potervi celebrare i sacri misterj.<br />

La chiesa della Madonna Addolorata - Errori e curiosità<br />

(Ecclesiae Beatae Mariae Virginis Dolorosae)<br />

Nel 1968 Vincenzo Saletta a pag. 114 del suo libro su S. <strong>Anatolia</strong> scriveva:<br />

... il piccolo colle, denominato Noce di Cristo, su cui sorge l'abitato di S. <strong>Anatolia</strong> con la chiesa parrocchiale, dove si custodisce<br />

una statua di S.<strong>Anatolia</strong> e presso la quale occhieggiano i ruderi della distrutta chiesa dell'Addolorata (3) ... - nota (3): Su questa<br />

chiesa, un tempo forse utilizzata come cimitero per i membri di qualche confraternita religiosa o quando la popolazione era tutta<br />

compresa entro le mura e di cui restano quattro sepolcreti a ridosso delle mura perimetrali, ci sarebbe da spendere più di una<br />

semplice nota. L'esame del portale superstite ci dice che essa venne eretta l'anno 1507.<br />

Andrea R. Staffa nel suo capitolo La topografia pievana del Cicolano nei secoli XI-XIV inserito in San Francesco nella civiltà medioevale convegno di<br />

studi Borgorose 18-19 dicembre 1982 a pag.200 scriveva: ... Da S. Martino di Torano, situata fuori del borgo medievale, dipendevano nel 1398 le<br />

chiese di S. Maria di Torano, oggi Madonna Addolorata, antichissima in quanto attestata in un documento dell'VIII secolo, controllata dall'abbazia di<br />

Farfa almeno sino all'XI secolo (Regesto Farfense doc.1303), e risalente nel suo attuale impianto al XIV secolo ...<br />

Sempre Andrea R. Staffa nel sua monografia L'assetto territoriale della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il medioevo edito nella rivista Xenia<br />

semestrale d'antichità (1 semestre 1987) vol.13 pag. 74 scriveva: ... n.112: Chiesa di S. Maria de Torano, menzionata in una memoria dell'XI secolo di<br />

fatti riferiti all'VIII, oggi detta Madonna Addolorata, è completamente in rovina, e presenta una facciata a coronamento rettilineo riferibile al XIV<br />

secolo ed un portale databile agli inizi del Cinquecento. E' anch'essa ormai del tutto isolata nella campagna, mentre in passato (ben prima del XVI<br />

secolo) doveva essere collegata ad un insediamento aperto poi abbandonato.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 61/79


Chi conosce il villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong> non può non aver notato questa chiesetta e non può non esserne rimasto affascinato dato<br />

che essa si trova completamente isolata e sulla cima di una collina; la chiesa è a tutt'oggi un rudere senza pavimento, senza<br />

finestre e senza tetto. A prima vista, come asserì il Saletta, essa sembrava risalire ai primi del '500, se non prima, ma in seguito<br />

l'archeologo Andrea Staffa, sulla base di documenti farfensi, determinò l'origine della chiesetta al VII secolo d.C. e, in base ad<br />

indagini eseguite sul luogo, collocò la struttura attuale al secolo XIV. In effetti in vari documenti dei secoli VII e XI viene<br />

nominata la chiesa di S. Maria de Turano, controllata dall'abbazia farfense, e poi, nel 1398, viene nominata più di una chiesa<br />

chiamata S. Maria situata nella nostra zona; in seguito non venne più nominata tale chiesa e questo ci farebbe supporre che essa<br />

già aveva perso importanza ed era ridotta a rudere.<br />

Il Saletta non era un'archivista e difatti chi legge attentamente il suo libro intuisce facilmente che egli prese le informazioni<br />

esclusivamente per mezzo di ricerche bibliografiche; Staffa invece è un bravo archivista ed un esperto archeologo e questo si<br />

desume con grande evidenza dai suoi scritti. Quasi sempre gli storici del reatino, che attingono informazioni dall'archivio della<br />

diocesi di Rieti, preferiscono cominciare le proprie ricerche dai documenti più antichi e, trovandone moltissimi e a volte inediti, vi si ritrovano spesso<br />

invischiati e tralasciano completamente i documenti più moderni.<br />

L'archivio della diocesi di Rieti contiene centinaia di documenti in cui viene menzionato il villaggio o la chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong>. Dal 1560 ca. vi sono<br />

poi le visite pastorali che consistono in un centinaio di incartamenti divisi per anno, ognuno dei quali contiene decine di pagine su S.<strong>Anatolia</strong> e paesi<br />

adiacenti. Non essendo io un bravo latinista fui costretto a cominciare le mie ricerche all'inverso e cioè iniziando dai documenti più moderni perchè<br />

scritti in italiano ed in una calligrafia più comprensibile e poi pian piano scendendo ai documenti più antichi e più difficili da tradurre; ed ecco la<br />

sorpresa: il 19 luglio del 1839 monsignor Filippo de' conti Curoli nella visita effettuata nella diocesi di Rieti, relazionando sul villaggio di S.<strong>Anatolia</strong>,<br />

non fa alcuna menzione della chiesa della Madonna Addolorata.<br />

Il 21 maggio del 1851 monsignor Gaetano Carletti, vescovo di Rieti, in visita al nostro villaggio, scriveva: ... Chiesa dell'Addolorata. A devozione del<br />

popolo, su di un colle di fronte al paese, per una grazia di Maria Vergine, si diè principio vari anni dietro ad una chiesa. Mancarono i mezzi nel<br />

meglio, e tuttora resta incompleta. Si invitò il popolo al proseguimento, e soprattutto ad assegnare una dote al mantenimento, onde non vederla<br />

rovinare nel nascere ...<br />

Dopo 23 anni, il 16 giugno del 1874, il vescovo Egidio Mauri scriveva:...Chiesa dell'Addolorata. Si trovò tuttora incompleta la fabbrica di essa. Non<br />

se ne può sperare la continuazione. Si vuole rendere sepolcrale invece del Santuario. Non vi si è mai funzionato nè<br />

celebrato ...<br />

Il 22 agosto 1897 monsignor Bonaventura Quintarelli ripeteva: ... Chiesa della SS. Addolorata. Trovasi a sud-ovest del<br />

paese alla distanza di 7 od 8 cento metri. Fu fabbricata da circa 60 anni; e fino a pochi anni or sono, ossia fino a che<br />

fu costruito il camposanto fu la sepolcrale della parrocchia. Non ha, ne ebbe mai altro che mura e tetto. Sta in cattivo<br />

stato, massime nel tetto: può ritenersi che tra non molti anni andrà in rovina; non se ne ebbe cura per lo passato, e<br />

così sarà per l'avvenire, atteso che il popolo è tutto impegnato nel compiere, ornare, e provvedere la chiesa di S.<br />

<strong>Anatolia</strong> ...<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 62/79


