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Concordato<br />
preventivo<br />
OPINIONI<br />
SOMMARIO<br />
RAPPORTI PENDENTI NEL CONCORDATO PREVENTIVO RIFORMATO TRA PROSECUZIONE<br />
ESCIOGLIMENTO<br />
di Adriano Patti 261<br />
IN ITINERE<br />
NOVITÀ GIURISPRUDENZIALI<br />
acuradiMassimo Ferro 275<br />
GIURISPRUDENZA<br />
Legittimità<br />
Concordato<br />
preventivo<br />
LA FATTIBILITA‘ DEL PIANO CONCORDATATARIO NELLA LETTURA DELLE SEZIONI UNITE<br />
Cass. Civ., Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 279<br />
commento di Francesco De Santis 279<br />
commento di Ilaria Pagni 286<br />
commento di Adolfo Di Majo 291<br />
Fallimento<br />
SULLA REVOCABILITÀ DELLE RETRIBUZIONI CORRISPOSTE AL FALLITO IN ASSENZA DI DECRETO<br />
DEL GIUDICE DELEGATO<br />
Cass. Civ., Sez. I, 31 ottobre 2012, n. 18843 295<br />
osservazioni di Alberto Figone 296<br />
Concordato<br />
preventivo<br />
INTERPRETAZIONE DELLA PROPOSTA DI CONCORDATO E RAPPORTO CON L’ATTESTAZIONE<br />
Cass. Civ., Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565 298<br />
commento di Dario Finardi 300<br />
Fallimento<br />
Amministrazione<br />
straordinaria<br />
Fallimento<br />
L’ACCERTAMENTO DELLE GARANZIE REALI NEL FALLIMENTO DEL TERZO DATORE<br />
Cass. Civ., Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289 306<br />
commento di Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco 308<br />
IL CURATORE E LA PROVA DELLA SIMULAZIONE<br />
Cass. Civ., Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965 306<br />
commento di Maria Costanza 317<br />
AMMISSIBILITÀ E PROCEDIBILITÀ DELL’OPPOSIZIONE ALLO STATO PASSIVO<br />
Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804; Cass. Civ., Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799 320<br />
commento di Gianpaolo Impagnatiello 322<br />
Merito<br />
Il Fallimento<br />
Anno XXXV<br />
IL PROCEDIMENTO DI ESTENSIONE DELL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA AD UN’IMPRESA<br />
DEL GRUPPO<br />
Corte d’Appello di Torino, 20 gennaio 2012 329<br />
commento di Filippo Ghignone 336<br />
AZIONE EX ART. 2394 C.C.: AMMISSIBILITA‘ IN TEMA DI S.R.L. E LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE<br />
FALLIMENTARE A FARLA VALERE<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012; Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto 2012 344<br />
commento di Luigi Abete 348<br />
NUOVI PRIVILEGI RETROATTIVI<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012 357<br />
commento di Daniele Griffini 359<br />
Il Fallimento 3/2013 259
Il Fallimento<br />
Anno XXXV<br />
Amministrazione NOMINA DELL’ESPERTO CHIAMATO A REDIGERE LA RELAZIONE DI CUI ALL’ART. 124,<br />
straordinaria TERZO COMMA, L.FALL.<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012 363<br />
osservazioni di Francesco Tomasso 227<br />
Massimario di legittimità<br />
Massime della giurisprudenza di legittimità pubblicate secondo l’ordine progressivo della materia<br />
regolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)<br />
Massimario di merito<br />
Massime della giurisprudenza di merito pubblicate secondo l’ordine progressivo della materia<br />
regolata dagli articoli del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)<br />
ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA<br />
LE AZIONI REVOCATORIE NEL FALLIMENTO<br />
acuradiPaolo Bosticco 373<br />
INDICE<br />
Indice analitico-alfabetico 386<br />
Segnalazione: Il provvedimento pubblicato a pagina 211 del fascicolo n. 2/2013 è: Trib<strong>un</strong>ale di Venezia, 26 luglio 2012.<br />
COMITATO PER LA VALUTAZIONE<br />
N. Abriani, S. Ambrosini, M. Arato, G. Cabras, G. Cavalli, P.F. Censoni, P. De Cesari, L. Del Federico, S. Fiore, E. Frascaroli Santi,<br />
A. Lanzi, F. Macario, F. Marelli, M. Montanari, I. Pagni, U. PatroniGriffi,M.Perrino,G.Presti,R. Tiscini, G. Trisorio Liuzzi<br />
In memoria di<br />
Il Prof. Lino Guglielmucci ci ha lasciato. È <strong>un</strong> grave lutto per la com<strong>un</strong>ità scientifica del diritto fallimentare, Egli era<br />
noto a tutti come Autore di <strong>numero</strong>si scritti e commenti di notevole rilievo scientifico, ma soprattutto la Direzione<br />
e l’Editore, nel partecipare al dolore della famiglia, desiderano ricordarne le qualità umane e professionali e la sua<br />
dedizione alla Rivista ‘‘Il fallimento e le altre procedure concorsuali’’, sia come componente del comitato scientifico<br />
sia come Autore di molti saggi sin dal remoto ‘‘Revoca e inefficacia delle garanzie per debiti altrui’’ comparso<br />
nel 1983.<br />
260 Il Fallimento 3/2013<br />
367<br />
371
Contratti in corso di esecuzione<br />
Rapporti pendenti<br />
nel concordato preventivo<br />
riformato tra prosecuzione<br />
e scioglimento<br />
di Adriano Patti<br />
L’introduzione di <strong>un</strong>a disciplina dei rapporti giuridici preesistenti anche nel concordato preventivo, se pure<br />
corrispondente all’auspicio degli operatori, pone delicate questioni interpretative in ordine al nuovo regime<br />
di trattamento, nel contemperamento dei contrastanti interessi del debitore, dei creditori e di tutela del<br />
contraente in bonis, alla sua possibilità di applicazione anche alla domanda con riserva di presentazione<br />
del piano e della proposta, ma soprattutto alla sua congruenza con la prosecuzione dell’attività di impresa<br />
nel concordato con continuità aziendale, sotto il profilo del rispetto del principio di regolare concorrenza di<br />
mercato.<br />
1. Premessa: <strong>un</strong>a collocazione<br />
problematica<br />
La collocazione dei rapporti pendenti nel sistema<br />
concorsuale appare da sempre problematica.<br />
La loro peculiare natura, in quanto preesistenti (per<br />
anteriorità all’apertura della procedura del sinallagma<br />
genetico, relativo all’origine delle reciproche<br />
obbligazioni) ed al tempo stesso pendenti (per inesecuzione<br />
reciproca, almeno parziale, del sinallagma<br />
f<strong>un</strong>zionale, riguardante l’adempimento delle obbligazioni<br />
sorte) (1), li distingue sia dalle posizioni attive<br />
della procedura (qualora sia adempiente il debitore<br />
soggetto ad essa), azionabili nei confronti del<br />
contraente in bonis attraverso gli ordinari mezzi, sia<br />
(nel caso contrario) da quelle debitorie della stessa,<br />
rientranti nel regime del concorso (2).<br />
Detta connotazione, che li permea di <strong>un</strong> dinamismo<br />
intrinseco loro esclusivo, deriva da questa condizione<br />
suscettibile di <strong>un</strong> andamento evolutivo,<br />
produttivo di diritti e di doveri, tendenzialmente<br />
dissonante rispetto alla cristallizzazione del patrimonio<br />
dell’imprenditore fallito, fonte di <strong>un</strong>a realtà giuridica<br />
intersoggettiva. Ed infatti, le segnalate caratteristiche<br />
costitutive importano <strong>un</strong>a netta distinzione<br />
delle controparti in bonis (ad <strong>un</strong> tempo, creditori<br />
del debitore in procedura di <strong>un</strong>a frazione di presta-<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
zione, anteriore all’ammissione ad essa e suoi debitori<br />
dell’adempimento della propria, non interamente<br />
