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S.Anatolia - Appendici - Sant'Anatolia

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Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni<br />

<strong>Appendici</strong>, tradizioni e documenti<br />

Febbraio 1984 - Asini - Campagna di Sant'<strong>Anatolia</strong> - Fotografia di Roberto Tupone<br />

Roberto Tupone – 2001/2011<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 1/126


Appendice I – Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. <strong>Anatolia</strong> – Pag. 4<br />

Gli Spera - I Bravi delle Ville - L'altare di San Giovanni - Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio - D'Ascenzo Maria e Piccinelli<br />

Pietrantonio - Preludio all'incontro - I Luce - Notizie Settecentesche - Dalla metà del '700 ai primi del '900 - Gli Spera e i Luce - Terremoto del 1915 e<br />

Prima guerra mondiale - Il Barone Masciarelli - Il Capitano e suo figlio Pietro - La cambiale avallatata - Fra il 1920 e il 1934 - Spera Domenico e la<br />

seconda guerra mondiale - I rifugiati stranieri e l'arrivo dei Tedeschi - La fine della Guerra<br />

Appendice II – Racconti e Tradizioni Orali – Pag. 22<br />

Vita della Santa Martire <strong>Anatolia</strong> - Invasione degli zingari e formazione del paese antico - L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie - Fuga<br />

da Cartore alle Case Vecchie - Gli Zingari - I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie' - La zona Scannacavagli - Pitti a Catasto - Zacchè il falsario - Il<br />

terremoto del 1915 - La rivolta del luglio 1944 - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

Appendice III – Descrizioni Topografiche – Pag. 34<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> - La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero - La chiesa di Santa Maria del Colle - Il Santuario di S. <strong>Anatolia</strong> - La casa dei Placidi<br />

vicina al Santuario - Le Case Vecchie - Fontana del paese di sotto - La pietra scritta - La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta - La Via Equicola - La<br />

Via dei Marsi e l'ara Placidi - Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.<strong>Anatolia</strong> - La chiesa di S.Nicola di Bari - Le famiglie a S.<strong>Anatolia</strong> - Valle<br />

Cantu Riu e le tre grandi Aie - Monte del Dente, Macerine e Pinchi - Zona Calecara - Cartore e suoi abitanti - Vita popolare a Cartore - Strade - La<br />

duchessa - Colle Pizzuto - Grotta de' Gessi, di S.<strong>Anatolia</strong>, del Palazzo e Fontanelle - La Città di Tora e ritrovamenti archeologici - Zona Dentre Tore -<br />

Zona Castiglione - Il Santo Sepolcro - Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo - Chiesa di S. Lorenzo a Cartore - Chiesa di San Nicola a Cartore - La<br />

denominazione delle terre di Cartore<br />

Appendice IV – Documenti Bibliografici dal 1666 al 1953 – Pag. 50<br />

Luca Holstenio 'Annotationes in Italiam Antiqua' - Muzio Febonio 'Historiae Marsorum' - P. A. Corsignani 'Reggia Marsicana' - Pierluigi Galletti<br />

'Memorie di tre antiche chiese' - Mons. Saverio Marini 'Memorie di S. Barbara' - F. P. Sperandio 'Sabina Sagra e profana' - Giancolombino Fatteschi<br />

'Memorie istorico diplomatiche' - Felice Martelli 'Le antichità de' Sicoli' - Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica - Annali dell'Istituto<br />

di Corrisponedenza Archeologica - Carlo Promis 'Le antichità di Alba Fucense negli Equi' - Michele Michaeli 'Memorie storiche della città di Rieti' -<br />

Teodoro Bonanni 'Stemmi e Catasti Antichi' - Giuseppe Colucci 'Gli Equi' - Teodoro Bonanni 'Le antiche industrie dell'Aquila' - Enrico Abate 'Guida<br />

dell'Abruzzo' - Domenico Lugini 'Memorie Storiche' - P. A. Cremonini 'La ricerca di Tora' - Domenico Federici "La leggenda di S.<strong>Anatolia</strong>'<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 2/126


Appendice V – Visite Pastorali – Pag. 60<br />

Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851 - Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874 - Visita di mons. Quintarelli nell'anno 1897-1900<br />

Appendice VI – Cronologia – Pag. 83<br />

Elenco cronologico dei documenti riguardanti S. <strong>Anatolia</strong>, Cartore e Dintorni dal 706d.C. al 1712: 706 ca.: La chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> de Turano e<br />

Corvaro - 1048: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1084: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1115: Confini della Diocesi dei Marsi - 1153:<br />

Bolla di Anastasio IV° - 1182: Bolla di Lucio III° - 1183: Catalogo dei Baroni - 1218: Bolla di Onorio III° - 1250: Registro delle Rendite - 1398:<br />

Registro delle chiese della Diocesi di Rieti - 1418: Lorenzo Colonna Conte di Alba - 1423: La Contea di Alba confermata a Odoardo Colonna - 1445:<br />

La Contea di Alba confermata a Giovanni Orsini - 1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo - 1587: Elenco delle chiese del Vicariato del<br />

Corvaro - 1712: Il Parroco di S. <strong>Anatolia</strong> risponde a dei quesiti<br />

Appendice VII – La martire <strong>Anatolia</strong> – Pag. 97<br />

"La leggenda di Sant'<strong>Anatolia</strong> - Vergine e Martire del Cicolano"<br />

Domenico Federici - Roma, 22 maggio 1953<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 3/126


Appendice I - Le famiglie Spera e Luce - piccole storie a S. <strong>Anatolia</strong><br />

Gli Spera - I Bravi delle Ville - L'altare di San Giovanni - Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio - D'Ascenzo Maria e Piccinelli<br />

Pietrantonio - Preludio all'incontro - I Luce - Notizie Settecentesche - Dalla metà del '700 ai primi del '900 - Gli Spera e i Luce - Terremoto del 1915 e<br />

Prima guerra mondiale - Il Barone Masciarelli - Il Capitano e suo figlio Pietro - La cambiale avallatata - Fra il 1920 e il 1934 - Spera Domenico e la<br />

seconda guerra mondiale - I rifugiati stranieri e l'arrivo dei Tedeschi - La fine della Guerra<br />

Gli Spera<br />

Gli uomini della famiglia Spera erano da generazioni dediti alla vita contadina; essi vivevano di pastorizia, allevamento e agricoltura; per i viaggi<br />

usavano l’asino e per coltivare ed arare le terre usavano le mucche ed i buoi. Essi campavano con i prodotti della terra e con i prodotti animali. Per<br />

scaldarsi d’inverno e per cucinare avevano in casa come in tutti i paesi un caminetto e quasi giornalmente, partivano con l’asino ed andavano a far<br />

legna; per tagliarla usavano l’accetta e, ancor più, la Ronga .<br />

Chi aveva almeno un gregge di pecore o di mucche le portava per tutta l’estate in montagna e ogni componente della famiglia, a turno, doveva andare<br />

in montagna per stare attento ad esse. Sulle montagne i pastori si costruivano delle capanne in pietra e dal tetto in lamiera. Non esisteva il cemento e<br />

non si usava la calce. Per ogni capanna c’era un caminetto (un semplice buco in cima al tetto nella parte dove si era deciso di fare il fuoco) che serviva<br />

per scaldarsi, per cuocere e per fare il formaggio.<br />

D’inverno, specie sulle montagne, cade la neve e, per il troppo freddo, le bestie debbono scendere in paese; in inverno le pecore e gli altri animali da<br />

pastorizia debbono essere portate al pascolo giornalmente e il lavoro diventa ancor più faticoso. Poi, quando c’è il periodo della riproduzione, il gregge,<br />

con tutti gli agnelli, diventa molto numeroso ed il pastore è costretto a volte a rimanere anche dalla mattina alla sera a soccorrere quelle partorienti.<br />

La vita dell’agricoltore invece è più faticosa ma meno impegnativa; tutte le stagioni sono occupate da qualche lavoro, c’è l’aratura, la semina e la<br />

raccolta; per il grano c’è la mietitura e la macina; per l’uva c’è la vendemmia e la fabbricazione del vino; non tutte le giornate però sono occupate ma<br />

quando c’è lavoro esso è spesso molto faticoso.<br />

Le donne normalmente badavano all’educazione dei bambini, aiutavano l’uomo nei lavori della terra, col telaio tessevano i vestiti, li lavavano e<br />

preparavano i pasti alla famiglia. Gli Spera sono sempre stati molto bonaccioni . Fisicamente fra essi si elencano spesso uomini alti, biondi e dagli<br />

occhi azzurri e da ciò si può dedurre che siano gente venuta dal nord.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 4/126


I Bravi delle Ville<br />

Non vi sono molte notizie di data anteriore al 1800: un aneddoto tramandatoci oralmente riguardante la famiglia Spera, risalibile al 1650-1700, ci<br />

racconta:<br />

"Qualche secolo fa’ in paese c’era una brutta usanza per la quale, quando due persone si sposavano, venivano da Villerose "i Bravi delle Ville" che<br />

per provocare scandalo alzavano la gonna delle spose. Si racconta che questi appartenessero tutti ad una famiglia ma forse non erano altro che una<br />

semplice banda di delinquentelli. Era il tempo in cui una ragazza "de quissi degli Spera" si doveva sposare. Qualche giorno prima il padre di questa<br />

andò a Villerose dai bravi e disse loro: "Faciatevi i fatti vostri" e li intimò a non venire in paese. Il giorno del matrimonio i bravi delle Ville vennero<br />

ugualmente. Senonchè, appena uno di essi si avvicinò alla sposa per alzargli la gonna, il padre di ella uscì dalla casa con un fucile a tromba in mano,<br />

lo caricò e con una schioppettata lo stese a terra morto. Gli altri bravi fuggirono. Da quel giorno la brutta usanza dei Bravi delle Ville sparì" (1).<br />

L’Altare di San Giovanni<br />

Nell’anno 1606 la famiglia Spera fece costruire, nella chiesa di San Nicola a Sant’<strong>Anatolia</strong>, un altare dedicato a San Giovanni Battista. In quel tempo<br />

era una usanza comune costruire altari nelle chiese a spese dei privati. Gli altari rimanevano intestati ed ereditati dai discendenti del primo fondatore e<br />

questa operazione veniva denominata Jus patronato . Di solito insieme all’altare il patrono dava in dote allo stesso delle terre di cui poi beneficiavano i<br />

sacerdoti per il mantenimento; i sacerdoti beneficiati venivano obbligati a ricambiare il servizio soddisfando delle messe in onore del fondatore.<br />

L’altare di S. Giovanni Battista era quindi di jus patronato della famiglia Spera ed il sacerdote usufruitore delle terre ed addetto al mantenimento venne<br />

vincolato con il dovere di soddisfare dodici messe all’anno. Nel 1712 il beneficio era goduto dall’abate don Giacomo Silvy. Il 27 aprile 1828 l’altare,<br />

allora senza pietra sacra , era beneficio dell’abate don Pietro Placidi. Il 7 luglio 1835 l’altare era ancora di beneficio di don Pietro Placidi ed il valore<br />

della dote (beni immobili) veniva calcolato in 4 ducati annuali (?). L’altare veniva mantenuto dal cappellano; Il 22 maggio 1851 il beneficio veniva<br />

considerato dal Vesc. Carletti Cappellania manuale ; il 17 giugno del 1874 era goduto da don Franco Giorgi di Sante Marie della Diocesi de’ Marsi; nel<br />

1881 morì don Franco Giorgi ed essendo il beneficio rimasto nullatenente nessuno ne’ fu più investito. Cosa era successo ? Il 22 agosto 1897 Ms.<br />

Quintarelli nelle memorie della visita nella sua diocesi scriveva: "Beneficio o cappellania di S. Giovanni Battista, eretto in altare omonimo nella<br />

parrocchiale, bollar.anno 1606 pag.42: è juspatronato della famiglia Spera. Questo diritto dagli Spera sembra sia andato in Giuseppe Scafati e<br />

sorella. Il patrono (o patroni) ha svincolato i beni (parte di questi furono venduti nel principio del secolo) per £.250; dunque i beni rimasti valevano<br />

perlomeno £.800; dopodiché li alienarono; e le messe 12 di cui era gravato il beneficio non sono state applicate dal 1881, epoca in cui morì l’ultimo<br />

investito, Sig. Francesco Giorgi extra diocesano." Nel 1897 nell’altare era dipinto un affresco (raffigurante sicuramente S. Giovanni Battista) quasi del<br />

tutto rovinato e per questo motivo al suo posto davanti era stata posta una tela con cornice dorata e molto grande raffigurante la SS. Immacolata, con S.<br />

Agnese vergine e martire ed alcune fanciulle (le figlie di Maria). In quel tempo nessuno pensava più a mantenerlo. L’ultima notizia che si ha di questo<br />

altare è del 26 agosto 1903 quando Ms. Quintarelli scriveva: "Legati a carico del beneficio di S. Giovanni Battista: La famiglia Spera deve far<br />

celebrare 12 messe annue pel detto beneficio. Dice il sig. Abate (Don Giambattista Panei) che queste messe non si celebrano più da molti anni e non<br />

vi è più speranza che si soddisfi più perché il patrone ha venduto i beni, e se ne è andato in America."<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 5/126


Spera Pietro fu Filippo fu Francescangelo fu Bonifacio<br />

Il 27 agosto 1826 a S. <strong>Anatolia</strong>, dal padre Bonifacio e dalla madre Santa (2), nasceva Spera Francescangelo. Circa nel 1857 Francescangelo (3)<br />

(chiamato Franciscagnu), agricoltore e pastore, si sposava con Innocenzi Angelica; questa coppia molto serena ebbe tre bambini: nel 1858 nacque<br />

Filippo, nel 1863 circa nacque Santa (4) e nel 1869 nacque Erasmo. Filippo, verso il 1885, sposò Piccinelli Giovanna (5). Il 30 dicembre del 1886<br />

ebbero il primo figlio a cui misero nome Pietro Antonio (a ricordo del padre di Giovannina). Egli aveva i capelli e occhi castani: "somigliava<br />

soprattutto alla madre."<br />

D’Ascenzo Maria & Piccinelli Pietrantonio<br />

D’Ascenzo o D’Ascensis Maria ebbe una discendenza un poco complessa dal fatto di aver avuto un amante e più mariti. Per questo motivo voglio<br />

narrare la storia della sua vita per chiarire una volta per tutte la divisione delle sue figliolanze.<br />

Spulciando fra gli Archivi della chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari in Sant’<strong>Anatolia</strong> di Borgorose (RI) trovai il suo nome come D’Ascensis<br />

Maria: ella nacque a Corvaro il 24 febbraio 1829 dal padre Franco e dalla madre Antonia. Verso il 1855 ella fu al servizio come cameriera tuttofare<br />

dell’abate-parroco (forse non lo era ancora abate) don Costantino Placidi, figlio dei più ricchi e potenti signori di Sant’<strong>Anatolia</strong>. Mariuccia sicuramente<br />

in quei tempi era molto attraente, giovane e forse ingenua, fatto sta che ebbe una tresca coll’abate e dalla relazione ne rimase incinta di un figlio<br />

maschio. La famiglia Placidi si impose sulla scena e per evitare lo scandalo obbligò Mariuccia a mantenere il segreto sulla paternità del bambino.<br />

Quest’ultimo fu dichiarato illegittimo e gli fu dato il nome di circostanza di Esposito Antonio (6). Ma in un paese tanto piccolo, dove la gente si<br />

conosce tutta, la notizia della vera paternità del bimbo è difficile da nascondere e difatti essa si sparse e volò veloce di bocca in bocca; poi, il fatto che<br />

Antonio già da bambino, veniva accolto dal vero padre molto affettuosamente e veniva invitato a giocare con i figli del sig. Placidi, era un motivo<br />

ancor più valido per far capire ai maligni la vera indentità paterna del figlio di Maria. Esposito Antonio sin da bambino venne così soprannominato<br />

dagli amici e dai nemici: "Antoniuccio de’ Costantino", nome col quale i vecchi di oggi si ricordano di lui.<br />

Circa nel giugno del 1859 Mariuccia D’Ascenzo (allora ragazza-madre) di circa 30 anni, ebbe una relazione con Piccinelli Pietrantonio di<br />

Sant’<strong>Anatolia</strong> (7). Pietrantonio era il garzone di Costantino Placidi e probabilmente fu quest’ultimo a spingere per fare quel matrimonio.<br />

C’è un ricordo sul padre di Pietrantonio Gabriele ora tramandato in forma di barzelletta che dice:<br />

"Un giorno c’era stata una lite fra Gabriele ed un altro signore a me sconosciuto. A Sant’<strong>Anatolia</strong> c’era un’usanza che, quando venivano i missionari,<br />

essi, al termine del cerimoniale, chiamavano ad uno ad uno gli uomini del paese che avevano dei contrasti con altri e cercavano di portare la pace.<br />

Alla fine della messa, allora, il missionario cominciò a chiamare i litiganti. Per i paesi le notizie girano facilmente ed egli, sapendo della lite che era<br />

in corso fra Piccinelli Gabriele e l’altro, lo chiamò all’altare dicendo: Gabrielone, ti Chiama il Signore !!!. E Gabriele, che assolutamente non voleva<br />

far la pace con l’altro, rispose: Dingi che non ci stenghe !!! e uscì dalla chiesa fra le risa della gente."<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 6/126


Pietrantonio e Mariuccia si sposarono legalmente e il 26 marzo 1860 ebbero la prima figlia <strong>Anatolia</strong>. Quel periodo fu abbastanza sereno per Maria e<br />

prospero di figliolanza: il 27 agosto 1861 nacque loro il secondo figlio a cui fu posto il nome di Luca Antonio. Il 25 febbraio 1863 nacque finalmente<br />

Piccinelli Giovanna (la mia vecchia bisnonna). Giovanna fu battezzata il 27 di febbraio dal Reverendo Canonico J: Scafati e non da Costantino Placidi<br />

e ciò fa capire il rapporto strano che c’era fra l’abate e la famiglia Piccinelli. Madrina di Giovanna fu Angela Maria figlia di Antonio Colabianchi della<br />

terra di Rosciolo (8).<br />

Nella notte fra il 7 e l’8 giugno 1863 una banda di circa trenta briganti "la banda di Cartore" bussò alla porta del palazzo di don Costantino Placidi<br />

chiedendo del pane; questi ordinò al garzone Pietrantonio Piccinelli di aprire il cancello e di dare il pane ai briganti. Era invece una trappola poiché i<br />

briganti, entrati, misero a sacco il palazzo e rubarono tutto quello che poterono. Dopo il sacco i briganti della "comitiva", che scorrazzavano sul monte<br />

di Cartora, presero la strada che conduceva a Rosciolo. Tenevano sequestrati il parroco Placidi ed i suoi garzoni Pietrantonio Piccinelli e<br />

Domenicantonio Luce. Dopo aver percorso circa un miglio di strada, i briganti rilasciarono il Placidi e il Piccinelli mentre il Luce, portato a spalla fin<br />

sul monte di Cartora un sacco contenente cacio, fu rilasciato la mattina dell’8 giugno. Costantino Placidi fu rilasciato a condizione che avesse sborsato<br />

entro 24 ore ducati 1.000 e che non avesse fatto denunzia del sacco sofferto.<br />

Il Placidi si rifugiò a Luco e lì ricevette i biglietti che qui sotto riportiamo:<br />

"Gendilissimo signiore D. Costantino, sono a precarvi amandare tutto ciò che avete promesso. Se volete riavere tutto ciò, che avemo presso di noi, vi<br />

preco di non mangare, appena ricevete il spetito. Se: non mi corrispontete subbite; quello che è stato fatto non è niente. Penngate per la venire --<br />

adio"<br />

Costantino Placidi ricevette questo primo biglietto scritto ad inchiostro per mezzo di Candido D’Ascenzo. Al D’Ascenzo il biglietto era stato dato da<br />

Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva ricevuto da Gaetano di Cristoforo, porcaro. Dal biglietto si arguisce che i 1.000 ducati pretesi dai briganti all’atto<br />

del rilascio del parroco Placidi dovevano servire per riscattare la refurtiva.<br />

Ma, era molto da dubitare sulla volontà di restituzione degli oggetti rubati, prontamente divisi fra i componenti della banda brigantesca.<br />

"Stimatissimo amico, non appena o ricevuto il bigleitto, mi sono carrmato il sague, perché mi era esposto a farvvi un grosso tispiacere. Basta che voi<br />

corispontete a tutto ciò che sie tette, agora si erano esposti per uccitere le quindici giumente che stavano lo vostro casino, ma jo non ho fatte tochare<br />

per ora e per sempre, atteso la vostra parola. Voi mi dite che vi dica il posto dove ci troviamo. Io non posso assicurare il posto preciso ma vi assicuro<br />

a una ora fatto giorno dovete mandare lo spetito abbocca di Teve, non trovantoci al tetto posto, si porrta al vostro casino, e là deve attentere, e sia una<br />

perrsono sicura che ve ne potete fitare. Non mangare, sia subbito per riavere li vostri ogetti."<br />

Il bigliettino è scritto ad inchiostro della stessa mano che ha compilato il primo biglietto. Anche il biglietto in questione fu recapitato al parroco Placidi<br />

da Candido D’Ascenzo, che lo aveva avuto da Pietrantonio Piccinelli. Il biglietto in questione mostra che il prete Placidi aveva iniziato approcci con i<br />

briganti per ottenere la restituzione degli oggetti rubatigli.<br />

E’ possibile che il Placidi avesse iniziato tali approcci semplicemente per acquistar tempo, e, così evitare danni alle proprietà.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 7/126


"Il Capobricante Guivanni Colauti. Carissimo abate, la vostra parola è stasta mancante. Noi avemo aspettato da jo avanti per sapere la vostra<br />

risposta. Fanne asapere se è di si, o di no, come voi mandasti adire, senò pezeremo noi altri asari e riceverete altri asari, di dispaceri, noi siamo<br />

cotenti che avete messala forza al casino. Ciricortevi della promessa quando tirilascesimo".<br />

ll bigliettino è stato scritto ad inchiostro da mano diversa da quella che ha compilato i primi due biglietti.<br />

Il biglietto fu recapitato al parroco Placidi verso la fine del giugno 1863 da Pietrantonio Piccinelli, che l’aveva avuto da Carlo Giuseppe Luce. Questi<br />

aveva avuto il biglietto da Antonio Peduzi, cavallaro comunale di S. <strong>Anatolia</strong>. Il biglietto rappresenta la conferma che il parroco non inviò il denaro<br />

richiesto dai briganti per ottenere la restituzione della refurtiva. Così, solo in tal senso, bisogna accettare la noncuranza completa che il parroco asserì<br />

aver avuto nei confronti dei biglietti pervenutigli.<br />

Le autorità giudiziarie guardavano alle cronache brigantesche come a storia delle malvagità che individui riuniti in banda armata, delinquendo contro le<br />

proprietà e le persone. commettevano in obbrobrio della legge !, e, con l’intento di isolarne il fenomeno, tendevano ad arrestare al semplice sospetto di<br />

connivenza o di favoreggiamento.<br />

Pietrantonio Piccinelli il 27/06/1863, fu arrestato, con mandato di cattura spiccato dal giudice istruttore presso il tribunale del circondario di Aquila,<br />

sotto l’imputazione di associazione a banda armata, e grassazione. Il motivo in particolare dell’arresto fu che egli avrebbe aperto il cancello ai briganti<br />

per permettere loro di saccheggiare il palazzo Placidi. Il 04/07/1863, Mariuccia allora era incinta del quinto figlio, durante il viaggio di traduzione dal<br />

carcere di Fiamignano a quello di Cittaducale, Pietrantonio Piccinelli morì per apoplessia cerebrale nel "Casale Pallante". Nelle tasche della giacca gli<br />

fu rinvenuta la seguente lettera:<br />

Stimatissimo signore D. Costantino, vi fo conoscere lottimo stato di mia buona salute come spero che si di voi<br />

e di tutta la nostra famiglia. Vi fo conosciere che in carcere io ci soffrisco assai,<br />

dunque lo prego di fare limposibele di aiutarmi. Signore, io per fare sempre la vostra volontà mi ratrovo<br />

dentro a queste prigioni, dunque adesso è il tempo di spentere il denaro, perché colle denaro si fa tutto.<br />

Voi ne imprestate tanto quasi senza custo, adesso, se ne spentete pochi perme, credo che ci sia un poco di custo;<br />

e per la coscienza, se voi conziderate che io non ci sto per corba mia, ma bensì per corba vostra, che,<br />

se voi non mi ordinavi di carcilo, io certe sie che non saria caduto in questa desgrazia.<br />

Nella sua dichiarazione del 21 aprile del 1864 Costantino Placidi asseriva: "Simili precisioni non furono date ad arte nelle precedenti dichiarazioni pel<br />

solo riflesso di non inciampare io nei rigori della legge Pica; e mi misi di accordo col detto garzone Piccinelli, onde dichiarasse egli di aver da sé<br />

aperto il portone ai briganti, mentre con mio desiderio che si menasse il pane dalla finestra" (9)<br />

Il 10/02/1864 dopo circa di sette mesi dalla morte di Pietrantonio Mariuccia partoriva il suo quinto figlio (quarto di Pietrantonio) a cui diede il nome di<br />

Ettore. Verso il 1865-8 Mariuccia risposò il fratello di Pietrantonio più giovane di lei, Domenico Antonio Piccinelli (n.3/9/1832). Da quest’ultimo ebbe<br />

due figli: Pietro e Raffaella (nati fra il 1865-’71).<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 8/126


Verso l’anno 1873 Maria D’Ascenzo, protagonista di questa storia, moriva fra i pianti dei suoi sette figli (uno dell’abate, 4 di Pietrantonio, 2 di<br />

Domenico). Più tardi, a complicare ancor più questo intrigo di figliolanze, intervenne una donna forse del Corvaro, Gentile Maria; ella si innamorò di<br />

Domenicantonio Piccinelli ed i due, alcuni anni dopo la morte di Maria, si risposarono (ca.1875). Fra gli anni 1875-’84 ebbero tre figli Vittoria, Cesira<br />

e Giovanni Piccinelli. Il 12/08/1885 con la nascita dell’ultima figlia Berardina si concludeva quella pazza strana storia.<br />

Da Berardina, l’unica che ho conosciuta, con cui ho parlato nell’estate del 1981 quando aveva ben 96 anni, da mia nonna Luisa, da mia madre, dai<br />

parenti, dalle note del libro di Luciano Sarego "Reazione e brigantaggio nel Cicolano, e dalle testimonianze dell’archivio di S.<strong>Anatolia</strong> di Borgorose<br />

(RI), nella parrocchia di S. Nicola di Bari, ho saputo tutte le sopraddette notizie.<br />

Documenti della divisione dell'eredità:<br />

1936: Eredità di Pietrantonio Piccinelli e Mariuccia D'Ascenzo > ai nipoti<br />

1917: Eredità di Filippo Spera > alla moglie Giovanna Piccinelli ed ai figli<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 9/126


Preludio all'incontro<br />

Nei primi mesi del 1897, Giovanna era incinta, Spera Filippo ebbe una violenta lite con un uomo del paese. I due si trovavano in campagna. Filippo<br />

che non era abituato a queste arrabbiature si sentì male e tornò a casa: aveva avuto un attacco cardiaco. Erasmo il fratello più giovane corse per<br />

vendicarlo ma l’altro era già fuggito. Filippo morì poco dopo all’età di 39 anni. Pietrantonio aveva assistito all’età di dieci anni a questa tragedia. Il 9<br />

maggio dell’anno 1897 Piccinelli Giovanna figlia di Mariuccia e di Pietrantonio partorì e diede alla luce un secondo figlio maschio a cui fu posto nome<br />

Filippo a ricordo del padre.<br />

Giovanna aveva 37 anni. Erasmo era alto, biondo e dagli occhi azzurri. Veniva chiamato Rasimuccio. Egli risposò Giovanna, più grande di lui, e da lei<br />

ebbe un figlio che morì appena nato (c. 1900).<br />

La casa della famiglia Spera si trovava nella piazza in cui si trova la chiesa nel paese di sopra (in via della fonte al n° civico 2, di piani 1 vani 2) ;<br />

vicina alla loro casa abitava la famiglia Luce composta dal padre Domenico (10) , dalla madre Peduzzi Vincenza (11) , e dalle figlie Luisa ed Angelina.<br />

Fra le due famiglie c’era un rapporto di reciproca amicizia.<br />

I Luce<br />

Gli uomini della famiglia Luce erano da generazioni dediti alla vita contadina. Essi vivevano coi prodotti della terra ed allevavano alcune specie di<br />

animali. Il compito delle donne era normalmente quello di educare i bambini, aiutare l’uomo nei lavori della terra, tessere e lavare i vestiti, preparare i<br />

pasti alla famiglia, e, spesso, specie nelle famiglie di pastori in cui l’uomo doveva stare per mesi sulla montagna, la donna doveva dirigere anche la<br />

contabilità come le vendite di puledri, di formaggi, di latte, di grano, ecc...<br />

La gente dei Luce è sempre stata molto bonaria, ma anche molto testarda (quando si impuntavano su qualcosa in cui credevano, era difficile<br />

smuoverli). Pare, ma da fonti non troppo certe, che essi provengano dalla vicina regione delle marche.<br />

Notizie settecentesche<br />

Non vi sono molte notizie in data anteriore al 1800; si sa solo che, da documenti esistenti presso la Diocesi di Rieti, i Luce vivevano a S.<strong>Anatolia</strong> per lo<br />

meno dai primi anni del ‘700: infatti, nell’anno 1712, ms. Guinigi vescovo di Rieti, elencando i sacerdoti della parrocchia di S. <strong>Anatolia</strong>, scriveva:<br />

"... XVI) In detta parrocchia vi sono sei Sacerdoti con l’abbate e due chierici cioè: don Giovanni Antonini abbate; don Leonardo Placidi, e don Franco<br />

Antonio Luce canonici; don Alessio Innocenzi e don Tomasso Luce sacerdoti senza beneficio; e Bernardino Luce e Vincenzo Innocenzi chierici. Tutti<br />

vanno in abito e tonsura e servono alla medesima chiesa eccettuato don Tomasso Luce ch’è fuor di Diocesi ... Più avanti, elencando la situazione<br />

generale nel villaggio di S. <strong>Anatolia</strong>, soprattutto i problemi di natura ecclesiastica, scriveva: " ... XXIII) La mamma [= l’ostetrica] è stata esaminata<br />

et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo si chiama Margarita Fracassi e sono da otto anni che esercita.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 10/126


XXIIII) Amico Di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fin hora ... - Il 25 agosto 1783 ms. Marini, vescovo di Rieti, scriveva:<br />

" ... il curato o abbate è in oggi don Germano Amanzi. Li preti sono .... don Agapito Placidi d’anni 84 canonico .... Don Gennaro Luce d’anni 70<br />

canonico come sopra .... Don Urbano Innocenzi d’an. 50 di poco buoni costumi, e ignoranza, e ..... Don Arcangelo Amanzi dedito al vino, ... anche i<br />

costumi sono cattivi. Luigi Placidi chierico di anni 18. Francesco Maria Luce e Carlo Scafati nuovissimi inabili ..."<br />

Quindi di Luce nel 1712 ce n’erano abbastanza a S. <strong>Anatolia</strong> visto che ben tre di essi erano ecclesiastici, ma, la dicitura "fuor di diocesi" , che nel 1712<br />

definiva don Tommaso Luce, ci potrebbe far supporre che fu in quel periodo che i Luce vi giunsero, venendo forse, come dice la tradizione, dalle<br />

marche.<br />

Dalla metà del ‘700 ai primi del ‘900<br />

A Sant’<strong>Anatolia</strong> circa nel 1750 nacque Luce Maurizio di cui i più vecchi ricordano solo il nome. Egli sposò Luce Vincenza ed ebbe due figli: il 13<br />

aprile 1774 nacque Pietropaolo ed il 21 febbraio 1784 Antonio; essi sposarono due sorelle figlie di Luce Vincenzo e di Innocenzi Giovanna, e cioè<br />

Luce Michelina (nata il 30 aprile 1783) e Luce Giacinta (nata il 15 agosto 1786). Pietropaolo e Michelina fecero figli e figlie. Antonio e Giacinta,<br />

ebbero tre figli: il 15 febbraio 1816 nacque Raffaele, il 5 aprile 1823 nacque Maurizio e il 29 aprile 1825 nacque Francesco.<br />

Raffaele sposò Rubeis Francesca e Maurizio sposò Federici Gemma (nata il 5 marzo 1823); i festeggiamenti per le nozze di quest'ultimi furono<br />

maestosi ed ancora oggi si ricordano. Infatti è stato tramandato il detto, usato soprattutto per intromettersi quando si sentono discutere delle persone<br />

animatamente ed a lungo: "che state parlando delle nozze di Maurizio ???" (12). Ambedue le coppie fecero figli e figlie.<br />

Verso il 1855 Luce Francesco sposò Spera Giovannagata (13); essi ebbero cinque figli: il 27 febbraio 1856 nacque Antonio (14); il 5 dicembre 1857<br />

Maria (15) ; il 29 settembre 1860 Caterina; circa nel 1861 Giacinta; e il 7 giugno 1863 Domenico.<br />

Nella primavera del 1892 Luce Domenico sposò Peduzzi Vincenza figlia di Angelantonio e di Cimini Chiara (16). Essi andarono ad abitare (ereditando<br />

la casa) nella piazza in cui si trova la chiesa di S. Nicola di Bari (nel paese alto). Il 30 aprile del 1893 nacque loro la prima bambina a cui misero nome<br />

Luisa; sette anni dopo, nel 1900, nacque loro una seconda figlia, a cui misero nome Angela rallevando il padre di Peduzzi Vincenza. Vicina alla loro si<br />

trovava la casa della famiglia Spera, composta da Spera Erasmo (Rasimuccio), da Piccinelli Giovanna (la moglie) e dai figli Pietrantonio e Filippo.<br />

Circa nel 1910 Domenico assieme a Pietrantonio Spera, emigrarono in America per poter lavorare. Domenico vi rimase per sempre: per alcuni anni<br />

continuò a mandare denari alla famiglia, poi le sue notizie si fecero sempre più rare. Negli anni fra il 1910-13 in cui alla famiglia Luce mancava un<br />

uomo che le aiutasse nel mantenimento, le figlie di Vincenza ed anche lei stessa, si arrangiavano come potevano, e fra l’altro, vendevano delle calzette<br />

che loro stesse nelle lunghe notti solitarie facevano con i ferri.<br />

Gli Spera & i Luce<br />

Pietrantonio nel 1913 tornò a Sant’<strong>Anatolia</strong>; aveva fatta fortuna con molti sacrifici. Egli, nel febbraio del 1914 sposò la figlia più grande di Luce<br />

Domenico, Luisa, che aveva allora 20 anni. Le loro nozze furono molto rinomate:<br />

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Luce Giovanni, cugino di Luisa, tornò persino dall’America per assistere al matrimonio, e, sempre lui per festeggiare, gettò, non come normalmente<br />

delle semplici manciate di confetti, ma sacchi e sacchi di questi dolci.<br />

Con i soldi riportati dall’America, Pietrantonio si costruì una palazzina a tre piani, con scale esterne, stalle, fienile, molte camere e terrazzi. Il 30<br />

dicembre 1914 nacque loro una figlia a cui misero nome Angela (rallevando Angelica ed il marito Francescangelo genitori di Filippo ed inoltre il padre<br />

di Vincenza, Peduzzi Angelantonio).<br />

Terremoto del 1915 e prima guerra mondiale<br />

Però la fortuna non era ancora dalla loro parte: Nel 1915 vi fu il famoso terremoto che distrusse tutta la zona circostante al lago Fucino e che fece circa<br />

25.000 vittime. Chi conosce la zona sa che S.<strong>Anatolia</strong> si trova a soli 15 Km. dal Fucino. La palazzina di Pietrantonio era molto resistente ma non<br />

abbastanza per una simile scossa sismica. Tutte le scalinate ed i terrazzi caddero ma fortunatamente nella famiglia non vi furono morti. Questa<br />

palazzina, come molte altre, fu considerata pericolante e venne abbattuta da operai del comune. Da allora la famiglia, con anche Rasimuccio,<br />

Giovannina e Vincenza si rifugiò in baracche e tendaggi. Nel 1921-22 il comune fabbricò varie case antisismiche in cui loro poterono entrarvi solo nel<br />

1924 occupandole abusivamente. A S.<strong>Anatolia</strong> a causa del terremoto vi furono circa 86 vittime.<br />

Sempre nel 1915 scoppiò la prima guerra mondiale e Pietrantonio dovette arruolarsi. Egli partecipò alla guerra e fu nominato Cavaliere all’Ordine di<br />

Vittorio Veneto. In particolare Pietrantonio partecipò alla campagna Italo-Tedesca e A.O.I. (Africa Orientale Italiana) col grado di C.N.S.<br />

Nel 1918 tornò a S. <strong>Anatolia</strong> e l’11 maggio 1919 gli nacque il primo figlio maschio che chiamò Francesco a ricordo di Francescangelo e del padre di<br />

Luce Domenico Francesco.<br />

Nel 1919-20 giunse dall’America la notizia dell’infelice morte di Domenico che tolse alla moglie la speranza di rivederlo. L’anno dopo (1921) nacque<br />

il secondo figlio maschio a cui si volle dare il nome del padre di Luisa, Domenico.<br />

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Il Barone Masciarelli<br />

Francesco Spera di Pietrantonio e Luisa Luce<br />

Sebbene l’ignoranza presso i paesani era molto intensa, si citano dei fatti che ci fanno molto pensare: c’era gente che ad ogni costo, con modi spesso<br />

violenti ed organizzati, cercava di ribellarsi alla volontà dei Signori ed alle ingiustizie dei Governanti. Questi paesani venivano sempre messi da parte<br />

nei problemi della Provincia e venivano ricordati solo quando c’era da andare in guerra o c’era da pagare le tasse. Durante gli anni del dopoguerra circa<br />

1919-20 la fame in quei paesi era molto intensa e non c’era abbastanza fieno per sfamare il bestiame. I paesani allora, per risolvere questi problemi,<br />

mandavano le mucche (tutte quelle del paese assieme) in terreni più fertili anche se non di loro proprietà. Il più grande proprietario, in quei dintorni, era<br />

il Barone Masciarelli. Egli possedeva, da Magliano de’ Marsi fin presso Torano (lungo il corso del fiume Salto), quasi tutti i terreni più fertili della<br />

zona. La sua fattoria stava a S. Biagio vicino alla valle della Maddalena. Un giorno le mucche di S. <strong>Anatolia</strong>, pascolando, giunsero nelle sue terre. Era<br />

una mandria molto numerosa ed il barone, con la scusa che si trovava nelle sue terre, la portò nelle sue stalle a Magliano.<br />

Quella mandria era la primaria fonte di sostentamento per il paese: dalle vacche si ricava il latte, dal latte il formaggio, il burro, la ricotta; senza vacche<br />

l’aratro è inservibile e inoltre la carne dei vitelli e buoi è molto nutriente. Quando seppero del furto i paesani, molti dei quali erano appena tornati dalla<br />

guerra, si organizzarono: presero bastoni, forconi, ed armi simili, si misero in sella ad asini e cavalli, e partirono verso S. Biagio decisi a riprendersi il<br />

bestiame.<br />

Rasimuccio era fra i capi di questa banda: "...Era alto, biondo e aveva un bastone in mano".<br />

A S. Biagio tutti per paura si erano nascosti. Quando i paesani videro che nelle stalle non c’erano bestie si misero a cercare il barone gridando minacce:<br />

lo cercarono in casa, persino sotto il letto, nelle stalle, ecc. ma non c’era. Le guardie del barone, impaurite, dissero subito loro dove si trovavano le<br />

vacche e questo per evitare che si facesse del male a Masciarelli. Tutti i paesani lasciarono S. Biagio ed andarono verso Magliano de’ Marsi.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 13/126


Lì la notizia dell’imminente arrivo di quella banda si era già propagata e fra i maglianesi si sentivano delle urla impaurite come: "... Currate, arrivano<br />

quissi de’ Sant’Anatoglia !!!".<br />

Riprese le bestie, i paesani tornarono verso il paese fieri di ciò che avevano fatto; a metà strada però, contandole, si accorsero che mancava un asino e<br />

tutti, tranne alcuni che rimasero di guardia alla mandria, tornarono di nuovo a Magliano per prendere l’unica bestia rimasta. Tutti insieme per aiutare<br />

uno solo di loro (Fra i tanti che parteciparono a questa scorribanda vi furono: Rubeis Vincenzo, Spera Pietrantonio, Spera Filippo, etc.)<br />

Il Capitano e suo figlio Pietro<br />

Una sera il sindaco di S. <strong>Anatolia</strong>, Giuseppe Panei, invitò Rasimuccio in casa sua. Gli aveva preparata una piccola sorpresa; il Sindaco, ricordandogli<br />

delle sue piccole imprese, lo nominò, (scherzando) fra la gioia dei paesani, "Comandante di Sant’<strong>Anatolia</strong>" . Rasimuccio già veniva chiamato Il<br />

Capitano e da allora questo appellativo si rinforzò e gli fu dato per tutta la vita.<br />

Il 1 gennaio del 1921 Pietrantonio Spera si iscrisse alla Associazione Nazionale Combattenti, lo stesso anno il fascismo andava al potere. Nel 1940<br />

(anno fascista XVIII°) Pietrantonio rinnovava il tesserino e questo col n.323184 ancora oggi si possiede. Il rinnovo avvenne ancora nel 1946 (tessera<br />

n.378724) nel 1961 (tessera n.869426 Associazione Nazionale Combattenti e Reduci). Nel 1959, il 18 marzo, Pietrantonio si iscrisse o rinnovò<br />

l’iscrizione all'Associazione Nazionale Famiglie, Caduti e Dispersi in Guerra' nella qualità di Padre del caduto Spera Domenico (di cui parlerò oltre)<br />

con tessera n.332802 che ancora si possiede. Nel 1969 sempre Pietrantonio si iscrisse alla Comunità di Lavoro con tessera n.31398.<br />

La Cambiale avallata<br />

Verso l’anno 1925 successe un fatto molto sfortunato per la famiglia: Maddalena (17), cugina di Pietrantonio, si sposò<br />

con un certo Amedeo Fortuna. Essi volevano emigrare in America, ma non avevano abbastanza soldi per il viaggio.<br />

Allora chiesero un prestito al fratello di Amedeo che volle però in garanzia una cambiale avallata (l’avallo è una garanzia<br />

per il pagamento della cambiale; se la cambiale non viene pagata dal debitore, l’avallante dovrà pagare per esso).<br />

Essi andarono allora da Pietrantonio e chiesero a lui di fare da avallante. Pietrantonio non ne voleva saper nulla di metter<br />

la firma sulla cambiale, ma con varie scuse ed insistenze, ed ignaro di ciò che poteva succedere, accettò in buona fede<br />

con la cugina. Appena firmata la cambiale, il fratello di Amedeo disse (con aria ironica): "...Eh’ Pietruccio mio, se non<br />

paga Amedeo, pagherai tu !!!". A queste parole Pietrantonio capì di essere stato ingannato, e lo picchiò, ma ormai il<br />

danno era stato fatto.<br />

C’è un documento che io conservo datato 12/10/1925 che sembra avere qualche relazione col fatto accaduto e qui di<br />

seguito lo riporto anche se non se ne capisce bene il significato: “Lanno 1925 il giorno 12 Ottobre in S. <strong>Anatolia</strong>. Il<br />

Sottoscritto Ameteo Fortuna fu Francesco Riceve la scrittura fatta e firmata da tutti tre i sù convenuti copagni cioè Spera<br />

Pietro e Rubeis Francesco atutte loro la richietono il Fortuna la deve presendare a i copagni. Fortuna Amedeo, Spera<br />

Pietro, Francesco Rubeis, Antonio Luce testimonio.”<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 14/126


Maddalena ed Amedeo emigrarono ma lì non ebbero fortuna; Pietrantonio non ricevette mai quei soldi e dovette vendersi le bestie ed alcuni terreni per<br />

pagare. Quel periodo fu molto triste. Egli dovette far molti debiti. Piccinelli Luca per ripagarsi del male che aveva fatto la figlia, diede a Pietrantonio<br />

alcuni terreni che per eredità dovevano toccare a Maddalena, non bastanti però ad estinguere il debito. Infine Pietrantonio riuscì a sdebitarsi e la sua<br />

famiglia a poco a poco si riprese.<br />

Fra il 1920 e il 1934<br />

Nel 1920-’24 il fratello di Pietrantonio, Filippo si sposò con la sorella di Luisa, Angelina; essi ebbero cinque figli. Il 10 ottobre del 1924 nacque a<br />

Pietrantonio e Luisa la seconda figlia che, per devozione verso la santa del paese, fu chiamata <strong>Anatolia</strong>. Intanto Angela, la primogenita, aveva smesso<br />

di andare a scuola e già aiutava la mamma nei lavori di casa. Francesco invece aveva iniziato le elementari che avrebbe smesso dopo pochi anni. In<br />

quel tempo, poter andare a scuola, era un lusso solo per i ricchi ed era già molto se un contadino mandasse i propri figli alle elementari. Per questo<br />

motivo l’ignoranza era trionfante.<br />

Il 14 novembre 1926 nacque la terza figlia che per metter un po’ d’allegria alla casa fu chiamata Gioconda. Il 17 gennaio 1929 nacque il terzo figlio<br />

maschio che rallevò Rasimuccio col nome Erasmo (chiamato Remo). Il 24 luglio 1932 nacque la quarta figlia che rallevò la madre di Luisa col nome<br />

Vincenza. Il 13 novembre 1934 nacque la quinta figlia (mia madre) che rallevò la madre di Piccinelli Giovannina col nome di Maria. In tutto,<br />

Pietrantonio e Luisa, ebbero otto figli. Cinque femmine e tre maschi. Nel 1934 Angela, la maggiore, si sposò con Rubeis Vincenzo, e l’anno dopo ebbe<br />

il primo figlio a cui mise nome Piero. Verso il 1926 Peduzzi Vincenza (la madre di Luisa) ebbe una paralisi che poi guarì; 8 anni dopo, nel 1934 morì di<br />

morte naturale (aveva 75 anni).<br />

1937 Carta d'identità di Pietrantonio Spera<br />

Nel febbraio del 1939 alla vigilia della guerra Pietrantonio e Luisa festeggiavano le loro nozze d’argento dopo 25 anni di matrimonio, in cui si erano<br />

alternati momenti di felicità e di dolore, ma il peggio doveva purtroppo ancora venire.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 15/126


Spera Domenico e la seconda guerra mondiale<br />

Nel 1939 anno scoppiò la II° guerra mondiale (1939-1945). Spera Domenico figlio di Pietrantonio si arruolò, aveva appena 18 anni. Egli era un soldato<br />

semplice e fu mandato a svolgere il suo servizio nei confini fra l’Italia e la Iugoslavia.<br />

Battaglione Carabinieri - Domenico Spera<br />

Nell’intervallo di tempo fra il 1939-1945, Domenico scrisse molte lettere a cui la famiglia rispondeva. Di queste lettere ne sono rimaste cinque che<br />

recitano così:<br />

1) - Fiume lì 12-1-’43. Miei carissimi. - Sono veramente felice riguardo i Nostri scritti, ma un po’ di timore provo per<br />

la situazione che ora ci troviamo, specialmente per Voi cari. Solo Iddio, oh! miei familiari, ci potrà aiutare, di resto<br />

tutto si spera in lui. Come ripeto mi congrado con grande piacere alla vostra salute, che mi fate noto nella lettera,<br />

altrettanto vi faccio nota del mio stato che si trova in perfetta salute grazie a Dio. Carissimi mi fate sapere qualche<br />

cosa di nuovo ? Almeno sottinteso ? Qui si sta tranquilli, meglio di qualche altro posto fin’ora. Non ho cose da dirvi,<br />

solo mi auguro una buona salute acciocché un giorno felice ci possiamo rabbracciarsi, sarà quel giorno ? Lo spero.<br />

Saluti a tutti i parenti.<br />

2) - Fiume 6-3-’43 XXI°. Carissimi - Son già parecchi giorni che aspettavo le Vostre amate notizie, per dirvi più di<br />

tutto qualche novità molto interessante: Sentite cari, come sapete, che da molto tempo la mia idea si dirigeva al suo<br />

avvenire, per soddisfarsi quanto pensava. Quinti ora posso comunicarvi, che io sto raggiungento le mie famose idee,<br />

cioè quello di (studiare) ora ne sono al corrente, spero che tutto mi vada bene. Voglio dirvi però miei cari, che me se<br />

ne vanno parecchi soldi e non so se potrò tirare avanti con i miei, io spero che se ne ho bisogno, mi aiutate anche voi<br />

cari.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 16/126


Sappiate pure, che solo per comperare i libri c’è voluto 300 lire ora potete immaginarvi quanto sto a fare al meglio possibile, per altro soldi non ne<br />

sciupo, non faccio altro, che andare di servizio e studiare, voglio dirvi tutto, il maestro che mi fa scuola mi viene a costare 200 lire al mese, quanto di<br />

più e quanto di meno a secondo le volte che vado; la mia paga normalmente è di £. 370 al mese. Così dicendovi tutto vi regolate anche voi, la vita che<br />

faccio io. Altro non ci ho da dirvi, per il fatto di Gina mi ha scritto ancora 5 cartoline ed una lettera ma io non ci ho risposto a nessuna. Voglio esser<br />

tranquillo per il momento. Spero solo che il buon Dio ci aiuti e ci mantenca la salute bene conservata a sé. Vi saluto affettuosamente chi vi vuole bene<br />

vostro figlio aff.mo Domenico (Rispondete subito) (Non date tanto la voce di questo che vi ho detto)<br />

3) - Fiume lì 9-2-’44. Carissimi.- Giorni fà ho scritta un’altra lettera nella quale vi ho fatto nota dell’attesa dei vostri<br />

scritti, finalmente ora con massima gioia ho fra le mie mani una graditissima lettera da voi scritta, giorno 7-1-44. Solo in<br />

sostanza questa lettera è un po’ disaggiata, in quanto mi fate nota del vostro forte pensiero, ed inoltre, quel che impietosisce<br />

della notizia di Isaia, ma poi in verità l’avevo già immaginato, quel che poteva esser successo di lui, poiché tante volte ho<br />

scritto ai suoi di casa e non mi facevano risposta, appunto perché dovevano darmi cattiva notizia. Pazienza ! - Tutto ciò è<br />

quel che Dio vuole. Quinti io in complesso sono immensamente felice e tranquillo di aver ricevute le vostre notizie,<br />

speriamo che Iddio ci le conservi e mai ci faccia restare privi di esse. Quanto mi riscrivete mi fate sapere se fin’ora c’è stato<br />

nessuno che vi ha disturbati nel nostro paesello, se ci sono le mosche ingiro io spero di no; so bene però che ad Avezzano<br />

spesso spesso li risvegliamo ... Ora voglio assicurarvi la mia salute che è sempre in buono stato grazie al buon Dio, che<br />

tanto mi protegge, me e voi cari. Mi compiaccio poi all’amore del nostro fratello Francesco con la sig.na Quinta<br />