La chiesa della Madonna Addolorata, senza il tetto, il pavimento e le finestre, ha sempre avuto l'aspetto di un rudere antichissimo e questo ha ingannato<br />

sia storici che archeologi.<br />

La popolazione di S. <strong>Anatolia</strong> nelle sue tradizioni non ricorda il periodo della sua<br />

costruzione ed in genere la chiesa, probabilmente per influenza del libro del Saletta,<br />

viene ricordata dagli abitanti come antichissima. Fu invece fra il 1840 ed il 1850 che,<br />

per una grazia di Maria S.S. avvenuta su quella collina adiacente al paese, il popolo di<br />

S. <strong>Anatolia</strong> decise di costruire questa chiesa. Dapprima furono scavate le fondamenta e<br />

le stanze sotterranee per le pile mortuarie, poi fu tirato il piano al di sopra della stanza<br />

mortuaria e furono alzate le mura. Infine fu costruito il tetto e ci si riprometteva di<br />

mettere al più presto le finestre e di costruire l'altare. Per quanto riguarda il portale esso<br />

probabilmente fu decorato con materiali di riutilizzo tratti dalle rovine della chiesetta di<br />

S. Maria del Colle ed infatti alcuni caratteri impressi sulla pietra orizzontale del portale<br />

sembrano richiamare la data 1518.<br />

Pietra orizzontale del portale - E' plausibile che nei 4 segni posti<br />

sulla sinistra e sulla destra si possa riconoscere la data del 1518<br />

Intorno al 1860 vennero iniziati i lavori per la ricostruzione e l'ampliamento del<br />

Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>. La popolazione, non avendo a disposizione energia sufficiente<br />

alla costruzione di due chiese, preferì tralasciare la "Madonna Addolorata" e finanziare<br />

i lavori per il Santuario e fu per questo motivo che la chiesa della Madonna Addolorata<br />

venne lasciata incompleta. Per circa un decennio, dal 20 maggio 1877 al 12 gennaio<br />

1888, essa divenne sepolcrale ma in seguito, dal 15 febbraio 1888, cioè da quando<br />

venne finito di costruire il cimitero di S.Maria nella valle verso Torano, venne<br />

definitivamente abbandonata. Crollò il tetto, la chiesa si riempì vegetazione e prese<br />

lentamente l'aspetto di rudere dall'apparenza antichissimo. Sul finire del 2009, la chiesa<br />

è stata finalmente restaurata e, grazie all'intervento del patrimonio Pubblico, ha<br />

finalmente il tetto, la porta e le finestre.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 63/79<br />

La chiesa dopo il restauro - Fotografia del 29.11.2009


Chiese sepolcrali e cimitero di S.Maria<br />

Prima del 1877 tutti gli abitanti del paese venivano sepolti regolarmente presso la chiesa sepolcrale di S.<strong>Anatolia</strong> che si prestava meglio in quanto si<br />

trovava nella valle e distante dal centro abitato. Le case erano allora situate sulla collina intorno alla chiesa parrocchiale di San Nicola e al palazzo<br />

feudale. La chiesa di San Nicola, proprio per lo stesso motivo cioè la vicinanza delle case, non fù mai sepolcrale. In alcuni casi molto rari, coloro che<br />

morivano a <strong>Cartore</strong> venivano sepolti presso la chiesetta di S.Lorenzo. Il documento che ci consente con maggior chiarezza di capire quali siano le<br />

evoluzioni ed i cambiamenti riguardanti i luoghi di sepoltura lo troviamo nel Libro dei Morti anno 1875-1908 conservato nell'archivio della parrocchia<br />

di San Nicola:<br />

Parrocchia: S. Nicola di Bari - in S.Anatola<br />

Libro dei Morti - anno: 1875 – 1908<br />

Acta Defunctorum<br />

Ecclesiae Parochialis S.ae <strong>Anatolia</strong>e<br />

ab anno 1875<br />

La prima persona che appare nel registro è Francesco Fracassi morto il 2 gennaio del<br />

1875 di anni 85 vedovo di Bernardina Fracassi (Libro dei Morti n. 1). L'ultima è Giovanni<br />

Sgrilletti morto il 7 dicembre del 1908 di anni 56 figlio di Vincenzo e Giuditta Peduzzi (Libro dei Morti n. 717). In totale, nei 34 anni riportati nel<br />

registro, sono registrati 717 morti. Curioso è che per tutta la durata dei 34 anni il parroco che registrerà gli atti sarà sempre lo stesso: Giovanni Battista<br />

Pani che si firma Joanny Baptista Panei Abbas Parochus. Tra i personaggi riportati in questo registro, ci piace ricordare il Reverendo Abate Don<br />

Costantino Placidi morto il 18 luglio del 1888 e sepolto nel Cimitero di S.Maria (Libro dei Morti n. 283).<br />

Nel registro rileviamo che l'ultima persona sepolta nella chiesa di S.<strong>Anatolia</strong> in maniera regolare e cioè prima che iniziassero i lavori di restauro, fu<br />

Giuseppe Stornelli figlio di Domenico e Bernardina Peduzzi, morto all'età di otto anni il 10 di aprile del 1877 (Libro dei Morti n. 46). In seguito, la<br />

chiesa venne completamente restaurata ed i lavori durarono quasi dieci anni.<br />

A lavori ultimati ci fu solamente un caso in cui, nonostante la sepolcrale fosse ormai divenuta la Madonna Addolorata, venne sepolta un'altra persona<br />

nella chiesa di S.<strong>Anatolia</strong>. Fù Antonio Placidi morto il 6 dicembre del 1884, figlio di Nicodemo e Maria Giovanna Argantini, morto all'età di 66 anni. A<br />

commemorazione di questo personaggio importante di Sant'<strong>Anatolia</strong> che contribuì al restauro della chiesa, fu posta una lapide ma, chi la scolpì fece un<br />

piccolo errore ed invece di mettere la data di dicembre scolpì "VI SETTEMBRE MDCCCLXXXIV". (Libro dei Morti n. 207).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 64/79


La prima persona che venne sepolta nella chiesa della Madonna Addolorata (nei<br />

registri: Ecclesia rurali o sepolcrali Beatae Mariae Virginis Dolorosae) fu Gabriele<br />

Piccinelli figlio di Pietro e Vittoria Rubeis, morto all'età di 92 anni il 20 maggio del<br />

1877 (Libro dei Morti n. 47). L'ultima fu Rufina Scafati in Peduzzi, figlia di Sebastiano<br />

e <strong>Anatolia</strong> Scafati, morta all'età di 70 anni il 12 gennaio del 1888 (Libro dei Morti n.<br />

274). Dal 1877 al 1888 vennero sepolte presso la stessa chiesa 217 persone.<br />

In quell'anno, a norma delle nuove leggi, leggi in realtà napoleoniche ma mai attuate,<br />

vennero ultimati i lavori per la costruzione di un cimitero condiviso tra la popolazione<br />

di S.<strong>Anatolia</strong> e quella di Torano. Il cimitero venne posto a metà strada tra i due paesi e<br />

venne chiamato cimitero di S. Maria (nei registri Coemeterio di S.Mariae).<br />

La prima persona sepolta nel cimitero di S.Maria fu Pietro Vincenzo Falcioni, figlio di<br />

