La donna usata dalla pubblicità_Panarese - Aiart
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1. Le signore della <strong>pubblicità</strong><br />
<strong>La</strong> <strong>donna</strong> <strong>usata</strong> <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong>.<br />
Una ricerca sugli spot tv italiani<br />
Paola <strong>Panarese</strong><br />
Il rapporto tra <strong>donna</strong> e <strong>pubblicità</strong> è sempre stato piuttosto stretto. Spot, manifesti e annunci stampa<br />
hanno ospitato figure femminili di ogni tipo sin dall’origine della comunicazione pubblicitaria. Donne che<br />
«danzano mentre fanno il bucato, donne che scalano grattacieli, donne che giocano a biliardo vestite da<br />
uomo, tra mulini e staccionate, piazze e campi di grano, paradisi barocchi, stazioni, cucine<br />
superattrezzate» 1 . Donne che occupano gran parte della scena, oscurando non raramente gli altri<br />
personaggi pubblicitari. Protagoniste indiscusse dell’immaginario promozionale di ieri e di oggi. Target<br />
privilegiato del passato, in quanto responsabili degli acquisti familiari, ma anche del presente, per la<br />
molteplicità di prodotti destinati alle varietà dei loro ruoli e dei loro stili di vita, spesso coesistenti.<br />
Interpreti di spot o annunci di prodotti indirizzati a femmine e maschi, giovani e anziani. Spesso oggetto<br />
estetizzato da osservare, in coerenza con una certa tradizione iconica occidentale, per cui l’uomo guarda e<br />
la <strong>donna</strong> viene guardata. A questo proposito, John Berger scrive:<br />
«Gli uomini agiscono, le donne appaiono. Gli uomini guardano le donne. Le donne guardano se stesse mentre sono<br />
guardate. Questo determina non solamente la maggior parte delle relazioni fra uomini e donne ma anche il rapporto<br />
delle donne con se stesse. L’osservatore della <strong>donna</strong> è maschile; l’osservata femminile. Così lei si trasforma in<br />
oggetto. Più specificamente in oggetto di visione.» 2<br />
Questo il punto di vista di una buona parte della <strong>pubblicità</strong> di ieri e di oggi: anche quando è<br />
protagonista, la <strong>donna</strong> è spesso elemento decorativo, corpo, oggetto del desiderio, in un percorso storico<br />
che articola racconti e figure femminili sempre diverse.<br />
In origine è la casalinga, <strong>donna</strong> per antonomasia della <strong>pubblicità</strong> italiana dei decenni scorsi, icona<br />
pubblicitaria pervasiva e ingombrante. Ogni volta nuova, ma al tempo stesso uguale a se stessa: angelo del<br />
focolare, governante sexy, moglie petulante, mamma amorevole. Quella della bellezza rassicurante e<br />
piccolo borghese della <strong>donna</strong> Star, Dash, o l’affidabile Ave Ninchi degli spot AIA (Cfr. Fig. 1-3).<br />
Con un po’ di paternalismo e forse anche di superiorità, la <strong>pubblicità</strong> dell’epoca di Carosello tenta di<br />
fare presa sulla psicologia femminile, puntando sul bisogno di gratificazione (con slogan come “E lui ti dirà<br />
brava” del Caffè Splendid) o sui processi di identificazione (come nel caso della cera Gloglò e del suo spot<br />
“Ad Orietta Berti è caduto un uovo”). È l’epoca degli scenari che oggi chiameremmo edulcorati e<br />
conformisti, capaci però di giocare un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei comportamenti degli italiani. 3<br />
<strong>La</strong> didattica del consumo veicolata <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong> in quegli anni contribuisce a liberare la <strong>donna</strong> da alcuni<br />
impegni gravosi, per esempio promuovendo gli elettrodomestici dal ruolo di commodities a quello di beni<br />
1<br />
Zatta S., “Foto di gruppo con signora. Iconografie e stereotipi del femminile”, in Canova G., Dreams. I sogni degli italiani in 50 anni<br />
di <strong>pubblicità</strong> televisiva, Mondadori, Milano, 2004, p. 191.<br />
2<br />
Berger J., Questione di sguardi, Il Saggiatore, Milano, 1988.<br />
3<br />
Pittèri D., <strong>La</strong> <strong>pubblicità</strong> in Italia. Dal dopoguerra ad oggi, <strong>La</strong>terza, Bari, 2006.<br />
1
necessari. Significativi sono, a questo proposito, slogan come: <strong>La</strong> tua vita è una continua lotta contro il<br />
tempo. Però ti piace. Per questo servono tutte le cose che fanno risparmiare tempo. Moulinex regala tempo<br />
alla <strong>donna</strong> (Cfr. Fig. 4-5).<br />
Fig. 1-2. <strong>La</strong> <strong>donna</strong> del dado Star nel particolare di una confezione del prodotto e Ave Ninchi<br />
testimonial per la <strong>pubblicità</strong> del tacchino Aia.<br />
Fig. 3. Un esempio di “<strong>donna</strong> Dash”<br />
2
Fig. 4-5. Annunci stampa di Moulinex<br />
A partire da allora, per molte ragioni, le rappresentazioni della <strong>donna</strong> si differenziano, restituendo<br />
immagini più complesse, meno legate alle convenzioni e più attente ai cambiamenti sociali, ma pur sempre<br />
stilizzate, come è comprensibile accada in una forma di comunicazione “ipersintetica” come la <strong>pubblicità</strong> 4 .<br />
Fa così la sua prima comparsa (e s’impone nel decennio successivo) la <strong>donna</strong> che lavora, autonoma,<br />
assertiva, ambiziosa. Sembrerebbe un passo avanti nella relazione tra immagine pubblicitaria e ruoli sociali,<br />
ma quella rappresentata dall’advertising non è una <strong>donna</strong> reale, o meglio realistica. 5 È piuttosto una<br />
caricatura ipersemplificata, una soggettività portata all’eccesso: la <strong>donna</strong> che vive con la performance di<br />
Elseve L’Orèal, o la giovane supermoderna della fine degli anni Ottanta, capace di conciliare casa e carriera,<br />
maternità e professionalità, fascino e intelligenza, che lavora in ufficio tutto il giorno, ma non dimentica di<br />
preparare una cena deliziosa per i suoi e di combattere quotidianamente contro le rughe e la cellulite. 6<br />
L’immaginario pubblicitario, dunque, rappresenta il cambiamento in corso in quell’epoca, ma lo fa<br />
usando simulacri che un po’ ne stemperano il risultato e ne banalizzano il significato. In fondo, <strong>dalla</strong><br />
<strong>pubblicità</strong> ci aspettiamo che non sia lo specchio della realtà, quanto piuttosto uno specchio distorto,<br />
direbbe Richard Pollay, che ne riflette solo alcune tendenze in modo perlopiù deformante 7 .<br />
Così, le immagini femminili della <strong>pubblicità</strong> degli anni Ottanta sono non tanto convenzionali nei<br />
contenuti, quanto irrigidite e mutilate nella forma e nelle identità rappresentate.<br />
In ogni caso, ci sono archetipi del femminile che rimangono quasi intatti nel tempo. Uno di questi è<br />
quello della mamma, che cambia pettinatura, foggia dei vestiti, ma non il ruolo centrale di dispensatrice di<br />
cura e affettività. <strong>La</strong> mamma della <strong>pubblicità</strong> è giovane e carina, se ha da fare non lo dà a vedere, vive in un<br />
villetta con giardino e ha due figli già in età scolare. L’aspetto più conservatore si percepisce nella relazione<br />
con il partner, di cui è anche madre, oltre che moglie e compagna.<br />
<strong>La</strong> “maternità” della figura femminile rispetto a quella maschile è piuttosto evidente negli annunci su<br />
stampa e, in particolare, nelle pose talvolta assunte dalle signore della <strong>pubblicità</strong> (Cfr. Fig. 6). Ma anche<br />
4<br />
Fabris G., <strong>La</strong> <strong>pubblicità</strong>. Teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 1992.<br />
5<br />
Pignotti L., Mucci E., Marchio & femmina. <strong>La</strong> <strong>donna</strong> inventata <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong>, Vallecchi, Firenze, 1978.<br />
6<br />
Canova G., op. cit.<br />
7<br />
Zanacchi A., Pubblicità: effetti collaterali. Riflessioni sulle conseguenze «involontarie» della <strong>pubblicità</strong>, Editori Riuniti, Roma, 2004.<br />
3
nella relazione con i figli (senza escludere l’ambito televisivo) sembra percepibile una certa rigidità di ruoli e<br />
funzioni.<br />
Una seconda figura femminile che attraversa imperterrita la storia della <strong>pubblicità</strong> è quella quasi<br />
opposta alla mamma, la <strong>donna</strong> sensuale e tentatrice, associata generalmente ai prodotti più diversi e<br />
spesso “oggettivata”, come nel caso classico della bionda delle <strong>pubblicità</strong> Peroni (Chiamami Peroni. Sarò la<br />
tua birra), recentemente rivisitato in una <strong>pubblicità</strong> televisiva dello Spot dell’auto Giulietta di Alfa Romeo<br />
(Guardami, toccami, accarezzami, sussurrami, prendimi, scuotimi, incitami, venerami, esaltami, sentimi,<br />
proteggimi, criticami, lasciami, amami, rilassami. Io sono Giulietta. Prima di parlare di me, provami). È un<br />
archetipo pubblicitario presente anche nei tanti annunci in cui l’associazione tra corpo (nudo) femminile e<br />
prodotto è più o meno pretestuosa. Basti pensare al caso (che ha fatto molto discutere) di una <strong>pubblicità</strong> su<br />
affissione degli abiti Swish, il cui payoff “Moda moda per donne donne” si accompagna a un visual in cui<br />
campeggia una grande immagine di Naomi Campbell nuda: il prodotto pubblicizzato è del tutto assente e il<br />
claim decisamente provocatorio (Cfr. Fig. 7)<br />
Figura 6. Una posa “materna” in un annuncio stampa di Jil Sander<br />
Figura 7. Un esempio di <strong>donna</strong> sensuale in un’affissione per gli abiti Swish<br />
4
<strong>La</strong> sua funzione, in questo caso, è di esca comunicativa, pretesto o elemento decorativo associato al<br />
prodotto. E gli esempi vecchi e nuovi a questo proposito certamente non mancano.<br />
In ogni caso, prevale nella <strong>pubblicità</strong> italiana la <strong>donna</strong>-corpo, presentata a pezzi e frammenti, in cui<br />
spesso la testa e, per traslazione, la mente, sono assolutamente secondarie. Quella di cui si mostrano<br />
gambe, mani, labbra, glutei e seni (Cfr. Fig. 8-9 e 10-11), ma non la figura per intero.<br />
Figure 8-9. Pezzi di corpi femminili in <strong>pubblicità</strong> su stampa<br />
Figure 10-11. Donne “decapitate” in <strong>pubblicità</strong> su stampa<br />
Quarti di <strong>donna</strong> associati ai prodotti più vari, ulteriore esempio di una rappresentazione della figura<br />
femminile quantomeno “parziale”.<br />
5
2. Pubblicità de-genere<br />
Oggi, quali “nuove” soggettività propone l’immaginario pubblicitario contemporaneo? È plausibile<br />
considerare la <strong>pubblicità</strong> un piccolo laboratorio di genere e riformulazione dei ruoli sessuali? 8 Cosa accade<br />
in un’epoca in cui, soprattutto a partire dagli anni Novanta, il rapporto tra <strong>donna</strong> e <strong>pubblicità</strong> è<br />
condizionato da alcuni trend sociali come quello che Giampaolo Fabris ha definito “femminilizzazione della<br />
società”, un fenomeno che si accompagna a quello per molti versi speculare dell’emancipazione della<br />
<strong>donna</strong>, e che si riflette in molti settori merceologici?<br />
<strong>La</strong> femminilizzazione della società, in particolare, potrebbe descrivere nuovi scenari, dal momente che<br />
da circa un ventennio valori, atteggiamenti e comportamenti considerati convenzionalmente femminili – e<br />
quindi valutati come inferiori in una cultura a forte egemonia maschile - si sono diffusi e sono divenuti<br />
tendenzialmente dominanti. 9 Ciò non significa che i rapporti di potere tra uomo e <strong>donna</strong> siano<br />
drasticamente e irrevocabilmente cambiati, ma che valori tradizionalmente femminili vengano condivisi<br />
<strong>dalla</strong> popolazione maschile, e siano promossi e legittimati socialmente, anche nella <strong>pubblicità</strong>. Basti<br />
