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Concordato<br />

preventivo<br />

OPINIONI<br />

SOMMARIO<br />

RAPPORTI PENDENTI NEL CONCORDATO PREVENTIVO RIFORMATO TRA PROSECUZIONE<br />

ESCIOGLIMENTO<br />

di Adriano Patti 261<br />

IN ITINERE<br />

NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI<br />

acuradiMassimo Ferro 275<br />

GIURISPRUDENZA<br />

Legittimità<br />

Concordato<br />

preventivo<br />

LA FATTIBILITA‘ DEL PIANO CONCORDATATARIO NELLA LETTURA DELLE SEZIONI UNITE<br />

Cass. Civ., Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 279<br />

commento di Francesco De Santis 279<br />

commento di Ilaria Pagni 286<br />

commento di Adolfo Di Majo 291<br />

Fallimento<br />

SULLA REVOCABILITÀ DELLE RETRIBUZIONI CORRISPOSTE AL FALLITO IN ASSENZA DI DECRETO<br />

DEL GIUDICE DELEGATO<br />

Cass. Civ., Sez. I, 31 ottobre 2012, n. 18843 295<br />

osservazioni di Alberto Figone 296<br />

Concordato<br />

preventivo<br />

INTERPRETAZIONE DELLA PROPOSTA DI CONCORDATO E RAPPORTO CON L’ATTESTAZIONE<br />

Cass. Civ., Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565 298<br />

commento di Dario Finardi 300<br />

Fallimento<br />

Amministrazione<br />

straordinaria<br />

Fallimento<br />

L’ACCERTAMENTO DELLE GARANZIE REALI NEL FALLIMENTO DEL TERZO DATORE<br />

Cass. Civ., Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289 306<br />

commento di Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco 308<br />

IL CURATORE E LA PROVA DELLA SIMULAZIONE<br />

Cass. Civ., Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965 306<br />

commento di Maria Costanza 317<br />

AMMISSIBILITÀ E PROCEDIBILITÀ DELL’OPPOSIZIONE ALLO STATO PASSIVO<br />

Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804; Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799 320<br />

commento di Gianpaolo Impagnatiello 322<br />

Merito<br />

Il Fallimento<br />

Anno XXXV<br />

IL PROCEDIMENTO DI ESTENSIONE DELL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA AD UN’IMPRESA<br />

DEL GRUPPO<br />

Corte d’Appello di Torino, 20 gennaio 2012 329<br />

commento di Filippo Ghignone 336<br />

AZIONE EX ART. 2394 C.C.: AMMISSIBILITA‘ IN TEMA DI S.R.L. E LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE<br />

FALLIMENTARE A FARLA VALERE<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012; Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto 2012 344<br />

commento di Luigi Abete 348<br />

NUOVI PRIVILEGI RETROATTIVI<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012 357<br />

commento di Daniele Griffini 359<br />

Il Fallimento 3/2013 259


Il Fallimento<br />

Anno XXXV<br />

Amministrazione NOMINA DELL’ESPERTO CHIAMATO A REDIGERE LA RELAZIONE DI CUI ALL’ART. 124,<br />

straordinaria TERZO COMMA, L.FALL.<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012 363<br />

osservazioni di Francesco Tomasso 227<br />

Massimario di legittimità<br />

Massime della giurisprudenza di legittimità pubblicate secondo l’ordine progressivo della materia<br />

regolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)<br />

Massimario di merito<br />

Massime della giurisprudenza di merito pubblicate secondo l’ordine progressivo della materia<br />

regolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)<br />

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />

LE AZIONI REVOCATORIE NEL FALLIMENTO<br />

acuradiPaolo Bosticco 373<br />

INDICE<br />

Indice analitico-alfabetico 386<br />

Segnalazione: Il provvedimento pubblicato a pagina 211 del fascicolo n. 2/2013 è: Trib<strong>un</strong>ale di Venezia, 26 luglio 2012.<br />

COMITATO PER LA VALUTAZIONE<br />

N. Abriani, S. Ambrosini, M. Arato, G. Cabras, G. Cavalli, P.F. Censoni, P. De Cesari, L. Del Federico, S. Fiore, E. Frascaroli Santi,<br />

A. Lanzi, F. Macario, F. Marelli, M. Montanari, I. Pagni, U. PatroniGriffi,M.Perrino,G.Presti,R. Tiscini, G. Trisorio Liuzzi<br />

In memoria di<br />

Il Prof. Lino Guglielmucci ci ha lasciato. È <strong>un</strong> grave lutto per la com<strong>un</strong>ità scientifica del diritto fallimentare, Egli era<br />

noto a tutti come Autore di <strong>numero</strong>si scritti e commenti di notevole rilievo scientifico, ma soprattutto la Direzione<br />

e l’Editore, nel partecipare al dolore della famiglia, desiderano ricordarne le qualità umane e professionali e la sua<br />

dedizione alla Rivista ‘‘Il fallimento e le altre procedure concorsuali’’, sia come componente del comitato scientifico<br />

sia come Autore di molti saggi sin dal remoto ‘‘Revoca e inefficacia delle garanzie per debiti altrui’’ comparso<br />

nel 1983.<br />

260 Il Fallimento 3/2013<br />

367<br />

371


Contratti in corso di esecuzione<br />

Rapporti pendenti<br />

nel concordato preventivo<br />

riformato tra prosecuzione<br />

e scioglimento<br />

di Adriano Patti<br />

L’introduzione di <strong>un</strong>a disciplina dei rapporti giuridici preesistenti anche nel concordato preventivo, se pure<br />

corrispondente all’auspicio degli operatori, pone delicate questioni interpretative in ordine al nuovo regime<br />

di trattamento, nel contemperamento dei contrastanti interessi del debitore, dei creditori e di tutela del<br />

contraente in bonis, alla sua possibilità di applicazione anche alla domanda con riserva di presentazione<br />

del piano e della proposta, ma soprattutto alla sua congruenza con la prosecuzione dell’attività di impresa<br />

nel concordato con continuità aziendale, sotto il profilo del rispetto del principio di regolare concorrenza di<br />

mercato.<br />

1. Premessa: <strong>un</strong>a collocazione<br />

problematica<br />

La collocazione dei rapporti pendenti nel sistema<br />

concorsuale appare da sempre problematica.<br />

La loro peculiare natura, in quanto preesistenti (per<br />

anteriorità all’apertura della procedura del sinallagma<br />

genetico, relativo all’origine delle reciproche<br />

obbligazioni) ed al tempo stesso pendenti (per inesecuzione<br />

reciproca, almeno parziale, del sinallagma<br />

f<strong>un</strong>zionale, riguardante l’adempimento delle obbligazioni<br />

sorte) (1), li distingue sia dalle posizioni attive<br />

della procedura (qualora sia adempiente il debitore<br />

soggetto ad essa), azionabili nei confronti del<br />

contraente in bonis attraverso gli ordinari mezzi, sia<br />

(nel caso contrario) da quelle debitorie della stessa,<br />

rientranti nel regime del concorso (2).<br />

Detta connotazione, che li permea di <strong>un</strong> dinamismo<br />

intrinseco loro esclusivo, deriva da questa condizione<br />

suscettibile di <strong>un</strong> andamento evolutivo,<br />

produttivo di diritti e di doveri, tendenzialmente<br />

dissonante rispetto alla cristallizzazione del patrimonio<br />

dell’imprenditore fallito, fonte di <strong>un</strong>a realtà giuridica<br />

intersoggettiva. Ed infatti, le segnalate caratteristiche<br />

costitutive importano <strong>un</strong>a netta distinzione<br />

delle controparti in bonis (ad <strong>un</strong> tempo, creditori<br />

del debitore in procedura di <strong>un</strong>a frazione di presta-<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

zione, anteriore all’ammissione ad essa e suoi debitori<br />

dell’adempimento della propria, non interamente<br />

compiuta) dai creditori anteriori tout court<br />

(esclusivamente titolari di <strong>un</strong> diritto di credito cristallizzato,<br />

fondato su causa anteriore all’ammissione<br />

alla procedura): sicché, soltanto questi ultimi<br />

destinatari, per coerenza con il discrimine segnalato,<br />

del divieto (di coltivare azioni esecutive individuali)<br />

posto dall’art. 168 l.fall.<br />

Per questa ragione, i rapporti giuridici preesistenti<br />

pongono delicate questioni di ‘‘equilibrio economico’’<br />

e di compatibilità con le regole della concorsualità,<br />

da cui (fino ad oggi) hanno mantenuto <strong>un</strong><br />

Note:<br />

(1) La caratteristica di bilaterale inesecuzione deve intendersi in<br />

riferimento alle prestazioni principali e non anche a quelle marginali.<br />

Così, in particolare, é stato ritenuto sufficiente all’integrazione<br />

di <strong>un</strong> contratto di compravendita (Cass. 30 maggio 1983,<br />

n. 3708, in questa Rivista, 1983, 1384) l’avvenuto trasferimento<br />

della proprietà e del possesso, non rilevando la consegna del<br />

documento relativo al diritto e neppure la riproduzione del contratto<br />

in <strong>un</strong> atto pubblico.<br />

(2) In tale senso anche la Relazione alla legge fallimentare n. 18,<br />

secondo cui si é in presenza di contratti che «pur essendo perfezionati<br />

prima della dichiarazione di fallimento, non hanno avuto<br />

la loro piena esecuzione da entrambe le parti, perché la semplice<br />

esecuzione <strong>un</strong>ilaterale si risolve in <strong>un</strong> credito verso l’altra e<br />

i crediti si fanno valere secondo le norme proprie del fallimento».<br />

Il Fallimento 3/2013 261


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

significativo spazio di autonomia, che a ragione ne<br />

ha giustificato la collocazione extraconcorsuale (3).<br />

1.1. La regola di trattamento<br />

nella liquidazione e nella continuità<br />

di impresa<br />

La regola di trattamento dei rapporti giuridici pendenti<br />

differisce radicalmente nelle ipotesi di soluzione<br />

della crisi di impresa nel senso della sua liquidazione<br />

ovvero della prosecuzione della sua attività.<br />

Nella prima, paradigmaticamente rappresentata dalla<br />

procedura fallimentare, la regola di disciplina è,<br />

in linea generale, quella di sospensione, in attesa<br />

della determinazione, di subingresso nel rapporto o<br />

di scioglimento da esso, del curatore (art. 72 l.fall.),<br />

sulla base di <strong>un</strong>a valutazione di opport<strong>un</strong>ità economica,<br />

coerente con il rispetto delle ragioni di tutela<br />

del ceto creditorio e di protezione del patrimonio,<br />

cristallizzato.<br />

Come si comprende, si tratta di <strong>un</strong>a regola di liquidazione,<br />

che comporta il necessitato abbandono<br />

dell’ordinaria disciplina civilistica, retta dai principi<br />

di autonomia privata e dal diritto dei contratti, in<br />

favore di <strong>un</strong>a procedurale, protettiva dell’insolvenza<br />

accertata: bene allora essa può essere designata come<br />

regola giuridica di procedura.<br />

Nell’ipotesi di continuazione dell’attività di impresa,<br />

la disciplina dei rapporti pendenti è, al contrario,<br />

quella della loro prosecuzione tendenziale, come<br />

avviene (ai sensi dell’art. 104, settimo comma<br />

l.fall.) in caso di esercizio provvisorio nel fallimento<br />

e (ai sensi dell’art. 50, secondo comma D.Lgs. n.<br />

270/99) nell’amministrazione straordinaria: salva la<br />

facoltà del curatore o del commissario straordinario<br />

di scioglimento od anche, per il primo, di mera sospensione.<br />

Essa appare coerente con la tutela, come d’ordinario,<br />

del contraente non insolvente ed è espressione<br />

di quella più generale di sicurezza giuridica dei traffici<br />

commerciali e degli scambi: sicché, per la sua<br />

modulazione in f<strong>un</strong>zione di <strong>un</strong> ordinato ed efficiente<br />

f<strong>un</strong>zionamento del mercato, può ben essere designata<br />

come regola economica di mercato.<br />

In questa alternativa prospettazione, il concordato<br />

preventivo pare inclinare, sotto <strong>un</strong> profilo squisitamente<br />

economico, verso la prima quando di natura<br />

liquidatoria e verso la seconda, quando di risanamento<br />

o di continuità, con la già segnalata necessità<br />

di qualche adattamento, qualora la previsione<br />

del piano concordatario sia inconciliabile con la<br />

prosecuzione tout court di tutti i rapporti pendenti<br />

(4), ora espressamente previsto per legge.<br />

1.2. La regola previgente di trattamento<br />

nel concordato preventivo<br />

Le riforme intervenute negli ultimi anni hanno potentemente<br />

innovato il concordato preventivo, sia<br />

nella struttura, più duttile e variamente modulabile,<br />

sia nella finalità. Ed infatti, esso è oggi essenzialmente<br />

concepito come strumento (5) di salvaguardia<br />

dell’attività imprenditoriale (going concern) edi<br />

maggiore efficienza della procedura, per la riserva di<br />

<strong>un</strong> maggiore spazio all’autonomia privata (6).<br />

E l’accentuazione della natura privatistica dell’istituto,<br />

secondo l’intenzione del legislatore di apprestare<br />

(con il consenso dei creditori in ogni caso in<br />

cui evitabile <strong>un</strong>a procedura liquidatoria) <strong>un</strong> mezzo<br />

idoneo all’equilibrato contemperamento delle contrapposte<br />

istanze di tutela dei creditori e di conservazione<br />

degli organismi produttivi (7), appare davvero<br />

indubitabile.<br />

La decisa apertura all’autonomia negoziale delle<br />

parti si rivela immediatamente dalla nuova configurazione<br />

della proposta. Non più rigidamente vincolata,<br />

come prima, alle modalità alternative del concordato<br />

garantito, per cessio bonorum o misto (con<br />

l’apporto di garanzie esterne, ossia di terzi, ad integrazione<br />

del secondo), oggi essa è infatti modulabile<br />

con <strong>un</strong>a straordinaria flessibilità, per offerta di stru-<br />

Note:<br />

(3) Per <strong>un</strong> approfondimento in proposito: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I<br />

rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori,<br />

Milano, 1999, 71 ss.; 83 ss.<br />

(4) Così: F. Finmanò, Gli effetti del concordato sui rapporti in<br />

corso di esecuzione, in questa Rivista, 2006, 1051.<br />

(5) Non più, secondo <strong>un</strong>’ottica tradizionale, essenzialmente<br />

preordinato ad <strong>un</strong>a più rapida liquidazione dell’attivo, meno penalizzante<br />

per l’imprenditore onesto, ma sfort<strong>un</strong>ato. Così, per<br />

tutti: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 145<br />

ss.<br />

(6) In tale senso, in particolare: P. Catallozzi, La falcidie concordataria<br />

dei creditori assistiti da prelazione, in questa Rivista,<br />

2008, 1009.<br />

(7) In tali termini si esprime in proposito la Relazione ministeriale<br />

al D.L. n. 35/2005. Ma anche la parte introduttiva della Relazione<br />

ministeriale al D.Lgs. n. 5/2006 può essere riferita, quanto<br />

agli obiettivi del legislatore (secondo quanto osservato, in particolare,<br />

da P.F. Censoni, Il concordato preventivo e la prospettiva<br />

della ricollocazione del patrimonio dell’impresa in crisi, in Dir.<br />

fall., 2008, I, 854), al D.L. n. 35/2005, laddove sottolinea la necessità<br />

di «<strong>un</strong>a maggiore sensibilità verso la conservazione delle<br />

componenti produttive dell’impresa» e di «<strong>un</strong>a nuova prospettiva<br />

di recupero delle capacità produttive dell’impresa, nelle<br />

quali non è più individuabile <strong>un</strong> esclusivo interesse dell’imprenditore<br />

... ma confluiscono interessi economici e sociali più ampi,<br />

che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento<br />

della crisi aziendale».<br />

L’obiettivo conservativo del valore di impresa è stato individuato<br />

come finalità generale della nuova disciplina anche da: A.M. Azzaro,<br />

Le f<strong>un</strong>zioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza,<br />

in questa Rivista, 2007, 745.<br />

262 Il Fallimento 3/2013


menti e di opport<strong>un</strong>ità, variabili dalle opzioni di carattere<br />

patrimoniale (con trasferimento di beni e di<br />

assets dell’impresa direttamente ai creditori o a terzi<br />

ass<strong>un</strong>tori) a quelle di carattere finanziario (con mera<br />

ristrutturazione dei debiti oppure costituzione di<br />

società od altre operazioni straordinarie, con emissione<br />

di azioni, di obbligazioni, o di altri strumenti<br />

finanziari) (8), secondo <strong>un</strong>a ricca articolazione di<br />

piani con modalità operative ad ampio spettro (con<br />

riguardo alla sistemazione del passivo, alle modalità<br />

di realizzo degli attivi patrimoniali, al trattamento<br />

dei creditori) (9): con individuazione di percorsi<br />

meramente esemplificativa, in ness<strong>un</strong> modo vincolante<br />

l’imprenditore (10).<br />

Il contenuto del piano si segnala anche per la possibilità<br />

di influenzare, mediante <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />

comportante <strong>un</strong>o spossessamento (seppure<br />

attenuato, come nel concordato preventivo), la<br />

struttura finanziaria e proprietaria dell’impresa societaria,<br />

mediante il compimento di operazioni<br />

straordinarie (11). Nella sua articolazione, al di<br />

fuori di schemi legali predefiniti, il proponente può<br />

allora optare per <strong>un</strong>a sua modulazione, secondo il<br />

più tradizionale (e prevalente, nella prassi operativa)<br />

modello liquidatorio, essenzialmente nella forma<br />

della cessio bonorum, eventualmente anche assistita<br />

dall’adozione di <strong>un</strong> trust (12), ovvero di risanamento<br />

o di continuità aziendale, mediante prosecuzione<br />

dell’attività d’impresa (13).<br />

Ebbene, fino ad oggi l’assenza, nel concordato preventivo,<br />

di <strong>un</strong>a disciplina specifica dei rapporti giuridici<br />

preesistenti (sull’essenziale rilievo del mancato<br />

richiamo dall’art. 169 degli artt. 72 ss. l.fall., regolanti<br />

invece tali rapporti nel fallimento, accanto<br />

ad <strong>un</strong>a ragione sistematica, fondata sulla finalità<br />

tendenziale del concordato preventivo di maggiore<br />

valorizzazione dell’esercizio dell’impresa, coerente<br />

con <strong>un</strong>’esigenza di regolare prosecuzione dei rapporti<br />

pendenti, diversa dalla finalità liquidatoria della<br />

procedura fallimentare), ha indotto a ritenere le<br />

suddette disposizioni inapplicabili ad essi, pertanto<br />

regolati dal diritto com<strong>un</strong>e: con la ravvisata prosecuzione<br />

in capo al debitore, nell’esigenza di regolare<br />

adempimento (14), senza necessità di autorizzazione<br />

alc<strong>un</strong>a, in coerenza con la continuazione dell’attività<br />

di impresa e della sua gestione, sia pure vigilata,<br />

da parte del debitore medesimo (15).<br />

Una tale regolamentazione conferma(va), d’altro<br />

canto, l’indisgi<strong>un</strong>gibile collegamento nel concordato<br />

preventivo tra attività di impresa ed inerenti<br />

rapporti giuridici pendenti. La prima si risolve, infatti,<br />

nel compimento di <strong>un</strong>a serie di operazioni<br />

economiche e commerciali, coordinate dalla comu-<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

ne finalità di produzione di beni e servizi a fini di<br />

lucro: sicché l’imprenditore, che versi in tale condizione,<br />

ne assume coerentemente, in virtù della<br />

continuità di adempimento (per <strong>un</strong> nesso tecnicoeconomico,<br />

prima ancora che giuridico), ad <strong>un</strong><br />

Note:<br />

(8) Per <strong>un</strong>a critica ed argomentata illustrazione del contenuto<br />

della nuova proposta di concordato, anche per l’ampiezza dei riferimenti:<br />

L. Mandrioli, Art. 160 (ricostruzione giuridico-aziendalistica),<br />

in M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teoricopratico,<br />

Padova, 2011, 1745.<br />

(9) Per <strong>un</strong>’indicazione del ventaglio dei possibili piani concordatari<br />

e per la loro suddivisione: G. Brugger, Art. 160. Profili aziendali,<br />

in A. Jorio, M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna,<br />

2010, 2315.<br />

(10) In tale senso, in particolare: S. Pacchi La domanda di ammissione<br />

alla procedura, in ead., Il nuovo concordato preventivo,<br />

Milano, 2005, 90; M. Caffi, Il concordato preventivo, in G. Schiano<br />

Di Pepe, Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 614.<br />

(11) Così: D. Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione,<br />

in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1213.<br />

(12) In tale senso, per il nuovo assetto del concordato, più privatisticamente<br />

connotato: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo<br />

ed il trust, in questa Rivista, 2007, 251. Lo strumento era peraltro<br />

adottato anche sotto la previgente disciplina, sia pure eccezionalmente<br />

quale mezzo alternativo alla prestazione di <strong>un</strong>a garanzia<br />

reale, in quanto costitutivo di <strong>un</strong> vincolo di destinazione<br />

realizzato dal trustee: Trib. Parma 3 marzo 2005, in questa Rivista,<br />

2005, 553.<br />

(13) Peraltro, essa è stata ritenuta compatibile anche con la cessione<br />

dei beni ai creditori, sia pure in <strong>un</strong>a forma atipica, con riserva<br />

della materiale disponibilità dei beni aziendali alla società<br />

proponente per la continuazione dell’attività commerciale, a fini<br />

satisfattivi dei creditori e dismissione anticipata dei cespiti inessenziali,<br />

da Trib. Palermo 18 maggio 2007, decr., in questa Rivista,<br />

2008, 75.<br />

(14) Per <strong>un</strong>’esauriente rassegna degli orientamenti al riguardo in<br />

dottrina ed in giurisprudenza, con particolare riferimento alla legge<br />

fallimentare non riformata: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo,<br />

cit., 437 ss.<br />

In tale senso, anche dopo la riforma: A. Patti, La disciplina nei<br />

rapporti giuridici preesistenti nel nuovo concordato preventivo,<br />

in questa Rivista, 2010, 261 ss.; G.B. Nardecchia, Gli effetti del<br />

concordato preventivo sui creditori, Milano, 2011, 137. Pure nel<br />

senso indiretto dell’insensibilità dei rapporti giuridici preesistenti<br />

alla procedura: Cass., Sez. Un., 27 luglio 2004, n. 14083, in Foro<br />

it., 2005, I, 136, in materia di esperibilità del diritto di prelazione<br />

convenzionale anche in fase di esecuzione del concordato preventivo.<br />

In senso critico invece: P.F. Censoni, Art. 168, in A. Jorio, M.<br />

Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 2422 ss.<br />

(15) Per <strong>un</strong>a dimostrazione argomentata dell’affermazione: A.<br />

Patti, Il trattamento dei rapporti pendenti nel concordato preventivo,<br />

in M. Fabiani, A. Guiotto, Il ruolo del professionista nei risanamenti<br />

aziendali, Torino, 2012, 266.<br />

La conclusione deve tuttavia essere più rigorosamente modulata,<br />

per la necessaria distinzione tra contratti ad esecuzione istantanea<br />

e ad esecuzione periodica, ai fini del trattamento delle<br />

prestazioni anteriori inadempiute, con preliminare richiamo della<br />

delimitazione dell’estensione applicativa del divieto di azioni<br />

esecutive individuali, posto dall’art. 168, primo comma l. fall., da<br />

cui tratto il divieto di spontaneo pagamento delle prestazioni anteriori<br />

alla data di presentazione del ricorso. Per maggiori riferimenti:<br />

A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle<br />

procedure concorsuali minori, cit., 82.<br />

Il Fallimento 3/2013 263


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

tempo il rischio economico e la responsabilità giuridica.<br />

Ma occorre anche dire che <strong>un</strong>a tale soluzione crea(va)<br />

seri inconvenienti alla riorganizzazione dell’impresa,<br />

per gli oneri comportati, incidenti in misura<br />

rilevante sulla realizzazione del piano.<br />

Ed infatti, la ritenuta sottrazione dell’adempimento<br />

dei rapporti giuridici preesistenti al sindacato autorizzatorio<br />

del giudice delegato, per estraneità all’ambito<br />

applicativo dell’art. 167 l.fall., attrae di necessità<br />

il momento valutativo di siffatta incidenza nella<br />

fase di ammissione della proposta (16).<br />

Quanto alla valutazione, a differenza che nel fallimento<br />

(in cui ogni rapporto singolarmente valutato,<br />

per delibarne la convenienza tra mantenimento,<br />

con subentro in esso, ovvero resiliazione, per<br />

scioglimento da esso), essa mi pare debba qui investire<br />

i rapporti pendenti nel loro complesso (con<br />

esigenza di p<strong>un</strong>tuale ed esauriente rappresentazione<br />

dal proponente ed in esito ad attento esame<br />

comparativo tra debiti e crediti a breve termine,<br />

sintomaticamente espressivi di impegni negoziali<br />

in corso di bilaterale esecuzione) ed essere pertanto<br />

di natura sintetica, per così dire, di programma,<br />

nella vigenza dell’esercizio di impresa ed in f<strong>un</strong>zione<br />

di tutela della garanzia patrimoniale per i creditori<br />

concorsuali. Essa risulta altresì coerente con la<br />

centralità del piano, introdotta dalla riforma fallimentare<br />

a fondamento della proposta concordataria,<br />

dotato di <strong>un</strong>a propria autonomia strutturale e<br />

f<strong>un</strong>zionale e flessibilmente modulato sulle previsioni<br />

del novellato art. 160, primo comma, lett.<br />

a), b), c), d) (oraanche:e) l.fall.: sicché, lavalutazione<br />

di incidenza deve essere operata sulla fattibilità<br />

di tale piano, nel quale i rapporti pendenti devono<br />

pertanto essere specificamente e dettagliatamente<br />

indicati.<br />

In questa prospettiva, per così dire, di ‘‘collocazione<br />

rilevante’’, si registra(va) qualche significativa convergenza<br />

(17), sia pure ritenuta possibile da tal<strong>un</strong>o<br />

la prosecuzione o meno di rapporti giuridici pendenti<br />

in base ad <strong>un</strong>a previsione del piano, così da escluderne<br />

la prosecuzione, in quanto eventualmente<br />

pregiudizievoli della sua attuazione ab origine (18).<br />

Ma <strong>un</strong>a tale conclusione davvero, a mio avviso, incompatibile<br />

con la disciplina fino ad oggi vigente,<br />

in cui concepibile esclusivamente <strong>un</strong>o spazio di negozialità<br />

(vuoi di rinegoziazione delle condizioni<br />

contrattuali, quanto ad entità, modalità e termini<br />

delle prestazioni; vuoi di cessione del contratto<br />

pendente, vuoi di risoluzione consensuale del rapporto;<br />

vuoi di transazione, con eventuale ass<strong>un</strong>zione<br />

di oneri da parte di terzi interessati), in <strong>un</strong> coin-<br />

volgimento attivo e responsabile del contraente in<br />

bonis, nella fase di predisposizione del piano, indipendentemente<br />

dalla tipologia di concordato.<br />

2. La nuova disciplina e l’esigenza<br />

di <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di equilibrio tra interessi<br />

contrastanti<br />

Con l’art. 33, primo comma, lett. d) D.L. 22 giugno<br />

2012, n. 83 (conv. con mod. dalla L. 7 agosto<br />

2012, n. 134), il legislatore ha introdotto <strong>un</strong>a disciplina<br />

dei contratti in corso di esecuzione (come recita<br />

la rubrica dell’art. 169 bis) nel concordato preventivo.<br />

Ed essa pone, come sempre, l’esigenza delicata di<br />

individuare <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di equilibrio tra gli interessi,<br />

tra loro confliggenti (quanto meno, quelli dei primi<br />

due soggetti con quello del terzo), del debitore (di<br />

realizzare il piano concordatario senza il vincolo dei<br />

contratti pendenti), dei creditori concorsuali (di<br />

non subire i costi di prosecuzione dei contratti) e<br />

del contraente in bonis (alla regolare esecuzione del<br />

contratto).<br />

In questa prospettiva, la disciplina riformata suscita<br />

anche nuovi e delicati interrogativi, cui occorre dare<br />

spazio, lasciando che <strong>un</strong>a loro migliore sedimentazione<br />

nella riflessione giuridica e nell’interpretazione<br />

giurisprudenziale produca soluzioni condivise.<br />

2.1. I profili sostanziali<br />

2.1.1. Il regime di trattamento dei rapporti<br />

Con la previsione della facoltà del debitore, nel ricorso<br />

ai sensi dell’art. 161 l.fall. (su debita autorizzazione<br />

del trib<strong>un</strong>ale o, dopo il decreto di ammissione,<br />

del giudice delegato), di scioglimento dai<br />

contratti in corso di esecuzione alla data di presentazione<br />

dello stesso o, sempre su sua richiesta, di sospensione<br />

(per non più di sessanta giorni, prorogabili<br />

<strong>un</strong>a sola volta), il legislatore conferma la rego-<br />

Note:<br />

(16) In tale senso, anche: Cass. 10 marzo 1995, n. 2802, in questa<br />

Rivista, 1995, 1045, che parimenti esclude la pertinenza dell’autorizzazione<br />

prevista dall’art. 167, secondo comma l. fall. per<br />

i rapporti in esame. Pure per l’obbligo del debitore di indicazione<br />

dell’esistenza del rapporto pendente (nel caso di specie: contratto<br />

preliminare di vendita) nella proposta, così da consentire<br />

<strong>un</strong>a valutazione corretta della convenienza: Cass. 18 marzo<br />

2002, n. 3022, ivi, 2002, 734.<br />

(17) Così, in particolare: M. Fabiani, La sorte del contratto preliminare<br />

di compravendita nel concordato preventivo alla luce della<br />

Riforma, in questa Rivista, 769; F. Finmanò, Gli effetti del<br />

concordato sui rapporti in corso di esecuzione, cit., 1053.<br />

(18) In tale senso: F. Finmanò, Gli effetti del concordato sui rapporti<br />

in corso di esecuzione, cit., 1054.<br />

264 Il Fallimento 3/2013


la, com<strong>un</strong>emente ritenuta in via interpretativa, di<br />

ordinaria prosecuzione dei rapporti pendenti.<br />

Ciò si ricava, infatti, dall’introduzione delle suddette<br />

facoltà, da individuare, anche per la necessità di<br />

loro specifica autorizzazione (al contrario dell’ipotesi<br />

di continuazione dei rapporti, come sopra indicato)<br />

(19), quali deroghe consentite alla regola, app<strong>un</strong>to,<br />

di prosecuzione.<br />

Appare evidente, al contrario che nel fallimento<br />

per il quale il legislatore ha stabilito <strong>un</strong>a regolamentazione<br />

più sistematica e peculiarmente propria<br />

della procedura concorsuale (20), l’assenza di <strong>un</strong>a<br />

disciplina predeterminata: al di là, infatti, della facoltà,<br />

rimessa al debitore sia pure debitamente<br />

autorizzata, di scioglimento ovvero di sospensione,<br />

ness<strong>un</strong>a regola è stabilita in linea generale (se non,<br />

come detto, quella di diritto com<strong>un</strong>e), né per determinati<br />

contratti o tipi di contratti.<br />

Sicché, in riferimento al caso di sospensione autorizzata<br />

del rapporto (nei limiti temporali suindicati),<br />

il difetto di <strong>un</strong>’espressa previsione della sua evoluzione<br />

successiva (diversamente che nel fallimento,<br />

in cui la disciplina stabilita dall’art. 72, primo e<br />

secondo comma l.fall. essa rimette alla determinazione<br />

di subentro ovvero di scioglimento del curatore,<br />

anche sull’eventuale costituzione in mora del<br />

contraente in bonis), induce a ritenere la verosimile<br />

prosecuzione del rapporto, salva richiesta del suo<br />

scioglimento.<br />

La domanda del debitore non può, a mio avviso,<br />

essere generica o riguardare indiscriminatamente<br />

tutti i contratti in corso, ma specifica, con indicazione<br />

p<strong>un</strong>tuale dei contratti oggetto di autorizzazione<br />

(allo scioglimento o alla sospensione) e delle ragioni<br />

giustificatrici, nell’ottica del piano di concordato<br />

e della sua migliore fattibilità.<br />

Il terzo comma dell’articolo in esame esclude poi<br />

l’estensione dello scioglimento del contratto alla<br />

clausola compromissoria in esso contenuta: al contrario<br />

di quanto invece prevede nel fallimento, in<br />

riferimento alla clausola arbitrale, l’art. 83 bis<br />

l.fall. (21).<br />

La ratio appare quella di rispetto della volontà delle<br />

parti, in ordine alla scelta di definizione della controversia,<br />

a conferma, se si vuole, di <strong>un</strong>a rigorosa limitazione<br />

della deroga al principio di prosecuzione.<br />

L’esplicito riferimento ad alc<strong>un</strong>i contratti è, in realtà,<br />

contenuto nell’ultimo comma dell’art. 169 bis:<br />

per la previsione di sua inapplicabilità ai rapporti di<br />

lavoro subordinato, ai contratti preliminari trascritti<br />

di immobili a destinazione abitativa principale (art.<br />

72, ottavo comma l.fall.), ai finanziamenti destinati<br />

ad <strong>un</strong>o specifico affare (art. 72 ter l.fall.), al con-<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

tratto di locazione di immobili in caso di locatore<br />

in procedura (art. 80, primo comma l.fall.).<br />

Anche qui viene da chiedersi quale ne sia la ratio<br />

ispiratrice: certamente non recuperabile <strong>un</strong>a giustificazione<br />

sistematica com<strong>un</strong>e, tanto meno riconducibile<br />

ad <strong>un</strong>a ragione di conservazione o di valorizzazione<br />

dell’impresa.<br />

Per tre ipotesi (quelle del lavoratore, del promissario<br />

acquirente ‘‘trascritto per destinazione abitativa’’,<br />

del conduttore) sembrerebbe di tutela del contraente<br />

debole: ma francamente essa appare distonica<br />

(in assenza di <strong>un</strong>a ragione forte, di deroga coerente<br />

a ragioni non settoriali) rispetto alla scelta legislativa<br />

di collocazione del ‘‘baricentro’’ di governo<br />

dei rapporti pendenti in capo al debitore. D’altro<br />

canto, la previsione è sintomaticamente rivelativa<br />

di quel difficile raggi<strong>un</strong>gimento di <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di<br />

equilibrio tra interessi confliggenti sopra illustrato.<br />

Per i finanziamenti destinati, l’inderogabilità della<br />

regola di prosecuzione risponde, a mio avviso, più<br />

coerentemente al principio di tutela del valore di<br />

impresa, per la garanzia del mantenimento di<br />

<strong>un</strong>’autonomia propria all’operazione imprenditoriale<br />

finanziata dal terzo, con rimborso mediante i proventi<br />

dell’affare e loro conseguente segregazione patrimoniale,<br />

a norma degli artt. 2447 bis, primo comma,<br />

lett. b) e 2447 decies c.c.<br />

2.1.2. Il contraente in bonis e la sua tutela<br />

Il secondo comma dell’art. 169 bis regola quindi la<br />

condizione del contraente in bonis, nei casi di autorizzazione<br />

della sua controparte in (procinto di)<br />

procedura allo scioglimento o alla sospensione del<br />

rapporto.<br />

Per <strong>un</strong>a visione più organica della sua posizione,<br />

Note:<br />

(19) In questo senso, anche: Trib. Terni 12 ottobre 2012, in questa<br />

Rivista, 2013, 99, tra i primi provvedimenti successivi alla riforma,<br />

che reputa costituire regola la continuazione dei contratti<br />

in corso, non esigente, siccome attività di ordinaria amministrazione,<br />

l’autorizzazione prevista dall’art. 167 l. fall.<br />

(20) Per riferimenti in proposito, tra gli altri: G.N. Nardo, Art. 72,<br />

in M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico,<br />

cit., 830; A. Jorio, I rapporti giuridici pendenti, in S. Ambrosini,<br />

G. Cavalli, A. Jorio, Il fallimento, inTratt. Cottino, XI, 2, Padova,<br />

2009, 470; A. Dim<strong>un</strong>do, Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti,<br />

in G. Schiano Di Pepe, Il diritto fallimentare riformato,<br />

cit., 210; L. Guglielmucci, Art. 72, in A. Jorio, M. Fabiani, Il nuovo<br />

diritto fallimentare, cit., 1116; G. Lo Cascio, Il fallimento e le<br />

altre procedure concorsuali, Milano, 2007, 477; A. Patti, I rapporti<br />

giuridici preesistenti nella prospettiva della liquidazione fallimentare,<br />

in questa Rivista, 2006, 875.<br />

(21) Esso recita, infatti: «Se il contratto in cui è contenuta <strong>un</strong>a<br />

clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni<br />

della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non<br />

può essere proseguito».<br />

Il Fallimento 3/2013 265


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

anche ai fini delle sue possibilità di tutela, appare<br />

opport<strong>un</strong>a <strong>un</strong>a distinzione tra le varie ipotesi di<br />

prosecuzione, scioglimento o sospensione del contratto.<br />

Nel primo caso, il contraente in bonis può agire, nei<br />

confronti della sua controparte che non provveda<br />

spontaneamente alle prestazioni, anche anteriori all’ammissione<br />

al concordato preventivo, cui sia tenuta<br />

per sinallagma (f<strong>un</strong>zionale) del contratto pendente,<br />

con azione di adempimento, in applicazione,<br />

come detto, degli ordinari principi di diritto com<strong>un</strong>e.<br />

Ed <strong>un</strong>a tale iniziativa egli mantiene anche qualora<br />

il debitore in concordato preventivo (e a maggior<br />

ragione, prima dell’ammissione ad esso), se ne<br />

sciolga per iniziativa <strong>un</strong>ilaterale non autorizzata.<br />

Sempre in applicazione dei principi com<strong>un</strong>i, il primo<br />

può quindi opporre al secondo, perché inadempiente<br />

o perché divenuto insolvente, l’eccezione di inadempimento<br />

od avvalersi della facoltà di sospensione<br />

della propria prestazione: così ricorrendo a quei mezzi<br />

di autotutela aventi natura di eccezioni dilatorie<br />

di diritto sostanziale, volte alla conservazione del<br />

rapporto e dell’equilibrio di interessi tra le parti.<br />

Se, infatti, la disciplina applicabile ai rapporti giuridici<br />

preesistenti nel concordato preventivo è ispirata<br />

ai principi di diritto com<strong>un</strong>e, la tutela del contraente<br />

non insolvente prevale su quella dell’insolvente:<br />

qui non giustificandosi la sovraordinazione,<br />

come invece nel fallimento, degli interessi della<br />

massa dei creditori. Ma la modulazione di <strong>un</strong>a tale<br />

tutela deve essere opport<strong>un</strong>amente correlata alla<br />

natura del contratto, ridondando sul rispetto, ovvero<br />

la violazione, del canone di buona fede.<br />

Orbene, l’eccezione di inadempimento si fonda sul<br />

presupposto della corrispettività tra le prestazioni<br />

ed esige le condizioni dell’inadempimento (o della<br />

mancata offerta di prestazione) della controparte,<br />

della contemporaneità delle prestazioni e della buona<br />

fede dell’eccipiente, potendo essere opposta a<br />

fronte di <strong>un</strong> comportamento attuale della controparte<br />

medesima, che già comprometta la regolare<br />

attuazione del rapporto obbligatorio (22).<br />

Essa non presuppone l’imputabilità dell’inadempimento,<br />

sicché è ben ammissibile nei contratti pendenti<br />

ad esecuzione istantanea, per i quali non vige<br />

(come invece per i contratti di durata) il principio<br />

di scindibilità delle prestazioni anteriori da quelle<br />

successive al concordato preventivo (23). E ciò ne<br />

consente app<strong>un</strong>to l’opponibilità dal contraente in<br />

bonis, nel caso di rifiuto dal contraente in procedura<br />

del regolare pagamento di prestazioni anteriori ineseguite,<br />

senza violazione del principio di concorsualità<br />

posto dall’art. 168 l.fall. Ma altrettanto non è possi-<br />

bile nel caso di inadempimento di prestazioni anteriori<br />

nei contratti di durata, per l’illegittimità dell’eccezione,<br />

in quanto non di buona fede, perché in<br />

contrasto qui, per la scindibilità delle prestazioni,<br />

con il principio di concorsualità, sicché il contraente<br />

in procedura può ben agire nei confronti del contraente<br />

in bonis, che per tale ragione rifiuti la propria<br />

prestazione a norma dell’art. 1460 c.c., per l’adempimento<br />

ovvero la risoluzione del contratto (24).<br />

Note:<br />

(22) Per <strong>un</strong> approfondimento in proposito: L. Bigliazzi Geri Risoluzione<br />

per inadempimento (artt. 1460 - 1462), in F. Galgano<br />

Commentario del codice civile Scialoja - Branca, Bologna - Roma,<br />

1988, 1 ss.<br />

(23) Il fondamentale discrimine tra le due categorie di contratti<br />

suindicate è rappresentato dalla individuazione della diversa f<strong>un</strong>zione<br />

in esse rispettivamente assolta dal tempo: tendenzialmente<br />

indifferente rispetto alla prestazione dedotta in obbligazione,<br />

nei contratti ad esecuzione istantanea (come nella vendita a consegne<br />

ripartite, in cui <strong>un</strong>ica è la prestazione, soltanto frazionata<br />

nel tempo), sicché in essi la durata appare priva di <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione<br />

autonoma, essendo piuttosto finalizzata al perseguimento dello<br />

scopo, per cui il fattore cronologico rileva esclusivamente come<br />

termine di adempimento; al contrario, nota individuatrice della<br />

prestazione nei contratti ad esecuzione periodica (come, in particolare,<br />

nella somministrazione e nella locazione), per cui l’obbligazione<br />

è estinta non già dall’adempimento, ma dal decorso del<br />

tempo (che assolve nell’<strong>un</strong>ità periodica alla soddisfazione di bisogni<br />

in essa ripetuti), <strong>un</strong>ico essendo il sinallagma genetico ma plurimi<br />

i sinallagma f<strong>un</strong>zionali, per l’instaurazione di <strong>un</strong> rapporto di<br />

corrispondenza tra singoli periodi di esecuzione della prestazione<br />

continuativa e singole rate di corrispettivo (al riguardo si rinvia allo<br />

studio fondamentale di G. Oppo, I contratti di durata, inRiv.<br />

dir. comm., 1943, I, 143, ora anche in id., Obbligazioni e negozio<br />

giuridico - Scritti giuridici, III, Padova, 1992, 200 ss.).<br />

Da <strong>un</strong>a tale distinzione discendono evidentemente significative<br />

conseguenze applicative, principalmente riconducibili alla scindibilità<br />

delle prestazioni (per il nesso tra loro di equilibrata corrispettività<br />

sinallagmatica, c.d. ‘‘a coppie’’) nei contratti di durata, con la<br />

coerente applicazione del divieto posto dall’art. 168 della l. fall. alle<br />

prestazioni anteriori ineseguite, soggette alla falcidia concordataria,<br />

nel rispetto del principio di concorsualità (con esso riconciliato,<br />

sotto tale profilo, il regime dei rapporti pendenti); scindibilità<br />

invece non praticabile nei contratti ad esecuzione istantanea, nei<br />

quali, come detto, l’adempimento è <strong>un</strong>ico, con <strong>un</strong>icità del sinallagma<br />

(oltre che genetico, anche) f<strong>un</strong>zionale, sicché le prestazioni<br />

non sono tra loro separabili, se non spezzando artificialmente le<br />

fasi esecutive di <strong>un</strong>a medesima prestazione, con mutilazione di<br />

<strong>un</strong> rapporto <strong>un</strong>itario: sicché per essi non vige il divieto dell’art.<br />

168 ed il pagamento delle prestazioni anteriori deve avvenire regolarmente,<br />

senza necessità di autorizzazione ai sensi dell’art.<br />

167 della l. fall., per la natura ordinaria del pagamento di <strong>un</strong> debito<br />

pregresso. Per <strong>un</strong>a più articolata dimostrazione dei vari passaggi<br />

argomentativi, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti giuridici<br />

preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit., 89 ss.<br />

(24) Senza necessità, si ritiene, di autorizzazione ai sensi dell’art.<br />

167, secondo comma l. fall., per la doverosità dell’iniziativa, a tutela<br />

specifica (satisfattoria ovvero restitutoria o ripristinatoria)<br />

del proprio diritto: ciò in quanto l’esercizio della tutela giurisdizionale<br />

relativa ad <strong>un</strong> rapporto pendente costituisce atto di ordinaria<br />

amministrazione, siccome non modificativo della struttura<br />

quali-quantitativa del patrimonio assoggettato, ma inteso al<br />

mantenimento della sua coerenza con gli obiettivi negoziali programmati<br />

ovvero alla sua ricostituzione nella composizione precedente<br />

alla conclusione del contratto, senza l’ass<strong>un</strong>zione di rischi<br />

anomali.<br />

266 Il Fallimento 3/2013


La facoltà di sospensione prevista dall’art. 1461 c.c.<br />

costituisce, invece, la reazione ad <strong>un</strong> dato di fatto,<br />

negativamente incidente sulle condizioni patrimoniali<br />

della controparte contrattuale e che integra<br />

<strong>un</strong>a situazione di pericolo per l’attuazione del rapporto<br />

obbligatorio. Il mutamento in pejus delle condizioni<br />

patrimoniali, in quanto app<strong>un</strong>to consistente in<br />

<strong>un</strong>a situazione di pericolo, rende soltanto più problematico<br />

ed incerto il perseguimento della controprestazione,<br />

a differenza dell’insolvenza, alla base della<br />

decadenza prevista dall’art. 1186 c.c., invece comportante<br />

l’immediata attuazione del rapporto (25).<br />

Ebbene, a fronte della facoltà di sospensione in parola<br />

(ben esercitabile dal contraente in bonis nei<br />

confronti del contraente in procedura), quest’ultimo,<br />

qualora ritenga opport<strong>un</strong>o il mantenimento del<br />

rapporto, può attuare anticipatamente la propria<br />

prestazione o prestare <strong>un</strong>’adeguata garanzia (anche<br />

qui, senza necessità dell’autorizzazione stabilita dall’art.<br />

167, secondo comma l.fall.) (26).<br />

Qualora poi l’inadempimento della controparte in<br />

procedura assuma gravità tale da giustificare la risoluzione<br />

contrattuale, il contraente in bonis ben potrà<br />

esperirla, sia pure con le avvertenze appena illustrate.<br />

Se, infatti, esso sia precedente all’ammissione, il<br />

predetto può agire per la risoluzione contrattuale<br />

nei confronti del primo, soltanto in relazione a<br />

contratti ad esecuzione istantanea, non anche di<br />

durata, per i quali ultimi (per la già rappresentata<br />

scindibilità delle prestazioni) il principio di concorsualità<br />

prevale sul vincolo di sinallagmaticità.<br />

Le relative conseguenze restitutorie e risarcitorie devono<br />

quindi essere regolate al di fuori del concorso,<br />

per la formazione del titolo (extracontrattuale, in<br />

quanto indebito oggettivo) in epoca successiva all’apertura<br />

del concordato preventivo (pertanto eccedente<br />

l’ambito applicativo dell’art. 168 l.fall.), con<br />

possibilità di compensazione, ricorrendone i presupposti,<br />

delle reciproche partite e pari regolazione extraconcorsuale<br />

dell’eventuale differenza (27).<br />

Analogamente, il contraente in procedura può proporre<br />

azione di risoluzione nei confronti del contraente<br />

in bonis, senza necessità di autorizzazione ai<br />

sensi dell’art. 167, secondo comma l.fall., attesa la<br />

natura di atto di ordinaria amministrazione dell’esercizio<br />

della tutela giurisdizionale relativa ad <strong>un</strong><br />

rapporto pendente (28).<br />

Qualora, invece, l’inadempimento riguardi prestazioni<br />

successive all’apertura della procedura, non si<br />

pongono problemi per alc<strong>un</strong>a delle parti, per l’inconfigurabilità<br />

di violazioni del principio di concorsualità,<br />

regolante soltanto le obbligazioni anteriori.<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

Nel caso di scioglimento del contratto, l’art. 169<br />

bis, secondo comma l.fall. stabilisce che il contraente<br />

in bonis abbia «diritto ad <strong>un</strong> indennizzo equivalente<br />

al risarcimento del danno conseguente al<br />

mancato adempimento» e che «Tale credito» sia<br />

«soddisfatto come credito anteriore al concorso».<br />

La previsione, già anticipata in via interpretativa<br />

(29), suscita qualche interrogativo di natura<br />

procedimentale, ma soprattutto sostanziale.<br />

Sotto il primo profilo, appare legittimo chiedersi a<br />

chi spetti la determinazione dell’indennizzo, in assenza<br />

di <strong>un</strong>’esplicita previsione, in particolare in favore<br />

del giudice delegato (30).<br />

Mi pare che essa debba essere compiuta dal debitore,<br />

in accordo con il contraente in bonis, così declassato<br />

a rango di creditore concorsuale chirografario<br />

(31) (e pertanto votante), ai fini dell’individuazione<br />

del fabbisogno concordatario e dell’eventuale<br />

collocazione in <strong>un</strong>a classe, da sottoporre alla verifica<br />

del trib<strong>un</strong>ale (32). Nel caso di loro disaccordo,<br />

la determinazione dell’indennizzo non può che essere<br />

compiuta, in via provvisoria, ai detti fini, dal trib<strong>un</strong>ale<br />

fallimentare (o dal giudice delegato, qualora<br />

la richiesta di scioglimento successiva al provvedimento<br />

di ammissione), ma in via definitiva dal trib<strong>un</strong>ale,<br />

nell’ambito di <strong>un</strong> giudizio ordinario.<br />

Sotto il secondo profilo, ancora più urgente appare<br />

l’interrogativo in ordine a quale giustificazione possa<br />

essere data all’evidente disparità nel trattamento<br />

dei contraenti in bonis nei rapporti pendenti (degradati<br />

da <strong>un</strong> regime di extraconcorsualità ad <strong>un</strong>o di<br />

concorsualità, sia pure autorizzato dal giudice), in<br />

particolare nel concordato preventivo con conti-<br />

Note:<br />

(25) In proposito, anche per maggiori riferimenti, si rinvia ancora<br />

a: L. Bigliazzi Geri Risoluzione per inadempimento (artt. 1460 -<br />

1462), cit., 60 ss.<br />

(26) Per le stesse ragioni illustrate alla precedente nota 24.<br />

(27) Anche qui, per <strong>un</strong>a più articolata dimostrazione dei vari passaggi<br />

argomentativi, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti<br />

giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit.,<br />

109 ss.<br />

(28) E ciò sempre per le ragioni illustrate alla precedente nota<br />

24.<br />

(29) In tale senso: M. Fabiani, La sorte del contratto preliminare<br />

di compravendita nel concordato preventivo alla luce della Riforma,<br />

cit., 768 ss.<br />

(30) Come nei casi dell’affitto d’azienda e del contratto di locazione<br />

di immobili pendenti nel fallimento: artt. 79 e 80, secondo<br />

e terzo comma l. fall.<br />

(31) Detta qualità discende dall’autonomia del nuovo credito indennitario<br />

dalla prestazione contrattuale non proseguita, in esso<br />

convertita.<br />

(32) In tale senso si è espresso, tra i primi provvedimenti: Trib.<br />

Arezzo 4 ottobre 2012, ined.<br />

Il Fallimento 3/2013 267


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

nuità aziendale (per la vigenza in esso della stessa<br />

regola, a fronte del richiamo contenuto nell’art.<br />

186 bis, terzo comma l.fall.: «fermo quanto previsto<br />

nell’art. 169 bis»), rispetto a quello di crediti anteriori<br />

per prestazioni di beni o servizi, contenuta nell’art.<br />

182 quinquies, quarto comma l.fall., dei quali<br />

può, al contrario, essere autorizzato il pagamento:<br />

evidentemente in via extraconcorsuale, in deroga<br />

al principio posto dall’art. 168 l.fall.<br />

Ci si chiede, infatti, se giustificazione sufficiente alla<br />

trasformazione di crediti concorsuali in crediti da<br />

soddisfare in prededuzione, peraltro non nuova<br />

(33), possa essere costituita (sempre secondo la<br />

citata norma) dalla selezione discretiva della loro<br />

essenzialità per la prosecuzione dell’attività di impresa<br />

e della loro f<strong>un</strong>zionalità per la migliore soddisfazione<br />

dei creditori, attestata da <strong>un</strong> professionista<br />

qualificato, avente i requisiti prescritti dall’art. 67,<br />

terzo comma, lett. d).<br />

Nel caso, infine, di sospensione del contratto, ci si<br />

poterebbe chiedere, come in effetti si è fatto, se essa<br />

sia reciproca: se <strong>un</strong>a tale facoltà sia consentita anche<br />

al contraente in bonis.<br />

In <strong>un</strong>o dei primi, rapidi commenti, è stata ritenuta<br />

possibile, qualora la sua prestazione concretamente<br />

sospendibile (così operando <strong>un</strong>a distinzione tra<br />

contratti in cui ciò sia praticabile e contratti in cui<br />

non lo sia o non lo sia facilmente: ad esempio, per<br />

questi ultimi, di somministrazione di energia elettrica<br />

o di altri beni o servizi indispensabili), con il differimento<br />

del pagamento a detto contraente dopo<br />

la sospensione; in questo caso, senza interessi di<br />

mora, per l’esercizio dal debitore in (procinto di ovvero<br />

in) procedura di <strong>un</strong>a facoltà di legge, autorizzata<br />

dal giudice (34).<br />

A me pare che <strong>un</strong>a tale interpretazione rischi di vanificare<br />

la volontà del legislatore, che chiaramente riconosce,<br />

anche nell’ipotesi in esame (secondo l’incipit<br />

dell’art. 169 bis, secondo comma, immediatamente<br />

dopo la previsione di autorizzazione allo scioglimento<br />

o alla sospensione del contratto: «In tali casi ...»), il<br />

diritto del contraente in bonis ad <strong>un</strong> indennizzo, equivalente<br />

al risarcimento del danno conseguente al<br />

mancato (qui: tempestivo) adempimento, da soddisfare<br />

nel concorso dei creditori (anteriori).<br />

Sicché, si dovrebbe intendere che egli sia com<strong>un</strong>que<br />

tenuto al regolare adempimento della propria<br />

prestazione, nell’inconfigurabilità altrimenti di alc<strong>un</strong><br />

danno indennizzabile.<br />

2.2. I profili processuali<br />

Il nuovo regime di trattamento dei rapporti pen-<br />

denti suscita anche alc<strong>un</strong>i interrogativi di natura<br />

processuale.<br />

Il primo che emerge riguarda l’individuazione del<br />

momento di presentazione dell’istanza: se esso sia<br />

collocabile soltanto all’atto di proposizione del ricorso<br />

(come la lettera della norma suggerirebbe: «Il debitore<br />

nel ricorso ... può chiedere ...») ovvero anche<br />

nel corso della procedura (come potrebbe lasciare intendere<br />

il riferimento, come destinatario della richiesta,<br />

«dopo il decreto di ammissione», al giudice delegato)<br />

(35) ed eventualmente fino a quale momento.<br />

Ebbene, la risposta deve essere, a mio avviso, ricercata,<br />

piuttosto che nell’ambito di <strong>un</strong>’interpretazione<br />

letterale (attesa anche la sua rilevata equivocità),<br />

sotto <strong>un</strong> profilo sistematico, di legame del rapporto<br />

pendente con il piano e con la proposta, attesa l’evidente<br />

finalità della nuova normativa di agevolare<br />

la fattibilità del concordato.<br />

Occorre allora, nell’esercizio di <strong>un</strong>o scrutinio attento<br />

delle criticità ed onerosità di ogni contratto in<br />

corso, valutarne la concreta incidenza sul piano,<br />

saggiandone la coerente rispondenza agevolatrice o<br />

meno, tenuto conto della portata strategica o marginale<br />

o addirittura antieconomica del contratto in<br />

corso, secondo <strong>un</strong> apprezzamento, anche qui, di tendenziale<br />

essenzialità per la prosecuzione dell’attività<br />

di impresa e della f<strong>un</strong>zionalità per la migliore soddisfazione<br />

dei creditori (così ricavando dalla locuzione<br />

normativa dell’art. 182 quinquies, quarto comma<br />

l.fall. <strong>un</strong>a sorta di principio generale nella materia).<br />

Ma se questo è, davvero mi pare che il momento di<br />

collocazione della richiesta difficilmente possa essere<br />

individuato al di là del ricorso, in cui dovrebbe<br />

necessariamente essere contenuta, anche soltanto a<br />

livello previsionale: magari con <strong>un</strong>a modulazione<br />

temporale, per esigenze di tempistica di piano, in<br />

Note:<br />

(33) Basti qui ricordare, tra le altre, la previsione normativa di<br />

equiparazione di diritto ai crediti in prededuzione di quelli relativi<br />

all’acquisto di bietole, «ove il pagamento sia necessario per l’attuazione<br />

del programma ..., anche se sorti anteriormente all’inizio<br />

della procedura di amministrazione straordinaria» (art. 3, lett.<br />

a D.L. 12 agosto 1983, n. 371, conv. in L. 11 ottobre 1983, n.<br />

546). Od ancora quella riguardante i debiti delle imprese armatoriali<br />

in amministrazione straordinaria derivanti da rapporti di lavoro<br />

subordinato nonché nei confronti di soggetti stranieri «le cui<br />

azioni cautelari o esecutive ostacolino la continuazione dell’esercizio<br />

di impresa» (D.L. 28 aprile 1982, n. 185, conv. in L. 25 giugno<br />

1982, n. 381).<br />

(34) Così: B. Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato:<br />

l’art. 169-bis l. fall., inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti<br />

del 3 agosto 2012.<br />

(35) In tale senso: G.B. Nardecchia, Art. 169 bis, in G. Lo Cascio,<br />

Codice commentato del fallimento, II ed., Milano, 2013,<br />

2002.<br />

268 Il Fallimento 3/2013


<strong>un</strong> momento successivo all’apertura della procedura,<br />

così giustificando il riferimento all’autorizzazione<br />

del giudice delegato.<br />

Accanto all’interesse più squisitamente proprio del<br />

debitore e dei suoi creditori, non può essere neppure<br />

pretermessa (così recuperando <strong>un</strong>a corretta ricerca di<br />

equilibrio tra contrapposti interessi, come sopra segnalato)<br />

l’esigenza del contraente in bonis di trovare<br />

tempestiva collocazione nel ceto creditorio concorsuale<br />

(al cui rango ‘‘degradato’’, per effetto dell’autorizzato<br />

scioglimento del rapporto pendente), con<br />

eventuale sua collocazione in <strong>un</strong>a classe e possibilità<br />

di voto, in esito a sufficiente (anche in termini temporali)<br />

dotazione informativa, come tutti gli altri.<br />

Credo che, salve soltanto sopravvenute e sostanzialmente<br />

impreviste circostanze, sia (se non obbligatorio,<br />

quanto meno) opport<strong>un</strong>o che la determinazione<br />

in ordine ai rapporti pendenti venga ass<strong>un</strong>ta dal debitore<br />

fin da subito: riterrei com<strong>un</strong>que che essa non<br />

possa eccedere l’inizio delle operazioni di voto, fissato<br />

dall’art. 175, secondo comma l.fall. come termine<br />

di immodificabilità della proposta, per i verosimili riflessi<br />

di variazione sulla stessa dei rapporti pendenti.<br />

La richiesta del debitore deve poi ottenere l’autorizzazione<br />

del giudice (trib<strong>un</strong>ale o giudice delegato<br />

che sia), sicché il conseguente interrogativo che<br />

naturalmente si pone è di quale valutazione esso<br />

debba operare.<br />

Mi pare che, l<strong>un</strong>gi dal ritenerla <strong>un</strong>a «mera presa<br />

d’atto di <strong>un</strong> diritto potestativo del debitore» sul rilievo<br />

della mancanza di <strong>un</strong>’indicazione normativa<br />

di «<strong>un</strong> criterio in base al quale parametrare questo<br />

genere di autorizzazioni» (36), occorra seguire <strong>un</strong><br />

criterio di merito (37), anche qui ravvisabile nella<br />

migliore riuscita del concordato preventivo nell’interesse<br />

dei creditori (38).<br />

3. I contratti in corso nel concordato<br />

con continuità aziendale<br />

Particolare rilevanza assume il regime di trattamento<br />

dei rapporti pendenti nel concordato con continuità<br />

aziendale, già noto nella letteratura concorsuale e<br />

(talvolta) praticato nell’esperienza operativa, ora<br />

espressamente regolato dall’art. 186 bis l.fall. (39),<br />

avente natura di norma di fattispecie (40).<br />

3.1. Le ipotesi<br />

Le ipotesi specificamente previste dal suo primo<br />

comma ne contemplano l’alternativa modulazione<br />

(con possibilità di liquidazione di beni non f<strong>un</strong>zionali<br />

all’esercizio) per prosecuzione dell’attività di<br />

impresa dal parte del debitore, per cessione dell’a-<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

zienda in esercizio, ovvero per conferimento dell’azienda<br />

in esercizio in <strong>un</strong>a o più società, anche di<br />

nuova costituzione.<br />

Qualche argomentata perplessità è stata autorevolmente<br />

prospettata in ordine al caso, qualificato come<br />

‘‘di confine’’, dell’affitto d’azienda pendente, inteso<br />

come rilevante essenzialmente ai fini della prospettiva<br />

di ‘‘continuità contrattuale’’, ai sensi dell’art.<br />

186 bis, terzo e quarto comma l.fall., senz’altro<br />

ascrivibile alla fattispecie in esame se successivo alla<br />

domanda di concordato (41).<br />

A me pare tuttavia che, anche per l’affitto d’azienda<br />

anteriore e pertanto pendente al momento della<br />

domanda, si verta a pieno titolo nell’ipotesi di concordato<br />

con continuità. E ciò per la prosecuzione<br />

dell’attività imprenditoriale (che non cessa, essendo<br />

anzi presupposta dal divieto di concorrenza stabilito<br />

dall’art. 2557, quarto comma c.c., per l’affitto dell’azienda,<br />

che di regola comporta, nei rapporti con i<br />

terzi, il subentro dell’affittuario nella posizione del<br />

locatore) (42), secondo <strong>un</strong>a particolare disposizione<br />

del debitore (se si vuole, non diversa, salvo che<br />

nella modalità tecnica, dall’allocazione che della<br />

Note:<br />

(36) Così testualmente pare opinare, sia pure ricavata poi l’inopport<strong>un</strong>ità<br />

della prosecuzione del contratto (nel caso di specie: di<br />

affitto di ramo d’azienda) dalla concretezza della fattispecie: Trib<br />

Salerno 25 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 75, con nota<br />

di P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato<br />

preventivo ‘‘con riserva’’, ivi, 82.<br />

(37) Non c’è tempo qui per <strong>un</strong> approfondimento, che pure andrebbe<br />

e andrà fatto, in ordine all’ambito e alla natura del sindacato<br />

autorizzatorio giudiziale, in stretta correlazione con i principi<br />

di autonomia ‘‘controllata nella legittimità sostanziale’’, che reggono<br />

il nuovo concordato preventivo, con particolare riferimento<br />

ai suoi limiti in ordine alla fattibilità del piano (per cui si segnala<br />

la recentissima Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in<br />

questa Rivista, 2013, 149, con nota di M. Fabiani, La fattibilità<br />

del piano concordatario nella lettura delle sezioni <strong>un</strong>ite, ivi, 156),<br />

cui i rapporti pendenti strettamente correlati.<br />

Per <strong>un</strong> recente approfondimento del tema, mi permetto di rinviare<br />

a: A. Patti, Esclusione della sindacabilità dal trib<strong>un</strong>ale della<br />

fattibilità del piano nel concordato preventivo, in questa Rivista,<br />

2012,42.<br />

(38) In tale senso, tra i primi provvedimenti: Trib. La Spezia 25<br />

ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 76.<br />

(39) Esso è stato aggi<strong>un</strong>to dall’art. 33, primo comma, lett. h)<br />

D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con mod. in L. 7 agosto 2012,<br />

n. 134.<br />

(40) Così, in particolare: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />

aziendale: tipologie e finanziamenti, relazione al Corso di<br />

Perfezionamento ‘‘Il nuovo diritto fallimentare’’, avente ad oggetto<br />

‘‘Crisi d’impresa e continuità aziendale’’, tenuto a Firenze<br />

il (15 e) 29 novembre 2012.<br />

(41) In tale senso, ancora: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />

aziendale: tipologie e finanziamenti, cit.<br />

(42) Così, tra le altre, con particolare riferimento alla tutela dei<br />

segni distintivi dell’imprenditore: Cass. 18 settembre 1993, n.<br />

9230, in Foro it., 1994, I, 1354.<br />

Il Fallimento 3/2013 269


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

medesima azienda egli faccia presso altri, soggetto<br />

cessionario o conferitario), di natura temporanea,<br />

in quanto destinata alla retrocessione nel suo patrimonio<br />

(cui mai venuta meno), per effetto di naturale<br />

scadenza convenzionale ovvero di scioglimento,<br />

a norma dell’art. 169 bis, primo comma l.fall., in<br />

quanto contratto app<strong>un</strong>to pendente.<br />

3.2. La disciplina<br />

Il terzo comma della disposizione in esame stabilisce<br />

espressamente che, ferma l’applicazione dell’art.<br />

169 bis (e quindi: possibilità di loro scioglimento o<br />

prosecuzione, ad iniziativa, autorizzata, del debitore),<br />

i contratti in corso (tutti, non essendo prevista<br />

esclusione alc<strong>un</strong>a: se non, a particolari condizioni,<br />

per quelli stipulati con pubbliche amministrazioni<br />

(43), essi pure soggetti tendenzialmente al principio<br />

di continuità) proseguano o, secondo la lettera<br />

della norma, non si risolvano per effetto dell’apertura<br />

della procedura.<br />

La disposizione di ordinaria continuazione riceve<br />

ulteriore rinforzo dalla regola, immediatamente successiva,<br />

di inefficacia di ‘‘eventuali patti contrari’’,<br />

ossia di clausole risolutive ipso iure.<br />

Essa ricalca la previsione, nel fallimento, dell’art.<br />

72, sesto comma (44), con la quale istituisce <strong>un</strong> significativo<br />

collegamento, per la simmetrica collocazione<br />

del baricentro della gestione dei rapporti pendenti<br />

in capo (non più, come è regola per il diritto<br />

com<strong>un</strong>e, al contraente non insolvente, ma) al debitore<br />

in (procinto di) procedura, qui e del curatore,<br />

là: in entrambi i casi, per il prevalere della regola<br />

processuale su quella economica.<br />

Se allora questa è la regola, di prosecuzione (salva<br />

la facoltà di scioglimento o di sospensione esclusivamente<br />

riservata al debitore) per tutti i tipi di<br />

contratto, senza distinzioni salve le ipotesi espressamente<br />

eccettuate dal legislatore (45), essa vale anche<br />

per i contratti di finanziamento: nonostante alc<strong>un</strong>e<br />

perplessità in proposito manifestate, secondo<br />

cui gli istituti di credito potrebbero fondatamente<br />

opporsi a detta prosecuzione, per la soggezione dei<br />

rapporti di finanziamento alla disciplina prevista<br />

dall’art. 186 quinquies, primo e secondo comma<br />

l.fall., individuata come speciale.<br />

3.2.1. (Segue) I contratti di finanziamento<br />

Su quale regime sia connotabile di specialità, rispetto<br />

ad altro, occorre tuttavia intendersi: se, come<br />

propugnato da <strong>un</strong>a tale interpretazione, per tipologia<br />

del rapporto, app<strong>un</strong>to di finanziamento, ovvero<br />

per sua collocazione temporale rispetto alla proce-<br />

dura di concordato, nel senso di anteriorità ormai<br />

esaurita, di posteriorità o di pendenza attuale.<br />

Ebbene, se il ragionamento interpretativo fin qui<br />

condotto ha <strong>un</strong>a sua coerenza con la lettera e la ratio<br />

sistematica delle norme scrutinate, la risposta mi<br />

pare obbligata. La specialità non può che essere individuata<br />

nel regime di pendenza del rapporto (rispondente<br />

alle illustrate regole di disciplina, indifferenziata<br />

per tipi di contratti), non già nella sua natura<br />

di finanziamento, posto che le regole stabilite<br />

dall’art. 186 quinquies valgono soltanto per finanziamenti<br />

non ancora stipulati (e pertanto non pendenti),<br />

in quanto da ‘‘contrarre’’ (secondo il suo<br />

primo comma) o addirittura anche ‘‘individuati soltanto<br />

per tipologia ed entità, non ancora oggetto di<br />

trattative’’ (secondo il suo secondo comma).<br />

E nel senso qui patrocinato è pure <strong>un</strong> ben argomentato<br />

provvedimento di merito, secondo cui anche i<br />

rapporti di finanziamento (nel caso di specie: operazioni<br />

di anticipo o di sconto di fatture, con sottostante<br />

eventuale cessione dei crediti anticipati) sono<br />

soggetti ad ordinaria prosecuzione dopo la presentazione<br />

di ricorso, ai sensi dell’art. 161, sesto comma<br />

l.fall. (con riserva di presentazione della proposta),<br />

senza neppure necessità di autorizzazione dal giudice,<br />

in quanto atti di ordinaria amministrazione (46).<br />

Qui si pone il delicato problema della conservazione<br />

delle linee di credito, nella loro convenzionale modulazione<br />

strutturale: ed in particolare, in specifico riferimento<br />

alla concessione di affidamenti assistiti da<br />

‘‘cessioni di portafoglio’’ (in virtù di anticipazioni di<br />

crediti su fatture o di altra ‘‘carta commerciale’’) c.d.<br />

‘‘autoliquidanti’’, della possibilità per la banca, mandataria<br />

in rem propriam all’incasso dei crediti della debitrice<br />

finanziata anticipataria, di compensare i propri<br />

crediti anteriori alla data di presentazione della domanda<br />

di concordato con tali crediti incassati dopo.<br />

Da sempre l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità<br />

distingue (47) il caso del conferimento alla<br />

banca di <strong>un</strong> semplice mandato all’incasso in rem propriam,<br />

per il quale la pendenza del rapporto obbliga<br />

la banca mandataria a darvi esecuzione con la riscos-<br />

Note:<br />

(43) Per alc<strong>un</strong>e prime considerazioni al riguardo: P. Pizza, Il concordato<br />

preventivo di imprese fornitrici della pubblica amministrazione,<br />

inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti del 3<br />

agosto 2012.<br />

(44) Per essa: «Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno<br />

dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento».<br />

(45) Come illustrato più sopra, § 2.1.1.<br />

(46) In tale senso: Trib. Terni 12 ottobre 2012, cit.<br />

(47) E così pure, richiamandolo, il provvedimento citato alla nota<br />

precedente, che opera analoga distinzione.<br />

270 Il Fallimento 3/2013


sione dei crediti affidati, salvo rimetterne le relative<br />

sommealmandanteinprocedura(senzapoteroperare<br />

la compensazione, ai sensi del combinato disposto<br />

degli artt. 169 e 56 l.fall., per soggezione al principio<br />

della concorsualità, che vieta <strong>un</strong>a diretta soddisfazione:<br />

se si vuole, anche in applicazione del principio<br />

posto dall’art. 168 l.fall.) (48), dal caso in cui esso<br />

sia invece assistito da <strong>un</strong>a clausola attributiva del diritto<br />

di ‘‘incamerare’’ le somme riscosse in favore della<br />

banca (c.d. ‘‘patto di compensazione’’ o, secondo<br />

altra definizione, patto di annotazione ed elisione<br />

nel conto di partite di segno opposto), legittimante<br />

la banca a compensare il proprio debito di restituzione<br />

al cliente delle somme riscosse, con il proprio credito<br />

verso lo stesso, conseguente ad operazioni regolate<br />

nel medesimo conto corrente, indipendentemente<br />

dall’anteriorità di questo alla procedura concorsuale<br />

e dalla posteriorità di quello (in tale ipotesi<br />

non operando il principio di concorsualità) (49).<br />

E la ragione di questa distinzione attiene proprio alla<br />

collocazione extraconcorsuale del rapporto pendente<br />

che prosegua nel corso della procedura. Si<br />

deve, infatti, ritenere la continuità del rapporto<br />

nella sua interezza, comprensiva di tutte le clausole<br />

pattizie che lo regolino (così anche di quella attributiva<br />

alla banca del diritto di ‘‘incamerare’’ le<br />

somme riscosse per conto del correntista), per l’essenziale<br />

loro connessione: nel senso della regolamentazione,<br />

pattuita tra le parti, della modalità satisfattiva<br />

del credito (di anticipazione) della banca,<br />

senza la quale l’operazione non sarebbe stata posta<br />

in essere, con la conseguenza dell’interdipendenza<br />

del negozio e del patto (50).<br />

La valutazione da operare è allora di convenienza<br />

del mantenimento delle linee di credito, con le pattuizioni<br />

ad esse accedenti (eventuali cessioni di crediti<br />

o patti di compensazione, in f<strong>un</strong>zione solutoria,<br />

in favore della banca finanziatrice) e l’ordinario servizio<br />

di incasso dei crediti (per cui indubbiamente<br />

essa professionalmente più attrezzata), ovvero di<br />

scioglimento dal contratto pendente, con i coerenti<br />

effetti di caducazione di tutti i patti accedenti. In<br />

ogni caso, tale scelta spetta al curatore e non all’istituto<br />

finanziario, non legittimato a sciogliersi dal<br />

rapporto (neppure potendosi, a mio avviso, invocare<br />

l’applicazione della disciplina prevista dall’art.<br />

182 quinquies l.fall., per le ragioni dette), in coerente<br />

osservanza dei principi regolanti la materia.<br />

4. Applicabilità della disciplina<br />

alla domanda con riserva<br />

L’art. 161, sesto comma l.fall. (51) ha introdotto la<br />

possibilità per il debitore di deposito del ricorso,<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

contenente la domanda di concordato <strong>un</strong>itamente<br />

ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, con riserva<br />

di presentazione della proposta, del piano e della<br />

documentazione prevista dal secondo e dal terzo<br />

comma entro <strong>un</strong> termine fissato dal giudice, compreso<br />

tra sessanta e centoventi giorni e prorogabile,<br />

per giustificati motivi, di non oltre sessanta; con<br />

possibilità di deposito nello stesso termine, in alternativa<br />

e con la conservazione degli effetti del ricorso<br />

fino all’omologazione, di <strong>un</strong>a domanda ai sensi<br />

dell’art. 182 bis, primo comma l.fall.; con applicazione,<br />

in mancanza, delle conseguenze stabilite dall’art.<br />

162, secondo e terzo comma l.fall.<br />

La nuova disposizione traduce normativamente la<br />

distinzione perspicuamente operata tra domanda,<br />

proposta e piano (52), nell’ispirazione alla disciplina<br />

del Chapter 11 stat<strong>un</strong>itense (53), in f<strong>un</strong>zione agevolatrice<br />

dell’imprenditore in crisi, cui offre la possibilità<br />

di trattare con i propri creditori, finanziatori e<br />

fornitori, concertando l’elaborazione di <strong>un</strong> percorso<br />

idoneo alla sua soluzione, fruendo dell’anticipazione<br />

dell’effetto protettivo sul suo patrimonio (54).<br />

Ci si chiede se la nuova disciplina dei rapporti pendenti<br />

sia applicabile anche alla domanda qui in esame.<br />

La delicatezza dell’autorizzazione allo scioglimento<br />

(che, come non a torto è stato osservato, «costituisce<br />

misura estrema d’incidenza sullo statuto del cre-<br />

Note:<br />

(48) Si ritiene, infatti, che la norma, vietando la possibilità di<br />

azioni esecutive individuali, a maggior ragione escluda la possibilità<br />

di pagamenti spontanei.<br />

(49) In tale senso, ancora ultimamente: Cass. 18 settembre<br />

2011, n. 17999, in Giust. civ., 2012, I, 778; per la giurisprudenza<br />

di merito più recente: Trib. Bergamo 21 novembre 2011, in questa<br />

Rivista, 2012, 586, con nota di G. Tarzia, Riscossione di crediti<br />

‘‘anticipati’’ dalla banca ed efficacia del patto di compensazione<br />

nel concordato preventivo, ivi, 588.<br />

(50) Così: Cass. 7 marzo 1998, n. 2539, in questa Rivista, 1998,<br />

1254.<br />

Per <strong>un</strong> maggiore approfondimento, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A.<br />

Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali<br />

minori, cit., 341 ss.<br />

(51) Esso è stato aggi<strong>un</strong>to dall’art. 33, primo comma, lett. b), n.<br />

4 D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. con mod. dalla L. 7 agosto<br />

2012, n. 134)<br />

(52) Per essa, nitidamente: M. Fabiani, Per la chiarezza delle<br />

idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e<br />

riflessi sulla fattibilità, in questa Rivista, 2011, 768.<br />

(53) Per interessanti riferimenti comparatistici al riguardo: P. Manganelli,<br />

Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli Stati Uniti:<br />

due sistemi fallimentari a confronto, in questa Rivista, 2011, 129.<br />

(54) Per alc<strong>un</strong>e, prime riflessioni in proposito: M. Fabiani, Nuovi<br />

incentivi per la regolazione della crisi d’impresa, inCorr. giur.,<br />

2012, 1265, part. 1271; L. Panzani, Speciale decreto sviluppo. Il<br />

concordato in bianco, inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti<br />

del 14 settembre 2012.<br />

Il Fallimento 3/2013 271


Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

ditore ... che può trovare razionalizzazione solo alla<br />

luce della sua f<strong>un</strong>zionalità con la tipologia della effettiva<br />

proposta concordataria’’ anche se ‘‘davvero di<br />

difficile declinazione con la privatizzazione del concordato<br />

e la sua visione in termini di pura contrattualità»)<br />

(55) e l’indubbia irreversibilità dei suoi effetti,<br />

non espressamente limitati al concorso (che<br />

potrebbero essere impropriamente trasferiti dall’istituto<br />

concordatario, per il quale previsti, a quello, ad<br />

essi estraneo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti,<br />

per l’esplicita possibilità del debitore di tale selezione<br />

discretiva nel termine concesso dal giudice<br />

dalla data di pubblicazione della domanda) (56), ha<br />

giustificato l’ass<strong>un</strong>zione di posizioni sostanzialmente<br />

negative, con limitata apertura alla richiesta di sospensione,<br />

compatibile con <strong>un</strong>a fase così nebulosa<br />

ed avara di discovery del debitore (57).<br />

Altra lettura della disposizione non ne ha escluso<br />

l’applicabilità pregiudiziale anche alla domanda con<br />

riserva, purché almeno delineato il tipo di concordato<br />

preventivo in via di presentazione e rappresentata<br />

l’incidenza del rapporto in corso nella gestione<br />

ordinaria dell’impresa (58).<br />

Personalmente, credo che il chiaro riferimento dell’art.<br />

169 bis al «ricorso di cui all’art. 161» non possa<br />

eluderne il suo sesto comma (app<strong>un</strong>to relativo<br />

all’ipotesi di domanda con riserva), non essendo<br />

necessario l’esplicito richiamo del comma (come<br />

invece nell’art. 182 quinquies, primo comma), trattandosi<br />

piuttosto di scarsa organicità e coerenza,<br />

anche lessicale, di <strong>un</strong> legislatore alluvionale.<br />

Ma le obiezioni illustrate sono, tuttavia, serie e meritevoli<br />

di adeguata considerazione. Ed allora, se l’esito<br />

interpretativo più corretto e rispondente alla ratio legis<br />

(di indubbio favore per l’accesso a concordati in<br />

<strong>un</strong> regime di trattativa e di predisposizione di piano e<br />

di proposta, più protetto ed alleggerito di oneri non<br />

f<strong>un</strong>zionali allo scopo), depone, a mio avviso, per l’applicazione<br />

della nuova norma anche a tale fase, occorre<br />

pure che il debitore, il quale richieda di essere<br />

autorizzato allo scioglimento di rapporti pendenti, sia<br />

adeguatamente responsabilizzato. E ciò, mediantela<br />

pretesa (in f<strong>un</strong>zione della richiesta autorizzazione) di<br />

<strong>un</strong>’adeguata indicazione del piano e della proposta,<br />

sia pure non ancora definitivi e suscettibili di modifiche,<br />

tenuto anche conto della verosimile possibilità<br />

di originaria valutazione della collocazione dell’istanza,<br />

relativa al rapporto pendente, nell’impianto strategico<br />

del concordato e della sua incidenza quivi fin<br />

da subito: più difficilmente configurabile, se non in<br />

qualche caso, come atto urgente di straordinaria amministrazione<br />

«dopo il deposito del ricorso», per cui<br />

sufficiente l’ass<strong>un</strong>zione di informazioni sommarie.<br />

Ciò che credo non sia proprio possibile è l’autorizzazione<br />

di scioglimento da rapporti pendenti ‘‘al buio’’<br />

o quasi: la stessa valutazione del debitore, a monte<br />

della richiesta, impone che egli abbia sufficientemente<br />

chiaro <strong>un</strong> possibile percorso concordatario,<br />

cui già abbia cominciato a lavorare, nell’intenzione<br />

di adire <strong>un</strong> regime di ‘‘gestione controllata’’ (app<strong>un</strong>to<br />

dal giudice, tramite autorizzazione). Ed <strong>un</strong>a volta<br />

che <strong>un</strong>a tale strada sia imboccata, ottenuta l’autorizzazione<br />

richiesta, credo anche che gli rimanga preclusa<br />

quella alternativa degli accordi di ristrutturazione:<br />

proprio perché deliberatamente scelta l’utilizzazione<br />

di <strong>un</strong>o strumento previsto dal legislatore soltanto<br />

per il concordato, certamente ancora suscettibile<br />

di variazioni modulative anche significative,<br />

purché coerenti con l’impostazione scelta.<br />

Si tratta evidentemente di prime riflessioni, da offrire<br />

al dibattito interpretativo, che presuppongono<br />

<strong>un</strong> atteggiamento di buona fede, esigibile da tutti<br />

(giudici sicuramente, ma anche imprenditori e professionisti)<br />

nell’impiego corretto e non malizioso<br />

degli istituti.<br />

Ancora, ci si chiede se l’inefficacia delle clausole risolutive<br />

espresse, stabilita per il concordato con<br />

continuità (art. 186 bis, terzo comma), operi anche<br />

nell’ipotesi di domanda con riserva. L’interrogativo<br />

presuppone evidentemente quello di applicabilità,<br />

più in generale, di detta ipotesi al concordato con<br />

continuità.<br />

Ebbene, mi pare che, <strong>un</strong>a volta data risposta positiva<br />

alla possibilità di <strong>un</strong>a gestione controllata (con<br />

particolare riferimento al trattamento dei rapporti<br />

Note:<br />

(55) Così: Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 74.<br />

(56) L’art. 161, sesto comma, seconda parte l. fall prevede, infatti:<br />

«Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino<br />

all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può<br />

depositare domanda ai sensi dell’art. 182 bis, primo comma».<br />

In non condivisibile senso contrario, per l’esclusione degli effetti<br />

previsti dall’art. 169 bis, qualora il debitore, autorizzato allo scioglimento<br />

di contratti pendenti, poi opti per il deposito di <strong>un</strong> accordo<br />

di ristrutturazione dei debiti: G.B. Nardecchia, Art. 169<br />

bis, cit., 2004.<br />

(57) In tale senso, app<strong>un</strong>to: Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, cit.; A.<br />

Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato<br />

con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni<br />

del trib<strong>un</strong>ale, inIl fallimentarista.it del 26 novembre 2012,<br />

consapevole dell’inevitabile estensione della norma, quanto meno<br />

in via astratta, ma concretamente esigente il deposito della<br />

proposta e del piano definitivi.<br />

(58) In tale senso: Trib. Mantova 27 settembre 2012, in Il Caso.it,<br />

I, 7874, con particolare riguardo all’incidenza dei canoni<br />

del contratto di leasing pendente, che nel caso di specie ha negato<br />

l’autorizzazione, per il difetto dei requisiti indicati nel testo.<br />

In senso favorevole all’applicabilità dell’art. 169 bis alla domanda<br />

con riserva, anche: Trib. Modena 30 novembre 2012, in Il Caso.it,<br />

I, 8196.<br />

272 Il Fallimento 3/2013


pendenti) anche nella fase qui in esame, la risposta<br />

positiva sia coerente anche per la riserva di presentazione<br />

di <strong>un</strong>a proposta e di <strong>un</strong> piano (a condizioni<br />

di loro previa idonea indicazione) di concordato<br />

con continuità: tenuto anche conto dell’indubbia<br />

possibilità di esercizio dell’attività di impresa (certamente<br />

dopo ed a fortiori anche) prima del deposito<br />

del piano e della proposta, come pure dell’indubbia<br />

possibilità di presentazione successiva di <strong>un</strong> piano<br />

di continuità aziendale, trattandosi, come già detto,<br />

di <strong>un</strong> fatto oggettivo, che responsabilizza (maggiormente)<br />

il debitore ed i suoi consulenti (59).<br />

Ed allora, l’inefficacia delle clausole risolutive ipso iure<br />

deve ritenersi pure qui operante, per il coerente riferimento<br />

della norma («Fermo quanto previsto nell’art.<br />

169 bis»: come visto applicabile) ai «contratti<br />

in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso»<br />

(anche ai sensi dell’art. 161, sesto comma).<br />

Infine, mi pare che parimenti debba ritenersi anche<br />

nel concordato preventivo senza continuità, attesa<br />

l’indiscutibile collocazione del baricentro del ‘‘governo’’<br />

dei rapporti pendenti in capo al debitore (60).<br />

5. Un interrogativo conclusivo<br />

Alla luce delle considerazioni svolte, si deve osservare<br />

come la disciplina dei rapporti pendenti (per<br />

la prima volta) introdotta nel concordato preventivo,<br />

se indubbiamente incontra il favore degli operatori<br />

(per averne accolti gli auspici di <strong>un</strong>a più libera<br />

gestione, per la facilitazione delle soluzioni concordatarie),<br />

profili <strong>un</strong>’incerta ‘‘navigazione a vista’’ tra<br />

rottura dei principi della concorsualità (sintomaticamente<br />

individuabile, per le ragioni illustrate, nell’art.<br />

182 quinquies, quarto comma l.fall.) e ‘‘discontinuità’’<br />

di impresa.<br />

L’interrogativo di fondo, che mi pare riassuma tutti<br />

gli altri, è, infatti, di quale sia la regola adottata dal<br />

legislatore per la prosecuzione dell’attività di impresa<br />

nel concordato preventivo.<br />

Credo difficilmente contestabile che la regola economica<br />

risulti fortemente contaminata da quella<br />

squisitamente processuale (che app<strong>un</strong>to prevede la<br />

facoltà per il debitore, su autorizzazione del giudice,<br />

di sciogliersi da tali rapporti o di sospenderne l’esecuzione):<br />

proprio come nell’esercizio provvisorio<br />

nel fallimento, ai sensi dell’art. 104, settimo comma<br />

l.fall. e nell’amministrazione straordinaria, ai sensi<br />

dell’art. 50 D.Lgs. 270/99 (61).<br />

Ma in tali procedure è chiara la finalità protettiva<br />

del ceto creditorio, rappresentato dal curatore e dal<br />

commissario straordinario, orientati nel loro agire da<br />

<strong>un</strong>a finalità essenzialmente liquidatoria; non mi pare<br />

che altrettanto si possa affermare nel concordato con<br />

Opinioni<br />

Concordato preventivo<br />

continuità aziendale, nel quale il debitore non assolve<br />

ad <strong>un</strong>a tale f<strong>un</strong>zione, né realizza direttamente <strong>un</strong>a<br />

tale finalità: se non nei limiti di <strong>un</strong>a migliore soddisfazione<br />

dei creditori, qualora, per sua esplicita menzione<br />

nell’art. 182 quinquies, quarto comma l.fall. (in<br />

riferimento al pagamento antergato di crediti anteriori)<br />

e nell’art. 186 bis, secondo comma, lett. b)<br />

l.fall. (in riferimento alla prosecuzione dell’attività di<br />

impresa) e sempre su attestazione di professionista<br />

designato dal debitore (in possesso dei requisiti prescritti<br />

dall’art. 67, terzo comma, lett. d) l.fall.), individuabile<br />

alla stregua di principio generale.<br />

In ogni caso, mi pare meritevole di attenta valutazione<br />

l’effetto distorsivo del regolare ‘‘gioco concorrenziale’’<br />

prodotto da <strong>un</strong>’impresa (poco importa se<br />

ancora direttamente esercitata dallo stesso debitore<br />

in procedura o da terzi, cessionari o conferitari dell’azienda,<br />

per l’autonomia da tempo acquisita dall’impresa,<br />

intesa nella sua oggettività, dalla figura<br />

soggettiva dell’imprenditore), che prosegua nella propria<br />

attività, in <strong>un</strong>a sostanziale continuità economica,<br />

ma fruendo del particolare vantaggio della (possibile)<br />

liberazione da rapporti contrattuali onerosi<br />

ed antieconomici, in virtù del beneficio (ad essa sola<br />

proprio) di <strong>un</strong>a regola giuridica e quindi in <strong>un</strong><br />

regime di sostanziale discontinuità.<br />

Occorre, infatti, essere avvertiti dell’alterazione della<br />

regola di mercato comportata dall’improprio vantaggio<br />

competitivo, spurio rispetto ai suoi principi<br />

(62), in <strong>un</strong>a sorta di ‘‘dumping da procedura concorsuale’’<br />

(63).<br />

Ed essa può creare qualche problema: forse anche<br />

di legittimità costituzionale, sotto il profilo della<br />

violazione dei principi di libertà dell’iniziativa economica<br />

e di uguaglianza. Ma su questo si avrà modo<br />

di riflettere ancora...<br />

Note:<br />

(59) Così anche: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />

aziendale: tipologie e finanziamenti, cit.<br />

(60) In senso contrario, per la natura di eccezione della previsione,<br />

costituendo regola generale l’applicazione delle clausole negoziali<br />

comportanti la risoluzione contrattuale in caso di ammissione<br />

di <strong>un</strong>o dei contraenti al concordato preventivo: G.B. Nardecchia,<br />

Art. 169 bis, cit., 2001.<br />

(61) Si richiama in proposito: A. Patti, Rapporti pendenti ed esercizio<br />

provvisorio tra prededuzione e concorsualità, alla ricerca<br />

della regola da applicare, in questa Rivista, 2012, 1230.<br />

(62) In tale senso, con precipuo riferimento all’esercizio di azioni<br />

revocatorie nell’ambito dell’amministrazione straordinaria speciale<br />

(L. 18 febbraio 2004, n. 39, cd. Parmalat): M. Libertini, Le<br />

azioni revocatorie nella ristrutturazione della grande impresa in<br />

crisi e la tutela della concorrenza, inGiur cost., 2006, 1551, part.<br />

1561, a commento di Corte cost. 7 aprile 2006, n. 172.<br />

(63) L’espressione è di: F. Finmanò, Art. 104, in A. Jorio, M. Fabiani,<br />

Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1612.<br />

Il Fallimento 3/2013 273


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FALLIMENTO<br />

AUMENTO DI SESTO NELLA VENDITA ALL’INCANTO<br />

E PRELAZIONE DELL’AFFITTUARIO<br />

Cassazione, Sez. I, 28 gennaio 2013, n. 1808 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Ragonesi - Immobiliare S.r.l. c. Fall. Agrituristica<br />

Palombo Domenico S.a.s. ed altri<br />

(legge fallimentare artt. 26, 108; cod. proc. civ. artt. 2290,<br />

2320)<br />

L’esercizio del diritto di prelazione, riconosciuto in confronto<br />

dell’affittuario (nella specie, di azienda alberghiera condotta<br />

su immobile) va collocato nella fase della vendita coattiva<br />

all’esito della quale si forma il prezzo in via definitiva,<br />

conseguendone che il titolare di tale diritto ben può restare<br />

estraneo alla procedura liquidatoria e riservarsi di intervenire<br />

solo allorché il prezzo si sia determinato. Qualora d<strong>un</strong>que,<br />

posteriormente alla prima aggiudicazione del bene, sia stato<br />

presentato <strong>un</strong> aumento di sesto, esi proceda a nuova gara,<br />

l’affittuario con prelazione è legittimato ad esercitare tale<br />

facoltà, così rendendosi aggiudicatario, sul nuovo prezzo<br />

emerso dalla fase del cd. rincaro. Parimenti, se l’affittuario<br />

del bene diviene aggiudicatario all’esito del primo incanto -<br />

per effetto dell’esercizio della prelazione - egli non è obbligato<br />

a partecipare come concorrente alla nuova gara in aumento<br />

di sesto e ben potrà riesercitare il medesimo diritto a seguito<br />

dell’aggiudicazione finale, senza che la previa aggiudicazione<br />

lo vincoli come circostanza consumativa della facoltà<br />

in esame.<br />

CESSIONE DEL CREDITO IPOTECARIO IN FAVORE<br />

DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI E ANNOTAZIONE<br />

DELLA FORMALITÀ DOPO LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO<br />

Cassazione, Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3402 - Pres. Salmé<br />

- Est. Ragonesi - Corona & Partners S.p.a. c. Fall. Arno<br />

S.r.l.<br />

(legge fallimentare art. 45; D.Lgs. 1 settembre 1993, n.<br />

385, art. 58; L. 21 febbraio 1991, n. 52; cod. civ. art. 2843)<br />

Il principio per cui sono senza effetto rispetto ai creditori le<br />

formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi,<br />

se compiute dopo la dichiarazione di fallimento, va inteso<br />

per la sola finalità di impedire, ai sensi dell’art. 45 l.fall., <strong>un</strong><br />

pregiudizio ai creditori conseguente ad atti compiuti dopo<br />

l’apertura della procedura concorsuale, così garantendo<br />

la cristallizzazione della situazione patrimoniale a quella data.<br />

L’annotazione del trasferimento d’ipoteca, pur se eseguita<br />

dopo, comporta invece la mera sostituzione soggettiva<br />

nell’iscrizione originaria (ed anteriore), e perciò anche nel<br />

grado, ma non la nascita di <strong>un</strong>a nuova garanzia reale, d<strong>un</strong>-<br />

Giurisprudenza<br />

que da <strong>un</strong> lato non configurandosi come atto pregiudizievole<br />

e dall’altro valendo anche nel caso di cessione del credito,<br />

purché a margine dell’iscrizione d’ipoteca, prima o dopo il<br />

fallimento, ricorra tale annotazione in base alla regola dell’art.<br />

2843 c.c. In caso tuttavia di intermediari finanziari<br />

iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 della legge<br />

bancaria, l’art. 58 di questa dispone che ness<strong>un</strong>a formalità<br />

sia necessaria per la cessione di crediti ipotecari, operando<br />

la sopraggi<strong>un</strong>ta normativa (in base alla riforma, sul p<strong>un</strong>to,<br />

adottata con l’art.12 del D.Lgs. n. 342 del 1999) come <strong>un</strong>a<br />

condizione dell’azione, equiparabile all’annotazione formale<br />

successiva e consentita anche in corso di opposizione allo<br />

stato passivo, come avvenuto.<br />

LIMITI ALLA COMPENSAZIONE DEL CREDITO NON SCADUTO<br />

PRIMA DEL FALLIMENTO<br />

Cassazione, Sez. I, 5 gennaio 2013, n. 2695 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Ceccherini - Fintecna S.p.a. c. Fall. Comapre<br />

S.p.a. ed altri<br />

(legge fallimentare art. 56; cod. civ. art. 1243)<br />

Il principio generale per cui la compensazione opera nel fallimento<br />

se la causa genetica del diritto del creditore in bonis<br />

verso il fallito sia anteriore al fallimento, anche se il credito<br />

venga a scadenza successiva, non trova più applicazione<br />

quando tale credito non scaduto sia oggetto d’acquisto, ai<br />

sensi dell’art. 56, comma 2, l.fall., per atto tra vivi app<strong>un</strong>to<br />

dopo il fallimento o nell’anno anteriore. Nella fattispecie,<br />

il creditore aveva acquisito i crediti già vantati dalle banche<br />

finanziatrici nei confronti di tre associazioni temporanee<br />

d’impresa costituite in società consortili, nonché nei confronti<br />

delle società a queste partecipanti.<br />

POTERE DI SOSPENSIONE DELLA VENDITA IMMOBILIARE<br />

ED ESERCIZIO DELLA PRELAZIONE DELL’AFFITTUARIO<br />

Cassazione, Sez. I, 31 gennaio 2013, n. 2316 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Ragonesi - Immobiliare S.r.l. c. Scalise ed altri<br />

(legge fallimentare artt. 26, 108; legge 23 luglio 1991, n.<br />

223, art. 3)<br />

La sospensione da parte del giudice delegato dell’aggiudicazione<br />

di <strong>un</strong> bene immobile (inserito in <strong>un</strong> coacervo<br />

aziendale alberghiero) in ragione di <strong>un</strong>’offerta ricevuta in aumento<br />

del 35% del prezzo di aggiudicazione, d<strong>un</strong>que ritenuto<br />

notevolmente inferiore a quello giusto ex art. 108 l.fall., è<br />

compatibile sia con la provenienza da parte degli stessi aggiudicatari<br />

del bene all’esito del primo incanto, sia con l’esercizio,<br />

nel frattempo manifestato, del diritto di prelazione, riconosciuto<br />

in confronto dell’affittuario ex art. 3 L. n. 223<br />

del 1991. Il limite esterno a tale provvedimento è infatti costituito<br />

solo dalla ottimizzazione del risultato economico<br />

Il Fallimento 3/2013 275


Giurisprudenza<br />

della vendita ai fini della migliore soddisfazione dei creditori.<br />

Né <strong>un</strong>a posizione privilegiata va d<strong>un</strong>que ascritta al prelazionario<br />

che, esercitando il diritto, subentri nella posizione<br />

dell’aggiudicatario, compresi gli effetti sfavorevoli di <strong>un</strong>a perdurante<br />

soggezione - sino al trasferimento del bene - ad ogni<br />

ipotesi di rinnovo della gara, per aumento di sesto o sospensione<br />

per non giusto prezzo provvisorio.<br />

COMUNICAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO E NOTIFICAZIONI<br />

Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1523 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Di Palma - L. c. INPS ed altri<br />

