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Capitolo IX Metti che una fiaba… - OnEdit

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Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

<strong>Capitolo</strong> <strong>IX</strong><br />

<strong>Metti</strong> <strong>che</strong> <strong>una</strong> <strong>fiaba…</strong><br />

Pare impossibile supporre, immaginare <strong>che</strong> un dirigente d’azienda, un<br />

funzionario statale, un architetto, an<strong>che</strong> un semplice battilastra, tutta<br />

gente seriosa <strong>che</strong>, durante le ore canoni<strong>che</strong> della giornata lavorativa, al<br />

massimo ti degnano d’uno sguardo, en passant, si vestano con i panni<br />

dello… specchio magico, del cavaliere azzurro, dell’albero alla base<br />

del quale il cavallo del cavaliere azzurro è andato a fare pipì.<br />

Come si faccia, poi, a vestirsi da specchio magico o da albero, alla<br />

base del quale… etc, etc, mi risulta difficile pensarlo, specie se il<br />

concetto è rivolto a delle persone adulte, a dei padri di famiglia, a<br />

dei… sostegni morali della comunità. Il tutto parrebbe <strong>una</strong> barzelletta<br />

raccontata in qual<strong>che</strong> momento di relax, durante <strong>una</strong> sosta sotto il<br />

gazebo del campo “Ex Venchi Unica”, quello <strong>che</strong> gestisce la società<br />

Pozzomaina in via Monte Ortigara a Torino.<br />

Ed invece è tutto vero, è realmente successo, pur se un bel numero di<br />

anni addietro, quando, forse, la poesia dell’essere sovrastava quella<br />

dell’apparire e certe commedie o certe fiabe non erano realtà da<br />

preoccupare, ma stemperavano animi, coagulavano cervelli,<br />

aumentavano la certezza <strong>che</strong>, stare assieme, fosse proprio la cosa<br />

giusta da farsi.<br />

Ed allora, visto <strong>che</strong> voglio raccontarvi di certa gente <strong>che</strong> ha<br />

cominciato quasi sessanta anni fa a fare football, parto da circa metà<br />

strada, da quel “salone delle feste, concesso in uso gratuito nel 1988<br />

da un sindacato <strong>che</strong> aveva sede via Frejus a Torino”. E parto da<br />

Ottavio Porta, perché il “regista” di tutta questa pochade, <strong>una</strong><br />

vaudeville in tutti i sensi, è stato proprio il vulcanico presidente<br />

dell’attuale società grigia-rosso-blu.<br />

In quella stagione, ovvio <strong>che</strong> non era ancora avvenuta la fusione tra lo<br />

“Sport Club Pino Maina” e l’”Unione Sportiva PozzoStrada”, ma mi è<br />

parso gradevole iniziare a parlare di un palcoscenico, degli “attori”<br />

<strong>che</strong> ci stavano sopra e delle grasse, grosse risate <strong>che</strong> un bel numero di<br />

persone si erano fatte in quella occasione. Prima, comunque, qual<strong>che</strong><br />

dato di fatto.<br />

Pozzo Strada, come tutti sanno, è il nome di un quartiere, antichissimo<br />

quartiere della città di Torino. E’ nella terza Circoscrizione ed ha<br />

come asse, se non primario almeno secondario, la via Bardonecchia<br />

<strong>che</strong> parte da corso Racconigi e finisce in corso Brunelleschi.<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

In quella via <strong>che</strong>, pare, si chiamasse strada antica di Francia,<br />

esattamente mille anni prima e dico mille per dare <strong>una</strong> data fissa non<br />

un’approssimazione casuale, a fianco della chiesa della “Natività di<br />

Maria Vergine”, la più antica chiesa di Torino dopo quella della<br />

“Consolata”, e <strong>che</strong> sorge all’angolo dell’attuale via Marsigli, esisteva<br />

un pozzo dove, pare, il “ceco di Briancon”, così chiamato perché stava<br />

“scarpinando” da Torino verso la Savoia, bevendo l’acqua di quel<br />

pozzo riebbe la vista e, ovviamente, si gridò al miracolo. E’ sempre<br />

ovvio <strong>che</strong> questa è <strong>una</strong> storia tramandata dai nostri avi e con il rispetto<br />

<strong>che</strong> si deve sempre dare agli antichi, ci crediamo; la realtà rimane <strong>che</strong><br />

per quel fatto miracoloso la borgata, il rione, la zona, chiamatela come<br />

volete, assunse il nome di Pozzo sulla Strada di Francia, da cui, per<br />

semplificare la vita un po’ a tutti, venne chiamata Pozzo Strada.<br />

La conseguenza di ciò, si fa per dire, quasi mille anni dopo,<br />

precisamente nel 1975, fu <strong>che</strong> si ebbe la nascita di <strong>una</strong> buona realtà<br />

sportiva <strong>che</strong> venne chiamata Unione Sportiva PozzoStrada, leggetelo<br />

tutto attaccato, mi raccomando. Primo presidente, un caro amico<br />

ridotto purtroppo a vegetare su un letto da qual<strong>che</strong> anno, fu Felice<br />