pensare alla valorizzazione degli affetti e dei sentimenti, al ridimensionamento del primato del lavoro e<br />
della sua centralità nella definizione delle identità, al valore dell’intuizione rispetto alla deduzione, della<br />
dolcezza rispetto all’aggressività, della leggerezza in rapporto alla forza, della relazione con il corpo contro il<br />
suo uso strumentarle, dell’emozione rispetto alla razionalità.<br />
Le conseguenze più dirette in ambito commerciale e sociale sono sotto gli occhi di tutti. L’ingresso<br />
dell’uomo nel sistema della moda (tanto che ora spende più della <strong>donna</strong> per vestirsi), il decollo della<br />
cosmesi maschile, l’attenzione per l’estetica del corpo, il farsi carico di alcune incombenze della<br />
casalinghità, <strong>dalla</strong> cura dei figli, alle compere o la preparazione dei pasti. 10<br />
Anche per questo, non sono rare le <strong>pubblicità</strong> indirizzate a entrambi i generi che promuovano prodotti<br />
che combattano problemi un tempo considerati esclusivamente femminili, come quello dei peli superflui,<br />
(Cfr. Fig. 12) o della linea (Cfr. Fig. 13-14).<br />
Figura 12. <strong>La</strong> lotta ai peli superflui accomuna donne e uomini in una <strong>pubblicità</strong> di <strong>La</strong>sercare.<br />
8 Righetti P., “L’uomo sesso debole della <strong>pubblicità</strong>”, In Tendenze n. 27, 2003.<br />
9 Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, 2003.<br />
10 Ibidem.<br />
6
Figure 13-14. Pubblicità di prodotti per il dimagrimento maschile.<br />
Ciò si aggiunge a una certa femminilizzazione delle merci, evidente nel primato della leggerezza<br />
nell’alimentazione, nel successo di indumenti soffici (come quelli della linea Soft di Zegna o Tod’s), nella<br />
diffusione di automobili dalle forme arrotondate, nell’esplosione del colore e della morbidezza nell’arredo,<br />
ma anche nella femminilizzazione della tecnologia. Cellulari e pc rotondi e coloratissimi lo dimostrano. E<br />
sempre in questo contesto si colloca una certa femminilizzazione dell’uomo pubblicitario, che esprime più<br />
spesso e con meno pudore sentimenti considerati femminili come l’allegria o la riflessività (Cfr. Fig. 15-18).<br />
Uomini lontani dal modello del cowboy di Marlboro o da quello di chi non deve chiedere mai dello spot<br />
Denim After Shave del 1988.<br />
<strong>La</strong> contaminazione dei generi arriva talvolta (ma i casi non sono molti) a prefigurare l’immagine di un<br />
moderno Evo, uomo a metà tra Adamo ed Eva, in cui la componente maschile e quella femminile si<br />
fondono (Cfr. Fig. 19). Da qui al cortocircuito tra i generi il passo è breve. Sono sempre meno rare, quindi,<br />
quelle <strong>pubblicità</strong> (soprattutto di moda) che raffigurano identità dalle differenze sfumate: donne androgine<br />
e uomini effeminati, ma anche veri e propri transessuali. Dagli anni Novanta, in particolare, sono diventate<br />
più evidenti le somiglianze caratteriali, fisiche, nel ruolo familiare, affettivo e professionale, tra figure<br />
maschili e femminili. Prima ancora che <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong> questo trend è stato ben rappresentato da film<br />
come “Tacchi a spillo” di Almodovar (1991), “Orlando” (1992), “<strong>La</strong> Moglie Del Soldato” (1992), o anche dai<br />
personaggi dei romanzi della scrittrice Banana Yoshimoto, dall’aspetto effeminato di cantanti come Marylin<br />
Manson, il leader dei Placebo o quello dei Cure, ma anche <strong>dalla</strong> mascolinità di Skin degli Skunk Anancie.<br />
7
Fig. 15-18. Uomini emotivi e riflessivi.<br />
Figura 19. Un novello “Evo” in una <strong>pubblicità</strong> di Byblos.<br />
8
In <strong>pubblicità</strong>, l’ambiguità è mostrata con la raffigurazione di donne – poche e relegate generalmente<br />
negli annunci stampa delle <strong>pubblicità</strong> di moda - dall’aspetto maschile per foggia, atteggiamento o postura<br />
(Cfr. Fig. 20-23).<br />
Parallelamente, i modelli maschili mostrati negli spot o sulle riviste hanno sempre più spesso<br />
lineamenti delicati e femminili, corpi perfettamente curati o depilati, capelli tinti e visi marcatamente<br />
truccati (Cfr. Fig. 24-26).<br />
Figure 20-23. Donne mascoline in annunci stampa dei primi anni del 2000<br />
9
Figure 24-26. Uomini effeminati in annunci stampa dei primi anni del 2000<br />
Non stupisce quindi che i corpi pubblicitari di generi diversi talvolta si somiglino e i componenti di<br />
alcune coppie tendano a con-fondersi (Cfr. Fig. 27-29).<br />
Figure 27-29. Coppie pubblicitarie dai generi con-fusi<br />
A ciò si aggiunge un’altra tendenza percepibile nella <strong>pubblicità</strong> degli ultimi anni e leggibile, almeno in<br />
un certo senso, come femminilizzazione dell’uomo pubblicitario: quella della “scoperta” del corpo maschile.<br />
Una ricerca del 2001 di Harvard dal titolo “Il crescente valore commerciale del corpo maschile” ha rilevato<br />
che non ci sono più solo ragazze svestite negli annunci pubblicitari, ma anche uomini che occhieggiano<br />
10
denudati al pubblico femminile. 11 Ovviamente il nudo maschile in <strong>pubblicità</strong> non è una conquista, né una<br />
manifestazione del raggiungimento della parità dei sessi. Per esso possono essere mosse le stesse obiezioni<br />
avanzate per lo sfruttamento commerciale dell’immagine della <strong>donna</strong>. Tuttavia, sembra evidente che anche<br />
il corpo maschile sia diventato uno strumento per catturare l’attenzione.<br />
Come la <strong>donna</strong> in <strong>pubblicità</strong>, d’altronde, anche l’uomo è mostrato sempre più spesso svestito e senza<br />
testa, tutto muscoli e niente cervello, puro oggetto senza mente (Cfr. Fig. 30-31); nudo per promuovere<br />
prodotti che hanno qualche connessione con il corpo, come biancheria intima o cosmetici (Cfr. Fig. 32-34);<br />
ma anche in <strong>pubblicità</strong> in cui la presenza del corpo nudo è assolutamente pretestuosa.<br />
<strong>La</strong> “scoperta” del corpo maschile o la fusione e confusione tra generi sono però tendenze minoritarie.<br />
<strong>La</strong> rappresentazione antieroica dell’uomo, talvolta irriverente e irrispettosa, al pari di tante<br />
rappresentazioni femminili, è ancora limitata. Restano preponderanti, soprattutto in tv, le immagini di<br />
donne e uomini convenzionali, distorte e discutibili: corpi che si agitano avvinghiati a serpenti, seni che<br />
ballano al ritmo delle onde, nudi e quarti di <strong>donna</strong> a volontà, casalinghe contente di lavare il pavimento e<br />
uomini che non devono chiedere mai, in una continuità tra vecchio e nuovo che i tempi non sembrano<br />
mettere in discussione (Cfr. Fig. 35-37).<br />
Figure 30-31. Uomini “decapitati” in <strong>pubblicità</strong> su stampa<br />
11 Coyaud S., “E adesso spogliati. Come vendere divani, liquori, telefoni? Con un nudo. Maschile, però. È la nuova tendenza della<br />
<strong>pubblicità</strong> svelata da una singolare ricerca Usa”, su D di Repubblica, online all’indirizzo:<br />
http://d.repubblica.it/dmemory/2001/08/07/attualita/attualita/128ade263128.html<br />
11
Figure 32-34. Nudi maschili per la promozione di prodotti diversi<br />
Figure 35-37. Donne ed erotismo in <strong>pubblicità</strong> vecchie e nuove.<br />
Non è un caso che qualche <strong>pubblicità</strong> invochi maggiore veridicità nella rappresentazione di donne e<br />
uomini, come la bella campagna di Dove per una bellezza autentica (Cfr. 38-40). E non è casuale nemmeno<br />
che nei fantasiosi scorci del mondo ideale di Absolut Vodka si immagini un diverso equilibrio tra generi: un<br />
futuro in cui anche l’uomo possa restare “incinto” (Cfr. Fig. 41).<br />
12
Figure 38-40. Annunci della recente campagna di Dove in favore di una bellezza autentica.<br />
Non stupisce neppure che siano nate parodie della raffigurazione dei corpi femminili e maschili in<br />
<strong>pubblicità</strong> di movimenti antipubblicitari come Adbusters, che attacca l’ossessione femminile per la<br />
magrezza indotta anche dai modelli di bellezza presentati dall’advertising (Cfr. Fig. 42), ironizza<br />
sull’importanza attribuita dagli uomini ai propri genitali (Fig. 43), e si beffa della distanza tra estetica<br />
realistica e immagini pubblicitarie (Cfr. Fig. 44).<br />
13
Figura 41. Annuncio della campagna di Absolut Vodka del 2007 “In an absolut world”.<br />
Figure 42-44. Spoof ads di Adbusters<br />
Ormai, non ci stupiamo se la nostra percezione della bellezza è distorta, come si afferma nel video<br />
virale “Dove evolution” che ha vinto una sezione del festival di Cannes di qualche anno fa (Cfr. Fig. 45). È<br />
piuttosto evidente che la rappresentazione pubblicitaria sia, quasi per necessità, ipersintetica e<br />
stereotipica. Inoltre, anche quando prova a cimentarsi con immagini “diverse” di genere, sembra farlo in<br />
modo cauto e reticente, puntando soprattutto su un effetto vetrina o su un empowerment femminile tanto<br />
14
iperbolico quanto poco realistico, come nel caso delle donne vendicatrici di Campari o quelle di molte<br />
<strong>pubblicità</strong> di auto ossessionate <strong>dalla</strong> loro vettura, in una logica strumentale prevalentemente maschile.<br />
Anche l’interesse per le figure dell’ambiguità di genere, i transgender di Campari o la queer chic di<br />
<strong>La</strong>ncia Y, ha una consistenza tutto sommato debole, soprattutto nel panorama della <strong>pubblicità</strong> italiana<br />
televisiva. Più che rappresentazioni d’identità sessuali fluide e non convenzionali sembrano camuffamenti<br />
utili ad attirare l’attenzione, che rischiano di ridurre le variegate identità complesse a pure maschere<br />
estetiche, un concentrato di atteggiamenti e fogge iperboliche ed estremizzate. Un processo che già<br />
Goffman alla fine degli anni Settanta definiva di «iper-ritualizzazione», un’esagerazione scoperta, a volte<br />
ironica e a volte terribilmente seria, delle forme cerimoniali della differenza che fanno parte della nostra<br />
esperienza quotidiana.<br />
Figura 45. Fotogramma del video virale “Dove evolution”<br />
Ed è proprio questo il terreno su cui si innesta la ricerca presentata nelle pagine che seguono e che<br />
ha per obiettivo il censimento dei personaggi femminili e maschili, più o meno convenzionali, che popolano<br />
gli spot del nostro paese. Un’indagine volta a comprendere se le novità percepite, ma non rilevate<br />
sistematicamente, siano effettivamente diffuse. Un’analisi che si ispira ai pochi cardini della letteratura<br />
specifica sul tema, che trova in Goffman uno dei pilastri fondamentali, uno dei pochi sociologi classici a<br />
svolgere una ricerca su <strong>pubblicità</strong> e genere, un pensatore eccentrico rispetto agli studi del suo tempo,<br />
convinto che le forme mediatiche iper-ritualizzate siano un riflesso idealizzato delle differenze esistenti<br />
nella realtà sociale e non uno «specchio distorto» come voleva Polley. 12<br />
«In generale (…) i pubblicitari non creano le espressioni ritualizzate che usano. Essi al contrario sfruttano lo stesso<br />
corpus di esibizioni, lo stesso idioma rituale che funge da risorsa per tutti noi che partecipiamo alle situazioni sociali, e<br />
lo fanno con lo stesso scopo: rendere leggibile un’azione altrimenti ambigua. Il compito specifico dei pubblicitari sta<br />
nel rendere convenzionali le nostre convenzioni, stilizzare quanto è già stilizzato, fare un uso frivolo di immagini già<br />
ampiamente decontestualizzate. In breve le loro iperboli sono una forma di «iper-ritualizzazione». 13<br />
12<br />