(legge fallimentare artt. 93, 110)<br />

L’impossibilità di notificare al creditore destinatario di<br />

<strong>un</strong> piano di riparto l’avviso di cui all’art. 110, comma 2,<br />

l.fall. presso il domicilio eletto nella domanda di insinuazione<br />

al passivo deve risultare con riguardo non già ad <strong>un</strong> atto precedente<br />

(nella specie, l’avviso di deposito del conto della gestione<br />

da parte del curatore) ma ad <strong>un</strong> accertamento contestuale<br />

all’atto da com<strong>un</strong>icare (nella specie, l’avviso di<br />

deposito del piano di riparto finale dell’attivo). D<strong>un</strong>que l’avviso<br />

dell’avvenuto deposito in cancelleria del progetto di riparto<br />

(cui il giudice delegato, ai sensi del previgente art. 110<br />

l.fall., abbia apportato le opport<strong>un</strong>e modifiche) va disposto<br />

nei confronti di tutti i creditori, al fine delle osservazioni possibili,<br />

ma senza che vi sia perdita di efficacia automatica dell’elezione<br />

di domicilio fatta nella originaria domanda di ammissione,<br />

così da giustificare il nuovo modus operandi della<br />

notifica o com<strong>un</strong>icazione riservata a coloro che non si siano<br />

domiciliati ai sensi dell’art. 93, comma 2, l.fall. La conseguente<br />

com<strong>un</strong>icazione dell’avviso al creditore ritenuto<br />

domiciliato presso la cancelleria del trib<strong>un</strong>ale è pertanto<br />

scorretta, se egli risulti sconosciuto all’indirizzo indicato all’atto<br />

della com<strong>un</strong>icazione del rendiconto, che è atto del tutto<br />

diverso, occorrendo salvaguardare l’effettività della provocatio<br />

ad agendum nella quale si risolve l’attività notiziatoria<br />

del curatore, ma rispettando l’autonomia delle fasi in cui essa<br />

s’inserisce. Va pertanto cassato il decreto del trib<strong>un</strong>ale<br />

che si sia accontentato, per la validità della notifica presso la<br />

cancelleria al creditore (nel frattempo vittorioso a seguito<br />

dell’opposizione allo stato passivo), del non reperimento dello<br />

stesso al citato indirizzo, occorrendo la ripetizione dell’avviso<br />

anche per il riparto, preceduta ove possibile da informazioni<br />

e ricerche.<br />

PRODUZIONE DEI DOCUMENTI IN SEDE DI OPPOSIZIONE<br />

ALLO STATO PASSIVO<br />

Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1529 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Cristiano - Breplast S.p.a. c. Fall. GGS S.r.l.<br />

(legge fallimentare artt. 93, 98, 99; cod. proc. civ. art.<br />

345)<br />

Nel procedimento di opposizione allo stato passivo è ammissibile<br />

la produzione dei documenti che si dovrebbero<br />

accludere, a pena di decadenza, almeno 15 giorni prima dell’udienza<br />

di verifica dello stato passivo secondo il regime<br />

intermedio, vigente tra il D.Lgs. n. 5 del 2006 ed il D.Lgs.<br />

n. 169 del 2007. Quella decadenza, invero, si riferisce esclusivamente<br />

alla verificazione dei crediti, procedimento imperniato<br />

sulla sommarietà della cognizione, la speditezza istruttoria<br />

e la non obbligatorietà dell’assistenza del creditore. La<br />

cognizione piena, instaurata con l’opposizione allo stato<br />

passivo, non può essere condizionata da preclusioni istruttorie<br />

maturate nella fase precedente, che anzi l’art. 99 l.fall.<br />

esclude. L’interpretazione data dalla Corte all’art. 93, comma<br />

7, l.fall è per parte sua costituzionalmente coerente con l’impianto<br />

organizzativo della prima fase, in cui il termine dell’abrogato<br />

articolo era lo stesso entro cui il curatore doveva depositare<br />

lo stato passivo, per cui al creditore non si può negare<br />

di poter contrastare le eccezioni dell’organo concorsuale<br />

almeno successivamente, in via di opposizione.<br />

ESCLUSIONE DELLA GARANZIA PER ECCEPITA REVOCABILITÀ<br />

ORDINARIA EX ART. 2901 C.C. IN SEDE DI VERIFICA DEI CREDITI<br />

Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1533 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Ceccherini - Castello gestioni crediti S.r.l. c.<br />

Fall. E. C. e c. S.a.s.<br />

(legge fallimentare artt. 67, 93, 98; codice civile art. 2901)<br />

Nella sede della verifica dei crediti non è necessario, al fine<br />

di escludere la garanzia invocata dal creditore, che sia<br />

anche formalmente proposta dal curatore l’azione revocatoria<br />

ordinaria ex art. 2901 c.c., consentendo la stessa legge<br />

- e direttamente al giudice delegato - la non ammissione sulla<br />

semplice contestazione com<strong>un</strong>que svolta dal curatore,<br />

senza che questi sia nemmeno tenuto a confermarla con<br />

azione dedotta in via riconvenzionale nel giudizio di opposizione<br />

promosso poi ex art. 98 l.fall. La revocabilità dell’atto,<br />

che pur implica <strong>un</strong> accertamento costitutivo in cui l’intervento<br />

del giudice non ha carattere necessario, può d<strong>un</strong>que<br />

farsi valere anche come mera eccezione, in coerenza con il<br />

principio più generale secondo cui anche l’accertamento costitutivo<br />

incidentale non trova ostacolo nell’art. 2697 c.c.<br />

che, nel sancire il diritto di eccezione, non pone <strong>un</strong>a limitazione<br />

con riguardo ai citati effetti costitutivi. In ogni caso, aggi<strong>un</strong>ge<br />

la Corte, il diritto potestativo che presiede anche a tale<br />

azione non spiega infuenza sulla soluzione del problema,<br />

ben potendo il destinatario dell’azione riconoscere extragiudizialmente<br />

la fondatezza della pretesa avversa, così disponendo<br />

del diritto stesso.<br />

CONCORDATO PREVENTIVO<br />

INCOMPATIBILITÀ DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE<br />

AD ESSERE NOMINATO ALTRESì LIQUIDATORE<br />

NEL CONCORDATO CON CESSIONE DEI BENI<br />

Cassazione, Sez. I, 18 gennaio 2013, n. 1237 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Di Palma - Europack Cables Industry S.p.a. in<br />

liq. c. Piacenti ed al.<br />

(legge fallimentare artt. 28, 180, 182, 185)<br />

Se la proposta di concordato con cessione dei beni non<br />

contenga alc<strong>un</strong>a previsione quanto a designazione e poteri<br />

del liquidatore, ovvero anche modalità di liquidazione, la natura<br />

derogabile della norma regolatrice di cui all’art. 182 l.fall.<br />

presuppone che la disciplina sia imperniata sulla tendenziale<br />

valorizzazione, in prima battuta, dell’autonomia privata. Il riconoscimento<br />

della natura integrativa delle disposizioni legali<br />

a sua volta esige però che sia certa la sussistenza di <strong>un</strong>a<br />

fattispecie di cessione dei beni o ad essa assimilabile in<br />

276 Il Fallimento 3/2013


p<strong>un</strong>to di nomina del liquidatore. In tali casi, il potere integrativo<br />

del trib<strong>un</strong>ale non può tuttavia spingersi fino al p<strong>un</strong>to di<br />

nominare come liquidatore giudiziale la medesima persona<br />

già nominata commissario giudiziale, stante la collisione<br />

che si darebbe rispetto ai requisiti di imm<strong>un</strong>ità da conflitto<br />

d’interessi, vietata dal richiamato art. 28 l.fall. Il cumulo<br />

della nuova f<strong>un</strong>zione gestoria sarebbe invero incompatibile<br />

con i compiti di sorveglianza sull’adempimento del concordato,<br />

spettanti al commissario. Se poi, come ravvisato<br />

nella decisione del Trib<strong>un</strong>ale di Ravenna, difettino gli elementi<br />

identificativi della citata fattispecie con cessione dei<br />

beni, va annullata sia la nomina a liquidatore del commissario<br />

giudiziale, sia la nomina del comitato dei creditori, dovendo<br />

in realtà il giudice - in assenza di opposizioni - limitarsi all’omologazione<br />

della proposta e non procedere a nomine<br />

per ragioni di mera opport<strong>un</strong>ità, come avvenuto.<br />

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA<br />

CONCORDATO COATTO ED INTERESSE ALLA PROSECUZIONE<br />

DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA<br />

Cassazione, Sez. I, 6 febbraio 2013, n. 2782 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Ceccherini - Società gestione per il realizzo<br />

S.p.a. c. C.A.P. Catania e Messina S.c. a r.l. in l.c.a.<br />

(legge fallimentare artt. 52, 214; cod. civ. art. 2740)<br />

L’interesse pubblico alla prosecuzione dell’attività d’impresa<br />

giustifica, nel particolare concordato di cui all’art. 214<br />

l.fall., la scelta di preservare nella liquidazione l’<strong>un</strong>ità<br />

aziendale, senza sindacato sul p<strong>un</strong>to da parte dei creditori,<br />

ma non arriva al limite di sottrarre alla liquidazione tutto<br />

o anche solo parte dell’attivo, per destinarlo alle medesime<br />

necessità di detta prosecuzione, dovendosi, in difetto,<br />

negare l’omologazione. Nella specie, la S.C. ha escluso la<br />

compatibilità del concordato coatto con la segregazione, a<br />

favore del debitore insolvente, di beni mobili ed immobili<br />

strumentali, tolti dalla liquidazione e lasciati alla continuità<br />

aziendale. Con essi, il consorzio agrario avrebbe proseguito<br />

l’attività, ma con minore, ingiustificata, soddisfazione dei<br />

creditori, come rilevato da <strong>un</strong>o di essi, opponente. La specialità<br />

di tale istituto, anche rispetto all’art. 124 l.fall. e nel regime<br />

anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007, per la Corte opera<br />

solo sul piano delle modalità di liquidazione, beninteso sull’intero<br />

patrimonio del debitore, ma non travolge il principio<br />

della soggezione generale dei beni nel mero interesse alla<br />

prosecuzione dell’attività d’impresa.<br />

CREDITO DELL’APPALTATORE E COLLAUDO DELL’OPERA:<br />

LIMITI ALLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO<br />

Cassazione, Sez. I, 8 febbraio 2013, n. 3068 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Di Amato - Barresi c. La Panoramica S.c.a r.l. in<br />

l.c.a. ed altri.<br />

(legge fallimentare artt. 101, 209; d.P.R. 16 luglio 1962, n.<br />

1063, art. 44)<br />

La necessità del preventivo collaudo delle opere, realizzate<br />

con contributo erariale e per il richiamo a tale adempimento<br />

nel contratto d’appalto, condiziona, ai sensi dell’art. 44<br />

d.P.R. n. 1063 del 1962, non solo l’esperimento dell’arbitrato<br />

Giurisprudenza<br />

ivi ipotizzato ma altresì il promuovimento dell’azione giudiziaria<br />

in sé; lamancanza del collaudo, tuttavia, non produce ipso<br />

jure l’improponibilità della domanda, costituendo piuttosto<br />

<strong>un</strong> presupposto processuale refluente in <strong>un</strong>’eccezione<br />

processuale, senza divenire <strong>un</strong>a condizione per l’instaurazione<br />

del relativo rapporto. Le conseguenze non consistono tuttavia<br />

nell’ammissibilità in ogni caso di <strong>un</strong>a domanda - nella<br />

specie, di credito - dell’appaltatore, ma solo nell’impossibilità<br />

del rilievo d’ufficio della carenza di collaudo, se la parte<br />

interessata non l’ha sollevata e parimenti l’esclusione di <strong>un</strong>a<br />

causa di nullità del lodo se l’improponibilità della domanda,<br />

per la medesima ragione, non sia stata eccepita nella sede<br />

arbitrale. Di tale eccezione, allorché formulata dal debitore<br />

in bonis, può invece e d<strong>un</strong>que avvalersi anche l’organo<br />

concorsuale, <strong>un</strong>a volta aperta la liquidazione coatta amministrativa<br />

e coltivata, da parte del creditore, <strong>un</strong>a domanda di<br />

ammissione al passivo, da respingere per tale motivo.<br />

PAGAMENTO SULLA BASE DI DECRETO INGIUNTIVO<br />

PROVVISORIAMENTE ESECUTIVO E SOPRAGGIUNTA<br />

PROCEDURA CONCORSUALE DEL DEBITORE<br />

Cassazione, Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3401 - Pres. Vitrone<br />

- Est. Di Amato - Provincia di Como c. FIRS S.p.a. in<br />

l.c.a. ed altri<br />

(legge fallimentare artt. 95, 209; cod. civ. art. 2033; cod.<br />

proc. civ. art. 336)<br />

Il pagamento effettuato dal debitore in bonis, in esecuzione<br />

di <strong>un</strong> decreto ingi<strong>un</strong>tivo provvisoriamente esecutivo,<br />

pur non divenendo oggetto di <strong>un</strong>a possibile actio indebiti,<br />

invirtùdella sopravvenuta procedura concorsuale a carico<br />

del solvens si correla all’inopponibilità del titolo, per<br />

esclusione del decreto ingi<strong>un</strong>tivo dall’ambito di operatività<br />

dell’art. 95, comma 3, l.fall. (vecchio testo). Tale principio induce<br />

a sua volta ad <strong>un</strong>’esigenza di autonoma restaurazione<br />

della situazione patrimoniale antecedente al pagamento,<br />

sia esso avvenuto con esecuzione volontaria o coattiva,<br />

ed a prescindere dal congegno revocatorio com<strong>un</strong>que<br />

attivabile. Superando precedenti tesi più restrittive, la S.C.<br />

valuta che l’inopponibilità alla massa del decreto ingi<strong>un</strong>tivo<br />

rende malfermo altresì il pagamento chevisicorrelietale<br />

ripristino patrimoniale va attuato ad opera di <strong>un</strong> giudice<br />

non diverso da quello che ha accertato l’inefficacia del decreto<br />

La situazione, spiegano i giudici, non è differente da<br />

quella che si ha quando <strong>un</strong>a sentenza di primo grado sia riformata<br />

in appello, con sentenza non ancora passata in giudicato:<br />

in entrambi i casi ricorre <strong>un</strong> pagamento effettuato<br />

sulla base di <strong>un</strong> titolo giudiziale che ha perduto efficacia,<br />

senza che sia intervenuto <strong>un</strong> accertamento definitivo<br />

della sussistenza o meno del credito. Il comportamento dell’accipiens,<br />

pertanto, da <strong>un</strong> lato sfugge ad ogni valutazione<br />

di buona o mala fede ex art. 2033 c.c., ma, dall’altro, rientra<br />

in <strong>un</strong>a condizione analoga ai presupposti dell’azione di<br />

restituzione di cui all’art. 336 c.p.c., potendo dirsi che l’inefficacia<br />

del decreto ingi<strong>un</strong>tivo provvisoriamente esecutivo<br />

estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti che dal<br />

medesimo dipendono per effetto di <strong>un</strong>a sua esecuzione. La<br />

conseguente richiesta di restituzione non costituisce domanda<br />

nuova rispetto a quella originaria di revoca ed è<br />

inoltre proponibile anche in corso di giudizio, se dopo l’instaurazione<br />

dell’impugnazione sia intervenuto il pagamento,<br />

potendo addirittura, ancora ai sensi della citata norma processuale,<br />

essere ordinata d’ufficio.<br />

Il Fallimento 3/2013 277


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Ammissione, revoca e omologazione della proposta<br />

La fattibilità del piano<br />

concordatatario nella lettura<br />

delle Sezioni Unite<br />

Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 - Pres. Preden - Est. Piccininni - P.M. Ceniccola<br />

- Idraulica Sud S.a.s. c. Fallimento Idraulica Sud S.a.s. di Ruongo Maurizio & C.<br />

Concordato preventivo - Ammissione - Procedimento - Poteri del trib<strong>un</strong>ale - Giudizio di fattibilità del piano - Configurabilità<br />

- Limiti<br />

(legge fallimentare artt. 160, 161, 162, 173, 179, 180)<br />

Il giudice deve esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità giuridica della proposta di concordato,<br />

non essendo questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre è riservata ai creditori la valutazione<br />

in ordine al merito che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il<br />

controllo di legittimità si realizza mediante <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità,<br />

revoca ed omologazione in cui si articola la procedura con la verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta<br />

del procedimento, quale obiettivo specifico perseguito, senza alc<strong>un</strong> contenuto fisso e predeterminato,<br />

essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato,<br />

da <strong>un</strong> lato, al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e, dall’altro all’assicurazione di <strong>un</strong> soddisfacimento,<br />

sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori (massima non ufficiale).<br />

(Omissis) *.<br />

Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo<br />

e giudizio «permanente» di fattibilità del piano<br />

di Francesco De Santis<br />

L’autore si sofferma sulle caratteristiche del sindacato giudiziale avente ad oggetto la causa in concreto della<br />

proposta di concordato preventivo secondo le Sezioni Unite, sui limiti della sua oppugnabilità davanti alla<br />

Corte di cassazione e su tal<strong>un</strong>e problematiche relative alla «permanenza» del suddetto sindacato in tutte le<br />

fasi della procedura concordataria. La pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite - attraverso l’inserzione, nel giudizio di<br />

fattibilità del concordato preventivo, della categoria (di derivazione schiettamente civilistica) della causa in<br />

concreto - ha aperto complessi ed in parte inattesi scenari interpretativi, dando l’avvio ad <strong>un</strong> rinnovato dibattito<br />

ed a possibili disallineamenti in sede applicativa.<br />

1. «Se vogliamo che tutto rimanga come è,<br />

bisogna che tutto cambi»<br />

Dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di<br />

cassazione n. 1521/2013 (1), ness<strong>un</strong>o, io credo, può<br />

dubitare del fatto che la valutazione della convenienza<br />

economica della proposta di concordato preventivo<br />

spetti ai creditori.<br />

Secondo le Sezioni Unite, «la proposta di concor-<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

Note:<br />

* Il testo della sentenza si può legge in questa Rivista, 2013,<br />

149.<br />

(1) La rimessione alle Sezioni Unite è avvenuta, come noto, ad<br />

opera di Cass., 15 dicembre 2011, n. 27063, che aveva evidenziato<br />

<strong>un</strong> contrasto fra Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in<br />

questa Rivista, 2012, 39, da <strong>un</strong> lato, e Cass., 16 settembre<br />

2011, n. 18987, ib., Cass., 23 giugno 2011, n. 13818, ivi, 2011,<br />

933, Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, ib., 805, Cass., 25 otto-<br />

(segue)<br />

Il Fallimento 3/2013 279


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

dato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione<br />

della crisi, la quale a sua volta può assumere<br />

concretezza soltanto attraverso le indicazioni<br />

delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse<br />

comprese quindi le relative percentuali ed i tempi<br />

di adempimento), rispetto alla quale la relativa<br />

valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza<br />

dell’esito e della sua convenienza) è rimessa<br />

al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati».<br />

Ness<strong>un</strong> sindacato è rimesso al trib<strong>un</strong>ale sull’aspetto<br />

pratico-economico della proposta, ossia «sulla<br />

correttezza dell’indicazione della misura di soddisfacimento<br />

percentuale offerta dal debitore ai creditori»,<br />

e neppure in ordine alla «prognosi di realizzabilità<br />

dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore»<br />

(2).<br />

D’altro canto, la Corte non ha mancato di rilevare,<br />

in premessa, che il legislatore delle riforme fallimentari,<br />

pur valorizzando l’elemento privatistico<br />

del concordato preventivo, non ne ha cancellato<br />

tutti gli aspetti di carattere pubblicistico, «suggeriti<br />

dall’avvertita esigenza di tener conto anche degli<br />

interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla<br />

proposta, ma com<strong>un</strong>que esposti agli effetti di <strong>un</strong>a<br />

sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante<br />

la fissazione di <strong>un</strong>a serie di regole processuali inderogabili,<br />

finalizzate alla corretta formazione dell’accordo<br />

tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento<br />

dei margini di intervento del giudice<br />

in chiave di garanzia».<br />

Sicché spetta al trib<strong>un</strong>ale di verificare la fattibilità<br />

«giuridica» del concordato, eventualmente esprimendo<br />

<strong>un</strong> giudizio ostativo all’ammissibilità della<br />

proposta concordataria, quando le modalità attuative<br />

della stessa risultano incompatibili con norme<br />

inderogabili.<br />

Spetta altresì al trib<strong>un</strong>ale sorvegliare su ciò, che la<br />

valutazione dei creditori venga espressa correttamente<br />

e determini il giusto esito della procedura<br />

concordataria, e che, pertanto, essi «ricevano <strong>un</strong>a<br />

p<strong>un</strong>tuale informazione circa i dati, le verifiche interne<br />

e le connesse valutazioni».<br />

La Corte ha, quindi, declinato <strong>un</strong>a composita (e<br />

certamente per molti aspetti meritoria) piattaforma<br />

di indicazioni nomofilattiche, volte a definire i limiti<br />

del sindacato giudiziale sulla fattibilità «economica»<br />

della proposta, intesa come «prognosi circa<br />

la possibilità di realizzazione della proposta nei termini<br />

prospettati».<br />

Con qualche (a mio avviso inevitabile) semplificazione,<br />

proverei a scomporre tali indicazioni, tra gli<br />

altri, nei seguenti addendi:<br />

a) il sindacato giudiziale sul requisito di fattibilità<br />

economica del concordato deve essere esercitato<br />

sotto l’aspetto della verifica della rispondenza dei<br />

singoli atti in cui si articola la procedura alla causa<br />

del procedimento concordatario;<br />

b) segnatamente, il trib<strong>un</strong>ale deve verificare l’effettiva<br />

realizzabilità della «causa in concreto», quest’ultima<br />

da intendere come l’obiettivo specifico perseguito<br />

dal procedimento concordatario, che non ha<br />

contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente<br />

dal tipo di proposta formulata, ma che deve<br />

essere inserita «nel generale quadro di riferimento,<br />

finalizzato al superamento della situazione di crisi<br />

dell’imprenditore, da <strong>un</strong> lato, ed all’assicurazione di<br />

<strong>un</strong> soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto<br />

e parziale, dei creditori, da <strong>un</strong> altro»;<br />

c) rientra nell’ambito del sindacato giudiziale la delibazione<br />

in ordine: c1) alla correttezza delle argomentazioni<br />

svolte e delle motivazioni addotte dall’attestatore<br />

a sostegno del formulato giudizio di fattibilità<br />

del piano (ossia «la congruità e la logicità<br />

della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento<br />

effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente<br />

giudizio»); c2) alla coerenza complessiva<br />

delle conclusioni finali prospettate («si pensi ad<br />

esempio ad <strong>un</strong> giudizio di fattibilità ancorato ad <strong>un</strong><br />

complesso di dati, la cui sommatoria deponesse viceversa<br />

in favore di conclusioni di segno opposto»);<br />

c3) all’impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia<br />

pure parziale) alla proposta di concordato («si pensi<br />

Note:<br />

(segue nota 1)<br />

bre 2010, n. 21860, ib., 167, dall’altro lato. Atteso il carattere di<br />

«postilla», che il presente intervento riveste, non replicherò i<br />

pur cospicui riferimenti all’intenso dibattito che ha preceduto la<br />

pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite, potendo all’uopo rinviare alla bibliografia<br />

citata nella nota di M. Fabiani, La questione ‘‘fattibilità’’<br />

del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, ivi,<br />

2013, 149, nonché a Id., I disorientamenti nella nomofilachia a<br />

proposito della fattibilità del concordato preventivo e della cessione<br />

dei beni, inForo it., 2012, I, 170, ed a R. Amatore, Il giudizio<br />

di fattibilità del piano nel concordato preventivo, inDir. fall.,<br />

I, 2012, 104 ss. V. altresì gli atti del convegno Controllo del giudice<br />

e autonomia privata nel concordato preventivo, tenutosi<br />

presso la Suprema Corte di cassazione l’11 ottobre 2012, consultabili<br />

in http://www.cortedicassazione.it/notizie/eventi/SchedaEventiPrimaPag.asp?ID=195<br />

(interventi di S. Ambrosini, M.<br />

Fabiani, F. Lamanna e P. Vella). A commento della pron<strong>un</strong>zia<br />

delle Sezioni Unite n. 1521/2013, v. già A. Didone, Le Sezioni<br />

Unite e la fattibilità del concordato preventivo, Dir. fall., 2013 (in<br />

corso di pubblicazione); G.B. Nardecchia, Concordato senza segreti,<br />

inIl Sole 24Ore del 5 febbraio 2013.<br />

(2) Condivisibilmente M. Fabiani, La questione ‘‘fattibilità", cit.,<br />

158, discorre di «prognosi di adempimento dell’obbligazione<br />

contenuta nella proposta», anche se a me non pare, per quanto<br />

dirò nel testo, che la pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite induca a ritenere<br />

(così come parrebbe concludere l’A. citato) che «la fattibilità<br />

non è <strong>un</strong> giudizio che compete al trib<strong>un</strong>ale», salvo che non incida<br />

sulla stessa riconoscibilità della relazione dell’attestatore.<br />

280 Il Fallimento 3/2013


ancora, ad esempio, alla programmata cessione di<br />

beni di proprietà altrui»); c4) alla «rilevazione del<br />

dato, se emergente prima facie, da cui poter desumere<br />

l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche<br />

misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto<br />

dei termini di adempimento previsti»;<br />

d) siffatto giudizio è esercitabile dal trib<strong>un</strong>ale in<br />

ogni fase della procedura concordataria e si realizza<br />

facendo applicazione di <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico e medesimo parametro<br />

nelle diverse fasi dell’ammissibilità, revoca<br />

ed omologazione, in cui si articola la procedura di<br />

concordato preventivo.<br />

Un’interpretazione a prima lettura di quanto sopra<br />

mi induce a ritenere che le Sezioni Unite - pur sancendo<br />

l’impronta privatistica del concordato e la<br />

spettanza ai creditori di ogni valutazione in ordine<br />

alla convenienza economica della proposta - abbiano<br />

inteso escludere a chiare lettere che al trib<strong>un</strong>ale<br />

sia affidata <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione di controllo della regolarità<br />

formale della procedura (3), nonché di sanzione<br />

degli atti di reticenza (se non di frode) posti in essere<br />

dal debitore nell’esposizione del piano concordatario<br />

(4).<br />

Inoltre a me pare che il sindacato giudiziale al quale<br />

alludono le Sezioni Unite sia anche qualcosa di<br />

più del mero controllo giuridico della legittimità sostanziale<br />

della proposta, se incidente su <strong>un</strong> possibile<br />

vizio «genetico» della sua causa, accertabile in via<br />

preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza<br />

del piano, e traducibile in <strong>un</strong>a sorta di<br />

nullità negoziale per impossibilità dell’oggetto (5).<br />

L’elemento di (forse) inattesa novità, che si rinviene<br />

nella pron<strong>un</strong>zia e che sostanzia il sindacato giudiziale<br />

di fattibilità, èil riconoscimento del potere<br />

giudiziale di controllo sulla «causa in concreto» della<br />

proposta e del procedimento concordatari.<br />

Poiché si tratta, come dirò di qui a poco, di <strong>un</strong> giudizio<br />

che si inscrive al novero del sindacato di merito,<br />

esso riveste carattere discrezionale (nel senso,<br />

s’intende bene, della discrezionalità del giudice, che<br />

deve essere esercitata nel rispetto della legge e con<br />

adeguata motivazione, che tenga conto di tutti i<br />

fatti decisivi e rilevanti sottoposti al suo esame).<br />

Ho perciò l’impressione che le pur dotte ed argomentate<br />

indicazioni delle Sezioni Unite potrebbero<br />

non aver spostato di molto i termini di <strong>un</strong>o dei problemi<br />

che divide gli interpreti del concordato preventivo<br />

riformato, non avendo la Corte precisato<br />

fin dove, in concreto, possa spingersi il sindacato<br />

del giudice, anzi affidandogli il delicato compito di<br />

valutare discrezionalmente l’inserimento del tipo di<br />

proposta, in concreto formulata dal debitore, nel<br />

generale quadro di riferimento degli interessi pub-<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

blici sottesi al concordato (soluzione della crisi<br />

d’impresa e soddisfazione, pur parziale, dei creditori).<br />

Può darsi, d<strong>un</strong>que, che tali affermazioni solleveranno<br />

<strong>un</strong> dibattito altrettanto intenso di quello che ha<br />

preceduto l’arresto oggi all’esame.<br />

Di sicuro, oltre ad interpretare le norme, occorrerà,<br />

d’ora innanzi, anche <strong>un</strong> po’ interpretare la sentenza<br />

delle Sezioni Unite, siccome espressione, ai massimi<br />

livelli, del diritto vivente.<br />

Del resto, le sentenze della Suprema Corte (soprattutto<br />

se rese a Sezioni Unite e, per gi<strong>un</strong>ta, ai sensi<br />

dell’art. 363 c.p.c., come è accaduto nel caso di<br />

specie), nascono - direbbe Redenti - come avvenne<br />

per Minerva, cioè «con l’elmo in testa»: si può dissentire<br />

o restare perplessi, ma ci si deve adeguare.<br />

Proverò, a partire dalle affermazioni contenute nella<br />

pron<strong>un</strong>zia, a riflettere brevemente, fra le tante<br />

possibili, su due questioni sollevate (direttamente o<br />

indirettamente) dalle Sezioni Unite: sul sindacato<br />

di merito della proposta di concordato a cui è chiamato<br />

il trib<strong>un</strong>ale, anche in relazione ai limiti del<br />

(successivo ed eventuale) sindacato della Corte di<br />

cassazione sul giudizio di fattibilità svolto del giudice<br />

di merito; e sulla «permanenza» del sindacato di<br />

merito l<strong>un</strong>go tutto il corso di procedura concordataria,<br />

se del caso al cospetto di circostanze sopravvenute.<br />

2. Sulla valutazione della causa in concreto<br />

della proposta di concordato preventivo<br />

Le Sezioni Unite estendono al concordato preventivo<br />

(ed al relativo sindacato giudiziale) categorie<br />

di stretta derivazione privatistica, quali l’autonomia<br />

contrattuale (6) e la causa negoziale in concreto.<br />

Note:<br />

(3) Come a me sembra emergesse, nella sostanza, dalle pron<strong>un</strong>zie<br />

di Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, e di Cass., 14 febbraio<br />

2011, n. 3586, citt. Invece, Cass., 15 dicembre 2011, n.<br />

27063, cit., aveva affermato non esservi «ragione, in ultima analisi,<br />

di ridurre la cognizione della proposta e del piano concordatari<br />

ad <strong>un</strong>a mera f<strong>un</strong>zione notarile di regolarità formale, svolta da<br />

<strong>un</strong> giudice costretto nel ruolo ancillare di convitato di pietra: in<br />

tal modo, inibendo la tutela anche dell’interesse pubblico a che<br />

il governo della crisi d’impresa - tutt’altro che privo di costi per<br />

la collettività - non sia piegato ad utilizzazioni improprie, con abuso<br />

del diritto».<br />

(4) Sulla necessità che i creditori siano posti in grado di esprimere<br />

<strong>un</strong> «consenso informato» si era soffermata, in particolare,<br />

Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, cit.<br />

(5) Controllo, quest’ultimo, al quale aveva già dato (a mio avviso<br />

correttamente) adito la pron<strong>un</strong>zia di Cass., 15 settembre 2011,<br />

n. 18864, cit.<br />

(6) Sul tema v. A.M. Azzaro, Concordato preventivo e autonomia<br />

privata, inFall., 2007, 1267 ss.<br />

Il Fallimento 3/2013 281


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

Sotto il primo profilo, ness<strong>un</strong>o, io credo, dubita<br />

che (salve le limitate ipotesi in cui la legge prevede<br />

obblighi a contrarre) resti affidato all’autonomia<br />

dei privati la valutazione circa la convenienza economica<br />

del contratto, prima della sua stipula, e ciò<br />

vale anche in relazione all’adesione che i creditori<br />

concordatari sono chiamati a prestare (o a negare)<br />

alla proposta esdebitativa dell’imprenditore (7).<br />

Ma, l’accentuazione dell’autonomia privata non elìde<br />

la necessità «che vi sia chi è chiamato a riconoscere<br />

l’esistenza delle condizioni perché l’obbligatorietà<br />

operi, oltre che nei confronti della maggioranza,<br />

anche rispetto alla minoranza dissenziente, e a<br />

coloro che alla votazione neppure hanno partecipato,<br />

perché non individuati né dal debitore, né dal<br />

commissario giudiziale. Ed è evidente che questo riscontro<br />

non può che essere rimesso al trib<strong>un</strong>ale, come<br />

soggetto terzo e imparziale, istituzionalmente<br />

vocato a svolgerlo» (8).<br />

Il metro del «riscontro» sarà, da oggi, oltre alla valutazione<br />

della fattibilità giuridica della proposta<br />

(ovvero della sua compatibilità con le norme inderogabili),<br />

anche la delibazione della causa in concreto<br />

del contratto di concordato.<br />

Di sicuro, la categoria della causa in concreto non è<br />

sconosciuta alla giurisprudenza della Suprema Corte.<br />

È noto che «la causa del contratto si identifica con<br />

la f<strong>un</strong>zione economico-sociale che il negozio obiettivamente<br />

persegue e il diritto riconosce rilevante<br />

ai fini della tutela apprestata» (9), ovvero con la<br />

f<strong>un</strong>zione economico-sociale dell’atto di autonomia<br />

privata «nella sintesi dei suoi elementi essenziali»<br />

(10).<br />

Sovente il richiamo pretorio alla f<strong>un</strong>zione che il<br />

negozio astrattamente persegue è finalizzato alla distinzione<br />

«ontologica» rispetto allo scopo particolare,<br />

che ciasc<strong>un</strong>a delle due parti si propone di realizzare,<br />

sicché l’illiceità della causa consegue sia all’ipotesi<br />

di contrarietà a norme imperative, all’ordine<br />

pubblico e al buon costume, sia all’ipotesi di utilizzazione<br />

dello strumento negoziale, ancorché tipico,<br />

per frodare la legge, qualora entrambe le parti attribuiscano<br />

al contratto <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione obiettiva volta<br />

al raggi<strong>un</strong>gimento di <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>e finalità contraria<br />

alla legge (11).<br />

La riflessione autoriale degli ultimi decenni ha condotto<br />

al graduale superamento della ricostruzione<br />

della causa in termini di astratta f<strong>un</strong>zione economico-sociale<br />

del negozio (12), per approdare all’idea<br />

della causa come f<strong>un</strong>zione economico-individuale<br />

del negozio medesimo, rappresentativa del programma<br />

contrattuale concretamente voluto e costruito<br />

dalle parti, con la conseguenza che il giudizio sulla<br />

liceità deve svolgersi anche per i contratti tipici ed<br />

ha ad oggetto la legittimità dell’operazione economica<br />

concretamente posta in essere (13).<br />

Ecco che nel diritto vivente è frequente l’affermazione<br />

per la quale nell’interpretazione del contratto<br />

occorre considerarne la causa in concreto, quale scopo<br />

pratico del negozio, ovvero sintesi degli interessi<br />

che lo stesso è concretamente volto a realizzare<br />

(14).<br />

La nozione di causa del negozio deve essere colta,<br />

d<strong>un</strong>que, nella f<strong>un</strong>zione individuale dello specifico<br />

contratto posto in essere (15).<br />

Pertanto, l’indagine relativa alla liceità della causa<br />

quale obiettiva f<strong>un</strong>zione economico-sociale del<br />

contratto va svolta non in astratto ma in concreto,<br />

onde verificare la conformità a legge dell’attività<br />

negoziale posta in essere dalle parti, e quindi la riconoscibilità<br />

nella specie della tutela apprestata<br />

dall’ordinamento giuridico. Siffatta indagine non<br />

può prescindere dall’apprezzamento degli interessi<br />

che il negozio è destinato a realizzare, quali emergono<br />

dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e<br />

successive alla sua conclusione), secondo la valuta-<br />

Note:<br />

(7) Valutazione di convenienza che l’originario testo dell’art. 160<br />

l. fall. riteneva adeguata (ricorrendo ad <strong>un</strong>a sorta di pres<strong>un</strong>zione,<br />

ovvero, io direi, di fictio normativa) in relazione a percentuali dal<br />

40% in su (come opport<strong>un</strong>amente rammenta A. Didone, op<br />

cit.).<br />

(8) I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e<br />

negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze,<br />

in Trattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore e A.<br />

Bassi, I, Padova, 2010, 561 s., la quale pone opport<strong>un</strong>amente<br />

l’accento sulla particolare efficacia che il concordato è vocato ad<br />

esplicare su qualsiasi credito anteriore al decreto di apertura della<br />

procedura (cfr. art. 184 l. fall.).<br />

(9) Cass., 18 febbraio 1983, n. 1244.<br />

(10) Cass., 15 luglio 1993, n. 7833, in Giur. it., 1995, I, 1, 734.<br />

(11) Cfr. in questo senso Cass., 4 aprile 2003, n. 5324.<br />

(12) Secondo la quale, per i contratti tipici, il giudizio sulla loro liceità<br />

era già risolto a priori dal legislatore mediante la determinazione<br />

dei connotati caratterizzanti il tipo contrattuale, dovendo la<br />

valutazione di liceità riguardare soltanto i contratti innominati<br />

(cfr., per tutti, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto<br />

civile, Napoli, 1966, 187).<br />

(13) V., con accenti e sp<strong>un</strong>ti diversi, tra i molti, M. Giorgianni,<br />

Causa (diritto privato), inEnc. dir., VI, Milano, 1960, 568; G.B.<br />

Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano,<br />

1966, spec. 99, 345; A. Di Majo, Causa del negozio giuridico, in<br />

Enc. giur., VI, Roma, 1988, 2; R. Scognamiglio, Negozio giuridico,<br />

I,In generale, ivi, XX, Roma, 1990, 6; C.M. Bianca, Diritto civile,<br />

III, Il contratto, II ed., Milano, 2000, 452; C. Scognamiglio,<br />

Problemi della causa e del tipo, inTratt. Roppo, II, Regolamento,<br />

Milano, 2006, 91.<br />

(14) Cass., 18 agosto 2011, n. 17360; Cass., 8 maggio 2006, n.<br />

10490.<br />

(15) Cass., 12 novembre 2009, n. 23941.<br />

282 Il Fallimento 3/2013


zione, riservata al giudice del merito, del materiale<br />

probatorio acquisito: qualora emerga che le parti<br />

abbiano utilizzato <strong>un</strong> determinato modello negoziale<br />

per realizzare <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione obiettiva, che non sia<br />

solo diversa da quella per cui tale strumento giuridico<br />

è previsto dalla legge, ma anche in contrasto<br />

con norme imperative, il giudice non può accordare<br />

al negozio in questione la tutela apprestata dall’ordinamento<br />

(16).<br />

Ancor più chiaramente, si dice che il giudice, nel<br />

procedere all’identificazione del rapporto contrattuale,<br />

alla sua denominazione ed all’individuazione<br />

della disciplina che lo regola, deve procedere alla<br />

valutazione in concreto della causa, quale elemento<br />

essenziale del negozio, tenendo presente che essa si<br />

prospetta come strumento di accertamento, per l’interprete,<br />

della generale conformità a legge dell’attività<br />

negoziale posta effettivamente in essere, della<br />

quale va verificata la conformità ai parametri normativi<br />

dell’art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1322,<br />

comma 2, c.c. (meritevolezza di tutela degli interessi<br />

dei soggetti contraenti secondo l’ordinamento<br />

giuridico) (17).<br />

Se questo è il tessuto dei richiami sottesi al concetto<br />

di causa in concreto, che le Sezioni Unite hanno<br />

ritenuto di estendere al negozio (tipico?) di concordato<br />

preventivo, non sarebbe corretto, a mio avviso,<br />

sostenere che il sindacato giudiziale sia stato limitato<br />

dalle Sezioni Unite al solo controllo di fattibilità<br />

giuridica della proposta: difatti, secondo la<br />

Corte regolatrice, il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a valutare<br />

l’idoneità della stessa non soltanto ad assicurare il<br />

soddisfacimento, sia pur modesto e parziale, dei creditori,<br />

ma perfino il superamento della situazione di<br />

crisi dell’imprenditore.<br />

E poiché dalla crisi si può uscire con la liquidazione<br />

dell’attivo (i beni ceduti), ma anche con la prosecuzione<br />

dell’attività d’impresa (18), dovrà essere,<br />

da <strong>un</strong> lato, il debitore ad indicare la modalità all’uopo<br />

prescelta (concordato con cessione dei beni,<br />

piuttosto che concordato in prosecuzione), e, dall’altro<br />

lato, il trib<strong>un</strong>ale a valutare l’attitudine della<br />

proposta (e dei mezzi con essa messi in campo) ad<br />

inverarla.<br />

Ben inteso: si può condividere o meno l’impostazione<br />

data dalle Sezioni Unite al percorso delibativo<br />

che il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a svolgere. In ogni caso,<br />

a me pare che siffatto percorso abbia le caratteristiche<br />

di <strong>un</strong> tipico sindacato «di merito», che - per restare<br />

sul piano del diritto dei contratti - ingloba in<br />

sé <strong>un</strong>a fase interpretativa ed <strong>un</strong>a fase valutativa:<br />

l’interpretazione della proposta concordataria (e<br />

delle eventuali modifiche introdotte dal debitore in<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

corso di procedura), e la valutazione della legittimità<br />

della proposta e dell’idoneità a perseguire la sua<br />

causa in concreto.<br />

3. (Segue) Sindacato di merito sulla causa<br />

in concreto ed accesso al giudizio<br />

di legittimità<br />

Se così stanno le cose, la pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni<br />

Unite non può non sottendere <strong>un</strong> ulteriore profilo,<br />

legato ai limiti della censura per cassazione in ordine<br />

al sindacato di fattibilità del concordato svolto<br />

dal giudice di merito.<br />

È noto che il provvedimento reso dal trib<strong>un</strong>ale all’esito<br />

del giudizio di omologazione ex art. 180 l.fall.<br />

(a cui, in caso di diniego dell’omologazione, può<br />

conseguire o meno la dichiarazione di fallimento, a<br />

seconda che vi siano o meno domande in tal senso),<br />

è reclamabile ai sensi dell’art. 18 l.fall., e, quindi,<br />

ricorribile in Cassazione per tutti i motivi di cui<br />

all’art. 360 c.p.c.<br />

Nonostante l’espressa previsione di non reclamabilità,<br />

èparimenti ricorribile in Cassazione (a mente<br />

degli artt. 111, comma 7, cost., e 360, comma 4,<br />

c.p.c.) il decreto col quale il trib<strong>un</strong>ale dichiara l’inammissibilità<br />

della proposta di concordato, ai sensi<br />

dell’art. 162, comma 2, l.fall., le quante volte la<br />

dichiarazione d’inammissibilità abbia intrinseco carattere<br />

decisorio, essendo dipesa da ragioni che<br />

escludono <strong>un</strong>a consequenziale declaratoria di fallimento,<br />

dovendosi invece negare l’ammissibilità del<br />

ricorso in Cassazione quando il decreto è inscindibilmente<br />

connesso ad <strong>un</strong>a successiva e consequenziale<br />

sentenza dichiarativa di fallimento (anche<br />

non contestuale), giacché in tal caso i vizi del decreto<br />

debbono esser fatti valere mediante l’impugnazione<br />

della sentenza, ossia attraverso il reclamo<br />

ex art. 18 l.fall. (19).<br />

Orbene, mentre alla Corte d’appello (adìta ex art.<br />

18 l.fall.) non è precluso, nei limiti dell’effetto de-<br />

Note:<br />

(16) Cass., 14 settembre 2012, n. 15449.<br />

(17) Così Cass., 19 febbraio 2000, n. 1898.<br />

(18) Le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’obiettivo del superamento<br />

dello stato di crisi dell’imprenditore sia «meritevole di tutela<br />

sotto il duplice aspetto dell’interpretazione della crisi come<br />

<strong>un</strong>o dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata<br />

opport<strong>un</strong>ità di privilegiare soluzioni di composizione idonee<br />

a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori<br />

aziendali, altrimenti destinati ad <strong>un</strong> inevitabile quanto inutile depauperamento».<br />

(19) Giurisprudenza pacifica, prima e dopo le riforme della legge<br />

fallimentare: cfr. Cass., 2 aprile 2010, n. 8186; Cass., Sez. Un.,<br />

14 aprile 2008, n. 9743; Cass., 28 gennaio 2000, n. 948; Cass.,<br />

2 maggio 1994, n. 4231.<br />

Il Fallimento 3/2013 283


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

volutivo del reclamo (20), alc<strong>un</strong> sindacato di merito,<br />

ivi compreso il riesame della causa in concreto<br />

della proposta concordataria, l’àmbito del sindacato<br />

della Corte di cassazione è assai più ristretto, dovendosi<br />

incanalare - in disparte le censure (probabilmente<br />

meno ricorrenti nelle ipotesi che ci occupano)<br />

relative alla violazione delle norme sulla<br />

competenza, alla violazione di legge, sostanziale o<br />

processuale, ed alla nullità del provvedimento o del<br />

procedimento - nelle «strettoie» dell’omesso esame<br />

circa <strong>un</strong> fatto decisivo per il giudizio, che è stato<br />

oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma<br />

1, n. 5, c.p.c.) (21).<br />

La valorizzazione, quale parametro del sindacato di<br />

fattibilità, dell’indagine attorno alla causa in concreto<br />

della proposta di concordato, potrebbe, in tal<br />

guisa, tradursi in <strong>un</strong> tendenziale restringimento dell’accesso<br />

al giudizio di legittimità, potendo il ricorrente<br />

censurare la motivazione di merito soltanto<br />

evidenziando (al di là di ogni pur possibile contraddizione<br />

interna alla motivazione medesima) i fatti<br />

«decisivi per il giudizio» (22), che, pur essendo stati<br />

oggetto di discussione tra le parti, il provvedimento<br />

impugnato non ha considerato.<br />

Del resto, ancora per restare sul terreno del sindacato<br />

sull’ermeneutica contrattuale, è noto che l’opera<br />

dell’interprete, mirando a determinare <strong>un</strong>a realtà<br />

storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti<br />

espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto,<br />

istituzionalmente riservato al giudice del merito,<br />

censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione<br />

dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale<br />

posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di<br />

motivazione nell’applicazione di essi (23); e che,<br />

qualora si censuri in Cassazione l’interpretazione offerta<br />

dal giudice di merito, occorre non solo l’astratto<br />

riferimento agli articoli del codice che sanciscono<br />

le regole interpretative, ma anche la specificazione<br />

dei canoni in concreto violati, precisando in<br />

che modo il giudice se ne è discostato, sì da evidenziare<br />

le distorsioni che l’asserita violazione ha prodotto<br />

(24).<br />

4. Il sindacato «permanente» della causa<br />

in concreto nelle diverse fasi<br />

della procedura concordataria<br />

Il controllo di fattibilità, dicono le Sezioni Unite, è<br />

esercitabile dal trib<strong>un</strong>ale in ogni fase della procedura<br />

concordataria - ossia nella fase di ammissione<br />

(art. 162 l.fall.), in quella di revoca (art. 173 l.fall.)<br />

e in quella di omologazione (art. 180 l.fall.) - alla<br />

stregua del medesimo parametro di giudizio, ovvero<br />

dell’attitudine della proposta a perseguire la causa<br />

in concreto del concordato.<br />

Vero è che, dopo le modifiche introdotte dal D.L.<br />

n. 83/2012 (conv. in L. n. 134/2012), il sindacato<br />

giudiziale ha ad oggetto anche ipotesi in cui la valutazione<br />

della causa in concreto potrebbe non essere<br />

possibile, allorché non vi sia ancora <strong>un</strong>a proposta<br />

di concordato, essendosi il debitore riservato di presentarla<br />

nel termine fissato dal trib<strong>un</strong>ale ai sensi<br />

dell’art. 161, comma 6, l.fall.<br />

Si tratta di quelle «misure» (25), riconducibili ora<br />

all’anticipazione degli effetti del concordato alla data<br />

del deposito del ricorso, ora alle esigenze del modello<br />

di concordato cd. con «continuità aziendale»<br />

(26).<br />

Al riguardo, le Sezioni Unite rilevano che «si tratta<br />

di ipotesi tutte caratterizzate dalla necessità di <strong>un</strong><br />

intervento urgente, finalizzato a dare corso alla possibilità<br />

di accesso alla procedura», che esigono l’in-<br />

Note:<br />

(20) Cfr. F. De Santis, Per <strong>un</strong> tentativo di chiarezza di idee attorno<br />

al preteso effetto devolutivo ‘‘pieno’’ del reclamo contro la<br />

sentenza dichiarativa di fallimento, in questa Rivista, 2012, 1186<br />

ss., ed ivi i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.<br />

(21) Per più l<strong>un</strong>go discorso sull’applicabilità al giudizio fallimentare<br />

delle modifiche al sistema delle impugnazioni civili (introdotte<br />

dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modificazioni,<br />

in L. 7 agosto 2012, n. 134), rinvio al mio scritto «Filtro in appello»,<br />

«doppia conforme» e «ridotta» censura in Cassazione per<br />

vizio della motivazione nei procedimenti fallimentari, in corso di<br />

pubblicazione su questa Rivista.<br />

(22) Sarà il diritto vivente a somministrare le opport<strong>un</strong>e indicazioni<br />

sui contorni del fatto «decisivo per il giudizio», e sulle forme<br />

tecniche della sua sottoposizione allo scrutinio della Corte<br />

regolatrice. Se, come a me pare, la nozione di fatto decisivo per<br />

il giudizio sia non tanto discosta da quella già oggetto della (ormai<br />

abrogata) nozione di prova «indispensabile» (ammissibile<br />

come prova nuova in appello, ai sensi del terzo comma dell’art.<br />

345 c.p.c., oggi modificato dalla L. n. 134/2012), i fatti «decisivi»<br />

potrebbero essere quelli dotati di <strong>un</strong>’«influenza causale più incisiva»<br />

rispetto a quella che i fatti «rilevanti» hanno sulla decisione<br />

finale della controversia, al pari di quanto la giurisprudenza<br />

aveva ritenuto per la prova indispensabile (cfr. Cass,. 5 dicembre<br />

2011, n. 26020; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14766).<br />

(23) Cass., 29 ottobre 2012, n. 18587.<br />

(24) Cass., 30 novembre 2011, n. 25568; Cass., 3 febbraio<br />

2009, n. 2602; Cass., 6 febbraio 2007, n. 2560; Cass., 22 febbraio<br />

2007, n. 4178.<br />

(25) L’autorizzazione al compimento degli atti urgenti di straordinaria<br />

amministrazione con il riconoscimento della prededucibilita<br />

ai crediti da essi derivanti, ex art. 162, comma 7, l. fall, nei casi<br />

di domanda di concordato cd. «con riserva»; l’autorizzazione allo<br />

scioglimento dei contratti in corso ex art. 169-bis l. fall.; l’autorizzazione<br />

a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare crediti<br />

anteriori per prestazioni di beni o servizi, quando ciò sia f<strong>un</strong>zionale<br />

alla migliore soddisfazione dei creditori, ex art. 182-quinquies.<br />

(26) In tema cfr. G. Lo Cascio, Crisi delle imprese, attualità normative<br />

e tramonto della tutela concorsuale, e P. Vella, Il controllo<br />

giudiziale sulla domanda di concordato preventivo con riserva,<br />

entrambi in questa Rivista, 2013, rispettivamente 5 ss, e 82 ss.<br />

284 Il Fallimento 3/2013


tervento di <strong>un</strong> organo terzo in f<strong>un</strong>zione di garanzia<br />

dei creditori, ossia del trib<strong>un</strong>ale, ma non somministrano<br />

alc<strong>un</strong> parametro discretivo ai fini della valutazione<br />

delle istanze di autorizzazione presentate dal<br />

debitore, le quante volte esse avvengano nelle more<br />

della riserva di presentare la proposta, il piano e la<br />

documentazione di supporto, ai sensi dell’art. 161,<br />

comma 6, l.fall.<br />

Ed allora è da ritenersi che, se il parametro della<br />

causa in concreto rappresenta la «stella polare» del<br />

sindacato giudiziale in ogni fase della procedura, sarà<br />

inevitabile che il debitore, pur in pendenza della<br />

suddetta «riserva», debba porre il trib<strong>un</strong>ale in condizioni<br />

di valutare le caratteristiche minimali dell’imminente<br />

proposta, effettuando <strong>un</strong>a (ancora non<br />

completa, ma sicuramente non irrilevante) disclosure<br />

delle sue linee portanti, tali da consentire al giudice<br />

di apprezzare la f<strong>un</strong>zionalità dell’atto, per il<br />

compimento del quale si chiede l’autorizzazione, alla<br />

migliore soddisfazione dei creditori, nel quadro<br />

del modello prescelto di superamento della crisi.<br />

Nella fase, poi, dell’ammissione al concordato preventivo,<br />

il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a sindacare la causa<br />

in concreto della proposta a partire dalla relazione<br />

dell’attestatore.<br />

Le Sezioni Unite, da <strong>un</strong> lato, sembrano ricondurre<br />

la posizione dell’attestatore a quella di <strong>un</strong> consulente<br />

del giudice, il quale, nella sua posizione di peritus<br />

peritorum, ha il potere di smentire i risultati dell’attestazione;<br />

ma, dall’altro lato, negano che da ciò<br />

«debba necessariamente discendere il riconoscimento<br />

di <strong>un</strong> potere di controllo di merito».<br />

Sennonché, sono le stesse Sezioni Unite ad affidare<br />

al trib<strong>un</strong>ale la conclusiva valutazione della correttezza,<br />

congruità e coerenza delle argomentazioni<br />

svolte e delle motivazioni addotte dall’attestatore a<br />

sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano,<br />

anche sotto il profilo del collegamento effettivo<br />

fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.<br />

E, secondo quanto a me pare, ci troviamo qui nuovamente<br />

nel contesto di <strong>un</strong> sindacato di merito,<br />

che, stando al dettato della corte regolatrice, deve<br />

arrestarsi soltanto di fronte alla «prognosi di realizzabilità<br />

dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore»,<br />

ossia alla valutazione di convenienza economica<br />

della proposta strettamente intesa.<br />

Non meno significativo mi sembra, infine, il percorso<br />

disegnato dalle Sezioni Unite con riferimento<br />

al sindacato sulla permanente attitudine della proposta<br />

a perseguire la causa in concreto nelle fasi successive<br />

all’ammissione dell’imprenditore alla procedura<br />

di concordato.<br />

In effetti, sono le stesse Sezioni Unite a precisare<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

che l’art. 179, ult. comma, l.fall. - ove si dispone<br />

che quando il commissario giudiziale rileva, dopo<br />

l’approvazione del concordato, che sono mutate le<br />

condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai<br />

creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di<br />

omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per<br />

modificare il voto - «esclude incontestabilmente<br />

che il trib<strong>un</strong>ale debba avere notizia dell’eventuale<br />

mutamento registrato in ordine alle condizioni di<br />

fattibilità, il che lascia implicitamente intendere<br />

che l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato<br />

prima, solo così potendosi giustificare la sua<br />

indifferenza, rispetto al mutamento di dati altrimenti<br />

potenzialmente rilevanti».<br />

E sono, d’altro canto, ancora le Sezioni Unite ad<br />

affermare che - vuoi ai fini dell’eventuale revoca<br />

dell’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 173<br />

l.fall., vuoi in sede di giudizio di omologazione ex<br />

art. 180 l.fall. - il sindacato in ordine alla regolarità<br />

della procedura deve ragionevolmente essere realizzato<br />

«con la verifica del fatto che anche nel prosieguo<br />

della procedura non siano venuti meno quei<br />

presupposti, la cui mancanza iniziale non avrebbe<br />

consentito l’accesso alla procedura».<br />

Salvo, poi, a precisare che la previsione dell’art.<br />

180, comma 4, l.fall. (secondo la quale, se, nell’ipotesi<br />

di mancata formazione delle classi, i creditori<br />

dissenzienti che rappresentano il 20 per cento dei<br />

crediti ammessi al voto, contestano la convenienza<br />

della proposta, il trib<strong>un</strong>ale può omologare il concordato<br />

qualora ritenga che il credito possa risultare<br />

soddisfatto dal concordato in misura non inferiore<br />

rispetto alle alternative concretamente praticabili),<br />

«non sembra possa trovare ragionevole fondamento<br />

nell’intento di ampliare i margini di intervento del<br />

giudice nell’ambito della procedura in questione,<br />

ma appare piuttosto <strong>un</strong> bilanciamento in favore del<br />

ceto creditorio, determinato dalla modifica apportata<br />

alla l.fall., art. 178, comma 4, che, contrapponendosi<br />

alla disciplina previgente, ha introdotto il<br />

principio del silenzio assenso nello svolgimento delle<br />

operazioni di voto» (27).<br />

Nota:<br />

(27) E, ancora, a proposito del potere (riconosciuto al trib<strong>un</strong>ale<br />

dall’art. 180, comma 4, l. fall.) di disporre, allorché vi siano opposizioni<br />

all’omologazione, mezzi di prova d’ufficio, le Sezioni Unite<br />

si richiamano «alla rilevanza pubblicistica riconosciuta alla procedura<br />

di concordato, che in quanto tale giustifica <strong>un</strong> più penetrante<br />

controllo del giudice rispetto all’ordinario proprio in vista dell’esigenza<br />

di realizzazione dell’interesse pubblico ad essa sotteso»,<br />

salvo, però, a precisare che ciò porta com<strong>un</strong>que ad escludere<br />

che «tale facoltà possa essere interpretata come espressione di<br />

<strong>un</strong> potere di sindacato da parte del giudice, in relazione al contenuto<br />

della proposta formulata dall’imprenditore ai creditori».<br />

Il Fallimento 3/2013 285


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

L’andamento <strong>un</strong> po’ ondeggiante, che l’ordito argomentativo<br />

delle Sezioni Unite sembra evidenziare<br />

in parte qua, potrebbe, a mio avviso, far passare in<br />

secondo piano il tema finale (ma non per questo<br />

meno importante) del sindacato di fattibilità secondo<br />

il metro della causa in concreto, che sintetizzerei<br />

nella seguente domanda: se sopravvengono in corso di<br />

procedura circostanze di fatto (delle quali il commissario<br />

giudiziale ha reso tempestivamente edotti i creditori), tali<br />

da far venir meno i presupposti di accesso al concordato<br />

e da rendere la proposta inidonea al perseguimento<br />

della causa in concreto, al trib<strong>un</strong>ale è o non è da riconoscersi<br />

il potere di denegare l’omologazione, pur nell’assenza<br />

di opposizioni?<br />

Volendo attenersi alla ratio complessiva del dettato<br />

nomofilattico, a me pare che a tale domanda debba<br />

darsi <strong>un</strong>a risposta positiva (28).<br />

L’interprete, però, si sarebbe forse atteso dalla Corte<br />

del precedente indicazioni più inequivoche,<br />

protese a sedare i contrasti che <strong>un</strong>a tematica così<br />

complessa, tormentata e dibattuta ha finora sollevato<br />

negli orientamenti pretori e nelle riflessioni<br />

autoriali.<br />

Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza<br />

23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘f<strong>un</strong>zionale’’ aperta<br />

dal richiamo alla ‘‘causa concreta’’<br />

di Ilaria Pagni<br />

Nell’attesa di enucleare <strong>un</strong>a casistica, sulla quale misurare il richiamo alla nozione di ‘‘causa concreta’’, elaborata<br />

con riferimento alle forme in cui più tradizionalmente si esprime l’autonomia privata, l’A. cerca di individuare<br />

i binari dell’intervento che le Sezioni Unite ritengono sia demandato ai giudici di merito, quando ipotizzano<br />

<strong>un</strong> controllo sul contenuto della proposta in termini di ‘‘realizzabilità della causa concreta nella procedura<br />

di concordato’’. La maggiore difficoltà sta nel cogliere - non già nei casi esemplari prospettati nella sentenza,<br />

ma dinanzi alle ipotesi più articolate, offerte dal confronto con la dimensione applicativa - il discrimine<br />

tra verifica, rimessa al trib<strong>un</strong>ale, dell’effettiva idoneità della proposta ad assicurare la rimozione della crisi<br />

nei tempi e modi convenuti tra debitore e creditori, e giudizio, riservato ai creditori, in ordine alla congruità<br />

di quei tempi e di quei modi. Più semplice è ricavare, dalla pron<strong>un</strong>cia della Corte, i seguenti p<strong>un</strong>ti fermi: che<br />

l’inidoneità della proposta sia rilevabile d’ufficio; che il controllo si eserciti in modo identico in tutte le fasi<br />

della procedura, sia pure coi diversi limiti di conoscenza che caratterizzano ciasc<strong>un</strong>a fase; che il controllo si<br />

realizzi non soltanto sulla completezza e congruità logica della relazione del professionista, ma si eserciti direttamente<br />

sugli elementi che l’attestatore fornisce (oltre che su quelli che emergano dal parere del commissario<br />

giudiziale, o dalle opposizioni).<br />

1. Fattibilità del concordato e causa<br />

del contratto: le difficoltà del ricorso<br />

alle categorie civilistiche<br />

Il disorientamento che ha provocato la pubblicazione<br />

della pron<strong>un</strong>cia resa dalla Cassazione a Sezioni<br />

Unite sulla questione della fattibilità del concordato<br />

è indicativo delle difficoltà di adattamento delle nozioni<br />

civilistiche di oggetto e causa alla peculiare dimensione<br />

del diritto concorsuale e ad <strong>un</strong> contratto<br />

così particolare come quello tra il debitore e la massa<br />

dei suoi creditori. Difficoltà di adattamento che non<br />

mi sono mai nascosta, nel proporre il ricorso alla ca-<br />

Nota:<br />

(28) Le Sezioni Unite affermano, infatti, che «nel caso di mancanza<br />

di opposizioni, non è demandato al trib<strong>un</strong>ale alc<strong>un</strong> accertamento<br />

o compito peculiare; la verifica in ordine alla regolarità<br />

della procedura, il cui obbligo è richiamato nel terzo comma dell’articolo<br />

citato [art. 180 l. fall., n.d.r.], deve ragionevolmente essere<br />

realizzata con la verifica del fatto che anche nel prosieguo<br />

della procedura non siano venuti meno quei presupposti la cui<br />

mancanza iniziale non avrebbe consentito l’accesso alla procedura».<br />

tegoria della ‘‘possibilità dell’oggetto’’ per cercare di<br />

ricondurre in qualche modo alla sistematica del contratto<br />

il requisito della fattibilità del piano (1).<br />

Nota:<br />

(1) V., si vis, il mio Contratto e processo nel concordato preventivo<br />

e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze,<br />

inTrattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e<br />

Bassi, I, Padova, 2010, 558 ss., spec. 586.<br />

Per <strong>un</strong> analogo ricorso alla categoria dell’impossibilità dell’oggetto,<br />

«riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla<br />

luce della relazione del commissario giudiziale, alc<strong>un</strong>a probabilità<br />

di essere adempiuta», Cass., Sez. I, 15 settembre 2011, n.<br />

18864, in Corr. giur., 2012, 39 ss.<br />

286 Il Fallimento 3/2013


È <strong>un</strong> contratto, quello di concordato, in cui il consenso<br />

si forma con <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità involontaria di<br />

interessi, composta dal ceto creditorio, costretta a<br />

esprimere la propria volontà attraverso meccanismi<br />

di maggioranza e non già nei modi che presiedono<br />

di norma alla stipula degli accordi; e in cui, alla difficoltà<br />

di individuare tutti i creditori chiamati ad<br />

esprimere il proprio voto (seppure oggi parzialmente<br />

temperata dalla previsione della pubblicità della<br />

domanda di concordato nel registro delle imprese),<br />

si aggi<strong>un</strong>ge il fatto che gli effetti indiretti dell’accordo<br />

si producono anche verso terzi che non votano<br />

(si pensi ai coobbligati, fideiussori e obbligati in<br />

via di regresso, rispetto ai quali i creditori conservano<br />

impregiudicate le ragioni di credito, e che perciò<br />

si troveranno certamente ‘‘aggrediti’’ per la parte<br />

del debito che non sia stato rimesso al debitore<br />

principale).<br />

Così come avviene, del resto, nell’accordo di ristrutturazione<br />

dei debiti, dove la conformazione<br />

della garanzia patrimoniale determinata dall’esonero<br />

da revocatoria dell’art. 67, terzo comma, lett. e,<br />

l.fall. opera anche a svantaggio dei creditori non<br />

aderenti all’accordo; o nella disciplina sul sovraindebitamento,<br />

dove di nuovo sono previsti vincoli<br />

particolari per i terzi.<br />

2. Le ragioni dell’intervento giudiziale<br />

nelle soluzioni negoziali della crisi<br />

Sono principalmente queste, seppure declinate diversamente<br />

a seconda della tipologia di accordo tra<br />

debitore e creditori, le ragioni per cui, pur nell’accentuazione<br />

del ruolo dell’autonomia privata, rimane<br />

immanente a qual<strong>un</strong>que disciplina, nella materia<br />

delle soluzioni negoziali alla crisi d’impresa, la<br />

necessità strutturale della presenza del trib<strong>un</strong>ale.<br />

Una necessità strutturale che niente ha a che vedere<br />

con impostazioni ideologiche volte a privilegiare<br />

la dimensione pubblicistica rispetto a quella privatistica,<br />

ma che anzi muove proprio all’interno di quest’ultima,<br />

per consentire all’autonomia privata di<br />

dispiegare appieno i propri effetti, anche in situazioni<br />

diverse da quelle del tradizionale diritto dei contratti.<br />

L’attribuzione di efficacia all’accordo da parte del<br />

giudice presuppone non solo <strong>un</strong>a verifica dell’effettività<br />

del consenso espresso dalla maggioranza, ma<br />

anche <strong>un</strong> controllo della correttezza della procedura<br />

(da intendersi in senso ampio, e non soltanto limitata<br />

ai profili formali della regolarità del procedimento),<br />

all’esito della quale gli effetti dell’accordo<br />

si estenderanno anche verso coloro che non abbia-<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

no partecipato all’iter di formazione della volontà<br />

negoziale, perché non raggi<strong>un</strong>ti dalla notizia del<br />

concordato o perché com<strong>un</strong>que ad esso estranei.<br />

La necessità che in ogni fase della procedura si tenga<br />

conto della compresenza di più interessi (tra cui<br />

quelli dei terzi, toccati dagli effetti dell’accordo), e<br />

l’impossibilità, perciò, di rimettere in toto alle decisioni<br />

della maggioranza, pur depurate dal rischio<br />

del conflitto di interessi, l’efficacia dell’intesa raggi<strong>un</strong>ta<br />

tra debitore e creditori, spiegano anche perché,<br />

<strong>un</strong>a volta che si sia gi<strong>un</strong>ti all’omologa, il controllo<br />

rimesso al trib<strong>un</strong>ale non muti di profondità,<br />

per il fatto che vi siano o meno opposizioni.<br />

L’omologa, nel concordato, è <strong>un</strong> giudizio camerale,<br />

incentrato sull’accordo cui dovrà essere attribuita<br />

efficacia, e la presenza delle opposizioni non ne muta<br />

l’oggetto. Le opposizioni, infatti, non portano all’attenzione<br />

del giudice i diritti degli opponenti,<br />

trasformando l’omologa in <strong>un</strong> giudizio contenzioso<br />

sul credito, ma servono ad introdurre questioni di<br />

fatto (sull’esistenza dei crediti, sulla regolarità della<br />

votazione, sulla fattibilità della proposta, e via dicendo)<br />

che il trib<strong>un</strong>ale potrebbe conoscere altrimenti<br />

- grazie, ad esempio, alle segnalazioni del<br />

commissario giudiziale - e che com<strong>un</strong>que dovrebbe<br />

affrontare per decidere in ordine alla soluzione della<br />

crisi. Non a caso, perciò, nella versione anteriore al<br />

correttivo, le opposizioni venivano definite ‘‘eccezioni’’,<br />

in corrispondenza alla natura di atto processuale<br />

rivolto ad introdurre fatti, e non già a modificare<br />

l’oggetto del giudizio: fatti che potevano indurre<br />

il trib<strong>un</strong>ale a mettere in discussione quel che era<br />

stato oggetto della votazione, non diversamente da<br />

quel che può fare il commissario giudiziale nel depositare<br />

il proprio motivato parere, ex art. 180, secondo<br />

comma, o nel segnalare il venir meno delle<br />

condizioni di ammissibilità del concordato, come<br />

gli impone l’art. 173 l.fall. (dell’art. 179 l.fall. diremo<br />

tra poco).<br />

3. Le linee generali dell’intervento<br />

delle Sezioni Unite<br />

Se questa ricostruzione è corretta, compito dell’interprete<br />

non è prendere posizione per il partito dell’autonomia<br />

negoziale o per quello dell’eteronomia<br />

giudiziale ad ogni costo, ma, piuttosto, cercare, all’interno<br />

dei binari tracciati dal legislatore e oggi ridefiniti,<br />

sia pure con qualche incertezza, dalla Cassazione,<br />

quale sia l’esatta misura del rapporto tra applicazione<br />

del principio maggioritario, da <strong>un</strong>a parte,<br />

e irrin<strong>un</strong>ciabilità, dall’altra parte, di <strong>un</strong>a tutela per i<br />

creditori assenti e dissenzienti, per i terzi, e per gli<br />

Il Fallimento 3/2013 287


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

stessi consenzienti, la cui volontà, tuttavia, non si<br />

sia formata correttamente.<br />

Ciò sia evitando di eccedere, in nome di <strong>un</strong> nostalgico<br />

ritorno al passato, nella pretesa di ampliare gli<br />

spazi riservati all’intervento del Trib<strong>un</strong>ale (2), sia,<br />

al tempo stesso, evitando di accentuare oltre misura<br />

l’idea che il concordato sia soltanto <strong>un</strong> ‘‘affare del<br />

debitore e dei suoi creditori’’, visti gli effetti che lo<br />

stesso produce, anche soltanto come moltiplicatore<br />

di costi e, con essi, degli effetti dell’insolvenza<br />

quando manchino i presupposti per il superamento<br />

della crisi.<br />

La Cassazione ha individuato le linee generali dell’intervento<br />

del giudice nei termini seguenti.<br />

Ai creditori è riservata la valutazione (‘‘di merito’’)<br />

in ordine alla probabilità di successo economico del<br />

piano, ovvero dell’atto che specifica modi e tempi<br />

con cui il debitore intende adempiere all’accordo<br />

raggi<strong>un</strong>to; al trib<strong>un</strong>ale è riservata invece la valutazione<br />

(‘‘di legittimità’’) circa la realizzabilità della<br />

causa concreta della procedura di concordato. Causa<br />

concreta che - in ossequio alla ricostruzione che<br />

dottrina e giurisprudenza danno della causa, non<br />

già come mera e astratta f<strong>un</strong>zione economico sociale<br />

del negozio, bensì come sintesi degli interessi reali<br />

che il contratto è diretto a realizzare (3) - viene<br />

colta nel superamento dello stato di crisi, per l’imprenditore,<br />

e nel riconoscimento, in favore dei creditori,<br />

di <strong>un</strong>a sia pur minimale consistenza del credito<br />

da essi vantato, in tempi di realizzazione ragionevolmente<br />

contenuti.<br />

Sicché - mi sembra di poter dire - se spetta ai creditori,<br />

in quanto diretti interessati, la valutazione della<br />

convenienza, rispetto all’alternativa fallimentare,<br />

e della realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione<br />

proposta dal debitore a ciasc<strong>un</strong>o di essi (in<br />

base alla classe di appartenenza), è tuttavia demandato<br />

al giudice il controllo dell’assetto complessivo<br />

del concordato: non solo il riscontro della legalità<br />

degli atti in cui si articola la procedura, ma anche<br />

la verifica dell’effettiva idoneità della proposta ad<br />

assicurare il soddisfacimento della causa del concordato:<br />

ad assicurare, cioè, la rimozione della crisi mediante<br />

i tempi e i modi di adempimento promessi ai creditori<br />

nel loro complesso.<br />

In questo senso, l’en<strong>un</strong>ciazione della Corte non mi<br />

sembra possa essere letta in chiave minimalista (4):<br />

perché se è vero che non rileva la misura del soddisfacimento,<br />

per le Sezioni Unite non è neppure sufficiente<br />

che <strong>un</strong> soddisfacimento vi sia e sia economicamente<br />

quantificabile, ma occorre verificare in<br />

concreto (di qui il riferimento ad <strong>un</strong> approccio ermeneutico<br />

non di tipo astratto, quale sarebbe quel-<br />

lo che si accontentasse del requisito ora accennato,<br />

senza il quale il concordato neppure corrisponderebbe<br />

al ‘‘tipo’’ contrattuale) se l’operazione negoziale<br />

assicuri davvero il superamento della crisi, e<br />

non si limiti a procrastinare <strong>un</strong>a dichiarazione di<br />

insolvenza, che farebbe venir meno la ragione giustificatrice<br />

(e con essa la causa) del sacrificio sopportato<br />

dai creditori.<br />

Nel procedere attraverso esempi (che non esauriscono<br />

- né potrebbero, in ossequio alla scelta di<br />

portare la fattibilità sul piano della causa concreta<br />

del negozio - lo spettro delle possibilità di intervento<br />

ricavabili dall’en<strong>un</strong>ciazione astratta di <strong>un</strong> dovere<br />

di controllo sulla causa), è la stessa Corte, coerentemente,<br />

a non limitare il controllo alle ipotesi,<br />

quasi di scuola, in cui la fattibilità sia stata ancorata<br />

ad <strong>un</strong> complesso di dati, la cui sommatoria deponga<br />

viceversa in favore di conclusioni di segno opposto;<br />

o in cui sia impossibile, giuridicamente, dare esecuzione<br />

all’accordo, essendo stata programmata la cessione<br />

di beni di proprietà altrui. E ad estendere la<br />

verifica dei presupposti dell’accordo al controllo<br />

sull’inidoneità della proposta a soddisfare in <strong>un</strong>a<br />

qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto<br />

dei termini di adempimento previsti.<br />

Una prospettiva f<strong>un</strong>zionale, quella che il ricorso al<br />

concetto di causa inevitabilmente porta con sé, che<br />

richiede particolare cautela nella distinzione rispetto<br />

alla prognosi di realizzabilità dell’attivo, che la<br />

Corte vuole rimessa ai creditori, ma intendendo<br />

con questo, a mio avviso, riservare ad essi l’accettazione<br />

dell’alea delle condizioni di mercato, e non<br />

già l’autorizzazione al procedere di <strong>un</strong> concordato<br />

in cui sia già prevedibile l’esito negativo delle operazioni<br />

che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità<br />

giuridica od economica poco importa,<br />

poiché è vero che quella distinzione non dev’essere<br />

eccessivamente enfatizzata) (5).<br />

Note:<br />

(2) Secondo il suggerimento di G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi<br />

ed abusi nel concordato preventivo, in questa Rivista, 2012, 891<br />

ss., spec. 905.<br />

(3) In argomento è d’obbligo la citazione di G.B. Ferri, Causa e<br />

tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966. Per <strong>un</strong> esame<br />

del concetto di causa, si rinvia a V. Roppo, Il contratto, in<br />

Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano,<br />

2011, 341 ss.<br />

(4) Così, invece, M. Fabiani, Guida rapida alla lettura di Cass.<br />

s.u. 1521/2013, inwww.Ilcaso.it, 2013, 7; Id., La questione ‘‘fattibilità’’<br />

del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite,<br />

in questa Rivista, 2013, 156.<br />

(5) Su questo p<strong>un</strong>to si concorda con M. Fabiani, Guida rapida,<br />

cit., 3; Id., La questione ‘‘fattibilità’’, cit., 156.<br />

288 Il Fallimento 3/2013


4. Alc<strong>un</strong>i p<strong>un</strong>ti fermi<br />

In tutto ciò si annida il rischio di interpretazioni<br />

difformi da parte dei giudici di merito delle indicazioni<br />

fornite dalla Suprema Corte.<br />

È talmente sfuggente la nozione di causa (che <strong>un</strong><br />

civilista della prima metà del secolo scorso definiva<br />

<strong>un</strong> ‘‘oggetto molto vago e misterioso’’), e lo è ancor<br />

più ove riferita non ad <strong>un</strong> contratto qualsiasi, ma<br />

ad <strong>un</strong> accordo così particolare come quello in esame,<br />

che, se da <strong>un</strong> lato non vi è dubbio che, col richiamo<br />

ad essa, la Corte abbia ribadito la necessità<br />

di <strong>un</strong> controllo del giudice sulla fattibilità del piano,<br />

dall’altro sembra inevitabile fermarsi alla conclusione<br />

che saranno i singoli trib<strong>un</strong>ali a dover valutare,<br />

caso per caso, se l’intervento che hanno in<br />

mente di compiere si muova nei limiti della verifica<br />

dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della<br />

procedura di concordato, oppure trasmodi in <strong>un</strong><br />

giudizio - che è invece, per la Cassazione, di competenza<br />

esclusiva dei creditori - sul merito della singola<br />

percentuale di soddisfazione proposta alla classe,<br />

e sui rischi inerenti alla possibilità di ottenere<br />

davvero il singolo risultato da ciasc<strong>un</strong>o auspicato.<br />

È la Corte stessa a rimettere i margini dell’intervento<br />

alla discrezionalità dei giudici di merito, nel momento<br />

in cui afferma, coerentemente col proprio ruolo<br />

di giudice di legittimità, che «non è possibile stabilire<br />

con <strong>un</strong>a previsione generale e astratta i margini di<br />

intervento del giudice in ordine alla fattibilità del<br />

concordato, dovendosi a tal fine tener conto delle<br />

concrete modalità proposte dal debitore per la composizione<br />

della propria esposizione debitoria».<br />

E tuttavia, se non vogliamo rin<strong>un</strong>ciare a indicare<br />

delle possibili linee guida per <strong>un</strong> compito così delicato,<br />

nell’attesa che si formi <strong>un</strong>a casistica (specifica<br />

del concordato) sulla quale misurare la nozione di<br />

causa in concreto, possiamo intanto individuare alc<strong>un</strong>i<br />

p<strong>un</strong>ti fermi che sembrano potersi ricavare dall’ampio<br />

argomentare della Corte.<br />

Innanzitutto, la Cassazione ha definitivamente ribadito<br />

la necessità di <strong>un</strong> controllo del giudice sulla<br />

fattibilità del piano; ha chiarito che il controllo<br />

non è di secondo grado (destinato cioè a realizzarsi<br />

soltanto sulla completezza e congruità logica della<br />

relazione del professionista), ma si esercita direttamente<br />

sugli elementi che l’attestatore fornisce, in<br />

<strong>un</strong>a veste analoga (ma non identica, visto che si<br />

tratta di <strong>un</strong> soggetto nominato dal debitore) a quella<br />

di <strong>un</strong> ausiliare del giudice, dalle cui valutazioni,<br />

pertanto, il trib<strong>un</strong>ale è libero di discostarsi, come fa<br />

dalle valutazioni non condivise, che gli siano offerte<br />

da <strong>un</strong> qual<strong>un</strong>que suo ausiliare (6). Ha precisato,<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

infine, che il controllo è identico in tutte le fasi<br />

della procedura, sia pure coi diversi limiti di conoscenza<br />

che caratterizzano ciasc<strong>un</strong>a fase (ed è identico,<br />

in fase di omologazione, indipendentemente dal<br />

se vi siano o meno opposizioni, visto che com<strong>un</strong>que<br />

il trib<strong>un</strong>ale dovrà verificare se «anche nel prosieguo<br />

della procedura non siano venuti meno quei<br />

presupposti la cui mancanza iniziale non avrebbe<br />

consentito l’accesso alla procedura»: con ciò definitivamente<br />

riconoscendo la natura di fatto costitutivo<br />

- o, il che è lo stesso per quanto qui interessa, di<br />

fatto impeditivo rilevabile d’ufficio - del requisito<br />

della fattibilità del piano) (7).<br />

A questo proposito, la Corte ha anche menzionato<br />

- per bilanciare le aperture all’intervento giudiziale<br />

che alc<strong>un</strong>i hanno des<strong>un</strong>to dalle norme introdotte<br />

dal Decreto sviluppo, segnatamente in tema di continuità<br />

aziendale (8) - l’importanza del novellato<br />

art. 179 l.fall., nella parte in cui prevede che<br />

«quando il commissario rileva, dopo l’approvazione<br />

del concordato, che sono mutate le condizioni di<br />

fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali<br />

possono costituirsi nel giudizio di omologazione<br />

fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il<br />

voto». Un dettato normativo che escluderebbe che<br />

il trib<strong>un</strong>ale debba avere notizia dell’eventuale mutamento<br />

registrato in ordine alle condizioni di fattibilità,<br />

ma che può riguardare, evidentemente - perché<br />

altrimenti tutto il ragionamento della Corte<br />

Note:<br />

(6) Sulla natura dell’attestatore, si condividono le considerazioni<br />

di G. Bozza, La fattibilità nel contratto preventivo è giudizio che<br />

spetta ai creditori, in questa Rivista, 2011, 182 ss., spec. 184.<br />

V., inoltre, V. Colesanti, Crisi d’impresa, accordi di ristrutturazione<br />

e insolvenza (‘‘prospettica’’), in Corr. giur., 122 ss., spec.<br />

124-125.<br />

(7) In senso contrario giocherebbe invece, secondo S. Ambrosini,<br />

Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla<br />

luce della riforma del 2012, inwww.Ilcaso.it, 2012, 8, 9, la previsione<br />

dell’art. 179 l. fall., nel testo novellato. La norma, infatti,<br />

«attributiva di <strong>un</strong>a rilevante facoltà ai creditori, può nondimeno<br />

rappresentare, al contempo, <strong>un</strong> limite all’esercizio di altre prerogative,<br />

nella misura in cui si ritenga - e la formulazione della norma,<br />

letta in combinato disposto con l’art. 180, potrebbe in effetti<br />

autorizzare <strong>un</strong>a conclusione siffatta - che lo scrutinio circa la<br />

fattibilità del piano, effettuato dai creditori con l’esercizio del voto,<br />

non possa aver luogo, in sede di omologazione, se non nel<br />

caso espressamente contemplato dall’art. 179, secondo comma,<br />

e pertanto non d’ufficio, né in assenza di mutamenti delle<br />

condizioni di fattibilità del piano, ma solo, per l’app<strong>un</strong>to, in presenza<br />

di <strong>un</strong>a modifica del voto giustificata da <strong>un</strong> tale ‘‘cambiamento<br />

di scenario’’ e fatta valere con la costituzione nel giudizio<br />

di omologazione». Ma per <strong>un</strong> diversa lettura dell’art. 179, secondo<br />

comma, l. fall., v subito infra, nel testo.<br />

(8) Sul p<strong>un</strong>to, si vedano le osservazioni di F. Lamanna, Il controllo<br />

giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione<br />

del concordato preventivo, inIl Fallimentarista, 1 ss.,<br />

spec. 49 ss.<br />

Il Fallimento 3/2013 289


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

non avrebbe senso - solo quelle condizioni di cui il<br />

giudice non si sarebbe dovuto com<strong>un</strong>que occupare<br />

neppure prima.<br />

Quella norma, a mio avviso, significa soltanto che i<br />

creditori debbono essere avvertiti dell’eventuale<br />

mutamento delle condizioni sulle quali sono stati<br />

chiamati ad esprimere la propria approvazione della<br />

proposta, in modo da poter modificare il proprio<br />

voto, ma non esclude affatto, se alla disposizione si<br />

vuole dare <strong>un</strong> senso complessivo nel quadro del sistema,<br />

che analoga notizia debba essere indirizzata<br />

al trib<strong>un</strong>ale, per gli aspetti di relativa competenza.<br />

Escluso che rilevi, nell’economia della proposta concordataria,<br />

l’indicazione della prevedibile misura di<br />

soddisfazione dei creditori (anche perché - ricorda la<br />

Cassazione - la percentuale di pagamento eventualmente<br />

prospettata non è vincolante, essendo al contrario<br />

sufficiente l’impegno del debitore a mettere a<br />

disposizione dei creditori «i beni liberi da vincoli<br />

ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino<br />

apprezzabilmente il valore»), e che perciò rilevi<br />

anche la realizzabilità in concreto della percentuale<br />

in discorso (rientrando questa valutazione nel giudizio<br />

rimesso ai creditori, in ordine alla ‘‘fattibilità<br />

economica’’ del piano), il sindacato del giudice dovrà<br />

esercitarsi invece nella verifica - perché in ciò<br />

consiste il controllo sulla causa - che il singolo concordato,<br />

pur non prevedendo prestazioni illecite o<br />

impossibili, non sia com<strong>un</strong>que inidoneo, invirtùdella<br />

concreta disciplina dettata dai paciscenti, a realizzare<br />

gli interessi programmati dai contraenti stessi.<br />

Mentre la corrispondenza tra il singolo contratto e<br />

il tipo legale vale solo ad accertare la sussistenza<br />

della causa in astratto, e cioè della generale ammissibilità<br />

di quel tipo di atto, la necessità di <strong>un</strong> riscontro<br />

della causa in concreto, voluta dalla Cassazione,<br />

impone <strong>un</strong> esame nel concreto della capacità<br />

della complessiva operazione perseguita dalle parti<br />

di superare la crisi attraverso <strong>un</strong> soddisfacimento,<br />

sia pure ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.<br />

In questo senso, la verifica della sussistenza<br />

concreta della causa non può andare disgi<strong>un</strong>ta da<br />

<strong>un</strong> controllo sulla effettiva f<strong>un</strong>zionalità del contratto:<br />

se, nonostante debitore e maggioranza dei creditori<br />

si siano accordati sui termini economici dell’impegno<br />

richiesto all’imprenditore, si ravvisino,<br />

sulla scorta dei dati che emergono dall’attestazione<br />

o sulla scorta delle considerazioni del commissario,<br />

elementi che facciano ritenere che, ab origine, quell’impegno<br />

non sia in grado di evitare il fallimento,<br />

il trib<strong>un</strong>ale deve intervenire ad evitare la moltiplicazione<br />

dei costi che <strong>un</strong> concordato ‘‘inutile’’ (in<br />

ciò sostanziandosi l’assenza di causa) produce. Allo<br />

stesso modo in cui, al contrario, dovrà astenersi dall’intervenire<br />

quando quel concordato abbia com<strong>un</strong>que<br />

la capacità di determinare il superamento della<br />

crisi, pur se le condizioni proposte ai creditori appaiano<br />

svantaggiose o più difficilmente realizzabili<br />

rispetto a quelle che - a giudizio del trib<strong>un</strong>ale - si<br />

potrebbero ottenere col fallimento.<br />

In assenza di giurisprudenza formatasi sulla causa<br />

concreta nei concordati, e in presenza, invece, di<br />

<strong>un</strong>a giurisprudenza ricchissima sull’impiego della<br />

nozione di causa nei contratti (9), occorrerà, d’ora<br />

in avanti, procedere, sulla scorta di quella, ad <strong>un</strong><br />

intenso lavoro di indagine e di studio dell’operazione<br />

economica perseguita dalle parti nei singoli strumenti<br />

di risoluzione negoziale della crisi d’impresa.<br />

Compito, questo, da svolgere senza adesioni acritiche<br />

ad alc<strong>un</strong>o schieramento, «senza cedimenti verso<br />

f<strong>un</strong>zioni di polizia del processo troppo pubblicisticamente<br />

intese» (10), che in momenti di crisi come<br />

questo rischierebbero di aggravare ulteriormente la<br />

già difficile condizione delle imprese, ma senza neppure<br />

entusiastiche concessioni al mito dell’autonomia<br />

negoziale, a riparare i possibili guasti della quale<br />

(per l’eventualità, immanente al tipo contrattuale,<br />

che vi sia <strong>un</strong>o squilibrio, e non soltanto informativo,<br />

tra le parti del contratto, e poi all’interno del<br />

ceto creditorio) è app<strong>un</strong>to preposto il trib<strong>un</strong>ale.<br />

La caratterizzazione negoziale del concordato, <strong>un</strong>ita<br />

alla natura non meramente individuale degli interessi<br />

in gioco, spinge a non rin<strong>un</strong>ciare al favore per<br />

<strong>un</strong>a soluzione concordata della crisi, ma insieme a<br />

negarle forza conclusiva del processo senza quel controllo<br />

della legittimità della soluzione proposta, che<br />

presuppone che attraverso il piano, fino all’omologa,<br />

il trib<strong>un</strong>ale possa, a garanzia di tutti gli interessi<br />

coinvolti, saggiare la capacità dell’imprenditore di<br />

soddisfare i propri creditori nei termini (di cui i creditori<br />

sono sovrani) risultanti dalla proposta, e di dimostrare,<br />

attraverso <strong>un</strong> soddisfacimento dei creditori<br />

‘‘sia pur ipoteticamente modesto e parziale’’, il ricorrere<br />

della causa concreta dell’operazione negoziale<br />

che col concordato si propone di realizzare.<br />

Note:<br />

(9) Tra le quali, si segnalano all’attenzione dei lettori, Cass., Sez.<br />

III, 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, 1718, con nota<br />

di F. Rolfi, La causa come «f<strong>un</strong>zione economico sociale»: tramonto<br />

di <strong>un</strong> idolum tribus?; Cass., sez. III, 20 dicembre 2007, n.<br />

26958, ivi, 2008, 921, con nota di F. Rolfi, F<strong>un</strong>zione concreta, interesse<br />

del creditore ed inutilità della prestazione: la Cassazione<br />

e la rielaborazione del concetto di causa del contratto.<br />

(10) Secondo <strong>un</strong>’espressione icastica utilizzata da Claudio Consolo<br />

ad altro proposito, ma che si attaglia perfettamente al caso<br />

di specie.<br />

290 Il Fallimento 3/2013


Il percorso ‘‘l<strong>un</strong>go’’ della fattibilità del piano proposto<br />

nel concordato<br />

di Adolfo Di Majo<br />

L’Autore muove dall’ordinanza con cui la Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la soluzione della divergenza<br />

tra le stesse Sezioni della Cassazione. Rispondono le Sezioni Unite, ribadendo che il controllo della<br />

fattibilità del piano proposto dal debitore attiene alla concreta realizzabilità di esso e non già soltanto alla correttezza<br />

delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dall’esperto. Resta d<strong>un</strong>que che spetta al Trib<strong>un</strong>ale<br />

controllare se la fattibilità è tale, in senso giuridico, mentre il suo esito economico resta a rischio del<br />

ceto creditorio, ove sufficientemente informato. L’Autore condivide detta impostazione giacché il Trib<strong>un</strong>ale<br />

non può essere ridotto ad <strong>un</strong> ‘‘convitato di pietra’’, dovendo valutare, in prima battuta, se il contenuto prognostico<br />

o prospettico del piano sia mezzo adeguato allo scopo.<br />

1. Dissonanze e assonanze<br />

Nel commento del sottoscritto alla ordinanza della<br />

Cassazione (1), con la quale si era rimessa alle Sezioni<br />

Unite la soluzione della divergenza circa la<br />

natura del controllo che il Trib<strong>un</strong>ale avrebbe dovuto<br />

esercitare in sede di ammissibilità e di omologazione<br />

del concordato preventivo, si era osservato<br />

come il dissenso tra i vari giudici di legittimità poteva<br />

racchiudersi nel richiamo a categorie negoziali,<br />

quali la nullità per impossibilità dell’oggetto, il quale<br />

richiamo avrebbe riproposto ‘‘in altra veste’’ il<br />

medesimo problema dei limiti entro i quali il giudice<br />

è legittimato a sindacare l’anzidetto requisito della<br />

fattibilità del piano (art. 161 l.fall.). Di qui l’esigenza<br />

che le Sezioni Unite avessero a pron<strong>un</strong>ciarsi sul<br />

p<strong>un</strong>to.<br />

Le Sezioni Unite della Cassazione (2) hanno raccolto<br />

il messaggio e con <strong>un</strong>a decisione, forse sovrabbondante<br />

per le argomentazioni che si succedono,<br />

si sono adoperate per riempire le caselle che potevano<br />

essere all’origine del dissenso. Essa in particolare<br />

dedica attenzione al requisito di ‘‘fattibilità’’<br />

che, se riferito espressamente al ‘‘piano’’ (art. 162,<br />

terzo comma, l.fall.), non può non avere riflessi sulla<br />

proposta, essendone, questa, lo strumento realizzativo.<br />

Com’è noto, la sentenza, alla quale maggiormente<br />

si imputava il dissenso, aveva preso posizione in<br />

senso decisamente correttivo di <strong>un</strong>a lettura, in<br />

chiave prevalentemente liberistica e negoziale, del<br />

piano predisposto dal debitore ed accettato dai creditori,<br />

per sottolineare come la presenza anche di<br />

elementi definiti genericamente pubblicistici nella<br />

procedura concordataria non poteva non assegnare<br />

al giudice anche <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione di controllo, non solo<br />

formale, ma anche sostanziale di quanto proposto<br />

dal debitore e condiviso dai creditori.<br />

In sostanza, se la riforma legislativa (dal 2005 ai<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

giorni nostri) è all’insegna di iniettare economicità<br />

in procedure oltremodo appesantite nel versante<br />

giudiziario v’è altresì il rispetto di <strong>un</strong> principio di<br />

‘‘legalità sostanziale’’ sul terreno della tutela dei diritti<br />

soggettivi (dei creditori), specie dissenzienti,<br />

che alla esigenza di economicità può fare da contraltare.<br />

La pron<strong>un</strong>cia dissonante, cui si fa riferimento (e<br />

cioè la n. 18864/2011), era stata tuttavia ben accorta<br />

nel mantenere il controllo del giudice sul terreno<br />

squisitamente giuridico e non della ‘‘convenienza<br />

economica’’ della proposta pianificata (3).<br />

A tal p<strong>un</strong>to da dover richiamare <strong>un</strong>a categoria ultra<br />