Assalto <strong>che</strong> non ci mise molto ad accaparrarsi gente in gamba e,<br />

comunque, <strong>che</strong> facesse progredire la società iscritta in quelle stagioni<br />

nel CSI con <strong>una</strong> sola squadra di amatori. Uno di questi fu Ottavio<br />

Porta, all’epoca impiegato all’Aeritalia, divenuta in seguito Alenia<br />

come, sempre in seguito, divenne un abile sindacalista an<strong>che</strong> Porta.<br />

Acquisito come allenatore Guido Calcatelli, come segretario Walter<br />

Pianca e qual<strong>che</strong> altro amico, per esempio Tiberio Baraldo e Giulio<br />

D’Amato a fare da supporto, Calcatelli e Porta iniziarono <strong>una</strong> sorta di<br />

scuola calcio nelle palestre della borgata, perché il campo diurno da<br />

usare manco se lo sognavano. Nel 1980, finalmente, oltre ad avere uno<br />

spazio pseudo erboso a disposizione, i due ottennero an<strong>che</strong> la<br />

disponibilità pomeridiana di qual<strong>che</strong> allenatore e così diedero inizio<br />

alla loro corsa… se non verso il milione, come dice <strong>una</strong> attuale<br />

pubblicità televisiva, almeno alle alte sfere del calcio giovanile. Per i<br />

dilettanti c’era ancora tempo.<br />

In questi anni si formarono diverse squadre di buon livello ed un<br />

gruppo si farà particolarmente ricordare per la grande amicizia <strong>che</strong><br />

molti di quei ragazzi hanno mantenuto per la loro vita di adulti; così<br />

nel 1981 la formazione Esordienti, allenata da Franco Pellerino,<br />

schierava Poggio, Attamante, De Lodi, Mortellaro, Strocco, Mainardi,<br />

Rosanigo, Miozzo, <strong>che</strong> era an<strong>che</strong> il capitano della masnada, D'amato,<br />

Fontana, Riviezzo oltre a Cingolani, Buono, Cic<strong>che</strong>lla, D'Elia e<br />

Mirabelli.<br />

Alcuni di questi ultimi, con Scalise in porta e poi Bologna, Saponaro<br />

(scomparso giovanissimo pochi anni dopo), Lisbona, Longo, Maletti,<br />

Marinaro, Passalacqua e con Sgambellone mister, andranno a vincere<br />

un campionato Allievi nel 1983 e nel 1984, con l’aggiunta di Vallario,<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

Pagano, Falcone e Rossi saranno ancora protagonisti in quella <strong>che</strong><br />

allora si chiamava la categoria principe, gli Allievi Eccellenza.<br />

Quando Porta assume la vicepresidenza, dopo aver avuto la<br />

responsabilità della Scuola Calcio ufficiale, e quasi l’ora <strong>che</strong> Assalto<br />

abbandoni e al suo posto subentra Silvio Franchino. Siamo nel 1986<br />

ed an<strong>che</strong> sulla spinta di un genitore <strong>che</strong> diverrà molto noto in seguito,<br />

l’attuale procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli <strong>che</strong> aveva i<br />

due figli inseriti nel club, e con le abili manovre dirigenziali del<br />

gruppo storico, come lo chiama Porta, formato da Osvaldo D’Ancona,<br />

Gerardo Senatore, Pietro Bueti, Elio Polce, Umberto De Conciliis,<br />

Carlo Mainardi, Enrico Cattarello, Teresa e Giuseppe Nisticò i<br />

progressi furono evidenti e perfino la presidenza venne cambiata con<br />

l’arrivo di Giuseppe Silvestre.<br />

Proprio nel momento <strong>che</strong> le squadre stavano cominciando a marciare,<br />

quando l’ambiente era diventato ami<strong>che</strong>vole e spassionato, quando<br />

quasi tutto assumeva l’aria di cosa ben fatta, <strong>una</strong> bastonata cadeva<br />

sull’intera società rossoblu.<br />

A Pasqua del 1987, dopo un torneo vittorioso dei pulcini in quel di<br />

Cascine Vica, mentre tutta la comitiva gaudente si avviava con le<br />

proprie auto a Valdellatorre per il più classico dei picnic, un incidente<br />

d’auto stroncava la giovane vita di Giuseppe Nisticò, marito di Teresa<br />

e padre dei due “pulcini” Fabio e Alessandro, divenuti nel terzo<br />

millennio pilastri della prima squadra e del settore tecnico societario.<br />

Giuseppe morì sul colpo, la moglie Teresa rimase ferita gravemente<br />

ma se la cavò e con il suo carattere forte e gioioso dovette adattarsi in<br />

fretta a superare le tribolazioni del momento, perché aveva da pensare<br />

a i due bambini, i quali, per un caso fortuito o perché “protetti<br />

dall’alto”, come osò dire Ottavio in quella occasione, erano sull’auto<br />

di un dirigente, Pietro Bueti, <strong>che</strong> non fu coinvolta nell’incidente.<br />