Polley R.W., The Distorted Mirror: Reflections on the Unintended Consequences of Advertising, in «Journal of Marketing», 50,<br />
1986, pp. 18-36.<br />
13<br />
Goffman E., <strong>La</strong> ritualisation de la féminité, in «Actes de la recherche en sciences sociales», 14, 1977, pp. 34-50, tradotto da<br />
Sassatelli R., in <strong>La</strong> ritualizzazione della femminilità, in «Studi Culturali», 1, 2010, pp. 37-70, p. 68<br />
15
3. Una questione sociale e morale<br />
<strong>La</strong> rappresentazione del genere in <strong>pubblicità</strong> non è neutra. Ha un impatto profondo, che chiama in<br />
causa questioni etiche complesse e delicate. Già nel 1976, d’altronde, il sociologo canadese Erving Goffman<br />
scriveva:<br />
«I modelli proposti dai media e <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong> contribuiscono a definire il significato dell’appartenenza di genere,<br />
imponendosi con forza per il fatto di essere pubblicamente diffusi». 14<br />
Le conseguenze non sono irrilevanti se, come Goffman ha rilevato nel suo studio “Gender<br />
Advertisements” 15 , esiste una serie di modalità rappresentative ricorrenti nella <strong>pubblicità</strong> (a mezzo<br />
stampa), che ritraggono la <strong>donna</strong> in pose e atteggiamenti volti a simbolizzare la sua inferiorità sociale<br />
rispetto all’uomo.<br />
Gli studi di quello che può essere considerato, a buon diritto, uno dei sociologi più importanti, si sono<br />
concentrati per qualche tempo sul genere, poco dopo la metà degli anni Settanta. Egli ha messo a fuoco, in<br />
particolare, quelli che chiamava i «genderismi», ovvero i «codici di genere» con cui si costruiscono e<br />
stabilizzano le identità maschili e femminili nella quotidianità e nelle rappresentazioni sociali.<br />
Nel 1976 usciva in una prima versione Gender Advertisements sulla base del quale Goffman ha<br />
elaborato, lavorando soprattutto sul materiale visivo, un importante saggio sulla femminilità pubblicato nel<br />
1977 dagli “Actes de la Recherche en Sciences Sociales”. 16 Nello stesso anno, usciva The Arrangement<br />
between the Sexes sulla rivista “Theory and Society”, quella che forse può essere considerata la più<br />
completa riflessione goffmaniana sul genere. 17 Si tratta di un testo nel quale si sostiene che le differenze tra<br />
uomini e donne vengono costruite quotidianamente, all’interno del mercato del lavoro, negli orientamenti<br />
scolastici, nella divisione dei compiti in famiglia, ma anche attraverso una continua e permeante<br />
ritualizzazione cerimoniale che le rende immediatamente riconoscibili e contribuisce a consolidarle. I modi<br />
di rivolgersi all’altro in quanto soggetto codificato in base al genere, le forme di gestione del proprio corpo,<br />
il gioco della seduzione o quello degli sguardi e delle posizioni nella quotidianità, sono tutte forme<br />
ritualizzate che rinsaldano le differenze di genere, fissandone culturalmente la naturalità. 18<br />
Goffman analizza i percorsi con cui tali diversità cerimoniali vengono messe in scena dai media, <strong>dalla</strong><br />
<strong>pubblicità</strong> in particolare. 19 Così, con una diffusa ma non sistematica analisi di 827 fotografie pubblicitarie,<br />
rintraccia nei messaggi mediatici «lo stesso corpus di rappresentazioni, lo stesso idioma rituale che usiamo<br />
14<br />
Goffman E., Gender Advertisements, Harper and Row, New York, 1979; prima edizione in «Studies in the Anthropology of Visual<br />
Communication», 3, 1976, pp. 69-154.<br />
15<br />
Gender Advertisements è la decima monografia scritta da Erving Goffman sulla base di un articolo curato tre anni prima per una<br />
rivista di antropologia. Ne sono uscite due versioni: la prima pubblicata in «Studies in the Anthropology of Visual Communication»<br />
nel 1976, la seconda apparsa successivamente come saggio autonomo. <strong>La</strong> monografia contiene solo qualche piccola variante<br />
rispetto al testo precedente ed è stata stampata in due diverse edizioni: negli Stati Uniti è uscita per i tipi di Harvard University<br />
Press e Harper & Row e in Gran Bretagna per MacMillan. L’edizione statunitense è stata prefatta da Vivian Gornick e collegata alla<br />
florida riflessione femminista del tempo, con la speranza che avrebbe colto in Goffman «la convizione che sotto la superficie<br />
dell’ordinario comportamento sociale hanno quotidianamente luogo innumerevoli assassini della mente e dello spirito» (Gornick<br />
1979, ix). L’edizione inglese, invece, è stata curata da Richard Hoggart, uno degli autori di riferimento dei Cultural Studies<br />
britannici, che ha definito il libro «brillante e suggestivo» (Hoggart 1979, viii). Le prefazioni riflettono sia l’importanza di Goffman<br />
negli anni Settanta sia il carattere controverso delle incursioni del sociologo nel dominio degli studi di genere. Nel mondo<br />
anglosassone, il testo è stato un successo editoriale: ha registrato almeno tredici recensioni tra il 1979 e il 1982, quasi quanto<br />
Frame Analysis, ed è stato commentato e discusso in spazi prestigiosi, dal «New York Time Book Review» alle principali riviste<br />
accademiche. Mai tradotto in Italia, nel nostro paese ha costituito e costituisce comunque un punto di riferimento ineludibile degli<br />
studi di genere applicati alla <strong>pubblicità</strong> e di quelli sulla <strong>pubblicità</strong> che si occupano delle rappresentazioni sociali e dei loro “effetti<br />
collaterali”.<br />
16<br />
Goffman E., <strong>La</strong> ritualisation de la féminité, cit.<br />
17<br />
Goffman E., The Arrangement between the Sexes, in «Theory and Society», 4, 1977, pp. 301-332.<br />
18 Sassatelli R., op. cit.<br />
19 Ibidem.<br />
16
tutti noi mentre partecipiamo alle situazioni sociali, e con lo stesso scopo: rendere leggibile un’azione<br />
intravista». 20<br />
Lo studio effettuato non prevede un’analisi del contenuto di tipo tradizionale (almeno perché le sue<br />
categorie non sono mutualmente esclusive), né può essere considerata una vera e propria indagine<br />
semiotica. Non si ispira nemmeno a forti paradigmi critici quale quello psicoanalitico. Compie piuttosto<br />
un’analisi visuale originale, in cui al materiale iconografico è data un’importanza centrale per analizzare il<br />
cerimoniale sociale, sviluppando un approccio che affonda le proprie radici nella tradizione antropologica di<br />
Bateson e Mead 21 .<br />
L’ipotesi messa alla prova e convalidata da Goffman è che la rappresentazione pubblicitaria dei generi<br />
sia fortemente sbilanciata a favore degli uomini. Tra i risultati più interessanti c’è la cosiddetta funzione<br />
gerarchica, secondo cui la maggior parte delle <strong>pubblicità</strong> che mettono in scena uomini e donne evocano più<br />
o meno apertamente divisioni e gerarchie tradizionali tra i sessi: la <strong>donna</strong> appare più spesso in posizione<br />
subalterna o ancillare, l’uomo, la cui statura più elevata indica uno status superiore, è rappresentato in una<br />
postura protettiva, che cambia secondo il legame sociale – familiare, professionale, amoroso – che<br />
intrattiene con le sue partner (Cfr. Fig. 46-48).<br />
Si registra anche il fenomeno dell'estraneazione, rilevabile quando la <strong>donna</strong> è raffigurata distratta e poco<br />
coinvolta <strong>dalla</strong> situazione, affidata alla vigilanza e al controllo dell’uomo. A questo proposito, il sociologo<br />
scrive:<br />
«Più degli uomini, le donne ci vengono mostrate in disposizioni che le allontanano mentalmente <strong>dalla</strong> situazione<br />
sociale ambientale, le lasciano disorientate in e verso di essa e dunque, apparentemente, in balia della protezione e<br />
della benevolenza eventualmente attuate dagli altri partecipanti (presenti o possibili).<br />
D’altra parte, quando una persona perde il controllo della sua espressione facciale, quando la sua emozione (riso o<br />
timidezza) «straripa», essa ha, per dissimulare in parte il suo cedimento, la risorsa di girarsi rispetto agli altri o di<br />
coprirsi il viso, in particolare la bocca, con le mani. Qui si tratta della ritualizzazione di un gesto associato all’infanzia»<br />
(Cfr. Fig. 52-55)<br />
Fig. 46-48. Esempi di funzione gerarchica tra gli annunci pubblicitari studiati da Goffman<br />
20<br />
Goffman E., Gender Advertisements, cit., p. 84.<br />
21<br />
Bateson G., Mead, M., The Balinese Character, New York Academy of Science, New York, 1942.<br />
17
Fig. 49-51. Esempi di sottomissione femminile negli annunci di Goffman<br />
Fig. 52-55. Esempi di estraniazione negli annunci di Goffman<br />
18
Altro esito interessante è quello relativo al tocco femminile, ossia alla tendenza delle donne<br />
pubblicitarie a sfiorare col dito o con la mano i contorni di un oggetto che stringono al seno o di cui accarezzano<br />
la superficie. Si tratta di «un tocco ritualizzato che conviene distinguere <strong>dalla</strong> varietà<br />
strumentale, quella che afferra, manipola e trattiene. Quando al contrario la <strong>donna</strong> tocca se stessa, sembra<br />
che il suo scopo sia far sentire il suo corpo come una cosa delicata e preziosa.» 22 (Cfr. Fig. 56-59)<br />
Fig. 56-59. Esempi di tocco femminile negli annunci di Goffman<br />
In ogni caso, dall’analisi di Goffman emergono figure maschili forti e protettive e figure femminili<br />
docili, sottomesse, emotive, infantili. Si rileva anche una relazione fortemente sbilanciata in favore del<br />
“sesso forte”. Unica parziale (ma solo apparente) inversione dei ruoli è nella rappresentazione dello spazio<br />
familiare, ambito in cui la <strong>donna</strong> è ritratta come colei che si prende maggiormente cura degli altri e l’uomo<br />
come colui che svolge una funzione protettiva.<br />
In conclusione, comunque, Goffman sostiene:<br />
«a conti fatti, il lavoro del pubblicitario che deve mettere in scena il valore del suo prodotto non è così distante dal<br />
lavoro di una società che riempie le proprie situazioni sociali di cerimoniali e di segni rituali destinati a facilitare<br />
l’orientamento reciproco dei partecipanti. L’uno e l’altra devono raccontare una storia tramite limitate risorse<br />
«visuali» offerte dalle situazioni sociali. Devono entrambi tradurre accadimenti opachi in una forma facilmente<br />
22 Ibidem, p. 61.<br />
19
interpretabile; ed entrambi per farlo usano gli stessi processi fondamentali: ostentazione (display) delle intenzioni,<br />
organizzazione micro-ecologica della struttura sociale, tipizzazioni approvate, esteriorizzazione gestuale di ciò che può<br />
sembrare una reazione intima» 23 .<br />
Ne deriva la non neutralità della rappresentazione dei generi in <strong>pubblicità</strong>. Una questione che chiama<br />
in causa considerazioni sociali e morali e richiede analisi scientifiche più approfondite e, soprattutto,<br />
aggiornate alla luce della più recente produzione pubblicitaria. L’analisi è urgente soprattutto a proposito<br />
delle tv, un mezzo che ha un raggio di diffusione e, conseguentemente, un potere d’influenza decisamente<br />
maggiori rispetto alla stampa. Di qui la ricerca che segue.<br />
4. Nota metodologica<br />
Considerando la panoramica fatta sui trend dell’iconografia pubblicitaria dei generi e gli esiti della<br />
ricerca di Goffman come precedente eccellente, ma eccentrico da un punto di vista metodologico, abbiamo<br />
svolto un’indagine originale sulla rappresentazione dei generi negli spot tv.<br />
<strong>La</strong> <strong>pubblicità</strong> televisiva è un ambito non semplice da indagare. Presuppone, anche solo per isolare un<br />
campione di spot vagamente rappresentativo di un periodo di tempo prestabilito, la registrazione di ore di<br />