Nicola e Lucia Rosati, morto all'età di 86 anni il 15 febbraio del 1888 (Libro dei Morti<br />

n. 275).<br />

Come abbiamo detto sopra anche la chiesa di San Lorenzo in <strong>Cartore</strong> era sepolcrale ma,<br />

in quei 34 anni riportati, vi furono sepolte solamente 8 persone che qui di seguito elenco:<br />

1. 28 maggio del 1876: Angela Boccia, di Civita d'Antino diocesi di Sora, moglie di Giovanni Panella, di anni 70;<br />

2. 3 ottobre del 1880: Nicola Lanciotti vedovo di Caterina Luce, di anni 84;<br />

3. 10 gennaio 1883: Pasquale Panella di anni nove figlio di Luigi ed Angela Di Cesare;<br />

4. 11 gennaio 1883: Lucio Panella di anni due figlio di Luigi ed Angela Di Cesare;<br />

5. 13 marzo 1883: Luigi Luce figlio di Angelo e Angela Amanzi di cinque anni;<br />

6. 20 agosto 1887: Pasquale Panella di anni uno, figlio di Luigi ed Angela Di Cesare<br />

7. 20 agosto 1887: <strong>Anatolia</strong> Lanciotti di 3 anni, figlia di Bernardino e Rosa Argantini;<br />

8. 1 gennaio 1888, Luigi Panella di 50 anni di Civita d'Antino diocesi di Sora, figlio di Giovanni e Angela Boccia, marito di Angela Di Cesare.<br />

Per completare ciò che si rileva dal Libro dei Morti (anni 1875 -1908) riportiamo di seguito un elenco di persone native di Sant'<strong>Anatolia</strong> ma sepolte in<br />

luoghi diversi:<br />

1. Ubaldo Lanciotti di 55 anni, figlio di Vincenzo e Francesca, morto il 12 novembre 1879 presso "la maddalena" nella casa di Vincenzo<br />

Majanelli, viene sepolto nel cimitero di "Malleani" presso S.Martino.<br />

2. Giuseppe Panei, figlio di Antonio e Maria Blasetti, morto il 15 novembre 1880 nella casa materna in Massa d'Albe all'età di 4 anni e sette mesi,<br />

viene sepolto a Massa d'Albe.<br />

3. Domenico Antonio Peduzzi di 23 anni, figlio di Lorenzo e Caterina Amanzi, morto il 27 dicembre 1883 nell'ospedale militare di Mantova e ivi<br />

sepolto.<br />

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Capitolo VII - Briganti e viaggiatori<br />

16 Agosto 1843: Edward Lear - Popolazione nel 1851 - Il brigantaggio - La banda di <strong>Cartore</strong> - I briganti di S. <strong>Anatolia</strong><br />

16 Agosto 1843 - Edward Lear<br />

Il 16 agosto del 1843 un viaggiatore inglese di nome Edward Lear,<br />

famoso in Abruzzo per le stampe che ha lasciato rappresentanti molti<br />

dei paesi abruzzesidi quel periodo, partì a cavallo da Antrodoco alla<br />

volta di Tagliacozzo e a metà del viaggio, fece tappa a S. <strong>Anatolia</strong> dove<br />

fu accolto dalla famiglia Placidi. Qui di seguito riporterò le memorie di<br />

questo viaggio, scritte di suo pugno, che non mi sento di riassumere<br />

poichè molto leggere, scorrevoli e curiose:<br />

15 Agosto 1843 ... Dopo il pasto di mezzogiorno, che fu abbastanza<br />

allegro, a casa Todeschini, sonno e musica riempirono le ore fino a che<br />

fu tempo di ricominciare a disegnare. L'immobilità di un centro<br />

italiano in queste ore è impressionante. Tre o quattro bambini giocano<br />

con una mansueta pecorella sotto la mia finestra, facendo centinaia di<br />

graziosi gruppi e figure; le due vedove canticchiano debolmente al<br />

suono della chitarra; tutto il resto di Antrodoco sembra sprofondato nel<br />

sonno. Verso sera la magnificenza del passo, che è sopra il paese, è<br />

maggiore; tranne che nelle opere di Tiziano o Giorgione, raramente si<br />

possono vedere tali sfumature di rosso purpureo, azzurro e oro, come<br />

quelle che rivestono queste alte colline in un tramonto italiano.<br />

Decisi di andare l'indomani col seguito dell'Intendente a Tagliacozzo<br />

(sebbene la mia prima intenzione fosse stata di tornare ad Aquila)<br />

poichè pensai che, con questo programma, avrei potuto vedere molto<br />

più persone. Così mi congedai dal barone Caccianini e, dopo aver<br />

pagato per il mio alloggio da Bagnante, mi ritirai a riposare; ma per<br />

metà della nottata fui svegliato ogni quarto d'ora dalla domanda:<br />

Eccellenza, a che ora vuole alzarsi ? di uno scocciatore, un vecchio<br />

domestico del Segretario, le cui ossequiose attenzioni mi avevano<br />

soffocato durante tutto il soggiorno. Permettete! Scusate! Eccellenza! erano continuamente sulla sua bocca; ma non ti rendeva alcun servizio.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 66/79


16 agosto 1843. - Poichè s'era stabilito di partire un'ora prima del sorgere del sole, ci adunammo nel luogo del mercato all'ora fissata; ciononostante,<br />

due ore dopo che il sole s'era levato completamente, non eravamo ancora pronti. Grande era il fracasso nella stretta via dove l'Intendente era<br />

alloggiato: la sistemazione del suo bagaglio, il continuo rabbonire o minacciare muli testardi e cavalli nervosi, la raccolta di tutto il seguito di<br />

domestici di Sua Eccellenza, il caffè tutti insieme all'ultimo momento e gli interminabili addii degli spettatori Antrodochesi.<br />

Quante selle si dovettero poi invertire, ponendole nel giusto verso sulla groppa di chi le portava! Quanta corda fu necessaria per fissare le parti<br />

malferme del bagaglio! E quante volte tutti i cavalli, i muli, gli asini, le valigie, gli staffieri, le guide, gli spettatori furono coinvolti nella più selvaggia<br />

baraonda dall'improvvisa impennata di uno o due quadrupedi imbizzarriti! Questi sono fatti che possono essere capiti solo da chi ha soggiornato in<br />

Italia. Alla fine fummo pronti: il Segretario e il Giudice su muli dall'aspetto molto trasandato; il cuoco e tutti i familiari di sesso maschile, con<br />

l'elaboratissimo accompagnamento di cibo e di utensili, su cavalcature di ogni genere; il Maestro di cavalleria con uno staffiere in sella, che<br />

conduceva il cavallo grigio del Principe Giardinelli, e altri due su piccole bestie tanto brutte quanto indemoniate (senza coda e con occhi un bel po'<br />

fuori dalle orbite), nobilitate col nome di cavallini della Pomerania e riservati a Donna Caterina. Quanto a me, avevo un cavallo nero molto decoroso,<br />

con una sella scomodissima, le cui staffe cedettero nel giro di un quarto d'ora, rotolando senza speranza giù in un burrone. Dietro venivano i<br />

gend'armes con le guide e i muli col bagaglio. Una cavalcata molto pittoresca la nostra, sebbene l'equipaggiamento mancasse di quella necessaria<br />

dignità, che è lecito aspettarsi dal seguito di un governatore.<br />

Procedemmo lentamente a zig-zag, su verso il passo, fino a Rocca di Corno, dove ci fermammo per circa un'ora (ma per quale scopo, non ebbi la più<br />

pallida idea); in seguito, dopo aver proseguito per due o tre miglia sulla via per Aquila, piegammo su una mulattiera che conduceva a destra.<br />