An<strong>che</strong> se difficili da digerire, queste mazzate pare ti facciano più forte<br />

se hai il carattere giusto, se sei circondato dalle persone giuste, se tu<br />

stesso hai la testa un po’ meno <strong>che</strong> quadrata.<br />

E così un anno dopo venne l’idea di quella “recita”, di quella fiaba<br />

trasformata dai personaggi sportivi <strong>che</strong>, con pazienza, a volte con<br />

rassegnazione e di questo spiegherò, ma soprattutto con <strong>una</strong> discreta<br />

inventiva misero in “cartellone” Garbaneve, <strong>una</strong> sorta di Biancaneve<br />

adattata agli attori con relativi cognomi <strong>che</strong> passava il convento del<br />

PozzoStrada.<br />

Fu un successone talmente grande <strong>che</strong>… non si rifece mai più.<br />

S<strong>che</strong>rzi a parte, la commediola, la fiaba, la pochade, chiamiamola<br />

come si vuole, si guadagnò il successo del numeroso pubblico<br />

presente, non solo dirigenti, non solo genitori, non solo amici di parte,<br />

ma fu talmente affaticante, talmente impegnativa per essere stata fatta<br />

bene, <strong>che</strong> scoraggiò nel proseguire.<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

In ogni caso c’era stato Piero Garbarino, un omone alto due metri <strong>che</strong><br />

diede il nome alla storia di Garba…neve e <strong>che</strong>, pare, sia stato con<br />

Porta l’ideatore della festa di fine anno. Ma si era an<strong>che</strong> intrufolato<br />

l’architetto Polce, uno dei sette nani, poi c’era stato Lello Donna <strong>che</strong><br />

si immedesimò talmente bene nella strega <strong>che</strong> si specchiava da non<br />

mollare il trucco per tutte le feste natalizie. Ci fu poi la rassegnazione<br />

(come vi avevo prima accennato) fatta persona… nella persona di<br />

Gerardo Senatore, <strong>che</strong> rappresentava addirittura lo specchio in cui si<br />

specchiava la strega: ma ve lo figurate un uomo di quarant’anni <strong>che</strong> si<br />

traveste da specchio?<br />

Coordinati dal narratore, il fine dicitore Carlo Mainardi, con<br />

l’intrattenimento di Ciro Vicinanza <strong>che</strong> girava per la sala per cercare<br />

di fare cassa vendendo noccioline e an<strong>che</strong> accendini per quei<br />

disgraziati di fumatori, apparve an<strong>che</strong> l’albero <strong>che</strong> significava il<br />

bosco, <strong>una</strong> grande interpretazione… muta di Giovanni Maina, come<br />

muti o quasi furono Tarquinio Marras nelle vesti di un pescatore (ma<br />

c’è il pescatore nella vera fiaba di Biancaneve?) e Renato Bersano in<br />

quelle del falegname <strong>che</strong>, per tutta l’ora e mezza <strong>che</strong> durò lo<br />

spettacolo, non fece altro <strong>che</strong> passare <strong>una</strong> finta sega su un finto pezzo<br />

di legno, facendo finta, con la bocca, di segare. Ma non era finita qui,<br />

perché gli altri sei nani non li vuoi mettere? Eccoli: Nino Saraceno,<br />

alto un metro e cinque, Nino Gioia, un metro e dieci, Pino Raso, detto<br />

Maradona, novantacinque centimetri, Paolo Mariotto, un metro e sei<br />

centimetri ben contati, Toni Fiannaca, il più alto, un metro e quindici<br />

e, infine, il metro e dodici di Vincenzo Santeramo.<br />

Le cretinate <strong>che</strong> vi ho raccontato poc’anzi vi parranno cretinate pure e<br />

semplici solo se non avrete potuto assistere alla commedia fiabesca o<br />

alla fiaba commediata di quell’inverno del 1988 <strong>che</strong>, comunque,<br />

presuppose quasi due mesi di prove nella palestra della scuola vicino<br />

al campo, sempre in gran segreto. Ma oltre alle risate, infinite, di chi<br />

ebbe il coraggio di assistervi, furono le risultanze aggregative<br />

addizionali <strong>che</strong> quella festa riuscì a trasmettere nel gruppo del<br />