compiuta) dai creditori anteriori tout court<br />
(esclusivamente titolari di <strong>un</strong> diritto di credito cristallizzato,<br />
fondato su causa anteriore all’ammissione<br />
alla procedura): sicché, soltanto questi ultimi<br />
destinatari, per coerenza con il discrimine segnalato,<br />
del divieto (di coltivare azioni esecutive individuali)<br />
posto dall’art. 168 l.fall.<br />
Per questa ragione, i rapporti giuridici preesistenti<br />
pongono delicate questioni di ‘‘equilibrio economico’’<br />
e di compatibilità con le regole della concorsualità,<br />
da cui (fino ad oggi) hanno mantenuto <strong>un</strong><br />
Note:<br />
(1) La caratteristica di bilaterale inesecuzione deve intendersi in<br />
riferimento alle prestazioni principali e non anche a quelle marginali.<br />
Così, in particolare, é stato ritenuto sufficiente all’integrazione<br />
di <strong>un</strong> contratto di compravendita (Cass. 30 maggio 1983,<br />
n. 3708, in questa Rivista, 1983, 1384) l’avvenuto trasferimento<br />
della proprietà e del possesso, non rilevando la consegna del<br />
documento relativo al diritto e neppure la riproduzione del contratto<br />
in <strong>un</strong> atto pubblico.<br />
(2) In tale senso anche la Relazione alla legge fallimentare n. 18,<br />
secondo cui si é in presenza di contratti che «pur essendo perfezionati<br />
prima della dichiarazione di fallimento, non hanno avuto<br />
la loro piena esecuzione da entrambe le parti, perché la semplice<br />
esecuzione <strong>un</strong>ilaterale si risolve in <strong>un</strong> credito verso l’altra e<br />
i crediti si fanno valere secondo le norme proprie del fallimento».<br />
Il Fallimento 3/2013 261
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
significativo spazio di autonomia, che a ragione ne<br />
ha giustificato la collocazione extraconcorsuale (3).<br />
1.1. La regola di trattamento<br />
nella liquidazione e nella continuità<br />
di impresa<br />
La regola di trattamento dei rapporti giuridici pendenti<br />
differisce radicalmente nelle ipotesi di soluzione<br />
della crisi di impresa nel senso della sua liquidazione<br />
ovvero della prosecuzione della sua attività.<br />
Nella prima, paradigmaticamente rappresentata dalla<br />
procedura fallimentare, la regola di disciplina è,<br />
in linea generale, quella di sospensione, in attesa<br />
della determinazione, di subingresso nel rapporto o<br />
di scioglimento da esso, del curatore (art. 72 l.fall.),<br />
sulla base di <strong>un</strong>a valutazione di opport<strong>un</strong>ità economica,<br />
coerente con il rispetto delle ragioni di tutela<br />
del ceto creditorio e di protezione del patrimonio,<br />
cristallizzato.<br />
Come si comprende, si tratta di <strong>un</strong>a regola di liquidazione,<br />
che comporta il necessitato abbandono<br />
dell’ordinaria disciplina civilistica, retta dai principi<br />
di autonomia privata e dal diritto dei contratti, in<br />
favore di <strong>un</strong>a procedurale, protettiva dell’insolvenza<br />
accertata: bene allora essa può essere designata come<br />
regola giuridica di procedura.<br />
Nell’ipotesi di continuazione dell’attività di impresa,<br />
la disciplina dei rapporti pendenti è, al contrario,<br />
quella della loro prosecuzione tendenziale, come<br />
avviene (ai sensi dell’art. 104, settimo comma<br />
l.fall.) in caso di esercizio provvisorio nel fallimento<br />
e (ai sensi dell’art. 50, secondo comma D.Lgs. n.<br />
270/99) nell’amministrazione straordinaria: salva la<br />
facoltà del curatore o del commissario straordinario<br />
di scioglimento od anche, per il primo, di mera sospensione.<br />
Essa appare coerente con la tutela, come d’ordinario,<br />
del contraente non insolvente ed è espressione<br />
di quella più generale di sicurezza giuridica dei traffici<br />
commerciali e degli scambi: sicché, per la sua<br />
modulazione in f<strong>un</strong>zione di <strong>un</strong> ordinato ed efficiente<br />
f<strong>un</strong>zionamento del mercato, può ben essere designata<br />
come regola economica di mercato.<br />
In questa alternativa prospettazione, il concordato<br />
preventivo pare inclinare, sotto <strong>un</strong> profilo squisitamente<br />
economico, verso la prima quando di natura<br />
liquidatoria e verso la seconda, quando di risanamento<br />
o di continuità, con la già segnalata necessità<br />
di qualche adattamento, qualora la previsione<br />
del piano concordatario sia inconciliabile con la<br />
prosecuzione tout court di tutti i rapporti pendenti<br />
(4), ora espressamente previsto per legge.<br />
1.2. La regola previgente di trattamento<br />
nel concordato preventivo<br />
Le riforme intervenute negli ultimi anni hanno potentemente<br />
innovato il concordato preventivo, sia<br />
nella struttura, più duttile e variamente modulabile,<br />
sia nella finalità. Ed infatti, esso è oggi essenzialmente<br />
concepito come strumento (5) di salvaguardia<br />
dell’attività imprenditoriale (going concern) edi<br />
maggiore efficienza della procedura, per la riserva di<br />
<strong>un</strong> maggiore spazio all’autonomia privata (6).<br />
E l’accentuazione della natura privatistica dell’istituto,<br />
secondo l’intenzione del legislatore di apprestare<br />
(con il consenso dei creditori in ogni caso in<br />
cui evitabile <strong>un</strong>a procedura liquidatoria) <strong>un</strong> mezzo<br />
idoneo all’equilibrato contemperamento delle contrapposte<br />
istanze di tutela dei creditori e di conservazione<br />
degli organismi produttivi (7), appare davvero<br />
indubitabile.<br />
La decisa apertura all’autonomia negoziale delle<br />
parti si rivela immediatamente dalla nuova configurazione<br />
della proposta. Non più rigidamente vincolata,<br />
come prima, alle modalità alternative del concordato<br />
garantito, per cessio bonorum o misto (con<br />
l’apporto di garanzie esterne, ossia di terzi, ad integrazione<br />
del secondo), oggi essa è infatti modulabile<br />
con <strong>un</strong>a straordinaria flessibilità, per offerta di stru-<br />
Note:<br />
(3) Per <strong>un</strong> approfondimento in proposito: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I<br />
rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori,<br />
Milano, 1999, 71 ss.; 83 ss.<br />
(4) Così: F. Finmanò, Gli effetti del concordato sui rapporti in<br />
corso di esecuzione, in questa Rivista, 2006, 1051.<br />
(5) Non più, secondo <strong>un</strong>’ottica tradizionale, essenzialmente<br />
preordinato ad <strong>un</strong>a più rapida liquidazione dell’attivo, meno penalizzante<br />
per l’imprenditore onesto, ma sfort<strong>un</strong>ato. Così, per<br />
tutti: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 145<br />
ss.<br />
(6) In tale senso, in particolare: P. Catallozzi, La falcidie concordataria<br />
dei creditori assistiti da prelazione, in questa Rivista,<br />
2008, 1009.<br />
(7) In tali termini si esprime in proposito la Relazione ministeriale<br />
al D.L. n. 35/2005. Ma anche la parte introduttiva della Relazione<br />
ministeriale al D.Lgs. n. 5/2006 può essere riferita, quanto<br />