Nell'ultima parte del nostro cammino avevamo variato il lento incedere del nostro viaggio con il trotto o il piccolo galoppo su una buona via maestra;<br />

ma, come cominciammo a scalare un'aspra e ripida montagna, pian piano ci rimettemmo in fila al passo, ad eccezione di quei maledetti cavallini<br />

Pomerani, che erano particolarmente svelti sia nello scalare i sentieri rocciosi che a tirare calci a profusione verso tutti quelli che sorpassavano. Ci<br />

sorbimmo un po' dell'accecante caldura del giorno per conquistare faticosamente questa montagna e, quando ci riuscimmo (ad eccezione di una<br />

fugace apparizione della catena del Gran Sasso, simile ad una muraglia), non ci fu niente che ci ripagasse della nostra sfacchinata: una lunga e<br />

monotona distesa di terreno irregolare, e nessun luogo attraente degno di ricordo. A mezzogiorno ci fermammo per il riposo e il pasto in una tenuta<br />

(cioè riparo per il bestiame) in rovina.<br />

C'è sempre da divertirsi molto in un'eccitante e disordinata spedizione di questo tipo. L'eccellente montone freddo, il pane e gli agli non furono certo<br />

meno buoni per il fatto che li mangiavamo sul piano di un barile e seduti sul tronco di un albero. Il nostro vino, ahimè!, era quell'infame vino cotto,<br />

allo stesso tempo disgustoso e malsano; infatti, per poco che ne bevvi, dal momento che non c'era acqua, la pagai cara con un bel mal di testa.<br />

Ripartimmo nel pomeriggio, mentre la maggior parte della compagnia si lamentava amaramente per la fatica e non partecipava minimamente al mio<br />

entusiasmo per la bellezza delle vedute, che, scendendo, si aprivano su pianure dorate, racchiuse tra meravigliosi boschi di querce, che si stendevano<br />

da ogni lato ai piedi delle magnifiche montagne Marsicane; eravamo infatti entrati nell'antico territorio dei Marsi.<br />

La nostra via si snodava attraverso uno di questi boschi sotto il caratteristico paese di Corbara del Conte; lasciando a distanza, alla nostra destra,<br />

Torano, le cui torri risplendevano al tramontare del sole, ci dirigemmo verso Sant'<strong>Anatolia</strong>, un paesino che si presentava pulito, dove dovevamo<br />

passare la notte. Tutta questa parte degli Abruzzi abbonda di antichissime vestigia, e gli studiosi fissano in queste valli l'ubicazione di molti<br />

insediamenti degli aborigeni d'Italia. Anche la storia dei Sicoli del Martelli dà molte informazioni in merito, se si ha il coraggio di setacciare queste<br />

notizie dai suoi due volumi, pieni di elaborate ricerche di scarsa importanza.<br />

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Parte della compagnia, ed io con essa, cavalcò avanti per annunciare il nostro arrivo e per sollecitare a riceverci gli ospiti che non ci aspettavano;<br />

ma, poichè tutti i Don e le Donne Placidi (le persone più importanti del luogo) erano fuori per una passeggiata, non ottenemmo nulla col nostro<br />

affrettarci, e dovemmo attendere un bel po' in mezzo alla strada. Quanto a me, caddi in un sonno ristoratore; quando mi svegliai, il resto della nostra<br />

carovana, giunto in uno stato di grande spossatezza, era occupata a bere acqua fredda con liquore di anice, servito da una varietà di cortesi<br />

vecchiette, senza scarpe e senza calze.<br />

Subito dopo arrivò la famiglia Placidi: un gruppo molto singolare, composto da una venerabilissima vecchia signora di 98 anni, con i lunghi capelli<br />

bianchi sciolti sulle spalle, e da due figli, entrambi sui settanta e, in apparenza, vecchi come la loro madre, che li chiamava fanciulli miei e figliuolini.<br />

Da questa buona gente fummo accompagnati al Palazzo Placidi, una casa enorme, irregolare e antica; le stanze degli ospiti erano sporche e scure,<br />

piene di vecchi mobili sistemati tutt'intorno alle pareti, divani di damasco, sedie di cuoio e tavole dalle gambe dorate; ma tutto sembrava che non<br />

fosse stato più usato fin dal tempo dei primi re Sicoli, i cui nomi D. F. Martelli cita diligentemente in una lista da Sem in poi. Il vuoto nelle stanze di<br />

questi palazzi, l'assenza di libri, di lavori ad ago, di un qualunque segno di occupazione mentale, così costante nelle nostre case, lo si nota sempre e<br />

suscita nel nostro animo inglese un'impressione di freddo disagio, tutt'altro che piacevole.<br />

S.<strong>Anatolia</strong> nel 1894 - dettaglio - Fotografia di Albert Schaff - L'originale è nella casa della famiglia Placidi<br />

Niente, tuttavia, avrebbe potuto essere più accogliente e ben fornito della tavola da pranzo, che con piacere raggiungemmo. Donna Serafina de'<br />

Placidi era una meravigliosa vecchia signora, in pieno possesso di tutte le sue facoltà, e, mentre conversava, lavorava alacremente a maglia. Una<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 68/79


camera dall'aspetto disordinato mi fu mostrata per la notte; conteneva un largo letto con velluto cremisi tutt'intorno, tanto da poter bastare per tre<br />

letti di quel genere; preferii riposarvi sopra, avvolto nel mio mantello, visto che la sua comodità e il suo decoro erano del tutto esteriori.<br />

17 agosto 1843. - Ci alzammo presto. Prima che fosse giorno riprendemmo la nostra via senza caffè, circostanza insolita in Italia, dove, benchè<br />

nessuno mangi prima del giorno inoltrato, la mattutina tazza di caffè viene raramente dimenticata. Dopo aver visitato la cappella di Sant'<strong>Anatolia</strong>, la<br />

nostra cavalcata si trascinò per una o due ore in mezzo alla piacevole frescura dei boschi. Superato il paese di San Donato, scendemmo verso<br />

Tagliacozzo ...<br />

[estratto da: Edward Lear - Viaggio nei tre Abruzzi - pag. 67-70 - Biblioteca comunale di Rieti]<br />

Popolazione nel 1851<br />

Nel censimento del Regno di Napoli fatto il 1 gennaio del 1851, la popolazione nella Provincia dell'Abruzzo Ulteriore Secondo, della quale capoluogo<br />

era L'Aquila, era di 329.131 abitanti. La media rispetto al territorio era di 273 abitanti per miglio quadrato. La provincia era suddivisa in quattro<br />

distretti e cioè il distretto dell'Aquila, di Sulmona, di Avezzano e di Città Ducale. I distretti a loro volta erano suddivisi in 32 circondarii e questi in 124<br />

comuni centrali e 141 comuni riuniti. A loro volta i comuni erano divisi in villaggi. Il Circondario di Borgocollefegato, facente parte del distretto di<br />