“PozzoStrada”, da leggersi sempre “tuttattaccato”, e <strong>che</strong> consentì a<br />

Ottavio Porta di salire sulla cadrega più impegnativa e più importante<br />

e condurre in porto <strong>una</strong> fusione <strong>che</strong> consentì ancora, sei anni dopo, la<br />

nascita della Polisportiva Pozzomaina, da leggersi an<strong>che</strong> questa volta,<br />

obbligatoriamente, “tuttattaccato”.<br />

Nel lasso di tempo <strong>che</strong> intercorse tra la pantomima e la fusione, giova<br />

ricordare <strong>che</strong> sia il “Pino Maina” <strong>che</strong> il “PozzoStrada” giocavano con<br />

tutte le loro squadre sullo stesso campo di via Monte Ortigara, il<br />

classico “ex Venchi Unica”, così chiamato perché prima dell’ultima<br />

guerra pare <strong>che</strong> il terreno appartenesse alla fabbrica di cioccolato<br />

“Venchi Unica” <strong>che</strong>, tuttavia, cedette il terreno, non fabbricabile per il<br />

piano regolatore del tempo, al Comune e da questi passò in gestione al<br />

Centro Sportivo Italiano. E, come dicevo, giocando fianco a fianco, a<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

parte qual<strong>che</strong> puntata ai vicini “campetti” del “Trecate”, campi <strong>che</strong><br />

andavano bene per il gioco delle bocce più <strong>che</strong> al gioco del calcio, si<br />

finì per diventare amici, si finì, come avviene tra persone intelligenti,<br />

per progettare qual<strong>che</strong> cosa in comune.<br />

Fu un matrimonio molto ben riuscito, concordato tra Caronni,<br />

presidente “Maina” e Porta, Presidente “PozzoStrada”, tanto <strong>che</strong><br />

tutt’oggi il club si mantiene nell’elite del calcio nostrano. Fu insignito<br />

Porta della presidenza con Enrico Pessone, un veterano del “Maina”<br />

con quarant’anni di militanza, alla vice presidenza, unitamente a De<br />

Conciliis, in “chiave” “PozzoStrada”. Ma ciò <strong>che</strong> contribuì a far<br />

partire col piede giusto la nuova società, penso siano state le<br />

dichiarazioni dei due soci, al momento più autorevoli, del “Maina”,<br />

Pessone e Carbone, <strong>che</strong> dettarono la condicio sine qua non per <strong>una</strong><br />

firma sotto il verbale della fusione: presidente avrebbe dovuto essere<br />

Porta! Ottavio incassò l’inaspettata stima dei due colleghi di<br />

parte…avversa e partì <strong>una</strong> bella, nuova realtà sportiva.<br />

Non tutti, come si evince da alcune chiacchiere raccolte in questi anni,<br />

da parte “Pino Maina” furono d’accordo, ma quella parte <strong>che</strong> non fu<br />

d’accordo era ormai lontana dal club e quindi filosofare su cose <strong>che</strong><br />

non si conoscono, su realtà <strong>che</strong> ti sono distanti non è manco simpatico<br />

e, comunque, inutile, se non sciocco.<br />

Finora ho dato nota di <strong>una</strong> mezza storia, di <strong>una</strong> storia della metà della<br />

torta, mentre, per la verità, l’altra metà, il “Pino Maina”, ha ben altri<br />

natali <strong>che</strong> si identificano in quel dopoguerra dove avevano trovato<br />

spazio altre realtà torinesi ed in cui il “Pino Maina” aveva, da subito,<br />

svolto un ruolo primario.<br />

Non è facile, a volte, e in specie quando mancano documenti effettivi,<br />

individuare la causa di un evento, come è potuto nascere un club di<br />

calcio, quando, in questo specifico caso, an<strong>che</strong> i pochi soci fondatori<br />

<strong>che</strong> sino ad ieri potevi trovare sugli spalti di qual<strong>che</strong> campetto, sono<br />

venuti a mancare. Allora vai a cercare qual<strong>che</strong> anziano, qual<strong>che</strong><br />

giovanotto di ottant’anni, qualcuno dalla memoria ferrea e unisci<br />

questi dati, a volte solo impressioni, ai tuoi ricordi <strong>che</strong>, comunque,<br />

hanno avuto uno sviluppo temporale notevole. E quindi ne scrivi.<br />

Nel 1949, c’è chi dice a giugno, chi a settembre, un gruppetto di amici<br />

in cui, comunque già si distingueva tra loro il capo carismatico,<br />

Francesco Viecca, commerciante di abiti nella centralissima, centrale<br />

per il Borgo San Paolo, piazza Sabotino, concluse <strong>una</strong> serie di riunioni<br />