- nota, come quella dell’invalidità del contratto ove<br />

il suo oggetto, già in partenza, si presenti ‘‘impossibile’’<br />

rispetto al fine che esso intende realizzare. Nel<br />

caso di specie, trattandosi di valutare <strong>un</strong> ‘‘piano’’ e<br />

non solo <strong>un</strong>a proposta fonte di obblighi, occorreva<br />

concentrare il controllo sul mezzo predisposto per<br />

realizzare il fine. Il mezzo è il piano, il fine è la regolazione<br />

della crisi attraverso la soddisfazione dei<br />

creditori (art. 160 l.fall.).<br />

La sentenza delle Sezioni Unite, come si è detto,<br />

raccoglie la sollecitazione e si adopera per meglio<br />

precisare che cosa è da intendersi per ‘‘fattibilità’’.<br />

Essa non tace sulla premessa, per così dire, ideologica,<br />

che è alla base della interpretazione di codesto<br />

requisito, e che è da ravvisare nella presenza di<br />

‘‘manifestazioni evidenti di riflessi pubblicistici’’<br />

nella procedura concordataria e tali possono defi-<br />

Note:<br />

(1) V. A. di Majo, Corriere Giur., 2012, 230 ss. Il dissenso è tra<br />

Cass. 15 settembre 2011, n. 18864 e la precedente 23 giugno<br />

2011, n. 13817. L’ordinanza di rimessione alle S.U. è del 15 dicembre<br />

2011, n. 27063.<br />

(2) Ora con sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521.<br />

(3) Parla di nuovi ‘‘orizzonti interpretativi’’ da parte di Cass. n.<br />

18864/2011 Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite,<br />

inwww.ilCaso.it, 2013, 16.<br />

Il Fallimento 3/2013 291


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

nirsi anche gli interessi «ipoteticamente non aderenti<br />

alla proposta ma com<strong>un</strong>que esposti agli effetti<br />

di <strong>un</strong>a sua non condivisa approvazione».<br />

Insomma, il giudice deve farsi carico anche dell’interesse<br />

dei creditori non aderenti, visto che, per altro<br />

verso, il principio maggioritario è proprio, e solo,<br />

di strutture associative e societarie ma non già<br />

dei rapporti obbligatori che restano pur sempre individuali<br />

tra il debitore e i creditori.<br />

Se codesta è la premessa, ne discende che il giudice<br />

non può ridursi a ‘‘convitato di pietra’’ rispetto a<br />

quanto proposto e pianificato dal debitore e ciò in<br />

sede di (giudizio di) ammissibilità della proposta e/o<br />

successivamente di sua omologazione, così da dovere<br />

solo prendere atto della regolarità formale della<br />

procedura nonché di quanto attestato dall’esperto<br />

circa la veridicità dei dati e la fattibilità del piano,<br />

sia pure nella veste di ausiliario del giudice, ma deve<br />

valutare, in prima battuta, se il contenuto prognostico<br />

e/o prospettico del piano abbia idoneità di<br />

mezzo adeguato allo scopo.<br />

2. La fattibilità giuridica e quella economica,<br />

la causa del procedimento<br />

e non del contratto<br />

Né può esservi dubbio sul fatto che il controllo del<br />

Trib<strong>un</strong>ale abbia ad oggetto il requisito di fattibilità<br />

e non già il giudizio su di essa, come potrebbe invece<br />

erroneamente desumersi dalla formulazione del<br />

principio di diritto en<strong>un</strong>ciato nella sentenza (4). È<br />

infatti bene precisato nella motivazione, e da essa<br />

complessivamente risultante, come l’alternativa da<br />

porsi è se il requisito di fattibilità «deve essere inteso<br />

in senso oggettivo ovvero .... ricavato dalla attestazione<br />

dell’esperto», alternativa da risolvere nel<br />

primo senso, anche in considerazione del fatto che<br />

l’esperto-indipendente, se ha la primaria f<strong>un</strong>zione<br />

di informare, oltre che i creditori, anche il giudice,<br />

non ha invece quella di rappresentare quasi <strong>un</strong>a<br />

prova legale in ordine al requisito di fattibilità, così<br />

da postulare «<strong>un</strong>a competenza esclusiva di soggetti<br />

privati (quale l’esperto), imm<strong>un</strong>e da verifica dell’organo<br />

giurisdizionale» (5). Ciò è da escludere.<br />

E la prognosi, oggetto di controllo, sembra di capire,<br />

è propria tanto della fattibilità giuridica quanto<br />

di quella economica (6). Ma resta che la prima si arresta<br />

alla previsione che i mezzi e gli strumenti predisposti<br />

abbiano idoneità e/o capacità a superare lo<br />

stato di crisi dell’imprenditore, attraverso la soddisfazione<br />

delle ragioni creditorie (e cioè in termini<br />

di dover essere), mentre la seconda si fa carico anche<br />

dell’esito economico del piano, così come predi-<br />

sposto (e cioè in termini di ‘‘essere’’ dell’evento).<br />

Ora, è il controllo della ‘‘fattibilità giuridica’’ che è<br />

demandata al Trib<strong>un</strong>ale mentre della seconda (e<br />

cioè della fattibilità economica) si assume il rischio<br />

il ceto creditorio nella sua maggioranza.<br />

E volendo ulteriormente riempire la casella della<br />

‘‘fattibilità giuridica’’ con <strong>un</strong>a categoria più familiare<br />

al ceto giuridico, la Cassazione si adopera per individuarla<br />

nella categoria ‘‘della causa concreta’’<br />

ma riferita, si badi bene, al procedimento di concordato,<br />

come più volte en<strong>un</strong>ciato nella sentenza (7), e<br />

non già alla singola proposta - negozio, il che fa la<br />

differenza. E d<strong>un</strong>que al procedimento di concordato,<br />

pur interpretato in senso negoziale, che va riferita<br />

la ‘‘causa concreta’’, con <strong>un</strong>a indubbia innovazione,<br />

costituita dalla introduzione di <strong>un</strong> elemento f<strong>un</strong>zionale<br />

nell’ambito di <strong>un</strong> ‘‘procedimento’’ che dovrebbe<br />

invece esaurirsi nella corretta sequenza di atti. Il<br />

che non viene osservato dalla gran parte dei Commentatori<br />

che riferiscono la ‘‘causa concreta’’ al negozio<br />

e non al procedimento (8). Ma tutto ciò non<br />

può non evidenziare il distacco da <strong>un</strong>a lettura iper -<br />

negoziale del concordato, per accentuarne l’aspetto<br />

di componente di <strong>un</strong>a procedura, e/o di <strong>un</strong> procedimento<br />

siano pure destinati ad innestarsi sulla ristrutturazione<br />

di <strong>un</strong>a esposizione debitoria, consensualmente<br />

concordata.<br />

È codesto, tuttavia, anche il passaggio più delicato<br />

della decisione perché più esposto a ‘‘strumentalizzazioni’’,<br />

come subito da tal<strong>un</strong>o (9) paventato, e<br />

dove il continuo ‘‘andirivieni’’ della sentenza su di<br />

esso, per precisare - integrare - correggere può dare<br />

Note:<br />

(4) V. invece la diversa opinione di Di Marzio, Il principio di diritto<br />

in tema di giudizio di fattibilità della proposta di concordato stabilito<br />

dalla Cassazione a Sezioni Unite, inIlFallimentarista.it., 25<br />

gennaio 2013 ove con riguardo all’oggetto del controllo, si afferma<br />

che «dovendosi giudicare sopra <strong>un</strong> giudizio, il termine di riferimento<br />

non potrebbe essere il termine di quel giudizio», dal<br />

che l’ipotesi di lettura «secondo cui <strong>un</strong>ico effettivo oggetto del<br />

controllo del Trib<strong>un</strong>ale sia la relazione attestativa e non il piano<br />

che ne costituisce riferimento». Ma, in termini esatti, I. Pagni, in<br />

Il controllo di fattibilità del piano di concordato, in questo stesso<br />

fascicolo, 286 ss. nel senso della esclusione di <strong>un</strong> controllo di<br />

secondo grado.<br />

(5) Così testualmente in chiave critica Cass. n. 18864/2011.<br />

(6) V. sul p<strong>un</strong>to del collegamento tra fattibilità e prognosi Patti,<br />

in questa Rivista, 2012, 46 ss.<br />

(7) v. testualmente in questa Rivista, 2013, 151, 152 e 153.<br />

(8) Così De Santis, Causa in concreto della proposta di concordato<br />

preventivo e giudizio ‘‘permanente’’ di fattibilità del piano,<br />

in questo stesso fascicolo, 279 ss. e I. Pagni, op. loc. cit. Parla<br />

invece più genericamente di ‘‘causa del concordato’’ M. Fabiani,<br />

La questione ‘‘fattibilità’’ del concordato preventivo e la lettura<br />

della Sezioni Unite, in questa Rivista, 2013, 156 ss.<br />

(9) V. sull’equivoco del termine fattibilità Fabiani, op. loc. cit.<br />

292 Il Fallimento 3/2013


nel lettore l’impressione di <strong>un</strong>a persistente incertezza<br />

sul principio che si intende affermare. Ma il principio<br />

appare chiaro.<br />

Si è in presenza di <strong>un</strong>a proposta recante <strong>un</strong> ‘‘piano’’,<br />

destinato alla ‘‘regolazione della crisi’’, attraverso<br />

la soddisfazione dei creditori, le cui modalità<br />

non possono certo essere sindacate dal giudice, se<br />

non con il limite della loro inconsistenza e/o impraticabilità,<br />

tali, codeste, da paventare <strong>un</strong> vero e proprio<br />

svuotamento delle spettanze creditorie, in modo<br />

tale da non poter aver luogo se non nell’ambito<br />

di <strong>un</strong>a procedura primaria a ciò deputata (quale il<br />

fallimento) e non in <strong>un</strong>a procedura con la quale si<br />

intende risolvere le crisi. Ma è proprio siffatta realtà,<br />

rappresentata, si ribadisce ancora <strong>un</strong>a volta, non<br />

già da <strong>un</strong>a proposta negoziale e/o da <strong>un</strong> accordo destinato<br />

hic et n<strong>un</strong>c ad esaurirsi sul piano degli effetti<br />

bensì da ‘‘<strong>un</strong> piano’’ che racchiude e incorpora <strong>un</strong><br />

fine (la regolazione della crisi), cui l’occhio del giudice<br />

deve aver riguardo, salvo app<strong>un</strong>to che a renderlo<br />

irrealizzabile non sarà tanto il mezzo predisposto<br />

ma le svariate vicende, specie di natura economica<br />

(v. il richiamo al ‘‘successo economico’’), che<br />

abbiano successivamente a contrastarlo o impedirlo<br />

e delle quali il ceto creditorio, a maggioranza, se ne<br />

sia ass<strong>un</strong>to il rischio attraverso la apposita deliberazione.<br />

E la stessa sentenza, che qui si commenta, non è<br />

priva di esempi. Essa fa il caso di cessione di beni<br />

altrui ma è <strong>un</strong> esempio di per sé scontato, perché<br />

attiene all’ammissibilità della proposta più che alla<br />

sua realizzabilità in fact (10). Più in generale, è da<br />

convenire che il rispetto di norme inderogabili riguarda<br />

la ammissibilità, non la fattibilità (11). Può<br />

invece proporsi il caso, come di recente deciso dal<br />

Trib. di Roma in sede di omologazione (12), ove si<br />

è provveduto al controllo «del contenuto sostanziale<br />

della proposta» con particolare riguardo, trattandosi<br />

di cespiti immobiliari, «alla stima dei beni proposti<br />

in cessione dal debitore, allo stato effettivo<br />

dei luoghi, alla efficacia dei titoli abilitativi, allo<br />

stato della urbanizzazione, all’importo del piano di<br />

lottizzazione», per giudicare omologabile la proposta<br />

di concordato. V’ha ampio margine d<strong>un</strong>que per<br />

sindacare il contenuto ‘‘sostanziale’’ della proposta.<br />

Ma può farsi il caso della previsione di finanziamenti<br />

in mente Dei o il cui condizionamento è<br />

quanto mai precario perché fatto dipendere da<br />

eventi incerti o infine dell’attribuzione ai creditori<br />

di partecipazioni societarie in società o gruppi il cui<br />

stato di salute è precario. Gli esempi possono essere<br />

tanti.<br />

L<strong>un</strong>gi dal poter sindacare «le probabilità di successo<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

economico del piano ed i rischi inerenti» (così la<br />

sentenza commentata), si tratta di valutare, in sede<br />

di legittimità, se il mezzo proposto (e cioè il piano)<br />

è in grado di realizzare in concreto il fine perseguito<br />

(e cioè la regolazione della crisi attraverso la soddisfazione,<br />

pur parziale e possibilmente ‘‘non minimale’’,<br />

dei creditori).<br />

Come en<strong>un</strong>ciato in qualche parte dalla ‘‘l<strong>un</strong>ga’’ sentenza,<br />

si tratta, né più enémeno, che di «assicurare<br />

la tutela della legalità del procedimento», compito<br />

istituzionalmente demandato al giudice, seppure in<br />

<strong>un</strong>a cornice normativa caratterizzata da ‘‘obiettiva<br />

opacità’’ secondo <strong>un</strong> acuto osservatore (13).<br />

Note:<br />

(10) V. sul p<strong>un</strong>to, Fabiani, op. loc. cit.<br />

(11) Così Fabiani, op. ult. cit., 161. La fattibilità invece attiene<br />

non tanto o non solo, come sostiene Nardecchia, op. loc. cit., 8<br />

«alla risoluzione di ogni questione di fattibilità dipendente dalla<br />

corretta o quanto meno non manifestamente errata applicazione<br />

di norme di diritto» quanto proprio alla insufficienza e/o inadeguatezza,<br />

in termini fattuali, in ordine alla prospettiva che il piano<br />

abbia a garantire l’uscita dalla crisi attraverso <strong>un</strong>a soddisfazione,<br />

e non meramente virtuale, dei creditori.<br />

(12) Trib. Roma 11 gennaio 2013, n. 83.<br />

(13) Fabiani, op. loc. cit., 3.<br />

Il Fallimento 3/2013 293


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Effetti per il debitore<br />

Sulla revocabilita<br />

delle retribuzioni corrisposte<br />

al fallito in assenza di decreto<br />

del giudice delegato<br />

Cassazione Civile, Sez. I, 31 ottobre 2012, n. 18843 - Pres. Plenteda - Est . Rordorf - P.M. Fimiani -<br />

Alvi S.p.a. c. Fallimento B.M.<br />

Fallimento - Effetti per il debitore - Beni non compresi nel fallimento - Retribuzione - Decreto del giudice delegato -<br />

Mancanza - Pagamento al fallito - Efficacia<br />

(legge fallimentare artt. 44, 46)<br />

Il fallito ha diritto di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia,<br />

prima ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi la misura; la natura dichiarativa di detto provvedimento<br />

esclude che possano essere dichiarati inefficaci, nei confronti della curatela, i pagamenti compiuti<br />

dal debitore direttamente al fallito in assenza del decreto, avente efficacia retroattiva. Per far accertare la parziale<br />

o totale inopponibilità dei pagamenti, il curatore ha d<strong>un</strong>que l’onere di richiedere al giudice delegato la<br />

pron<strong>un</strong>cia del decreto di cui all’art. 46, comma 2, l.fall.<br />

La Corte (omissis).<br />

1. Il ricorrente, col primo motivo, lamenta la violazione<br />

della l.fall., art. 46, comma 1, n. 2, poiché sostiene che -<br />

contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello<br />

- il diritto del fallito di conservare per sé i proventi della<br />

propria attività lavorativa, entro i limiti necessari al<br />

mantenimento suo e della sua famiglia, sussiste prima ed<br />

indipendentemente dal decreto col quale il giudice delegato<br />

provveda a determinarne la misura. La circostanza<br />

che tale decreto non sia stato emesso, nel caso in esame,<br />

non implicherebbe perciò che le retribuzioni corrisposte<br />

alla fallita sig.ra B. potessero essere considerate senz’altro<br />

di pertinenza del fallimento, e che pertanto il relativo<br />

pagamento operato dalla società datrice di lavoro fosse<br />

inefficace, ma avrebbe semmai comportato il dovere per<br />

il trib<strong>un</strong>ale d’individuare se, ed eventualmente entro<br />

quali limiti, quei pagamenti avevano in concreto ecceduto<br />

le necessità alimentari della fallita.<br />

2. Col secondo motivo, riferito ad <strong>un</strong> preteso vizio d’integrità<br />

del contraddittorio ed all’assenza di motivazione<br />

dell’impugnata sentenza sul p<strong>un</strong>to, la ricorrente si duole<br />

del mancato accoglimento della sua richiesta di chiamare<br />

in giudizio la fallita sig.ra B. personalmente, assumendo<br />

che la partecipazione di costei alla causa sarebbe stata<br />

indispensabile.<br />

3. L’esame del secondo motivo di ricorso è logicamente<br />

preliminare.<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

La censura è, tuttavia, infondata. Contrariamente a<br />

quanto sostiene la società ricorrente, la corte d’appello,<br />

sia pure in termini che avrebbero potuto essere più chiari,<br />

non ha ignorato l’eccezione concernente la mancata<br />

partecipazione personale della fallita al giudizio vertente<br />

sulla sottrazione al fallimento dei proventi dell’attività<br />

lavorativa destinati al mantenimento della stessa fallita e<br />

della sua famiglia. In tal senso va letto il passaggio motivazionale<br />

dell’impugnata sentenza in cui si fa cenno al<br />

fatto che il suindicato giudizio è stato instaurato (si sottintende:<br />

correttamente e senza necessità di altri contraddittori)<br />

nei confronti del soggetto che, avendo effettuato<br />

il pagamento della cui opponibilità alla curatela si<br />

discute, è passivamente legittimato a subire gli effetti di<br />

tale inopponibilità e quindi ad esser condannato a reiterare<br />

il pagamento in favore della stessa curatela del fallimento.<br />

Affermazione, questa, che appare del tutto condivisibile:<br />

posto che tanto il petitum quanto la causa petendi dell’azione<br />

proposta dal curatore riguardano esclusivamente<br />

l’inefficacia del summenzionato pagamento e la conseguente<br />

pretesa di condanna dell’odierna ricorrente a versare<br />

di nuovo la medesima somma a mani del curatore<br />

del fallimento. Sia quanto all’accertamento dell’inefficacia<br />

relativa del pagamento, sia quanto alla domanda di<br />

condanna, il rapporto processuale fa capo <strong>un</strong>icamente al<br />

fallimento, dal lato attivo, e, dal lato passivo, alla società<br />

Il Fallimento 3/2013 295


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Alvi, che quel pagamento effettuò e nei cui confronti<br />

quella condanna è stata richiesta. La circostanza che la<br />

fondatezza delle proposte domande possa, in tutto o in<br />

parte, dipendere dall’accertamento incidentale del diritto<br />

della fallita a beneficiare personalmente della totalità<br />

o di <strong>un</strong>a frazione degli emolumenti dovuti per le sue prestazioni<br />

lavorative non fa di lei <strong>un</strong> contraddittore necessario<br />

in questa causa.<br />

4. È invece fondato il primo motivo di ricorso.<br />

Il collegio non ignora il risalente orientamento giurisprudenziale<br />

secondo cui, avendo il fallimento diritto di far<br />

propri i crediti del fallito per stipendi arretrati oltre il limite<br />

di quantità determinato dai bisogni del fallito e della<br />

sua famiglia, l’acquisizione potrebbe essere totale se il<br />

fallito non abbia chiesto ed ottenuto dal giudice delegato<br />

<strong>un</strong> provvedimento che determini la misura degli alimenti<br />

spettantigli (Cass. 1 novembre 1964, n. 2738),<br />

sicché detti emolumenti rientrerebbero nell’attivo fallimentare<br />

a meno che il giudice delegato non ne abbia accertato<br />

l’occorrenza al mantenimento del fallito o della<br />

famiglia, fissando i relativi limiti (Cass. 25 luglio 1986,<br />

n. 4758).<br />

La più recente giurisprudenza di questa corte ha però<br />

avuto modo di chiarire la natura soltanto dichiarativa<br />

del decreto col quale il giudice delegato, a norma della<br />

l.fall., art. 46, comma 2, fissa i limiti entro cui i proventi<br />

dell’attività lavorativa del fallito, in quanto necessari al<br />

mantenimento suo e della sua famiglia, non sono compresi<br />

nel fallimento; con la conseguenza che non può esser<br />

dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal<br />

debitore direttamente al fallito prima dell’emanazione<br />

del decreto (Cass. 27 settembre 2007, n. 20325). Rafforza<br />

il riconoscimento della natura meramente dichiarativa<br />

del suddetto decreto - destinato ad individuare i limiti<br />

quantitativi di <strong>un</strong> diritto che ad esso preesiste - la ripetuta<br />

attribuzione al decreto medesimo di <strong>un</strong>’efficacia retroattiva<br />

(si vedano Cass. 2 settembre 1995, n. 9268, e<br />

Cass. 30 luglio 2009, n. 17751).<br />

È al ben motivato orientamento espresso dalla citata<br />

sentenza n. 20325/07 che il collegio ritiene di dover dare<br />

qui continuità, con la sola precisazione che, a differenza<br />

di quanto era accaduto nel caso esaminato da detta precedente<br />

sentenza, in cui il decreto del giudice delegato<br />

era intervenuto in <strong>un</strong> momento successivo a quello del<br />

pagamento effettuato dal terzo a mani del fallito, qui<br />

dall’impugnata sentenza sembra doversi desumere che <strong>un</strong><br />

analogo decreto non sia mai stato pron<strong>un</strong>ciato. Ciò non<br />

può giustificare, tuttavia, <strong>un</strong>a conclusione diversa. Volta<br />

che, infatti, si muova dal presupposto che il diritto del<br />

fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari<br />

al mantenimento suo e della sua famiglia sussiste prima<br />

ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi<br />

la misura, non si può affermare l’inefficacia nei confronti<br />

del fallimento del pagamento eseguito a mani del<br />

fallito da colui che quegli emolumenti è tenuto a corrispondere,<br />

sol perché è mancata l’emanazione del summenzionato<br />

decreto. Quel pagamento può essere considerato<br />

inopponibile al fallimento solamente se, e nella<br />

misura in cui, risulti eccedente rispetto al limite fissato<br />

dal decreto del giudice delegato. Ma ciò implica che, in<br />

simili casi, per poter fondatamente agire al fine di far accertare<br />

la parziale o totale inopponibilità e per conseguire<br />

la condanna del solvens in favore del fallimento, il curatore<br />

ha l’onere di richiedere preventivamente al giudice<br />

delegato la pron<strong>un</strong>cia del decreto previsto dal citato<br />

art. 46, comma 2, così da poter poi documentare in causa<br />

l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore<br />

direttamente al fallito rispetto ai limiti fissati in detto<br />

decreto. Onere che, nel caso di cui qui si discute, non risulta<br />

sia stato adempiuto.<br />

5. L’impugnata sentenza, alla luce del principio di diritto<br />

ora en<strong>un</strong>ciato, va quindi cassata e, non occorrendo ulteriori<br />

accertamenti, è possibile decidere senz’altro la causa<br />

nel merito rigettando la domanda proposta dal curatore<br />

del fallimento nei confronti della società Alvi.<br />

6. La circostanza che l’orientamento giurisprudenziale<br />

cui ci si è attenuti nel decidere sul ricorso si sia sviluppato<br />

in epoca successiva alla proposizione dell’azione, induce<br />

a compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.<br />

(omissis).<br />

Osservazioni<br />

L’art. 46 l.fall. al primo comma esclude che siano comprese<br />

nel fallimento <strong>un</strong>a serie dettagliata di entrate del fallito; tra di<br />

esse il n. 2 elenca, tra l’altro, stipendi, pensioni e salari e ciò<br />

che il fallito guadagna con la sua attività «entro i limiti di<br />

quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia»; il<br />

legislatore ha inteso così incentivare e premiare il fallito per<br />

l’attività produttiva svolta, che tra l’altro consente di evitare il<br />

sussidio alimentare ex art. 47 l.fall., a carico della massa. Il secondo<br />

comma della norma, nella versione originaria, disponeva<br />

soltanto che i limiti suddetti fossero fissati con decreto del<br />

giudice delegato; l’attuale formulazione, introdotta con il<br />

d.lgs., 5/2006, è invece più dettagliata: si fa infatti riferimento<br />

ad <strong>un</strong> «decreto motivato del giudice delegato», «che deve tener<br />

conto della condizione personale del fallito e della sua famiglia»<br />

(Per <strong>un</strong> primo riscontro cfr. Pajardi, Codice del fallimento,<br />

Milano 2009). La modifica di per sé non è peraltro particolarmente<br />

innovativa; già la giurisprudenza infatti aveva<br />

precisato come il giudice delegato non esercitasse <strong>un</strong> potere<br />

pienamente discrezionale (con conseguente necessità di <strong>un</strong>a,<br />

se pur concisa, motivazione), incidendo su materia di diritti<br />

soggettivi, con il corollario che il provvedimento risulta soggetto<br />

a reclamo ex art. 26 l.fall. e su di esso è ammissibile il ricorso<br />

straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. (Cfr. Cass.<br />

7 febbraio 2008, n. 2939, in questa Rivista, 2008, 4, 409, con<br />

nota di Bruschetta; Cass. 8 febbraio 2007, n. 2765; Cass. 11<br />

novembre 2003, n. 16916; Cass. 27 giugno 2002, n, 9391, in<br />

questa Rivista, 2003, 2, 174, con nota di Marelli; Cass. 15 dicembre<br />

1994, n. 10736, ivi, 1995, 645; su questioni particolari,<br />

Cass. 13 dicembre 2002, n. 17839, ivi, 2003, 8, 851, con nota<br />

di Figone, con riferimento alla pensione di invalidità erogata<br />

al fallito). Da tempo dottrina e giurisprudenza hanno rilevato<br />

come il giudice debba procedere ad <strong>un</strong> bilanciamento di interessi,<br />

e così da <strong>un</strong> lato evitare di ridurre quanto destinato al<br />

fallito al mero soddisfacimento di esigenze alimentari, come tali<br />

idonee a far fronte ad <strong>un</strong>o stato di bisogno (in ordine al quale,<br />

come si è visto, già dispone l’art. 47 l. fall.), senza spingersi,<br />

dall’altro, a garantire al fallito <strong>un</strong> tenore di vita socialmente<br />

adeguato o corrispondente a quello beneficiato in precedenza,<br />

stante la necessità di tutela del ceto creditorio; si tratta d<strong>un</strong>que<br />

di individuare <strong>un</strong>a misura intermedia fra questi due estremi<br />

(Cfr. al riguardo Cass. 7 febbraio 2008, n. 2939, cit.; Cass. 8<br />

296 Il Fallimento 3/2013


febbraio 2007, n. 2765; Cass. 4 dicembre 2002, n. 17235, in<br />

questa Rivista, 2003, 8, 852, con nota di Figone; Trib. Udine,<br />

21 maggio 2010, in www.ilcaso.it, 2010; Trib. Trapani, 7 febbraio<br />

2003, ined. In dottrina V. ad es. Colussi, Redditi di lavoro,<br />

fallimento e limiti di acquisizione alla massa, inNuova giur.<br />

civ., 1995, I, 924).<br />

Il problema interpretativo riguarda la natura del provvedimento<br />

del giudice delegato. Si contrappongono al proposito due<br />

diverse posizioni. Un primo orientamento, più risalente nel<br />

tempo, gli attribuisce natura costitutiva: il fallito, come tale,<br />

verrebbe ad essere privato di ogni diritto su quanto a lui spettante<br />

in forza di rapporto di lavoro, da erogarsi direttamente<br />

alla curatela; il diritto ad <strong>un</strong>a parte di tali somme, nei limiti<br />

del mantenimento proprio del fallito e della famiglia, deriverebbe<br />

così dalla decisione del giudice delegato (Cass. 25 luglio<br />

1986, n. 4758, in questa Rivista, 1987, 153), da adottarsi su richiesta<br />

del fallito stesso (Cass. 13 dicembre 1964, n. 2378, in<br />

Dir. Fall., 1965, II, 219). In diversa prospettiva si ritiene che il<br />

fallito manterrebbe la sua posizione di creditore e che il decreto<br />

del giudice delegato avrebbe solo natura dichiarativa, specificando<br />

quale parte dello stipendio (o emolumenti ad esso<br />

equiparati) possa essere erogato al fallito e quale parte invece<br />

sia di spettanza della curatela (cfr. Cass. 30 luglio 2009, n.<br />

17751, in questa Rivista, 2010, 4, 494; Cass. 2 settembre 1995,<br />

n. 9268, ivi, 1996, 4, 3443, con nota di Patti, ove si precisa<br />

che la legittima acquisizione da parte della curatela delle somme<br />

destinate al fallito non ne preclude la restituzione nella<br />

parte poi individuata dal giudice delegato). La differenza non<br />

rimane solo a livello teorico, ma è foriera di conseguenze pratiche<br />

assai rilevanti. Nel primo caso infatti il debitore (datore di<br />

lavoro o ente pensionistico) che, in difetto di <strong>un</strong> provvedimento<br />

del giudice, dovesse pagare al fallito non si sottrarrebbe<br />

alla declaratoria di inefficacia dei pagamenti nei confronti della<br />

curatela ex art. 44 l.fall., con la necessità di doverli reiterare;<br />

nel secondo caso invece, l’inefficacia riguarderebbe esclusivamente<br />

i pagamenti effettuati in favore del fallito in maggiorazione<br />

rispetto a quanto stabilito, ancorché successivamente,<br />

dal giudice delegato.<br />

La sentenza in esame aderisce alla seconda tesi esposta ed affronta<br />

la specifica questione dedotta in giudizio. Ci si domanda<br />

infatti quale sia la sorte delle somme contemplate nell’art. 46<br />

comma 2 l.fall., ove il decreto del giudice delegato non sia stato<br />

emesso: nella specie, i giudici di merito avevano dichiarato<br />

inefficace, nei confronti della curatela, il pagamento di <strong>un</strong>’ingente<br />

somma, che il datore di lavoro aveva corrisposto ad <strong>un</strong>a<br />

dipendente dichiarata fallita. La Cassazione riforma la sentenza<br />

impugnata, rigettando la domanda della curatela, con ampia<br />

motivazione che recupera e sviluppa quella di altra precedente<br />

decisione, emessa con riferimento alla previgente formulazione<br />

della norma suddetta (Cfr. Cass. 27 settembre 2007, n. 20325,<br />

in questa Rivista, 2008, 4, 412, con nota di Bruschetta). In<br />

quell’occasione, la Suprema Corte era peraltro chiamata a giudicare<br />

in ordine all’inefficacia dei pagamenti effettuati dal datore<br />

di lavoro al fallito, in <strong>un</strong> momento precedente l’emissione<br />

del decreto del giudice delegato, di poi intervenuto (mentre,<br />

nella fattispecie oggetto della sentenza qui annotata, come si<br />

diceva, non risulta essere mai stato pron<strong>un</strong>ciato alc<strong>un</strong> decreto).<br />

Osservava in allora la Cassazione che il decreto del giudice<br />

delegato, proprio in quanto meramente dichiarativo, ben<br />

potrebbe disporre per il passato (tutte le volte che ciò si dovesse<br />

rendere necessario, a causa del ritardo con cui si provvede)<br />

e che il debitore sarebbe legittimato a rifiutare il pagamento a<br />

mani del fallito, sino al decreto stesso, per non rischiare di dover<br />

ripetere il pagamento a mani della curatela. A fronte della<br />

possibile efficacia retroattiva del provvedimento del giudice<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

delegato, l’inefficacia del pagamento ex art. 44, comma, 2<br />

l.fall., non potrebbe che riguardare l’eventuale differenza fra<br />

l’intero importo degli emolumenti maturati e quello destinato<br />

al mantenimento del fallito e della sua famiglia, secondo quanto<br />

disposto per il passato dal giudice delegato medesimo.<br />

A tali conclusioni è pervenuta <strong>un</strong>a successiva pron<strong>un</strong>cia del<br />

Supremo Collegio (Cass. 30 luglio 2009, n. 17751, cit.), in<br />

<strong>un</strong>a fattispecie nella quale il datore di lavoro dell’ex dipendente<br />

poi fallito gli aveva erogato l’indennità di fine rapporto, che<br />

<strong>un</strong> successivo provvedimento del giudice delegato aveva invece<br />

disposto acquisirsi all’attivo fallimentare per intero. Afferma<br />

la pron<strong>un</strong>cia che il decreto del giudice delegato ha efficacia retroattiva<br />

anche rispetto ai pagamenti già eseguiti, precisando<br />

che l’art. 1189 c.c. (relativo ai pagamenti effettuati al creditore<br />

apparente) non trova applicazione ai pagamenti effettuati<br />

in favore del creditore dopo la sua dichiarazione di fallimento,<br />

come tali inefficaci nei confronti della curatela; ricorda nel<br />

contempo la Suprema Corte che l’art. 545 c.p.c., in ordine ai<br />

limiti di impignorabilità non è estensibile alla materia fallimentare.<br />

Sussiste allora <strong>un</strong> preciso interesse a chiedere al giudice delegato<br />

la quantificazione della parte di stipendio di cui il fallito<br />

ha diritto a beneficare per sé e la sua famiglia; tale interesse fa<br />

capo tanto al fallito (che non voglia rischiare il mancato o ritardato<br />

pagamento da parte del datore di lavoro, timoroso di<br />

<strong>un</strong>a possibile declaratoria di inefficacia nei confronti della curatela)<br />

quanto al curatore. Questi, come osserva la sentenza<br />

annotata, ha anzi <strong>un</strong>o specifico onere di adire il giudice delegato,<br />

sì da poter documentare in <strong>un</strong> eventuale procedimento<br />

di revocatoria l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore<br />

direttamente al fallito, rispetto ai limiti fissati dal decreto.<br />

In altri termini, l’emanazione del decreto del giudice delegato,<br />

ai sensi dell’art. 46, secondo comma, l.fall. deve precedere<br />

l’azione revocatoria della curatela, pena, in difetto, il rigetto<br />

della domanda.<br />

Alberto Figone<br />

Il Fallimento 3/2013 297


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

Proposta<br />

Interpretazione della proposta<br />

di concordato e rapporto<br />

con l’attestazione<br />

Cassazione Civile, Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565 - Pres. Vitrone - Est. Bernabai - P.M. Destro<br />

(conf.) - Bingo International Service S.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo c. D.A.<br />

Concordato preventivo - Ammissione - Proposta - Relazione del professionista - Allegato - Esclusione - Contenuto integrante<br />

- Effetti<br />

(legge fallimentare artt. 26 e 161; cod. civ. artt. 1349, 1372).<br />

La relazione giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori contabili non può essere ridotta a mero<br />

rango di allegato, accessorio ed estrinseco alla proposta di cui forma invece parte integrante, dotata com’è di<br />

naturale vis persuasiva, suscettibile, se non rispondente al reale contenuto della proposta, di ingenerare errore<br />

vizio nel consenso dei creditori.<br />

La Corte (omissis).<br />

Nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata rilevata l’inammissibilità,<br />

per tardività, del ricorso per cassazione<br />

del liquidatore giudiziale, notificato il 22 dicembre 2010:<br />

e cioè, oltre il termine breve di 60 giorni dalla com<strong>un</strong>icazione<br />

del decreto del Trib<strong>un</strong>ale di Roma in sede di reclamo,<br />

curata dalla Cancelleria in data 21 ottobre 2010<br />

(art. 325 c.p.c., comma 2). Nella memoria di replica il<br />

liquidatore giudiziale assume che la l.fall., art. 26, nella<br />

sua formulazione novellata, con espressa previsione della<br />

decorrenza del termine perentorio per impugnare dalla<br />

com<strong>un</strong>icazione o dalla notificazione del provvedimento<br />

(d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, emendato, in parte qua, dal<br />

D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169), sarebbe riferibile al<br />

solo reclamo al trib<strong>un</strong>ale o alla corte d’appello; ma non<br />

pure al ricorso per cassazione, tuttora soggetto, senza deroghe,<br />

al criterio generale di cui all’art. 326 c.p.c., che<br />

prefigura come dies a quo la notificazione del provvedimento<br />

(avvenuta, di fatto, il 28 ottobre 2010): con la<br />

conseguente tempestività della presente impugnazione,<br />

notificata in data 23 Dicembre 2010.<br />

La tesi non ha pregio.<br />

L’espressa previsione della decorrenza del termine per<br />

impugnare dalla com<strong>un</strong>icazione o dalla notificazione del<br />

provvedimento contenuta nella l.fall., art. 26, in linea<br />

con l’analoga disciplina delle impugnazioni allo stato<br />

passivo (l.fall., art. 99), non costituisce deroga ad <strong>un</strong>a regola<br />

generale (come tale, soggetta al canone di stretta<br />

interpretazione); bensì, espressione di <strong>un</strong> principio informatore<br />

della lex specialis, consentaneo con la natura concorsuale<br />

dei diritti fatti valere.<br />

In tesi generale, la notificazione del provvedimento è,<br />

infatti, atto di impulso volitivo e discrezionale della parte<br />

vittoriosa che si attaglia ad <strong>un</strong> rapporto processuale<br />

tra parti definite, destinatane esclusive della pron<strong>un</strong>cia<br />

ed arbitre insindacabili della scelta di accelerare la definizione<br />

del processo, mettendo in moto il termine breve<br />

per l’impugnazione (art. 326 c.p.c.). Laddove, la potenziale<br />

efficacia riflessa di <strong>un</strong> provvedimento l.fall., ex art.<br />

26, sull’intero ceto creditorio, nell’ambito di <strong>un</strong>a procedura<br />

concorsuale caratterizzata da esigenze di speditezza,<br />

appare incompatibile con i tempi legati all’ordinaria iniziativa<br />

di parte e giustifica, quindi, la decorrenza del termine<br />

per impugnare già a partire dalla conoscenza legale<br />

acquisita con la com<strong>un</strong>icazione di cancelleria (art. 136<br />

c.p.c.: Cass., sez. 1, 10 giugno 2011, n. 12732). Senza<br />

spazio alc<strong>un</strong>o per distinzioni tra i vari mezzi ordinari di<br />

impugnazione, all’insegna di <strong>un</strong> eclettismo disarmonico<br />

con la ratio sottesa alla disciplina speciale.<br />

Alla luce di tali principi, appare d<strong>un</strong>que precluso da tardività<br />

il ricorso per cassazione del liquidatore giudiziale,<br />

notificato il 62 giorno dalla com<strong>un</strong>icazione del decreto<br />

del trib<strong>un</strong>ale, senza ricorrenza di proroghe di diritto (art.<br />

155 c.p.c.).<br />

La relazione ex art. 380 bis c.p.c., ha contestualmente<br />

negato la legittimazione attiva del commissario giudiziale:<br />

nei cui confronti non opera, invece, la medesima decadenza<br />

dall’impugnazione, in difetto di com<strong>un</strong>icazione<br />

della cancelleria.<br />

Sul p<strong>un</strong>to, il ricorrente replica che la sua legittimazione<br />

deriva dalla qualità di parte rivestita in sede di reclamo; e<br />

com<strong>un</strong>que assume di godere di legittimazione autonoma,<br />

attiva e passiva, trattandosi di controversia concernente<br />

l’interpretazione della proposta concordataria omologata.<br />

298 Il Fallimento 3/2013


Sotto il primo profilo, l’obiezione non coglie nel segno.<br />

Non vi è corrispondenza bi<strong>un</strong>ivoca tra qualità di parte<br />

formale, per effetto di <strong>un</strong>’iniziativa processuale propria o<br />

altrui, e legittimazione ad impugnare: come reso palese,<br />

del resto, dalla costante giurisprudenza di legittimità che<br />

riconosce l’officiosità della verifica, in ogni stato e grado,<br />

della legittimazione in senso tecnico: rigorosamente distinta<br />

dalla titolarità della situazione soggettiva sostanziale<br />

- che è questione di merito - che le è spesso impropriamente<br />

assimilata nel linguaggio empirico della prassi<br />

(Cass., sez. 2, 23 maggio 2012, n. 8175; Cass., sez. 2, 27<br />

giugno 2011, n. 14177; Cass., sez. 3, 30 maggio 2008, n.<br />

14468).<br />

Non è quindi risolutiva l’effettiva partecipazione, per effetto<br />

di vocatio, al reclamo ex artt. 164-26 l.fall. promosso<br />

dai soci della Bingo International Service S.r.l.: che<br />

lascia, di per sé, impregiudicata la questione dell’effettiva<br />

legittimazione attiva del commissario giudiziale, quale<br />

portatore degli interessi della società debitrice e della<br />

massa dei creditori nella controversia in esame.<br />

Neppure dirimente, in questo senso, appare l’ulteriore<br />

qualificazione di parte formale necessaria del procedimento<br />

di omologazione, tenuta alla costituzione in giudizio<br />

(l.fall., art. 180, comma 2), che rende il commissario<br />

giudiziale litisconsorte necessario anche nei gradi di<br />

impugnazione (Cass., sez. 1, 18 novembre 1998, n.<br />

11.604); dal momento che ad essa corrisponde <strong>un</strong>’eterogenea<br />

posizione giuridica di ausiliario del giudice: e non<br />

di parte in senso sostanziale, nemmeno nella veste di sostituto<br />

processuale (Cass., sez. 1, 9 maggio 2007 n.<br />

10.632).<br />

E tuttavia, i predetti rilievi non chiudono la problematica,<br />

come assumono le parti resistenti.<br />

Al riguardo, si osserva infatti come le f<strong>un</strong>zioni di vigilanza<br />

e controllo assegnate al commissario giudiziale nel<br />

corso della procedura, prima e dopo l’omologazione<br />

(l.fall., artt. 172, 173 e 185), non ne esauriscano il potere<br />

di iniziativa processuale. In almeno <strong>un</strong> caso la sua legittimazione<br />

attiva è espressamente prevista: e cioè, ai fini<br />

dell’annullamento del concordato preventivo omologato<br />

in caso di scoperta postuma dell’esagerazione dolosa<br />

del passivo o di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante<br />

dell’attivo, ai sensi del combinato disposto della<br />

l.fall., art. 186, u.c., e art. 138. La prima norma sostituisce<br />

espressamente al curatore il commissario giudiziale,<br />

quale (<strong>un</strong>ico) organo della procedura abilitato ad agire<br />

in giudizio, in concorso con i creditori: a differenza che<br />

nell’ipotesi, contestualmente prevista, della risoluzione<br />

del concordato preventivo, in cui la legittimazione attiva<br />

compete solo a questi ultimi.<br />

In entrambi i casi, senza menzione del liquidatore giudiziale.<br />

Quest’ultima notazione è di particolare interesse ai fini<br />

in esame, perché pone in risalto speculare il ruolo preminente,<br />

se non esclusivo, del commissario giudiziale in<br />

<strong>un</strong>a fattispecie che, seppur venuta alla luce nella fase<br />

esecutiva, a seguito della scoperta del dolo del debitore,<br />

riguarda retrospettivamente l’originaria proposta concordataria,<br />

con l’allegato piano: già oggetto del suo vaglio<br />

critico nella relazione, (l.fall., art. 172, comma 1), e nel<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

parere (l.fall., art. 189, comma 2). Ne discende che la<br />

l.fall., art. 186, u.c., appare, quindi, idoneo riferimento<br />

normativo di <strong>un</strong>’opzione ermeneutica rispondente all’esigenza<br />

di assicurare l’effettivo contraddittorio anche sulla<br />

domanda in esame, la cui causa petendi risiede nella stessa<br />

proposta di concordato, sulla quale il commissario giudiziale<br />

si è istituzionalmente espresso.<br />

Se d<strong>un</strong>que la corretta interpretazione di quest’ultima si<br />

pone come passaggio cognitivo essenziale di <strong>un</strong>’azione di<br />

annullamento, in ipotesi di comportamento decettivo<br />

del debitore, appare coerente confermare la legitimatio ad<br />

causam del commissario giudiziale su iniziative processuali<br />

com<strong>un</strong>que suscettibili di forzare o snaturare il contenuto<br />

della proposta e del piano così come interpretato<br />

in sede omologativa.<br />

Trattandosi di interpretazione negoziale ex t<strong>un</strong>c (a differenza<br />

dell’interpretatio ex n<strong>un</strong>c propria della legge), il<br />

commissario giudiziale - e non il liquidatore, intervenuto<br />

successivamente - si palesa come legittimo e necessario<br />

contraddittore, dotato di <strong>un</strong> bagaglio cognitivo che ne<br />

fa il rappresentante naturale degli interessi della procedura<br />

nel resistere ad <strong>un</strong>a domanda suscettibile di alterare<br />

le clausole dell’accordo omologato. Tanto più che il suo<br />

eventuale travisamento esegetico della proposta potrebbe<br />

perfino essere causa di responsabilità, se idoneo a<br />

fuorviare lo stesso voto dei creditori, in ragione dell’affidamento<br />

riposto.<br />

Ne consegue che la dr.ssa R.P., commissario giudiziale<br />

della Bingo International Service S.r.l. in concordato<br />

preventivo, è legittimata a ricorrere per cassazione nel<br />

caso in esame; in cui si tratta, app<strong>un</strong>to, di stabilire se la<br />

proposta concordataria prevedesse, o no, l’acquisizione<br />

definitiva all’attivo di versamenti promessi ‘‘a fondo perduto’’<br />

ed effettivamente eseguiti dai soci: questione, suscettibile,<br />

com’è ovvio, di interferenza negativa sulle posizioni<br />

dell’intero ceto creditorio, nonché sulle operazioni<br />

di liquidazione, con gli adempimenti connessi (Cass.,<br />

sez. 1, 29 settembre 1993, n. 9758).<br />

Ancora in via pregiudiziale di rito, si deve senz’altro riconoscere<br />

natura definitiva e decisoria - premessa per<br />

l’ammissibilità del presente ricorso straordinario per cassazione<br />

ex articolo 111 della Costituzione (del resto, da<br />

ness<strong>un</strong>a delle parti messa in discussione) - al decreto<br />

l.fall., ex art. 26, del Trib<strong>un</strong>ale di Roma, che ha accertato<br />

la spettanza della somma di Euro 380.000,00 ai soci e<br />

non alla procedura; in tal modo, sottraendola definitivamente<br />

al riparto ai creditori.<br />

Del tutto erronea, sotto diverso profilo, è poi l’eccezione<br />

di inammissibilità delle censure attinenti a vizi della motivazione,<br />

dopo l’estensione generalizzata del sindacato<br />

di legittimità ad opera della novella di cui al D.Lgs. 2<br />

febbraio 2006 n. 40 (art. 2).<br />

Ancora: il rilievo che si tratta di <strong>un</strong>a domanda di restituzione<br />

di somma versata alla procedura - e non, quindi,<br />

di <strong>un</strong> credito vantato verso la Bingo International Service<br />

S.r.l. in bonis - asseritamente a scopo di garanzia per il<br />

positivo perfezionamento del concordato in itinere porta<br />

ad escludere che i soci dovessero esperire <strong>un</strong>’azione ordinaria<br />

nei confronti della società (assente, invece, nel<br />

presente giudizio). Ed è appena il caso di aggi<strong>un</strong>gere che<br />

Il Fallimento 3/2013 299


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

è proprio in relazione a controversie riguardanti i crediti<br />

maturati prima e fuori del concorso, che si è formata la<br />

giurisprudenza negatrice della legittimazione attiva e passiva<br />

del commissario giudiziale: che pertanto non può essere<br />

addotta a sostegno dell’inammissibilità del ricorso in<br />

scrutinio.<br />

Scendendo ora alla disamina delle censure, si osserva come<br />

con il primo motivo si deduce la carenza di motivazione<br />

e la violazione della l.fall., artt. 160, 161 e 182, e<br />

artt. 1349 e 1372 c.c., nel ritenere che l’obbligazione di<br />

versamento dei soci fosse subordinata al mancato raggi<strong>un</strong>gimento<br />

della soglia del 5% di pagamento dei creditori<br />

chirografari.<br />

Il motivo è fondato.<br />

Nell’interpretare la promessa dei soci - che il giudice delegato<br />

aveva ritenuto, invece, condizionata alla sola approvazione<br />

ed omologazione del concordato preventivo<br />

proposto dalla società - il Trib<strong>un</strong>ale ha deliberatamente<br />

negletto la qualificazione ‘‘a fondo perduto’’ espressamente<br />

attribuitale dai soci.<br />

Non si tratta del risultato di <strong>un</strong>’ordinaria operazione ermeneutica,<br />

sulla base di <strong>un</strong>a ponderazione comparata degli<br />

elementi letterali e comportamentali acquisiti alla cognizione<br />

del giudice di merito, bensì dell’aprioristica ed<br />

apodittica esclusione di rilevanza di <strong>un</strong> sintagma che pure<br />

valeva a contraddistinguere l’impegno ass<strong>un</strong>to. In tal<br />

modo, la causa di garanzia dell’obbligazione - entro, e<br />

non oltre, il tetto prefissato - viene affermata, testualmente,<br />

«prescindendo dalla qualificazione a fondo perduto»:<br />

e cioè, con omissione della disamina di <strong>un</strong> dato<br />

letterale, prima facie rilevante ai fini della ricostruzione<br />

della volontà della parte promittente riscontrata dai creditori<br />

(art. 1362 c.c., comma 1).<br />

Oltre a ciò, il Trib<strong>un</strong>ale di Roma ha radicalmente svalu-<br />

tato la relazione dell’esperto, attestatrice della veridicità<br />

dei dati e della fattibilità del piano di ristrutturazione -<br />

nella parte in cui ventilava la possibilità di <strong>un</strong>a percentuale<br />

di soddisfazione dei crediti anche superiore al 5% -<br />

ritenendola inimputabile ai soggetti obbligati: senza<br />

quindi porsi il problema ermeneutico se il miglior risultato<br />

ivi prospettato presupponesse l’apporto definitivo ed<br />

irripetibile, fino ad Euro 380.000,00, da parte dei soci.<br />

L’impostazione non può essere condivisa, perché la relazione<br />

giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori<br />

contabili - la cui qualificazione è assicurata dal<br />

possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. D)<br />

- non può essere ridotta al rango di mero allegato, accessorio<br />

ed estrinseco alla proposta; di cui forma invece parte<br />

integrante, dotata com’è di naturale vis persuasiva, suscettibile,<br />

se non rispondente al reale contenuto della<br />

proposta, di ingenerare <strong>un</strong> errore-vizio nel consenso dei<br />

creditori.<br />

Resta assorbito il secondo motivo del ricorso, con cui si<br />

censura la violazione di legge e la carenza di motivazione<br />

nell’escludere, in via subordinata, l’autonoma obbligazione<br />

dei soci della Bingo International Service S.r.l. per<br />

effetto della dichiarazione da essi resa nel corso di <strong>un</strong>’assemblea<br />

e portata a conoscenza dei creditori della società.<br />

Il decreto deve essere quindi cassato, con rinvio al Trib<strong>un</strong>ale<br />

di Roma in diversa composizione, che alla luce<br />

della vantazione complessiva della proposta, della relazione<br />

e di ogni altro elemento emerso nel procedimento<br />

di omologazione giudichi se la somma versata dai soci<br />

fosse, o no, destinata ad essere acquisita all’attivo indipendentemente<br />

dalla percentuale di soddisfacimento<br />

realizzata, di fatto, con la liquidazione dei beni ceduti.<br />

(omissis).<br />

Interpretazione della proposta di concordato preventivo<br />

e f<strong>un</strong>zione della relazione di cui all’art. 161, comma 3, l.fall.<br />

di Dario Finardi *<br />

Con il commento si analizza le differenti ipotesi di versamenti effettuabili dai soci in <strong>un</strong>a S.r.l., avendo riguardo<br />

alla possibilità di <strong>un</strong>a loro ripartizione in favore del ceto creditorio in sede di concordato preventivo, alla<br />

luce del contenuto della relazione del professionista che accompagna la proposta.<br />

1. Premessa<br />

I soci di <strong>un</strong>a S.r.l., ammessa alla procedura di concordato<br />

preventivo, depositavano istanza al Giudice<br />

Delegato onde ottenere la restituzione della somma<br />

di E 380.000,00 da essi versata in esecuzione dell’impegno<br />

ass<strong>un</strong>to per consentire il soddisfacimento<br />

delle spese della procedura, dei creditori privilegiati<br />

e dei creditori chirografari nella misura del 5%; i<br />

soci deducevano infatti che tale somma fosse da<br />

considerarsi quale garanzia dell’esecuzione del con-<br />

cordato e che dovesse quindi essere restituita e non<br />

ripartita in favore del ceto creditorio, atteso che il<br />

concordato aveva avuto regolare esecuzione nei termini<br />

di cui alla proposta con <strong>un</strong> residuo attivo di E<br />

635.000,00. Il Giudice Delegato rigettava la richiesta<br />

ritenendo che la somma versata fosse stata qua-<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

300 Il Fallimento 3/2013


lificata quale conferimento ‘‘a fondo perduto’’. Il<br />

Trib<strong>un</strong>ale, adito con reclamo dai soci, riformava la<br />

decisione del Giudice Delegato e disponeva la restituzione<br />

ai soci del predetto importo, motivando<br />

che il medesimo doveva essere inteso quale garanzia<br />

dell’esecuzione della proposta nelle percentuali ivi<br />

previste, non rilevando né la sua qualificazione in<br />

termini di conferimento ‘‘a fondo perduto’’ né il<br />

contenuto della attestazione dell’esperto ex art. 161<br />

l.fall. che ipotizzava <strong>un</strong> soddisfacimento dei creditori<br />

in <strong>un</strong>a percentuale addirittura superiore a quanto<br />

indicato nella proposta per effetto del versamento<br />

in questione.<br />

Avverso il provvedimento del Trib<strong>un</strong>ale svolgevano<br />

ricorso in Cassazione congi<strong>un</strong>tamente il commissario<br />

giudiziale ed il liquidatore.<br />

Con la sentenza in commento la Cassazione ha affrontato<br />

innanzitutto le eccezioni processuali mosse<br />

dai soci resistenti in ordine all’inammissibilità del<br />

ricorso del liquidatore giudiziale per tardività della<br />

proposizione nonché il difetto di legittimazione attiva<br />

in capo al commissario giudiziale, dichiarando<br />

fondata la prima ed infondata la seconda; nel merito<br />

la Corte ha cassato con rinvio il provvedimento<br />

impugnato nella parte in cui ha omesso di valutare<br />

la natura dell’obbligazione ass<strong>un</strong>ta dai soci con il<br />

versamento oggetto della contestazione, alla luce<br />

della complessiva proposta di concordato, della relazione<br />

dell’esperto e di ogni altro elemento emerso<br />

in sede di omologa, dovendo quindi giudicare il<br />

Trib<strong>un</strong>ale del rinvio se tale somma dovesse essere<br />

destinata o meno all’attivo della procedura indipendentemente<br />

dalla % di soddisfacimento del ceto<br />

creditorio.<br />

2. Aspetti processuali<br />

Come detto la Corte si sofferma innanzitutto su<br />

due aspetti di carattere processuale: l’inammissibilità<br />

del ricorso proposto dal liquidatore giudiziale in<br />

quanto notificato oltre il termine di giorni 60 dalla<br />

com<strong>un</strong>icazione da parte della cancelleria del decreto<br />

del Trib<strong>un</strong>ale di Roma impugnato con il ricorso<br />

medesimo; la carenza di legittimazione attiva in capo<br />

al commissario giudiziale rispetto al ricorso promosso.<br />

Sul primo p<strong>un</strong>to la Cassazione accoglie l’eccezione<br />

sollevata dai soci resistenti e ritiene che il ricorso<br />

promosso dal liquidatore giudiziale sia inammissibile<br />

in quanto non rispettoso del termine di cui all’art.<br />

325 c.p.c. decorrente, secondo la Corte, dalla<br />

com<strong>un</strong>icazione di cancelleria del provvedimento da<br />

impugnarsi e non dalla sua successiva notificazione,<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

conformandosi al dettato della giurisprudenza precedente<br />

la quale ha affermato che «detto termine<br />

inizia a decorrere dalla com<strong>un</strong>icazione del provvedimento<br />

alla parte, come eseguita dalla cancelleria<br />

- di regola - ai sensi degli art. 136 c.p.c. e 45 disp.<br />

att. c.p.c., o anche in forme equipollenti, purché risulti<br />

certa la presa di conoscenza dell’atto da parte<br />

del destinatario e la relativa data» (1).<br />

Sull’eccezione di carenza di legittimazione attiva in<br />

capo al commissario giudiziale, viceversa, la Cassazione<br />

respinge la tesi dei resistenti affermando che<br />

«appare coerente confermare la legitimatio ad causam<br />

del commissario giudiziale su iniziative processuali<br />

com<strong>un</strong>que suscettibili di forzare o snaturare il<br />

contenuto della proposta e del piano come interpretato<br />

in sede omologativa», richiamando quindi<br />

come idoneo riferimento normativo l’art. 186 ult.<br />

comma l.fall. e l’art. 138 l.fall., i quali prevedono<br />

espressa legittimazione attiva del commissario giudiziale<br />

(e non del liquidatore giudiziale) ai fini dell’annullamento<br />

del concordato preventivo omologato<br />

in caso di scoperta postuma dell’esagerazione<br />

dolosa del passivo o di sottrazione o dissimulazione<br />

di parte rilevante dell’attivo.<br />

3. Acquisibilità all’attivo della proposta<br />

concordataria dei versamenti soci ‘‘a fondo<br />

perduto’’<br />

L’aspetto di merito sul quale la sentenza necessita<br />

di <strong>un</strong> approfondimento riguarda la questione dell’acquisibilità<br />

o meno all’attivo del concordato dei<br />

versamenti soci eseguiti con la dicitura ‘‘a fondo<br />

perduto’’ e rispetto ai quali i soci stessi avevano adito<br />

il Trib<strong>un</strong>ale per ottenerne la restituzione.<br />

Come detto, sul p<strong>un</strong>to, le decisioni del G.D. e del<br />

Trib<strong>un</strong>ale del reclamo sono state tra loro in contrasto<br />

visto che il primo, qualificando la promessa dei<br />

soci condizionata alla sola approvazione ed omologazione<br />

del concordato, ne ha ritenuto l’acquisibilità<br />

all’attivo e conseguentemente ne ha disposto la<br />

ripartizione in favore dei creditori, mentre il secondo<br />

ne ha sancito la qualificazione a titolo di garanzia<br />

dell’esecuzione della proposta fino alla percentuale<br />

ivi prevista con conseguente obbligo di restituzione<br />

visto l’adempimento del piano concordatario<br />

e il venir meno delle garanzie per l’adempimento.<br />

La sentenza in commento disattende in parte le<br />

Nota:<br />

(1) Cass. 10 giugno 2011, n. 12732, in Giust. civ. Mass., 2011,<br />

7-8, 992; nello stesso senso si era già pron<strong>un</strong>ciata Cass. 20 ottobre<br />

2005, n. 20279, ivi, 2005, 7/8.<br />

Il Fallimento 3/2013 301


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

conclusioni cui è pervenuto il Trib<strong>un</strong>ale e rimette<br />

la causa avanti al medesimo in diversa composizione<br />

affinché giudichi se la somma versata dai soci<br />

fosse o meno destinata ad essere acquisita all’attivo<br />

indipendentemente dalla percentuale di soddisfacimento<br />

del ceto creditorio e alla luce della valutazione<br />

complessiva della proposta, della relazione<br />

dell’esperto e di ogni altro elemento emerso in sede<br />

di omologa.<br />

L’analisi della natura dei versamenti effettuati dai<br />

soci, anche senza procedere a formali aumenti del<br />

capitale sociale, è stata condotta in linea generale<br />

nell’ambito della problematica relativa alla separazione<br />

tra le passività ed il patrimonio netto di <strong>un</strong>a<br />

società.<br />

I versamenti in questione, a seconda dei casi, possono<br />

assumere la natura di veri e propri conferimenti<br />

a titolo di dotazioni patrimoniali, oppure di finanziamenti<br />

a titolo di capitale di credito. In via generale,<br />

si possono individuare alc<strong>un</strong>e tipologie di versamenti<br />

da parte dei soci:<br />

1. Versamenti a titolo di finanziamento;<br />

2. Versamenti a fondo perduto;<br />

3. Versamenti in conto futuro aumento di capitale;<br />

4. Versamenti in conto aumento di capitale.<br />

I versamenti a titolo di finanziamento sono quelli<br />

per i quali la società ha obbligo di restituzione e l’elemento<br />

discriminante va individuato esclusivamente<br />

nel diritto dei soci alla restituzione delle<br />

somme versate (2).<br />

Ne consegue che per questa tipologia di versamenti<br />

il loro eventuale passaggio a capitale necessita della<br />

preventiva rin<strong>un</strong>cia dei soci al diritto alla restituzione,<br />

trasformando così il finanziamento in apporto.<br />

I versamenti a fondo perduto, viceversa, si hanno<br />

quando i soci, pur non volendo procedere ad <strong>un</strong><br />

formale aumento di capitale, decidono di sopperire<br />

al fabbisogno di capitale di rischio con nuovi conferimenti.<br />

In tali casi, manca <strong>un</strong>a specifica ed esplicita<br />

pattuizione da cui scaturisca <strong>un</strong> obbligo di restituzione<br />

ai soci dei versamenti effettuati. Questi si<br />

configurano, pertanto, come vere e proprie riserve<br />

di capitale (3).<br />

I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono<br />

quelli effettuati in via anticipata in previsione di<br />

<strong>un</strong> futuro aumento di capitale. Si tratta, pertanto,<br />

di riserve di capitale aventi <strong>un</strong>o specifico vincolo di<br />

destinazione mentre i versamenti in conto aumento<br />

di capitale si hanno in presenza di <strong>un</strong> aumento a pagamento<br />

del capitale sociale già deliberato, nelle<br />

more dell’iscrizione nel Registro delle imprese dell’attestazione<br />

degli amministratori dell’avvenuto aumento<br />

del capitale sociale (art. 2444 c.c.). Ovvia-<br />

mente, essendo tali versamenti destinati ad <strong>un</strong>o scopo<br />

ben preciso, se la procedura di aumento non<br />

gi<strong>un</strong>ge a perfezionamento secondo i dettami di legge,<br />

i soci hanno diritto alla loro restituzione (4).<br />

Anche la Cassazione, con <strong>un</strong>a recente pron<strong>un</strong>cia,<br />

si è soffermata sulla distinzione tra le diverse tipologie<br />

di versamenti eseguibili da parte dei soci, affermando<br />

che «l’erogazione di somme, che a vario titolo<br />

i soci effettuano alle società da loro partecipate,<br />

può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente<br />

obbligo per la società di restituire la somma<br />

ricevuta ad <strong>un</strong>a determinata scadenza, oppure di<br />

versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti,<br />

ma a confluire in apposita riserva ‘‘in conto capitale’’,<br />

o altre simili denominazioni, il quale d<strong>un</strong>que<br />

non dà luogo ad <strong>un</strong> credito esigibile, se non<br />

per effetto dello scioglimento della società e nei limiti<br />

dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione,<br />

ed è più simile al capitale di rischio che a quello<br />

di credito, connotandosi proprio per la postergazione<br />

della sua restituzione al soddisfacimento dei<br />

creditori sociali e per la posizione del socio quale<br />

residual claimant. La qualificazione, nell’<strong>un</strong>o o nel-<br />

Note:<br />

(2) Si tratta di capitali di credito che devono trovare collocazione<br />

in bilancio tra le passività, nella voce ‘‘Debiti verso altri finanziatori’’.<br />

Al riguardo, non è rilevante la natura fruttifera o meno di<br />

tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati<br />

da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione.<br />

(3) Tali finanziamenti sono da collocare in bilancio all’interno del<br />

Patrimonio netto, in voci denominate di solito ‘‘Versamenti in<br />

conto capitale’’, oppure ‘‘Versamenti a copertura perdite’’, se il<br />

conferimento è effettuato per coprire perdite di esercizio. «La<br />

qualificazione dei versamenti dei soci oltre il capitale come ‘‘finanziamenti’’<br />

o ‘‘versamenti a fondo perduto’’ o ‘‘versamenti in<br />

conto aumento capitale’’ è ‘‘quaestio vol<strong>un</strong>tatis’’ da risolversi<br />

secondo le regole interpretative di cui agli artt. 1362 ss. c.c.»,<br />

così Trib. Napoli 25 febbraio 1998, in Banca borsa tit. cred.,<br />

1998, II, 537, con nota F. Di Sabato.<br />

(4) «I versamenti effettuati dai soci della società in conto di futuro<br />

aumento di capitale, pur non determinando <strong>un</strong> incremento<br />

del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la<br />

condizione giuridica propria del capitale, hanno <strong>un</strong>a causa che,<br />

di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile invece<br />

a quella di capitale di rischio; ciò non esclude, tuttavia, che tra la<br />

società ed i soci possa essere convenuta l’erogazione di <strong>un</strong> capitale<br />

di credito e che, quindi, i soci possano effettuare versamenti<br />

in favore della società a titolo di mutuo. Lo stabilire poi, in<br />

concreto, la natura del versamento, è questione di interpretazione,<br />

che, in difetto di <strong>un</strong>a chiara manifestazione di volontà, ben<br />

può essere ricavata dalla terminologia adottata nel bilancio, poiché<br />

questo è soggetto all’approvazione dei soci e le qualificazioni<br />

che i versamenti hanno ricevuto diventano determinanti per<br />

stabilire se si controverta, app<strong>un</strong>to, di <strong>un</strong> finanziamento o di <strong>un</strong><br />

conferimento», così Cass. 13 agosto 2008, n. 21563, in Giust.<br />

civ. Mass., 2008, 9, 1300; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314, in Le<br />

Società, 1996, 1267; Cass. 3 dicembre 1980, n. 6315, ivi, 1981,<br />

II, 895; App. Bari 27 maggio 1988, ivi, 1988, 1269; Trib. Roma<br />

11 febbraio 1995, ivi, 1995, 964; Trib. Verona 14 marzo 1994,<br />

ivi, 1994, 961.<br />

302 Il Fallimento 3/2013


l’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale<br />

delle parti, dovendo trarsi la relativa prova,<br />

di cui è onerato il socio attore in restituzione, non<br />

tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta<br />

nelle scritture contabili della società, quanto dal<br />

modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto,<br />

dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto<br />

e dagli interessi che vi sono sottesi» (5).<br />

O ancora: «i versamenti dei soci possono consistere<br />

o in veri e propri finanziamenti, cioè prestiti o mutui<br />

alla società, che si caratterizzano per il fatto che<br />

i soci non rin<strong>un</strong>ciano alla restituzione delle relative<br />

somme, alla scadenza dei relativi contratti, e non<br />

hanno <strong>un</strong>a destinazione definitiva vincolata al fine<br />

della ricostruzione o dell’aumento del capitale sociale;<br />

oppure in conferimenti (od apporti) che si<br />

caratterizzano per il fatto che i soci rin<strong>un</strong>ciano a<br />

pretenderne la restituzione e così rimangono definitivamente<br />

acquisiti al patrimonio della società,<br />

dando luogo alla costituzione di riserve. I veri e<br />

propri finanziamenti soci, proprio perché implicano<br />

<strong>un</strong> obbligo restitutorio da soddisfare ad <strong>un</strong>a determinata<br />

scadenza, devono essere contabilizzati ed<br />

esposti in bilancio tra le passività, in particolare tra<br />

i debiti verso altri finanziatori al fine di distinguerli<br />

dai versamenti soci in c/capitale che, al contrario,<br />

devono essere contabilizzati tra le poste di patrimonio<br />

netto. Mancando <strong>un</strong>a diversa imputazione<br />

espressa, deve ritenersi che, di norma, il versamento<br />

del socio costituisca <strong>un</strong> finanziamento rimborsabile<br />

e non <strong>un</strong> versamento soci in c/capitale» (6).<br />

Stabilire se, in <strong>un</strong> determinato caso, si sia in presenza<br />

di <strong>un</strong> mutuo o di <strong>un</strong> apporto del socio in capitale,<br />

è quindi <strong>un</strong>a questione di interpretazione,<br />

che deve essere condotta tenendo conto di tutte le<br />

circostanze, tra le quali l’eventuale esistenza di<br />

clausole statutarie che prevedano i versamenti dei<br />

soci, la riconducibilità alla stessa clausola del versamento<br />

effettuato, il modo in cui concretamente è<br />

stato attuato il rapporto (con particolare riferimento<br />

alle finalità pratiche perseguite), mentre non<br />

hanno rilievo le attribuzioni contabili operate dagli<br />

amministratori (7).<br />

Nel caso di specie, giustamente quindi la Suprema<br />

Corte ha ritenuto non corretta la decisione del Trib<strong>un</strong>ale<br />

di Roma la quale non aveva esaminato approfonditamente<br />

le circostanze che avevano portato<br />

i soci al versamento della somma richiesta in restituzione,<br />

in particolare con riferimento alla relazione<br />

dell’esperto depositata nell’ambito della procedura di<br />

c.p. ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 161 l.fall.<br />

Il p<strong>un</strong>to di partenza, tuttavia, a parere dello scrivente,<br />

non può che essere il contenuto della propo-<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

sta: maggiore è il dettaglio con il quale il piano<br />

concordatario è stato predisposto, minore sarà lo<br />

spazio interpretativo e quindi più agevole l’individuazione<br />

di <strong>un</strong>’adeguata soluzione alla domanda restitutoria<br />

dei soci.<br />

La valutazione dovrà essere compiuta, come giustamente<br />

affermato dalla Cassazione, ai sensi dell’art.<br />

1362 c.c., atteso che il concordato preventivo costituisce<br />

<strong>un</strong> accordo, <strong>un</strong> contratto, tra il debitore e<br />

i suoi creditori (8), nonché secondo quanto disposto<br />

dall’art. 1349 c.c. in tema di oggetto del contratto,<br />

il tutto alla luce dell’intera proposta, del voto<br />

e dell’omologa ovvero di tutti i passaggi attraverso<br />

i quali si forma il consenso dei creditori, quali<br />

parti del contratto.<br />

La decisione quindi mette in luce l’importanza e la<br />

centralità del ruolo dell’attestatore e della sua relazione<br />

all’interno della procedura di concordato. Peraltro<br />

tale centralità è stata ulteriormente rafforzata<br />

dalle modifiche introdotte dal decreto sviluppo in<br />

materia fallimentare (9), ove viene stabilita <strong>un</strong>a<br />

nuova e maggiormente specifica regolamentazione<br />

dei requisiti del professionista c.d. ‘‘attestatore’’ poiché,<br />

rispetto alla disciplina precedentemente vigente,<br />

è stato previsto espressamente che il professionista<br />

debba essere designato dal debitore (ponendo fine<br />

al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla<br />

competenza a tale nomina) (10) e debba essere do-<br />

Note:<br />

(5) Così Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758, in Giust. civ. Mass.,<br />

2012, 2, 209. In senso conforme Cass. 30 marzo 2007, n. 7980,<br />

in Foro it., 2008, 4, 1237.<br />

(6) App. Milano 16 febbraio 2009, in Giur. merito, 2010, 4, 1018<br />

con nota di R. De Ritis.<br />

(7) Così Trib. Reggio Emilia 23 ottobre 2008, in Banca borsa tit.<br />

cred. 2011, 6, 714 con nota di T. Boatto. In passato la giurisprudenza<br />

ha valorizzato, al fine di stabilire, in concreto, se <strong>un</strong> determinato<br />

versamento effettuato dal socio di <strong>un</strong>a società a responsabilità<br />

limitata possa essere qualificato come conferimento in<br />

conto capitale ovvero versamento a titolo di mutuo, anche l’allocazione<br />

in bilancio soprattutto in presenza di <strong>un</strong>a clausola statutaria<br />

dal tenore non <strong>un</strong>ivoco. Così Cass. 30 marzo 2007, n. 7980<br />

in Foro it., 2008, 4, 1237. Cass. 31 marzo 2006, n. 7692, in Foro<br />

it., 2007, 11, 3217.<br />

(8) V. ad es. Trib. Monza 5 agosto 2010 in Red. Giuffrè, 2010.<br />

(9) L’art. 33 del c.d. decreto sviluppo approvato con D.L. 22 giugno<br />

2012 n. 83 e convertito con L. 7 agosto 2012 n. 134, pubblicata<br />

in Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012 n. 187, entrata in<br />

vigore l’11 settembre 2012, ha introdotto <strong>un</strong>a modifica alla lettera<br />

d) comma 3, art. 67 l.fall., norma richiamata dall’art. 161,<br />

comma 3, l.fall. in materia di concordato preventivo.<br />

(10) Si era pron<strong>un</strong>ciato nel senso che la competenza per la nomina<br />

spettasse al Trib<strong>un</strong>ale, Trib. Bari 14 agosto, 2008, in Fall.,<br />

2009, 467 ss.; anche prima della riforma invece aveva individuato<br />

la competenza esclusiva del debitore nella predetta nomina<br />

Trib. Ravenna 13 settembre 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Verona<br />

27 luglio 2011, ivi.<br />

Il Fallimento 3/2013 303


Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

tato del requisito dell’indipendenza dato da: assenza<br />

di legami professionali o personali all’impresa e a<br />

coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento,<br />

tali da comprometterne l’indipendenza di<br />

giudizio; possesso dei requisiti previsti dal codice civile<br />

per l’elezione alla carica di sindaco (cfr. art.<br />

2399 c.c.); assenza, negli ultimi cinque anni, di alc<strong>un</strong>a<br />

prestazione di lavoro subordinato o autonomo<br />

(anche per il tramite di soggetti con i quali il professionista<br />

sia <strong>un</strong>ito in associazione professionale)<br />

in favore del debitore ovvero assenza di alc<strong>un</strong>a partecipazione<br />

agli organi di amministrazione o di controllo<br />

di quest’ultimo.<br />

Con la riforma operata dal Decreto Sviluppo 2012<br />

è stata inoltre introdotta <strong>un</strong>’apposita norma disciplinante<br />

la responsabilità penale del professionista<br />

attestatore in caso di falso in attestazioni e relazioni<br />

(11), anch’essa quindi ad ulteriore riprova della<br />

centralità della figura in parola nell’ambito della<br />

composizione negoziale della crisi d’impresa.<br />

Sul p<strong>un</strong>to appare esplicativa e degna di richiamo la<br />

recente massima del Trib<strong>un</strong>ale di Firenze che afferma<br />

i caratteri e la f<strong>un</strong>zione principale di tale relazione:<br />

«Il giudizio dell’attestatore di cui all’articolo 161,<br />

legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione<br />

di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo,<br />

invece, desumere i dati in questione dalla<br />

realtà dell’azienda che egli deve indagare e verificare.<br />

Al fine di effettuare l’attestazione della veridicità<br />

dei dati, il professionista che attesta la relazione di<br />

cui all’articolo 161 l.fall. deve verificare la reale consistenza<br />

del patrimonio dell’azienda, esaminando e<br />

vagliando gli elementi che lo compongono. Omissis.<br />

Quanto al piano proposto dal debitore, l’attestatore<br />

deve verificare che sia concretamente attuabile, in<br />

relazione agli obiettivi che si propone e alla specifica<br />

situazione concreta. Omissis. Tenuto conto della f<strong>un</strong>zione<br />

che egli deve assolvere (assicurare ai creditori<br />

la serietà della proposta e la sua praticabilità), il giudizio<br />

di fattibilità non deve essere di ‘‘possibilità’’ o<br />

di ‘‘probabilità’’ - posto che nella realtà fenomenica<br />

quasi tutto il possibile e la probabilità non soddisfa<br />

alc<strong>un</strong> reale interesse dei creditori - ma di concreta<br />

verosimiglianza, nel senso che la situazione (necessariamente<br />

futura) prospettata nel piano deve apparire<br />

il naturale sviluppo, secondo logiche di esperienza e<br />

in base ai dettami delle discipline economiche finanziarie,<br />

delle premesse del piano e delle condotte attuative<br />

finalizzate alla sua esecuzione. Anche in questo<br />

caso, l’attestatore dovrà attenersi a criteri di prudenza,<br />

tenendo conto del fatto che ai creditori non<br />

interessa la possibilità astratta, ma la concreta praticabilità<br />

della soluzione proposta» (12).<br />

Il ruolo e la f<strong>un</strong>zione dell’attestazione dell’esperto,<br />

tuttavia, sono stati oggetto di differenti valutazioni<br />

in dottrina (13) e in giurisprudenza, le quali si sono<br />

divise tra coloro che ritengono che lo stesso sia <strong>un</strong><br />

mero consulente tecnico d’ufficio e di conseguenza<br />

che la sua relazione sia indirizzata solo al Trib<strong>un</strong>ale<br />

(14) e coloro che viceversa affermano che tale<br />

relazione sia rivolta ai creditori e la f<strong>un</strong>zione che le<br />

è propria è quella di fornire elementi di valutazione<br />

ai creditori per la formazione del loro consenso, dovendo<br />

il giudice astenersi da <strong>un</strong>’indagine di merito<br />

(15). In tal senso la figura di ‘‘testimone tecnico’’<br />

appare attagliarsi all’attestatore e al suo ruolo<br />

di imparzialità, specie alla luce della sanzione penale<br />

contenuta nell’art. 236 bis l.fall. (16)<br />

In ogni caso la relazione del professionista si inseri-<br />

Note:<br />

(11) L’articolo 236 bis della legge fallimentare dispone infatti<br />

che sia p<strong>un</strong>ito con la reclusione da due a cinque anni e con multa<br />

da Euro 50.000 a Euro 100.000 il professionista che nelle relazioni<br />

o attestazioni da rendersi nell’ambito di piani di risanamento,<br />

concordati preventivi e accordi di ristrutturazione esponga<br />

informazioni false ovvero ometta di riferire informazioni rilevanti.<br />

La pena è aumentata nel caso in cui il fatto sia commesso<br />

al fine di conseguire ingiusto profitto per sé o per gli altri. Nel<br />

caso in cui dal fatto consegua <strong>un</strong> danno per i creditori, la pena è<br />

aumentata fino alla metà.<br />

(12) Trib. Firenze 9 febbraio 2012, in Red. Giuffrè, 2012. Si veda<br />

altresì recente pron<strong>un</strong>cia del Trib<strong>un</strong>ale di Mantova, ove viene<br />

precisato che il professionista che attesta il piano di cui all’articolo<br />

161, legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione<br />

di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo invece desumere<br />

i dati in questione dalla realtà dell’azienda che egli deve<br />

indagare verificando la reale consistenza del patrimonio, esaminando<br />

e vagliando i dati che lo compongono (Nel caso di specie,<br />

non è stato ammesso al passivo il credito del professionista attestatore,<br />

il quale aveva omesso di verificare - mediante l’invio<br />

ai debitori di <strong>un</strong>a richiesta di conferma scritta delle rispettive posizioni<br />

- la effettiva esistenza di posizioni creditorie che rappresentavano<br />

buona parte dell’importo che l’impresa proponente<br />

metteva a disposizione dei creditori; così Trib. Mantova 28 maggio<br />

2012, in www.ilcaso.it.<br />

(13) In dottrina, cfr. P. Pirruccio, Limitati i poteri di controllo sulle<br />

conclusioni del professionista allegate alla proposta, inGuida al<br />

diritto, 2011, n. 5, 91; M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su<br />

proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi<br />

sulla fattibilità, in questa Rivista, 2011, 167; G. Brescia, Relazione<br />

dell’esperto per l’ammissione al concordato preventivo, in<br />

Fallimento e crisi d’impresa, 2008, 361; G. Jachia, Il concordato<br />

preventivo e la sua proposta, inFallimento ed altre procedure<br />

concorsuali diretto da Fauceglia e Panzani, III, Torino 2009,<br />

1608; F. Michelotti, La relazione del professionista e i limiti del<br />

controllo giurisdizionale del trib<strong>un</strong>ale in sede di ammissione al<br />

concordato preventivo, in questa Rivista, 2010, 961.<br />

(14) Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Foro it., 2012, 1, 136, con<br />

nota di M. Fabiani.<br />

(15) Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, in Giust. civ., 2011, 7-8,<br />

1673; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586, in Giust. civ. Mass.,<br />

2011, 2, 240; Cass. 29 ottobre 2009 n. 22927, in questa Rivista,<br />

2010, 822, con nota di Celentano.<br />

(16) M. Fabiani, Nuovi incentivi per la regolazione concordata<br />

della crisi d’impresa, inCorr. giur., 2012, 11, 1265 ss.<br />

304 Il Fallimento 3/2013


sce a pieno titolo nel procedimento giurisdizionale<br />

che porta all’ammissione del concordato e all’iter<br />

sino all’omologa, e di fatto sostituisce i poteri istruttori<br />

del trib<strong>un</strong>ale in ordine ad <strong>un</strong>a condizione di<br />

ammissibilità del concordato assolvendo alla f<strong>un</strong>zione<br />

di <strong>un</strong>a corretta informazione e tutela dei creditori<br />

e di ausilio all’indagine e alla relazione del commissario<br />

giudiziale. Detta relazione, attestando la<br />

veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano,<br />

ha non solo <strong>un</strong> contenuto valutativo ma anche <strong>un</strong><br />

contenuto certificativo dal quale discende <strong>un</strong>o specifico<br />

valore probatorio. Si parla spesso in giurisprudenza<br />

di ‘‘f<strong>un</strong>zione di garante dei terzi’’ (17).<br />

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento,<br />

quindi, laddove si consideri l’attestazione come mera<br />

relazione tecnica, indirizzata al Trib<strong>un</strong>ale, e tale<br />

Organo Giudicante accerti che il professionista ha<br />

ipotizzato effettivamente <strong>un</strong>a soddisfazione del ceto<br />

creditorio superiore al 5% contenuto espressamente<br />

in proposta, in virtù delle somme versate dai soci e<br />

di cui si discute, a parere dello scrivente tale valutazione<br />

non potrà impattare o meglio integrare il<br />

contenuto originario della proposta, che rimane invariata,<br />

e non può quindi essere utilizzata come<br />

strumento per avvalorare la ripartibilità di tali somme<br />

in favore dei creditori.<br />

Alla stessa conclusione, tuttavia, dovrebbe pervenirsi<br />

anche aderendo all’altra tesi che riconosce<br />

nell’attestazione <strong>un</strong>a relazione rivolta ai creditori e<br />

necessaria alla formazione del loro consenso. L’attestatore,<br />

infatti, anche alla luce delle recenti novità<br />

già citate, rimane in ogni caso <strong>un</strong> soggetto terzo all’accordo<br />

tra il debitore ed i suoi creditori nell’ambito<br />

degli elementi procedimentali necessari che<br />

sfociano nell’omologa del concordato. Non sarebbe<br />

possibile, quindi, che le valutazioni di tale soggetto<br />

vadano ad integrare la proposta del debitore, laddove<br />

essa sia stata dettagliatamente confezionata e come<br />

tale sottoposta ai creditori ed al Trib<strong>un</strong>ale e ciò<br />

alla luce dell’art. 1349 c.c. il quale prevede che la<br />

determinazione dell’oggetto del contratto (quindi<br />

nel nostro caso della proposta di c.p.) possa essere<br />

deferita al terzo solo a certe condizioni.<br />

L’attestazione rimane quindi com<strong>un</strong>que <strong>un</strong> elemento<br />

importante nella formazione del consenso e non<br />

deve essere utilizzata solo per confortare la fattibilità<br />

del piano, alla luce della veridicità dei dati aziendali.<br />

L’attestatore, infatti, per primo ha interpretato<br />

e valutato la proposta di concordato preventivo ed<br />

il relativo piano basato sulla cessio bonorum con garanzia<br />

di pagamento dei creditori chirografari nella<br />

misura del 5%; lo stesso ha quindi ipotizzato «anche<br />

il superamento delle percentuali promesse per<br />

Giurisprudenza<br />

Concordato preventivo<br />

effetto del versamento dei soci», interpretando la<br />

proposta nel senso che gli eventuali migliori esiti<br />

del piano sarebbero stati destinati ai creditori tra<br />

cui app<strong>un</strong>to il versamento dei soci a garanzia del<br />

minimo ma acquisibili all’attivo indipendentemente<br />

dalla percentuale di soddisfazione realizzata. Tale<br />

interpretazione viene trasmessa tramite l’attestazione<br />

ai creditori, il cui consenso si determina attraverso<br />

<strong>un</strong> iter a formazione progressiva dato da proposta<br />

- attestazione - relazione del commissario giudiziale<br />

- voto; il debitore, quindi, se avesse voluto,<br />

e se avesse effettivamente rilevato che l’interpretazione<br />

fornita dall’attestatore non era corrispondente<br />

al reale contenuto della proposta, avrebbe potuto<br />

intervenire come previsto dall’art. 175, comma 3,<br />

l.fall. modificando o integrando la proposta sino all’inizio<br />

delle operazioni di voto.<br />

In definitiva il Trib<strong>un</strong>ale del rinvio dovrà svolgere<br />

<strong>un</strong>’attenta esegesi della proposta, tenuto conto dell’intenzione<br />

delle parti ex art. 1362 c.c. e com<strong>un</strong>que<br />

della valutazione svolta dell’esperto attestatore e<br />

della conseguente vis persuasiva che ha influenzato<br />

il consenso dei creditori.<br />

Nota:<br />

(17) V. fra le tante Trib. Pordenone 26 novembre 2008, in Red.<br />

Giuffrè, 2010.<br />

Il Fallimento 3/2013 305


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Verifica dei crediti<br />

L’accertamento delle garanzie<br />

reali nel fallimento del terzo<br />

datore<br />

Cassazione Civile, Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289 - Pres. Plenteda - Rel. Cultrera - P.M. Sorrentino<br />

- Fall. C.P. c. Banca Nazionale del Lavoro S.p.a.<br />

Fallimento - Accertamento del passivo - Verifica dei crediti - Ipoteca sui beni del terzo fallito - Ammissione del credito -<br />

Abnormità del decreto - Efficacia preclusiva - Conseguenze<br />

(legge fallimentare artt. 96, 98, 100, 102)<br />

Al curatore fallimentare non è consentito agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa <strong>un</strong>a<br />

causa di prelazione (nella specie, ipoteca), in forza della quale <strong>un</strong> determinato credito sia stato già definitivamente<br />

ammesso al passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo di modificare lo stato passivo, retrocedendo<br />

quel credito al rango chirografario, potrebbe sorreggere <strong>un</strong>a tale azione, ma questo effetto non sarebbe<br />

raggi<strong>un</strong>gibile senza la modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei rimedi previsti dagli artt.<br />

98 ss. l.fall.; il curatore, quindi, stante la forza di giudicato endofallimentare, da attribuire al decreto che rende<br />

esecutivo lo stato passivo, può chiedere la revocazione del credito ammesso ai sensi dell’art. 102 l.fall., ma<br />

non agire in via ordinaria per rimettere in discussione il titolo, ovvero gli elementi che lo costituiscono o lo<br />

connotano. (Nella specie i giudici di merito, pur rilevando l’abnormità del decreto del giudice delegato, che<br />

aveva ammesso allo stato passivo il credito della banca nei confronti di <strong>un</strong> soggetto diverso dal fallito con garanzia<br />

concessa da quest’ultimo, in violazione della regola secondo cui il creditore che abbia ottenuto garanzia<br />

ipotecaria non ha titolo a partecipare al concorso nella massa fallimentare del terzo datore, che non ha debito<br />

nei suoi confronti, hanno ritenuto sussistente l’effetto preclusivo che discendeva dalla esecutività dello stato<br />

passivo, non impugnato attraverso i rimedi previsti dagli artt. 98, 100 e 102 l.fall.).<br />

La Corte (omissis).<br />

Il primo motivo den<strong>un</strong>cia violazione della l.fall., artt.<br />

25, 52, 64, 92, 96, 97, 98, 100, 102, 108, 109, 110, 112,<br />

114, e degli artt. 2033, 2901 e 2909 c.c., e vizio di motivazione<br />

in ordine agli effetti attribuiti a provvedimento<br />

abnorme. La Corte del merito sarebbe incorsa nel den<strong>un</strong>ciato<br />

errore per aver attribuito effetto preclusivo al<br />

decreto d’esecutività dello stato passivo pur in presenza<br />

della den<strong>un</strong>cia di abnormità del decreto del giudice delegato,<br />

che aveva ammesso allo stato passivo il credito<br />

della banca vantato nei confronti di soggetto diverso dal<br />

fallito in violazione della regola che esclude che il creditore<br />

che abbia ottenuto garanzia ipotecaria da <strong>un</strong> terzo<br />

abbia titolo a partecipare al concorso nella massa fallimentare<br />

del terzo datore, che non ha debito nei suoi<br />

confronti.<br />

La quaestio juris, riguardante non già la stabilità dello stato<br />

passivo dichiarato esecutivo, ma la verifica dei suoi<br />

effetti preclusivi in caso di decreto d’ammissione emesso<br />

in assoluta carenza di potere del giudice delegato sarebbe<br />

stata risolta dai giudici d’appello senza coglierne il nucleo,<br />

assumendo che il riesame di quel decreto era rimes-<br />

so esclusivamente ai rimedi endofallimentari previsti dalla<br />

l.fall., artt. 98, 100 e 102, applicabili ratione temporis,<br />

il cui mancato esperimento ha consentito che lo stato<br />

passivo acquistasse forza di giudicato. Soggi<strong>un</strong>ge il ricorrente<br />

che, in caso d’inesistenza giuridica del provvedimento<br />

d’ammissione allo stato passivo, verificabile incidenter<br />

tantum in controversie in cui si dibatte in ordine<br />

alla prelazione, lo stato passivo non ha attitudine al giudicato<br />

e, quindi, non produce ex se effetto preclusivo. Di<br />

qui la stridente contraddizione del ragionamento che sostiene<br />

la decisione impugnata che, pur richiamando l’insegnamento<br />

dei giudici di legittimità che afferma la giuridica<br />

inesistenza dell’ammissione del credito garantito<br />

allo stato passivo del fallimento del terzo datore dell’ipoteca,<br />

non ne hanno tratto le ovvie conseguenze. La prelazione<br />

concessa dal fallito al credito della banca verso il<br />

terzo non ha natura concorsuale e la sua partecipazione<br />

al concorso, se ammessa, è illegittima in quanto il relativo<br />

decreto, ass<strong>un</strong>to in carenza di potere, non ha natura<br />

decisoria.<br />

Il 2 motivo den<strong>un</strong>cia ancora violazione del medesimo<br />

quadro normativo e pone la questione di diritto se possa<br />

306 Il Fallimento 3/2013


dispiegare effetto preclusivo il decreto del giudice delegato<br />

che abbia ammesso al concorso <strong>un</strong> credito ad esso<br />

estraneo in quanto non riferibile al fallito, in relazione<br />

al quale non entrano in gioco esistenza ed efficacia della<br />

prelazione. In simile evenienza, conclude il ricorrente,<br />

restano esperibili le azioni tese a dichiarare l’inefficacia<br />

della prelazione.<br />

La resistente deduce l’infondatezza delle censure osservando<br />

che, benché il decreto d’ammissione allo stato<br />

passivo del fallimento del terzo datore d’ipoteca sia errato<br />

in parte qua, nondimeno, stante la sua definitività,<br />

produce effetto preclusivo. L’illegittimità di quel decreto,<br />

non riconducibile alle categorie dell’abnormità e dell’inesistenza<br />

evocate da controparte, avrebbe dovuto farsi<br />

valere mediante i rimedi apprestati dal sistema fallimentare,<br />

non attivati né dal curatore fallimentare né da alc<strong>un</strong>o<br />

degli altri creditori ammessi. Il decreto, in conclusione,<br />

secondo quanto sostiene consolidato orientamento<br />

giurisprudenziale - Cass. n. 15186/2000-, ha portata<br />

limitata all’accertamento della validità ed efficacia della<br />

prelazione che, reso esecutivo lo stato passivo, non può<br />

essere messo in discussione con azioni ordinarie.<br />

I motivi, che pongono questioni correlate esaminabili<br />

congi<strong>un</strong>tamente, espongono censure prive di pregio. Il<br />

consolidato orientamento di questa Corte (cui si presta<br />

adesione e che in questa sede s’intende ribadire senza<br />

necessità di rivisitazione, ha fatto chiarezza in ordine alla<br />

duplice problematica sollevata nei motivi in esame affermando<br />

che:<br />

1.- «Al curatore fallimentare non è consentito agire in<br />

revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa<br />

<strong>un</strong>a causa di prelazione in forza della quale <strong>un</strong> determinato<br />

credito sia stato già definitivamente ammesso al<br />

passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo<br />

di modificare lo stato passivo, retrocedendo quel credito<br />

al rango chirografario, potrebbe sorreggere <strong>un</strong>a tale azione,<br />

ma questo effetto non sarebbe raggi<strong>un</strong>gibile senza la<br />

modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei<br />

rimedi previsti dalla l.fall., art. 98, e ss.» (Cass. n.<br />

17888/2004). L’en<strong>un</strong>ciato, di cui la Corte del merito ha<br />

fatto ineccepibile applicazione, convalida la convergenza<br />

formatasi in sede interpretativa circa la forza di giudicato<br />

endofallimentare che va attribuita al decreto che rende<br />

esecutivo lo stato passivo, postulato del suo effetto preclusivo<br />

che può essere rimosso all’interno della procedura<br />

e solo con i soli rimedi tipici della stessa, di cui dispone<br />

anche il curatore che, stante l’attitudine del credito<br />

accertato con effetto di giudicato interno a partecipare<br />

al concorso, può chiederne la revocazione ai sensi della<br />

L.fall., art. 102, ma non certo agire in via ordinaria per<br />

rimetterne in discussione il titolo, ovvero gli elementi<br />

che lo costituiscono o lo connotano. Sgombrata in chiave<br />

esegetica ogni perplessità, seppur fosse residuata (cfr.<br />

Cass., sez. <strong>un</strong>., n. 16508/2010 seppur in relazione a diversa<br />

fattispecie), la forza di giudicato del decreto che<br />

rende esecutivo lo stato passivo riceve attestazione positiva<br />

nel testo riformato dell’art. 96, ultimo comma.<br />

Il decreto dispiega d<strong>un</strong>que pieno effetto decisorio nella<br />

procedura in duplice prospettiva: all’interno del concorso,<br />

il che vuol dire che assume carattere di stabilità in<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

ordine all’esistenza della pretesa sostanziale ed alla qualità<br />

del credito in coerenza con la regola della concorsualità<br />

che presuppone l’anteriorità al fallimento e l’opponibilità<br />

del suo titolo fondante alla massa; ai fini del concorso,<br />

in quanto garantisce la stabilità dei riparti escludendo<br />

la ripetibilità delle somme percepite dal creditore<br />

ammesso secondo quanto prevede l’art. 114, ed incide<br />

altresì, nel regime novellato, ai fini dell’esdebitazione -<br />

art. 142. Al di fuori della procedura, ma la questione è<br />

estranea al tema in questa sede dibattuto, il decreto non<br />

ha forza di giudicato potendo al più valere, secondo<br />

quanto prevede l’art. 120, ultimo comma, nel testo riformato,<br />

quale prova documentale del credito cui evidenti<br />

ragioni di economia processuale, attribuiscono piena valenza<br />

ed efficacia, per l’introduzione del giudizio monitorio.<br />

È indubbio d<strong>un</strong>que, né d’altronde il ricorrente smentisce<br />

l’ass<strong>un</strong>to, che il decreto d’ammissione allo stato<br />

passivo contiene accertamento del credito quanto ai fatti<br />

costitutivi, alla qualità, al rango ed alla sua opponibilità<br />

alla massa, e che, divenuto definitivo e non impugnato<br />

attraverso i rimedi interni alla procedura, assume carattere<br />

di stabilità nell’alveo della procedura<br />

stessa ed ai suoi fini, precludendo ogni successiva iniziativa<br />

che metta in discussione quel titolo e quel rango.<br />

2.- «I titolari di diritti di prelazione (nella specie, <strong>un</strong>’ipoteca)<br />

su beni immobili compresi nel fallimento, e già costituiti<br />

in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi<br />

dal fallito, non possono avvalersi del procedimento<br />

di verificazione, in quanto la l.fall., art. 52, sottopone<br />

ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il<br />

debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo<br />

al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non<br />

può incidere sulla massa passiva; i predetti crediti, anche<br />

se esclusi dal concorso formale, sono peraltro assoggettabili<br />

a verifica, ai sensi della l.fall., art. 108, ultimo comma,<br />

nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato,<br />

rappresentando il titolo che costituisce la prelazione<br />

<strong>un</strong>a passività di cui il patrimonio del fallito deve essere<br />

depurato prima della ripartizione del ricavato ai creditori<br />

concorsuali, sempre che la sua validità ed attualità,<br />

oltre che opponibilità alla massa, non siano state contestate<br />

dal curatore con le apposite azioni» (Cass. n. 2429/<br />

2009). Del principio, che va senz’altro confermato e<br />

non viene neppure messo in discussione dal ricorrente,<br />

la Corte del merito ha tenuto conto. Ha infatti riscontrato<br />

l’illegittimità del decreto d’ammissione allo stato<br />

passivo del fallimento di C.P., terzo datore della garanzia<br />

del credito che la banca vantava nei confronti del fratello<br />

P., reputando nondimeno quel vizio inidoneo a scalfire<br />

l’intangibilità del giudicato endofallimentare, formatosi<br />

nell’assoluta inerzia dei soggetti legittimati a proporre<br />

le impugnazioni previste dalla l.fall., art. 98, e ss. Le<br />

censure esposte nei motivi in esame ascrivono i den<strong>un</strong>ciati<br />

errori a siffatto passaggio argomentativo, lamentando<br />

che la Corte del merito avrebbe arrestato la sua verifica<br />

al riscontrato vizio senza rilevarne la riconducibilità<br />

alla categorie dell’abnormità ovvero dell’inesistenza giuridica,<br />

la cui applicabilità sarebbe resa evidente dall’assoluta<br />

assenza della potestas judicandi del giudice delegato<br />

in caso di debito ass<strong>un</strong>to da soggetto diverso dal fallito.<br />

Il Fallimento 3/2013 307


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Suggestiva ma infondata, la tesi argomentativa evoca,<br />

con richiamo alla pron<strong>un</strong>cia delle S.U. n. 9692/2002<br />

emessa in tutt’altra fattispecie, nozione, di sostanziale<br />

elaborazione giurisprudenziale applicabile alle ipotesi in<br />

cui il provvedimento ass<strong>un</strong>to dal giudice non è riconducibile<br />

all’archetipo dei provvedimenti giurisdizionali, ovvero<br />

è stato ass<strong>un</strong>to da autorità priva di potere decisorio<br />

ed è pertanto privo di effetti giuridici, non riscontrabile<br />

di certo nell’ipotesi di non corretto esercizio del potere<br />

decisorio, né nel caso in cui il provvedimento, ass<strong>un</strong>to<br />

dal giudice competente a pron<strong>un</strong>ciarlo secondo lo schema<br />

normativo di riferimento, risulti affetto da errore di<br />

diritto. Il vizio che inficia il provvedimento, ancorché<br />

fosse annoverabile tra le ipotesi di nullità, a lume del<br />

principio sancito nell’art. 161 c.p.c., ma applicabile in linea<br />

generale al sistema delle impugnazioni, è emendabile<br />

mediante i rimedi impugnatori ordinari, vale a dire tipicamente<br />

disponibili secondo il sistema nel cui alveo quel<br />

provvedimento è stato emesso, sì che, in caso d’inerzia<br />

della parte legittimata a quei rimedi, quel provvedimento<br />

si stabilizza, seppur nel contenuto affetto dal vizio,<br />

con effetto di giudicato. Il decreto in esame è inficiato<br />

da indiscusso errore di diritto, che non rappresenta però<br />

anomalia tale da collocarlo al di fuori della fattispecie legale<br />

data, precludendone l’identificabilità e quindi l’idoneità<br />

a produrre effetti giuridici. Il giudice delegato infatti,<br />

senza affatto esorbitare dai limiti posti alle sue attribuzioni<br />

dalla legge fallimentare, ha in sostanza ass<strong>un</strong>to<br />

provvedimento che, nella parte in cui esprime accertamento<br />

del credito verso il terzo e non nei confronti del<br />

fallito risulta ‘‘inutiliter’’ data, ma, nondimeno, potrebbe<br />

essere idoneo a spiegare effetto, laddove potesse interpre-<br />

tarsi ovvero risultasse in esso esplicato che quel diritto è<br />

stato verificato nel concorso al fine di consentire al creditore<br />

garantito di partecipare alle operazioni di liquidazione<br />

ed al conseguente riparto, in cui la sua prelazione<br />

assume rilievo. In assenza di tale esplicazione, nel decreto<br />

in esame, che ammette tout court il credito della banca,<br />

è riscontrabile errore di diritto che, tuttavia, ness<strong>un</strong>o<br />

dei creditori ha rilevato e fatto valere agendo, secondo il<br />

regime allora vigente, ai sensi della l.fall., art. 100, né il<br />

curatore ha chiesto di accertare e rimuovere promuovendo<br />

la revocazione l.fall., ex art. 102. Ormai m<strong>un</strong>ito di<br />

forza di giudicato, il decreto si è perciò consolidato con<br />

quel contenuto, senza produrre effetto nella parte in cui<br />

ha accertato il credito e dispiegando invece efficacia nella<br />

fase della liquidazione e del conseguente riparto, cui<br />

in ogni caso il creditore ipotecario ha titolo a partecipare,<br />

in cui esistenza validità ed opponibilità della garanzia<br />

non possono trovare ormai sp<strong>un</strong>ti di contestazione atteso<br />

lo scrutinio su tali requisiti condotto con esito confermativo<br />

ed in via anticipata nella sede della verifica del credito.<br />

A maggior ragione, l’azione ordinaria, che il curatore<br />

solo successivamente e melius re perpensa ha esperito,<br />

non può rimettere in discussione suddetti elementi sui<br />

quali, come ha correttamente affermato il giudice dell’appello,<br />

si è riverberato l’effetto di giudicato che, in ragione<br />

dell’omessa attivazione dei rimedi impugnatori, devesi<br />

conferire allo stato passivo regolarmente approvato.<br />

Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato disponendo<br />

la compensazione integrale delle spese del giudizio<br />

di legittimità in ragione della natura delle questioni<br />

trattate.<br />

(omissis).<br />

La verifica delle garanzie reali sui beni del terzo fallito<br />

tra vecchio e nuovo fallimento<br />

di Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco *<br />

Partendo da <strong>un</strong>a decisione resa in <strong>un</strong>a fattispecie risalente alla legge fallimentare anteriore al D.Lgs. n. 5/<br />