agli obiettivi del legislatore (secondo quanto osservato, in particolare,<br />
da P.F. Censoni, Il concordato preventivo e la prospettiva<br />
della ricollocazione del patrimonio dell’impresa in crisi, in Dir.<br />
fall., 2008, I, 854), al D.L. n. 35/2005, laddove sottolinea la necessità<br />
di «<strong>un</strong>a maggiore sensibilità verso la conservazione delle<br />
componenti produttive dell’impresa» e di «<strong>un</strong>a nuova prospettiva<br />
di recupero delle capacità produttive dell’impresa, nelle<br />
quali non è più individuabile <strong>un</strong> esclusivo interesse dell’imprenditore<br />
... ma confluiscono interessi economici e sociali più ampi,<br />
che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento<br />
della crisi aziendale».<br />
L’obiettivo conservativo del valore di impresa è stato individuato<br />
come finalità generale della nuova disciplina anche da: A.M. Azzaro,<br />
Le f<strong>un</strong>zioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza,<br />
in questa Rivista, 2007, 745.<br />
262 Il Fallimento 3/2013
menti e di opport<strong>un</strong>ità, variabili dalle opzioni di carattere<br />
patrimoniale (con trasferimento di beni e di<br />
assets dell’impresa direttamente ai creditori o a terzi<br />
ass<strong>un</strong>tori) a quelle di carattere finanziario (con mera<br />
ristrutturazione dei debiti oppure costituzione di<br />
società od altre operazioni straordinarie, con emissione<br />
di azioni, di obbligazioni, o di altri strumenti<br />
finanziari) (8), secondo <strong>un</strong>a ricca articolazione di<br />
piani con modalità operative ad ampio spettro (con<br />
riguardo alla sistemazione del passivo, alle modalità<br />
di realizzo degli attivi patrimoniali, al trattamento<br />
dei creditori) (9): con individuazione di percorsi<br />
meramente esemplificativa, in ness<strong>un</strong> modo vincolante<br />
l’imprenditore (10).<br />
Il contenuto del piano si segnala anche per la possibilità<br />
di influenzare, mediante <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />
comportante <strong>un</strong>o spossessamento (seppure<br />
attenuato, come nel concordato preventivo), la<br />
struttura finanziaria e proprietaria dell’impresa societaria,<br />
mediante il compimento di operazioni<br />
straordinarie (11). Nella sua articolazione, al di<br />
fuori di schemi legali predefiniti, il proponente può<br />
allora optare per <strong>un</strong>a sua modulazione, secondo il<br />
più tradizionale (e prevalente, nella prassi operativa)<br />
modello liquidatorio, essenzialmente nella forma<br />
della cessio bonorum, eventualmente anche assistita<br />
dall’adozione di <strong>un</strong> trust (12), ovvero di risanamento<br />
o di continuità aziendale, mediante prosecuzione<br />
dell’attività d’impresa (13).<br />
Ebbene, fino ad oggi l’assenza, nel concordato preventivo,<br />
di <strong>un</strong>a disciplina specifica dei rapporti giuridici<br />
preesistenti (sull’essenziale rilievo del mancato<br />
richiamo dall’art. 169 degli artt. 72 ss. l.fall., regolanti<br />
invece tali rapporti nel fallimento, accanto<br />
ad <strong>un</strong>a ragione sistematica, fondata sulla finalità<br />
tendenziale del concordato preventivo di maggiore<br />
valorizzazione dell’esercizio dell’impresa, coerente<br />
con <strong>un</strong>’esigenza di regolare prosecuzione dei rapporti<br />
pendenti, diversa dalla finalità liquidatoria della<br />
procedura fallimentare), ha indotto a ritenere le<br />
suddette disposizioni inapplicabili ad essi, pertanto<br />
regolati dal diritto com<strong>un</strong>e: con la ravvisata prosecuzione<br />
in capo al debitore, nell’esigenza di regolare<br />
adempimento (14), senza necessità di autorizzazione<br />
alc<strong>un</strong>a, in coerenza con la continuazione dell’attività<br />
di impresa e della sua gestione, sia pure vigilata,<br />
da parte del debitore medesimo (15).<br />
Una tale regolamentazione conferma(va), d’altro<br />
canto, l’indisgi<strong>un</strong>gibile collegamento nel concordato<br />
preventivo tra attività di impresa ed inerenti<br />
rapporti giuridici pendenti. La prima si risolve, infatti,<br />
nel compimento di <strong>un</strong>a serie di operazioni<br />
economiche e commerciali, coordinate dalla comu-<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
ne finalità di produzione di beni e servizi a fini di<br />
lucro: sicché l’imprenditore, che versi in tale condizione,<br />
ne assume coerentemente, in virtù della<br />
continuità di adempimento (per <strong>un</strong> nesso tecnicoeconomico,<br />
prima ancora che giuridico), ad <strong>un</strong><br />
Note:<br />
(8) Per <strong>un</strong>a critica ed argomentata illustrazione del contenuto<br />
della nuova proposta di concordato, anche per l’ampiezza dei riferimenti:<br />
L. Mandrioli, Art. 160 (ricostruzione giuridico-aziendalistica),<br />
in M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teoricopratico,<br />
Padova, 2011, 1745.<br />
(9) Per <strong>un</strong>’indicazione del ventaglio dei possibili piani concordatari<br />
e per la loro suddivisione: G. Brugger, Art. 160. Profili aziendali,<br />
in A. Jorio, M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna,<br />
2010, 2315.<br />
(10) In tale senso, in particolare: S. Pacchi La domanda di ammissione<br />
alla procedura, in ead., Il nuovo concordato preventivo,<br />
Milano, 2005, 90; M. Caffi, Il concordato preventivo, in G. Schiano<br />
Di Pepe, Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 614.<br />
(11) Così: D. Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione,<br />
in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1213.<br />
(12) In tale senso, per il nuovo assetto del concordato, più privatisticamente<br />
connotato: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo<br />
ed il trust, in questa Rivista, 2007, 251. Lo strumento era peraltro<br />
adottato anche sotto la previgente disciplina, sia pure eccezionalmente<br />
quale mezzo alternativo alla prestazione di <strong>un</strong>a garanzia<br />
reale, in quanto costitutivo di <strong>un</strong> vincolo di destinazione<br />
realizzato dal trustee: Trib. Parma 3 marzo 2005, in questa Rivista,<br />
2005, 553.<br />
(13) Peraltro, essa è stata ritenuta compatibile anche con la cessione<br />
dei beni ai creditori, sia pure in <strong>un</strong>a forma atipica, con riserva<br />
della materiale disponibilità dei beni aziendali alla società<br />
proponente per la continuazione dell’attività commerciale, a fini<br />
satisfattivi dei creditori e dismissione anticipata dei cespiti inessenziali,<br />
da Trib. Palermo 18 maggio 2007, decr., in questa Rivista,<br />
2008, 75.<br />
(14) Per <strong>un</strong>’esauriente rassegna degli orientamenti al riguardo in<br />
dottrina ed in giurisprudenza, con particolare riferimento alla legge<br />
fallimentare non riformata: G. Lo Cascio, Il concordato preventivo,<br />
cit., 437 ss.<br />
In tale senso, anche dopo la riforma: A. Patti, La disciplina nei<br />
rapporti giuridici preesistenti nel nuovo concordato preventivo,<br />
in questa Rivista, 2010, 261 ss.; G.B. Nardecchia, Gli effetti del<br />
concordato preventivo sui creditori, Milano, 2011, 137. Pure nel<br />