con l’idea di far nascere <strong>una</strong> società di calcio. Viecca propose di dare<br />

al club il nome di Pino Maina, giocatore-portiere del Torino<br />

scomparso da poco tempo <strong>che</strong> aveva sempre abitato nel quartiere, il<br />

popolare Borgo San Paolo, ed era diventato un suo amico con la<br />

frequentazione costante del negozio: tutti approvarono e nacque così il<br />

“Gruppo Sportivo Pino Maina”, maglie grigie, proprio come quelle da<br />

portiere <strong>che</strong> Maina indossava nel Toro e campo di gioco, per ora, in<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

corso Rosselli, impianto del Dopolavoro Ferroviario <strong>che</strong> in molti<br />

sfruttavano data la carenza di strutture sportive esistenti in città.<br />

Come ho accennato non è sopravvissuto alcuno dei soci fondatori<br />

della società, ma uno <strong>che</strong> nel 1951, due anni dopo la fondazione, già<br />

metteva testa e gambe nel club si trova ancora ed è quel signore, nella<br />

vera accezione del termine, di Gino Caracciolo.<br />

Per la sua figura defilata, per il suo discorrere pacato Caracciolo è<br />

stato, dalla massa di persone <strong>che</strong> hanno frequentato il “Maina” e, in<br />

seguito, il “Pozzomaina”, sicuramente sottovalutato, mentre oltre ad<br />

essere un uomo intelligente, oltre a possedere <strong>una</strong> conoscenza fina<br />

delle cose di calcio <strong>che</strong> pochi, ve lo garantisco, gli stanno alla pari, si<br />

mantiene con <strong>una</strong> signorilità unica nel direttivo del club an<strong>che</strong><br />

all’inizio di questo millennio. E se non fosse per quella maledetta<br />

cataratta <strong>che</strong> gli preclude compiti più impegnativi, sarebbe ancora in<br />

mezzo all’impianto a fare, a proporre, an<strong>che</strong> a discutere con Porta e gli<br />

altri amici dei progetti per il futuro: e son quasi ottanta primavere <strong>che</strong><br />

si porta sulle spalle!<br />

Sono, comunque, i cenni di Caracciolo a farci capire il valore di certi<br />

personaggi <strong>che</strong> hanno vestito il “grigio” o hanno gravitato nella<br />

dirigenza “grigia”, come Viecca, d’accordo, ma an<strong>che</strong> come Giulio<br />

Lupo, nel club dal 1949 ai primi anni novanta, abile dirigente<br />

societario e pure federale con incarichi nella Lega Giovanile, prima e<br />

nel Comitato Regionale LND, poi. Se Lupo fu per tanti anni un deus<br />

ex machina con la sua esperienza, la sua capacità aggregativa, va<br />

an<strong>che</strong> ricordato Luigi Bernardi, segretario negli anni cinquanta e<br />

cugino di quel Bruno Bernardi <strong>che</strong> passò <strong>una</strong> stagione nei “grigi”<br />

prima di trasferirsi nello “Spartanova” e di lì percorrere i sentieri, le<br />

strade e le autostrade del giornalismo sportivo.<br />

Passata la sfuriata delle prime stagioni vissute con <strong>una</strong> spinta quasi da<br />

sfegatati, dato l’entusiasmo con il quale si vivevano quei campionati<br />

primordiali, arrivava Leandro Sganzetta, altro pilastro <strong>che</strong> fu eletto<br />

presidente nel 1962, quando per Viecca era l’ora di smettere con gli<br />

impegni troppo severi <strong>che</strong> <strong>una</strong> società come il “Pino Maina”, cresciuta<br />

notevolmente, comportava.<br />

Con Sganzetta la sede di via Monginevro 28, proprio alle spalle del<br />

negozio di Viecca, venne abbandonata per <strong>una</strong> ben più capiente in via<br />

Cesana 74, mentre il campo restava sempre quello di corso Rosselli.<br />

Ma prima ancora <strong>che</strong> Sganzetta lasciasse la sua impronta sulla società,<br />

aveva mosso i primi passi di giocatore quell’Enrico Pessone <strong>che</strong>,<br />

intrufolatosi nei giovanissimi del 1955, divenne, al tempo della<br />

fusione con il “PozzoStrada”, vicepresidente con De Conciliis.<br />

E Pessone non è stato uno <strong>che</strong> è volato sopra un cinquantennio, quasi,<br />

con superficialità, Enrico Pessone ha lasciato il segno con i suoi mille<br />

incarichi, le sue storie di allenatore, istruttore, direttore tecnico, dopo<br />

aver giocato per le “mille” stagioni della propria gioventù con la<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

stessa maglia ed aver incontrato amici di ogni levatura. Cosa dire di<br />

Nello Governato <strong>che</strong> passato al Torino e, quindi, alla Lazio ha<br />

rinverdito le sue esperienze giovanili andando a ricoprire diversi<br />

incarichi dirigenziali in società professionisti<strong>che</strong>? Come accennare a<br />