2006, l’Autore analizza dapprima le conclusioni dei Giudici di legittimità sull’accertamento delle garanzie reali<br />

sui beni del terzo fallito e sugli effetti di giudicato endo-fallimentare in caso di riconoscimento della prelazione<br />

in sede di verifica dei crediti, quindi espone le ragioni per le quali i principi espressi dalla giurisprudenza<br />

consolidata sul p<strong>un</strong>to non dovrebbero più trovare applicazione alla luce dell’art. 52, secondo comma,<br />

l.fall., nella formulazione successiva al D.Lgs. n. 5/2006.<br />

1. Premessa<br />

Il problema della sede nella quale il titolare di <strong>un</strong><br />

credito verso terzi garantito da pegno o ipoteca su<br />

beni del fallito possa fare valere le propri ragioni<br />

nel fallimento del terzo datore può essere definito a<br />

ragione <strong>un</strong>a ‘‘vexata quaestio’’, trattandosi di <strong>un</strong> tema<br />

che periodicamente - e da quasi cinquant’anni -<br />

si propone all’attenzione degli interpreti e dell’editoria<br />

giuridica.<br />

Gli orientamenti che a l<strong>un</strong>go si sono contrapposti,<br />

come meglio si vedrà nel seguito del commento, sono<br />

due: la giurisprudenza di legittimità e la maggioranza<br />

dei giudici di merito si sono orientati a sostenere<br />

che il beneficiario della garanzia possa e debba<br />

intervenire solo in sede di ripartizione dell’attivo,<br />

non potendo invece partecipare all’accertamento<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

308 Il Fallimento 3/2013


del passivo fallimentare, con la conseguente inammissibilità<br />

di <strong>un</strong>a sua eventuale domanda di insinuazione.<br />

In dottrina, invece, è prevalsa l’opinione contraria<br />

(che si riscontra anche in qualche decisione di merito),<br />

cioè quella che riconosce al garantito il diritto<br />

di prendere parte a pieno titolo alla verifica dei<br />

crediti.<br />

L’odierna decisione della Suprema Corte, come si<br />

legge nella parte motiva, si dovrebbe inserire nel<br />

primo filone, del quale afferma di costituire attuazione<br />

ed al quale vorrebbe dare continuità.<br />

In realtà vi è <strong>un</strong>a significativa variante che la rende<br />

di particolare interesse, anche perché fornisce lo<br />

sp<strong>un</strong>to per chiedersi se la soluzione proposta per<br />

molti anni dai giudici di legittimità sia ancora attuale,<br />

a seguito delle modifiche normative del<br />

D.Lgs. n. 5/2006 (il caso di specie origina invece da<br />

<strong>un</strong> ‘‘vecchio’’ fallimento).<br />

2. Il caso di specie<br />

Il tema oggetto della sentenza in esame, in realtà,<br />

non è sic et simpliciter quello della insinuabilità o<br />

non-insinuabilità al passivo delle garanzie verso i<br />

terzi datori di ipoteca falliti.<br />

Il problema era, infatti, ben più articolato e può<br />

riassumersi come segue:<br />

a) <strong>un</strong>a banca titolare di ipoteca su beni del fallito per<br />

crediti verso terzi aveva insinuato al passivo del terzo<br />

datore il credito (verso il terzo) e la garanzia che lo<br />

assisteva, venendo ammessa come da domanda;<br />

b) successivamente il curatore aveva ravvisato gli<br />

estremi per l’inefficacia e/o la revocatoria - sia ordinaria<br />

che fallimentare - dell’ipoteca ed aveva quindi<br />

agito giudizialmente;<br />

c) la banca, al fine di impedire l’impugnativa della<br />

garanzia, aveva opposto l’efficacia preclusiva del<br />

giudicato endo-fallimentare conseguente alla definitiva<br />

ammissione al passivo;<br />

d) il curatore a tal p<strong>un</strong>to aveva eccepito l’anomalia<br />

e l’inesistenza giuridica del provvedimento di ammissione,<br />

in quanto viziato da eccesso di potere, e<br />

ciò in base alla giurisprudenza che esclude la possibilità,<br />

per il beneficiario della garanzia del terzo datore,<br />

di avvalersi del procedimento di verifica del<br />

passivo;<br />

e) conseguentemente, secondo la curatela, il giudice<br />

bene avrebbe potuto pron<strong>un</strong>ciarsi sulle domande<br />

di inefficacia e revocatoria, dopo avere accertato incidenter<br />

tantum l’anomalia - in parte qua - del decreto<br />

di esecutività dello stato passivo.<br />

La Cassazione ha condiviso, in primo luogo, la tesi<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

del fallimento circa la indisponibilità per il garantito,<br />

in casi del genere, del procedimento di verifica<br />

dei crediti.<br />

Tuttavia, ad avviso della Corte, il provvedimento<br />

di ammissione del credito e della garanzia sarebbe<br />

stato privo di effetti nella sola parte riguardante il<br />

credito - non essendovi alc<strong>un</strong> credito nei confronti<br />

del fallito - mentre sarebbe stato efficace, invece,<br />

nella parte relativa alla garanzia, la quale avrebbe<br />

formato oggetto di <strong>un</strong> accertamento di esistenza, efficacia<br />

ed opponibilità anticipato rispetto alla sede<br />

naturale delle ripartizioni dell’attivo, ma pur sempre<br />

ammissibile.<br />

Su tali basi i giudici di legittimità hanno ritenuto<br />

inammissibili le domande di inefficacia e di revocatoria<br />

proposte dalla procedura: il curatore, si legge,<br />

avrebbe dovuto avvalersi a tal fine dei mezzi di impugnazione<br />

previsti dagli artt. 98 e ss. l.fall.; non<br />

avendolo fatto - e ferma restando la mancata produzione<br />

di effetti dell’ammissione al passivo del credito<br />

- si sarebbe privato della possibilità di impugnare,<br />

nel seguito del procedimento, il riconoscimento<br />

della garanzia, in virtù dell’efficacia preclusiva<br />

del giudicato endo-fallimentare.<br />

3. I principi giuridici<br />

Dalla lettura della motivazione la decisione risulterebbe<br />

prima facie come il frutto dell’applicazione di<br />

tre principi giurisprudenziali consolidati.<br />

In <strong>un</strong> ordine f<strong>un</strong>zionale al presente commento, il<br />

primo è quello secondo il quale il decreto di esecutività<br />

dello stato passivo di cui all’art. 96 l.fall., se<br />

non impugnato, preclude nell’ambito del procedimento<br />

fallimentare ogni questione relativa all’esistenza<br />

del credito, alla sua entità, all’efficacia del titolo<br />

ed all’esistenza di cause di prelazione.<br />

Su di esso i precedenti di legittimità sono molto<br />

<strong>numero</strong>si (1) e mette conto solo aggi<strong>un</strong>gere, da <strong>un</strong><br />

lato, che l’‘‘ambito del procedimento fallimentare’’<br />

riguarda qualsiasi controversia promossa dal curatore<br />

nei confronti del creditore ammesso in pendenza<br />

del fallimento, anche se davanti ad <strong>un</strong> giudice diverso<br />

da quello fallimentare (2), dall’altro che l’ef-<br />

Note:<br />

(1) Ex plurimis, v. al riguardo Cass. 1 aprile 2011, n. 7570, in<br />

questa Rivista, 2011, 1318; Cass. 7 agosto 2009, n. 18105, in<br />

Foro it., Rep. 2009, voce Fallimento, n. 465; Cass. 9 luglio 2008,<br />

n. 18832, in questa Rivista, 2009, 158, con nota di F. Rolfi, Ancora<br />

sull’effetto di «giudicato endofallimentare» del decreto di<br />

esecutività dello stato passivo, alla quale si rinvia per ulteriori riscontri.<br />

(2) V. al riguardo Cass. 9 giugno 2011, n. 12638, Foro it., Rep.<br />

2011, voce Fallimento, n. 448.<br />

Il Fallimento 3/2013 309


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

fetto preclusivo copre anche la revocabilità della<br />

garanzia, che non può più essere fatta valere, come<br />

si legge nella sentenza in esame e come è stato affermato<br />

anche in passato dalla giurisprudenza (3).<br />

Il secondo principio, invece, è indirettamente ricavabile<br />

dai passi della motivazione nei quali è stata<br />

respinta l’idea di <strong>un</strong>a radicale inesistenza giuridica<br />

del provvedimento di ammissione al passivo della<br />

garanzia per debiti altrui.<br />

Qui il richiamo è ai cc.dd. ‘‘provvedimenti anomali’’<br />

del giudice delegato, che è <strong>un</strong>a fattispecie che ricorre<br />

ogniqualvolta l’organo concorsuale abbia<br />

emesso provvedimenti che non appartengono ai tipi<br />

consentiti dalla legge fallimentare, ovvero si sia<br />

pron<strong>un</strong>ciato su materie riservate alla competenza di<br />

<strong>un</strong> altro organo, ovvero ancora abbia emesso provvedimenti<br />

nei confronti di soggetti diversi da quelli<br />

verso i quali avrebbero potuto essere pron<strong>un</strong>ciati<br />

(4).<br />

Secondo la giurisprudenza, che si è espressa prevalentemente<br />

sui cc.dd. ‘‘decreti di acquisizione’’, tali<br />

provvedimenti sono abnormi e giuridicamente inesistenti<br />

per carenza assoluta di potere in capo all’organo<br />

emanante e la loro invalidità può essere fatta<br />

valere o con il reclamo ex art. 26 l.fall., o con <strong>un</strong>a<br />

apposita azione di accertamento, oppure anche in<br />

via incidentale nel corso di <strong>un</strong> processo (5), come<br />

è avvenuto nel caso in esame.<br />

Terzo ed ultimo principio, infine, è quello accennato<br />

in esordio in merito alle modalità di accertamento<br />

delle garanzie reali nelle procedure fallimentari<br />

relative ai terzi datori.<br />

Anche in questo caso la Cassazione ha richiamato<br />

<strong>un</strong> indirizzo pluridecennale, ossia quello secondo il<br />

quale il titolare del diritto di prelazione non può<br />

avvalersi del procedimento di verificazione di cui<br />

all’art. 52 l.fall., ma può solo soddisfarsi sul ricavato<br />

della vendita del beni gravati in sede di riparto (6);<br />

insegnamento, questo, che - come già accennato -<br />

ha trovato peraltro in dottrina ampio spazio di critica<br />

(7).<br />

4. L’appicazione dei principi in sentenza:<br />

osservazioni<br />

Applicando questi tre principi - almeno, così si legge<br />

in motivazione - la Suprema Corte è gi<strong>un</strong>ta alla<br />

conclusione riportata in massima, vale a dire che il<br />

giudicato endo-fallimentare preclude l’azione revocatoria<br />

anche qualora oggetto dell’ammissione al<br />

passivo sia <strong>un</strong>’ipoteca nei confronti del fallito quale<br />

terzo garante.<br />

Il p<strong>un</strong>to centrale della sentenza è quello nel quale<br />

la Corte, disattendendo la tesi sostenuta dal Curatore<br />

circa l’anomalia e la conseguente inesistenza<br />

giuridica del provvedimento di ammissione al passivo,<br />

afferma che esso sarebbe stato radicalmente<br />

inefficace relativamente all’ammissione del credito<br />

verso il terzo, ma non anche nella parte relativa al-<br />

Note:<br />

(3) In tal senso v. Cass. 4 settembre 2004, n. 17888, in Giust.<br />

civ., 2005, I, 2383.<br />

(4) V. E.F. Ricci, Lezioni sul fallimento, 1997, 307 e ss.; Id., Ancora<br />

sull’impugnazione dei decreti del giudice delegato, in questa<br />

Rivista, 1994, 909. V. inoltre in argomento C. Ferri, I provvedimenti<br />

del giudice delegato e l’art. 26 della legge fallimentare,<br />

Milano, 1986, 58 ss. e 107 ss.<br />

(5) Ex plurimis, v. Cass. 6 dicembre 2006, n. 26172, in Foro it.,<br />

Rep. 2006, voce Fallimento, n. 408; Cass. 14 luglio 1997, n.<br />

6353, in questa Rivista, 1998, 178; Cass. 20 giugno 1997, n.<br />

5557, ivi, 1998, 269; Cass. 17 giugno 1995, n. 6850, ivi, 1995,<br />

1215; Cass. 4 febbraio 1995, n. 1340, ivi, 1995, 1102; Cass. 2<br />

gennaio 1995, n. 2, ivi, 1995, 1092, ove ulteriori richiami fino alla<br />

pron<strong>un</strong>cia a Sezioni Unite di Cass. 9 aprile 1984, n. 2258, ivi,<br />

1984, 1201. Va precisato peraltro che, ad avviso di E.F. Ricci,<br />

Lezioni sul fallimento, cit., 289, nella legislazione ante-riforma i<br />

cc.dd. ‘‘decreti di acquisizione’’ erano sempre inefficaci, anche<br />

qualora non vi fossero rivendicazioni di diritti incompatibili con<br />

l’avocazione alla procedura. Per la disciplina successiva al<br />

D.Lgs. n. 5/2006 v. G. Lo Cascio, Sub art. 26, in A. Jorio (diretto<br />

da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006, 482; E. Righetti,<br />

Il Giudice delegato, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare<br />

riformato, Padova, 2007, 103. Da segnalare per l’approfondimento,<br />

inoltre, l’analisi della disciplina ante e post-riforma<br />

di L. Abete, Acquisizione del patrimonio e tutela dei diritti<br />

dei terzi, in M. Fabiani - A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti<br />

nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 93 e ss.<br />

(6) In tal senso v. Cass. 19 maggio 2009, n. 11545, in Foro it.,<br />

Rep. 2009, voce Fallimento, n. 416, Cass. 30 gennaio 2009, n.<br />

2429, in questa Rivista, 2009, 1402, con nota di M. Cataldo, Ipoteca<br />

iscritta sui beni del fallito a garanzia di crediti verso terzi;<br />

Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, in Foro it., 2001, I, 910, con<br />

nota di osservazioni di M. Fabiani; Cass. 22 settembre 2000, n.<br />

12549, in questa Rivista, 2001, 993, e così via fino a Cass. 8<br />

aprile 1965, n. 613, in Foro it., 1965, I, 1031. Contra, v. Trib. Milano<br />

18 ottobre 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 395.<br />

(7) In senso contrario alla soluzione della Suprema Corte S. Bonfatti,<br />

L’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in G. Ragusa<br />

Maggiore - C. Costa (diretto da), Le procedure concorsuali. Il<br />

fallimento, Trattato, vol. III, Torino, 1997, 194; M. Cataldo, Ipoteca<br />

iscritta su beni del fallito a garanzia di crediti verso terzi, cit.,<br />

1405 ss.; R. Danovi, La garanzia ipotecaria data dal fallito per debito<br />

altrui (insinuazione al passivo o domanda di intervento, onerosità<br />

o gratuità dell’atto), in questa Rivista, 1990, 61; M. Fabiani,<br />

L’esclusività del rito dell’accertamento del passivo, ivi, 913; Id.,<br />

Osservazioni a Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, in Foro it.,<br />

2001, I, 910; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2008,<br />

247; B. Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, inCommentario<br />

Scialoja-Branca, Legge fallimentare, Bologna - Roma, 1988,<br />

15; F. Lamanna, Tutela della nuda prelazione nel fallimento del<br />

terzo proprietario o datore, in questa Rivista, 1995, 995 ss.; M.<br />

Montanari, Della liquidazione dell’attivo, in G.U. Tedeschi (a cura<br />

di), Le procedure concorsuali Torino, 1996, I, 1049; L.A. Russo,<br />

La posizione dei non-creditori del fallito aventi titolo a partecipare<br />

all’esecuzione su beni acquisiti al fallimento, in questa Rivista,<br />

1989, 436. A sostegno della tesi dei Giudici di legittimità si vedano<br />

invece Bozza - Schiavon, L’accertamento dei crediti nel fallimento<br />

e le cause di prelazione, Milano, 1992, 284; Presti, Ipoteca<br />

per debito altrui e fallimento, Milano, 1992, 33.<br />

310 Il Fallimento 3/2013


la garanzia, e ciò perché il suo riconoscimento non<br />

sarebbe stato altro che <strong>un</strong>a anticipata verificazione<br />

di <strong>un</strong> diritto che avrebbe dovuto trovare com<strong>un</strong>que<br />

spazio in ambito concorsuale, sia pure in sede di riparto.<br />

La Corte, d<strong>un</strong>que, dapprima ha richiamato il principio<br />

della indisponibilità della verifica dei crediti<br />

per il terzo beneficiario della garanzia; dopodiché<br />

ha riconosciuto piena efficacia ad <strong>un</strong> provvedimento<br />

che, contrariamente a quel principio, aveva ammesso<br />

al passivo <strong>un</strong>’ipoteca vantata proprio per <strong>un</strong><br />

debito altrui, definendo quel provvedimento come<br />

frutto di ‘‘<strong>un</strong> indiscusso errore di diritto’’.<br />

Ad avviso di chi scrive, da queste affermazioni<br />

emerge <strong>un</strong>a contraddizione.<br />

Alla tesi secondo la quale l’accertamento del passivo<br />

non può mai ospitare le garanzie per debiti altrui,<br />

infatti, avrebbe dovuto sposarsi non già l’individuazione,<br />

nel caso di ammissione, di <strong>un</strong> mero errore<br />

di diritto, bensì il riconoscimento della più radicale<br />

anomalia ed inefficacia del provvedimento,<br />

in quanto viziato da eccesso di potere perché emesso<br />

nei confronti di <strong>un</strong> soggetto diverso da quelli<br />

verso i quali, secondo tale indirizzo, si possono dirigere<br />

le decisioni in sede di verifica (cioè solo i creditori<br />

del fallito).<br />

Si vuole dire, in altri termini, che se si sostiene che<br />

il provvedimento ammissivo della garanzia deve essere<br />

impugnato ex art. 98 ss. l.fall. e che la mancata<br />

impugnazione produce gli effetti preclusivi del giudicato<br />

endo-fallimentare, si deve anche riconoscere<br />

il potere del giudice della verifica di pron<strong>un</strong>ciarsi<br />

nel merito della pretesa, e tale riconoscimento presuppone<br />

a sua volta quello della possibilità, per il<br />

beneficiario della garanzia, di proporre l’istanza ai<br />

sensi dell’art. 93 l.fall.<br />

Per converso, teorizzando la non-assoggettabilità alla<br />

verifica di <strong>un</strong> simile diritto reale, si deve ammettere<br />

per forza di cose anche la carenza di potere del<br />

giudice della verifica sul p<strong>un</strong>to, quindi l’anormalità<br />

di <strong>un</strong> suo qualsiasi provvedimento diverso da <strong>un</strong>a<br />

declaratoria di inammissibilità e, in caso di decisione<br />

nel merito, la non-operatività del giudicato endo-fallimentare.<br />

Se si condividono queste argomentazioni, non si<br />

può non rilevare nella motivazione della Suprema<br />

Corte qualche incongruenza.<br />

Al di là di ciò, tuttavia, il decisum a mio parere è<br />

corretto.<br />

Se infatti è fuori discussione che l’ammissione al<br />

passivo del credito verso il terzo non abbia alc<strong>un</strong>a<br />

efficacia nel fallimento del garante, visto che quel<br />

credito non lo riguarda in alc<strong>un</strong> modo, è anche vero<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

che la garanzia invece interessa il fallito in pieno,<br />

perché grava su di <strong>un</strong> suo bene e deve essere prima<br />

o poi oggetto di accertamento da parte degli organi<br />

concorsuali quanto ad esistenza, validità, efficacia<br />

ed opponibilità (e con questo dimostro di aderire alla<br />

dottrina maggioritaria citata in precedenza).<br />

Il tutto, senza dimenticare che vi deve essere anche<br />

<strong>un</strong> vaglio da parte degli organi concorsuali del credito<br />

nei confronti del terzo, che, per limitarci a due<br />

facili esempi, potrebbe derivare da <strong>un</strong> titolo nullo<br />

(travolgendo la garanzia), ovvero potrebbe essere<br />

stato parzialmente soddisfatto in altra sede (il che<br />

inciderebbe, evidentemente, sull’entità del diritto a<br />

partecipare al riparto).<br />

Che tale verifica avvenga nel procedimento di accertamento<br />

del passivo o in sede di riparto, a mio<br />

parere, è del tutto indifferente; anzi, come è stato<br />

più volte sottolineato, sono molte più le ragioni sia<br />

giuridiche che pragmatiche che suggeriscono l’opport<strong>un</strong>ità<br />

di <strong>un</strong> accertamento in sede di verifica,<br />

piuttosto che nell’ambito dei riparti (8).<br />

Del resto, in entrambi i casi l’organo chiamato a<br />

pron<strong>un</strong>ciarsi è il giudice delegato, quindi la tesi della<br />

odierna decisione, secondo la quale l’ammissione<br />

della garanzia sarebbe lo stesso accertamento che<br />

avverrebbe in sede di riparto, ma con anticipazione<br />

alla fase della verifica, di per sé risulterebbe tutt’altro<br />

che fuori luogo.<br />

Per chiudere il paragrafo si deve ancora aggi<strong>un</strong>gere<br />

<strong>un</strong> dato di non trascurabile importanza.<br />

L’idea che il credito verso il terzo non possa essere<br />

insinuato al passivo, ma possa esserlo invece la garanzia<br />

in quanto relativa ad <strong>un</strong> bene facente parte<br />

del patrimonio fallimentare, sotto forma di ‘‘diritto<br />

a partecipare al riparto’’ sul (solo) ricavato della<br />

vendita del bene stesso, è stata recepita indirettamente<br />

anche dalla Suprema Corte in <strong>un</strong>a sentenza<br />

non troppo datata (9).<br />

La massima di quella decisione è la seguente: «in<br />

materia di fallimento, i titolari di diritti di prelazione<br />

su beni immobili compresi nel fallimento a garanzia<br />

di crediti vantati verso debitori diversi dal<br />

fallito non debbono né possono avvalersi del procedimento<br />

di verificazione e di formazione dello stato<br />

passivo; peraltro, poiché gli organi del fallimento<br />

devono verificare, in sede diversa dalla formazione<br />

del passivo, la garanzia ipotecaria in relazione alla<br />

Note:<br />

(8) Per <strong>un</strong>a disamina condivisibile ed esauriente di tali argomenti<br />

sia consentito rinviare a M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del<br />

fallito a garanzia di crediti verso terzi, cit.<br />

(9) V. Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, cit.<br />

Il Fallimento 3/2013 311


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

sua validità, attualità, opponibilità, non revocabilità,<br />

èlegittimo il decreto del giudice delegato che si<br />

limiti ad accertare il diritto del creditore ipotecario<br />

iscritto di soddisfare il suo credito sul solo ricavato<br />

della vendita dell’immobile gravato dell’ipoteca<br />

concessa in suo favore dal fallito».<br />

Con tale pron<strong>un</strong>cia i Giudici di legittimità hanno<br />

dichiarato la carenza di interesse ad agire in opposizione<br />

allo stato passivo in <strong>un</strong> caso nel quale il provvedimento<br />

di ammissione aveva ad oggetto <strong>un</strong>icamente<br />

il diritto del beneficiario della garanzia per<br />

debiti altrui a partecipare al riparto sul realizzo del<br />

bene ipotecato.<br />

Ciò è a dire, tornando al ragionamento svolto più<br />

sopra, che l’istanza di accertamento di quel diritto<br />

in sede di verifica doveva ritenersi ammissibile in<br />

linea di principio; e si vede pertanto, per concludere,<br />

che il fatto che la giurisprudenza della Cassazione<br />

fosse <strong>un</strong>animemente orientata nel senso della<br />

chiusura della strada dell’accertamento del passivo,<br />

non è poi corretto fino in fondo.<br />

5. Le garanzie reali per debiti altrui<br />

nel diritto fallimentare riformato<br />

Abbiamo già detto che la sentenza in commento è<br />

stata resa in <strong>un</strong>a procedura anteriore alla riforma<br />

della legge fallimentare del 2006 e che, di conseguenza,<br />

la Corte ha applicato i principi giurisprudenziali<br />

invalsi sotto la vecchia normativa.<br />

Ferma restando l’opinabilità di tali principi, è ora<br />

utile chiedersi se essi debbano o non debbano continuare<br />

a valere nelle procedure aperte dopo l’entrata<br />

in vigore della novella.<br />

Il p<strong>un</strong>to di partenza deve essere l’art. 52, secondo<br />

comma, l.fall.<br />

Nell’intervento riformatore la norma è stata modificata<br />

nel senso che «ogni credito, anche se m<strong>un</strong>ito<br />

di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo<br />

111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto<br />

reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere<br />

accertato secondo le norme stabilite dal Capo<br />

V, salvo diverse disposizioni della legge» (la versione<br />

precedente era «ogni credito, anche se m<strong>un</strong>ito<br />

di diritto di prelazione, deve essere accertato secondo<br />

le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni<br />

della legge»).<br />

In seguito, con il decreto ‘‘correttivo’’ n. 167/2007,<br />

all’art. 52 è stato aggi<strong>un</strong>to <strong>un</strong> terzo comma, il quale<br />

dispone analogamente - e quindi impone la verifica<br />

- anche per tutti i «crediti esentati dal divieto di<br />

cui all’articolo 51» (essenzialmente i crediti per finanziamenti<br />

fondiari, n.d.r.).<br />

Queste disposizioni evidenziano l’intenzione del legislatore<br />

di rafforzare ancora maggiormente, rispetto<br />

al testo originario della legge fallimentare, l’esclusività<br />

del rito dell’accertamento del passivo, assoggettandovi<br />

in modo indifferenziato tutte le pretese suscettibili<br />

di ripercuotersi sul patrimonio fallimentare,<br />

sotto forma di partecipazione ai riparti ovvero di<br />

sottrazione di beni per effetto di pretese di rivendicazione,<br />

restituzione o separazione.<br />

Che fosse questa l’intenzione del legislatore è difficilmente<br />

contestabile e d’altronde si riscontra anche<br />

in altre parti della legge fallimentare (si veda<br />

ad es. l’art. 72, quinto comma, l.fall., che consente<br />

la prosecuzione dell’azione di risoluzione contrattale<br />

promossa nei confronti del debitore inadempiente<br />

prima della dichiarazione di fallimento, ma soggi<strong>un</strong>ge<br />

che se essa contiene pretese restitutorie o risarcitorie<br />

ci si deve in ogni caso sottoporre al concorso<br />

formale), con le sole marginali eccezioni previste<br />

dagli artt. 87 bis (diritti reali o personali su beni<br />

mobili chiaramente riconoscibili), e 111, terzo<br />

comma, l.fall. (crediti prededucibili sorti in costanza<br />

di fallimento, liquidi, esigibili e non contestati<br />

per collocazione ed ammontare).<br />

Se questa è la ratio della modifica dell’art. 52 l.fall.,<br />

non si può che concentrare l’attenzione sul fatto<br />

che ora viene sottoposto a verifica, diversamente<br />

da quanto avveniva ante-riforma, «ogni diritto reale<br />

o personale, mobiliare o immobiliare».<br />

Tra i diritti reali, come tutti sanno, non vi sono solo<br />

i diritti reali di godimento, ma anche i diritti reali<br />

di garanzia; ed è altrettanto noto che i diritti reali<br />

di garanzia sono il pegno per i beni mobili e l’ipoteca<br />

per i beni immobili.<br />

Dalla lettura di questa disposizione dovrebbe d<strong>un</strong>que<br />

discendere de plano che con la riforma non vi è<br />

diritto reale che possa partecipare ai riparti senza<br />

essere stato previamente verificato (10), e ciò consentirebbe<br />

di concludere sic et simpliciter che la norma<br />

in esame ha risolto definitivamente ogni diatriba<br />

al riguardo, disponendo anche per i titolari delle<br />

garanzie reali per debiti altrui l’iter dell’accertamento<br />

del passivo, anziché l’intervento in sede di riparto.<br />

Al riguardo, tuttavia, la dottrina ha segnalato che<br />

l’art. 52, secondo comma, l.fall. male si coordina<br />

Nota:<br />

(10) Analogamente si veda F. Lamanna, Il nuovo procedimento<br />

di accertamento del passivo, Milano, 2006, 261 ss.; si tenga<br />

presente peraltro che l’Autore gi<strong>un</strong>geva alla stessa conclusione<br />

anche prima della riforma, facendo leva sul disposto dell’art. 51<br />

l.fall. oltreché dell’art. 52 l. fall.<br />

312 Il Fallimento 3/2013


con gli artt. 93, primo comma, 101, primo comma<br />

e 103, primo comma, l.fall., perché questi ultimi, in<br />

tema di procedimento di formazione dello stato passivo,<br />

menzionano esclusivamente le domande di restituzione<br />

e di rivendicazione, con ciò incoraggiando<br />

il convincimento che con la locuzione ‘‘diritto<br />

reale o personale’’, in contrapposizione al ‘‘credito’’<br />

verso il fallito, il legislatore abbia inteso riferirsi alle<br />

sole domande di rivendicazione o di restituzione,<br />

non anche ai diritti reali concessi dal fallito per debiti<br />

altrui (11).<br />

L’obiezione è sicuramente pertinente ma, a mio avviso,<br />

è preferibile opinare in senso contrario.<br />

Tra le due norme, infatti, vi è sicuramente <strong>un</strong> imperfetto<br />

coordinamento, ma qui l’alternativa è ritenere<br />

che la norma sostanziale dell’art. 52, secondo comma,<br />

l.fall. dica più di quello che scrive, ovvero che<br />

siano invece le norme di procedura (artt. 93, 101 e<br />

103 l.fall.), a dire meno di quello che vi si legge.<br />

Se si tiene presente la ratio della riforma dell’art. 52<br />

l.fall., come sopra individuata, a mio avviso è giocoforza<br />

propendere per la seconda opzione e ritenere<br />

che, là dove le norme procedurali parlano di ammissione<br />

al passivo di crediti ovvero di restituzione<br />

o rivendicazione di beni mobili e immobili, in realtà<br />

si riferiscono più ampiamente a tutte le istanze finalizzate<br />

a consentire al richiedente di partecipare<br />

ai riparti sui beni del fallito o a sottrarli al patrimonio<br />

fallimentare.<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Se si accetta questo ragionamento, la possibilità per<br />

il beneficiario della garanzia di sottoporsi alla verifica<br />

dei crediti discende de plano. Anzi, per essere più<br />

precisi, diventa addirittura <strong>un</strong>a necessità, con ciò<br />

che ne consegue in termini di obbligatorietà del rispetto<br />

del termine per le domande tempestive e tardive,<br />

al quale i creditori garantiti ‘‘istituzionali’’ dovranno<br />

fare l’abitudine, evitando di attendere i riparti<br />

come era d’uso nella precorsa disciplina, per<br />

non decadere dalla possibilità di concorrere nella distribuzione<br />

del ricavato della vendita dei beni gravati<br />

a causa della mancata sottoposizione del diritto al<br />

procedimento di cui agli artt. 93 e segg. l. fall.<br />

Se fosse stata davvero questa, infine, la vol<strong>un</strong>tas legis,<br />

non ci si potrebbe che trovare d’accordo con la scelta,<br />

che avrebbe reso giustizia alle ragioni svolte a<br />

più riprese dalla dottrina che non ha aderito, negli<br />

anni passati, all’orientamento della Corte di Cassazione<br />

sul p<strong>un</strong>to e che, come ho già detto, a parere<br />

mio devono essere integralmente condivise (12).<br />

Note:<br />

(11) Si veda M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del fallito a garanzia<br />

di crediti verso terzi, cit., 1406.<br />

(12) Per non appesantire lo scritto con la ripetizione di osservazioni<br />

già svolte da altri Autori, sia consentito rinviare nuovamente<br />

al contributo di M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del fallito<br />

a garanzia di crediti verso terzi, cit.<br />

Il Fallimento 3/2013 313


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Mario Porzio<br />

Professore Emerito di Diritto Bancario<br />

presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

Francesco Vella<br />

Professore Ordinario di Diritto Commerciale<br />

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Ferdinando Br<strong>un</strong>o<br />

Avvocato, Solicitor, LLM (LSE), Director, Responsabile Italian<br />

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Curatore<br />

Il curatore e la prova<br />

della simulazione<br />

Cassazione civile, Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965 - Pres. Plenteda - Rel. Ceccherini - P.M. Fimiani<br />

- Riano 74 S.r.l. c. Fallimento Azienda Agricola San Marcello<br />

Fallimento - Organi - Curatore - Erede del simulato alienante - Azione di simulazione - Prova - Esclusione della qualità di<br />

terzo<br />

(legge fallimentare art. 43; cod. civ. artt. 1417, 2722-2725)<br />

Il curatore del fallimento dell’erede del simulato alienante che chieda l’accertamento della simulazione dell’atto<br />

compiuto dal dante causa del fallito, agisce avvalendosi dei poteri di questo e non versa nella situazione dei<br />

creditori del simulato alienante né dei terzi, nel significato che questo termine ha nell’art. 1417 c.c., sicché è<br />

soggetto ai limiti della prova testimoniale derivanti dall’art. 2722 c.c.<br />

La Corte (omissis)<br />

Con il primo motivo di ricorso si censura per falsa applicazione<br />

dell’art. 1417 c.c. l’impugnata sentenza, nella<br />

parte in cui afferma che l’azione del curatore, per l’accertamento<br />

della simulazione delle vendite immobiliari stipulate<br />

con <strong>un</strong> terzo dalla madre del fallito, poi deceduta<br />

in costanza di fallimento, non sarebbe soggetta ai limiti<br />

dell’art. 1417 c.c., dovendosi il curatore considerare, in<br />

tale azione, come terzo.<br />

Sulla questione di diritto posta dal motivo deve registrarsi<br />

<strong>un</strong> lontano precedente di questa corte, contrario<br />

alla tesi della parte ricorrente. Si è ritenuto infatti, in<br />

quell’occasione, che, poiché il curatore non rappresenta<br />

né il fallito, né la massa dei creditori, ma è <strong>un</strong> organo<br />

pubblico che agisce per la realizzazione dei fini che sono<br />

propri del fallimento, egli deve essere considerato terzo,<br />

con le conseguenze che da tale qualità derivano in ordine<br />

ai mezzi di prova di cui può avvalersi (art. 1417 c.c.),<br />

quando agisce per far dichiarare la simulazione di atti<br />

posti in essere non solo dal fallito, ma anche dal dante<br />

causa di questi, i cui effetti, <strong>un</strong>a volta accettata l’eredità,<br />

si trasferiscono nel fallimento (Cass. 12 agosto 1963, n.<br />

2314).<br />

Il collegio ritiene tuttavia che la questione meriti <strong>un</strong>’attenta<br />

riconsiderazione, sia perché per alc<strong>un</strong>i profili quella<br />

conclusione non appare coerente con altri principi ripetutamente<br />

affermati dalla giurisprudenza di questa corte,<br />

e sia perché quella decisione sollevò alc<strong>un</strong>e critiche,<br />

da parte della dottrina più autorevole, che richiedono<br />

<strong>un</strong>a riflessione.<br />

Occorre muovere dalla ragione posta a fondamento della<br />

decisione in quel lontano precedente, vale a dire dalla<br />

considerazione che il curatore non rappresenta né il fallito,<br />

né la massa dei creditori, ma è <strong>un</strong> organo pubblico<br />

che agisce per la realizzazione dei fini che sono propri<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

del fallimento. Il principio è solidamente consolidato<br />

nella giurisprudenza della corte, ma il suo significato deve<br />

essere ulteriormente chiarito. Esso attiene alla legittimazione<br />

del curatore, che discende direttamente dalla l.<br />

fall., art. 43, per il quale nelle controversie, anche in<br />

corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito<br />

compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Come<br />

tale, la legittimazione processuale prescinde da ogni<br />

forma di rappresentanza, negoziale o figurata, ed è f<strong>un</strong>zionale<br />

alla realizzazione dei fini propri del fallimento. Si<br />

tratta tuttavia di legittimazione processuale, che non<br />

cancella la specificità delle azioni esercitate dal curatore,<br />

le quali sono definite in f<strong>un</strong>zione delle posizioni di diritto<br />

sostanziale di volta in volta protette. È, infatti, del pari<br />

risalente e consolidata la giurisprudenza di questa corte<br />

nel senso che il curatore fallimentare, pur svolgendo <strong>un</strong>a<br />

f<strong>un</strong>zione pubblicistica, svolge <strong>un</strong>’attività, certo distinta<br />

da quella del fallito e dei creditori, che si attua nel campo<br />

strettamente privatistico, ma da quelle condizionata,<br />

onde egli si pone, rispetto ai rapporti giuridici preesistenti,<br />

a volta, come terzo, e, a volta, come avente causa del<br />

fallito. E così, quando il curatore esercita <strong>un</strong> diritto proprio<br />

del fallimento, come avviene in relazione a negozi<br />

compiuti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento,<br />

è indubbiamente terzo, mentre quando esercita<br />

<strong>un</strong> diritto che egli ha trovato nel fallimento e nel quale<br />

è succeduto, non può essere considerato che avente causa<br />

del fallito (a partire almeno da Cass. 17 luglio 1962,<br />

n. 1903).<br />

Tal è l’ipotesi del curatore che spiega <strong>un</strong>’azione di recupero<br />

di <strong>un</strong> credito di spettanza del fallito, poiché egli,<br />

pur agendo nell’interesse della massa, è subentrato in <strong>un</strong><br />

rapporto giuridico preesistente e attua <strong>un</strong> diritto che il<br />

fallito avrebbe potuto far valere se non fosse intervenuta<br />

la sentenza dichiarativa di fallimento. E non si dubita<br />

Il Fallimento 3/2013 315


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

del fatto che, quando esercita <strong>un</strong>’azione rinvenuta nel<br />

patrimonio del fallito stesso, il curatore si pone nella sua<br />

stessa posizione sostanziale e processuale, nella posizione,<br />

cioè, che avrebbe avuto il fallito agendo in proprio al fine<br />

di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza<br />

già prima della dichiarazione di fallimento, e indipendentemente<br />

dal dissesto successivamente verificatosi.<br />

Da ciò si è tratta la conseguenza che, evocato in giudizio<br />

dal curatore, il terzo convenuto può a questi legittimamente<br />

opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre<br />

all’imprenditore fallito, comprese le prove documentali<br />

da questi provenienti, senza i limiti di cui all’art.<br />

2704 c.c. (Cass. 24 novembre 1998, n. 11904).<br />

Ai fini della decisione del caso di specie è pertanto essenziale<br />

stabilire se il curatore, facendo valere la simulazione<br />

di <strong>un</strong> atto compiuto dal dante causa dell’erede fallito,<br />

agisca utendo iuribus del fallito medesimo, rimanendo<br />

soggetto ai limiti, anche di prova, ai quali questo sarebbe<br />

andato incontro promovendo egli stesso l’azione;<br />

o invece a tutela della massa dei creditori, ma svolgendo<br />

<strong>un</strong>’azione che i creditori stessi avrebbero potuto svolgere<br />

se non fosse stato dichiarato il fallimento; o infine in<br />

forza di <strong>un</strong>’azione che nasce dal fallimento medesimo,<br />

come avviene ad esempio nel caso delle azioni revocatorie<br />

fallimentari.<br />

Come è stato efficacemente sottolineato dalla dottrina,<br />

nel regolamento della simulazione la legge opera <strong>un</strong>a<br />

precisa distinzione tra creditori e terzi, il cui significato<br />

andrebbe perduto se gli stessi creditori, in quanto tali,<br />

dovessero considerarsi terzi agli effetti dell’art. 1417 c.c.<br />

Creditori, legittimamente interessati a far accertare la simulazione,<br />

sono i creditori del simulato alienante, che<br />

vantano <strong>un</strong>a legittimazione non secondaria e subordinata<br />

(d<strong>un</strong>que surrogatoria), bensì primaria e indipendente,<br />

perché espressione del potere ad essi spettante iure proprio<br />

come autonomo mezzo di conservazione della garanzia<br />

patrimoniale. Di contro ad essi, nell’art. 1417 c.c.<br />

terzi non sono tutti gli estranei all’atto, che abbiano <strong>un</strong><br />

legittimo interesse a far accertare la simulazione, bensì<br />

esclusivamente coloro che fanno valere <strong>un</strong> diritto sul bene<br />

alienato, non meramente strumentale alla soddisfazione<br />

di <strong>un</strong> credito, ma diretto e incompatibile con gli effetti<br />

dell’atto simulato. Tal è il caso dell’avente causa<br />

dal simulato alienante, e tal è anche il caso dell’erede legittimario.<br />

I creditori dell’erede del simulato alienante non solo,<br />

d<strong>un</strong>que, nel senso dell’art. 1417 c.c. non sono creditori,<br />

ma non sono neppure terzi. Ciò nonostante, non si dubita<br />

che essi possano agire per far accertare la simulazione<br />

dell’atto compiuto dal dante causa del loro debitore; ciò<br />

possono fare, tuttavia non già in forza di <strong>un</strong> diritto che<br />

la legge riconosce in capo a loro autonomamente, come<br />

nel caso dei creditori del simulato alienante o dei terzi<br />

ex art. 1417 c.c., ai quali la legge consente la prova per<br />

testimoni senza limiti (art. 1417 c.c.), bensì con <strong>un</strong>’azione<br />

surrogatoria, tutelando il patrimonio del loro debitore<br />

nell’inerzia del titolare dell’azione, a norma dell’art.<br />

2900 c.c.; e in tale azione, conseguentemente, essi sono<br />

soggetti a tutti i limiti di prova stabili dall’art. 2722 c.c.<br />

La medesima azione, poi, può certamente proporre il cu-<br />

ratore fallimentare che tuttavia, non diversamente dai<br />

creditori dell’erede in bonis, agirebbe surrogandosi nei diritti<br />

del fallito, e non in forza di <strong>un</strong>a posizione di diritto<br />

sostanziale originariamente riconosciutagli dalle legge.<br />

L’azione in questione, infatti, non è di quelle che derivino<br />

dal fallimento, e per le quali la legge appresti strumenti<br />

particolari, diversi da quelli di cui disporrebbe l’erede<br />

in bonis. In particolare, non può assimilarsi <strong>un</strong>a tale<br />

azione - di natura, come s’è detto surrogatoria - a <strong>un</strong>’azione<br />

revocatoria, perché qui non si tratta di contrastare<br />

l’efficacia di <strong>un</strong> atto posto in essere dal fallito e che pregiudichi<br />

la garanzia patrimoniale dei creditori: a determinare<br />

tale pregiudizio è, al contrario, l’inerzia del titolare<br />

dell’azione, volontaria nel caso che questi sia in bonis, o<br />

derivante dalla l.fall., art. 42, nel caso di fallimento. È a<br />

tale inerzia che occorre supplire, e a tanto soccorre l’azione<br />

in esame, che ha d<strong>un</strong>que natura lato sensu surrogatoria.<br />

Il profilo pubblicistico della figura del curatore,<br />

pertanto, se rileva nel senso di riservare esclusivamente<br />

a lui, e nell’interesse della massa, l’azione altrimenti<br />

esperibile dall’erede del simulato alienante o dai suoi<br />

creditori, non ha alc<strong>un</strong>a incidenza sulla natura dell’azione,<br />

che si svolge utendo iuribus del fallito e con i limiti,<br />

anche sul piano probatorio a essa immanenti. Egli, pertanto,<br />

non può essere considerato terzo ai fini del regime<br />

della prova della simulazione. Solo qualora si facesse<br />

questione di lesione del diritto dell’erede legittimario,<br />

questi dovrebbe essere considerato terzo, nel senso dell’art.<br />

1417 c.c., e di ciò si avvantaggerebbe altresì il curatore<br />

del suo fallimento; ma né dalla sentenza né dagli<br />

scritti difensivi della parti risulta che sia mai stata adombrata<br />

<strong>un</strong>a tale lesione. Questa situazione, infine, non è<br />

influenzata dalla circostanza che l’azione di simulazione<br />

in capo all’erede preesista al suo fallimento, o vi pervenga<br />

dopo la dichiarazione di fallimento, a norma della l.<br />

fall., art. 42 cpv, posto che l’azione entra nel patrimonio<br />

del fallito con i suoi limiti intrinseci, che vincolano il<br />

curatore come il fallito stesso. La fondatezza di questo<br />

motivo, in conclusione, porta alla cassazione della sentenza,<br />

che si è attenuta all’opposto principio di diritto.<br />

Con il secondo motivo si censura per violazione degli<br />

artt. 2703 e 2704 nonché per violazione dell’art. 1346 e<br />

per vizi di motivazione l’impugnata sentenza, nella parte<br />

in cui esclude che le sottoscrizioni del preliminare fossero<br />

autenticate da notaio, e che il prezzo della vendita<br />

fosse determinabile.<br />

Il motivo è superato dall’accoglimento del motivo precedente.<br />

Il curatore, agendo in luogo del fallito, successore<br />

<strong>un</strong>iversale del simulato alienante, avrebbe dovuto disconoscere<br />

alla prima udienza utile la sottoscrizione del preliminare,<br />

e in mancanza di ciò l’autenticità della sottoscrizione<br />

deve ritenersi riconosciuta. Né poi la questione,<br />

che involge la prova della validità dell’atto pubblico<br />

di vendita, conserva qualche rilievo, <strong>un</strong>a volta accertato<br />

che l’onere della prova della simulazione grava interamente<br />

sul curatore.<br />

Per le stesse ragioni deve ritenersi assorbito il terzo motivo,<br />

con il quale si censura, per violazione o falsa applicazione<br />

dell’art. 345 c.p.c., comma 3, l’impugnata sentenza<br />

nella parte in cui dichiara inammissibile la produzione<br />

316 Il Fallimento 3/2013


in appello delle copie degli assegni circolari, allegati dalla<br />

parte a dimostrazione del pagamento avvenuto.<br />

L’esame delle questioni sollevate con il ricorso incidentale<br />

è riservato al giudice di rinvio, che nel decidere la<br />

causa, anche ai fini del regolamento delle spese di questo<br />

grado di giudizio, si <strong>un</strong>iformerà al seguente principio di<br />

diritto:<br />

il curatore del fallimento dell’erede del simulato alienan-<br />

te, che chieda l’accertamento della simulazione dell’atto<br />

compiuto dal dante causa del fallito, agisce avvalendosi<br />

dei poteri di questo, e non versa nella situazione dei creditori<br />

del simulato alienante né dei terzi, nel significato<br />

che questo termine ha nell’art. 1417 c.c., sicché è soggetto<br />

ai limiti della prova testimoniale derivanti dall’art.<br />

2722 c.c.<br />

(Omissis).<br />

Prova della simulazione: il curatore rappresenta il fallito?<br />

di Maria Costanza *<br />

L’Autore, ripreso sinteticamente il tema della disciplina della prova della simulazione secondo l’art. 1417<br />

c.c. e del suo significato, si interroga sulla posizione del curatore fallimentare, quale terzo rispetto all’atto simulato<br />

o quale rappresentante del fallito o dei creditori, per indicare che il meccanismo surrogatorio non è<br />

sempre sufficiente per negare al curatore l’utilizzo della prova orale e per pres<strong>un</strong>zioni.<br />

1. Premessa<br />

Nella sentenza in commento i Giudici del Supremo<br />

Collegio hanno, per loro espressa dichiarazione, disatteso<br />

il precedente orientamento seguito in tema<br />

di prova della simulazione, quando la domanda sia<br />

proposta dal curatore fallimentare.<br />

L’occasione è stata offerta da <strong>un</strong> contenzioso avviato<br />

dal curatore del fallimento di <strong>un</strong> imprenditore individuale.<br />

Ad essere impugnate per simulazione assoluta<br />

sono compravendite che il genitore del fallito<br />

aveva posto in essere per il tramite di mandatario, la<br />

sorella del fallito. Nella prospettiva del curatore le<br />

compravendite sarebbero state o prive di effetti, per<br />

simulazione, o suscettibili di revoca. Quest’ultima<br />

domanda non trova trattazione nella decisione del<br />

Supremo Collegio perché presso i Giudici del merito<br />

era stata dichiarata la inefficacia per simulazione.<br />

Come si diceva, il Supremo Collegio ha però ass<strong>un</strong>to<br />

<strong>un</strong>a decisione disallineata rispetto alle sue precedenti<br />

posizioni, avendo guardato alla disposizione<br />

dell’art. 1417 c.c. come regola che consente soltanto<br />

a soggetti diversi dagli autori dell’atto simulato e<br />

dai loro aventi causa a titolo successorio <strong>un</strong>iversale<br />

di avvalersi della prova testimoniale e delle pres<strong>un</strong>zioni,<br />

per dimostrare l’apparenza del negozio contestato.<br />

In mancanza della terzietà, la simulazione deve<br />

essere dimostrata attraverso la allegazione documentale,<br />

la cui mancanza preclude l’accoglimento<br />

della domanda.<br />

2. La prova della simulazione<br />

L’art. 1417 c.c. contiene <strong>un</strong>’espressa disciplina della<br />

prova della simulazione, dove è stato stabilito <strong>un</strong><br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

doppio regime, più rigoroso rispetto agli autori dell’atto<br />

simulato e più liberale allorché siano soggetti<br />

terzi ad avere interesse a dimostrare la simulazione;<br />

lo stesso regime agevolato vale quando alla prova<br />

della simulazione si accompagni lo scopo di far valere<br />

l’illiceità del contratto dissimulato.<br />

La spiegazione della scelta compiuta dal legislatore<br />

viene ricercata prevalentemente nel regime della<br />

prova dell’esistenza del contratto. Si traccia cioè<br />

<strong>un</strong>a sorta di identità fra il sistema della prova occorrente<br />

per la dimostrazione del contratto e quello<br />

della dimostrazione dell’apparenza dell’atto simulato<br />

a fronte della reale volontà delle parti. L’atto dissimulato,<br />

consista esso in <strong>un</strong> ‘‘patto’’ diretto ad<br />

escludere gli effetti del negozio simulato o a produrne<br />

di diversi, seguirebbe, per essere provato, le medesime<br />

regole stabilite negli artt. 2722 ss. c.c.<br />

Non vi sarebbe perciò nella disposizione dell’art.<br />

1417 c.c. l’espressione di <strong>un</strong>a regola eccezionale,<br />

bensì l’applicazione di canoni di ordine generale.<br />

La giustificazione così data al disposto dell’art. 1417<br />

c.c. risente però di <strong>un</strong>’ipotesi ricostruttiva della simulazione<br />

basata sul dualismo fra atto simulato e atto<br />

dissimulato. Il fenomeno simulatorio, invero,<br />

sembra risolversi in <strong>un</strong>a ontologica coesistenza di<br />

apparenza e realtà che l’atto simulato agglutina nel<br />

momento in cui ad esso si richiede di soggiacere, segnatamente<br />

rispetto alla forma, alla disciplina stabilita<br />

per la validità e l’efficacia dell’atto dissimulato.<br />

Le controdichiarazioni alle quali resterebbe affidata<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

Il Fallimento 3/2013 317


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

la manifestazione della vera volontà delle parti perdono<br />

in qualche misura il valore di contrarius actus<br />

per assumere il ruolo di strumento di definizione<br />

degli effetti propri del negozio simulato, voluto per<br />

dare luogo ad <strong>un</strong> equivoco che deve rimanere tale<br />

fino a quando del simulacro si abbia come tale rispetto.<br />

La regola della prova scritta si propone allora<br />

come prescrizione particolare, nella quale si restringe<br />

lo spettro dei mezzi di prova, peraltro limitatamente<br />

al caso in cui l’<strong>un</strong>o o l’altro degli autori<br />

dell’atto simulato voglia fare emergere la realtà. Le<br />

restrizioni all’impiego delle prove orali e delle pres<strong>un</strong>zioni<br />

possono cadere quando dietro alla simulazione<br />

vi sia pure <strong>un</strong>o scopo illecito o siano soggetti<br />

terzi ad avere interesse allo svelamento di rapporti<br />

che la simulazione cela. Ciò significa che l’oggetto<br />

della dimostrazione, più che l’esistenza di <strong>un</strong> negozio<br />

giuridico o di <strong>un</strong> contratto, sia l’esistenza di <strong>un</strong><br />

fatto rispetto al quale non vigono limitazioni circa i<br />

mezzi di prova. L’allentamento che spesso si scorge<br />

nella giurisprudenza sui limiti al ricorso alla prova<br />

orale quando la simulazione si configuri come interposizione<br />

fittizia apre anch’esso ad <strong>un</strong>a lettura dell’art.<br />

1417 c.c., quale regola particolare non esattamente<br />

riconducibile, nella sua ratio, alla disciplina<br />

della prova del contratto. Pure in questa evenienza<br />

il disegno di <strong>un</strong> accordo dissimulato e trilaterale si<br />

mostra lontana dalle morfologie della fattispecie, la<br />

quale in tanto può essere dimostrata con ogni mezzo<br />

probatorio in quanto si ponga a tema la fittizietà<br />

della posizione dell’interposto più che l’efficacia<br />

dell’atto nei confronti del reale suo destinatario, rispetto<br />

al quale dovrebbe tornare applicabile la regola<br />

dell’art. 1417 c.c., intesa quale norma dalla quale<br />

il catalogo dei mezzi di prova utilizzabile viene ridotto<br />

solo quando si debba dimostrare altro dalla<br />

mera apparenza dell’atto simulato.<br />

La disciplina della prova della simulazione, se trae<br />

senso dalle finalità per le quali si faccia valere la simulazione<br />

ovvero il disvelamento della realtà coperta<br />

dall’atto simulato, recupera la sua autonomia<br />

rispetto alla disciplina generale della prova documentale<br />

alla quale si ridà spazio quando, con il fenomeno<br />

simulatorio, si voglia dimostrare pure la<br />

modificazione di situazioni giuridiche determinate<br />

dall’atto dissimulato. Il diverso trattamento riservato<br />

agli autori dell’atto simulato e ai terzi in ordine<br />

alla prova della simulazione si annoda con il regime<br />

della prova dell’esistenza del contratto solo quando<br />

debba fornirsi dimostrazione dell’atto dissimulato<br />

quale regolamento di interessi realmente voluto<br />

dalle parti ed al quale si dà rilievo, ove ricorrano i<br />

requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 1414 c.c.<br />

3. Il fallimento e la prova della simulazione<br />

Le intersezioni tra fallimento e simulazione si rinvengono<br />

principalmente quando dal curatore del<br />

fallimento si ritenga che il fallito, prima della dichiarazione<br />

di insolvenza, abbia compiuto fittiziamente<br />

atti di disposizione del proprio patrimonio,<br />

onde sottrarli ai propri creditori concorsuali.<br />

L’intento di sottrarre ai propri creditori le dovute<br />

garanzie patrimoniali non ha sbocco esclusivo nella<br />

simulazione. Il trasferimento compiuto a titolo fiduciario<br />

realizza egualmente il risultato di allocare al<br />

di fuori del proprio patrimonio i beni che si vuole<br />

proteggere. La fiducia che connota il trasferimento<br />

implica <strong>un</strong>a effettiva determinazione verso il mutamento<br />

di titolarità formale, <strong>un</strong>a determinazione che<br />

diverge da quella tipica della simulazione in cui si<br />

darebbe luogo ad <strong>un</strong>a mera apparenza. A cospetto<br />

di <strong>un</strong> trasferimento fiduciario se esso si qualifica come<br />

rilevante solo inter partes i terzi non ricevono<br />

tutele se non mediante l’azione pauliana che presuppone<br />

<strong>un</strong> effettivo atto di disposizione. Quando<br />

l’atto di disposizione sia stato compiuto da <strong>un</strong> imprenditore<br />

poi dichiarato fallito, di nuovo è l’azione<br />

revocatoria a rappresentare il mezzo per correggere<br />

le distorsioni generate dal trasferimento.<br />

L’ipotesi simulatoria, invece, offre ai terzi tutela attraverso<br />

l’azione volta a scoprire <strong>un</strong>a realtà nascosta<br />

dall’atto simulato, sia esso <strong>un</strong> atto meramente apparente<br />

e dal quale non derivano mutamenti reali di<br />

consistenze patrimoniali o <strong>un</strong> atto che abbia causa<br />

non onerosa, così da essere suscettibile di revoca e<br />

quindi di inefficacia di fronte ai creditori dell’esponente.<br />

Che dell’azione avente ad oggetto domanda declaratoria<br />

della simulazione possa, nell’interesse dei<br />

creditori, avvalersi anche il curatore fallimentare è<br />

conseguenziale alle dinamiche proprie della ricostituzione<br />

delle garanzie patrimoniali ass<strong>un</strong>te dal fallito.<br />

La posizione che il curatore assume è connotata<br />

da interessi contrapposti a quelli che abbiano potuto<br />

riguardare il fallito, quale autore dell’atto simulato<br />

e quindi soggetto portatore di esigenze confliggenti<br />

con quelle dei suoi creditori. Il curatore si pone<br />

quindi in <strong>un</strong>a condizione diversa da quella del<br />

fallito autore del patto simulato. Il curatore alla<br />

stessa stregua dell’erede legittimario ha motivo di<br />

far accertare la simulazione in contrapposizione con<br />

gli interessi degli autori dell’atto simulato che dell’apparenza<br />

vorrebbero invece profittare.<br />

La terzietà rispetto alla vicenda simulatoria ha base<br />

proprio nella contrapposizione tra interesse all’emersione<br />

della realtà e interesse al mantenimento<br />

318 Il Fallimento 3/2013


dell’apparenza. L’intento simulatorio al quale gli<br />

autori dell’atto debbono restare fedeli si realizza nella<br />

conservazione di <strong>un</strong>a consapevole finzione. La<br />

volontà della finzione trova credito presso l’ordinamento,<br />

che non priva le parti della possibilità di<br />

porre in essere <strong>un</strong> atto nel quale la lex contractus risieda<br />

nel nascondimento. Il terzo rispetto al fenomeno<br />

simulatorio è colui che non ha partecipato a<br />

questo patto dell’occultamento della realtà, <strong>un</strong>a<br />

realtà che egli vuol far emergere. A differenza di colui<br />

che tradisse il patto simulatorio per pretendere<br />

che l’apparenza assuma corpo, il terzo è colui che<br />

della vicenda simulatoria richiede l’accertamento<br />

per fare emergere la realtà dissimulata. Terzo rispetto<br />

alla simulazione non è chi voglia giocare fra realtà<br />

ed apparenza per non togliere a questa rilevanza.<br />

Terzo è solo colui che all’apparenza nega qualsiasi<br />

consistenza giuridica per premiare solo la realtà. È<br />

questo il terzo che, volendo dimostrare la simulazione<br />

come fatto, può avvalersi di ogni mezzo di prova<br />

e d<strong>un</strong>que pure delle pres<strong>un</strong>zioni.<br />

Nella decisione in commento, al curatore fallimentare<br />

è stata negata la posizione di soggetto terzo,<br />

perché la simulazione investiva <strong>un</strong> atto posto in essere<br />

da soggetto diverso dal fallito e non finalizzato<br />

a sottrarre garanzie patrimoniali ai creditori di quest’ultimo.<br />

Il regime probatorio più ampio non sarebbe<br />

stato però fruibile da parte del curatore. Questi,<br />

avendo agito per l’accertamento di simulazione di<br />

atti di vendita compiuti dal genitore del fallito per<br />

il tramite di mandatario, pur volendo riportare nella<br />

massa fallimentare attiva la quota ereditaria di<br />

spettanza del fallito, si sarebbe posto non già quale<br />

rappresentante dell’interesse dei creditori concorsuali,<br />

bensì quale promotore di iniziativa concernente<br />

situazioni appartenenti al fallito, in quanto<br />

erede del genitore.<br />

La decisione resa dai giudici del Supremo Collegio<br />

lascia in ombra qualche aspetto dell’azione di accertamento<br />

della simulazione alla quale può accedere<br />

l’erede dell’autore dell’atto simulato. Si è già fatto<br />

cenno alla terzietà dell’erede legittimario che all’azione<br />

di simulazione faccia ricorso quale antecedente<br />

necessario per procedere all’esercizio dell’azione<br />

di riduzione. La qualità di legittimario oltre che di<br />

erede del simulato disponente genera il disallineamento<br />

tra l’interesse alla declaratoria di intervenuta<br />

simulazione e l’interesse al celamento della realtà<br />

dal quale proviene il presupposto per l’applicazione<br />

del più liberale regime della prova.<br />

Diversa è l’ipotesi in cui l’accertamento della simulazione<br />

sia richiesto dall’erede per dimostrare il patto<br />

simulatorio, in quanto successore a titolo <strong>un</strong>iver-<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

sale dell’autore della simulazione. La condizione di<br />

erede pone l’attore nella medesima posizione della<br />

parte autrice del patto simulatorio. Questa come il<br />

suo erede non legittimario, se vorrà dimostrare l’accordo<br />

dissimulato, dovrà fornire prova scritta.<br />

Secondo i giudici del Supremo Collegio, qualora<br />

non l’erede ma il curatore del suo fallimento agisca<br />

per la declaratoria di simulazione di atto compiuto<br />

dal dante causa del fallito, egualmente varranno le<br />

regole più restrittive in tema di prova stabilite dall’art.<br />

1417 c.c. Il curatore, quale sostituto del fallito,<br />

promuoverebbe in surroga di esso le azioni che<br />

gli appartengono. Il riportare nell’area della sostituzione<br />

surrogatoria la posizione del curatore rispetto<br />

alle azioni che appartengono al fallito comporta<br />

che la condizione di terzietà rispetto all’atto di cui<br />

si faccia accertare la simulazione compete al curatore<br />

esclusivamente se tale qualità spettava al fallito.<br />

L’affermazione ha - ad avviso di chi scrive - quale<br />

esito che il curatore del fallimento dell’autore di <strong>un</strong><br />

atto simulato, qualora intendesse fare accertare la<br />

circostanza, non agirà quale terzo, ma quale parte<br />

dell’accordo simulatorio e al curatore si dovranno<br />

applicare le restrizioni in materia di prova sancite<br />

dall’art. 1417 c.c.<br />

Qualora invece l’azione di simulazione potesse essere<br />

esercitata dal fallito, non quale autore diretto<br />

dell’atto simulato o quale erede del suo autore bensì<br />

in veste di legittimario, allora il curatore recupererebbe<br />

le prerogative di cui gode il terzo in relazione<br />

alla prova della simulazione.<br />

La conclusione alla quale sono pervenuti i giudici<br />

della Suprema Corte oltre a tacere della condizione<br />

del fallito erede legittimario, trascura due aspetti,<br />

l’<strong>un</strong>o di indole generale e concernente la specialità<br />

del regime della prova della simulazione, che finisce<br />

con lo scomparire nell’assorbimento dell’azione di<br />

simulazione nella surrogatoria, l’altro legato alla ratio<br />

dell’art. 1417 c.c. La norma, nel consentire l’utilizzo<br />

di ogni mezzo di prova per fare emergere la natura<br />

simulata dell’atto, ha riguardo ad <strong>un</strong> fatto e<br />

non ad <strong>un</strong> atto giuridico di cui si voglia dimostrare<br />

l’esistenza e l’effetto. La prova del fatto simulatorio<br />

non può soffrire limitazioni. Se tale fatto è ciò che<br />

al curatore fallimentare preme di dimostrare, ogni<br />

mezzo probatorio sarà a sua disposizione e questa<br />

possibilità non è soltanto <strong>un</strong>a agevolazione pratica<br />

offerta a coloro che non sarebbero in grado di procurarsi<br />

le controdichiarazioni, perché il fenomeno<br />

simulatorio non coincide né si risolve negli effetti<br />

dell’atto dissimulato.<br />

Il Fallimento 3/2013 319


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Opposizione allo stato passivo<br />

Ammissibilità e procedibilità<br />

dell’opposizione allo stato<br />

passivo<br />

Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804 - Pres. Fioretti - Rel. Ceccherini - P.M. Libertino<br />

(conf.) - Agrileasing s.p.a. c. Fallimento Idea Tissue s.p.a. Igiene Consumer & Catering<br />

Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione - Mancata produzione di copia del decreto opposto - Improcedibilità<br />

- Esclusione<br />

(legge fallimentare artt. 98, 99; cod. proc. civ. artt. 347, 348)<br />

Nel giudizio di reclamo avverso lo stato passivo del fallimento, il deposito della copia autentica del provvedimento<br />

impugnato, la cui mancata produzione <strong>un</strong>itamente all’atto oppositivo non è sancita a pena d’improcedibilità,<br />

può essere utilmente eseguito da tutte le parti e in qualsiasi momento, fino alla chiusura del contradditorio,<br />

trattandosi di documento indispensabile alla decisione.<br />

La Corte (omissis).<br />

3. Con il ricorso si den<strong>un</strong>cia la falsa applicazione dell’art.<br />

347 c.p.c. in relazione alla l. fall., artt. 97, 98 e 99.<br />

Si sostiene che la norma del codice di rito non è applicabile<br />

al procedimento di reclamo avverso lo stato passivo<br />

nel quale il credito della parte istante sia stato escluso.<br />

4. Il motivo è fondato. Questa corte ha già affermato il<br />

principio che, in tema di opposizione allo stato passivo<br />

del fallimento nel regime previsto dal D.Lgs. n. 169 del<br />

2007, la mancata produzione di copia autentica del<br />

provvedimento impugnato non costituisce causa di improcedibilità<br />

del giudizio, non trovando applicazione in<br />

materia la disciplina di cui all’art. 339 c.p.c. e segg., versandosi<br />

in <strong>un</strong> giudizio diverso da quello ordinario di cognizione<br />

e non potendo la predetta opposizione essere<br />

qualificata come <strong>un</strong> appello, pur avendo natura impugnatoria;<br />

inoltre, l. fall., art. 99, che indica il contenuto<br />

del ricorso, non fa riferimento alla predetta allegazione e<br />

l’<strong>un</strong>ico richiamo sul p<strong>un</strong>to concerne i documenti che la<br />

parte può discrezionalmente sottoporre al giudice (ord.<br />

22 febbraio 2012 n. 2677).<br />

Occorre tuttavia aggi<strong>un</strong>gere quanto segue:<br />

a) L’art. 347 c.p.c. esprime <strong>un</strong>’esigenza com<strong>un</strong>e a tutti i<br />

procedimenti di carattere impugnatorio, non potendosi<br />

configurare <strong>un</strong>a decisione del giudice che annulli o modifichi<br />

<strong>un</strong> provvedimento giudiziario senza averne conosciuto<br />

il contenuto in <strong>un</strong> documento che ne garantisca<br />

l’autenticità; sicché il precetto contenuto nella norma<br />

trova applicazione anche nel giudizio di reclamo avverso<br />

lo stato passivo del fallimento (ord. n. 2677 del 2012,<br />

cit.). b) Attualmente né l’art. 347 c.p.c. né l’art. 348<br />

c.p.c., nel testo riformato dalla L. 26 novembre 1990, n.<br />

353, art. 54 contemplano la sanzione dell’improcedibilità<br />

per il mancato deposito del provvedimento impugnato<br />

insieme all’atto d’appello, e il giudice dell’impugnazione<br />

decide nel merito, se in atti vi sia com<strong>un</strong>que <strong>un</strong>a<br />

copia autentica del provvedimento. c) La l. fall., art. 99,<br />

comma 2, n. 4, nel regime previsto dal D.Lgs. n. 169 del<br />

2007, laddove pone a carico del reclamante l’onere di<br />

indicare i documenti prodotti, a pena di decadenza, non<br />

si applica alla copia autentica del provvedimento impugnato,<br />

trattandosi di documento indispensabile alla decisione,<br />

e non potendo applicarsi in detto giudizio, improntato<br />

alle regole semplificate della trattazione camerale,<br />

regole più rigide di quelle dettate per l’appello, in<br />

cui il divieto di produrre nuovi documenti non opera<br />

laddove detti documenti siano ritenuti indispensabili alla<br />

decisione. d) La produzione della copia autentica del<br />

documento impugnato è pertanto consentita in qualsiasi<br />

momento, anche nel giudizio di rinvio, sino a quando il<br />

contraddittorio non sia chiuso.<br />

5. In conclusione il ricorso deve essere accolto, e il decreto<br />

impugnato deve essere cassato con rinvio della<br />

causa allo stesso trib<strong>un</strong>ale che, pron<strong>un</strong>ciandosi nuovamente<br />

sul reclamo, anche ai fini del regolamento delle<br />

spese del presente giudizio di legittimità, si atterrà al seguente<br />

principio di diritto: nel giudizio di reclamo avverso<br />

lo stato passivo del fallimento, il deposito della copia<br />

autentica del provvedimento impugnato, la cui omissione<br />

non è sancita a pena d’improcedibilità, può essere<br />

utilmente eseguito da qualsiasi parte e in qualsiasi momento,<br />

fino alla chiusura del contraddittorio.<br />

(omissis).<br />

320 Il Fallimento 3/2013


Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799 - Pres. Plenteda - Rel. Cultrera - P.M. Velardi<br />

(diff.) - Mara Immobiliare s.a.s. c. Fallimento Artecasa s.r.l. in liquidazione.<br />

Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione - Com<strong>un</strong>icazione del deposito dello stato passivo - Avviso di ricevimento<br />

della raccomandata - Onere del curatore - Mancanza - Conseguenze<br />

(legge fallimentare artt. 97, 98, 99; cod. proc. civ. art. 347)<br />

Grava sul curatore, che eccepisce la tardività dell’opposizione allo stato passivo, l’onere di produrre l’avviso di<br />

ricevimento della raccomandata, con la quale ha com<strong>un</strong>icato ai creditori l’esito del procedimento di verifica dei<br />

crediti (massima non ufficiale).<br />

La Corte (omissis).<br />

La ricorrente den<strong>un</strong>cia violazione della l. fall., artt. 98 e<br />

99, e pone la questione di diritto se sia onere della parte<br />

opponente dimostrare la tempestività della sua azione<br />

ovvero incomba sul curatore che la eccepisca l’onere di<br />

provarne la tardività. La problematica ha trovato soluzione<br />

nel precedente di questa Corte n. 17829/2005 secondo<br />

cui «A seguito della sentenza della Corte costituzionale<br />

n. 102 del 1986, che ha dichiarato l’illegittimità<br />

costituzionale della l. fall., art. 98, nella parte in cui stabilisce<br />

che il termine per l’opposizione allo stato passivo<br />

del fallimento decorre dalla data del suo deposito, detto<br />

termine decorre dal giorno della ricezione della lettera<br />

raccomandata con cui il curatore deve dare com<strong>un</strong>icazione<br />

dell’avvenuto deposito e l’onere di dimostrare il ricevimento<br />

della raccomandata, mediante la produzione<br />

del relativo avviso, grava sul curatore, avendo com<strong>un</strong>que<br />

il trib<strong>un</strong>ale, quale giudice dell’opposizione, il potere-dovere<br />

di acquisire d’ufficio il fascicolo fallimentare, allo<br />

scopo di accertare se esso sia allegato agli atti di detto fascicolo,<br />

in quanto ha il dovere di verificare pure d’ufficio<br />

l’esistenza di siffatto presupposto processuale, con la conseguenza<br />

che, qualora detto avviso non sia rinvenuto tra<br />

gli atti del fascicolo fallimentare, deve ritenersi tempestiva<br />

l’opposizione proposta entro l’anno dal deposito».<br />

L’en<strong>un</strong>ciato, al quale in piena condivisione s’intende in<br />

questa sede dare continuità, seppur espresso nel vigore<br />

del precedente regime fallimentare, non può ritenersi superato<br />

dalla riforma del procedimento d’opposizione allo<br />

stato passivo che, seppur interamente ridisegnato, nulla<br />

prevede in ordine al riparto dell’onere probatorio in parte<br />

qua. La sua indiscussa natura impugnatoria, che non<br />

lo equipara tuttavia tout court all’appello (cfr. Cass. n.<br />

4708/2011), sì che non ne mutua integralmente la disciplina,<br />

e segnatamente la previsione dell’art. 347 c.p.c. tipica<br />

dell’appello, non ha inciso sullo svolgimento della<br />

dialettica processuale tra le parti, che resta ispirata a quel<br />

principio della parità delle armi che la Cassazione ha posto<br />

a fondamento del richiamato approdo. Il riparto dell’onere<br />

probatorio resta pertanto regolato secondo la regola<br />

generale posta dall’art. 2697 c.c. che onera la parte<br />

che formula l’eccezione della prova del suo fondamento,<br />

vieppiù operante in fattispecie in cui, in ragione del<br />

principio della cosiddetta riferibilità della prova, anche<br />

detto della ‘‘vicinanza o prossimità della prova’’ che<br />

esprime il criterio di ripartizione basato sulla concreta<br />

possibilità per l’<strong>un</strong>o o l’altro soggetto di fornire prova<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

dei fatti che ricadono nelle rispettive sfere di azione (cfr.<br />

su tale principio Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass.<br />

21 giugno 2004, n. 11488), il curatore dispone dell’avviso<br />

di ricezione della com<strong>un</strong>icazione di deposito dello stato<br />

passivo, che ne documenta altresì la data.<br />

Questi per l’effetto ha l’onere di versarlo in atti al fine<br />

di fugare i dubbi da lui sottoposti al giudice dell’opposizione<br />

circa il rispetto del termine per l’introduzione del<br />

procedimento. Il Trib<strong>un</strong>ale di Monza, in contrasto con<br />

questa esegesi, è incorso nel den<strong>un</strong>ciato errore di diritto<br />

per aver fatto malgoverno del regime in materia di distribuzione<br />

dell’onere probatorio, onerando non già il curatore<br />

fallimentare che aveva dedotto l’eccezione di tardività<br />

dell’opposizione della relativa prova, di cui aveva la<br />

disponibilità, bensì l’opponente che, assolvendo correttamente<br />

al proprio onere probatorio, aveva allegato, la<br />

produzione della copia della busta contenente la com<strong>un</strong>icazione<br />

inviatagli dal curatore fallimentare.<br />

Alla luce di queste considerazioni, il ricorso merita accoglimento<br />

ed il decreto impugnato deve essere cassato<br />

con rinvio al Trib<strong>un</strong>ale di Monza per l’esame del merito,<br />

che provvederà anche alla regolamentazione delle spese<br />

del presente giudizio.<br />

(omissis).<br />

Il Fallimento 3/2013 321


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Evoluzioni (e involuzioni) della giurisprudenza<br />

sull’opposizione allo stato passivo<br />

di Gianpaolo Impagnatiello *<br />

Nonostante le riforme della legge fallimentare del 2006-2007, il giudizio di opposizione allo stato passivo<br />

continua a porre all’interprete dubbi di natura processuale, che derivano in parte dalla essenzialità della sua<br />

disciplina positiva e, per <strong>un</strong>’altra parte, dalla difficoltà di definire i limiti dell’analogia con il giudizio d’appello.<br />

Le coeve pron<strong>un</strong>zie in commento si occupano, rispettivamente, degli effetti della mancata produzione in copia<br />

autentica del provvedimento impugnato e dei criteri per ripartire tra creditore opponente e curatore l’onere<br />

probatorio della tardività dell’opposizione; ma, mentre la seconda questione, nonostante alc<strong>un</strong>e incertezze<br />

nel percorso motivazionale seguito dalla Cassazione, può dirsi risolta in maniera soddisfacente, la prima<br />

è destinata a fare ancora discutere.<br />

1. Premessa<br />

Le sentenze in epigrafe si segnalano perché sono<br />

manifestazione di quella ars distinguendi che, ormai<br />

da anni, la giurisprudenza esercita nella definizione<br />

dei rapporti tra opposizione allo stato passivo e giudizio<br />

di appello. Se la natura impugnatoria dell’opposizione<br />

è ormai largamente riconosciuta tanto<br />

dalla giurisprudenza (1), quanto dalla dottrina (2),<br />

meno chiaro è il limite entro il quale la disciplina<br />

del giudizio di opposizione, che era decisamente lac<strong>un</strong>osa<br />

prima delle riforme della legge fallimentare<br />

del 2006-2007 e continua a esserlo anche dopo,<br />

può essere integrata mediante l’applicazione delle<br />

regole codicistiche in tema di appello. Certo, delineando<br />

in modo più preciso il ruolo del giudice e<br />

del curatore nell’intera procedura fallimentare,<br />

chiarendo la natura giurisdizionale della verifica del<br />

passivo da parte del giudice delegato e sopprimendo<br />

l’appello avverso il decreto che decide l’opposizione,<br />

le riforme hanno contribuito a risolvere alc<strong>un</strong>i<br />

dei nodi problematici che in passato impegnavano<br />

l’interprete (3). Ne restano però sul tappeto molti<br />

altri, nell’affrontare i quali il filo che lega opposizione<br />

e appello si all<strong>un</strong>ga o si accorcia a seconda dei<br />

p<strong>un</strong>ti di vista e delle opzioni in campo. Entrambe<br />

le decisioni qui annotate si collocano perfettamente<br />

in questo solco: pur rifiutando in apicibus l’equiparazione<br />

tra opposizione e appello, la Corte ha risolto<br />

le questioni al suo esame mediante lo strumentario<br />

tipico del giudice del gravame, adottando soluzioni<br />

che, benché pensate per il giudizio di opposizione,<br />

appaiono perfettamente adattabili anche a quello<br />

d’appello.<br />

2. La produzione della copia autentica<br />

del decreto opposto<br />

Con la prima sentenza, la Suprema Corte ha cassato<br />

<strong>un</strong> decreto che aveva dichiarato improcedibile<br />

l’opposizione a causa della mancata produzione della<br />

copia del provvedimento impugnato. I giudici di<br />

legittimità avrebbero potuto decidere il ricorso sem-<br />

Note:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

(1) Cfr. Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708, in Giust. civ., 2011, I,<br />

1465; Cass. 22 ottobre 2007, n. 22108; Cass. 1 ottobre 2007, n.<br />

20622, in Dir. fallim., 2009, II, 181, la quale, pur riconoscendo il<br />

carattere impugnatorio dell’opposizione, esclude che da ciò derivi<br />

l’automatica applicazione delle norme che disciplinano il giudizio<br />

di appello, e segnatamente dell’art. 345 c.p.c.; Cass. 30 settembre<br />

2004, n. 19605; Cass. 28 maggio 2003, n. 8472. In senso<br />

contrario, Cass. 11 settembre 2009, n. 19697, in Foro it.,<br />

2010, I, 463, con nota di M. Fabiani, Accertamento del passivo<br />

fallimentare e riforme processuali, che propende decisamente<br />

per la tesi della natura prosecutoria e non impugnatoria dell’opposizione.<br />

(2) Con <strong>un</strong>a certa qual varietà di toni, v. Cavallini, Formazione ed<br />

impugnazione dello stato passivo: poteri processuali del creditore,<br />

in questa Rivista, 2009, 709; Canale, La formazione dello stato<br />

passivo, inLa riforma della legge fallimentare, a cura di Ambrosini,<br />

Bologna, 2006, 200; Cavalli-Ambrosini-Jorio, Il fallimento,<br />

inTrattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova,<br />

2009, 582, in nota; Scarselli-Bertacchini-Gualandi-S.Pacchi-<br />

G.Pacchi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 294 ss.;<br />

Pagni, L’accertamento del passivo nella riforma della legge fallimentare,<br />

inForo it., 2006, V, 191 ss.; Guglielmucci, Diritto fallimentare,<br />

Torino, II ed., 2007, 220 ss.; M. Fabiani, Impugnazioni<br />

dello stato passivo, raccordo col procedimento sommario e preclusioni,<br />

inForo it., 2008, I, 633; Zoppellari, in La legge fallimentare,<br />

a cura di Ferro, Padova, 2007, 706; Impagnatiello, L’accertamento<br />

del passivo, inManuale di diritto fallimentare e delle<br />

procedure concorsuali, a cura di Trisorio Liuzzi, Milano, 2011,<br />

214; Asprella, in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano,<br />

2006, 445; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare,<br />

Padova, 2006, 404; Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare,<br />

Milano, 2008, 536. In senso diverso, v. Farina, Preclusioni<br />

e decadenze in sede di impugnazioni a stato passivo, in<br />

questa Rivista, 2008, 676; Plenteda, Profili processuali del fallimento<br />

dopo la riforma, Milano, 2008, 218.<br />

(3) Si pensi, per fare solo due esempi, al problema dell’autorizzazione<br />

a stare in giudizio data al curatore dal giudice delegato,<br />

della quale il nuovo l’art. 31, comma 2, l.fall. esclude la necessità<br />

«nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice<br />

delegato», e all’incompatibilità del giudice delegato con le f<strong>un</strong>zioni<br />

di componente del collegio giudicante sulle impugnazioni<br />

dello stato passivo, oggi espressamente riconosciuta dall’art.<br />

99, comma 10, l.fall.<br />

322 Il Fallimento 3/2013


plicemente richiamando il principio, en<strong>un</strong>ciato<br />

qualche mese prima (4), secondo cui la mancata<br />

produzione in copia autentica del decreto del giudice<br />

delegato dichiarativo dell’esecutività dello stato<br />

passivo non è motivo d’improcedibilità dell’opposizione;<br />

invece, hanno colto l’occasione per indulgere<br />

ad alc<strong>un</strong>e p<strong>un</strong>tualizzazioni. La Corte ha infatti<br />

affermato che: a) la produzione della copia autentica<br />

del provvedimento impugnato, prevista dall’art.<br />

347 c.p.c., risponde a <strong>un</strong>’esigenza com<strong>un</strong>e a tutti i<br />

procedimenti di carattere impugnatorio; b) gli artt.<br />

347 e 348 c.p.c. non sanzionano con l’improcedibilità<br />

il mancato deposito del provvedimento impugnato;<br />

c) il giudice è tenuto a decidere nel merito<br />

l’impugnazione ogni qual volta agli atti vi sia com<strong>un</strong>que<br />

<strong>un</strong>a copia autentica del provvedimento, la<br />

quale può d<strong>un</strong>que essere prodotta in qualsiasi momento,<br />

persino nel giudizio di rinvio, finché il contraddittorio<br />

non sia definitivamente chiuso; d) l’art.<br />

99, comma 2, n. 4, l.fall., riferendosi ai documenti<br />

che possono essere prodotti insieme col ricorso in<br />

opposizione, non si applica alla copia autentica del<br />

provvedimento impugnato, la quale è essenziale alla<br />

decisione.<br />

Come appare chiaro, queste en<strong>un</strong>ciazioni temprano<br />

<strong>un</strong>a compiuta disciplina dell’onere di produzione<br />

del provvedimento impugnato nel giudizio di opposizione<br />

allo stato passivo. Sarebbe perciò facile cogliervi<br />

<strong>un</strong> (comprensibilissimo, beninteso) intento<br />

‘‘nomofilattico’’. Non credo però che l’obiettivo dei<br />

giudici di legittimità fosse solo questo. Traspare<br />

piuttosto il proposito di ridimensionare la portata<br />

dei principi en<strong>un</strong>ciati dalla precedente Cass. 2677/<br />

2012 - pure richiamata a sostegno della soluzione<br />

contraria alla sanzione dell’improcedibilità - la quale<br />

aveva fondato la decisione su argomenti non poco<br />

diversi.<br />

In particolare, il dissenso è nella f<strong>un</strong>zione attribuita<br />

al precetto dell’art. 347, comma 2, c.p.c., il quale,<br />

benché dettato per il giudizio d’appello, è - lo riconosce<br />

la stessa Corte - applicabile anche in sede di<br />

opposizione allo stato passivo. Secondo Cass. 2677/<br />

2012, tale disposizione «ha come scopo solo la possibilità<br />

dell’esame di detto provvedimento [quello<br />

impugnato, ndr.] da parte del giudice dell’appello»,<br />

con la conseguenza che il giudice deve decidere nel<br />

merito ogni qual volta negli atti si rinvenga <strong>un</strong>a copia<br />

del provvedimento impugnato oppure esso sia<br />

in qualche altro modo conoscibile. Si tratta, è forse<br />

utile notarlo, di <strong>un</strong>’affermazione coerente con gli<br />

approdi della giurisprudenza di legittimità in tema<br />

di appello (5), la quale è solita ritenere, da <strong>un</strong>a parte,<br />

che nel silenzio degli artt. 347 e 348 c.p.c. la<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

mancata produzione in copia autentica della sentenza<br />

impugnata non sia in alc<strong>un</strong> caso sanzionabile<br />

con l’improcedibilità (6) e, dall’altra, che il giudice<br />

d’appello abbia il potere-dovere di desumere la conoscenza<br />

della sentenza dal complesso delle risultanze<br />

processuali: debba, cioè, prendere in considerazione<br />

non soltanto eventuali copie non autentiche<br />

della sentenza (purché la loro conformità all’originale<br />

non sia contestata) (7), ma anche la trascrizione<br />

della sentenza riportata nell’atto di appello<br />

(8) e, più in generale, qual<strong>un</strong>que altra fonte di<br />

conoscenza del contenuto della decisione (9). Non<br />

a caso, la citata Cass. 2677/2012 ha ritenuto che,<br />

nella fattispecie, l’esigenza di conoscenza del provvedimento<br />

da parte del giudice ad quem fosse soddisfatta<br />

dalla testuale trascrizione nel ricorso in opposizione<br />

del provvedimento del giudice delegato, così<br />

come tratto dalla com<strong>un</strong>icazione del curatore.<br />

Orbene, nella sentenza in epigrafe si leggono affermazioni<br />

di tutt’altro tenore, che ruotano attorno all’imprescindibile<br />

necessità che al momento della<br />

decisione risulti agli atti la copia autentica del<br />

provvedimento impugnato: non importa chi l’abbia<br />

prodotta e quando, ma quel che conta è che la copia<br />

autentica del decreto del giudice delegato, che<br />

ha dichiarato l’esecutività dello stato passivo, sia<br />

nel fascicolo quando la causa viene trattenuta in<br />

decisione. A differenza dei precedenti testé richiamati<br />

(e dello stesso art. 347 c.p.c., che non pretende<br />

affatto l’autenticità della copia), la Corte ne fa<br />

<strong>un</strong>a questione di attendibilità della fonte di conoscenza<br />

del provvedimento, la quale può essere assicurata<br />

solo da «<strong>un</strong> documento che ne garantisca<br />

l’autenticità»: con esclusione, d<strong>un</strong>que, di qualsiasi<br />

equipollente e di qual<strong>un</strong>que fonte indiretta di co-<br />

Note:<br />

(4) Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677.<br />

(5) Difatti, Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677, riporta in motivazione<br />

la massima di Cass. 14 aprile 2005, n. 7746.<br />

(6) Cass. 3 agosto 2004, n. 14869; Cass. 7 maggio 2003, n.<br />

6936, in Foro it., 2003, I, 2509, non osservazioni di C.M. Barone,<br />

e in Giur. it., 2003, 2241, con nota di Caporusso, Sulla decisione<br />

dell’appello nel caso di mancanza in atti della sentenza appellata.<br />

Secondo Cass. 16 maggio 2007, n. 11289, l’improcedibilità<br />

può essere dichiarata solo qualora il giudice ritenga la sentenza<br />

indispensabile ai fini dell’esame del merito dell’impugnazione.<br />

(7) Cass. 26 gennaio 1999, n. 696, in Giur. it., 2000, 64, con nota<br />

di Ronco, App<strong>un</strong>ti sparsi in tema di mancato deposito della<br />

sentenza appellata, di improcedibilità dell’appello e di correlazione<br />

tra forma e regime di impugnazione dei provvedimenti decisori;<br />

Cass. 22 maggio 1998, n. 5136; Cass. 8 febbraio 1996, n.<br />

1008; Cass. 5 giugno 1993, n. 6318.<br />

(8) Cass. 28 gennaio 2009, n. 2171.<br />

(9) Cass. 14 aprile 2005, n. 7746.<br />

Il Fallimento 3/2013 323


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

noscenza. Ne deriva che la sanzione dell’improcedibilità,<br />

benché non colpisca la mancata produzione<br />

ab initio della copia autentica, la quale può essere<br />

sanata in qualsiasi momento anteriore alla chiusura<br />

del contraddittorio, non è scongiurata del tutto: essendo<br />

la copia autentica indispensabile per la decisione,<br />

la sua mancata produzione per l’intero corso<br />

del giudizio di opposizione è in qualche modo ostativa<br />

alla decisione stessa. Per la verità, la Corte non<br />

ci ha detto cosa accada in tale eventualità, ma dall’affermazione<br />

che «il giudice dell’impugnazione decide<br />

nel merito, se in atti vi sia com<strong>un</strong>que <strong>un</strong>a copia<br />

autentica del provvedimento» è del tutto logico<br />

inferire che, in caso contrario, la decisione non sia<br />

possibile e si vada incontro a <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>zia di absolutio<br />

ab instantia.<br />

Ne dedurrei che la soluzione affermata dalla Corte<br />

è appagante solo in apparenza, vuoi perché genera<br />

<strong>un</strong> contrasto strisciante - ma non per questo meno<br />

netto - con la precedente Cass. 2677/2012, vuoi<br />

perché introduce nel giudizio di opposizione allo<br />

stato passivo <strong>un</strong> regime persino più rigoroso di quello<br />

che si osserva in sede di appello, vuoi, infine,<br />

perché rischia di provocare <strong>un</strong> ripensamento dell’approccio<br />

meritoriamente antiformalista che la<br />

giurisprudenza di legittimità ha finora ass<strong>un</strong>to nell’applicazione<br />

degli artt. 347 e 348 c.p.c. È perciò<br />

auspicabile che le sezioni <strong>un</strong>ite siano quanto prima<br />

investite della questione e, se possibile, diano continuità<br />

all’indirizzo che non ritiene affatto indispensabile<br />

la produzione nel giudizio di opposizione della<br />

copia autentica del decreto impugnato.<br />

3. L’onere della prova della tardività<br />

dell’opposizione<br />

La seconda sentenza in epigrafe si occupa invece<br />

del problema della ripartizione dell’onere della prova<br />

in tema di tempestività dell’opposizione: spetta<br />

all’opponente dimostrare che il ricorso è stato depositato<br />

nei trenta giorni dalla com<strong>un</strong>icazione del<br />

decreto del giudice delegato che ha dichiarato esecutivo<br />

lo stato passivo oppure al curatore, che eccepisce<br />

la tardività dell’opposizione, produrre l’avviso<br />

di ricevimento della raccomandata di cui all’art. 97<br />

l.fall.? La Suprema Corte non ha esitato a seguire il<br />

secondo corno dell’alternativa, dando continuità al<br />

proprio indirizzo interpretativo precedente alle riforme<br />

della legge fallimentare del 2006-2007 (10) e<br />

affermando che l’onere della prova si distribuisce in<br />

subiecta materia secondo la regola generale dell’art.<br />

2697 c.c.: ciò sia alla luce della dichiarazione d’incostituzionalità<br />

dell’art. 98 l.fall. a opera di Corte<br />

cost. n. 102/1986, la quale ha stabilito che il termine<br />

per l’opposizione decorre dalla ricezione della<br />

raccomandata con cui il curatore avvisa i creditori<br />

dell’esito del procedimento di accertamento, sia in<br />

base al c.d. principio di prossimità della prova, secondo<br />

cui ciasc<strong>un</strong>a parte (nella specie il curatore,<br />

che dispone dell’avviso di ricevimento della raccomandata)<br />

è tenuta a provare i fatti che ricadono<br />

nella propria sfera d’azione.<br />

La soluzione è ineccepibile, per quanto, ragionando<br />

con rigore, si debba escludere che qui c’entri qualcosa<br />

il precetto dell’art. 2697 c.c. La violazione del<br />

termine per impugnare non rappresenta certo <strong>un</strong><br />

‘‘fatto’’ costitutivo del diritto sostanziale, né <strong>un</strong><br />

‘‘fatto’’ impeditivo, modificativo o estintivo del medesimo,<br />

bensì <strong>un</strong> fatto processuale, il cui solo effetto<br />

consiste nell’estinguere il potere d’impugnazione.<br />

Si tratta, cioè, di <strong>un</strong> presupposto processuale (negativo),<br />

che nulla ha a che vedere col merito e alla<br />

cui prova la regola dell’art. 2697 c.c., che si riferisce<br />

inequivocabilmente ai fatti che costituiscono il fondamento<br />

della domanda o dell’eccezione, non si<br />

può applicare (11), se non in modo indiretto e con<br />

<strong>un</strong>a generosa, anzi generosissima (12), dose di analogia.<br />

Come dicevo, però, questo non significa che la<br />

conclusione attinta dalla Corte non sia corretta.<br />

Gli è che il suo fondamento è rappresentato non<br />

tanto dall’art. 2697 c.c., quanto piuttosto da <strong>un</strong> duplice<br />

ordine di considerazioni, il primo di carattere<br />

formale, il secondo pratico.<br />

Sotto <strong>un</strong> primo profilo, i presupposti processuali -<br />

qual è, come si è detto, la tempestività dell’impugnazione<br />

- assumono rilevanza non tanto in positivo,<br />

quanto in negativo, ossia quando mancano. Essi,<br />

cioè, non entrano automaticamente nel thema<br />

decidendum, sicché, se non sono controversi, non de-<br />

Note:<br />

(10) Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, richiamata in motivazione,<br />

che leggesi in questa Rivista, 2006, 931, con nota adesiva<br />

di Badini Confalonieri, L’onere di dimostrare la tempestività dell’impugnazione:<br />

<strong>un</strong> insegnamento valido anche a seguito della<br />

recente riforma della legge fallimentare.<br />

(11) Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli,<br />

1974, 158 s. e 394. Nel senso che per la prova dei presupposti<br />

processuali non valgano le regole legali sull’onere della prova, v.<br />

anche Redenti, Diritto processuale civile, a cura di Vellani, II, IV<br />

ed., Milano, 1997, 47; Luiso, Il processo del lavoro, Torino,<br />

1992, 144.<br />

(12) Osserva Verde, L’onere della prova, cit., 159, che, allorché<br />

nel campo delle fattispecie processuali ci è richiamati analogicamente<br />

all’art. 2697 c.c., «non ci si è resi conto che, mancando<br />

la norma di riferimento da applicare, il ricorso all’analogia costituisce<br />

<strong>un</strong> mero espediente verbale per rappresentare l’esigenza<br />

logica e razionale che è a base della disposizione stessa».<br />

324 Il Fallimento 3/2013


vono formare oggetto di <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>zia esplicita da<br />

parte del giudice, il quale ben può limitarsi a conoscere<br />

del merito dando per scontata la sussistenza di<br />

tutte le condizioni formali per farlo (13). Il p<strong>un</strong>to<br />

può dirsi pacifico tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza,<br />

le quali si domandano piuttosto - ma si<br />

tratta evidentemente di problema del tutto diverso<br />

- se la pron<strong>un</strong>zia implicita debba essere oggetto<br />

d’impugnazione per evitare che su di essa si formi il<br />

giudicato interno (14).<br />

Le cose cambiano quando sul presupposto processuale<br />

sorge <strong>un</strong>a questione (pregiudiziale di rito),<br />

vuoi per effetto dell’eccezione di parte, vuoi a seguito<br />

di rilievo ufficioso. Infatti, se il presupposto<br />

processuale è controverso, il giudice non potrà fare<br />

a meno di conoscere della questione e di deciderla,<br />

fondando il proprio convincimento sulle allegazioni<br />

e sugli elementi di prova fornitigli dalle parti.<br />

Per conseguenza, <strong>un</strong> problema di prova del presupposto<br />

processuale può porsi solo qualora se ne faccia<br />

questione; e solo in tal caso ci si dovrà preoccupare<br />

di stabilire quale delle parti sia gravata del relativo<br />

onere. Il problema, naturalmente, è suscettibile di<br />

diversa considerazione a seconda che la questione<br />

sia stata posta dal convenuto o sia stata sollevata<br />

d’ufficio, ma - possiamo anticiparlo - le conclusioni<br />

nei due casi divergono solo marginalmente.<br />

Nella prima eventualità (eccezione di parte), non<br />

può esservi alc<strong>un</strong> dubbio che della prova sia onerato<br />

l’eccipiente, vuoi perché, come si è detto, a dover<br />

essere provata non è la sussistenza delle condizioni<br />

formali per l’esame del merito, ma piuttosto la<br />

loro mancanza (15), vuoi perché, non essendo applicabile<br />

l’art. 2697 c.c., la distribuzione dell’onere<br />

della prova è inevitabilmente regolata «dal dato<br />

metagiuridico dell’interesse» (16), vuoi, infine, perché,<br />

essendo la carenza dei presupposti processuali<br />

rilevabile d’ufficio, l’eccezione di parte è irrilevante<br />

sia quando non è proposta, sia quando lo è: come<br />

la mancata eccezione non rende pacifico il presupposto,<br />

così l’eccezione non può produrre l’effetto di<br />

onerare della prova l’altra parte, restando inutilizzabile<br />

lo schema delineato dall’art. 115 c.p.c. a proposto<br />

dei fatti che costituiscono il fondamento della<br />

domanda o dell’eccezione di merito (17).<br />

È solo il caso di aggi<strong>un</strong>gere, con particolare riguardo<br />

al profilo della tempestività dell’impugnazione,<br />

che la conclusione non muterebbe neppure alla luce<br />

della distinzione tra Prozessvoraussetz<strong>un</strong>gen e Prozesshindernisse,<br />

ossia tra presupposti processuali c.d.<br />

positivi (che consentono la decisione di merito) e<br />

presupposti processuali c.d. negativi (che la impediscono),<br />

distinzione che talora è stata evocata per<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

giustificare <strong>un</strong>a differente ripartizione dell’onere<br />

della prova: i presupposti processuali positivi, se<br />

contestati, andrebbero provati dall’attore, quelli negativi<br />

dal convenuto (18). A tutto voler concedere,<br />

infatti, non è la tempestività a condizionare l’esistenza<br />

del potere d’impugnare, ma è piuttosto la<br />

violazione del termine legale a causarne l’estinzione,<br />

il che implica che il regime probatorio in subiecta<br />

materia non possa che essere quello tipico dei<br />

presupposti processuali negativi.<br />

Allorché, invece, la carenza del presupposto processuale<br />

positivo o l’esistenza di quello negativo sia rilevata<br />

d’ufficio, il discorso si fa più complesso. Rispetto<br />

al rilievo d’ufficio, infatti, le parti si trovano<br />

in posizione equidistante, sicché ness<strong>un</strong>a soluzione<br />

può essere data per scontata. Ciò non di meno, esistono<br />

valide ragioni per ritenere che la ripartizione<br />

dell’onere probatorio debba, almeno in linea di<br />

principio, seguire regole non dissimili da quella testé<br />

vista a proposito dell’eccezione di parte. Decisiva<br />

appare la considerazione che il potere di rilevazione<br />

ufficiosa va correlato, da <strong>un</strong> canto, con il principio<br />

di allegazione, che riguarda tanto i fatti rilevanti per<br />

la definizione della fattispecie sostanziale, quanto<br />

quelli di carattere più strettamente processuale, e,<br />

dall’altro, col divieto di utilizzazione della scienza<br />

privata del giudice. Questo significa, in buona sostanza,<br />

che la carenza del presupposto processuale<br />

positivo o l’esistenza di quello negativo può essere<br />

rilevata d’ufficio solo quando risulta dagli atti (19):<br />

Note:<br />

(13) Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, II ed.,<br />

Torino, 2012, 4.<br />

(14) Il problema, com’è noto, è divenuto di particolare attualità<br />

per effetto degli arresti coi quali la Suprema Corte, qualche anno<br />

fa, ha preso ad affermare che la pron<strong>un</strong>zia implicita affermativa<br />

della giurisdizione, contenuta nella sentenza di primo grado, impedisce<br />

al giudice dell’impugnazione il rilievo d’ufficio di cui all’art.<br />

37 c.p.c.: cfr. Cass., sez. <strong>un</strong>., 9 ottobre 2008, n. 24883, annotata<br />

criticamente da G.G. Poli, in Foro it., 2009, I, 810, da Caponi<br />

e Cuomo Ulloa in Corriere giur., 2009, 380 e 386, da Vaccarella<br />

e Socci in Giur. it., 2009, 412 e 416, da Basilico in Giusto<br />

processo civ., 2009, 263 e da E.F. Ricci e Petrella in Riv. dir.<br />

proc., 2009, 1085 e 1088. V. anche le successive Cass., sez.<br />

<strong>un</strong>., 30 ottobre 2008, n. 26019; Cass., sez. <strong>un</strong>., 20 novembre<br />