. I vecchi come vanno ? Mi danno molto pensiero, a causa, se dovesse succede quel che non ce lo<br />

auguriamo; invio a loro i particolari saluti, e l’agurio che si mantengano forti. Saluti e baci a tutti in famiglia, saluti ancora<br />

a tutti i nostri più stretti parenti e compari, bacetti a tutti i piccoli. Particolarmente poi saluti a Francesco e sua amata, di<br />

nuovo bacioni a tutti il Vostro figlio Domenico. Buone cose auguri.....<br />

4)- Fiume lì 2-3-44. - Carissimi, Grazie al buon Dio, mi trovo felicissimo d’aver ricevuti vostri nuovi scritti, dai quali ho<br />

trovato una sostanza dilettevole. La sostanza dilettevole, soprattutto è quello di sentire il vostro ottimo stato di salute, e poi,<br />

anche molto mi fa piacere, sentire che la commare si è fatta persuasa di ciò che non poteva accadere. Riguardo poi la<br />

formalità dell’uomo mi è indifferente, anzi le farete i miei migliori auguri. Per quanto riguarda quel che mi avete spiegato<br />

per Francesco io me ne congrato; però non vorrei che succedesse un avvenimento tale senza la mia presenza, perché me ne<br />

risentirei fortemente in quanto già due ne sono andate a male, e cioè quelle di Angela e quelle della baldanzosa Nicolina;<br />

ciò però, non sia per offesa ! Speriamo per il tempo che avete prestabilito che tutto sia in pace, ed io fra voi cari. Io sto<br />

benissimo grazie a Dio altrettanto mi auguro per voi tutti. Saluti a tutti, vi bacio a tutti in famiglia sono il vostro Domenico.<br />

Saluti particolari a Nicolina e al suo marito Angelino, la ringrazio dello scritto aggiunto alla vostra lettera. Una<br />

raccomandazione interessante. Cercherete il modo possibile di farvi rilasciare dalla signorina Agnesina, un altro nuovo mio<br />

certificato di studio, perché quello, che avevo è stato inoltrato con la domanda, per essere ammesso nei carabinieri, quindi<br />

non è più il caso di riaverlo. Ora, datosi che mi necessita molto, prego voi e quanto più la g. signorina, di assistermi alle<br />

mie richieste. Infiniti ringraziamenti a lei e voi tutti. Saluti Domenico<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 17/126


5) - Fiume lì 6-5-’44. Miei cari - Ho ben compreso la vostra buona volontà; ma pur troppo, di ciò che vi hanno informato, al<br />

nostro Comune, per il rilascio della carta di identità è impossibile in quanto bisogna risultare iscritti in questo Monicipio (di<br />

Fiume), Ed allora, datosi che io non posso iscrivermi, perché sono un militare, e per giunta non effettivo, mi è assolutamente<br />

escluso questo favore. Ebbene, ora vi rinvio di nuovo le fotografie, così voi vedrete, con preghiera e santa pazienza, di<br />

farvela rilasciare in un foglio provvisorio, del quale gl’impiegati sanno bene. Se vedete che è proprio impossibile, non state a<br />

prendervi pena, poiché se Iddio vuole saremo ben guardati. Io sto benissimo, attento i famosi documenti che vi ho chiesti, e<br />

torno di nuovo a pregarvi, che mi siano mandati al più presto. Sono molto contento delle Vostre notizie, grazie a Dio,<br />

specialmente sentento i vari nomi dei nostri cari parenti compari ecc. Non ci auguriamo altro, che un presto ritorno gioioso,<br />

per il momento vi giungano a voi tutti in famiglia e a tutti i parenti e compari, piccoli, e grandi i più distinti saluti e affettuosi<br />

bacioni. Il Vostro Domenico. Scrivete spesso non aspettate le<br />

mie lettere perché possono ritardare. saluti ciao Domenico.<br />

Caso mai le fotografie potete tenerle Voi.<br />

Nel 1945 i genitori chiesero notizie del figlio e con la lettera del 21 marzo 1946 il<br />

Comitato Cittadino della Croce Rossa lo dichiarava irreperibile.<br />

Domenico, come scriveva in alcune lettere, ci teneva molto ad essere istruito. Durante la<br />

guerra si iscrisse ad una scuola a pagamento e sostenne alcuni esami. Egli era ospite<br />

presso una famiglia che lo teneva molto in<br />

considerazione: da questi e veniva chiamato il<br />

principino . La signora che lo ospitava doveva<br />

essere una certa Stambulich Anna all'indirizzo<br />

della quale i miei nonni in seguito si rivolsero per<br />

avere notizie di Domenico.<br />

Nel 1945, quando giunsero a Fiume i partigiani,<br />

Domenico si vestì in borghese e si avviò, assieme<br />

ad un amico che poi ha raccontato questa storia,<br />

verso S. <strong>Anatolia</strong>. L’altro aveva gettato via tutti i<br />

documenti mentre Domenico, che ci teneva molto<br />

ai suoi diplomi, li tenne con sé. A Fiume i<br />

partigiani, al comando del maresciallo Jugoslavo<br />

Tito, lo fermarono. Il suo amico fu rilasciato ma<br />

Domenico, che con i suoi documenti si identificava<br />

come carabiniere, venne passato per le armi. Fiume<br />

in seguito divenne città Jugoslava.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 18/126


I rifugiati stranieri e l’arrivo dei Tedeschi<br />

A S. <strong>Anatolia</strong> in principio la guerra non fu molto sentita. L’unico pensiero che intristiva la gente era il<br />

fatto che molti ragazzi, parenti ed amici, si trovavano al fronte. Verso il 1942 alcuni stranieri, inglesi e<br />

polacchi, sfuggiti ai tedeschi, si rifugiarono, come in molti altri paesi e città d’Italia, a S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Pietrantonio e Luisa ne ospitarono tre. Questi dormivano nei pagliai, mangiavano in casa e si facevano<br />

capire a versi. Essi si affezionarono molto e divennero come altri membri della famiglia. Era inverno e<br />

la sera quando tutti si mettevano in circolo intorno al caminetto i tre raccontavano le loro storie e<br />

Maria, la figlia minore, spesso intonava delle canzonette allora molto conosciute; erano spesso canzoni<br />

contro l’Inghilterra e da lei cantate ingenuamente; a sentirla gli stranieri e tutta la famiglia ridevano.<br />

Passarono i mesi ed a S. <strong>Anatolia</strong> giunsero i Tedeschi.<br />

Nei primi mesi del 1943 i rifugiati stranieri di S. <strong>Anatolia</strong> dovettero fuggire. Pietrantonio e Luisa<br />

diedero ai tre dei vestiti, del cibo ed altre cose che potevano occorrere loro ed infine li salutarono. Fu<br />

un addio commovente. Ormai tutti nella famiglia si erano affezionati a loro ed essi si erano affezionati<br />

alla famiglia: Lanciotti Quinta, fidanzata con Francesco Spera, scambiò con loro gli indirizzi. Poi la<br />

notte partirono e di loro non si ebbe più notizia.<br />

Dopo alcune settimane dalla partenza degli stranieri, i tedeschi entrarono in S.<strong>Anatolia</strong>. Nel paese di<br />

sopra ed esattamente nella casa dove abita il parroco, vi fecero un piccolo comando, con pronto<br />

soccorso ed ospedale. Nel giugno del 1943 giunse la notizia che in quelle colline e per altre parti<br />

d’Abruzzo, vi sarebbe stata la guerra e già i tedeschi scavavano trincee, ergevano barricate in pietra e<br />

piazzavano i fili spinati. In quel tempo quasi tutti i paesani fuggirono in montagna e fra essi anche la<br />

famiglia Spera. Essi si rifugiarono in alcune grotte molto profonde che potevano proteggere oltre che<br />

dalle bombe, anche dalla pioggia e dai venti.<br />

La fine della guerra<br />

Con l’arrivo degli americani i tedeschi si diedero alla fuga e in paese la guerra non apportò più distruzioni. Ormai in<br />

Italia era la fine della II° Guerra Mondiale, la fine della Monarchia e del Fascismo, e nel 1946 la nascita della<br />

Repubblica.<br />

Nel 1944 Francesco Spera (il secondogenito) si era sposato con Lanciotti Quinta e due anni dopo nel 1946, a distanza<br />

di pochi mesi l’uno dall’altra, morivano, dopo una vita molto serena, prima Spera Erasmo (Rasimuccio) a 77 anni, poi<br />

Piccinelli Giovanna la moglie all’età di 86 anni. Dal 1946 la vita per la famiglia cominciò ad essere più tranquilla.<br />

Ormai i figli si cominciavano a sposare e, uno dopo l’altro, lasciavano la casa paterna.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 19/126


Domenico era morto, Francesco ed Angela si erano sposati, e nella famiglia erano rimasti 5 figli ancora da sistemare. La guerra aveva apportato molto<br />

malessere, ma a loro, che vivevano coi prodotti della natura, non molto era cambiato al confronto dell’anteguerra, e con le leggi della nuova<br />

Repubblica, per essi la vita in parte migliorò.<br />

La fine della guerra aveva resi felici i bambini come Maria, allora 11 enne, o Vincenza, già signorina a 13 anni, ma per Remo 16 enne, ed i più grandi,<br />

aveva portato la tristezza per il ricordo dei parenti morti (Vincenza, Domenico, Giovannina e soprattutto Rasimuccio). Angela e Filippo rispettivamente<br />

sorella e fratello di Luisa e Pietrantonio ebbero cinque figli: Nicolina, Giovanna, Vincenzo, Giacomo e Mario. Nicolina nel 1945 ebbe il primo figlio<br />

dal marito Giampietri Angelo. Al figlio fu posto il nome Gino. Il 30 dicembre del 1946 Pietrantonio ancora triste per la morte dei genitori, festeggiava<br />

il suo 60° anno di età. Luisa ne aveva compiuti 53 il 30 di aprile.<br />

Note<br />

1. Il fatto mi è stato raccontato da Domenico Spera fu Antonio (fu Lino < -- fratello di Francescangelo): era cugino in seconda di nonno<br />

Pietrantonio - Domenico Spera è morto nel 1981.<br />

2. Bonifacio Spera era nato a S.<strong>Anatolia</strong> il 14 maggio 1782 e Santa il 1 novembre 1790.<br />

3. Francescangelo ebbe tre fratelli Nicola, Lino e Angelantonio; 1) Nicola fu padre di Lino che sposò Paola ed ebbe tre figli: Rosa, Nicola (marito<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 20/126


di Sgrilletti Eufelia e padre di Luigina, Paolo e Lino) e Luigi (morto in guerra); 2) Lino nato il 17/2/1822 sposò dapprima Piccinelli Gio: Paola<br />

nata il 26/01/1824 poi alla morte di questa risposò D'Agostino Grazia nata il 26/10/1829: da Piccinelli Gio:Paola ebbe 4 figli: Antonio (marito<br />

di Zuccaretti Nicoletta e padre di Domenico, Mariagrazia, Giuseppe e Maddalena), Nicola (nato il 25/7/1855), Luigi (n. 4/11/1856) e Berardo<br />

(n. 16/3/1860 - marito di Maria e padre di Antonio e Vincenzo); 3) Angelantonio nato il 1/5/1820 sposò Luce Gaetana ed ebbe tre figli: Marta<br />

Felice (n.15/3/1852), Bonifacio (n.8/1/1855) e Maria Vittoria (n.21/11/1859)<br />

4. Santa sposò Luigi Rosati<br />

5. Giovanna, nata a S.<strong>Anatolia</strong> il 25/02/1863, era figlia di Pietrantonio Piccinelli e di Maria D'Ascenzo di Corvaro.<br />

6. Esposito è un cognome napoletano che si dava ai figli illegittimi. Esposito = esposto, esposto al pericolo.<br />

7. Pietrantonio Piccinelli, nato a S.<strong>Anatolia</strong> il 7/12/1826, era figlio di Gabriele "Gabrielone", n. a Grotti 6 nov. 1785, e di Vittoria Di Pietrantonio,<br />

n. 25 set. 1798; il padre di Vittoria, Luca Di Pietrantonio, era nato il 16 ottobre 1775.<br />

8. Atto di battesimo in: parrocchia di S.Nicola di Bari a Sant'<strong>Anatolia</strong> - Borgorose (RI): "Anno Domini millesimo octincentesimo sexagesimo<br />

tertio die vigesima septima februarii R. Can. J. Scafati de mea licentia baptizavit infantem nudius tertius post solis ortum ex coniugibus Petro<br />

Antonio Piccinelli hujus pavecie et Maria D'Ascensis terre Corbarii natam cui nomen posuit Joanna, matrina fuit Angela Maria filia Antonii<br />

Colabianchi terre Roscoli. In quorum fidem. C. Placidi ab. cu.".<br />

9. Alcune notizie sono tratte dal libro di Luciano Sarego: Reazione e Brigantaggio nel Cicolano (1860-67).<br />

10.Da ricordare che Domenico era figlio di Francesco Luce e Giovannagata Spera (padre di Giovannagata fu Giovanni Spera) .<br />

11.Vincenza Peduzzi fu figlia di Angelantonio e di Chiara Cimini.<br />

12.Da un Racconto di Luisa Luce<br />

13.Giovannagata Spera, nata il 20 novembre 1831, era figlia di Giovanni e di Luisa Fracassi. Giovanni era nato il 19 febbraio del 1800 e Luisa il<br />

21 giugno 1803 o 6; Giovanni era figlio di Gio: Pietro Spera, nato il 29 giugno 1760, e di Giovannagata Amanzi; Luisa era figlia di Croce<br />

Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di Pasqua, di cui non si sa il cognome, nata il 13 marzo 1773.<br />

14.Antonio Luce sposò Caterina Peduzzi e dei loro 5 figli, Giovanni sposò Rita Tupone mia zia.<br />

15.Angela Maria Nicola Luce sposò Domenicantonio Passalacqua ed ebbe una figlia Vittoria.<br />

16.Chiara Cimini, nativa di Castelmenardo, era sorella di Pasquarosa moglie di Giuseppe Spera. Angelantonio Peduzzi, il marito, era nato il 20<br />

maggio 1820 ed era figlio di Francesco e di Berardina Fracassi. Francesco era nato il 4 ottobre 1794 mentre Berardina il 6 dicembre 1793.<br />

Francesco Peduzzi era figlio di Pasquale, nato il 17 maggio 1770, e di Vincenza Di Gasbarro, sorella di un certo Giovannantonio. Berardina<br />

Fracassi invece, sorella di Luisa (vedi sopra nota n. 12), era figlia di Croce Fracassi, nato il 3 maggio 1772 e di una certa Pasqua di cui non si sa<br />

il cognome, nata il 13 marzo 1773. Vincenza Peduzzi, moglie di Domenico Luce e figlia di Angelantonio e di Chiara Cimini, era nata il 27<br />

dicembre 1861.<br />

17.Maddalena Piccinelli era figlia di Luca un fratello di Giovanna.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 21/126


Appendice II - Racconti e Tradizioni Orali<br />

Vita della Santa Martire <strong>Anatolia</strong> - Invasione degli zingari e formazione del paese antico - L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie - Fuga<br />

da Cartore alle Case Vecchie - Gli Zingari - I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie' - La zona Scannacavagli - Pitti a Catasto - Zacchè il falsario - Il<br />

terremoto del 1915 - La rivolta del luglio 1944 - Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

Vita della Santa Martire <strong>Anatolia</strong><br />

Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> era figlia di un ricco di Subiaco che la voleva far sposare con alcuni conti o principi. Sant'<strong>Anatolia</strong> invece aveva giurato di rimanere casta<br />

e pura e soprattutto Vergine per Cristo, e così decise di darsi alla vita Cristiana; il padre allora la mise dentro una casettina con moltissimi serpenti per<br />

vendicarsi ed ucciderla; ma ella, quando dopo tante ore fu tirata fuori da questa casa, aveva tutte queste bestie attorcigliate intorno al corpo, e per<br />

miracolo nessuna l'aveva morsicata.<br />

A questo punto S. <strong>Anatolia</strong> scappò dal padre cioè da Subiaco ma quest'ultimo non si accontentò della prima prova e gli mandò due piccoli eserciti di<br />

uomini per riprenderla o ucciderla. Quando questi eserciti l'ebbero accerchiata, S.<strong>Anatolia</strong> fece un altro miracolo e cioè, disse alle nuvole di scendere<br />

sopra di lei e dell'esercito di modo che nessuno la poteva vedere; A quel punto da una parte e dall'altra i due eserciti fecero fuoco e si uccisero a<br />

vicenda. S. <strong>Anatolia</strong> andò allora a Tora.<br />

Lì incontrò due cacciatori di Rosciolo che le chiesero chi era e cosa stava facendo lì in quella valle. Allora S.<strong>Anatolia</strong> rispose loro: Sulla terra in cui<br />

spirerò, molte grazie io farò". Ella non disse più nulla ma, rotta dalle lunghe fatiche e tormenti, morì. La Santa spirò proprio in mezzo a degli spini,<br />

onde fu difficile per i due di Rosciolo riprenderne il corpo. Comunque con molta fatica presero il suo corpo e lo riportarono dal padre a Subiaco. Ma,<br />

queste sono le ultime parole di mio zio: a S. <strong>Anatolia</strong> in Tora, dov'è morta, essa fa molte grazie, mentre a Subiaco ella non farà mai nessuna grazia.<br />

Distruzione di Tora, invasione degli zingari e formazione del paese<br />

Da un racconto di Giovanni Sgrilletti, paesano - 01/09/1980<br />

"La distruzione di Tora avvenne circa 700 anni fa' ed in questo modo: c'erano due imperatori in lite, uno di nome Corradini ed un altro di nome Carlo<br />

d'Escia. Con le loro battaglie avvenne la distruzione di Tora. I cittadini di Tora fuggirono nei paesi vicini e pochi rimasero fra i resti della città. Dopo<br />

alcuni anni, sui resti di Tora si era formata una folta vegetazione, giunsero nei pressi di Tora alcune carovane di zingari che, vistosi scacciate da tutti gli<br />

altri paesi e trovata l'acqua fra i resti della città, vi si accamparono. Qui dovettero litigare con la gente del luogo ma infine si stabilirono pacificamente<br />

e costruirono delle case nel posto ora chiamato "Case Vecchie". Così iniziò a sorgere il paese. Le rovine dell'antica città di Tora si possono guardare<br />

alle quattro strade vicine alla "Calegara", a Colle Pizzuto, a Cartore, alle Case Vecchie ed in alcuni terreni di Placidi in Cantu Riu."<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 22/126


L'invasione dei serpenti e la fuga dalle Case Vecchie<br />

Da un racconto di Giuseppe Tupone di Guglielmo e Filomena Di Gaetano - 27/11/1981<br />

"Raccontano i vecchi, che anticamente il luogo "Case Vecchie" era abitato; anzi la maggior parte del paese si trovava in quei pressi. Però il luogo era<br />

frequentato da qualche famiglia di vipere e altri rettili. I paesani cominciarono a ritrovarsi a volte quei serpenti in casa e sempre più numerosi. Fu per<br />

questo motivo che alcune famiglie cominciarono a traslocare nelle parti più alte del paese e, come succede sempre nei piccoli paesi, quando uno<br />

comincia tutti lo seguono, e fu così che le Case Vecchie vennero gradatamente abbandonate trasformandosi poi in stalle."<br />

Fuga da Cartore alle Case Vecchie e spostamento sulla collina.<br />

Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986<br />

"Dopo Cartore, il paese di S. <strong>Anatolia</strong> sorse alle Case Vecchie mentre poi, siccome lì era una zona troppo calda e piena di serpenti ed altri animali,<br />

preferirono, i paesani, spostarsi più in alto, e andarono al colle Noce di Cristo."<br />

Gli Zingari.<br />

Da un racconto del sig. Generoso De Sanctis di Torano - agosto 1986<br />

"Pare che fra l'VIII e l'XI secolo (?), da una valle chiamata "Knosh" in Ungheria, si mosse una grande carovana di Zingari che, entrando in Italia, in<br />

parte si fermò nel nord vicino alla provincia odierna di Udine, ed in parte discese l'Italia stanziandosi fra l'altro nel paese della Valle del Salto chiamato<br />

oggi Sant'<strong>Anatolia</strong>. Vi è un paese molto piccolo in provincia di Udine in cui ci sarebbero i discendenti degli Zingari che si erano fermati nel nord-Italia<br />

e che parlano lo stesso dialetto che oggi si parla in Sant'<strong>Anatolia</strong>: il paese si chiama San Leopoldo e l'unica differenza che c'è con Sant'<strong>Anatolia</strong> è che a<br />

San Leopoldo sono state mantenute moltissime tradizioni ungheresi, mentre a S.<strong>Anatolia</strong> gli unici segni rimasti di tale colonizzazione di Zingari sono il<br />

dialetto parlato, i tratti somatici persistenti ed un tenuo ricordo nelle tradizioni orali tramandatoci nelle generazioni. I Santanatoliesi sarebbero in buona<br />

parte i discendenti di questa colonia di Zingari che vi fu stanziata dopo una grande moria de' vecchi abitanti del paese".<br />

I serpenti e gli Zingari alle 'Case Vecchie'<br />

Da un racconto di Alfredo Tupone di Erminio e Caterina Lanciotti - 24/03/1986<br />

"Nel tempo antico, siccome il paese era stato infestato dalle "serpi", nessuno poteva viverci, per cui furono presi degli "Zingari", una colonia, e<br />

trapiantati a S. <strong>Anatolia</strong>, poichè solo essi sapevano, con le loro tecniche, uccidere i serpenti, per cui viverci a contatto. Gli zingari per cui inizialmente<br />

dovettero abitare vicini al Santuario poichè era in quella valle che erano stati visti tutti quei rettili".<br />

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La zona Scannacavagli<br />

Da un racconto di Vincenzo Rubeis di Pasquale e Lucrezia Peduzzi - 19/03/1986<br />

"La zona "Scannacavalli" in paesano "Scannacavagli", è nominata in questo modo poichè: "Al tempo in cui c'erano le guerre civili e da Magliano<br />

doveva venire un esercito di centinaia di uomini a cavallo, i nostri per difendersi si appostarono e guardarono chi dalla Torre di Torano, chi dalla Torre<br />

di Guardia, chi da un altro punto verso Colle PizzoDente, e quindi quando il nemico si avvicinò al centro fra le tre torri, i padroni di queste ultime li<br />

circondarono e ne uccisero in molti. In quell'occasione, furono uccisi anche moltissimi cavalieri da cui "Scanna Cavalli o Cavalieri";<br />

Pitti a Catasto<br />

Da un racconto di Maria Spera di Pietrantonio e Luisa Luce - 04/03/1986<br />

"Se uno faceva lo sbruffone, ed era di famiglia povera, per smontarlo o prenderlo in giro, i paesani poco più ricchi gli dicevano: "Che parli, che parli !!!<br />

Tu non pitti nemmeno a catasto !!!" . 'Pitti a Catasto' significa iscritto al catasto e cioè possessore di terre. 'Non pitti a catasto' si diceva di solito alle<br />

persone povere che non avevano terre e che quindi non risultavano negli archivi catastali. (04/03/1986)<br />

Zacchè il falsario<br />

Da un racconto di Mario Tupone di Erminio e Caterina Lanciotti - 18/08/2002<br />

Nel 1805 circa, quando Napoleone conquistò il Regno di Napoli e cacciò il borbone Franceschiello, uno de' quissi de Zaccheo venne a S. <strong>Anatolia</strong> con<br />

un bottino rubato forse durante la guerra, composto da una macchina stampatrice, con relative piastre originali d'argento, e tutto il materiale necessario<br />

a falsificare il denaro che allora era in circolazione: lo Scudo borbonico o napoletano. Zacchè nascose la refurtiva in una grotta sopra il colle Paco in<br />

modo che, ogni volta che ne aveva bisogno, andava e si stampava gli scudi necessari ma, non sapendosi trattenere dal fare lo spaccone, venne presto<br />

preso di mira dalla polizia locale.<br />

In quel tempo un certo Guglielmo, ricordato dai paesani come Guglieramo, era governatore di S.<br />

<strong>Anatolia</strong> e il palazzo del governo era l'antico palazzo dei Placidi al Terrone. Si dice che il palazzo era<br />

allora i proprietà dei monaci benedettini ma in quel periodo era stato confiscato dal governo<br />

Napoleonico. Guglieramo ordinò alle sue guardie di seguire Zacchè ma ogni volta che questi arrivava al<br />

colle Pago, spariva nella grotta e, essendo questa introvabile, l'inseguimento finiva sempre a vuoto.<br />

Dopo un paio di inseguimenti si decise di utilizzare i cani e in questa maniera alla fine Zacchè venne<br />

colto con le mani nel sacco. Nella grotta vennero trovati gli attrezzi da falsario e furono requisiti 1000<br />

scudi freschi di stampa. Zacchè venne arrestato e gli scudi furono consegnati al governatore.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 24/126


Poco tempo dopo alcuni loschi individui di S.<strong>Anatolia</strong> decisero di<br />

derubare il governatore ed entrarono nel palazzo. Guglieramo<br />

dormiva su una sedia con le braccia incrociate e un tizio di<br />

S.<strong>Anatolia</strong> (in seguito il sospetto ricadde su Vincenzo Luce) con<br />

una accetta lo colpì con forza nel petto ma, invece di ucciderlo,<br />

gli recise di netto ambedue le braccia. Guglieramo ebbe il tempo<br />

di urlare e far fuggire i ladri ma morì comunque poco tempo<br />

dopo. Gli scudi rimasero nel palazzo e in seguito, dopo che<br />

Napoleone fu detronizzato e rientrò il re Franceschiello la chiesa<br />

riprese possesso del palazzo e, essendo allora abate uno dei<br />

Placidi, fu la sua famiglia ad impossessarsi dei 1000 scudi di<br />

Zacchè. Con i mille scudi i Placidi divennero molto ricchi e si<br />

comprarono sia il palazzo che molte terre. Alcuni anni dopo,<br />

quando i briganti, dopo il saccheggio del palazzo, chiesero a don<br />

Costantino Placidi un riscatto per la restituzione dei beni rubati,<br />

non fu un caso che la cifra richiesta fosse esattamente di 1000<br />

scudi: erano gli scudi del falsario Zacchè.<br />

La grotta ancora esiste e viene chiamata "La grotta de Zaccheo".<br />

Essa è grande come una stanza e ancora oggi è introvabile perchè<br />

con una piccolissima entrata "coperta dagli macchiuni".<br />

Vincenzo Luce venne sospettato dell'omicidio del governatore perchè, si diceva a S.<strong>Anatolia</strong>, che solo lui era talmente forte e veloce da poter recidere<br />

con un sol colpo le braccia di un uomo.<br />

Quando Erminio Tupone decise di mettere al proprio figlio il nome di Guglielmo, la moglie Caterina Lanciotti, volle subito soprannominarlo col<br />

diminutivo di Memmo perchè aveva paura che gli altri di S.<strong>Anatolia</strong> lo chiamassero Guglieramo, nome che le risultava molto poco propizio vista la<br />

fine che aveva fatta il governatore.<br />

Antonio Placidi, a differenza di molte voci che raccontano che la sua famiglia non fosse di S.<strong>Anatolia</strong>, asserisce invece che la sua famiglia vive a<br />

S.<strong>Anatolia</strong> dal 1400 e cioè da quando essi fuggirono da Pisa in seguito alle lotte fra guelfi e ghibellini.<br />

Note<br />

• La storia del Falsario Zaccheo mi è stata raccontata da Mario Tupone (detto zizittu) figlio di Erminio e Caterina Lanciotti. A lui venne<br />

raccontata dal nonno materno Pietrantonio Lanciotti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 25/126


Il terremoto del 1915<br />

Da un racconto di Filippo Falcioni (detto Pippo) del 20 ottobre 1987 pubblicato su un opuscolo edito dalle Edizioni accademia città di Roma<br />

"Il Machiavello" nel 1990 ed inviatomi da Maria Teresa De Amicis<br />

Il mattino del 13 gennaio 1915 ero nella mia stalla in località Casevecchie, a stramare le mie bestie: due<br />

vacche ed una cavalla. Avevamo anche ottanta pecore in un’altra stalla in località Stallescure. Andavo quasi<br />

sempre io alla stalla, di mattina, ragazzo di quattordici anni, perché mio padre era malato di asma e tosse.<br />

Verso le ore sette, se ricordo bene, improvvisamente sentii un forte fragore: la cavalla scalpitava, il<br />

pavimento sussultava e ondulava. Preso da grande paura, corsi fuori e vidi Luce Raffaelluccia fu Luigi,<br />

anche lei uscita dalla sua stalla di fronte alla mia, che mi faceva segno con la mano verso la parte storica del<br />

paese di fronte, e, nello stesso tempo emise un forte grido e piangeva. Come ragazzo poco o nulla esperto di<br />

terremoti, impressionato, guardai anch’io, e vidi meravigliato e stupito, che la parte storica del paese era un<br />

ammasso di macerie e a mano a mano che la grande nube di polvere diradava, spazzata via dalla forte<br />

tramontana, vi apparivano punte di travi più o meno lunghe.<br />

La parte storica del paese sorgeva su una collina, che dal lato nord era ed è tutt’ora molto scoscesa; mentre le stalle erano tutte situate nella zona della<br />

fontana Valle Rio, sparpagliate, come sono tutt’oggi. Quasi nessuna delle stalle fu diroccata dal movimento sismico; solamente qualcuna lesionata.<br />

Santa <strong>Anatolia</strong> era l’unico paese del Cicolano fornita di fognature. Aveva una planimetria ben precisa: una via centrale detta La Terra, che partiva da<br />

piazza S. Nicola lunga circa cento metri, intersecata da cinque vicoletti, le cui fognature collegate con quella centrale situata sotto via La Terra.<br />

Il giorno del terremoto era fiera a Magliano de’ Marsi: molti abitanti si erano alzati presto per condurre il bestiame alla fiera; anzi, tanti erano già sulla<br />

via, costretti, poi dal terremoto a tornare subito in paese.<br />

Ritornando all’atto del terremoto, quelli che erano nelle stalle correvano tutti verso la parte terremotata per<br />

portare aiuto ai loro familiari.<br />

Corsi anch’io e presi l’accorciatoia per la viottola La Costa. Giunto alla casa di Di Gasbarro Giovanni,<br />

diroccata fino al pavimento del primo piano, sul quale Giovanni, già vecchio, nudo con addosso la sola<br />

camicia, tutto impolverato, andava avanti e indietro sul pavimento e ripeteva in continuazione: Poreglie mi,<br />

poreglie mi, come faccio mo…<br />

La parete della casa verso Valle Rio era rimasta intera: in essa vi era un balconcino con una piccola ringhiera di<br />

ferro: lì stava Di Cristofano Mariassunta, ragazza di circa vent’anni, a tre metri dal suolo, che gridava e<br />

chiedeva aiuto: Curri Felippu! Curri , Felippu, aiutami… In quel mentre arrivò Peppinuccio, figlio di<br />

Giovanni, tutto ansante dalla corsa che aveva fatta, mi guardò ansioso e mi disse: Io vado da mio padre, tu<br />

vedi di aiutare quella ragazza….<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 26/126


La famiglia Di Gasbarro aveva una bottega di generi alimentari. La ragazza era andata a comprare il pane:<br />

la bottega però non era ancora aperta e la moglie di Giovanni l’aveva fatta salire in cucina, al primo piano e<br />

fatta sedere vicino al focolare. In quell’istante avvenne la scossa di terremoto. La ragazza, sorpresa, corse al<br />

balconcino per accertarsi di quel rumore insolito, e mentre guardava fuori, la casa crollò, e lei rimase là,<br />

attaccata alla ringhiera.<br />

Io andai dalla ragazza che strillava e piangeva, e le dissi: Stai calma, adesso vedrò come farti scendere….<br />

In quell’istante una nuova scossa, le fece cadere un pezzo di mattone sul capo : presa da una forte paura, si<br />

appese alla ringhiera e si lasciò cadere. Si fece un po’ male, ma cosa non grave. L’aiutai e la presi per un<br />

braccio e andammo a prendere la strada del Trainello, per poter arrivare a piazza S.Nicola, essendo per le<br />

altre strade impossibile passare.<br />

A piazza S. Nicola era uno spettacolo orrendo: quelli che erano potuti fuggire e mettersi in salvo, sanguinanti, impolverati, con macchie violacee sul<br />

viso e alle mani, qualcuno nudo, coperto con un lenzuolo, altri con una coperta e qualche altro seminudo: Lanciotti Luigione avvolto con una imbottita<br />

e con la faccia macchiata di sangue, Luce Sinibaldo ferito in più parti del corpo e seminudo, imbrattato di sangue sulla faccia e mani e sui calzoni, dalla<br />

paura e dal freddo non era più capace di parlare.<br />

I feriti erano tanti. Tutti si radunavano a Soprell'ara (il piazzale vicino alla fontana<br />

dell’acqua santa) dove furono accesi i fuochi da alcuni soccorritori per farli scaldare,<br />

perché il freddo era eccessivo, dovuto alla gelata ed alla forte tramontana.<br />

Inoltrandomi poi insieme ad altri soccorritori per via La Terra, giunto alla casa De<br />

Amicis, in una finestrella del pian terreno De Amicis Annachiara e sua sorella Virginia<br />

chiedevano aiuto con ripetuti strilli. In quel momento arrivò De Amicis Luigi, un<br />

giovane alto e robusto, cugino delle due ragazze, con<br />

una pietra piegò i due ferri a croce della finestrella e le<br />

fece uscire.<br />

Continuai per arrivare a casa mia in vicolo Falcioni, ma mi fu un po’ difficile, perché i soccorritori, scavando, buttavano<br />

pietre ed altro materiale con molta fretta, senza guardare dove andavano a finire.<br />

Finalmente giunto a casa mia, i miei genitori, mio fratello Alessandro e mia sorella Caterina di appena un anno erano già<br />

vestitie subito li accompagnai temporaneamente a Soprell'ara, dove erano i fuochi.<br />

La mia casa in un lato era crollata ed il resto molto lesionato. Ritornando a casa mia per prendere coperte ed altra roba,<br />

in piazza S. Nicola, Amanzi Giuseppe camminava qua e là a testa bassa e si lamentava: Povero me, o povero me ! Che<br />

disgrazia, che disgrazia !<br />

Egli stava alla stalla a stramare le sua bestie ed era accorso come tutti gli altri, per poter salvare i suoi genitori, la sorella<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 27/126


Annina e l’altra sorella sposata con quattro figli, Mariuccia, il cui marito Luce Pietro, detto Mazzante, era negli USA. Purtroppo i suoi familiari erano<br />

tutti morti sotto le macerie delle loro case interamente crollate.<br />

De Santis Fedele era rimasto incastrato fra due travi ed altro materiale: i soccorritori riuscirono a liberarlo dopo cinque giorni, ma due ore dopo morì,<br />

per le lunghe ed estenuanti sofferenze.<br />

Peduzzi Antonio – detto Mastrantonio – e sua moglie Clotilde, ruzzolarono, avvolti nel loro letto, giù per il pendio in località Terrone, per ben cento e<br />

più metri fino a Valle Rio, uscendone incolumi, fortunatamente.<br />

Complessivamente i morti, se ricordo bene, furono ottantasette.<br />

Con legni vari e con le porte delle case crollate, subito cominciarono a sorgere baracchete un po’ dappertutto nelle vicinanze delle stalle. I più<br />

coraggiosi dormivano nei pagliai, gli altri si adattavano dentro baracchette provvisorie.<br />

Dopo pochi giorni arrivarono i militari e distribuirono molte tende, ciascuna per quattro persone, e coperte.<br />

I militari si erano accampati con le loro tende al prato detto Cimino, sopra la fontana Valle Rio: essi distribuivano ai terremotati il rancio e il pane.<br />

Un giorno mentre i soldati distribuivano il rancio ai terremotati, arrivò un’automobile dalla quale scesero<br />

un uomo bassotto accompagnato da un ufficiale e da un maresciallo dei carabinieri.<br />

Chi era quell’uomo bassotto? Era proprio il re Vittorio Emanuele III in in borghese.<br />

Luce Antonio, detto Antonio di Gemma, uomo anziano lo riconobbe e lo salutò, levandosi il cappello:<br />

Buon giorno Maestà. Il re quando si accorse di essere riconosciuto, montò subito in macchina insieme alla<br />

scorta e ripartì.<br />

Amanzi Augusto, aiutante di battaglia, in licenza per causa del terremoto, stava spesso insieme agli<br />

ufficiali e aiutava anche a distribuire il rancio ai terremotati.<br />

Ho ritenuto opportuno scrivere questo racconto del giorno del terremoto (13/1/1915), per tramandare ai<br />

posteri, soprattutto di Sant’<strong>Anatolia</strong>, notizie utili.<br />

Filippo Falcioni, addì 20 ottobre 1987.<br />

Note<br />

• Filippo Falcioni nato nel 1901 figlio di Giovanni e <strong>Anatolia</strong> Luce<br />

• Racconto inviato da Maria Teresa De Amicis (di Bruno e Maria Innocenzi): "Questo racconto, tratto da un libricino edito dalle Edizioni<br />

accademia città di Roma "Il Machiavello", 1990, è stato scritto da un vecchio signore di Sant'<strong>Anatolia</strong>, di nome Filippo (detto Pippo) Falcioni,<br />

classe 1901, marito della 'monaca' (quella che aveva la bottega vicino al forno del paese di sotto)."<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 28/126


La rivolta del luglio 1944<br />

Fatti accaduti nel paese di Santa <strong>Anatolia</strong> (RI) - Racconto di Angelo Amanzi inviato dalla figlia Candida<br />

Un giorno del mese di luglio 1944, dopo la mietitura gli uomini stavano ritirando dai campi i “manoppi” (covoni di<br />

grano) per portarli nell’aia.<br />

Nello stesso momento le donne, rimaste a casa, senza i mariti che erano al lavoro, ricevettero la visita delle guardie<br />

comunali che chiedevano loro il pagamento della tassa del “focatico” (tassa sui terreni, sugli animali, sui fabbricati),<br />

lasciando un biglietto con il termine della scadenza.<br />

I contadini erano costretti a vendere i prodotti del raccolto, a discapito della sopravvivenza, per pagare questa tassa.<br />

Quando al termine del lavoro nei campi i contadini tornarono nelle proprie case, ciascuno di loro venne a conoscenza<br />

del fatto, e man mano la voce si diffuse in tutto il paese. Così gli uomini decisero di darsi appuntamento tutti alla<br />

piazza del paese alle ore 7,30 del mattino successivo, per andare a piedi a protestare fino al comune di<br />

Borgocollefegato (RI) (attuale Borgorose).<br />

Il gruppo formato da circa 500 persone era capeggiato da Antonio Amanzi (fu Giuseppe e Matilde Amanzi) e il portabandiera a cavallo di un somaro<br />

era Berardino Peduzzi invalido di guerra (mutilato durante la 1° Guerra Mondiale).<br />

Il gruppo si recò dapprima a Corvaro per chiedere altre adesioni alla rivolta e due persone si aggiunsero a loro.<br />

Giunti a Collefegato, poco prima di Borgocollefegato, il gruppo incrociò una pattuglia dei carabinieri che intimò “l’alt” per bloccare l’avanzata dei<br />

rivoltosi. Ma l’operazione non riuscì in quanto i carabinieri vennero immediatamente disarmati e costretti ad avanzare davanti al gruppo per fargli<br />

strada fino alla caserma.<br />

I rivoltosi giunsero davanti alla caserma con l’intento di disarmare il resto dei carabinieri che erano dentro, compreso il maresciallo, ma quest’ultimi,<br />

essendo stati avvertiti in tempo, se la dettero a gambe.<br />

A quel punto il gruppo proseguì verso l’esattoria, al fine di far restituire i soldi a coloro che avevano già pagato la tassa; ricordiamo che all’epoca lo<br />

Stato (provincia, regione) esentò la popolazione dalle tasse comunali per i danni subìti dalla guerra. Così riebbero i soldi, sigillarono le porte e le<br />

finestre dell’edificio per non far entrare nessuno. Così, il gruppo proseguì verso l’ufficio comunale ed appena vi giunse irruppè in tutte le stanze<br />

mettendole a soqquadro e facendo scappare tutti gli impiegati.<br />

A questo punto, con lo scopo di richiamare l’attenzione della Prefettura di Rieti, i rivoltosi cominciarono a sigillare tutte le porte e tutte le finestre<br />

dell’edificio inchiodandole con tavole di legno; iniziarono dal primo piano fino ad arrivare man mano al terzo ed ultimo piano. Una volta sigillato tutto<br />

l’edificio, l’unica persona rimasta all’interno, si calò dal terzo piano attraverso una corda. Detto fatto, il gruppo si diresse verso il magazzino che<br />

avrebbe dovuto contenere i viveri inviati dalla Provincia per essere distribuiti gratuitamente alla popolazione, tramite la “tessera annonaria” (tessera<br />

fornita dalla Provincia a ciascuna famiglia).<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 29/126


Da informazioni precedenti rilasciate dagli amministratori dei vari paesi, risultava che i magazzini erano vuoti poiché la Provincia non li riforniva.<br />

Giunti al magazzino (detto Consorzio) chiuso, i rivoltosi chiesero ad un addetto di aprire la porta per verificare l’esistenza o meno dei suddetti viveri.<br />

L’addetto dichiarò di non essere in possesso delle chiavi e quindi di non poter aprire il magazzino. Il rappresentante del gruppo, però, notò un mazzo di<br />

chiavi appeso alla cintura dell’addetto e chiese di provare quelle chiavi, promettendo che se avesse detto la verità l’avrebbe lasciato libero. A questo<br />

punto l’addetto al magazzino tentò di scappare, cercando di saltare un muretto circostante, ma fu subito bloccato, venne privato delle chiavi e messo<br />

dinanzi al gruppo insieme ai carabinieri.<br />

Quando provarono le chiavi una di queste era proprio quella che apriva la porta del magazzino e l’addetto venne preso a calci, a pugni e a schiaffi. Il<br />

magazzino era colmo di viveri che non venivano distribuiti alla popolazione disastrata dalla guerra, bensì venivano gestiti e venduti illegalmente dagli<br />

addetti al magazzino, a libero mercato.<br />

Il magazzino, come l’ufficio comunale e come l’esattoria, venne sigillato senza essere privato dei viveri in esso contenuti.<br />

Angelo Amanzi ricordò a tutti che la guardia comunale di Borgocollefegato, il cosiddetto Saturno, aveva fatto un sopruso alla sua famiglia come di<br />

seguito raccontato: “All’epoca la regola era che non si potevano macinare più di trenta chili di grano al mese; il grano veniva portato al mulino di Fido,<br />

che si trovava in località ‘quattro strade’, e solo dopo tre giorni si poteva ritirare la farina. Angelo Amanzi, facente parte di una famiglia numerosa (1<br />

vedova e 9 figli), per esigenze di sostentamento familiare, tentò di macinarne di più (circa 1,27 quintali di grano di loro proprietà, in un solo giorno)<br />

quando andò a ritirarlo, di nascosto, lo caricò su di un mulo e passò per i campi con l’intento di non farsi vedere …purtroppo all’improvviso, e un po’<br />

distante, apparvero due guardie comunali di Borgocollefegato (Saturno e il suo collega Fantauzzi) che subito gli corsero dietro per fermarlo. Angelo<br />

fece cadere i sacchi pieni di farina a terra per salvarsi dalla galera e scappò via senza farsi riconoscere. A quel punto le due guardie incontrarono i due<br />

fratelli Mario e Augusto Amanzi (fu Giuseppe e Matilde Amanzi) che stavano sulla groppa di un somaro, gli intimarono l’alt e li obbligarono a caricare<br />

i sacchi di farina che erano a terra per portarli presso la casa della guardia comunale di Santa <strong>Anatolia</strong>, il sig. Luce Vincenzo detto “Mandolino”. Dopo<br />

qualche giorno la farina fu portata alla casa di Saturno”.<br />

Detto questo, i rivoltosi si avviò verso la casa di Saturno, poco distante dal magazzino (il consorzio), che nel frattempo si era barricato dentro casa con<br />

la sua famiglia. Con l’intento di stabilire un primo dialogo con la guardia comunale, il gruppo fece avanzare i carabinieri disarmati ma questi fecero<br />

scappare dal retro gli uomini della famiglia. In quel momento, alcuni rivoltosi sfondarono le porte della casa ed entrarono dentro: trovarono e<br />

sequestrarono armi, bombe a mano e munizioni.<br />

Tornati a Sant’<strong>Anatolia</strong>, andarono da Scafati Edoardo che, d’accordo con i tedeschi, aveva creato un magazzino sotto la chiesa di San Nicola; essendo<br />

il paese sprovvisto di sale, il medesimo magazzino fu saccheggiato e svuotato: fecero suonare le campane e tutte le donne del paese accorsero a<br />

prendere il sale tanto sospirato, mettendolo addirittura anche nei grembiuli.<br />

Note<br />

• Testimonianza di Angelo Amanzi nato nel 1925 figlio di Ercole e di Candida Fracassi.<br />

• Racconto inviato da Candida Amanzi figlia di Angelo e Gioconda Spera<br />

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Giuseppe Luce, il brigante dal cuore tenero<br />

Maria Felicita Luce racconta la storia orale tramandata dalla madre "Lisa" Elisabetta Sgrilletti (di Bonaventura e Cleonice Luce).<br />

Come ti ho già scritto il tuo sito mi piace veramente tanto, perchè mi ha fornito informazioni che non conoscevo e perché parla con amore del nostro<br />

paese che secondo me è un paese speciale. Per quanto riguarda il brigantaggio immagino che tu ti sia avvalso di fonti ufficiali, ma io ho sentito parlare<br />

di questo mio antenato fin dalla nascita, da mia madre, che era una affabulatrice meravigliosa. Stavo ore ed ore ad ascoltarla. Mia madre aveva un suo<br />

modo speciale di raccontare le cose, facendo rivivere epoche e personaggi come in un film, con particolari precisi e con un modo lento di dipanare la<br />

storia che a chi ascoltava, non restava altro da fare che godersi il racconto come se lo vivesse in prima persona. Lei mi ha influenzato moltissimo, io<br />

adesso scrivo favole per bambini e spesso attingo a quell'archivio pieno di meraviglie che sono le storie che lei mi raccontava accanto al fuoco (Le<br />

Bastocchie).<br />

Veniamo alla storia di Giuseppe Luce, famoso brigante. L'epoca è più o meno la seconda metà del 1800, dopo l'unità d'Italia.<br />

Giuseppe Luce e suo fratello, anche lui brigante, facevano parte di una famiglia numerosa con una preponderanza di persone di sesso femminile. La<br />

loro era una famiglia agiata, possedevano terreni che coltivavano con profitto, greggi di pecore e presumibilmente anche mucche. Le donne tessevano<br />

la canapa ed il lino, che coltivavano nei loro campi e che "raffinavano" nel fiume Salto. Avevano cantine piene di formaggi, grano, granturco e vino. Se<br />

la passavano, insomma, abbastanza bene.<br />

Siamo nel Regno di Napoli, i due giovani della famiglia, avevano già fatto due anni di servizio militare sotto i Borboni. Dopo l'unità d'Italia, il nuovo<br />

governo li richiamò alle armi. Come puoi immaginare non ne furono affatto felici. Loro erano fedeli ai Borboni per i quali avevano combattuto e non<br />

avevano nessuna intenzione di riconoscere il nuovo governo. Così, come molti altri nella loro situazione, si diedero alla macchia.<br />

Per primo Giuseppe poi, suo fratello , del quale non conosco il nome (forse me lo puoi dire tu).<br />

La storia del fratello è breve e tragica. Lo stesso giorno che si dette alla macchia morì. Si stava dirigendo verso Rosciolo insieme ad un gruppo di altri<br />

ragazzi come lui, passando per Malle Maiura (Valle Maggiore) che poi sarebbe la strada che dalla curva di Celesta sale verso la fonte Valoce. Verso<br />

mezzogiorno, assetati ed affamati (si era nel periodo estivo), videro una capanna di pastori e pensarono di fermarsi per rifocillarsi e riposarsi. Erano<br />

tranquilli, primo perchè si conoscevano tutti, secondo perchè era il primo giorno della loro latitanza e non pensavano di doversi preoccupare più di<br />

tanto, inoltre erano giovani e abbastanza incoscienti. Si avvicinarono, dunque, ridendo e scherzando, ma improvvisamente, dalla capanna uscirono dei<br />

gendarmi armati che senza profferire parola, puntarono loro addosso i fucili e fecero fuoco. I "Briganti" non ebbero neanche il tempo di reagire e,<br />

d'altronde, non avrebbero potuto perchè erano disarmati. Qualcuno morì, il mio antenato fu ferito gravemente. I soldati (mia madre diceva i carabinieri,<br />

però non sono sicura che lo fossero) lo presero e lo caricarono di traverso, come un sacco, sul dorso di un asino dopodichè, ripresero la via, diretti<br />

verso Santa <strong>Anatolia</strong>. Il brigante mancato e sfortunato, soffriva talmente tanto sul dorso di quell'asino che nonn potendone più disse ai gendarmi " O<br />

me cambiete posizione o m'accidete!". Uno dei gendarmi, senza pensarci un attimo, prese la mira e fece fuoco, mettendo fine alle sue sofferenze!<br />

Per quanto riguarda Giuseppe, la sua storia la conosci, ma la storia di mia madre differisce dai documenti ufficiali nella parte che parla del rapimento di<br />

Alessandro Panei.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 31/126


Nel gruppo dei Briganti, diciamo della banda di Cartore, ce n'era uno che si chiamava Baldassarre, parente de "Quissi de Mazzucchittu". Quando<br />

rapirono Alessandro Panei, lo portarono nel loro covo sulla Montagna della Duchessa. Un giorno Baldassarre dovette assentarsi per sbrigare vari affari.<br />

In sua assenza, Giuseppe Luce insieme agli altri, presi da timore e rimorso (forse anche perchè il prigioniero aveva promesso loro qualcosa) decise di<br />

liberare il prigioniero e lo stavano riaccompagnando giù, attraverso la strada di Fiui (val di Fua) quando, a metà strada, incontrarono Baldassarre che<br />

risaliva verso il loro covo.<br />

Vedendo Don Alessandro Panei in mezzo ai briganti disse: "Do ju portete quissu?!!" Giuseppe ripose: "Eh, ju seme liberatu, è meglie!"<br />

Baldassarre, allora, li guardò torvo e disse:" Camminate, reggiratevi e reportateju arrete. Quissu, appena arriva abballe, ci manna subbitu i carabbinieri<br />

e ci fannu fore tutti". Così lo riportarono indietro e poi fu ucciso in quella maniera orribile.<br />

Le ritorsioni per la famiglia di Giuseppe furono durissime. Tutti i loro beni furono confiscati. Si racconta anche che i carabinieri, o chi per loro,<br />

prendessero tutti i rotoli di tela tessuti dalle sorelle di Giuseppe e li sfettucciassero con le baionette, riducendoli a brandelli e facendoli rotolare lungo la<br />

strada insieme alle pezze di formaggio. La madre di Giuseppe, la chiamavano la Brigantessa, si racconta che avesse lunghe trecce di capelli corvini.<br />

Una volta, per sfuggire alla cattura da parte dei carabinieri, si infilò nel letto insieme alle sue figlie e i carabinieri, pensando che fosse una delle<br />

ragazze, la lasciarono andare. Poi, però, fu presa ed imprigionata nell'Isola del Giglio.<br />