senso indiretto dell’insensibilità dei rapporti giuridici preesistenti<br />
alla procedura: Cass., Sez. Un., 27 luglio 2004, n. 14083, in Foro<br />
it., 2005, I, 136, in materia di esperibilità del diritto di prelazione<br />
convenzionale anche in fase di esecuzione del concordato preventivo.<br />
In senso critico invece: P.F. Censoni, Art. 168, in A. Jorio, M.<br />
Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, cit., 2422 ss.<br />
(15) Per <strong>un</strong>a dimostrazione argomentata dell’affermazione: A.<br />
Patti, Il trattamento dei rapporti pendenti nel concordato preventivo,<br />
in M. Fabiani, A. Guiotto, Il ruolo del professionista nei risanamenti<br />
aziendali, Torino, 2012, 266.<br />
La conclusione deve tuttavia essere più rigorosamente modulata,<br />
per la necessaria distinzione tra contratti ad esecuzione istantanea<br />
e ad esecuzione periodica, ai fini del trattamento delle<br />
prestazioni anteriori inadempiute, con preliminare richiamo della<br />
delimitazione dell’estensione applicativa del divieto di azioni<br />
esecutive individuali, posto dall’art. 168, primo comma l. fall., da<br />
cui tratto il divieto di spontaneo pagamento delle prestazioni anteriori<br />
alla data di presentazione del ricorso. Per maggiori riferimenti:<br />
A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle<br />
procedure concorsuali minori, cit., 82.<br />
Il Fallimento 3/2013 263
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
tempo il rischio economico e la responsabilità giuridica.<br />
Ma occorre anche dire che <strong>un</strong>a tale soluzione crea(va)<br />
seri inconvenienti alla riorganizzazione dell’impresa,<br />
per gli oneri comportati, incidenti in misura<br />
rilevante sulla realizzazione del piano.<br />
Ed infatti, la ritenuta sottrazione dell’adempimento<br />
dei rapporti giuridici preesistenti al sindacato autorizzatorio<br />
del giudice delegato, per estraneità all’ambito<br />
applicativo dell’art. 167 l.fall., attrae di necessità<br />
il momento valutativo di siffatta incidenza nella<br />
fase di ammissione della proposta (16).<br />
Quanto alla valutazione, a differenza che nel fallimento<br />
(in cui ogni rapporto singolarmente valutato,<br />
per delibarne la convenienza tra mantenimento,<br />
con subentro in esso, ovvero resiliazione, per<br />
scioglimento da esso), essa mi pare debba qui investire<br />
i rapporti pendenti nel loro complesso (con<br />
esigenza di p<strong>un</strong>tuale ed esauriente rappresentazione<br />
dal proponente ed in esito ad attento esame<br />
comparativo tra debiti e crediti a breve termine,<br />
sintomaticamente espressivi di impegni negoziali<br />
in corso di bilaterale esecuzione) ed essere pertanto<br />
di natura sintetica, per così dire, di programma,<br />
nella vigenza dell’esercizio di impresa ed in f<strong>un</strong>zione<br />
di tutela della garanzia patrimoniale per i creditori<br />
concorsuali. Essa risulta altresì coerente con la<br />
centralità del piano, introdotta dalla riforma fallimentare<br />
a fondamento della proposta concordataria,<br />
dotato di <strong>un</strong>a propria autonomia strutturale e<br />
f<strong>un</strong>zionale e flessibilmente modulato sulle previsioni<br />
del novellato art. 160, primo comma, lett.<br />
a), b), c), d) (oraanche:e) l.fall.: sicché, lavalutazione<br />
di incidenza deve essere operata sulla fattibilità<br />
di tale piano, nel quale i rapporti pendenti devono<br />
pertanto essere specificamente e dettagliatamente<br />
indicati.<br />
In questa prospettiva, per così dire, di ‘‘collocazione<br />
rilevante’’, si registra(va) qualche significativa convergenza<br />
(17), sia pure ritenuta possibile da tal<strong>un</strong>o<br />
la prosecuzione o meno di rapporti giuridici pendenti<br />
in base ad <strong>un</strong>a previsione del piano, così da escluderne<br />
la prosecuzione, in quanto eventualmente<br />
pregiudizievoli della sua attuazione ab origine (18).<br />
Ma <strong>un</strong>a tale conclusione davvero, a mio avviso, incompatibile<br />
con la disciplina fino ad oggi vigente,<br />
in cui concepibile esclusivamente <strong>un</strong>o spazio di negozialità<br />
(vuoi di rinegoziazione delle condizioni<br />
contrattuali, quanto ad entità, modalità e termini<br />
delle prestazioni; vuoi di cessione del contratto<br />
pendente, vuoi di risoluzione consensuale del rapporto;<br />
vuoi di transazione, con eventuale ass<strong>un</strong>zione<br />
di oneri da parte di terzi interessati), in <strong>un</strong> coin-<br />
volgimento attivo e responsabile del contraente in<br />
bonis, nella fase di predisposizione del piano, indipendentemente<br />
dalla tipologia di concordato.<br />
2. La nuova disciplina e l’esigenza<br />
di <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di equilibrio tra interessi<br />
contrastanti<br />
Con l’art. 33, primo comma, lett. d) D.L. 22 giugno<br />
2012, n. 83 (conv. con mod. dalla L. 7 agosto<br />
2012, n. 134), il legislatore ha introdotto <strong>un</strong>a disciplina<br />
dei contratti in corso di esecuzione (come recita<br />
la rubrica dell’art. 169 bis) nel concordato preventivo.<br />
Ed essa pone, come sempre, l’esigenza delicata di<br />
individuare <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di equilibrio tra gli interessi,<br />
tra loro confliggenti (quanto meno, quelli dei primi<br />
due soggetti con quello del terzo), del debitore (di<br />
realizzare il piano concordatario senza il vincolo dei<br />
contratti pendenti), dei creditori concorsuali (di<br />
non subire i costi di prosecuzione dei contratti) e<br />
del contraente in bonis (alla regolare esecuzione del<br />
contratto).<br />
In questa prospettiva, la disciplina riformata suscita<br />
anche nuovi e delicati interrogativi, cui occorre dare<br />
spazio, lasciando che <strong>un</strong>a loro migliore sedimentazione<br />
nella riflessione giuridica e nell’interpretazione<br />
giurisprudenziale produca soluzioni condivise.<br />
2.1. I profili sostanziali<br />
2.1.1. Il regime di trattamento dei rapporti<br />
Con la previsione della facoltà del debitore, nel ricorso<br />
ai sensi dell’art. 161 l.fall. (su debita autorizzazione<br />
del trib<strong>un</strong>ale o, dopo il decreto di ammissione,<br />
del giudice delegato), di scioglimento dai<br />
contratti in corso di esecuzione alla data di presentazione<br />
dello stesso o, sempre su sua richiesta, di sospensione<br />
(per non più di sessanta giorni, prorogabili<br />
<strong>un</strong>a sola volta), il legislatore conferma la rego-<br />
Note:<br />
(16) In tale senso, anche: Cass. 10 marzo 1995, n. 2802, in questa<br />
Rivista, 1995, 1045, che parimenti esclude la pertinenza dell’autorizzazione<br />
prevista dall’art. 167, secondo comma l. fall. per<br />
i rapporti in esame. Pure per l’obbligo del debitore di indicazione<br />
dell’esistenza del rapporto pendente (nel caso di specie: contratto<br />
preliminare di vendita) nella proposta, così da consentire<br />
<strong>un</strong>a valutazione corretta della convenienza: Cass. 18 marzo<br />
2002, n. 3022, ivi, 2002, 734.<br />