2008, n. 27531; Cass., sez. <strong>un</strong>., 9 novembre 2011, n. 23306.<br />

(15) Redenti, Diritto processuale civile, II, cit., 48.<br />

(16) Così Verde, L’onere della prova, cit., 395.<br />

(17) Cfr. Deluca, Sulla prova dei presupposti processuali (a proposito<br />

della legitimatio ad processum), in Giur. it., 1996, I, 2,<br />

476.<br />

(18) Micheli, L’onere della prova, Padova, 1942, 401; Luiso, Il<br />

processo del lavoro, cit., 144. Ma v. le giuste riflessioni critiche<br />

di Deluca, Sulla prova dei presupposti processuali, cit., 474 s.<br />

(19) Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, III<br />

ed., 1923, 738.<br />

Il Fallimento 3/2013 325


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

solo, cioè, quando le allegazioni delle parti (e, aggi<strong>un</strong>gerei,<br />

il complesso delle risultanze processuali)<br />

rendono per lo meno plausibile la sussistenza di <strong>un</strong><br />

ostacolo formale all’esame del merito. In caso contrario,<br />

l’esercizio del potere ufficioso risulterebbe illegittimo.<br />

D<strong>un</strong>que, delle due l’<strong>un</strong>a: se negli atti vi è già la<br />

prova della carenza del presupposto processuale positivo<br />

o dell’esistenza di quello negativo, il problema<br />

è risolto a monte, poiché il giudice - fermo restando<br />

il dovere da parte sua di provocare il contraddittorio<br />

(art. 101 c.p.c.) - ha quel che gli occorre<br />

per definire in rito la causa. In tale eventualità,<br />

il convenuto non è onerato di alc<strong>un</strong>a prova, poiché<br />

questa c’è già, edèl’attore ad avere interesse a fornire,<br />

se può, la prova contraria onde evitare la soccombenza.<br />

Invece, se negli atti non vi è la piena prova dell’impedimento<br />

processuale, ma le allegazioni delle parti<br />

giustificano in qualche modo il rilievo ufficioso,<br />

non par dubbio che la questione debba essere risolta<br />

tenendo conto della fondamentale regola di giudizio<br />

per cui è la carenza del presupposto processuale<br />

positivo o l’esistenza del presupposto processuale<br />

negativo a dover essere provata, e non già il contrario.<br />

Se ne deve dedurre che rilevare d’ufficio la questione<br />

relativa al presupposto processuale non vuol<br />

dire deciderla automaticamente in senso contrario<br />

all’attore che non provi l’infondatezza del dubbio<br />

del giudice, ma vuol dire solamente sollecitare le<br />

parti a dibattere la questione e a fornire gli elementi<br />

di convincimento che ciasc<strong>un</strong>a reputa a sé favorevoli;<br />

con l’avvertenza che, se al giudice non consti<br />

<strong>un</strong>a prova ragionevolmente piena dell’impedimento<br />

processuale, questo non potrà e non dovrà<br />

essere dichiarato. In definitiva, d<strong>un</strong>que, si torna alla<br />

regola che governa l’onere della prova in presenza<br />

dell’eccezione di parte: è pur sempre la parte interessata<br />

alla chiusura in rito del processo a dover fornire<br />

al giudice la prova dell’impedimento all’esame<br />

del merito.<br />

È però ragionevole ritenere che tale regola subisca<br />

qui qualche temperamento, connesso al potere del<br />

giudice di tener conto del comportamento processuale<br />

delle parti (art. 116, comma 2, c.p.c.) e della<br />

‘‘prossimità’’ della prova all’attore piuttosto che al<br />

convenuto. Infatti, l’inapplicabilità dell’art. 2697<br />

c.c. finisce per ampliare gli spazi nei quali il giudice<br />

può trarre elementi di convincimento dalla condotta<br />

processuale delle parti: così, se l’attore non fornisce<br />

al giudice quegli elementi di prova, che pure<br />

potrebbe produrre con molta più facilità dell’avversario,<br />

non mi pare azzardato pensare che il giudice<br />

possa da ciò solo trarre argomenti sufficienti per definire<br />

in rito in processo.<br />

4. L’onere di provare la tardività<br />

dell’opposizione allo stato passivo grava<br />

sul curatore<br />

Il riferimento al c.d. principio di prossimità della<br />

prova ci conduce al secondo dei motivi per i quali<br />

non può che essere il curatore eccipiente a provare<br />

la tardività dell’opposizione allo stato passivo, e<br />

non già il creditore opponente a provarne la tempestività.<br />

Come Cass. 6799/2012 ha opport<strong>un</strong>amente ricordato<br />

in motivazione, la dichiarazione d’incostituzionalità<br />

dell’art. 98 l.fall., a opera della sentenza ‘‘manipolativa<br />

additiva’’ n. 102/1986 del Giudice delle leggi<br />

(20), ha introdotto nel sistema la regola per cui la<br />

tempestività dell’opposizione allo stato passivo va valutata<br />

con riferimento (non già al deposito del decreto<br />

del giudice delegato, ma) alla ricezione della raccomandata<br />

con avviso di ricevimento con la quale il<br />

curatore dà notizia ai creditori esclusi o ammessi con<br />

riserva. Tale regola, peraltro, si trova oggi codificata<br />

nel nuovo art. 99 l.fall., chiarissimo nel far decorrere<br />

il termine di trenta giorni per impugnare lo stato<br />

passivo dalla com<strong>un</strong>icazione di cui all’art. 97 (21).<br />

Orbene, se il termine decorre dalla ricezione della<br />

com<strong>un</strong>icazione del curatore, è evidente che per stabilire<br />

se l’opposizione è tempestiva o no è decisivo<br />

l’avviso di ricevimento della raccomandata, a nulla<br />

rilevando la data di spedizione del plico raccomandato<br />

e neppure il timbro a data apposto sull’involucro.<br />

Sennonché, l’avviso di ricevimento è nella<br />

esclusiva disponibilità del curatore, cui viene restituito<br />

dal servizio postale, sicché è il curatore la sola<br />

parte a trovarsi nelle condizioni materiali di produrlo<br />

e dalla quale, d<strong>un</strong>que, ha senso pretenderne l’esibizione<br />

(22).<br />

Note:<br />

(20) Corte cost. 22 aprile 1986, n. 102, in questa Rivista, 1986,<br />

673, con nota di Lo Cascio, La corte costituzionale modifica il sistema<br />

normativo delle impugnazioni avverso lo stato passivo<br />

esecutivo.<br />

(21) Cfr. Impagnatiello, L’accertamento del passivo, cit., 217.<br />

(22) Questo è tanto più vero se si tiene conto dell’indirizzo, affermato<br />

dalla già citata Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, per il<br />

quale il curatore ha non soltanto l’onere di produrre l’avviso di ricevimento<br />

a fondamento dell’eccezione di tardività dell’opposizione,<br />

ma, prima ancora, l’obbligo di versarlo nel fascicolo della<br />

procedura fallimentare, fascicolo che il giudice dell’opposizione<br />

ha poi il potere-dovere di acquisire d’ufficio. Se ne può dedurre<br />

che, se l’avviso di ricevimento non è agli atti al momento della<br />

decisione del giudizio di opposizione, ciò è l’effetto di <strong>un</strong>a duplice<br />

negligenza del curatore.<br />

326 Il Fallimento 3/2013


Viceversa, se si facesse gravare sul creditore opponente<br />

la dimostrazione della tempestività dell’opposizione,<br />

lo si onererebbe di <strong>un</strong>a probatio davvero diabolica,<br />

essendo per lui praticamente impossibile procurarsi<br />

l’avviso di ricevimento. Il creditore opponente<br />

sarebbe lasciato così in balìa del curatore, vedendo<br />

irrimediabilmente leso il suo diritto alla difesa (23).<br />

In definitiva, la manifesta iniquità di qual<strong>un</strong>que diversa<br />

soluzione impone di concludere che, tanto se<br />

la tardività sia stata rilevata ex officio, quanto - a<br />

fortiori - se sia stata eccepita dal curatore, è quest’ultima<br />

la parte a cui carico devono ricadere il relativo<br />

onere probatorio e, per conseguenza, gli effetti della<br />

mancata prova. Si tratta della conclusione non solo<br />

più corretta sul piano formale e più equa su quello<br />

sostanziale, ma anche più utile dal p<strong>un</strong>to di vista<br />

pratico: basti riflettere sugli inconvenienti e sugli<br />

abusi cui si andrebbe incontro se si affermassel’idea<br />

che è sufficiente eccepire la tardività dell’opposizione<br />

per onerare il creditore della (pressoché impossibile)<br />

prova del rispetto dei termini.<br />

Un’ultima precisazione. È noto che, secondo <strong>un</strong><br />

consolidato insegnamento della giurisprudenza di<br />

legittimità, qualora il curatore abbia omesso d’inviare<br />

la raccomandata di cui all’art. 97 l.fall. il termine<br />

per impugnare è quello previsto dall’art. 327<br />

c.p.c., applicabile in via analogica in considerazione<br />

della natura impugnatoria dell’opposizione: sei mesi<br />

(prima della l. 69/2009, <strong>un</strong> anno) a far data dal de-<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

posito del decreto del giudice delegato (24). Esistendo<br />

<strong>un</strong> termine l<strong>un</strong>go decorrente ipso facto dal<br />

deposito del decreto, l’invio della raccomandata da<br />

parte del curatore costituisce, a ben vedere, <strong>un</strong> atto<br />

potestativo, equivalente negli effetti alla notificazione<br />

della sentenza di cui agli artt. 285 e 326<br />

c.p.c. La qual cosa, se da <strong>un</strong>a parte rafforza la convinzione<br />

che l’effetto acceleratorio del termine derivante<br />

dalla ricezione della raccomandata debba essere<br />

comprovato dal curatore che l’ha provocato e<br />

che intende avvalersene in giudizio, dall’altra induce<br />

a ritenere che ciò vale solo quando l’opposizione<br />

è stata proposta nei sei mesi dal deposito del decreto.<br />

Se, invece, dagli atti risulta che l’opposizione è<br />

stata proposta oltre tale termine, la data di ricezione<br />

della raccomandata non ha più alc<strong>un</strong>a rilevanza:<br />

con la duplice conseguenza che il curatore non è<br />

tenuto a produrre in giudizio alc<strong>un</strong>ché e che il giudice<br />

ha il potere-dovere di dichiarare d’ufficio l’inammissibilità<br />

dell’opposizione.<br />

Note:<br />

(23) Questa p<strong>un</strong>tualizzazione, inespressa da Cass. 4 maggio<br />

2012, n. 6799, in epigrafe, è invece nitidissima nella motivazione<br />

della precedente Cass. 7 settembre 2005, n. 17829.<br />

(24) Oltre alla già citata Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, v.<br />

Cass. 21 aprile 1999, n. 3924, in Giust. civ., 1999, I, 2677; Cass.<br />

27 agosto 1990, n. 8763, in questa Rivista, 1991, 251. Nella giurisprudenza<br />

di merito, v. Trib. Catania 13 giugno 1998, in Foro<br />

it., 1998, I, 3010.<br />

Il Fallimento 3/2013 327


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Amministrazione straordinaria e gruppo di imprese<br />

Il procedimento di estensione<br />

dell’amministrazione<br />

straordinaria ad <strong>un</strong>’impresa<br />

del gruppo<br />

Corte d’Appello di Torino, 20 gennaio 2012 - Pres. Mario Griffey - Rel. Stalla - Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a. in a.s. c. Fallimento Fashion Network S.p.a. e altri<br />

Amministrazione straordinaria - Soggetti - Imprese di gruppo - Estensione del procedimento - Osservanza della struttura<br />

bifasica - Necessità - Sussistenza - Anticipazione della decisione - Accertamento dei presupposti - Preclusione<br />

(Artt. 3, 27, 80, 81 e 82 D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270)<br />

In tema di amministrazione straordinaria, la scansione procedimentale dettata per la procedura ‘‘madre’’ deve<br />

essere necessariamente rispettata anche nell’ambito del procedimento f<strong>un</strong>zionale all’estensione della procedura<br />

concorsuale ad <strong>un</strong>’impresa del gruppo, con la conseguenza che la valutazione circa i presupposti per pron<strong>un</strong>ciare<br />

l’apertura della procedura non può essere anticipata all’esito della prima fase giudiziale, la quale è<br />

f<strong>un</strong>zionale <strong>un</strong>icamente a verificare la sussistenza dello stato di insolvenza della impresa del gruppo e dei presupposti<br />

di collegamento richiesti dall’art. 81 D.Lgs. n. 270/1999.<br />

Fallimento - Dichiarazione - Sentenza - Reclamo - Presupposti per l’amministrazione straordinaria - Parziale accoglimento<br />

del reclamo - Restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale - Adozione dei provvedimenti conseguenti all’accertamento dello<br />

stato di insolvenza<br />

(Artt. 18 l.fall., 8 e 82 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, 353 e 354 c.p.c.)<br />

Nell’ipotesi in cui la Corte di Appello, in sede di reclamo ex artt. 18 l.fall. e 12 D.Lgs. 270/99, accerti l’insussistenza<br />

dei presupposti per dichiarare il fallimento di <strong>un</strong>a società, ravvisando al contrario i presupposti per ammettere<br />

la società insolvente alla procedura di amministrazione straordinaria, la restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />

dovrà essere disposta al solo fine di porre quest’ultimo organo in condizione di adottare tutti i conseguenti<br />

provvedimenti ex artt. 8 e 82 D.Lgs. 270/99, restando ferma la parte della sentenza con cui è stato accertato<br />

lo stato di insolvenza della Società.<br />

La Corte (omissis).<br />

Con sentenza n. 3044 dell’11 ottobre 2011, il Trib<strong>un</strong>ale<br />

di Torino: - respingeva l’istanza di estensione ex art. 81<br />

D.Lgs. 270/99 alla Fashion Network S.p.a. della procedura<br />

di amministrazione straordinaria della Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a.; - dichiarava, su istanza del Pubblico<br />

Ministero e della creditrice Siam Handels S.r.l., il<br />

fallimento della medesima; - disponeva l’esercizio provvisorio<br />

della gestione ex art. 104 legge fallimentare.<br />

Rilevava il Trib<strong>un</strong>ale che: - con decreto 25 gennaio<br />

2011, la Fashion Network S.p.a. (società avente sede in<br />

Settimo Torinese, ad oggetto la distribuzione retail multimarca<br />

di abbigliamento ed accessori tramite 15 outlet e<br />

91 p<strong>un</strong>ti vendita diretta disseminati in Italia, Svizzera ed<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

Austria) era stata ammessa al concordato preventivo in<br />

continuità di gestione, e sulla base di <strong>un</strong> piano di ristrutturazione<br />

che avrebbe dovuto consentirle il superamento<br />

delle gravi difficoltà finanziarie nelle quali si trovava; - il<br />

29 luglio 2011 i commissari giudiziali, verificata la situazione<br />

contabile ed amministrativa della medesima, avevano<br />

depositato la relazione ex articolo 173 l.fall. con la<br />

quale sollecitavano l’apertura del procedimento di revoca<br />

del concordato preventivo, stante la ‘‘conclamata<br />

non fattibilità del piano’’, nonché lo stato ‘‘non di semplice<br />

crisi ma di irreversibile insolvenza’’ della società<br />

proponente; - lo stesso 29 luglio 2011 la società debitrice<br />

aveva depositato atto di revoca della proposta concordataria,<br />

sostanzialmente riconoscendo il proprio stato di in-<br />

Il Fallimento 3/2013 329


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

solvenza irreversibile; - il 18 agosto 2011 il Trib<strong>un</strong>ale<br />

aveva revocato l’ammissione al concordato preventivo e<br />

fissato, per la stessa data ed ora, tanto l’udienza ex articolo<br />

15 legge fallimentare per l’esame delle istanze di fallimento<br />

presentate prima della ammissione al concordato<br />

preventivo, quanto l’udienza ex articoli 7 e 82 D.Lgs.<br />

270/99 sull’istanza di accertamento dei presupposti di<br />

estensione alla Fashion Network S.p.a. della procedura<br />

di amministrazione straordinaria alla quale era stata già<br />

ammessa (nel maggio 2010, a seguito di dichiarazione di<br />

insolvenza del Trib<strong>un</strong>ale di Reggio Emilia del 17 marzo<br />

2010) la controllante Mariella Burani Fashion Network<br />

S.p.a., nel frattempo presentata (nel parere favorevole<br />

del Ministro per lo Sviluppo Economico e nell’adesione<br />

della Società debitrice) dai Commissari straordinari di<br />

quest’ultima; - alla revoca del concordato preventivo doveva<br />

seguire, stante la pacifica ricorrenza dei presupposti<br />

di cui agli articoli 1 e 5 legge fallimentare, la dichiarazione<br />

di fallimento della Fashion Network s.p.a., così come<br />

richiesto dal Pubblico Ministero e dai creditori; - l’estensione<br />

alla debitrice della procedura di amministrazione<br />

straordinaria della Mariella Burani Fashion Network<br />

S.p.a. (controllante al 96,18% del capitale sociale) era<br />

preclusa dalla mancata allegazione da parte dei richiedenti<br />

commissari straordinari di concreti elementi volti<br />

a dimostrare che la gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />

nell’ambito del gruppo fosse idonea, così come richiesto<br />

dal combinato disposto degli articoli 81 e 27 D.Lgs. 270/<br />

99, ad agevolare, per i collegamenti di natura economica<br />

e produttiva esistenti tra le singole imprese, il raggi<strong>un</strong>gimento<br />

degli obiettivi della procedura, insiti nella conservazione<br />

dei valori produttivi e dei livelli occupazionali; -<br />

in particolare non sussistevano elementi, né questi potevano<br />

trarsi dal progetto presentato dai commissari della<br />

procedura madre ex art. 54 D.Lgs. 270/99, per ritenere<br />

che l’<strong>un</strong>ificazione delle procedure di insolvenza consentisse<br />

in concreto il recupero degli equilibri economici<br />

mediante sinergie produttive con la capogruppo (stante<br />

la modestia, nel 2010, degli acquisti infragruppo rispetto<br />

a quelli presso terzi), ed il reperimento delle risorse necessarie<br />

alla ricapitalizzazione (stante <strong>un</strong> fatturato della<br />

controllante, nel 2011, di appena E 4.800.000 circa);<br />

inoltre, nemmeno il programma ex art. 54 cit. di Mariella<br />

Burani Fashion Network S.p.a. prevedeva la dismissione<br />

della Fashion Network S.p.a. congi<strong>un</strong>tamente agli altri<br />

assets aziendali della capogruppo; - queste valutazioni<br />

sui presupposti di estensione della procedura di amministrazione<br />

straordinaria potevano e dovevano essere immediatamente<br />

rese dal Trib<strong>un</strong>ale, atteso (pag. 7) che<br />

«ragioni di economia processuale (oltre che di non duplicazione<br />

di costi professionali già elevati) impongono<br />

di non indugiare ulteriormente nell’apertura di <strong>un</strong> procedimento<br />

che demanderebbe a nuovi commissari giudiziali<br />

di porre in essere quella medesima attività diagnostica<br />

già espletata dai commissari giudiziali nel concordato<br />

preventivo»; tanto più considerando che dalla relazione<br />

presentata da questi ultimi ex art. 173 l.fall., risultava come,<br />

a causa delle perdite accumulate al 31 dicembre<br />

2010 (circa E 30 milioni), il patrimonio della Fashion<br />

Network S.p.a. fosse negativo, con conseguente necessità<br />

di assumere i provvedimenti ex articolo 2447 c.c.<br />

Con ricorso depositato il 26 ottobre 2011, i commissari<br />

della Mariella Burani Fashion Network S.p.a. in amministrazione<br />

straordinaria proponevano reclamo avverso<br />

tale sentenza ex articoli 18 legge fallimentare e 12 D.Lgs.<br />

270/99, sulla base dei seguenti motivi; 1. erronea interpretazione<br />

dell’articolo 81 D.Lgs. 270/99 e, in generale,<br />

del provvedimento di estensione della procedura di amministrazione<br />

straordinaria alle imprese del gruppo, poiché<br />

il Trib<strong>un</strong>ale non si era limitato alla dichiarazione<br />

dello stato di insolvenza della Fashion Network S.p.a.,<br />

ma aveva indebitamente anticipato <strong>un</strong>a valutazione (insussistenza<br />

dei presupposti di assoggettamento dell’impresa<br />

del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria<br />

della società madre) che doveva in realtà essere resa<br />

soltanto in <strong>un</strong>a fase successivo alla dichiarazione dello<br />

stato di insolvenza, ed in esito alla relazione del commissario<br />

giudiziale, del parere reso dal Ministero dello Sviluppo<br />

Economico e degli altri accertamenti eventualmente<br />

disposti ex art. 30 D.Lgs. 270/99: «il Trib<strong>un</strong>ale,<br />

in conclusione, <strong>un</strong>a volta accertato che Fashion Network<br />

S.p.a., per come inteso dagli articoli 80 e 81, primo<br />

comma, D.Lgs. 270/99, avrebbe dovuto dichiarare lo stato<br />

di insolvenza e nominare i commissari giudiziali, senza<br />

entrare nel merito della sussistenza dei requisiti per l’apertura<br />

dell’amministrazione straordinaria in capo a Fashion<br />

Network S.p.a., ai sensi dell’art. 81, secondo comma,<br />

D.Lgs. 270/99» (reclamo, pag. 12); 2 erronea valutazione<br />

di insussistenza delle condizioni di gestione <strong>un</strong>itaria<br />

delle insolvenze atteso lo stato di liquidazione di fatto<br />

in cui si trovava la Fashion Network S.p.a., dal momento<br />

che la ratio dell’articolo 81, D.Lgs. 270/99 era quella<br />

di «esaltare il principio di solidarietà tra le imprese del<br />

gruppo» ammettendo, in tale ottica, alla gestione <strong>un</strong>itaria<br />

anche le imprese del gruppo non più risanabili o in<br />

condizione ex art. 2447 c.c., sempre che ciò agevolasse<br />

gli obiettivi della procedura madre; né lo stato di ‘‘liquidazione<br />

di fatto’’ della Fashion Network S.p.a. era di per<br />

sé ostativo all’attuazione del programma di cessione dei<br />

complessi aziendali previsto dall’art. 27, lett. a), D.Lgs.<br />

270/99 per conseguire il recupero dell’equilibrio economico;<br />

3. erronea valutazione in ordine alla circostanza<br />

che il programma ex articolo 54, D.Lgs. 270/99 non prevedesse<br />

la dismissione congi<strong>un</strong>ta di Fashion Network<br />

S.p.a. con i restanti assets aziendali della Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a., dal momento che in tale programma<br />

(redatto quando la Fashion Network S.p.a. era<br />

ancora in bonis) veniva semplicemente detto che l’inclusione<br />

della Fashion Network S.p.a. nella cessione congi<strong>un</strong>ta<br />

(in alternativa alla sua cessione separata) rappresentava<br />

<strong>un</strong> profilo di convenienza suscettibile di essere<br />

valutato solo successivamente all’avvio del processo di<br />

vendita e sulla base delle offerte pervenute; 4. Illegittimo<br />

rigetto dell’istanza di estensione della procedura di amministrazione<br />

straordinaria in forza dell’asserita ‘‘mancata<br />

dimostrazione’’ da parte dei commissari ricorrenti della reversibilità<br />

della crisi della Fashion Network S.p.a., ovvero<br />

della opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria, nonostante<br />

che il procedimento per la dichiarazione dello stato di<br />

330 Il Fallimento 3/2013


insolvenza fosse volto alla tutela di interessi (di rilevanza<br />

pubblica) diversi da quelli dell’impresa, e giustificasse<br />

quindi l’esercizio di poteri inquisitori d’ufficio o, quantomeno,<br />

l’assegnazione ai ricorrenti di <strong>un</strong> termine per fornire<br />

la prova ritenuta mancante; 5. erronea affermazione<br />

circa il mancato emergere di motivi di opport<strong>un</strong>ità della<br />

gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza del gruppo Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a. (Aspetto peraltro suscettibile<br />

di essere riconsiderato dallo stesso Trib<strong>un</strong>ale investito<br />

della seconda fase del procedimento conseguente alla dichiarazione<br />

di insolvenza: v. sub 1), dal momento che:<br />

Fashion Network S.p.a. braccio outlet di Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a. non aveva possibilità di sopravvivere<br />

al di fuori del gruppo di appartenenza, in quanto<br />

rifornita pressoché esclusivamente dalla capogruppo (per<br />

circa il 25% degli ordini complessivamente evasi da quest’ultima),<br />

che era anche in grado di assisterla finanziariamente;<br />

la procedura fallimentare consentiva realizzi<br />

degli stock di magazzino a valori infinitesimali rispetto a<br />

quelli valorizzabili nella sinergia congi<strong>un</strong>ta, volta alla<br />

conservazione dell’avviamento ancora esistente; tale sinergia<br />

garantiva altresì <strong>un</strong>o degli scopi primari della procedura<br />

di amministrazione straordinaria, insito nel mantenimento<br />

dei livelli occupazionali.<br />

Tutto ciò premesso chiedeva la riforma della sentenza reclamata<br />

mediane revoca del fallimento e rimessione degli<br />

atti al Trib<strong>un</strong>ale per la dichiarazione di insolvenza della<br />

Fashion Network S.p.a. ai sensi del combinato disposto<br />

degli articoli 8, 81 primo comma e 82, D.Lgs. 270/99.<br />

Il curatore del fallimento Fashion Network S.p.a. si costituiva<br />

in giudizio per chiedere il rigetto del reclamo, assumendo<br />

che: - plurimi elementi deponevano per la scelta,<br />

da parte degli stessi commissari straordinari, della gestione<br />

separata e non <strong>un</strong>itaria delle insolvenze: la presentazione<br />

della proposta di concordato preventivo; la<br />

mancanza di indicazioni di gestione <strong>un</strong>itaria (in alternativa<br />

al risanamento endogeno della società) tanto nella<br />

relazione ex articolo 28, quanto del programma ex art.<br />

54 D.Lgs. 270/99; la mancata conversione in amministrazione<br />

straordinaria dei fallimenti dichiarati a carico<br />

di altre società del gruppo (anche questo significativo<br />

dell’obiettivo di gestione individualizzata delle insolvenze);<br />

- in <strong>un</strong>a situazione nella quale erano già evidenti<br />

l’impossibilità di recupero dell’equilibrio economico e l’inopport<strong>un</strong>ità<br />

di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze,<br />

ragioni di economia processuale e l’esigenza di non differire<br />

inutilmente i già evidenti esiti fallimentari della procedura<br />

deponevano nel senso che il Trib<strong>un</strong>ale dovesse<br />

vagliare, contestualmente all’accertamento dello stato di<br />

insolvenza, anche i presupposti per la dichiarazione immediata<br />

di fallimento; nella specie tanto più urgente in<br />

considerazione degli ingenti debiti prededucibili che erano<br />

sopraggi<strong>un</strong>ti nel corso della procedura di concordato<br />

preventivo (tanto che la pretesa di ulteriore differimento<br />

concretava <strong>un</strong>a vera e propria ipotesi di abuso del diritto<br />

nell’ambito del sistema concorsuale); - ness<strong>un</strong> elemento<br />

i commissari straordinari avevano dedotto, in particolare,<br />

sui benefici che la gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />

avrebbe arrecato alla procedura madre, dovendo il parametro<br />

della opport<strong>un</strong>ità essere misurato proprio alla luce<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

di quest’ultima procedura, così come desumibile anche<br />

dal principio di cui all’articolo 87 D.Lgs. 270/99 in forza<br />

del quale la chiusura o la conversione della procedura<br />

madre determinava l’automatica conversione in fallimento<br />

anche delle procedure delle società figlie; - i commissari<br />

straordinari difettavano finanche di interesse ad<br />

agire, poiché l’attuazione del piano di dismissione degli<br />

assets aziendali della Mariella Burani Fashion Network<br />

S.p.a. (eventualmente comprensivi della Fashion Network<br />

S.p.a.) doveva tassativamente compiersi entro <strong>un</strong><br />

termine legale (28 gennaio 2012 o, al massimo, 28 aprile<br />

2012 in presenza di motivata richiesta di proroga ex articolo<br />

66 D.Lgs. 270/99) evidentemente incompatibile<br />

con l’estensione a quest’ultima società della procedura di<br />

amministrazione straordinaria.<br />

Nel procedimento interveniva, con memoria 30 dicembre<br />

2011, il Pubblico Ministero presso il Trib<strong>un</strong>ale di<br />

Torino, il quale chiedeva il rigetto del reclamo deducendo<br />

che: - dal programma ex art. 54 D.Lgs. 270/99 risultava<br />

come i commissari straordinari della Mariella Burani<br />

Fashion Network S.p.a. avessero optato per la ristrutturazione<br />

e il risanamento separato della controllata Fashion<br />

Network S.p.a., trovandosi proprio in ciò il fondamento<br />

della presentazione della proposta di concordato<br />

preventivo di quest’ultima (di per sé implicante la gestione<br />

separata, non già <strong>un</strong>itaria, delle insolvenze); - la<br />

strategia da essi così intrapresa li aveva «posti al di fuori<br />

dell’ambito di applicazione del D.Lgs. 270/99», per ragioni<br />

sia formali (dal momento che la richiesta di concordato<br />

preventivo implicava rin<strong>un</strong>cia ad ottenere l’estensione<br />

della procedura di amministrazione straordinaria),<br />

sia sistematiche (atteso che l’amministrazione<br />

straordinaria doveva provvedere al recupero dell’equilibrio<br />

economico delle attività imprenditoriali secondo <strong>un</strong><br />

programma di cessione che doveva concludersi tassativamente<br />

entro l’aprile 2012 e, d<strong>un</strong>que, entro <strong>un</strong> termine<br />

incompatibile con la prospettiva di apertura di <strong>un</strong>a procedura<br />

di estensione); sia economiche (per il sopravvenire,<br />

in corso della procedura concordataria, di pesanti<br />

oneri prededucibili quantificati dal curatore in circa E<br />

4.290.000,00); - decisivo era poi il fatt che <strong>un</strong>a volta<br />

emersi, nel corso del concordato preventivo, atti di frode<br />

ex art. 173 legge fallimentare (come era accaduto nella<br />

specie, essendo stati evidenziati dati aziendali non veridici<br />

quanto a minor valore dei beni immateriali ed a minor<br />

fatturato rispetto ala volume preventivato), il Trib<strong>un</strong>ale<br />

non aveva altra strada che procedere alla dichiarazione<br />

di fallimento, infatti «dall’accertamento degli atti<br />

di frode non può che conseguire il procedimento ex art.<br />

173 legge fallimentare, non potendosi sostenere che da<br />

<strong>un</strong> contesto illecito cagionato dai ricorrenti stessi possano<br />

sottrarsi a piacimento evitando le conseguenze sanzionatorie<br />

di <strong>un</strong>a procedura liberamente scelta e coscientemente<br />

accettata (...)»; né era possibile che, da <strong>un</strong>a situazione<br />

illecita, si potesse «far derivare l’occasione per<br />

partecipare ai benefici connessi con la richiesta di ammissione<br />

ad altra procedura, mettendo nel nulla la gravità<br />

della situazione venutasi a creare per effetto dell’incauta<br />

iniziativa concordataria (...)».<br />

Nel corso dell’odierna udienza in camera di consiglio, le<br />

Il Fallimento 3/2013 331


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

parti illustravano ulteriormente le rispettive posizioni,<br />

insistendo infine nelle suriportate conclusioni.<br />

È accoglibile - con effetto assorbente di ogni altra censura<br />

- il primo motivo di reclamo.<br />

Prima di dare conto delle norme di cui al D.Lgs. 270/99<br />

qui principalmente rilevanti, occorre prendere in esame<br />

le eccezioni mosse dal Pubblico Ministero le quali, se intese<br />

nella loro portata più estrema, condurrebbero a radicalmente<br />

escludere l’applicabilità nel caso in esame di<br />

questa normativa.<br />

Una simile soluzione va tuttavia disattesa, osservandosi<br />

che: a. la sottoposizione della Mariella Burani Fashion<br />

Network S.p.a alla amministrazione straordinaria non<br />

escludeva che altre società con essa collegate, come la<br />

Fashion Network S.p.a., chiedessero di autonomamente<br />

accedere a procedure concorsuali diverse sulla base di<br />

considerazioni di opport<strong>un</strong>ità proprie di queste ultime<br />

(tanto più che, nel caso di specie, l’estensione della amministrazione<br />

straordinaria è stata richiesta non già dalla<br />

stessa Fashion Network S.p.a., ma dai commissari straordinari<br />

della controllante); b. la possibilità di dichiarare<br />

lo stato di insolvenza ai fini della amministrazione<br />

straordinaria in capo a società già ammesse al concordato<br />

preventivo è espressamente prevista dall’articolo 3, secondo<br />

comma, D.Lgs. 270/99; ravvisandosi in ciò <strong>un</strong>o<br />

dei tanti profili di preminenza normativa della procedura<br />

straordinaria rispetto alla concorsualità ordinaria di cui<br />

alla legge fallimentare; c. la valutazione sulla ammissione/non<br />

ammissione della società alla amministrazione<br />

straordinaria non è ispirata al principio dispositivo di<br />

parte, dovendo essere resa con riguardo ad interessi di<br />

ordine più generale e di rilevanza pubblicistica, d<strong>un</strong>que<br />

anche travalicando lo specifico interesse della società debitrice<br />

e della sua massa creditoria; d. tutte le considerazioni<br />

svolte dai commissari straordinari sulle future sorti<br />

di Fashion Network S.p.a., nella relazione ex articolo 28<br />

come nel programma ex articolo 54 D.Lgs. 270/99, muovevano<br />

dal presupposto che quest’ultima non si trovasse<br />

in stato di insolvenza, presupposto poi venuto meno soltanto<br />

a seguito del deposito della relazione dei commissari<br />

del concordato preventivo ex articolo 173 legge fallimentare<br />

(dopo la quale la stessa Fashion network S.p.a.<br />

ha revocato l’originaria proposta concordataria) e. la dichiarazione<br />

di fallimento ad esclusione della amministrazione<br />

straordinaria non può svolgere, nell’intendimento<br />

del legislatore, <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione sanzionatoria per effetto<br />

dell’emergere di fatti di frode o a questi ultimi equiparati<br />

ex articolo 173 l.fall.: non soltanto perché involgente,<br />

come detto, interessi diversi ed ulteriori da quelli facenti<br />

capo alla specifica posizione della società debitrice, ma<br />

anche perché, in base alla nuova disciplina della legge<br />

fallimentare, nemmeno in ambito ordinario la presenza<br />

di tali fatti comporta la dichiarazione di fallimento, quale<br />

conseguenza automatica e necessaria; f. ciò è tanto<br />

più vero - a smentita dell’affermazione secondo cui l’assoggettamento<br />

alla amministrazione straordinaria potrebbe<br />

nella specie concretare <strong>un</strong> indebito ‘‘beneficio’’ per il<br />

debitore che si sia reso autore di condotte illecite - in<br />

considerazione del fato che le disposizioni penali della<br />

legge fallimentare si rendono applicabili anche a seguito<br />

e per effetto della dichiarazione dello stato di insolvenza<br />

ai sensi degli articoli 3 e 82 D.Lgs. 270/99, da intendersi<br />

a tal fine in toto «equiparata alla dichiarazione di fallimento»<br />

(art. 95, D.Lgs. 270/99).<br />

La disciplina di cui al D.Lgs. 270/99 - che va d<strong>un</strong>que ritenuta<br />

nella specie pienamente applicabile - muove da<br />

<strong>un</strong>’articolazione bifasica del procedimento di assoggettamento<br />

della grande impresa in stato di insolvenza all’amministrazione<br />

straordinaria.<br />

La prima fase implica, da <strong>un</strong> lato, l’accertamento della<br />

sussistenza in capo all’impresa dei requisiti dimensionali<br />

di cui all’articolo 2 e, dall’altro, l’accertamento dello stato<br />

di insolvenza.<br />

Con la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza, il<br />

Trib<strong>un</strong>ale designa il giudice delegato per la procedura e<br />

nomina <strong>un</strong>o o tre commissari giudiziali in conformità all’indicazione<br />

del Ministro dell’Industria (salvo che quest’ultima<br />

non pervenga in tempo utile); impartisce quindi<br />

tutte le altre prescrizioni di cui all’articolo 8.<br />

A conclusione di questa prima fase (che può prevedere<br />

l’affidamento della gestione dell’impresa al commissario<br />

giudiziale), si apre <strong>un</strong>a seconda fase specificamente preposta<br />

all’apertura della procedura di amministrazione<br />

straordinaria.<br />

Tale esito presuppone la sussistenza di «concrete prospettive<br />

di recupero dell’equilibrio economico delle attività<br />

imprenditoriali» (Art. 27), mediante l’attuazione alternativa<br />

di <strong>un</strong> programma di cessione dei complessi<br />

aziendali, ovvero di <strong>un</strong> programma di ristrutturazione.<br />

Allo scopo di fornire al Trib<strong>un</strong>ale tutti i necessari elementi<br />

di valutazione, è previsto (at. 28.1) che il commissario<br />

giudiziale depositi in Cancelleria, entro 30 giorni<br />

dalla dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 8,<br />

<strong>un</strong>a relazione particolareggiata - oltre che sulle cause<br />

dello stato di insolvenza - sulla presenza delle condizioni<br />

di cui al citato articolo 27 ai fini dell’ammissione all’amministrazione<br />

straordinaria. L’apertura della procedura di<br />

amministrazione straordinaria è disposta dal Trib<strong>un</strong>ale<br />

entro 30 giorni dal deposito di tale relazione «tenuto<br />

conto del parere e delle osservazioni depositati, nonché<br />

degli ulteriori accertamenti eventualmente disposti»<br />

(art. 30). Nell’ipotesi in cui non sussistano i presupposti<br />

di cui all’articolo 27, il Trib<strong>un</strong>ale dichiara - non con<br />

sentenza, ma con decreto motivato puramente recettivo<br />

di <strong>un</strong>o stato di insolvenza già dichiarato - il fallimento.<br />

Con decreto che dichiara aperta la procedura di amministrazione<br />

straordinaria, il Trib<strong>un</strong>ale adotta o conferma i<br />

provvedimenti opport<strong>un</strong>i per la prosecuzione della gestione<br />

da parte del commissario giudiziale, fino a quando<br />

il Ministro dell’Industria non provveda alla nomina di<br />

<strong>un</strong>o o tre commissari straordinari (art. 38).<br />

Una simile strutturazione bipartita sottende <strong>un</strong>a ben determinata<br />

scelta di fondo del legislatore il quale, imponendo<br />

<strong>un</strong>a preliminare fase di diagnosi (quella immediatamente<br />

conseguente alla dichiarazione dello stato di insolvenza),<br />

ha concepito la sottoposizione della grande<br />

impresa insolvente all’amministrazione straordinaria in<br />

termini di mera eventualità; dal momento che l’effettiva<br />

apertura di tale procedura concorsuale potrà avvenire, in<br />

esito ad <strong>un</strong>a distinta e successiva valutazione da parte<br />

332 Il Fallimento 3/2013


del Trib<strong>un</strong>ale, solo nell’accertata presenza dei suddetti<br />

requisiti di riequilibrio economico.<br />

Sul piano procedurale - sempre assistito dall’obiettivo di<br />

apprestare pienezza di contradditorio e di tutela dei diritti<br />

soggettivi coinvolti - la novità più rilevante è senz’altro<br />

rappresentata dall’introduzione nell’ordinamento<br />

concorsuale di <strong>un</strong>a fase preventiva e necessaria di osservazione,<br />

secondo modelli di analisi dell’insolvenza mutuati<br />

da ordinamenti stranieri.<br />

Sul piano dei principi e delle scelte di politica legislativa<br />

nel trattamento della crisi di impresa, però, la novità rispetto<br />

alla disciplina previgente di cui alla c.d. ‘‘l. Prodi’’<br />

è ancor più eclatante; là dove si afferma, nel D.Lgs. 270/<br />

99, la regola per cui, in ipotesi di insolvenza, la grande<br />

impresa non va sempre e com<strong>un</strong>que sottoposta alla procedura<br />

di amministrazione straordinaria ad esclusione<br />

del fallimento, ben potendo (dovendo) invece essere dichiarata<br />

fallita allorché facciano difetto i presupposti<br />

dell’articolo 27.<br />

L’opzione tra amministrazione straordinaria e fallimento<br />

rappresenta anzi il momento focale dell’intera disciplina,<br />

dal momento che soltanto la comprovata sussistenza di<br />

concrete prospettive di riequilibrio economico mediante<br />

cessione dei complessi aziendali, ovvero ristrutturazione<br />

preordinata al risanamento - con quanto ne consegue in<br />

ordine al mantenimento dei livelli occupazionali ed alla<br />

valorizzazione degli assets aziendali - giustifica, nell’ottica<br />

del legislatore, la preferenza per la procedura conservativa.<br />

La quale, <strong>un</strong>a volta varata, esplica poi <strong>un</strong>’efficacia attrattiva<br />

ed assorbente nei confronti delle eventuali insolvenze<br />

‘‘satelliti’’.<br />

La scelta tra liquidazione fallimentare ed apertura dell’amministrazione<br />

straordinaria (pur in presenza di <strong>un</strong>a nozione<br />

normativa i insolvenza qualitativamente identica per<br />

entrambe le procedure) è in definitiva ritenuta a tal p<strong>un</strong>to<br />

cruciale nella disciplina delle grandi insolvenze - anche<br />

per le sue evidenti ripercussioni economiche, non soltanto<br />

sui diritti e le aspettative dei creditori ma anche sull’intero<br />

tessuto socioeconomico del Paese - che il legislatore del<br />

’99 ha voluto che ad essa il Trib<strong>un</strong>ale pervenga, app<strong>un</strong>to,<br />

soltanto in seconda battuta; cioè a dire, soltanto dopo essere<br />

entrato in possesso del patrimonio conoscitivo conseguente<br />

all’obbligatorio esaurimento della fase di studio e<br />

verifica dei concreti connotati della situazione aziendale.<br />

Nella stessa direzione si muove anche la disciplina volta<br />

a coordinare l’insolvenza della società dotata di requisiti<br />

dimensionali di cui all’articolo 2 D.Lgs. 279/99 (ammessa<br />

in quanto tale alla ‘‘procedura madre’’ di amministrazione<br />

straordinaria) con quella delle società collegate, e<br />

poste con essa in relazione di controllo attivo o passivo.<br />

In <strong>un</strong> contesto normativo ancora alieno - in nome dell’autonoma<br />

soggettività attribuita alle singole società<br />

collegare, e dell’<strong>un</strong>itarietà soltanto economica, non anche<br />

giuridica, del gruppo societario in quanto tale - dalla<br />

configurazione di <strong>un</strong> vero e proprio ‘‘gruppo insolvente’’,<br />

la scelta recepita con il D.Lgs. 270/99 è stata quella di<br />

concepire la possibilità che le imprese del gruppo siano<br />

ammesse anch’esse, se insolventi, all’amministrazione<br />

straordinaria, pur in carenza dei requisiti dimensionali di<br />

cui all’articolo 2.<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

Anche in tal caso, però, l’estensione della procedura-madre<br />

alle imprese del gruppo non è automatica poiché,<br />

<strong>un</strong>a volta accertato il rapporto controllo/collegamento<br />

(art. 80) con la società già ammessa alla procedura, è necessario<br />

appurare che tale estensione si giustifichi in ragione<br />

di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio<br />

economico delle attività imprenditoriali (secondo quanto<br />

già previsto, per la procedura madre, dall’articolo 27, ovvero<br />

«quando risulti com<strong>un</strong>que opport<strong>un</strong>a la gestione<br />

<strong>un</strong>itaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo, in quanto<br />

idonea ad agevolare, per i collegamenti di natura economica<br />

o produttiva esistenti tra le singole imprese, in raggi<strong>un</strong>gimento<br />

degli obiettivi della procedura» (art. 81).<br />

In maniera speculare a quanto previsto per l’apertura<br />

della procedura madre, anche l’accertamento dei presupposti<br />

per l’ammissione all’amministrazione straordinaria<br />

delle imprese del gruppo presuppone il rispetto della suddetta<br />

strutturazione bifasica del procedimento è infatti<br />

previsto (art. 82) che tali presupposti siano verificati dal<br />

Trib<strong>un</strong>ale territorialmente competente in base al luogo<br />

dove l’impresa del gruppo ha la propria sede principale,<br />

«con l’osservanza delle disposizioni del titolo II e del capo<br />

I del titolo III» (art. 82).<br />

Vale a dire, con l’osservanza delle disposizioni relative,<br />

app<strong>un</strong>to, all’accertamento dello stato di insolvenza (prima<br />

fase), ed all’apertura della procedura di amministrazione<br />

straordinaria (seconda fase).<br />

Il fatto che - al pari di quanto accade per l’impresa monade<br />

- anche l’estensione dell’amministrazione straordinaria<br />

alle imprese del gruppo presupponga <strong>un</strong> periodo di<br />

obbligatoria osservazione risponde all’esigenza sostanziale<br />

di valutare l’impatto, in termini di convenienza ed opport<strong>un</strong>ità<br />

economico produttiva, che tale estensione potrà<br />

sortire sulla procedura principale; ass<strong>un</strong>ta a metro di<br />

valutazione, e ritenuta ex lege a tal p<strong>un</strong>to preminente da<br />

prevedersi che, in caso di sua chiusura ovvero conversione<br />

in fallimento, si determini l’automatica conversione<br />

in fallimento anche della procedura di amministrazione<br />

straordinaria delle imprese del gruppo (art. 87).<br />

Ebbene il Trib<strong>un</strong>ale di Torino - nel provveidmento reclamato<br />

- ha non condivisbilmente ritenuto di poter<br />

obliterare la struttura bifasica in questione, pur <strong>un</strong>ivocamente<br />

evincibile dalla disciplina normativa finora sommariamente<br />

descritta.<br />

Chiamato dal D.Lgs. 270/99 ad accertare, in <strong>un</strong> primo<br />

momento, lo stato di insolvenza della Fashion Network<br />

s.p.a., il Trib<strong>un</strong>ale è andato ben oltre, gi<strong>un</strong>gendo a dichiarare<br />

il fallimento della società senza rispettare la cadenza<br />

procedurale che imponeva di (eventualmente)<br />

gi<strong>un</strong>gere ad <strong>un</strong>a simile conclusione solo in esito alla fase<br />

di osservazione ex art. 81 e 82 cit.<br />

Dopo aver dato atto (sent. p. 4) che, senza dubbio, l’amministrazione<br />

straordinaria doveva «prevalere sul fallimento<br />

in considerazione delle finalità conservative dell’istituto,<br />

che ha f<strong>un</strong>zione non soltanto liquidatoria dell’attivo<br />

della società insolvente nell’interesse esclusivo<br />

dei creditori, ma tende prima di tutto alla salvaguardia<br />

del patrimonio produttivo espresso dall’impresa e al<br />

mantenimento dei livelli occupazionali (...)», e che era<br />

nella specie pacifico il presupposto collegamento societa-<br />

Il Fallimento 3/2013 333


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

rio (controllo al 96,18%) necessario per l’attrazione della<br />

Fashion Network S.p.a. nella procedura conservativa<br />

della capogruppo, il primo giudice ha travalicato il thema<br />

decidendum dichiarando senz’altro il fallimento della società<br />

(in alternativa alla sua sottoposizione alla amministrazione<br />

straordinaria).<br />

Tale soluzione è stata dichiaratamente ispirata da valutazioni<br />

di economia i costi professionali e di tempi processuali,<br />

dal momento che il differimento della pron<strong>un</strong>cia<br />

sui presupposti di estensione dell’amministrazione straordinaria<br />

alla Fashion Netwok S.p.a. avrebbe all<strong>un</strong>gato i<br />

tempi di trattamento dell’insolvenza, senza al contempo<br />

portare alc<strong>un</strong> ‘‘valore aggi<strong>un</strong>to’’ di tipo conoscitivo; posto<br />

che tutti gli elementi eventualmente acquisibili sulla<br />

base della relazione dei commissari giudiziali nominati ex<br />

articolo 8 D.Lgs. 270/99 si trovavano in realtà già ali atti<br />

del giudizio, perché forniti dai commissari giudiziali del<br />

concordato preventivo. Sicché è apparso al Trib<strong>un</strong>ale<br />

inutilmente dilatorio (<strong>un</strong>a vera e propria ‘‘perdita di<br />

tempo’’ pregiudizievole alle ragioni creditori) limitarsi alla<br />

dichiarazione dello stato di insolvenza senza contestualmente<br />

rilevare anche la mancanza dei presupposti<br />

dell’ammissione della Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />

straordinaria, stante «quella medesima attività<br />

diagnostica già espletata dai commissari giudiziali nel<br />

concordato preventivo» (ivi, pag. 7).<br />

L<strong>un</strong>gi dall’essere affetta da sterile formalismo, o peggio,<br />

da concretare <strong>un</strong> vero e proprio abuso del diritto, la censura<br />

oggi mossa dalla reclamante mira a ripristinare <strong>un</strong><br />

equilibrio normativo che, nel riaffermare la necessaria<br />

osservanza delle forme (garanzie) procedimentali, è ispirato,<br />

come si è anticipato, al perseguimento di valori<br />

fondanti e coessenziali all’intera disciplina dell’amministrazione<br />

straordinaria di cui al D.Lgs. 270/99.<br />

Basterà in proposito considerare, a sostengo della insopprimibilità<br />

dell’articolazione bifasica, pur in presenza degli<br />

elementi di conoscenza qui già in possesso del Trib<strong>un</strong>ale,<br />

che: a. la relazione redatta ex articolo 173 l.fall. dai<br />

commissari del concordato preventivo si ispira, nel giudizio<br />

di fattibilità della proposta concordataria e nella<br />

eventuale emersione di atti di frode, a finalità del tutto<br />

differenti da quella redatta ex articolo 28 D.Lgs. 270/99,<br />

viceversa incentrata sull’esistenza delel condizioni di recupero<br />

dell’equilibrio economico mediante l’attuazione<br />

di <strong>un</strong> programma di cessione ovvero di <strong>un</strong> programma di<br />

ristrutturazione nonché, nel caso di presa di gruppo qual<br />

è la Fashion Network S.p.a., sull’esistenza delle condizioni<br />

di opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />

all’interno del gruppo stesso; b. a sua volta quest’ultimo<br />

parametro deve trovare il proprio baricentro, come si è<br />

detto (e come implicitamente riconosce anche il Trib<strong>un</strong>ale<br />

là dove ribadisce la prevalenza dell’amministrazione<br />

straordinaria sul fallimento), nella convenienza considerata<br />

dl p<strong>un</strong>to di vista della società ammessa alla ‘‘procedura<br />

madre’’ di amministrazione straordinaria; vale a dire,<br />

in <strong>un</strong>’ottica del tutto avulsa da quella della non fattibilità<br />

della proposta concordataria; c. le persone fisiche<br />

dei commissari giudiziali del concordato preventivo che<br />

hanno reso tale valutazione non si identificano nemmeno<br />

necessariamente in quelle dei commissari giudiziali<br />

della ‘‘fase di osservazione’’, la cui designazione è tra l’altro<br />

assoggettata all’indicazione del Ministro dell’Industria;<br />

d. al fine di soppesare tutte le variabili e gli interessi<br />

in campo, le fonti di convincimento del Trib<strong>un</strong>ale in<br />

sede di apertura della procedura di amministrazione<br />

straordinaria debbono essere (v. art. 29 D.Lgs. 270/99)<br />

di eterogenea e composizione, in quanto involgenti anche<br />

il parere ministeriale (successivo, non anteriore, alla<br />

relazione ex art. 28), nonché le osservazioni scritte dei<br />

creditori e di ‘‘qualsiasi interessato’’; da depositarsi in<br />

cancelleria nel termine di 10 giorni dall’affissione dell’avviso<br />

di deposito della relazione (forma di pubblicità<br />

non prevista per la relazione dei commissari nel concordato<br />

preventivo); e. la ritenuta opport<strong>un</strong>ità di garantire<br />

l’esercizio provvisorio dell’impresa ex art. 104 l.fall. non<br />

presupponeva affatto l’immediata dichiarazione di fallimento,<br />

dal momento che istituto del tutto analogo è<br />

previsto, a seguito della dichiarazione dello stato di insolvenza,<br />

dall’art. 19 D.Lgs. 270/99; f. il richiamo alle<br />

(indubbie) esigenze di concentrazione, speditezza ed economia<br />

nell’interesse dei creditori non è tale da annichilire<br />

<strong>un</strong> iter procedurale che il legislatore ha voluto articolato,<br />

per le già svolte ragioni, non soltanto nell’interesse<br />

di questi ultimi, ma anche (e soprattutto) a garanzia<br />

del perseguimento di finalità conservative di più generale<br />

e preminente portata.<br />

Sotto quest’ultimo aspetto, va ancora osservato che la<br />

mancanza di tempi tecnici idonei a consentire l’attuazione<br />

di <strong>un</strong> programma di dismissione congi<strong>un</strong>ta di Fashion<br />

Network S.p.a. in <strong>un</strong>a con le componenti aziendali<br />

della Mariella Burani Fashion Network S.p.a. (dedotta<br />

dal Fallimento resistente a sostegno di <strong>un</strong>a radicale eccezione<br />

di carenza di interesse ad agire in capo ai commissari<br />

straordinari di quest’ultima) non pare possa essere<br />

di per sé posta a carico della stessa parte che tale differimento<br />

abbia dovuto subire in forza di <strong>un</strong> provvedimento<br />

illegittimo; tanto più considerando che l’istanza<br />

di ammissione di Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />

straordinaria è stata proposta dai commissari<br />

straordinari il 18 agosto 2001, vale a dire appena tre<br />

giorni dopo il deposito della relazione ex art. 173 l.fall.<br />

dalla quale risultavano la non fattibilità della proposta<br />

concordataria e lo stato di insolvenza della società controllata.<br />

Né il Trib<strong>un</strong>ale ha motivato il diniego dell’amministrazione<br />

straordinaria per ragioni specificamente riconducibili<br />

alla tempistica di esecuzione del programma<br />

di cessione. Tutto ciò pare più che sufficiente all’accoglimento<br />

del reclamo.<br />

Per la verità, nel presente procedimento si è svolto <strong>un</strong><br />

aspro contraddittorio tra le parti anche sul ‘‘merito’’ della<br />

valutazione offerta dei primi giudici; essendosi altresì<br />

negato dai commissari straordinari che, contrariamente a<br />

quanto affermato dal Trib<strong>un</strong>ale, vi fosse nella specie evidenza<br />

dei presupposti di inopport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione<br />

<strong>un</strong>itaria delle insolvenze. A ben vedere, si tratta però di<br />

argomenti resi del tutto ininfluenti dall’assorbente rilievo<br />

della violazione procedurale.<br />

Si asterrà pertanto questa Corte di Appello dal prendere<br />

posizione su tali profili contenutistici, proprio perché del<br />

tutto estranei ad <strong>un</strong>a fase di giudizio destinata a conclu-<br />

334 Il Fallimento 3/2013


dersi naturalmente con la (sola) dichiarazione di insolvenza<br />

della Fashion Network S.p.a.<br />

Ciò non esime tuttavia dallo svolgimento di <strong>un</strong>’ulteriore<br />

considerazione - perché non di merito, ma di impostazione<br />

logica e sistematica a sua volta foriera di distorte conseguenze<br />

- volta ad evidenziare come, in realtà, il Trib<strong>un</strong>ale<br />

abbia ecceduto, nell’emettere <strong>un</strong>a decisione contestuale<br />

e concentrata, altresì i limiti del thema probandum.<br />

Traendone importante fonte di convincimento circa la<br />

sussistenza nella specie dei presupposti di gestione <strong>un</strong>itaria<br />

delle insolvenze, il primo giudice ha infatti rimarcato<br />

la genericità degli elementi dimostrativi sotto tale profilo<br />

allegati dai commissari straordinari, senza con ciò tenere<br />

in debito conto che costoro ben potevano fare affidamento<br />

sul fatto che l’opport<strong>un</strong>ità di gestione <strong>un</strong>itaria<br />

delle insolvenze (ancorché da essi illustrato già nel ricorso<br />

ex articolo 81 D.Lgs. 270/99 nella prospettiva della<br />

ammissione finale di Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />

straordinaria) trovasse poi opport<strong>un</strong>o approfondimento<br />

istruttorio soltanto successivamente alla dichiarazione<br />

di insolvenza, ed in esito alla relazione a ciò specificamente<br />

dedicata, nella seconda fase procedurale, dal<br />

commissario designato ex artt. 8-82 D.Lgs. 270/99.<br />

Tutto ciò posto, sussiste il problema, non specificamente<br />

disciplinato dalla legge - della sorte della procedura a seguito<br />

dell’accoglimento del presente reclamo.<br />

I commissari straordinari hanno senz’altro chiesto la revoca<br />

della sentenza di fallimento e la restituzione degli<br />

atti al Trib<strong>un</strong>ale di Torino per la dichiarazione ex novo<br />

di insolvenza ex articoli 8, 81 ed 82 D.Lgs. 270/99.<br />

In realtà ness<strong>un</strong>a delle norme invocate, negli atti di causa<br />

e nel corso della discussione, a sostegno di tale soluzione<br />

pare attagliarsi al caso.<br />

Non l’articolo 12 D.Lgs. 270/99, trattandosi di norma<br />

(speculare all’art. 22 l.fall.) che presuppone proprio il<br />

contrario di quanto è accaduto nella specie, vale a dire<br />

l’originario rigetto del ricorso per la dichiarazione dello<br />

stato di insolvenza e, d<strong>un</strong>que, <strong>un</strong>a situazione nella quale<br />

il debitore non ha mai cessato di essere in bonis; ma<br />

nemmeno l’ultimo comma dell’articolo 33 (invece posto<br />

a fondamento della restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />

da parte della Corte di Appello di Roma nella sentenza<br />

n. 3360 del 25 luglio 2011 qui allegata dalla parte reclamante).<br />

Si consideri infatti che quest’ultima disposizione<br />

presuppone l’emanazione del decreto di apertura dell’amministrazione<br />

straordinaria ovvero di dichiarazione di<br />

fallimento in esito alla ‘‘seconda fase’’ di giudizio e, d<strong>un</strong>que,<br />

allorquando la dichiarazione di insolvenza risulti essere<br />

stata correttamente posta a fondamento dell’apertura<br />

della fase di osservazione.<br />

Tanto è vero che, in base ad essa, la rimessione d’ufficio<br />

degli atti al Trib<strong>un</strong>ale deve dalla Corte di Appello essere<br />

disposta non già per la dichiarazione dello stato di insolvenza,<br />

ma per l’adozione dei provvedimenti previsti dagli<br />

articoli 30, 31 e 32 (vale a dire, alternativamente, per<br />

l’apertura dell’amministrazione straordinaria o per la dichiarazione<br />

di fallimento).<br />

Quanto all’art. 35 (norma simmetrica all’articolo 11),<br />

vari elementi letterali e sistematici inducono a ritenerne<br />

(ancorché tale disposizione sia formalmente ricompresa<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

nel rinvio operato dall’articolo 82) l’inapplicabilità ella<br />

presente fattispecie, atteso che: - nel caso in questione si<br />

verte non di conversione ma, se mai, di estensione o attrazione<br />

di procedure; - il permanere (in via eccezionale<br />

e d<strong>un</strong>que di stretta interpretazione) degli effetti della dichiarazione<br />

di fallimento fin visto il giudicato sul reclamo<br />

ex articolo 18 legge fallimentare presuppone che si<br />

controverta <strong>un</strong>icamente della sussistenza o insussistenza,<br />

nella impresa fallita, dei requisiti dimensionali di cui all’articolo<br />

2; vale a dire, di <strong>un</strong> aspetto estraneo all’attrazione<br />

delle imprese del gruppo alla procedura-madre di<br />

amministrazione straordinaria e, com<strong>un</strong>que, del tutto pacifico<br />

nel caso di specie; - nel caso di estensione della<br />

procedura di amministrazione straordinaria alle imprese<br />

del gruppo, la permanenza della sentenza dichiarativa di<br />

fallimento fin visto il suddetto giudicato finirebbe di fatto<br />

con l’intralciare, se non addirittura frustrare, (contravvenendo<br />

agli obiettivi pratici perseguiti dal legislatore)<br />

l’attuazione di <strong>un</strong> programma di cessione comprensivo<br />

dell’azienda in fallimento, per gi<strong>un</strong>ta con l’affidamento<br />

al curatore di valutare <strong>un</strong> aspetto (la convenienza della<br />

gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze) che, per le già svolte<br />

considerazioni, dovrebbe in realtà essere valutato dai<br />

commissari straordinari della procedura-madre, in quanto<br />

titolari del ‘‘p<strong>un</strong>to di vista’’ privilegiato ex lege.<br />

Quanto infine, all’articolo 84, si tratta di norma effettivamente<br />

pertinente all’estensione dell’amministrazione<br />

straordinaria alle imprese del gruppo, ma anch’essa operante<br />

in <strong>un</strong> contesto diverso dal presente; nel quale il<br />

decreto che ha dichiarato aperta la procedura madre della<br />

Mariella Burani Fashion Network S.p.a. è stato emesso<br />

prima - non dopo - la sentenza di fallimento della<br />

Fashion Network S.p.a., con conseguente esclusione di<br />

<strong>un</strong> vero e proprio problema di conversione del fallimento<br />

in amministrazione straordinaria (essendo, l’opzione<br />

tra le due procedure, l’oggetto specifico di <strong>un</strong>a fase di<br />

giudizio qui non ancora espletata).<br />

In <strong>un</strong> tale quadro normativo si ritiene di dover richiamare<br />

due considerazioni di ordine generale idonee a f<strong>un</strong>gere<br />

da linee guida nel caso specifico.<br />

La prima è che nell’ordinamento concorsuale è nitidamente<br />

individuabile <strong>un</strong> principio (applicato anche alla<br />

problematica, contigua alla presente, della consecuzione<br />

di procedure) di conservazione e continuità degli effetti<br />

della dichiarazione dello stato di insolvenza; principio<br />

tanto più significativo in <strong>un</strong> contesto nel quale, come<br />

nel presente, i presupposti dello stato di insolvenza (come<br />

si è anticipato, normativamente identici tanto nell’amministrazione<br />

straordinaria quanto nel fallimento)<br />

sono del tutto pacifici e, in quanto tali, estranei ai motivi<br />

di impugnazione della sentenza del Trib<strong>un</strong>ale di Torino.<br />

Tale sentenza è stata infatti censurata soltanto sotto<br />

il profilo dell’adozione, proprio sullo scontato presupposto<br />

dello stato di insolvenza, di <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />

‘‘sbagliata’’ perché insuscettibile di essere aperta<br />

‘‘in quel momento’’ e sulla base di ‘‘quei dati conoscitivi’’.<br />

Sicché, in <strong>un</strong> simile contesto, non potrebbe trovare<br />

ragionevole giustificazione - attese anche le vaste ripercussioni<br />

che ne scaturirebbero in ordine ad aspetti derivativi<br />

essenziali ai fini del concorso quali, ad esempio:<br />

Il Fallimento 3/2013 335


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

l’inefficacia/inopponibilità alla massa di determinati atti<br />

di disposizione patrimoniale; la decorrenza dei termini<br />

per l’eventuale proposizione di azioni revocatorie; l’accertamento<br />

delle responsabilità penali - la rimessione<br />

‘‘in bonis’’ - seppur temporanea - di <strong>un</strong> debitore che si<br />

trova in stato di insolvenza che ha già trovato riscontro<br />

giudiziale non contestato e, d<strong>un</strong>que, ormai irrevocabile.<br />

La seconda (mutuata dalla disciplina generale della nullità<br />

dell’atto processuale ex artt. 159-162 c.p.c.) è che<br />

l’emersione di <strong>un</strong> vizio procedimentale deve di norma<br />

indurre la restituzione del procedimento stesso alla fase<br />

in cui il vizio si è verificato, così da permettere, in sede<br />

di rinnovazione dell’atto viziato, il ripristino del corretto<br />

iter. Ora, nella presente fattispecie, il reclamo viene accolto<br />

per ragioni non di merito, ma - app<strong>un</strong>to - di ordine<br />

puramente formale. Da ciò consegue che la richiesta<br />

retrocessione dovrà sì avvenire (mediante la restituzione<br />

degli atti al Trib<strong>un</strong>ale) ma al solo scopo di far ripartire il<br />

procedimento dal momento in cui si è verificato l’errore;<br />

qui rilevato con <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia di tipo rescindente parziale.<br />

Errore che non è affatto consistito nella dichiarazione<br />

dello stato di insolvenza, ma nell’aver individuato<br />

in tale stato i presupposti per la immediata apertura del<br />

fallimento, piuttosto che per l’instaurazione della fase<br />

prodromica di osservazione (segnata anch’essa da pregnanti<br />

connotati di concorsualità).<br />

In definitiva il nucleo sostanziale implicito della sentenza<br />

di fallimento - vale a dire la dichiarazione dello stato<br />

di insolvenza - deve restare fermo e la restituzione degli<br />

atti al Trib<strong>un</strong>ale dovrà essere disposta al solo fine di porre<br />

quest’ultimo in condizione di adottare tutti i conseguenti<br />

provvedimenti ex articoli 8-82 D.Lgs. 270/99 (a<br />

cominciare dalla nomina dei commissari giudiziali per le<br />

attività e le valutazioni di loro competenza).<br />

(Omissis).<br />

Sul carattere necessario ed inderogabile della struttura bifasica<br />

che caratterizza l’estensione della procedura<br />

di amministrazione straordinaria<br />

di Filippo Ghignone *<br />

La Corte di Appello di Torino, per il tramite di <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia che merita di essere integralmente condivisa, conferma<br />

il carattere inderogabile della struttura bifasica del procedimento di estensione della procedura di amministrazione<br />

straordinaria alle imprese insolventi del gruppo, ponendo in luce alc<strong>un</strong>i delicati aspetti interpretativi.<br />

1. Breve premessa in p<strong>un</strong>to di fatto<br />

e delimitazione del tema di indagine<br />

La vicenda processuale da cui trae origine l’articolata<br />

pron<strong>un</strong>cia in epigrafe rappresenta l’epilogo del<br />

travagliato percorso di ristrutturazione affrontato da<br />

<strong>un</strong>a società facente parte di <strong>un</strong> noto gruppo operante<br />

nel settore della moda.<br />

In p<strong>un</strong>to di fatto è qui sufficiente rilevare che la società<br />

in stato di crisi - dichiarata fallita dal Trib<strong>un</strong>ale<br />

- era stata ammessa alla procedura di concordato<br />

preventivo sulla base di <strong>un</strong> piano in continuità<br />

nella prospettiva di bloccare le istanze di fallimento<br />

già formulate nei confronti della stessa dal<br />

Pubblico Ministero e dai creditori.<br />

Dopo pochi mesi dalla ammissione alla procedura<br />

di concordato preventivo, i commissari giudiziali,<br />

verificata la situazione contabile ed amministrativa<br />

della società, sollecitavano l’apertura del procedimento<br />

di revoca dell’ammissione al concordato ai<br />

sensi dell’articolo 173 l.fall.<br />

La medesima conclusione veniva fatta propria dalla<br />

stessa società debitrice, la quale, preso atto dell’impossibilità<br />

di adempiere le obbligazioni concordata-<br />

rie, formulava in pari data istanza di revoca della<br />

proposta concordataria.<br />

Medio tempore i commissari straordinari della società<br />

controllante, ammessa alla procedura di amministrazione<br />

straordinaria ai sensi del D.Lgs. 270/1999,<br />

depositavano <strong>un</strong>’istanza di estensione della procedura<br />

di amministrazione straordinaria nei confronti<br />

della controllata, ormai divenuta insolvente.<br />

Il Trib<strong>un</strong>ale torinese, <strong>un</strong>a volta revocata l’ammissione<br />

alla procedura di concordato preventivo, fissava<br />

per il medesimo giorno ed ora sia l’udienza ex<br />

art. 15 l.fall. ai fini dell’esame delle istanze di fallimento<br />

depositate prima dell’apertura della procedura<br />

di concordato preventivo dal Pubblico Ministero<br />

e dai creditori della società, sia l’udienza, f<strong>un</strong>zionale<br />

all’esame dell’istanza di estensione della procedura<br />

di amministrazione straordinaria.<br />

Ad esito della citata udienza, il Trib<strong>un</strong>ale, muovendo<br />

dall’ass<strong>un</strong>to che l’esistenza dei presupposti di<br />

estensione ex art. 27 D.Lgs. n. 270/1999 potesse e<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

336 Il Fallimento 3/2013


dovesse essere immediatamente vagliata dallo stesso<br />

organo giudiziario sin dalla prima fase giudiziale, dichiarava<br />

il fallimento della società.<br />

In particolare, l’assenza dei presupposti per pron<strong>un</strong>ciare<br />

l’apertura della procedura veniva ravvisata dal<br />

Trib<strong>un</strong>ale in considerazione della mancata allegazione<br />

da parte dei Commissari straordinari di concreti<br />

elementi volti a dimostrare la sussistenza dei<br />

presupposti richiesti dall’art. 82 D.Lgs. n. 270/9 e<br />

del mancato inserimento nel programma ex art. 54<br />

D.Lgs. n. 270/99 predisposto dai Commissari<br />

Straordinari della contestuale dismissione della<br />

controllata <strong>un</strong>itamente agli altri assets del gruppo.<br />

Precisava inoltre il Trib<strong>un</strong>ale che ragioni di economia<br />

processuale inducevano a non rinviare ulteriormente<br />

l’apertura di <strong>un</strong> procedimento che avrebbe<br />

demandato ai designandi commissari giudiziali di<br />

porre in essere la medesima attività diagnostica già<br />

espletata dai commissari giudiziali del concordato<br />

preventivo.<br />

Tale decisione veniva impugnata dai Commissari<br />

Straordinari della controllante sulla base di molteplici<br />

argomenti e parzialmente riformata dalla Corte<br />

di Appello piemontese nella pron<strong>un</strong>cia - di cui si<br />

condivide il contenuto - che qui si commenta.<br />

Molteplici sono d<strong>un</strong>que gli sp<strong>un</strong>ti di riflessione offerti<br />

dalla pron<strong>un</strong>cia della Corte di Appello di Torino<br />

ed in generale dalla vicenda processuale che<br />

paiono meritevoli di approfondimento.<br />

2. Il contesto normativo: cenni<br />

sulla struttura bifasica del procedimento<br />

di estensione della amministrazione<br />

straordinaria alle imprese del gruppo<br />

La disciplina della estensione della amministrazione<br />

straordinaria alle imprese del gruppo dettata dagli<br />

artt. 80-87 del D.Lgs. n. 270/1999 (1), riprendendo<br />

il quadro normativo già tracciato dalla l. 3 aprile<br />

1979 n. 95 (c.d. legge Prodi), interviene sulle norme<br />

della procedura straordinaria nel contesto dei<br />

gruppi di impresa, sancendo - tra l’altro - l’assoggettabilità<br />

alla procedura delle imprese facenti parte di<br />

<strong>un</strong> gruppo anche in assenza dei necessari requisiti<br />

dimensionali precisati dall’art. 2, D.Lgs. 270/1999.<br />

Diversamente da quanto previsto dalla c.d. legge<br />

Prodi, che prevedeva meccanismi di estensione<br />

automatica della procedura di amministrazione<br />

straordinaria alle imprese del gruppo (2), la disciplina<br />

dettata dal D.Lgs. 270/1999, nel definire i criteri<br />

di individuazione delle imprese del gruppo e nel<br />

confermare la necessità dello stato di insolvenza in<br />

capo alla singola società, richiede la presenza di due<br />

ulteriori condizioni alternative.<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

È infatti necessario accertare che ciasc<strong>un</strong>a impresa<br />

del gruppo presenti concrete prospettive di recupero<br />

dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali,<br />

ovvero che sussista - come prospettato nel caso di<br />

specie - l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />

in vista di collegamenti economici e produttivi<br />

tra le singole imprese che consentano il raggi<strong>un</strong>gimento<br />

degli obiettivi della procedura madre (3).<br />

La ratio seguita dal legislatore nel formulare tale<br />

previsione è rappresentata dall’esigenza di consentire,<br />

nella logica dei rapporti all’interno del gruppo,<br />

la gestione <strong>un</strong>itaria delle imprese a questo appartenenti,<br />

indipendentemente dalle dimensioni delle<br />

imprese controllate (4).<br />

È d<strong>un</strong>que in tale contesto che il primo comma dell’art.<br />

82 D.Lgs. 270/1999 statuisce che «l’accertamento<br />

dei presupposti e delle condizioni per l’ammissione<br />

alla procedura di amministrazione straordinaria<br />

dell’impresa del gruppo è effettuato dal trib<strong>un</strong>ale<br />

del luogo in cui essa ha la sede principale con<br />

l’osservanza delle disposizioni del titolo II e del capo<br />

I del titolo III».<br />

Sotto <strong>un</strong> profilo strettamente procedimentale, la<br />

norma effettua <strong>un</strong> esplicito riferimento alle disposi-<br />

Note:<br />

(1) G. Alessi, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />

insolventi, Milano, 2000, 97 ss.; C. Costa-A. Pappalardo, Amministrazione<br />

straordinaria e gruppo di imprese, in C. Costa (a<br />

cura di), L’amministrazione straordinaria delle grani imprese in<br />

stato di insolvenza, Milano, 2008, 667 ss.; M.A. De Lucia, La<br />

procedura <strong>un</strong>itaria anticipata del caso Cirio, inDir. fall., 2005,<br />

621; A. Di Majo, Impresa di gruppo e attrazione nell’amministrazione<br />

straordinaria, in questa Rivista, 2008, 218;M. Fabiani, Diritto<br />

fallimentare. Un profilo organico, Torino, 2011, 779 ss.; V. Zanichelli,<br />

L’amministrazione straordinaria, in G. Fauceglia-L. Panzani,<br />

(diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 2009,<br />

Milano, 2066 ss.; G. Scognamiglio, Gruppi di imprese e procedure<br />

concorsuali, inGiur. comm., 2008, 1091 ss.; F. Innocenti,<br />

Osservazioni in tema di amministrazione straordinaria di gruppo,<br />

in Giur. merito, 2004, 687; A. Pavone La Rosa, Gruppi di imprese<br />

e procedure concorsuali, inGiur. comm., 2001, 557 ss.; A.<br />

Pavone La Rosa, Il gruppo di imprese nella amministrazione<br />

straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, inGiur.<br />

comm., 2000, 481 ss.; G. Santoni, L’amministrazione straordinaria<br />

delle società e dei gruppi, inDiritto e giurisprudenza, 1999,<br />

115 ss.; R. Marinoni-N. Nisivoccia, Amministrazione straordinaria:<br />

ambito soggettivo del ‘‘gruppo’’ insolvente, inDir. e prat.<br />

Soc., 2000, 13 ss.; F. Innocenti, Osservazioni in tema di amministrazione<br />

straordinaria di gruppo, inGiur. mer., II, 2004, 686. Nel<br />

vigore della c.d. legge Prodi si veda anche S. Bonfatti, Il ‘‘gruppo’’<br />

di imprese nella amministrazione straordinaria e nel fallimento,<br />

inDiritto banca merc. finanz., 1999, 3 e ss.<br />

(2) Sul p<strong>un</strong>to si veda A. Daccò, op. cit., 430.<br />

(3) Cfr. Trib. Bari, 15 luglio 2004, in Foro it., 2005, I, 234, con nota<br />

di M. Fabiani, Fallimento, amministrazione straordinaria e modelli<br />

di conversione nel gruppo di imprese nell’attività dei decreti<br />

legge ‘‘espansivi’’.<br />

(4) Cfr. TAR Lazio, sez. III, 16 luglio 2004, n. 6998, in Foro it.,<br />

2004, 3, 615.<br />

Il Fallimento 3/2013 337


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

zioni che riguardano il procedimento f<strong>un</strong>zionale alla<br />

dichiarazione dello stato di insolvenza (artt. 3 e<br />

ss. D.Lgs. 270/1999) e l’apertura della procedura<br />

(artt. 27 e ss. D.Lgs. 270/1999), richiamando integralmente<br />

i principi che disciplinano l’apertura della<br />

procedura ‘‘madre’’.<br />

La dialettica processuale espressa nel corso del procedimento<br />

per estensione è necessariamente scandita<br />

secondo i tempi e le modalità indicate dagli artt.<br />

2 e ss. del D.Lgs. 270/1999 (5), seguendo il modello<br />

normativo regolamentato dagli artt. 737 e ss. c.p.c.<br />

Ciò comporta, come correttamente rilevato dalla<br />

Corte piemontese, la necessità di replicare in seno<br />

al procedimento di estensione la medesima struttura<br />

bifasica che caratterizza il procedimento di apertura<br />

della procedura ‘‘madre’’.<br />

Tale ass<strong>un</strong>to, peraltro in assenza di elementi di carattere<br />

normativo o sistematico che consentano di<br />

argomentare diversamente, risulta coerente con la<br />

ratio seguita dal legislatore in quanto è proprio nel<br />

rispetto di tale iter procedimentale che può ritenersi<br />

assicurato il perseguimento di valori fondanti e<br />

coessenziali all’intera disciplina della amministrazione<br />

straordinaria.<br />

La sola differenza che emerge tra il procedimento di<br />

apertura della procedura ‘‘madre’’ ed il procedimento<br />

di estensione alle imprese del gruppo concerne<br />

l’ambito dell’indagine affidata al Trib<strong>un</strong>ale, indagine<br />

che, nel secondo caso, dovendo considerare anche<br />

i presupposti per invocare la speciale disciplina<br />

dettata dagli artt. 80 e ss. D.Lgs. 270/1999, sarà ovviamente<br />

più estesa.<br />

Più precisamente la prima fase (sempre necessaria)<br />

risulta f<strong>un</strong>zionale a verificare la competenza del Trib<strong>un</strong>ale<br />

adito la sussistenza dello stato di insolvenza<br />

in capo alla società di cui si richiede l’ammissione<br />

(6) e, nello specifico, la sussistenza dei presupposti<br />

indicati dall’art. 82 del D.Lgs. 270/1999 (7).<br />

Tale fase pertanto, <strong>un</strong>a volta svolti i suindicati accertamenti<br />

è destinata a culminare con la dichiarazione<br />

di insolvenza della società debitrice, ovvero<br />

in via alternativa, nell’ipotesi in cui non sussistano<br />

i presupposti richiesti dall’art. 80 D.Lgs. 270/1999,<br />

con la pron<strong>un</strong>cia della sentenza di fallimento.<br />

In tale contesto la dichiarazione di insolvenza assolve<br />

alla f<strong>un</strong>zione non già di aprire <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />

autonoma, quanto piuttosto di dare l’avvio<br />

ad<strong>un</strong>aulterioreeprodromicafasediaccertamento.<br />

Ed infatti, solamente ad esito della verifica dei presupposti<br />

(insolvenza e rapporto di gruppo) effettuata<br />

nella prima fase, potrà essere avviata la seconda<br />

eventuale fase del procedimento, f<strong>un</strong>zionale a veri-<br />

ficare la sussistenza delle condizioni per estendere la<br />

procedura di amministrazione straordinaria.<br />

In tale contesto è previsto che il Trib<strong>un</strong>ale debba<br />

concentrare la propria indagine sulla sussistenza dei<br />

presupposti indicati dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999,<br />

ovvero sull’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria<br />

delle procedure che risulti f<strong>un</strong>zionale al raggi<strong>un</strong>gimento<br />

degli obiettivi della procedura ‘‘madre’’ (8)<br />

in ragione degli elementi di connessione economica<br />

ed industriale tra le società del gruppo.<br />

Le norme richiamate dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999<br />

prevedono che tale verifica (9) debba essere compiuta<br />

dal Trib<strong>un</strong>ale sulla base di <strong>un</strong>a indagine<br />

Note:<br />

(5) Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 1 agosto 1994, n. 7149 secondo cui<br />

il contraddittorio che permea il procedimento giurisdizionale di<br />

ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria è<br />

più di natura sostanziale che non tecnica, non trattandosi di <strong>un</strong><br />

processo di parti dominato dal principio di causalità necessaria<br />

tra domanda della parte e pron<strong>un</strong>cia del giudice.<br />

(6) Sul concetto di insolvenza nella amministrazione straordinaria<br />

si veda G. Schiavon, L’insolvenza nell’amministrazione<br />

straordinaria, in questa Rivista, 2000, 945; C. Pasquariello, Commento<br />

all’art. 3, d.lgs. 270/1999, in A. Maffei Alberti, Commentario<br />

breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1395.<br />

(7) M. Fabiani, Fallimento, amministrazione straordinaria e modelli<br />

di conversione nel gruppo di imprese nell’attualità dei decreti<br />

legge «espansivi», inForo it., 2005, I, 233; O. Cagnasso,<br />

La ricostruzione del fenomeno del gruppo e l’amministrazione<br />

straordinaria: <strong>un</strong> caso «clinico», inGiur. it., 2001, 2331; A. Daccò,<br />

Commento agli artt. 80-87, in A. Castagnola-R. Sacchi (a cura<br />

di), La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle<br />

grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2000, 420 e ss.;<br />

G. Mucciarelli, Impresa e impresa del gruppo nella nuova legge<br />

sull’amministrazione straordinaria, inRiv. società, 2000, 868; G.<br />

Lo Cascio, Commentario alla legge sull’amministrazione straordinaria<br />

delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 423; G.<br />

Alessi, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi,<br />

Milano, 2000, 110; G. Santoni, L’amministrazione<br />

straordinaria delle società e dei gruppi, inDir. e giur., 1999, 115.<br />

(8) Non è mancato <strong>un</strong> dibattito in dottrina circa la possibilità di ritenere<br />

che gli obiettivi da raggi<strong>un</strong>gere potessero essere anche<br />

quelli delle altre società del gruppo eventualmente ammesse alla<br />

procedura di amministrazione straordinaria; sul p<strong>un</strong>to v. A.<br />

Daccò, op. cit., 432; P. Dal Soglio, Commento all’art. 81, d.lgs.<br />

270/1999, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare,<br />

Padova, 2009, 1583.<br />

(9) La decisione sull’ammissione alla procedura di amministrazione<br />

straordinaria spetta all’autorità giudiziaria, la quale non è vincolata<br />

né dalla relazione resa dal commissario giudiziale, né dal parere<br />

espresso dal competente Ministero. Sulla discrezionalità del<br />

Trib<strong>un</strong>ale nell’assumere la decisione a tale riguardo si veda App.<br />

Milano, 9 settembre 2002, in questa Rivista, 2003, 442, con nota<br />

di N.D.Luisi, Sindacato del giudice alla luce del d.lgs. 270/1999.<br />

Osserva parte della dottrina che in presenza delle valutazioni del<br />

commissario giudiziale il Trib<strong>un</strong>ale, per discostarsene - sulla base<br />

del parere del Ministro, delle osservazioni degli interessati od anche<br />

d’ufficio - può ritenere opport<strong>un</strong>a <strong>un</strong>a verifica del piano di risanamento<br />

o di cessione dei complessi aziendali e, ove la relazione<br />

del commissario giudiziale non appaia esauriente o sia messa<br />

motivatamente in discussione nel parere del ministro o nelle osservazioni<br />

scritte degli interessati, può non soltanto sentire i prin-<br />

(segue)<br />

338 Il Fallimento 3/2013


istruttoria, che necessariamente dovrà considerare<br />

la relazione resa dal commissario giudiziale indicato<br />

dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi<br />

dell’art. 28 D.Lgs. 270/1999 (10) e potrà essere ulteriormente<br />

approfondita attraverso il parere reso<br />

dallo stesso Ministero (11), le possibili osservazioni<br />

presentate da debitore insolvente, dai creditori ed<br />

da altri soggetti interessati e gli ulteriori accertamenti<br />

eventualmente disposti dal Trib<strong>un</strong>ale (12).<br />

Come accennato, tale indagine - delineata dal legislatore<br />

proprio nell’ottica di assicurare al Trib<strong>un</strong>ale<br />

gli elementi necessari e sufficienti per assumere correttamente<br />

la decisione in ordine all’apertura della<br />

procedura - culminerà con il decreto motivato di<br />

apertura della procedura di amministrazione straordinaria<br />

ovvero, in via alternativa e solamente in assenza<br />

dei presupposti indicati dal secondo comma<br />

dell’art. 82 D.Lgs. 270/1999, con la sentenza dichiarativa<br />

di fallimento.<br />

Anche nel procedimento di estensione, pertanto le<br />

due fasi, pur essendo strettamente connesse in<br />

quanto parti di <strong>un</strong> medesimo procedimento, dovranno<br />

restare nettamente distinte.<br />

3. Sulla centralità della relazione<br />

del commissario giudiziale ex art. 27,<br />

D.Lgs. 270/1999<br />

L’impossibilità di alterare la struttura bifasica del<br />

procedimento porta d<strong>un</strong>que a concludere, in perfetta<br />

assonanza con quanto rilevato dalla Corte di appello,<br />

che la valutazione circa la apertura della amministrazione<br />

straordinaria non può essere anticipata<br />

alla prima fase del procedimento (13).<br />

La ragioni di tale impossibilità risiedono certamente<br />

nella necessità di assicurare a tale valutazione <strong>un</strong>a<br />

autonoma fase del procedimento (circostanza, questa,<br />

di per sé idonea ad attribuire rilevanza alla decisione<br />

sul p<strong>un</strong>to), ma anche e soprattutto nella necessità<br />

per il Trib<strong>un</strong>ale di compiere la propria valutazione<br />

alla luce della relazione resa dal commissario<br />

giudiziale (14), relazione che assume nel procedimento<br />

in oggetto <strong>un</strong>’oggettiva centralità (15).<br />

La relazione del commissario giudiziale da <strong>un</strong> lato<br />

rappresenta l’<strong>un</strong>ico elemento certo alla luce del<br />

quale il Trib<strong>un</strong>ale è chiamato ad esprimersi (attesa<br />

l’eventualità delle osservazioni presentate da creditori<br />

e soggetti interessati degli accertamenti disposti<br />

dal Trib<strong>un</strong>ale e financo del parere del competente<br />

Ministero) e, dall’altro lato, rappresenta il cardine<br />

del contraddittorio ‘‘tecnico’’ suscettibile di svilupparsi<br />

nella seconda fase del procedimento.<br />

In tale contesto la relazione assolve d<strong>un</strong>que ad <strong>un</strong>a<br />

fondamentale f<strong>un</strong>zione informativa tanto nei con-<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

Note:<br />

(segue nota 9)<br />

cipali creditori, come ad esempio il ceto bancario, ai quali è probabile<br />

che con il piano di risanamento venga richiesto <strong>un</strong> qualche<br />

sacrificio, ma anche farsi assistere da <strong>un</strong> consulente nei limiti<br />

compatibili con il rispetto del termine preveduto per la decisione.<br />

L’ampia formula legislativa, che non è quella consueta<br />

dell’«ass<strong>un</strong>te sommarie informazioni», ma quella più lata di «disposti<br />

gli opport<strong>un</strong>i accertamenti», lo sembra consentire; cfr. L.<br />

Guglielmucci, Una procedura concorsuale amministrativa sotto<br />

controllo giudiziario, in questa Rivista, 2000, 133.<br />

(10) Tale relazione costituirà evidentemente <strong>un</strong>a fonte primaria<br />

di convincimento per il Trib<strong>un</strong>ale, il quale resterà libero di decidere<br />

in piena autonomia. Cfr. sul p<strong>un</strong>to la relazione governativa<br />

al D.Lgs. 270/1999 sub par. 4.1.<br />

(11) Al fine di apprezzare lo sviluppo della dialettica processuale<br />

nel contesto in esame, preme qui evidenziare che il parere reso<br />

dal Ministero conserva la natura di atto amministrativo al quale<br />

non è attribuita <strong>un</strong>a valenza gerarchicamente sovraordinata agli<br />

altri elementi acquisiti dal giudice (Cass. civ. 15 luglio 2004, n.<br />

13120, in Mass. Giur. it., 2004). La disciplina della amministrazione<br />

straordinaria (primo comma dell’art. 29) prevede peraltro<br />

la possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale di assumere la necessaria decisione<br />

anche in assenza del parere del Ministero.<br />

(12) Parte della dottrina ha correttamente rilevato come la formula<br />

legislativa, più ampia di quella consueta dell’«ass<strong>un</strong>te sommarie<br />

informazioni» consentirebbe al trib<strong>un</strong>ale, soprattutto nell’ipotesi in<br />

cui la relazione del commissario giudiziale non appaia esauriente o<br />

sia messa motivatamente in discussione nelle osservazioni scritte<br />

degli interessati, non solo di sentire i creditori più esposti, ma anche<br />

di farsi assistere da <strong>un</strong> consulente nei limiti compatibili con il<br />

rispetto del termine pervenuto per la decisione; in tal senso L. Guglielmucci,<br />

Una procedura concorsuale amministrativa sotto controllo<br />

giudiziario, in questa Rivista, 2000, 133.<br />

(13) Cfr. A Jorio, Luci ed ombre della nuova Prodi, in Giur.<br />

comm., 1999, 7.<br />

(14) Osserva la dottrina che tale relazione costituirà lo strumento<br />

principale per il Trib<strong>un</strong>ale chiamato a decidere sulla apertura della<br />

procedura, atteso che, dall’<strong>un</strong> lato sarà il commissario giudiziale<br />

ad osservare direttamente lo stato dell’impresa insolvente e, nel<br />

caso di estensione, a valutare i collegamenti di natura economica<br />

produttiva esistenti tre le imprese del gruppo; dall’altro lato la rigida<br />

scansione temporale dettata dalla norma renderà oltremodo<br />

difficoltoso per il Trib<strong>un</strong>ale svolgere ulteriori accertamenti al riguardo;<br />

in tal senso si veda E. Stanuovo Polacco, Commento all’art.<br />

28 d.lgs. 270/1999, in A. Castagnola, R. Sacchi, La nuova disciplina<br />

della amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />

in stato di insolvenza, Torino, 2000, 174; G. Alessi, op. cit., 49;V.<br />

Napoleoni, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in<br />

stato di insolvenza: i chiaroscuri della riforma, inNuove leggi civ.<br />

comm., 1999, I, 119; G. Schiavon, Insolvenza e risanamento dell’impresa<br />

nella nuova disciplina, inquestaRivista, 2000, 241; A.<br />

Cesaroni-P. De Gioia Caraballese, L’amministrazione straordinaria<br />

della grande impresa commerciale insolvente: prime riflessioni, in<br />

questa Rivista, 1999, 725; R. Vivaldi, Insolvenza e grandi imprese,<br />

in questa Rivista, 2000, 124.<br />

(15) Sulla base di tali argomentazioni si deve ritenere che la<br />

scansione bifasica del procedimento non possa essere obliterata<br />

neppure nell’eventualità in cui il soggetto istante fosse già in<br />

grado, nel formulare l’istanza ex art. 82 D.Lgs. 270/1999, di dimostrare<br />

l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />

ovvero la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 27<br />

D.Lgs. 270/1999. Non mancano tuttavia in giurisprudenza pron<strong>un</strong>ce<br />

che hanno interpretato in maniera estensiva la portata<br />

della norma al fine di anticipare ad esito della prima fase giudiziale<br />

il provvedimento di apertura della procedura di amministrazione<br />

straordinaria per le imprese del gruppo: cfr. Trib. Roma,<br />

27 agosto 2003, in Dir. fall., 2005, II, 621 e ss. con nota di M.A.<br />

De Lucia, La procedura anticipata nel caso Cirio.<br />

Il Fallimento 3/2013 339


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

fronti dell’autorità giudiziaria, quanto nei confronti<br />

degli altri soggetti, essendo peraltro destinata ad annullare<br />

le asimmetrie informative esistenti tra le diverse<br />

categorie di soggetti coinvolti nel procedimento<br />

(16).<br />

Così confermata la centralità della relazione resa ai<br />

sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 270/1999, preme ora<br />

valutare se l’onere informativo che tale relazione è<br />

chiamata ad assolvere possa in qualche maniera essere<br />

soddisfatto altrimenti, senza alterare la qualità<br />

delle informazioni di cui necessita il Trib<strong>un</strong>ale.<br />

Dalla lettura del provvedimento in epigrafe, sembrerebbe<br />

potersi evincere che il Trib<strong>un</strong>ale ha ritenuto<br />

non tanto di poter obliterare tout court la fase<br />

di verifica disciplinata dagli artt. 27 e ss. D.Lgs.<br />

270/1999, quanto piuttosto di poter ritenere che tale<br />

verifica fosse già stata effettuata dagli stessi commissari<br />

giudiziali chiamati a vigilare sull’esecuzione<br />

del concordato preventivo.<br />

Sul p<strong>un</strong>to deve ritenersi pienamente condivisibile<br />

l’ass<strong>un</strong>to in forza del quale la relazione resa dai<br />

commissari giudiziali ai sensi del 173 l.fall. non può<br />

essere assimilata, quanto a contenuti e finalità, alla<br />

relazione che il commissario giudiziale avrebbe dovuto<br />

rendere ai sensi dell’art. 28, D.Lgs. 270/1999.<br />

Tale relazione deve infatti contenere non solo <strong>un</strong><br />

approfondimento diagnostico sulle cause dell’insolvenza,<br />

ma anche e soprattutto <strong>un</strong>a valutazione prognostica<br />

circa le capacità dell’impresa di raggi<strong>un</strong>gere<br />

<strong>un</strong> equilibrio economico attraverso <strong>un</strong>a delle opzioni<br />

indicate dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999 e, in occasione<br />

del procedimento di estensione, dovrà altresì<br />

svolgere <strong>un</strong>a p<strong>un</strong>tuale analisi con riguardo agli<br />

eventuali collegamenti di natura economica e produttiva<br />

esistenti tra le società del gruppo, al fine di<br />

verificare l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />

nell’ambito del gruppo (17).<br />

L’impossibilità di portare a compimento il piano<br />

concordatario espressa dai commissari giudiziali nella<br />

relazione ex art. 173 l.fall. non riguarda, né si sovrappone<br />

in alc<strong>un</strong> modo alla necessità di valutare i<br />

presupposti per <strong>un</strong>a ristrutturazione (anche mediante<br />

cessione del complesso aziendale) ovvero l’opport<strong>un</strong>ità<br />

di privilegiare <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />

nell’ambito del gruppo.<br />

Peraltro, come correttamente evidenziato dalla<br />

Corte piemontese, l’opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria<br />

dell’insolvenza deve essere valutata assumendo<br />

la prospettiva e valutando l’interesse della società<br />

ammessa alla procedura ‘‘madre’’ e d<strong>un</strong>que in <strong>un</strong>a<br />

prospettiva necessariamente distinta da quella ass<strong>un</strong>ta<br />

dai commissari giudiziali nel redigere la relazione<br />

ai sensi dell’art. 173 l.fall.<br />

Deve d<strong>un</strong>que escludersi l possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale<br />

di valutare la sussistenza dei presupposti per estendere<br />

la procedura sulla base della relazione ex art.<br />

173 l.fall., non potendo essere assolti in tale sede i<br />

precisi obblighi i valutazione richiesti al commissario<br />

giudiziale.<br />

4. Sui riflessi processuali della struttura<br />

bifasica<br />

La demarcazione summenzionata si riflette inevitabilmente<br />

sulla delimitazione del thema decidendum e<br />

del thema probandum delle due fasi del procedimento<br />

di estensione, con evidenti implicazioni sugli oneri<br />

di allegazione e dimostrazione gravanti in capo al<br />

soggetto che formula la richiesta di estensione.<br />

Cogliendo lo sp<strong>un</strong>to offerto dalle argomentazioni<br />

fatte proprie dal Trib<strong>un</strong>ale per gi<strong>un</strong>gere alla dichiarazione<br />

di insolvenza, preme qui evidenziare come<br />

<strong>un</strong> onere di allegazione possa essere tuttalpiù ravvisato<br />

in capo al soggetto che formula l’istanza di estensione<br />

<strong>un</strong>icamente con riferimento agli elementi che<br />

il Trib<strong>un</strong>ale è chiamato a vagliare nella prima fase<br />

del procedimento (competenza, natura di imprenditore<br />

commerciale, insolvenza e sussistenza di <strong>un</strong> rapporto<br />

di gruppo ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. 270/1999).<br />