Roberto Carbone e a Casile <strong>che</strong> fecero grande il “Maina” con il loro<br />

impegno costante, appassionato e <strong>che</strong>, come con Pessone, si concluse<br />

soltanto in queste ultime stagioni? E Albano e Natalini, troppo, troppo<br />

presto scomparsi da questa vita. Sono alcuni dei nomi <strong>che</strong> hanno<br />

percorso il tratto di via sportiva del “Maina” e <strong>che</strong> quando Sganzetta,<br />

per motivi di salute, dovette abbandonare, continuarono ad<br />

impegnarsi.<br />

Dopo Sganzetta, <strong>che</strong>, comunque, riuscì a portare le sue squadre nello<br />

“stadiolo” di via Frejus angolo via Cesana, in coabitazione con un<br />

“Cenisia” ormai in <strong>una</strong> delle fasi calanti di quasi tutti i club<br />

dilettantistici, nel 1977 venne eletto presidente Lorenzo Vanara <strong>che</strong><br />

mantenne la carica per un bel numero di anni e <strong>che</strong> contribuì al<br />

consolidamento nell’ambiente cittadino di <strong>una</strong> società tra le meglio<br />

organizzate. E’ doveroso notare <strong>che</strong> negli anni sessanta, primi dei<br />

settanta i sodalizi cittadini <strong>che</strong> facevano calcio erano, si e no, <strong>una</strong><br />

trentina contro l’oltre un centinaio dei giorni nostri e <strong>che</strong>, quindi, se<br />

volevi inserirti in <strong>una</strong> delle squadre di quelle società dovevi essere<br />

proprio bravo, perché il “setaccio” era fine fine e non sempre ti<br />

riusciva di giocare in Lega e dovevi accontentarti di un Ente di<br />

Promozione.<br />

Intanto il “Maina” andava a vincere con gli Allievi Regionali, si<br />

ripeteva con gli Allievi Provinciali qual<strong>che</strong> anno dopo e perfino con la<br />

squadra “Primavera”, <strong>una</strong> sorta di juniores d’elite. Ma questi sono solo<br />

accenni doverosi, mentre le tante squadre mietevano allori un po’<br />

dappertutto.<br />

Negli anni ottanta la società otteneva, anch’essa, il campo di via<br />

Monte Ortigara (il “Venchi Unica”) e la sede veniva trasportata in via<br />

Bionnaz, in quella Borgata Lesna <strong>che</strong>, per quelle alchimie tra società o<br />

per i soliti giochi di convenienza, veniva aggiunto, come sostantivo, al<br />

nome originale: Sport Club “Pino Maina – Borgata Lesna”. Non era<br />

cambiato nulla, soltanto il club aveva tentato di rinforzarsi, ed ora,<br />

dopo <strong>una</strong> breve parentesi con Giuseppe Cantone presidente, aveva<br />

un’altra guida <strong>che</strong> si chiamava Leopoldo Base.<br />

Proprio negli anni in cui il “PozzoStrada” si improvvisava “Carro di<br />

Tespi” e metteva in scena il “Garbaneve”, di cui ho parlato prima, la<br />

società grigia compiva quarant’anni di vita. Un bel traguardo, non c’è<br />

<strong>che</strong> dire, con festeggiamenti, tornei internazionali per i giovani della<br />

società, e sempre con Giulio Lupo a dare un’occhiata su come si<br />

lavorava. E sì, Lupo ormai era diventato presidente onorario, ma non<br />

disdegnava alcune puntate sia sul campo <strong>che</strong> in sede sociale, dove<br />

trovavi un Pierfrancesco Garbero oppure un Giovanni Gianella in<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

segreteria; dove c’era an<strong>che</strong> Francesco Cloralio e Enzo Bottari,<br />

rimasto, quest’ultimo, sempre trait d’union tra la società e la FIGC<br />

locale e… continua ad esserlo. Nel direttivo partecipava ancora<br />

Giuseppe Magnasco, Virginio Ferrero e si manteneva a galla quel<br />

simpaticone di Maurizio Ciarlone, tanto lungo quanto largo, ma ben<br />

dotato come allenatore.<br />

Inoltre, proprio per fare da specchio a quaranta stagioni di calcio, è<br />

bello ricordare Roberto Carbone, <strong>che</strong> oltre a dirigere calcio nel<br />