(17) Così, in particolare: M. Fabiani, La sorte del contratto preliminare<br />
di compravendita nel concordato preventivo alla luce della<br />
Riforma, in questa Rivista, 769; F. Finmanò, Gli effetti del<br />
concordato sui rapporti in corso di esecuzione, cit., 1053.<br />
(18) In tale senso: F. Finmanò, Gli effetti del concordato sui rapporti<br />
in corso di esecuzione, cit., 1054.<br />
264 Il Fallimento 3/2013
la, com<strong>un</strong>emente ritenuta in via interpretativa, di<br />
ordinaria prosecuzione dei rapporti pendenti.<br />
Ciò si ricava, infatti, dall’introduzione delle suddette<br />
facoltà, da individuare, anche per la necessità di<br />
loro specifica autorizzazione (al contrario dell’ipotesi<br />
di continuazione dei rapporti, come sopra indicato)<br />
(19), quali deroghe consentite alla regola, app<strong>un</strong>to,<br />
di prosecuzione.<br />
Appare evidente, al contrario che nel fallimento<br />
per il quale il legislatore ha stabilito <strong>un</strong>a regolamentazione<br />
più sistematica e peculiarmente propria<br />
della procedura concorsuale (20), l’assenza di <strong>un</strong>a<br />
disciplina predeterminata: al di là, infatti, della facoltà,<br />
rimessa al debitore sia pure debitamente<br />
autorizzata, di scioglimento ovvero di sospensione,<br />
ness<strong>un</strong>a regola è stabilita in linea generale (se non,<br />
come detto, quella di diritto com<strong>un</strong>e), né per determinati<br />
contratti o tipi di contratti.<br />
Sicché, in riferimento al caso di sospensione autorizzata<br />
del rapporto (nei limiti temporali suindicati),<br />
il difetto di <strong>un</strong>’espressa previsione della sua evoluzione<br />
successiva (diversamente che nel fallimento,<br />
in cui la disciplina stabilita dall’art. 72, primo e<br />
secondo comma l.fall. essa rimette alla determinazione<br />
di subentro ovvero di scioglimento del curatore,<br />
anche sull’eventuale costituzione in mora del<br />
contraente in bonis), induce a ritenere la verosimile<br />
prosecuzione del rapporto, salva richiesta del suo<br />
scioglimento.<br />
La domanda del debitore non può, a mio avviso,<br />
essere generica o riguardare indiscriminatamente<br />
tutti i contratti in corso, ma specifica, con indicazione<br />
p<strong>un</strong>tuale dei contratti oggetto di autorizzazione<br />
(allo scioglimento o alla sospensione) e delle ragioni<br />
giustificatrici, nell’ottica del piano di concordato<br />
e della sua migliore fattibilità.<br />
Il terzo comma dell’articolo in esame esclude poi<br />
l’estensione dello scioglimento del contratto alla<br />
clausola compromissoria in esso contenuta: al contrario<br />
di quanto invece prevede nel fallimento, in<br />
riferimento alla clausola arbitrale, l’art. 83 bis<br />
l.fall. (21).<br />
La ratio appare quella di rispetto della volontà delle<br />
parti, in ordine alla scelta di definizione della controversia,<br />
a conferma, se si vuole, di <strong>un</strong>a rigorosa limitazione<br />
della deroga al principio di prosecuzione.<br />
L’esplicito riferimento ad alc<strong>un</strong>i contratti è, in realtà,<br />
contenuto nell’ultimo comma dell’art. 169 bis:<br />
per la previsione di sua inapplicabilità ai rapporti di<br />
lavoro subordinato, ai contratti preliminari trascritti<br />
di immobili a destinazione abitativa principale (art.<br />
72, ottavo comma l.fall.), ai finanziamenti destinati<br />
ad <strong>un</strong>o specifico affare (art. 72 ter l.fall.), al con-<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
tratto di locazione di immobili in caso di locatore<br />
in procedura (art. 80, primo comma l.fall.).<br />
Anche qui viene da chiedersi quale ne sia la ratio<br />
ispiratrice: certamente non recuperabile <strong>un</strong>a giustificazione<br />
sistematica com<strong>un</strong>e, tanto meno riconducibile<br />
ad <strong>un</strong>a ragione di conservazione o di valorizzazione<br />
dell’impresa.<br />
Per tre ipotesi (quelle del lavoratore, del promissario<br />
acquirente ‘‘trascritto per destinazione abitativa’’,<br />
del conduttore) sembrerebbe di tutela del contraente<br />
debole: ma francamente essa appare distonica<br />
(in assenza di <strong>un</strong>a ragione forte, di deroga coerente<br />
a ragioni non settoriali) rispetto alla scelta legislativa<br />
di collocazione del ‘‘baricentro’’ di governo<br />
dei rapporti pendenti in capo al debitore. D’altro<br />
canto, la previsione è sintomaticamente rivelativa<br />
di quel difficile raggi<strong>un</strong>gimento di <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di<br />
equilibrio tra interessi confliggenti sopra illustrato.<br />
Per i finanziamenti destinati, l’inderogabilità della<br />
regola di prosecuzione risponde, a mio avviso, più<br />
coerentemente al principio di tutela del valore di<br />
impresa, per la garanzia del mantenimento di<br />
<strong>un</strong>’autonomia propria all’operazione imprenditoriale<br />
finanziata dal terzo, con rimborso mediante i proventi<br />
dell’affare e loro conseguente segregazione patrimoniale,<br />
a norma degli artt. 2447 bis, primo comma,<br />
lett. b) e 2447 decies c.c.<br />
2.1.2. Il contraente in bonis e la sua tutela<br />
Il secondo comma dell’art. 169 bis regola quindi la<br />
condizione del contraente in bonis, nei casi di autorizzazione<br />
della sua controparte in (procinto di)<br />
procedura allo scioglimento o alla sospensione del<br />
rapporto.<br />
Per <strong>un</strong>a visione più organica della sua posizione,<br />
Note:<br />
(19) In questo senso, anche: Trib. Terni 12 ottobre 2012, in questa<br />
Rivista, 2013, 99, tra i primi provvedimenti successivi alla riforma,<br />
che reputa costituire regola la continuazione dei contratti<br />
in corso, non esigente, siccome attività di ordinaria amministrazione,<br />
l’autorizzazione prevista dall’art. 167 l. fall.<br />
(20) Per riferimenti in proposito, tra gli altri: G.N. Nardo, Art. 72,<br />
in M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico,<br />
cit., 830; A. Jorio, I rapporti giuridici pendenti, in S. Ambrosini,<br />
G. Cavalli, A. Jorio, Il fallimento, inTratt. Cottino, XI, 2, Padova,<br />
2009, 470; A. Dim<strong>un</strong>do, Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti,<br />
in G. Schiano Di Pepe, Il diritto fallimentare riformato,<br />
cit., 210; L. Guglielmucci, Art. 72, in A. Jorio, M. Fabiani, Il nuovo<br />
diritto fallimentare, cit., 1116; G. Lo Cascio, Il fallimento e le<br />
altre procedure concorsuali, Milano, 2007, 477; A. Patti, I rapporti<br />
giuridici preesistenti nella prospettiva della liquidazione fallimentare,<br />
in questa Rivista, 2006, 875.<br />
(21) Esso recita, infatti: «Se il contratto in cui è contenuta <strong>un</strong>a<br />
clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni<br />
della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non<br />
può essere proseguito».<br />
Il Fallimento 3/2013 265
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
anche ai fini delle sue possibilità di tutela, appare<br />
opport<strong>un</strong>a <strong>un</strong>a distinzione tra le varie ipotesi di<br />
prosecuzione, scioglimento o sospensione del contratto.<br />