programmazione e la conseguente visione di tutto il repertorio raccolto. Inoltre, all’isolamento di<br />
commercial dal resto del palinsesto deve seguire la selezione delle <strong>pubblicità</strong> uniche, non ripetute cioè nel<br />
periodo considerato. Ciò richiede la visione di tutto il materiale visivo e la costruzione di un database che<br />
aiuti l’organizzazione del lavoro 24 .<br />
Nonostante il percorso non semplice, abbiamo realizzato una ricerca originale, tesa a indagare, con<br />
uno studio <strong>dalla</strong> natura prevalentemente esplorativa, se e in che misura gli stereotipi di genere individuati<br />
nelle passate indagini esistano, siano diffusi e siano eventualmente affiancati da nuovi trend di<br />
rappresentazione della figura femminile, nella <strong>pubblicità</strong> delle reti televisive generaliste.<br />
Gli obiettivi conoscitivi perseguiti, il contesto empirico e i paradigmi teorici di riferimento, hanno<br />
guidato la stesura del disegno della ricerca. Poiché è stato necessario delimitare l’oggetto specifico<br />
d’indagine, si è scelto di analizzare i contenuti televisivi delle sei principali reti generaliste italiane: Rai 1, Rai<br />
2, Rai 3, Rete 4, Canale 5 e Italia 1, considerando la programmazione compresa tra le 8 di mattina e le 2 di<br />
notte.<br />
Si è deciso poi di selezionare tre giorni infrasettimanali, compresi tra febbraio e marzo 2011, a distanza<br />
di almeno una settimana uno dall’altro 25 . Le giornate selezionate sono state il 14 febbraio, il 22 febbraio e il<br />
2 marzo. Di queste abbiamo considerato gli spot unici, escludendo tutte le ripetizioni individuate nel<br />
periodo considerato. Ne deriva che, chiaramente, il 14 febbraio è il giorno in cui si registra un numero<br />
maggiore di annunci non ripetuti, pari a 255. 26<br />
Per quanto riguarda la tipologia di spot considerati, abbiamo valutato solo quelli commerciali,<br />
escludendo dunque le <strong>pubblicità</strong> politiche, sociali, pubbliche o religiose, che hanno formati e caratteristiche<br />
talvolta differenti e sono, comunque, numericamente residuali.<br />
23 Goffman E., <strong>La</strong> ritualisation de la féminité, tradotto da Sassatelli R., in <strong>La</strong> ritualizzazione della femminilità, cit., p. 57.<br />
24 Il materiale audiovisivo è stato gentilmente offerto dall’Osservatorio GEMMA (Gender and Media Matters) del Dipartimento di<br />
Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. L’Osservatorio, diretto <strong>dalla</strong> Prof.ssa Milly Buonanno, sta conducendo un’analisi<br />
della rappresentazione delle figure maschili e femminili nei diversi “generi” televisivi italiani.<br />
25 Lo abbiamo fatto per avere una maggiore varietà di spot, le cui campagne hanno una durata minima di due settimane. Per<br />
questo, abbiamo selezionato un lunedì di una settimana di febbraio, un martedì della settimana successiva e un mercoledì di quella<br />
seguente, che cadeva all’inizio di marzo.<br />
26 <strong>La</strong> ripartizione non è tuttavia particolarmente significativa, poiché esclude nei giorni diversi dal primo gli annunci già andati in<br />
onda il 14 febbraio.<br />
20
<strong>La</strong> tecnica d’indagine prescelta è stata l’analisi del contenuto, quella che Bernard Berelson definisce<br />
come una tecnica di ricerca per la descrizione obiettiva, sistematica e quantitativa del contenuto manifesto<br />
della comunicazione. È questa una definizione classica, che ha però qualche limite: l’analisi del contenuto,<br />
infatti, di obiettivo non ha che l’oggetto e le procedure di ricerca, che possono essere ripetibili e<br />
standardizzabili; viene speso utilizzata non per rilevare il contenuto manifesto di un messaggio, bensì quello<br />
latente; non è nemmeno una tecnica vera e propria, ma un insieme di tecniche; e il concetto di descrizione<br />
è suscettibile di qualche perplessità, perchè gli atti comunicativi non sono mai univoci, ma plurivoci ed<br />
equivoci, quindi di difficile descrizione. Pertanto, abbiamo considerato l’analisi del contenuto come un mix<br />
tra l’approccio “classico” di Berelson, legato all’analisi interpretativa del testo sulla base di categorie (exante<br />
o ex-post), e l’analisi testuale di tipo lessicometrico 27 . In ogni caso, possiamo definire l’analisi del<br />
contenuto come:<br />
«un insieme di metodi che sono orientati al controllo di determinate ipotesi su fatti di comunicazione e che a tale<br />
scopo utilizzano procedure di scomposizione analitica e di classificazione, normalmente a destinazione statistica, di<br />
testi e di altri insiemi simbolici» 28<br />
Alla base della metodologia selezionata ci sono state due considerazioni preliminari: l’opportunità<br />
dell’assunzione di una prospettiva tipica delle scienze sociali e la necessità di un approccio multidisciplinare.<br />
Questa scelta di campo ha portato all’utilizzo di una particolare procedura di analisi del contenuto, quella<br />
dell’analisi come inchiesta.<br />
Effettuata la scelta della metodologia è stato costruito lo strumento di ricerca, ossia una scheda<br />
d’indagine, contenente una successione ordinata di domande con cui sono stati interrogati gli spot<br />
televisivi. Ciascuna voce della scheda corrispondeva a una variabile che, a sua volta, costituiva la definizione<br />
operativa di una proprietà considerata rilevante ai fini della ricerca.<br />
Le domande della scheda sono state collocate nelle seguenti aree tematiche:<br />
caratteristiche generali della testata tv (emittente, fascia oraria, data di registrazione)<br />
caratteristiche generali dello spot (inserzionista, categoria merceologica, tipo di <strong>pubblicità</strong>)<br />
caratteristiche formali dello spot (durata, tipo di registro, presenza di musica suoni rumori,<br />
bodycopy, slogan, speaker, ecc.)<br />
caratteristiche contenutistiche dello spot (ambientazione spaziale e temporale, numero e<br />
tipologie dei personaggi)<br />
censimento dei personaggi (elenco di tutti i personaggi e analisi delle loro caratteristiche)<br />
valutazioni conclusive (indicazione dell’eventuale presenza di segni di empowerment<br />
femminile o di femminilizzazione dei ruoli maschili, presenza di donne mascoline e uomini<br />
effeminati, presenza di corpi nudi) 29<br />
<strong>La</strong> scheda ha permesso di raccogliere molti dati, la cui analisi ha dato esiti sempre interessanti e<br />
talvolta inaspettati. In ogni caso, è stata utile per confermare la nostra ipotesi di partenza, ossia che gli spot<br />
televisivi replichino in larga misura i trend di raffigurazione dei generi tipici della stampa e riproducano gli<br />
stessi “vizi” registrati da vecchie analisi come quella di Goffman, contribuendo a diffondere immagini di<br />
donne pubblicitarie ipersemplificate e stereotipiche.<br />
27<br />
Tuzzi A., 2003, L'analisi del contenuto. Introduzione ai metodi e alle tecniche di ricerca, Carocci, Roma.<br />
28<br />
Rositi F., «L’analisi del contenuto», in Rositi F. e Livolsi M. (a cura di), <strong>La</strong> ricerca sull’industria culturale, <strong>La</strong> Nuova Italia Scientifica,<br />
Roma, 1988.<br />
29<br />
L’articolo 9 si riferisce alla presenza di «affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la<br />
sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti» e il 10 a quella di contenuti potenzialmente offensivi<br />
di convinzioni morali, civili e religiose.<br />
21
5. I primi risultati<br />
Il nostro campione, ossia l’insieme degli spot unici selezionati nei giorni e negli orari prescelti, è pari a<br />
573 commercial. Il totale degli spot delle sei reti televisive (senza l’esclusione delle ripetizioni) è pari invece<br />
a 4706. Ciò vuol dire che il nostro campione costituisce poco più dell’8% dell’universo analizzato.<br />
<strong>La</strong> ripartizione dei singoli annunci selezionati nelle diverse reti televisive, che risente comunque<br />
dell’ordine di valutazione degli spot unici a partire da Rai 1, vede al primo posto la rete Mediaset indirizzata<br />
al target più giovane, seguita da Rai 1, Rete 4, Canale 5, Rai 2 e Rai 3 (Cfr. Fig. 60).<br />
<strong>La</strong> quota complessiva di spot Mediaset è pari quasi al 60% del totale, a fronte di poco più del 40% per<br />
gli spot Rai.<br />
Fig. 60. <strong>La</strong> distribuzione degli spot tra le diverse reti considerate (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Per quanto riguarda le fasce orarie prevalenti, poi, domina quella mattutina con ben il 43% del<br />
campione (Cfr. Fig. 61). In ultima posizione, prevedibilmente, la fascia notturna (che terminava nel nostro<br />
caso alle 2 di notte). Con buona probabilità, comunque, l’esito della distribuzione è stato condizionato <strong>dalla</strong><br />
diversa estensione delle fasce orarie considerate. In altre parole, è piuttosto evidente che la fascia preserale<br />
contenga un numero di spot decisamente inferiore rispetto a quella mattutina, perché ha<br />
un’estensione considerevolmente minore. Al tempo stesso, la distribuzione è stata certamente influenzata<br />
anche dall’ordine cronologico degli spot unici considerati. Avendo escluso le ripetizioni a partire <strong>dalla</strong><br />
visione di commercial mattutini, è probabile che siano stati scartati soprattutto quelli nelle fasce<br />
pomeridiane e serali.<br />
22
Fig. 61. <strong>La</strong> distribuzione degli spot nelle fasce orarie considerate (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Per quanto riguarda i settori merceologici dei prodotti promossi negli spot, al primo posto troviamo<br />
quelli del comparto alimentare, che occupano oltre un quarto del campione. Seguono igiene e cura della<br />
persona, automobili, giocattoli e telefonia (Cfr. Fig. 62).<br />
Tra gli inserzionisti si colloca al primo posto l’azienda Giochi Preziosi, con 10 spot unici differenti, al<br />
secondo Kellogg’s, con 9, al terzo, Kinder, L’Orèal, Opel e Mulino Bianco, con 8 spot ciascuno. Ha 7 casi,<br />
invece, Chevrolet. È abbastanza evidente, comunque, che gli inserzionisti più presenti nel nostro campione<br />
siano tutte grandi aziende, in larga parte operanti nel mercato internazionale, i cui settori merceologici<br />
compaiono al primo posto della nostra classifica.<br />
Per quanto riguarda il formato degli spot, prevale quello classico da 30 secondi, in quasi il 40% dei<br />
casi. Segue il formato breve di 15 secondi e quello intermedio di 20. Quasi del tutto assenti, invece, gli spot<br />
lunghi da 60 secondi, un tempo decisamente più diffusi, ma ridotti forse anche in virtù della recessione<br />
economica e della conseguente contrazione degli investimenti pubblicitari (Cfr. Fig. 63).<br />
Non stupisce poi la presenza, nel 100% dei casi, del registro visivo come codice dello spot, né<br />
colpisce la percentuale leggermente ridotta dei compresenti codici sonoro e verbale: può accadere, infatti,<br />
che una <strong>pubblicità</strong> in tv comunichi solo per immagini, ma sarebbe decisamente anomalo se usasse solo<br />
audio o testo verbale, senza alcuna dimensione visiva (Cfr. Fig. 64).<br />
D’altronde, nel 95% dei casi, gli spot hanno suoni o rumori di sottofondo (Cfr. Fig. 65) e<br />
generalmente si tratta di musica strumentale per oltre la metà del campione (Cfr. Fig. 66). 30 È un dato,<br />
questo, che rivela la funzione prevalente di “colonna sonora”, per natura dotata di una forte connotazione<br />
simbolica. Non prevale, infatti, nel nostro campione, il jingle, quel motivetto fortemente caratterizzato il cui<br />
scopo è generalmente esprimere la mission aziendale (come “Belté, Beltè, più buono proprio non ce n’è”),<br />
o rendere memorizzabili marca o prodotto quando accompagna in chiusura il logo aziendale (come le due<br />