Non potrà invece essere ravvisato in capo al soggetto<br />

istante <strong>un</strong>o specifico onere di allegazione (e tanto<br />

meno di dimostrazione) in relazione agli elementi<br />

fondanti i presupposti per dichiarare l’estensione<br />

ai sensi dell’art. 82 D.Lgs. 270/1999.<br />

L’impossibilità di ravvisare <strong>un</strong>o specifico onere di<br />

allegazione è peraltro confermata dal fatto che l’attuale<br />

disciplina normativa attribuisce la legittimazione<br />

a formulare l’istanza di estensione ad <strong>un</strong>a pluralità<br />

di soggetti (18) i quali, muovendo da prospettive<br />

del tutto distinte, non necessariamente dispor-<br />

Note:<br />

(16) Sul p<strong>un</strong>to v. G. Sansone, Brevi riflessioni sulla nuova disciplina,<br />

in questa Rivista, 2000, 281.<br />

(17) Circostanza, questa, che rende opport<strong>un</strong>a la nomina quale<br />

commissario giudiziale del commissario della procedura ‘‘madre’’.<br />

(18) Legittimati a formulare l’istanza di estensione sono la società<br />

debitrice, i creditori della stessa, il Pubblico Ministero e, in forza<br />

dell’art. 82 D.Lgs. n. 270/1999, anche il commissario straordinario<br />

della procedura ‘‘madre’’. L’art. 3 D.Lgs. 270/1999, richiamato<br />

dal primo comma della succitata norma, prevede altresì la<br />

possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale di provvedere d’ufficio alla dichiarazione<br />

di insolvenza. Tuttavia, a seguito dell’abrogazione dell’art. 8<br />

l.fall., si è ritenuto in dottrina che l’iniziativa officiosa debba intendersi<br />

implicitamente soppressa; in tal senso si veda M. Bianca, Il<br />

procedimento di dichiarazione dello stato di insolvenza, inC.Costa<br />

(a cura di), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />

in stato di insolvenza, Milano, 2008, 61 e ss.; contra P. Dal<br />

Soglio, Commento all’art. 82 d.lgs. 270/1999, in A. Maffei Alberti,<br />

(segue)<br />

340 Il Fallimento 3/2013


anno degli elementi necessari per adempiere ad <strong>un</strong><br />

preciso onere di allegazione in tal senso (si pensi alle<br />

diverse informazioni di cui possono disporre i<br />

creditori della società debitrice, la società debitrice<br />

ed i commissari della procedura ‘‘madre’’).<br />

Né, invero, la prospettiva privilegiata di cui può<br />

astrattamente godere il commissario straordinario<br />

della procedura ‘‘madre’’ può ritenersi sufficiente a<br />

ravvisare in capo allo stesso <strong>un</strong> qualsivoglia diverso<br />

o più gravoso onere di allegazione e/o dimostrazione<br />

sul p<strong>un</strong>to.<br />

Si deve d<strong>un</strong>que ritenere che non sussista in capo al<br />

soggetto che formula l’istanza di estensione (anche<br />

nell’ipotesi in cui questa sia presentata dal commissario<br />

straordinario della procedura ‘‘madre’’) alc<strong>un</strong> onere<br />

di specifica allegazione e dimostrazione con riferimento<br />

ai presupposti indicati dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999.<br />

Ne discende che, coerentemente con quanto rilevato<br />

dalla Corte di Appello, la mancata allegazione e/<br />

o dimostrazione da parte del soggetto istante della<br />

sussistenza dei presupposti di cui all’art. 27 D.Lgs.<br />

270/1999 ovvero dell’opport<strong>un</strong>ità di gestire <strong>un</strong>itariamente<br />

le insolvenze non potrà certamente ritenersi<br />

idonea ad impedire l’apertura della procedura.<br />

Le considerazioni che precedono portano anzi a ritenere<br />

che l’istanza di estensione, affrancandosi da<br />

<strong>un</strong> principio di necessaria corrispondenza tra chiesto<br />

e pron<strong>un</strong>ciato, non sia tanto volta ad ottenere<br />

<strong>un</strong>o specifico provvedimento da parte dell’Autorità<br />

giudiziaria, quanto piuttosto a sollecitare, previa dichiarazione<br />

d’insolvenza, il compimento di <strong>un</strong>a determinata<br />

valutazione, sulla base degli elementi<br />

istruttori sopra menzionati.<br />

Peraltro - come correttamente precisato dalla Corte<br />

piemontese - la valutazione sulla ammissione o non<br />

ammissione della società alla amministrazione<br />

straordinaria non è ispirata al principio dispositivo<br />

di parte, dovendo essere resa con riguardo ad interessi<br />

di ordine generale e di rilevanza pubblicistica,<br />

anche travalicando lo specifico interesse della società<br />

debitrice e della sua massa di creditori.<br />

In tale contesto preme altresì rilevare come la mancata<br />

previsione di <strong>un</strong>a dismissione congi<strong>un</strong>ta dei<br />

complessi aziendali di controllante e controllata nel<br />

programma relativo alla procedura ‘‘madre’’ risulti<br />

del tutto neutra ai fini della presente indagine. Ed<br />

infatti da <strong>un</strong> lato non può certamente essere censurata<br />

la mancata previsione delle modalità di gestione<br />

di <strong>un</strong>’insolvenza manifestatasi in epoca successiva al<br />

deposito del programma, dall’altro lato nulla esclude<br />

che lo stesso programma della procedura ‘‘madre’’<br />

possa essere modificato o integrato al fine di riflettere<br />

le eventuali circostanze sopravvenute medio tempore.<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

5. Brevi note sulla tempistica di esecuzione<br />

dei programmi<br />

La sentenza in epigrafe consente di approfondire <strong>un</strong><br />

ulteriore delicato aspetto della disciplina de qua, essendo<br />

stato evidenziato dalla curatela della società<br />

dichiarata fallita come l’imminente termine per l’esecuzione<br />

del programma adottato dalla procedura<br />

‘‘madre’’ non consentisse l’attuazione di <strong>un</strong> programma<br />

di dismissione congi<strong>un</strong>ta della controllata<br />

in <strong>un</strong>a con le componenti aziendali della controllante<br />

(19), dovendosi pertanto ritenere i commissari<br />

straordinari della controllante privi dell’interesse<br />

a formulare la citata istanza.<br />

Sul p<strong>un</strong>to la Corte piemontese osserva come non<br />

possano essere poste a carico della controllante (costretta<br />

a subire la dilatazione dei tempi per effetto<br />

del provvedimento illegittimo pron<strong>un</strong>ciato dal Trib<strong>un</strong>ale)<br />

le - non meglio specificate - conseguenze<br />

negative derivanti da tale differimento. Assume<br />

inoltre che, nel caso di specie, anche tralasciando il<br />

tempestivo deposito dell’istanza di estensione della<br />

procedura da parte dei Commissari straordinari, il<br />

diniego della amministrazione straordinaria da parte<br />

del Trib<strong>un</strong>ale non risultava com<strong>un</strong>que motivato da<br />

ragioni specificamente riconducibili alla tempistica<br />

di esecuzione del programma di cessione.<br />

A tale riguardo pare opport<strong>un</strong>o svolgere tal<strong>un</strong>e<br />

considerazioni.<br />

Sotto il profilo temporale l’art. 81 D.Lgs. 270/1999<br />

prevede la possibilità di ammettere le imprese del<br />

gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria<br />

nel lasso di tempo compreso tra la data di<br />

pubblicazione del decreto di apertura della procedu-<br />

Nota:<br />

(segue nota 18)<br />

Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1584.<br />

Sul p<strong>un</strong>to si veda anche Trib. Udine 9 luglio 2009, secondo cui<br />

deve ritenersi manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità<br />

della norma di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 270/1999 che<br />

consente (diversamente dall’attuale disciplina del fallimento) l’apertura<br />

d’ufficio della procedura di amministrazione straordinaria,<br />

per asserita violazione dell’art. 111 Cost., ossia per violazione<br />

dei principi di ‘‘terzietà’’ e imparzialità del giudice, qualora<br />

non vi sia stata <strong>un</strong>’apertura officiosa della procedura di amministrazione<br />

straordinaria ex art. 3, D.Lgs. n. 270/1999, sulla base<br />

di <strong>un</strong>a ‘‘notizia decoctionis’’ com<strong>un</strong>que acquisita, ma l’apertura<br />

della procedura c.d. ‘‘madre’’, nel cui ambito si inserisce l’estensione,<br />

sia avvenuta su ricorso di altra società del gruppo, ed il<br />

Trib<strong>un</strong>ale, investito della prima procedura, si sia limitato ad instaurare<br />

d’ufficio la procedura di ‘‘estensione’’ alla controllante,<br />

alla luce delle risultanze della relazione del Commissario Giudiziale,<br />

così utilizzando <strong>un</strong>o strumento previsto dalla legge in f<strong>un</strong>zione<br />

del perseguimento dell’interesse della procedura ‘‘madre’’.<br />

(19) Sul p<strong>un</strong>to si veda A. Rossi, Il programma nell’amministrazione<br />

straordinaria delle grandi imprese insolventi, in Giur.<br />

comm., 2001, 356 ss.<br />

Il Fallimento 3/2013 341


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

ra ‘‘madre’’ e la data di pubblicazione del decreto di<br />

chiusura della stessa pron<strong>un</strong>ciato a norma dell’art.<br />

76 D.Lgs. 270/1999 (20).<br />

Ne discende che la possibilità di domandare l’ammissione<br />

di <strong>un</strong>’impresa del gruppo alla procedura di<br />

amministrazione straordinaria non risulta in alc<strong>un</strong><br />

modo limitata dallo stato di avanzamento del programma<br />

predisposto dalla procedura ‘‘madre’’.<br />

Cosicché in astratto, anche laddove la procedura<br />

‘‘madre’’ avesse già portato a termine l’esecuzione<br />

del programma, sarebbe in ogni caso possibile formulare<br />

(e, in presenza dei presupposti, vedere accolta)<br />

<strong>un</strong>’istanza di estensione.<br />

Sulla base di tali premesse deve a maggior ragione<br />

ritenersi che l’imminente scadenza del termine per<br />

portare a compimento l’esecuzione del programma<br />

della procedura ‘‘madre’’ non potesse costituire di<br />

per sé circostanza idonea a privare di interesse il<br />

soggetto che formula l’istanza di estensione, né,<br />

tanto meno, potesse costituire <strong>un</strong>a circostanza sufficiente<br />

per anticipare alla prima fase del procedimento<br />

la valutazione circa la sussistenza dei presupposti<br />

per estendere la procedura.<br />

Ciò non significa tuttavia che l’elemento temporale<br />

risulti privo di rilevanza ai fini della scelta offerta<br />

dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999 tra le due procedure<br />

concorsuali.<br />

A tale riguardo occorre tuttavia distinguere le ipotesi<br />

che possono prospettarsi.<br />

Ed infatti laddove l’impresa del gruppo nei confronti<br />

della quale è richiesta l’estensione presenti di per sé<br />

concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico<br />

delle attività imprenditoriali ai sensi dell’art.<br />

27, D.Lgs. 270/1999 il contenuto del programma<br />

della procedura ‘‘madre’’ e lo stato di avanzamento<br />

dello stesso saranno privi di rilevanza ai fini della valutazione<br />

circa la sussistenza dei presupposti per dichiarare<br />

l’apertura della procedura. In tal caso, infatti,<br />

i programmi autonomi che siano predisposti in<br />

presenza delle condizioni richieste dall’art. 27 l.fall.<br />

dovranno essere eseguiti nelle tempistiche previste<br />

dalla stessa norma, previa approvazione da parte del<br />

competente Ministero (21).<br />

Viceversa, nell’ipotesi in cui non sussistano le condizioni<br />

indicate dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999 ed occorra<br />

valutare l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria<br />

delle insolvenze lo stato di avanzamento del programma<br />

assumerà <strong>un</strong>a sua innegabile importanza.<br />

L’art. 81 D.Lgs. 270/1999 precisa che la dichiarazione<br />

di estensione, in tale ipotesi, potrà essere pron<strong>un</strong>ciata<br />

a condizione che la gestione <strong>un</strong>itaria delle<br />

insolvenze agevoli il raggi<strong>un</strong>gimento degli obiettivi<br />

della procedura.<br />

Una lettura sistematica della disciplina della amministrazione<br />

straordinaria sembrerebbe privilegiare<br />

<strong>un</strong>a lettura non estensiva della disposizione, portando<br />

a ritenere che gli obiettivi citati dalla summenzionata<br />

norma debbano ritenersi esclusivamente<br />

quelli indicati dagli artt. 1 e 27, id est la conservazione<br />

ed il risanamento dell’impresa del gruppo che<br />

ha collegamenti economici o produttivi con quella<br />

cui viene estesa la procedura (22).<br />

Pare d<strong>un</strong>que corretto ritenere che la cessazione dell’esercizio<br />

dell’impresa che sia pron<strong>un</strong>ciata ad esito della<br />

integrale cessione dei complessi aziendali a norma<br />

dell’art. 73, primo comma, D.Lgs. 270/1999, nell’attribuire<br />

alla procedura <strong>un</strong> carattere meramente liquidatorio,<br />

sancisca il raggi<strong>un</strong>gimento degli obiettivi, così<br />

come intesi dall’art. 81 D.Lgs. 270/99. In tale ipotesi,<br />

infatti, le peculiari finalità proprie della procedura<br />

di amministrazione straordinaria dovranno ritenersi<br />

a questo p<strong>un</strong>to pienamente soddisfatte, così determinandosi<br />

aprioril’impossibilità di riscontrare l’opport<strong>un</strong>ità<br />

di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze.<br />

Appare quindi verosimile che, in assenza dei presupposti<br />

di cui all’art. 27 D.Lgs. 270/1999, tanto<br />

più avanzato sarà lo stato di esecuzione del programma,<br />

tanto minori saranno le probabilità di ravvisare<br />

l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle<br />

imprese del gruppo (23).<br />

Tale conclusione non significa tuttavia che, per<br />

quanto residuali possano essere le probabilità in tal<br />

senso, la norma consenta di obliterare tale necessaria<br />

verifica, non potendosi peraltro escludere la sussistenza<br />

dei presupposti di cui all’art. 27 D.Lgs. 270/<br />

1999 e la conseguente possibilità per la società del<br />

gruppo di adottare <strong>un</strong> programma autonomo.<br />

Correttamente d<strong>un</strong>que l’imminente scadenza del<br />

termine per attuare il programma di cessione adot-<br />

Note:<br />

(20) Così dovendosi intendere il disposto normativo secondo cui<br />

l’ammissione è possibile «sino a quando la procedura madre è<br />

in corso».<br />

(21) Quanto al contenuto del programma l’art. 86 D.Lgs. 270/<br />

1999 prevede che, nell’ipotesi in cui l’impresa del gruppo sia ammessa<br />

alla procedura di amministrazione straordinaria in assenza<br />

dei requisiti di cui all’art 27, D.Lgs. 270/1999, dovrà essere predisposto<br />

<strong>un</strong> programma f<strong>un</strong>zionale ad integrare il programma adottato<br />

nell’ambito della procedura ‘‘madre’’ ovvero in relazione ad<br />

altra impresa del gruppo (sul p<strong>un</strong>to cfr. A. Rossi, op. cit., 384).<br />

(22) In tal senso si veda G. Alessi, L’amministrazione straordinaria<br />

delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 118.<br />

(23) Il giudizio di opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />

dipende dalla prospettiva di <strong>un</strong>a dismissione delle attività nella<br />

loro organica composizione operativa, d<strong>un</strong>que in condizioni da<br />

presumersi di maggior interesse per gli operatori del mercato rilevante,<br />

nonché da <strong>un</strong>a valutazione dell’interesse pubblico alla<br />

salvaguardia dei livelli occupazionali; cfr. Trib. Roma, 7 giugno<br />

2007, in Fall., 2008, 218.<br />

342 Il Fallimento 3/2013


tato dalla controllante non è stato ritenuto elemento<br />

idoneo ad anticipare la valutazione circa la sussistenza<br />

dei presupposti per estendere la procedura.<br />

6. La restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />

La pron<strong>un</strong>cia in epigrafe consente di soffermarsi altresì<br />

su di <strong>un</strong> aspetto prettamente processuale. La<br />

Corte di Appello affronta infatti il tema, non specificamente<br />

disciplinato dalla legge della sorte della<br />

procedura a seguito dell’accoglimento del reclamo.<br />

Nel caso di specie i commissari straordinari, nel reclamare<br />

la dichiarazione di fallimento, hanno domandato<br />

la revoca della sentenza di fallimento e la<br />

restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale di Torino per la<br />

dichiarazione ex novo di insolvenza ex articoli 8, 81<br />

ed 82 D.Lgs. n. 270/99.<br />

La Corte di Appello ha ritenuto che ness<strong>un</strong>a delle<br />

norme invocate, negli atti di causa e nel corso della<br />

discussione, a sostegno di tale soluzione potesse attagliarsi<br />

al caso.<br />

Alla luce del corrente quadro normativo, la Corte<br />

di Appello ha ritenuto di dover richiamare due<br />

considerazioni di ordine generale idonee a f<strong>un</strong>gere<br />

da linee guida nel caso specifico.<br />

La prima è che nell’ordinamento concorsuale è nitidamente<br />

individuabile <strong>un</strong> principio di conservazione<br />

e continuità degli effetti della dichiarazione<br />

dello stato di insolvenza; principio tanto più significativo<br />

in <strong>un</strong> contesto nel quale i presupposti dello<br />

stato di insolvenza sono del tutto pacifici e, in<br />

quanto tali, estranei ai motivi di impugnazione della<br />

sentenza. Tale sentenza è stata infatti censurata<br />

soltanto sotto il profilo dell’adozione, proprio sullo<br />

scontato presupposto dello stato di insolvenza, di<br />

<strong>un</strong>a procedura concorsuale ‘‘sbagliata’’ perché insuscettibile<br />

di essere aperta ‘‘in quel momento’’ e sulla<br />

base di ‘‘quei dati conoscitivi’’. Sicché, in <strong>un</strong> simile<br />

contesto, non potrebbe trovare ragionevole giustificazione<br />

- attese anche le vaste ripercussioni che ne<br />

scaturirebbero in ordine ad aspetti derivativi essenziali<br />

ai fini del concorso quali, ad esempio: l’inefficacia/inopponibilità<br />

alla massa di determinati atti<br />

di disposizione patrimoniale; la decorrenza dei termini<br />

per l’eventuale proposizione di azioni revocatorie;<br />

l’accertamento delle responsabilità penali - la<br />

rimessione ‘‘in bonis’’ - seppur temporanea - di <strong>un</strong><br />

debitore che si trova in stato di insolvenza che ha<br />

già trovato riscontro giudiziale non contestato e,<br />

d<strong>un</strong>que, ormai irrevocabile.<br />

La seconda (mutuata dalla disciplina generale della<br />

nullità dell’atto processuale ex artt. 159-162 c.p.c.) è<br />

che l’emersione di <strong>un</strong> vizio procedimentale deve di<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

norma indurre la restituzione del procedimento stesso<br />

alla fase in cui il vizio si è verificato, così da permettere,<br />

in sede di rinnovazione dell’atto viziato, il ripristino<br />

del corretto iter. Ora, nella presente fattispecie,<br />

il reclamo viene accolto per ragioni non di merito,<br />

ma - app<strong>un</strong>to - di ordine puramente formale. Da ciò<br />

consegue che la richiesta retrocessione dovrà sì avvenire<br />

(mediante la restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale)<br />

ma al solo scopo di far ripartire il procedimento dal<br />

momento in cui si è verificato l’errore; qui rilevato<br />

con <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia di tipo rescindente parziale. Errore<br />

che non è affatto consistito nella dichiarazione<br />

dello stato di insolvenza, ma nell’aver individuato in<br />

tale stato i presupposti per la immediata apertura del<br />

fallimento, piuttosto che per l’instaurazione della fase<br />

prodromica di osservazione (segnata anch’essa da pregnanti<br />

connotati di concorsualità).<br />

I principi generali applicati dalla Corte di Appello<br />

paiono condivisibili.<br />

Occorre tuttavia vagliare la decisione in epigrafe alla<br />

luce del principio di tassatività.<br />

In definitiva il nucleo sostanziale implicito della<br />

sentenza di fallimento - vale a dire la dichiarazione<br />

dello stato di insolvenza - deve restare fermo e la<br />

restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale dovrà essere disposta<br />

al solo fine di porre quest’ultimo in condizione<br />

di adottare tutti i conseguenti provvedimenti ex<br />

articoli 8-82 D.Lgs. 270/99 (a cominciare dalla nomina<br />

dei commissari giudiziali per le attività ele<br />

valutazioni di loro competenza).<br />

7. Conclusioni<br />

L’analisi del sistema procedimentale dettato dal<br />

D.Lgs. 270/99 ai fini dell’estensione della procedura<br />

di amministrazione straordinaria conferma l’intento<br />

del legislatore di tutelare massimamente le finalità<br />

conservative perseguite dalla richiamata disciplina.<br />

Per quanto condivisibile il richiamo alle esigenze di<br />

concentrazione, speditezza ed economia nell’interesse<br />

dei creditori (della controllata) operato dalla<br />

curatela, l’attuale dato normativo non sembra<br />

escludere la possibilità che il perseguimento di tali<br />

finalità possa incidere negativamente sulle aspettative<br />

di soddisfazione vantate dai creditori della società<br />

del gruppo rispetto alla quale deve essere valutata<br />

la possibilità di estensione della procedura di<br />

amministrazione straordinaria. Correttamente, d<strong>un</strong>que,<br />

la Corte di Appello piemontese ha confermato<br />

il nucleo sostanziale ed implicito della sentenza di<br />

fallimento, restituendo gli atti al Trib<strong>un</strong>ale al fine<br />

di porre in essere le attività - inizialmente obliterate<br />

- di cui agli artt. 8-81 D.Lgs. 270/99.<br />

Il Fallimento 3/2013 343


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Fallimento di società a responsabilità limitata<br />

Azione ex art. 2394 c.c.:<br />

ammissibilità in tema di S.r.l.<br />

e legittimazione del curatore<br />

fallimentare a farla valere<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012 - Pres. Mirenda - Est. Vaccari - GEMA 96 S.p.a. e altre c.<br />

G.R.C. e altri<br />

Fallimento - Soggetti - Amministratori - Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. - Società a responsabilità<br />

limitata - Inammissibilità - Azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. del curatore - Configurabilità<br />

(cod. civ. artt. 146, 2043, 2394, 2394 bis, 2476; legge fallimentare art. 1)<br />

I creditori della società a responsabilità limitata possono agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti degli amministratori<br />

che si siano resi responsabili dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità<br />

del patrimonio sociale, ove questo risulti insufficiente ed in caso di fallimento è legittimato a far valere tale<br />

azione il curatore.<br />

Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />

La Gema 96 S.p.a, la S<strong>un</strong> & Sea S.r.l. e la Esse Group<br />

S.r.l. hanno convenuto in giudizio avanti a questo Trib<strong>un</strong>ale<br />

S.C.G., presidente del C.d.A. della Alberghi del<br />

Sole S.r.l. fino al febbraio 2006, R.C.G., amministratore<br />

<strong>un</strong>ico della predetta società dal marzo al maggio 2006 e,<br />

da quella data in poi consigliere di amministrazione, al<br />

pari di R.L. nonché la socia controllante di tale società,<br />

Arabba S.r.l., per sentir accogliere le conclusioni meglio<br />

riportate in epigrafe.<br />

A sostegno di tale domande le attrici hanno innanzitutto<br />

elencato i titoli, anche di natura giudiziale, in virtù<br />

dei quali hanno ass<strong>un</strong>to di essere creditrici della Alberghi<br />

del Sole S.r.l. Quindi, dopo aver descritto le principali<br />

vicende societarie e quelle che avevano riguardato<br />

l’organo amministrativo di quest’ultima società, hanno<br />

esposto le condotte di cui ritengono responsabili i convenuti<br />

ai sensi dell’art. 2394 c.c. e che, a loro dire, hanno<br />

provocato danni alla medesima.<br />

In primo luogo gli attori hanno addebitato ai convenuti<br />

di aver ritardato approvazione del bilancio dell’esercizio<br />

chiuso al 31 ottobre 2005, dopo il momento in cui Unicredit<br />

aveva erogato, a fronte dell’iscrizione di <strong>un</strong>a ipoteca<br />

volontaria sull’immobile di proprietà della società, <strong>un</strong><br />

finanziamento di euro 3.500.000,00 a favore della stessa<br />

e senza aver com<strong>un</strong>que provveduto a coprire le perdite<br />

maturate a quella data.<br />

Ancora gli attori hanno dedotto, quale ulteriore profilo<br />

di responsabilità dei convenuti, di non aver concluso ac-<br />

cordi transattivi con terzi soggetti, come la GSB s.a.s., la<br />

Le Gran Balcon e la Gema 96 S.p.A., verso i quali era<br />

fortemente esposta sebbene, dopo l’erogazione del succitato<br />

finanziamento, avesse avuto la liquidità utile a ciò,<br />

inducendo così i medesimi ad alc<strong>un</strong>e iniziative pregiudizievoli<br />

per la Alberghi del Sole (attivazione di <strong>un</strong> arbitrato<br />

da parte della Le Gran Balcon e escussione della fideiussione<br />

di cui era beneficiaria da parte della GSB).<br />

Le attrici hanno poi addebitato ai convenuti di aver proceduto,<br />

in violazione dell’art. 2467 c.c., a restituire alla<br />

socia Arabba S.r.l. il finanziamento di euro 550.000,00,<br />

che quella aveva erogato in favore della Alberghi del<br />

Sole utilizzando parte della somma mutuata da Unicredit.<br />

Ancora, a detta degli attori, gli amministratori della Alberghi<br />

del Sole hanno presentato <strong>un</strong>a domanda di concordato<br />

preventivo presso <strong>un</strong> Trib<strong>un</strong>ale, quale quello di<br />

Verona, palesemente incompetente per territorio e senza<br />

aver acquisito il consenso dei soci e aver neppure informato<br />

l’<strong>un</strong>ico soggetto che potesse esprimere <strong>un</strong> voto valido,<br />

ossia il creditore pignorante le quote sociali della<br />

società, ossia la Leans S.r.l. che aveva proceduto con<br />

due distinti pignoramenti, <strong>un</strong>o sulla quota, pari al 50%<br />

del capitale, di titolarità di S.C.G. e l’altro sul restante<br />

50% del capitale, di titolarità della Arabba S.r.l.<br />

Infine gli attori hanno sostenuto che i convenuti nel<br />

2007 hanno provveduto ad affittare l’albergo Li Rosi<br />

Marini, che costituiva l’<strong>un</strong>ica azienda di cui era proprietaria<br />

la Alberghi del Sole S.r.l., ad <strong>un</strong> canone irrisorio<br />

344 Il Fallimento 3/2013


ad <strong>un</strong>a società, la Iella S.r.l., di cui R.C.G. e la di lui<br />

moglie detenevano l’intera partecipazione, con il conseguente<br />

rischio di perdere i finanziamenti statali erogati<br />

ai sensi della L. n. 488/1992.<br />

Nello stesso periodo l’organo amministrativo della società<br />

ha risolto il contratto di affitto avente ad oggetto l’albergo<br />

La Mandola per stipularne <strong>un</strong> altro, alle medesime<br />

condizioni, con altra società, la CP Hotel S.r.l. di cui il<br />

C. e la moglie detengono il 50% del capitale.<br />

Dopo la notifica dell’atto introduttivo gli attori hanno<br />

proposto ricorso per sequestro conservativo nei confronti<br />

dei convenuti che, dopo l’instaurazione del contraddittorio<br />

ad esso relativo, è stato rigettato dal Giudice designato.<br />

I convenuti si sono costituiti anche nel giudizio di merito.<br />

R. e S.C.G., costituitisi a mezzo dello stesso difensore,<br />

hanno eccepito in via preliminare la nullità dell’atto<br />

di citazione sulla base del rilievo che gli addebiti nei loro<br />

confronti risultavano generici e indeterminati.<br />

Sempre in via preliminare i predetti convenuti, al pari<br />

degli altri, hanno sollevato eccezione di difetto di legittimazione<br />

attiva degli attori a proporre le domande. Tutti<br />

i convenuti poi hanno contestato anche nel merito la<br />

fondatezza degli ass<strong>un</strong>ti di controparte.<br />

La causa è stata istruita mediante <strong>un</strong>a c.t.u. diretta ad<br />

accertare la natura del pagamento effettuato da Arabba<br />

S.r.l. in favore di Alberghi del Sole e l’entità del patrimonio<br />

netto di quest’ultima società rispetto al suo indebitamento<br />

nel momento in cui beneficiò del suddetto<br />

importo.<br />

All’esito della c.t.u. all’udienza del 20 maggio 2011 il difensore<br />

di Arabba S.r.l., ha com<strong>un</strong>icato l’intervenuto fallimento<br />

della Alberghi del Sole S.r.l. e, conseguentemente,<br />

ha dedotto la sopravvenuta improcedibilità della<br />

domanda e a tale rilievo si sono associati i difensori degli<br />

altri convenuti.<br />

Ciò detto con riguardo all’iter del giudizio, in via preliminare<br />

va innanzitutto ribadita l’infondatezza dell’eccezione<br />

di difetto di legittimazione attiva delle attrici che<br />

le convenute avevano sollevato nel procedimento cautelare<br />

in corso di causa e che hanno riproposto nel giudizio<br />

di merito.<br />

Tale rilievo, che si fonda sull’incontestato presupposto<br />

che i comportamenti di cui si dolgono gli attori e che, a<br />

loro dire, hanno depauperato il patrimonio della società<br />

Alberghi del Sole ricadano sotto la disciplina del D.Lgs.<br />

n. 6/2003, essendo stati compiuti a partire dal febbraio<br />

2006, si richiama a quell’orientamento che, muovendo<br />

dalla constatazione che nella disciplina sulle società aresponsabilità<br />

limitata, introdotta dal predetto testo di legge,<br />

manca ogni previsione dell’azione dei creditori sociali<br />

(con la modifica dell’art. 2476 c.c. infatti, oltre ad essere<br />

stato eliminato il rinvio, tra gli altri, all’art. 2394 c.c. non<br />

è stata prevista ness<strong>un</strong>a disciplina specifica al riguardo),<br />

reputa che a tali soggetti non possa essere più riconosciuta<br />

la legittimazione ad <strong>un</strong>a simile iniziativa giudiziaria.<br />

Per i commentatori che aderiscono a tale interpretazione<br />

l’attuale assetto normativo è il frutto di <strong>un</strong>a scelta consapevole<br />

del legislatore, che ha inteso differenziare lo statuto<br />

della S.r.l. rispetto a quello delle S.p.a., sul presupposto<br />

che la prima costituisce ‘‘affare dei soci’’, accen-<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

tuando la responsabilità per l’amministrazione sul fronte<br />

interno, con contestuale esclusione di tale tipo di tutela<br />

per i creditori.<br />

A tale orientamento se ne contrappone <strong>un</strong> altro, nell’ambito<br />

del quale vanno annoverate alc<strong>un</strong>e pron<strong>un</strong>ce<br />

di merito (tra le più recenti si veda: Trib. Milano, sez.<br />

VIII, 18 gennaio 2011, n. 501) che ritiene che, anche<br />

in mancanza di <strong>un</strong>a espressa previsione di legge, la legittimazione<br />

dei creditori sociali a promuovere l’azione di<br />

responsabilità per i danni derivanti dalla mancata conservazione<br />

del patrimonio sociale discende dall’applicazione,<br />

in via analogica, dell’art. 2394 c.c.<br />

A favore di tale opzione è stato innanzitutto addotto <strong>un</strong><br />

condivisibile argomento di ordine sistematico, ossia la<br />

presenza all’interno del corpus normativo riguardante le<br />

società a responsabilità limitata, di norme che contemplano<br />

casi di responsabilità dei titolari di cariche sociali<br />

verso i creditori sociali, in particolare nella fase di liquidazione<br />

(art. 2485, primo comma seconda parte; art.<br />

2486 secondo comma e art. 2491 ultimo comma c.c.),<br />

per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento<br />

(art. 2497, primo comma, c.c.) o per quelle dotate<br />

di organo di controllo (art. 2477 ultimo comma c.c.<br />

ai sensi del quale ove il collegio sindacale sia obbligatorio<br />

si applica alla S.r.l. l’art. 2407 c.c. che, a sua volta,<br />

richiama l’art. 2394 c.c.).<br />

I sostenitori della tesi qui in esame hanno poi posto in<br />

luce, quale ulteriore considerazione a sostegno della medesima,<br />

come essa appaia l’<strong>un</strong>ica conforme alla Costituzione,<br />

in quanto idonea ad evitare <strong>un</strong>a disparità di trattamento<br />

per i creditori a seconda della diversa tipologia<br />

della persona giuridica con la quale sono in rapporto,<br />

pur in presenza di identica limitazione di responsabilità<br />

per i soci.<br />

Peraltro la conclusione alla quale gi<strong>un</strong>ge tale indirizzo,<br />

ossia che l’istituto di cui all’art. 2394 c.c. è espressione<br />

del principio generale secondo cui l’azione dei creditori<br />

sociali è f<strong>un</strong>zionale alla tutela dell’interesse pubblico al<br />

corretto f<strong>un</strong>zionamento dell’impresa in qualsiasi forma o<br />

tipologia societaria si svolga, che era superfluo richiamare<br />

ma che è meritevole di tutela anche nell’ambito delle<br />

S.r.l., risultando così passibile di interpretazione analogica,<br />

non persuade del tutto.<br />

Essa infatti postula che il testo attuale dell’art. 2476 c.c.<br />

sia il risultato di <strong>un</strong> difetto di coordinamento tra la disciplina<br />

delle S.p.a. e quella delle S.r.l. ma tale ass<strong>un</strong>to è<br />

contraddetto dal fatto che il sesto comma di tale disposizione<br />

contiene <strong>un</strong>a previsione identica a quella dell’attuale<br />

art. 2395 c.c., che ha mantenuto la formulazione<br />

antecedente alla riforma della società di capitali, e da<br />

ciò può desumersi che il legislatore, nel momento in cui<br />

delineò la nuova disciplina, aveva ben presente quale<br />

fosse quella in tema di società per azioni e in quali p<strong>un</strong>ti<br />

intendeva discostarsi da essa con riguardo alle S.r.l.<br />

L’estensione alla società a responsabilità limitata del disposto<br />

dell’art. 2394 risulta problematica anche per<br />

<strong>un</strong>’ulteriore considerazione, ossia quella che essa dovrebbe<br />

riguardare solo i primi due commi di tale norma mentre<br />

il terzo comma contiene <strong>un</strong>a disciplina sui presupposti<br />

per l’efficacia della rin<strong>un</strong>cia e della transazione all’a-<br />

Il Fallimento 3/2013 345


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

zione di responsabilità significativamente diversa da<br />

quella che l’art. 2476 quinto comma c.c. dedica all’analoga<br />

ipotesi che si verifichi nelle società a responsabilità<br />

limitata.<br />

Alla luce di tali considerazioni, e al fine di superare i<br />

p<strong>un</strong>ti critici che entrambe le opzioni sopra illustrate presentano,<br />

questo Giudice ritiene preferibile l’interpretazione,<br />

invero minoritaria (cfr. Trib. Napoli 11 novembre<br />

2004), che riconosce ai creditori sociali delle S.r.l. la tutela<br />

aquiliana del credito e che individua quindi la copertura<br />

normativa dell’azione di responsabilità che essi<br />

vogliano esperire nei confronti degli amministratori della<br />

società nell’art. 2043 c.c., con l’ovvia conseguenza che il<br />

comportamento dannoso dell’amministratore deve essere<br />

sorretto da dolo o colpa.<br />

È evidente che tale soluzione, oltre a risultare pienamente<br />

compatibile con il dettato costituzionale, presenta<br />

l’indubbio vantaggio di esimere l’interprete dall’interrogarsi<br />

sulla sorte della disciplina contenuta nell’art.2394<br />

c.c. Quanto poi alla possibile obiezione che essa viene<br />

com<strong>un</strong>que a legittimare <strong>un</strong>o statuto differente per la società<br />

a responsabilità limitata e la S.p.a è sufficiente osservare<br />

che ciò non è irragionevole dal momento che,<br />

come noto, il legislatore, con la riforma del 2003, ha inteso<br />

delineare le prima come società personale che gode<br />

del beneficio della responsabilità limitata (cfr. per tale<br />

definizione la relazione al D.Lgs. di riforma).<br />

Sulla base di tali considerazioni, poiché dalla lettura dell’atto<br />

di citazione, emerge chiaramente che le ricorrenti<br />

hanno descritto come intenzionali le condotte illecite<br />

che hanno attribuito ai convenuti e addirittura le hanno<br />

configurate come sorrette da <strong>un</strong> piano <strong>un</strong>itario, sussiste<br />

la legittimazione attiva delle società attrici.<br />

Una volta pervenuti alla conclusione appena esposta è<br />

possibile risolvere anche la questione, che è stata posta<br />

dalla difesa dei convenuti, a seguito dell’intervenuto fallimento<br />

della Alberghi del Sole S.r.l., se persista o meno<br />

la legittimazione degli attori a coltivare il presente giudizio.<br />

Sul p<strong>un</strong>to, pur in mancanza di <strong>un</strong>a disposizione come<br />

l’art. 2394 bis c.c. all’interno del corredo di norme<br />

sulla società a responsabilità limitata, occorre far riferimento<br />

alla disciplina fallimentare come interpretata dalla<br />

Corte di Cassazione nella pron<strong>un</strong>cia che è stata citata<br />

dalla difese dei convenuti nelle note conclusive autorizzate<br />

(si tratta di Cass. 21 luglio 2010, n. 17121).<br />

Il passo più significativo di tale decisione è il seguente:«-<br />

La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla considerazione<br />

che la l. fall., art. 146, nel suo testo originario,<br />

era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore<br />

all’esercizio delle azioni di responsabilità com<strong>un</strong>que<br />

esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli<br />

amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento<br />

agli artt. 2393 e 2394 c.c. E questa interpretazione<br />

risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perché il<br />

nuovo testo della l. fall., art. 146, come sostituito dal<br />

D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente<br />

che il curatore è legittimato a esercitare le azioni<br />

di responsabilità contro gli amministratori, i componenti<br />

degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori,<br />

della società fallita». La Corte in tale sentenza ha an-<br />

che ribadito il proprio orientamento secondo cui «l’azione<br />

di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento<br />

ai sensi della l. fall., art. 146, ha natura contrattuale e carattere<br />

<strong>un</strong>itario ed inscindibile, risultando frutto della<br />

confluenza in <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico rimedio delle due diverse azioni<br />

di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c.» (cfr. in tali termini anche<br />

Cass., Sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977, m. 605521).<br />

In altri termini, secondo la Suprema Corte, la riforma<br />

della legge fallimentare, nell’attribuire al curatore fallimentare<br />

la legittimazione esclusiva all’esercizio di tutte le<br />

azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori<br />

che trovino fondamento nella disciplina di diritto sostanziale,<br />

non ha fatto altro che esplicitare quanto già poteva<br />

desumersi in via interpretativa dal testo previgente.<br />

Se poi si tiene presente la f<strong>un</strong>zione di <strong>un</strong>a simile legittimazione<br />

risulta evidente l’infondatezza dell’obiezione<br />

della difesa attorea, secondo cui i predetti principii non<br />

sarebbero applicabili ai casi, come quello di specie, in<br />

cui l’azione di responsabilità sia stata già promossa dai<br />

creditori sociali prima del fallimento.<br />

L’esclusività della legittimazione del curatore invero risponde<br />

all’esigenza di utilizzare le azioni di responsabilità<br />

come strumento per la ricostruzione del patrimonio della<br />

società fallita e acquisire, così, anche gli eventuali risultati<br />

economici dell’iniziativa giudiziale alla massa, in ossequio<br />

ai principi di parità di trattamento che sono alla<br />

base della procedura concorsuale.<br />

La dottrina, ha infatti evidenziato che lo scopo dell’azione<br />

di responsabilità esercitata dal curatore non può più<br />

essere quello di reintegrare il patrimonio dei singoli creditori,<br />

ma quello di attuare, per il tramite della ricostruzione<br />

del patrimonio del fallito, il concorso anche su <strong>un</strong><br />

patrimonio diverso, e cioè quello dell’amministratore. Il<br />

danno risarcibile, conseguentemente, non può più essere<br />

quello cagionato al singolo creditore, bensì quello subito<br />

dalla società che sia divenuta incapiente come massa e<br />

proprio queste considerazioni valgono a spiegare meglio<br />

perché l’azione del curatore sociale abbia quel carattere<br />

misto di cui si è detto sopra.<br />

Se tutto ciò è vero non è concepibile che, dopo la declaratoria<br />

di fallimento di <strong>un</strong>a società di capitali, il giudizio<br />

di responsabilità promosso, prima di quell’evento, dal<br />

creditore sociale nei confronti dell’amministratore della<br />

società fallita possa proseguire perché l’accoglimento delle<br />

domanda comporterebbe la violazione della par condicio<br />

creditorum.<br />

In questi casi pertanto spetta al curatore proseguire l’azione,<br />

come ha avuto occasione di chiarire la Corte di<br />

Cassazione già con riguardo al disposto dell’art. 2394,<br />

comma 3, precedente la riforma del 2003, che era identico<br />

a quello dell’attuale art. 2394 bis (si veda, sebbene<br />

si tratti di affermazione incidentale: Cass. 7 novembre<br />

1997, n. 10937). La Suprema Corte, sempre con riguardo<br />

alla predetta disciplina, ha anche chiarito che: «in<br />

costanza di fallimento la legittimazione dei creditori sociali<br />

ad esercitare l’azione di responsabilità di cui all’art.<br />

2394 c.c. non sopravvive, ancorché il curatore rimanga<br />

inerte» (Cass. 28 novembre 1984, n. 6187 e Cass. 28<br />

febbraio 1998, n. 2251) e che la legittimazione dei creditori<br />

risorge in caso di chiusura del fallimento.<br />

346 Il Fallimento 3/2013


È appena il caso di aggi<strong>un</strong>gere che all’estensione di queste<br />

conclusioni al caso in cui l’azione di responsabilità sia<br />

stata promossa dai creditori di <strong>un</strong>a S.r.l., non osta la<br />

mancanza di <strong>un</strong>a norma come l’art. 2393 bis c.c. nell’ambito<br />

della disciplina di tale tipo di società. Ricorre infatti,<br />

l’eadem ratio, per l’effetto implementativo conseguente,<br />

poiché, anche in caso di fallimento di <strong>un</strong>a S.r.l., quell’azione<br />

acquista la medesima finalità di cui si è detto e<br />

compete quindi al curatore fallimentare in via esclusiva.<br />

Per quanto riguarda la regolamentazione delle spese di lite,<br />

la considerazione che l’esito in rito del presente giudizio<br />

è stato determinato da <strong>un</strong>a circostanza sopravvenuta<br />

nel corso di esso, che non era prevedibile nel momento<br />

in cui esso ha avuto inizio, giustifica la compensazione<br />

di esse, ivi comprese quelle della fase cautelare in corso<br />

di causa, tra le parti. Quelle della espletata c.t.u. invece<br />

vanno poste a carico delle parti che le hanno anticipate.<br />

(Omissis).<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto 2012 - Est. Rabuano - Curatela fallimento Antico<br />

Opificio Serico De Negri in liquidazione c. A.S. e altri<br />

Fallimento - Soggetti - Amministratori - Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. - Società a responsabilità<br />

limitata - Legittimazione del curatore fallimentare - Ammissibilità<br />

(cod. civ. artt. 146, 2394, 2394 bis, 2476; legge fallimentare art. 1)<br />

All’esito della nuova disciplina societaria e fallimentare, il curatore della società a responsabilità limitata dichiarata<br />

fallita è legittimato ad agire ai sensi dell’art. 2394 c.c. e 146 l. fall. nei confronti degli amministratori<br />

che non abbiano osservato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ove<br />

questo risulti insufficiente a soddisfare le pretese creditorie.<br />

Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />

2. Legittimazione del curatore del fallimento AOS a<br />

esercitare l’azione di responsabilità dei creditori sociali.<br />

La difesa del C. ha contestato l’esercizio da parte della<br />

curatela del fallimento AOS dell’azione dei creditori sociali<br />

precisando che: «Con riguardo a tale tipo di società<br />

la normativa introdotta dalla riforma del 2003 (art.<br />

2476 c.c.) dispone che gli amministratori sono responsabili<br />

verso la società stessa dei danni derivanti dalla inosservanza<br />

dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto<br />

costitutivo, precisando che l’azione di responsabilità<br />

contro gli amministratori è promossa da ciasc<strong>un</strong> socio<br />

(art. 2476 c.c.). La nuova disciplina delle società a responsabilità<br />

limitata non prevede invece <strong>un</strong>’azione di responsabilità<br />

contro gli amministratori esperibile dai creditori<br />

sociali nel caso in cui il patrimonio sociale, a causa<br />

della indebita condotta degli amministratori stessi, risulti<br />

insufficiente al pagamento dei debiti della società,<br />

non contenendo la nuova normativa <strong>un</strong>a disposizione<br />

analoga a quella dettata dall’art. 2394 c.c. in materia di<br />

società per azioni».<br />

L’eccezione è infondata.<br />

La riforma del diritto societario, entrata in vigore l’1<br />

gennaio 2004 ed, in via definitiva, e cioè prevalendo<br />

sulle norme statutarie eventualmente difformi, l’1 ottobre<br />

2004, ha previsto relativamente alle società per azioni,<br />

in <strong>un</strong> modo non molto dissimile dal passato, le azioni<br />

di responsabilità degli amministratori verso la società<br />

(art. 2392-2393 c.c.), verso i creditori sociali (art. 2394<br />

c.c.) e verso il socio e il terzo direttamente danneggiati<br />

da atti dolosi o colposi, riservando, in caso di fallimento<br />

della società, le azioni previste dagli artt. 2392, 2393 c.c.<br />

al curatore della procedura concorsuale.<br />

Per le società a responsabilità limitata, invece, la nuova<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

normativa ha previsto e disciplinato le azioni di responsabilità<br />

degli amministratori verso la società (art. 2476,<br />

commi 1, 2, 3, 4 e 5, nuovo testo, c.c.) e verso i singoli<br />

soci e terzi direttamente danneggiati da atti dolosi e colposi<br />

(art. 2476, comma 6, c.c.), ma ha omesso di prevedere,<br />

in modo espresso, l’azione di responsabilità spettante<br />

ai creditori sociali per il caso d’inadempimento degli<br />

amministratori al dovere di conservare l’integrità del patrimonio<br />

sociale tale da provocarne l’insufficienza a soddisfare<br />

tutti i debiti della società.<br />

Il trib<strong>un</strong>ale ritiene che le questione oggetto di analisi<br />

siano due: 1) se sia desumibile, in via interpretativa, l’esistenza<br />

dell’azione di responsabilità dei creditori sociali<br />

nei confronti degli amministratori di società a responsabilità<br />

limitata; 2) se sia configurabile la legittimazione<br />

straordinaria del curatore all’esercizio dell’azione di responsabilità<br />

dei creditori sociali.<br />

Per quanto riguarda la prima questione, il trib<strong>un</strong>ale rileva,<br />

innanzitutto, che l’art. 146 R.D. 267/42 con la sua<br />

ampia formulazione «Sono esercitate dal curatore previa<br />

autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato<br />

dei creditori: a)le azioni di responsabilità contro gli amministratori,<br />

i componenti degli organi di controllo, i direttori<br />

generali e i liquidatori» riconosce all’ufficio fallimentare<br />

qualsiasi azione di responsabilità nei confronti<br />

degli amministratori della società e, dovendosi trattare<br />

di azioni strumentali alla tutela degli interessi cha la curatela<br />

rappresenta e, quindi, degli interessi sia dell’impresa<br />

insolvente sia dei suoi creditori, si deve pervenire alla<br />

conclusione che la disposizione citata riconosce alla curatela<br />

il diritto di esercitare l’azione di responsabilità nei<br />

confronti degli amministratori della società fallita quando<br />

gli stessi abbiano recato pregiudizio alle ragioni dei<br />

creditori sociali.<br />

Il Fallimento 3/2013 347


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

L’analisi sistematica delle norme che regolano il regime<br />

di responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità<br />

limitata conferma l’esistenza dell’azione di<br />

responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli<br />

amministratori di s.r.l.<br />

L’art. 2485, comma 1, c.c. prevede che gli amministratori<br />

che hanno ritardato od omesso di procedere all’accertamento<br />

‘‘senza indugio’’ ed alla pubblicità della verificazione<br />

di <strong>un</strong>a causa di scioglimento della società sono responsabili<br />

per i danni cagionati ai creditori sociali.<br />

L’art. 2486 c.c. prevede che gli amministratori che hanno<br />

compiuto, dopo lo scioglimento della società, atti<br />

non finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore<br />

del patrimonio sociale sono responsabili per i danni<br />

cagionati ai creditori della società.<br />

L’art. 2497 c.c. dispone che i creditori sociali di <strong>un</strong>a società<br />

assoggettata all’altrui potere di direzione e coordinamento,<br />

quindi, anche imprese collettive organizzate<br />

secondo il modello della società a responsabilità limitata<br />

possono agire, in caso di abuso, contro la società controllante<br />

e di chi<strong>un</strong>que abbia preso parte al fatto, ivi<br />

compresi gli amministratori della controllante<br />

Infine, si può ritenere applicabile analogicamente l’art.<br />

2394 c.c. che prevede espressamente per le società per<br />

azioni il diritto dei creditori sociali di agire per far valere<br />

la responsabilità degli amministratori per aver cagionato<br />

<strong>un</strong>a diminuzione del patrimonio della società con<br />

conseguente pregiudizio per le loro ragioni economiche.<br />

Sussistono, infatti, i presupposti dall’analogia legis: 1) l’esistenza,<br />

nella nuova disciplina dettata in tema di responsabilità<br />

degli amministratori di società a responsabilità<br />

limitata, di <strong>un</strong>a lac<strong>un</strong>a normativa (tanto più se si<br />

considera che, se non disciplinata, l’azione dei creditori<br />

sociali neppure è stata espressamente o inequivocabilmente<br />

esclusa dalla legge); 2) l’eadem legis ratio: tanto<br />

nelle società per azioni, quanto nelle società a responsabilità<br />

limitata, infatti, la responsabilità degli amministratori<br />

verso i creditori sociali costituisce <strong>un</strong> principio generale<br />

che rappresenta il contrappeso rispetto alla responsabilità<br />

limitata dei soci.<br />

Infine, pur se si volesse escludere l’applicazione delle<br />

norme indicate, i creditori potrebbero agire nei confronti<br />

degli amministratori della società per i danni cagionati<br />

al patrimonio sociale e, quindi, alle loro ragioni economiche<br />

ricorrendo all’art. 2043 c.c.<br />

La legittimazione straordinaria del curatore all’esercizio<br />

dell’azione di responsabilità dei creditori sociali ha il<br />

proprio fondamento nella stessa previsione dell’art. 146<br />

R.D. 267/42 che concentra in capo all’ufficio fallimentare<br />

la titolarità delle azioni di massa dirette a ricostituire<br />

il patrimonio della società tramite l’accertamento della<br />

responsabilità e la condanna di coloro che, in qualità di<br />

amministratori e sindaci, hanno danneggiato l’impresa e<br />

il relativo ceto creditorio.<br />

Inoltre, secondo i principi del diritto concorsuale, riconosciuta<br />

l’esistenza dell’azione dei creditori per far valere<br />

al responsabilità degli amministratori della società, la legittimazione<br />

al suo esercizio deve essere riconosciuta necessariamente<br />

al curatore fallimentare con la conseguenza<br />

che nel corso della procedura i creditori (ammessi o<br />

meno al passivo) non hanno <strong>un</strong>a legittimazione concorrente<br />

al suo esperimento.<br />

In definitiva, l’eccezione della difesa del Cappuccilli è<br />

infondata.<br />

(Omissis).<br />

Il ceto creditorio e la dimensione istituzionale della S.r.l.:<br />

riflessi sull’azione dei creditori sociali e sulla legittimazione<br />

del curatore<br />

di Luigi Abete *<br />

Le pron<strong>un</strong>ce in commento offrono l’occasione per riflettere ulteriormente in ordine sia all’operatività della<br />

responsabilità ex art. 2394 c.c. nell’ambito della disciplina della S.r.l. sia della legittimazione del curatore del<br />

fallimento. L’A., in considerazione delle peculiarità che all’esito della riforma di cui al D.Lgs. n. 6/2003 connotano<br />

la società a responsabilità limitata, dissente dalla esegesi patrocinata dal trib<strong>un</strong>ale di S. Maria C.V.,<br />

ancorché confortata da <strong>un</strong> recente arresto della Suprema Corte, e la condivide solo in parte, segnatamente<br />

laddove si afferma che la responsabilità degli amministratori per l’insufficienza patrimoniale è in ogni caso<br />

configurabile nel solco dell’art. 2043 c.c., ma se ne discosta, viceversa, laddove opina per l’esclusiva legittimazione<br />

del curatore del fallimento di S.r.l. ad azionarla.<br />

1. La vicenda di cui alla statuizione<br />

veronese<br />

La vicenda di cui alla sentenza del trib<strong>un</strong>ale di Verona,<br />

allo specifico fine dei rilievi che si intendono<br />

svolgere, può esser come di seguito esplicitata.<br />

La ‘‘Gema 96’’ S.p.a., la ‘‘S<strong>un</strong> & Sea’’ S.r.l. e la<br />

‘‘Esse Group’’ S.r.l. convengono innanzi al trib<strong>un</strong>ale<br />

di Verona Sergio Cattaneo Guerra, Roberto Cat-<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

348 Il Fallimento 3/2013


taneo Guerra e Roberto Lazzarini, rispettivamente,<br />

il primo, quale presidente del consiglio di amministrazione<br />

sino al mese di febbraio 2006, il secondo,<br />

quale amministratore <strong>un</strong>ico dal marzo al maggio del<br />

2006 e poi componente del consiglio di amministrazione,<br />

il terzo, quale componente dal maggio<br />

2006 del consiglio di amministrazione della ‘‘Alberghi<br />

del Sole’’ S.r.l. Convengono in giudizio, altresì,<br />

la ‘‘Arabba’’ S.r.l., quale società controllante la medesima<br />

‘‘Alberghi del Sole’’.<br />

Le attrici premettono di esser a vario titolo creditrici<br />

della ‘‘Alberghi del Sole’’ S.r.l. e, su tale scorta,<br />

danno conto di tal<strong>un</strong>e condotte ascrivibili ai convenuti<br />

e - a loro dire - atte ad aver cagionato l’effetto<br />

pregiudizievole dell’insufficienza patrimoniale<br />

di cui all’art. 2394 c.c.<br />

Instano, pertanto, per la loro condanna al risarcimento<br />

del danno ex art. 2394 c.c.<br />

Nel corso del giudizio, all’udienza del 20 maggio<br />

2011, il difensore della ‘‘Arabba’’ riferisce della declaratoria<br />

di fallimento della ‘‘Alberghi del Sole’’<br />

ed in forza di tale sopravvenuta circostanza chiede,<br />

<strong>un</strong>itamente ai difensori degli altri convenuti, dichiararsi<br />

l’improcedibilità della domanda.<br />

Con la pron<strong>un</strong>cia de qua il trib<strong>un</strong>ale di Verona, limitatamente<br />

alla preliminare eccezione di difetto di<br />

legittimazione delle attrici sollevata dai convenuti e<br />

da costoro ancorata alla «constatazione che nella<br />

disciplina sulle società a responsabilità limitata ...<br />

manca ogni previsione dell’azione dei creditori sociali»,<br />

dà atto che «l’estensione alla società a responsabilità<br />

limitata del disposto dell’art. 2394 risulta<br />

problematica» e, d<strong>un</strong>que, «ritiene preferibile<br />

l’interpretazione, invero minoritaria (cfr. Trib. Napoli<br />

11 novembre 2004), che riconosce ai creditori<br />

sociali delle s.r.l. la tutela aquiliana del credito e<br />

che individua quindi la copertura normativa dell’azione<br />

di responsabilità che essi vogliono esperire<br />

nei confronti degli amministratori della società nell’art.<br />

2043 c.c. ...».<br />

Su tale scorta reputa sussistente la legittimazione<br />

attiva delle società attrici.<br />

Al contempo, nel delibare la questione - del pari<br />

posta dalla difesa dei convenuti - circa la persistenza<br />

o meno, a seguito dell’intervenuto fallimento<br />

della ‘‘Alberghi del Sole’’, della «legittimazione degli<br />

attori a coltivare il presente giudizio», reputa<br />

che, «pur in mancanza di <strong>un</strong>a disposizione come<br />

l’art. 2394 bis c.c. all’interno del corredo di norme<br />

sulla società a responsabilità limitata, occorre far riferimento<br />

alla disciplina fallimentare come interpretata<br />

dalla Corte di Cassazione nella pron<strong>un</strong>cia<br />

... 21 luglio 2010 n. 17121)».<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Sulla scorta del testé indicato arresto della Suprema<br />

Corte il trib<strong>un</strong>ale di Verona opina per la legittimazione<br />

esclusiva del curatore fallimentare «all’esercizio<br />

di tutte le azioni di responsabilità nei confronti<br />

degli amministratori che trovino fondamento nella<br />

disciplina di diritto sostanziale» e, quindi, nel senso<br />

che «non è concepibile che, dopo la declaratoria di<br />

fallimento di <strong>un</strong>a società di capitali, il giudizio di<br />

responsabilità promosso, prima di quell’evento, dal<br />

creditore sociale nei confronti dell’amministratore<br />

della società fallita possa proseguire perché l’accoglimento<br />

della domanda comporterebbe violazione<br />

della par condicio creditorum», soggi<strong>un</strong>gendo che<br />

«non osta la mancanza di <strong>un</strong>a norma come l’art.<br />

2393 bis c.c. nell’ambito della disciplina di tale tipo<br />

di società. Ricorre, infatti, l’eadem ratio ...».<br />

2. La vicenda di cui alla statuizione<br />

sammaritana<br />

La vicenda di cui alla ponderosa ordinanza del trib<strong>un</strong>ale<br />

di S. Maria Capua Vetere, del pari al precipuo<br />

scopo delle argomentazioni da svolgere, può<br />

dal canto suo esser rappresentata nei susseguenti<br />

circoscritti termini.<br />

Il curatore del fallimento della S.r.l. ‘‘Antico Opificio<br />

Serico De Negri’’, con ricorso ex art. 671 c.p.c.<br />

depositato in data 15 febbraio 2012 e correlato ad<br />

<strong>un</strong> atto di citazione datato 16 giugno 2011 con cui<br />

il medesimo organo aveva provveduto ad esperire<br />

azione ex art. 146 l. fall. nei confronti di amministratori<br />

e sindaci della società fallita, insta affinché<br />

sia autorizzato in danno dei resistenti - già convenuti<br />

- il sequestro conservativo delle loro rispettive<br />

integrali consistenze patrimoniali, onde salvaguardare<br />

la possibilità di coattiva realizzazione delle ragioni<br />

di credito atte a scaturire dall’affermanda responsabilità<br />

dei medesimi resistenti.<br />

I resistenti si costituiscono ed, a loro volta, tra l’altro,<br />

danno atto dell’omessa prefigurazione nel quadro<br />

della disciplina della società a responsabilità limitata,<br />

quale fuoriuscita dalla ‘‘riforma’’ del 2003,<br />

di <strong>un</strong>’azione del tipo di quella di cui all’art. 2394<br />

c.c., scritto in materia di società azionaria ed abilitante<br />

i creditori sociali ad agire in danno degli amministratori.<br />

Con l’ordinanza in disamina il trib<strong>un</strong>ale sammaritano<br />

reputa, per <strong>un</strong> verso, che il sistema registra <strong>un</strong>a<br />

pluralità di indici positivi - ovvero gli artt. 2485,<br />

primo comma, 2486 e 2497 c.c. - idonei a confermare<br />

(la tesi favorevole al)l’ammissibilità pur sul<br />

terreno della disciplina della S.r.l. della responsabilità<br />

degli amministratori e dei sindaci nei confronti<br />

Il Fallimento 3/2013 349


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

del ceto creditorio considerato nel suo complesso,<br />

reputa, per altro verso, che la legittimazione straordinaria<br />

del curatore del fallimento di S.r.l. all’esercizio<br />

dell’azione dei creditori sociali rinviene il suo<br />

ancoraggio positivo nella previsione dell’art. 146 l.<br />

fall.<br />

3. Breve rappresentazione dello stato<br />

della giurisprudenza e della dottrina<br />

in ordine alla tematica in disamina<br />

Il tema della configurabilità, da <strong>un</strong> lato, della responsabilità<br />

degli amministratori di S.r.l. nei confronti<br />

del ceto creditorio nel suo complesso considerato,<br />

analogamente a quanto prefigura l’art. 2394<br />

c.c. sul terreno della società azionaria, e, dall’altro,<br />

della legittimazione del curatore del fallimento di<br />

S.r.l. ad esperire la medesima azione, ha registrato<br />

in epoca relativamente recente l’intervento del giudice<br />

di legittimità.<br />

La Corte suprema, con sentenza n. 17121 del 21 luglio<br />

2010 (1), siccome leggesi testualmente in motivazione,<br />

ha dato atto che «il D.Lgs. n. 6/2003 ha<br />

disciplinato autonomamente la responsabilità degli<br />

amministratori di S.r.l., eliminando ogni richiamo<br />

alla disciplina della S.p.a.», sicché «si discute ... se<br />

il curatore fallimentare sia ancora legittimato all’esercizio<br />

delle azioni di responsabilità nei confronti<br />

degli amministratori di S.r.l.»; in ogni caso ha, al<br />

riguardo, opinato nel senso che «la questione deve<br />

ritenersi tuttavia superata dalla considerazione che<br />

la l. fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato<br />

solo a riconoscere la legittimazione del curatore<br />

all’esercizio delle azioni di responsabilità com<strong>un</strong>que<br />

esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti<br />

degli amministratori, indipendentemente dallo specifico<br />

riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.»; ed ha<br />

concluso nel senso che «questa interpretazione risulta<br />

ora confermata dallo stesso legislatore, perché<br />

il nuovo testo della l. fall., art. 146, come sostituito<br />

dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede<br />

semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare<br />

le azioni di responsabilità contro gli amministratori,<br />

i componenti degli organi di controllo, i<br />

direttori generali e i liquidatori, della società fallita.<br />

Sicché il curatore può esercitare qualsiasi azione di<br />

responsabilità cui sia ammesso contro gli amministratori<br />

di qualsiasi società».<br />

L’elaborazione giurisprudenziale di merito, dal canto<br />

suo, appare in forma ampiamente maggioritaria<br />

orientata nel senso della operatività in via analogica<br />

dell’art. 2394 c.c. anche nel quadro della disciplina<br />

della minore delle società di capitali e, paral-<br />

lelamente, nel senso della piena legittimazione del<br />

curatore del fallimento di S.r.l. ad esperire l’azione<br />

dei creditori sociali (2).<br />

Da ultimo si è espresso in questi termini il trib<strong>un</strong>ale<br />

di Lecce con sentenza del 9 dicembre 2011 (3),<br />

che si limita a registrare, in toto <strong>un</strong>iformandosi, la<br />

summenzionata statuizione del giudice del diritto.<br />

In questo quadro l’orientamento giurisprudenziale -<br />

di merito - propenso a disconoscere la responsabilità<br />

degli amministratori di S.r.l. nei confronti del ceto<br />

creditorio globalmente inteso ed, in pari tempo,<br />

la legittimazione del curatore del fallimento di società<br />

di tale tipo ad esercitare la correlata azione si<br />

rivela decisamente minoritario (4).<br />

Il panorama delle riflessioni dottrinali appare egualmente<br />

diviso (5).<br />

Note:<br />

(1) In Le Società, 2011, 701.<br />

(2) Cfr. in tal senso Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in Le Società,<br />

2011, 1145; Trib. Milano, 22 dicembre 2010, in Le Società,<br />

2011, 757; Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Le Società, 2011,<br />

510; Trib. Novara, 12 gennaio 2010, in Le Società, 2010, 645;<br />

Trib. Nola, 18 giugno 2009, in Fall., 2010, 121; Trib. Roma, (ord.)<br />

23 febbraio 2009, in Le Società, 2010, 97; Trib. Milano, 10 ottobre<br />

2007, in Giur. it., 2008, 2511; Trib. Mantova, (ord.) 14 settembre<br />

2005, in questa Rivista, 2006, 98; Trib. Udine, (ord.) 11<br />

febbraio 2005, in Dir. fall., 2005, II, 808; Trib. Napoli, 12 maggio<br />

2004, in Le Società, 2005, 1013; Trib. Napoli, 16 aprile 2004, in<br />

Le Società, 2005, 1015.<br />

(3) In questa Rivista, 2012, 705, con nota di S. Ronco, Questioni<br />

varie in tema di responsabilità di amministratori e sindaci di S.r.l.<br />

(4) Il riferimento è a Trib. Napoli, 11 novembre 2004, in Le Società,<br />

2005, 1007; Trib. S. Maria C.V., 18 marzo 2005, in questa<br />

Rivista, 2006, 190; Trib. Milano, 25 gennaio 2006, in Le Società,<br />

2007, 320.<br />

(5) Per l’orientamento incline a ritenere che nulla sia mutato all’esito<br />

delle riforme, e societaria e fallimentare, cfr. S. Ambrosini,<br />

Le azioni di responsabilità, inTrattato di diritto commerciale,<br />

diretto da Cottino, IX, 2, Il Fallimento, Padova, 2009, 735 ss.;<br />

cfr. G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel fallimento, in<br />

Fallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali e negoziate delle<br />

crisi d’impresa dopo le riforme, a cura di P. Celentano, E. Forgillo,<br />

Torino, 2008, 877 ss.; cfr. M. Rescigno, Rapporti e interferenze<br />

tra riforma societaria e fallimentare, inIl nuovo diritto fallimentare,<br />

diretto da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, II, Bologna,<br />

2007, 2126 ss.; cfr. M. Bianca, La responsabilità degli amministratori<br />

nella società a responsabilità limitata, inDir. fall.,<br />

2005, II, 808; cfr. S. Sica, Responsabilità degli amministratori e<br />

fallimento delle società di capitali, in questa Rivista, 2005, 98.<br />

Per l’orientamento di segno contrario cfr. N. Rocco di Torrepadula,<br />

La Responsabilità degli amministratori nel fallimento della<br />

società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 2006, 1464,<br />

secondo cui «sembra, in definitiva, che non vi sia spazio per le<br />

impostazioni che intendono preservare tuttora <strong>un</strong>o spazio d’intervento<br />

dei creditori nei confronti degli amministratori di società<br />

a responsabilità limitata»; l’Autore soggi<strong>un</strong>ge che «l’assenza<br />

dell’azione dei creditori nella società a responsabilità limitata<br />

non sia <strong>un</strong> fatto così strano o drammatico come viene paventato»;<br />

cfr. G. Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali,<br />

Milano, 2007, 921, secondo cui, «rispetto alle società per<br />

azioni, per le quali è prevista sia l’azione sociale, sia quella dei<br />

creditori sociali, per le società a responsabilità limitata il legisla-<br />

(segue)<br />

350 Il Fallimento 3/2013


Più esattamente la ricostruzione dottrinale che<br />

più d’ogni altra risulta argomentata onde dar ragione<br />

della perdurante operatività del pregresso<br />

assetto pur nel nuovo regime (6), fa leva su di<br />

<strong>un</strong>a pluralità di indici positivi in parte riflessi nell’ordinanza<br />

sammaritana, propriamente sul disposto<br />

degli artt. 2485, primo comma, 2486, 2477,<br />

quarto comma, 2489 e 2497 c.c., debitamente<br />

soggi<strong>un</strong>gendo, da <strong>un</strong> lato, che «a ragionare diversamente,<br />

si rischierebbe <strong>un</strong>’ingiustificata disparità<br />

di trattamento dei creditori della società per azioni<br />

rispetto ai creditori della società a responsabilità<br />

limitata e, tra questi ultimi, tra i creditori della<br />

società a responsabilità limitata dotata di collegio<br />

sindacale ed i creditori della società a responsabilità<br />

limitata che ne sia priva» (7), dall’altro, che,<br />

alla stregua della previsione dell’art. 146, secondo<br />

comma, lett. a), l. fall., il curatore del fallimento<br />

di qualsivoglia società di capitali e, d<strong>un</strong>que, anche<br />

di S.r.l. è legittimato ad esperire tutte indistintamenteleazionidiresponsabilitàall’uopo<br />

previste<br />

nei confronti degli amministratori, degli organi di<br />

controllo, dei direttori generali e dei liquidatori<br />

(8).<br />

4. Le disposizioni in tema di scioglimento<br />

e liquidazione ed in tema di direzione<br />

e coordinamento<br />

L’ordinanza sammaritana, d<strong>un</strong>que, al p<strong>un</strong>to 2. della<br />

motivazione, intitolato ‘‘legittimazione del curatore<br />

del fallimento AOS a esercitare l’azione di responsabilità<br />

dei creditori sociali’’, sulla scia della dottrina<br />

testé menzionata, fa perno espressamente sulle<br />

previsioni degli artt. 2485, primo comma, 2486 e<br />

2497 c.c.<br />

Al riguardo, tuttavia, devesi inevitabilmente porre<br />

in risalto, innanzitutto, che le disposizioni in tema<br />

di ‘‘scioglimento e liquidazione delle società di capitali’’,<br />

di cui agli artt. 2484 e ss. c.c., sono ambivalenti,<br />

operano, cioè, al contempo sia con riferimento<br />

alla S.p.a. sia con riferimento alla S.r.l.<br />

Conseguentemente la responsabilità e degli amministratori<br />

e, si aggi<strong>un</strong>ge, dei liquidatori, segnatamente<br />

a norma dell’art. 2489 c.c. (9), non può che<br />

qualificarsi e specificarsi, a seconda che trattasi di<br />

S.p.a. ovvero di S.r.l., alla stregua delle disposizioni<br />

dettate in materia di responsabilità per l’<strong>un</strong>a e l’altra<br />

tipologia societaria, allorché l’organismo collettivo<br />

versi in fase operativa. Del resto particolarmente<br />

esplicativa in tal senso è la previsione dell’art.<br />

2489, secondo comma, c.c., ove leggesi testualmente<br />

che la responsabilità dei liquidatori per<br />

i danni derivati dall’inosservanza dei loro doveri «è<br />

disciplinata secondo le norme in tema di responsabilità<br />

degli amministratori».<br />

Devesi inevitabilmente rimarcare, in secondo luo-<br />

Note:<br />

(segue nota 5)<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

tore non ha ribadito la possibilità di esercitare quest’ultima azione<br />

e tale omissione, sicuramente non ricollegabile ad <strong>un</strong>a mera<br />

dimenticanza, dovrebbe precludere la relativa iniziativa. Nelle<br />

procedure concorsuali dovrebbe valere la medesima interpretazione<br />

...»; cfr. F. Ciampi, Novità della Novella per le azioni di responsabilità<br />

nelle s.r.l., inLe Società, 2006, 286; cfr. C. Proto,<br />

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nelle S.r.l., in questa<br />

Rivista, 2005, 692, che reputa che «l’azione dei creditori sociali<br />

di S.r.l. sia mantenuta per le società in stato di scioglimento,<br />

ex art. 2486 e nella disciplina del gruppo ex art. 2497 ..., ma<br />

sia stata eliminata esclusivamente per il risarcimento di quei<br />

danni che siano stati cagionati al patrimonio sociale di S.r.l. da<br />

condotte antecedenti al verificarsi della causa di scioglimento e<br />

determinative dell’insufficienza patrimoniale»; cfr. A. Silvestrini,<br />

Responsabilità degli amministratori nella S.p.a. e nella S.r.l. dopo<br />

la riforma societaria, inLe Società, 2004, 681, secondo cui,<br />

«mentre l’art. 2476 c.c. prevede ancora (al sesto comma) la responsabilità<br />

degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi<br />

per danni direttamente cagionati a costoro, nulla stabilisce in ordine<br />

all’azione dei creditori sociali e ciò, in <strong>un</strong> sistema che prevede<br />

specificamente tale azione nella S.p.a., non può avere altro<br />

significato se non quello della sua eliminazione come azione di<br />

categoria»; cfr. S. Di Amato, Le azioni di responsabilità nella<br />

nuova disciplina della società a responsabilità limitata, inGiur.<br />

comm., 2003, I, 298; cfr. - sia consentito - L. Abete, Il fallimento<br />

degli imprenditori collettivi, inLe riforme della legge fallimentare,<br />

a cura di A. Didone, Torino, 2009, 1451 ss.<br />

(6) Il riferimento è a G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità<br />

nel fallimento, inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali<br />

e negoziate delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 918 ss.<br />

(7) Così G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel fallimento,<br />

inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali e negoziate<br />

delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 920. Al riguardo cfr.,<br />

altresì, S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, inTrattato di diritto<br />

commerciale, diretto da G. Cottino, IX, 2, Il Fallimento, cit.,<br />

745 s., secondo cui, «ogniqualvolta la S.r.l. sia dotata di <strong>un</strong> capitale<br />

sociale superiore al limite di euro 120.000,00, ... il che ...<br />

comporta l’applicazione delle regole dettate per il modello azionario,<br />

... ne deriva che ... l’azione dei creditori è certamente<br />

esperibile’’ e secondo il quale, inoltre, ‘‘non sarebbe sostenibile<br />

... <strong>un</strong>’interpretazione che consentisse al curatore di convenire in<br />

giudizio i membri dell’organo di controllo e non anche quelli dell’organo<br />

di gestione, in quanto si tratterebbe di <strong>un</strong>a situazione<br />

palesemente irragionevole».<br />

(8) Cfr. in tal senso G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità<br />

nel fallimento, inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali<br />

e negoziate delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 920<br />

s.; l’A. aggi<strong>un</strong>ge che la patrocinata soluzione troverebbe, inoltre,<br />

conferma nella previsione dell’art. 206, primo comma, l.<br />

fall. - a tenore della quale, in ipotesi di liquidazione coatta amministrativa,<br />

«l’azione di responsabilità contro gli amministratori<br />

e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in liquidazione,<br />

a norma degli artt. 2393 e 2394 del codice civile,<br />

è esercitata dal commissario liquidatore ...» - non essendo<br />

concepibile che «a parità di tipo sociale, ciò che è consentito<br />

al commissario liquidatore non è consentito al curatore del fallimento».<br />

(9) In verità ness<strong>un</strong> riferimento alla previsione dell’art. 2489 c.c.<br />

si rinviene al p<strong>un</strong>to 2. della motivazione dell’ordinanza del trib<strong>un</strong>ale<br />

di S. Maria C.V.<br />

Il Fallimento 3/2013 351


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

go, che la responsabilità ex art. 2497 c.c. (10) connessa<br />

all’esercizio di attività di direzione e coordinamento<br />

di altre società, in ipotesi di violazione dei<br />

principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale<br />

delle società eterodirette, è, sì, configurata a<br />

vantaggio - altresì - dei creditori, recte, del ceto creditorio,<br />

ed, in caso di fallimento, del curatore fallimentare<br />

di tali ultime società, allorché ne sia stata<br />

menomata l’integrità patrimoniale, ciò nonostante<br />

si tratta di <strong>un</strong>a responsabilità che è prefigurata essenzialmente<br />

a carico e nei confronti della società<br />

‘‘capogruppo’’, eventualmente a responsabilità limitata,<br />

non già a carico e nei confronti dell’organo<br />

gestorio della società eterodiretta (11).<br />

Invero, in relazione alla previsione del secondo<br />

comma dell’art. 2497 c.c. - ove è sancito che «risponde<br />

in solido chi abbia com<strong>un</strong>que preso parte al<br />

fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito,<br />

che ne abbia consapevolmente tratto beneficio» - è<br />

difficile immaginare che la menomazione cagionata<br />

all’integrità del patrimoniale della società eterodiretta<br />

possa essere ascritta in via solidale, ex art.<br />

2055 c.c., anche all’organo gestorio della medesima<br />

società controllata (12).<br />

D’altronde, se è vero - ed è indiscutibilmente vero -<br />

che principio cardine nel nostro ordinamento è<br />

quello della distinta soggettività e della formale indipendenza<br />

giuridica delle società del ‘‘gruppo’’, tant’è<br />

che tuttora è da disconoscere che la ‘‘capogruppo’’<br />

possa esser chiamata a rispondere delle obbligazioni<br />

ass<strong>un</strong>te dalle controllate in attuazione della<br />

politica di ‘‘gruppo’’ (13), devesi riconoscere, conseguentemente,<br />

che la novella disciplina di cui agli<br />

artt. 2497 e ss. c.c. mira propriamente a temperare,<br />

a mitigare le conseguenze atte a scaturire dall’en<strong>un</strong>ciato<br />

principio cardine, ragion per cui è da escludere<br />

che il disposto dell’art. 2497 c.c. possa esser correlato<br />

tout court alla previsione dell’art. 2394 c.c. (14).<br />

5. Il rinvio alle disposizioni della S.p.a.<br />

in ipotesi di obbligatoria costituzione<br />

del collegio sindacale e la immutata<br />

disciplina in tema di l.c.a.<br />

Devesi inevitabilmente esplicitare, in pari tempo,<br />

la portata del rinvio disposto dall’art. 2477, quarto<br />

comma, c.c. alle norme in tema di S.p.a., allorché<br />

la nomina del collegio sindacale si sia, sul terreno<br />

della S.r.l., resa obbligatoria ai sensi dei commi secondo<br />

e terzo del medesimo art. 2477 c.c.<br />

Propriamente l’applicabilità della disciplina della<br />

società azionaria va intesa quale mero rinvio alla<br />

previsione del secondo comma dell’art. 2407 c.c.,<br />

ossia quale possibilità di ascrivere ai sindaci in via<br />

solidale la responsabilità per le condotte, anche<br />

omissive, degli amministratori, allorché il danno da<br />

tali atti scaturito non si sarebbe verificato se i primi<br />

avessero vigilato in conformità agli obblighi della<br />

loro carica, non va intesa, quindi, nel senso dell’operatività<br />

del combinato disposto degli artt. 2407,<br />

secondo comma, e 2394 c.c. È da escludere, cioè,<br />

che la responsabilità dei sindaci per concorso omissivo<br />

- per difetto di vigilanza gestoria e/o contabile<br />

- nell’illecito degli amministratori, giacché alla responsabilità<br />

di questi ultimi senza dubbio susseguente,<br />

possa proiettarsi oltre l’ambito soggettivo<br />

segnato dall’art. 2476 c.c.<br />

Del resto si è correttamente p<strong>un</strong>tualizzato che «la<br />

responsabilità dei sindaci presuppone quella degli<br />

amministratori (art. 2407, secondo comma) cosicché<br />

se non si può configurare <strong>un</strong>a responsabilità degli<br />

amministratori verso i creditori sociali automaticamente<br />

si deve escludere <strong>un</strong>a analoga responsabilità<br />

dei sindaci. Il generale rinvio alle disposizioni in<br />

tema di società per azioni contiene ... <strong>un</strong> implicito<br />

limite di compatibilità con la disciplina della società<br />

a responsabilità limitata» (15).<br />

Note:<br />

(10) Il disposto dell’art. 2497 c.c. è espressamente addotto al<br />

p<strong>un</strong>to n. 2 della motivazione dell’ordinanza di S. Maria C.V. a sostegno<br />

della operatività analogica della responsabilità ex art.<br />

2394 c.c. nei confronti degli amministratori di S.r.l.<br />

(11) Cfr., in senso analogo, F. Ciampi, Novità della Novella per<br />

le azioni di responsabilità nelle S.r.l., cit., 289.<br />

(12) Perplessità a tal riguardo sono altresì espresse da C. Proto,<br />

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nelle s.r.l., cit., 693<br />

(in nota), secondo cui «pare, tuttavia, quanto meno opinabile<br />

che il secondo comma dell’art. 2497, laddove stabilisce la responsabilità<br />

di chi abbia com<strong>un</strong>que preso parte al fatto lesivo,<br />

possa essere inteso come riferito anche alla responsabilità degli<br />

amministratori della stessa società assoggettata a direzione e<br />

danneggiata».<br />

(13) Al ‘‘gruppo’’ è attribuita <strong>un</strong>a rilevanza prevalentemente economica,<br />

sicché si esclude che dia vita ad <strong>un</strong>’attività d’impresa<br />

giuridicamente <strong>un</strong>itaria, imputabile alla società capogruppo ovvero<br />

congi<strong>un</strong>tamente a questa ed alle società controllate: cfr. in<br />

tal senso Cass., 8 maggio 1991, n. 5123, in Foro it., 1992, I,<br />

817; Cass., 25 novembre 1990, n. 9704, in Giur. comm., 1992,<br />

II, 192; Cass., 8 luglio 1988, n. 4523, in Dir. fall., 1989, II, 271;<br />

Cass., 13 giugno 1986, n. 3945, in Giust. civ. Mass., 1986, fasc.<br />

6; App. Milano, 9 settembre 1988, in Riv. dir. comm., 1989, II,<br />

215; Trib. Napoli, 8 luglio 1996, in Le Società, 1997, 190; Trib.<br />

Napoli, 27 febbraio 1995, in questa Rivista, 1995, 1067.<br />

(14) Al riguardo cfr. C. Proto, L’azione di responsabilità dei creditori<br />

sociali nelle S.r.l., cit., 699, che afferma testualmente: «non<br />

credo ... che si possa utilizzare <strong>un</strong>a norma dettata per la specifica<br />

esigenza di accordare <strong>un</strong>a tutela rafforzata a soci e creditori a<br />

fronte di abusi nell’ambito dei gruppi per <strong>un</strong>’estensione analogica<br />

dell’azione di responsabilità concessa ai creditori di società<br />

(anche di S.r.l.) del gruppo, anche ai creditori di S.r.l. non appartenenti<br />

a gruppi societari».<br />

(15) Così S. Di Amato, Società a responsabilità limitata, inLa riforma<br />

del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003,<br />

(segue)<br />

352 Il Fallimento 3/2013


Devesi imprescindibilmente evidenziare, ancora,<br />

che la perdurante ed incondizionata - d<strong>un</strong>que, pur<br />

nell’evenienza in cui la società sottoposta a l.c.a.<br />

abbia veste di S.r.l. - operatività, anormadell’art.<br />

206, primo comma, l. fall., della responsabilità ex<br />

art. 2394 c.c. sul terreno della liquidazione coatta<br />

amministrativa ben può - sufficientemente - giustificarsi<br />

alla luce delle peculiarità che suggeriscono<br />

la sottoposizione del soggetto imprenditore a siffatta<br />

diversa, rispetto al fallimento, procedura concorsuale.<br />

6. P<strong>un</strong>tualizzazione di metodo<br />

Va senza dubbio condiviso, giacché assolutamente<br />

ineccepibile dal p<strong>un</strong>to di visto ricostruttivo, l’approccio<br />

metodologico sul quale in parte qua agitur<br />

l’ordinanza sammaritana è costruita (16).<br />

È rigorosamente necessario, cioè, distinguere due<br />

profili.<br />

Il primo attiene alla configurabilità (o meno) sul<br />

terreno della disciplina della società a responsabilità<br />

limitata dell’azione di cui all’art. 2394 c.c., ossia alla<br />

possibilità (o meno) che pur nel quadro della disciplina<br />

di siffatta tipologia societaria vi sia margine<br />

per reputare gli amministratori ed i sindaci responsabili<br />

nei confronti del ceto creditorio considerato<br />

nel suo complesso.<br />

Il secondo attiene alla possibilità (o meno) di reputar<br />

legittimato il curatore del fallimento di S.r.l. all’esercizio<br />

dell’azione che compete ai creditori della<br />

medesima S.r.l.<br />

7. Il profilo dell’operatività (o meno)<br />

dell’art. 2394 c.c. sul terreno della S.r.l.<br />

Con riferimento al primo aspetto non può - evidentemente<br />

- che reiterarsi il rilievo, espressamente ‘‘ripreso’’,<br />

con la sentenza in commento, dal trib<strong>un</strong>ale<br />

di Verona dalla statuizione del trib<strong>un</strong>ale di Napoli<br />

dell’11 novembre 2004, cit., rilievo secondo cui l’omessa<br />

esplicita prefigurazione, sul terreno della<br />

S.r.l., di <strong>un</strong>a previsione simile a quella di cui all’art.<br />

2394 c.c. e, si aggi<strong>un</strong>ge, la mancata operatività sul<br />

medesimo terreno, in via ‘‘indiretta’’ - mediata dagli<br />

artt. 2485, primo comma, 2486, 2489, 2497, 2477,<br />

quarto comma, c.c. e 206, primo comma, l. fall. -<br />

della specifica previsione dell’art. 2394 c.c., in alc<strong>un</strong><br />

modo importa, non implica affatto menomazione<br />

della tutela apprestata dal legislatore sul terreno<br />

della società azionaria.<br />

Difatti, pur nel quadro della disciplina della S.r.l.,<br />

ancorché non operi <strong>un</strong>a norma simile a quella di<br />

cui all’art. 2394 c.c., l’organo gestorio, allorquando<br />

abbia con atti di mala gestio cagionato l’insufficienza<br />

del patrimonio sociale, ed, eventualmente, l’organo<br />

di controllo, quest’ultimo per concorso omissivo<br />

nel fatto commissivo del primo, continuano nondimeno<br />

ad essere esposti nei confronti di ogni singolo<br />

creditore a responsabilità ex art. 2043 c.c.<br />

Più esattamente l’insufficienza patrimoniale in connessione<br />

eziologica con l’atto di mala gestio dell’amministratore,<br />

nel segno del prioritario insegnamento<br />

propenso ad attribuire natura autonoma ed extracontrattuale<br />

all’azione dei creditori sociali ex art.<br />

2394 c.c., rileva al contempo quale pregiudizio<br />

aquiliano direttamente arrecato ad ogni singola ragione<br />

di credito, quale lesione aquiliana del credito,<br />

non già propriamente in guisa di inadempimento<br />

provocato dal terzo, sibbene, piuttosto, quale diretta<br />

menomazione del substrato patrimoniale di ciasc<strong>un</strong>a<br />

pretesa creditoria (17).<br />

Ne discende che è ben possibile e nulla osta a che<br />

ciasc<strong>un</strong> creditore faccia valere il danno in tal maniera<br />

subito ai sensi dell’art. 2476, sesto comma,<br />

c.c., ove, in perfetta simmetria con l’art. 2395<br />

c.c. (18), è fatto salvo il diritto al risarcimento del<br />

danno dei singoli soci ovvero dei terzi direttamente<br />

danneggiati dalla condotta colpevole degli amministratori.<br />

In quest’ottica, incline ad incanalare il pregiudizio -<br />

insufficienza patrimoniale - caratterizzante la responsabilità<br />

aquiliana ex art. 2394 c.c. nel solco<br />

della responsabilità, parimenti extracontrattuale, ex<br />

Note:<br />

(segue nota 15)<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

sub art. 2476, 217. Al riguardo si veda anche F. Ciampi, Novità<br />

della Novella per le azioni di responsabilità nelle S.r.l., in Le Società,<br />

2006, 286.<br />

(16) Il medesimo approccio si rinviene in C. Ferri, La legittimazione<br />

del curatore fallimentare: poteri e limiti, in questa Rivista,<br />

2007, 1031.<br />

(17) Cfr. nello stesso senso cfr. G. Fauceglia, Articolo 146, inIl<br />

nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, coordinato da Fabiani,<br />

II, Bologna, 2007, 2159, secondo cui non è da disconoscere nella<br />

disciplina della società a responsabilità limitata «la responsabilità<br />

degli amministratori anche nei confronti dei creditori sociali<br />

almeno in ragione dell’art. 2043 c.c. - responsabilità che ogn<strong>un</strong>o<br />

dei creditori può azionare ai sensi dell’art. 2476, sesto comma,<br />

c.c. -...»; l’A. prosegue p<strong>un</strong>tualizzando che «in sostanza, il problema<br />

non concerne più il profilo della perdurante responsabilità<br />

degli amministratori verso ciasc<strong>un</strong> creditore sociale, ...». Si tenga<br />

conto che, alla stregua delle teorie patrimoniali, «il diritto di<br />

credito è fondamentalmente quel diritto sul patrimonio del debitore<br />

che può essere realizzato in via esecutiva»: così C.M. Bianca,<br />

Diritto civile 4 L’obbligazione, Milano, 1990, 36.<br />

(18) Cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere, 10 ottobre 2006, in Le Società,<br />

2008, 486, secondo cui l’azione individuale, di natura aquiliana,<br />

del socio o del terzo verso gli amministratori, dettata dall’art.<br />

2476, sesto comma, c.c. in tema di S.r.l., è in tutto e per<br />

tutto analoga a quella regolata dall’art. 2395 c.c. in tema di S.p.a.<br />

Il Fallimento 3/2013 353


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

art. 2476, sesto comma, c.c., inoltre, si stempera<br />

senza dubbio qualsivoglia preoccupazione, sul terreno<br />

della S.r.l., di irragionevoli disparità di trattamento<br />

connesse al difetto di operatività della responsabilità<br />

ex art. 2394 c.c. (19).<br />

Nei termini esposti, tuttavia e verosimilmente in<br />

via del tutto preliminare, l’interprete ha da interrogarsi<br />

in ordine al significato ultimo dell’omessa prefigurazione,<br />

nel corpo dell’art. 2476 c.c., di <strong>un</strong>a disposizione<br />

analoga a quella di cui all’art. 2394 c.c.,<br />

giacché solo dopo averne individuato il senso più<br />

profondo, è possibile riscontrare o disconoscere l’eadem<br />

ratio legis, ossia le precondizioni per qualsivoglia<br />

operazione analogica.<br />

A tale scopo si prospetta inevitabile - si reputa - la<br />

necessità di <strong>un</strong>a più incisiva riflessione in ordine al<br />

rapporto tra l’actio ex art. 2394 c.c. e l’actio ex art.<br />

2395 c.c. ovvero - il che è lo stesso - tra l’actio ex<br />

art. 2394 c.c. e l’actio ex art. 2476, sesto comma,<br />

c.c. e, quindi, in ordine al pregiudizio che in relazione<br />

all’<strong>un</strong>a ed all’altra azione rileva e, prima ancora,<br />

su tal<strong>un</strong>i aspetti - legittimazione, entità del<br />

pregiudizio risarcibile - specificamente dell’actio ex<br />

art. 2394 c.c., aspetti che il tendenziale esclusivo<br />

esercizio - che la casistica giudiziaria indiscutibilmente<br />

registra - di tal ultima azione in sede fallimentare,<br />

da parte del curatore, ha inesorabilmente<br />

lasciato nell’ombra.<br />

Ebbene a tal ultimo riguardo si ritiene che l’art.<br />

2394 c.c. contempli <strong>un</strong>a sorta o, quanto meno, <strong>un</strong><br />

‘‘principio’’ di ‘‘soggettivazione’’ (20) del ceto creditorio,<br />

nella misura in cui abilita ciasc<strong>un</strong> creditore,<br />

evidentemente nell’interesse dell’intera collettività<br />

di cui - incidentalmente - fa parte, a domandare in<br />

giudizio il reintegro non già della mera frazione dell’insufficienza<br />

patrimoniale idonea a garantire, ex<br />

art. 2740 c.c., la piena coattiva realizzazione della<br />

sola sua personale ragione di credito, sibbene il<br />

reintegro dell’intera insufficienza patrimoniale, dell’intero<br />

quantum corrispondente alla differenza algebrica<br />

tra il valore monetario negativo del patrimonio<br />

netto, quale prodottosi a seguito e per effetto<br />

degli atti di mala gestio dell’amministratore, degli<br />

amministratori, ed il valore zero (21).<br />

In tal guisa non si tratterebbe di <strong>un</strong>a legittimazione<br />

ad agire pro parte, parzialmente straordinaria, ma<br />

tratterebbesi, piuttosto, del conferimento a ciasc<strong>un</strong><br />

creditore, al limitato scopo del reintegro dell’intero<br />

pregiudizio sofferto dalla collettività di cui fa parte,<br />

di <strong>un</strong>a vera e propria potestas gerendi e di rappresentanza<br />

nell’interesse ed a nome della medesima com<strong>un</strong>ità,<br />

potestà di gestione e di rappresentanza destinata<br />

a proiettarsi pur sul terreno processuale (22).<br />

D’altro canto è da disconoscere, alla stregua delle<br />

teorie patrimoniali del diritto di credito, che sussistano<br />

differenze di sorta tra il danno aquiliano che<br />

ciasc<strong>un</strong> creditore, seppur pro parte, direttamente risente<br />

in dipendenza dell’insufficienza patrimoniale<br />

ex art. 2394 c.c. ed il danno immediato e diretto ex<br />

art. 2395 c.c. e, quindi, ex art. 2476, sesto comma,<br />

c.c.: il primo, ancorché specificantesi in guisa di lesione<br />

del substrato ‘‘patrimoniale’’ del credito, è<br />

null’altro che <strong>un</strong>a species del secondo.<br />

Conseguentemente l’<strong>un</strong>ico profilo che vale a distinguere<br />

l’actio ex art. 2476, sesto comma, c.c., in<br />

quanto destinata ad assicurare tutela giudiziale anche<br />

al diritto al ristoro del pregiudizio da ciasc<strong>un</strong><br />

creditore direttamente subito in dipendenza ed a seguito<br />

dell’insufficienza patrimoniale scaturita dall’atto<br />

di mala gestio dell’amministratore, degli amministratori,<br />

dall’actio ex art. 2394 c.c. - ovvero l’<strong>un</strong>ica<br />

differenza destinata a prodursi per effetto ed a seguito<br />

della mancata prefigurazione sul terreno della<br />

S.r.l. della responsabilità degli amministratori verso<br />

il ceto creditorio complessivamente considerato - è<br />

da identificare nella circostanza per cui mercé la<br />

prima azione il creditore può invocare il reintegro<br />

esclusivamente della frazione di insufficienza patrimoniale<br />

di ‘‘sua pertinenza’’, idonea, cioè, ad assicurare,<br />

nel segno dell’art. 2740 c.c., <strong>un</strong>icamente la<br />

realizzazione coattiva della sua personale ragione di<br />

credito.<br />

L’omessa prefigurazione sul terreno della S.r.l. di<br />

<strong>un</strong>a disposizione simile a quella di cui all’art. 2394<br />

c.c., pertanto, null’altro significa, in radice, se non<br />

Note:<br />

(19) Cfr. al riguardo S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, in<br />

Trattato di diritto commerciale, cit., 745, secondo cui «la configurabilità<br />

in capo ai creditori della legittimazione ad agire in responsabilità<br />

verso i membri degli organi sociali ... discende recta<br />

via dal fatto che il principio stesso dell’art. 2394 è connaturale<br />

alla f<strong>un</strong>zione gestoria esercitata nell’ambito di qual<strong>un</strong>que impresa<br />

ad autonomia patrimoniale perfetta, sicché <strong>un</strong>a diversa conclusione<br />

non andrebbe esente da censure sotto il profilo dell’irragionevole<br />

disparità di trattamento»; cfr. Trib. Milano, 18 gennaio<br />

2011, cit., e Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, cit., che prefigurano<br />

il rischio di illegittimità costituzionali connesse all’opzione<br />

‘‘negazionista’’.<br />

(20) Soggettivazione che potrebbe conferire <strong>un</strong>a certa qual giustificazione<br />

positiva all’operatività prevista ad altri fini - art. 177,<br />

primo comma, l. fall. - del principio maggioritario in rapporto alla<br />

platea dei creditori.<br />

(21) Qualsivoglia valore positivo del patrimonio netto, ovviamente,<br />

vale di per sé ad escludere il presupposto dell’insufficienza<br />

patrimoniale e, quindi, costituisce il limite estremo della responsabilità<br />

ex art. 2394 c.c., lasciando spazio <strong>un</strong>icamente alla configurabilità<br />

di <strong>un</strong> pregiudizio per la società e, quindi, all’esperibilità<br />

dell’azione sociale di responsabilità.<br />

(22) Riecheggiano le previsioni degli artt. 2257, primo comma, e<br />

2266, secondo comma, c.c.<br />

354 Il Fallimento 3/2013


che su questo medesimo terreno ciasc<strong>un</strong> creditore<br />

rileva singolarmente, non già quale componente di<br />

<strong>un</strong>a collettività più o meno personificata.<br />

Al cospetto di <strong>un</strong>a valenza siffatta, valenza che<br />

sembra riflettere la diversa dimensione istituzionale<br />

della S.r.l. rispetto alla S.p.a. (23), non può che<br />

escludersi l’eadem ratio legis, non sembra sussistano,<br />

cioè, gli estremi per affermare l’operatività analogica<br />

nel quadro della disciplina della minore delle società<br />

di capitali di <strong>un</strong>a norma - l’art. 2394 c.c. -<br />

dettata esclusivamente per la maggiore.<br />

8. Il profilo della legittimazione del curatore<br />

del fallimento di S.r.l. ad esercitare l’actio<br />

ex art. 2394 c.c.<br />

È da escludere recisamente che la formula di cui al<br />

novello art. 146, secondo comma, l. fall. (24) valga<br />

a fondare l’attribuzione, ex novo, al curatore fallimentare,<br />

indifferentemente di S.p.a. e di S.r.l., di<br />

legittimazioni ad agire che il sistema codicistico<br />

non ha inteso attribuirgli: il disposto dell’art. 146,<br />

secondo comma, l. fall. più che ‘‘costituitivo’’ di<br />

novelle legittimazioni, riepiloga semplicemente lo<br />

spettro di legittimazioni altrove prefigurate (25).<br />

In tal guisa per nulla si condividono l’insegnamento<br />

-giàcitato - n. 17121 del 21 luglio 2010 della Suprema<br />

Corte e, conseguentemente, in parte qua, l’ordinanza<br />

in commento del trib<strong>un</strong>ale di S. Maria C.V.<br />

Opinare diversamente, difatti, potrebbe importare,<br />

in contrasto con <strong>un</strong>a ricostruzione consolidata ed<br />

ampiamente condivisa anche nel vigore dei previgenti<br />

sistemi, societario e fallimentare (26), riconoscimento<br />

della legittimazione, evidentemente<br />

straordinaria, del curatore del fallimento, sia di<br />

S.p.a. che di S.r.l., ad esercitare anche l’azione individuale<br />

del socio e del terzo di cui, rispettivamente,<br />

agli artt. 2395 e 2476, sesto comma, c.c. (27).<br />

Per altro verso non può che ribadirsi l’ass<strong>un</strong>to secondo<br />

cui «il carattere straordinario della legittimazione<br />

ex art. 2394 bis c.c. del curatore del fallimento<br />

di <strong>un</strong>a s.p.a. all’esercizio dell’azione dei creditori<br />

sociali ... vale senza dubbio a connotare la previsione<br />

dello stesso art. 2394 bis c.c. a mò di norma eccezionale,<br />

giacché derogante alla regola generale affermata<br />

nella seconda parte dell’art. 81 c.p.c., e,<br />

quindi, ex art. 14 delle preleggi, a renderla non suscettibile<br />

di applicazione a casi simili ossia all’analoga<br />

responsabilità nei confronti del ceto creditorio<br />

degli amministratori di <strong>un</strong>a s.r.l. Del resto, ai sensi<br />

dell’art. 81, prima parte, c.p.c., la legittimazione all’esercizio<br />

in nome proprio di <strong>un</strong> diritto altrui è oggetto<br />

di <strong>un</strong>’espressa riserva di legge» (28).<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Note:<br />