Nel primo caso, il contraente in bonis può agire, nei<br />
confronti della sua controparte che non provveda<br />
spontaneamente alle prestazioni, anche anteriori all’ammissione<br />
al concordato preventivo, cui sia tenuta<br />
per sinallagma (f<strong>un</strong>zionale) del contratto pendente,<br />
con azione di adempimento, in applicazione,<br />
come detto, degli ordinari principi di diritto com<strong>un</strong>e.<br />
Ed <strong>un</strong>a tale iniziativa egli mantiene anche qualora<br />
il debitore in concordato preventivo (e a maggior<br />
ragione, prima dell’ammissione ad esso), se ne<br />
sciolga per iniziativa <strong>un</strong>ilaterale non autorizzata.<br />
Sempre in applicazione dei principi com<strong>un</strong>i, il primo<br />
può quindi opporre al secondo, perché inadempiente<br />
o perché divenuto insolvente, l’eccezione di inadempimento<br />
od avvalersi della facoltà di sospensione<br />
della propria prestazione: così ricorrendo a quei mezzi<br />
di autotutela aventi natura di eccezioni dilatorie<br />
di diritto sostanziale, volte alla conservazione del<br />
rapporto e dell’equilibrio di interessi tra le parti.<br />
Se, infatti, la disciplina applicabile ai rapporti giuridici<br />
preesistenti nel concordato preventivo è ispirata<br />
ai principi di diritto com<strong>un</strong>e, la tutela del contraente<br />
non insolvente prevale su quella dell’insolvente:<br />
qui non giustificandosi la sovraordinazione,<br />
come invece nel fallimento, degli interessi della<br />
massa dei creditori. Ma la modulazione di <strong>un</strong>a tale<br />
tutela deve essere opport<strong>un</strong>amente correlata alla<br />
natura del contratto, ridondando sul rispetto, ovvero<br />
la violazione, del canone di buona fede.<br />
Orbene, l’eccezione di inadempimento si fonda sul<br />
presupposto della corrispettività tra le prestazioni<br />
ed esige le condizioni dell’inadempimento (o della<br />
mancata offerta di prestazione) della controparte,<br />
della contemporaneità delle prestazioni e della buona<br />
fede dell’eccipiente, potendo essere opposta a<br />
fronte di <strong>un</strong> comportamento attuale della controparte<br />
medesima, che già comprometta la regolare<br />
attuazione del rapporto obbligatorio (22).<br />
Essa non presuppone l’imputabilità dell’inadempimento,<br />
sicché è ben ammissibile nei contratti pendenti<br />
ad esecuzione istantanea, per i quali non vige<br />
(come invece per i contratti di durata) il principio<br />
di scindibilità delle prestazioni anteriori da quelle<br />
successive al concordato preventivo (23). E ciò ne<br />
consente app<strong>un</strong>to l’opponibilità dal contraente in<br />
bonis, nel caso di rifiuto dal contraente in procedura<br />
del regolare pagamento di prestazioni anteriori ineseguite,<br />
senza violazione del principio di concorsualità<br />
posto dall’art. 168 l.fall. Ma altrettanto non è possi-<br />
bile nel caso di inadempimento di prestazioni anteriori<br />
nei contratti di durata, per l’illegittimità dell’eccezione,<br />
in quanto non di buona fede, perché in<br />
contrasto qui, per la scindibilità delle prestazioni,<br />
con il principio di concorsualità, sicché il contraente<br />
in procedura può ben agire nei confronti del contraente<br />
in bonis, che per tale ragione rifiuti la propria<br />
prestazione a norma dell’art. 1460 c.c., per l’adempimento<br />
ovvero la risoluzione del contratto (24).<br />
Note:<br />
(22) Per <strong>un</strong> approfondimento in proposito: L. Bigliazzi Geri Risoluzione<br />
per inadempimento (artt. 1460 - 1462), in F. Galgano<br />
Commentario del codice civile Scialoja - Branca, Bologna - Roma,<br />
1988, 1 ss.<br />
(23) Il fondamentale discrimine tra le due categorie di contratti<br />
suindicate è rappresentato dalla individuazione della diversa f<strong>un</strong>zione<br />
in esse rispettivamente assolta dal tempo: tendenzialmente<br />
indifferente rispetto alla prestazione dedotta in obbligazione,<br />
nei contratti ad esecuzione istantanea (come nella vendita a consegne<br />
ripartite, in cui <strong>un</strong>ica è la prestazione, soltanto frazionata<br />
nel tempo), sicché in essi la durata appare priva di <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione<br />
autonoma, essendo piuttosto finalizzata al perseguimento dello<br />
scopo, per cui il fattore cronologico rileva esclusivamente come<br />
termine di adempimento; al contrario, nota individuatrice della<br />
prestazione nei contratti ad esecuzione periodica (come, in particolare,<br />
nella somministrazione e nella locazione), per cui l’obbligazione<br />
è estinta non già dall’adempimento, ma dal decorso del<br />
tempo (che assolve nell’<strong>un</strong>ità periodica alla soddisfazione di bisogni<br />
in essa ripetuti), <strong>un</strong>ico essendo il sinallagma genetico ma plurimi<br />
i sinallagma f<strong>un</strong>zionali, per l’instaurazione di <strong>un</strong> rapporto di<br />
corrispondenza tra singoli periodi di esecuzione della prestazione<br />
continuativa e singole rate di corrispettivo (al riguardo si rinvia allo<br />
studio fondamentale di G. Oppo, I contratti di durata, inRiv.<br />
dir. comm., 1943, I, 143, ora anche in id., Obbligazioni e negozio<br />
giuridico - Scritti giuridici, III, Padova, 1992, 200 ss.).<br />
Da <strong>un</strong>a tale distinzione discendono evidentemente significative<br />
conseguenze applicative, principalmente riconducibili alla scindibilità<br />
delle prestazioni (per il nesso tra loro di equilibrata corrispettività<br />
sinallagmatica, c.d. ‘‘a coppie’’) nei contratti di durata, con la<br />
coerente applicazione del divieto posto dall’art. 168 della l. fall. alle<br />
prestazioni anteriori ineseguite, soggette alla falcidia concordataria,<br />
nel rispetto del principio di concorsualità (con esso riconciliato,<br />
sotto tale profilo, il regime dei rapporti pendenti); scindibilità<br />
invece non praticabile nei contratti ad esecuzione istantanea, nei<br />
quali, come detto, l’adempimento è <strong>un</strong>ico, con <strong>un</strong>icità del sinallagma<br />
(oltre che genetico, anche) f<strong>un</strong>zionale, sicché le prestazioni<br />
non sono tra loro separabili, se non spezzando artificialmente le<br />
fasi esecutive di <strong>un</strong>a medesima prestazione, con mutilazione di<br />
<strong>un</strong> rapporto <strong>un</strong>itario: sicché per essi non vige il divieto dell’art.<br />
168 ed il pagamento delle prestazioni anteriori deve avvenire regolarmente,<br />
senza necessità di autorizzazione ai sensi dell’art.<br />
167 della l. fall., per la natura ordinaria del pagamento di <strong>un</strong> debito<br />
pregresso. Per <strong>un</strong>a più articolata dimostrazione dei vari passaggi<br />
argomentativi, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti giuridici<br />
preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit., 89 ss.<br />
(24) Senza necessità, si ritiene, di autorizzazione ai sensi dell’art.<br />
167, secondo comma l. fall., per la doverosità dell’iniziativa, a tutela<br />
specifica (satisfattoria ovvero restitutoria o ripristinatoria)<br />