Anche Giuseppe fu preso, processato e condannato. Dalla sua prigione, anche lui nell'isola del Giglio, scriveva lettere bellissime alla famiglia ridotta in<br />

povertà. Dopo qualche anno, ci fu una amnistia per la nascita di una figlia del Re d'Italia o per qualche altro motivo. Giuseppe scrisse felice alla madre,<br />

contento perchè di lì a poco sarebbe tornato a casa.<br />

Era allora sindaco uno di Santa <strong>Anatolia</strong>, si chiamava Luce Alfonso? non ne sono sicura, però faceva parte di quella famiglia. La moglie di costui,<br />

venne a conoscenza del fatto che con l'amnistia, Giuseppe Luce, sarebbe stato liberato e andò dalla famiglia Panei e disse loro: "Le sapete, mo liberanu<br />

Giuseppo (disse proprio Giuseppo, perchè non era originaria di Santa <strong>Anatolia</strong>) Luce!". I Panei si dettero subito da fare, misero in moto tutte le loro<br />

conoscenze, con la scusa che dopo la liberazione Giuseppe si sarebbe vendicato, ed a Giuseppe fu negata la libertà. Il colpo fu talmente duro per il<br />

pover'uomo che si ammalò e di lì a breve morì di crepacuore.<br />

Questa storia non mancava mai di commuovermi. Immaginavo il poveretto che dalla finestra della sua prigione guardava il mare con il viso solcato<br />

dalle lacrime e si disperava, agognando di rivedere il suo paese e la sua famiglia, e, piangevo anch'io, anche perchè la voce di mia madre, arrivata alla<br />

fine della triste storia, si faceva particolarmente accorata.<br />

Si dice anche, che una volta un brigante fu ferito in un conflitto a fuoco. I suoi compagni scesero, allora, nottetempo dalla montagna e andarono a<br />

bussare alla porta del medico di Corvaro. Il medico apri la porta assonnato, sbadigliando e si trovò la bocca di uno schioppo puntata sulla faccia, il che<br />

gli fece passare immediatamente il sonno. I briganti lo bendarono, lo fecero salire sulla groppa di un cavallo e, facendogli fare dei giri tortuosi affinché<br />

perdesse il senso dell'orientamento, lo portarono nel loro covo per fargli curare il loro compagno. Il medico fece del suo meglio e, una volta finito il<br />

suo compito, i briganti lo portarono in una grotta piena di oro e cose preziose e gli dissero di prendere quello che voleva. Poi lo bendarono di nuovo e<br />

facendogli rifare i soliti giri tortuosi lo riportarono a Corvaro. E' da allora, che ad intervalli più o meno lunghi, qualcuno decide di scoprire il luogo<br />

dove si trova la favolosa grotta. Ma fin'ora ogni sforzo è risultato vano!<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 32/126


Questa e la storia del “terribile” brigante Giuseppe Luce dal cuore tenero. Certo qualche particolare può non essere esatto, tipo il nome del sindaco, ma<br />

la storia è quella che si raccontava nella famiglia di mia madre che essendo una diretta discendente, doveva essere abbastanza plausibile. Peccato che di<br />

persone veramente anziane, ne siano rimaste poche. La storia e le storie di Santa <strong>Anatolia</strong>, rischiano di svanire nel nulla, sarebbe interessante, invece<br />

parlare con le poche persone che ancora possono ricordare cosa era la vita nel nostro paese nel secolo scorso o anche prima. Prima che l’oblio ricopra<br />

ogni cosa!<br />

Maria Felicita Luce - 15.01.2009<br />

La famiglia di Gaetano Luce e Maria Peduzzi<br />

Pasquale Luce Ascenza D'Orazio<br />

Beniamino Peduzzi<br />

1790<br />

Caterina Spera<br />

1784<br />

| | | |<br />

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| |<br />

Gaetano Luce<br />

Maria Peduzzi<br />

1811-1878<br />

1814-1897<br />

| |<br />

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|<br />

------- - ------------- ----------------- - -------------- -------------------- ------------ - ---------------- - ---------- - ----------- - --------------- ---------<br />

| | | | | | | | | | |<br />

Caterina<br />

1834-1899<br />

Pasquale<br />

1836-1907<br />

Domenica<br />

Rosa 1838<br />

Giuseppe<br />

1840<br />

Bernardino<br />

1843-ca 1861<br />

Antonia<br />

1846<br />

Annunziata<br />

1848<br />

Angela<br />

1850<br />

Loreta<br />

1853-<br />

1885<br />

Giacomo<br />

1853-1893<br />

Carolina<br />

1858-1888<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 33/126


Appendice III - Descrizioni Topografiche<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> - La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero - La chiesa di Santa Maria del Colle - Il Santuario di S. <strong>Anatolia</strong> - La casa dei Placidi<br />

vicina al Santuario - Le Case Vecchie - Fontana del paese di sotto - La pietra scritta - La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta - La Via Equicola - La<br />

Via dei Marsi e l'ara Placidi - Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.<strong>Anatolia</strong> - La chiesa di S.Nicola di Bari - Le famiglie a S.<strong>Anatolia</strong> - Valle<br />

Cantu Riu e le tre grandi Aie - Monte del Dente, Macerine e Pinchi - Zona Calecara - Cartore e suoi abitanti - Vita popolare a Cartore - Strade - La<br />

duchessa - Colle Pizzuto - Grotta de' Gessi, di S.<strong>Anatolia</strong>, del Palazzo e Fontanelle - La Città di Tora e ritrovamenti archeologici - Zona Dentre Tore -<br />

Zona Castiglione - Il Santo Sepolcro - Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo - Chiesa di S. Lorenzo a Cartore - Chiesa di San Nicola a Cartore - La<br />

denominazione delle terre di Cartore<br />

S. <strong>Anatolia</strong> e Cartore negli anni antecedenti e immediatamente posteriori alla distruzione<br />

del terremoto del 1915<br />

Dai racconti di Luisa Luce (mia nonna) 18-19/11/1981 - Caterina Lanciotti (mia zia) 24/03/1986 - Adolfo Luce (paesano) Agosto 1986 e Settembre<br />

1987 - Mario Tupone (mio cugino) 23/02/1986 e Agosto 1986 e 01/11/1995 - Angela Spera e Vincenzo Rubeis (miei zii) 19/03 e 27/04/1986 - Eusepio<br />

Di Carlo (paesano a Cartore) 04/04/1988 - Giuseppe Tupone (18-27/11/1981) e Maria Spera (1981/1986) (miei genitori) - ed altri<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong><br />

[Luisa Luce:] Anticamente, prima del terremoto del 1915, il paese si svolgeva totalmente sulla collina superiore...<br />

[Caterina Lanciotti:] ...fra il "Terrone" o "La Terra", la "Via dei Marsi" e la "Via della Fonte" o "U'Rapale". Poi<br />

quando molti emigranti tornarono dall'America piano piano furono costruite delle case "a'bballe pe' gliù Travineglie"<br />

(Via del Trainello), ma poi venne il terremoto che fece cadere a terra molte case. Al Terrone le case erano tutte<br />

raggruppate l'una accanto all'altra ed erano separate da alcuni archi di cui oggi ne è rimasto uno sotto la casa degli<br />

"Scafati". Di questi archi ve n'erano molti fra il "Terrone", "u'Rapale" e da "Nunzio". Caterina Lanciotti non si<br />

spiegava perchè, essendoci tante terre in S. <strong>Anatolia</strong>, tutti dovevano vivere così raggruppati.<br />

La chiesa della Madonna Addolorata e il cimitero<br />

Entrando in S. <strong>Anatolia</strong>, dalla parte di Torano, si incontrava inizialmente il cimitero [Luisa Luce:] allora molto più piccolo di quello odierno.<br />

Raccontavano i vecchi che anticamente il cimitero era inesistente e i morti venivano seppelliti nelle chiese; la chiesa della "Madonna Addolorata",<br />

soprattutto, con le sue 6 od 8 pile nascoste oggi dalla folta vegetazione di ortiche o spini, era prima utilizzata come fossa comune e difatti ancor oggi si<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 34/126


notano molti corpi scheletrici accumulati in essa. Queste pile mortuarie, ricorda mia nonna, erano otturate da appositi coperchi in pietra nel modo dei<br />

tombini. I non battezzati venivano seppelliti dinanzi il portone della chiesa ("sotte le lunziane").<br />

[Caterina Lanciotti:] La chiesa della "Madonna Addolorata", prima del 1915, era com'è oggi. [Adolfo Luce:] Un po' di tempo fa' un pastore di nome<br />

Beniamino, trovandosi a far pascolare il suo gregge vicino al cimitero di Sant'<strong>Anatolia</strong> e Torano, incontrò alcuni signori che gli domandarono se vicino<br />

a quei paraggi (zona "Pizzodente") esistesse un cimitero militare; questi due sconosciuti sembravano del tutto convinti di ciò che affermavano e, poichè<br />

Beniamino non sapeva nulla di questo cimitero militare, essi insisterono e poi, dopo alcuni giorni, tornarono di nuovo e gli ridomandarono la stessa<br />

cosa. Beniamino riferì la strana cosa ad Adolfo, che dopo alcune riflessioni, concluse che, se quegli sconosciuti erano così convinti dell'esistenza di<br />

questo cimitero, forse in quei luoghi veramente vi si trovava. A Torano, nella zona verso "Pizzudente", esiste un posto in cui fu ritrovata la tomba di un<br />

generale dell'epoca di Corradino di Svevia e questa zona ancora oggi si chiama col nome del generale storpiato dal dialetto ("Terratuni"). Anche al<br />

Monte del Dente è stato trovato anni or sono il corpo di un altro generale della stessa epoca e sembra che "Dente" sia il cognome del generale stesso. Il<br />

cimitero di S.<strong>Anatolia</strong> e Torano pare sia stato costruito solo dopo il terremoto del 1915 e prima di allora i morti venivano sepolti ancora nelle 6 pile<br />

della chiesa della Madonna Addolorata. Allora le sei pile erano divise in modo che le donne sposate fossero sepolte tutte in una o due pile, gli uomini<br />

sposati in un'altra o due pile, gli scapoli uomini o donne in un'altra o due pile, i bambini ed i vecchi in altre ancora, ecc... i non battezzati venivano<br />

sepolti fuori della chiesa "Sotte le lunziane" (sotto le grondaie). Secondo Adolfo il fatto che, dopo il 1915, il cimitero venne costruito proprio vicino<br />

"Pizzodente", poteva avere un significato interessante rispetto al discorso di un possibile più antico cimitero militare.<br />

La chiesa di Santa Maria del Colle<br />

Passato il cimitero, il primo fabbricato che si poteva incontrare era la piccola antica chiesa di S. Maria del Colle. Oggi essa è inesistente ma il suo<br />

ricordo permane nel nome del territorio di "Colle S. Maria". [Luisa Luce:] Prima del 1915 di essa non rimaneva già nulla. Mia nonna non sapeva<br />

neanche che ivi vi fosse una chiesa ma ricorda, dato che ella possedeva un terreno in quei pressi, che durante le arature, spesso si rinvenivano pietre e<br />

pezzi di muro. Anche mio padre ricorda i ruderi ivi rimasti al tempo, ma mai nessuno, almeno di quelli a cui mi sono rivolto, si è interessato a questa<br />

chiesa. [Adolfo Luce:] Adolfo ricorda che i suoi nonni gli avevano detto che essa venne definitivamente distrutta (dopo il terremoto (?) dopo che sui<br />

suoi ruderi il Sig. Placidi decise di coltivarvi e quindi, con l'aratro, la demolì definitivamente. Solo le fondamenta forse scavando possono trovarsi<br />

ancora intatte ma il resto è completamente sparito.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 35/126


Proseguendo sulla via Equicola (che è quella che partendo da P.zza S.Nicola in S. <strong>Anatolia</strong>, attraversa Torano, Grotti e Villerose e si ricongiunge alla<br />

via Cicolana nei pressi di Borgorose; da Torano la via muta il nome), dopo Colle S. Maria (anticamente chiesa di S. Maria del Colle), il primo<br />

fabbricato si poteva trovare dopo circa 1 chilometro nella Chiesa-Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>, anticamente adibita a parrocchia.<br />

Il Santuario di S. <strong>Anatolia</strong><br />

[Caterina Lanciotti:] "La seconda chiesa importante che esisteva prima del 1915 era il "Santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong>" nel villaggio omonimo. Essa,<br />

raccontavano i vecchi, anticamente non esisteva, ma c'era solo la cappellina che si trova ora dentro il Santuario. La chiesa fu costruita poi dai vecchi<br />

intorno alla cappellina.<br />

La chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> si dice che era piena di "Pile" sotto il pavimento, e che poi, non si sa esattamente in che anno, fu rifatto il pavimento e<br />

furono ricoperte con la calce. Comunque, dopo alcuni anni, pian piano, sicuramente per i gas dei corpi che vi erano seppelliti sotto il pavimento, si<br />

rialzò e in alcuni punti fece grossi bozzi che ancora oggi ci sono. Si dice che un altro motivo di questo rialzo delle mattonelle è<br />

che sotto la chiesa scorre un fiume sotterraneo dimostrato da un pozzo odierno nella villa dei Placidi a Cantu-Riu".<br />

[Adolfo Luce:] La "Campana" che si trova oggi al Santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong> fu tratta ai primi dell' '800 dal campanile ormai<br />

crollato della chiesa di San Lorenzo in Cartore. Essa, probabilmente trovatavi fra le macerie, fu di nuovo fusa e ricostruita, ma<br />

vi fu impressa, in memoria perpetua, la data di fusione "San Lorenzo 1815" con disegnate due lucertole. Data e nome che<br />

ancora oggi dovrebbero trovarvisi stampati.<br />

[Luisa Luce:] Il Santuario, raccontavano i vecchi, anticamente (verso il 1870) cadde in rovina e lo si dovette in parte demolire<br />

ricostruendolo più grande ed accogliente. I vecchi raccontano che per la ricostruzione si impiegarono tutte le genti di S.<br />

<strong>Anatolia</strong> che, con ceste e carriole, dovevano trasportare pietre e sassi da luoghi come "La cava de' Mastri" verso Rosciolo, fin<br />

nel luogo della ricostruzione. [Caterina Lanciotti:] Nel villaggio basso del paese c'era una zona chiamata "Sagnuanni" (San<br />

Giovanni), dove c'era un casaletto piccolo, come la cunetta di S.<strong>Anatolia</strong>, dedicata al santo.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 36/126


Sotto il Santuario, verso il centro di "Cantu Riu", ad una decina di metri dal lato posteriore della chiesa, si ergeva la grande muraglia romana in blocchi<br />

di pietra poligonali; oggi essa viene utilizzata per sostenere la terra sotto il Santuario e forse [Adolfo Luce:] anticamente veniva utilizzata, ingrandita ed<br />

innalzata, come Tempio di Marte nell'antica città romano-equicola di Tora. La muraglia oggi è stata rovinata dalla famiglia Placidi con l'innalzamento<br />

su di essa di un altro paio di metri di muro a blocchetti di cemento.<br />

Davanti l'entrata destra del Santuario, sopra la porta, vi è murata nell'intonaco, ben visibile, una lapide con una scritta romana dove si può leggere:<br />

PETRONIUS C. FAB. EX TEST. ST CCCC. La lapide è di forma tondeggiante in alto mentre in basso è squadrata a mo' di lapide da nicchia. La scritta<br />

è riportata dal Saletta nel suo libro su S.<strong>Anatolia</strong>.<br />

La casa dei Placidi vicina al Santuario<br />

[Luisa Luce:] Prima del terremoto, vicino al Santuario, c'era un casaletto con sotto la cantina per il vino. Lì abitavano alcuni Placidi, e fu lì che morì<br />

asfissiato il prete di Spedino Cremonini Pasquale.<br />

I Placidi abitavano anche il palazzo del Terrone.<br />

[Adolfo Luce:] Dopo il terremoto del 1915, quando i Placidi si stabilirono nel paese basso vicini al Santuario, e<br />

costruirono lì la loro abitazione, quando ne stavano scavando le fondamenta, trovarono sottoterra un pavimento a<br />

mosaico molto antico.<br />

Essi, come al solito, per paura delle Belle Arti, mandarono in frantumi quel mosaico cercando di tenere celata la cosa.<br />

Poi però la voce si sparse per S.<strong>Anatolia</strong> poichè qualche operaio ne parlò con qualche paesano; comunque in quei<br />

tempi nessuno ci teneva a queste cose per cui questi fatti, quasi all'ordine del giorno, passarono indisturbati. Questo<br />

mosaico fu trovato vicino al Santuario.<br />

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In casa dei Placidi c'è un vecchio quadro dipinto prima del 1915 il cui autore è lo stesso della statua di gesso di S.<br />

<strong>Anatolia</strong> (Carlo Alberto Saff - sec.XIX); il pittore volle lasciare un ricordo di se alla famiglia Placidi che lo aveva<br />

ospitato e per questo volle dipingere il villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong> così com'era guardando soprattutto la zona dove<br />

sorgeva il vecchio palazzo Placidi.<br />

Non vi era cosa migliore che andare sul colle della Madonna Addolorata dal quale si poteva vedere una delle porte<br />

principali del paese, la torretta "Ruetta", cioè i ruderi del castello, la chiesa di San Nicola vista da un lato e alcune case<br />

del villaggio. Sopra la facciata della casa dei sigg. Placidi, vicina al Santuario, in alto a sinistra e murata nell'intonaco,<br />

vi è una loro iscrizione che ricorda l'epoca della prima costruzione di quella casa: PETRUS PLACIDI FECIT A.D.<br />

MDCCXXV (Pietro Placidi la costruì nell'anno del Signore 1725)<br />

Le Case Vecchie<br />

[Luisa Luce:] Passato il Santuario, che si trovava allora isolato fra il verde dei campi arati, proseguendo sulla via per altro 1/2 Km., senza incontrare<br />

altri fabbricati, la via si incurvava in basso in un piccolo dosso o cunetta. Al centro di questo dosso, era il luogo chiamato "Case Vecchie" e lì non si<br />

potevano notare altro che resti di vecchi muri e grotticelle. [Caterina Lanciotti:] Prima del 1915 le "Case Vecchie" erano come sono ora, con qualche<br />

stalletta e con qualche grotticella e muro: dopo il terremoto inizialmente i paesani si rifugiarono nelle grotte delle "Case Vecchie".<br />

Sovrastante le "Case Vecchie" vi era il colle Pago, una grande boscosa, silenziosa collina. [Luisa Luce:] In quel dosso<br />

la via si diramava in due parti: un ramo (via Equicola) continuava la sua via prima in piano poi in una ripida salita;<br />

l'altro ramo detto "Via del Trainello" conduceva alla fonte del paese, unica risorsa d'acqua allora esistente. Questa fonte<br />

(allora scoperta e senza alti muri come quelli odierni) era l'unica fonte del paese.<br />

Tutti, anche i più lontani paesani, per rifornirsi d'acqua, per lavare i panni, per far bere le bestie, dovevano andare in<br />

quella fonte. Essa era rigogliosa d'acqua fresca e buona, sempre abbondante sia d'inverno che d'estate. E' chiaro che<br />

anticamente essa non era incanalata, ma si presentava nella forma di ruscello come infatti ricorda il nome della valle<br />

che dovette bagnare: "Cantu Riu" (o Valle del Rio) = accanto al ruscello.<br />

Fontana del paese di sotto - La pietra scritta<br />

[Mario Tupone:] Circa nell'anno 1946, durante il primo dopoguerra, ci fu un guasto nelle tubazioni della fontana del paese di giù, e, per ripararlo, si<br />

dovette ricorrere allo scavo della sorgente, poichè si volevano rifare tutte le tubature. Quando gli operai riuscirono dopo molta fatica ad aprire il<br />

tombino, che si trovava al di sopra della sorgente, scoprirono che sotto di esso c'era una grossa pietra modellata molto bene e con una scritta incisavi<br />

sopra, minacciosa e poetica, che diceva "Se il masso voi spostate, tutta la valle voi affogate". Ora, se qualcuno avesse spostato il masso, l'acqua<br />

avrebbe affogata la valle del Rio, mentre se il masso non veniva spostato per niente dalla sua posizione giusta, il paese di S. <strong>Anatolia</strong> sarebbe rimasto<br />

senza acqua.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 38/126


I tecnici provarono a studiare un modo per poter incanalare tutta l'acqua con tubazioni normali, ma non potendo in nessun modo togliere quel masso<br />

per pericolo di allagamento, dopo molti studi capirono di dover lasciare tutti i loro problemi alle tecniche degli antichi, e lì lasciarono la pietra che<br />

regolava il flusso delle acque. Oggi la pietra dovrebbe stare ancora sotto la sorgente e molte sono le favole che girano intorno ad essa.<br />

[Mario Tupone:] Nella valle chiamata "Cantu Riu", la roccia si raggiunge ad una profondità di circa 13 metri e poi,<br />

scavando ancora un altro metro sotto la roccia scorre un fiume sotterraneo. Per questo le fondamenta della muraglia<br />

ciclopica che si trova sotto il santuario di Sant'<strong>Anatolia</strong>, nel mezzo della valle suddetta, se sono piantate come<br />

dovrebbero sopra la roccia, si trovano a circa 13 metri di profondità nel sottosuolo.<br />

[Adolfo Luce] Alcuni anni or sono fu fatto uno scavo sotto la casetta della sorgente sopra la "Vicenna" a "Cantu Riu" e<br />

questo scavo servì per verificare alcune cose che non andavano nelle condutture. Ebbene, ad otto metri di profondità,<br />

furono trovate delle pietre bruciate dal fuoco (nere di fuliggine) ed alcuni cocci di quelli che i paesani chiamano<br />

"pinchi". Questo dimostra che a quella profondità vi sono i resti di una qualche abitazione o eventuale forma di attività<br />

umana più remota. Sotto le scuole, alla "Vicenna" a "Cantu Riu", quando furono scavate le loro fondamenta, fu<br />

scoperta un'anfora, sempre in terracotta, che però si ruppe nello scavo ed andò perduta. [Caterina Lanciotti:] Anticamente, sotto la "Vicenna" (oggi<br />

Campo Sportivo), fu trovata sottoterra una cassetta di legno molto antica, con non so cosa dentro.<br />

La Via del Trainello e l'Ara della Turchetta<br />

La "Via del Trainello" proseguiva in salita molto ripida verso un lato del paese; essa ad un certo punto si divideva e da un lato andava a ricongiungersi<br />

alla via Equicola dopo un percorso sempre più erto, dall'altro, mutando il nome in "Via della Fonte", si appianava leggermente ricongiungendosi alla<br />

via Equicola.<br />

[Luisa Luce:] nel mezzo della piazza davanti alla chiesa di S. Nicola. La via Equicola, dopo il dosso delle "Case<br />

Vecchie", continuava il suo percorso per un centinaio di metri quasi in pianura; poi si divideva di nuovo: un ramo da S.<br />

<strong>Anatolia</strong> andava verso Rosciolo passando per "Fonte o Bocca Valoce"; su di esso, a circa 50 metri di lontananza<br />

dall'imbocco della via Equicola, si ergeva un'altra maestosa muraglia detta "Muraglia de' Turchi" o "Ara della<br />

Turchetta".<br />

Questa muraglia di epoca Romano-Equicola era fatta di pietre grandiose messe l'una sopra l'altra senza squadratura.<br />

[Luisa Luce:] Prima del 1915 essa si trovava isolata; in seguito, quasi a contatto col muro, furono costruiti due<br />

casolari, oggi adibiti a stalla, in decadenza.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 39/126


La Via Equicola<br />

La Via Equicola, superato il bivio con l'altra strada che va a Rosciolo, saliva rapidamente, attraverso stretti tornanti, sul colle su cui era situato tutto il<br />

paese di S. <strong>Anatolia</strong>. Nel punto più alto la via si divideva ancora: da una parte saliva ancora molto rapidamente raggiungendo un altro fabbricato e<br />

proseguendo poi anch'essa verso Marano e Rosciolo. [Luisa Luce:] La fabbrica era di proprietà dell'allora ricca famiglia Panei. Essa era adibita a<br />

rimessa per la vicina ara per il grano (uno spianato fatto a pallotte di ghiaia). Dopo il fallimento della casa Panei questo fabbricato andò in rovina. La<br />

via Equicola, passato questo punto, si appianava e, a pochi metri dal bivio anzidetto, essa incontrava di nuovo l'altro capo della "Via del Trainello" e<br />

continuava in un sali e scendi fin verso il centro del paese. La via Equicola finiva nella piazza di S. Nicola di Bari, proprio davanti la chiesa<br />

parrocchiale.<br />

La Via dei Marsi e l'ara Placidi<br />

Altre due vie partivano da Piazza S. Nicola e si riunivano fra loro nella Valle del Rio, dove si ricongiungevano alla Via Equicola. Una era la "Via dei<br />

Marsi" che partiva dal retro della parrocchia in un'ardua discesa passando fra case oggi quasi totalmente o spallate od adibite a stalle; essa proseguiva e<br />

si ricongiungeva in un punto alla via delle "Stalle Oscure". Questa discendeva ancora sempre fra stalle e case fino al centro della valle de Rio dove,<br />

risalendo per pochi metri sul colle Paco, si congiungeva alla via Equicola nel mezzo fra la chiesa di S. Maria del Colle e l'altra di S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

L'altra via era quella delle "Stalle Oscure" che dal bivio con la "Via dei Marsi", andando verso il lato alto di S. <strong>Anatolia</strong>, correva per un Km. circa in<br />

salita e lì si divideva ancora: A destra camminava e poi si interrompeva nei pressi di una grande aia per il grano "Ara Placidi". Quell'aia, oggi è<br />

scomparsa totalmente a causa della costruzione su di essa di circa una decina di ville. Io la ricordo ancora quando era isolata. La via delle "Stalle<br />

Oscure" prosegue ancora forse mutando il nome in "Via dell'Addolorata" per molti Km. fino a "Pie' di Marano". Nel tragitto, a circa 1/2 Km. dalla<br />

"Ara-Placidi" o dal bivio suddetto, si incontrava e si incontra ancora l'antica chiesa della "Madonna Addolorata" da me già citata, perchè adibita a<br />

cimitero per i paesani sant'anatoliesi; la chiesa è ora diroccata, senza tetto, invasa da folta vegetazione e totalmente incurata.<br />

Via del Terrone, Palazzo Placidi e Castrum S.<strong>Anatolia</strong><br />

Un'altra via che partiva da Piazza S. Nicola si chiamava via del "Terrone" ed era un prolungamento della via Equicola. La via del "Terrone" non era<br />

molto lunga e dividendosi si univa sia alla Via dei Marsi che alla via della Fonte. [Luisa Luce:] Su di essa a circa 200 metri di distanza dalla parrocchia<br />

si ergeva la grandiosa casa a tre piani della famiglia Placidi. Questo era forse il castello di S. <strong>Anatolia</strong>; grande, ampia, alta, con piccole torri, questa<br />

casa dominava assieme alla chiesa di S. Nicola tutta la parte alta del paese. Il palazzo Placidi oggi è distrutto per 2/3. Ne sono rimaste in piedi le grandi<br />

stalle, parte di una piccola torre e varie grandi grotte.<br />

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Nella parte superiore della stalla, in cui prima potevano entrarvi i carri e i cocchi, è rimasto oggi un ampio rispianato in cemento su cui anni or sono si<br />

trovavano delle mattonelle. Questo spianato fu usato in seguito al terremoto come aia per battere l'orzo e il grano. La parte interna delle stalle è retta da<br />

una grande e piccola "volta"; l'entrata è a gradini che sembra debbano proseguire, ma si bloccano ad un muro in pietra di epoca recente.<br />

Si nota facilmente il fatto che la stalla prima era molto più lunga di quel che è ora; infatti, sicuramente dopo il<br />

terremoto, che l'ha devastata, le porte d'accesso verso la chiesa sono state murate. Forse anticamente un cunicolo<br />

poteva unire la chiesa al palazzo. [Luisa Luce:] Prima del terremoto la piccola torre era abitata da una famiglia molto<br />

povera [Caterina Lanciotti:] che erano i servi del parroco. La stradina che separava la torre dal palazzo Placidi si<br />

chiamava la "Ruetta"; e "Rue" erano in dialetto le stradelle.<br />

[Adolfo Luce:] Il paese, prima del terremoto del 1915, si svolgeva tutto intorno alla chiesa di S. Nicola di Bari ed al<br />

"Terrone" ed il nome "Terrone" era lo storpiamento dialettale di "Torrione", cioè il miscuglio fra quest'ultimo vocabolo<br />

e l'altro di "Terra" che era un'altra denominazione della zona. In quei tempi tutte le case erano unite fra loro da molti<br />

archi di cui ognuno aveva la sua porticina e ai lati del paesino c'erano le porte più grandi, le principali, che venivano<br />

chiamate "Le porte del paese". Il paese era sistemato molto bene e che, se si voleva, ci si poteva anche difendere chiudendo tutte le porte. Poichè la<br />

zona del "Terrone" sotto terra è tutta vuota, sicuramente lì vi doveva sorgere il Castello di Sant'<strong>Anatolia</strong> con i suoi sotterranei,<br />

passaggi segreti e magazzini.<br />

[Luisa Luce:] Andando più sotto, dominante su tutta la valle, si ergeva il palazzo-castello dei "Placidi" già più volte citato; il<br />

palazzo era formato dai seguenti piani: il piano seminterrato adibito allora a cantina per il vino, a rimessa per i carri, a<br />

ripostiglio; in quel tempo i carri entravano nel palazzo; le porte erano apribili sia tirando che spingendo, erano cioè a doppi<br />

cardini muniti di molla che faceva si che le porte si richiudessero sempre da sole.<br />

Entrati dalla porta centrale, si salivano alcuni gradini dritti avanti il naso, e, passato un piccolo archetto, si guardavano le rampe<br />

delle scale che salivano ai piani superiori. I piani superiori erano costruiti un po' indietro rispetto alla porta centrale per far sì<br />

che una grande terrazza rimanesse come balcone per il primo piano. La parte veramente abitata del palazzo si trovava allora sul<br />

terreno oggi per nulla toccato.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 41/126


[Adolfo Luce:] il Palazzo dei Placidi era disposto con il piano terra che esiste ancor oggi e, più dietro, con i piani superiori, più d'uno, con una terrazza<br />

che veniva ricavata dal soffitto del piano terra che era spostato più in avanti rispetto ai piani abitati veri e propri.<br />

[Luisa Luce:] Sempre da Piazza S. Nicola un'altra via passava in piccola salita al di sopra della chiesa (alle sue spalle), e toccava due grandi are per il<br />

grano: la prima era un'ara comunale molto grande che si trovava a sinistra della via ed è ora divenuta una piazza asfaltata chiamata dai paesani<br />

"Soprell'ara"; dopo quest'ara, la via svoltava bruscamente a destra giungendo, dopo un percorso totalmente in discesa, all'altra ara di cui ho già parlata:<br />

l' "Ara Placidi". L'ara Placidi è ora completamente invasa da case e villette. Si è mantenuto molto ben messo il gran casolare usato come rimessa per il<br />

grano.<br />

La chiesa di S.Nicola di Bari<br />

La chiesa di S. Nicola di Bari è la parrocchia di S. <strong>Anatolia</strong>. Essa, è scritto sul portale, venne restaurata l'anno 1749. Prima di quell'anno, e forse anche<br />

per qualche anno più tardi, parrocchia fu il Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>. [Luisa Luce:] La parrocchia di S. Nicola venne in parte toccata dal terremoto del<br />

1915. Il tetto cadde e dovette esser ricostruito con l'aiuto dei sant'anatoliesi. Intorno a questa parrocchia, prima del 1915, era attorniato tutto il paese di<br />

S.<strong>Anatolia</strong>. [Adolfo Luce:] Sotto il pavimento della Parrocchia di S. Nicola di Bari, anticamente dovevano trovarsi delle "Pile mortuarie". [Caterina<br />

Lanciotti:] La chiesa parrocchiale di Cartore era sempre quella di "S. Nicola di Bari" a Sant'<strong>Anatolia</strong> nella quale venivano battezzati gli abitanti di<br />

Cartore.<br />

La chiesa di S. Nicola, ricorda Caterina L., fu costruita (restaurata) dai suoi nonni e da tutti gli uomini antichi di Sant'<strong>Anatolia</strong>, e non era molto antica.<br />

Sotto il pavimento non vi erano le pile per i morti. Anticamente, quando lei era piccola, essa era piena di oggetti antichi che poi non si sa che fine<br />

fecero. [Spera Angela:] Prima del terremoto le case stavano vicine alla chiesa di S. Nicola e vicino ad essa c'era una pietra che si alzava e sotto c'era<br />

una cisterna o pozzo. Quando una casa andava a fuoco, in quel tempo erano spesso fatte in buona parte in legno, si sollevava quella pietra, si buttava<br />

giù una corda con un secchio e si prendeva così l'acqua per spegnere il fuoco. Ciò si faceva perchè allora la fonte più vicina era quella di giù sulla via<br />

del Trainello.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 42/126


Le famiglie a S.<strong>Anatolia</strong><br />

[Luisa Luce:] La famiglia più importante e ricca era la "Placidi" poi c'erano i "Panei"; e in seguito gli "Scafati", i "Di Gasbarro", gli "Amanzi", gli<br />

"Spera", i "Luce", ecc...; i più poveri non avevano nulla, nè casa nè terreni; molti erano braccianti delle famiglie più ricche; altri servitori; altri erano<br />

modesti ma indipendenti perchè possidenti. Gli "Spera" ed i "Luce" facevano parte di questa categoria; essi avevano la loro casa, avevano alcune terre<br />

e non dovevano per forza lavorare sotto padrone. C'erano periodi per loro molto felici ma altri molto terribili. Essi non erano molto ricchi ma neanche<br />

troppo poveri. Non potevano metter soldi da parte ma riuscivano ugualmente, senza doversi sottomettere troppo ai padroni, a "Campare alla meglio".<br />

Essi si potevano permettere di comprare le bestie, le vacche, i buoi, le pecore, etc...; Gli Spera erano inizialmente un'unica grande famiglia e ciò si<br />

deduce dal fatto che le loro case si trovavano tutte raggruppate una vicina all'altra nella zona che ho già nominata nella piazza di fronte alla parrocchia.<br />

L'unica grande famiglia poi si moltiplicò ed il terreno si andò dividendo a poco a poco prima fra i figli e poi fra i nipoti del primo avo possidente.<br />

La famiglia "Luce" e quella "Spera" abitavano proprio di fronte all'entrata centrale della chiesa (ad una ventina di metri). Lì, come ho detto, vicino alla<br />

chiesa, si ergeva il grande palazzo forse castello della famiglia "Placidi". Sempre lì intorno abitavano i "Panei", gli "Scafati", i "Di Gasbarro", le altre<br />

diramazioni della famiglia "Spera" e "Luce", i "Di Cristofano", gli "Sgrilletti", gli "Amanzi", i "Fracassi", i "Peduzzi", gli "Innocenzi", i "Piccinelli",<br />

etc... Proprio di fronte alla parrocchia, un po' sulla sinistra, guardando verso l'entrata della chiesa, si trovavano le due case con muro in comune, di<br />

"Nonna Luisa" e "Nonno Pietro". La casa dei "Luce" apparteneva in antico a "Luce Francesco" dal quale la ereditarono i figli "Antonio e Domenico"; a<br />

sua volta fu abitata così dai figli di "Antonio" e dai figli di "Domenico", cioè da "Luisa e Angelina", e da "Giovanni" e fratelli. La casa degli "Spera"<br />

discesi da "Francescangelo" si trovava come la prima, comunicante quasi con quella dei "Luce". Dopo il terremoto i due siti furono ereditati da Angela<br />

Luce e Filippo Spera (moglie e marito); sui resti delle case spallate essi ricostruirono un'unica più grande casa. Davanti la casa verso il centro<br />

dell'odierna piazzola era la piccola cantina-garage delle due famiglie (ora non esiste più). Dietro queste case ve n'erano altre una attaccata all'altra e<br />

comunicanti coi muri.<br />

I paesani in quel tempo vivevano molto miseramente; alcuni avevano i tetti di frasche, muri divisori fatti in tavole,<br />

mobili in muratura; le case erano piccolissime con camere dove dormivano famiglie intere, con cucine in comune,<br />

senza bagni, etc...; le case erano nere di fuliggine, e si appoggiavano l'una all'altra per poter risparmiare la costruzione<br />

di qualche muro; le strade di divisione erano strette ed anguste. In questi ambienti in cui si conosceva ogni persona, e<br />

si viveva a contatto con tutto il paese, è facile capire il perchè dei grandi contagi di lebbra o peste che anni prima<br />

avvenivano. Vicino la chiesa, di fronte al suo lato sinistro, si trovava la casa degli "Amanzi" ("Nunzio"). Oggi è stata<br />

ricostruita ma porta tracce del passato.<br />

Al lato destro della chiesa, di fronte l'entrata principale, c'era l'altro gruppo di case comprendenti le famiglie degli<br />

"Scafati", "Amanzi", "Fracassi", "Peduzzi" (con la moglie "Cimini Chiara"), etc...; tornando al lato sinistro esso era comprensivo di altre case di<br />

"Spera" come quella di "Lino", di "Maria" (razza da cui è nato "Federici Bonifacio"), di "Federico" e fratelli, di "Pizzabella", di "Luce Bartolomeo",<br />

etc...; dritta di fronte alla chiesa, poco spostata alla destra si trovava la casa degli "Spera" (razza di "Zuccaretti") ora ricostruita ed in possesso ancora<br />

degli "Spera"; al lato destro della chiesa, dove ora si trova il campanile, si trovava la baracca dei "Piccinelli"; poi scendendo verso il Terrone si<br />

incontrava l'altra grande casa dei "Panei".<br />

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Il resto del paese, le stalle e le altre, che più che case si potevano definire capanne o baracche, si svolgeva ai lati delle vie più importanti: la Via del<br />

Trainello e la Via della Fonte, che conducevano all'unico posto di rifornimento di acqua; la Via dei Marsi e quella delle Stalle Oscure, importanti<br />

perchè comunicanti direttamente con la Via Equicola per andare verso Torano o per andare al Santuario.<br />

Valle Cantu Riu e le tre grandi Aie<br />

[Luisa Luce:] La valle "Cantu Riu" era totalmente coltivata ed una piccola via la passava nel mezzo congiungendo la Via del Trainello a quella delle<br />

Stalle Oscure. Nel paese vi erano tre grandi are o aie per il grano: l'Ara-Panei sul colle detto "la Cesa"; l'Ara Comunale in una grande area alla sinistra<br />

della chiesa; l'Ara-Placidi che si trovava giù fra il Terrone e la Madonna Addolorata. l'Ara-Placidi oggi è quasi totalmente sparita, l'Ara Comunale è<br />

stata asfaltata, l'Ara-Panei è andata in rovina col fallimento di quella famiglia.<br />

Monte del Dente, Macerine e Pinchi<br />

[Adolfo Luce:] Alcuni anni or sono, sopra il "Monte del Dente", fu ritrovata una tomba di un generale forse del periodo della battaglia di Corradino<br />

(1268). Per questo, molti sono coloro che suppongono che "Dente" sia il cognome di quel generale ivi sepolto. A Sant'<strong>Anatolia</strong>, i vecchi riportavano<br />

sempre una vecchia tradizione che diceva: "Dove ci sono le Macerine a forma di Croce, sotto c'è il Tesoro". Questo detto riguardava soprattutto la zona<br />

di "Colle Cicchitto", "Coremano" e zone adiacenti (le macerine erano cumuli di pietre, che si trovavano disposti soprattutto sui confini dei vari<br />

appezzamenti di terreno, che venivano tolte dalla terra del campo per renderla coltivabile). I "pinchi" (cocci), si potevano trovare in tutta la valle che da<br />

Torano e Collepizzuto va a Cartore e spesso si possono trovare persino nella "Bocca di Teva" sotto le montagne. A Marano, nella zona della<br />

"Selevetta", la terra è cosparsa di "pinchi" e probabilmente la zona fu in passato sede di un villaggio poichè è piena di reperti archeologici.<br />

Zona Calecara<br />

[Adolfo Luce:] Un tizio di Sant'<strong>Anatolia</strong>, forse il padre di Giovanni Sgrilletti, mentre scavava le fondamenta della sua casa, scoprì, a pochi centimetri<br />

dal sottosuolo, dei muri di fabbricazione antica di epoca incerta e, poichè questi muri si conservavano abbastanza intatti e solidi, decise di non romperli<br />

e vi costruì sopra la sua casetta. Poi, durante un altro scavo, scoprì, sempre nel sottosuolo, un forno intatto che a lui sembrò adatto e costruito apposta,<br />

in chissà quale epoca, per creare dall'argilla dei cocci o tegole di cui fra l'altro la zona è cosparsa abbondantemente. Quel forno fu poi da lui<br />

ristrutturato ed utilizzato per la casa, ma poi, dopo il terremoto del 1915, di tutto quel lavoro rimase poco o nulla. La casa comunque, per quanto<br />

riguarda le mura portanti, esiste ancor oggi anche se ridotta in maniera pietosa. Ancora oggi, se si ha buon occhio, si possono vedere le mura antiche su<br />

cui è poggiata la casa. La zona della "Calecara" (fabbrica di calce del secolo scorso di proprietà della famiglia Panei), è cosparsa di tegole rotte e cocci<br />

vari ("pinchi"). Ancora in quella zona furono ritrovati almeno due scudi antichi con delle spade arrugginite sempre di epoca incerta. Sempre nella zona<br />

della "Calecara", scavando nel sottosuolo, fu trovata una cucina quasi intatta con caminetto (?) etc... etc...<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 44/126


Cartore e suoi abitanti<br />

[Caterina Lanciotti:] A Cartore prima del terremoto del 1915 vivevano solo sette famiglie che erano coloni dei "Pacidi" poichè le terre di quel villaggio<br />

erano quasi tutte di quella famiglia; le famiglie che abitavano a Cartore erano le seguenti: 1) La famiglia di Luce Pasquale con il figlio Gaetano che poi<br />

andò in America e non si seppe più nulla di lui; 2) La famiglia di Luce Giacomo che era il fratello di Pasquale. 3) La famiglia di Panella Nicola con<br />

Pasquale il fratello che erano della Ciociaria. 4) La famiglia di Sgrilletti Simone col figlio Andrea da cui poi nacque la "Commare" Chiara. 5) La<br />

famiglia di Lanciotti Berardo che era lo zio di Caterina e il nonno di zia Quinta Lanciotti. 6) La famiglia di Lanciotti Pietrantonio fratello di Berardo e<br />

padre di zia Caterina. 7) La famiglia di Lanciotti Francesco padre di Gennaro da cui vennero "quissi de' Gennarella". Le case di Cartore erano presso a<br />

poco le stesse che ci sono oggi tranne alcune che furono ricostruite dopo il terremoto. Alcune case, prima del 1915, erano recintate da un antico muro<br />

con una grossa porta per accedervi a mo' di fortezza.<br />

Vita popolare a Cartore<br />

[Caterina Lanciotti:] Quando Caterina era piccola (inizi '900) la vita a Cartore era molto difficile e triste. Le giornate erano molto faticose poichè c'era<br />

sempre qualcosa da fare: a volte si dovevano pascolare le bestie ("a pasce e pecure"); a volte si doveva portare da mangiare al maiale; poi si doveva<br />

ogni tanto zappare la terra; si dovevano fare le faccende di casa; si doveva filare la lana o tessere i vestiti; ecc. Di solito i paesani avevano una<br />

cinquantina di pecore; un'asina ("la somara"); una mucca; un maiale; qualche gallina; a volte i conigli; qualche cane; a volte il cavallo o il mulo; ecc.<br />

Alcuni paesani non avevano gli animali o le terre e quindi dovevano sottomettersi ai signori servendoli. Durante la festa di S.<strong>Anatolia</strong> (il 9-10 luglio) si<br />

andava cantando una canzoncina che parlava della vita di <strong>Anatolia</strong> e che era scritta su dei fogli in dialetto. Ancora oggi, uno di questi fogli, è stato<br />

conservato da Filomena (?). Gli abitanti di Cartore erano tutti imparentati con quelli di Sant'<strong>Anatolia</strong>, e quando c'era la festa del 9-10 luglio, essi<br />

venivano tutti a S. <strong>Anatolia</strong> alla fiera, e Cartore si spopolava.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 45/126


Strade<br />

[Caterina Lanciotti: ] La strada che passava per Cartore, che ancora oggi esiste, iniziava dalla piana del Corvaro o da Collebreccioso e portava a<br />

Cartore; poi da lì proseguiva verso Rosciolo e Magliano passando per la "Bocca di Teve" e per "Santa Maria in Valle Porclaneta". Per andare a<br />

Rosciolo da Cartore, all'inizio la strada era molto ripida in salita, e quindi veniva chiamata nel suo punto più in alto "Straccasino" ("Stanca asino"). La<br />

gente da Cartore andava spesso a Sant'<strong>Anatolia</strong> e prima del terremoto la strada che normalmente si faceva per arrivarvi era quella della "Forcella" che<br />

era molto più ripida ma più veloce; solo quando si andava con le bestie e con la legna o altri carichi, si prendeva l'altra via che è più lunga ma meno<br />

ripida ("erta").<br />

La duchessa<br />

[Caterina Lanciotti: ] Si diceva che anticamente tutte le terre di Cartore erano di una duchessa e che poi furono vendute ai signori Placidi;<br />

"Collepizzuto" invece fu venduto con le sue terre ai Panei. Le terre per cui erano quasi tutte dei signori Placidi o Panei, molte altre erano della chiesa,<br />

altre erano demaniali e poche erano dei paesani: così era a Cartore, a Collepizzuto e a Sant'<strong>Anatolia</strong>. Le montagne erano demaniali ed adibite al<br />

pascolo.<br />

Colle Pizzuto<br />

[Caterina Lanciotti:] A Colle-pizzuto c'erano, prima del 1915, i coloni dei "Panei" delle quali famiglie zia Caterina ricorda solo: 1) La famiglia di Luce<br />

Antonio col figlio Giovanni.<br />

Grotta de' Gessi, di S.<strong>Anatolia</strong>, del Palazzo e Fontanelle<br />

[Caterina Lanciotti:] Sotto "Colle pizzuto" o "Colle Pezzuto", c'era una grotta chiamata "Grotta de' Gessi" la quale dentro era piena di gesso. La gente<br />

ci andava a prendere i pezzetti di gesso per scrivere. [Adolfo Luce e Rubeis Vincenzo:] Vicino alla "Grotta di Sant'<strong>Anatolia</strong>" a Collepizzuto, vi è<br />

un'altra grotta chiamata "Rutta Palazzo" ed ancora più in valle, nell'alveo dell'ex fiume che ivi si trova, vicino alla "Cava", vi sono delle "Fontanelle" la<br />

cui acqua esce da sotto terra e forma una piccola palude.<br />

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[Vincenzo Rubeis:] Non si conosce il motivo per cui la "Grotta di S. <strong>Anatolia</strong>" si chiamasse in questo modo, si sa solo che anticamente ci si andava<br />

ogni tanto e vi si mettevano le candele con i candelabri.<br />

La Città di Tora e ritrovamenti archeologici<br />

[Caterina Lanciotti:] "La Città di Tora" si diceva che stava verso Colle-Pezzuto e la piana del Corvaro e anche fra S.<strong>Anatolia</strong> e Torano anzi tutte queste<br />

zone venivano spesso chiamate col nome "Città di Tora". [Rubeis Vincenzo:] La città di "Tora" anticamente si trovava fra Colle Breccioso e Cartore e<br />

più precisamente presso Colle-Pizzuto, dove sono i casali, e dove un tempo la zona veniva chiamata proprio "Città di Tora". [Adolfo Luce:] L'antica<br />

"Città di Tora" si trovava soprattutto in Cartore che, prima, nei documenti antichi, veniva chiamato "CarTora". A "Colle Pizzuto" furono trovati, più di<br />

una volta, dei mosaici antichi, forse romani, ma, la maggior parte delle volte, furono persi o per caso o volontariamente per paura dell'intervento delle<br />

Belle Arti e della requisizione delle terre. [Eusepio Di Carlo:] Verso l'inizio della valle di Cartore (zona grotta di S.<strong>Anatolia</strong>) si trova un monumento<br />

sepolcrale fatto di calce, rena e pietre, costruito per un qualche generale importante ivi deceduto e sepolto. Il monumento per la sua durezza non<br />

sembra di calce ma di pietra naturale, tanto che a prima vista sembra quasi una formazione naturale. Qualcuno ha riferito che anche a Cappelle de'<br />

Marsi si trova un monumento simile e che comunque esso sicuramente risale a tempi molto antichi.<br />

Zona Dentre Tore<br />

[Caterina Lanciotti:] Vicino alla Bocca di Teve c'era una zona chiamata "Dentre-tore"; questo posto è uno spiazzo di terra fra la folta vegetazione che si<br />

trova in un piano fra la via di Teva e la valle sottostante. [Adolfo Luce:] Alcuni anni fa' in quel luogo fu trovato un sepolcro di un o una giovane<br />

coperto da tanti piccoli mattoncini di terracotta che si crede molto antico. [Eusepio Di Carlo:] Un giorno, un tizio, passando con la "somara" carica di<br />

legna in un posto vicino "Dentre Tore"< l'asino si infossò in una buca dove fu scoperta una tomba coperta di mattoncini. Nella tomba furono trovate<br />

due medagliette che poi con gli anni vennero perdute.<br />

Zona Castiglione<br />

[Eusepio Di Carlo:] Durante un'aratura, l'aratro si bloccò su dei cocci molto grossi che forse formavano un'anfora (zona "Castiglione") e sempre nello<br />

stesso frangente e nello stesso posto l'aratro si inceppò su di un "caldaro" di rame. In altre parti furono trovate (da Eusepio) delle monete che poi non sa<br />

più che fine fecero.<br />

Il Santo Sepolcro<br />

[Rosa Lanciotti:] Per quanto riguarda la chiesa del Santo Sepolcro a Cartore sembra che ci sia una zona, forse verso "Castiglione", che si chiama "U'<br />

Sepulcru".<br />

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Grotte di S. Costanzo e S. Leonardo<br />

[Caterina Lanciotti:] Nella "Grotta di San Costanzo" c'era l'eremo del santo, tutto il resto era com'è oggi. Nella "Grotta di San Leonardo" a volte ci si<br />

arrivava pascolando le pecore e a volte ci si riposava vicino alla grotta. Nella grotta, ai tempi di Caterina, c'era una statua di legno molto antica e ben<br />

fatta alta circa un metro e mezzo raffigurante San Leonardo con un libro in una mano e con un bastone nell'altra. La statua si diceva che fosse stata<br />

scolpita dallo stesso S. Leonardo. Ora la statua non c'è più e sembra che sia stata rubata. In quei tempi esisteva solo qualche muro vicino a questa grotta<br />

e si diceva che chi avesse rubato quella statua avrebbe avuti molti guai. [Vincenzo Rubeis:] Vicino alla "Grotta di S. Leonardo" che si trova sotto il<br />

"Pratone" omonimo, c'era un faggio chiamato: "Favo di S. Leonardo" che da generazioni nessuno tagliava. Quando si andava per la legna tutto si<br />

poteva tagliare tranne quel faggio poichè tagliarlo portava sventura. [Eusepio Di Carlo:] Vicino la grotta vi sono delle muraglie costruite con pietre<br />

molto grandi e non ci si spiega come gli antichi costruttori potessero averle portate a quell'altezza. Le mura erano alte circa 1 metro e 1/2 ma poi, i<br />

ragazzi, divertendosi a lanciare quelle pietre giù per il vallone di fua, distrussero in parte quei muri inconsapevoli del loro valore storico.<br />