note sorde per il marchio AUDI), con una funzione quasi sempre paratestuale rispetto allo spot vero e<br />
proprio. 31<br />
30 Il totale non fa cento perché era possibile indicare più di un’opzione di risposta.<br />
31 Campanino M., Il sonoro nello spot pubblicitario: tipi, funzioni e contributi di senso, Quaderni del Dipartimento di Scienze della<br />
Comunicazione, Università degli Studi di Salerno, 2006-2007.<br />
23
Fig. 62. I prodotti merceologici (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Fig. 63. <strong>La</strong> durata (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
24
Fig. 64. I codici usati (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Fig. 65. Presenza di suoni o rumori di sottofondo (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
25
Fig. 66. Tipologie di suoni o rumori (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Non è predominante neanche il cosiddetto “sonoro da impatto”, quello che indipendentemente<br />
dall’essere originale o meno, partecipa al testo pubblicitario come elemento “narrativo” o di commento.<br />
Gli spot che ricorrono a brani musicali contemporanei, poi, costituiscono meno del 10% del<br />
campione. <strong>La</strong> loro funzione principale è l’aggancio all’attualità culturale, la volontà di definire il prodotto<br />
pubblicizzato come nuovo e aggiornato, il desiderio di esaltare la riconoscibilità e la memorabilità del<br />
comunicato, di indicare che l’azienda o il prodotto sono ancorati al presente, soprattutto quando si<br />
rivolgono a un target giovanile. 32 Nel nostro campione, è questo il caso degli spot dei gestori di telefonia<br />
mobile, che rivolgendosi a consumatori generalmente giovani e rinnovando frequentemente le proprie<br />
offerte, si adeguano molto velocemente al gusto musicale corrente, in modo da puntare sulla novità e<br />
attualità del proprio brand e dei propri servizi.<br />
Nella maggior parte degli spot analizzati, comunque, il sonoro ha un ruolo più decorativo che<br />
narrativo. È posto generalmente in secondo piano, come elemento di sfondo, “tappezzeria” musicale. Non<br />
s’impone alla percezione dell’ascoltatore, ma, al contrario, è scelto proprio per passare inosservato, per<br />
riempire e decorare l’ambiente visivo e verbale dello spot. 33 Di qui la prevalenza di musiche strumentali<br />
talvolta note, come quelle di Allevi o Einaudi, altre volte composte ad hoc o difficilmente riconoscibili, che<br />
servono per orientare l’attenzione dei fruitori verso le componenti visivo-verbali dello spot, pur<br />
contribuendo a costruire il senso complessivo del messaggio.<br />
Coerente con questo risultato è l’esito dell’analisi delle ambientazioni spaziali e temporali degli spot<br />
analizzati. Nella maggior parte dei casi si tratta di luoghi e tempi attuali o indefiniti, funzionali, con buona<br />
32<br />
In ogni caso, il fattore contemporaneità non è facile né scontato: «dipende <strong>dalla</strong> competenza enciclopedica dell’ascoltatore, dagli<br />
aspetti musicali del brano (un sound elettronico piuttosto che acustico) o ancora <strong>dalla</strong> conoscenza pregressa del brano presso<br />
l’ascoltatore. Inoltre, per alcuni particolari target che consumano notevoli quantità di musica, ad esempio i teen-ager,<br />
l’obsolescenza (e la conseguente definizione di “vecchio”) è un processo più accentuato che in altri, per cui potrebbe venir<br />
percepito come tale un brano uscito da pochi mesi». Ibidem.<br />
33<br />
Campanino M., op. cit.<br />
26
probabilità, a enfatizzare la centralità del prodotto o del brand, rispetto a elementi di scenario, e a esaltare<br />
l’attualità del contesto e della narrazione (Cfr. Fig. 67-68).<br />
Sebbene indistinte, le ambientazioni spaziali e temporali prevalenti hanno una connotazione<br />
essenzialmente realistica, soprattutto nel caso di categorie merceologiche come quella alimentare e dei<br />
prodotti per l’igiene della casa, che tendono a richiamare esigenze e problemi legati alla quotidianità.<br />
A proposito della tipologia degli spazi in cui lo spot è ambientato, continua a prevalere la<br />
dimensione dell’indeterminatezza, ma non è trascurabile il numero di commercial legati a contesti urbani o<br />
metropolitani (Cfr. Fig. 70). Se l’ambientazione indefinita permette di focalizzare l’attenzione sul prodotto,<br />
a prescindere dal contesto in cui è collocato, quella urbana e metropolitana è funzionale alle narrazioni<br />
legate alla rappresentazione di stili o momenti di vita, quelle slice of life tipiche di buona parte della<br />
<strong>pubblicità</strong> contemporanea.<br />
L’ambientazione urbana, in particolare, è rilevante negli spot che mettono in scena le relazioni<br />
professionali e sociali, come quelli di prodotti di business, servizi bancari, telefonia, bevande alcoliche o<br />
analcoliche. L’ambientazione indefinita, invece, prevale per i commercial che puntano sulla dimensione<br />
informativa, utile per promuovere servizi o prodotti come quelli farmaceutici o per l’igiene personale.<br />
Fig. 67. Ambientazione temporale dello spot 34 (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
34<br />
Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.<br />
27
Fig. 68. Ambientazione temporale dello spot 35 (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Fig. 69. Contempo spaziale prevalente 36 (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
35<br />
Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.<br />
36<br />
Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.<br />
28
Per quanto riguarda i luoghi specifici di ambientazione degli spot analizzati, prevalgono interni ed<br />
esterni di abitazioni, seguiti da interni ed esterni di spazi imprecisati (Cfr. Fig. 70). Seguono, con percentuali<br />
contenute, ma non irrilevanti, spazi pubblici, commerciali o di lavoro. <strong>La</strong> variabilità registrata è certamente<br />
legata alle tipologie di prodotti o servizi pubblicizzati. Non a caso, il comparto food è promosso soprattutto<br />
in contesti domestici ben riconoscibili, così come le bevande analcoliche, l’arredamento, l’elettronica di<br />
consumo e i prodotti per l’igiene della casa. Gli spot di giocattoli sono ambientati soprattutto in luoghi di<br />
fantasia o interni indefiniti. I commercial di prodotti per l’igiene della persona, ma anche quelli di servizi<br />
bancari, sono legati soprattutto a interni imprecisati, mentre le automobili a spazi pubblici, come le strade.<br />
È questo un risultato che sembra piuttosto scontato, ma che rivela una certa preferenza per spazi<br />
neutri o familiari, che non offuschino il messaggio dello spot, ma che (come per la musica) abbiano una<br />
funzione di contesto, di elemento portante, ma neutro, del tessuto narrativo.<br />
Fig. 70. Luoghi d’ambientazione prevalenti 37 (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Se queste sono le prime informazioni generali che danno solo l’idea della distribuzione e delle<br />
caratteristiche di base (in larga misura prevedibili) degli spot analizzati, altri dati si avvicinano<br />
maggiormente all’ambito di nostro interesse, quello della rappresentazione del genere nella <strong>pubblicità</strong>. Per<br />
esempio, se in quasi il 90% degli spot è presente una voce off, cosa che non stupisce, è interessante rilevare<br />
che questa è, in oltre due terzi dei casi, una voce maschile (Cfr. Fig. 71). Il dato colpisce soprattutto alla luce<br />
dell’alta presenza (che vedremo) di personaggi femminili negli spot analizzati, e per la funzione che<br />
tradizionalmente ha la voce fuori campo, di garanzia e rassicurazione. Una funzione che sembra<br />
confermata, d’altronde, <strong>dalla</strong> fascia d’età prevalente dello speaker, che è quella adulta quasi nell’80% dei<br />
casi (Cfr. Fig. 72). Comunque, la voce off ha il merito di rendere evidente lo scontro tra linguaggio verbale e<br />
linguaggio iconico. Nata come strumento retorico apparentemente neutro e oggettivo, a una lettura<br />
37<br />
Il totale è superiore a 100, perché la domanda prevedeva più opzioni di risposta.<br />
29
attenta rivela la sua funzione interpretativa e classificatoria, che “parla” del rapporto che l’emittente vuole<br />
stabilire con lo spettatore.<br />
Fig. 71. Genere della voce off (valori percentuali)<br />
Base dati: 515 casi<br />
Fig. 72. Fascia d’età della voce off (valori percentuali)<br />
Base dati: 515 casi<br />
A questo proposito è interessante anche l’associazione tra genere della voce off e categoria<br />
merceologica del prodotto pubblicizzato (Cfr. Fig. 73). <strong>La</strong> voce maschile prevale in quasi tutti i settori,<br />
talvolta in modo schiacciante. Domina non solo per prodotti che avremmo associato a target maschili,<br />
come quelli del comparto dell’elettronica di consumo o i servizi bancari e assicurativi, ma anche, per<br />
esempio, a proposito del cibo, in cui le voci di uomini sono doppie rispetto a quelle di donne. Domina anche<br />
nelle <strong>pubblicità</strong> di prodotti di igiene per la casa, quelli in cui più frequente è la presenza di personaggi<br />
femminili. Questo è spiegabile, in parte, con il fatto che le sostanze detergenti e pulenti devono essere forti<br />
30
e vigorose, caratteristiche considerate tipicamente maschili, quindi associate a voci di uomini nel caso in cui<br />
i detersivi “parlino”. Al tempo stesso, «anche quando il prodotto non parla come un personaggio la voce off<br />
per il commento finale è quasi sempre maschile». 38<br />
Fig. 73. Relazione tra genere della voce off e categoria merceologica (valori percentuali)<br />
Base dati: 515 casi<br />
Tra le poche eccezioni alla prevalenza di voci maschili c’è quella degli spot di bevande analcoliche,<br />
in cui le donne sono il doppio degli uomini, a fronte però dei commercial di bevande alcoliche in cui il 100%<br />
del fuoricampo è affidato a voci maschili. Altri casi anomali in cui l’uomo non prevale come voce guida sono<br />
quelli delle <strong>pubblicità</strong> di prodotti farmaceutici o di giocattoli: nel primo caso, dominano i toni maschili con<br />
38<br />
Giaccardi C., I luoghi del quotidiano. Pubblicità e costruzione della realtà sociale, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 118.<br />
31
uno scarto ridotto rispetto a quelli femminili, nel secondo le voci fuori campo si dividono esattamente a<br />
metà tra uomini e donne.<br />
Interessante il fatto che l’unico settore merceologico in cui le donne prevalgono sugli uomini, anche<br />
se per poco, sia quello dei prodotti per l’igiene personale. È un risultato che non stupisce, considerando la<br />
prevalenza di spot indirizzati, in questa categoria merceologica, soprattutto alle donne, come se fossero<br />
quelle che più hanno bisogno di prodotti che eliminino rughe, difetti, brufoli o cattivi odori 39 .<br />
Inoltre, non sembra un caso che per gli alcolici le voci siano quasi esclusivamente maschili,<br />
considerata la maggiore diffusione di tali bevande tra gli uomini. Così come non stupisce che le <strong>pubblicità</strong> di<br />
giocattoli siano affidate equamente a donne e uomini, forse anche a seconda del tipo di gioco pubblicizzato<br />
e del target cui è indirizzato. D’altronde, anche le <strong>pubblicità</strong> di automobili, prodotto considerato più<br />
maschile che femminile, nonostante l’uso non sia drasticamente sbilanciato a favore degli uomini, sono<br />
accompagnate da voci maschili in 9 casi su 10.<br />
Il dato sull’associazione tra genere della voce fuori campo e categoria merceologica è interessante,<br />
in ogni caso, soprattutto alla luce dei risultati che vedremo nelle pagine successive. Le voci off, con il loro<br />