del proprio diritto: ciò in quanto l’esercizio della tutela giurisdizionale<br />
relativa ad <strong>un</strong> rapporto pendente costituisce atto di ordinaria<br />
amministrazione, siccome non modificativo della struttura<br />
quali-quantitativa del patrimonio assoggettato, ma inteso al<br />
mantenimento della sua coerenza con gli obiettivi negoziali programmati<br />
ovvero alla sua ricostituzione nella composizione precedente<br />
alla conclusione del contratto, senza l’ass<strong>un</strong>zione di rischi<br />
anomali.<br />
266 Il Fallimento 3/2013
La facoltà di sospensione prevista dall’art. 1461 c.c.<br />
costituisce, invece, la reazione ad <strong>un</strong> dato di fatto,<br />
negativamente incidente sulle condizioni patrimoniali<br />
della controparte contrattuale e che integra<br />
<strong>un</strong>a situazione di pericolo per l’attuazione del rapporto<br />
obbligatorio. Il mutamento in pejus delle condizioni<br />
patrimoniali, in quanto app<strong>un</strong>to consistente in<br />
<strong>un</strong>a situazione di pericolo, rende soltanto più problematico<br />
ed incerto il perseguimento della controprestazione,<br />
a differenza dell’insolvenza, alla base della<br />
decadenza prevista dall’art. 1186 c.c., invece comportante<br />
l’immediata attuazione del rapporto (25).<br />
Ebbene, a fronte della facoltà di sospensione in parola<br />
(ben esercitabile dal contraente in bonis nei<br />
confronti del contraente in procedura), quest’ultimo,<br />
qualora ritenga opport<strong>un</strong>o il mantenimento del<br />
rapporto, può attuare anticipatamente la propria<br />
prestazione o prestare <strong>un</strong>’adeguata garanzia (anche<br />
qui, senza necessità dell’autorizzazione stabilita dall’art.<br />
167, secondo comma l.fall.) (26).<br />
Qualora poi l’inadempimento della controparte in<br />
procedura assuma gravità tale da giustificare la risoluzione<br />
contrattuale, il contraente in bonis ben potrà<br />
esperirla, sia pure con le avvertenze appena illustrate.<br />
Se, infatti, esso sia precedente all’ammissione, il<br />
predetto può agire per la risoluzione contrattuale<br />
nei confronti del primo, soltanto in relazione a<br />
contratti ad esecuzione istantanea, non anche di<br />
durata, per i quali ultimi (per la già rappresentata<br />
scindibilità delle prestazioni) il principio di concorsualità<br />
prevale sul vincolo di sinallagmaticità.<br />
Le relative conseguenze restitutorie e risarcitorie devono<br />
quindi essere regolate al di fuori del concorso,<br />
per la formazione del titolo (extracontrattuale, in<br />
quanto indebito oggettivo) in epoca successiva all’apertura<br />
del concordato preventivo (pertanto eccedente<br />
l’ambito applicativo dell’art. 168 l.fall.), con<br />
possibilità di compensazione, ricorrendone i presupposti,<br />
delle reciproche partite e pari regolazione extraconcorsuale<br />
dell’eventuale differenza (27).<br />
Analogamente, il contraente in procedura può proporre<br />
azione di risoluzione nei confronti del contraente<br />
in bonis, senza necessità di autorizzazione ai<br />
sensi dell’art. 167, secondo comma l.fall., attesa la<br />
natura di atto di ordinaria amministrazione dell’esercizio<br />
della tutela giurisdizionale relativa ad <strong>un</strong><br />
rapporto pendente (28).<br />
Qualora, invece, l’inadempimento riguardi prestazioni<br />
successive all’apertura della procedura, non si<br />
pongono problemi per alc<strong>un</strong>a delle parti, per l’inconfigurabilità<br />
di violazioni del principio di concorsualità,<br />
regolante soltanto le obbligazioni anteriori.<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
Nel caso di scioglimento del contratto, l’art. 169<br />
bis, secondo comma l.fall. stabilisce che il contraente<br />
in bonis abbia «diritto ad <strong>un</strong> indennizzo equivalente<br />
al risarcimento del danno conseguente al<br />
mancato adempimento» e che «Tale credito» sia<br />
«soddisfatto come credito anteriore al concorso».<br />
La previsione, già anticipata in via interpretativa<br />
(29), suscita qualche interrogativo di natura<br />
procedimentale, ma soprattutto sostanziale.<br />
Sotto il primo profilo, appare legittimo chiedersi a<br />
chi spetti la determinazione dell’indennizzo, in assenza<br />
di <strong>un</strong>’esplicita previsione, in particolare in favore<br />
del giudice delegato (30).<br />
Mi pare che essa debba essere compiuta dal debitore,<br />
in accordo con il contraente in bonis, così declassato<br />
a rango di creditore concorsuale chirografario<br />
(31) (e pertanto votante), ai fini dell’individuazione<br />
del fabbisogno concordatario e dell’eventuale<br />
collocazione in <strong>un</strong>a classe, da sottoporre alla verifica<br />
del trib<strong>un</strong>ale (32). Nel caso di loro disaccordo,<br />
la determinazione dell’indennizzo non può che essere<br />
compiuta, in via provvisoria, ai detti fini, dal trib<strong>un</strong>ale<br />
fallimentare (o dal giudice delegato, qualora<br />
la richiesta di scioglimento successiva al provvedimento<br />
di ammissione), ma in via definitiva dal trib<strong>un</strong>ale,<br />
nell’ambito di <strong>un</strong> giudizio ordinario.<br />
Sotto il secondo profilo, ancora più urgente appare<br />
l’interrogativo in ordine a quale giustificazione possa<br />
essere data all’evidente disparità nel trattamento<br />
dei contraenti in bonis nei rapporti pendenti (degradati<br />
da <strong>un</strong> regime di extraconcorsualità ad <strong>un</strong>o di<br />
concorsualità, sia pure autorizzato dal giudice), in<br />
particolare nel concordato preventivo con conti-<br />
Note:<br />
(25) In proposito, anche per maggiori riferimenti, si rinvia ancora<br />
a: L. Bigliazzi Geri Risoluzione per inadempimento (artt. 1460 -<br />
1462), cit., 60 ss.<br />
(26) Per le stesse ragioni illustrate alla precedente nota 24.<br />
(27) Anche qui, per <strong>un</strong>a più articolata dimostrazione dei vari passaggi<br />
argomentativi, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A. Patti, I rapporti<br />
giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, cit.,<br />
109 ss.<br />
(28) E ciò sempre per le ragioni illustrate alla precedente nota<br />
24.<br />
(29) In tale senso: M. Fabiani, La sorte del contratto preliminare<br />
di compravendita nel concordato preventivo alla luce della Riforma,<br />
cit., 768 ss.<br />
(30) Come nei casi dell’affitto d’azienda e del contratto di locazione<br />
di immobili pendenti nel fallimento: artt. 79 e 80, secondo<br />
e terzo comma l. fall.<br />
(31) Detta qualità discende dall’autonomia del nuovo credito indennitario<br />
dalla prestazione contrattuale non proseguita, in esso<br />
convertita.<br />
(32) In tale senso si è espresso, tra i primi provvedimenti: Trib.<br />
Arezzo 4 ottobre 2012, ined.<br />
Il Fallimento 3/2013 267
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
nuità aziendale (per la vigenza in esso della stessa<br />
regola, a fronte del richiamo contenuto nell’art.<br />
186 bis, terzo comma l.fall.: «fermo quanto previsto<br />
nell’art. 169 bis»), rispetto a quello di crediti anteriori<br />