Nella Grotta di S.Leonardo vi era una statuetta in legno raffigurante il Santo con una corona in testa ed un libro in mano; il legno della statua era molto<br />

rovinato dalle tarme e dalla vecchiaia. Si raccontava che un giorno, un tale di Spedino, voleva rubarla ma, quando uscì dalla grotta con la statua, venne<br />

giù fu un forte temporale con la grandine; egli dovette riportare la statua sul posto e fu solo allora che il temporale finì. La statua fu poi rubata da<br />

qualcuno forse di Avezzano ma tutti se ne disinteressarono nonostante che Eusepio avrebbe voluto chiamare i Carabinieri. Nei pressi della grotta di S.<br />

Leonardo, furono rinvenute le ossa di 5 persone; Queste ossa si trovano ancora intorno alla grotta e probabilmente si tratta del cimitero dell'antico<br />

monastero ed i cinque corpi ritrovati, probabilmente sono i corpi (ossa) di cinque monaci.<br />

Chiesa di S. Lorenzo a Cartore<br />

[Caterina Lanciotti: ] Della chiesa di "San Lorenzo", già negli anni precedenti al terremoto, non c'era nulla oltre la torre mozzata. Cioè era esattamente<br />

com'è ora. I vecchi dicevano che anticamente a Cartore i morti venivano seppelliti sotto la chiesa dove allora c'era una "pila" come quelle della<br />

"Madonna Addolorata". Ancora nei primi del '900 qualche famiglia vi seppelliva i suoi cari. Vicino all'ex chiesa di San Lorenzo c'erano delle case<br />

abitate. Non si sapeva che ivi vi fosse stata una chiesa, ma si ricordava che quella zona si chiamava ancora "S. Lorenzo" com'è denominata anche oggi.<br />

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[Eusepio Di Carlo:] Nella chiesetta di San Lorenzo in Cartore vi era una pila dove si seppellivano i morti. Essa è posizionata in un modo molto diverso<br />

da come mi aspettavo e comunque si trova a circa 5 metri dal campanile. Le muragliette che si trovano di fronte alla torre campanaria, sono state quasi<br />

tutte costruite in tempi recenti da qualche signora che vi teneva le galline. Eusepio ricorda quando la chiesa era ancora in parte in piedi con le mura e il<br />

tetto ma mancava di molte tegole. La parte posteriore della chiesa era adibita a sagrestia e dalla sagrestia vi era l'ingresso al campanile. Nella pila<br />

mortuaria c'erano le ossa. L'ingresso al campanile venne murato non anticamente ed i ragazzi di Cartore e di S.<strong>Anatolia</strong> furono coloro che aprirono<br />

l'altro buco per accedere alla torre. Oggi la zona tutt'intorno alla chiesa viene chiamata col nome di "Campo Santo Lorenzo".<br />

Chiesa di San Nicola a Cartore<br />

[Caterina Lanciotti:] Non tutti sapevano che era esistita una chiesa di "S. Nicola" in Cartore tranne che per il fatto che il nome della zona su cui sorgeva<br />

si chiamava "Gliu'colle de Santo Nicola". [Eusepio Di Carlo:] Al "Colle Santo Nicola" l'aratro scavò altri resti umani; non si sapeva quasi nulla di<br />

questa chiesa, anzi si pensava che lì vi fosse stato un cimitero o un campo dedicato al Santo. Probabilmente in quell'aratura fu utilizzato il trattore,<br />

poichè, se si fosse usato l'aratro o la zappa, non sarebbe stata una novità: la zappa e l'aratro non scavano molto a fondo mentre il trattore si. Infine,<br />

sempre parlando di S.Nicola, forse ancor oggi vi si possono trovare i resti di qualche mura.<br />

La denominazione delle terre di Cartore<br />

Angelo Rubeis, marito di Spera Tecla mia cugina, mi ha voluto far scrivere i nomi delle terre di Cartore poichè a suo parere mi potevano essere utili:<br />

Cartore - Bocca di Teva - Croce Cellitu - Campo Santo Lorenzo - Rozza - Cerro - Fosse di Valle Tivola - Dentre Tore - Forca - La Chiusetta - Acquaro<br />

de Parrozze - Spinari - Colle Santo Nicola - Valle S. Leonardo - Le Marze - Troncatura del Fosso - Favo Acquaro - Vallell'Ircu - Vallone della Cesa -<br />

Valle Amico - La Ruara - Piedi la Chiusa - Castiglione - Preda de Feliciotta - Morrecine - L'Are Capiacci - Marzetelle - Carpenete - Trattura a Capo -<br />

Fraiale - Tracerna - Via Gnova - Colle Pezzuto - Rotta de' San Leonardo - Macchia de Via Gnova - La Fonticella - Fiui (Val di Fua) - Trattora a Capo -<br />

Le Cave - Vignali - Forcella - Rotta de S.Costanzo - Treppiedicastello<br />

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Appendice IV - Documenti Bibliografici dal 1666 al 1953<br />

Luca Holstenio 'Annotationes in Italiam Antiqua' - Muzio Febonio 'Historiae Marsorum' - P. A. Corsignani 'Reggia Marsicana' - Pierluigi Galletti<br />

'Memorie di tre antiche chiese' - Mons. Saverio Marini 'Memorie di S. Barbara' - F. P. Sperandio 'Sabina Sagra e profana' - Giancolombino Fatteschi<br />

'Memorie istorico diplomatiche' - Felice Martelli 'Le antichità de' Sicoli' - Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica - Annali dell'Istituto<br />

di Corrisponedenza Archeologica - Carlo Promis 'Le antichità di Alba Fucense negli Equi' - Michele Michaeli 'Memorie storiche della città di Rieti' -<br />

Teodoro Bonanni 'Stemmi e Catasti Antichi' - Giuseppe Colucci 'Gli Equi' - Teodoro Bonanni 'Le antiche industrie dell'Aquila' - Enrico Abate 'Guida<br />

dell'Abruzzo' - Domenico Lugini 'Memorie Storiche' - P. A. Cremonini 'La ricerca di Tora' - Domenico Federici "La leggenda di S.<strong>Anatolia</strong>'<br />

Luca Holstenio - "Annotationes in Italiam Antiqua"<br />

Nel 1666 il geografo e storico Luca Holstenio nelle sue "Annotationes in Italiam antiquam Cluverii" scriveva: "In civitate Thora: Thorae, five Thoranae<br />

civitatis vestigia certa e indubitata extant ad Thoranum fl. (qui e ipse fine dubio nomen ab ea accipit) à regione Castel Vecchij e Antuni Paulo supra<br />

Colle Piccolo, ubi ecclesia celebris S. <strong>Anatolia</strong>e magna omnium vicinorum populorum religione colitur; quam vis corpus S. Virginis pridem inde a<br />

Sublacense monasterium traslatum fuerit. In ecclesia columnarum e inscriptionum vestigia visuntur, e ager sub ecclesia ad flumen usque ruderibus<br />

longe lateque oppletus cernitur. Distat autem Thora five Torana civitas Trebula Mutusca m.p. VII circiter; Reate autem XIII vel XIV circiter. Locum<br />

lustravi oculis 1645. die 13 may.<br />

Muzio Febonio - "Historiae Marsorum"<br />

Nel 1678 l'abate Mutio Phoebonio nativo della Marsica nella sua monografia "Historiae Marsorum" scriveva: "Sancta <strong>Anatolia</strong>: Eodem itinere M. P. est<br />

Sanctae <strong>Anatolia</strong>e Castrum in ditione Reatina situm, sanctae virginis auspicijs, quae martyrio pro Christi fide in civitate Thora, parum ab hinc longe<br />

felicier coronari meruit; five in persecutione aliquid ibidem passa posteris proprij nominis, passione illustratum locum Reliquerit, sine alia occasione<br />

inditum ignoratur. - Toranum: Inde Toranum M. P. a' Sanctae <strong>Anatolia</strong>e Oppido, quod a flumine nomen sumpsisse Cluverius suspicatur, cum id prope<br />

fluat, nomenq; Ei Toranus fit post Corradini aexercitus profligationem Exortum ex vicis, quos militaris furor vastavit coadunatum, quorum incole<br />

diruptis domibus, haustis substantijs, ut ne in posterum similia paterentur, eo devenerunt consilio, ut simul coalentes munitam stationes stabilirent;<br />

ficque locum quem Sabidius Taurus Iovi sacraverat declinarunt, e Faustis Sabini auspicijs de suo cognomine nomen loci dederunt, e ad haec nostra<br />

tempore basis, qua simulacrum Iovis sistebatur his literis notata inspicitur: IOVI MAXIMO SABIDIVS TAVRVS cuius etiam memoriam cum<br />

dignitatum titulis in lapide, quem mox relaturi simus, ostendemus."<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 50/126


P. A. Corsignani - "Reggia Marsicana"<br />

Nel 1737 Monsignor Pietro Antonio Corsignani, vescovo di Venosa, anch'esso marsicano, nella sua opera "Reggia Marsicana" scriveva: "S. <strong>Anatolia</strong>:<br />

Accosto alla menzionata terra [di Rosciolo], è posta l'altra di Sant'<strong>Anatolia</strong> sul confine della Diocesi per questa parte , perocchè la terra in oggi spetta<br />

alla giurisdizione del vescovo Rietino: ebbe tal nome dal suo antico templo di Sant'<strong>Anatolia</strong> martire , imperciocchè fu martirizzata per la fede<br />

cattolica , nella città di Tora, da cui la moderna terra di Torano col fiume di tal nome ebbe principio: benchè poi la mentovata città di Tora dal furore de'<br />

barberi rimanesse diroccata (Vide Cluver. in Geogr.) e che questa sia stata nei confini degli Equicoli, e de' Marsi, chiaramente apparisce negli atti de'<br />

Santi de' P.P. Bollandiani distesi dal Sollerio, e dal Pinio (Mens. Jul. Tom. 3 pag. 674) non rapportati dalla Febboniana. Si autentica dagli scrittori in<br />

detto glorioso martirio in tal luogo, o ne' descritti nostri confini per maggior lustro de' Marsi: e quivi anche al parer de' citati autori fu martirizzata<br />

Vittoria sorella della lodata <strong>Anatolia</strong>, ed il suo corpo fu indi trasportato a Subiaco (Chron. M. Sublacen. in Barberin. Urb.).<br />

Nelle vicinanze di quella terra si rinvenne l'antica iscrizione già franta di M. Aurelio Antonino Caracalla Imp.: ma il Febbonio (Hist. Mars. pag. 177)<br />

solamente ci rapporta poche parole esistenti nella base del simulacro che Sabidio Tauro consacrò a Giove: e sono: IOVI MAXIMO SABIDIVS<br />

TAVRVS Ond'è credibile che il detto Sabidio Tauro stanziando in que' colli, desse anticamente il nome alla menzionata vetusta città di Tora;<br />

imperocchè troviamo di lui un'altra memoria nella terra del Corvaio, di cui abbiamo di sopra favellato".<br />

Pierluigi Galletti - "Memorie di tre antiche chiese"<br />

Nel 1765 l'abate Cassinese don Pierluigi Galletti, nelle sue "Memorie di tre antiche chiese" scriveva: " Il Turano prende il nome dall'antica città di Tore<br />

da lungo tempo distrutta, pe'l cui mezzo passava. Il Cluverio malamente ha creduto, che sia lo stesso, che il fiume Telonio mentovato da Ovidio ne'<br />

Fasti lib. VI da Paolo Diacono, e da altri, poichè sono due fiumi distinti. Il Turano scorre parte per le terre degli Equi, e parte per quelle di Sabina; ed il<br />

Telonio passa per i Marsi, e per gli Equicoli, onde probabilmente è quel fiume, che ora è detto il Salto".<br />

Mons. Saverio Marini - "Memorie di S. Barbara"<br />

Nel 1788 monsignor Saverio Marini, vescovo di Rieti, nelle sue "Memorie di S. Barbara", scriveva: "155. Quanto alla decadenza delle parti di<br />

Scandriglia, abbiamo la testimonianza di fatto dalle ruine, e vestigie di antiche fabbriche, che si conoscono per ogni verso, ed anche non lungi dal sito,<br />

dove si venerava il corpo della nostra santa. Le storie poi assicurano l'esistenza negli antichi secoli di parecchie città della Sabina, che in oggi più non<br />

esistono, e di alcune si dibatte fra i critici dove erano fabbricate. - 156.<br />

Fra queste città dirute della Sabina il Ferraris nel suo dizionario geografico, ed alcuni altri collocano anche l'antica Tora, e la suppongono dove oggi<br />

dicesi Castel Vecchio, feudo dell'eccellentissima casa Borghese nella mia diocesi, e che la sua denominazione derivasse dal fiume Turano, che vi scorre<br />

sotto, e bagna gran parte di quel territorio, e del territorio di Colle Piccolo, altro feudo di detta casa, che gli sta di prospetto. Io non stento a credere, che<br />

il residuale vocabolo "Rocca Tura", che resta dentro Colle Piccolo, (e che forse sarà stato altro paese, o più antica fortificazione, che le geografie non ci<br />

ricordano) derivato sia dal fiume Turano, per quanto può valere l'argomento desunto dall'etimologia dei nomi.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 51/126


Ma l'antica Tora nè dal Turano prese la denominazione, nè presso il Turano esisteva.<br />

Anche questa città era compresa dentro la mia diocesi, ma ben lungi da CastelVecchio, ben lungi dall'origine e corso del fiume Turano. Stava questa<br />

nelle parti del regno sul confine degli Equicoli, e dei Marsi, come avvertì anche monsig. Corsignani nella sua "Regia Marsicana" presso la terra<br />

chiamata Torano, feudo Caffarelli, e presso l'altra terra, poco distante, detta S. <strong>Anatolia</strong>, feudo dell'eccellentissima casa Colonna. Colà di questa diruta<br />

città si riconoscono le vestigia, e nel declivio della montagna vicina le vecchie carte del mio archivio danno gli antichi titoli di "S. <strong>Anatolia</strong> in Tora", di<br />

"S. Lorenzo in Tora", di "San Leonardo in Tora", di "San Costanzo in Cartora"; ed ivi confessarono col martirio la fede in Gesù Cristo i Santi Audace,<br />

ed <strong>Anatolia</strong>. Ne restai maggiormente convinto nella sacra visita, che colà feci l'anno 1786., e riconobbi, che giustamente indicò il Baronio il luogo del<br />

detto martirio, col dire ai 9. di luglio: "In Civitate Thore apud lacum Velino", e in una sua pendenza vi resta il lago sempre perenne, che si chiama<br />

"Lago della montagna Velina". Riconobbi ancora nell'orto di casa dell'ab. Cattivera, parroco di Torano, l'avanzo dell'iscrizione, che stava al simulacro<br />

di Giove, eretto nei tempi della cieca gentilità da Sabidio Tauro, tal quale fu pubblicato dal riferito Corsignani:<br />

J O V I . M A X I M O . S A B I D I V S . T A V R V S<br />

e convengo col medesimo, che questo Sabidio Tauro, che dimorava in quelle parti, dasse il nome all'antica città di Tora. - 157. Non avendoglielo dato il<br />

fiume Turano, nè potendosi supporre questa città presso Castelvecchio, quantunque vi sia un antico titolo di S. <strong>Anatolia</strong>, dove in oggi vi è un convento<br />

de' P.P. Cappuccini, è totalmente falso ciò, che alcuni di quei contorni spacciano, cioè, che ivi la santa suddetta ebbe il martirio, che in quella chiesa del<br />

suo titolo restò per molti secoli il di lei sacro corpo, e che poi con frode i monaci benedettini lo levarono e trasportarono in Subjaco.<br />

Il sacro corpo di questa santa per più secoli restò dove patì, e precisamente nella chiesa parrocchiale di mia diocesi della terra detta di S. <strong>Anatolia</strong><br />

presso i Marsi, dove i popoli vicini, e lontani concorrono ogni anno per la sua festa, e per i loro bisogni a venerare, ed invocare la santa, riconoscendo<br />

quella chiesa come luogo del suo trionfo, e per qualche tempo della gloriosa sua sepoltura. Se i monaci Benedettini di là, e non mai da Castelvecchio<br />

ne fecero la traslazione ad altra chiesa, e poi a Subjaco, la fecero in virtù dei diritti, che aveva il loro monistero sopra quella chiesa, come gli aveva<br />

sopra di altre anche dentro la mia diocesi, conforme costa da un vecchio registro del secolo XIV., che conservasi nel mio archivio. Essendo stata questa<br />

santa nella mia diocesi, i suoi titoli erano parecchj.<br />

Imperciocchè oltre Castelvecchio, altra chiesa della sua invocazione stava agli Staffoli, altra alle Piagge per la strada, che da Rieti mena a S. Salvator<br />

Maggiore, altre fra i due territorj di S. Benedetto, e Magliano vicino a Rieti, ne perciò deriva, che in quelle parti abbia patito, o abbia avuto luogo il suo<br />

sacro deposito. - 158. Io non so, se nella diocesi di Terni, e precisamente nel territorio di Piedilugo, che confina colla mia, vi sia memoria d'alcun titolo<br />

di questa santa. Mi si suppone, che non vi sia, ma quand'anche vi fosse stato, o vi fosse, è egualmente falsa la supposizione di alcuni di quel paese, che<br />

colà fosse edificata l'antica Tora, che colà patisse S. <strong>Anatolia</strong>, e che del lago di Piedilugo, perchè vi scorre il fiume Velino, intendesse parlare il citato<br />

Baronio. Come nota il Sollerio (in Usuard. 9.Jul.) S. <strong>Anatolia</strong> è stata reatina, e come reatina la dichiarò il Baronio; onde per lago Velino, non significò<br />

il lago di Piedilugo, ma bensì quello della montagna Velina. Le cose adotte convincono, e la distanza di Tora da Rieti, che assegnò Dionisio<br />

D'Alicarnasso (lib. I) di 40. miglia lo conferma. Questa non si verifica ne per Castelvecchio, ne' per Piedilugo; si verifica però a meraviglia per la<br />

riferita terra di S. <strong>Anatolia</strong> nei confini dei Marsi, dove la Sabina non arrivava.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 52/126


F. P. Sperandio - "Sabina Sagra e profana"<br />

Nel 1790 Francesco Paolo Sperandio nella sua opera "Sabina sagra e profana antica e moderna" scriveva: "<strong>Anatolia</strong> da noi lasciata nel suo esilio di<br />

Tora, ed in mezzo ad angustie niente minori di quelle, che soffrire facevansi a Vittoria di lei sorella in Trebola, dello stesso spirito di costanza, e di<br />

carità essendo animata, mirabilmente superate avendo diverse pene, che per rimuoverla dal santo impegno preparate le vennero dal giudice<br />

Faustiniano, con aiuto celeste liberata da un orribile serpente, e convertito alla fede il suo medesimo custode Audace, nel mentre orava colle mani al<br />

cielo elevate, trapassata anch'essa nel petto, la seguì nella corona il dì 9 luglio. Audace nel giorno medesimo preso ed incarcerato, unì ad una gloriosa<br />

confessione una beata morte, il suo capo intrepidamente lasciando sul palco per la fede di Gesù Cristo.<br />

Più chiese l'onore si arrogano di possedere le sagre spoglie de' Santi <strong>Anatolia</strong> ed Audace, o in tutto o in parte almeno, ed altrettante la gloria<br />

pretendono, d'essere state, come della sepoltura, così dell'esilio il luogo, e del martirio. Le principali, e che sembrano avere una maggior assistenza di<br />

fondamenti, sono Castelvecchio in Sabina sulla riva diritta di Turano, e Torano altro castello negli Equicoli. Il primo dimostra, o dimostrare intende, le<br />

ruine dell'antica Tora, dove s'erge il Convento de' PP. Cappuccini con un Tempio appunto dedicato alla Santa Vergine <strong>Anatolia</strong>, di cui, e di Sant'Audace<br />

venera alcune reliquie; l'altro cioè Torano riconosce le vestigie della diruta città di Tora in poca distanza da se e dal monte e lago chiamato Velino, e<br />

sono anche in quelle parti celebri, ed in una non recente venerazione i nomi de' Santi <strong>Anatolia</strong> ed Audace. Sebbene su tal questione Castelvecchio abbia<br />

per se il favore dei più, non mancano anche a Torano dei validi appoggi.<br />

Sono essi già stati rilevati prima da Monsignor Corsignani nella sua Regia Marsicana, ed ultimamente nella citata dissertazione di Santa Barbara da<br />

Monsignor Marini Vescovo di Rieti. Anche i rincontri, che se ne hanno in Dionigj, dovriano far concludere per Torano piuttosto, che per Castelvecchio.<br />

Dapoichè, descrivendo questo autore il sito di Lista, dice: che si trovava di contro a Tora, di qua dal fiume Velino, ed a tre miglia da Rieti, positura<br />

quanto distante e disadatta a quella di Castelvecchio, accomodabilissima però a Torano e di lui aggiacenze. Si decida ciò non pertanto di questa causa<br />

come si voglia; noi siamo sicuri, che dovunque piaccia di situare la Tora, di cui si parla, fu sempre una città appartenente ai Sabini, ed in conseguenza<br />

di gloria alla intiera nazione i di lei pregi. Se in Castelvecchio, non vi è chi il contrasti, e se in Torano degli Equi, forsechè questi, nel dividersi dai<br />

Padri loro per conquistarla come fecero, cessarono di esser Sabini ? Non già nel nome diverso delle contrade e popolazioni, nè nelle varie Diocesi<br />

ristringere si può ciò che è d'onore di tutta una Nazione."<br />

Giancolombino Fatteschi - "Memorie istorico diplomatiche"<br />

Nel 1801 don Giancolombino Fatteschi, abate Cisterciense della provincia romana, nelle sue "Memorie istorico-diplomatiche riguardante la serie de'<br />

duchi e la topografia de' tempi di mezzo del ducato di Spoleto" scriveva: "19. Uno de' Castaldati in vicinanza di Rieti era quello di Tora, costantemente<br />

dal Cluverio appellata Tiora, soggiungendo, che "distabat a Lista XIV. stad. dest. III. mill. pass. ad Velinum flumen", e cinque miglia era Lista distante<br />

da Rieti dalla parte del mezzogiorno al lago Velino. Anche sopra si rammentò altra Tora al lago medesimo, scrivendo perciò il padre Berretti, che<br />

queste Tore fossero due.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 53/126


Ma il Cluverio scrive schiettamente, che Tora fu al fiume Torano, dal quale prese essa il nome. Aggiunge, che Tora fu dirimpetto a Castel Vecchio, ch'è<br />

alla destra del Torano, ed in vicinanza di Colle Piccolo, che n'è alla sinistra, non molto lungi dalla chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>, si frequentata da' popoli.<br />

Scrivono molti che il fiume Torano non sia diverso da quello, che gli antichi dissero Tolenus, o Telonius. Aveva Tora il suo Castaldato con esteso<br />

distretto, giungendo fino al castello di Vivaro, che da monumenti sappiamo, che apparteneva al castaldato di Torano. Nell'agro del medesimo castello di<br />

Bibaro, o Vivaro molti beni sono donati a' Farfensi da Trasmondo figlio di Gisone, e diconsi confinanti: "ab uno latere Petesa, ab alio Portica, ad tertio<br />

latere Vallem Frida, a quartio latere venit Turanum". Puzaglia talvolta si legge registrata in questo Castaldato di Torano, come in un testamento<br />

dell'anno 1010, che non occorre riferire, e talvolta n'è esclusa (come nel contratto di comprita riferito nell'appendice al num. LXXXI.).<br />

In questo Castaldato Lodovico II imperatore, l'anno 864, ad istanza di Pietro vescovo di Spoleto dona alla Badia Farfense i terreni che alla sua regia<br />

azienda appartenevano, situati nel campo, "Qui nominatur Brixianus" come dal diploma dell'appendice num. LV. Del Castaldato di Torano molte volte<br />

fassi menzione ne' monumenti Farfensi, nei quali son nominati varj castelli, chiese e contrade di quel territorio, che possono vedersi alla nota VIII. -<br />

Nota VIII : Tora: della città di Tora, che attraversa il fiume, da cui prese il suo nome, e del suo circondario, e Castaldato detto Torano, e Massa Torana,<br />

più volte ne' occorre menzione ne' monumenti Farfensi, come anche nell'esposto fin qui abbiam veduto. Eccone però de' documenti anche più<br />

significanti: una vendita di Vairone del fù Protò dell'anno 885. Correndo il XXIII. dell'augusto Lotario (computato dalla sua coronazione romana del dì<br />

5 aprile anno 823) e VI. di Lodovico II. suo figlio (preso dall'anno 849. nel quale dal padre fu associato all'impero nel maggio) scritto in Rieti da<br />

Ragichisio notaro il giorno 23. del mese di giugno dell'indizione III. abbiamo che l'istesso Vairone abitante nella massa Torana nel casale detto<br />

Cottigiano vende all'abate Ilderico "portionem meam de Gualdo exercitali qui est in Massa Torana que dicitur Puzalia il loco qui dicitur Vinea<br />

Porcarenis per mensuram pediis publici in longitudine pedes duo mill. e per latitud. pedes quinquaginta e est in congresso vestro. pedem tenente in rivo<br />

S. Petri de Roma in monte qui dicitur Cacunus cum pomis ec. actum in Reate (R. F. CCCXII)".<br />

Nell'anno medesimo 855 abbiamo il seguente contratto della Massa Torana: "Ego Baroncellus fil. ejusd. Agemundi habitator in Massa Torana ubi<br />

vocatur Stalplianus venditi... in monasterio S. Mariae... terram in eadem Massa Torana ubi vocatur ad Civitatem in loco qui dicitur ad illud Farto<br />

Fagum ec. actum in Tora. Galenarius notar." (R.F. CCCXI). L'espressione "Ubi dicitur ad Civitatem" pare, che accenni, che dell'antica città di Tora ve<br />

n'erano soltanto le rovine. Altri contratti di roba in questo Castaldato sono di piccola conseguenza, e bene scarse sono le notizie topografiche che<br />

somministrano."<br />

Felice Martelli - "Le antichità de' Sicoli"<br />

Nel 1830 lo storico Felice Martelli, nativo del Cicolano, nel suo libro "Le Antichità dei Sicoli" scriveva: "Tora: fu una delle città di remotissima<br />

origine, come si può conoscere dalla descrizione che ce ne ha lasciata Terenzio Varrone, esisteva prima la venuta de' Pelasgi in Italia, ed era<br />

celebberrima pel famoso tempio ivi eretto in onore del primo Giano appellato Marte come nume presidente alla pace ed alla guerra, ignorandosi nel<br />

Lazio altro Marte in que' tempi.<br />

Qui fu lo antichissimo oracolo di questo dio anteriore a quello di Dodona; un Pico sopra una colonna di legno vi dava le sue risposte e vaticinii, come<br />

in quello di Grecia le dava una colomba sopra una quercia: la parte più solida di questo tempio si vede ancora esistere sotto la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> nei<br />

gran macigni di travertino, opera ciclopica delle più belle.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 54/126


I monaci Benedettini vi fabbricarono sopra un monastero nei tempi del loro Istitutore, e diedero il nome della Santa ivi martirizzata alle reliquie di<br />

questa città appellandola Sant'<strong>Anatolia</strong>: essa fu detta ancora Matiera o Matiana, che se si volesse attendere al suo significato, verrebbe a farsi palese<br />

che un tal vocabolo sincopato altro non suonava se non Mater-Jana, a cui forse fu inaugurata la detta città nella sua fondazione, essendo probabile che<br />

il presente Giano per la venerazione che volea ispirare a favore della sua madre Giana, l'avesse consacrata al suo nome, e sotto i di lei auspici, come<br />

aveva consacrato il tempio e l'oracolo al suo genitore...<br />

Tora si pone, come dicemmo, nella bella e corretta edizione Greca di Dionisio fatta dallo Stefano nel 1549 pag. 2, lontana da Rieti 36 miglia, e così<br />

vien anche riportata dal Vermigliuoli e da altri. (Dionisio ediz. 1546 p. 2 "Apud Steph. ad CCC stadium Thora, quae et Matiera") è fuor dubbio perciò<br />

che essa fosse piantata dove ora è CAR-TORA sopra S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica<br />

Nel 1831 nel "Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica" si legge: "Ritornando verso il lago, sta Sant'<strong>Anatolia</strong>, dove si osserva, nel<br />

giardino dell'abbate Placidi, un pezzo di bel muro poligono e 200 passi più in sù l'Ara della Turchetta, ch'è la cella di un tempio costruita in larghi e<br />

rozzi poligoni appoggiati da rupi tagliate. Era questo probabilmente il tempio e l'oracolo di Marte presso Tiora. Vicino a quel luogo vi è il monte<br />

Cartora e un miglio distante il villaggio di Tora o Tiora consistente in 4 o 5 case".<br />

Annali dell'Istituto di Corrisponedenza Archeologica<br />

Nel 1832 negli "Annali" del medesimo Istituto si legge: "I monumenti del tempio e dell'oracolo di Tiora sono i due più importanti di tutto ciò che ci è<br />

stato segnalato da Varrone. Egli ne ha fissato le rovine a 300 stadi da Rieti e la situazione del villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong> corrisponde esattamente a<br />

questa distanza. Secondo la descrizione manoscritta del signor Simelli, il monumento dell'oracolo consiste in una roccia bruta, che non è stata tagliata<br />

se non per formare una terrazza di circa 40 metri di lunghezza per 10 di larghezza.<br />

Questa terrazza è limitata da un muro di costruzione pelasgica, ma meno curato di quello del tempio di Marte, che è uno dei più bei modelli di questo<br />

genere di costruzione. Questo muro ha uno sviluppo di 54 metri. La prospettiva teatrale di questa terrazza presenta un banco, tagliato in modo che il<br />

suo dorso sia nella roccia viva, ma la sua sopraelevazione di un solo metro... La sua lunghezza, compresa la base rimasta rozza alla sua estremità, è di<br />

12 metri... La parte superiore della roccia che si estende su tutto il fondo di questa terrazza, forma un dorso che si eleva di 3 metri circa".<br />

Carlo Promis - "Le antichità di Alba Fucense negli Equi"<br />

Nel 1836 l'architetto Carlo Promis nel suo libro "Le antichità di Alba Fucense egli Equi" scriveva: "Io credo che la fondazione di Alba si debba<br />

attribuire ai Pelasgi che secondo Varrone presso Dionisio (lib. 1 cap. 14) fondarono le città che da Rieti, considerato come punto centrale, si diramano<br />

in vari sensi, e principalmente viene da lui mentovata Tiora Matiene distante da Rieti 300 stadi, cioè miglia 37 e mezzo, situata sulla strada che da<br />

questa città porta al lago Fucino ed alla via Latina.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 55/126


La distanza e la direzione nella quale Dionisio mette Tiora la fanno riconoscere nel villaggio di Sant'<strong>Anatolia</strong>, che in un diploma del 1153 è nominata<br />

'Plebem Sanctae <strong>Anatolia</strong>e in Tore' (Ughelli tom. I. Questi riporta pure il diploma dell'istesso anno di Anastasio IV, nel quale il villaggio di Turano,<br />

ritiene già il nome Turanus. Varie prove dell'identicità di Sant'<strong>Anatolia</strong> con l'antica Tiora trovansi date dal signor Petit-Radel negli annuali dell'Istit.<br />

Vol. IV, pag. 10) - Ora dalla pianura Amiternina comincia un piano, più o meno inclinato, il di cui vertice è ad Ovindoli: sotto questo villaggio il monte<br />

è tagliato quasi perpendicolarmente ad un'enorme altezza: queste falde verticali cominciano da Celano ed estendendosi lungo i monti che sono fimbrie<br />

del gran Velino, tracciando una linea insuperabile sino al principio della valle Cicolana, nelle cui fauci è situata Sant'<strong>Anatolia</strong>, la cui identicità con la<br />

Tiora di Dionisio non soffre dubbio; ora negli atti di Sant'<strong>Anatolia</strong> (presso il sig. Petit-Radel loc. cit.) trovasi menzionato il lago ed il monte Velino<br />

presso Tiora come parti del suo territorio, onde l'agro Albense doveva terminare dove cominciano le aspre falde di questo"<br />

Michele Michaeli - "Memorie storiche della città di Rieti"<br />

Nel 1860 Il Dottor Michele Michaeli nelle sue "Memorie istoriche della città di Rieti e dei paesi circostanti" scriveva: "249-251: diffondendosi poi il<br />

cristianesimo nelle città e nelle campagne durante il terzo secolo, e facendo da esso vieppiù contrasto i fautori dell'antico culto, questa lotta durava<br />

ancor viva in Rieti e nella Sabina, come accennano i racconti relativi alla persecuzione dei cristiani sotto Decio. Durante il breve impero di questo,<br />

<strong>Anatolia</strong> ed Audace patirono il martirio presso il luogo, ove era stata la vetusta Thiora, cioè fra gli odierni castelli di Torano e di S. <strong>Anatolia</strong> e sul<br />

declive del monte Velino, presso il laghetto perenne da quella montagna denominato [Il luogo fu indicato con precisione dal Marini (Memorie di S.<br />

Barbara, p.177). Vedi pure il Fatteschi, Mem. del ducato di Spoleto, p.144, 226. La designazione 'Ad lacum Velinum' che si legge negli atti dei martiri<br />

<strong>Anatolia</strong> ed Audace (Bolland., Acta SS., IX julii, tom. II, p.671) aveva indotto in errore gli eruditi, tra i quali l'anonimo autore della tab. Chorogh. in<br />

Muratori (Rer. Ital. script. X, pag. 256), che indica Thiora presso il lago Velino, ora detto di Piedilugo]<br />

Teodoro Bonanni - "Stemmi e Catasti Antichi"<br />

Nel 1881 Teodoro Bonanni nel suo libro "Stemmi e Catasti antichi dei paesi appartenenti alla provincia del 2 Abruzzo Ulteriore" scriveva: "Descrizione<br />

degli Stemmi dell'antica Università della Provincia dell'Abruzzo Aquilano" ... 126. Borgo Collefegato: Uno scudo ovale col cuore e col fegato in<br />

campo d'argento. - Corvaro: Un corvo sopra una colonna in campo azzurro. - Castel Manardo: Una mano che si brucia sopra una fiaccola posta su di un<br />

candeliere in campo azzurro. Poggio di Valle: Una torre con una bandiera, ed un uccello sopra in campo di argento. - Torano: Un toro infuriato in<br />

campo azzurro. - S. <strong>Anatolia</strong>: La immagine di S. <strong>Anatolia</strong> con la palma in mano in campo azzurro. - Spedino: Una pianta di spino in campo azzurro.<br />

[parte 2 - pag.43]<br />

Giuseppe Colucci - "Gli Equi"<br />

Nel 1886 lo storico Giuseppe Colucci nel suo libro su "Gli Equi" scriveva: "Ricordisi inoltre che dalla più remota antichità fu in Tiora Matiena un<br />

oracolo di Marte, i cui responsi erano dettati da un Pico nell'alto di una colonna di legno, onde dallo stesso Dionigi fu notata la simiglianza di questa<br />

maniera di divinazione col pelasgico oracolo di Dodona.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 56/126


Vero è che quella città fu da molti scrittori compresa nella Sabina, ma se per poco si rifletta che i Sabini abitarono l'alto rispianato di Amiterno, e che<br />

Tiora sorse dopo Alba all'ingresso della valle Equana, non lungi dal monte Cartore, ove nel medioevo fu Tora (oggi Torano e Grotte di Torano), l'errore<br />

di quei topografi riesce manifesto. Scendendo i Sabini al piano contro gli Aborigeni, non sormontarono punto i gioghi di Noria, dell'Aquilente e del<br />

Velino, ma percorsero la via naturale dell'Interocrea, come più innanzi sarà detto; laonde nè per ragioni topografiche, nè per tradizioni antiche può<br />

credersi che una sacra primavera di Sabini abbia posta le fondamenta di Tiora Matiena, chiusa nella regione degli Equicoli e propria di quel popolo.<br />

Sanzachè il Marte o "Apns" dell'oracolo Tiorano non fu divinità Sabina o Greca, ma Tragica e Scitica, come la radice del vocabolo "Apns" appartiene<br />

propriamente alla lingua degli Sciti, popoli congiunti ai Medi, ai quali erano identici i Matieni; ed i Pelasgi, per giudizio de' più recenti etnologi ebbero<br />

lor prima sede nella Media o nell'Iran settentrionale, donde tutte uscirono le razze Indoeuropee".<br />

Teodoro Bonanni (2) - "Le antiche industrie dell'Aquila"<br />

Nel 1888 Teodoro Bonanni nel suo libro "Le antiche industrie della Provincia di Aquila" scriveva: "... 6. Antica industria della Corallina --- Nella<br />

regione Marsicana era questa industria molto estesa e proficua: coloro, che la esercitavano doveano avere una patente o licenza, che loro si rilasciava<br />

dal Protomedicato Romano: infatti leggo nel registro delle patenti ai medesimi rilasciate dal detto officio protomedicale dal 18 marzo 1547 al 1570,<br />

pubblicato dal mio chiarissimo amico signor Bertolotti, Direttore dell'Archivio di Stato di Mantova, i seguenti nomi dei Comuni di S. <strong>Anatolia</strong> e di<br />

Alba Fucense del nostro Abruzzo, che ottenuta aveano l'autorizzazione di un tale commercio: essi erano: col titolo di Maestri, Sintionio Antonio, Pietro<br />

Andrea, Pietro Agostino di Antonio, Allegruccio di Antonio, Fedele di Giuliano, Crispoldo Piermattei, Sinsonio, Dentista, Tommaso di Nanni di S.<br />

<strong>Anatolia</strong>, e Marco di Vitale di Alba Fucense.<br />

Enrico Abate - "Guida dell'Abruzzo"<br />

Nel 1903 Enrico Abate nella sua "Guida dell'Abruzzo" scriveva: "S.<strong>Anatolia</strong> e Cartore. (Alloggio in S. <strong>Anatolia</strong> presso Salvatore Ricci e in Cartore<br />

presso Angelina Panci; guida in Cartore Bernardino di Janni, in S. <strong>Anatolia</strong> Antonio Federici). Sia passando per la Badia descritta [S. Maria in Valle<br />

Porclaneta] (Km. 6 da Rosciolo) sia direttamente da Rosciolo (Km. 5) si può andare a S. <strong>Anatolia</strong> piccolo villaggio in bella posizione, ed anche a<br />

Cartore (Km. 2 1/2 da S.<strong>Anatolia</strong>) composto da poche case. Sono due graziosi paesi fra ondeggianti colline, alla base delle montagne della Duchessa.<br />

Le mura poligonali di un antico ieron di Tiora (v. pag.117) servirono di sostruzione alla chiesa dedicata a Santa <strong>Anatolia</strong>, che dicesi qui martirizzata<br />

sotto Decio imperatore per ordine del preside Faustiniano.<br />

Gli avanzi ritrovati han fatto supporre che nei tempi romani esistesse qualche villaggio che mutò poi il suo nome in S.<strong>Anatolia</strong> per la chiesa erettavi.<br />

Da S. <strong>Anatolia</strong> a Torano (Tiora) Km.5,4 (v. pag. 117) - ... - Torano, piccolo paese degno di menzione solo perchè si crede che qui sorgesse<br />

un'importante città sabina, Tiora, della quale ci ha lasciato notizia il solo Dionigi d'Alicarnasso sulle memorie di Varrone, situandola a 300 stadi, cioè<br />

miglia 37,5, da Reate e a 24 da Lista. Era Tiora una città antichissima degli Aborigeni; ma i Sabini se ne impadronirono colle città vicine, quando<br />

estesero il proprio dominio sulle circostanti contrade. Tiora con l'aggiunta di Matiena era celebre per un antico oracolo di Marte, quasi nella forma di<br />

quello di Dodona, oracolo che si rendeva da un Pico, venuto miracolosamente dal cielo, sopra una colonna di legno.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 57/126


L'epoca di questo monumento si fa risalire al 1520 prima di G. C. L'antica città conserva tuttora il suo nome nell'odierno villaggio di Torano, composto<br />

da poche case. Le mura di Tiora erano costrutte di piccoli ma ben aggiustati poligoni; il sito era atto alla difesa e con una pianura per le coltivazioni,<br />

circondata da montagne, fra le quali si eleva alto e maestoso il Velino. Dell'oracolo di Marte si vede tutt'ora la cella, detta Ara della Turchetta, costruita<br />

in larghi e rozzi poligoni, appoggiati da rupi tagliate e a brevi distanze da Torano e S.<strong>Anatolia</strong>. A 200 passi, e presso poche ruine di Tiora, si vede<br />

ancora un Ieron o tempio dedicato allo stesso nume, le cui antiche mura poligonali servirono , come si è detto, di sostruzione alla chiesa dedicata a S.<br />

<strong>Anatolia</strong> (v. pag. 116). - ... - La Magnolia e la Duchessa: Da Ovindoli o dal villaggio le Forme poco distante da Albe si può ascendere in circa 4 o 5 ore<br />

alla vetta più alta dei monti della Magnola (2223 m.). Un interesse maggiore però offre una escursione nei monti della Duchessa. Due sono le vette<br />

principali, il Morrone o meglio la Torretta o Torricella (2216) ed il Muro Lungo (2187).<br />

Per salire alla Torretta si parte da S. <strong>Anatolia</strong> o dal villaggio di Cartore, o dal villaggio di Corvaro (presso Borgocollefegato) non lontano dal principio<br />

della valle Amara. Da S. <strong>Anatolia</strong> si va al punto dove la strada per Borgocollefegato si accosta maggiormente a monte Morrone e precisamente dove<br />

sono le capanne dei carbonari; si sale per un sentiero nel vallone di Piedimonte, dove si trovano querce e faggi e si arriva in 3 ore e 1/2 ai Ginepri alla<br />

cima del detto vallone, e di qui in circa due ore alla punta della Torretta. Da Cartore si segue la valle di Fua, quindi quella del Cieco dove sono<br />

parecchie carbonare interessanti, ed in 5 ore si giunge alla vetta. Da Corvaro si sale per la ripida costa Le Ripi, ed il bosco di Cartore ed in 6 ore circa si<br />

arriva alla Torretta.<br />

Il Muro Lungo (2187 m.) che è separato dalla Torretta , dalla parte superiore del vallone del Cieco, formata da una bella cresta rocciosa si può<br />

ascendere da S. <strong>Anatolia</strong> passando per Cartore, pel vallone la Cesa, pel pratone S. Leonardo e la valle del Cieco, in circa 6 ore e mezzo. Volendo riunire<br />

le due ascensioni del Velino e del Muro Lungo o della Torretta, converrebbe da quello a questi scendere a pernottare a Capo di Teve portando seco la<br />

tenda. Dal Muro Lungo o dalla Torretta, in un'ora si scende dal Giaccio dei Mentuni e in un'ora e mezzo a Capo di Teve. Occorre però una guida pratica<br />

per trovare bene la via fra quei dirupi. La veduta dei monti della Duchessa , che offrono un aspetto tutto diverso da quello del Velino per i boschi<br />

pittoreschi, è bellissima su tutto l'Appennino centrale e sopra il colosso del Velino. In questi monti si stende il laghetto della Duchessa, che si scorge<br />

benissimo dalla vetta della Torretta.<br />

Domenico Lugini - "Memorie Storiche della Regione Equicola"<br />

Nel 1907 Lugini Domenico nelle sue "Memorie storiche della regione Equicola, ora Cicolano" scriveva: "Tiora: gli avanzi di questa vestutissima città,<br />

consistenti specialmente in mura pelasgiche, si osservano presso il villaggio di Torano, o meglio, tra questo e quello di S. <strong>Anatolia</strong>, non lungi dal monte<br />

Cartora e dove l'hanno riconosciuta il Bunsen (Annali dell'Ist. Archeol. 1834), il Martelli (Le antich. de' Sicoli tom. I, lib. I, cap. VII, p.59-60), il<br />

Colucci (Gli Equi p.15), il Michaeli (Note per la storia della città di Rieti p. 18, dove cita il Marini Memorie di S. Barbara, p.197) ed altri. Secondo la<br />

testimonianza di Terenzio Varrone, riferitaci dallo storico di Alicarnasso (lib. I, 14), essa distava da Rieti trecento stadi (Km. 55 e m. 425 circa) ed era<br />

nominata anche Matiena. In essa era l'antichissimo oracolo di Marte (donde il nome di Tiora, perchè il ricordato nume, da Omero 'Odissea', VIII, 361 è<br />

detto Tourio Ares) non dissimile da quello di Dodona, celebrato nelle favole. Un Pico sur una colonna dava i suoi responsi o vaticinii, come in quello di<br />

Grecia li dava una colomba sopra una quercia. Vincenzo Gioberti (Del buono e del bello, cap. 6, p. 197 e seg.) così descriveva tale oracolo: "Uno dei<br />

più antichi oracoli pelasgici, menzionati da Varrone e da Dionisio, è quello di Tiora, oggi Turano, nel territorio di Rieti, presso il villaggio di S.<br />

<strong>Anatolia</strong>, ai piè del monte Velino, dove Pico, uccello divino degli Aborigeni profetava".<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 58/126


Le mura pelasgiche che tuttora si osservano presso l'odierna chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>, rappresentano forse gli avanzi del famoso tempio di Marte dal Pico<br />

vaticinante. Il Fatteschi (Memorie istorico-diplomatiche ecc. p. 152 e 226), il Galletti (Gabio, p. 162, n.4) ed altri scrittori, riposero questa città nella<br />

Sabina dirimpetto a Castelvecchio e Antuni, ma senza appoggio alcuno di validi documenti. Questa città si conservava ancora nel terzo secolo dell'era<br />

volgare, perchè durante il breve impero di Decio (249-251 d.C.) in essa appunto subirono il martirio i Santi <strong>Anatolia</strong> ed Audace, come si rileva dal<br />

martirologio romano ('Septimo idus julii. In civitate Thora apud lacum Velino passio Sanctorum <strong>Anatolia</strong>e et Audacis, sub Decio imperatore'). Le<br />

invasioni barbariche ne dovettero determinare la rovina."<br />

P. A. Cremonini - "La ricerca di Tora"<br />

Nel 1911 il sacerdote di Spedino Cremonini P.A. nel suo libro "Cenni di storia antica - La ricerca di Tora" scriveva: "Finalmente l'Archivio Episcopale<br />

di Rieti ci dà pienissima ragione. In quest'Archivio son certe carte vetuste, che dicono: Dal Santuario, che è nel declivio del monte Velino, si ebbero gli<br />

antichi titoli di S. <strong>Anatolia</strong> in Tora, di S. Lorenzo in Tora, di S. Leonardo in Tora, di S. Costanzo in Cartora; e in quello stesso declivio, aggiungono,<br />

confessarono col martirio la fede di Gesù Cristo i Santi Audace e <strong>Anatolia</strong>. Che si vuole di più ? Tora, dunque, fu qua veramente, e le terre in che sorse,<br />

come la città, così anch'esse furono Sabine"<br />

Domenico Federici - "La leggenda di S.<strong>Anatolia</strong> Vergine e Martire del Cicolano"<br />

Domenico Federici, frate nell'abbazia di Subiaco, fu autore di vari libri riguardanti la storia del suo monastero e luoghi adiacenti.<br />

• 1938. Primordii benedettini e origini comunali in Subiaco - Subiaco (Tipografia dei monasteri) 1938<br />

• 1940. Echi di giansenismo in Lombardia e l'epistolario Pujati-Guadagnini<br />

• 1947. G. XVI tra favola e realtà - Rovigo 1947<br />

• 1966. I Francescani visti in Anagni in una descrizione del 1219 - Roma 1966<br />

Questi titoli li ho trovati su internet - forse ha scritto anche altri libri.<br />

Verso la metà del XX sec., sollecitato dalla fama che in quel periodo riscuoteva la nostra Santa (negli anni '50-'70 in occasione della festa di S.<strong>Anatolia</strong><br />

giungevano nel nostro paese migliaia di pellegrini), fece delle ricerche e il 22 maggio del 1953 diede alla luce la prima stesura del libro "La leggenda di<br />

S. <strong>Anatolia</strong> V. e M. del Cicolano".<br />

Nell'estate del 1953 egli venne a S.<strong>Anatolia</strong> probabilmente in occasione della festa del 9-10 luglio. Portò con se l'unica (?) copia dattiloscritta del suo<br />

libro e la consegnò al nostro parroco che allora era don Giovanni di Gasbarro. Costui l'avrebbe dovuta correggere e poi restituire per la pubblicazione.<br />

Il nostro buon parroco ci mise molto impegno per correggere la bozza ma poi dovette attendere invano che il frate tornasse a riprenderla. Domenico<br />

Federici credo che non venne più a S. <strong>Anatolia</strong> e il libro non venne mai pubblicato. Io ne possiedo una fotocopia, avuta direttamente da don Giovanni<br />

Di Gasbarro, che ho riportato integralmente nel sito: Domenico Federici: La leggenda di Sant'<strong>Anatolia</strong> Vergine e Martire del Cicolano<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 59/126


Appendice V - Visite Pastorali<br />

Santuario di S.<strong>Anatolia</strong> - Antico affresco raffigurante un Santo Vescovo e S.Antonio abate<br />

Fotografia di Roberto Tupone 2004<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 60/126


Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851<br />

Ecc.za Rever.ma Mons. Gaetano Carletti - Prima visita pastorale nel Regno di Napoli - Anno 1850-1851 - Vicariati di: Petrella Marmosedio<br />

Baccarecce Castel Menardo<br />

Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874<br />

Prima visita pastorale nel Cicolano Fatta nell'anno 1874 da Sua Ecc.za M.r Egidio Mauri Vescovo di Rieti<br />

Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900<br />

Sacra visita pastorale della sua Diocesi di M.r Bonaventura Quintarelli dell'anno 1897-1900<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 61/126


SANCTA ANATOLIA<br />

Visita di mons. Gaetano Carletti nell'anno 1850-1851<br />

Ecc.za Rever.ma Mons. Gaetano Carletti - Prima visita pastorale nel Regno di Napoli - Anno 1850-1851<br />

Vicariati di: Petrella Marmosedio Baccarecce Castel Menardo<br />

S. <strong>Anatolia</strong> 21 maggio 1851. Disbrigati tutti gli affari in Torano, preso frugale ristoro in casa del vice-abate d. Matteo Latini, recitate le solite preci<br />

d'etinerario, montato a cavallo S. Ecc.ma R.ma, colla sua comitiva, e con più sacerdoti di accompagno, è partito alla volta di S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

CHIESA RURALE DI "S. MARIA DEL COLLE":<br />

Sul piano tra Torano e S. <strong>Anatolia</strong> trovasi la chiesa di S. Maria del Colle. Accedette alla visita della medesima il convisitatore Jacoboni. La medesima<br />

ha un solo altare ed è a tetto. Riferì che ad eccezione del materiale dell'altare, e de' muri ben forti, ha bisogno di un restauro generale, e pronto deve<br />

esser quello del tetto che minaccia. Evvi eretto un beneficio semplice del titolo S. Maria del Colle patronato dei Principi Colonna, vacato per morte del<br />

fu Don Franco Fabrizi, ed ora amministrato dalla Diocesana. E' a carico del beneficiato il mantenimento della chiesa, per cui si scrisse al Preside della<br />

diocesana, onde pensasse seriamente e prontamente al restauro per ora del tetto, ammettendo dilazione il resto.<br />