potere di orientamento e rassicurazione, sono soprattutto maschili, ma i personaggi presenti negli spot<br />
sono essenzialmente femminili. È come se le donne che “abitano” le <strong>pubblicità</strong> televisive avessero una<br />
funzione accessoria o decorativa rispetto al prodotto, e gli uomini ricoprissero il fondamentale ruolo di<br />
guida autorevole dei comportamenti dei personaggi sullo schermo e (idealmente) del pubblico a casa.<br />
6. Il censimento dei personaggi<br />
L’analisi del contenuto effettuata non permette di andare molto in profondità nello studio degli spot<br />
selezionati, ma consente di raccogliere dati generali, quali quelli relativi al numero, la tipologia, le funzioni e<br />
le caratteristiche dei personaggi presenti nel nostro campione. <strong>La</strong> ricerca rivela, così, che dei 573 spot<br />
analizzati 486 sono popolati da personaggi di vario tipo, un numero pari a quasi l’85% del campione (Cfr.<br />
Fig. 74).<br />
In questi spot i personaggi registrati sono complessivamente 1240, con una media di due personaggi e<br />
mezzo a <strong>pubblicità</strong>. Abbiamo escluso dall’analisi tutti quei casi in cui comparivano masse folte e indistinte di<br />
individui, magari riprese solo per un istante, per le quali la rilevazione di caratteristiche specifiche sarebbe<br />
stata difficile e probabilmente anche poco significativa. Ci siamo concentrati, quindi, sul totale dei<br />
personaggi riconoscibili, che abbiamo distinto in protagonisti, rilevanti ma non protagonisti, secondari o di<br />
sfondo, a seconda della visibilità e del ruolo ricoperto nello spot.<br />
I protagonisti sono risultati la compagine più numerosa, pari a 648 individui, a fronte di 337 personaggi<br />
rilevanti ma non protagonisti, e 255 personaggi secondari o di sfondo (Cfr. Fig. 75).<br />
39<br />
Certo, molto dipende in questi casi dai target delle <strong>pubblicità</strong> considerate. I prodotti per l’igiene della persona indirizzati alle<br />
donne sono molto più numerosi e diffusi di quelli per uomo. Tuttavia, l’effetto complessivo che se ne ricava è quello dell’esistenza<br />
di donne che più degli uomini hanno bisogno di prodotti igienici.<br />
32
Fig. 74. Presenza negli spot di almeno un personaggio (valori percentuali)<br />
Base dati: 573 casi<br />
Fig. 75. Numero dei personaggi censiti (valori percentuali)<br />
Base dati: 1240 casi<br />
Quando non compaiono da soli, cosa che accade in 196 spot, i personaggi considerati nel loro<br />
complesso intrattengono relazioni soprattutto socio-amicali o familiari, in particolare tra genitori e figli (Cfr.<br />
Fig. 76). Anche in questo caso esiste una correlazione prevedibile tra categoria merceologica e tipologia di<br />
relazione, tanto che i rapporti amicali dominano nelle <strong>pubblicità</strong> di bevande alcoliche, giocattoli o<br />
compagnie telefoniche e quelli familiari sono più diffusi negli spot di prodotti alimentari, farmaceutici e per<br />
l’igiene della casa; tutti ambiti in cui viene spesso chiamata in causa la funzione protettiva e di cura dei<br />
genitori nei confronti dei figli.<br />
33
Fig. 76. Tipologia di relazioni tra i personaggi (valori percentuali)<br />
Base dati: 1044 casi<br />
Esiste comunque una distribuzione piuttosto equilibrata tra le tipologie di relazione prescelte, che<br />
vede distaccarsi dagli altri risultati sono quella tra esercente e acquirente.<br />
I personaggi rappresentati negli spot, tuttavia, non sono sempre umani. 61 di questi, infatti, sono<br />
classificati come personaggi di fantasia: si tratta di meno del 5% del campione, una quota che raccoglie in<br />
quasi la metà dei casi prodotti o oggetti antropomorfizzati (come la polvere della <strong>pubblicità</strong> Swiffer),<br />
personaggi animati in quasi un terzo del campione e animali antromorfizzati per la quota restante.<br />
Gli stessi personaggi umani censiti, poi, sono distinti in comuni, autorevoli ma non famosi (come il<br />
classico medico o dentista di alcune <strong>pubblicità</strong>) o famosi. Nel nostro campione prevalgono i personaggi<br />
comuni, i consumatori come noi, le persone che potremmo o vorremmo essere, seguiti da testimonial<br />
famosi prima, garanti autorevoli poi (Cfr. Fig. 77). Tra i personaggi famosi ricorrono più spesso comici come<br />
Marco Mazzocca, Giorgio Panariello, Teresa Mannino o Geppi Cucciari, attori internazionali come Uma<br />
Thurman o Reese Whiterspoon, conduttori o showman/showgirl italiani come Antonella Clerici, Elisabetta<br />
Canalis o Fiorello, o sportivi come Francesco Totti e Fiona May. Prevalgono a un’analisi più approfondita le<br />
donne, nel ruolo di attrici, conduttrici o showgirl, valorizzate per una fama legata, oltre che a una certa<br />
abilità, anche a una bellezza fuori dal comune.<br />
Per quanto riguarda la fascia d’età dei personaggi rappresentati, dominano gli adulti in oltre il 50%<br />
dei casi, seguiti da giovani e bambini in un quinto del campione, per entrambe le classi (Cfr. Fig. 78).<br />
Stupisce l’alto numero di minori censiti, considerando i contenuti dell’altalenante normativa in materia.<br />
Colpisce anche la ridottissima quota di anziani, che contribuisce a scattare una fotografia della popolazione<br />
pubblicitaria molto distante da quella della realtà sociale.<br />
A proposito, invece, della rappresentazione dei generi, le donne sono complessivamente un po’ più<br />
degli uomini (Cfr. Fig. 79). I personaggi transessuali o dall’identità di genere indefinita sono del tutto<br />
inesistenti. In un solo spot si nota una <strong>donna</strong> bisessuale, la cui presenza è però un caso unico in tutto il<br />
campione, dunque numericamente irrilevante.<br />
34
Fig. 77. Tipo di personaggio umano rappresentato (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 78. Fascia d’età dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
35
Fig. 79. Genere dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
I personaggi degli spot analizzati sono comunque nella maggior parte dei casi italiani o <strong>dalla</strong><br />
nazionalità indefinibile (Cfr. Fig. 80). Gli stranieri presenti sono legati alla provenienza di testimonial vari,<br />
promotori di brand e prodotti già in un contesto internazionale, come nel caso di Scarlett Johansson, Uma<br />
Thurman, George Clooney, ecc.<br />
<strong>La</strong> religione dei personaggi non è quasi mai percepibile in maniera evidente, fatta eccezione per un<br />
paio di casi, non particolarmente rilevanti. E le professioni non sono in larga parte desumibili dal contesto<br />
(Cfr. Fig. 81). Un dato che non stupisce, considerando che molte delle ambientazioni sono indefinite e che<br />
la brevità degli spot non permette particolari deduzioni nei casi di incertezza.<br />
Fig. 80. Nazionalità dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
36
Fig. 81. Professioni dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Quando sono evidenti, tuttavia, le professioni sono distribuite piuttosto equamente tra impiegati<br />
dipendenti, casalinghe e personaggi dello spettacolo. Questi ultimi sono soprattutto testimonial, il cui peso<br />
in questo risultato è probabilmente sovrastimato a causa della loro notorietà e dunque della maggiore<br />
semplicità d’individuazione della professione svolta. In ogni caso, le attività professionali sono meno<br />
evidenti e definite che in passato. D’altronde, anche in sede di analisi, si è scelto di non classificare come<br />
casalinga una <strong>donna</strong> che compaia in un contesto domestico con la sua famiglia, poiché potrebbe ricoprire<br />
tale ruolo solo marginalmente nella sua “esistenza pubblicitaria”.<br />
L’identikit dei personaggi censiti comprende anche la registrazione della loro corporatura, del loro<br />
aspetto e dello stile vestimentario. Sono variabili, queste, che chiamano in causa una maggiore soggettività<br />
rispetto alla valutazione di dati socio-demografici come l’età o il genere, ma che rivelano comunque risultati<br />
interessanti.<br />
<strong>La</strong> corporatura, per esempio, risulta nella maggior parte dei casi media o normale, ossia non<br />
particolarmente magra, né grassa (Cfr. Fig. 82). È un dato coerente con la prevalenza di personaggi comuni,<br />
di cui si cerca di ricostruire, anche nell’edulcorato scenario pubblicitario, una certa normalità o “medietà”.<br />
Seguono i magri, che costituiscono comunque un quarto del campione, mentre l’ultima posizione è<br />
occupata dai personaggi in sovrappeso. L’esito di tale analisi non sorprende e non sembra nemmeno<br />
troppo distante <strong>dalla</strong> popolazione reale, fatta eccezione per il basso numero di persone fuori forma. Più<br />
interessante, però, è la correlazione, che vedremo nelle pagine seguenti, del dato con il genere.<br />
È piuttosto prevedibile anche il risultato relativo all’estetica dei visi dei personaggi pubblicitari. Con<br />
la consapevolezza della soggettività di tale valutazione, la ricerca rivela la predominanza di volti comuni, né<br />
particolarmente belli, né brutti, ma anche una buona quota di visi indiscutibilmente belli (Cfr. Fig. 83). I<br />
brutti, invece, sono pochi, come è comprensibile in uno scenario pubblicitario che tende ad addolcire il<br />
mondo e i suoi abitanti. I pochi personaggi brutti presenti, in genere, sono testimonial noti per qualità<br />
diverse dall’estetica, come i comici che compaiono in non pochi spot analizzati.<br />
Anche i colori dei capelli dominanti non sembrano riservare particolari sorprese: prevalgono tipi<br />
mediterranei, castani o mori, pur lasciando un certo spazio ai biondi (Cfr. Fig. 84).Parallelamente, sono più<br />
37
numerosi gli occhi castani di quelli azzurri, verdi o neri, senza grandi distanze tra questi ultimi tre (Cfr. Fig.<br />
85).<br />
Fig. 82. Corporatura dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Quando poi i personaggi non hanno abiti particolari (da sposa, talari, da lavoro, solo intimi o non ne<br />
hanno affatto), l’abbigliamento è prevalentemente casual e, in quasi in quinto dei casi, elegante o<br />
sofisticato (Cfr. Fig. 86). I colori predominanti dell’abbigliamento sono, in ordine di ricorrenza, il bianco, il<br />
nero, il grigio, il marrone, ossia colori non colori o comunque tinte dai toni poco ingombranti usati per fare<br />
da sfondo a scene e prodotti probabilmente in primo piano.<br />
Fig. 83. Estetica del viso dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
38
Fig. 84. Colore dei capelli dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 85. Colore degli occhi dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
39
Fig. 86. Stile dell’abbigliamento dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1138 casi<br />
A questi dati possiamo aggiungere il riferimento al tipo d’inquadratura prevalente, un’informazione<br />
utile per rilevare la diffusione di primi piani e dettagli di porzioni di corpi maschili o femminili che<br />
contribuiscono a oggettivare gli individui ripresi. L’analisi rivela che a prevalere sono soprattutto le mezze<br />
figure e i primi piani, inquadrature che tendono a enfatizzare i particolari (anche espressivi) e permettono<br />
di mettere a fuoco i personaggi. Seguono, nell’ordine, il piano americano, la figura intera e il campo medio,<br />
lungo o lunghissimo (Cfr. Fig. 87).<br />
Non è trascurabile la quota del dettaglio come tipologia di inquadratura prevalente di determinati<br />
personaggi, un risultato che, associato alla frequenza dei primi piani, rivela l’attenzione per porzioni di<br />
corpo, più che per figure intere. Considerando, in estrema sintesi e con qualche semplificazione, le funzioni<br />