Città Ducale, raccoglieva nella propria giurisdizione sia il proprio comune che quello di Pescorocchiano. Le frazioni facenti parte del Comune di<br />

Borgocollefegato erano: Borgocollefegato, Castelmenardo, Torano, S.<strong>Anatolia</strong>, Corvaro, Spedino e Poggio di valle. Quelle facenti parte del Comune di<br />

Pescorocchiano erano: Pescorocchiano, Leofreni, Tonnicoda, Torre di Taglio, Poggio S.Giovanni, Girgenti, Macchiatimone e Roccaberardi. L'intero<br />

distretto di Città Ducale era popolato da 56.680 abitanti. Infine, la popolazione del Circondario di Borgocollefegato, che rientravano nella giurisdizione<br />

religiosa della Diocesi di Rieti (Stato Pontificio), era ripartita secondo la seguente tabella:<br />

1 gennaio 1851 - Censimento del circondario di Borgocollefegato - 8.285 abitanti<br />

Borgocollefegato 858 Pescorocchiano 1066<br />

Castelmenardo 732 Leofreni 372<br />

Torano 599 Tonnicoda 388<br />

S.<strong>Anatolia</strong> 572 Torre di Taglio 728<br />

Corvaro 1171 Poggio S.Giovanni 247<br />

Spedino 187 Girgenti 346<br />

Poggio di valle 138 Macchiatimone e Roccaberardi 881<br />

Comune di Borgocollefegato 4.257 Comune di Pescorocchiano 4.028<br />

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Il brigantaggio<br />

Carta topografica del 1853 dell'Abruzzo Ulteriore II<br />

Con dettaglio del numero degli abitanti per singola frazione e comune<br />

Particolare della zona nei <strong>dintorni</strong> di S.<strong>Anatolia</strong><br />

Gli anni posteriori al 1860 furono molto travagliati per il nostro Cicolano. La conquista del regno di Napoli da parte dei Savoia dette origine ad una<br />

reazione fra chi, ancora nostalgico verso il vecchio regno, rimase fedele al re Francesco II di Borbone e chi, per motivi di interesse verso lo Stato<br />

Pontificio, tentò di rimettere sul trono il vecchio re consapevole di essere il prossimo obiettivo di conquista piemontese. La reazione inizialmente<br />

politica e militare ebbe culmine nel fenomeno del brigantaggio che fu favorito soprattutto nelle nostre contrade dal territorio montagnoso e poco<br />

accessibile e dalla posizione geografica quale zona di confine con l'ancora non annesso Stato Pontificio.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 70/79


Lo Stato Pontificio ed a sua volta una gran parte del clero offrì rifugio e assistenza alle bande di briganti che, considerate come eroiche squadre<br />

militari, venivano premiate ed incitate nelle loro azioni. Anche il Re Francesco dopo la conquista del regno si rifugiò nello Stato Pontificio e spesso<br />

invitava, nella sua dimora a Roma, i capo-briganti offrendo aiuti in armi e denaro, incitandoli alla rivolta contro i piemontesi (1).<br />

Già nel 1861 una squadra di reazionari borbonici di parvenza militare comandata dagli zingari Fiore e Nicola di Giorgio di Pescorocchiano, dopo esser<br />

passati per Villecollefegato e Torano, per disarmare i paesi e comporre una truppa in favore del re Francesco Borbone, erano giunti il 15 gennaio alle h.<br />

3:00 di notte a suon di tamburo alla volta di S. <strong>Anatolia</strong>. Lì avevano tolto a Ferdinando Scafati, a Costantino Placidi e ad Alessandro Panei i fucili che<br />

possedevano aggregando alla loro truppa Angelo Passalacqua e dirigendosi poi verso Tagliacozzo. Nella casa di Alessandro Panei essi ebbero anche da<br />

mangiare e da bere (2).<br />

Il giorno seguente un'altra squadra comandata da Ascenzo Napoleone di Corvaro giunse a Borgocollefegato dove sostò fino al giorno seguente. Il 18<br />

gennaio effettuarono il disarmo di Spedino e nello stesso giorno circa in quindici entrarono in S. <strong>Anatolia</strong> dove si presentarono a Ferdinando Scafati,<br />

cassiere comunale di Borgocollefegato, per sapere quali somme fossero nelle casse comunali. Questi rispose che nelle casse comunali non vi erano<br />

denari visto che nessun contribuente adempiva al proprio dovere a causa degli sconvolgimenti reazionari ma Ascenzo Napoleone volle comunque che<br />

gli fossero consegnati 30 ducati per far fronte alle urgenze di massa. Lo Scafati si recò da Costantino Placidi per chiedergli i trenta ducati ma questi non<br />

li volle prestare ed allora Ascenzo Napoleone si dovette accontentare di quattro ducati per i quali rilasciò formale ricevuta (3): Dichiarò io qui sotto<br />

scritto di aver riceuto docati quattro dalle sig. Fiore Scafati - lì 18 gennajo 1861 - Santa <strong>Anatolia</strong> - Il commandante delle truppe a massa Ascenzo<br />

Napoleone (4)<br />

In seguito, sopraggiunto il resto della squadra di circa duecento individui, Ascenzo Napoleone seppe che Ferdinando Scafati aveva incassati, il giorno<br />

precedente, 150 ducati per un cespite comunale. Allora egli assumendo un'aria molto truce pretese altri 100 ducati che lo Scafati, sotto minaccia di<br />

fucilazione, dovette farsi prestare da Costantino Placidi (5): Dichiaro io qui sotto scritto di avere riceuto la somma di docati cento dal signore Fiore<br />

Scafati nella qualità di casiere comunale di questo comune di Bolgo Collefecato, i quali docati cento servono per pacare la reggia massa - S. <strong>Anatolia</strong><br />

li 18 gennajo 1861 - Il commandante della reggia massa di Francesco secondo Ascenzo Napoleone (6). In seguito una parte della squadra passò in casa<br />

di Alessandro Panei che dovette consegnare un fucile e la somma di 50 piastre (7).<br />

Nel febbraio del 1861 le truppe piemontesi giunsero nel Cicolano per reprimere la reazione e già nel marzo dello stesso anno le fucilazioni ed il carcere<br />

avevano definitivamente sbandato le piccole truppe borboniche e Ascenzo Napoleone, arrestato la notte del 19 marzo 1861 presso Civitella di Nesce,<br />

venne fucilato due giorni dopo (8). Ad aprile del 1861 la reazione ormai repressa si era trasformata definitivamente in brigantaggio. Non era più una<br />

guerra di carattere militare ma poteva forse assomigliare ad una guerriglia dall'apparenza partigiana.<br />

La banda di <strong>Cartore</strong><br />

La maggior parte dei briganti nel periodo invernale, cioè dai primi di novembre fino alla fine di aprile, rimanevano ospiti nello Stato Pontificio<br />

occupandosi di lavori campestri o di pastorizia ma, quando giungeva la primavera, col clima meno rigido e con la possibilità di nascondersi meglio nei<br />

boschi ricoperti di foglie, tornavano in piccole bande nel nostro Cicolano per sfrenarsi in ogni tipo di violenza soprattutto contro quelli che erano<br />

ritenuti fautori del nuovo regime (9).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 71/79