(23) Al riguardo sia consentito il riferimento a L. Abete, L’Articolo<br />

2476 c.c.: sp<strong>un</strong>ti e riflessioni, inLe Società, 2012, 644, ove si<br />

è ass<strong>un</strong>to che «l’omessa riproduzione sul terreno della S.r.l. di<br />

<strong>un</strong>a disposizione del tipo di quella di cui all’art. 2383, terzo comma,<br />

c.c. non sia di scarso momento ed abbia valore ‘‘sistematico’’,<br />

costituisca ovvero il segno lampante ed incontrovertibile<br />

della diversità ‘‘qualitativa’’ che attualmente intercorre tra l’<strong>un</strong>o<br />

e l’altro modello di organizzazione dell’impresa societaria a base<br />

capitalistica e, quindi, integri, per la minore delle società di capitali,<br />

<strong>un</strong> dato fisionomico di valenza caratterizzante. Il fenomeno<br />

della società a responsabilità limitata, giacché connotantesi - alla<br />

stregua della dispositiva disciplina codicistica - per l’irrevocabilità<br />

della carica gestoria, recte per la modificabilità dell’assetto gestorio<br />

<strong>un</strong>icamente sub specie di modificazione dell’atto costitutivo,<br />

modificazione postulante, ex artt. 2480 e 2479 bis, terzo<br />

comma, c.c., il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno<br />

la metà del capitale sociale, deve reputarsi ancorato alla<br />

persona del socio di maggioranza, alle persone dei soci di maggioranza,<br />

deve considerarsi incentrato sulla ‘‘persona’’ dell’<strong>un</strong>o<br />

o degli altri, quasi, con l’<strong>un</strong>o o gli altri, identificandosi. La dimensione<br />

istituzionale della società a responsabilità limitata ... non<br />

è, propriamente, astratta, avulsa - così come, viceversa, nella<br />

società azionaria - dalla compagine societaria né si app<strong>un</strong>ta tout<br />

court sull’organismo collettivo cui i soci hanno volontariamente<br />

inteso dar vita, sicché il medesimo organismo si connota rigorosamente<br />

quale terzo, seppur ‘‘primo’’ - per ordine di prossimità<br />

- terzo, rispetto ai soci. La dimensione istituzionale della S.r.l.<br />

appare, piuttosto, il ‘‘riflesso’’ della persona del socio di maggioranza,<br />

delle persone dei soci di maggioranza».<br />

(24) «Sono esercitate dal curatore ...: a) le azioni di responsabilità<br />

contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo,<br />

i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità<br />

contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti<br />

dall’art. 2476, comma settimo, del codice civile».<br />

(25) In senso analogo cfr. N. Rocco di Torrepadula, La Responsabilità<br />

degli amministratori nel fallimento della società a responsabilità<br />

limitata, cit., 1468, secondo cui «l’art. 146 l. fall. ...<br />

non attribuisce alc<strong>un</strong> autonomo diritto al curatore». Si tenga<br />

conto che nella Relazione al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, si legge,<br />

al riguardo, testualmente: «quanto agli amministratori della<br />

società a responsabilità limitata e al dibattito in ordine alla sussistenza<br />

di <strong>un</strong>a loro specifica responsabilità verso i creditori sociali,<br />

si è preferito, considerato che la delega legislativa è muta al<br />

riguardo, adottare <strong>un</strong>a formula ‘‘aperta’’ che lascia cioè agli interpreti<br />

il compito di stabilire se il curatore possa esercitare nei<br />

confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata<br />

solo l’azione di responsabilità sociale o anche quella verso i creditori<br />

sociali».<br />

(26) Cfr. App. Bari, 17 giugno 2002, in Dir. fall., 2002, II, 951;<br />

Trib. Napoli, 27 novembre 1993, in Fall., 1994, 861; Trib. Padova<br />

18 giugno 1987, in Giur. comm., 1989, II, 839. Al riguardo si veda,<br />

anche, Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7029, in Giust.<br />

civ. Mass., 2006, 4.<br />

(27) Si veda anche M. Rescigno, Rapporti e interferenze tra riforma<br />

societaria e fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto<br />

da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, II, cit., 2127, secondo<br />

cui «il secondo comma, lett. a), dell’art. 146 l. fall. si limita ad<br />

attribuire la legittimazione all’esercizio delle azioni di responsabilità<br />

contro organi gestori e di controllo al curatore, senza alc<strong>un</strong>a<br />

altra specificazione».<br />

(28) Così Trib. Napoli, 11 novembre 2004, cit., ove si soggi<strong>un</strong>ge<br />

che «la regola ermeneutica ubi lex voluit, dixit, noluit, tacuit, appare,<br />

conseguentemente, di ineludibile applicazione». Evidentemente<br />

in questa prospettiva in alc<strong>un</strong> modo si giustifica il riferimento<br />

analogico - esplicativo alla previsione dell’art. 206, primo<br />

comma, l. fall. - alla cui stregua, in caso di liquidazione coatta<br />

amministrativa, il commissario liquidatore può esperire nei confronti<br />

degli amministratori e dei componenti degli organi di con-<br />

(segue)<br />

Il Fallimento 3/2013 355


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

Nondimeno, in questa sede, va debitamente soggi<strong>un</strong>to<br />

e rimarcato che il difetto di legittimazione<br />

del curatore è innanzitutto mero corollario dell’assenza<br />

di quel principio di ‘‘soggettivazione’’ del ceto<br />

creditorio che si registra sul terreno della S.r.l. e<br />

che, viceversa, siccome si è anticipato, è proprio, è<br />

presente sul terreno della società azionaria.<br />

Più esattamente il curatore del fallimento di S.r.l.<br />

non è legittimato a far valere il pregiudizio aquiliano<br />

direttamente arrecato ad ogni singola ragione di<br />

credito in dipendenza dell’insufficienza patrimoniale<br />

colpevolmente scaturita dagli atti di mala gestio<br />

degli amministratori nella medesima misura in cui<br />

non è legittimato ad esperire l’actio ex art. 2395 c.c.<br />

ovvero - il che è lo stesso - l’actio ex art. 2476, sesto<br />

comma, c.c.<br />

È questa in conclusione la ragione per cui la seconda<br />

affermazione di cui alla massima desumibile dalla<br />

statuizione veronese non può assolutamente esser<br />

condivisa: il trib<strong>un</strong>ale, al cospetto del sopravvenuto<br />

fallimento della ‘‘Alberghi del Sole’’, avrebbe dovuto<br />

disconoscere e non già affermare l’esclusiva legittimazione<br />

del curatore fallimentare.<br />

Né, al contempo, vi è motivo per ritenere - in rapporto<br />

ovviamente ai dissesti delle S.r.l. - che nei<br />

termini patrocinati il valore cardine della par condicio<br />

creditorum risulti irrimediabilmente menomato.<br />

Si è altrove ass<strong>un</strong>to - e non può che ribadirsi in<br />

questo contesto - che il legislatore della ‘‘riforma’’<br />

societaria, mercé l’omessa prefigurazione della responsabilità<br />

degli amministratori di S.r.l. nei confronti<br />

del ceto creditorio complessivamente considerato<br />

nonché mercé l’omessa prefigurazione della<br />

legittimazione del curatore del fallimento di S.r.l.<br />

ad esercitare l’azione dei creditori sociali, «abbia inteso<br />

stemperare, abbia inteso ridimensionare il sistema<br />

della ‘‘concorsualità’’, ben vero in rapporto alle<br />

ipotesi in cui, precedentemente, la sua operatività<br />

risultava proiettata al di là della sfera giuridica del<br />

soggetto fallito, nei confronti, quindi, di soggetti<br />

terzi. E <strong>un</strong>’opzione legislativa siffatta, è innegabile,<br />

desta perplessità, poiché sembra contraddire quella<br />

prioritaria esigenza di giustizia distributiva che identifica<br />

la ratio ispiratrice del sistema concorsuale e<br />

che, come tale, rinviene fondamento nel duplice<br />

paradigma egalitario, formale e sostanziale, sancito<br />

all’art. 3 della Carta fondamentale. Tuttavia, della<br />

legittimità della novella scelta positiva non è da<br />

dubitarsi: la compressione della regola egalitaria ha<br />

inciso su <strong>un</strong> istituto ‘‘concorsuale’’, diremmo, di secondo<br />

grado, non coessenziale, cioè, al sistema, poiché<br />

finalizzato <strong>un</strong>icamente ad assicurarne <strong>un</strong> più<br />

‘‘raffinato’’ f<strong>un</strong>zionamento. Del resto, vigente l’a-<br />

brogata disciplina la mancata positiva configurazione<br />

della legittimazione del curatore all’esercizio, in<br />

nome proprio e nell’interesse della massa, dell’azione<br />

di responsabilità ex art. 2449, primo comma c.c.<br />

ness<strong>un</strong> dubbio aveva suscitato in ordine alla sua legittimità<br />

costituzionale; anzi ... il disconoscimento<br />

di siffatta legittimazione in capo al curatore fallimentare<br />

aveva ricevuto il suggello della prevalente<br />

ricostruzione giurisprudenziale» (29).<br />

Note:<br />

(segue nota 28)<br />

trollo le azioni di responsabilità di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. -<br />

onde concludere che «non è concepibile che, a parità di tipo sociale,<br />

ciò che è consentito al commissario liquidatore non è consentito<br />

al curatore del fallimento»: così Trib. Napoli 11 gennaio<br />

2011, cit.<br />

(29) Così Trib. Napoli, 11 novembre 2004, cit.<br />

356 Il Fallimento 3/2013


Concordato fallimentare<br />

Nuovi privilegi retroattivi<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012 - Pres. Rossotti - Est. Canavero - Mael S.p.a. c. Equitalia<br />

Nord S.p.a.<br />

Fallimento - Cessazione - Concordato - Omologazione - Opposizione - Mancato riconoscimento del privilegio del credito<br />

ex art. 23, comma 37, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 - Presupposto - Modifica del passivo<br />

(D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, commi 37 e 40; codice civile art. 2752; legge fallimentare artt. 124, comma 4, e 129)<br />

Il creditore già ammesso al passivo in via chirografaria, che intenda ottenere l’insinuazione al privilegio a seguito<br />

delle modifiche normative intervenute ai sensi dell’art. 23, comma trentasettesimo, D.L. 6 luglio 2011, n.<br />

98, ha l’onere di chiedere la modifica dello stato passivo del fallimento. In difetto di tale iniziativa, non è fondata<br />

l’opposizione con cui il creditore chieda, sul presupposto che il concordato sarebbe in contrasto con il novellato<br />

art. 2752 c.c., il rigetto della domanda di omologazione del concordato proposta dal terzo-ass<strong>un</strong>tore che si<br />

sia avvalso della possibilità di limitare gli impegni ass<strong>un</strong>ti ex art. 124, comma quarto, l.fall. e che non abbia riconosciuto<br />

a quel creditore il nuovo privilegio.<br />

Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />

Con ricorso ex art. 129 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267,<br />

la Mael S.p.a. ha chiesto l’omologazione del concordato<br />

fallimentare da essa proposto nell’ambito del Fallimento<br />

Ànex S.p.a.<br />

Depositata il 22 luglio 2011, nonché integrata in data 28<br />

settembre 2011, tale proposta di concordato prevedeva<br />

(e prevede), in particolare, da parte della Mael S.p.a. (e<br />

nella sua qualità di ass<strong>un</strong>tore): l’integrale pagamento delle<br />

spese di procedura, nonché dei creditori privilegiati; il<br />

pagamento dei creditori chirografari in <strong>un</strong>a percentuale<br />

pari al 23,75%; a garanzia degli impegni ass<strong>un</strong>ti, la consegna<br />

di <strong>un</strong>a fideiussione a prima richiesta della Banca Valsabbina<br />

S.p.a. per <strong>un</strong> importo di euro 860.000,00; il rilievo<br />

integrale - con decorrenza dalla data di definitività<br />

del decreto di omologazione - di tutto l’attivo fallimentare<br />

(ivi comprese le vertenze, giudiziali e stragiudiziali,<br />

pendenti ovvero proponende), senza alc<strong>un</strong>a esclusione.<br />

Con decreto dell’8 novembre 2011, il giudice delegato<br />

del Fallimento Anex S.p.a. fissava <strong>un</strong> termine perentorio<br />

di venti giorni - decorrente dalla com<strong>un</strong>icazione, da parte<br />

del curatore, della predetta proposta -, entro cui i creditori<br />

avrebbero potuto far pervenire alla cancelleria di<br />

questo Trib<strong>un</strong>ale le loro eventuali dichiarazioni di dissenso,<br />

in mancanza delle quali il loro voto si sarebbe inteso<br />

come favorevole al concordato. Nel suddetto termine,<br />

soltanto Equitalia Nord S.p.a. manifestava - con dichiarazione<br />

ricevuta dalla cancelleria di questo Trib<strong>un</strong>ale<br />

in data 12 dicembre 2011 - il suo dissenso; pertanto,<br />

tenuto conto che essa non rappresentava la maggioranza<br />

dei crediti ammessi al voto, la predetta proposta veniva<br />

considerata come approvata ed il giudice delegato - con<br />

decreto del 25 gennaio 2012 - fissava ai creditori <strong>un</strong> termine<br />

di trenta giorni per proporre eventuali opposizioni<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

alla richiesta di omologazione che la Mael S.p.a. avrebbe<br />

dovuto depositare.<br />

Con ricorso proposto sempre ai sensi dell’art. 129 del<br />

R.D. 16 marzo 1942, n. 267, Equitalia Nord S.p.a. ha<br />

chiesto la modifica del predetto concordato, mediante riconoscimento<br />

ad essa, al privilegio, del credito - pari ad<br />

euro 477.150,03 - vantato nei confronti della Anex S.p.a.<br />

Con decreto del 5 marzo 2012, il Presidente del Collegio<br />

ha ri<strong>un</strong>ito i due procedimenti instaurati a seguito del deposito<br />

dei due suddetti ricorsi, nonché onerato Equitalia<br />

Nord S.p.a. di notificare il ricorso da essa proposto al curatore,<br />

alla Mael S.p.a. ed ai creditori di grado inferiore<br />

rispetto a sé.<br />

A seguito di tale notifica, hanno depositato <strong>un</strong>a memoria<br />

di costituzione sia il Fallimento Anex S.p.a. che la<br />

Mael S.p.a.; non si è invece costituito in giudizio - nonostante<br />

il ricorso sia stato loro regolarmente notificato<br />

- alc<strong>un</strong>o dei predetti creditori.<br />

All’udienza dell’11 luglio 2012, Equitalia Nord S.p.a. ha<br />

precisato le proprie conclusioni domandando il rigetto<br />

della proposta di concordato fallimentare avanzata dalla<br />

Mael S.p.a.<br />

Ciò premesso, deve ritenersi che - come peraltro implicitamente<br />

ammesso dalla stessa Equitalia Nord S.p.a., la<br />

quale, in sede di udienza di discussione, si è limitata a<br />

chiedere il rigetto della proposta avanzata dalla Mael<br />

S.p.a. - la domanda di modifica del concordato fallimentare<br />

originariamente proposta dalla medesima Equitalia<br />

Nord S.p.a. sia inammissibile.<br />

Tale conclusione non può essere messa in discussione,<br />

alla luce sia di quanto previsto dall’art. 129 del R.D, 16<br />

marzo 1942. n. 267 - che consente al Trib<strong>un</strong>ale di omologare<br />

(ovvero di non omologare) <strong>un</strong> concordato fallimentare,<br />

senza attribuirgli il potere dì modificarlo - sia<br />

di quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale ha avu-<br />

Il Fallimento 3/2013 357


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

to modo di affermare che «il giudice, sia esso il trib<strong>un</strong>ale<br />

o la corte d’appello in sede di reclamo, non può omologare<br />

<strong>un</strong>a proposta di concordato apportandovi modifiche<br />

sostanziali mentre può dettare, laddove necessario, modalità<br />

esecutive integrative di quelle previste» (Cass. 10<br />

febbraio 2011, n. 3274).<br />

Occorre - tuttavia ed a questo p<strong>un</strong>to - verificare se le ragioni<br />

che Equitalia Nord S.p.a. ha posto a fondamento<br />

della sua opposizione siano tali da condurre al rigetto<br />

della domanda di omologazione proposta dalla Mael<br />

S.p.a.<br />

Deve ritenersi che a tale quesito vada data <strong>un</strong>a risposta<br />

negativa.<br />

La predetta opposizione si fonda infatti sull’ass<strong>un</strong>to secondo<br />

il quale il concordato per cui è causa sarebbe in<br />

contrasto con l’art. 2752 c.c. (cosi come oggi formulato).<br />

L’ass<strong>un</strong>to non è pertinente.<br />

Sono bensì vere, infatti, le seguenti circostanze, ovvero<br />

che:<br />

– la predetta norma prevedeva che «hanno privilegio<br />

generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per<br />

l’imposta sul reddito delle persone fìsiche, per l’imposta<br />

delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività<br />

produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi<br />

da quelli indicati nel primo comma dell’articolo 2771,<br />

iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario<br />

del servizio di riscossione procede o interviene<br />

nell’esecuzione e nell’anno precedente»;<br />

– ad oggi, a seguito della modifica operata dall’art. 23,<br />

comma 37, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito,<br />

con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.<br />

111), la medesima norma sancisce che «hanno privilegio<br />

generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per<br />

le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia<br />

di imposta sul reddito delle persone fìsiche, imposta<br />

delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società,<br />

imposta regionale sulle attività produttive ed imposta<br />

locale sui redditi»;<br />

– per effetto di tale modifica, i crediti dello Stato - diversi<br />

da quelli iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in<br />

cui il concessionario del servizio di riscossione procede o<br />

interviene nell’esecuzione, nonché nell’anno precedente<br />

- per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta<br />

delle persone giuridiche, per l’imposta regionale<br />

sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi<br />

sono divenuti - da chirografari che erano - privilegiati;<br />

– ai sensi dell’art. 23, comma 37, del suddetto decreto<br />

legge, la predetta modifica «si osserva anche per i crediti<br />

sorti anteriormente all’entrata in vigore del predetto decreto»;<br />

– dalla documentazione prodotta risulta che Equitalia<br />

Nord S.p.a. vantava - nei confronti della Anex S.p.a. -<br />

crediti dello Stato per le imposte sopra indicate (cfr.<br />

docc. 4 e 5 fasc. Equitalia Nord S.p.a.);<br />

– nell’ambito del Fallimento Anex S.p.a., tali crediti<br />

erano stati ammessi - per quanto concerne quelli iscritti<br />

nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario<br />

del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione,<br />

nonché nell’anno precedente - al privilegio e -<br />

per quanto concerne quelli diversi - al chirografo; la pro-<br />

posta di concordato fallimentare è stata depositata dopo<br />

l’entrata in vigore del predetto decreto legge;<br />

– nel presentare tale proposta, la Mael S.p.a. si è avvalsa<br />

della facoltà - riconosciutale dall’art. 124, ultimo comma,<br />

del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 - di «limitare gli impegni<br />

ass<strong>un</strong>ti con il concordato ai soli creditori ammessi<br />

al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno<br />

proposto opposizione o domanda di ammissione tardiva<br />

al tempo della proposta»; in relazione al credito per cui<br />

è causa - e con riferimento al tempo della proposta -,<br />

Equitalia Nord S.p.a. era stata ammessa ai passivo al chirografo;<br />

al fine di ottenere l’ammissione al privilegio di<br />

tale credito, Equitalia Nord S.p.a. non ha avanzato - né<br />

in data anteriore alla proposta, né ad oggi - alc<strong>un</strong>a opposizione<br />

o domanda tardiva;<br />

– ai sensi dell’art. 23, comma 40, del predetto decreto<br />

legge, «i titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione<br />

o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore<br />

alla data di entrata in vigore del presente decreto,<br />

possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove<br />

norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti<br />

ai loro crediti nel grado del privilegio, valendosi, in sede<br />

di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui<br />

all’articolo 512 del codice di procedura civile, oppure<br />

proponendo l’impugnazione prevista dall’articolo 98,<br />

comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel<br />

termine di cui all’articolo 99 dello stesso decreto»;<br />

– al fine di ottenere l’ammissione al privilegio del suddetto<br />

credito, Equitalia Nord S.p.a. non ha proposto alc<strong>un</strong>a<br />

impugnazione ex art. 98, terzo comma, del R.D. 16<br />

marzo 1942, n, 267, né si è valsa del rimedio di cui all’art.<br />

512 c.p.c;<br />

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve ritenersi<br />

che le ragioni che Equitalia Nord S.p.a. ha posto a fondamento<br />

della sua opposizione non siano tali da determinare<br />

il rigetto della domanda di omologazione proposta<br />

dalla Mael S.p.a. Occorre infatti considerare:<br />

– da <strong>un</strong>a parte, che la proposta concordataria è stata effettuata<br />

ai sensi dell’art, 124, ultimo comma, del R.D.<br />

16 marzo 1942, n. 267, con la conseguenza che la Mael<br />

S.p.a. aveva la facoltà (ed anzi l’obbligo) di non prendere<br />

in considerazione i crediti non ammessi allo stato passivo<br />

(e quindi di non attribuire - ai crediti già ammessi<br />

allo stato passivo - <strong>un</strong> grado diverso rispetto a quello riconosciuto<br />

- con proprio decreto - dal giudice delegato);<br />

– dall’altra parte, che Equitalia Nord S.p.a. non ha -<br />

come era suo onere fare - chiesto che - per effetto della<br />

modifica operata dall’art. 23, comma 37, del predetto<br />

decreto legge - fosse modificato lo stato passivo del Fallimento<br />

Anex S.p.a. Va infine segnalato che la legge<br />

29 luglio 1975, n. 426 aveva - col suo art. 1 - modificato<br />

l’art. 2751 c.c. (il quale disciplina il privilegio generale<br />

sui mobili dei crediti per spese f<strong>un</strong>ebri, d’infermità<br />

ed alimenti) e - col suo art. 15 - dettato <strong>un</strong>a disciplina<br />

transitoria - del tutto analoga a quella di cui all’art. 23,<br />

comma 40, del predetto decreto legge -, la quale sanciva<br />

che «le disposizioni dei precedenti articoli si osservano<br />

anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata<br />

in vigore della presente legge. I titolari di crediti privilegiati,<br />

intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo<br />

358 Il Fallimento 3/2013


fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore<br />

della presente legge, possono contestare i crediti<br />

che, per effètto delle nuove norme di cui ai precedenti<br />

articoli, sono stati anteposti ai loro credili nel grado del<br />

privilegio, proponendo opposizione a norma dell’articolo<br />

512 del codice di procedura civile, fino alla distribuzione<br />

della somma ricavata dalla vendita, oppure l’impugnazione<br />

prevista dall’art. 100 del regio decreto 16<br />

marzo 1942, n. 267, fino a che il giudice competente<br />

non abbia reso esecutivo il riparto finale, secondo le<br />

norme contenute nello stesso decreto» ed era stata interpretata<br />

dalla giurisprudenza della Suprema Corte nel<br />

senso che «la disciplina transitoria dettata dall’art. 15<br />

della legge 29 luglio 1975, n. 426, recante modificazioni<br />

al codice civile ed alla legge 30 aprile 1969, n. 153<br />

in materia di privilegi, comporta che i nuovi privilegi<br />

attribuiti dalla legge medesima (nella specie, in favore<br />

di credito di cooperativa per la vendita di manufatti, ai<br />

sensi dell’art. 2751 bis n. 5 c.c.) assistono anche i crediti<br />

sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere<br />

dal tempo in cui siano stati azionati in sede<br />

concorsuale, e, quindi, anche i crediti prima chirografari,<br />

e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la<br />

conseguenza che i privilegi medesimi possono essere<br />

esercitati, pure dopo l’approvazione dello stato passivo<br />

e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo,<br />

anche con le forme dell’insinuazione tardiva, prevista<br />

dall’art. 101 della legge fallimentare, in deroga al principio<br />

altrimenti operante, sulla non utilizzabilità di<br />

quest’ultima per il riconoscimentodi<strong>un</strong>privilegioper<br />

credito già ammesso al passivo in via chirografaria»<br />

(Cass. 11 gennaio 1980, n. 235); ciò, a conferma del<br />

fatto che è onere del creditore - già ammesso in via<br />

chirografaria - proporre <strong>un</strong>a domanda tardiva, al fine di<br />

ottenere l’insinuazione al privilegio, a lui spettante per<br />

effetto di modifiche normative intervenute in epoca<br />

successiva alla data di esecutività dello stato passivo.<br />

A questo p<strong>un</strong>to - ed in conclusione - occorre verificare<br />

se - oltre a quelle (già esaminate e respinte) che sono<br />

state prospettate da Equitalia Nord S.p.a. - vi siano altre<br />

ragioni idonee a determinare il rigetto della domanda<br />

proposta dalla Mael S.p.a.<br />

Deve ritenersi che anche a tale quesito vada data [nella<br />

fattispecie] <strong>un</strong>a risposta negativa.<br />

(omissis).<br />

Mutamento retroattivo della qualità del credito, proposta<br />

del terzo-ass<strong>un</strong>tore e omologazione del concordato<br />

di Daniele Griffini *<br />

Con l’art. 23 D.L. 6 luglio 2011, n. 98, il legislatore ha m<strong>un</strong>ito di privilegio, con effetto retroattivo, alc<strong>un</strong>i crediti<br />

(tributari) originariamente chirografari. Data la scarna disciplina di coordinamento, la decisione sopraestesa<br />

si trova ad affrontare delicate questioni interpretative. L’Autore commenta le affermazioni del Trib<strong>un</strong>ale<br />

di Pinerolo anche alla luce degli orientamenti formatisi in occasione dei precedenti interventi legislativi retroattivi<br />

in materia di privilegi.<br />

1. Inquadramento<br />

Come è risaputo, <strong>un</strong>o dei principali obiettivi presi<br />

di mira dal legislatore con la c.d. ‘‘manovra’’ del luglio<br />

2011 è stato quello di rimpinguare le casse erariali;<br />

obiettivo che, fra l’altro, l’art. 23 D.L. 6 luglio<br />

2011, n. 98 (convertito in L. 15 luglio 2011, n.<br />

111) ha cercato di conseguire introducendo nuovi<br />

privilegi per i crediti tributari relativi alle imposte<br />

c.d. ‘‘dirette’’.<br />

In quest’ottica, il trentasettesimo comma del suddetto<br />

art. 23 ha modificato il primo comma dell’art.<br />

2752 c.c.; disposizione, quest’ultima, che - prima<br />

della modifica - assegnava il privilegio generale mobiliare,<br />

in questa materia, soltanto ai crediti dello<br />

Stato per le imposte, e soltanto a condizione che essi<br />

fossero stati «iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno<br />

in cui il concessionario del servizio di riscossione<br />

procede o interviene nell’esecuzione e nel-<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

l’anno precedente»; e che invece - dopo la modifica<br />

- conferisce la medesima causa di prelazione ai<br />

crediti dello Stato (non solo per le imposte, ma)<br />

anche per le sanzioni, ed a prescindere dalla condizione<br />

della loro iscrizione nei ruoli resi esecutivi entro<br />

il limite temporale appena riferito.<br />

Nella medesima prospettiva, poi, il trentanovesimo<br />

comma del menzionato art. 23, ha novellato il terzo<br />

comma dell’art. 2776 c.c.; disposizione, quest’ultima,<br />

che - prima della novella - conferiva la collocazione<br />

sussidiaria sul prezzo degli immobili solo ai<br />

crediti dello Stato (contemplati dall’art. 2752, terzo<br />

comma, c.c.) per l’i.v.a. e per le relative sanzioni; e<br />

che - in seguito alla novella - assegna simile collo-<br />

Nota:<br />

* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />

di <strong>un</strong> referee.<br />

Il Fallimento 3/2013 359


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

cazione pure ai crediti dello Stato (contemplati dall’anzidetto<br />

art. 2572, primo comma, c.c.) per le imposte<br />

dirette e per le relative sanzioni.<br />

Ma il legislatore, allo scopo di incrementare le entrate<br />

statali, non si è fermato qui; ed infatti i citati<br />

commi trentasettesimo e trentanovesimo si chiudono,<br />

per così dire lapidariamente, con la seguente formula:<br />

«la disposizione si osserva anche per i crediti<br />

sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente<br />

decreto».<br />

Sull’esempio di quanto era già accaduto con l’art.<br />

66, L. 30 aprile 1969, n. 153 e, poi, con l’art. 15,<br />

L. 29 luglio 1975, n. 426 e, poi ancora, con l’art. 1,<br />

L. 18 gennaio 1994, n. 44, il legislatore - ancora<br />

<strong>un</strong>a volta - non s’è d<strong>un</strong>que limitato ad introdurre<br />

nuovi privilegi per l’avvenire, ma ne ha disposto<br />

l’applicazione con effetto retroattivo (1).<br />

Ed è appena il caso di osservare che - ogniqualvolta<br />

la legge interviene con disposizioni retroattive in<br />

materia di privilegi - sorgono, quasi inevitabilmente,<br />

delicati problemi di diritto transitorio; «del resto<br />

- sono queste le parole di <strong>un</strong> eminente studioso del<br />

settore - nella storia del diritto del privilegio, i problemi<br />

di diritto transitorio acquistano <strong>un</strong>a grande<br />

rilevanza e impegnano, per la loro difficoltà, le<br />

energie degli interpreti, poiché l’istituto, nato all’insegna<br />

della certezza legislativa, è condannato,<br />

per la sua logica intrinseca, a subire <strong>un</strong>a continua<br />

riformulazione della disciplina attraverso il continuo<br />

intervento del legislatore» (2).<br />

2. Il caso<br />

Proprio dalla retroattività della nuova disciplina introdotta<br />

con il D.L. n. 98/2011 origina il non semplice<br />

caso giurisprudenziale sul quale, nella decisione<br />

in commento, il Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo s’è cimentato.<br />

Si supponga infatti il seguente scenario: che - in<br />

tempo <strong>un</strong>o - sia stato dichiarato il fallimento di <strong>un</strong><br />

imprenditore commerciale (nel caso di specie, la A.<br />

S.p.a.); che - in tempo due - l’agente della riscossione<br />

abbia ottenuto l’ammissione al passivo fallimentare<br />

di <strong>un</strong> credito tributario chirografario (nel caso<br />

di specie, di <strong>un</strong> credito per imposte dirette non<br />

iscritto nei ruoli resi esecutivi nell’anno dell’avvio/<br />

intervento nell’esecuzione e in quello precedente);<br />

che - in tempo tre - sia entrato in vigore il famigerato<br />

D.L. n. 98/2011, il quale ha m<strong>un</strong>ito di privilegio<br />

generale mobiliare il suddetto credito tributario, già<br />

ammesso al passivo - come si è detto - in via chirografaria;<br />

che - in tempo quattro - <strong>un</strong> terzo (nel caso<br />

di specie, la M. S.p.a.), in qualità di ass<strong>un</strong>tore, ab-<br />

bia presentato <strong>un</strong>a proposta di concordato fallimentare,<br />

con limitazione della propria responsabilità (ex<br />

art. 124, ultimo comma, l.fall.) ai soli creditori ammessi,<br />

anche provvisoriamente, al passivo (e a quelli<br />

che, pur non ammessi, avessero presentato opposizione<br />

o domanda tardiva al tempo della proposta);<br />

che, in tale proposta, il terzo-ass<strong>un</strong>tore abbia trattato<br />

il credito tributario (non già come privilegiato,<br />

alla stregua della novella legislativa, ma) come chirografario,<br />

con previsione per esso (non del pagamento<br />

integrale in quel caso previsto per i privilegiati,<br />

bensì) del pagamento falcidiato in quel caso<br />

previsto per gli altri chirografari; che - in tempo cinque<br />

- la proposta del terzo-ass<strong>un</strong>tore sia stata approvata<br />

dalla maggioranza del ceto creditorio (seppur<br />

con il dissenso dell’agente della riscossione).<br />

Ebbene - sorge spontaneo chiedersi - quid juris se,<br />

in <strong>un</strong> siffatto scenario, l’agente della riscossione, a<br />

mezzo di opposizione al concordato, den<strong>un</strong>ciasse<br />

l’illegittimità della proposta approvata dai creditori,<br />

per avere quest’ultima - in contrasto con il dettato<br />

del D.L. n. 98/2011 - trattato il credito tributario<br />

come chirografario e non già come privilegiato? Potrebbe<br />

l’agente della riscossione ottenere dal Trib<strong>un</strong>ale<br />

la modifica della proposta di concordato o, com<strong>un</strong>que,<br />

il diniego dell’omologazione?<br />

3. La decisione<br />

Volendo seguire l’orientamento dei giudici piemontesi,<br />

la risposta da darsi s’impone negativa su entrambi<br />

i fronti.<br />

Per quanto concerne la richiesta di modificare la<br />

proposta, essa è - a giudizio del Trib<strong>un</strong>ale - inammissibile,<br />

poiché l’art. 129 l.fall. «consente al Trib<strong>un</strong>ale<br />

di omologare (ovvero di non omologare) <strong>un</strong><br />

concordato fallimentare, senza attribuirgli il potere<br />

di modificarlo». E non par dubbio che, così decidendo,<br />

i giudici piemontesi si siano iscritti (e sono<br />

loro stessi a metterlo in luce) nel solco della giurisprudenza<br />

di legittimità, la quale ha recentemente<br />

ribadito che «il giudice, sia esso il Trib<strong>un</strong>ale o la<br />

Note:<br />

(1) Con riguardo agli interventi del 1969 e del 1975, v. - in sintesi<br />

- G. Tucci, I privilegi, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto<br />

privato, XIX.1, Torino, 1997, 608 e s. e - per <strong>un</strong> ricco excursus<br />

della dottrina e della giurisprudenza (anche di merito) - S.<br />

Bonfatti, La formazione dello stato passivo nel fallimento, Milano,<br />

1981, 321 e s. (spec. 326 e s.); con riguardo all’intervento legislativo<br />

del 2011 v. invece M. Ferro, Manovra fiscale: più tutele<br />

ai crediti tributari e prime procedure concorsuali per gli imprenditori<br />

agricoli, in questa Rivista, 2011, 910 e s., nonché - per<br />

cenni - P. Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizioni dell’attivo,<br />

in questa Rivista, 2011, 1136-1137.<br />

(2) G. Tucci, I privilegi, cit., 609.<br />

360 Il Fallimento 3/2013


Corte d’appello in sede di reclamo, non può omologare<br />

<strong>un</strong>a proposta di concordato apportandovi modifiche<br />

sostanziali» (3). D’altronde, ché nel giudizio<br />

di omologazione non esista <strong>un</strong>a terza via rispetto all’approvazione<br />

ed alla reiezione del concordato era<br />

principio consolidato ancor prima delle ultime novelle<br />

(4); e, per vero, ancor prima della legge fallimentare<br />

del 1942 (5).<br />

Per quanto concerne, invece, la richiesta di denegare<br />

l’omologazione del concordato, essa è - a giudizio<br />

del Trib<strong>un</strong>ale - infondata.<br />

Al riguardo, secondo l’ordine logico-giuridico, vien<br />

fatto d’osservare che il Trib<strong>un</strong>ale, prima di gi<strong>un</strong>gere<br />

a siffatta conclusione, formula <strong>numero</strong>se (anche se,<br />

talvolta, sottointese) affermazioni. Vediamole.<br />

Prima affermazione: se, per effetto di ius superveniens,<br />

si verifica <strong>un</strong> mutamento retroattivo migliorativo<br />

della qualità del credito (da chirografario a privilegiato),<br />

il creditore ha diritto di avvalersi del privilegio<br />

di nuovo conio anche se sia già stato ammesso<br />

al passivo come chirografario.<br />

Seconda affermazione: per avvalersi del privilegio di<br />

nuovo conio, il suddetto creditore può chiedere<br />

<strong>un</strong>a modifica dello stato passivo.<br />

Terza affermazione: per avvalersi del privilegio di<br />

nuovo conio, il suddetto creditore - in particolare -<br />

può proporre: a) <strong>un</strong>’impugnazione ex art. 98, terzo<br />

comma, l.fall.; oppure, b) <strong>un</strong>a domanda tardiva ex<br />

art. 101 l.fall.<br />

Quarta affermazione: il terzo-ass<strong>un</strong>tore, che (ex art.<br />

124, ultimo comma, l.fall.) si sia avvalso della<br />

clausola di limitazione della responsabilità, ha«la<br />

facoltà (ed anzi l’obbligo) di non prendere in considerazione<br />

i crediti non ammessi allo stato passivo»<br />

(tranne quelli per cui sia stata presentata opposizione<br />

o domanda tardiva al tempo della proposta).<br />

Quinta affermazione: se il creditore neoprivilegiato,<br />

già ammesso al passivo come chirografario, si oppone<br />

al concordato sul presupposto che la riduzione<br />

concordataria sia ingiustificata in quanto il credito<br />

avrebbe natura privilegiata (e non chirografaria),<br />

il Trib<strong>un</strong>ale deve verificare se esso abbia<br />

chiesto (ed ottenuto?) <strong>un</strong>a modifica dello stato<br />

passivo; in ipotesi negativa, il Trib<strong>un</strong>ale deve rigettare<br />

<strong>un</strong> tale motivo di opposizione perché il terzo-ass<strong>un</strong>tore,<br />

che si sia avvalso della clausola di limitazione<br />

della responsabilità, ha la facoltà (ed<br />

anzi l’obbligo) «di non attribuire - ai crediti già<br />

ammessi allo stato passivo - <strong>un</strong> grado diverso rispetto<br />

a quello riconosciuto - con proprio decreto<br />

- dal giudice delegato».<br />

Ora, quanto alla prima affermazione, il Trib<strong>un</strong>ale<br />

Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

non si preoccupa di motivarla, ma - a ben guardare<br />

- essa non risulta <strong>un</strong>animemente condivisa: v’è infatti<br />

chi argomenta che il creditore già ammesso al<br />

passivo non potrebbe avvalersi del nuovo privilegio,<br />

in quanto il decreto di esecutività farebbe cadere,<br />

sul credito già ammesso, il velo di piombo del<br />

giudicato (sia pur endofallimentare), impedendo<br />

così di tornare a discutere sull’esistenza di eventuali<br />

cause di prelazione (6). Una simile obiezione, però,<br />

era già stata spesa in precedenti occasioni, e la Suprema<br />

Corte aveva finito per ritenerla contrastante<br />

«col principio costituzionale di eguaglianza (che si<br />

deve presumere rispettato dal legislatore, se elementi<br />

di sicuro valore non dimostrino il contrario) perché<br />

crea <strong>un</strong>a disparità di trattamento sia tra i creditori<br />

che intervengono nella procedura fallimentare<br />

e quelli che intervengono nell’esecuzione individuale<br />

(i quali ultimi non incontrano preclusioni<br />

analoghe a quelle che derivano dall’approvazione<br />

dello stato passivo), sia, nell’ambito della procedura<br />

fallimentare, tra i creditori verificati tempestivamente,<br />

e quindi soggetti all’asserita preclusione, ed<br />

i (meno diligenti) creditori che chiedano l’ammissione<br />

tardiva dopo l’entrata in vigore della nuova<br />

legge» (7). Di conseguenza, è giusto affermare (come,<br />

implicitamente, fa anche la curia pinerolese)<br />

che l’efficacia retroattiva dello ius superveniens «su-<br />

Note:<br />

(3) Così, Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in questa Rivista,<br />

2011, 403 e s., con nota di N. Nisivoccia, secondo la quale è tutt’al<br />

più consentito al giudice di «dettare, laddove necessario,<br />

modalità esecutive integrative di quelle previste». Sul p<strong>un</strong>to v.<br />

in dottrina, in luogo di altri, M. Fabiani, Concordato preventivo<br />

per cessione dei beni e predeterminazione delle modalità di liquidazione,<br />

in questa Rivista, 2010, 593 e s. (spec. 596-597).<br />

(4) V. A. Bonsignori, Sub art. 130, in F. Bricola - F. Galgano - G.<br />

Santini (a cura di), Commentario Scialoja-Branca Legge Fallimentare,<br />

Artt. 118-145, Bologna-Roma, 1977, 335-336.<br />

(5) V. Al. Rocco, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento,<br />

Torino, 1902, 489.<br />

(6) In questo senso sembra essersi espresso, inter alia, il giudice<br />

delegato del Trib<strong>un</strong>ale di Ravenna: v., sul p<strong>un</strong>to, il resoconto<br />

di G. Guerrieri, I crediti tributari, inwww.odcec-ra.it. In passato,<br />

tale tesi - all’indomani della L. n. 153/1969 - era stata espressa<br />

pure da Cass. 29 ottobre 1970, n. 2222, in Foro It., 1971, I, 181<br />

e s. (spec. 184), anche se in obiter dictum.<br />

(7) Così, Cass. 10 gennaio 1979, n. 157, in Giur. it., I, 1, 168 e<br />

s., che - omaggiando il canone ermeneutico dell’interpretazione<br />

sec<strong>un</strong>dum costitutionem - ha inaugurato <strong>un</strong> orientamento (v., infatti,<br />

i decisivi arresti di Cass. 11 ottobre 1979, n. 5288, in Giur.<br />

comm., 1980, II, 884 e s., con nota di S. Ferreri, nonché Cass. 7<br />

gennaio 1980, n. 79 e Cass. 11 gennaio 1980, n. 235, entrambe<br />

in Giur. it., I, 1, 1038 e s.) sposato dai giudici della Consulta con<br />

successiva sentenza interpretativa di rigetto (v. Corte Cost. 28<br />

novembre 1983, n. 325, in Foro it., 1983, I, 919 e s., con nota di<br />

G. Tucci). Nella giurisprudenza di merito v. in senso conforme,<br />

più recentemente, Trib. Reggio Emilia 30 agosto 1996, in Dir.<br />

fall., 1996, II, 1156 e s.<br />

Il Fallimento 3/2013 361


Giurisprudenza<br />

Fallimento<br />

pera le preclusioni derivanti dall’approvazione dello<br />

stato passivo» (8).<br />

Quanto alla seconda affermazione, èevidente che essa<br />

si desume come corollario dalla prima.<br />

Quanto alla terza affermazione, occorre intendersi.<br />

Che il creditore già ammesso al passivo come chirografario,<br />

per avvalersi del privilegio di nuovo conio,<br />

possa proporre <strong>un</strong>a domanda tardiva ex art. 101<br />

l.fall. costituisce <strong>un</strong> altro corollario della prima regola:<br />

infatti, caduta l’ordinaria preclusione che impedirebbe<br />

di tornare a discutere sull’esistenza di<br />

eventuali cause di prelazione, cade anche l’ordinario<br />

divieto di svolgere l’insinuazione tardiva per far<br />

valere <strong>un</strong> diritto di prelazione accedente ad <strong>un</strong> credito<br />

già ammesso in chirografo su conforme domanda<br />

del creditore (9).<br />

Che, invece, allo stesso fine, il suddetto creditore<br />

possa proporre, in via alternativa, l’impugnazione<br />

ex art. 98, terzo comma, l.fall., lo escluderei. Il Trib<strong>un</strong>ale<br />

trae simile conclusione dall’art. 23, comma<br />

quarantesimo, D.L. n. 98/2011; ma basta leggere attentamente<br />

questa disposizione per accorgersi che<br />

l’utilizzo di tale strumento processuale spetta - non<br />

già ai creditori neoprivilegiati già ammessi al passivo<br />

come chirografari, bensì - ai creditori privilegiati<br />

già ammessi al passivo come privilegiati, i quali siano<br />

stati scavalcati dai primi nella graduatoria dei<br />

privilegi. E ciò, del resto, in linea con la f<strong>un</strong>zione<br />

dell’impugnazione, che serve proprio - lo dice l’art.<br />

98, terzo comma, l.fall. - per contestare che la domanda<br />

di <strong>un</strong> creditore o di altro concorrente sia<br />

stata accolta (10).<br />

Quanto alla quarta affermazione, non v’è dubbio<br />

che l’art. 124, ultimo comma, l.fall. consenta<br />

espressamente all’ass<strong>un</strong>tore di creare <strong>un</strong>a summa divisio<br />

del ceto creditorio: ossia, di mettere i creditori<br />

‘‘tempestivi’’ da <strong>un</strong> lato e quelli ‘‘tardivi’’ dall’altro,<br />

e di impegnarsi solo nei confronti dei primi. La legge,<br />

giustamente, tiene in conto che l’ass<strong>un</strong>tore è<br />

normalmente <strong>un</strong>o ‘‘speculatore’’ (11) e, in quanto<br />

tale, deve poter conoscere l’entità della massa debitoria<br />

di cui andrà a farsi carico (12).<br />

Quanto alla quinta affermazione, mi permetterei di<br />

avanzare <strong>un</strong> dubbio.<br />

Opponendosi al concordato sul presupposto che la<br />

riduzione concordataria sia ingiustificata in quanto<br />

il suo credito avrebbe natura privilegiata (e non<br />

chirografaria), il creditore neoprivilegiato introduce<br />

nel giudizio di omologazione <strong>un</strong> accertamento incidenter<br />

tantum sulla qualità del credito e, d<strong>un</strong>que, su<br />

<strong>un</strong> presupposto per l’accoglimento della domanda<br />

di omologazione del concordato.<br />

Ora, nel compiere detto accertamento, il giudicante<br />

(a differenza di quel che pare ritenere, nella decisione<br />

sopraestesa, il Trib<strong>un</strong>ale) non si dovrebbe ritener<br />

vincolato al decreto di esecutività dello stato<br />

passivo divenuto definitivo ed alle relative risultanze,<br />

perché -losièdianzi ricordato - lo ius superveniens,<br />

nel nostro caso, ‘‘supera le preclusioni derivanti<br />

dall’approvazione dello stato passivo’’ medesimo.<br />

Se cosi è - <strong>un</strong>a volta accertata in via incidentale la<br />

natura privilegiata del credito tributario - la curia<br />

pinerolese altro non avrebbe potuto fare, se non accogliere<br />

l’opposizione dell’agente della riscossione e<br />

rigettare la domanda di omologazione del terzo-ass<strong>un</strong>tore<br />

(13).<br />

Note:<br />

(8) Così, Cass. 11 gennaio 1980, n. 235, cit., che ritiene esperibile<br />

la domanda tardiva sino al riparto definitivo.<br />

(9) V., in quest’ordine di idee, Cass. 11 gennaio 1980, n. 235,<br />

cit., nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Reggio Emilia<br />

30 agosto 1996, cit.<br />

(10) La disposizione dell’art. 23, quarantesimo comma, D.L. n.<br />

98/2011 trova il proprio precedente storico nell’art. 1, secondo<br />

comma, L. n. 44/1994 e, prima, nell’art. 15, secondo comma, L.<br />

n. 426/1975 e, prima ancora, nella sentenza ‘‘additiva’’ della<br />

Corte Costituzionale 12 luglio 1972, n. 129, in Foro It., 1972, I,<br />

2338 e s., che aveva dichiarato incostituzionale l’art. 66, quinto<br />

comma, L. n. 153/1969 «nella parte in cui non prevede che i titolari<br />

di crediti privilegiati, ammessi al passivo fallimentare in data<br />

anteriore alla entrata in vigore della legge, possano contestare<br />

i crediti, che, per effetto della nuova disciplina, sono stati anteposti<br />

al loro nel grado di privilegio». La ratio è chiara: il legislatore<br />

vuole «rimettere in termini i creditori rispetto ad <strong>un</strong>a impugnazione,<br />

l’interesse alla cui proposizione, prima mancante per<br />

l’originaria poziorità del loro privilegio, è sopraggi<strong>un</strong>to con la<br />

nuova normativa nei limiti in cui questa pospone il detto privilegio<br />

agli altri da essa considerati» (così, Cass. 10 gennaio 1979,<br />

n. 157, cit.); tant’è che, secondo P. Celentano, Accertamenti del<br />

passivo e ripartizioni dell’attivo, cit., 1137 - in mancanza di <strong>un</strong>a<br />

disposizione transitoria del tipo di quella contenuta nel sopramenzionato<br />

quarantesimo comma - si dovrebbe com<strong>un</strong>que applicare<br />

l’istituto, di sicura valenza generale, della rimessione in<br />

termini.<br />

(11) V., per questa definizione, F. Ferrara jr., Il fallimento, Milano,<br />

1974, 577, ricordato da L. Stanghellini, Sub art. 124, in A. Jorio<br />

(diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007,<br />

1984.<br />

(12) V., f<strong>un</strong>ditus, M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato<br />

fallimentare, Torino, 2009, 410 e s., anche con riferimento all’elaborazione<br />

di alc<strong>un</strong>e ‘‘ipotesi critiche di limitazione di responsabilità’’.<br />

(13) A mio avviso, analogo accertamento incidenter tantum sulla<br />

mutata qualità del credito sarebbe imposto, mutatis mutandis,<br />

in caso di epilogo non concordatario, da <strong>un</strong> eventuale reclamo<br />

contro il progetto di riparto ex art. 110, terzo comma, l.fall.; anche<br />

in questo caso il giudicante non dovrebbe ritenersi vincolato,<br />

per gli stessi motivi detti nel testo, alle risultanze dello stato<br />

passivo.<br />

362 Il Fallimento 3/2013


Concordati ex art. 214 l.fall.<br />

Nomina dell’esperto chiamato<br />

a redigere la relazione di cui<br />

all’art. 124, terzo comma, l.fall.<br />

Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012 - Pres. e Rel. Platania - Fineuro S.p.a.<br />

Amministrazione straordinaria - Cessazione - Concordato - Relazione ex art. 124, terzo comma, l.fall. - Designazione dell’esperto<br />

- Competenza dell’Autorità amministrativa di vigilanza<br />

(legge fallimentare artt. 124 e 214)<br />

Nel concordato ai sensi dell’art. 214 l.fall. la designazione dell’esperto chiamato a redigere la relazione di cui all’art.<br />

124, terzo comma, l.fall. spetta all’Autorità amministrativa giacché vi deve essere coincidenza tra l’Autorità<br />

che designa l’esperto e quella che autorizza la presentazione del concordato.<br />

La Corte (omissis).<br />

Con ricorso presentato il 29 febbraio 2012 la società Fineuro<br />

S.p.a. chiedeva al sensi dell’art. 124, terzo comma,<br />

l.fall. la designazione dell’esperto al fine di procedere alla<br />

stima degli attivi delle società del gruppo Arena poste in<br />

amministrazione straordinaria al divisato fine di proporre<br />

<strong>un</strong> concordato anche a seguito della pubblicazione da<br />

parte dei commissari, delle procedure di <strong>un</strong> avviso di ricerca<br />

di terzi ass<strong>un</strong>tori di concordati in conformità alla<br />

Circolare ministeriale del 27 luglio 2011; apparendo opport<strong>un</strong>o<br />

disporre la comparizione degli istanti <strong>un</strong>itamente<br />

ai commissari delle procedure interessale, veniva fissata<br />

udienza camerale; si costituivano in giudizio in tale<br />

procedura i commissari delle società sottoposte ad amministrazione<br />

straordinaria che chiedevano il rigetto dell’istanza<br />

assumendo che fosse competente alla designazione<br />

dell’esperto ai sensi dell’art. 124 l.fall. il Ministero dello<br />

Sviluppo Economico quale autorità vigilante delle procedure;<br />

veniva anche chiesta la revoca del provvedimento<br />

di designazione dell’esperto a suo tempo nominato dal<br />

Trib<strong>un</strong>ale per la valutazione del patrimonio della società<br />

Finsipa per la quale era stato nominato l’esperto ai sensi<br />

dell’art. 124 l.fall.<br />

La complessa questione sottoposta all’esame del Trib<strong>un</strong>ale<br />

e sulla quale non vi sono sostanzialmente precedenti,<br />

deve muovere dall’esame delle normative applicabili<br />

alle procedure di amministrazione straordinaria aperte in<br />

epoca antecedente al D.Lgs. 8 luglio 1999 n. 270 le quali,<br />

ai sensi della L. 30 gennaio 1979, n. 26 art. 1, sesto<br />

comma sono disciplinate, se non diversamente stabilito,<br />

dagli artt. 195 e segg. della legge fallimentare. Tra le disposizioni<br />

applicabili in forza dell’indicato richiamo v’è<br />

l’art. 201 l.fall. che dispone la sostituzione dell’Autorità<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

amministrativa che vigila sulla liquidazione nei poteri<br />

del Trib<strong>un</strong>ale (oltre ché nei poteri del giudice delegato).<br />

Né sembra rilevante il fatto che anche per le procedure<br />

aperte nel vigore della L. 30 gennaio 1979 n. 26 possano<br />

trovare applicazione le disposizioni del D.Lgs. 8 luglio<br />

1999 n. 270 dettate per le procedure di concordato poiché<br />

tali disposizioni non apportano deroghe significative<br />

al regime in precedenza previsto, considerato che l’art.<br />

78 richiama pur sempre le disposizioni dell’art. 214 l.fall.<br />

(sul concordato nell’ambito delle procedure di liquidazione<br />

coatta amministrativa).<br />

Ciò che rileva effettivamente è che il sistema previsto<br />

dal D.L. n. 70/2011 non deroga alle disposizioni generali<br />

dettate per l’amministrazione straordinaria modellate sulla<br />

liquidazione coatta amministrativa e quindi, per quel<br />

che qui conta, alle disposizioni che prevedono la sostituzione<br />

dell’autorità amministrativa nel poteri del Trib<strong>un</strong>ale.<br />

Mette conto di osservare in particolare che anche nel sistema<br />

delineato dal D.Lgs. n. 270/99, l’Autorità Amministrativa<br />

di vigilanza ha conservato poteri assai rilevanti,<br />

essendo ad essa riservato il potere di autorizzare l’imprenditore<br />

ovvero <strong>un</strong> terzo a depositare l’istanza di concordato.<br />

Se ciò è, appare conforme al sistema che anche<br />

la designazione dell’esperto che debba redigere la relazione<br />

prevista dall’art. 124 l.fall. sia affidata all’autorità amministrativa<br />

poiché tale relazione è sostanzialmente prodromica<br />

all’autorizzazione alla presentazione della proposta<br />

di concordato che è affidata alla stessa Autorità. In<br />

altre parole come nel sistema ordinario vi è coincidenza<br />

tra l’autorità che designa l’esperto e autorità che deve<br />

valutare la congruità dei criteri seguiti nella proposta<br />

che preveda condizioni differenziali per i creditori (il<br />

Trib<strong>un</strong>ale), così non può ritenersi incoerente che anche<br />

Il Fallimento 3/2013 363


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

nel sistema delineato per le amministrazioni straordinarie<br />

vi sia coincidenza tra autorità che autorizza la presentazione<br />

del concordato ed autorità che designa l’esperto.<br />

Pertanto occorre prendere atto che la nomina dell’esperto<br />

non può essere disposta dal Trib<strong>un</strong>ale.<br />

Conseguentemente l’istanza di designazione dell’esperto<br />

va respinta e va anche disposta la revoca della designazione<br />

già effettuata in relazione all’istanza formulata dalla<br />

Fineuro il 5 settembre 2011.<br />

Trattandosi di designazione e non di nomina, non sono<br />

coinvolti i diritti dell’esperto designato che d<strong>un</strong>que non<br />

deve essere coinvolto nel presente procedimento.<br />

(Omissis).<br />

Osservazioni<br />

La sentenza annotata risolve, nel sostanziale vuoto di precedenti,<br />

l’incertezza circa la competenza a designare l’esperto di<br />

cui all’art. 124, terzo comma, l.fall., nei concordati ex art. 214<br />

l.fall., attribuendola all’Autorità amministrativa quale attributo<br />

della più generale, e generica, vigilanza sulla procedura. Un<br />

esame più approfondito delle soluzioni concordatarie nelle<br />

procedure concorsuali amministrative sembra poter sollevare<br />

qualche dubbio su tale ricostruzione.<br />

Il concordato disegnato dall’art. 214 l.fall., come modificato<br />

dal D.Lgs. 13 settembre 2007, n. 169, è applicabile - ovviamente<br />

- nella liquidazione coatta amministrativa disciplinata<br />

dalla legge fallimentare (e nelle leggi che vi fanno esplicito richiamo,<br />

come da ultimo la disciplina dell’impresa sociale di<br />

cui al D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155), dall’amministrazione<br />

straordinaria ex D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (e da quelle ex<br />

D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 che, ai sensi dell’art. 7, L. 12 dicembre<br />

2002, n. 273 proseguono la gestione liquidatoria secondo<br />

le norme della liquidazione coatta amministrativa; per<br />

l’applicazione dell’art. 214 l.fall. alle ‘‘vecchie Prodi’’ v. Trib.<br />

Udine, 13 novembre 1984, in Dir. fall., 1985, II, 507 ss.), dal<br />

T.U. bancario (D.Lgs. 18 settembre 1993, n. 385) e da quello<br />

assicurativo (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), ma non invece<br />

da <strong>un</strong>’altra procedura concorsuale amministrativa come quella<br />

per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato<br />

d’insolvenza (D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con<br />

L. 18 febbraio 2004, n. 39).<br />

La riforma del 2007 (c.d. decreto correttivo alla riforma fallimentare)<br />

ha sostanzialmente innovato questa tipologia di concordato<br />

modificando app<strong>un</strong>to l’art. 214 l.fall. Nella relazione<br />

di accompagnamento, infatti, viene affermato che «il comma<br />

5 sostituisce l’art. 214 del R.D., allo scopo di adeguare la disciplina<br />

del concordato della liquidazione coatta amministrativa,<br />

<strong>un</strong>iformandola per quanto possibile alla nuova disciplina del<br />

concordato fallimentare e rendendola più rispettosa delle garanzie<br />

della difesa e del contraddittorio» (cfr. M. Fabiani, Diritto<br />

fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 751).<br />

Questa affermata <strong>un</strong>iformazione alla disciplina del concordato<br />

fallimentare è stata attuata con il richiamo esplicito gli artt.<br />

124 ss. l.fall. Tuttavia questo peculiare concordato ha mantenuto<br />

del vecchio assetto il suo carattere coattivo, cioè l’esclusione<br />

della votazione da parte dei creditori, i cui diritti sono ristretti<br />

alla sola possibilità di proporre opposizione, così che la<br />

proposta è rimessa alla sola duplice ‘‘approvazione’’ in sede amministrativa<br />

e giudiziaria, segnando il massimo favor del legislatore<br />

per la soluzione concordataria nelle procedure concorsuali<br />

amministrative (così F. Vassalli, Il decreto correttivo della riforma<br />

della legge fallimentare, inwww.dottrinaediritto.ipsoa.it/). Infatti,<br />

la conferma della negazione del diritto di voto dei creditori<br />

marca l’intento di sottrarre il successo della soluzione concordataria<br />

agli interessi prettamente privati dei creditori che, proprio<br />

in quanto privati, potrebbero negare il consenso a concordati<br />

rispondenti a quell’interesse pubblico sotteso alla disciplina<br />

delle procedure concorsuali amministrative (per <strong>un</strong>a attenta<br />

declinazione degli specifici interessi pubblici, anche in ragione<br />

dei diversi indirizzi dell’amministrazione straordinaria v. F.<br />

Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I,<br />

973 ss.).<br />

In realtà, in tema di concordato coattivo si è assistito ad <strong>un</strong>a<br />

crescente, se non definitiva, erosione dell’interesse pubblico<br />

quale valore cui possono essere sacrificati i diritti patrimoniali<br />

dei creditori (come esempio dell’interpretazione ‘‘superata’’ v.<br />

G.C.M. Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano,<br />

1969, 154 ss.; mentre per <strong>un</strong>a critica v. F. D’Alessandro, La<br />

crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali,<br />

inGiust. civ., 2006, II, 331: «permettere all’impresa di sopravvivere<br />

non pagando i propri creditori, o pagandoli nella<br />

ridotta misura stimata compatibile con le esigenze di continuazione<br />

[...] altro non significa se non (I) novazione coatta e retroattiva<br />

del capitale di credito in capitale di rischio e poi (II)<br />

postergazione altrettanto coatta e altrettanto retroattiva del<br />

nuovo capitale di rischio rispetto all’antico»). Questa ‘‘lotta’’<br />

tra interesse pubblico e diritto dei creditori non certifica <strong>un</strong>a<br />

raggi<strong>un</strong>ta supremazia di quest’ultimo, quasi a considerare la<br />

mancata riforma dell’art. 214 l.fall. <strong>un</strong>a sorta di timidezza o addirittura<br />

di svista del legislatore della riforma. Se ancora <strong>un</strong><br />

contenuto può essere dato a questo singolare assetto è app<strong>un</strong>to<br />

quello già accennato circa gli interessi privati dei creditori. Se<br />

il ceto dei creditori è considerato in <strong>un</strong> insieme <strong>un</strong>iforme<br />

(non in specifiche classi, ma nella distinzione ‘‘storica’’ tra privilegiati<br />

e chirografi) e nel loro interesse ad ottenere dal concorso<br />

la massima soddisfazione nel minor tempo, non trova effettivamente<br />

molta sostanza l’interesse pubblico (cfr. Cass. 18<br />

marzo 2008, n. 7263, in questa Rivista, 2008, 893 ss. «l’interesse<br />

pubblico si attua nella sola scelta di convenienza tra conservazione<br />

o liquidazione dell’impresa (rimessa all’autorità amministrativa),<br />

e non prevale su quello dei creditori concorrenti<br />

alla soddisfazione delle loro ragioni, il quale si attua mediante<br />

le eventuali opposizioniNe consegue che la tutela del credito,<br />

secondo i principi di responsabilità patrimoniale ex art. 2740<br />

c.c., fonda la possibile approvazione del concordato se il sacrificio,<br />

anche parziale, dei creditori in f<strong>un</strong>zione della conservazione<br />

dell’impresa sia almeno equivalente a quello che ad essi<br />

viene prospettato dall’alternativa ipotesi della liquidazione»).<br />

Invero esso può recuperare invece <strong>un</strong> significato e assumere<br />

spessore qualificante laddove si consideri che gli interessi dei<br />

creditori o, meglio, di alc<strong>un</strong>i di essi possono non essere quelli<br />

della massima soddisfazione nel minor tempo. Infatti, nel fallimento,<br />

soprattutto dopo la riforma del concordato, è possibile<br />

che non abbiano successo le proposte più vantaggiose per il<br />

ceto creditorio, bensì più modestamente solo quelle votate dalla<br />

maggioranza. Gli interessi dei privati, che in quanto tali devono<br />

giustamente essere ‘‘egoistici’’, potrebbero non coincidere<br />

con soluzioni concordatarie votate alla massima percentuale<br />

ottenibile. Infatti, nel fallimento è possibile per <strong>un</strong> creditore,<br />

avente o coalizzante la maggioranza dei crediti, acquisire gli attivi<br />

di <strong>un</strong>a procedura fallimentare imponendo il suo vantaggio<br />

indiretto a scapito degli interessi della minoranza (utilizzando<br />

le riflessioni di F. D’Alessandro, op. ult. loc. cit., ciò significa<br />

consentire a questo creditore <strong>un</strong>a novazione coatta, solo figurativa<br />

e deleteria per la minoranza, e retroattiva, pienamente<br />

vantaggiosa e magari anche effettiva per la maggioranza, del<br />

capitale di credito in capitale di rischio).<br />

Intendere l’interesse pubblico nel concordato coattivo perlo-<br />

364 Il Fallimento 3/2013


meno quale valore limite all’ingresso di interessi diversi da<br />

quelli riassumibili nell’ass<strong>un</strong>to di massimo incasso nel minor<br />

tempo significa che detto ‘‘baluardo’’ dovrebbe consentire l’approvazione,<br />

anche a dispetto dell’opposizione dei creditori,<br />

delle proposte migliori; queste non sono certo quelle ciecamente<br />

orientate al debitore a detrimento delle ragioni economiche<br />

del ceto creditorio, ma quelle che compongono la crisi<br />

attraverso il risparmio del tempo (secondo la nota equazione<br />

che tempo è denaro) e la certezza nella determinazione del valore<br />

dell’attivo residuo (che deve tener conto delle incertezze<br />

nella fase dell’alienazione, cioè della necessaria trasformazione<br />

del bene specifico in somma liquida) per gi<strong>un</strong>gere alla sopravvivenza<br />

dell’impresa.<br />

Nondimeno deve tenersi in conto che il legislatore non ha delimitato<br />

l’applicazione del concordato coattivo solo alle procedure<br />

in <strong>un</strong>a fase dove sono ancora presenti <strong>un</strong>’azienda o assets<br />

aziendali, cioè solo laddove l’interesse privatistico dei creditori<br />

come sopra individuato può ‘‘scontrarsi’’ con l’interesse pubblico<br />

alla sopravvivenza dell’impresa: vi possono ben essere concordati<br />

coattivi meramente liquidatori. Una conferma si ha<br />

nel D.L. 13 maggio 2011 n. 70 (in questa Rivista, 2011, 783)<br />

che, nell’intento di accelerare la chiusura delle amministrazioni<br />

straordinarie aperte con D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 (c.d.<br />

‘‘vecchie Prodi’’) poi convertite in liquidazioni coatte amministrative<br />

dall’art. 7, L. 12 dicembre 2002, n. 273, ha previsto<br />

<strong>un</strong>a sorta di concordato [coattivo] forzato; infatti, queste procedure,<br />

aperte quantomeno dalla fine degli anni 90, non hanno<br />

certamente più aziende o assets aziendali da salvaguardare<br />

in ragione dell’interesse pubblico qui declinato nella difesa<br />

dell’occupazione (per <strong>un</strong>’analisi approfondita si rimanda ancora<br />

a F. Fimmanò, op. ult. loc. cit.). Pertanto il legislatore,<br />

quando ha voluto perseguire l’accelerazione della chiusura di<br />

procedure ridotte a gestire perlopiù del contenzioso, non ha<br />

inteso disegnare <strong>un</strong>a forma di concordato precipuo, ma si è affidato<br />

all’istituto di cui al - riformato - art. 214 l.fall.<br />

Deve quindi desumersi che il concordato coattivo è <strong>un</strong> modello<br />

f<strong>un</strong>gibile anche laddove non vi siano più attivi imprenditoriali<br />

e d<strong>un</strong>que utilizzabile quale strumento idoneo per reagire<br />

alla ‘‘naturale’’ inefficienza dovuta alla finalità estintiva della<br />

procedura concorsuale amministrativa. Infatti è fatale che, dovendo<br />

estinguere ogni posizione giuridica attiva e passiva, la<br />

procedura concorsuale amministrativa si può protrarre per <strong>un</strong><br />

tempo indubbiamente penalizzante per le naturali esigenze del<br />

ceto creditorio. In questi casi l’interesse pubblico tutelato dall’Autorità<br />

amministrativa coincide con la tutela effettiva del<br />

diritto di credito dei soggetti coinvolti nella procedura: potranno<br />

essere autorizzate quelle proposte di concordato che<br />

consentono, accorciando la durata della liquidazione, di far<br />

conseguire ai creditori <strong>un</strong> grado di soddisfazione qualitativamente<br />

migliore (secondo il principio che chi incassa prima incassa<br />

di più) che non la chiusura per riparto finale. A sua volta<br />

l’Autorità giudiziaria sarà chiamata a valutare, sulla scorta delle<br />

eventuali opposizioni, se l’interesse pubblico in astratto valutato<br />

dall’Autorità amministrativa sia corrispondente al concreto<br />

interesse dei creditori.<br />

Quindi nel concordato coattivo «al ceto creditorio non è attribuito<br />

il potere di scegliere il modo migliore di soddisfare i crediti<br />

concorsuali [...] le ragioni dei creditori sono tuttavia salvaguardate<br />

dall’opposizione, che impedisce l’approvazione di <strong>un</strong><br />

concordato nel quale quelle ragioni siano anche solo parzialmente<br />

sacrificate all’interesse pubblico» (così Cass. 19 settembre<br />

2006, n. 20259, in questa Rivista, 2007, 11 ss.) e spetta all’Autorità<br />

amministrativa, tanto nel caso in cui questo sia indirizzato<br />

verso <strong>un</strong>a procedura con attivi aziendali ancora suscettibili<br />

di essere recuperati, quanto in presenza di <strong>un</strong>a proce-<br />

Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

dura meramente liquidatoria, individuare l’interesse pubblico<br />

di volta in volta presente e in ragione del quale autorizzare il<br />

creditore o il terzo al deposito in Trib<strong>un</strong>ale della proposta (cfr.<br />

Cass. 18 marzo 2008, n. 7263, loc. cit.).<br />

Spetta invece all’Autorità giudiziaria, coerentemente con il vigente<br />

sistema, la tutela del credito, secondo i principi della responsabilità<br />

patrimoniale ex art. 2740 c.c., cosicché potranno<br />

essere approvati solo quei concordati dove il sacrificio, anche<br />

parziale, dei creditori in f<strong>un</strong>zione della conservazione dell’impresa<br />

sia almeno equivalente a quello che ad essi viene prospettato<br />

dall’alternativa ipotesi della liquidazione.<br />

Ora, deve considerarsi che a) l’Autorità amministrativa ha piena<br />

facoltà di autorizzare proposte palesemente penalizzanti per<br />

i creditori, sacrificando i loro diritti sull’altare dell’interesse<br />

pubblico, b) a baluardo delle ragioni creditorie sta l’Autorità<br />

giudiziaria, c) la relazione ex art. 124, terzo comma, l.fall. deve<br />

attestare che la proposta di concordato non sia penalizzante<br />

per i creditori [privilegiati] rispetto all’ipotesi alternativa della<br />

continuazione della procedura concorsuale.<br />

La sentenza che si annota ritiene che il riconoscimento in capo<br />

all’Autorità amministrativa della designazione dell’esperto<br />

chiamato a redigere la relazione di cui all’art. 124, terzo comma,<br />

l.fall. trova fondamento negli ampi poteri ad essa riservati,<br />

poteri che possono arrestare l’iter del concordato con il diniego<br />

dell’autorizzazione al deposito in Trib<strong>un</strong>ale, quindi senza attivare<br />

la consultazione dei creditori e il vaglio dell’Autorità giudiziaria.<br />

Affermato poi che la relazione in questione è prodromica<br />

all’autorizzazione alla presentazione della proposta, la<br />

pron<strong>un</strong>cia giustifica tale scelta equiparando il concordato coattivo<br />

e fallimentare: «come nel sistema ordinario vi è coincidenza<br />

tra autorità che designa l’esperto e autorità che deve valutare<br />

la congruità dei criteri seguiti nella proposta che preveda<br />

condizioni differenziali per i creditori (il Trib<strong>un</strong>ale), cosi<br />

non può ritenersi incoerente che anche nel sistema delineato<br />

per le amministrazioni straordinarie vi sia coincidenza tra autorità<br />

che autorizza la presentazione del concordato ed autorità<br />

che designa l’esperto.<br />

Ora, sembra di poter affermare che, per le argomentazioni sin<br />

qui svolte, la relazione di cui all’art. 124, terzo comma, l.fall.<br />

non sia prodromica all’autorizzazione alla presentazione in Trib<strong>un</strong>ale<br />

della proposta: mentre la predetta autorizzazione verterà<br />

sulla corrispondenza della proposta di concordato all’interesse<br />

pubblico, la relazione dovrà servire quale fonte di valutazione<br />

circa il possibile pregiudizio che il concordato arrecherebbe<br />

ai creditori privilegiati. In altri termini, se si concorda su <strong>un</strong>a<br />

effettiva e tuttora attuale distinzione di compiti e di presupposti<br />

operativi tra le due Autorità (F. Fimmanò, op. ult. cit., 979<br />

che distingue però il caso del concordato straordinario, cioè<br />

quello nell’amministrazione straordinaria), deve concludersi<br />

che la tutela del ceto creditorio è rimessa <strong>un</strong>icamente all’Autorità<br />

giudiziaria ed allora non si vede per quale motivo l’affidamento<br />

dell’incarico all’esperto per la redazione della relazione<br />

ex art. 124, terzo comma, l.fall. debba spettare ad <strong>un</strong> soggetto,<br />

cioè l’Autorità amministrativa, cui sostanzialmente non<br />

serve giacché il requisito della convenienza per i creditori, anche<br />

se da essa preso in considerazione, compete all’Autorità<br />

giudiziaria (su questo potenziale endemico conflitto cfr. F. Di<br />

Marzio, voce Crisi d’impresa, inEnc. dir., Annali, V, Milano,<br />

2012, 533).<br />

Se invece si accettasse l’equiparazione proposta tra Autorità<br />

giudiziaria e amministrativa si dovrebbe allora concludere che<br />

l’autorizzazione rilasciata da quest’ultima non può che avere lo<br />

stesso spettro d’indagine, cioè i diritti dei creditori (certamente<br />

nella prospettiva di limitare i concordati a quelle sole proposte<br />

che non perseguono interessi coerenti con il principio di mas-<br />

Il Fallimento 3/2013 365


Giurisprudenza<br />

Amministrazione straordinaria<br />

sima soddisfazione nel minor tempo). Ma quest’impostazione,<br />

alla luce della disciplina del concordato coattivo che vede perdurare<br />

l’ablazione del diritto di voto (assetto che di per sé dovrebbe<br />

com<strong>un</strong>que escludere l’omologazione di proposte lesive<br />

del diritto di tutti i creditori, non potendo contare sul principio<br />

maggioritario), potrebbe far emergere <strong>un</strong> potenziale contrasto<br />

tra le due Autorità, chiamate app<strong>un</strong>to a compiere la<br />

stessa valutazione. Diversamente invece, affermare che anche<br />

nel concordato coattivo l’<strong>un</strong>ico interesse che può giustificare<br />

<strong>un</strong> concordato è sempre quello legato alla sola soddisfazione<br />

del ceto creditorio comporterebbe ritenere che la stessa Autorità<br />

amministrativa dovrebbe giocoforza autorizzare tutte le<br />

proposte di concordato che si prospettino come favorevoli ai<br />

creditori anche in presenza di assets aziendali, prescindendo<br />

così sempre dall’interesse pubblico sotteso alla procedura concorsuale<br />

amministrativa.<br />

Francesco Tomasso<br />

366 Il Fallimento 3/2013


Massimario di legittimità<br />

LEGGE FALLIMENTARE<br />

Art. 5<br />

Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8930 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Bernabai - P.S.C. c. Fallimento P.S.C.<br />

1. Ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza,<br />

l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti<br />

di <strong>un</strong> imprenditore individuale, in ragione della natura<br />

civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni<br />

della garanzia patrimoniale in f<strong>un</strong>zione della<br />

causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente<br />

rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore<br />

al fallimento; solo l’alterità soggettiva (ad esempio,<br />

in caso di impresa gestita tramite <strong>un</strong>a società di capitale<br />

<strong>un</strong>ipersonale) introduce <strong>un</strong> criterio diverso di imputazione<br />

dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia<br />

patrimoniale perfetta. (Nella specie, la S.C.<br />

ha rigettato il motivo di ricorso avverso la sentenza,<br />

che aveva ritenuto raggi<strong>un</strong>to il limite di indebitamento<br />

richiesto dall’art. 1 della l.fall., nonostante la dedotta<br />

natura civile e non commerciale del debito costituito da<br />

fideiussioni rilasciate prima dell’inizio dell’attività imprenditoriale).<br />

Cass. Civ., sez. I, 7 giugno 2012, n. 9253 - Pres. Fioretti -<br />

Est. Ferro - P.M. Apice - M.V. c. Fallimento M.V.<br />

2. Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale<br />

deve essere accertato, ai fini della dichiarazione di fallimento,<br />

attraverso <strong>un</strong>a valutazione globale, sia quantitativa<br />

che qualitativa, dei suoi debiti e dei suoi crediti ed a<br />

prescindere dalle cause che l’hanno determinato. (In applicazione<br />

di questo principio, la S.C. ha ritenuto corretta<br />

la decisione di merito, la quale, nel dichiarare il fallimento,<br />

ha ritenuto irrilevante che l’attività imprenditoriale<br />

fosse stata ridimensionata dall’assoggettamento ad <strong>un</strong><br />

sequestro, disposto illegittimamente dall’autorità giudiziaria).<br />

Vedi Cass. 28 marzo 2001, n. 4455; Cass. 13 agosto 2004,<br />

n. 15769.<br />

Art. 15<br />

Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8769 - Pres. Plenteda<br />

- Est. De chiara - P.M. Zeno - Fallimento P.N. c. P.N.<br />

1. In tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito,<br />

da parte dell’imprenditore raggi<strong>un</strong>to da istanza di<br />

fallimento, della situazione patrimoniale, economica e<br />

finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi<br />

tre esercizi), in violazione dell’art. 15, quarto comma,<br />

l.fall., come sostituito dal d.lgs. n. 169 del 2007, si<br />

risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che è<br />

onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali<br />

quale causa di esenzione dal fallimento, ai<br />

sensi dell’art. 1, secondo comma, l.fall., sostituito dal<br />

Giurisprudenza<br />

d.lgs. n. 169 cit. (La S.C., nel cassare con rinvio la sentenza<br />

impugnata, ne ha statuito l’erroneità ove essa<br />

aveva omesso di dare rilevanza alla citata omissione, in<br />

quanto i predetti limiti dimensionali vanno des<strong>un</strong>ti innanzitutto<br />

dalle produzioni documentali gravanti ‘‘ex lege’’<br />

a carico del debitore).<br />

Vedi Cass. 23 luglio 2010, n. 17281.<br />

Art. 16<br />

Cass. Civ., sez. I, 1 giugno 2012, n. 8863 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Didone - P.M. Fimiani - C.G. c. Gest Line S.p.a.<br />

1. La sentenza che pron<strong>un</strong>cia la nullità della dichiarazione<br />

di fallimento per vizi di natura processuale ha <strong>un</strong>a<br />

portata limitata al rapporto processuale in cui è emessa<br />

e, quindi, ancorché definitiva, non è idonea ad assumere<br />

l’autorità del giudicato in senso sostanziale. Ne consegue<br />

che tale sentenza non osta all’emissione di <strong>un</strong>a nuova<br />

dichiarazione di fallimento nei confronti dello stesso<br />

soggetto e sulla base di <strong>un</strong>a rivalutazione dei medesimi<br />

elementi di fatto.<br />

Vedi Cass. 29 novembre 1978, n. 5642.<br />

Art. 18<br />

Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8769 - Pres. Plenteda<br />

- Est. De chiara - P.M. Zeno - Fallimento P.N. c. P.N.<br />

1. L’indicazione, nel reclamo avverso la sentenza dichiarativa<br />

di fallimento, dei mezzi di prova di cui il ricorrente<br />

intende avvalersi e dei documenti prodotti, prevista dall’art.<br />

18, secondo comma, n. 4, l.fall., non è richiesta a<br />

pena di inammissibilità di successive produzioni, sulla<br />

base di <strong>un</strong>a interpretazione non rigoristica suggerita dalla<br />

natura informale del procedimento di reclamo.<br />

Cass. Civ., sez. VI - 1, 6 giugno 2012, n. 9174 - Pres. Salme’<br />

- Est. Cultrera - Dedalus S.r.l. c. MPS gestione Crediti<br />

Banca S.p.a.<br />

2. L’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento,<br />

limitatamente ai procedimenti in cui trova applicazione<br />

la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, è caratterizzata<br />

da <strong>un</strong> effetto devolutivo pieno, cui non si<br />

applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt.<br />

342 e 345 c.p.c. Pertanto, il fallito, benché non costituito<br />

avanti al trib<strong>un</strong>ale, può indicare per la prima volta in sede<br />

di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi,<br />

al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali<br />

di cui all’art. 1, comma 2, l.fall. (Nella specie, <strong>un</strong><br />

creditore aveva proposto reclamo avverso il provvedimento<br />

di rigetto dell’istanza di fallimento, e la corte<br />

d’appello l’aveva accolto disponendo la trasmissione<br />

degli atti al trib<strong>un</strong>ale, che aveva dichiarato il fallimento.<br />

Tale decisione veniva reclamata dall’imprenditore, ma<br />

la Corte d’appello rigettava il reclamo ritenendo che i<br />

bilanci, attraverso i quali il reclamante intendeva dimo-<br />

Il Fallimento 3/2013 367


Giurisprudenza<br />

strare la reale entità delle proprie dimensioni, fossero<br />

inutilizzabili perché tardivamente depositati. La S.C., in<br />

base al principio di cui alla massima, ha cassato con<br />

rinvio tale decisione).<br />

Vedi Cass. 5 novembre 2010, n. 22546; Cass. 31 maggio<br />

2012, n. 8769.<br />

Art. 26<br />

Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8434 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Bernabai - P.M. Apice - Curatela del fallimento<br />

della Ittica Mediterrania S.r.l. c. M.M.<br />

1. I soci della società fallita, a differenza di quest’ultima,<br />

non sono legittimati a proporre reclamo ex art. 26 l.fall.<br />

avverso il provvedimento del giudice delegato che abbia<br />

negato la sospensione della vendita coattiva dei beni sociali,<br />

in quanto essi sono privi di alc<strong>un</strong> diritto reale su<br />

quei beni, e perciò titolari non del necessario interesse<br />

ex art. 100 c.p.c., bensì di <strong>un</strong> mero interesse di fatto alla<br />

conservazione del patrimonio sociale.<br />

Vedi Cass. 11 ottobre 1999, n. 11369.<br />

2. Il termine per proporre reclamo contro i decreti del<br />

giudice delegato al fallimento, di cui all’art. 26, comma<br />

terzo, l.fall., decorre in ogni caso, sia proposto il reclamo<br />

prima o dopo l’entrata in vigore della riforma di cui al<br />

d.lgs. n. 5 del 2006, dalla com<strong>un</strong>icazione integrale del<br />

provvedimento, mentre è inidonea ai fini della decorrenza<br />

del suddetto termine la mera com<strong>un</strong>icazione del dispositivo,<br />

stante la previsione generale di cui all’art. 136,<br />

primo comma, c.p.c., che riserva la forma abbreviata di<br />

casi espressamente previsti.<br />

Vedi Cass. 26 febbraio 2010, n. 4783.<br />

Art. 31<br />

Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8929 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Cultrera - P.M. Fimiani - Fallimento Tracal trasporti<br />

S.r.l. c. P.M.<br />

1. È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità<br />

costituzionale dell’art. 31 l.fall. per eccesso di delega,<br />

con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente<br />

<strong>un</strong> difensore, in quanto tale norma non<br />

esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi<br />

della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza<br />

della procedura, che rappresenta l’obiettivo preminente<br />

del legislatore delegante.<br />

Vedi Cass. 11 gennaio 2005, n. 351; Cass. 5 novembre<br />

2010, n. 22540; Cass. 13 maggio 2011, n. 10652.<br />

Art. 36<br />

Cass. Civ., sez. I, 1 giugno 2012, n. 8870 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Didone - P.M. Velardi - L.G. c. Fallimento Baby Fantasy<br />

S.a.s. di G.G.<br />

1. Il decreto col quale il trib<strong>un</strong>ale fallimentare provvede,<br />

ai sensi dell’art. 36 l.fall., sul reclamo avverso il decreto<br />

del giudice delegato adito contro gli atti di amministrazione<br />

del curatore (nella specie, lo scioglimento dal contratto<br />

preliminare) non ha natura decisoria, in quanto<br />

non risolve <strong>un</strong>a controversia su diritti soggettivi, rientrando<br />

viceversa tra i provvedimenti di controllo sull’esercizio<br />

del potere amministrativo del curatore. Ne consegue<br />

che esso non è impugnabile con ricorso per cassazione<br />

ai sensi dell’art. 111 Cost., potendo i terzi interessati<br />

contestare gli effetti dell’attività nelle sedi ordinarie<br />

(nella specie, innanzitutto, nella sede naturale del giudizio<br />

ex art. 2932 cod. civ. o endoconcorsuali (ex artt. 93<br />

e 103 l.fall.).<br />

Vedi Cass. 4 giugno 1994, n. 5425; Cass. 26 novembre<br />

2010, n. 24019.<br />

Art. 43<br />

Cass. Civ., sez. III, 8 giugno 2012, n. 9297 - Pres. Uccella -<br />

Est. Barreca - P.M. Velardi - Fallimento base nautica<br />

Pontina S.r.l. c. T.S.<br />

1. Il curatore fallimentare, il quale domandi in giudizio la<br />

risoluzione per inadempimento di <strong>un</strong> contratto stipulato<br />

dall’imprenditore ‘‘in bonis’’, agisce in rappresentanza<br />

del fallito, e non della massa dei creditori. Egli, pertanto,<br />

rispetto al contratto di cui chiede la risoluzione, non è<br />

terzo, e non può provare per testimoni la simulazione<br />

della quietanza di pagamento rilasciata dal fallito alla<br />

controparte contrattuale.<br />

Vedi Cass. 19 novembre 1994, n. 9835; Cass. 9 luglio<br />

2005, n. 14481; Cass. 11 aprile 1991, n. 3824.<br />

Art. 52<br />

Cass. Civ., sez. VI - 1, 6 giugno 2012, n. 9175 - Pres. Salme’<br />

- Est. Cultrera - C.A. c. Fallimento Agostini Cedis<br />

S.p.a. In liquidazione<br />

1. L’anteriorità di <strong>un</strong> credito rispetto alla dichiarazione di<br />

fallimento può essere ritenuta provata anche se la relativa<br />

fattura non sia stata debitamente registrata nelle scritture<br />

contabili, quando tale anteriorità risulti inequivocamente<br />

in altro modo.<br />

Vedi Cass. 22 novembre 2007, n. 24320.<br />

Art. 67 (in generale)<br />

Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8782 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Di Virgilio - P.M. Fimiani - Barbara S.r.l. C. Amministrazione<br />

fallimento immobiliare<br />

1. Nel giudizio promosso dal curatore fallimentare per la<br />

revocatoria di <strong>un</strong> contratto (nella specie, vendita immobiliare<br />

conclusa in periodo sospetto), la domanda riconvenzionale,<br />

diretta ad ottenere la condanna del fallimento<br />

al pagamento di <strong>un</strong> credito derivante dal medesimo<br />

contratto (nella specie, restituzione del prezzo versato) è<br />

inammissibile, per violazione degli artt. 52 e 93 l.fall., i<br />

quali sanciscono l’esclusività del rito speciale di accertamento<br />

del passivo; ne consegue che l’omessa pron<strong>un</strong>cia,<br />

in quanto relativa a domanda inammissibile, non integra<br />

<strong>un</strong> vizio della sentenza, né rileva come motivo di ricorso<br />

per cassazione, facendo difetto l’obbligo del giudice<br />

di pron<strong>un</strong>ciarsi sul merito.<br />

Vedi Cass. 10 dicembre 2004, n. 23077.<br />

368 Il Fallimento 3/2013


Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8439 - Pres. Plenteda<br />

- Est. De Chiara - P.M. Russo - Cassa di risparmio di<br />

Firenze S.p.a. C. Fallimento Dragoni Gioielli S.r.l.<br />

2. Agli effetti della cosiddetta consecuzione, ossia della<br />

considerazione <strong>un</strong>itaria della procedura di concordato<br />

preventivo, cui è succeduta quella di fallimento, che<br />

comporta, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la<br />

retrodatazione al momento dell’ammissione del debitore<br />

alla prima di esse del termine iniziale del periodo sospetto,<br />

ciò che rileva non è la legittimità di tale ammissione,<br />

ma il fatto che <strong>un</strong>’ammissione vi sia stata e <strong>un</strong>a procedura<br />

di concordato sia iniziata, perché ciò impone di considerare<br />

la successiva dichiarazione del fallimento come<br />

conseguenza del medesimo stato d’insolvenza, già a fondamento<br />

dell’ammissione al concordato preventivo; invero,<br />

il giudice investito della revocatoria, come non può<br />

sindacare la legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento,<br />

così non può rivalutare i presupposti di ammissione<br />

al precedente concordato.<br />

Vedi Cass. 6 agosto 2010, n. 18437; Cass. 22 novembre<br />

2007, n. 24330.<br />

Art. 67 (secondo comma)<br />

Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8783 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Di Virgilio - P.M. Fimiani - F.lli Costanzo S.p.a.<br />

in amministrazione straordinaria c. Castaldo S.p.a.<br />

1. La revocatoria fallimentare del pagamento di debiti<br />

del fallito ex art. 67 l.fall. è esperibile anche quando il pagamento<br />

sia stato effettuato da <strong>un</strong> terzo, purché questi<br />

abbia pagato il debito con danaro dell’imprenditore poi<br />

fallito, ovvero con danaro proprio, sempre che, dopo<br />

aver pagato, abbia esercitato azione di rivalsa prima dell’apertura<br />

del fallimento.<br />

Vedi Cass. 17 aprile 2007, n. 9143.<br />

Art. 67 (terzo comma)<br />

Cass. Civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9375 - Pres. Fioretti -<br />

Est. Cristiano - P.M. Russo - Aspra Finance S.p.a. c. Curatela<br />

del fallimento della Caterpanta S.r.l.<br />

1. L’esenzione da revocatoria fallimentare delle rimesse<br />

su conto corrente bancario ex art. 67, terzo comma, lettera<br />

b), l.fall., come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera<br />

a), del D.L. n. 35 del 2005, conv. nella legge n. 80 del<br />

2005, non si applica, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del<br />

D.L. n. 35 cit., alle azioni revocatorie proposte nell’ambito<br />

di procedure iniziate prima della data di entrata in vigore<br />

del medesimo decreto, senza che ciò contrasti col<br />

principio costituzionale di ragionevolezza, avendo il legislatore<br />

tutelato l’affidamento riposto dai creditori concorsuali<br />

nella ricostruzione del patrimonio del fallito in<br />

base alle regole vigenti al tempo della dichiarazione di<br />

fallimento, riservando il mutamento ‘‘in peius’’ delle<br />

aspettative di reintegrazione derivante dall’esercizio delle<br />

azioni revocatorie ai creditori dei fallimenti aperti successivamente<br />

all’entrata in vigore della riforma.<br />

Vedi Cass. 8 marzo 2007, n. 5346.<br />

Giurisprudenza<br />

Art. 98<br />

Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8929 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Cultrera - P.M. Fimiani - Fallimento Tracal Trasporti<br />

S.r.l. C. P.m.<br />

1. Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera,<br />

nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione<br />

di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ‘‘ius novorum’’,<br />

con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore,<br />

in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato<br />

della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato<br />

al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione<br />

del ‘‘thema disputandum’’ e non ammette l’introduzione<br />

di domande riconvenzionali della curatela, non ne<br />

comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi,<br />

la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame<br />

del giudice delegato.<br />

Vedi Cass. 22 marzo 2010, n. 6900; Cass. 25 febbraio<br />

2011, n. 4708.<br />

Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8439 - Pres. Plenteda<br />

- Est. De Chiara - P.M. Russo - Cassa di risparmio di<br />

Firenze S.p.a. C. Fallimento Dragoni Gioielli S.r.l.<br />

2. In tema di opposizione allo stato passivo fallimentare,<br />

il termine di dieci giorni per la notifica al curatore del ricorso,<br />

con il decreto di fissazione dell’udienza davanti al<br />

giudice delegato, deve considerarsi ordinatorio, dal momento<br />

che l’obbligo di notifica al curatore è stato disciplinato<br />

dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 in maniera identica<br />

a quello previsto per la notifica al fallito, restando, a tali<br />

fini, irrilevante la soppressione di quest’ultimo con il decreto<br />

correttivo del 12 settembre 2007, n. 169.<br />

Vedi Cass. 21 dicembre 2010, n. 25819; Cass. 8 febbraio<br />

2011, n. 3082; Cass. 4 dicembre 2009, n. 25494.<br />

Art. 99<br />

Cass. Civ., sez. lav., 8 giugno 2012, n. 9341 - Pres. Vidiri -<br />

Est. Berrino - P.M. Fucci - M.M. c. Fallimento n. (omissis)<br />

del Trib<strong>un</strong>ale di Rieti DUE B S.a.s DI S.G.<br />

1. L’art. 99 l.fall., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 5 del<br />

2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio<br />

di opposizione allo stato passivo in senso impugnatorio,<br />

esclude l’ammissibilità di domande nuove, non<br />

proposte nel grado precedente, e di nuovi accertamenti<br />

di fatto, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione<br />

che solleciti l’esame di questioni, di fatto o di diritto, non<br />

prospettate, ritualmente e tempestivamente, nel giudizio<br />

di opposizione.<br />

Vedi Cass. 22 marzo 2010, n. 6900.<br />

Art. 107<br />

Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8434 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Bernabai - P.M. Apice - Curatela del fallimento<br />

della Ittica Mediterrania S.r.l. c. M.M.<br />

1. La sospensione dell’esecuzione forzata, accordata dall’art.<br />

4 della L. 23 febbraio 1999, n. 44 alle vittime del delitto<br />

di usura, si applica anche alle vendite forzate dispo-<br />

Il Fallimento 3/2013 369


Giurisprudenza<br />

ste nell’ambito delle procedure fallimentari, tenuto conto<br />

dei più ampi benefici ora introdotti espressamente, anche<br />

per i falliti, degli artt. 1 e 2 della legge 27 gennaio<br />

2012, n. 3 e d<strong>un</strong>que della possibilità, attribuendo valore<br />

di interpretazione autentica a tale norma, di giustificare<br />

tale estensione soggettiva, valevole anche per le procedure<br />

iniziate anteriormente a detta legge.<br />

Vedi Cass. 24 gennaio 2007, n. 1496; Cass. 28 maggio<br />

2012, n. 8432.<br />

Art. 160<br />

Cass. Civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373 - Pres. Plenteda<br />

- Est. Ceccherini - P.M. Apice - Agenzia delle entrate c.<br />

Tecnomil S.p.a. in concordato preventivo<br />

EDITRICE<br />

Wolters Kluwer Italia s.r.l.<br />

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DIRETTORE RESPONSABILE<br />

Giulietta Lemmi<br />

REDAZIONE<br />

Francesco Cantisani, Ines Attorresi, Stefania Banfi<br />

HANNO COLLABORATO<br />

La selezione della giurisprudenza di legittimità<br />

è a cura dell’Avv. Dario Finardi<br />

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scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche<br />

responsabilità per eventuali errori o inesattezze.<br />

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febbraio 2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano<br />

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Commerciali al n. 02-82476794.<br />

Nell’ordine di acquisto i magistrati dovranno allegare<br />

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attestante l’appartenenza alla magistratura e dichiarare<br />

di essere iscritti all’Associazione Nazionale<br />

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Versare l’importo sul C/C/P n. 583203 intestato a<br />

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1. Ai fini dell’ammissibilità della proposta di concordato<br />

preventivo, l’art. 160, secondo comma, l.fall. (nel testo<br />

sostituito dall’art. 2 del D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n.<br />

80 del 2005) deve essere interpretato nel senso che<br />

l’apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione<br />

della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti<br />

neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società<br />

debitrice, non comportando né <strong>un</strong> incremento dell’attivo,<br />

sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in<br />

ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né <strong>un</strong><br />

aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento<br />

di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente<br />

dalla circostanza che tale credito sia stato<br />

onopostergato.<br />

Vedi Cass. 4 marzo 2011, n. 5315.<br />

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26/10/1972, n. 633 e del D.M. 29/12/1989 e<br />

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Egregio Abbonato,<br />

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2003, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi<br />

analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potrà<br />

in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del<br />

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violazione di legge, di opporsi al trattamento dei Suoi dati<br />

ai fini di invio di materiale pubblicitario, vendita diretta<br />

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370 Il Fallimento 3/2013


Massimario di merito<br />

acuradiFederica Commisso e Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco<br />