CHIESA DEL SANTUARIO DI SANTA ANATOGLIA =<br />

Prima di salire al paese, è situata questa chiesa di natura filiale, di gran devozione del popolo e de' paesi circonvicini; che frequentemente vi accedono.<br />

S. Ecc. R.ma volle personalmente visitare questa chiesa. E' questa consagrata, antichissima, e la tradizione ricorda esservi stato una volta un monastero<br />

di benedettini. Ha gli altari disordinatamente disposti. Sono questi minutamente descritti nella visita del 1828. Qui sono ricordate alcune memorie<br />

scritte al muro, di pura devozione, che ora meno qualcuno non più si leggono, essendo state imbiancate e ricoperte. - All'altare della Pietà eranvi un<br />

Monte di Pietà, ora dissipato. Possiede alcuni fondi amministrati dall'Abate pro-tempore. Vi era l'obbligo celebrarvi ogni Mercoldì pel fu Fabio Di<br />

Domenico. Si celebrano dall'abate per due porzioni, per la terza dai canonici. Sono ridotte ad decennium a 14 per l'abate, ad otto per ciascuno dei<br />

canonici. La riduzione è fatta il dì [...] Nell'altare della Madonna di Loreto è eretto il beneficizio della Madonna di Loreto, che si possiede dal can.co<br />

sig. d. Angelo Falcioni. E' patronato della famiglia Colonna. (L'attuale altare in vista dell'umidità sarà asportato, a spese del possessore del beneficio in<br />

altro luogo decente, e ne ebbe rescritto facoltativo come a pag.a 31). Ha l'obbligo di messe dieci. L'attuale possessore can.co Falcioni documentò<br />

l'adempimento.<br />

Esaurì l'Ecc. S. R.ma tutti gli atti di Visita Reale e formale in detta chiesa, ed avendola trovata decentissima, si compiacque della decenza e della<br />

devozione. Di questa chiesa ha cura l'ab. pro-tempore, e vi è un eremita per custode. Mons. Vescovo Curoli nell'ultima sagra visita del 1839 emanò un<br />

decreto per la regolare distribuzione della elemosina delle messe, che manualmente s'introitano in questo santuario. Venne riconosciuto, e confermato<br />

in questa sacra visita.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 62/126


Giunta l'Ecc.za Sua R.ma nella terra di S. <strong>Anatolia</strong>, smontò innanzi la chiesa parrocchiale, orò innanzi al SS.mo sagramento, osservò la sagrestia, gli<br />

altari, il materiale della chiesa di bella forma, e quindi si diresse verso la casa del sig. can.co d. Giuseppe Placidi, ove gentilmente era stato chiamato<br />

con tutti i suoi, per alloggiare. Sull' Ave Maria recitato il mattutino, ed il Santo Rosario, preso un ristoro si andò a riposare.<br />

CHIESA DI S. NICCOLA - PARROCCHIALE<br />

S. <strong>Anatolia</strong> 22 Maggio 1851. Si premette che la terra di S. <strong>Anatolia</strong> è situata su di amena collina alle falde dell'Appennino. Conta circa 400 anime. E'<br />

parrocchia di patronato del principe Colonna vacante per la vertenza come si è detto della parrocchia di Torano. Il parroco pro-tempore ha il titolo di<br />

abate. Non ha sepolcri i quali sono nel Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>. La parrocchia è sotto il titolo di S. Niccola, e a questo santo è dedicata la chiesa. Ha<br />

cinque altari, oltre il maggiore, fedelmente descritti nella visita del 1828, pag. 179, dopo la quale non ebbero cambiamento, con tutti i pesi annessi. -<br />

Nel Maggiore conservasi il SS.mo sagramento che possiede alcuni beni, di cui l'amministratore rende conto alla beneficenza. Colle rendite si mantiene<br />

la lampada, si provvede la cera per le varie funzioni, si soddisfano le messe, che sono notate più sotto al titolo de' legati. Regolare è l'amministrazione.<br />

- Anche la Madonna del Rosario ha vari fondi che si amministrano come quelli del sagramento, e colle rendite si soddisfa ai vari pesi annessi.<br />

BENEFIZI NELLA PARROCCHIA<br />

Benefizio patronato Placidi all'altare della Vergine del Carmine coll'obbligo di messe tre al mese e tre fra l'anno. Si possiede dal vivente d. Giuseppe<br />

Placidi con bolla episcopale, che documentò l'adempimento. Fu eretto nel 1696, come al bollario di detto anno pag. 222. - Benefizio semplice all'altare<br />

de Rosario, fondato l'anno 1620 (Boll. 96 pag. 166) da Liberato De Angelis, esecutor testamentario di Teobaldo Rocchi di Magliano per gli atti di<br />

Giuseppe Rocchi di Magliano (Vedi anche il Bollario del 1627, alla pag. 189). Nella visita del 1828 si dice posseduto da d. Angelo Falcioni, ma<br />

risaputosi dal medesimo non possederlo, se ne diede notizia alla diocesana. - Benefizio patronato della famiglia Spera del titolo S. Giovanni Battista<br />

nell'altare di questo titolo con una messa al mese. Si possedeva dal fu ab. d. Pietro Placidi, e dalla nostra cancelleria apparisce fondato l'anno 1606. Si<br />

considera come cappellania manuale. Si documentò l'adempimento.<br />

Questa parrocchia si considera in qualche modo come collegiata, ed il capitolo composto dall'abate, e tre canonici, debbono per antica consuetudine<br />

assistere alle messe solenni, ai vesperi, alle processioni, alle altre funzioni, associando anche i cadaveri. Partecipano coll'abbate alle decime, e agli<br />

emolumenti de' funerali. Ora due soli sono pieni, uno vacante, tutti di nomina de' principi Colonna. Il vacante è amministrato dalla diocesana. (nota -<br />

Questo terzo canonicato, come dalla memoria nella pagina seguente, del titolo di S. Niccola, e che possiedeva il fu can.co Amanzi col peso di messe<br />

dodici annue è riunito alla parrocchia).<br />

ALTRI BENEFIZI<br />

Oltre la prebenda abbaziale, e i tre descritti canonicati, e patronati vi sono altri benefizi; cioè: - Nella grotta di S. Leonardo con altare diruto benefizio<br />

semplice di detto titolo patronato Colonna, la di cui istituzione una volta la dava il S. abate di S. Paolo. Lo possiede l'attuale can.co d. Giuseppe Placidi.<br />

Ha il peso di num. 20 messe annue. - Benefizio semplice patronato Colonna nella chiesa rurale di S. Lorenzo in Cartora, col peso di una messa al mese,<br />

amministrato dalla diocesana, e si documentò l'adempimento (Riunito come sopra).<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 63/126


Visitata la detta chiesa, nuda col semplice altare ove si serbano i sacri arredi; si trovò atta ai divini uffizi. - Benefizio del titolo S.Costanzo patronato<br />

Colonna ritenuto dalla diocesana con messe 15 all'anno che documentò l'adempimento. Questo benefizio non ha chiesa propria (Memoria - Con<br />

Decreto Reale del 17 -7bre 1836 (vedi la copia pag. 461) furono riuniti a questa parrocchia a titolo di congrua i titoli - S. Lorenzo in Cartora - S.<br />

Costanzo - S. Niccola - di cui è in possesso già la parrocchia - dichiarata in quel decreto di Regia nomina). - Della chiesa di S. Atanasio, ci sono rimasti<br />

i ruderi. L'obbligo di messa una solenne e tre lette si adempie dalla Compagnia del Sagramento.<br />

ORATORIO PRIVATO<br />

In casa del Sig. can.co d. Giuseppe Placidi con breve pontificio di recente data ha il diritto la predetta famiglia Placidi dell'oratorio. E' ben fornito di<br />

sacri arredi e tutto decentissimo.<br />

CHIESA DELL'ADDOLORATA<br />

A devozione del popolo, su di un colle di fronte al paese, per una grazia di Maria Vergine, si diè principio vari anni dietro ad una chiesa. Mancarono i<br />

mezzi nel meglio, e tuttora resta incompleta. Si invitò il popolo al proseguimento, e soprattutto ad assegnare una dote al mantenimento, onde non<br />

vederla rovinare nel nascere.<br />

LEGATI PII RIEPILOGATI<br />

I Legati pii in questa parrocchia sono i seguenti: Nella chiesa parrocchiale a carico della Compagnia del sagramento: 1 Messe quattro annue pel sig.<br />

Antonio Placidi. - 2 Una annua pel sig. Francesco Gentili. - 3 Quattro annue per la sig. Antonia Amanzi. - 4 Una solenne, e tre lette annue, che si<br />

soddisferanno nella chiesa di S.Atanasio ora diruta. - A carico della Compagnia del Rosario: Messe due annue pel sig. Carlo Amanzi. A carico del<br />

benefizio patronato del Carmine messe due ogni mese, più tre infra annum. A carico del benefizio patronato Spera messa una al mese. Messe dodici<br />

annue pel canonicato riunito alla parrocchia, che godeva il fu' canonico Amanzi. Messe quindici pel beneficio di S. Costanzo riunito come sopra.<br />

Messe dodici pel beneficio di S. Lorenzo riunito come sopra. Messe dodici pel canonicato Falcioni. Messe dodici pel canonicato Placidi d. Giuseppe.<br />

Messe venti pel beneficio di S.Leonardo patronato già Colonna. - Nella chiesa del Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>: - Nella cappella della Pietà messa una ogni<br />

mercoledì. Ridotte ad decennium a num. trenta. - Messe dieci annue al Altare di S. M.a di Loreto pel benefizio ivi eretto. - Nella chiesa di S. Maria del<br />

Colle - rurale: - Messe due annue a carico del benefizio.<br />

ECCLESIASTICI IN SANT'ANATOGLIA:<br />

– d. Francesco De Giorgio ab. economo da più anni dalla diocesi de' Marzi di anni 45; - de. Giuseppe Placidi di anni 83 canonico semplice; - d.<br />

Angelo Falcioni di anni 80 canonico come sopra; - Vi sono i chierici - Scafati e Panei, che dimorano in Sem..<br />

================<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 64/126


S. Ecc. R.ma in questa stessa mattina recatasi in chiesa, ed ivi [...] vice. ab. d. Franco De Giorgio, pratico quanto proferiva il Pontificale Romano, ed<br />

amministrata la S. Cresima, visitato il Tabernacolo Santo, nonchè tutto il formale, e materiale della chiesa, si ritirò nella residenza, decretò come a pag.<br />

[...]. Il convisitatore, esaminò i libri parrocchiali, de' pii legati delle amministrazioni, ed ordinò un nuovo impianto ai legati per la retta soddisfazione,<br />

ed un libro per un'amministrazione più esatta dei "Pii. Nota - Questa parrocchia mai ebbe casa parrocchiale.<br />

Nel dopo pranzo si visitò - Spedino - qui appresso descritto.<br />

S. <strong>Anatolia</strong><br />

Fedi di stato libero e verifica dell'impedimento che si passa tra:<br />

Giuseppe Rubeis figlio di Pietro e Domenica Peduzzi fu Niccola.<br />

Comparve testimonio Giovanni Rubeis fu Ubaldo di S. <strong>Anatolia</strong> il quale depose conoscere i predetti Giuseppe e Domenica, di conoscere la forza del<br />

giuramento fatto il quale vincolo intendeva essere esaminato. Depose che detto Giuseppe è parente in terzo, in quarto grado consanguinità, che visse<br />

sempre in libero stato dalla nascita fino al presente, che visse trattando con familiarità Domenica Peduzzi, che il luogo, ossia paese cioè S. <strong>Anatolia</strong> è<br />

tale da verificarsi la ristrettezza locale, che la donna è oltre gli anni venticinque, che ambedue nulla posseggono. - Comparve Angelo Di Cristoforo<br />

figlio del fu Alessandro, il quale interrogato come sopra in tutti gli articoli nominati, depose e ratificò quanto depose, e rettificò l'altro testimonio<br />

Giovanni Rubeis.<br />

S. <strong>Anatolia</strong> in atto di S. Visita il 22 maggio 1851<br />

Ar.p.te Agostino Sepio di S. Visita, e cancelliere assunto a quest'atto.<br />

Beatissimo Padre - Giuseppe Rubeis e Domenica Peduzzi di S. Natolia nel Regno Diocesi di Rieti prostrati ai piedi della Santità Vostra umilmente<br />

espongono, che per togliere lo scandalo insorto pel tratta familiare avuto fra loro, per la ristrettezza del luogo e l'età della donna, desiderano unirsi in<br />

tanto matrimonio, ma perchè congiunti in terzo e quarto grado di consanguineità, implorano la dispenza di tale impedimento, e perchè poveri di non<br />

poter sostenere le spese della Pateria, se l'augurano per l'organo della Sacra Penitenziaria, che della grazia.<br />

FERDINANDO II<br />

per la grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie di Gerusalemme Duca di Parma, Piacenza, Castro, ecc. ecc. Gran Principe ereditario di Toscana,<br />

ecc. ecc.<br />

Al diletto nostro Parroco della Regia chiesa di S. Niccola in S. Anatoglia, essendoci determinati ad accordare un aumento di congrua a codesta<br />

parrocchia di Nostro Regio Padronato ad oggetto che i parrochi vostri successori possate più agiatamente, e con maggior zelo soddisfare<br />

all'obbligazioni della cura delle anime abbiamo pertanto con decreto de' 25 luglio ultimo aggregato a codesta regia parrocchia med.a per sua<br />

sopraddotazione, i vacanti benefizi semplici anche di nostro regio padronato, e sotto i titoli di S. Lorenzo in Cartoro, e di S. Costanzo, e di S. Niccola<br />

nella stessa chiesa. Quindi vogliamo che tutti gl'ecclesiastici, ai quali spetti, tutti i magistrati, e le altre autorità constituite nei nostri reali dominii<br />

riconoscano, e garantiscano la Regia parrocchia med.a nel possesso degl'indicati beneficii. Ed affinchè poi rimanga perpetuo documento di questo<br />

tratto di nostra munificenza o riguardo di codesta parrocchia med.a, abbiamo ordinato di spedirne il presente diploma da noi sottoscritto, munito del<br />

nostro reale suggello, e riconosciuto dal Nostro Ministro Segretario di Stato delle Finanze incaricato del portafoglio degl'affari ecclesiastici. Napoli,<br />

17 7bre 1836. Ferdinando = Marchese d'Andera = Reg. Pag. 49 n. 40.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 65/126


RISPOSTA<br />

alle domande di Monsignor Vescovo D. Gaetano Carletti per ciò che riguarda la chiesa di S. Nicola in S. Anatoglia<br />

L'anno 1851<br />

ARTICOLI GENERALI<br />

1. Anticamente la chiesa parrocchiale era S. Anatoglia; ma ora è S. Nicola. La chiesa di S. Anatoglia è consagrata e non si sa ne l'epoca ne il<br />

vescovo. Solo si celebra l'anniversario il dì 28 aprile per tradizione. Quella di S. Nicola non è consagrata.<br />

2. La chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> è anteriore al paese ne si sa da chi fu eretta. Quella di S. Nicola è stata eretta dai cittadini, ed ora è di Regio patronato. Il<br />

fine della sua rezzione rimonta ad un secolo, sebbene esisteva una piccola chiesa.<br />

3. In uno stato mediocre, e si dovrebbe restaurare.<br />

4. Vi sono otto altari, cioè: - L'altare Maggiore - l'Addolorata - SS.mo Rosario - S. Giovanni - Natività di Maria SS.ma - S. Luigi - S. ma<br />

Concezzione - Suffragio L'altare di S. Giovanni è di juspatronato della famiglia Spera, e l'altare della Concezzione è della famiglia Placidi. Il<br />

solo altare del Suffragio è privileggiato, come dalla iscrizione sopra il med.o ma non esiste breve alcuno.<br />

5. Gl'altari propriamente non hanno dote alcuna. E si mantengono col sopravanzo de LL. Pii, se vi è.<br />

6. Il tabernacolo è di legno. L'olio si prende colla vendita di esso.<br />

7. Nella chiesa di S. Nicola non vi sono sepolchri, ed i defunti si seppellisco nella chiesa di S. Anatoglia dove sono sei sepolchri, e distano dagli<br />

altari quattro palmi circa le più vicine, e l'altre distano di più. Sono tutte comunali.<br />

8. Evvi battistero, organo e campanile con due campane.<br />

9. Non ci sono corpi de' Santi, ma alcune reliquie e sono le seguenti: S. Nicolò = S.Anatoglia = S. Dodici Apostoli = Velo di Maria SS.ma = S.<br />

Luigi Gonzaga = .<br />

10.Gl'arredi sacri sono di mediocre qualità e sono due calici di rame uno argentato, ed uno indorato. Due Piside di rame aurato. Un'Ostensorio<br />

d'argento, fatto nello scorzo anno. Pianette sei. Tovaglie 26. Fiviale uno. Parato uno. Incensiere uno d'argento.<br />

11.Vi sono sepolcri per i due sessi, e per i fanciulli ma non per gli ecclesiastici.<br />

12.Non vi sono ne confraternite ne congregazioni.<br />

13.[...]<br />

14.[...]<br />

15.Vi sono li beneficii semplici e sono: S. Leonardo = S. Giovanni = S. Maria del Colle = Maria SS.ma di Loreto = Cappella del Carmine =. Vi<br />

sono pure de' legati pii e sono: Messe 30 l'anno alla SS.ma Pietà nella chiesa di S. Anatoglia = Messe nella dedica della chiesa di S. Anatoglia,<br />

nel dì due maggio, nel dì del Corpo D.ni e S. Sebastiano.<br />

16.Vaca il solo beneficio di S. Maria del Colle, ed è sotto la diocesana.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 66/126


17.Il Sig. d. Giuseppe Placidi oltre il canonicato possiede il beneficio di S. Leonardo e del Carmine. Il Sig. d. Angelo Falcioni oltre il canonicato<br />

possiede anche il beneficio di Maria SS.ma di Loreto, ed alla chiesa non vi sono altri inservienti.<br />

18.La sagrestia è in uno stato mediocre, e si dovrebbe meglio accomodare.<br />

19.Non vi è archivio.<br />

20.Non vi è cimiterio.<br />

21.Non vi sono indulgenze.<br />

22.Oltre le feste tutte del Signore, che si fanno a spese della chiesa istessa, si fanno le feste di S. Luigi, di S. Anatoglia e di S. Nicola e tutte per<br />

mezzo dell'elargizione de' fedeli.<br />

23.Non vi sono altri legati de' soprariferiti. Ne vi è tabella.<br />

24.La chiesa propriamente non ha rendita, ma ad essa si è aggregata la rendita detta: SS.mo Sagramento = SS.ma Pietà = S. Sebastiano = SS. mo<br />

Rosario e S. Anatoglia, e con la rendita di questi LL. Pii si mantiene la chiesa. I detti LL. Pii sono amministrati da Giovanni Federici, e la sua<br />

rendita la farà conoscere nei conti che renderà innanzi a S. Ecc. R.ma.<br />

25.La rendita consiste in fondi rustici, e non ci sono ne' censi o altri diritti.<br />

26.La chiesa ha un debbito di D. 113 col campanaro per la campana da lui fusa nel 1849. Liti non ne ha.<br />

27.Non vi sono rendite destinate per la fabbrica, ed il peso del mantenimento incombe alla Reale Corona.<br />

28.Non vi è nessuno inventario ne' vi sono carte di fondazione ne' istrumenti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 67/126


ARTICOLI DE' PARROCHI<br />

1. Il Santo titolare è S. Nicolò de' Bari, ed il paese intero è soggetto alla stessa parrocchia.<br />

2. Vi è la compagnia del SS.mo sagramento.<br />

3. Evvi il fonte battesimale, ma non si conosce l'epoca.<br />

4. La Badia è vacante, ed agisce in qualità d'economo curato d. Francesco Giorgi, che essendo stato posto in ajuto dell'ultimo possessore d. Pietro<br />

Placidi da monsignore d. Filippo Curoli. Fu poi dal medesimo confermato dopo la morte di detto Placidi<br />

5. La congrua che ha non è sufficiente.<br />

6. Non vi è casa parrocchiale.<br />

7. La sud.a Badia ha due casi detti canonici coadiutori, cioè d. Giuseppe Placidi, e d. Angelo Falcioni.<br />

8. Non vi sono altri sacerdoti.<br />

9. Non vi è maestro di scuola pubblica.<br />

10.Nella chiesa di S. Anatoglia vi è l'eremita, chiamato Giovanni D'Alfonso della diocesi di Sora di anni 70 e di moderati costumi.<br />

11.Tre chiese trovansi nel recinto del parrochia cioè S. Anatoglia, S. Maria del Colle, e S. Lorenzo in Cartora. Altro non vi è.<br />

12.La parocchia è composta d'anime 575 circa. Non vi sono scomunicati. Ne interdetti d'eresia sospetti, concubinarii, usuraii, sebbene si sente<br />

risonare qualche bestemmia semplice.<br />

13.Non vi sono persone ascritte a sette, non vi sono libri proibiti. Vi sono quelli che non hanno adempito al precetto pasquale e sono Angelo Nicola<br />

Amanzi per anni 5.<br />

14.Una sola è l'ostetrice cioè Domenica Pozzi, ed è di buona condotta, ed è stata più volte istruita sulla forma del battesimo.<br />

15.Le feste non si osservano se non da pochi. Non vi sono altri abusi che l'ubbriachezze, ed il vedere sempre aperti i luoghi pubblici.<br />

16.Il parroco suole predicare in tutti i dì festivi, eccettuati qualcuno in tempo di mietenza.<br />

17.Non vi è stato mai predicatore.<br />

18.La dottrina Cristiana s'insegna in tutti i dì festivi ed ogni giorno di Quaresima.<br />

19.Nei dì festivi poco vi è concorso. Nella Quaresima assai.<br />

20.Istruiti i fanciulli nelle cose necessarie si fanno fare ai medesimi gl'atti prattici, come deve far l'esame, come il dolore, come il proposito, come<br />

l'accusa, e come la penitenza al confessore. Per quelli poi che si ammettono alla prima Comunione dopo averli istruiti delle cose necessarie si<br />

portano in luogo separato dove dal parroco si fà un discorso facendogli conoscere = il nostro niente = l'amore che cosa ci ha portato = chi sà<br />

quello che si riceve = e cose simili.<br />

21.Si fanno dall'economo curato.<br />

22.La tassa de' funerali è di paoli sei con officio, e messa cantata. Vi erano alcuni abusi, ma si sono quasi eliminati.<br />

23.Tutti i sagramenti vengono amministrati secondo il rituale romano. In occasione di matrimoni vi è il solo abuso che benedicendosi le nozze i<br />

sposi si communicano prima della messa e non già nella messa istessa.<br />

24.Gli sposi sono esaminati sopra i misteri della fede e dottrina cristiana.<br />

25.Le congregazioni si sono in tutto abbandonate.<br />

S. <strong>Anatolia</strong> risposte ai quesiti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 68/126


Visita di mons. Egidio Mauri nell'anno 1874<br />

Prima visita pastorale nel Cicolano Fatta nell'anno 1874 da Sua Ecc.za M.r Egidio Mauri Vescovo di Rieti<br />

Disbrigati tutti gli affari di S. Vis. nel villaggio di Torano, fatto l'ascolto all'abbate ed al coadiutore, accolti molti sacerdoti accorsi dai vicini paesi, M.S.<br />

Vescovo alle 9 1/4 di sera partiva co' suoi per S. <strong>Anatolia</strong> e vi giungeva alle 9 3/4. Scendeva di cavallo in casa dei Placidi, dove prese alloggio fino alla<br />

mattina del 18 giugno.<br />

CHIESA PARR. DI S. NICCOLA<br />

S. <strong>Anatolia</strong> = SANCTA ANATOLIA = 16-17 giugno<br />

S.Ecc.ma giunta appena in questo villaggio si recò dalla casa Placidi alla chiesa parrocchiale sotto il baldacchino, sostenuto dai fratelli del SS.mo<br />

Sacram., e preceduto da una processione di Figlie di Maria, al canto del Salmo Benedicty. Sull'ingresso della chiesa fu ricevuto dall'abb. locale don<br />

Costantino Placidi, vi eseguì, in mezzo ad una turba di popolo accorso alla chiesa, le funzioni ed assoluz.i prescritte. Predicò fervorosamente al popolo<br />

intenerito, lo benedisse colla S. Pisside, visitò il ciborio, assiste alla benedizione della novena di S. Luigi. Dopo la quale essendo l'ora tarda, rimise al<br />

dimani il resto della S. Visita in questa chiesa e preceduto come prima da tutta la schiera delle Figlie di Maria, cantando inni in lode della Vergine, si<br />

ritirò in casa dei sigg. Placidi.<br />

Il giorno seguente celebrato l'incruento sacrificio nell'oratorio privato dei Placidi, si recò di nuovo in chiesa parr. per continuarvi la S. Visita. Questa<br />

chiesa per altro di elegante struttura fu riconosciuta bisognevole di restauri fin dall'ultima nostra visita del 1851. In questo lasso di tempo si sono fatti<br />

sempre più urgenti e tutto il materiale di essa chiesa merita assolutamente di essere ripulita e guardata dall'umidità che quanto prima la farebbe rivinare.<br />

Dietro ciò M.r Vescovo si raccomandò vivamente per un sollecito restauro, come leggesi alla pag. 55. Quanto all'indicato restauro della chiesa Parr. d.<br />

abbate Placidi promise a M.r Vescovo far venire quanto prima un ingegnere dal lago Fucino per consultarlo in proposito e segnatamente per combinare<br />

il modo di impedire l'umidità della chiesa.<br />

CHIESA DEL SANTUARIO DI S. ANATOLIA<br />

Grande è la divozione che questo Santuario risquote tuttora dal popolo e dai paesi limitrofi. Le sue memorie sono ricordate nella vis. 1828-1851.<br />

Coll'andar del tempo questa chiesa era quasi ruinata. Da qualche anno si è incominciata a restaurare colle elemosine dei fedeli. Ma non sono ancora<br />

ultimati i restauri. Mr. vescovo raccomandò vivamente il sollecito proseguimento dei med. . Vi si continua a seppellire. Si spera però che si renda<br />

sepolcrale l'altra chiesa fuori del paese di "dell'Addolorata". Quanto agli oblighi di messe annessi a questa chiesa. .... vedi appresso. Ha la cura di essa<br />

l'abb. pro tempore e vi è tuttora eremita per custode. Quanto alla distribuzione dell'elemosina delle messe che manualmente si introitano in questo<br />

santuario, si osserva tuttora il decreto emanato in proposito da Mr. Curoli nel 1839. Mr. Vescovo visitato personalmente questo Santuario, ad onta dei<br />

restauri che vi si debbono ancora praticare, lo trovò atto ai divini uffici ed alla celebraz. della S. Messa.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 69/126


CHIESA DELL'ADDOLORATA:<br />

Si trovò tuttora incompleta la fabbrica di essa. Non se ne può sperare la continuazione. Si vuole rendere sepolcrale invece del Santuario. Non vi si è<br />

mai funzionato nè celebrato.<br />

CHIESA PAR. DI S. MARIA DEL COLLE:<br />

Ne esistono solo le pareti. Senza tetto, senza porta, senza altare. Quanto al beneficio erettovi vedi sotto S.Benefizio.<br />

CHIESA RURALE DI S. LORENZO:<br />

E' quasi ridotta ad usi profani. Dista mezz'ora dal paese. Non vi si celebra più.<br />

CHIESA DI S. COSTANZO:<br />

Non ne esiste più traccia alcuna; il S.mo Sacram. però fa ancora soddisfare i pesi annessi di messa una solenne e 3 lette.<br />

BENEFIZIO DI S. MARIA DEL COLLE:<br />

Questo perchè vacante lo amministrava la diocesana, da questa però nel 1865 passò all'economato (regio).<br />

ALTARE DELLA PIETA':<br />

Nella chiesa Santuario di S. <strong>Anatolia</strong>. Questopossedeva un monte frum. ma è disperso. I beni che possiede sono oggi soggetti alla congregazione di<br />

carità di Borgo Colle Fegato. Si amministrano però dall'abb. pro tempore. Si documenta il regolare adempimento di messe 14 a carico dell'abb. e di 8<br />

per ciascuno a carico dei can.ci. Il peso originario era di messa una ogni mercoledì pel G.ri Fabio Di Donico. Si ottenne una riduz. come sopra ad<br />

decennium, che cessò col luglio del 1849. Si decretò come a pag. 56.s.2. Tanto più che fu qui alla congregaz. di carità si è fatto sempre apparire<br />

l'adempim. originario di messe 50. L'indulto di riduzione fù prorogato in questa s. visita ad un altro decennio..<br />

BENEFIZIO DELLA MADONNA S.MA DI LORETO:<br />

Ha il peso di messe 10 all'anno. Da 60 anni fa fu riunito al canonicato Falcioni. Dal 1860 lo possiede l'economato reggio di Città Duc. che per<br />

assicurazione del sacerd.e Panei ne fa annualmente soddisfare il peso di messe 12 all'anno.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 70/126


BENEFIZIO PATRONATO PLACIDI:<br />

All'altare del Carmine col peso di messe 2 al mese e 3 all'anno. Lo possiede d. Costantino Placidi con bolla. Documenta, il regolare adempimento agli<br />

oblighi.. -<br />

BENEFIZIO SEMPLICE ALL'ALTARE DEL ROSARIO:<br />

Lo possiede ora la congregazione di carità di Borgo Colle Fegato. Non avendo esso natura di benefizio ma di beni annessi alla congregaz.e del Rosario<br />

non si comprende come sia caduta in mano della congeg.e rispettando almeno fin qui la legge ai beni delle compagnie. Questi però sono amministrati<br />

dall'abate pro tempore che rende conto alla congregaz.e. Pare non abbiano pesi di messe.. -<br />

BENEFIZIO PATRONATO DELLA FAMIGLIA SPERA:<br />

Del titolo di S. Gio. Battista il peso di messa 1 al mese. Lo possiede da lunghi anni d. Franco Giorgi di Sante Marie diocesi de' Marsi ora parroco in<br />

Oricola. Lo ottenne quando era abbate parr. in S. <strong>Anatolia</strong>. I sacerdoti di questo paese assicurarono che il Giorgi fa puntualmente soddisfare ogni anno<br />

l'obligo indicato.. -<br />

BENEFIZIO SEMPLICE DI S. LEONARDO:<br />

Ha il peso di 20 messe all'anno. Lo possiede d. Angelo Scafati, perchè riunito da circa 90 anni fà al S. Canonicato. Documentò la fedele soddisfazione.<br />

BENEFIZIO DI S. LORENZO, DI S. COSTANZO E DI S. NICCOLA:<br />

(Quest'ultimo benefizio primadella riunione formava il 3 canonicato). Questi 3 benefizi con regio decreto del 17 ottobre 1836 furono a titolo di congrua<br />

riuniti alla parr. di S. <strong>Anatolia</strong> dichiarata nello stesso decreto di nomina reggia. Il parroco abbate d. Costantino Placidi documentò il fedele<br />

adempimento dei pesi annessi ai 3 benefizi.. -<br />

CANONICATI:<br />

Dopo la riunione del 3 alla parr. 2 sono i canonicati presentemente del titolo di S. Nicola. - Il 1 che ha l'obligo di coadiuvare il parroco ha l'obligo di<br />

messe 18 all'anno. Attualmente lo possiede d. Angelo Scafati ns. vic. foraneo con Bolla vesc. del 1858. Documentò l'adempimento del peso. - Il 2 era<br />

vacante e nel 1860 passò al canon. regio. Il diritto di nomina dei caninicati dai Colonna passò al Re' di Popoli. Quindi sono di patronato regio. -<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 71/126


MESSE PRO POPULO:<br />

Soddisfatte legati: vedi il decreto apporto al relativo registro e riportato nel fascicoli decreti a pag. 56. -<br />

LIBRI PARR.:<br />

ovati regolari ed approvati con qualche piccola osservazione quanto ai cresimati. - CASA PARR.e: Non vi è stata mai. L'attuale abb. abita in casa<br />

propria.<br />

SACERDOTI IN S. ANATOLIA:<br />

D. Costantino Placidi parr.o abbate dal 1856. Questi nel gennaio di quest'anno (1874) ha spontaneamente rinunciato all'abbazia ed in sua vece dietro<br />

formale concorso ha ricevuto le bolle l'altro sacerd.e di S. <strong>Anatolia</strong> d. Gio. Batta. Panei paesano, il quale però non ha ottenuto ancora il Regio Regnatur.<br />

Ma non essendovi alcun ostacolo, si spera che lo avrà presto. Il Panei è di anni 37. Il 3 sacerd.e residente in S. <strong>Anatolia</strong> è d. Angelo Scafati paesano,<br />

nostro vic. foraneo e 1 canonico coadjutore dal 1858.<br />

Disbrigati gli affari di s. visita in S. <strong>Anatolia</strong> i convisitatori inoltrarono a S.Ecc. R.ma desiderio di visitare le vicine e storiche contrade de' Marsi e<br />

segnatamente il monumentale lavoro del prosciugamento del lago Fucino per opera ed a spese del Principe Torlonia. S. Ecc. annuì e vi si recarono di<br />

fatto. La sera del 16 trattenendovisi tutto il dì seguente rimanendosene Mr. Vescovo in S.<strong>Anatolia</strong>.<br />

La mattina del 18 giugno, Mr. vescovo celebrato di buon'ora l'incruento sacrificio nell'oratorio privato dei Sigg. Placidi, in compagnia del Vic. For., de'<br />

suoi, e di parecchi altri sacerd. dei paesi vicini si recò a Spedino.<br />

S. ANATOLIA:<br />

Avendo noi visitata la chiesa parr.e di S. Niccola nella terra di S. <strong>Anatolia</strong> abbiamo riconosciuto in tutto il suo materiale, il bisogno di un urgente e<br />

generale restauro. Quindi è che innanzi tutto vi raccomandiamo vivamente alla tanto devota popolaz. del villaggio, perchè colle sue caritatevoli<br />

largizioni voglia concorrere al desiderato restauro che vogliamo sperare si farà quanto prima, per non vedere più a lungo in cattivo stato una chiesa per<br />

altro di bella ed elegante forma e struttura. Pertanto abbiamo decretato: che tosto si ripulisca il tratto di parete presso la lampada del SS.mo; che si<br />

ristucchino gli altari di S. Luigi e del Carmine e si restauri il pavimento alla Cappella di S. Giovanni. Tranne l'altar maggiore si rinnovino in tutto gli<br />

altri altari i fiori, si fornisca il confessionale a destra di due [...] e delle imag. del Crocefisso. Si procuri maggior nettezza al fonte battesimale e si faccia<br />

una decente cassetta per conservarvi i vasetti. [...]. Sia interdetto l'altare della Natività finchè non vi si riporrà nuova pietra sacra essendo rotta la<br />

presente.Si restauri l'ombrellino; si fornisca di serratura e chiave l'armadio dei vasi sacri ed arredi e si ripongano alle finestre i cristalli mancanti. Si<br />

ripuliscano tutti i reliquiarj e si proibisce la pubblica esposizione delle 2 cassette e del reliquiario [...]. Da S. <strong>Anatolia</strong> in atto di S. Vis. lì 18 giugno<br />

1874 - Frm. Fr. Egidio [...]<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 72/126


Visita di mons. Bonaventura Quintarelli nell'anno 1897-1900<br />

Sacra visita pastorale della sua Diocesi di M.r Bonaventura Quintarelli dell'anno 1897-1900<br />

Parrocchia di S. <strong>Anatolia</strong> lì 22-23 e 24 Agosto 1897<br />

Ultima S.Visita lì 18 settembre Anno 1887<br />

La mattina del 22 agosto 1897 monsignor vescovo celebrata la santa messa nella parrocchiale di Torano alle h. 10.00 partì alla volta di Santa <strong>Anatolia</strong>,<br />

ove giunse in legno dopo tre quarti circa di cammino. Fu ricevuto da un numerosissimo popolo e al suono delle campane. Appena giunto aprì subito la<br />

Sacra Visita. Alla porta di chiesa era ad attenderlo il parroco e vicario foraneo, don Giambattista Panei, che in cotta stola e pluirale gli porse a baciare il<br />

Santissimo Crocifisso. Premesse le altre cerimonie di rito, diede la duplice assoluzione ai defunti della parrocchia. Quindi ascoltò la santa messa<br />

celebrata dal reverendo abate, durante la quale si recitò il Santo Rosario.<br />

A mezzodì si andò in casa dei Sigg. Placidi, ove si ebbe generosa ospitalità per i 3 giorni che si rimase in Santa <strong>Anatolia</strong>.<br />

Nelle ore pomeridiane sua eccellenza tornò di bel nuovo in chiesa, ove innanzi tutto tenne al numeroso popolo un dotto discorso; quindi amministrò il<br />

sacramento della Cresima a circa 200 bambini dell'uno e dell'altro sesso. Visitò il SS.mo Sagramento e impartì al popolo la prima benedizione colla<br />

Pisside. Fece infine la visita degli altari, dei confessionali, del fonte battesimale, dei sacri arredi, e gli olii sacri. Ma di confessionale ve n'è uno solo, il<br />

quale ha bisogno di una piccola riparazione alla porticina, che si è detto di fare.<br />

Messe pro populo:<br />

Le messe pro populo si trovano applicate puntualmente.<br />

Registri parrocchiali:<br />

Esaminati i libri dei nati, dei cresimati, dei matrimonii, dei morti, e stato delle anime, sono stati approvati con qualche osservazione.<br />

Legati a carico del parroco e dei luoghi pii:<br />

I nove legati a carico del parroco e dei luoghi pii sono stati soddisfatti a tutto il 1896, eccettuate cinque messe per il legato di San Nicola, che il R.ndo<br />

sig. arciprete applicherà quemprimum.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 73/126


Legati del Canonicato minore:<br />

A questo canonicato vi è annesso l'onere di 12 messe annue, ed è stato soddisfatto tale legato fino a tutto il 1896.<br />

Legati del Canonicato maggiore:<br />

Siccome le rendite di questo canonicato per privilegio speciale, le godono gli eredi di don Angelo Scafati, et canonico, quindi costoro devono<br />

soddisfare il legato, e si è incaricato il sig. abate, perchè vegga se trovansi col dovere che loro incombe.<br />

Legato a carico dei particolari:<br />

La famiglia dei sigg. Placidi ha un legato di 27 messe annue, e detto legato trovasi soddisfatto fino a tutto il 1896, e di più, già ne ha fatte applicare 25<br />

pel corrente anno 1897.<br />

Messe per le anime sante del Purgatorio:<br />

Non esiste registro per le anime sante del purgatorio, ma il R.do sig. abate asserisce di aver sempre soddisfatto puntualmente secondo il costume del<br />

paese. Gli si è però ingiunto di fare regolare registro, e in esso annotare tanto le messe cantate cogli ufficii quanto le messe lette.<br />

Torano:<br />

Per la fu' Margherita Giuliani messa 1 cantata e 4 lette il 12 luglio in S. Maria del Molino: a carico del parroco e del 1 coadiutore: questo legato si<br />

crede proveniva dal beneficio di S. Maria del Molino unito alla Colleggiata, V. Bollan. an. 1590 pag. 229. Questi ultimi due legati non sembrano essere<br />

in vigore da lungo tempo.<br />

Questua del Purgatorio:<br />

Dimenticammo occuparcene: sembra che seguiti a farsi; almeno si fa in chiesa.<br />

Campo Santo:<br />

A sud-est di Torano: è comune con S. <strong>Anatolia</strong>, ed è guidata dai due paesi. Fu' benedetto, ed è in buono stato. La S. Visita deve avere [..]4.80, pari a<br />

L.25,53. Si ignora come dovessero ripartirsi fra benefici e cappellanie e forse una parte era a carico del comune. Il parroco ha dato ricovero, cibarie, e<br />

vetture per S.<strong>Anatolia</strong>.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 74/126


S. Visita in S.<strong>Anatolia</strong> (terra S.<strong>Anatolia</strong>) 22, 23 e 24 agosto 1897<br />

Parrocchia e parroco. Coadiutoria e coadiutore: Trovasi questa terra a Sud-Est di Torano, e ne dista un'ora di viaggio. E' una valle di non piccola<br />

estensione, che giace fra le due borgate; qual valle giusta la più accreditata opinione è l'agro Torense, dove fu deportata e successivamente martirizzata<br />

S. <strong>Anatolia</strong> Vergine Romana, sorella romana di S. Vittoria pure Verg. e Mart.. Nella nostra diocesi si fa l'ufficio dell'una e dell'altra; ai 24 luglio e 16<br />

ottobre rispettivamente. La terra di S. <strong>Anatolia</strong> sta sopra una collina, poco meno che alle falde, ad Ovest di monte Velino che è una delle più alte<br />

montagne degli appennini. Fu per lungo tempo feudo di Casa Colonna: dalla soppressione di diritti feudali e frazione del comune e mandamento di<br />

Borgocollefegato, e però appartiene al circondario di Città Ducale, provincia di Aquila: conta una popolazione di circa 1000 anime e sta nel confine<br />

delle due regioni Cicolano e Marsica. La parrocchia è eretta sotto l'invocazione di S. Nicola di Bari. Durante il dominio feudale era juspatronato dei<br />

Colonna: abolito dal dominio di Gioacchino Murat; la ristorazione Borbonica, in base ad una sua ben nota disposizione in materia, invitò i Colonna a<br />

documentare che il juspatronato non era punto un diritto feudale, bensì un diritto su fondazione o dotazione: pare che i già feudatari non potessero<br />

esibire la prova richiesta e così il juspatronato fu devoluto alla Corona. Questa però rinunciò a tal diritto con decreto 12 dicembre 1832, visita di<br />

quell'anno pag. 179 (allegato): e così questa parrocchia o badia divenne di libera collezione dell'ordinario. Quanto alla concura è da notarsi che fino a<br />

mezzo secolo indietro v'era colà una specie di collegiata; la quale contava della parrocchia o badia, e di tre canonicati: questi ultimi li troviamo<br />

posseduti da d. Arcangelo Amanzi da d. Giuseppe Placidi e da d. Angelo Falcioni nel 1828. Il Placidi anzi ed il Falcioni erano canonici anche nel 1851:<br />

i 2 canonicati erano di juspatronato Colonna poi, vedi sopra, passarono ad esser di nomina della Corona con decreto reale 1836, 17 settembre, il<br />

canonicato posseduto dall'Amanzi (detto di S. Nicola) (in una ai benefici semplici di S. Costanzo e S.Lorenzo in Cartore; di juspatronato Colonna poi<br />

come sopra della Corona) fu unito in perpetuo alla parrocchia o badia di S. <strong>Anatolia</strong>: Il Jus Palatinum di cui facevano uso i sovrani fino a quel tempo<br />

era sto per dire un'equipollente del Jus Pontificals; quindi conveniva ritenere tali unioni come canonicamente fatte! Il Decreto Reale in copia, leggesi<br />

nella visita 1851 pag. 461. Il canonicato goduto dal Falcioni (detto oggi canonicato minore) sta da gran tempo in amministrazione presso l'economato.<br />

Finalmente il canonicato goduto dal Placidi (detto oggi il canonicato maggiore) è quello che oggi forma la concura, in una al beneficio di S. Leonardo<br />

in Cartora uniti ad esso con decreto reale (era di nomina Colonna, poi della Corona come retro) 17 luglio 1858, bollario an. 1858 pag. 294. Abbate<br />

parroco è il sig. don Giambattista Panei del luogo, di anni circa 60, fin dal 1874. Questi è vicario foraneo di Borgocollefegato; ma risiede,<br />

naturalmente, in S. <strong>Anatolia</strong>. Il medesimo gode le rendite della concura; dirò meglio, ne è l'economo curato con patente vescovile del febbraro ultimo,<br />

placitata dalla procura generale.<br />

A Carico del parroco (legati a carico del parroco e del coadjutore):<br />

1) Messe 12 gravanti il canonicato di S. Niccola riunito alla parrocchia.<br />

2) Messe 12 gravanti il beneficio di S. Lorenzo in Cartora riunito alla parrocchia, una al mese.<br />

3) Messe 15 gravanti il beneficio di S. Costanzo riunito alla parrocchia.<br />

L'abbate parroco soddisfa, e pare che così si costumi da ben 45 anni, nel modo seguente pel 1 leg. messe 12, pel 2 messe 15, e pel 3 messe 10. E'<br />

dunque quistione di due messe che si applicano in meno: quanto a noi possiamo dire che la lista che qui poniamo è desunta dall'epilogo del labreo,<br />

dalla visita del 1851; e dagli appunti dell'ultima S. Visita, i quali pare l'abbiano alla loro volta desunta dalla tabella locale.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 75/126


A carico della Concura:<br />

1) Messe 12 gravanti il canonicato già goduto da d. Giuseppe Placidi.<br />

2) Messe 20 gravanti il beneficio di S. Leonardo in Cartora unito a detto canonicato.<br />

n.b. La Concura dal 1858, 20 luglio, bollar. pag. 294 fino al 1884 fu goduto dal fu' Sig. d. Angelo Scafati di S. <strong>Anatolia</strong>, il quale sui primi del 1884<br />

divenne preposto di S. Michele Arcangelo in Rieti (Borgo): dal 1884 restò vacante fine al febbraro covv. anno, in cui ne fu investito con patente<br />

vescovile (come economo curato) l'abbate parroco Panei. Le rendite durante la vacanza detta furono percepite dalla famiglia dello Scafati; alla quale<br />

incombeva l'onere di soddisfare i legati: dovrà verificarsi se lo ha fatto.<br />

Chiesa Parrocchiale:<br />

Trovasi nel paese verso il lato sud-ovest. La facciata è volta ad est: ha una finestra in mezzo; nelle pareti laterali della chiesa altre 9 finestre<br />

simmetriche, la decima è finta perchè in quella parte, nord, v'è la torre campanaria attigua. La chiesa è lunga ca. 18 metri, compreso il presbiterio; larga<br />

8, senza le 6 cappelle ove sono gli altari laterali: è coperta a volta a vari settori, formati da cerchi o fascioni che posano sopra pilastri addossati alle<br />

pareti laterali, i quali dividono fra loro le dette cappelle. Sotto la volta un discreto cornicione che gira intorno intorno la chiesa. Sopra l'ingresso decente<br />

orghestra con organo. Pianceto in mediocre stato. Il presbiterio si innalza sulla platea di due gradini in pietra, che corrono tutta la larghezza della<br />

chiesa. Dietro l'alt. magg., vi si entra da due porte laterali al med., v'è la sagrestia: bello e spazioso vano a volta; largo 10 metri; lungo 5: mattonato<br />

discreto; due finestre ad ovest che la illuminano più che a bastanza: due discreti armadi per gli arredi; qualche cassa, qualche panca.<br />

La torre campanaria è attigua alla parete nord del presbiterio, a cornu epistole dell'altare magg. Ha due buoni bronzi, che servono anche per l'orologio<br />

comunale: Vi si entra dalla chiesa.<br />

Gli Altari sono otto:<br />

L'alt. maggiore; dedicato a S. Niccola di Bari titolare della parrocchia, ed a S. <strong>Anatolia</strong> verg. e mart., è addossato nella parete in fondo al presbiterio.<br />

Questo non è che la continuazione della platea, quantunque si sollevi sopra di essa di due gradini, come si è detto; è profondo ca. 4 metri, largo 7, alto<br />

più che a sufficienza e coperto a volta: alle stremità laterali di esso due sfondi simetrici, ove sono collocati due altari i quali sfondi sono profondi 2<br />

metri, larghi 3, alti a sufficienza e parimenti coperti a volta. All'Alt. Magg., (nel quale si conserva il SS. in un decente ciborio in legno) sovrasta<br />

un'ampio riquadro: quasi in mezzo ad esso, piuttosto in alto, una tela di forma rotonda con relativa cornice in stucco, rappresentante la vergine col SS.<br />

bambino, S. Niccola a destra e S. <strong>Anatolia</strong> a sinistra: ai lati della tela, piuttosto in basso ma sempre nel riquadro un affresco, rappresentante nella parte<br />

destra S. Antonio di Padova cui appare il SS. bambino, nella parte sinistra due correligiosi del Santo, che lo guardano da una portiera alquanto<br />

sollevata. (Sopra il riquadro, anzi sopra il cornicione vi è rappresentante la SS. Trinità). A destra e sinistra del riquadro, sopra le due porte della<br />

sagrestia, due nicchie coi simulacri in legno di S. Niccola e di S. <strong>Anatolia</strong>. Sugli [....avesitia ri...] di detta porta, alla base delle nicchie, due piccole tele,<br />

in cornici dorate, dei SS. Cuori.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 76/126


Gli altari collocati nei due detti sfondi laterali all'Alt. Magg. sono dedicati quello a cornu evang. a S. Antonio da Padova con mediocre simulacro del<br />

santo in una nicchia sovrastante la mensa; l'altro a cornu ep.lae è l'alt. del Suffragio, v'è dipinta in tela la Vergine col SS. Bambino, e le anime purganti<br />

in basso: prospettive piccole, ma non [....rudecenti....] .<br />

Gli altri cinque altari ed il battistero sono collocati in sei sfondi simmetrici, pratticati nelle pareti laterali della platea (relativamente remoti del<br />

presbitero): sono profondi un metro e settanta cent., larghi metri 2 1/2, alti a sufficienza e coperti a volta. Discrete le prospettive degli alt.<br />

Il 1 alt. a cornu evang. è dedicato alla S.ma Vergine del Rosario: la quale vi si venera, col SS. bambino, effigiata in un simulacro in legno decentemente<br />

vestito, collocato in una nicchia soprastante la mensa; con cornice in legno munita di cristalli, e più in fuori altra cornice in stucco: intorno la nicchia in<br />

piccoli ...... tale sono dipinti i 15 misteri.<br />

Il 2 alt. a cornu evang. è dedicato a S. Giovatti Battista, che v'è dipinto in un affresco quasi del tutto casso: davanti a questo una tela con bella cornice<br />

dorata, di tal grandezza, che può passare, o quasi, come quadro dell'alt., la quale rappresenta la SS. Immacolata, con S. Agnese Verg. e Mart., ed alcune<br />

fanciulle (le figlie di Maria). Questo alt. era di juspatronato della famiglia Spera; oggi è nullatenente; quindi non si pensa più a mantenerlo.<br />

Al luogo del 3 altare a cornu evang. sta il fonte battesimale, di vantaggiose proporzioni: fulcro e tasca di pietra, il di sopra in muratura; di lato sta la<br />

piscina.<br />

Il 1 alt. a cornu eplae è dedicato alla B.ma Vergine del Carmine: la quale vi si trova dipinta in tela col SS. bambino; il B. Simone Stock a destra, S.<br />

Teresa a sinistra. Al posto del sottoquadro la vergine del S. Cuore, col SS. bambino in plastica; il piccolo simulacro sta dentro campana di cristallo: ai<br />

lati due palme di fiori in giaconetta, entro campane di cristallo. Ai lati dell'alt. due quadretti in tela con cornici dorate, rappresentanti S. Antonio da<br />

Padova e S. Rocco di Mompellieri. Ai fianchi della volta dello sfondo o cappella altre due piccole tele, rappresentanti S. Giuda Taddeo ap. e S.<br />

Vincenzo Ferreri. L'alt. è di juspatronato della famiglia Placidi, oggi Sig. Giuseppe, la quale lo mantiene con decoro.<br />