Le montagne della Duchessa erano, nei nostri <strong>dintorni</strong>, sede di rifugio di alcune bande di briganti. C'era una banda in particolare detta banda di<br />

Cartora che scorrazzava sulle nostre montagne; essa era composta da venti o trenta individui e fra essi si distinguevano i briganti Baldassarre Federici<br />

e Giuseppe e Gaetano Luce di S. <strong>Anatolia</strong> ed altri sette provenienti dai paesi subito intorno: Michele e Berardino Pietropaoli, Stefano Casagrande e<br />

Domenico De Felice di Poggiovalle, Carmine Marcelli di Grotti, Fiore Salvatore di Torano e Giuseppe Nicolai di Rosciolo (10).<br />

In quel tempo i più influenti personaggi di S. <strong>Anatolia</strong> erano l'abate parroco don Costantino Placidi nato il 6 aprile 1817, figlio di Nicodemo,<br />

appartenente alla famiglia più ricca del paese e Alessandro Panei nato il 1 luglio 1808, figlio di Giuseppe, anch'egli molto ricco e apparentato con i<br />

sacerdoti del paese.<br />

La notte del 18 maggio 1863, nel molino del barone Francesco Antonini presso Torano, sei o sette briganti della banda di <strong>Cartore</strong> sequestrarono<br />

Alessandro Panei, lo condussero sulla montagna della Duchessa ed andarono a chiedere alla sua famiglia un pesante riscatto in denaro. Questi si<br />

affrettarono a consegnare ai briganti una somma di circa tremila lire che i briganti accettarono ma, nonostante questo, invece di essere lasciato libero,<br />

Alessandro Panei fu torturato, legato ad un faggio ed infine bruciato vivo. Il primo giugno di quell'anno il suo cadavere quasi irriconoscibile fu<br />

ritrovato sulla montagna Duchessa nella valle Giaccio della Capra tra il Colle Cardito e Fonte della Vena (11).<br />

La notte fra il 7 e l'8 giugno 1863 circa trenta briganti della stessa banda di <strong>Cartore</strong> riuscirono a penetrare nel palazzo dei signori Placidi dove si<br />

trovava il sacerdote don Costantino. Dopo aver saccheggiato il palazzo ed aver rubato tutto ciò che sembrava avere un certo valore, i briganti presero la<br />

strada che conduceva verso Rosciolo tenendo sequestrato il parroco con i suoi due garzoni. I tre vennero rilasciati dopo poche ore con la promessa che,<br />

entro 24 ore, il Placidi avrebbe spedito ai briganti mille ducati e non avrebbe fatto denuncia del sacco sofferto. Costantino si rifugiò a Luco de' Marsi.<br />

Sembra che egli inizialmente cercò di mantenere la promessa fatta ma pare che la persona incaricata della consegna della somma richiesta non riuscì a<br />

ritrovare i briganti poichè questi si erano spostati in altro luogo. In seguito dopo una lunga trattativa con i briganti non andata in porto don Costantino<br />

Placidi venne punito per la mancata promessa con l'uccisione di circa 15 buoi. (12)<br />

I briganti di S. <strong>Anatolia</strong><br />

Giuseppe e Berardino Luce erano figli di Gaetano e Maria Peduzzi. La loro era una famiglia numerosa composta dai genitori Gaetano e Maria, da sette<br />

figlie femmine e da quattro maschi. La famiglia era agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e presumibilmente anche<br />

mucche. Le donne tessevano la canapa ed il lino, che coltivavano nei loro campi e che "raffinavano" nel fiume Salto. Avevano cantine piene di<br />

formaggi, grano, granturco e vino.<br />

Siamo nel Regno di Napoli attorno al 1861, i due giovani della famiglia, avevano già fatto due anni di servizio militare sotto i Borboni. Dopo l'unità<br />

d'Italia, il nuovo governo li richiamò alle armi. Come si può immaginare essi non ne furono affatto felici essendo fedeli ai Borboni per i quali avevano<br />

combattuto. Non avendo nessuna intenzione di riconoscere il nuovo governo Savoia, come molti altri nella loro situazione, si diedero alla macchia.<br />

La storia di Bernardino Luce fu breve e tragica. Era nato a S.<strong>Anatolia</strong> il 4 marzo del 1843 e morì nello stesso giorno in cui decise di darsi alla macchia<br />

alla giovane età di circa 18 anni. Si stava dirigendo verso Rosciolo insieme ad un gruppo di altri ragazzi come lui, passando per Valle Maiura (Valle<br />

Maggiore) che poi sarebbe la strada che si dirige verso la fonte Valoce. Verso mezzogiorno, assetati ed affamati (si era nel periodo estivo), videro una<br />

capanna di pastori e pensarono di fermarsi per rifocillarsi e riposarsi.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 72/79


Erano tranquilli, sia perchè si conoscevano tutti, che perchè era il primo giorno della loro latitanza e non pensavano di doversi preoccupare più di tanto,<br />

inoltre erano giovani e incoscienti. Si avvicinarono, dunque, ridendo e scherzando, ma improvvisamente, dalla capanna uscirono dei gendarmi armati<br />

che senza profferire parola, puntarono loro addosso i fucili e fecero fuoco. I ragazzi non ebbero neanche il tempo di reagire e, d'altronde, non avrebbero<br />

potuto perchè erano disarmati. Qualcuno morì, Bernardino fu ferito gravemente. I soldati (forse carabinieri) lo presero e lo caricarono di traverso, come<br />

un sacco, sul dorso di un asino e si diressero verso Sant'<strong>Anatolia</strong>. Bernardino mancato e sfortunato, soffriva talmente tanto sul dorso di quell'asino che<br />

non potendone più disse ai gendarmi: "O me cambiete posizione o m'accidete!". A quel punto uno dei gendarmi, senza pensarci un attimo, fece fuoco,<br />

mettendo fine alle sue sofferenze! (13)<br />

Giuseppe Luce era nato a S. <strong>Anatolia</strong> il 20 ottobre del 1840. Era "giusto di statura, colore cretaceo, poca barba". Era stato soldato sbandato<br />

dell'esercito borbonico fin dall'anno 1860. Si dette al brigantaggio per non passare all'esercito italiano (14). Nell'ottobre del 1860 era sottocapo delle<br />

truppe reazionarie comandate da Ascenzo Napoleone (15) e il 18 gennaio del 1861 faceva probabilmente parte delle truppe di quest'ultimo<br />

partecipando forse alla raccolta dei denari e delle armi anche a S. <strong>Anatolia</strong>. Nell'estate del 1862 era uno dei componenti della banda di <strong>Cartore</strong><br />

composta da Michele e Berardino Pietropaoli di Poggiovalle, Stefano Casagrande anch'egli di Poggiovalle, Carmine Marcelli di Grotti ed altri (16).<br />