dei diversi tipi di inquadratura, ossia quella di ambientazione tipica dei campi lunghi, quella di narrazione<br />
dei piani medi e quella di valorizzazione dell’espressione dei piani stretti, l’alta ricorrenza dei primi piani,<br />
concentrati su viso e spalle, lascia intendere il desiderio di esaltare l’espressività del soggetto, di<br />
valorizzarne le peculiarità estetiche del volto, ma soprattutto di enfatizzarne le espressioni rivelatrici di<br />
emozioni e sentimenti che, presumibilmente, si vuole sollecitare nel destinatario o riversare sul prodotto o<br />
il brand.<br />
In assonanza con questo risultato è il dato relativo all’emotività esibita dai personaggi. Poiché gli<br />
studi di Goffman e dei suoi epigoni lasciavano intendere la ricorrente associazione, in <strong>pubblicità</strong>, tra figure<br />
femminili ed emotività, abbiamo cercato di registrare, in prima battuta, il grado di sensibilità mostrata dai<br />
diversi personaggi a prescindere dal loro genere. Per farlo abbiamo usato una scala a sei livelli, in cui il<br />
grado di emotività esibita è stato fissato considerando il valore 1 come quello massimo, equivalente a un<br />
tasso di emotività accentuata e frequente, e il valore 6 come quello minimo, corrispondente al totale<br />
controllo.<br />
L’analisi ha rilevato la prevalenza di personaggi piuttosto emotivi, il cui valore medio è pari a 3, un risultato<br />
vicino al centro, ma sbilanciato verso il polo dell’esibizione più accentuata e frequente di sensazioni e<br />
sentimenti. <strong>La</strong> raffigurazione grafica degli esiti dell’analisi, poi, lo rivela ancora più chiaramente (Cfr. Fig.<br />
88). Prevalgono, infatti, valori intermedi, ma sbilanciati verso il polo dell’emotività.<br />
40
In ogni caso, oltre il 60% dei personaggi esibisce le proprie emozioni in modo evidente e con una<br />
certa frequenza.<br />
Fig. 87. Inquadrature prevalenti dei personaggi rappresentati (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 88. Grado di emotività esibita dai personaggi (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
41
Così, gli esiti complessivi dell’analisi monovariata sembrano confermare la predominante “normalità” dei<br />
personaggi censiti, che tendono a incarnare il ruolo del “consumatore come noi”, capace di stimolare<br />
processi identificativi. Uomini e donne mediterranei, che svolgono professioni comuni - quando non sono<br />
testimonial - che hanno un aspetto normale, una vita fatta di piccoli gesti e azioni quotidiane compiute in<br />
contesti indefiniti o familiari, in cui i prodotti pubblicizzati hanno un ruolo importante accanto a quello di<br />
personaggi ripresi da inquadrature piuttosto ravvicinate, volte a esaltarne l’espressività. Tutto poi è<br />
addolcito <strong>dalla</strong> “pillola” pubblicitaria. I personaggi sono più magri e in forma dei loro alter ego reali, più<br />
curati e più belli della media, vestiti con elegante sobrietà anche quando sono casual, più espressivi,<br />
migliori di loro (e di noi), dunque, ma senza particolari eccessi iperbolici.<br />
7. Le donne usate <strong>dalla</strong> <strong>pubblicità</strong> televisiva<br />
Lo scenario emerso <strong>dalla</strong> prima fase di analisi non permette di effettuare particolari inferenze sulla<br />
rappresentazione dei generi - e della figura femminile in particolare - nelle <strong>pubblicità</strong> televisive italiane. Per<br />
andare più in profondità è stato necessario effettuare un’analisi bivariata, che ha messo in relazione i<br />
risultati di base con la variabile relativa al sesso.<br />
Tale analisi ha rivelato risultati decisamente più interessanti ai fini del nostro discorso. Per esempio,<br />
non è senza conseguenze sapere che gli spot sono popolati più da donne che da uomini, sebbene lo scarto<br />
sia di soli 4 punti percentuali. È decisamente interessante il fatto che le figure femminili prevalgano tra i<br />
personaggi protagonisti e tra quelli rilevanti, mentre gli uomini tra i secondari o di sfondo (Cfr. Fig. 89). Le<br />
donne, poi, sono molto più numerose tra i primi personaggi in ordine di apparizione, quelli che hanno la<br />
funzione di introdurre e contestualizzare la narrazione pubblicitaria. Gli uomini seguono, generalmente, con<br />
ruoli secondari o da comprimari. Inoltre, il 60% dei testimonial è <strong>donna</strong>, a fronte del 40% di uomini noti<br />
(Cfr. Fig. 90).<br />
Questi risultati, che potrebbero far pensare a un empowerment della figura femminile, in realtà<br />
conducono verso un’altra direzione, se letti in relazione ad altri esiti. Le signore della <strong>pubblicità</strong>, infatti, non<br />
hanno tanto un ruolo privilegiato rispetto agli uomini, quanto piuttosto una funzione di valorizzazione di<br />
alcune tipologie di prodotti (per l’igiene della persona, della casa, l’arredamento, il cibo, ecc.) di cui sono<br />
considerate consumatrici o responsabili dell’acquisto. Spesso hanno una funzione di accompagnamento<br />
delle immagini, quasi a voler decorare il contesto, soprattutto quando la loro presenza è associata a<br />
prodotti indirizzati a target maschili, come le automobili o l’elettronica di consumo. In ogni caso, il fatto che<br />
siano più spesso presenti e protagoniste degli spot va letto insieme al dato che le vede comunque guidate,<br />
in molte circostanze, da voci off maschili. Inoltre, se è vero che le donne sono più numerose tra i<br />
testimonial di vari prodotti, è altrettanto vero che lo sono anche tra i personaggi comuni, ma non lo sono<br />
affatto tra gli autorevoli. Meno del 15% del gruppo di dentisti, medici o ricercatori che compaiono in tv con<br />
una funzione di garanti della qualità di un prodotto è composto da donne. Ciò sembra dimostrare che i<br />
personaggi femminili in <strong>pubblicità</strong> possono essere comuni consumatrici o testimonial selezionate per<br />
bellezza, ma non professionisti esperti e competenti.<br />
Mettendo in relazione il genere con alcune caratteristiche socio-demografiche, fisiche ed estetiche dei<br />
personaggi emergono risultati interessanti, che tendono a confermare alcuni vecchi cliché pubblicitari.<br />
Correlando, per esempio, la fascia d’età con il sesso si nota che i personaggi femminili sono<br />
tendenzialmente più giovani di quelli maschili. Pur non essendoci distanze significative tra i due<br />
subcampioni, si rilevano più bambine che bambini, più ragazze che ragazzi, più donne adulte che uomini,<br />
ma più anziani maschi, che femmine (Cfr. Fig. 91). Lo scarto più significativo tra generi, poi, si registra<br />
proprio tra i giovani e gli anziani. Un risultato certamente legato alla maggiore numerosità delle figure<br />
femminili, ma anche, forse, alla diffusa valorizzazione della bellezza in <strong>pubblicità</strong>, più facilmente percepibile<br />
in donne giovani o giovanili.<br />
42
Fig. 89. Quota di maschi e femmine per ruolo del personaggio (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 90. Quota di maschi e femmine per tipo di personaggio (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Piuttosto interessante è anche la relazione tra genere e luoghi di ambientazione degli spot, un ambito<br />
che rivela anche in questo caso esiti non del tutto inaspettati (Cfr. Fig. 92). Le donne prevalgono sugli<br />
uomini, in misura peraltro schiacciante, negli ambienti domestici o negli interni indefiniti. Superano di poco<br />
i personaggi maschili negli esterni di case o altri edifici non ben precisati, oltre che in luoghi di fantasia.<br />
43
Sono in minoranza, però, negli spazi pubblici, in quelli commerciali e nei luoghi di lavoro, a conferma della<br />
vecchia relazione tra <strong>donna</strong> e “casalinghità”, uomo e professione/carriera.<br />
Fig. 91. Quota di maschi e femmine per fascia d’età (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 92. Quota di maschi e femmine nei diversi luoghi di ambientazione degli spot (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
44
D’altronde, il 100% delle casalinghe rappresentate è <strong>donna</strong>, così come il totale degli operari è uomo. Un esito così<br />
netto da far pensare a qualche eccesso di semplificazione (Cfr. Fig. 93). Le donne, poi, sono in numero sempre<br />
inferiore (anche radicalmente) tra i liberi professionisti o imprenditori, tra gli impiegati direttivi o insegnanti e tra gli<br />
impiegati dipendenti. Sono tante quante gli uomini solo tra i pensionati. Quindi, è evidente che le donne siano<br />
raffiugurate più come casalinghe o a riposo che come lavoratrici.<br />
Fig. 93. Quota di maschi e femmine per professione (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
<strong>La</strong> relazione tra caratteristiche fisiche o esteticihe conferma poi l’equazione tra bellezza e genere<br />
femminile. Più dell’80% dei magri è <strong>donna</strong>, così come due terzi dei grassi sono uomini (Cfr. Fig. 94). I bei visi<br />
sono femminili in quasi l’80% dei casi, mentre quelli brutti sono maschili in oltre l’85% (Cfr. Fig. 95). Oltre<br />
che di bellezza, la femminilità sembra sinonimo anche di eleganza: le donne pubblicitarie non sono mai<br />
sciatte, sono poco sportive e moderatamente eccentriche nell’abbigliamento, ma soprattutto sono più<br />
eleganti e sofisticate degli uomini, così come anche più semplici se vestite casual (Cfr. Fig. 96).<br />
Colori di occhi e capelli meno convenzionali nel nostro paese sono appannaggio più delle donne che<br />
degli uomini. Il 100% dei rossi, per esempio, è <strong>donna</strong>, così come l’82,6% dei biondi (Cfr. Fig. 97). I capelli<br />
neri e grigi sono più maschili che femminili e quelli bianchi esclusivamente maschili.<br />
Le donne dominano anche tra chi ha gli occhi blu, raggiungendo quasi l’85% del subcampione. Prevalgono<br />
tra le persone con gli occhi verdi (nel 61,4% dei casi), mente vengono sovratate dagli uomini con occhi<br />
grigi/viola e neri (Cfr. Fig. 98).<br />
Per quanto riguarda poi l’inquadratura prevalente nella ripresa di uomini e donne, si nota che le<br />
figure femminili sono osservare e registrate soprattutto con inquadrature molto ravvicinate, mentre per gli<br />
uomini prevalgono i piani medi o i campi lunghi (Cfr. Fig. 99). È questo un chiaro segno delle differenze<br />
nello sguardo (e quindi anche nella considerazione) dei diversi generi e delle loro funzioni in uno spot: le<br />
donne sono guardate da vicino, ne sono ripresi soprattutto volto e spalle in primo piano, ma anche i<br />
particoli del volto nei primissimi piani e, in oltre il 90% dei casi, sono porzioni dei loro corpi ad essere<br />
evidenziate dalle riprese televisive.<br />
45
Fig. 94. Quota di maschi e femmine per corporatura (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 95. Quota di maschi e femmine per estetica del viso (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
46
Fig. 96. Quota di maschi e femmine per stile abbigliamento (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 97. Quota di maschi e femmine per colore dei capelli (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
47
Fig. 98. Quota di maschi e femmine per colore degli occhi (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Fig. 99. Quota di maschi e femmine per inquadratura prevalente (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
48
Anche in tv, quindi, sembra si realizzi quel frazionamento dei corpi femminili che tanto spazio ha<br />
negli annunci stampa. <strong>La</strong> prevalenza dei piani medi e dei campi lunghi per gli uomini, invece, rende conto di<br />
una presenza di sfondo, apparentemente meno vistosa di quella femminile, ma costante e forse<br />