Il 2 alt. a cornu eplae è dedicato a S. Luigi Gonzaga; che vi si trova effigiato in un simulacro in legno, collocato nella nicchia soprastante la mensa,<br />

cornice di legno con cristalli, più in fuori cornice in stucco. Il sottoquadro è un'oleografia di S. Giuseppe con bella cornice dorata.<br />

Il 3 alt. a cornu aplae è dedicato alla natività della SS. Vergine: la relativa tela è di ristrette dimensioni; al posto del sottoquadro v'è un vecchio e<br />

piccolo simulacro della SS. Immacolata.<br />

Questa chiesa, di solida e regolare struttura, comunque vasta a sufficienza, ormai non contiene più tutta la popolazione se non a disagio. Reclamerebbe<br />

qualche risarcimento, di poca entità, e soprattutto una ripulitura generale: il che per altro non è per ora possibile; attese le gravissime spese a cui s'è<br />

dovuto sobbarcare il popolo per edificare la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>, di cui or ora, non ancora al completo necessario. La suppellettile è in stato mediocre,<br />

gli arredi in sufficienti condizioni. L'universa manutenzione, venute meno le rendite dei luoghi pii è ormai a carico del parroco e del popolo.<br />

Casa parroch.:<br />

Non v'è canonica in questa parrocchia.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 77/126


Chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>:<br />

Trovasi a nord est del paese in basso alla distanza di circa un chilometro. La facciata, che ha un disegno, è volta a nord-ovest: ha nel mezzo una finestra<br />

di forma circolare lavorata in pietra; ed in basso tre porte, corrispondenti alle tre navate della chiesa, la maggiore delle quali porte offre anche essa un<br />

lavoro in pietra degno di rimarco. La chiesa è a tre navate: sono lunghe un 17 metri (escluso il presbiterio per quella di mezzo); larghe la centrale 6 in 7<br />

metri, le laterali 4 per ciascuna, senza calcolare lo spazio occupato dai pilastri e corrispondente agli archi soprapposti, che dividono esse navate. La<br />

navata centrale è coperta da svelta e bella volta divisa a settori da archi o fascioni, che poggiano sulle fronti dei pilastri già mensionati: sotto la volta 10<br />

finestre simetriche, cinque cioè da ciascuna parte: bel cornicione a molte linee, che corre intorno l'intera navata. Sopra l'ingresso ampia e decente<br />

orghestra in legno, con eccellente organo, sostenuta dal bussolone: vi si entra da porta esterna pratticata da lato alla facciata, a nord-est. Le navate sui<br />

lati, ove finora non è costruito alcun altare, sono coperte da volte a settori, divisi da archi che poggiano sulle pareti laterali della chiesa, in pilastri a<br />

piccolo rilievo, e sui pilastri divisori più volte ricordati: vi sono sette finestre a semicerchio; tre da una parte, e quatro dall'altra; l'ottava è finta. Il<br />

pianceto sta in eccellenti condizioni. Il presbiterio o cappella, ove è collocato l'alt. maggiore, ed unico finora, non è che la continuazione della navata<br />

centrale; e si alza su questa di due gradini in pietra, a semicerchio, che corrono tutta la larghezza di essa navata e del presbiterio: questo è profondo<br />

metri 3 1/2 o 4, largo 6 in 7: l'altare è staccato dalla parete retrostante di circa un metro: la sua mensa è foggiata ad urna, e vi si ascende per due gradini<br />

in pietra: nella parte posteriore della mensa si innalza a mo' di postergale una edificazione larga quanto l'alt., alta circa 7 metri, e dello spessore di meno<br />

d'un metro; in essa edificazione quattro colonne con capitelli, cimasa e sopracimasa con intagli e fregi in stucco: in mezzo a questa edificazione o<br />

prospettiva si apre una capace nicchia, ove è collocato il simulacro in plastica di S. <strong>Anatolia</strong>, alto circa metri 2 1/2; fuori la nicchia cornice in stucco, e<br />

poi due pilastrini piani a spigolo; il simulacro è lavoro del prof. Odoardo Alberto Sciaff di Boemia, lavoro che colà pregiano molto, e che forse ha il<br />

suo valore. Ai lati dell'alt. si aprono due porte, che immetto in due discreti vani: Quello a cornu eplae è la sagrestia; coperta a volta, e bene illuminata;<br />

decente armadio pei S. arredi; qui pende la corda dell'unica campana, piuttosto piccola, sita in archetto sopra muro: l'altro vano, a cornu evang. dell'alt.,<br />

non è ancora compito; non v'è che le mura ed il tetto. A circa 6 metri dall'ingresso, a destra di chi entra, v'è nella navata centrale un'edicola o tempietto<br />

isolato; a largo e lungo poco oltre 3 metri, ed alto 2 1/2; è coperto a volta: nel lato che guarda il presbiterio v'è il muro, al quale è addossato un'altarino,<br />

negli altri tre lati una cancellata di ferro battuto; ai quattro angoli quattro colonnette in materiale simetriche, che sostengono la piccola volta.<br />

Nell'altarino un antico affresco rappresentante S. <strong>Anatolia</strong>, difeso da cristallo in cornice di legno. Nella volticella le immagini pure a fresco, in seguito<br />

ritoccate anzi deturpate, della SS. Vergine a perpendicolo della mensa, e dei quattro evangelisti verso gli angoli. Questa edicola vanta una relativa<br />

antichità, ed è tenuta dai terrazzani e forastieri in molta venerazione.<br />

La bella e capace chiesa di cui parliamo è di recentissima costruzione: fu incominciata e condotta allo stato in cui si trova in 20 anni o poco più; della<br />

chiesa antica non furono utilizzate che le pareti laterali, ma solo in parte, rafforzandole ed innalzandole. Il disegno dell'attuale chiesa è dovuto al P.<br />

Luigi Ferrante, gesuita, zio materno dei sig. Placidi Giuseppe e fratelli: quanto il disegno in discorso valga in arte lo ignoriamo; quel che possiamo dire<br />

è che ci parve assai bello, e stiamo per dire grandioso; e fa la stessa impressione a tutti.<br />

Questa vasta e costosa edificazione fu tirata su con largizione ed elemosine di ogni genere sia dei nativali del luogo, in specie dei Sigg. Placidi su<br />

ricordati, sia dei paesi circonvicini, i quali anche essi professano grande devozione alla gloriosa santa. La chiesa è sfornita di suppellettile e di S.<br />

Arredi: non v'è che il necessario per funzionarla nelle solite ricorrenze, e per celebrarvi: ma tutto da a credere che fra non molti anni avrà quanto<br />

occorre sotto tutti i rapporti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 78/126


La chiesa, sugli avanzi della quale fu edificata l'attuale, vantava un'antichità: si ritiene che il corpo della santa sia stato in essa conservato per più<br />

secoli, prima di essere trasportato nella chiesa dei benedettini in Subiaco, ove ora si venera: era anche essa assai capace, ed avea pure tre navate;<br />

appartenne per lunghi secoli ai benedettini, ed ancora si ...additano... i ruderi dell'attiguo convento ad essi appartenuto.<br />

La nuova chiesa, venute meno le retribuzioni esistenti nella vecchia delle quali a suo luogo, deve essere in tutto mantenuta con elemosine dei devoti.<br />

Chiesa della SS. Addolorata:<br />

Trovasi a sud-ovest del paese alla distanza di 7 od 8 cento metri. Fu fabbricata da circa 60 anni; e fino a pochi anni or sono, ossia fino a che fu costruito<br />

il camposanto fu la sepolcrale della parrocchia. Non ha, ne ebbe mai altro che mura e tetto. sta in cattivo stato, massime nel tetto: può ritenersi che tra<br />

non molti anni andrà in rovina; non se ne ebbe cura per lo passato, e così sarà per l'avvenire, atteso che il popolo è tutto impegnato nel compiere,<br />

ornare, e provvedere la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Benefici e Cappellanie:<br />

Sono ed erano i seguenti:<br />

a) Beneficio di S. Niccola, detto 2 canonicato: fu riunito alla parrocchia. V. pag. 635 infine.<br />

b) Beneficio, detto 3 canonicato ad oggi canonicato minore; da oltre 40 anni è vacante, e sta in amministrazione presso l'economato: a questo<br />

canonicato è unito, non si sa come ne quando il piccolo Beneficio della Madonna di Loreto in altare omonimo nella chiesa vecchia di S. <strong>Anatolia</strong>. Il<br />

canonicato è gravato di 12 messe; ed il beneficio di 6; e secondo gli appunti dell'ult. S. visita (la visita 1850, 51 pone messe 16: pag.85) l'economato fa<br />

celebrare sole 10 messe, non 12, pel canonicato.<br />

c) Beneficio o cappellania di S. Giovanni Battista, eretto in alt. omonimo nella parrocchiale, bollar. anno 1606 pag. 42: è juspatronato della famiglia<br />

Spera. Questo diritto dagli Spera sembra sia andato in Giuseppe Scafati e sorella. Il patrono (o patroni) ha svincolato i beni (parte di questi furono<br />

venduti nel principio del secolo) per L.250; dunque i beni rimasti valevano perlomeno L.800; dopodichè li alienarono; e le messe 12 di cui era gravato<br />

il beneficio non sono state applicate dal 1881, epoca in cui morì l'ultimo investito, Sig. Francesco Giorgi extra diocesano.<br />

d) Beneficio o cappellania della SS. Vergine del Carmine: se ne può leggere la bolla d'erezione nel nostro bollario anno 1698 pag. 222; v'è inserito il<br />

relativo testamento e la nota dei fondi. Era di juspatronato della famiglia Cherubini: in seguito questo diritto passò alla famiglia Placidi, oggi Sig.<br />

Giuseppe e fratelli. V'è l'onere di due legati; il 1 di 2 messe al mese, il 2 di 3 messe all'anno: sono in vigore. I predetti Sigg. fratelli Placidi, dopo la<br />

morte del loro zio paterno Sig. d. Costantino avvenuta nel 1888, svincolarono i beni sborzando L.800; il che mostra che il valore di essi si accerta alle<br />

L.3.000, se non più poichè in quei luoghi spesso una notevole parte dei fondi non risultano a catasto. Fu suggerito al prelodato Sig. Giuseppe, uomo<br />

facoltoso, di sborsare una somma che rappresenti la dote perpetua dei due legati di messe, ed una percentuale d'un'equa composizione: fece buon viso<br />

alla proposta, e chiese di essere informato sulla natura dell'istituzione in discorso; il che potrà farsi.<br />

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e) Beneficio della SS. Vergine di Loreto, riunito al canonicato minore. V. lettera b).<br />

f) Beneficio di S. Marie del Colle, chiesa ora diruta, di giuspatronato Colonna. Se ne ignora l'erezione: l'ultimo investito fu d. Francesco Fabrizi di S.<br />

Stefano del Corvaro, il quale viveva nel 1828. L'epilogo del labreo pone una rendita di ducati 13.60, pari a L. 57.80. Onere, oltre la manutenzione della<br />

chiesa che più non esiste: Due processioni dalla parrocchiale a S. Maria del Colle, già sita fra S. <strong>Anatolia</strong> e Torano, con due messe cant.; elemosina<br />

all'abate parroco ducati 2.40, pari a L.10.20: queste processioni e messe avevano luogo il 25 marzo ed il 2 luglio. Nulla sapevamo di questa istituzione<br />

quando fummo colà; gli appunti delle due ultime sacre visite non ne parlano: il beneficio fu incamerato; o riunito per decreto reale (la corona, come<br />

cennammo si sostituì ai Colonna nel Juspatronato) a qualche parrocchia dei vicini paesi, se non di S. <strong>Anatolia</strong>; come è avvenuto per quasi tutti i<br />

benefici di nomina regia in quei luoghi.<br />

g) Beneficio di S. Costanzo in Cartora: fu unito alla parrocchia. V. pag.635 in fine.<br />

h) Beneficio di S. Lorenzo in Cartora: fu unito alla parrocchia. V. pag.635 in fine.<br />

i) Beneficio di S. Leonardo in Cartora: fu unito al canonicato maggiore o concura. V. pag.636.<br />

Luoghi Pii:<br />

I luoghi pii in questa parrocchia erano:<br />

1) SS. Sacramento all'alt. maggiore nella parrocchiale. I legati che lo gravavano erano: a) Pel fu Antonio Placidi messe 4; b) Pel fu Francesco Gentili<br />

messa 1; c) Per la fu Antonia Amanzi messe 4; d) da celebrarsi nella chiesa di S. Atanasio, ora diruta, messa 1 solenne e 3 lette.<br />

2) SS. Rosario all'alt. omonimo nella parrocchiale, lo gravava 1 legato di 2 messe pel fu Carlo Amanzi.<br />

n.b. le 15 messe gravanti i due suddetti luoghi pii si celebrano ed applicano colà nelle seguenti ricorrenze, 1 cant. dall'abate e 2 lette dai due canonici<br />

ogni volta il 20 gennaro, festa di S. Sebastiano Mart.: il 28 aprile, anniversario della sagra della chiesa vecchia di S. <strong>Anatolia</strong>: il 2 maggio, festa di S.<br />

Atanasio patriarca Alessandrino: nella solennità del Corpus Domini: e nella 1 domenica di 8bre, festa del SS. Rosario. Da ciò può argomentarsi che i<br />

legati in discorso gravavano anche i luoghi pii, dei quali or ora ai nn. 3 e 5.<br />

3) Di S. <strong>Anatolia</strong>: ossia del Santuario cioè per l'intera chiesa, e non per la sola edicola; come sembra esser certo.<br />

4) Della Pietà o SS. Addolorata nell'alt. magg. della vecchia chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>. Era gravato di una messa ogni mercoledì pel fu Fabio Di Domenico:<br />

questo legato fu ridotto a decennio da Mr. Mauri ai 17 giugno 1874, poi 27 7bre 1882 (sempre i S. Visita) ad altro triennio a 30 messe all'anno: però<br />

nell'ultima S. Visita, 18 7bre 1887, si avvide che nel concedere queste riduzioni era partito da un errore di fatto, dall'esiguità della rendita cioè; mentre<br />

queste giungevano a L.200 nette al mese, ed egli ne supponeva solo 32: ritenendo quindi di niun valore le riduzioni ingiunse al parroco Panei e al fu d.<br />

Costantino Placidi di ricorrere a Roma per una sanatoria; e comandò al Panei di rimettere messe 28, tralasciate da lui, sulla parte che gli toccava delle<br />

30 annue. Quanto alla sanatoria ci facciamo lecito osservare che essendosi altrimenti erogate, in buona fede, le rendite del luogo pio, non sembra fosse<br />

necessaria; a meno che i due ricordati sacerdoti, il che è incredibile, avessero ingannato il superiore, o almeno si fossero accorti che questi era in errore.<br />

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Quanto a noi il Panei ci dichiarò che dall'ultima S. Visita questo luogo pio (ed anche gli altri) fu amministrato dal Placidi fino al 1888, e che lui fino al<br />

1890; e che il legato fu puntualmente soddisfatto, ma non spiegò se in base alla riduzione di M.r Mauri, o meno: noi, che ignoravamo la cosa, non gli<br />

domandammo ne questo, nè se avea applicate le messe 28 di cui sopra.<br />

5) Di S. Sebastiano mart. nell'alt. omonimo in chiesa (vecchia) di S. <strong>Anatolia</strong>.<br />

Non siamo in grado di indicare l'entità della dote di ciascun luogo pio: sappiamo solo che i beni in complesso, incamerati nel 1881 e venduti 6 o 7 anni<br />

dopo, furono messi all'asta per L.10.000; e che il demanio liquidò annue L.445; sappiamo ancora che la metà o poco meno di questa rendita, e relativi<br />

fondi, era del luogo pio della Pietà. Si volle colà sul principio acquistare i beni, che si sarebbero potuti avere per L.7.000, nell'interesse dei medi luoghi<br />

pii; ma o non si potè o non si volle: I fondi furono acquistati da altri; e la ricordata rendita fu percepita dai luoghi pii fino al 1890: il Sig. Panei ha<br />

deposto che questa fu amministrata dal fu Sig. Costantino Placidi fino a che visse, ossia fino al 1888; poi da lui fino al 1890: che l'uno o l'altro la<br />

esaurirono nella soddisfazione dei legati di messe (vedi però quanto si dice al n.4 circa medicena), e nelle spese di culto; senza peraltro notare cosa<br />

alcuna. Dal 1890 in poi le cartelle di rendita furono dal demanio consegnate alla congregazione di carità: questa generosamente dà da allora in poi<br />

annue L.40, che servono per la lampada perenne. Ignoriamo in che precisamente, oltre i legati dei quali retro e la lampada perenne, si dovessero<br />

erogare le rendite: Si può supporre che vi mantenessero gli alt. Nei quali i luoghi pii esistevano; e le due chiese, parrocchiale e di S. <strong>Anatolia</strong>, in ciò che<br />

occorreva pel culto (cera, suppellettile, ecc.).<br />

Elemosine in S. <strong>Anatolia</strong>:<br />

Abbiamo già notato che il Santuario, ossia chiesa di S. <strong>Anatolia</strong>, è luogo di gran devozione non solo pei naturali del luogo, ma anche pei paesi<br />

circonvicini: molte furono le elemosine raccolte per edificare la nuova chiesa, e non poche sono quelle che seguitano a collettarsi per compirla; nè per<br />

grazia di Dio cesseranno compite questa, come ve n'erano prima di incominciarla. M.r Mauri, come risulta dagli appunti dell'ult. sua S. Visita 1887, si<br />

astenne dal prenderne conto: il ricordato Sig. d. Costantino Placidi, la cui famiglia contribuiva generosamente alle spese della fabbrica della chiesa<br />

allora in costruzione, teneva tutto in mano; epperò quel prelato, a cui dovea aliunde constare che le elemosine si erogavano come si doveva, non credè<br />

opportuno molestare il Placidi; il quale avrà erogati in detta fabbrica, e così posteriormente il Sig. Panei, la più gran parte delle rendite dei luoghi pii<br />

anche dopo la liquidazione. Cessato ora il bisogno di usare tale riguardo; può esser del caso provvedere che si apra colà il registro dell'introito ed esito,<br />

per poi esibire il dovuto resoconto al R.mo ordinario; con che potrebbero le elemosine crescere di non poco, poichè è naturale che i devoti amano<br />

vedere cogli occhi e toccare colle mani: e sì che v'è il maggior bisogno di contarli al possibile, ite in dileguo le rendite dei luoghi pii.<br />

Questue pel Purgatorio:<br />

Suol farsi come una volta, e se ne erogano le elemosine giusta la consuetudine locale: non v'è registro, comunque sia stato ripetutamente ordinato.<br />

Camposanto:<br />

Vedi pag.633: è comune con Torano.<br />

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Procurazioni:<br />

La S. Visita doveva avere a titolo di procurazioni in questa parrocchia D. 480 pari a L.25.53. Si ignora come dovesse ripartirsi questo importo fra il<br />

beneficio parrocchiale e gli altri benefici; sembra che anche il comune dovesse dare la sua parte. E' da lunghissimi anni, se non andiamo errati, che la<br />

S. Visita non ebbe cosa alcuna. Fummo ospitati dai Sig. Placidi Giuseppe e fratelli: il parroco provvide le cavalcature per andare a Spidino, donde si<br />

tornò la stessa mattina a S. <strong>Anatolia</strong>; ed il legno per andare a Corvaro.<br />

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Appendice VI - Cronologia<br />

Elenco cronologico dei documenti riguardanti S. <strong>Anatolia</strong>, Cartore e Dintorni dal 706d.C. al 1712: 706 ca.: La chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> de Turano e<br />

Corvaro - 1048: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1084: Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta - 1115: Confini della Diocesi dei Marsi - 1153:<br />

Bolla di Anastasio IV° - 1182: Bolla di Lucio III° - 1183: Catalogo dei Baroni - 1218: Bolla di Onorio III° - 1250: Registro delle Rendite - 1398:<br />

Registro delle chiese della Diocesi di Rieti - 1418: Lorenzo Colonna Conte di Alba - 1423: La Contea di Alba confermata a Odoardo Colonna - 1445:<br />

La Contea di Alba confermata a Giovanni Orsini - 1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo - 1587: Elenco delle chiese del Vicariato del<br />

Corvaro - 1712: Il Parroco di S. <strong>Anatolia</strong> risponde a dei quesiti<br />

706 ca.: La chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> de Turano e Corvaro<br />

Foroaldo duca di Spoleto dona al mon. di Farfa vari territori e chiese presso Cliviano<br />

... in Cliviano et per eius vocabula Foroaldus Dux dedit in hoc monasterio terras cultas modiorum milium quingentorum arabiles cum manentibus XII,<br />

usque Frontinum et usque Maclam Felcosam. et usque criptam Machelmi tertiam partem ex omnibus rebus cum ecclesia Sancti Sabini et ecclesia<br />

Sancti Sebastiani et ecclesia Sancte Anatholie de Turano. Abbas autem qui erat illis temporibus fecit concambium cum soldone et dedit illi Sanctam<br />

Anatholiam in Sancta Maria de Loriano. Alia omnia remanserunt ad opus Sancte Marie. ibi est edificatum Corvarium... [senza data]<br />

• Estratto da: Chronicon Farfense di Gregorio di Catino Tomo II pag.205 n.8<br />

1048: Il Castello di Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta<br />

Il conte Berardo de' Marsi offre il castello di Rosciolo a Giovanni abate del monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta<br />

...Berardus comes filius quondam Berardi comitis de provincia Marsorum...... [offrì per redenzione dell'anima sua e dei suoi congiunti il castello] ...<br />

Fosculum [o Rosculum] cum pertinentiis suis ... [all'abate Giovanni del] ... monasterium S. Dei Genitricis et Virginis Mariae quae constructa est in<br />

loco ubi balle Porclaneci vocatur ... [nel luglio 1048]<br />

• Estratto da: Chronicon Cassinense a cura di Leone Ostiense<br />

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1084: Il Castello di Rosciolo e S. Maria in Valle Porclaneta<br />

Il conte Berardo de' Marsi offre il monastero di S. Maria in Valle Porclaneta a Desiderio abate di Montecassino<br />

... Anno 1084, Berardus etiam comes filius Berardi marsorum comitis, eo tempore obtulit B. Benedicto monasterium S. Mariae in valle Porclanesi, et<br />

castellum Rosciolum cum pertinentiis suis<br />

• Chronicon Cassinense a cura di Leone Ostiense<br />

1115: Confini della Diocesi dei Marsi<br />

Bolla di Pasquale II a Berardo vesc. dei Marsi. Conferma dei confini della Diocesi<br />

...qui videlicet fines a Furca Ferrati decurrunt in caput Carriti; inde per viam de Merso in Portellam de Valle Putrida per terram de Feresca, per<br />

Argatonem, per terram de Camno, per terram Formellae; inde ad Molinum Veterem, inde ad Furcam Acerae, per terram de Vivo, per terram de Troia,<br />

inde a Pesculum Canalis; inde per Pinnam Imperatoris, per terram de Cervara, inde a S.Britium per furcam de Auricola; inde ad arcum S.Georgii per<br />

flumen Sisarae, per turres de Ofrano, per Scalellas, per Tufum fluvii Remandi, per Trepontum; inde ad Vulpen Mortuam, per Buccam de Teba, per<br />

Campum de Pezza, per rivum Gambarorum, per terram de Candida, per Venetrinum. Et redeunt ad Furcam Ferrati ...<br />

• Antonio Pagliuca "Imperatori Germanici nell'altipiano delle Rocche" pag.125<br />

1153: Bolla di Anastasio IV a favore della Diocesi Reatina<br />

... Plebem sancti Antimi in Cassina, Plebem Sancti Thomae in Villano, Plebem Sancti Petri in Cornu, Plebem Sancti Euticii in Marana, Plebem Sancti<br />

Stephani in Clavano, Plebem Sancti Laurentii, et Sancti Leopardi in Cartoro, Plebem Sanctae Mariae in Mareri, et Sancti Pastoris, Plebem Sancti<br />

Petri in Canapinula, plebem Sancti Elpidii, ... [oltre] Et in eisdem plebibus Oratoria , quae monasteria dicuntur ...[oltre] Sancti Severi, et Sanctae<br />

Antiae in Amiterno, Sancti Ioannis Baptistae de Sancto Victorino, Sancti Leontii in Classina, Sancti Laurentii in Fano, Sancti ... in Nura, Sancti Mauri<br />

supra Castilione de Valle de Petra, Sancti Leopardi de Colle Fegati, Sancti Pauli de Cocotha....<br />

• Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272<br />

Documento originale presso Archivio Vescovile di Rieti<br />

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1182: Bolla di Lucio III a favore della Diocesi Reatina<br />

[confini della Diocesi:] ... inde per civitatem Forulae per viam de Ranuta per vallem Muscosam in montem Caprarium. Inde per Aquilam per furcam<br />

Flasonae per montem de Robella per Tabulam Cartonis Vulpem Mortuam in monte Lesa per pertusulum de Petra Sicca. Inde per montem de Cerru<br />

per roccam Salecis per Vallem Bonam per serram montis de Canemortuo. Inde per viam Porticam per vallem Manfrede per Tofum filij Arimanni ...<br />

[oltre - elenco delle chiese:] ... S.Antimi in Classina, S.Juliani in Foce, S.Donati in Forcella, S.Mariae in Terria, S.Petri in Pretoro, S.Valentini in<br />

Palluca, S.Thomae in Villato, S.Petri de Rocca Cornu, S. Laurentij in Cartoro, S.Mariae in Cornio, S.Martini ......, S.Stephani in Clavano, S.Elpidii,<br />

S.Mariae in Podio de Valle, S.Andreae in Pesco Roccano, S.Pauli Rocchae Vitiani, S.Pastoris, S.Nicolai in Rivo Torto, S.Petri in Cana pinula,<br />

S.Mariae in Mareri ... [oltre] et in plebatibus earundem plebium, Oratoria quae monasteria dicuntur, ... [oltre] S.Antiae, et S.Severi in Amiceno,<br />

S.Ioannis de Tricalloso, S.Ioannis Baptistae de Sancto Vittorino, S.Mariae in Civitate, S.Hilarij in Racolo, S.Leonardi in Acato, S.Laurentij in Fano,<br />

S.Leontij in Clasiano, S.Matthei in Canno, S.Beroti, S.Silvestri in Pietrabattida, S.Mauri de Fano in Valle de Petra, S.Leonardi in Selva, S. <strong>Anatolia</strong>e<br />

in Vilano, S.Leopardi, et S.Anastasiae in Collefecati, S.Nicolai in Traponso, S.Mariae in Pesclo, S.Ioannis in Colle Mazeonis, S.Pauli de Cateca ...<br />

• Michaeli Michele "Memorie Storiche della Città di Rieti" Vol. II pag.265-272<br />

Documento originale presso Archivio Vescovile di Rieti<br />

1183: Catalogo dei Baroni<br />

[pag.215] 1110 - Comes Rogerio de Albe dixit quod tenet in Marsi in demanio Albe quod est pheudum VII militum et castellum Novum in Marsi quod<br />

est I militis, et Paternum in Marsi quod est III militum, et Petram Aquarum in Marsi quod est pheudum V militum, et Tresacco, et hoc quod tenet in<br />

Luco sunt pheudum VI militum, et Capranicum quod est pheudum I militis, et Pesclum Canalem in Marsi quod est Pheudum II militum, et Carcerem in<br />

Marsi quod est pheudum VI militum una cum Podio Sancti Blasii, et Dispendium in Marsi quod est pheudum I militis et dimidii. (hii omnes predicti<br />

milites et prefata castella sunt in Marsi). Una de proprio pheudo predicti comitis Berardi de Albe sunt milites XL et cum augmento obtulit milites<br />

LXXX et servientes C.<br />

[pag.221] 1123 - Gentilis Vetulus dixit quod tenet in capite a domino rege Castrum Pescli quod est pheudum IIII militum, et Barim quod est II militum,<br />

et Macclatemonem quod est I militis, et Castellionem quod est I militis, et Roccam Melitum quod est I militis, et Castellum Mannardi quod est I militis,<br />

et Collem Fecatum quod est I militis, et Sanctum Johannem de Lapidio quod est III militum, et Roccam Randisi quod est I militis. Hec omnia castella<br />

Gentilis Vetuli sunt in Valle Petre in comitatu Reatino, et tenet in Amiterno Billanum quod est unius militis, et Roccam de Cornu et Castrum Piczoli I<br />

militis, et Sassan quod est I militis quod tenet Benegnata ....<br />

• "Catalogus Baronum di Guglielmo II Normanno" a cura di Evelyn Jamisan<br />

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1218: Bolla di Onorio III a favore del mon. di S. Paolo di Roma<br />

... in Marsi ...[oltre] Sanctum Leonardum supra in Cartore cum cellulis, villis et molis, et aliis pertinentiis...<br />

• Trifone B. (Arch. R. Soc. Romana di Storia Patria 1908) vol. 36 pag. 294 doc. XVI<br />

1250: Registro delle Rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta<br />

...[nel 1250 in un registro delle rendite della chiesa di S. Maria in Valle Porclaneta, il Preposto di quella chiesa] esiggeva da' preposti, e Rettori delle<br />

chiese di S. Lorenzo, di S. <strong>Anatolia</strong>, di S. Maria di Magliano, e di S. Luca nei giorni festivi di quei Santi pranzi in quelle chiese a sè, e a' suoi Chierici...<br />

• Giuseppe Di Girolamo "La chiesa di S.Lucia in Magliano dei Marsi" pag.9 -Tratto da A.L. Antinori "Annali" mss. sec.XVIII Bibliot. Prov.<br />

L'Aquila Vol.XI f.71<br />

1398: Registro delle chiese della Diocesi di Rieti<br />

357 - S. Maurus cum [S.Mauro, ch. dir. sopra Castelmenardo, unito a la parocchia di Collorso]<br />

358 - S. Maria de Fano debet unam procurationem [E' un altro titolo]<br />

359 - S. Stephanus de Corbario cum cappellis unam procurationem [Parrocchiale della villa (di S. Stefano di Corvaro)]<br />

360 - S. Maria de Milio seu de Malito [Esiste la ch. nella montagna]<br />

361 - S. Maria de Telio [ch. dir. e non si sa dove fosse. Molte ch. o cappelle nella montagna di Malito vi erano anticamente]<br />

362 - S. Victorino [ch. dir. che stava presso la terra, il sito si dice la vigna di Ilario Massimi.]<br />

363 - S. Petro [ch. dir., neppure di questa si trova memoria, nè si sa dove stasse nè quali beni avesse.]<br />

364 - S. Maria [la parochiale ch'esiste dentro la terra et è stata rovinata.]<br />

365 - S. Martino [ch. dir. che stava in una villa che dicevasi di S. Martino. Tutto dir. e il sito si dice Pratali, l'altare è nella parocchia et è iuspatronato<br />

della famiglia Gargani]<br />

366 - S. Maria [ch. dir., facilmente il n. (qui 361)]<br />

Poi nel detto registro si segnano a parte:<br />

367 - S. Angelus de Corbario cum cappellis suis unum statium [ch. dir. presso le pendici di Vallemare, il tit. è trasferito nella parochiale coi beni.]<br />

368 - S. Sebastiano [ch dir. alle falde della montagna detta la Duchessa, il tit. è trasferito nella moderna ch. di S. Rocco]<br />

369 - S. Sepulcro [ non si ricorda nè si sa dove fosse nè quali fondi avesse]<br />

370 - S. Costantino [non si ricorda nè si sa dove fosse nè quali beni et obligazioni avesse]<br />

371 - S. Martinus de Turano debet unam procurationem cum cappellis [Parochiale che sta fuori della terra (di Torano)]<br />

372 - S. Petro [è il conv. degli Agostiniani dentro, dove vi è un solo religioso senza neppure un converso, lo che è di disordine e il popolo ne riclama]<br />

373 - S. Maria de Collis [esiste e sta vicino a S. <strong>Anatolia</strong>, territorio promiscuo, iuspatronato Colonna, unito alla parocchia]<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 86/126


374 - S. Costantio [in Cartoro, ch. dir., beneficio, iuspatronato Colonna.]<br />

375 - S. Iohanne [Parochiale delle Grotte (di Torano) insieme col tit. di S. Nicola]<br />

376 - S. Paulo [Ch. ch'esiste nella terra di Torano, non ha beni, per la sua manutenzione si supplisce con la questua]<br />

377 - S. Nicolau de Gripta non tribuit cum aliqua cappella ad procurationem [Fu fatta parochiale l'an. 1615, come nel bollario fol.90, coll'unione del<br />

beneficio di S. Giovanni Battista. Questo dev'essere il S.Giovanni di Vezzo (di cui al n.355).]<br />

Poi siegue come ch. Separata<br />

378 - S. Thoma de Latusco debet mediam procurationem [ch. dir., il ter. spetta a Spedino e a quella parochiale sono stati dati li materiali della ch., il tit.<br />

è beneficio semplice che possiede l'e.mo Colonna, patronato della sua casa e padrone del feudo di Spedino.]<br />

379 - S. Laurento de Cartola debet mediam procurationem [esiste la ch. a' piedi la montagna di S. Leonardo, vicini alla montagna detta Velino, fra<br />

Rosciolo e S. Anatoglia, ben. Vacante]<br />

380 - S. Anatholia mediam procurationem, respondet monasterio S. Salvatoris in quibusdam [Esiste et è situata fuori la terra, è la parochiale di piena<br />

pertinenza del Vescovo di Rieti]<br />

381 - S. Andreas et [parochiale di Spedino]<br />

382 - S. Paulus de Spedino debent mediam procurationem [Ch. fuori del castello di Spedino, ben., iuspatronato Colonna]<br />

383 - S. Maria de Brizza Secca [Ch. e ben. iuspatronato suddetto]<br />

384 - S. Leonardus et [la ch. non esiste, ma esiste una grotta sopra mezza montagna detta di S. Leonardo, dove i fedeli concorrono nelle malattie<br />

articolari. (con ferri miracolosi)]<br />

385 - S. Nicolaus respondet monasterio S. Pauli de Urbe per occupationem [Parochiale ch'esiste dentro la terra] [Ch. dir. nel ter. di S. <strong>Anatolia</strong> nel<br />

tenimento di Cartora, il tit. è trasferito nella terra di S.Anatoglia et è la moderna parochiale.]<br />

A parte:<br />

386 - S. Leopardus de Collefegato debet mediam procurationem et dicitur respondere monasterio de Florentillo cum quibusdam (cappellis) [Abbadia<br />

antica [...] Si veggono da un lato le vestigia dell'antico mon. Sta in mezzo ad una macchia vicino il Borgo di Collefegato]<br />

387 - S. Martino [ch. dir. nel tenimento di Borgocollefegato, che stava sopra un colle che si chiama Colle di S. Martino]<br />

A parte:<br />

388 - S. Maria de Vallibus cum cappellis debet mediam procurationem [Ch. tuttavia esistente nella pianura sotto le Ville - In una macchia]<br />

389 - S. Cruce de Villis [Parochiale delle Ville di Borgocollefegato - Ch. assai lurida e ruinosa.]<br />

390 - S. Maria loci eiusdem [Esisteva presso le Ville di Borgocollefegato, in oggi è diruta]<br />

391 - S. Thoma de Collefegato [E' tra Collefegato e il Corvaro - E' la ch. detta in oggi delle Grazie]<br />

A parte:<br />

392 - S. Anastasia tenetur respondere episcopio et non alii(s) [Parochiale di Borgocollefegato]<br />

393 - S. Nicolaus de Fano non respondet alicui nisi episcopo [et respondet VI carlenos - Ch. dir. [...], stava nel ter. del Corvaro, sui confini.]<br />

• V. Di Flavio "Il Registro delle chiese della Diocesi di Rieti del 1398" pag. 78-81 > estratto da: "Memorie del Vescovo Saverio Marini" (1779-<br />

1813) in Arch. Vesc.Rieti<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 87/126


1418: Lorenzo Colonna viene investito della Contea di Alba<br />

...nobili Orlando de Orlandis de Ginnanzano procuratori illustris. et magnificorum Iordani ducis Venusii, et Rentii fratrum de Colupna comitis Albae<br />

magni Regni Siciliae camerarii domini nostri papae germanorum, promissio de attendentis dicto cimiti Albae omnia, quae ei pollicite sumus videlicet.<br />

Quod concedemus ei Comitatum Albae cum titulo Comitatus cum terris, et Castris videlicet Alba, S. <strong>Anatolia</strong>, Rissolo, Luco, Magliano, Castronovo<br />

prope Albam, Cappella, Aveczano, Transaquis, Capistrello, Pescocanali, Canistro, Meta, Civitella, Rendinara, Castronovo de Vallibus, Roccadevivo,<br />

et Civitantine. Sub mense Octobris. Anno 1418.<br />

• Camillo Minieri Riccio "Studi Storici su fascicoli Angioini" - pag.51<br />

Estratto da Archivio di Napoli (?) "Fascicoli Angioini" pag. 476 fol. 58 Fasc. 74<br />

1423: La Contea di Alba viene confermata a Odoardo Colonna<br />

La Regina Giovanna II conferma ad Odoardo Colonna, dopo la morte del padre Lorenzo, l'investitura di tutte le terre a lui appartenute.<br />

Ioanna, &c. Attendentes itaque fidelitatis constantiam, inconcussè, ac integerrime devotionis zelum, spectabilis, & magnifici viri Adhoardi de Columna<br />

Duci Martae, Albae, & Celani comitis, collateralis consiliary fidelis nostri dilecti, erga celsitudinem nostram hostensae, grataque, grandia, fructuosa,<br />

digna, & memorata servitia per eum maiestati nostre fideliter, e laudabiliter praestita apud nostram excellentiam ostendavit, eum dignum, eidem<br />

Adhoardo duci, & comiti, pro fe, & fuis utriusqfexus heredibus, ex suo corpore legiti me' descendentibus, natis iam, & in antea nascituris, in<br />

perpetuum civitate Marisiae cum titulo, & dignitate ducatus, nec non comitatum Celani, & subscriptas civitates, & terra dicti ducatui annexas,<br />

videlicet Celanum, Piscinam, Canullum, Collum Cerchium, Agellum, S.Petitum, Ovindellum, Roveram, S. Ionam, Paternum, Gallianum, Castrum<br />

Vetus, Castrum Deceri, Scinarium, Vendelum, Ortrechiam, Resignam, Archium, Speronasinum, S.Sebastianum, & Capistranum de provincia Aprutij<br />

Citra flumen Piscariae. Baroniam Caropelle, Castrum Vetus, S.Stephanum, Calanu, Roccam Calani. Licium, Ioyam de provincia Apruty ultra flumen<br />

Piscariae, Vasalanum, portam, & serram de provincia terrae Laboris, nen non, & Comitatum Albae, e usque terras castra loca, & fortellitia<br />

subscriptas, videlicet Albam, Sanctam Anastasiam, Risolum, Civitellam, Rendenariam, Castrum Novum de Vallibus, Roccamdenino, & Civitatem<br />

Anturae de dicta provincia Aprutiy ultra, & omnes alias terras, c. per nos quondam spectabili viro Laurentio de Columna Comiti Albae, & magno<br />

Camerario, dux vixit Regni nostri Siciliae. eiusdem Adhoardi patri.<br />

• C. Tutini"Discorso de' 7 offici ovvero de' 7 grandi del R. di Napoli" pag.180-181 - Estratto da Archivio della Zecca di Napoli (?) Fasc. de anno<br />

1423 Sig.n.29 fol.53<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 88/126


1445: La Contea di Alba viene confermata a Giovanni Orsini<br />

All'incoronazione del Re Alfonso viene imposta una nuova tassa -colletta e vengono in questo modo riconfermati tutti i Baroni con le terre a loro<br />

appartenute<br />

Tassam Collectarum in Provincia Apruty Ultra, Recolligenda a viris nobilibus, ultra terras demaniales ... Orsino 1445 - Comitis Tagliacozzi: Auricola,<br />

Rocca de Bucchi, Collefecato, Castrum Mainardi, Teraco, Spidinum, Tagliacotium, Circum Collum, Petra de Venula, Cappadocium, Rocca de Cerro,<br />

Alto, Sancta Maria, Castrum Vetus, Scanzanum, Sanctus Donatus, Podium Filippi, Castellum Paleaiae, Maranum, Scolcura, Collis de Luppa, Colle,<br />

Barrochia, Piccetum, Albae, Cappella, Tarascum, Patuvium, Corvara, cum Magliano, Sancta Natolia, Succem, Avezzanum, Canistrum, La Meta,<br />

Civitas Antoia, Civitella, Castrum Caroli, Castrum de Flumine, Cose, Rocca de Supra, Girgutum, Rocca Randisiu, Podum Sancti Ioannis, Radicaria,<br />

Turris de Taglia, Capradosso.<br />

Camillo Tutini "Discorso de' sette offici ovv. de' sette grandi del Regno di Napoli" "Capitolo de' Maestri Giustizieri" pag.93-94 estratto da Archivio di<br />

Napoli (?) "Tassam collectarumfelicis coronationis Regis Alphonsi noviter imposita ad recolligendam a' Baronibus Provinciaru Regni ultra terras<br />

demaniales" - Comune 4 Anno 1445 in Sumaria fol.156<br />

1497: Fabrizio Colonna conte di Albe e Tagliacozzo<br />

Il Re Federico II investe Fabrizio Colonna della contea di Albe e Tagliacozzo<br />

Federicus, &c. considerantes servitia memorata, & digna per illustrem virum Fabritium tam dicto regi Ferdinando secundo, quam nobis praestita, &<br />

impensa, quae praestat ad praefens, & impus de bono semper in melius praestiturum speramus, qui cum idem rex Ferdinandus regnum hoc a manibus,<br />

& posse dicti reris Francorum, qui illud occupaverat, & occupatum tenebat, recuperare conaretur, essetque constitutus in maxima necessitate, &<br />

proceres, & magnates regni omnes, & populi eidem regi Francorum obedientiam praestitissent: prompteque occurrit eidem regi Ferdinando cum<br />

suiscopys, statu, & facultatibus contra dictum regem Francorum adhaerentes, & fautores eius in favorem, & sub sidium dicti domini regis Ferdinandi,<br />

strenuè ubique militando, & hostes debellando, eius personam, statum, & facultates omnes quasque ei deus largitur est sub fortunae periculo<br />

exponendo, adhuc quod regnum hoc a manibus hostium; & rebellium recuperatum extitit, & in pacis, & quietis amoenitatem, pulsis undique hostibus,<br />

ad obedientam redactum; ut autem idem dominus rex Ferdinandus nepos noster, eidem Fabritio pro acceptis ultro praestitis servitys, gratum se<br />

redderet, & benignum, urgente ad hoc statum ipsius D. Regis, & bono reipublicae huius regni, eidem Fabritio cum verba dedisse, & donasse<br />

recolimus, pro se, suisque haeredibas, & successoribus in perpetuum, terram Taleacozzi cum honore, & titulo Comitatus, terram Alba; cum honore, &<br />

titulo Comitatus, terr. Cellanum, terr. Criculae, Roccam de Brato, Perisi, Collis Intermontis, Rochiae de Cerro, Verrechiae, Capadotis, Petrellae,<br />

Paleanis, Castelli de Flumine, Curcumelli, Caesae, Scurculae, Pody, S. Donati, Scanzani, S. Mariae, Castelli Veteris, Marani, Terani, Tusely,<br />

Speriandidi, Corvary, Castelli Manandi, S. <strong>Anatolia</strong>e, Ricciolo, Magliani, Paterni, Avellani, Luci, Trasacchi, Caressi, Civite, Dantinae, & terram<br />

Cappellae de provincia Apruty Citra, &c. quae fueruni Virginy Ursini, devolutae curiae propter eius rebellionem.&c. Datum in Castello Novo civitatis<br />

nostre Neap.; per magnificum consiliarum nostrum I.V.D. & militem Antonium de Alexandro locumtenentem illustris Goffredi Borgia de Aragonia<br />

principis Squillacci, cariatuque comitis regni huius, logothetae, & prothonotary, & die sesta iuly 1497. regnor. nostrorum anno primo.<br />

C. Tutini "Discorso de' 7 offici ovvero de' 7 grandi del R. di Napoli" pag.182-183 - Estratto da Archivio di Napoli (?) Execut. I anno 1496 e 97 fol.78<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 89/126


1587: Elenco delle chiese del Vicariato del Corvaro<br />

Il Vescovo di Rieti Ms. Malvaglia elenca tutte le chiese della Diocesi di Rieti.<br />

CORBARO<br />

S. Maria curato<br />

Canonicati in d.a chiesa<br />

Cappella dell'Annunziata<br />

Cappella di S. Gio. Bàtta<br />

Cappella di S. Martino<br />

VIANTI S. STEFANO<br />

S. Stefano curato<br />

Canonicati in d.a chiesa<br />

Cappella di S. Maria<br />

S. Roccho<br />

S. Angelo semplice<br />

S. Cruce oratorio<br />

Vicariato del Corvaro<br />

VICARIATO DEL CORBARO :<br />

d. Ottavio Amici dal Corbaro<br />

> d. Simone Costantio da Corbaro<br />

> d. Jacomo Pratioso<br />

> d. Alfonso Amici<br />

> d. Vitale Biancho<br />

M. Gio: Bàtta Elicona<br />

d. Angelo Antonio > da Corbaro<br />

d. Ottavio Amici ><br />

d. Simone Constantio dal Corbaro<br />

> d. Ottavio Amici<br />

> d. Angelo D'Ant.<br />

> d. Jacomo Pratioso<br />

> d. Francesco Ant. Amici<br />

> d. Biagio Di Gio. Fran.co<br />

> due altri canonic.ti il sem.pio<br />

d. Ottavio Amici<br />

li confrati<br />

d. Ottavio Amici<br />

la Conf.a del Corbaro<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 90/126


CASTEL MENARDO<br />

S. Tomasso semplice<br />

S. Maria semplice<br />

S. Paulo curato<br />

S. Lucia semplice<br />

S. Croce curato<br />

S. Maria del Colle<br />

S. Eutitio unito<br />

vacat<br />

d. Giorgio Casato da Castel Manardo<br />

d. Angelo Sancti da Castel Manardo<br />

d. Giorgio Casat d..............<br />

d. Marco Casato da Castel Manardo<br />

> curato d. Giorgio Casato d.............<br />

><br />

COLLE FEGATO<br />

d. Bastiano Gainio da Colle Fecato<br />

S. Maria di Colle Fecato curato<br />

d. Mattheo di Propertio da Colle Fecato<br />

S. Tomasso semplice<br />

d. Giorgio Mastrozzi da Lionessa<br />

La cappella dell'altar grande<br />

d. Vespasiano Malaigi da Marscetello<br />

Cappella di S. M. di Loreto<br />

d. Martio Catino da Colle Fegato<br />

S. Antonio di Vienna semplice<br />

d. Bastiano Guirico da Colle Fecato<br />

S. Anastasia curato<br />

> d. Martio Catino<br />

Cappella di S. Spirito<br />

><br />

Cappella di S. Caterina<br />

il Sem.pio<br />

Cappella di S.Giacomo di S.Martino<br />

d. Mattheo di Prospero da Colle Fecato<br />

S. Gio. Leopardo curato<br />

> d. Filitiano D'Amici da Poggiovalle<br />

Canonicati in d.a chiesa<br />

> d. Cesare Fabio di Brasciano<br />

> d. Vitale Enca da Montereale<br />

> d. Jacomo da Belmonte<br />

> d. Alatio Vulpiano da Torre di Taglio<br />

> Il S. Semp.io<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 91/126


SPEDINO<br />

S. Andrea curato<br />

S. Paulo semplice<br />

Cappella di S. Angelo<br />

S. Maria di Brecciola semplice<br />

S. Liberatore<br />

d. Dom.co Natto da Turano<br />

d. Lelio Lelj da Spedino<br />

vacat<br />

d. Gio. Bàtta Elicona<br />

ognoratur fector<br />

LATUSCHOLO<br />

S. Tomasso curato d. Fabio Brancha da Magliano<br />

TURANO<br />

S. Martino curato<br />

Canonicati in d.a chiesa<br />

Cappella di S. Maria<br />

Cappella di S. Angelo<br />

Cappella di S. Jacomo<br />

Cappella di S. Gio<br />

Cappella di S. Gio<br />

Cappella di S. Martino<br />

S. Maria di Mola semplice<br />

CARTORO<br />

S. Lorenzo ignoratur pretor<br />

d. Marcello Spina da Turano<br />

> d. Dom.co Nallo da Turano<br />

> d. Hercole Di Bartolomeo<br />

> d. ..............<br />

> d. Ovidio Vertotti da Turano<br />

> d. Joseppe Cannuccho - Veneziano<br />

d. Raffaele Pacchezzio<br />

d. Hercole Di Bartolomeo da Turano<br />

d. Dom.co Natto da Turano<br />

d. Hercole Di Bartolomeo<br />

d. Marcello Spina<br />

d. Gio. Ant. Di Tiberio<br />

d. Marcello Innocentio<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 92/126


S. NATOGLIA<br />

S. Nicola di Cartoro curato<br />

S. Costantio semplice<br />

S. Paulo semplice<br />

S. Martino<br />

S. Maria di Colle semplice<br />

S. Natoglia curato<br />

Canonicati in d.a chiesa<br />

Cappella di S. Bastiano<br />

Cappella di S. Maria<br />

S. Niccola curato<br />

S. Liberatore<br />

d. Vincenzo Innocentio da S. Natoglia lettori<br />

d. Ber.no Mario<br />

d. Gio. Ant. di Not. Marco<br />

hospedale<br />

M. Bart. Alberti - Bolognese<br />

d. Vincenzo Innocentio da S. Natoglia<br />

> d. Ber.no Mario<br />

> d. Antonello di Gio.Marino da S.Natoglia<br />

> d. Ant. Di Gio. Bàtta<br />

li confrati<br />

vacat<br />

d. Vincenzo Innocentio<br />

Hospidale<br />

GROTTI<br />

S. Niccola delle Grotti Unito a S. Martino di Turano<br />

VILLE<br />

S. Croce curato<br />

S. Sebas.no<br />

S. Maria di Valle semplice<br />

S. Maria dentro al Poggio curato<br />

La cappella di S. Gio. Bàtta<br />

d. Felitiano Amici dal Poggio di Valle<br />

Unito a d.a chiesa<br />

d. Js. Ant. Di Not. Martino da Turano<br />

d. Michele Erasmo dal Porso<br />

d. Felitiano Amici d...........<br />

• Nota delle chiese sottoposte al Vescovato di Riete estratta dalla visita di Ms. Malvaglia visitat. ... aplico dell'Umbria nell'anno 1587 esist. nel<br />

Vaticano Archivio Diploma. - Estratto da: A.V.R. Cart.50 Visita Marini Anno: 1783-1788 "Visita città Montereale, Scai & Cicolano" (pag. 112 -<br />

114)<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 93/126


1712: Il Parroco di S. <strong>Anatolia</strong> risponde a dei quesiti<br />

Il Vescovo di Rieti Ms. Guinigi visita il paese di S. <strong>Anatolia</strong> e pone dei quesiti all'abate-parroco Giovanni Antonini che risponde nel seguente modo<br />

1. E' la chiesa parrocchiale sotto il titolo ed invocazione di Santa <strong>Anatolia</strong> V. vicariato foraneo di Borgo Collefegato sotto il dominio dell'Ecc.tmo Sig.<br />