Nella notte fra il 9 e il 10 settembre di quell'anno insieme ad altri venti briganti giunse a Pagliara presso Castelmenardo dove partecipò al saccheggio<br />

delle case dei fratelli Domenico e Giuseppe Chiarelli e al furto di trenta piastre commesso contro Franco Pozone fu Marco "bettoliere" (17).<br />

Nell'ottobre dello stesso anno, come buona parte dei briganti, si rifugiò nello Stato Pontificio (18). Nel maggio del 1863 Giuseppe Luce tornò nel<br />

Cicolano aggregato alla banda Colajuda ma, mentre la banda transitava per la montagna di Valdevarri, si unì alla banda di Pietropaoli che poi era<br />

sempre la comitiva che scorrazzava sul monte di Cartora.<br />

La notte del 18 maggio, insieme ad altri sei o sette briganti, partecipò al rapimento ed all'uccisione di Alessandro Panei. Dai documenti ufficiali sembra<br />

che i veri assassini del Panei fossero stati oltre al Luce, Fiore Salvatore di Torano, Giuseppe Nicolai di Rosciolo ed Albino Ruscitti di Castelnuovo<br />

(19).<br />

La storia orale tramandata dai vecchi di S.<strong>Anatolia</strong> ricorda questi fatti in maniera un po' diversa dalla versione ufficiale riportata nel paragrafo<br />

precedente. Pare infatti che nel gruppo dei briganti della banda di <strong>Cartore</strong>, ce n'era uno che si chiamava Baldassarre Federici ("parente de quissi de<br />

Mazzucchittu"). I briganti, rapito Alessandro Panei, lo portarono nel loro covo sulla Montagna della Duchessa. Un giorno Baldassarre dovette<br />

assentarsi per sbrigare vari affari. In sua assenza, Giuseppe Luce insieme agli altri, presi da timore e rimorso (forse anche perchè il prigioniero aveva<br />

promesso loro qualcosa), decisero di liberare il prigioniero e lo stavano riaccompagnando giù, attraverso la val di Fua (Fiui) quando, a metà strada,<br />

incontrarono Baldassarre che risaliva verso il loro covo.<br />

Vedendo Don Alessandro Panei in mezzo ai briganti disse: "Do ju portete quissu?!!" (dove lo portate questo?). Giuseppe ripose: "Eh, ju seme liberatu,<br />

è meglie!" (eh, lo abbiamo liberato, è meglio!). Baldassarre, allora, li guardò torvo e disse: "Camminate, reggiratevi e reportateju arrete. Quissu,<br />

appena arriva abballe, ci manna subbitu i carabbinieri e ci fannu fore tutti" (Camminate, rigiratevi e riportatelo indietro. Questo, appena arriva alla<br />

valle, ci manda subito i carabinieri che ci fanno fuori tutti). Così lo riportarono indietro e poi fu ucciso in quella maniera orribile (20).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 73/79


Carta dell'Istituto Geografico Militare - Allegata alla "Guida dell'Abruzzo" di Enrico Abate - edizione Roma 1903<br />

Narra la tradizione che in seguito il brigante Baldassarre, dopo aver passato un lungo periodo lontano dalle nostre contrade, tornò di nascosto a S.<br />

<strong>Anatolia</strong> per ritrovare i suoi parenti. Era inverno e la terra era ricoperta di neve. Il brigante si nascose in una grotta nei pressi delle Case Vecchie dove<br />

venne accolto dai familiari. Fu fatta la spia ad Antonio, il figlio di Alessandro Panei, che, con un fucile in mano, si avviò verso la grotta per vendicarsi.<br />

Quando il brigante Baldassarre vide il Panei, lo salutò dicendo: Come sta sor'Anto? - E questi gli rispose: Lo sai solo tu!!! - e gli sparò uccidendolo<br />

(21). Baldassarre Federici era figlio di Giovanni e Anna Siena Luce ed era nato il 18 aprile del 1824.<br />

Nella notte fra il 30 e 31 maggio 1863 la banda Pietropaoli, di cui faceva parte Giuseppe Luce, rubò nella casa di Francesco Silvi di Alzano poi, in<br />

Collemaggiore, sequestrò le armi a quattro elementi delle guardie nazionali piemontesi e infine, dopo averlo derubato, rapì il parroco Alessandro De<br />

Sanctis. Il parroco venne rilasciato il 1 giugno dopo aver sborsato trecento ducati di riscatto. Nel pomeriggio del 31 maggio, nella zona S. Francesco<br />

Vecchio (presso Corvaro), la stessa banda penetrò nel casolare di Carlo Musier e nella vicina casa rurale di Niccola Romano rubando dal primo del<br />

pane, olio e sale e dal secondo una bottiglia di olio per mangiare (22).<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 74/79


La notte fra il 7 e l'8 giugno del 1863, sempre insieme alla banda Pietropaoli di Poggiovalle, composta in quella occasione di circa trenta individui,<br />

Giuseppe Luce partecipò al sacco del palazzo di don Costantino Placidi parroco di S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Nel mese di luglio la repressione militare verso le bande brigantesche divenne molto più efficace. Il 2 luglio si costituì ai granatieri distaccati a<br />

Borgocollefegato il brigante Domenico di Cesare. Il 5 luglio venne arrestata sulla montagne di Poggiovalle Angela Pietropaoli moglie del brigante<br />

Stefano Casagrande. Il 6 luglio dopo uno scontro a fuoco quest'ultimo venne arrestato insieme al piccolo brigante Domenico De Felice tredicenne;<br />

Stefano Casagrande venne fucilato lo stesso giorno. Fra il 14 e il 17 luglio altri tre briganti della stessa banda si costituirono alle forze militari. Il 20<br />

luglio, in un conflitto a fuoco con il distaccamento di granatieri di Borgo-collefegato, sulla montagna di Poggiovalle, fu ucciso il capo banda Michele<br />

Pietropaoli (23).<br />

Il 22 luglio, alla morte di questi, il fratello Berardino e l'amico Carmine Marcelli delle Grotti si costituirono nel paese di Pace a Vincenzo de Felice<br />

sottoprefetto del Circondario di Cittaducale (24). Vedendo la gravità della situazione, sul finire del luglio 1863, Giuseppe Luce, Albino Ruscitti di<br />

Castelnuovo, Giuseppe Nicolai di Rosciolo e Ferdinando Salvatore detto Fiore di Torano, si rifugiarono nello Stato Pontificio dove rimasero per circa<br />

un anno.<br />

Il 26 aprile del 1864 Giuseppe Luce ed Albino Ruscitti che si trovavano a Roma s'incamminarono sulla via Valeria Tiburtina diretti verso le loro terre<br />

natie. Albino Ruscitti in seguito raccontò: "Partii da Roma domenica ultima di mattino, e, passando per Tivoli, giunsi con Giuseppe Luce al confine<br />

presso Verrecchie sul far della sera, e continuando sempre pe' monti, scendemmo per le pianure di Scurcola, giungendo alle ore sei della stessa notte a<br />