ingombrante, tanto da lasciar intendere una funzione inevitabile di controllo e protezione.<br />
<strong>La</strong> prevalenza di primi e primissimi piani femminili, certamente funzionale all’esaltazione della<br />
bellezza dei visi rilevata, contribuisce anche a enfatizzare l’emotività delle donne rispetto a quella degli<br />
uomini. Infatti, il 60% dei personaggi per cui è stata rilevata un’esibizione delle emozioni accentuata e<br />
frequente è composto da donne. Le figure femminili prevalgono anche a livelli moderati di emotività, ma<br />
non raggiungono il 35% del subcampione nel caso di un’evidente controllo e di una chiara freddezza (Cfr.<br />
Fig. 100).<br />
Fig. 100. Quota di maschi e femmine per grado di emotività (valori percentuali)<br />
Base dati: 1179 casi<br />
Le donne algide, quindi, costituiscono una ridotta minoranza, mentre prevalgono le passionali e<br />
trasparenti. Quelle i cui bei visi in primissimo piano lasciano trasparire ogni tipo di emozione. Donne che<br />
possono essere considerate al tempo stesso spontanee (più degli uomini), ma anche incontrollate.<br />
Così, la nostra ricerca permette di rispondere alle domande che ci eravamo posti all’inizio: quali<br />
“nuove” soggettività propone l’immaginario pubblicitario contemporaneo? È plausibile che la <strong>pubblicità</strong> sia<br />
un piccolo laboratorio di genere e riformulazione dei ruoli sessuali? Esiste un’evoluzione della<br />
rappresentazione della figura femminile, in un’epoca caratterizzata <strong>dalla</strong> sua graduale emancipazione e<br />
<strong>dalla</strong> cosiddetta femminilizzazione della società? L’indagine fornisce alcune risposte, ma la loro direzione è<br />
parzialmente diversa da quella attesa. Le donne pubblicitarie, infatti, sembrano molto poco emancipate<br />
rispetto alle aspettative. Protagoniste apparentemente indiscusse degli spazi pubblicitari, continuano ad<br />
avere, come nelle ricerche degli anni Settanta, un ruolo ancillare rispetto all’uomo e una funzione<br />
prevalente di esche comunicative. Compaiono più spesso, ma soprattutto in contesti domestici e nel ruolo<br />
di mamme/mogli/casalinghe. Sono soprattutto donne comuni, ossia consumatrici medie, ma anche<br />
testimonial famose e provocanti, apprezzate soprattutto per la loro bellezza. Sono curate, eleganti, bionde,<br />
49
magre. Vengono mostrate a pezzi, enfatizzate nei dettagli del loro corpo. Sono emotive, spontanee,<br />
incontrollabili e, forse questo, bisognose di una costante presenza maschile sullo sfondo e una voce off (di<br />
un uomo) che le orienti.<br />
Così, se l’esistenza della goffmaniana funzione gerarchica della <strong>pubblicità</strong> sembra apparentemente<br />
smentita, alla luce della maggior frequenza di ruoli da protagoniste delle donne negli spot televisivi italiani,<br />
a un’analisi più attenta sembra in larga misura confermata: basti guardare alle professioni svolte, al<br />
contesto in cui più spesso vengono raffigurate, alla loro frequente estetizzazione, all’esibizione di<br />
un’emotività che finisce per diventare una maschera.<br />
L’estraniazione delle figure femminili ipotizzata dallo stesso sociologo canadese, invece, può essere<br />
solo parzialmente confermata. <strong>La</strong> sua rilevazione, infatti, richiederebbe un tipo di analisi diverso da quello<br />
effettuato, un’indagine frame by frame, difficile da condurre su un campione di quasi 600 spot. In ogni<br />
caso, l’estraniazione delle figure femminili è parzialmente rilevata <strong>dalla</strong> presenza quasi costante dell’uomo<br />
sullo sfondo, meno vistoso rispetto alle donne, ma così ricorrente da far pensare a un ruolo protettivo<br />
necessario, che finisce per limitare l’autonomia femminile.<br />
Il tocco femminile, poi, è diffuso anche negli spot analizzati, evidente nelle <strong>pubblicità</strong> di arredamento,<br />
prodotti per la cura della persona o della casa, quelli in cui le donne accarezzano auto, mobili, visi o corpi,<br />
con funzioni non distanti da quelle rilevate da Goffman, ormai quasi quaranta anni fa.<br />
Sull’esistenza di un vero e proprio squilibrio tra figure maschili forti e figure femminili deboli, l’analisi non<br />
permette di effettuare inferenze certe. <strong>La</strong> ricerca di Goffman a questo proposito è solo in parte<br />
confermabile con gli strumenti a nostra disposizione, ma in ogni caso non è falsificabile. È piuttosto<br />
evidente, per esempio, la natura di esca comunicativa della <strong>donna</strong> pubblicitaria, che continua ad avere una<br />
posizione ancillare rispetto all’uomo. È altrettanto chiaro il suo ruolo di angelo del focolare, nonostante<br />
l’evoluzione dei tempi. È lontana la sua associazione alla dimensione della carriera e del successo al di fuori<br />
del contesto domestico.<br />
<strong>La</strong> <strong>donna</strong> raffigurata negli spot analizzati è quindi una cristallizzazione di vecchi modelli pubblicitari. È<br />
la classica seduttrice, la <strong>donna</strong> vista come oggetto sessuale, elegante, raffinata, curata nel proprio aspetto e<br />
seducente. 40 Quella che ha un atteggiamento provocante, è sicura di sé, del suo fascino e della sua capacità<br />
di conquista.<br />
Ma la <strong>donna</strong> del nostro campione è anche la ragazza acqua e sapone, molto giovane e spontanea,<br />
caratterizzata da uno stile di vita gioioso, semplice e adolescenziale, naturalmente seducente.<br />
Tra i modelli registrati c’è anche la romantica, la <strong>donna</strong> palesemente emotiva, sognatrice, amante<br />
della natura e delle cose semplici, in perfetta armonia con l’ambiente e con se stessa. Quella che appare<br />
felice, soddisfatta, equilibrata e realizzata. Richiama i valori femminili della dolcezza, della delicatezza e<br />
della sensibilità, sottolineati dall’espressione sorridente.<br />
Decisamente più diffusa, poi, è la figura della moglie, quella compagna che ha un ruolo<br />
sostanzialmente marginale rispetto all’uomo o comunque è raffigurata in una condizione d’inferiorità.<br />
Sembra una partner rassicurante, tenace ed equilibrata che tende a prendersi cura del marito,<br />
assecondando i suoi bisogni e le sue necessità.<br />
Altrettanto presente è il modello di madre, rappresentata evidenziandone la dolcezza, la semplicità<br />
e la naturalezza. Una figura che spesso si sovrappone a quella della casalinga tradizionale: una <strong>donna</strong> meno<br />
attraente della seduttrice o delle varie testimonial, che ha comunque una forma fisica quasi perfetta. È<br />
serena, allegra e felice del suo ruolo e incarna i valori dell’efficienza, della dinamicità e della dedizione tipici<br />
della perfetta <strong>donna</strong> di casa.<br />
40<br />
Kermol E. (a cura di), Cinema moda <strong>pubblicità</strong>. Psicosociologia dell'estetica quotidiana, Franco Angeli, Milano, 2001.<br />
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<strong>La</strong> <strong>donna</strong> oggetto, poi, è una raffigurazione tipica dell’iconografia pubblicitaria vecchia e nuova,<br />
rappresentata in diversi modi: <strong>donna</strong> erotica, seduttrice o semplice oggetto del desiderio maschile. Tende a<br />
esibire la bellezza del suo corpo, sottolineandone il ruolo essenzialmente decorativo.<br />
Solo raramente appare, invece, una figura di nicchia come quella della <strong>donna</strong> intellettuale, per lo<br />
più ragazza giovane, sobria, attraente, ma discreta, intelligente e razionale. Una figura di cui viene<br />
accentuata la raffigurazione del volto e della sua espressione, che appare spontanea, sicura di sé, ricca di<br />
determinazione, e la cui intelligenza è generalmente sottolineata dal fatto di indossare gli occhiali. Si tratta<br />
comunque dell’unica eccezione di rilievo registrata, che non permette comunque di parlare di<br />
empowerment della figura femminile in <strong>pubblicità</strong>.<br />
I modelli prevalenti restano, infatti, quello della <strong>donna</strong> seduttrice o oggetto o quello della<br />
casalinga/moglie/madre. Quest’ultimo è ben raffigurato da uno spot recente che testimonia la vetustà<br />
dell’immagine della <strong>donna</strong> pubblicitaria. È quello dei 4 salti in padella Findus, in cui si usano registri tipici<br />
della reclame italiana degli anni Sessanta, per rivolgersi a una <strong>donna</strong> che è definita innanzitutto come<br />
“madre” e “moglie” (Cfr. Fig. 101-102-103). I diversi claim usati sono, infatti: «Attenzione mogli! Volete<br />
uscire a cena? Non proponete mai a vostro marito questo piatto!»; «Attenzione mogli! Vostro marito a<br />
cena non dice una parola? Via questo piatto da tavola!»; «Attenzione mamme! Questo piatto trattiene i<br />
figli a casa oltre il compimento di 40 anni!». 41 Con tanto di punti esclamativi. 42<br />
Fig. 101-103. Immagini della recente campagna di 4 salti in padella Findus.<br />
41<br />
Si veda il video su youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qKdevF-v6tM<br />
42<br />
Cfr. http://giovannacosenza.wordpress.com/?s=4+salti+in+padella.<br />
51
Certo è una campagna ironica e surreale, per i suoi stessi autori. Ironica perché invita mamme e<br />
mogli a non scongelare i piatti pronti pur avendo l’intento di farglielo fare. Surreale nel senso di «oltre il<br />
reale», perché concepita e disegnata come quelle fra gli anni Cinquanta e Sessanta, con vecchi font e colori<br />
e una solida rappresentazione della <strong>donna</strong> nel ruolo di casalinga, moglie e mamma che cucina. Nonostante<br />
l’ambizione ironica, la campagna non fa sorridere del tutto. Richiama, piuttosto, blocchi sociali,<br />
cristallizzazioni e modalità di comunicazione che, pur puntando sull’ironia, giocano su cliché ancora troppo<br />
diffusi per riderci su. 43<br />
E non è certamente il caso peggiore di spot rintracciabile nella tv analizzata o in quella degli ultimi<br />
giorni. Spicca per volgarità e uso certamente discutibile della figura femminile, raffigurata nel ruolo di pura<br />
esca sessuale, una <strong>pubblicità</strong> delle Vernici Fernovus di Saratoga 44 . Il commercial mostra una moglie<br />
elegante e ammiccante e una cameriera sexy che dipingono con il prodotto reclamizzato una voliera, sotto<br />
lo sguardo compiaciuto del marito e padrone di casa. Il contesto in cui i personaggi sono inseriti, per<br />
immagini, inquadrature, sguardi e tono delle voci, sembra il preludio di un ménage à trois in un film porno.<br />
Qualunque sia il modello di <strong>donna</strong> pubblicitaria considerato e qualunque ne sia la modalità di<br />
rappresentazione, la nostra ricerca rivela che certamente la <strong>pubblicità</strong><br />
«è femmina perché è ancora alla <strong>donna</strong> che si rivolge la maggior parte degli spot e delle <strong>pubblicità</strong> di largo<br />
consumo. <strong>La</strong> <strong>pubblicità</strong> è femmina perché femminile è il volto più largamente usato per i soggetti pubblicitari. <strong>La</strong><br />
<strong>pubblicità</strong> è femmina perché seduce come una femmina». 45<br />
È, tuttavia, una femmina piuttosto distante da quelle reali e certamente poco realistica. Banalizzata,<br />
probabilmente, <strong>dalla</strong> natura ipersintetica della forma comunicativa che la ospita. Una figura utilizzata <strong>dalla</strong><br />
<strong>pubblicità</strong> a suo uso e consumo, molto lontana <strong>dalla</strong> complessità delle donne che popolano il mondo.<br />
43 Cfr. http://blog.adci.it/?tag=4-salti-in-padella.<br />
44 Si veda il video su youtube all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=nug7o4aH7Wk<br />
45 Brancati D., op. cit. p 5.<br />
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