Contestabile Colonna S (.) governatore Franco Cimoli di Ponticelli e detta chiesa è posseduta da me sottoscritto Gio: Antonino della terra di Turano<br />

di anni 61.<br />

2. In detta chiesa non vi sono altri membri ne oratory, et è consacrata e non vi è memoria della consacrazione.<br />

3. La detta chiesa ave bisogno di qualche riparazione, et, il popolo al quale spetta sta in procinto di ripararlo et i paramenti parte l'università i<br />

sacerdoti con le messe e parte le compagnie cosi per uso interessato.<br />

4. Le sepolturu vi sono. Il fonte battesimale però è situato nella chiesa di San Nicola dentro la terra e in detta chiesa parrocchiale vi è il campanile<br />

con le campane.<br />

5. Il venerabile Sacramento (.) vi si mantiene nella chiesa predetta di S. Nicola con Lampada a spesa della Compagnia del SS. (.) ed il procuratore ne<br />

ha la cura.<br />

6. Li procuratori e Capitolo coll'entrate dalla chiesa mantiene la cera ed è i procuratori fanno imbiancare le suppellettili sacre.<br />

7. Alcuni anni si predica la Quaresima. Se il popolo dimanda il predicatore e allora il popolo medesimo lo paga con forme con quelli si pattuisce.<br />

8. Le Bolle si tengono dal parroco spedite da Monsig. Vincentini B.M.<br />

9. Il Parroco gode un beneficio semplice unito con la cura. Sotto il titolo di San Leonardo che si spedisce da i (.) di S. Paolo di Roma et un altro in<br />

territorio del Latusco sotto il titolo di San Tomasso che si nomina dall'Ecc.jmo Sig. Contestabile.<br />

10. Le dette chiese sono di presentazione dell'Ecc.jmo Sig. Contestabile Colonna.<br />

11. Detta chiesa Parrocchiale e Beneficy come sopra consistono in terreni et un anno e l'altro se ne percepisce da salme undici di grano in circa et un<br />

scudo di prata e venti inventicinque carlini incirca d'incerti e trentacinque carlini di (.) vigna (.).<br />

12. Il Parroco non ave obligo di tenere ne cappellano ne coadiutore.<br />

13. Nella Chiesa Parrocchiale vi sono cinque altari cioè il capo altare con il titolo della Natività N.S.G.C. La Cappella della Pietà a latere destro e a<br />

latere sinistro la Cappella di San Sebastiano e nell'ingresso della chiesa la Cappella di Santa <strong>Anatolia</strong>. E Dall'altro lato l'altare della S.V. M. di Loreto<br />

e non vi à l'obligo di detta chiesa che ogni mercondì una messa all'altare della Pietà e si mantengono detti altari alle spese delle compagnie.<br />

14. Detta chiesa fu visitata venticig. anni sono in circa dall'Ill.mo Mons. Vincentini li degreti furono eseguiti.<br />

15. Non accada rispondere per esser stati eseguiti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 94/126


16. In detta Parrocchia vi sono sei sacerdoti con l'abbate e due chierici cioè d. Gio: Antonini abb.e, d. Leonardo Placidi, d. Franco Ant. Luce<br />

canonici, d. Alesio Innocenzi, d. Tomasso Luce sacerdoti senza beneficio in detta chiesa, e Berardino Luce e Vincentio Innocentiy chierici (.) e tutti<br />

(vanno) in abito et tonsura e servono alla medesima chiesa eccettuato d. Tomasso Luce (chè fuor) di Diocesi.<br />

17. Per la Pia grazia tanto sacerdoti che chierici tutti sono di buona (...forma...).<br />

18. In detta parrocchia vi sono cinque benefici semplici cioè S. Lorenzo di Cartore che si gode dall'abb.e Giacomo (Silvy) ... S. Costanza si gode da un<br />

chierico nominato d. (Cesiddio) ... La Madonna di Loreto che lo gode d. Leonardo Placidi ... S. Maria del Colle che lo gode detto abb.e (Silvy) ... con<br />

la capella di S. Gio: jus patronato delli Spera ... il beneficio di S. Leonardo sul (camino) si gode (...) in quanto all'entrata quanto di dette. Infatti non si<br />

sà precisamente quanto si fruttino.<br />

19. In detta parrocchia non vi sono meretrici ne persone scandalose e ne vi sono bestembie (ereticali).<br />

20. Tutti i maritati abitano assieme.<br />

21. Non vi sono ne usurari ne altre persone malefiche.<br />

22. Le feste pare che poco si osservino et l'inosservanza deriva da i lavori che si fanno le censure e sbirri sarebbero l'opportuno rimedio.<br />

23. La mamma è stata esaminata et in caso di bisogno è prattica della forma del battesimo si chiama Margarita Fracassi e sono da otto anni che<br />

esercita.<br />

24. Amico Di Federico e Beatrice Luce solamente non si sono comunicati fin hora<br />

25. Alcune volte dal Parroco si ammonisce il popolo provvedendo alla (.....) e le messe si celebrano dopo la messa parrocchiale.<br />

26. La dottrina cristiana si celebra con concorso di fanciulli e fanciulle ed il carico lo passa il parroco.<br />

27. Nei limiti della parrocchia non vi sono eremiti.<br />

28. Gli istituti delle Compagnie non si fanno non essendoci la memoria et in quanto alle entrate ed uscite delle medesime con i loro nomi si<br />

mostreranno in foglio.<br />

29. Non si fanno convitti ne alcuni rinfreschi a spese delle compagnie.<br />

30. La compagnia della Pietà p. legato di Fabio Di Domizio fà celebrare ogni mercoledì una messa, e due messe l'anno. P. legato di d. Antonio Placidi<br />

il sanc.mo messe quattro l'anno il medesimo ed una messa per l'anno di Francesco Gentile ed i priori ne passano il loro (.....) bilanci.<br />

31. L'elemosine l'amministrano i priori et il parroco ne ave la sopra-intendenza.<br />

32. Gli offiziali delle compagnie hanno reso conto et i debitori si mostreranno in foglio quali e quanti siano e, tutti possiedono in bolis.<br />

33. Le compagnie hanno crediti da esigere come si mostreranno.<br />

34. Le compagnie di questa parrocchia non hanno liti di sorta nessuna.<br />

35. Vi è il maestro di scuola et è di buoni costumi ma non ave fatta la professione della fede essendo scuola di semplici fanciulli e si chiama Claudio<br />

Cherubbini.<br />

36. Non vi è medico assistente ma viene da fuori et adempie al suo ufficio.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 95/126


37. Non vi sono persone inosservanti e l'editto emanato si osserva con ogni esattezza.<br />

38. Non vi è persona alcuna che tenga libri proibiti.<br />

39. Non vi è persona che abbia usurpato beni ecclesiastici non essendone appresa la notizia.<br />

40. In detta chiesa parrocchiale si canta il vespero le feste e si recitano il SS. Rosario ma non vi è altra esposizione ne buona morte solita a farsi.<br />

41. Il parroco osserva il rituale romano e li fanciulli vengono istruiti nelle cose necessarie per ricevere la SS. Eucarestia.<br />

42. Il parroco tiene alcuni libri di Teologia morale tra i quali vi è il (....).<br />

43. Vi sono indulgenze ma ad rempus e si mostreranno i bremi.<br />

44. Non vi è monte di pietà ma le compagnie imprestano grani e l'amministrazione nel capitolo XXVIII.<br />

45. Già si è detto nel capitolo (XXXXIIII) ovvero non essendovi tali ministri di monti di pietà.<br />

46. Non essendoci l'ospedale formale.<br />

47. Essendoci abusi si diranno ad avve.<br />

48. Si esibirà la tabella ma non è stato mai usato il libro di registro se nonchè da due anni a questa parte.<br />

49. Si mostreranno ancora li terreni e fondi che si godono da detta chiesa.<br />

50. Si mostrerà l'inventario delle suppellettili della chiesa.<br />

51. Con ogni pompa possibile si porta i santissimo Viatico a gli infermi e vi sono tutte le cose espresse nel capitolo eccettuato che li fratelli non si<br />

mettono con sacchi et il parroco publica l'indulgentia di detta associazione.<br />

52. Questo luogo non vi è conferenza di casi.<br />

53. Non vi è alcuno confessore che il parroco.<br />

54. Non vi sono oratoriy.<br />

55. Si avvertiranno il patrone laico che è la famiglia di Spera l'Eccellentissimo Sig.re contestabile e, non si è fatta cosa alcuna.<br />

56. Quelli che vorranno ricevere il sacramento della cresima sono istruiti e sono preparati.<br />

57. Non vi sono ne monasteri ne conventi.<br />

- Si formi lo stato delle anime di ciascuna parrocchia, e annessi, come siegue. Nella Parochia di S. <strong>Anatolia</strong>: Famiglie n. 50 - Sacerdoti secolari n. 6 -<br />

Chierici liberi n. 2 - Maschi al secolo da comunione n. 98 - Femmine al secolo da comunione n. 96 - Fanciulli che non si comunicano n. 58 - Fanciulle<br />

che non si comunicano n. 52 - Anime in tutto n. 304 - io Gio: Abbate Antonini<br />

• Estratto da Visita Guinigi - Anno 1712 - "Visita Vicariato Suburby Collis Fegati" Risposte dei parroci - Arch. Vescovile di Rieti - Cartella 17 -<br />

Volume V, pag. 29-30<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 96/126


Appendice VII - La martire <strong>Anatolia</strong><br />

Domenico Federici, frate nell'abbazia di Subiaco, fu autore di vari libri riguardanti la storia del suo<br />

monastero e luoghi adiacenti.<br />

• 1938. Primordii benedettini e origini comunali in Subiaco - Subiaco (Tipografia dei<br />

monasteri) 1938<br />

• 1940. Echi di giansenismo in Lombardia e l'epistolario Pujati-Guadagnini<br />

• 1947. G. XVI tra favola e realtà - Rovigo 1947<br />

• 1966. I Francescani visti in Anagni in una descrizione del 1219 - Roma 1966<br />

Questi titoli li ho trovati su internet - forse ha scritto anche altri libri.<br />

Verso la metà del XX sec., sollecitato dalla fama che in quel periodo riscuoteva la nostra Santa (negli<br />

anni '50-'70 in occasione della festa di S.<strong>Anatolia</strong> giungevano nel nostro paese migliaia di<br />

pellegrini), fece delle ricerche e il 22 maggio del 1953 diede alla luce la prima stesura del libro "La<br />

leggenda di S. <strong>Anatolia</strong> V. e M. del Cicolano".<br />

Nell'estate del 1953 egli venne a S.<strong>Anatolia</strong> probabilmente in occasione della festa del 9-10 luglio.<br />

Portò con se l'unica (?) copia dattiloscritta del suo libro e la consegnò al nostro parroco che allora era<br />

don Giovanni di Gasbarro. Costui l'avrebbe dovuta correggere e poi restituire per la pubblicazione.<br />

Il nostro buon parroco ci mise molto impegno per correggere la bozza ma poi dovette attendere<br />

invano che il frate tornasse a riprenderla. Domenico Federici credo che non venne più a S. <strong>Anatolia</strong> e<br />

il libro non venne mai pubblicato. Io ne possiedo una fotocopia, avuta direttamente da don Giovanni<br />

Di Gasbarro, che ho riportato integralmente qui di seguito:<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 97/126


Introduzione<br />

La leggenda di S.<strong>Anatolia</strong> Vergine e Martire del Cicolano<br />

Capitolo I - Voci nel Tempo<br />

Capitolo II - L'Era dei Martiri<br />

Capitolo III - <strong>Anatolia</strong> e Vittoria<br />

Capitolo IV - Deportazione a Tora<br />

Domenico Federici - Roma, 22 maggio 1953<br />

Capitolo V - Il ritrovamento delle reliquie<br />

Capitolo VI - La Citta' di Tora<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 98/126


Introduzione<br />

Al lettore.<br />

La narrazione dei miracoli della Beata Vergine Maria ovvero dei Martiri comunemente si chiama leggenda (dal latino legenda, cose da leggere) e in<br />

questo senso il vocabolo è stato qui adoperato.<br />

Nella stesura della leggenda di S.<strong>Anatolia</strong> mi sono avvalso dei materiali apprestati esattamente un secolo fa', ma poco noti, da mons. Pietro Caponi,<br />

Canonico Teologo in Subiaco. Il suo opuscolo è per me il più organico tentativo d'orientamento in mezzo alla farragine di notizie sparse sulla<br />

Taumaturga del Cicolano. L'ho aggiustato chiarendo punti oscuri, tralasciando quelli meno sicuri, con aggiunta di scorci storici e di breve<br />

ragionamento circa l'identificazione della Città di Tora. So, a questo proposito, di non esser d'accordo con l'opinione corrente che ha trovato, e non se<br />

ne conoscono i motivi, questa città altrove. Ma il dissidio è antico e non parte da queste pagine. Peraltro tutto ciò è frangia e contorno. Anche quando la<br />

narrazione sembra distrarre o divagare il lettore, in realtà ubbidisce alla necessità di svolgere notizie un po' scucite e talora frammentarie.<br />

Spero di aver assolto il modesto compito di guida e in particolare di non aver tradito lo scopo essenziale prefisso che è quello di edificare i buoni<br />

cristiani mediante la ricostruzione di avvenimenti degni di esser letti, cioè di una leggenda così decisiva, come quella di S.<strong>Anatolia</strong>, per la vita<br />

contemplativa.<br />

Al lettore benevolo chiedo in cambio della mia fatica soltanto comprensione per le eventuali manchevolezze che egli troverà in questo scritto.<br />

Roma, 22 maggio 1953.<br />

D. F.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 99/126


Capitolo I - Voci nel Tempo<br />

La Sposa del Sangue<br />

Pio XII, parlando agli uomini di Azione Cattolica adunati a Roma il 7 novembre 1947, raggruppò in cinque punti l'esercizio della nostra attività; e cioè:<br />

1. Cultura religiosa, contrapposta all'anemia della vita religiosa, dovuta alla quasi ignoranza in cose<br />

religiose.<br />

2. Santificazione delle feste a gloria di Dio in lieto ritrovo nella famiglia.<br />

3. Salvezza della famiglia cristiana rivendicando all'Italia il vanto di una primaria forza, la madre<br />

italiana.<br />

4. Giustizia sociale per raggiungere una più giusta distribuzione di ricchezze.<br />

5. Lealtà e veracità nella convivenza umana, con rinnovamento del sentimento e dello spirito di una<br />

responsabilità individuale.<br />

Il Pontefice proseguiva così: "la Chiesa è sempre giovane e tale rimarrà. è la sposa del sangue (Exod.<br />

4,23) e nel sangue sono i suoi figli calunniati, imprigionati, uccisi. Vuol ritrovare l'immagine del suo<br />

Sposo divino per soffrire, per combattere, per trionfare con Lui. Maria Goretti e Contardo Ferrini, con<br />

l'intercessione della madre di Dio e dei Santi, vinceremo la Causa Santa !"<br />

Oltre un anno passato e, tornando a parlare ai giovani romani di Azione Cattolica celebranti il 35<br />

anniversario della Federazione diocesana di Roma, Pio XII, il Papa della gioventù (com'egli stesso si era<br />

definito), ancorò i problemi dell'ora in tre capisaldi:<br />

1. Chiari principi<br />

2. Coraggio personale<br />

3. Unione indissolubile tra religione e vita.<br />

La connessione evidente fra tali capisaldi e i cinque punti indicati agli uomini di Azione Cattolica, non<br />

rientra tra i fini di questo scritto dove invece preme di sottolineare il 2 caposaldo del Santo Padre così<br />

sviluppato:<br />

"Non vi meravigliate, diletti figli, se parlando del coraggio noi vogliamo sottolineare la parola<br />

personale unitiva di un blocco formato a doverosa e leale difesa dei più alti e sacri ideali e senza<br />

dubbio eccellenti. Gli uni sostengono gli altri mutuamente, fraternamente e in tal modo l'ardimento<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 100/126


diviene più facile. Ma questo coraggio deve mostrarsi anche se voi, in qualche luogo, in un determinato momento veniste a trovarvi per particolari<br />

circostanze in minoranza, in pochi, forse anche soli di fronte ad avversari più numerosi e audaci. Siete voi capaci a resistere, ma fino all'ultimo, contro<br />

di tutti nell'affermazione della legge di Dio, nella difesa della Fede e della Chiesa, dobbiamo anzi oggi di aggiungere, nella tutela dell'ordine del<br />

progresso e della pace sociale, ogni qual volta il bene comune richiedesse la vostra collaborazione? Guardate il protomartire Santo Stefano: uno<br />

contro tutti fino alla fine. Egli superava anche in intelligenza e in sapienza i suoi crudeli avversari, che non sapevano rispondere ai suoi argomenti e<br />

alle sue prove (Atti, VI, 10).Ecco gli uomini di cui ha bisogno la Chiesa e la società. Non si uccide il Cristianesimo senza sopprimere con lo stesso<br />

colpo il cittadino e l'onesto uomo ..."<br />

Non è mai lungo nè tedioso il discorso del Padre comune e ancor meno, la riproduzione delle sue toccanti parole, vuol significare un rimprovero per<br />

chi, volendo essere da lui guidato, l'avesse dimenticate oppure avesse svanita l'eco nel suo cuore. Invece potrebbe servire a stabilire, se ve ne fosse<br />

bisogno, la continuità e uniformità della dottrina insegnata da Pio XII ai nostri giorni e quella di San Fabiano (240=250) che governò la Chiesa quando,<br />

per la fede, patì il martirio la vergine <strong>Anatolia</strong> e di quella persecuzione fu tra le prime vittime.<br />

Una è la Fede, com'è unico il Battesimo e l'Eucarestia per tutti, e unico è l'Ovile ma vario con i suoi martiri,<br />

con i buoni e mediocri cristiani, con i soliti apostati e traditori. Il primo martire del cristianesimo, Santo<br />

Stefano, fu ucciso per la sua intelligenza e sapienza e per i servigi prestati in qualità di diacono ai poveri,<br />

alle vedove e ai derelitti della Chiesa. A lui succede una catena ininterrotta di martiri, testimoni della Fede,<br />

e anche una schiera di paurosi, di tiepidi traditori e anche di buoni cristiani che hanno assicurato la<br />

sopravvivenza della Chiesa. In questo vario succedersi di generazioni cristiane il nome di Maria Goretti,<br />

l'umile contadina marchigiana uccisa nei primi anni di questo secolo per aver difeso la propria verginità, è<br />

degnamente vicino a quello di <strong>Anatolia</strong>, dimostratasi zelante catechista e assunta a simbolo della verginità.<br />

I loro nomi assumono aspetti particolari, nella Sposa del sangue, dove trovano posto quei buoni che<br />

scoprono nel Cristianesimo la palestra idonea per santificarsi, come Contardo Ferrini, maestro del diritto ed<br />

esempio in ogni tempo per gli infelici che non sono riusciti ad imitarlo o ad emularlo. Dei cattivi e dei<br />

traditori se ne sono occupati fin troppo gli altri perchè possano trovar posto in questo profilo e del resto la<br />

carità suggerisce di mantenerli in silenzio<br />

Quasi Aurora rutilante<br />

I primi echi di un evento glorioso, che aveva scosso profondamente l'animo dei Cristiani del III secolo,<br />

prendono forme artistiche e insieme solennemente religiose. Tra lo sfolgorio degli ori e tra i vivaci colori<br />

dei mosaici dell'arco trionfale di Sant'Apollinare Nuovo, la basilica bizantina di Ravenna costruita nel VI<br />

secolo, è riprodotta una teoria di Vergini per rendere completo il corteo del Salvatore, il Pantocratore.<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> e Santa Vittoria, così strettamente unite nella leggenda, si ritrovano insieme nel trionfo di<br />

Gesù Cristo.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 101/126


Ancora oggi in Oriente, a indicare il corrispondente punto cardinale, si usa Anatolì ed è stato pensato che quel nome sia stato attribuito ad una<br />

fanciulla, forse plebea e straniera, se non di origine servile, così umile di fronte a quello squillante e romano di Vittoria. L'arte figurativa si era<br />

impadronita della sua immagine ed in seguito il calendario popolare, in base a precedenti scritti purtroppo perduti, ne aveva fissata la festa al 9 di<br />

luglio: "Nella città di Tyro il martirio dei santi <strong>Anatolia</strong> e Audace sotto l'imperatore Decio". Non fu difficile il passaggio del suo nome alla letteratura.<br />

Pietro Adelmo nel IX secolo impernierà su di lei l'Elogio della Verginità e, prima e dopo di lui, il nome di <strong>Anatolia</strong> passerà sulle bocche di Adone,<br />

Flodoardo, Vittricio, San Beda il Venerabile, Flodoardo, Notkero e Usuardo.<br />

Le gesta di questa Martire si propagheranno quindi in Italia e, al di là delle Alpi, soprattutto in Francia ed in Inghilterra. Ma da noi la fama di <strong>Anatolia</strong><br />

rimase perennemente impressa soprattutto per merito dei monaci benedettini e specialmente di quelli delle Badie di Farfa e di Subiaco.<br />

Giunti per tempo in possesso della città di Tyro o Tora, i primi affidarono la memoria della loro venerazione per la Martire alle chiese dedicate a<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> in territorio Reatino: in Busiano, in territorio Sabino, in Tore in curtis Vallantis, in S. Maria di Loriano, in Turano, in Cliviano, in<br />

Antisiano e Pacciniano, in Usiano ovvero in Italiano. La ricordarono con una corte detta Taziano, con un campo, con un altro in Massa Capitanea e un<br />

terzo che si trovava juxta gualdus (bosco) delimitato dalla strada romana via publica e da un altro lato dal lago, in lacu. Al di fuori di quest'area,<br />

facilmente definibile quale territorio dei Reatini, Sabini, Marsi ed Equicoli, i monaci di Farfa propagarono il culto nelle Marche ed a Tivoli, dov'è<br />

rimasto fermo ad un modesto altare condiviso con Santa Vittoria nella Basilica di Santa Maria Maggiore da loro ufficiata fin verso l'anno 1250.<br />

Da qui, com'è verosimile, la devozione fu trapiantata, prima del 936, nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si mescolavano con quelle<br />

del Vescovo di Tivoli, ordinario di quell'area fin verso il XVI secolo. La chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> sorgeva in una curtis domnica, vale a dire in un centro<br />

agricolo con magazzini, ospizi e negozi cui patite ingiurie avevano portato rovina e costretto gli abitanti ad arrampicarsi per le coste dei monti dentro le<br />

più sicure mura di Cerreto e Gerano.<br />

In questa chiesa ormai campestre, nominata in molti privilegi pontifici, il 10 luglio di ogni anno, con un giorno di ritardo sul calendario ufficiale, si<br />

commemora il martirio di Sant'<strong>Anatolia</strong>. E' molto probabile che da essa abbia preso spunto Leone abate di Subiaco quando, non appena giunto in<br />

possesso (attraverso carte purtroppo perdute) di beni in Tora, si mise alla ricerca delle reliquie della martire Cicolana, ancor più faustamente conclusa<br />

con il ritrovamento anche di quelle di Sant'Audace, suo socio nel martirio, in passione socius. Rinvenute quelle spoglie, Leone il sanctissimus abbas,<br />

audacemente le riportò nei Monasteri di Subiaco riponendo quelle di Sant'Audace nella chiesa di Santa Scolastica, mentre quelle di Sant'<strong>Anatolia</strong><br />

custodì nello Speco dove San Benedetto in rigorosissima austerità si era preparato alla promulgazione della Regola. E non è privo di significato che in<br />

quello Speco da secoli, il monaco che si accinge a legarsi in perpetuo al suo ordine, promette e giura, chiamando a testimonio Sant'<strong>Anatolia</strong> "di cui il<br />

corpo riposa in questa Chiesa" e colpisce inoltre trovare in quel luogo, dove fu meditata la Regola dei Monaci alla quale tutti gli ordini religiosi fanno<br />

riferimento, il nome di una Vergine anzi di quella presa quasi come modello di umana Verginità.<br />

Ai Benedettini infine spetta il vanto di aver saputo, con le scarse notizie sparse qua e là, costruire una biografia di Sant'<strong>Anatolia</strong>. La Badia di<br />

Montecassino fu il cantiere e architetto Giovanni Cassinese, prima di dedicarsi agli affari della Curia Pontificia e prima ancora di essere assunto al<br />

pontificato ove regnò col nome di Gelasio II (1119). All'organica disposizione dei materiali attesero nel XVII secolo i benemeriti Padri Bollandisti che<br />

lo pubblicarono nella loro collezione intitolata Acta Sanctorum.<br />

In quelli riguardanti la nostra Martire qualche punto non va ma non per le ragioni addotte dai critici sempre scontenti e onestamente a suo luogo se ne<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 102/126


terrà conto senza qui attardarsi. Vanno ricordati piuttosto gli autori che hanno appositamente trattato alcuni lati della vita di Sant'<strong>Anatolia</strong> che, disposti<br />

in ordine di tempo, sono: Iacobilli "Vite dei Santi e Beati dell'Umbria" (opera stampata nel 1656 a Foligno, tomo 3, volume II, pag. 14=19); mons.<br />

Marini, vescovo di Rieti, nelle "Memorie di Santa Barbara" (Fuligno 1796); mons. Caponi di Subiaco "Notizie storiche di S. <strong>Anatolia</strong> Vergine e<br />

Martire e di S. Audace martire" (Roma 1852); mons. Paschini, rettore dell'Ateneo Lateranense, "La passio delle Martiri Sabine Vittoria e <strong>Anatolia</strong>"<br />

(Roma 1919); chi scrive nell'ultima parte del suo studio intorno a "Leone il Gagliardo e gl'inizi della potenza del Sublacense" pubblicato negli Atti<br />

della Soc. Tiburtina di Storia Patria, 1937 e 1938 (da pag. 44 a pag. 67 della 2 puntata); e Carosi, benedettino della Badia di Subiaco, "Sant'<strong>Anatolia</strong><br />

Vergine e Martire" (tipografia dei monasteri di Subiaco, senza data).<br />

Quanto è stato detto non è rivolto a dare una rassegna di opere e ancora meno a recensirle o a criticarle, per quanto, in sede di autocritica, è implicito il<br />

riconoscimento delle imperfezioni del precedente lavoro spiegabili in un raggio nel quale le notizie su Sant'<strong>Anatolia</strong> altro non erano che frangia. Resta<br />

inteso che quelle imperfezioni ed eventuali errori topografici (che ho cercato nel frattempo di correggere per amore di quella probità che ogni<br />

pubblicazione dovrebbe informare) saranno emendati del tutto in questa così impegnativa pubblicazione che ha per argomento unico Sant'<strong>Anatolia</strong>.<br />

Lo scopo prefisso da questa parte introduttiva è un altro: riflettendo su ciò che abbiamo scritto fin'ora spontaneamente veniamo spinti a porci due<br />

domande: per quale arcano disegno l'umile o plebea <strong>Anatolia</strong> è stata tratta dalle zolle della terra di Tora e, come candelabro risplendente, sovrapposta a<br />

quello Speco, sacro per le sofferenze e meditazioni di Benedetto da Norcia ? Fu un gesto inconscio o responsabile quello dei monaci di Subiaco che<br />

vollero illuminata per se e per altri da quell'Aurora la via tribolata di sacrifici, al servizio di Gesù, corona dei Vergini e insieme assiepato da cori di<br />

Vergini ?<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 103/126


Capitolo II - L'Era dei Martiri<br />

La Chiesa del Silenzio<br />

Dal giorno in cui il diacono Stefano fu lapidato a Gerusalemme da una folla aizzata dal giovane Saulo<br />

(che sulla via di Damasco rimarrà colpito dalla divina Grazia e trasformato in Paolo dottore delle<br />

genti) il Maligno ha continuato con i suoi infami attacchi contro la Chiesa, Sposa di Cristo. Con gli<br />

aguzzi suoi denti l'ha morsa, sia pure ad intervalli, ma nell'ostinato tentativo di sterminare il nome<br />

cristiano. Già al tempo dei Romani promosse la persecuzione dei fedeli, sia di carattere generale per<br />

tutto l'Impero e sia ristretta ad alcuni luoghi, mietendo sempre vittime umane. Il numero di esse non<br />

sarà calcolabile da mente umana e siccome l'olocausto era avvenuto in difesa della Fede, tutti i caduti<br />

furono chiamati martiri, ossia testimoni.<br />

Il lungo periodo, durato circa tre secoli, nel quale la strage di vittime umane, nel nome di Cristo, fu<br />

più intensa, fu detta Era dei Martiri. Per comodità, quella prolissa tragedia che ha per sfondo sangue<br />

cristiano, è stata scomposta in dieci episodi, quante furono le persecuzioni più violente, e ciascuno di<br />

essi è stato unito al nome dell'Imperatore maggiormente responsabile degli eccidi. Così da Nerone si<br />

denomina la prima, da Domiziano la II, la III da Traiano, la IV da Marc'Aurelio, la V da Settimio<br />

Severo, la VI da Massimino, la VII da Decio, l'VIII da Valeriano, la IX da Aureliano e la X da<br />

Diocleziano.<br />

Le persecuzioni cessarono con la promulgazione dell'Editto di Costantino (313), ma anche in seguito,<br />

cambiati i motivi ed i paesi in cui le persecuzioni si svolsero, invariato rimase lo scopo degli eccidi di<br />

Cristiani. A volta emulando e talora superando l'efferatezza dei Romani, i ministri del maligno si<br />

chiamarono Vandali, iconoclasti, riformati specialmente d'Inghilterra, Giapponesi, Francesi della<br />

rivoluzione (con strascichi in Germania della Kulturkampf o in Italia e in Spagna). Russi e Messicani<br />

e i seguaci del bolscevismo operanti in Ungheria e in Yugoslavia. Caddero e cadono ancora oggi<br />

martiri e confessori della fede e i caduti di null'altro erano e sono rei che della pretesa al rispetto della<br />

propria coscienza, del proprio pensiero, della propria fede religiosa. In un certo modo, l'oppressione<br />

fanatica e micidiale, trova una sua spiegazione nell'insegnamento del Divino Maestro che avvertiva i<br />

suoi seguaci a non credere ad una vita comoda e facile, ma ad una vita di lotta continua per<br />

raggiungere l'affrancamento dell'uomo dalla morsa degli istinti, attraverso i rimedi della vita<br />

soprannaturale, per balzare alla vera vita che non è di questo mondo.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 104/126


La Persecuzione di Decio<br />

La settima persecuzione contro la chiesa, com'è stato detto, fu dovuta all'imperatore Decio. Questi<br />

era peraltro un buon generale. La persecuzione durò un paio d'anni e finì solo con la morte in<br />

combattimento di chi l'aveva ordita e scatenata. Nonostante sia stata la più breve di tutte, fu la più<br />

cruenta e micidiale. Era giunta inaspettata e si abbattè sui cristiani come un vento impetuoso,<br />

sradicando e sparpagliando le comunità di fedeli. Condotta inoltre con astuzia e rigore inconsueti,<br />

mietè una gloriosa e abbondante messe di martiri.<br />

Ignoto rimane l'editto di promulgazione ma tristemente nota l'applicazione che ne seguì. Decio<br />

aveva imposto a tutti i cittadini una specie di censimento controllato da speciali commissioni.<br />

Ciascuno era tenuto a compiere pubblicamente un atto di culto idolatrico attraverso sacrifici rituali,<br />

libagioni e incensamenti degli altari pagani e consumazione, insieme con altri, delle carni<br />

sacrificate egli idoli. Chi non si fosse presentato per adempiere le prescrizioni imposte, doveva<br />

essere ricercato d'ufficio dai magistrati. Chi vi si fosse sottratto doveva essere sottoposto a processo<br />

criminale. Gli si doveva estorcere con tortura l'apostasia dalla fede e non bastando i tormenti il<br />

cristiano doveva venire condannato all'esilio o alla morte violenta con la confisca dei beni.<br />

I ministri attuali del maligno trovano, magari con più raffinata perfidia, applicabili quelle norme e<br />

quei criteri immutati per lo sterminio della chiesa. Ma torniamo ai tempi di Decio. Tra i gloriosi<br />

martiri della persecuzione scoccata qualche tempo dopo nell'Africa Proconsolare, corrispondente<br />

all'attuale Tunisia, San Cipriano, vescovo di Cartagine, celebre per la forza dei suoi scritti e molto<br />

più per l'eroico contegno conservato nel processo e nel supplizio al quale fu condannato. è<br />

pervenuto fino a noi il processo verbale del martirio e qui si riferisce soltanto per quel poco che può<br />

far comprendere la sorte toccata ad <strong>Anatolia</strong> i cui atti del martirio disgraziatamente sono andati<br />

smarriti.<br />

Nel settembre dell'anno 257 due scherani del proconsole andarono a catturare il vescovo in mezzo<br />

al suo gregge che, seguito da gran folla di cristiani, fu affidato in custodia ad un centurione.<br />

L'indomani Cipriano fu condotto davanti al proconsole e, espletate rapidamente le formalità,<br />

succintamente il magistrato gli contestò l'accusa, cui fu risposto senza tergiversazioni o esitazioni.<br />

Fu pronunziata la sentenza di condanna all'estremo supplizio, accolta da Cipriano con uno<br />

squillante Deo Gratias ! Venne subito condotto nel campo adiacente alla casa dove si era svolto il<br />

giudizio e, senza pronunciare parola, il vescovo si svestì degli indumenti esteriori e per brevi istanti<br />

si prostrò in preghiera. All'arrivo del carnefice, ingiunse ai suoi amici di corrispondere a costui un<br />

compenso di 25 aurei, si bendò gli occhi da sè e attese per poco il colpo. Dal tronco decapitato del Martire calò per terra sangue vermiglio nel quale il<br />

popolo astante inzuppò i lini. Il cadavere fu lasciato lì fino al tramonto e a notte inoltrata, al lume di torce, dai fedeli fu trasportato al cimiero.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 105/126


Fragilità umane<br />

Non avendo mai sperimentato una prova così dura e improvvisa, la chiesa fu colta<br />

impreparata. Non tutti i fedeli la sostennero con spirito cristiano. Moltissimi<br />

apostatarono in più modi ma tutti convergenti nel ripudio della religione professata.<br />

Alcuni si limitarono a bruciare granelli d'incenso (in latino "Thus") sulle are idolatriche<br />

e furono detti i thurificati, mentre altri compirono pienamente i riti pagani e venero<br />

chiamati sacrificati. Con mendicata attestazione di falsa adesione alla volontà<br />

dell'imperatore, talaltri si procurarono dalle commissioni di vigilanza (anche a quei<br />

tempi si vede non insensibili alla cupidigia del denaro) i certificati, libelli, del sacrificio<br />

compiuto contro ogni verità, e si dissero libellatici.<br />

In generale i fedeli, la sancta christiana plebe, quasi mossa da un fenomeno di psicosi<br />

collettiva, era rimasta schiacciata e aveva perduto tutti i benefici della vita comunitativa<br />

e soprattutto quelli della vita soprannaturale. Con lo stesso impeto versatile i caduti,<br />

lapsi, si misero a ricercare le vie per essere riammessi nella chiesa. Non era facile, data<br />

la rigorosa disciplina vigente nel III secolo, ma, per meglio appoggiare il proprio dolore<br />

ed ottenere misericordia dal Clero, ricorsero ad un espediente. Ciascuno si faceva<br />

rilasciare da coloro che avevano confessato o tuttavia confessavano in prigione la fede<br />

cristiana, un'attestazione, libellum. Il rilascio di questi certificati si era generalizzato ed<br />

essi avevano bozza così impegnativa per il clero da spingere qualche confessore a<br />

elargire in nome di altri confessori la pace per tutti gli sciagurati.<br />

Tutte queste notizie andrebbero pacatamente vagliate al lume degli avvenimenti recenti e recentissimi, che mostrano l'uomo facile preda degli istinti,<br />

meno dignitosi e monotono ripetitore d'infelici atteggiamenti. Lo spazio manca e, per quanto con rammarico, si deve ritornare a completare lo sfondo<br />

degli avvenimenti impresi a narrare in queste pagine. Più fortunati di tutti, molti cristiani riuscirono ad abbandonare le città, civitates, e a rifugiarsi<br />

nelle solitudini delle campagne meno sorvegliate, vagando per i boschi in compagnia delle fiere, meno pericolose per essi degli uomini.<br />

In mezzo alla massa grigia e informe, risaltano, impavidi testimoni della fede, i martiri. Primo tra i primi, il vescovo stesso di Roma, San Fabiano papa,<br />

morto il 20 gennaio 250. Era a capo di una fiorentissima comunità, come traspare da documenti appartenenti al periodo immediatamente successivo, i<br />

quali possono ritenersi il bilancio della persecuzione di Decio. Era composta da una massa incalcolabile di poveri e da più che millecinquecento tra<br />

vedove e orfani che, per grazia di Dio e carità di ricchi numerosi e ben provvisti, era interamente sostenuta e mantenuta. Oltre al vescovo attendevano<br />

al pascolo del gregge 46 sacerdoti (presbyteri), 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, lettori e ostiari. La violenza che la squassò dovette<br />

esser tale da impedire per circa sei mesi l'elezione del successore di San Fabiano. A Roma, in Italia e altrove, i martiri caddero nel proprio sangue per<br />

spada, per fuoco, per belve, per unghioni di ferro, per aculei, tormenti, patiboli e strumenti i più svariati che solo la perfidia umana riesce a inventare e<br />

a manovrare. Tra le vittime di quell'orribile persecuzione caddero appunto <strong>Anatolia</strong> e Vittoria, vergini, e Audace che della prima sarebbe stato il boia<br />

senza il prodigioso intervento di lei che egli volle intensamente imitare nei patimenti.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 106/126


Capitolo III - <strong>Anatolia</strong> e Vittoria<br />

Due 'Sorelle' Romane<br />

In quel tempo vivevano a Roma due fanciulle, <strong>Anatolia</strong> e Vittoria,<br />

entrambe di nobile stirpe e ricchissime, ed erano sorelle, sorores.<br />

Preso il vocabolo troppo alla lettera, esso non regge all'incalzare<br />

degli avvenimenti che tra poco racconteremo, e abbiamo dovuto<br />

pensare ad un significato diverso e veramente alquanto forzato.<br />

Affermeremo quindi che, anzichè di genitori comuni, si fosse<br />

trattato di un'unica nutrice e che le due fossero sorelle di latte,<br />

collactanee. Però se si insiste nel precisare la rispettiva parentela,<br />

naturale di sangue o artificiale di latte, le ragioni emergeranno in<br />

seguito. Non si è badato in questa sede ad una notizia contenuta in<br />

una lettera del II secolo diretta alle Vergini attribuita a S. Clemente<br />

nella quale il termine sorelle è usato per indicare quelle giovani<br />

cristiane che in verginità si dedicavano al servizio di Dio. Tali<br />

possono ritenersi Vittoria ed <strong>Anatolia</strong> e, precisata questa<br />

circostanza, neanche varrebbe la pena confutare quegli zelanti<br />

araldisti medievali che da loro fecero discendere alcune<br />

nobilissime famiglie romane come gli Anici e i Frangipane.<br />

Bastano al riguardo questi semplici rilievi: non si conoscono i<br />

nomi dei loro genitori, si ignora se avessero parenti ed entrambe<br />

furono uccise in stato verginale.<br />

Educate fin dalla culla alla fede da genitori cristiani <strong>Anatolia</strong> e<br />

Vittoria la custodivano gelosamente come un tesoro, attenendosi<br />

con ogni riservatezza all'osservanza dei divini precetti e alle<br />

pratiche di religione nell'intimità delle proprie case. Era una misura prudenziale dovutasi adottare a causa dei tempi contrari determinati dalla<br />

persecuzione contro i cristiani.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 107/126


La loro età presumibile era di vent'anni, avevano un aspetto decoroso e, a quanto si<br />

riferisce, erano molto ricche. Si trovavano nella condizione ideale per richiamare,<br />

molto per tempo, l'attenzione dei giovani coetanei, di uguale fortuna economica.<br />

Rapiti dal fascino delle fanciulle, due giovani amici se n'erano perdutamente<br />

innamorati. Eugenio, di famiglia illustre e potente, di Vittoria, Aurelio Tito, di stirpe<br />

regia e ricchissimo, di <strong>Anatolia</strong>. Alcune nobili matrone romane si prestarono a<br />

manifestare alle due verginelle i sentimenti amorosi dei giovani, sollecitandone<br />

corrispondenza e questi cominciarono ad avere qualche lieve speranza di future<br />

nozze. Specialmente Eugenio non aveva incontrato gravi ostacoli nel fidanzamento<br />

con Vittoria, al contrario di Aurelio Tito il quale aveva trovato <strong>Anatolia</strong> ritrosa già di<br />

per sè all'unione matrimoniale e quel che era peggio con un pagano. Ella con i più<br />

svariati pretesti tendeva a guadagnare tempo, prima di decidersi ad un passo così<br />

scabroso per la sua coscienza e il suo corteggiatore, deluso e insieme stimolato,<br />

sollecitava con calore l'amata a stendergli la mano per uscire dall'inferno in cui aveva<br />

adagiato il suo cuore.<br />

Elogio della Verginità<br />

<strong>Anatolia</strong>, ritenendosi incapace di resistere con le proprie forze all'impari cimento nel<br />

quale era stata trascinata, di giorno e di notte fervorosamente implorava Gesù Cristo<br />

di venire in suo soccorso ritenendola salda e stretta alla sua grazia e di stornare le<br />

paventate nozze. Al fine di meglio predisporre il divino aiuto, un giorno occultamente<br />

distribuì ai poveri quant'ella possedeva di oro, argento, gemme e vesti preziose per<br />

farne recapitare, il valore mediante le loro mani nei tesori del Cielo.<br />

Nella notte seguente <strong>Anatolia</strong> ebbe una visione. Un angelo le apparve coperto di vesti<br />

d'oro, con il capo cinto da un luminoso diadema ed con il volto eguagliante la luce<br />

stessa del sole. L'angelo benignamente fissandola con il proprio sguardo così le parlò:<br />

Santa e Beata Verginità !O sposa dell'eterno sposo, incapace di corruzione e di<br />

affanno, nè da morte soggetta, vicina a Dio ch'è vita immortale. Vero tesoro pieno e<br />

ricolmo d'oro e di ricchezze, che ladro non ruba, tarlo non rode, nè ruggine mangia.<br />

Grande è la gloria di che tu sei cinta, o <strong>Anatolia</strong>, per ciò, di quanti e quali ricchezze tu<br />

sovrabbondi, sollecita custodiscile, e gelosa conserva. Vigila su di esse per non<br />

esserne spoglia e priva della ricchissima gloria apparecchiata da Dio nei Cieli<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 108/126


Chi negherebbe la sovrana forza di una visione così stupenda ?<br />

La fiamma dell'amore e l'impazienza dell'indugio, fece sì che Aurelio Tito si mise a cercare<br />

qualunque strada, adoperando lusinghe, carezze e minacce, pur di rompere ogni ritardo.<br />

Venne così a sapere che la vera causa del rifiuto non era già la malattia, ma la religione di<br />

Cristo professata da <strong>Anatolia</strong>.<br />

La scoperta come un'aguzza spina penetrò nel cuore contrariato del giovane, che ne pianse,<br />

arse di sdegno, sbuffò di rabbia e, in mezzo a questa bufera di passioni, cercò la via giusta<br />

da seguire in quel frangente. "Svelerò al magistrato la fede di <strong>Anatolia</strong> - rimuginava tra sè<br />

e sè - Se la denunzio però come cristiana, <strong>Anatolia</strong> soffrirà inenarrabili pene e forse la<br />

morte ! Ed io ? Certo non potrei più sposarla. Tanto vale allora che continui con carezze e<br />

con lusinghe ad accattivarmi la sua simpatia per schiantare dal suo cuore la Fede<br />

Cristiana'<br />

E questi rimuginamenti, trepidazioni e speranze, esternò e confidò all'amico Eugenio, più<br />

fortunato dell'amico e persuaso almeno che la sua fidanzata gli corrispondesse in amore.<br />

Malinconico e addolorato, Aurelio Tito gli si presentò e tra i singhiozzi gli narrò che<br />

<strong>Anatolia</strong> ricusava di esser sua e con lacrime agli occhi a lui si raccomandò e lui scongiurò<br />

perchè lo soccorresse e lo aiutasse.<br />

Meravigliato e stupito, Eugenio, che per certi segni aveva già sperimentata e provata<br />

l'amicizia del suo interlocutore, lo dissuase dall'insistere con le lacrime e con le suppliche,<br />

rassicurando fermamente che lo avrebbe aiutato. Nè morte, nè ira di nessuno, lo avrebbe<br />

distolto dall'eseguire ogni comando dell'amico. A questo incoraggiante discorso, Tito<br />

Aurelio aggiunse: "Fa in modo, o Eugenio, che Vittoria tua sposa e sorella di <strong>Anatolia</strong>, a<br />

costei si presenti e adoperi lusinghe e carezze e ogni arte per indurla ad unirsi in<br />

matrimonio con me adempiendo la promessa'. "Nulla di più naturale " replicò Eugenio " di<br />

quanto tu mi chiedi. Io farò quel che desideri'.<br />

Subito recatosi da Vittoria le narrò il fatto e con ogni argomento la confortò, persuadendola<br />

a compiere l'incarico di piegare <strong>Anatolia</strong> alle richieste del suo caro amico. In vista del<br />

pericolo che sovrastava la vita della sorella colei premurosamente accettò l"incarico e si<br />

recò a trovarla e così le parlò: "Sono venuta, cara sorella, ad ora inaspettata e forse<br />

inopportuna. Mi ha spinto il vero amore che ho sempre nutrito per te e questo soltanto mi pone sulle labbra le parole che sto per dirti. Per quanto<br />

ricordi della tua vita passata, mai un'azione o una parola, sebbene insignificante, non è stata ispirata dal consiglio, regolata da prudenza e animata<br />

da quell'amabile ingenuità che così profondamente ti distingue da ogni altra fanciulla.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 109/126


Mi è giunta alle orecchie una novità che mi riempie di strana meraviglia e mi fa chiedere a me stessa con quale animo, per qual fine e da qual<br />

consiglio regolata, tu vai ricusando promesse nozze e rifiuti lo sposo. Accogli, te nè prego, accogli di buon grado il mio consiglio e arrenditi alle mie<br />

parole. Non restare ferma al tuo convincimento di eseguire quel che ti sei proposta. Abbandona quella tua risoluzione la quale, seguendo proprio di<br />

tua mano, ti daresti la morte: ascoltami.<br />

Se Gesù Cristo medesimo comandò di fuggire dai perseguitori e così ottenne scampo, perchè mai tu le persecuzioni desideri, anzi ad esse vai<br />

incontro ? Volgi, cara sorella, gli occhi alle crudeli sventure di questa misera età: scorgerai i guai dei nostri, le fughe, i nascondigli, gli spietati<br />

supplizi, le prigioni, gli esili. Porgi sollecito ascolto ai miei detti e a quell'Aurelio Tito, uomo illustre e sommamente potente ed al quale tu, richiesta,<br />

ai dato parola e promessa, concedi per il tuo bene finalmente la mano di sposa'.<br />

Vittoria parlava interrompendo il discorso con qualche acuto sospiro e bagnando le gote di lagrime mentre in <strong>Anatolia</strong>, l'amore di Gesù Cristo, aveva<br />

spento ogni amore profano. Benignamente guardandola e sorridendo ella così rispose: "Mia cara sorella, tu dottamente e prudentemente hai parlato e<br />

con argomenti di cristiana ti sei sforzata di persuadermi di andare a nozze pur col corruttore della mia fede. Ascoltami e di ciò che in segreto ti dirò<br />

fanne, te nè prego, nella tua mente tesoro.<br />

Il tuo stesso nome mi favorisce l'esordio. Tu sei veramente Vittoria e a dimostrazione del significato di esso io ti esorto a vincere il Demonio. Per<br />

mezzo del suo Verbo, Dio padre onnipotente, da principio, traendo tutte le cose dal nulla e avendo creati già gli altri animali, di fango dalla terra,<br />

formò l'uomo animale ragionevole e a lui conferì signoria e comando di tutte le altre irragionevoli creature. Lo collocò, avendo tutte le altre cose<br />

disposte nei propri luoghi, nel Paradiso terrestre. In seguito lo unì dandogli Eva per moglie. Ed essendo i due solitari e volendo Iddio che tutto il<br />

mondo si popolasse di uomini, impose alla prima coppia umana, di crescere e moltiplicare, di dare alla luce dei figli e di riempire la terra.<br />

Il Signore onnipotente Gesù Cristo, verbo del padre, per il quale ogni cosa fu fatta, si degnò di scendere dal cielo in terra per salvare noi uomini.<br />

Senza cessare di essere quel Dio ch'egli era, si degnò di prendere carne nostra dalle viscere dell'immacolata Vergine Maria cominciando ad esser<br />

uomo che prima non era. Egli fu vergine e sopra tutti amò chi vergine si mantenne. Così, come si legge nel Vangelo, a preferenza d'ogni altro<br />

discepolo amò Giovanni al quale accordò nella Cena riposo sul proprio petto.<br />

Nell'epoca anteriore a quella del Vangelo, se vuoi che io cominci da più lontano, erano piaciuti a Dio, Profeti e Patriarchi: ma Elia solo, siccome<br />

vergine, asportò e richiuse in cielo. Anche prima che Cristo nascesse dalla Verginità, agli occhi di Dio si cara fu la verginità che colui che vergine fu,<br />

volle rapito in cielo sopra un cocchio di fuoco. E Cristo una Madre ma sempre vergine si scelse. Quanto più gloriosa deve riputarsi adesso che è<br />

coronata regina del cielo medesimo e degli angeli e degli uomini ? In lei la gloria verginale fu elevata sopra gli angeli veramente, come fu collocata<br />

alla destra del Padre nella cena di Cristo'.<br />

Queste parole Vittoria interrompendola disse: "E che voi sole vergini dunque possederete il Cielo ? Le maritate e le vedove andranno perdute ?'. "No -<br />

replicò <strong>Anatolia</strong> - anche per maritate e vedove è stabilito un posto in Cielo, e per esse vi è una propria palma e la luce e il glaudio e la corona. Però la<br />

gloria più bella e più luminosa sarà concessa solo a coloro che seguendo Cristo si manterranno vergini. Alle spose vergini è dato godersi lo stesso<br />

Verbo del Padre e a contemplare più da vicino il volto stesso del Padre.<br />

A te queste parole forse sembreranno al di là di ogni fede. Io invece, se lo desideri, ti preciserò come e dove le ho conosciute e apprese'. "Ma certo -<br />

Vittoria si affrettò a soggiungere - ardentemente bramo apprendere tutte quelle cose'.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 110/126


"Dopo ch'io ebbi venduto - riprese <strong>Anatolia</strong> - ori, argenti, gioielli e vesti preziose e n'ebbi dispensato il prezzo ai poveri, ebbi un sogno. Nella notte<br />

seguente mi apparve un giovane coronato di un diadema d'oro, molto più risplendente di questo sole, ricoperto dal capo ai piedi di vestimenta d'oro,<br />

tempestato di gemme. Nella pienezza della sua luce a me si volgeva guardandomi con occhio fisso e cominciò ad elogiare la santa verginità, sposa del<br />

re e non soggetta a dolore e a corruzione. La chiamava luce che tenebre non varranno ad offuscare.<br />