LEGGE FALLIMENTARE<br />

Art. 18<br />

App. Torino 15 gennaio 2013 - Pres. Mazzitelli - Est. Patti<br />

- R. ed altri c. Fall. N. S.p.a.<br />

1. In tema di reclamo contro la sentenza dichiarativa di<br />

fallimento, la legittimazione attribuita dall’art. 18 l.fall. a<br />

qual<strong>un</strong>que interessato compete sia all’ex amministratore<br />

della società fallita, quale titolare di <strong>un</strong> interesse qualificato<br />

in relazione all’eventuale esperimento di azione di<br />

responsabilità ed alla configurazione di reati a suo carico<br />

dipendenti dalla dichiarazione di fallimento, sia al socio,<br />

in relazione alla tutela del valore della quota di partecipazione<br />

alla società, sia altresì al garante delle obbligazioni<br />

della società fallita.<br />

Art. 43<br />

App. Torino 31 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />

Patti - B.P.C.I. c. Fall. S & S s.r.l.<br />

1. L’art. 43, terzo comma, l.fall. introduce <strong>un</strong>’ipotesi di interruzione<br />

del giudizio operante di diritto dal momento<br />

della dichiarazione di fallimento, ma la decorrenza del<br />

termine per la riass<strong>un</strong>zione del processo ad opera di parte<br />

diversa da quella dichiarata fallita avviene non già dal<br />

momento dell’interruzione, bensì dal giorno in cui tale<br />

evento sia venuto in forma legale a conoscenza del soggetto<br />

interessato alla riass<strong>un</strong>zione, e tale forma assume<br />

certamente la com<strong>un</strong>icazione fatta dal curatore ai creditori<br />

ai sensi dell’art. 92 l.fall.<br />

Art. 67 (primo comma)<br />

Trib. Bergamo 1 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />

<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />

1. Le cessioni di credito con finalità solutoria, dirette all’estinzione<br />

di <strong>un</strong>a preesistente obbligazione pec<strong>un</strong>iaria<br />

già scaduta ed esigibile della cedente verso la cessionaria,<br />

si caratterizzano come anomale rispetto al pagamento<br />

in denaro o con titoli di credito considerati equivalenti,<br />

in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale<br />

alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, e<br />

sono pertanto revocabili ai sensi dell’art. 67, primo comma<br />

n. 2, l.fall.<br />

Art. 67 (secondo comma)<br />

Trib. Novara 17 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />

<strong>un</strong>ico - Est. Gambacorta - F.D.G. S.p.a. c. P.N. S.p.a.<br />

1. Ai fini della prova della scientia decoctionis, assume<br />

rilevanza sia il risalto di cronaca che aveva avuto la crisi<br />

del debitore (in considerazione della com<strong>un</strong>anza di terri-<br />

Giurisprudenza<br />

torio tra creditore e debitore, così che il primo non poteva<br />

ignorare le notizie di stampa), sia il fatto che il creditore<br />

abbia consentito <strong>un</strong> piano di rientro ed abbia accettato<br />

di eseguire nuove forniture solo previo pagamento di<br />

parte del pregresso insoluto.<br />

Art. 67 (terzo comma)<br />

Trib. Bergamo 1 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />

<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />

1. Il concetto di ‘‘termini d’uso’’ di cui al terzo comma lettera<br />

a) dell’art. 67 l.fall. fa riferimento alle condizioni di<br />

tempo e di modo dei pagamenti e risponde all’esigenza<br />

di verificare in concreto se i pagamenti siano stati eseguiti<br />

con mezzi fisiologici, normali ed usuali tra le parti,<br />

con la conseguenza che non possono ritenersi eseguiti<br />

‘‘nei termini d’uso’’ i pagamenti effettuati con prassi patologiche<br />

e/o con forme anomale non concordate tra le<br />

parti alla stipula del rapporto negoziale e con <strong>un</strong>a tempistica<br />

difforme da quella normalmente praticata tra le<br />

stesse (nel caso di specie il pagamento era stato effettuato<br />

a mezzo di cessione di crediti).<br />

Trib. Bergamo 14 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />

<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />

2. In tema di azione revocatoria fallimentare, sono esenti<br />

ai sensi della lettera a) del terzo comma dell’art. 67 l.fall.<br />

solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti<br />

alla vita ordinaria e corrente dell’impresa, a condizione<br />

che siano eseguiti ‘‘nei termini d’uso’’; ne restano<br />

esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie e/o<br />

estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario<br />

esercizio dell’azienda e quindi non vi rientra<br />

l’incarico conferito al consulente finanziario per la ristrutturazione<br />

dei debiti e l’attivazione di <strong>un</strong>a procedura concorsuale.<br />

3. In tema di azione revocatoria fallimentare, non trova<br />

applicazione l’esenzione di cui alla lettera g) del terzo<br />

comma dell’art. 67 l.fall. nei casi in cui l’imprenditore<br />

che aveva programmato di chiedere l’ammissione alla<br />

procedura di concordato preventivo decida poi di non<br />

presentare il ricorso ovvero quando il trib<strong>un</strong>ale dichiari<br />

inammissibile la proposta di concordato.<br />

4. I pagamenti sono esenti da revocatoria ai sensi della<br />

lettera g) del terzo comma dell’art. 67 l.fall., allorché risultino<br />

afferenti a servizi resi in f<strong>un</strong>zione dell’accesso allo<br />

strumento di soluzione della crisi d’impresa e sono tali<br />

quelli specificatamente diretti a consentire l’ammissione<br />

dell’imprenditore alla procedura, quali le prestazioni rese<br />

per la redazione della relazione del professionista e per<br />

l’assistenza alla stesura del ricorso, con esclusione di<br />

quei servizi di carattere generale rivelatisi accidentalmente<br />

utili al fine dell’accesso alla procedura (nel caso<br />

di specie si trattava di prestazioni relative all’analisi della<br />

situazione debitoria, della collaborazione nella predispo-<br />

Il Fallimento 3/2013 371


Giurisprudenza<br />

sizione di <strong>un</strong> piano economico finalizzato alla prosecuzione<br />

dell’attività, della ricerca di eventuali partner per la<br />

realizzazione di <strong>un</strong> progetto di salvataggio aziendale ed<br />

altre prestazioni correnti).<br />

Art. 146<br />

App. Torino 31 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />

Patti - Fall. A. S.r.l. c. F.E.<br />

1. In tema di azione di responsabilità, qualora la prova<br />

del nesso di causalità tra specifici comportamenti antidoverosi<br />

degli amministratori ed il danno, e la determinazione<br />

del danno stesso, siano rese impossibili dalla mancanza<br />

o dall’irregolare tenuta delle scritture contabili, è<br />

ammessa <strong>un</strong>’inversione dell’onere della prova perché in<br />

tal caso la condotta, integrante violazione di specifici obblighi<br />

di legge in capo agli amministratori, è di per se<br />

stessa idonea a tradursi in <strong>un</strong> pregiudizio per il patrimonio<br />

della società.<br />

Art. 161<br />

Trib. Napoli 4 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Di Nosse -<br />

Est. De Matteis - F. c. Massa dei creditori<br />

1. Il professionista che redige la relazione che accompagna<br />

la domanda di concordato preventivo ed al quale<br />

viene demandata l’attestazione della veridicità dei dati<br />

aziendali è tenuto ad <strong>un</strong>a verifica p<strong>un</strong>tuale ed analitica di<br />

tali dati e delle scritture contabili, con la conseguenza<br />

che non è idonea a tal fine <strong>un</strong>a relazione nella quale il<br />

professionista si sia attenuto ai dati ass<strong>un</strong>ti dal debitore<br />

e dai suoi professionisti senza averne riscontrato la corrispondenza<br />

alla realtà.<br />

Art. 169<br />

Trib. Napoli 4 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Di Nosse -<br />

Est. De Matteis - F. c. Massa dei creditori<br />

1. In caso di ammissione del debitore al concordato preventivo,<br />

la compensazione tra i suoi debiti ed i crediti da<br />

lui vantati postula, ai sensi del combinato disposto degli<br />

artt. 56 e 169 l.fall., che le contrapposte ragioni di credito<br />

siano entrambe preesistenti all’apertura della procedura<br />

concorsuale; essa, pertanto, non può operare nell’ipotesi<br />

in cui il debito del terzo nei confronti del debitore concordatario<br />

sia sorto successivamente all’apertura della<br />

procedura.<br />

Art. 173<br />

Trib. Siracusa 20 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Milone -<br />

Est. Leuzzi - S. c. Massa dei creditori<br />

1. Nella categoria degli ‘‘altri atti di frode’’ idonei a dare<br />

luogo alla risoluzione del concordato preventivo, ai sensi<br />

dell’art. 173 l.fall., rientrano tutti quelli che valgono ad<br />

esibire ai creditori, al fine di captarne il consenso, <strong>un</strong>a<br />

surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione<br />

economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa<br />

debitrice; a tal fine è sufficiente che sia ravvisabile<br />

<strong>un</strong>a fittizia ed obiettivamente artefatta rappresentazione<br />

della realtà complessiva dell’impresa che si sostanzi in<br />

<strong>un</strong> inganno potenzialmente idoneo a ledere gli interessi<br />

dei creditori, senza che si debba indagare sull’esistenza<br />

in concreto del pregiudizio stesso.<br />

LEGGI DIVERSE<br />

Amministrazione straordinaria<br />

App. Torino 11 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />

Stalla - F. S.p.a. in a.s. c. D. ed altro<br />

1. In tema di amministrazione straordinaria ex D.Lgs.<br />

270/1999, nel periodo successivo alla dichiarazione di insolvenza<br />

si producono gli effetti del c.d. ‘‘spossessamento<br />

attenuato’’ previsti dall’art. 18 D.Lgs. n. 270/1999; ne<br />

consegue che tutti gli atti di straordinaria amministrazione<br />

devono essere autorizzati dal Giudice delegato, a pena<br />

di inefficacia, ed a tale pron<strong>un</strong>cia può accostarsi <strong>un</strong>a<br />

responsabilità risarcitoria del commissario giudiziale che<br />

abbia dato causa all’atto inefficace (nella specie, la Corte<br />

d’Appello ha dichiarato inefficace <strong>un</strong> pagamento privo di<br />

autorizzazione eseguito dalla società in procedura in favore<br />

del liquidatore sociale ed ha condannato il liquidatore<br />

stesso ed il commissario giudiziale, in solido fra loro,<br />

al pagamento all’amministrazione straordinaria del<br />

relativo importo).<br />

App. Torino 11 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est. Silva<br />

- F. S.p.a. in a.s. c. T. ed altro<br />

2. In tema di amministrazione straordinaria ex D.Lgs.<br />

270/1999, nell’ipotesi in cui il giudice delegato abbia disposto<br />

la nomina di <strong>un</strong> coadiutore del commissario giudiziale<br />

prevedendone l’opera a spese e sotto la diretta<br />

responsabilità del commissario stesso, si deve ritenere<br />

che l’obbligazione di pagamento del compenso del coadiutore<br />

gravi direttamente sul commissario giudiziale e<br />

non già che al pagamento debba provvedere la procedura,<br />

salvo doversene tenere conto - in detrazione - nella<br />

determinazione finale del compenso del commissario.<br />

372 Il Fallimento 3/2013


Le azioni revocatorie<br />

nel fallimento<br />

acuradiPaolo Bosticco<br />

L’autore propone <strong>un</strong> itinerario dei principali orientamenti della giurisprudenza in tema azioni revocatorie promosse<br />

nell’ambito di procedure concorsuali, con <strong>un</strong>a particolare attenzione alle modifiche apportate dalla riforma<br />

e ai principi ereditati dalla normativa originaria, nonché alle principali problematiche esaminate dai<br />

Giudici in relazione a questioni specifiche.<br />

Premessa storica<br />

F<strong>un</strong>zione<br />

della revocatoria,<br />

presupposti com<strong>un</strong>i<br />

e suoi effetti<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

Un itinerario in materia fallimentare non può non tener conto dell’impatto della riforma concorsuale,<br />

che si è ispirata a principi che talora non coincidono affatto con quelli del legislatore<br />

del ’42; a maggior ragione ciò vale per le azioni revocatorie, laddove già con il D.L. 35/2005 sono<br />

state introdotte nuove disposizioni che hanno fortemente innovato l’istituto che, non a torto,<br />

si ritiene sia uscito ‘‘depotenziato’’ dalla riforma, sì da divenire quasi residuale.<br />

Proprio sulla base di tale mutamento radicale, la giurisprudenza ha sempre respinto il tentativo<br />

di applicare le nuove norme alle procedure avviate prima dell’intervento riformatore: come precisa<br />

Cass., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9375, inCassazione.net, non è solo la disciplina transitoria<br />

(che com<strong>un</strong>que espressamente esclude l’applicazione alle procedure pendenti - cfr. Cass.,<br />

sez. I, 16 settembre 2011, n. 18965, in Mass.Giur.it.; Cass., sez. I, 7 marzo 2008, n. 6192, in<br />

Foro It., 2009, I, 395) ad escludere l’applicabilità retroattiva, ma proprio la radicale ‘‘novità’’ della<br />

disciplina riformata (Cass., sez. I, 7 ottobre 2010, n. 20834, in Foro It., 2010, I, 3315), che<br />

comporterebbe <strong>un</strong>a indebita frustrazione dei diritti dei creditori al soddisfo concorsuale sorti<br />

nella vigenza della disciplina vigente al momento dell’apertura del concorso (e per tale ragione<br />

la differenza di trattamento viene ritenuta del tutto legittima da Cass., sez. I, 5 marzo 2008, n.<br />

5962, inGiust.Civ., 2008, I, 2148).<br />

Di fatto, com<strong>un</strong>que, l’evoluzione giurisprudenziale dimostra che anche alle ‘‘nuove’’ revocatorie<br />

possono essere applicati tuttora molti dei principi elaborati in relazione a fattispecie disciplinate<br />

dalla normativa previgente.<br />

Anche dopo la riforma, la revocatoria è <strong>un</strong>’azione concorsuale - e come tale soggetta alla competenza<br />

f<strong>un</strong>zionale del foro fallimentare ex art. 24 l.fall. (Cass., sez. I, 1 aprile 2011, n. 7579, in<br />

questa Rivista, 2012, 125, che precisa, peraltro, che la competenza riguarda il foro, non anche<br />

la sezione specializzata all’interno dello stesso Trib<strong>un</strong>ale) - volta a garantire la par condicio creditorum<br />

e quindi non ha effetto invalidante degli atti, i quali sono solo inefficaci rispetto alla<br />

massa dei creditori, fondando <strong>un</strong> diritto esecutivo sul bene oggetto dell’atto revocato (Cass.,<br />

sez. <strong>un</strong>., 23 aprile 2009, n. 9660, inGiur.It., 2010, 79; Trib. Napoli, 2 settembre 2009, in questa<br />

Rivista, 2010, 1201), tant’è che - se non si possa recuperare all’attivo <strong>un</strong> bene trasferito<br />

con atto inefficace - la domanda di revocatoria contiene in sé quella di condanna per l’equivalente<br />

(Cass., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14098, in Foro It. Mass., 2009, 938).<br />

L’azione sanziona la violazione della par condicio, ma la procedura non è tenuta a provare <strong>un</strong><br />

danno specifico, essendo pres<strong>un</strong>to l’eventus damni (Cass., sez. I, 8 marzo 2010, n. 5505, in<br />

questa Rivista, 2010, 930); si è, peraltro, escluso l’interesse della curatela a far dichiarare l’inefficacia<br />

dell’ipoteca se il creditore non abbia invocato la prelazione (Cass., sez. I, 27 febbraio<br />

2009, n. 4831, in Foro It. Mass., 2009, 289).<br />

L’azione revocatoria ha natura costitutiva e quindi vengono riconosciuti al fallimento gli interessi<br />

solo dalla domanda giudiziale (Cass., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27084, in questa Rivista,<br />

2012, 1001), con esclusione della rivalutazione (salvo che il fallimento dimostri il maggior<br />

danno: Trib. Padova, 11 maggio 2012, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. <strong>un</strong>., 18 marzo 2010, n.<br />

6538, in Giur. Comm., 2011, II, 561); quando, peraltro, l’azione abbia ad oggetto l’inefficacia di<br />

<strong>un</strong> atto traslativo di <strong>un</strong> diritto non più apprensibile al fallimento, si ritiene che l’onere restitutorio<br />

possa essere gravato di rivalutazione monetaria per risarcire il deprezzamento (Cass., sez. I,<br />

16 giugno 2011, n. 13244, in questa Rivista, 2012, 353), anche con applicazione dell’indice<br />

Istat (Trib. Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 624).<br />

Nonostante la natura costitutiva, che in genere induceva ad escludere l’esecutorietà della sentenza<br />

di prime cure (principio esteso alla revocatoria, tra le altre, da Trib. C<strong>un</strong>eo, 3 febbraio<br />

Il Fallimento 3/2013 373


Itinerari della giurisprudenza<br />

Segue:ilimitigenerali<br />

alla ammissibilità<br />

dell’azione revocatoria<br />

fallimentare<br />

2011, in questa Rivista, 2011, 462), per la revocatoria si ritiene esecutiva anche la condanna restitutoria<br />

emessa in primo grado (Cass., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737, inCorr.Giur., 2012,<br />

60; App. Milano, 12 maggio 2011, in sito Ilcaso.it). Poiché il diritto riveniente dalla revocatoria<br />

sorge per effetto del fallimento, l’accipiens revocato non può chiedere di compensare l’obbligo<br />

restitutorio con <strong>un</strong> proprio credito concorsuale (Cass., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518, in<br />

questa Rivista, 2009, 1167).<br />

Pur se qualche sentenza sostiene che la lesione della par condicio comporti l’illiceità del negozio<br />

revocando in quanto stipulato in frode (App. Torino, 21 dicembre 2011, in questa Rivista,<br />

2012, 476), si tende generalmente a ritenere che l’atto revocato sia in origine lecito (Cass.,<br />

sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736, in questa Rivista, 2012, 473); ne costituirebbe conferma la<br />

facoltà concessa dall’art. 70 l.fall. alla parte in bonis che ha subito la revocatoria di insinuare il<br />

proprio credito al passivo del fallimento per partecipare con gli altri creditori alle ripartizioni.<br />

Proprio in f<strong>un</strong>zione delle finalità e degli effetti dell’istituto revocatorio, la giurisprudenza ha individuato<br />

anche i limiti all’esperibilità dell’azione. In particolare, di recente è stata negata l’ammissibilità<br />

dell’azione a carico di altra procedura concorsuale se con essa si pretenda di ‘‘esecutare’’<br />

<strong>un</strong> bene ai danni del fallimento (Cass., sez. I, 12 maggio 2011, n. 10486, in questa Rivista,<br />

2011, 1477).<br />

Tale limitazione, peraltro, non riguarda le azioni volte a revocare atti compiuti nel corso della<br />

procedura e non vale ad impedire che venga proseguita (per riass<strong>un</strong>zione) nei confronti del fallimento<br />

l’azione revocatoria già avviata prima della procedura; in tal caso, poi, permane la competenza<br />

a norma dell’art. 24 l.fall. del foro del fallimento attore, salvo che le statuizioni restitutorie<br />

devono essere fatte valere nel fallimento dell’accipiens nella forma dell’insinuazione al<br />

passivo (Cass., sez. VI, 8 marzo 2012, n. 3672, in questa Rivista, 2013, 122). Inoltre, l’azione<br />

revocatoria ordinaria non è preclusa se il soggetto fallito sia solo il terzo beneficiario dell’atto di<br />

cui si chiede l’inefficacia (Cass., sez. I., 2 dicembre 2011, n. 25850, in questa Rivista, 2012,<br />

1253).<br />

Da segnalare anche l’esistenza di ulteriori limiti alla proposizione dell’azione revocatoria connessi<br />

con la natura privilegiata del debito pagato dal fallito; in tal caso, peraltro, non si è in presenza<br />

di <strong>un</strong>a limitazione assoluta ché, al contrario, l’eventus damni insito ex lege nella revocatoria<br />

e correlato alla sua f<strong>un</strong>zione distributiva e non indennitaria (Trib. Piacenza, 31 marzo<br />

2011, inedita); non è di per sé esclusa, quindi, l’esperibilità dell’azione per i crediti privilegiati<br />

(Cass., sez. I. 16 settembre 2011, n. 18965, in sito Plurisonline.it) e neppure se si tratti del soddisfo<br />

in executivis di <strong>un</strong> credito ipotecario (Trib. Napoli, 18 marzo 2012, in sito Ilcaso.it); a fronte<br />

della corrente secondo la quale, quindi, la revocabilità è esclusa solo se l’accipiens deduca e<br />

dimostri che la procedura non ha interesse alla revocatoria, in quanto il credito del soggetto<br />

revocando ammesso al passivo al privilegio verrebbe poi interamente soddisfatto in sede di riparto<br />

(Trib. Roma, 22 marzo 2006, in questa Rivista, 2006, 851; Trib. Milano, 15 novembre<br />

2005, ivi, 2006, 973), fa fronte la corrente ancor più rigida espressa da Trib. Monza, 5 gennaio<br />

2011, in questa Rivista, 2011, 1368 e Cass., sez. I, 17 dicembre 2010, n. 25571, in questa Rivista,<br />

2011, 877, secondo la quale la valutazione sull’interesse della procedura non può essere<br />

attuata in sede di revocatoria, laddove la possibilità di soddisfo del creditore privilegiato deve<br />

essere valutata in sede di riparto, tenuto conto anche del possibile sopravvenire di creditori tardivi.<br />

Ad <strong>un</strong>a preclusione processuale, invece, deve essere ricondotta la sanzione di inammissibilità<br />

cui è pervenuta Cass., sez. <strong>un</strong>., 14 luglio 2010, n. 16508, in questa Rivista, 2010, 1380 per la<br />

revocatoria che riguardi <strong>un</strong> atto i cui effetti compensativi siano coperti dal giudicato endo-concorsuale,<br />

in quanto dedotti in <strong>un</strong>a domanda di ammissione al passivo cui il curatore non si sia<br />

opposto.<br />

Quanto alla natura dei crediti revocandi, la giurisprudenza sembra invece ormai orientata a negare<br />

rilevanza alla qualifica di legal-monopolista (l’orientamento contrario, rappresentato da<br />

Cass., 11 novembre 1998, n. 11350, in Giur.It., 1999, 87 è stato sovvertito da Cass., 23 gennaio<br />

2004, n. 1232, inGiur.Comm., 2004, II, 501, cui si <strong>un</strong>iformano le recenti App. Milano -<br />

Sez. IV civ., 30 maggio 2012, n. 1928, inedita; App. Palermo, 3 febbraio 2009, in sito Plurisonline.it;<br />

Trib. Busto Arsizio, 6 febbraio 2012, n. 93, inedita; Trib. Bari, 21 ottobre 2010, in questa<br />

Rivista, 2011, 248), che com<strong>un</strong>que non viene riconosciuta se non in forza di espressa disposizione,<br />

tant’è che è stata esclusa in relazione all’eccepita esenzione da revocatoria invocata dal<br />

titolare di <strong>un</strong>a farmacia (Cass., sez. I, 9 luglio 2008, n. 18833, in questa Rivista, 2009, 365).<br />

Per opposte ragioni, viene invece esclusa a norma dell’art. 89 D.P.R. 60271973 l’azione revocatoria<br />

dei pagamenti di imposte scadute, in relazione alle finalità pubblicistiche dell’attività<br />

dell’Amministrazione Finanziaria (Cass., sez. I, 5 marzo 2012, n. 3398, in sito Ilcaso.it), esenzione<br />

che, tuttavia, non si estende al concessionario che incassi importi che contengono <strong>un</strong>a<br />

componente tributaria (Trib. Busto Arsizio, 6 febbraio 2012, inedita).<br />

Alle cause legali di esenzione da revocatoria può essere ricondotta indirettamente la previsione<br />

dell’art. 13 del Reg. UE n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, in forza della quale, se il<br />

374 Il Fallimento 3/2013


Le tipologie<br />

di revocatoria previste<br />

nel fallimento:<br />

la revocatoria ordinaria<br />

Revocabilità di atti<br />

a titolo gratuito<br />

e dei pagamenti<br />

di debiti non scaduti<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

contratto tra l’accipiens ed il fallito sia assoggettato a legge di altro Paese com<strong>un</strong>itario - diverso<br />

da quello in cui è stata aperta la procedura concorsuale -, la revocatoria non è ammessa se in<br />

quell’ordinamento l’atto non sarebbe impugnabile (Trib. Roma, 2 febbraio 2011, in sito Ilcaso.it);<br />

in passato si era escluso che l’esenzione valesse per i pagamenti in quanto atti solutori<br />

che prescindono dal contratto di cui il curatore non è parte (Trib. Busto Arsizio, 27 giugno<br />

2008, in questa Rivista, 2009, 476); più di recente, peraltro, prevale la corrente che estende l’esenzione<br />

agli atti esecutivi di contratto disciplinato dalla legge estera (Trib. Roma, 7 marzo<br />

2012, in sito Ilfallimentarista.it); la prova della pattuizione sulla legge applicabile e del fatto che<br />

nell’ordinamento richiamato non sia possibile contestare gli atti revocandi spetta al convenuto,<br />

ma di recente si è esteso l’ambito applicativo dell’art. 13 Reg. UE, ritenendo che non sia sufficiente<br />

ad escludere l’esenzione il rilievo che la legge estera preveda in astratto azioni per impugnare<br />

l’atto del fallito, occorrendo viceversa che la domanda possa essere in concreto accolta<br />

dal giudice in applicazione delle norme straniere (Trib. Busto Arsizio, 10 luglio 2012, in sito Ilfallimentarista.it).<br />

Nella sezione III dedicata alle revocatorie convivono più tipologie di azione, alc<strong>un</strong>e delle quali<br />

non sono tipicamente fallimentari.<br />

Solo alle revocatorie che trovano titolo nella procedura concorsuale si attaglia la statuizione di<br />

Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9386, in questa Rivista, 2012, 233 che esclude la proseguibilità<br />

delle azioni <strong>un</strong>a volta chiuso il fallimento.<br />

L’art. 66 l.fall. disciplina il trasferimento al curatore dell’azione di revocatoria ordinaria, che<br />

può essere esercitata anche da <strong>un</strong> creditore verso il debitore in bonis; anzi, l’azione avviata dal<br />

creditore prima del fallimento può essere proseguita dal curatore, il quale subentra nella medesima<br />

posizione processuale del creditore istante (Cass., sez. I, 28 maggio 2009, n. 12513, in<br />

Foro It. Mass., 2009, 719); è discusso se l’azione del creditore possa o meno proseguire<br />

(Cass., sez. <strong>un</strong>., 17 dicembre 2008, n. 29421, in questa Rivista, 2009, 540 propende per l’improcedibilità,<br />

laddove in passato Cass., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11763, in Foro It.Mass.,<br />

2006, 1246 riteneva compatibili le due legittimazioni); pare certo che, se il curatore non intervenga<br />

o non avvii separata azione, il creditore possa proseguire l’iniziativa pendente (Cass.,<br />

sez. <strong>un</strong>., 17 dicembre 2008, n. 29420, in questa Rivista, 2009, 537). Se il curatore promuove<br />

l’azione, essa rientra nella competenza fallimentare (Trib. Treviso, 2 luglio 2007, Corr.Giur.,<br />

2008, 849).<br />

L’accoglimento dell’azione postula l’assolvimento degli stessi oneri probatori che incombono<br />

al creditore privato (Cass., sez. II, 31 ottobre 2008, n. 26331, in questa Rivista, 2009,<br />

619); pertanto, oltre a dimostrare l’esistenza di crediti ammessi al passivo nei confronti del<br />

fallito, occorre dedurre la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto all’atto pregiudizievole<br />

ed il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto<br />

(inteso non come insufficienza, ma come aggravamento del rischio di non poter esecutare il<br />

credito: Cass., sez. I, 27 gennaio 2006, n. 1759, in Obbl.e contr., 2007, 27); sotto il profilo<br />

soggettivo, è necessaria la dimostrazione della mala fede del beneficiario di atto a titolo oneroso;<br />

nel caso di atto a titolo gratuito è sufficiente la consapevolezza in capo al debitore della<br />

valenza depauperativa dell’atto revocando (Cass., sez. I, 18 maggio 2005, n. 10430, in Giur.It.,<br />

2005, 2291).<br />

Si è anche precisato che la revocatoria ordinaria proposta nei confronti del debitore che poi fallisca<br />

non può essere riass<strong>un</strong>ta a carico del fallimento in relazione alla sua f<strong>un</strong>zione lato sensu<br />

esecutiva; può essere, invece, riass<strong>un</strong>ta la causa di revocatoria ordinaria nella quale la domanda<br />

sia rivolta verso <strong>un</strong> terzo (Cass., sez. III, 19 aprile 2011, n. 8984, in questa Rivista, 2011,<br />

1366).<br />

Alla revocatoria ordinaria va ricondotta la domanda che la curatela svolge nei confronti del terzo<br />

sub-acquirente del soggetto al quale il fallimento contesti la revocabilità di <strong>un</strong> atto ai sensi dell’art.<br />

67 l.fall., contestazione che non può estendersi al terzo (Cass., sez. III, 6 agosto 2010, n.<br />

18370, in questa Rivista, 2010, 1140; Trib. Monza, 25 gennaio 2011, in sito Ilcaso.it); in tal caso,<br />

la mala fede del terzo consiste nella consapevolezza della revocabilità dell’atto tra il fallito<br />

ed il soggetto che ha poi trasferito il diritto al terzo (Cass., sez. I, 23 dicembre 2009, n. 27230,<br />

in questa Rivista, 2010, 870).<br />

Gli artt. 64 e 65 l.fall., seppure senza utilizzare l’espressione normativa, disciplinano altre due<br />

tipologie di revocatoria caratterizzate, peraltro, da <strong>un</strong> diverso regime dei presupposti e probatorio;<br />

in particolare, l’inefficacia degli atti gratuiti prevista dalla prima delle due norme citate<br />

viene dichiarata con sentenza di tipo ricognitivo, a prescindere dalla verifica dei requisiti oggettivo<br />

e soggettivo previsti all’art. 67 l.fall. (Trib. Monza, 16 settembre 2011, in sito Ilcaso.it che<br />

riprende <strong>un</strong> principio già espresso da Cass., sez. I, 1 aprile 2005, n. 6918, in questa Rivista,<br />

2006, 150), tant’è che, come precisa Cass., sez. I, 30 settembre 2011, n. 20067, in questa Rivista,<br />

2012, 736, l’azione non è soggetta a prescrizione; la distinzione comporta che la domanda<br />

proposta ai sensi dell’art. 64 l.fall. debba essere proposta in via autonoma, non potendo es-<br />

Il Fallimento 3/2013 375


Itinerari della giurisprudenza<br />

Le fattispecie del primo<br />

comma dell’art. 67:<br />

a) atti caratterizzati<br />

da sproporzione<br />

sere compresa nell’azione ex art. 67 l.fall. (Cass., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5264, in questa Rivista,<br />

2007, 968).<br />

La diversa disciplina non esclude che la revocatoria di cui all’art. 64 l.fall. costituisca azione fallimentare<br />

a tutti gli effetti, di modo che l’inefficacia può essere dedotta dal curatore, anche in<br />

via di eccezione, per paralizzare l’ammissione di <strong>un</strong> credito, nonostante sia stata respinta con<br />

provvedimento avente effetto di giudicato <strong>un</strong>a domanda di nullità dell’atto gratuito promossa<br />

da <strong>un</strong> creditore (Cass., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7774, in questa Rivista, 2012, 785).<br />

La revocabilità a norma dell’art. 64 l.fall. postula che l’atto sia gratuito, tant’è che Trib. Brescia,<br />

14 gennaio 2012, in sito Ilcaso.it ne esclude l’applicazione se sia stato versato <strong>un</strong> prezzo irrisorio,<br />

con la precisazione, peraltro, che la gratuità non implica che si accerti <strong>un</strong>o spirito di liberalità<br />

(Cass., sez. I, 12 marzo 2008, n. 6739, inForo It., 2009, II, 395), laddove la stessa va valutata<br />

in relazione alla previsione di <strong>un</strong> corrispettivo; in tal senso, è ritenuta revocabile, in quanto<br />

atto gratuito (Cass., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 966, in Impr., 2007, 1394), la costituzione di<br />

beni in fondo patrimoniale, non essendo rilevante che con essa si vogliano assolvere i doveri<br />

morali familiari (Cass., sez. I, 8 settembre 2004, n. 18065, in Giust.Civ., 2005, I, 997).<br />

La valutazione sulla gratuità assume profili peculiari con riguardo alla prestazione di garanzie:<br />

Cass., sez. I, 4 febbraio 2010, n. 2610, in questa Rivista, 2010, 994, richiamando per <strong>un</strong>a fattispecie<br />

ante riforma il disposto delle norme riformate dal D.L. 35/2005, ribadisce l’applicabilità<br />

anche nel sistema revocatorio della pres<strong>un</strong>zione di onerosità delle garanzie concesse per crediti<br />

contestualmente contratti (stesso principio era espresso ante riforma da Cass., sez. I, 15 dicembre<br />

2006, n. 26933, in Foro It., 2007, I, 1137); viceversa, è assoggettata alla disciplina dell’art.<br />

64 l.fall. la garanzia per debiti preesistenti, se non si dimostri il vantaggio economico tratto<br />

dal debitore per effetto della prestazione della garanzia (Cass., sez. I, 21 maggio 2010, n.<br />

12507, in questa Rivista, 2010, 1331); la situazione assume peculiare rilievo nei rapporti intragruppo:<br />

Trib. Genova, 27 maggio 2010, in Foro It., 2010, I, 2460 ritiene inefficace perché gratuita<br />

la garanzia se non vi sia <strong>un</strong> concreto interesse della società del gruppo che la presta, interesse<br />

che può ravvisarsi anche nel fatto che questa f<strong>un</strong>ga da ‘‘cassa di gruppo’’.<br />

Si ritiene gratuito sino a prova contraria il pagamento del debito altrui effettuato dal fallito, se<br />

non sia provato <strong>un</strong> interesse diretto specifico (Cass., sez. I, 28 luglio 2010, n. 17683, in questa<br />

Rivista, 2011, 280 e Cass., sez. <strong>un</strong>., 18 marzo 2010, n. 6538, in questa Rivista, 2010, 545);<br />

di contro App. Napoli, 17 marzo 2008, in sito Plurisonline.it non ha ritenuto gratuito l’acquisto<br />

di <strong>un</strong> credito se finalizzato ad eccepirlo in compensazione ai fini di <strong>un</strong>a operazione sul capitale.<br />

Quanto agli effetti della revocatoria, la stessa inficia l’atto dispositivo, ma Trib. Milano, 31 maggio<br />

2006, in questa Rivista, 2007, 65 va oltre, ritenendo che l’acquisto di <strong>un</strong> bene (nella fattispecie<br />

<strong>un</strong>a quota societaria) con danaro altrui costituisca donazione revocabile da parte del terzo<br />

fallito, di modo che, esperita l’azione ex art. 64 l. fall., il curatore può apprendere il bene acquistato<br />

con danaro del fallito. Da segnalare la pron<strong>un</strong>zia del Trib. Nola, 18 ottobre 2011, in sito<br />

Ilcaso.it, che ha ritenuto tutelabile con il sequestro giudiziario la pretesa restitutoria di <strong>un</strong>’azienda<br />

trasferita con atto gratuito revocabile.<br />

Anche l’art. 65 l.fall. disciplina <strong>un</strong>’ipotesi di inefficacia collegata ad <strong>un</strong> mero accertamento ricognitivo<br />

che concerne, in questo caso, il pagamento anticipato del debitore rispetto alla scadenza<br />

dell’obbligazione, sia essa convenzionale o legale (Cass., sez. I, 29 luglio 2009, n.<br />

17552, in questa Rivista, 2010, 621), anche se in passato si è ritenuto che il curatore debba altresì<br />

dimostrare il pregiudizio recato alla massa (Trib. Verbania, 13 agosto 1999, in questa Rivista,<br />

2000, 1047).<br />

Ancora in passato, si è ravvisato <strong>un</strong> pagamento anticipato inefficace nella restituzione ai soci -<br />

per la quale non era fissato <strong>un</strong> termine - di finanziamenti effettuati a favore della società (Trib.<br />

Napoli, 8 gennaio 2004, in Giur.Comm., 2005, II, 72).<br />

La casistica più frequente di azione revocatoria riguarda com<strong>un</strong>que le ipotesi disciplinate dall’art.<br />

67 l.fall.; il primo comma di quella norma sancisce anzitutto l’inefficacia degli atti ‘‘sproporzionati’’,<br />

in cui il beneficio conseguito dall’impresa fallita sia inferiore all’onere corrispettivo<br />

ass<strong>un</strong>to; la riforma ha fissato la misura pres<strong>un</strong>tiva della sproporzione (prima determinata dal<br />

Giudice con valutazione di merito insindacabile in Cassazione: Cass., sez. I, 18 novembre<br />

2010, n. 23356, in questa Rivista, 2011, 164), stabilendo che si ritengono revocabili gli atti in<br />

cui il valore della prestazione del fallito superi di <strong>un</strong> quarto quella da questi ricevuta.<br />

La sproporzione deve essere peraltro valutata in relazione alle prestazioni dedotte nell’atto revocando,<br />

prescindendo da eventuali situazioni preesistenti (Trib. Bari, 16 febbraio 2011, in sito<br />

Ilcaso.it) ed operando la valutazione con riguardo al momento della stipula e non a quello di<br />

proposizione dell’azione (Cass., 10 ottobre 2003, n. 15142, in Imp., 2004, 321).<br />

Evidentemente, tra gli atti revocabili per sproporzione rientrano anche le rin<strong>un</strong>zie ai diritti, purché<br />

abbiano <strong>un</strong> contenuto economico (in tal senso, Trib. Salerno, 9 marzo 2010, in questa Rivista,<br />

2010, 839 esclude la revocabilità della rin<strong>un</strong>cia o del mancato esercizio del diritto di opzione<br />

su quote, se non sia provata l’alienabilità del diritto).<br />

Come già detto, per estendere gli effetti della revocatoria fallimentare su atti sproporzionati ad<br />

376 Il Fallimento 3/2013


) i pagamenti<br />

‘‘anomali’’<br />

c) la revocatoria<br />

delle garanzie<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

<strong>un</strong>a successiva alienazione del diritto revocando ad <strong>un</strong> terzo, la curatela deve esercitare nei<br />

confronti di costui <strong>un</strong>’azione che presuppone l’accoglimento dell’azione fallimentare, ma che si<br />

configura a tutti gli effetti come <strong>un</strong>a revocatoria ordinaria (Cass., sez. I, 23 dicembre 2009, n.<br />

27230, in questa Rivista, 2010, 870; Cass., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28988, ivi, 2009, 934).<br />

La seconda ipotesi di revoca dettata dal primo comma dell’art. 67 l.fall. riguarda il pagamento<br />

non effettuato con mezzi normali; anche se la norma fa riferimento al pagamento dei debiti<br />

scaduti, a maggior ragione la revocabilità sussiste per i pagamenti di debiti non scaduti (Trib.<br />

Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625) che non ricadano nella previsione dell’art.<br />

65 l.fall.<br />

In genere, si ritiene che si sottraggano alla disposizione in esame solo i pagamenti con mezzi<br />

com<strong>un</strong>i nella prassi commerciale, come assegni (anche se post-datati: Cass., sez. VI, 11 febbraio<br />

2011, n. 3471, in Foro It. Mass., 2011, 152), vaglia e bonifici e che siano viceversa revocabili<br />

come anormali tutte le fattispecie finalizzate - anche mediante negozi collegati - all’estinzione<br />

di passività pregresse (Cass., sez. I, 9 giugno 2011, n. 12644, in questa Rivista, 2012,<br />

233), come ad esempio l’accollo con liberazione dell’accollante da <strong>un</strong> proprio debito per effetto<br />

del pagamento a beneficio del creditor creditoris (Cass., sez. I, 4 maggio 2012, n. 6795, in sito<br />

Plurisonline.it) e le delegazioni di pagamento con finalità solutorie (Cass., sez. I, 15 luglio<br />

2011, n. 15691, in questa Rivista, 2012, 621); non rientra, invece, tra i pagamenti anomali il<br />

versamento che il terzo esecutato per <strong>un</strong> debito verso il fallito esegua iussu judicis (App. Roma,<br />

4 aprile 2011).<br />

Una delle tipiche modalità di adempimento anomalo è la datio in solutum, ovvero la consegna<br />

di beni in luogo del danaro (Cass., sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3581, inForo It. Mass.,<br />

2011, 154; Cass., sez. I, 18 febbraio 2009, n. 3905, in questa Rivista, 2009, 1238); la fattispecie<br />

si verifica anche se la modalità alternativa di adempimento sia stata pattuita ab initio, quando<br />

essa non risponda ad <strong>un</strong> interesse delle parti, bensì precostituisca <strong>un</strong>a via di elusione del<br />

principio del concorso (Trib. Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625).<br />

Viene considerata mezzo anormale di pagamento anche la cessione di credito che avvenga<br />

per consentire il rientro da <strong>un</strong>o scaduto (Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9388, in questa Rivista,<br />

2012, 233; Cass., sez. I, 29 luglio 2009, n. 17683, ivi, 2010, 621); non è, invece, revocabile<br />

a norma dell’art. 67 primo comma l.fall. la cessione che abbia f<strong>un</strong>zione finanziaria, ovvero<br />

quando sia attuata per garantire <strong>un</strong> nuovo credito contestualmente creato (Cass., sez. I, 10 giugno<br />

2011, n. 12736, in questa Rivista, 2012, 473), escludendosi quindi la revocabilità per anomalia<br />

dei contratti bancari basati su mandato all’incasso o anticipazione su crediti (Trib. Lecce,<br />

6 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 236).<br />

Anche la costituzione di garanzie viene considerata revocabile come ‘‘anomala’’ se in tal modo<br />

il creditore acquisisca <strong>un</strong>a prelazione senza <strong>un</strong>a controprestazione, ovvero senza concedere<br />

credito, bensì garantendosi <strong>un</strong>a preferenza su debiti preesistenti (Cass., sez. I, 7 gennaio<br />

2004, n. 12, inDir.Fall., 2005, II, 411).<br />

Per l’effetto, non saranno revocabili, ad esempio, l’ipoteca fondiaria costituita per debiti nuovi<br />

contestualmente creati, che si consolida a mente dell’art. 39 del T.U.B. (Cass., sez. VI, 11 febbraio<br />

2011, n. 3468, in Foro It., 2011, I, 3105), salvo che il curatore impugni anche l’atto che la<br />

costituisce (Cass., sez. I, 6 novembre 2006, n. 23669, in questa Rivista, 2007, 651); viceversa,<br />

l’atto di mutuo che istituisce <strong>un</strong>a garanzia ipotecaria può essere revocato, mancando anche la<br />

sua causa tipica, laddove stipulato esclusivamente al fine di coprire debiti scaduti (App. Milano,<br />

17 ottobre 2006, in Giur.It., 2007, 2246).<br />

Tra i principi ereditati dalla disciplina previgente vi è l’esclusione della revocabilità del pegno<br />

‘‘rotativo’’, ovvero della garanzia che preveda la sostituzione periodica dei beni che ne formano<br />

oggetto, se l’atto originario che la costituisce sia compiuto al di fuori del periodo sospetto (Trib.<br />

Novara, 24 gennaio 2012, in sito Ilcaso.it; in relazione alla normativa ante riforma, il principio è<br />

sancito da Cass., sez. I, 18 febbraio 2008, n. 2456, in questa Rivista, 2008, 757).<br />

L’intervento più rilevante della Suprema Corte in materia è dato dal sovvertimento della giurisprudenza<br />

prevalente in tema di revocabilità dell’ipoteca fiscale: sul presupposto che si tratti di<br />

<strong>un</strong> tertium genus di ipoteca, né giudiziale né volontaria e rilevato che la revocabilità è espressamente<br />

prevista solo per le prime due tipologie, Cass., sez. I, 18 marzo 2012, n. 3232, in questa<br />

Rivista, 2012, 644 e le sentenze gemelle Cass., sez. I, 5 marzo 2012, nn. 3397, 3398 e 3399,<br />

tutte in sito Plurisonline.it e nuovamente Cass., sez. I, 18 maggio 2012, n. 7911, inNotariato,<br />

2012, 443 hanno escluso l’applicabilità dell’art. 67 l.fall. all’ipoteca iscritta dall’Erario durante il<br />

periodo sospetto. La Suprema Corte, in tal senso, ha superato la questione circa la natura di<br />

ipoteca legale (sostenuta da Trib. Udine, 30 settembre 2011, in questa Rivista, 2012, 357 per<br />

escluderne la revocabilità, ma negata anche dalla Cassazione e dalla giurisprudenza che ne ammetteva<br />

la revoca: v. Trib. Milano, 2 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625; Trib. Rimini,<br />

18 luglio 2011, in sito Ilcaso.it; Trib. Lodi, 29 aprile 2011, ivi) della prelazione fiscale.<br />

Il Fallimento 3/2013 377


Itinerari della giurisprudenza<br />

Il presupposto<br />

soggettivo<br />

della revocatoria<br />

ai sensi dell’art. 67,<br />

primo comma, l.fall.<br />

e l’onere della prova<br />

La revocatoria<br />

degli atti previsti<br />

dal secondo comma<br />

dell’art. 67 l.fall.:<br />

a) i pagamenti<br />

Pare corretto precisare che la revocatoria fallimentare postula sempre che l’atto sia stato compiuto<br />

con percezione dell’insolvenza del soggetto dipoi fallito salvo che, per le ipotesi previste<br />

dal primo comma dell’art. 67 l.fall., tale conoscenza è pres<strong>un</strong>ta in ragione della peculiarità di atti<br />

che ipso iure fondano <strong>un</strong>a pres<strong>un</strong>zione di scientia (e per tale considerazione Cass., sez. I, 18<br />

aprile 2011, n. 8826, inForo It. Mass., 2011, 345 respinge la questione di costituzionalità posta<br />

sulla legittimità della pres<strong>un</strong>zione). Pertanto, quando l’accipiens sia beneficiario di <strong>un</strong> atto<br />

‘‘anomalo’’ (in senso atecnico), per vincere la pres<strong>un</strong>zione di scientia, questi deve provare l’inscientia<br />

decoctionis, ovvero di non aver saputo che il solvens era insolvente (Cass., sez. I, 10<br />

febbraio 2011, n. 3280, inForo It. Mass., 2011, 148), non essendo a tal fine sufficiente dimostrare<br />

di aver confidato nella solvibilità della controparte, laddove dovranno essere positivamente<br />

provate circostanze tali da far ritenere ad <strong>un</strong>a persona di media diligenza che l’imprenditore<br />

si trovasse in condizioni di normale solvibilità (App. Taranto, 6 maggio 2011, in sito Plurisonline.it;<br />

Cass., sez. I, 6 agosto 2009, n. 17998, in questa Rivista, 2010, 621).<br />

Va sottolineato, poi, che la deduzione dell’inscientia non può consistere nella negazione circa<br />

l’oggettiva sussistenza di <strong>un</strong>o stato di insolvenza, che è pres<strong>un</strong>ta nel periodo sospetto per effetto<br />

della dichiarazione di fallimento, laddove la stessa riguarda la percezione - e la prova - ad<br />

opera dell’accipiens di normali condizioni di solvibilità del debitore (Cass., Sez. I, 24 febbraio<br />

2011, n. 4559, inForo It. Mass., 2011, 178); per contro, si ritiene irrilevante che l’accipiens si<br />

sia o meno prefigurato l’esito concorsuale, essendo rilevante la percezione dell’insolvenza<br />

(Cass., 13 dicembre 2006, n. 26697, in questa Rivista, 2007, 343), né a tal fine rileva <strong>un</strong>a situazione<br />

di insolvenza ritenuta dal medesimo reversibile se il successivo fallimento dimostri l’erroneità<br />

della prognosi e tenuto conto che anche la situazione su cui si fondano le procedure concorsuali<br />

minori è com<strong>un</strong>que lo stato di insolvenza (Cass., 6 agosto 2010, n. 18437, in questa<br />

Rivista, 2011, 30; Cass., 19 aprile 2010, n. 9289, ivi, 2010, 1463 e Cass., 6 maggio 2010, n.<br />

11012, in sito Plurisonline.it).<br />

I pagamenti nel semestre sono revocabili a prescindere dalla modalità di adempimento in<br />

quanto atti solutori inefficaci indipendentemente dal negozio da cui traggono causa (Cass.,<br />

sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3583, in questa Rivista, 2011, 1004; Cass., sez. I, 6 luglio 2010, n.<br />

15980, ivi, 2011, 244); in particolare, i pagamenti sono revocabili anche se ottenuti nell’ambito<br />

di procedure esecutive (Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 7579, in questa Rivista, 2012, 125), dovendosi<br />

avere riguardo al momento del materiale incasso da parte del creditore della somma<br />

realizzata in executivis (Cass., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518, in questa Rivista, 2009,<br />

1167); quando il pagamento venga, poi, effettuato con girata di <strong>un</strong> titolo, la revocatoria va a colpire<br />

l’incasso anche se la dazione sia avvenuta al di fuori del periodo sospetto (Cass., sez. I, 23<br />

luglio 2007, n. 16213, in questa Rivista, 2008, 21).<br />

Quanto ai pagamenti del terzo, con la recente Cass., sez. I, 24 ottobre 2012 n. 18194, in sito<br />

DirittoItalia.it la Suprema Corte ne ha sancito la revocabilità ogni qual volta la rimessa del<br />

terzo transiti sul conto corrente e ne riduca il saldo scoperto, laddove in passato si escludeva<br />

la revocabilità qualora l’accredito fosse solo formale in esecuzione dell’appalto di servizi con la<br />

banca, che in tale veste annota l’estinzione del debito per compensazione (Cass., sez. I, 10 ottobre<br />

2011, n. 20753, in questa Rivista, 2012, 877); più in generale, la revocatoria del pagamento<br />

del terzo era ammessa solo se costui avesse pagato con danaro dell’imprenditore fallito<br />

(ipotesi integrata anche nel caso di pagamento con somme che il terzo avrebbe dovuto versare<br />

al fallito per adempiere ad <strong>un</strong> proprio debito, come precisa Trib. Milano, 15 gennaio 2008, in<br />

Banca, borsa, 2010, II, 131) ovvero, dopo aver pagato ma prima dell’apertura del concorso,<br />

avesse esercitato azione di rivalsa sul fallito (Cass., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8783, in sito<br />

Plurisonline.it; Cass., Sez. I, 24 febbraio 2011, n. 4553, in Foro It.Mass., 2011, 177); la revocabilità<br />

- e la dichiarazione di inefficacia - viene esclusa se, non risultando <strong>un</strong> debito del terzo fidejussore<br />

del fallito, si possa presumere che questi paghi per <strong>un</strong> obbligo proprio di garanzia<br />

(Cass., sez. I, 6 maggio 2011, n. 10004, in questa Rivista, 2012, 232; Cass., sez. I, 12 agosto<br />

2009, n. 18234, ivi, 2010, 622); per ragioni similari, Trib. Milano 5 luglio 2011, in questa Rivista,<br />

2012, 357 non ritiene fondata la revocatoria del pagamento del cessionario di azienda in caso<br />

di fallimento del cedente, poiché il terzo paga in forza di <strong>un</strong> proprio obbligo.<br />

Non costituiscono, per pacifica giurisprudenza, pagamenti di terzo in senso proprio i bonifici che<br />

affluiscono sul conto dell’impresa fallita, di cui Cass., sez. I, 9 settembre 2011 n. 18555, in sito<br />

Cassazione.net ribadisce da ultimo la revocabilità (conf. Trib. Messina, 31 marzo 2011, in questa<br />

Rivista, 2011, 751; Cass., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4762, in Dir.Fall., 2008, II, 227), così come<br />

sono revocabili i pagamenti che affluiscono sul conto per disposizione dei clienti con l’utilizzo di<br />

carte di credito (Cass., sez. I, 2 luglio 2010, n. 15781, in questa Rivista, 2011, 244).<br />

Nel caso di cessione del credito, il momento rilevante ai fini della revocatoria non è l’incasso a<br />

carico del debitore ceduto, ma quello in cui si verifica il trasferimento del credito (Cass., sez. I,<br />

3 febbraio 2010, n. 2517, in Foro Pad., 2010, I, 1), salvo che si tratti di mera cessione in garanzia,<br />

nel qual caso, la cessione perde la propria natura solutoria (Cass., sez. I, 3 febbraio 2010,<br />

n. 2517, citata).<br />

378 Il Fallimento 3/2013


) revocatoria<br />

delle garanzie<br />

‘‘contestuali’’<br />

c) la revocatoria<br />

degli atti negoziali<br />

Esenzioni<br />

da revocatoria previste<br />

dal terzo comma<br />

dell’art. 67 l.fall.<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

Se le garanzie prestate per debiti preesistenti si connotano di anomalia e quindi ne viene prevista<br />

la revocabilità ai sensi del primo comma dell’art. 67 l.fall., al capoverso della norma viene<br />

disciplinata la revoca delle garanzie che, in quanto prestate al momento di concedere credito,<br />

rientrano nella normalità.<br />

Da segnalare la disciplina del pegno irregolare: poiché con esso viene trasferita al creditore la<br />

titolarità del bene con l’obbligo di restituzione per equivalente, la revocatoria può colpire solo la<br />

costituzione del pegno (Cass., sez. I, 28 maggio 2008, n. 14067, in questa Rivista, 2008,<br />

1469) e non la sua mera escussione attuata realizzando il pegno (Cass., sez. I, 10 novembre<br />

2008, n. 26898, in Giust.Civ., 2009, I, 953; Cass., sez. I, 20 aprile 2006, n. 9306, in Banca, borsa,<br />

2008, II, 469), anche se l’incameramento avviene in forma convenzionale (Cass., sez. I, 28<br />

maggio 2008, n. 13998, in questa Rivista, 2008, 1256); l’incasso del controvalore del pegno, viceversa,<br />

dà luogo ad <strong>un</strong> incasso revocabile se il pegno sia regolare, allorché il creditore realizza<br />

il bene costituito in pegno ed utilizza il ricavato per soddisfare il credito (Cass., sez. I, 12 settembre<br />

2011, n. 18597, in questa Rivista, 2012, 736).<br />

Sono revocabili a norma del capoverso dell’art. 67 l.fall. gli atti a titolo oneroso e quindi anche<br />

i contratti ed in genere tutti gli atti che incidono sul patrimonio del fallito e sono idonei a recare<br />

pregiudizio alla massa dei creditori (Cass., sez. I, 9 dicembre 2004, n. 23016, in Foro<br />

It.Rep., 2004, v. Fallimento, n. 402). L’<strong>un</strong>ica eccezione espressamente prevista concerne l’esenzione<br />

da revocatoria per i contratti (e per i preliminari) di vendita di immobili abitativi conclusi<br />

al giusto prezzo per finalità abitative; alla originaria previsione, il D.L. 83/2012 ha aggi<strong>un</strong>to<br />

la non revocabilità dei contratti riferiti ad immobili non abitativi destinati a f<strong>un</strong>gere da sede principale<br />

dell’impresa dell’acquirente.<br />

Considerata l’espressione generica della norma, Trib. Catania, 9 gennaio 2012, in Vita Not.,<br />

2012, 278 ha ritenuto assoggettabile a revocatoria anche la scissione societaria.<br />

Nel caso di revocatoria di contratto definitivo preceduto da <strong>un</strong> preliminare, Cass., sez. I, 21 ottobre<br />

2011, n. 21927, in questa Rivista, 2012, 877, ha confermato che l’accertamento dei presupposti<br />

di revocabilità debba riguardare l’atto definitivo che opera il trasferimento del diritto<br />

(nello stesso senso, già in passato concludeva Cass., sez. I, 29 gennaio 2008, n. 2005, in questa<br />

Rivista, 2008, 465).<br />

La transazione, invece, è ritenuta revocabile solo a norma del primo comma dell’art. 67, ovvero<br />

se sussista a monte <strong>un</strong>a sproporzione ingiustificata tra le reciproche concessioni (Trib. Udine,<br />

17 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 880, ma così già Cass., sez. III, 27 giugno 2001, n.<br />

8808, in Foro It.Rep., 2001, v. Fallimento, n. 420).<br />

La natura della revocatoria esclude che l’azione riguardi il diritto sul bene e per l’effetto si è negata<br />

l’esistenza della competenza delle sezioni agrarie (Cass., sez. I, 12 luglio 2011, n. 15246,<br />

in questa Rivista, 2012, 621), sussistendo la vis actractiva del foro fallimentare anche per le<br />

azioni di simulazione dei contratti agrari (Cass., sez. I, 13 ottobre 2011, n. 21196, in questa Rivista,<br />

2012, 877).<br />

La riforma ha introdotto <strong>un</strong>a serie di limiti all’esperibilità della revocatoria che si risolvono in vere<br />

e proprie esenzioni oggettive dalla revocatoria, che operano anche nelle ipotesi in cui la<br />

controparte in bonis del fallito sia pienamente cosciente della sua insolvenza, sempre che l’accipiens<br />

deduca e dimostri l’applicabilità dell’esenzione (Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur.It.,<br />

2011, 123).<br />

Al fine di consentire all’impresa di superare situazioni di difficoltà senza subire l’ostacolo della<br />

diffidenza delle controparti negoziali timorose di eventuali revocatorie, la riforma ha dettato<br />

<strong>un</strong>a esenzione da revocatoria per gli atti che si inseriscano in <strong>un</strong> piano attestato di risanamento;<br />

peraltro, al fine di evitare abusi, l’esenzione postula che l’idoneità del piano a far conseguire<br />

il riequilibrio (Trib. Verona, 27 luglio 2011, in sito Ilcaso.it) venga attestata da <strong>un</strong> esperto in possesso<br />

dei requisiti previsti dall’art. 28 l.fall. e sia altresì iscritto all’albo dei revisori, anche se pare<br />

indiscusso - ed oggi anche normativamente previsto - che si tratti di incarico di tipo privatistico,<br />

con nomina deputata all’impresa (Trib. Ravenna, 13 settembre 2011, in sito Ilcaso.it;<br />

Trib. Mantova, sez. IV, 31 marzo 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 126; Trib. Bologna, 15 aprile 2009 e<br />

Trib. Milano, 10 marzo 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 128; contra in passato Trib. Bari, 14 agosto<br />

2008, in questa Rivista, 2009, 467, ma la questione è stata superata con la modifica apportata<br />

dal D.L. n. 83/2012, che non pare neppure consentire la soluzione ‘‘mediana’’ adottata da Trib.<br />

Treviso, 20 aprile 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 128 che ipotizzava la legittimità di <strong>un</strong> ricorso volontario<br />

per la nomina trib<strong>un</strong>alizia).<br />

L’esenzione da revocatoria per i pagamenti eseguiti nelle procedure minori costituisce il<br />

contraltare dell’applicazione del principio della consecuzione delle procedure - invocato per ampliare<br />

l’ambito temporale degli atti revocabili -, cui si ricollega il tentativo di teorizzare la prededucibilità<br />

o com<strong>un</strong>que la non revocabilità delle attribuzioni patrimoniali realizzate nel corso di<br />

<strong>un</strong>a procedura minore. Del resto, con notazione pratica ma di buon senso, si osserva che il<br />

‘‘periodo sospetto’’ non può avere <strong>un</strong>a doppia decorrenza, dal fallimento e dell’ammissione al<br />

Il Fallimento 3/2013 379


Itinerari della giurisprudenza<br />

Il presupposto<br />

soggettivo della<br />

scientia decoctionis<br />

e l’onere della prova<br />

concordato che lo preceda. L’esenzione da revocatoria è oggi espressamente sancita alla lett.<br />

e) del terzo comma dell’art. 67 l.fall. L’esenzione, peraltro, riguarda gli atti compiuti ‘‘legalmente’’;<br />

App. Torino, 21 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 743 in tal senso, ha ritenuto revocabili<br />

gli atti compiuti in forza di <strong>un</strong> decreto di omologa non definitivo e poi revocato e Cass.,<br />

sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3581, inForo It. Mass., 2011, 154 - sul presupposto che la prosecuzione<br />

dell’attività non sia il fine del concordato - ha sancito la revocabilità degli atti compiuti<br />

nell’ambito di <strong>un</strong>a concordato poi risolto per inadempimento. Ad <strong>un</strong>a violazione di legge (precisamente<br />

dell’art. 2467 c.c.), va ricondotta anche la statuizione di Trib. Firenze, 26 aprile 2010,<br />

in sito Ilcaso.it, che ritiene revocabile il pagamento effettuato al socio creditore. Con riguardo<br />

ad <strong>un</strong>a fattispecie ante riforma, Cass., sez. I, 17 gennaio 2008, n. 893, in Foro It. Mass., 2008,<br />

48 ha sancito che la revocatoria di <strong>un</strong>’ipoteca concessa prima del concordato preventivo consente<br />

la ripetizione di quanto pagato nel corso della procedura minore che sia evoluta in fallimento,<br />

anche se il pagamento era stato effettuato con l’autorizzazione del Giudice delegato.<br />

La lett. b) del terzo comma dell’art. 67 l.fall. prevede <strong>un</strong>a limitazione alla revocabilità delle rimesse<br />

su conto bancario, escludendola se le rimesse non abbiamo comportato <strong>un</strong> rientro<br />

consistente e duraturo; sotto il primo profilo, si ritiene che il termine di paragone sia l’esposizione<br />

complessiva del debitore (Trib. Udine, 24 febbraio 2011, in questa Rivista, 2011, 633) ovvero,<br />

secondo altra tesi, se le rimesse siano rilevanti rispetto al rientro (Trib. Milano, 27 marzo<br />

2008, in questa Rivista, 2008, 1213 che ritiene revocabili rimesse superiori al 10% del rientro<br />

complessivo); per quel che concerne il secondo requisito, esso dovrebbe consistere nella stabilità<br />

temporale del rientro, anche in rapporto alla movimentazione del conto (Trib. Milano, 21<br />

luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360), ma si è precisato che il rientro viene ritenuto durevole<br />

anche se il saldo debitore del conto venga poi nuovamente incrementato per l’appostazione di<br />

sofferenze verso la stessa banca in f<strong>un</strong>zione di altri finanziamenti (Trib. Udine, 24 febbraio<br />

2011, in questa Rivista, 2011, 688).<br />

Precisano, peraltro, Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 880 e Trib. Milano, 21<br />

luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360 che in tal modo non viene derogato il limite generale di revocabilità<br />

connesso con l’’individuazione della natura solutoria dei movimenti bancari; come in<br />

passato, saranno revocabili solo le rimesse che affluiscano su conto passivo non affidato o su<br />

conto scoperto oltre il limite del fido (principio ribadito da ultimo da Cass., sez. I, 15 luglio<br />

2010, n. 16608, in questa Rivista, 2011, 244) e si deve ritenere sia onere della banca di dedurre<br />

e provare che la rimessa non ha natura solutoria per l’esistenza del fido (Cass., sez. I, 9 novembre<br />

2007, n. 23393, in Foro It., 2008, I, 1946). In senso opposto si erano espresse Trib.<br />

Bologna, 4 agosto 2011, Trib. Udine, 24 febbraio 2011, in questa Rivista, 2011, 633 e Trib. Milano,<br />

25 maggio 2009, in Dir.Banc., 2009, I, 447, che ritenevano rilevante solo il dato oggettivo<br />

del rientro della banca. Da segnalare l’isolata Trib. Brescia, 29 aprile 2008, in questa Rivista,<br />

2009, 101, che ritiene inapplicabile l’esenzione prevista dalla norma se la banca incassi le somme<br />

dopo la revoca dei fidi.<br />

La lett. d) dell’art. 67 prevede l’esenzione da revocatoria dei pagamenti effettuati ai fornitori<br />

nei termini d’uso; Laratio della norma viene individuata da Trib. Milano, 3 maggio 2012, in sito<br />

Ilcaso.it nella volontà del legislatore di consentire all’imprenditore di gestire con serenità i<br />

normali rapporti che consentono l’attività.<br />

Perché <strong>un</strong> pagamento possa ritenersi effettuato nei termini d’uso, peraltro, occorre che esso<br />

sia effettuato con modalità normali (Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Banca, borsa, 2012, II,<br />

831 nega rientrino in questa tipologia i pagamenti per girata di assegni di clienti della fallita) e<br />

con le tempistiche consuete nel rapporto con il fornitore (Trib. Torino, 23 aprile 2009, in questa<br />

Rivista, 2010, 368) o nell’ambito di rapporti similari (Trib. Milano, 18 luglio 2011, inedita); in tal<br />

senso, si ritiene che i pagamenti eseguiti in mora rispetto alle scadenze pattuite in origine siano<br />

tuttora revocabili (Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Banca, borsa, 2012, II, 831; Trib. Monza,<br />

24 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 1004), così come quelli ottenuti per mezzo di azioni<br />

monitorie (App. Torino, 21 febbraio 2012, ivi, 2012, 743); discutibile in tal senso la tesi di Trib.<br />

Marsala, 24 giugno 2011, in sito Ilcaso.it, che ritiene possa anche rientrare nell’esenzione <strong>un</strong><br />

pagamento incluso in <strong>un</strong> piano di rientro se esso rientri nella prassi del settore di attività; tale<br />

prospettiva è seguita anche da Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur.It., 2011, 123, che reputa irrilevante<br />

il mutamento di condizioni di pagamento se anch’esso rientri nelle prassi com<strong>un</strong>e del<br />

settore.<br />

La giurisprudenza, sia di legittimità (Cass., sez. I, 4 marzo 2010, n. 5256, in questa Rivista,<br />

2010, 1211) che di merito (App. Roma, 11 luglio 2011; Trib. Perugia, 15 marzo 2011 entrambe<br />

in sito Purisonline.it) insiste nel sottolineare che la revocatoria prevista dal secondo comma<br />

dell’art. 67 l.fall. postula la prova della conoscenza dell’insolvenza in capo all’accipiens e non<br />

della sua mera conoscibilità. Peraltro è pressoché pacifico che la prova della conoscenza dell’insolvenza<br />

possa essere fornita per pres<strong>un</strong>zioni in forza di valutazione di merito incensurabile<br />

in Cassazione (Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 8827, in questa Rivista, 2012, 125); la prova<br />

della conoscenza dell’insolvenza non è riferibile ad <strong>un</strong>a conoscenza effettiva, né va riferita alla<br />

380 Il Fallimento 3/2013


Fattispecie particolari<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

mera conoscibilità da parte di <strong>un</strong> contraente astratto, ma consiste nella valutazione della probabilità<br />

della scientia in relazione alle condizioni in cui l’accipiens si è trovato concretamente ad<br />

operare (Cass., sez. I, 3 maggio 2012, n. 6686, inSocietà, 2012, 709). A tal fine, conformandosi<br />

all’insegnamento ante riforma, la giurisprudenza precisa che, trattandosi di provare <strong>un</strong>o<br />

stato psicologico, la prova può essere raggi<strong>un</strong>ta per pres<strong>un</strong>zioni, che anzi costituiscono in tali<br />

casi la fonte primaria di prova (Cass., 24 aprile 2007, n. 9903, in questa Rivista, 2007, 879), dovendosi<br />

valutare l’esistenza di indici dell’insolvenza percepiti dall’accipiens tali da indurre ragionevolmente<br />

<strong>un</strong> soggetto di ordinaria diligenza a ritenere insolvente il debitore (Cass., sez. I, 26<br />

gennaio 2011, n. 1834, inForo It. Mass., 2011, 95; Trib. Milano, 26 settembre 2011 e Trib.<br />

Bologna, 9 marzo 2011, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 19 ottobre 2007, n. 22008, in Dir.-<br />

Fall., 2009, II, 168). In tal senso, se non è ammessa <strong>un</strong>’accezione sanzionatoria della scientia,<br />

volta a ravvisare il presupposto soggettivo quando l’ignoranza sia colpevole (Cass., sez. I, 23<br />

settembre 2009, n. 20482, in questa Rivista, 2010, 739), per altro verso, a fronte di indici che<br />

fanno presumere la conoscenza, a nulla vale che il convenuto in revocatoria opponga <strong>un</strong>a situazione<br />

di ignoranza non plausibile (Cass., 7 febbraio 2001, n. 1719, in Giust.Civ., 2001, I,<br />

2977), né la percezione dello insolvenza può essere di per sé esclusa dal rilievo che il creditore<br />

abbia proseguito il rapporto con l’impresa insolvente (Cass., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1617,<br />

in questa Rivista, 2009, 1000).<br />

Sempre nell’ambito di <strong>un</strong> corretto utilizzo dello strumento pres<strong>un</strong>tivo si ritiene che tal<strong>un</strong>i indici<br />

possano essere più efficacemente percepiti da soggetti ‘‘professionali’’, i quali cioè svolgono<br />

attività precipua nel settore finanziario (Cass., 4 febbraio 2008, n. 2557, in questa Rivista,<br />

2008, 606; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4762, in Dir.Fall., 2008, II, 227); per l’effetto, la giurisprudenza<br />

ritiene che nei confronti delle banche e degli altri operatori professionali, la scientia<br />

possa essere des<strong>un</strong>ta anche dalle risultanze dei bilanci (Cass., Sez. I, 30 luglio 2012, n.<br />

13540, in sito Cassazione.net), se questi manifestino in modo palese <strong>un</strong>o stato di insolvenza<br />

(arg. da Cass., sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3920; App. Torino, 13 gennaio 2011, in questa Rivista,<br />

2011, 377); dovrebbe, inoltre, valere tuttora il principio sancito da Cass., sez. I, 3 maggio<br />

2007, n. 10208, in questa Rivista, 2007, 1235 secondo il quale non viola il divieto di doppia pres<strong>un</strong>zione<br />

il giudice che presuma la conoscenza dei bilanci in capo alla banca, in quanto tenuta<br />

ex lege a verificare la solvibilità del debitore affidato con la richiesta delle situazioni contabili.<br />

Per le persone giuridiche, aggi<strong>un</strong>ge Cass., sez. I, 29 marzo 2012, n. 5106, in sito Cassazione.net,<br />

il presupposto soggettivo va valutato in relazione alla situazione del soggetto che ebbe a<br />

rappresentare l’ente nei rapporti revocandi, anche se il legale rappresentante sia poi mutato;<br />

per le stesse ragioni in caso di fusione rileva la scientia decoctionis provata in capo al soggetto<br />

i cui diritti e stati giuridici siano stati trasferiti in capo alla società scaturita dall’operazione<br />

straordinaria (Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059, in questa Rivista, 2011, 1478).<br />

Tra gli elementi che com<strong>un</strong>emente si ritiene facciano presumere la scientia: iprotesti pubblicati<br />

sui bollettini (Cass., sez. I, 19 marzo 2012, n. 4342, in sito Cassazione.net; App. L’Aquila,<br />

15 novembre 2011, in questa Rivista, 2012, 236), la cui pluralità consente anche di presumerne<br />

la conoscenza in capo all’accipiens (Cass., sez. I, 13 gennaio 2010, n. 391, in Foro It. Mass.,<br />

2010, 20); l’esistenza di precedenti procedimenti esecutivi avviati dal creditore (App. Brescia,<br />

25 maggio 2011, in questa Rivista, 2011, 1006); il mutamento delle condizioni di pagamento<br />

con la richiesta di pagamenti anticipati (App. Milano, 27 giugno 2012, n. 2496, inedita); la<br />

minaccia di sospendere le forniture (Cass., sez. I, 4 ottobre 2011, n. 25161, in sito Cassazione.net).<br />

La Suprema Corte, peraltro, sottolinea che, dovendo prevalere la considerazione per gli indici<br />

diretti, si debba attribuire rilievo decisivo alla manifestazione di incapacità fisiologica di adempiere<br />

nel rapporto con l’accipiens (Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15686, in sito Plurisonline.it),<br />

in ciò dando rilievo all’inequivoco disposto dell’art. 5 l.fall. secondo il quale l’insolvenza<br />

‘‘si manifesta’’ con gli inadempimenti e quindi è conosciuta dal soggetto che percepisca l’incapacità<br />

di adempiere (in tal senso Trib. Siracusa, 19 novembre 2010, in questa Rivista, 2011,<br />

980 ha sostenuto che <strong>un</strong> ritardo nei pagamenti, che non sia contenuto in due-tre mesi lascia<br />

presumere l’insolvenza). Per ragioni opposte, si tende ad attribuire scarso rilievo agli indici di<br />

insolvenza che non attengano alla specifica posizione del creditore, quali le notizie di stampa<br />

(Trib. Roma, 13 settembre 2010, in questa Rivista, 2011, 982).<br />

Quando la revocatoria sia rivolta ad inficiare atti o pagamenti compiuti dal socio fallito di società<br />

di persone, si ritiene che la scientia debba riguardare l’insolvenza della società e non quella<br />

personale del socio (Cass., sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260, in questa Rivista, 2012, 532). Ciò<br />

non toglie, di contro, che nella revocatoria promossa da <strong>un</strong>a società facente parte di <strong>un</strong> gruppo<br />

insolvente, ai fini della scientia si possa ritenere rilevante la conoscenza dell’insolvenza<br />

delle altre società del gruppo (Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059, in questa Rivista, 2011,<br />

1478).<br />

L’art. 67 bis l. fall., che disciplina la revocatoria nell’ambito dei ‘‘patrimoni destinati’’, non<br />

consta abbia ancora avuto applicazioni pratiche; la disciplina, pervero, non differisce da quella<br />

Il Fallimento 3/2013 381


Itinerari della giurisprudenza<br />

L’art. 70 l.fall.<br />

La regolamentazione<br />

della revocatoria<br />

di rimesse bancarie<br />

della revocatoria prevista dal capoverso dell’art. 67 l.fall., salvo che per la limitazione prevista<br />

laddove la norma precisa che l’eventus damni deve riguardare il patrimonio della società.<br />

Il disposto dell’art. 68 l.fall., invece, è stato oggetto di sporadiche sentenze ante riforma che<br />

ne hanno confermato la natura eccezionale, non estensibile, tra l’altro, al pagamento ricevuto<br />

dal creditore ipotecario che voglia evitare di perdere l’azione sui fidejussori (Cass., sez. I, 26<br />

gennaio 1999, n. 684, in questa Rivista, 2000, 361); la ‘‘necessità cambiaria’’ che esime l’accipiens<br />

dalla revocatoria può essere dedotta ed accertata incidentalmente nel processo avviato direttamente<br />

contro l’ultimo prenditore e può essere provata per pres<strong>un</strong>zioni (Cass., sez. I, 7 dicembre<br />

1999, n. 13663, in questa Rivista, 2000, 1377); si è, poi, ritenuto che l’eccezione del<br />

prenditore che deduca di aver dovuto accettare il pagamento per non perdere l’azione di regresso<br />

paralizza la revocatoria a prescindere dalla deduzione della sua scientia, che rileva solo a carico<br />

dell’ultimo obbligato in via di regresso (Cass., sez. I, 22 dicembre 1995, n. 13085, in questa<br />

Rivista, 1996, 649), laddove l’espressione ultimo obbligato viene intesa in senso relativo, con riguardo<br />

all’ultimo soggetto che girò la cambiale essendo a conoscenza dell’insolvenza (Trib. Torino,<br />

14 febbraio 1985, in Giur.Piem., 1985, 792); l’eccezione, evidentemente, non è proponibile<br />

se il soggetto che riceve il pagamento nel periodo sospetto sia il primo prenditore anche se la<br />

girata sia anteriore (Cass., sez. I, 7 marzo 1997, n. 2088, in Foro It., 1997, I, 2976). La norma<br />

non è stata modificata e quindi i principi enucleati in passato paiono tuttora applicabili.<br />

L’art. 69 l.fall. detta, invece, <strong>un</strong>a disciplina più severa in tema di revocabilità degli atti compiuti<br />

tra coniugi; la Suprema Corte ha confermato anche post riforma che la norma è di stretta<br />

interpretazione e quindi non si applica al coniuge del socio illimitatamente responsabile (Cass.,<br />

sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260, in questa Rivista, 2012, 532); sotto il profilo dell’oggetto, invece,<br />

Cass., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8516, in Foro It., 2006, I, 2756 concludeva in passato per la revocabilità<br />

delle attribuzioni tra coniugi anche se derivanti da accordi di separazione, revocabilità<br />

che colpiva anche gli atti tra coniugi che avessero optato per il regime di separazione dei beni<br />

(App. Torino, 21 ottobre 1992, in Giur.It., 1994, I, 2, 30). Tra gli atti di più frequente revoca vi è<br />

la costituzione del fondo patrimoniale, ritenuto atto a titolo gratuito a prescindere dal fatto che<br />

il conferimento patrimoniale sia stato attuato anche dall’altro coniuge (Trib. Roma, 11 gennaio<br />

2001, in Temi romana, 2002, 57). Viceversa, già prima della riforma - e sin dalla riforma del diritto<br />

di famiglia del 1975 - non trovava più applicazione la pres<strong>un</strong>zione ‘‘muciana’’ prevista dal<br />

previgente art. 70 l.fall. (oggi sostituito da disposizione che concerne tutt’altra questione), essendo<br />

esclusa sia nel regime di com<strong>un</strong>ione che in caso di separazione dei beni la pres<strong>un</strong>zione<br />

che gli acquisti del coniuge del fallito effettuati nel quinquennio fossero compiuti con danaro<br />

del fallito (Cass., sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1501, in questa Rivista, 2001, 167; Cass., sez. I,<br />

18 marzo 1996, n. 2272, in questa Rivista, 1996, 967).<br />

La ‘‘diffidenza’’ del legislatore della riforma per la revocatoria trova conferma nella norma che<br />

limita l’importo pretensibile in caso di plurimi pagamenti eseguiti nell’ambito di <strong>un</strong> rapporto<br />

‘‘di durata’’, il quale viene considerato <strong>un</strong>itariamente, sì da limitare nel quantum la declaratoria<br />

di inefficacia alla differenza tra il massimo scoperto e l’importo del credito all’apertura del concorso.<br />

Trattandosi di disciplina innovativa e non di interpretazione già implicita nella previgente normativa,<br />

la limitazione non può ritenersi applicabile alle procedure avviate prima del D.L. 35/2005<br />

(Cass., sez. I, 3 settembre 2010, n. 19043, in questa Rivista, 2011, 374), anche se <strong>un</strong>a isolata<br />

Trib. Pavia, 19 aprile 2006, in questa Rivista, 2007, 89 aveva ipotizzato che solo il rientro effettivo<br />

attesti la natura solutoria e non meramente ripristinatoria delle rimesse via via affluite sul<br />

conto della fallita.<br />

La norma introduce <strong>un</strong>a eccezione e quindi l’ammontare della differenza tra massimo scoperto<br />

e saldo finale deve essere dedotto e provato dal convenuto in revocatoria (T. Udine, 24 febbraio<br />

2011, in questa Rivista, 2011, 688).<br />

Nella fattispecie regolata dall’art. 70 l.fall. rientrano ora, per espressa previsione normativa introdotta<br />

dal D.lgs. 169/2007 (con modifica che Trib. Milano, 25 maggio 2009, in Dir.Banc.,<br />

2009, I, 447 non ritiene interpretativa, tanto da escluderne l’applicazione alle procedure avviate<br />

prima del ‘‘correttivo’’), anche le revocatorie delle operazioni bancarie in conto corrente;<br />

pertanto, sarà revocabile solo la differenza tra il saldo massimo scoperto nel periodo sospetto<br />

(e non in generale:Trib. Milano, 21 luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360) ed il saldo esistente all’apertura<br />

del concorso.<br />

Resta fermo - come ulteriore limite oggettivo di revocabilità - il principio già elaborato ante riforma<br />

che nega la revocabilità delle rimesse che affluiscano su conto attivo o passivo entro i limiti<br />

del fido; saranno quindi revocabili solo le rimesse su conto scoperto; qualora venga richiesta<br />

la revoca di operazioni in base ad <strong>un</strong>o scoperto infra-giornaliero, Cass., sez. I, 10 maggio 2012<br />

n. 7158, in sito Plurisonline.it ritiene sia onere del fallimento provare la cronologia delle operazioni,<br />

non essendo rilevante l’ordine che si evince dall’estratto conto. Il curatore, di contro - e<br />

dovremmo dire, a maggior ragione nel sistema riformato - può limitarsi a richiedere la declara-<br />

382 Il Fallimento 3/2013


Computo del ‘‘periodo<br />

sospetto’’ e termini<br />

di prescrizione, rectius<br />

decadenza, dell’azione<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

toria di inefficacia delle rimesse indicandone l’importo complessivo (rectius, nella nuova revocatoria,<br />

il delta tra massimo scoperto e saldo), senza specificare analiticamente quali movimenti<br />

siano oggetto di domanda, non incorrendo in <strong>un</strong>a nullità della citazione (Cass., sez. <strong>un</strong>., 22<br />

maggio 2012, n. 8077, inCorr.Merito, 2012, 791); nello stesso senso, Trib. Lecce, 6 luglio<br />

2011, in questa Rivista, 2012, 236 ritiene sufficiente la richiesta della ‘‘maggior o minor somma’’<br />

ritenuta di giustizia al fine di superare nella condanna l’importo della domanda contenuta<br />

in citazione e ciò qualora la CTU esperita individui ulteriori e diverse rimesse revocabili; tesi<br />

questa discutibile, poiché più correttamente - anche se in relazione a cause rette dalla normativa<br />

pre-riforma, che non conosceva il limite oggi previsto del ‘‘rientro da massimo scoperto’’ -<br />

la Suprema Corte ha precisato che la revocatoria delle rimesse consiste di fatto nella richiesta<br />

di dichiarare inefficaci <strong>un</strong>a serie di plurimi atti solutori distinti (Cass., sez. I, 28 aprile 2010, n.<br />

10219, in sito Plurisonline.it; Cass. 24 giugno 2008, n. 17090, in Contratti, 2009, 123).<br />

Si dovrebbe, peraltro, ritenere confermata la tesi secondo la quale non rilevano ai fini della copertura<br />

del conto gli affidamenti di ‘‘castelletto’’, ma solo l’apertura di credito, laddove solo<br />

quest’ultima crea <strong>un</strong>a disponibilità effettiva a favore del correntista (Cass., sez. I, 19 maggio<br />

2010, n. 12306, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 20 febbraio 2009, n. 4191, ibidem; Cass.,<br />

sez. I, 20 marzo 2008, n. 7451, in questa Rivista, 2008, 843), disponibilità che negli affidamenti<br />

su presentazione di effetti è invece subordinata al compimento di altri atti (App. Torino, 3 agosto<br />

2006, in questa Rivista, 2006, 1338; Cass., sez. I, 2 aprile 2009, n. 8049); i fidi devono poi<br />

essere provati in forma opponibile al fallimento, prova che riguarda il contratto, non essendo viceversa<br />

sufficienti le risultanze <strong>un</strong>ilaterali del libro-fidi (Cass., sez. I, 20 giugno 2011, n.<br />

13445, in questa Rivista, 2012, 353); la disciplina introdotta dal D.lgs. 385/1993 implica che i fidi<br />

possano essere provati solo per iscritto e con documento avente data certa anteriore alla<br />

procedura, ma sul p<strong>un</strong>to si è formata <strong>un</strong>a corrente che ammette la prova del fido per pres<strong>un</strong>zioni<br />

e per facta concludentia, se il contratto originario già prevedeva la concessione dell’apertura<br />

di credito e l’andamento del conto pare coerente con l’esistenza dell’affidamento (Cass.,<br />

sez. I, 15 settembre 2006, n. 19941, in Giust.Civ., 2007, I, 2460; Cass., sez. I, 9 luglio 2005, n.<br />

14470, in Corr.Giur., 2006, 357).<br />

Inoltre, il fido deve essere operante, nel senso che sono considerate solutorie le rimesse successive<br />

alla revoca dei fidi (Cass., sez. I, 20 dicembre 2007, n. 26823, in questa Rivista, 2008,<br />

606), ovvero quelle che abbiano com<strong>un</strong>que la finalità di rientro in quanto affluite su conto ‘‘bloccato’’<br />

(App. L’Aquila, 15 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 128), poiché in tal caso si ritiene<br />

che l’apertura di credito sia solo apparente (Cass., sez. I, 11 novembre 2010, n. 22915, in Giur.It.,<br />

2011, 567), anche se sul p<strong>un</strong>to la recente Cass., sez. VI, 2 luglio 2012, n. 11054, insito<br />

Cassazione.net impone al fallimento di fornire la prova rigorosa della chiusura del conto, che<br />

non può consistere nel mero dato dell’andamento storico e del mancato riutilizzo della provvista;<br />

saranno, invece, ritenute solutorie le rimesse successive ad <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>icazione di invito al<br />

rientro (equiparata da Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 963 a revoca di fido).<br />

Anche nella nuova disciplina, si affronta la questione circa la revocabilità delle cosiddette ‘‘operazioni<br />

bilanciate’’, ovvero di quegli accrediti che la banca nega abbiano valore solutorio, in<br />

quanto destinati solo a creare <strong>un</strong>a provvista per <strong>un</strong> pagamento contestuale; la giurisprudenza<br />

tende ad avallare l’eccezione, ma solo quando vi sia coincidenza di datazione ed importo tra<br />

l’accredito e l’addebito (Trib. Lecce, 6 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 236), poiché in tal<br />

caso si può presumere per facta concludentia l’esistenza di <strong>un</strong> accordo per consentire al correntista<br />

di utilizzare le somme depositate per effettuare pagamenti (Cass., sez. I, 26 gennaio<br />

2011, n. 1834, inForo It. Mass., 2011, 95); in caso contrario, è la banca a dover dare la prova<br />

della natura bilanciata dall’operazione non contestuale (Cass., sez. I, 2 marzo 2012, n. 3316,<br />

in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 22 agosto 2011, n. 17443, in questa Rivista, 2012, 740;<br />

Cass., sez. I, 11 aprile 2011, n. 8223; App. Brescia, 25 maggio 2011, ivi, 2011, 1006).<br />

Sono stati ritenuti revocabili, poi, anche i ‘‘giroconti’’ da conti anticipi al conto ordinario, se abbiano<br />

avuto in concreto l’effetto di ridurre l’esposizione (Cass., sez. I, 20 giugno 2011, n.<br />

13449, in questa Rivista, 2012, 353), sempre che ciò avvenga in maniera consistente e durevole<br />

(Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 880) ed in genere gli accrediti per anticipazioni<br />

su crediti e fatture che affluiscano su conto scoperto (Cass., sez. I, 18 luglio 2008, n.<br />

17954, in questa Rivista, 2009, 291); vengono altresì considerati revocabili gli accrediti derivanti<br />

da mero mandato all’incasso, il quale non attua <strong>un</strong> effetto traslativo come la cessione di credito<br />

vera e propria (Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9387, in questa Rivista, 2012, 233), salvo<br />

che risulti opponibile alla procedura <strong>un</strong> patto compensativo a valere sin dalla conclusione del<br />

contratto (Cass., sez. I, 15 aprile 2011, n. 8752, inForo It.Mass., 2011, 342).<br />

Il calcolo dei termini previsti dalle norme in tema di revocatoria distingue il momento dal quale<br />

può computarsi a ritroso il periodo di revocabilità rispetto al decorso del termine previsto dall’art.<br />

69 bis l.fall., che secondo l’interpretazione pressoché <strong>un</strong>iforme fissa <strong>un</strong>’ipotesi di decadenza<br />

e non più di mera prescrizione (come incidentalmente conferma Cass., sez. I, 18 luglio<br />

2007, n. 15960, in questa Rivista, 2008, 99).<br />

Il Fallimento 3/2013 383


Itinerari della giurisprudenza<br />

L’azione revocatoria<br />

nelle procedure diverse<br />

dal fallimento<br />

Per quel che concerne il computo del ‘‘periodo sospetto’’, anche dopo la riforma si tende a<br />

valorizzare l’<strong>un</strong>itarietà dell’accertamento dell’insolvenza che, in caso di consecuzione di procedure,<br />

induce a far decorrere il termine dall’ammissione alla prima procedura (Cass., sez. I, 6<br />

agosto 2010, n. 18437, in questa Rivista, 2011, 30; Trib. Monza, 5 gennaio 2011, ivi, 2011,<br />

1368; Trib. Ivrea, 22 gennaio 2008, in Giur.It., 2008, 1948); il principio è oggi espressamente<br />

sancito dall’art. 69 bis l.fall., come modificato dall’art. 33 D.L. 83/2012, norma che fa decorrere<br />

gli effetti concorsuali dalla data di pubblicazione a RR.II. della presentazione della domanda di<br />

concordato. In caso di mancata ammissione, peraltro, non essendovi <strong>un</strong> legame tra la procedura<br />

minore - mai venuta ad esistenza - ed il fallimento successivo, il termine non può che decorrere<br />

da quest’ultima procedura (Trib. Udine, 6 marzo 2010, in questa Rivista, 2010, 898; Trib.<br />

Udine, 15 ottobre 2008, ivi, 2009, 1414); per ragioni similari, la dichiarazione di fallimento da<br />

parte di trib<strong>un</strong>ale incompetente segna il decorso dei termini a ritroso per le revocatorie quando<br />

alla sentenza cassata segua <strong>un</strong>a successiva dichiarazione di fallimento da parte del giudice<br />

competente (Trib. Messina, 31 marzo 2011, in questa Rivista, 2011, 751). Quando l’atto revocando<br />

riguardi il socio illimitatamente responsabile cui sia esteso il fallimento, a detta di Cass.,<br />

sez. I, 17 febbraio 2012, n. 2335, in questa Rivista, 2012, 1476 e delle conformi Cass., sez. I,<br />

20 febbraio 2012, n. 2402 e n. 2403, il termine decorre a ritroso dal fallimento societario; in<br />

senso opposto si era pron<strong>un</strong>ciata in precedenza Cass., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7273, in questa<br />

Rivista, 2010, 649, che aveva escluso la rilevanza della consecuzione delle procedure di<br />

concordato e fallimento per le revocatorie sui soci.<br />

La decorrenza del termine di prescrizione veniva computata ante riforma dal momento della<br />

nomina del curatore e non vi è ragione per modificare tale principio per la decadenza che non<br />

può correre in assenza del soggetto legittimato a promuovere l’azione.<br />

Trattandosi di azioni costitutive, già in passato si escludeva che l’interruzione potesse avvenire<br />

per atto stragiudiziale (Cass., Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30077, in sito Plurisonline.it; Cass.,<br />

sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3379, in Giust.Civ., 2008, I, 1281); a maggior ragione, la decadenza<br />

potrà essere impedita solo con la notifica dell’atto di citazione; peraltro, lo stesso effetto interruttivo<br />

è riconosciuto a tutti gli atti giudiziari - quali il ricorso per sequestro giudiziario (Cass.,<br />

Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13302, in sito Plurisonline.it) - anche se non notificati alla parte, ma<br />

da questa conosciuti per il tramite del difensore a norma dell’art. 170 c.p.c., come nel caso di<br />

domanda riconvenzionale avanzata in sede di opposizione allo stato passivo (Cass., sez. I, 6<br />

agosto 2010, n. 18438, in questa Rivista, 2011, 630).<br />

In quanto termine sostanziale, il decorso del termine di prescrizione non è interrotto dal periodo<br />

feriale (Cass., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 22366, in Foro It., 2009, I, 516) e logica vorrebbe<br />

che, essendo atto recettizio, rilevi il momento in cui il convenuto in revocatoria riceve l’atto, anche<br />

se per ragioni di equità si tende a ritenere che alla procedura non possa essere addebitato<br />

il ritardo nella consegna che deriva dall’attività notificatoria, attività sulla quale la parte - che<br />

con la richiesta di notifica cessa di essere inerte - non può influire, ritenendo quindi interrotta<br />

la prescrizione dalla data di presentazione dell’atto alle notifiche (Trib. Milano, 19 gennaio<br />

2009, in questa Rivista, 2009,1325; Cass., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 22366, in Foro It., 2009,<br />

I, 516); di recente, peraltro, Cass., sez. I, 31 ottobre 2012, n. 21595, in sito Cassazione.net ha<br />

escluso che possa valere ad interrompere la prescrizione con efficacia ex t<strong>un</strong>c la rinnovazione<br />

di <strong>un</strong>a precedente notifica nulla.<br />

Le azioni revocatorie possono essere promosse anche in procedure concorsuali diverse dal<br />

fallimento e ciò per espresso richiamo normativo contenuto nell’art. 203 l.fall. (disposizione<br />

cui a sua volta rinviava la c.d. ‘‘Legge Prodi’’ che istituì la prima disciplina dell’amministrazione<br />

straordinaria) per la liquidazione coatta amministrativa in cui sia intervenuta la dichiarazione di<br />

insolvenza (T. Vercelli, 8 maggio 2001, in Giur.It., 2001, 2102) ovvero, se questa è anteriore,<br />

dalla nomina del Commissario (Cass., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16383, in Giust.Civ., 2008, I,<br />

696); il richiamo contenuto nell’art. 49 D.Lgs. 270/1999 consente la revocatoria anche nell’amministrazione<br />

straordinaria attualmente vigente.<br />

Per l’amministrazione straordinaria, peraltro, anche a seguito della censura formulata in sede<br />

com<strong>un</strong>itaria in merito alla procedura disciplinata dalla L. 95/1979, l’attuale D.Lgs. 270/1999<br />

ha previsto che la revocatoria possa essere esercitata solo se la procedura si sia avviata ad<br />

<strong>un</strong>a fase liquidatoria, destinazione che Cass., sez. I., 10 maggio 2012, n. 7163, in sito Plurisonline.it<br />

ritiene possa anche essere ravvisata prima del formale avvio della procedura di liquidazione,<br />

qualora sia com<strong>un</strong>que venuta meno la finalità ‘‘conservativa’’. L’azione è esperibile<br />

dal momento della nomina del Commissario, anche se può essere esercitata solo nell’eventuale<br />

fase liquidatoria (Cass., sez. VI, 4 marzo 2011, n. 5330, in questa Rivista, 2011, 1184) e<br />

proprio la cessazione della fase conservativa costituisce l’elemento dedotto per escludere che<br />

la revocatoria costituisca <strong>un</strong> ‘‘aiuto di Stato’’ per l’impresa insolvente (Cass., sez. I, 25 agosto<br />

2006, n. 18552, in Foro It. Mass., 2006, 1502; Trib. Bologna, 12 luglio 2005, in Dir.Fall., 2006,<br />

II, 498).<br />

Lievemente diversa è la disciplina della ‘‘Legge Marzano’’, ove la revocatoria è consentita dal-<br />

384 Il Fallimento 3/2013


Le conseguenze<br />

della revoca:<br />

l’insinuazione<br />

del credito ex art. 71<br />

l.fall.<br />

Itinerari della giurisprudenza<br />

l’art. 6 D.Lgs. n. 347/2003, senza distinzione tra fase conservativa o liquidatoria (Cass., sez. I,<br />

10 novembre 2005, n. 21823, in questa Rivista, 2006, 779).<br />

Da sempre si esclude l’estensibilità della revocatoria al concordato, anche se il recente D.L.<br />

83/2012 ha previsto l’inefficacia delle ipoteche legali iscritte nei sessanta giorni anteriori alla<br />

presentazione della domanda.<br />

Il soggetto che subisce la revocatoria può insinuare al passivo il proprio credito per l’importo<br />

restituito; si discute se il diritto sorga sul mero presupposto della restituzione, come precisa<br />

Trib. Napoli, 12 maggio 2006, in questa Rivista, 2006, 1426, ovvero sia necessario il passaggio<br />

in giudicato della pron<strong>un</strong>zia, come sostiene Trib. Genova, 7 luglio 2004, ivi, 2005, 61.<br />

La Suprema Corte, peraltro, precisa che la necessità di attendere l’esito dell’azione costitutiva<br />

non implica di per sé che la tardività dell’insinuazione non possa essere addebitata dal creditore<br />

revocato (Cass., sez. I, 3 giugno 2004, n. 10578, ivi, 2005, 426).<br />

L’ammissione spetta anche quando la restituzione avvenga a seguito di transazione, salvo che<br />

sia espressamente rin<strong>un</strong>ziato il diritto all’insinuazione (Trib. Roma, 2 luglio 1997, in Riv.Curatori,<br />

1998, 79).<br />

Se si ritiene che l’obbligo restitutorio faccia rivivere il credito pagato con l’atto revocato (tant’è<br />

che Trib. Milano, 21 settembre 1989, in Giur.It., 1990, I, 2, 389 consente al creditore dell’accollato<br />

fallito di agire in ripetizione verso l’accollante per il pagamento revocato e che la revoca<br />

può far rivivere la garanzia del fidejussore del fallito, come precisa Cass., sez. I, 17 ottobre<br />

2008, n. 25361, inForo It. Mass., 2008, 1445), pare corretto ipotizzare che il creditore possa<br />

chiedere l’ammissione con il privilegio che gli spetti (arg. da App. Genova, 7 febbraio 1985, in<br />

questa Rivista, 1986, 52), laddove qualche dubbio pare sussista sulla condivisibilità attuale del<br />

principio sancito da Trib. Lecce, 7 aprile 1992, in questa Rivista, 1993, 186, che ritiene prededucibile<br />

il credito che l’accipiens insinui per aver pagato debiti ipotecari consolidati (ove semmai<br />

potrebbe ipotizzarsi <strong>un</strong>a surroga nel credito).<br />

Il Fallimento 3/2013 385


Indici<br />

Fallimento<br />

INDICE ANALITICO - ALFABETICO<br />

Amministrazione straordinaria<br />

Amministrazione straordinaria<br />

Cessazione<br />

Concordato - Relazione ex art. 124, terzo comma,<br />

l.fall. - Designazione dell’esperto - Competenza dell’Autorità<br />

amministrativa di vigilanza<br />

(Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012) ................. 363<br />

Imprese di gruppo<br />

Estensione del procedimento<br />

Osservanza della struttura bifasica - Sussistenza -<br />

Anticipazione della decisione - Preclusione<br />

(Corte di Appello Torino, 20 gennaio 2012) ........... 329<br />

Concordato preventivo<br />

Ammissione<br />

Procedimento<br />

Poteri del trib<strong>un</strong>ale - Giudizio di fattibilità del piano -<br />

Configurabilità - Limiti<br />

(Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n.<br />

1521) ......................................................... 279<br />

Proposta<br />

Relazione del professionista - Allegato - Esclusione -<br />

Contenuto integrante - Effetti<br />

(Cassazione Civile, Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565) . 298<br />

Fallimento<br />

Accertamento del passivo<br />

Opposizione<br />

Com<strong>un</strong>icazione del deposito dello stato passivo - Avviso<br />

di ricevimento della raccomandata - Onere del<br />

curatore - Mancanza - Conseguenze<br />

(Cassazione civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799) .. 321<br />

Mancata produzione di copia del decreto opposto -<br />

Improcedibilità - Esclusione<br />

(Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804) . 320<br />

Verifica dei crediti<br />

Ipoteca sui beni del terzo fallito - Ammissione del<br />

credito - Abnormità del decreto - Efficacia preclusiva<br />

- Conseguenze<br />

(Cassazione Civile, Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289) . 306<br />

Cessazione<br />

Concordato<br />

Omologazione - Opposizione - Mancato riconoscimento<br />

del privilegio del credito ex art. 23, comma<br />

37, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 - Presupposto - Modifica<br />

del passivo<br />

(Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012) .................. 357<br />

Dichiarazione<br />

Sentenza<br />

Reclamo - Presupposti per l’amministrazione straordinaria<br />

- Parziale accoglimento del reclamo - Restituzione<br />

degli atti al Trib<strong>un</strong>ale - Adozione dei provvedimenti<br />

conseguenti all’accertamento dello stato di insolvenza<br />

(Corte di Appello Torino, 20 gennaio 2012) ........... 329<br />

Effetti per il debitore<br />

Beni non compresi nel fallimento<br />

Retribuzione - Decreto del giudice delegato - Mancanza<br />

- Pagamento al fallito - Efficacia<br />

(Cassazione civile, Sez. I, 31 ottobre 2012, n.<br />

18843) ....................................................... 295<br />

Organi<br />

Curatore<br />

Erede del simulato alienante - Azione di simulazione<br />

- Prova - Esclusione della qualità di terzo<br />

(Cassazione Civile, Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965) . 315<br />

Soggetti<br />

Amministratori<br />

Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art.<br />

2394 c.c. - Società a responsabilità limitata - Inammissibilità<br />

- Azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. del<br />

curatore - Configurabilità<br />

(Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012) ................... 344<br />

Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art.<br />

2394 c.c. - Società a responsabilità limitata - Legittimazione<br />

del curatore fallimentare - Ammissibilità<br />

(Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto<br />

2012) ........................................................ 347<br />

386 Il Fallimento 3/2013

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