Castelnuovo" (25). Giuseppe ed Albino presero alloggio a Castelnuovo in casa del compare di quest'ultimo Angelo De Andreis e lì, probabilmente<br />

seguiti o spiati, vennero catturati ed arrestati.<br />

Con sentenza del 15 ottobre 1865 Giuseppe Luce fu condannato alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti politici e alla interdizione<br />

patrimoniale, solidamente alle spese del procedimento a favore dell'erario dello Stato e alle indennità dovute alle parti lese (26). I suoi amici briganti<br />

più intimi ebbero quasi la stessa sorte: Albino Ruscitti fu condannato a dodici anni di carcere, Ferdinando Salvatore ai lavori forzati a vita (27) e<br />

Giuseppe Nicolai, arrestato nel dicembre del 1870, venne condannato a 25 anni di lavori forzati (28).<br />

Le ritorsioni per la famiglia di Giuseppe furono durissime. Tutti i loro beni furono confiscati. Si racconta anche che i carabinieri, o chi per loro,<br />

prendessero tutti i rotoli di tela tessuti dalle sorelle di Giuseppe e li sfettucciassero con le baionette, riducendoli a brandelli e facendoli rotolare lungo la<br />

strada insieme alle pezze di formaggio.<br />

I genitori di Giuseppe, Gaetano Luce e Maria Peduzzi, vennero considerati fuori legge e briganti, anche perchè presero certamente le parti di Giuseppe<br />

coprendolo ed aiutandolo. Maria Peduzzi, la chiamavano la Brigantessa. Era figlia di Beniamino e Caterina Spera ed era nata a Sant'<strong>Anatolia</strong> il 6<br />

novembre del 1814. Si racconta che avesse lunghe trecce di capelli corvini. Una volta, per sfuggire alla cattura da parte dei carabinieri, ella si infilò nel<br />

letto insieme alle sue figlie ed i carabinieri, pensando che fosse una delle ragazze, la lasciarono andare. Poi, però, fu presa ed imprigionata nell'Isola del<br />

Giglio ma fu rilasciata dopo poco tempo.<br />

Anche Giuseppe venne imprigionato nell'isola del Giglio e da lì scrisse delle bellissime lettere alla famiglia ridotta in povertà. Dopo qualche anno ci fu<br />

una amnistia, probabilmente per la nascita di una figlia del Re d'Italia, e Giuseppe scrisse felice alla madre, contento perchè di lì a poco sarebbe tornato<br />

a casa.<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 75/79


Era allora sindaco di Santa <strong>Anatolia</strong> un certo Luce forse di nome Alfonso. La moglie di costui venne a conoscenza del fatto che con l'amnistia<br />

Giuseppe sarebbe stato liberato e andò dalla famiglia Panei dicendo loro: "Le sapete, mo liberanu Giuseppo Luce! (disse proprio Giuseppo, perchè non<br />

era originaria di Santa <strong>Anatolia</strong>).<br />

I Panei si dettero subito da fare per impedirne la liberazione e misero in moto tutte le loro conoscenze, motivati dalla paura che se liberato Giuseppe si<br />

sarebbe poi vendicato. A Giuseppe fu negata la libertà ed il colpo fu talmente duro per il poveretto che si ammalò e di lì a breve morì di crepacuore<br />

(29).<br />

La famiglia di Gaetano Luce e Maria Peduzzi<br />

Pasquale Luce Ascenza D'Orazio<br />

Beniamino Peduzzi<br />

1790<br />

Caterina Spera<br />

1784<br />

|_____________ _____________| |________________ ____________|<br />

| |<br />

Gaetano Luce<br />

Maria Peduzzi<br />

1811-1878<br />

1814-1897<br />

|______________________________________________________________|<br />

______________________________________________________||________________________________________________________<br />

| | | | | | | | | | |<br />

Caterina<br />

1834-1899<br />

Pasquale<br />

1836-1907<br />

Domenica<br />

Rosa 1838<br />

Giuseppe<br />

1840<br />

Bernardino<br />

1843-ca 1861<br />

Antonia<br />

1846<br />

Annunziata<br />

1848<br />

Angela<br />

1850<br />

Loreta<br />

1853-<br />

1885<br />

Giacomo<br />

1853-1893<br />

Carolina<br />

1858-1888<br />

Roberto Tupone - Sant'<strong>Anatolia</strong>, <strong>Cartore</strong> e <strong>dintorni</strong> - Parte I: Storia - Pag. 76/79


La famiglia di Baldassarre Federici e Antonia Peduzzi<br />

Giovanni Federici<br />

Anna Siena Luce<br />

Beniamino Peduzzi<br />

Caterina Spera<br />

1792-1879<br />

1794-1832<br />

1790<br />

1784<br />

|____________ ____________| |____________ ____________|<br />

| |<br />

Baldassarre Federici<br />

Antonia Peduzzi<br />

1824-1875<br />

1823-1902<br />

|__________________________ __________________________|<br />

______________________________________________|_____________________________________________<br />

| | | | |<br />

Anna<br />

Bernardina<br />

Anna Siena<br />

Pasquale<br />

Ascenza<br />

1852<br />

1855<br />

1859<br />

1861<br />

1863<br />

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Note<br />

1. Le notizie sul brigantaggio sono state prese da: Lugini Domenico Memorie storiche della regione Equicola, ora Cicolano Rieti 1907 e Luciano<br />

Sarego Reazione e brigantaggio nel Cicolano (1860-1867) Rieti 1976.<br />

2. L. Sarego pag. 76 - 77<br />

3. L. Sarego pag. 75 - 76<br />

4. L. Sarego pag. 101<br />

5. L. Sarego pag. 76 - D. Lugini pag. 378<br />

6. L. Sarego pag. 101<br />

7. L. Sarego pag. 76<br />

8. L. Sarego pag. 91-92 nota 25 - D. Lugini pag. 390<br />

9. D. Lugini pag. 395<br />

10.L. Sarego pag. 37-39<br />

11.L. Sarego pag. 116 - D. Lugini pag. 403<br />

12.L. Sarego pag. 117 - D. Lugini pag. 403 - Per altre notizie vedi:Appendice I - Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. <strong>Anatolia</strong> -<br />

D'Ascenzo Maria e Piccinelli Pietrantonio<br />

13.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

14.L. Sarego pag. 184<br />

15.D. Lugini pag. 371 e 476: "nell'ottobre 1860 bande di patrioti nel Cicolano avevano formato un piccolo esercito con quartier generale a<br />

Fiamignano, con capi e vari sottocapi (in tutto circa 2000 individui): " Era sottocapo ... Giuseppe Luce per Sant'<strong>Anatolia</strong>..."<br />

16.L. Sarego pag. 133 n. 19<br />

17.L. Sarego pag. 115<br />

18.L. Sarego pag. 184<br />

19.L. Sarego pag. 116 - 136 n. 37 - 184<br />

20.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

21.Da un racconto di Angelo Amanzi figlio di Ercole e Candida Fracassi<br />

22.L. Sarego pag. 117 - 139 n. 41-50<br />

23.L. Sarego pag. 117 - 118<br />

24.L. Sarego pag. 118<br />

25.L. Sarego pag. 200 n. 42<br />

26.L. Sarego pag. 184 - 185<br />

27.L. Sarego pag. 185<br />

28.L. Sarego pag. 174<br />

29.Appendice II - Racconti e tradizioni orali - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

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