“Maina” di quei decenni, in un depliant pubblicato in occasione<br />

dell’anniversario dei quarant’anni della fondazione, dava un senso ad<br />

un passato fatto di vera passione e di puro sentimento:<br />

“…quarant’anni senza un presidente-padrone, senza legami politici di<br />

sorta o agganci confessionali, senza alcun fine di lucro, ma solo per<br />

amore del calcio, un amore incredibile…”.<br />

Un amore incredibile: per tutti coloro <strong>che</strong> hanno vissuto i primi anni<br />

di quella maglia grigia, sono soltanto parole da ingerire, da gustare.<br />

Nel 1993, proprio quando le due società “consorelle” stanno<br />

parlandosi ed è in atto soltanto il “fidanzamento”, diventa presidente<br />

Alberto Caronni. E quando i “genitori”, i vecchiacci o i caporioni,<br />

delle due società decidono <strong>che</strong> il matrimonio s’ha da fare, la fusione è<br />

accelerata e si compie con un gran accordo tra le parti: patti chiari,<br />

nomi certi, e obiettivi consistenti. E’ il 1994.<br />

In quel momento la nuova società mette in campo <strong>una</strong> ventina di<br />

squadre <strong>che</strong>, l’anno dopo, con la dovuta scrematura dovuta, an<strong>che</strong>,<br />

all’impossibilità di contenere tutta quella massa di quasi cinquecento<br />

giocatori nel campo di via Monte Ortigara, il tasso tecnico si eleva ed i<br />

successi ottenuti da lì in avanti stanno a dimostrare quanto le ragioni<br />

erano valide per un’unione, per un “matrimonio” tra due realtà <strong>che</strong>,<br />

prima, si guardavano in cagnesco (inutile nascondere <strong>che</strong> ai tempi<br />

della prima coabitazione ci fosse <strong>una</strong> grossa rivalità tra le parti!) e <strong>che</strong>,<br />

poi, valutando i tantissimi pro ed i pochi contro, si è trasformata<br />

nell’attuale “Pozzomaina”, quella <strong>che</strong> è entrata nel “SuperOscar”, <strong>che</strong><br />

disputa tutte le categorie regionali e <strong>che</strong> <strong>una</strong> seconda spina dorsale le<br />

viene fornita dalle molte signore <strong>che</strong> aiutano, organizzano, dirigono<br />

come, ad esempio Lina Iannone, Rita Castellano, Anna Cuccari e<br />

quell’autentico vulcano <strong>che</strong> è Teresa Nisticò.<br />

Non so chi fosse in possesso di quell’imprinting necessario a far<br />

funzionare le cose per bene, certo <strong>che</strong>, per rubare al professor Danilo<br />

Mainardi, docente di etologia nell’Università di Pavia, un concetto<br />

biologico <strong>che</strong> ben si adatta a spiegare la ottima riuscita di un’unione,<br />

non posso non notare <strong>che</strong>: «nella fase dell'imprinting, definita an<strong>che</strong><br />

di "socializzazione primaria" il cucciolo (la società neonata) prende<br />

confidenza con cose, persone e stimoli <strong>che</strong> vanno a formare in lui <strong>una</strong><br />

sorta di eredità culturale, di cui fanno parte an<strong>che</strong> i comportamenti<br />

acquisiti. Si tratta di un bagaglio assimilabile a quello genetico,<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

almeno dal punto di vista della mancanza assoluta di plasticità e<br />

flessibilità. Per questo è fondamentale sapere come intervenire in<br />

questo delicato momento, diversamente si rischia di compromettere<br />

per sempre il sano sviluppo del proprio amico (ciasc<strong>una</strong> delle due<br />

parti della nuova società): <strong>una</strong> cattiva esperienza o la mancanza di<br />

esperienze utili a socializzare con gli altri rimarranno impresse per<br />

sempre e predisporranno gli amici a paure, incertezze e aggressività.<br />

E' necessario invece <strong>che</strong> nell'arco di questo anno (la stagione sportiva<br />

1994-1995) il cucciolo (sempre il nuovo club) sia incoraggiato a fare<br />

esperienze positive, ad avere contatti con l'ambiente circostante, con<br />

le persone, con gli altri amici, perché solo così il suo rapporto con il<br />

padrone (il pallone) sarà sereno e affiatato».<br />

Ditemi voi se le parole virgolettate appena scritte, non paiono adatte a<br />

descrivere il dovuto comportamento di alcuni amici <strong>che</strong> vanno a<br />

coabitare ed, invece, si rivolgono solo a degli animali.<br />

Ma, come le persone intelligenti sanno, noi dagli animali abbiamo<br />

solo da imparare.<br />

Adesso c’è <strong>una</strong> dirigenza tutta nuova, con Ottavio Porta ancora<br />

presidente, con Umberto De Conciliis e Teresa Calabrese vice, con <strong>una</strong><br />

schiera dei soliti fidati amici <strong>che</strong> conducono <strong>una</strong> “baracca” diventata<br />

molto impegnativa da quando il Comune ha costruito il “sintetico” e la<br />

società di è fatta due campi per il calcio a 5, <strong>una</strong> trib<strong>una</strong> coperta, ha<br />

abbellito gli spazi comuni dando <strong>una</strong> vivacità a tutto l’ambiente, dalla<br />

mattina a notte fonda, <strong>che</strong> impegna ma non preoccupa perché i tanti<br />

giovani a circolare sono soltanto <strong>una</strong> parte, an<strong>che</strong> se la più importante,<br />

del principio su cui si basano le società di calcio dilettantisti<strong>che</strong>.<br />