Gloria che confusione non macchia, nè passione qualsiasi deturpa. Incapace di morte, fonte di vita, la verginità siede in cielo vicino alla vera ed<br />

eterna vita che è in Dio.<br />

Alla stupenda visione e a quelle meravigliose parole rallegrata io mi risvegliai. Però chi meco parlava, come un lampo sparì e presa da immensa<br />

malinconia, mi prostrai in terra e con singhiozzi e con lagrime scongiurai Dio perchè della visione sparita di nuovo mi confortasse. Quand'ecco, oh<br />

gioia !Quel caro giovane a me non più dormendo, ma desta, ricomparve e con vera voce cominciò a parlare. La verginità, mi andava ripetendo, è la<br />

porpora del vero Re, la gemma più bella della corona reale, l'eterno tesoro ricco d'oro e di gemme contro di cui nulla può frode verun dei ladri, nè può<br />

logorare vecchiezza nè ruggine. oggiungeva: queste sono le tue ricchezze, questa la tua gloria, che mai potranno esserti sottratte. A motivo della<br />

verginità sarai gloriosissima dinanzi a Dio. Più e più volte l'angelo mi rincuorò a custodirla gelosamente e prontamente. Fin d'allora, cara sorella, fui<br />

presa da amore si forte per la verginità, che bramerei perire di morte la più tormentosa, piuttosto che tralasciare il santo proposito di esser Vergine.<br />

Finito ch'ebbe <strong>Anatolia</strong> di parlare, Vittoria le cadde ai piedi e genuflessa implorò perchè le facesse vedere lo stesso giovane apparsole. A sua volta colei<br />

assecondando il desiderio dell'amica, s'inginocchio e fervorosamente supplicò Dio che si degnasse di rinnovare la visione e, nel mentre ambedue<br />

pregavano, ecco che l'Angelo del Signore comparve loro risplendente. A quella vista, prese da grande timore, ambedue le donzelle caddero a terra<br />

senza poter proferire parola. Ma l'angelo confortandole le disse: "Dio non vi ha preparato la corona se vergini non vi manterrete'. Vittoria, oltremodo<br />

lieta, preso coraggio, all'angelo domandò: "Qual è nel cielo la gloria delle vergini ? Com'è diversa da quella che ottengono le maritate e le vedove ?'.<br />

L'interpellato lo svelò benignamente, e alle sue parole raddoppiò nel cuore della giovane la fiamma dell'amore per Gesù Cristo.<br />

Attraverso la riproduzione quasi testuale di quanto si conosce intorno alle due giovani, viene chiara l'impossibilità fisica per esse di essere sorelle e il<br />

significato della parola sorella adottato nei loro confronti è quello genuinamente cristiano, indicato dalla lettera attribuita a S. Clemente, vale a dire di<br />

fanciulle votatesi alla verginità per meglio servire Dio. A questa splendida virtù la letteratura dei primi cristiani aveva tributato meritati elogi e ne<br />

avevano già scritto Origene, Tertulliano, lo stesso S.Cipriano oltre a S. Clemente nella sua menzionata lettera. Più matura di giudizio e in possesso di<br />

una dottrina limpida e di una fede incrollabile, <strong>Anatolia</strong> sta su un gradino lievemente superiore a quello che si intravede occupato da Vittoria. Chi<br />

oserebbe contestare che quella purezza di dottrina non sia conservata in quella dei nostri giorni ? E chi non vede nelle affermazioni di <strong>Anatolia</strong> intorno<br />

alla verginità il germe fecondatore della parte più bella della vita cristiana che è il monachismo ?<br />

Due sposi immaginari<br />

Tornata a casa Vittoria imitando l'esempio di <strong>Anatolia</strong>, distribuì oro, argento e vesti preziose ai poveri per essere vera sposa di colui che essendo ricco,<br />

come dice l'apostolo, si fece povero affinchè noi poveri diventassimo ricchi delle sue celesti ricchezze.<br />

Eugenio non tardò a risapere i particolari dell'episodio e mesto angosciato corse dall'amico Aurelio Tito, glieli narrò e insieme studiarono le misure da<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 111/126


adottare: "Se le accusiamo come cristiane ai Magistrati - andavano ragionando " le due fanciulle andrebbero messe a morte e i loro poderi sarebbero<br />

confiscati con esclusivo beneficio dello Stato. Toccherebbero invece a noi se, rifiutandosi <strong>Anatolia</strong> e Vittoria di acconsentire ai nostri desideri e sfinite<br />

dai patimenti, finissero di morte naturale'.<br />

I due nobili giovani trasportarono le immagini della rispettiva fanciulla dall'empito del cuore nel gelo di menti calcolatrici e, in questo loro brusco<br />

passaggio, si trovarono pienamente in accordo e solidali e si presentarono all'Imperatore. Gli chiederono, in via di grazia, di poter mettere sotto la<br />

propria potestà <strong>Anatolia</strong> e Vittoria, loro rispettive spose, con piena facoltà di trasferirle da Roma in campagna. Decio annuisce e, lietissimi per la grazia<br />

ottenuta, l'uno relegò Vittoria sua sposa in una villa situata nel territorio di Trebula Mutuesca, oggi corrispondente a Monteleone di Spoleto, mentre<br />

l'altro trasferì <strong>Anatolia</strong> nei pressi dei suoi poderi in vicinanza della città di Tora.<br />

Quando si incontra nelle antiche storie il nome di città, si galoppa con la mente alle odierne metropoli tentacolari e popolate da milioni di abitanti.<br />

Niente di meno preciso: le città romane erano un'accolta di cittadini ammessi al pieno godimento di diritti. Fuori di esse non esisteva che un insieme di<br />

campi, di pascoli e di selve non sempre e non completamente coltivati dalla mano dell'uomo, destinati all'allevamento del bestiame, a residenza dei<br />

coloni, di schiavi e di addetti alle aziende agricole e anche a luogo di piacere per i signori. Tora era una città appunto perchè i suoi abitanti erano<br />

cittadini romani. Aveva un territorio popolato di aziende agrarie e di ville dove i signori trascorrevano i propri ozi o, come oggi si direbbe, le vacanze.<br />

Basta per adesso sapere che stava in vicinanza del lago Velino (e anche qui bisogna fare attenzione per non sbagliare circa l'ampiezza del bacino) ed era<br />

di antichissima origine. Aveva un santuario funzionante fin dai tempi dei Pelasgi, una popolazione della quale gli archeologi non riescono ancora a<br />

svelare il mistero. Il suo santuario era celebre quasi come quello di Dodona (una città della Grecia) in cui una colomba, dall'alto di una quercia, dava il<br />

vaticinio. Questo incarico invece a Tora, era stato affidato al Pico, l'uccello sacro degli antichi (che poi dette il nome all'intera provincia che si chiamò<br />

il Piceno) il quale dalla sommità di una colonna, dava l'oracolo ai pellegrini. Nel tempio si prestava il culto a Marte, la divinità pagana dai greci<br />

chiamata Thirios Aris, che dette il nome alla città denominata appunto Tirios e nel medioevo Tiora.<br />

Per quanto esca fuori dello scopo principale di questa narrazione, bisogna, una volta accennatosi a questi particolari intorno a Tora, concludere la<br />

vicenda di Vittoria. La giovinetta costantemente soffrì tutto ciò che di più doloroso le imponeva il suo aguzzino, coadiuvato da scherani locali, e si<br />

mantenne fedele fino al supplizio. La sua beata morte venne esaltata nel Martirologio Romano sotto la data del 23 dicembre con queste parole:<br />

"Non volendo marito e neppure sacrificare agl'idoli, dopo aver fatti molti miracoli, con i quali aveva racolto a Dio moltissime vergini, finalmente, a<br />

istanza del barbaro ed ingrato suo sposo, con una stoccata al cuore fu uccisa dal carnefice a Roma".<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 112/126


Capitolo IV - Deportazione a Tora<br />

Dono e fama di miracoli<br />

<strong>Anatolia</strong>, esiliata da Roma e priva di ogni sollievo di parenti e di amici, lontana dalla patria e dalla casa, spogliata di ogni ricca proprietà toccatale<br />

come retaggio paterno e materno, appariva infelicissima agli occhi del mondo. Questa grande miseria e sventura però veniva abbondantemente<br />

compensata con la dolcezze del divino amore e con la certa speranza nei godimenti celesti. L'infelice prigioniera privata perfino, ad opera dei malvagi<br />

servi e ministri dell'iniquo Tito Aurelio, del necessario alla vita, si alimentava con la divina parola. Suo unico pane e cibo sufficente per la sua fame era<br />

Cristo. Cristo era la sua patria, e Cristo era l'indivisibile compagno che mai si staccava dal fianco della donzella sua sposa. <strong>Anatolia</strong> si consacrò ad una<br />

continua preghiera e, non contenta delle ore del giorno, trascorreva vegliando intere notti, reputando le sofferenze fisiche, da altri inflittele per causarle<br />

patimento e miseria, sua dolci consolazioni e sua vera gloria. In questo periodo apparentemente triste, Iddio che esalta gli umili, la rese per virtù di<br />

prodigi, splendida e gloriosa agli occhi del mondo.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 113/126


In quel tempo governava, come console, l'intera provincia Picena, un uomo nobilissimo di nome Teodoro o Diodoro, che aveva un figlio di nome<br />

Aniano che, invaso dal maligno, si lacerava le vesti e si strappava le carni e, urlando ferocemente quasi fosse una bestia, tutti muoveva a pietà. Questo<br />

giovane, o più veramente, lo spirito immondo, per sua bocca, con voce spaventosa simile a tuono, più e più volte andava gridando: 'O <strong>Anatolia</strong>, con le<br />

tue preghiere tu mi bruci!'.<br />

Teodoro, uomo tutto pagano e cieco idolatra, sperava di restituire a suo figlio la salute con le sporche pratiche del gentilesimo e, allo scopo, offriva<br />

incensi agli idoli e sacrificava vittime al Demonio mandando Aniano in pellegrinaggio per i diversi templi più famosi dei numi. Un giorno, stretto da<br />

catene e in folta compagnia diretto a Tora, dove sorgeva un tempio rinomatissimo dedicato a Marte, questi stava attraversando l'orrido deserto nel quale<br />

<strong>Anatolia</strong>, tutta assorta nelle preghiere, conversava con Dio. Non appena il maligno, che da lungo tempo lo andava agitando, presentì la santa fanciulla,<br />

rotti i ceppi e acutamente ruggendo, corse avanti e gettatosi ai piedi di lei, con voce più terribile del consueto, grido: 'Tu sei <strong>Anatolia</strong> ! Tu sei quella che<br />

con le fiamme delle tue preghiere mi bruci !'<br />

Quale non fu lo stupore dei presenti quando la santa vergine prima soffiando imperiosa sopra il fanciullo, poi volgendosi al maligno proferì queste<br />

parole: 'Io ti comando, immondo spirito, nel nome del mio Signore Gesù Cristo, esci fuori immantinentida quest'uomo !'. E all'istante il maligno uscì.<br />

Gli astanti videro liberato il fanciullo e sollecitamente portarono la notizia a Teodoro al quale Aniano stesso giulivo raccontò come e da chi avesse<br />

recuperata la pristina salute. Si fece una grande festa per tutta la provincia e da ogni parte veniva la gente a congratularsi con Teodoro e,<br />

nell'ammirazione del prodigio, dovunque il nome di <strong>Anatolia</strong> era portato in cielo.<br />

Teodoro non fu ingrato alla sua benefattrice, ma accompagnato dalla moglie e dai figli e da tutta la famiglia, andò a Tora a ringraziare <strong>Anatolia</strong> ed a<br />

offrirle ricchi e preziosi doni. Quando costei ebbe davanti tutti quanti, predicò la fede e la legge del Salvatore e ai propri ascoltatori raccomandò la<br />

salvezza delle loro anime. Volle pure che i ricchi regali offertile, venissero distribuiti ai cristiani poveretti dicendo, quanto a sè, di non aver bisogno di<br />

nulla.<br />

Gesù largamente la provvedeva del necessario su questa terra e nel secolo futuro le avrebbe dato un regno eterno in Cielo ed una eterna vita non più<br />

funestata nè da miserie, nè da sventure, ma ridondante di luce, di gaudio e di allegrezza. 'Tu poi - aggiunse rivolta a Teodoro - lascia il culto dei<br />

demoni, e credi al vero Dio onnipotente e ti salverai'.<br />

La ragion di stato avversa i miracoli<br />

Frattanto la fama del miracolo si era sparsa da per tutto ripetendosi il nome di <strong>Anatolia</strong>. A lei ricorrevano a frotte lunatici ed energumeni. A lei si<br />

conducevano infermi di ogni genere di malattia e dati già per spacciati dall'arte medica. A tutti quanti, con la preghiera in nome di Gesù Cristo,<br />

restituiva la sanità ed esortatili a credere li rimandava a casa. A tanto rumore di prodigi diffuso in tutta la provincia Picena e anche altrove, le genti si<br />

convertivano alla religione cristiana con tanta affluenza che ormai i templi degli idoli erano non curati e deserti. I sacerdoti pagani indispettiti rivolsero<br />

le più alte lagnanze all'imperatore Decio che, nemico giurato del cristianesimo, arse di sdegno. Chiamato a sè un uomo scelleratissimo di nome<br />

Festiano o Faustiniano, lo spedì come giudice a Tora, imponendogli rigorosamente di costringere <strong>Anatolia</strong> a forza di tormenti, a sacrificare ai numi o, al<br />

suo rifiuto, la condannasse pure a morire di spada. Il magistrato non ebbe indugi e, per mezzo dei suoi sgherri, fatta stringere <strong>Anatolia</strong> con ceppi e<br />

avutala dinanzi, guardandola con bieco sguardo, le disse: 'Tu sei quell'<strong>Anatolia</strong> che vai persuadendo i popoli a disprezzare la pietà e la religione dei<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 114/126


Numi e ad adorare invece come Dio un non so quale uomo già messo a morte dai suoi stessi compaesani ?' - 'Son io' rispose <strong>Anatolia</strong>. E Festiano :<br />

'Sacrifica agli Dei che la manifesta divinità prova di esser dei'. 'Non sacrifico agli idoli - replicò <strong>Anatolia</strong> - i quali fabbricati dalla mano dell'uomo e<br />

privi di sentimenti, hano orecchie e non odono, hanno bocca e non parlano, hanno narici e non sanno odorare, hanno piedi e non camminano.' 'No ! -<br />

gridò Festiano - con la tua alterigia non disprezzare i comandi degli Augusti a quali tutto il mondo è soggetto'. 'Ai tuoi Augusti - riprese <strong>Anatolia</strong> - e a<br />

tutti quelli che loro obbediscono è dovuto un fuoco eterno ed una pena senza fine nella quale saranno eternamente tormentati a causa delle loro<br />

scelleratezze'.<br />

A tali parole, divampando per la collera, Festiano gridò più forte: 'Tormenti perpetui e fuoco eterno, o ribalda, tu minacci agli Augusti, e a noi cui è<br />

merito obbedirli ? Sappi, sciagurata,.che se presto non sacrifichi e non obbedisci agli Imperatori, tu stessa per prima e tormenti e fuoco o incendio sul<br />

tuo corpo sperimenterai'.<br />

'Fa quel che vuoi - rispose <strong>Anatolia</strong> - io non sacrificherò mai ai demoni, nè per minaccia nè per qualsiasi supplizio mi muoverò dal mio proposito'.<br />

Festiano allora comandò che la santa vergine venisse sospesa nell'eculeo e tormentata. Nè i barbari persecutori tardarono l'esecuzione dell'ordine anzi,<br />

crudelmente la straziarono e con fiaccola accesa andavano bruciando i nudi fianchi di lei e la schernivano gridando: 'Sacrifica ai Numi, secondo<br />

l'ordine del principe e poi te ne andrai libera dove vuoi'. Tutta lieta e serena <strong>Anatolia</strong>, quasi riposasse sopra un letto di rose, rispondeva loro: 'Miseri e<br />

infelici ! Per breve ora io sento il dolore nel corpo ma eternamente poi godrò con il mio Dio. Voi all'opposto se non vi convertirete alla fede del mio<br />

Signore brucerete, insieme con i vostri Numi in un incendio sempiterno !'. Una fermezza così eroica indispettì Festiano che si mostrò vile oltrechè<br />

disubbidiente agli ordini dell'Imperatore. Egli volendo punire la santa fanciulla con lo stesso supplizio al quale nell'antica Roma venivano soggetti i<br />

parricidi, la condannò ai veleni. Chiamato a sè un famoso mago che usava serpenti velenosi per ammaliare e<br />

uccidere le genti, gli affida l'incarico.<br />

Audace 'il Marso'<br />

Quell'uomo si chiamava Audace e apparteneva al paese dei Marsi, peritissimi e potentissimi nel'impiego di siffatte<br />

malie. 'Audace - gli dice - prendi tu questa empia strega incantarice che con i suoi prestigi porta ognuno all'errore,<br />

chiudila insieme con i tuoi più velenosi serpenti entro un sacco di cuoio e uccidila, ed io ti farò ricco di molto<br />

denaro e diventerai mio primo intrinseco amico'. 'Signore - rispose Audace - non occorrono molti serpenti, un solo<br />

serpente le aizzerò e la strega morrà senza fallo'. Avuta in suo potere la santa giovane e messo un serpente, il più<br />

micidiale che avesse, dentro un sacco di cuoio, ve la rinchiuse. E qui Dio dimostrò di nuovo la sua speciale<br />

assistenza verso i suoi santi e come egli sappia ammansire le bestie più feroci confondendo i suoi nemici e<br />

conducendo in tal modo alla fede gli idolatri più ciechi.<br />

<strong>Anatolia</strong>, chiusa in quel sacco, con quella bestia velenosissima, sciolse il labbro in un cantico di lode al Signore e<br />

nella preghiera trascorse l'intera notte senza che il serpente, divenuto domestico e mansueto, ardisse toccarla col<br />

venefico suo morso. Audace, che conosceva molto bene l'indole e la natura del suo strumento, ritenne che il serpente<br />

alla chiusura stessa del sacco avesse subito morsicata <strong>Anatolia</strong> uccidendola. Tuttavia indugiò fino all'alba del giorno<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 115/126


seguente, non tanto per assicurarsi che la suppliziata fosse morta, com'egli riteneva certissimo, quanto per recuperare con la luce del giorno il serpente<br />

micidiale. Dopo avere invocato i suoi demoni e i suoi dei, cioè Mercurio al quale nel cadduceo Giove aveva concesso il potere della vita e della morte e<br />

Pallade la quale ha per insegna la ferocissima Gorgone, perchè lo scampassero dal furore e dai morsi del serpente rinchiuso, aprì il sacco di cuoio.<br />

Qual non fu il suo stupore ! Ecco <strong>Anatolia</strong> piena di vita e sorridente. E qual terrore l'incolse allorchè il serpente, ridiventato ferocissimo, gli saltò al<br />

collo, glielo accerchiò e fieramente con i morsi lo lacerava. Se non fosse accorsa in suo aiuto <strong>Anatolia</strong> che prese in mano il serpente e gli disse : 'Io ti<br />

comando in nome di Gesù per il quale patisco queste cose, parti di qui e vattene al tuo posto !'. Mansuetissimo il rettile, quasi avesse intelligenza ed<br />

udito, se ne andò via e Audace, trasecolato e toccato nel cuore dalla grazia divina, incominciò a gridare ad alta voce: 'Veramente Gesù Cristo è Dio, nè<br />

esiste altro Dio fuorchè lui !'.<br />

Fu riferito questo mirabile avvenimento e la conversione di Audace a Festiano il quale, altamente meravigliato, a sè lo chiamò e gli disse: 'Cosa mai mi<br />

fai sentire ? Non mi avevi promesso che avresti tolta la vita a quella ribalda con i morsi dei tuoi serpenti ? Come va che, non solo non hai mantenuto<br />

la promessa, anzi hai abbandonato la religione dei Numi e sei diventato perfino compagno di lei nella follia ?.<br />

A queste parole Audace replicò: 'O Festiano, so quanta fierezza stia nel morso dei miei serpenti e di qual forza sia il veleno di essi e appunto per<br />

questo io confesso il nome di Gesù Cristo e adoro la sua maestà. E poichè il serpente da me usato era micidialissimo e non riuscì ad offendere la serva<br />

di Dio, mentre con il suo contatto avrebbe potuto dare morte anche in un attimo a qualunque animale avesse morsicato. Ebbene racchiuso con lei nel<br />

sacco di cuoio per tutta la notte, non ebbe ardire di toccarla. In più, senza il soccorso di <strong>Anatolia</strong>, avrebbe ucciso con i suoi morsi me stesso, che son<br />

solito con medicine e incantamenti medicarne la rabbia'.<br />

'E che - rimbeccò Festiano - se con incantesimi più potenti dei tuoi smorzò l'ira del serpente, dovevi tu per questo uscire subito nelle grida ed invocare<br />

scelleratamente il nome di Cristo ?'. 'Credimi Festiano - ripigliò Audace - i nostri Dei, come dice la santa vergine, sono demoni. Sebbene li abbia<br />

serviti fin dall'infanzia, quand'io aprivo il sacco pur avendoli invocati, non vennero in mio aiuto e il serpente, irritato di più dalle mie invocazioni,<br />

come ho detto, si avventò a ad onta della mia arte magica, se non lo avesse raffrenato la santa verginella, mi avrebbe tolta la vita.<br />

Il vero Dio, il vero Dio è Cristo ! Alla cui servitù consacratasi <strong>Anatolia</strong>, nè potè essere offesa dal serpente, nè permise che altri ne restasse offeso'.<br />

'Pazzo che sei Audace - replicò Festiano - per questo parli così ?' 'Fui pazzo veramente finora ! Adorai statue mute e sorde e prestai culto ad esse<br />

quasi dessero la vita ad altri che non l'hanno e ne implorai il soccorso. Ora che riconosco e credo e confesso il vero Dio, veramente sono savio'.<br />

'Rinsavisci - disse Festiano - e rinnega il nome scellerato e perseguitato dagl'Imperatori. Affrettati a placare con sacrifici gli Dei perchè ti perdonino<br />

le ingiurie di cui li hai gratificati'.<br />

Audace però fermo e costante rispose: 'Fa' di me quel che vuoi. Mai sacrificherò agli idoli'. 'Abbi pietà almeno dei tuoi figli - incalzò Festiano - della<br />

tua moglie e di te stesso, che volontariamente condanni a morte'. 'Non esiste premura o pensiero veruno di moglie. O conosciuto il vero Dio e a lui mi<br />

sono consacrato, non lo abbandonerò più'.<br />

Festiano, accorgendosi così che nè per minacce nè per lusinghe rimuoveva Audace dall'amore e dalla confessione per Cristo, comandò di rinchiuderlo<br />

in una oscura prigione in compagnia di <strong>Anatolia</strong>.<br />

Di questo mezzo, Dio si servì perchè il valoroso prigioniero fosse istruito nelle pratiche e nella dottrina della Religione Cristiana.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 116/126


Il prezzo della follia della croce<br />

Giorno e notte la santa donzella lo ammaestrava e lo esortava alla pazienza e tanto grande riuscì<br />

la fiamma dell'amore di Dio che riuscì a suscitargli nel cuore da spronare il convertito Audace,<br />

giubilante insieme con lei del patire per il nome di Cristo, a far risuonare il carcere d'inni e di<br />

lodi di ringraziamento a Dio. Maggior odio crebbe nel cuore di Festiano, insofferente di più per<br />

tali cose, da portarlo a scrivere la sentenza di morte.<br />

Non dice l'antico scrittore con quale genere di supplizio l'atleta della fede fu fatto perire,<br />

limitandosi solo a dire che battezzato nel suo sangue Audace volò al Signore. Fa capire però due<br />

particolari: nella prigionia Audace, per mano di <strong>Anatolia</strong> non aveva ricevuto ancora il battesimo<br />

che a lui riservava dopo più ampia istruzione: può ritenersi che la sua morte fu dovuta a spada. Il<br />

Martirologio indica la data del martirio al 9 luglio, ma seguendo Pietro Adelmo, evidentemente<br />

ispiratosi agli Atti autentici della passione, è da ritenersi che la morte di Audace sia avvenuta<br />

poco prima di quella di <strong>Anatolia</strong>.<br />

I cittadini di Tora continuarono a raccomandarsi alle preghiere dell'incarcerata donzella e<br />

continuò per sua intercessione la serie di splendidi prodigi. Venivano condotti infermi e<br />

indemoniati da lei e tutti immediatamente venivano liberati da ogni male e moltissimi,<br />

abbandonati gli idoli, si facevano cristiani. Così grande era il numero dei convertiti da far temere<br />

a Festiano che la maggior parte del popolo abbandonasse la religione pagana. Ricominciò a<br />

smuovere <strong>Anatolia</strong> dal suo proposito e dalla fede ricorrendo alle carezze e alle più splendide<br />

promesse. Cercò di spaventarla mostrandole dinanzi agli occhi i tormenti più crudeli, ma invano,<br />

e disperando di vincerne la costanza, ne affrettò la condanna a morire per mezzo di spada.<br />

L'esecuzione doveva avvenire, per evitare la conversione dell'intera città, non in pubblico ma<br />

nella tetraggine della prigione.<br />

Era il 9 luglio del 252 e il crudele carnefice entrò nel carcere e trovò <strong>Anatolia</strong> dritta in piedi a<br />

braccia aperte, assorta in orazione. Il boia, tratta la spada dal fodero, gliela piantò nel fianco<br />

destro con tanta veemenza che la punta dell'arma passando il corpo da parte a parte, spuntò nel<br />

fianco sinistro. E così <strong>Anatolia</strong>, vergine e martire di Cristo, superate le sventure di questo mondo<br />

infelice, giunse in compagnia delle schiere dei martiri e delle vergini alla sempiterna allegrezza e<br />

si riunì eternamente nel cielo con quel suo caro sposo, Gesù, insistentemente cercato e<br />

calorosamente amato giorno e notte su questa terra.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 117/126


Nel mattino seguente, ciè il 10 luglio, alcuni cristiani di Tora, i quali avevano creduto a Cristo per mezzo della martire, entrati nella prigione, rapirono<br />

il suo corpo, forse custodito da soldati, per rendergli l'onore del sepolcro che, come si legge, veniva dato ad altri santi martirizzati. Dio stesso, assicura<br />

l'antico scrittore, aveva indicato il luogo dove essi spargendo amarissime lagrime lo seppellirono.<br />

L'indicato luogo si trovava nella vale Torana ed era il medesimo nel quale la moglie ed i figli di Audace avevano deposto le spoglie del loro caro,<br />

secondo i risultati del ritrovamento effettuato sette secoli dopo. I due atleti, uniti nel carcere e nel martirio, si ritrovarono uniti anche nella tomba. Può<br />

supporsi che il sepolcro di <strong>Anatolia</strong>, sebbene fosse una fonte perenne di grazie per quei fedeli, almeno durante le crudelissime persecuzioni seguite a<br />

quella di Decio, rimanesse incerto e sconosciuto. Non appena fu data la pace alla chiesa, nella valle Torana si costruì una chiesa in onore a<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> e il 9 luglio di ogni anno in folla vi accorrevano i popoli vicini a venerare la Taumaturga e a conseguire insigni prodigi per gli infermi che<br />

vi conducevano.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 118/126


Capitolo V - Il ritrovamento delle reliquie<br />

Leone il 'gagliardo' abate di Subiaco<br />

Sulla città di Tora, come su altri luoghi popolati della valle del Salto, che costituiscono il paese del Cicolano, si abbattè la furia delle invasioni dei<br />

barbari con la triste catena di stragi, d'incendi e di devastazioni. Con il tempo costoro si assuefecero agli sventurati italiani e sistemarono a modo loro il<br />

territorio. I Longobardi, una delle popolazioni straniere più fiere, compresero Tora nella circoscrizione amministrativa del Ducato di Spoleto e da allora<br />

Tora iniziò le relazioni con l'imperiale abbazia di Farfa ma sempre dipendente dal punto di vista religioso dal Vescovo di Rieti.<br />

Le condizioni del Cicolano divennero, come del resto in tutta<br />

l'Italia, piuttosto oscure e non vale la pena di affrontare la fatica<br />

d'inoltrarsi in un terreno così poco solido e incerto. Basterà<br />

accennare che tra gli anni 875 e il 926 non meno di undici re, di<br />

volta in volta italiani, francesi e tedeschi, cinsero la Corona d'Italia<br />

e da questa inettitudine a governare, si scivolò in una pericolosa<br />

anarchia resa più grave dall'imperversare dei pagani. Ungari da<br />

settentrione e Saraceni dalla parte opposta, avevano reso<br />

tristissime le condizioni di tuti i cristiani e quelle particolari della<br />

Diocesi di Rieti calpestata dai maomettani. Con vibranti lettere<br />

all'imperatore, il papa Giovani VIII e un altro papa, Stefano VI,<br />

ancor più pressamente lo invitarono a scendere in Italia per<br />

purgarla dalla faziosità dei cattivi cristiani e dalla molesta presenza<br />

dei pagani.<br />

In quell'atmosfera rovente, i monaci di Farfa furono costretti ad<br />

abandonare le fumanti rovine della loro badia ed a rifugiarsi nel<br />

Camerinense, sul monte Matenano ivi portando le reliquie di<br />

S.Vittoria. I Saraceni, istallati e fortificati alla foce del Garigliano,<br />

partivano per molestare il ducato di Spoleto e il patrimonio della<br />

Chiesa. Conquistarono Rieti e Antodoco e, come al solito,<br />

uccisero, incendiarono e devastarono e si fortificarono a Trebula<br />

Mutuesca, la città dove, come si ricorderà, S.Vittoria fu uccisa. La<br />

memoria del loro passaggio rimane affidata al nome delle<br />

contrade, quali 'Muro Saraceno in Framignano, Aia Saracena in<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 119/126


Alzano e in Castelmenardo' i quali nomi alimentano le nostre fantasie nella ricostruzione di episodi ignorati dalle cronache. Papa Giovanni X bandì<br />

contro gli infedeli una specie di crociata alla quale partecipò, insieme con altri, lo stesso duca di Spoleto e Camerino di nome Alberico I. Le forze<br />

coalizzate dei cristiani snidiarono i Saraceni da Trebula costringendoli alla fuga verso le loro basi e lungo il percorso li sconfissero in vicinanza di<br />

Tivoli e a Vicovaro, dove essi peraltro lasciarono delle pattuglie che nella valle dell'Aniene formarono Saracinesco Vecchio e Saracinesco nuovo.<br />

Con a capo lo stesso Pontefice, l'esercito cristiano si mosse ad attacarli nei<br />

munitissimi fortilizi delle loro basi e, in una memorabile battaglia campale,<br />

nel 926 sgominò i Saraceni sulle rive del Garigliano.<br />

In questa atmosfera di alleanze e mutue assistenze, Alberico duca di<br />

Spoleto fece inviare a Subiaco l'abate Leone per ripristinarvi la Comunità<br />

benedettina. Un vescovo di Rieti, mosso da una speciale devozione verso<br />

S. Benedetto, si indusse ad accrescere il patrimonio della ricostruita Badia<br />

col donarle la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> e la Valle Torana. Lo scritto che quel<br />

donativo accompagnava e perfezionava è andato smarrito ma esistono,<br />

come si vedrà, prove indirette della sua compilazione.<br />

L'abate Leone volle prendere possesso del graditissimo dono e con una<br />

grande comitiva di nobili, signori e famigliari, nell'anno 932 partì da<br />

Subiaco alla volta di Tora. Qui giunto volle realizzare ciò che in mente<br />

aveva lungamente concepito e cioè l'investigazione delle reliquie dei santi<br />

<strong>Anatolia</strong> e Audace che egli poco prima aveva saputo fossero nascoste nella<br />

Vallata.<br />

Il pio abate ordinò per svago una caccia durante la quale accadde un fatto<br />

miracoloso. All'avvicinarsi al luogo dove stavano nascosti i corpi dei santi,<br />

i cani non potevano penetrarvi e se ne sentivano respinti da forza arcana.<br />

Presi da folle spavento ritornarono indietro verso i cacciatori fieramente<br />

uggiolando e abbaiando come colpiti da rabbia. Tutti se ne meravigliavano<br />

fuorchè Leone il quale solamente sapeva nascoste nella Valle di Tora le<br />

sante reliquie dei martiri e ripeteva:'Non senza mistero accade tuto ciò !'<br />

S'investigò con ogni diligenza dapertutto ma non si trovarono tracce dei corpi ricercati e la partita di caccia terminò. Ciascuno si alontanò da quei<br />

luoghi insieme con il pio abate che si era messo di nuovo a cavallo dirigendosi alla volta di Subiaco. E qui rifulsero i disegni del Signore che volle<br />

manifestata al mondo la gloria dei suoi santi.<br />

Leone fu preso da grave sonno e, caduto quasi di sella, sentì il bisogno di dormire giacendo sul nudo terreno. Destatosi dopo poco cominciò a dire:<br />

'Sono stato ristorato da un sonno salubre'. E, a quanti gli erano corsi a fianco, narrò per ordine e indicò il luogo, da Dio stesso mostratogli, nel quale da<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 120/126


molti secoli era racchiuso il tesoro dei santi corpi. Tutti si volsero verso la parte alla quale l'abate alludeva e tra esclamazioni e grida di giubilo si svolse<br />

una gara operosa che sassi e terra smuoveva.<br />

Furono scoperte due urne da cui usciva un soavissimo profumo e, scoperchiatele, in una trovarono il corpo di Sant'<strong>Anatolia</strong> e nell'altra quello di<br />

Sant'Audace. Ci fu grande giubilo e dolci lagrime tra i presenti per l'inaspettato e caro ritrovamento e fu felicissimo, oltre ogni dire, l'abate Leone.<br />

Questi stabilì, per conservare in un luogo più decente quelle sacre spoglie, di farle trasportare a Subiaco e, rivestitele pomposamente di nobili e preziosi<br />

panni, vennero caricate su un cavalo indomito che, al solo tocco delle urne, diventò mansueto e placidissimo. Giunte le spoglie a Subiaco, la<br />

cittadinanza accorse a riceverle alle porte e, tra lagrime di tenerezza e giubilo, trionfalmente le accompagnarono al monastero di Santa Scolastica dove<br />

furono esposte alla pubblica venerazione. Il cavallo indomito, appena scaricata la preziosa soma alla porta della chiesa, stramazzò morto in terra, per<br />

divina disposizione che impediva a ciò che era stato santificato dal contatto delle sacre reliquie di venir destinato ad usi profani.<br />

E i Torensi come accettarono il gesto di Leone ? Pare di leggere che essi a quello che a loro sembrava un rapimento ed un sorpruso reagirono e corsero<br />

per le vie di Rieti e per quelle di Subiaco esternando proteste e cerimonie. Il loro vescovo Anastasio (948-969) si fece eccellente mediatore con l'ardito,<br />

animosus, abate Leone. Questi sentiva di dover andare incontro alla popolazione menomata dalla sottrazione dei corpi dei Santi e fu raggiunto un<br />

accomodamento. L'abate avrebbe ceduto una spatola di Sant'<strong>Anatolia</strong> in cambio di qualche diritto, aliquantulum juris, che riceveva probabilmente<br />

dallo stesso vescovo Anastasio. Nell'anno 981 poi, allorchè il sommo pontefice Benedetto VII di propria mano consacrò la chiesa di Santa Scolastica fu<br />

deposto il corpo di S. Audace sotto l'altare maggiore. Nell'anno 1095 infine, Adamo, vescovo di Alatri, invitato dall'abate Giovanni, riverentemente<br />

pose le reliquie di S. <strong>Anatolia</strong> sotto l'altare maggiore del sacro Speco di San Benedetto in Subiaco. In questa circostanza l'abate spedì alcune reliquie di<br />

Sant'<strong>Anatolia</strong> a quella cospicua terra della Marca di Ancona, detta Esanatoglia e da allora è invalso l'uso di far invocare a testimonio, dai monaci del<br />

sacro Speco, nel fare la professione monastica, anche il nome di S.<strong>Anatolia</strong> 'il cui corpo riposa in questa chiesa'.<br />

Non solo nel giorno della sua festa che cade però il 10 (e non il 9) di luglio in quel luogo sacro venerano la Taumaturga i popoli vicini, ma in ciascun<br />

giorno si recano allo Speco del santo patriarca Benedetto pellegrini e visitatori di ogni lingua e nazione.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 121/126


S.<strong>Anatolia</strong> in Colonia Jubenzana<br />

Nella stessa abazia di Subiaco, in Gerano, S.<strong>Anatolia</strong> si venera come protettrice e se ne riguarda solennemente la festa, celebrata in una chiesa a lei<br />

dedicata, discosta circa un miglio dall'abitato del paese e contornata da un prato vasto e ameno. In questa chiesa rurale scaturiva una vera sorgente di<br />

grazie per zoppi, rattrappiti, indogliati e per sofferenti di altra infermità o imperfezione ribelle ad ogni rimedio dell'arte medica che vi si portavano in<br />

venerazione. Appena prostrati innanzi all'altare dov'ergesi la sua statua e supplici invocavano la martire cicolana, per lo più si vedevano liberati da ogni<br />

male con meraviglia e commozione insieme. Si vedevano poi allontanare con le proprie gambe dalla chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> festosi e giulivi quelli che da<br />

altri sostenuti o portati a braccia o sorretti da grucce vi erano stati portati, dopo aver depositato i vani sostegni della guarità infermità.<br />

Ancora quella chiesa di Gerano il 10 luglio di ogni anno viene frequentata da una folla di remota provenienza e di numero difficilmente calcolabile in<br />

continuazione di quei pellegrinaggi, iniziati già dal X secolo se non prima. Difficilmente i pellegrini rimarranno commossi al compimento di una grazia<br />

taumaturgica e allo spettacolo che ne segue perchè alla intercessione riparatrice di Sant'<strong>Anatolia</strong> è stata sostituita la fede nei poteri di una magia più o<br />

meno nera ma sempre ipotetica. Il governatore Festiano invasato dall'idolatria e grato a modo suo a Sant'<strong>Anatolia</strong>, ha fatto scuola e proseliti numerosi.<br />

All'origine di questa devozione, a parere di chi scrive, sta la remota venerazione dei Benedettini per le sue martiri Vittoria e <strong>Anatolia</strong>. Ancora oggi sul<br />

timpano dell'altare maggiore di quella chiesa può leggersi in lettere greche il sublime titolo di madre di Dio. Theotokos e la città rivendica non ben<br />

precisate origini delle due martiri.<br />

Nella Valle Giovenzana, dove le proprietà della Chiesa si confondevano con quelle del vescovo di Tivoli dal quale allora essa dipendeva, esisteva la<br />

chiesa di Sant'<strong>Anatolia</strong> già nell'anno 936 come si rileva dal privilegio pontificio: 'praedicta colonia quae appellatur Iubenzana qui et Trellano (Gerano)<br />

vocatur, in ea antea fuit curte domnica et ecclesia sancte <strong>Anatolia</strong>e. Nel centro agricolo, curtis, impiantato lungo l'arcaica via di collegamento tra<br />

Roma e il paese degli Ernici, attraverso la città di Empoli e di Sassola e gli Altipiani di Arcinazzo, e costituito da negozi, magazzini, ospizi e chiese, tra<br />

queste si noverava già la chiesa dedicata a Sant'<strong>Anatolia</strong>. La curtis domnica era stata distrutta in antea dai Saraceni annidiati nella valle dell'Aniene e<br />

battuti, come si è detto, a Vicovaro (poco lontano dalla colonia Giovenzano) ma non completamente snidiati se le loro pattuglie poterono fondarvi<br />

Saracinesco Vecchio e Nuovo. Lo stesso centro, ridotto a colonia, passò nelle mani dei Benedettini di Subiaco poco prima dell'anno 936 e la natura<br />

dell'origine della venerazione di S.<strong>Anatolia</strong> in Gerano finora un po' nebulosa meriterebbe di essere corretta. Si era pensato che l'abate Leone, di ritorno<br />

dalla val di Tora, per raggiungere Subiaco, anzichè attraversare da Arsoli la val d'Aniene, da Vicovaro si sarebbe portato in Gerano e dall'affluenza di<br />

popolo mosso ad incontrare le reliquie, vi avrebbe decisa una sosta in un padiglione provvisorio. La gente avrebbe continuato ad accorrere in quel<br />

posto per venerarvi la Tammaturga cicolana trasformandolo in una chiesa. Quella sosta, che allungava notevolmente l'itinerario del viaggio, sembra<br />

capricciosa e pone una logica domanda: perchè il pio abate scelse proprio Trellano-Gerano e non per esempio Arsoli e Vicovaro che incontrava lungo il<br />

cammino diretto e più breve ? La risposta più spontanea e logica è appunto che doveva uno speciale riguardo a Trellano-Gerano a causa della chiesa di<br />

S.<strong>Anatolia</strong>, da cui forse era stato ispirato a compiere il viaggio.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 122/126


Capitolo VI - La Citta' di Tora<br />

"Passa est autem sancta sacratissima virgo Anatholia in loco ubi exuberant virtutes d. N.J.C.<br />

per oratione ejus usque in presentem diem..." (da una ms. dell'VIII secolo - già nella Badia di<br />

Farfa, oggi nella Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma)<br />

Protagonisti e coristi in questa narrazione hanno formato un groviglio non interamente<br />

districato. E' probabile che gli sposi nuncupativi si siano sistemati con altre due pulzelle,<br />

altrettanto giovani e belle di <strong>Anatolia</strong> e Vittoria e presto, senza rimpianti per i loro tesori, sarà<br />

loro passato di mente il sangue innocente fatto spargere sotto l'obrobriosa veste di spie.<br />

L'impagabile Festiano (che in qualche punto era chiamato Teodoro, dono di Dio), al termine<br />

dell'incarico svolto nel Piceno, sarà tornato in patria e, come era costume presso i romani, si<br />

sarà dedicato alla vita dei campi e al patronato dei rustici che contornavano la sua villa.<br />

Suo figlio Aniano somiglia troppo ai nove lebbrosi guariti da Gesù che si ritirarono senza un<br />

ringraziamento e la storia lo fa rientrare scialbamente nei ranghi idolatrici. Folgorato per<br />

intercessione di <strong>Anatolia</strong>, folgorato dalla Grazia, non tradisce come il decimo lebbroso,<br />

riconoscenza per la sua benefattrice e senza spingerla come fece il mago Audace, fino al<br />

martirio, neppure che si sappia, con l'adesione al cristianesimo.<br />

Subiaco, il Sacro Speco e i Benedettini e Gerano perdurano nel solco tracciato dalla vergine<br />

cicolana ancora sotto i nostri occhi e nello sfondo di tutti gli avvenimenti, la Chiesa Cattolica,<br />

Sposa del Sangue o Chiesa del Silenzio, ha ripetuto nei XVII secoli trascorsi da allora, uguale a<br />

se stessa, la vocazione a mantenere il Regno di Dio su questa tera sempre sofferendo,<br />

combattendo e sperando.<br />

I principi professati nel III secolo e affermati da S.<strong>Anatolia</strong>, con S. Vittoria e con S. Audace,<br />

non differiscono da quelli espressi da Pio XII agli uomini di Azione Cattolica e ai giovani,<br />

riferiti in principio. Dopo la lunga vacanza, causata dall'uccisione di San Fabiano, la chiesa<br />

riebbe il suo pastore in Cornelio (martirizzato il 14 settembre 255) e la serie dei pastori della<br />

chiesa, attraverso vicissitudini, eresie, scismi, errori, continua fino al pontefice gloriosamente<br />

regnante. Defezioni, tradimenti e persecuzioni (grazie a Dio) non sono mancate e non mancano.<br />

Ma neppure martiri, confessori, santi e buoni cristiani, come le stesse parole del santo Padre<br />

hanno indicato, più per esempio che non per rigore di numero, in Maria Goretti e Contardo<br />

Ferrini.<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 123/126


E Tora e i Toresi ? Colpiti da immeritata sorte sono spariti, essi, che pur erano stati così pietosi verso la martire<br />

prigioniera e anzi, neppure si conosce dove la città si trovasse. Rimane aperta la contesa tra Castelvecchio (oggi<br />

Castel di Tora) e Sant'<strong>Anatolia</strong> in teritorio di Borgocollefegato, trascurando Esanatoglia, arcidiocesi di Camerino,<br />

che per Jacobilli volentieri contenderebbe gli onori agli altri due paesi.<br />

La maggioranza dei fautori (tutti autorevoli) della prima ipotesi ragionano presso a poco così: Tora va identificata<br />

con Castelvecchio, oggi Castel di Tora, perchè il fiume Turano lambisce i piedi della sua collina e ha dato il nome<br />

al paese. Ha una chiesa dedicata a S.<strong>Anatolia</strong> annessa oggi al Pontificio Collegio Romano. In Collepiccolo<br />

dirimpetto ad Antuni e sovrastante ad una piana assommano avanzi di antiche costruzioni che sono i resti dell'antica<br />

Città di Tora.<br />

I partigiani dell'altra ipotesi sono, a quanto risulta, uno, Monsignor Marini, vescovo di Rieti nella seconda metà del<br />

XVIII secolo, e controbattono: Il Marini, è partito dalla ripetuta segnalazione del calendario popolare che sotto la<br />

data del 9 luglio, annota: 'nella città di Tjrio, presso il lago Velino, il martirio dei santi <strong>Anatolia</strong> e Audace, sotto<br />

Decio imperatore...' e ha costruito il suo ragionamento così: nè l'antica Tora prese il nome dal Turano nè la città<br />

esisteva presso detto fiume, ma ben lungi da esso si trovava e ben lontano dal Turano. Non in Sabina, ma nelle<br />

parti di Regno (delle Due Sicilie), nella Regione a confine con Equicoli e Marsi. Non in Castelvecchio, ma presso<br />

la terra di Torano e la poco distante S. <strong>Anatolia</strong> dei Marsi. A questo punto affacciava un argomento, se non<br />

decisivo, nemmeno trascurabile, vale a dire la distanza da Rieti. Secondo gli antichi geografi, questa città distava<br />

da Tora XL miglia - tradotta in misura moderna circa Km. 60 - Orbene essa si attaglia approssimativamente a<br />

quella che intercorre da Sant'<strong>Anatolia</strong> a Rieti, mentre Castelvecchio ne dista Km. 28.500.<br />

E incalzava: il Velino o è il fiume, che con il nome di Piediluco scorre in mezzo a Rieti (mentre il Turano vien detto<br />

dalle antiche fonti Imele o Telonio), o è un monte ed è chiamato (a quei tempi) Montagna Velina, ovvero è un lago<br />

e in questo caso, notava, nel declivio della Montagna Velina si è formato un minuscolo bacino idrico che gli antichi<br />

chiamavano lacus. Ad avalorare questo convincimento sarà opportuno ricordare che lo stesso termine venne usato<br />

in Subiaco, così strettamente legato alla storia di S.<strong>Anatolia</strong> per i tre laghi formati dalla raccolta di acqua dell'Anio<br />

Novus, sui quali si specchiava la opulenta Villa di Nerone detta appunto il Sublaqueo. La loro esiguità era<br />

manifesta ed altri, non meno autorevoli scrittori, i laghi stessi chiamarono stagni Simbruini, Simbruina Stagna.<br />

Univoca e fitta è infine la toponomastica, concludeva Monsignor Marini, in questi posti con S. <strong>Anatolia</strong> in Tora, S.<br />

Lorenzo in Tora, S. Costanzo in Cartora e Torano.<br />

Altrove, il predetto vescovo, lasciò, in occasione di Visita Pastorale, in data 26 agosto 1797, verbalizzato che la<br />

chiesa principale di Sant'<strong>Anatolia</strong> dei Marsi trovavasi fuori del paese nel luogo dove 'per più secoli si venerava il<br />

corpo della santa e dove fu coronata dal martirio'. Doveva averla trovata in condizioni soddisfacienti e ben diverse<br />

da quelle in cui la vide il card. Amulio quando esperì, per la prima volta, la visita pastorale in aplicazione dei<br />

decreti del concilio di Trento e che scrisse: 'si teme che si rovinino i sacri arredi e i paramenti e, pur fatiscente,<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 124/126


nella chiesa talvolta si celebra la messa per divozione di qualche fedele'.<br />

Il ragionamento di monsignor Marini è logico e concludente eppure, a giudizio di chi scrive, non è completo trascurando altri due elementi essenziali<br />

per l'orditura della leggenda di S.<strong>Anatolia</strong> e trascurando gli echi sublacensi promananti dalla Taumaturga. A entrambi si dedica questo breve discorso:<br />

nella città di Tora esisteva un oracolo sotto la protezione di Mercurio. L'epigrafia ha potuto scoprirvi i concorrenti culti per Giove e, trattandosi di<br />

luoghi boschivi, per Diana memorense e Silvano. Faceva parte del Municipio Equicolano e il suo nome derivava, come si è visto, da Marte (Thyrios<br />

Arìs) che conservò per tutto il medioevo con variante in Tiora e aveva un soprannome, Matiene.<br />

Inequivocabilmente l'avevano vista il Marini, Bunsen, Martelli, Colucci e il Michaeli nella regione Equicola e non in Sabina e la identificò nel secolo<br />

scorso Gioberti scrivendo: 'Uno dei più antichi oracoli pelasgici è quello di Tiora, oggi Torano, nel territorio di Rieti, presso il villaggio di S.<strong>Anatolia</strong>,<br />

ai piè del monte Velino dove il Pico, uccello divino degli Aborigeni profetava'.<br />

E' stata ricordata, trattando il rinvenimento delle spoglie di S.<strong>Anatolia</strong>, l'epoca in cui presumibilmente un vescovo di Rieti per devozione a San<br />

Benedetto, donò all'abate di Subiaco dei beni nella valle di Tora. L'originario atto è andato smarrito. Il prenominato mons. Marini ne tramanda l'eco,<br />

raccolta 'da un registro del sec. XIV che conservasi nel mio archivio' da chi scrive ricercato invano.<br />

Erano beni per il cui trasferimento occorreva la ratifica dell'Imperatore e del Papa: la prima fu data da Ugo e Lotario re d'Italia nel 941 e molto più<br />

esplicitamente dall'imperatore Ottone I nell'anno 967, in questi termini: (all'abate Giorgio) '... confermiamo ... anche tutto ciò che gli spetta in territorio<br />

di Rieti, cioè, nella valle chiamata Tora, la chiesa di S. <strong>Anatolia</strong> che ha ricevuto per concessione scritta del vescovo di Rieti...'. Da parte sua il Papa<br />

Leone IX, nel 1051, confermò al monastero di Subiaco, quanto aveva acquistato nel territorio reatino e cioè '... in valle Torense anche la chiesa di S.<br />

<strong>Anatolia</strong> che possiede per scrittura del vescovo della Santa chiesa di Rieti...'. E' superfluo aggiungere nella Marsica e non nella Sabina. La stessa<br />

nazione di Audace, Marsus, cioè appartenente alla Marsica, vicina a Tora, dove arrivava il confine territoriale di Albe e famosa per incantesimi e per<br />

magie, n'è una ulteriore e piena conferma.<br />

Del resto, su quel che è stato detto, il lettore può pronunciare un sereno giudizio estraneo a tenerezze di campanile, di scuola o di congrega.<br />

Deo Gratias !<br />

Roberto Tupone – Sant'<strong>Anatolia</strong>, Cartore e dintorni – Parte II: <strong>Appendici</strong> – Pag. 125/126


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