E’ il 2005, chi per un verso, chi per un altro, sono stati centinaia<br />

coloro <strong>che</strong> si sono sciroppati anni e anni di calcio giocato e di calcio<br />

organizzato nello stesso sodalizio, ma non riesco a rintracciarne uno,<br />

dopo aver parlato con tanti, <strong>che</strong> non ripeterebbe gli stessi passi, <strong>che</strong><br />

non accetterebbe le stesse esperienze. Ovvio <strong>che</strong> ho parlato con i più<br />

acuti, con i più pronti, perché sono loro <strong>che</strong> della storia sanno darne il<br />

giusto senso, la giusta misura.<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni


Tratto dal libro<br />

Una Storia, tante storie<br />

di Tito Delton<br />

<strong>Capitolo</strong> X<br />

Da <strong>una</strong> grammatica presa a calci<br />

ad un calcio tutto rosa<br />

Scena primaria: un viale alberato. Uno dei tanti bellissimi viali <strong>che</strong><br />

arrivano sino al centro storico di Torino, <strong>una</strong> città dall’urbanistica<br />

splendida, quasi unica in Europa, se non fosse stata ridotta ad un<br />

cesso, per sporcizia e manie di grandezza, negli ultimi anni.<br />

Nonostante ciò, Torino è bella.<br />

E’ bella con i suoi viali, già detto, con i suoi palazzi barocchi, le sue<br />

architetture liberty, le sue piazze incastonate tra il Po e la sua<br />

stupenda, inimitabile verde collina, meglio sarebbe incopiabile, visti i<br />

precedenti, se non fosse un vocabolo orribile.<br />

E’ molto, molto bella specialmente nei giorni “olimpici” dopo <strong>che</strong><br />

migliaia di volontari l’hanno ripulita, dopo <strong>che</strong> i bravissimi<br />

organizzatori delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 ne hanno fatto<br />

un ritratto ben curato e speciale per turisti stranieri e peninsulari, con<br />

un dubbio sui conti <strong>che</strong> paiono sbilenchi e <strong>che</strong> tutto finisca tra poco.<br />

E’ bella an<strong>che</strong> senza la FIAT <strong>che</strong> è quasi sparita dopo aver venduto un<br />

secolo della propria storia per farne dei centro congressi o dei<br />

supermercati o non si sa cosa. Ancora, non si sa cosa. E’ bella an<strong>che</strong><br />

senza il Salone dell’Auto, senza “un centomila” dipendenti della<br />

“Feroce” <strong>che</strong> non ci sono più al Lingotto, a Rivalta, non ci saranno a<br />

Mirafiori e in trecentodue altre aziende. Ma pazienza, vorrà dire <strong>che</strong><br />

questa gente dai coglioni quadri saprà riciclarsi o tornerà al sud, dove,<br />

per lo meno, c’è un bel sole, crescono un bel po’ di pomodori <strong>che</strong><br />

continueranno a venire raccolti da senegalesi o pakistani, ma <strong>che</strong> per<br />

lo meno, questa gente, avrà la ventura di sbattere la testa contro il<br />

muro di casa propria, di quella casa <strong>che</strong> era rimasta ai padri, ai nonni e<br />

<strong>che</strong> adesso, sì, <strong>che</strong> gli viene bene <strong>che</strong> sia ancora sua.<br />

E’ bella perché chi ci abita, <strong>che</strong> sia autoctono o immigrato, si è intriso<br />

dell’ambiente antico e sa sempre inventarsene delle nuove. Forse, ma<br />

dico solo forse, ha cominciato a pensare, purtroppo ha solo iniziato, a<br />

come non farsele continuamente rubare queste cose nuove. E se<br />

vogliamo an<strong>che</strong> solo accennare ad <strong>una</strong> piccola cosa, proprio piccola<br />

piccola, ma <strong>che</strong> nessuno, ripeto nessuno, in giro per la penisola è<br />

riuscito ad imitare, benché sia stato sollecitato, benché abbia chiesto<br />

lumi, benché ci abbia provato più e più volte, allora accenniamo al<br />

torneo “Un Pallone di Speranza”, manifestazione di calcio tra studenti<br />

sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico<br />

a Torino e dintorni

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