per prestazioni di beni o servizi, contenuta nell’art.<br />
182 quinquies, quarto comma l.fall., dei quali<br />
può, al contrario, essere autorizzato il pagamento:<br />
evidentemente in via extraconcorsuale, in deroga<br />
al principio posto dall’art. 168 l.fall.<br />
Ci si chiede, infatti, se giustificazione sufficiente alla<br />
trasformazione di crediti concorsuali in crediti da<br />
soddisfare in prededuzione, peraltro non nuova<br />
(33), possa essere costituita (sempre secondo la<br />
citata norma) dalla selezione discretiva della loro<br />
essenzialità per la prosecuzione dell’attività di impresa<br />
e della loro f<strong>un</strong>zionalità per la migliore soddisfazione<br />
dei creditori, attestata da <strong>un</strong> professionista<br />
qualificato, avente i requisiti prescritti dall’art. 67,<br />
terzo comma, lett. d).<br />
Nel caso, infine, di sospensione del contratto, ci si<br />
poterebbe chiedere, come in effetti si è fatto, se essa<br />
sia reciproca: se <strong>un</strong>a tale facoltà sia consentita anche<br />
al contraente in bonis.<br />
In <strong>un</strong>o dei primi, rapidi commenti, è stata ritenuta<br />
possibile, qualora la sua prestazione concretamente<br />
sospendibile (così operando <strong>un</strong>a distinzione tra<br />
contratti in cui ciò sia praticabile e contratti in cui<br />
non lo sia o non lo sia facilmente: ad esempio, per<br />
questi ultimi, di somministrazione di energia elettrica<br />
o di altri beni o servizi indispensabili), con il differimento<br />
del pagamento a detto contraente dopo<br />
la sospensione; in questo caso, senza interessi di<br />
mora, per l’esercizio dal debitore in (procinto di ovvero<br />
in) procedura di <strong>un</strong>a facoltà di legge, autorizzata<br />
dal giudice (34).<br />
A me pare che <strong>un</strong>a tale interpretazione rischi di vanificare<br />
la volontà del legislatore, che chiaramente riconosce,<br />
anche nell’ipotesi in esame (secondo l’incipit<br />
dell’art. 169 bis, secondo comma, immediatamente<br />
dopo la previsione di autorizzazione allo scioglimento<br />
o alla sospensione del contratto: «In tali casi ...»), il<br />
diritto del contraente in bonis ad <strong>un</strong> indennizzo, equivalente<br />
al risarcimento del danno conseguente al<br />
mancato (qui: tempestivo) adempimento, da soddisfare<br />
nel concorso dei creditori (anteriori).<br />
Sicché, si dovrebbe intendere che egli sia com<strong>un</strong>que<br />
tenuto al regolare adempimento della propria<br />
prestazione, nell’inconfigurabilità altrimenti di alc<strong>un</strong><br />
danno indennizzabile.<br />
2.2. I profili processuali<br />
Il nuovo regime di trattamento dei rapporti pen-<br />
denti suscita anche alc<strong>un</strong>i interrogativi di natura<br />
processuale.<br />
Il primo che emerge riguarda l’individuazione del<br />
momento di presentazione dell’istanza: se esso sia<br />
collocabile soltanto all’atto di proposizione del ricorso<br />
(come la lettera della norma suggerirebbe: «Il debitore<br />
nel ricorso ... può chiedere ...») ovvero anche<br />
nel corso della procedura (come potrebbe lasciare intendere<br />
il riferimento, come destinatario della richiesta,<br />
«dopo il decreto di ammissione», al giudice delegato)<br />
(35) ed eventualmente fino a quale momento.<br />
Ebbene, la risposta deve essere, a mio avviso, ricercata,<br />
piuttosto che nell’ambito di <strong>un</strong>’interpretazione<br />
letterale (attesa anche la sua rilevata equivocità),<br />
sotto <strong>un</strong> profilo sistematico, di legame del rapporto<br />
pendente con il piano e con la proposta, attesa l’evidente<br />
finalità della nuova normativa di agevolare<br />
la fattibilità del concordato.<br />
Occorre allora, nell’esercizio di <strong>un</strong>o scrutinio attento<br />
delle criticità ed onerosità di ogni contratto in<br />
corso, valutarne la concreta incidenza sul piano,<br />
saggiandone la coerente rispondenza agevolatrice o<br />
meno, tenuto conto della portata strategica o marginale<br />
o addirittura antieconomica del contratto in<br />
corso, secondo <strong>un</strong> apprezzamento, anche qui, di tendenziale<br />
essenzialità per la prosecuzione dell’attività<br />
di impresa e della f<strong>un</strong>zionalità per la migliore soddisfazione<br />
dei creditori (così ricavando dalla locuzione<br />
normativa dell’art. 182 quinquies, quarto comma<br />
l.fall. <strong>un</strong>a sorta di principio generale nella materia).<br />
Ma se questo è, davvero mi pare che il momento di<br />
collocazione della richiesta difficilmente possa essere<br />
individuato al di là del ricorso, in cui dovrebbe<br />
necessariamente essere contenuta, anche soltanto a<br />
livello previsionale: magari con <strong>un</strong>a modulazione<br />
temporale, per esigenze di tempistica di piano, in<br />
Note:<br />
(33) Basti qui ricordare, tra le altre, la previsione normativa di<br />
equiparazione di diritto ai crediti in prededuzione di quelli relativi<br />
all’acquisto di bietole, «ove il pagamento sia necessario per l’attuazione<br />
del programma ..., anche se sorti anteriormente all’inizio<br />
della procedura di amministrazione straordinaria» (art. 3, lett.<br />
a D.L. 12 agosto 1983, n. 371, conv. in L. 11 ottobre 1983, n.<br />
546). Od ancora quella riguardante i debiti delle imprese armatoriali<br />
in amministrazione straordinaria derivanti da rapporti di lavoro<br />
subordinato nonché nei confronti di soggetti stranieri «le cui<br />
azioni cautelari o esecutive ostacolino la continuazione dell’esercizio<br />
di impresa» (D.L. 28 aprile 1982, n. 185, conv. in L. 25 giugno<br />
1982, n. 381).<br />
(34) Così: B. Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato:<br />
l’art. 169-bis l. fall., inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti<br />
del 3 agosto 2012.<br />
(35) In tale senso: G.B. Nardecchia, Art. 169 bis, in G. Lo Cascio,<br />
Codice commentato del fallimento, II ed., Milano, 2013,<br />
2002.<br />
268 Il Fallimento 3/2013
<strong>un</strong> momento successivo all’apertura della procedura,<br />
così giustificando il riferimento all’autorizzazione<br />
del giudice delegato.<br />
Accanto all’interesse più squisitamente proprio del<br />
debitore e dei suoi creditori, non può essere neppure<br />
pretermessa (così recuperando <strong>un</strong>a corretta ricerca di<br />
equilibrio tra contrapposti interessi, come sopra segnalato)<br />
l’esigenza del contraente in bonis di trovare<br />
tempestiva collocazione nel ceto creditorio concorsuale<br />
(al cui rango ‘‘degradato’’, per effetto dell’autorizzato<br />
scioglimento del rapporto pendente), con<br />
eventuale sua collocazione in <strong>un</strong>a classe e possibilità<br />
di voto, in esito a sufficiente (anche in termini temporali)<br />
dotazione informativa, come tutti gli altri.<br />
Credo che, salve soltanto sopravvenute e sostanzialmente<br />
impreviste circostanze, sia (se non obbligatorio,<br />
quanto meno) opport<strong>un</strong>o che la determinazione<br />
in ordine ai rapporti pendenti venga ass<strong>un</strong>ta dal debitore<br />
fin da subito: riterrei com<strong>un</strong>que che essa non<br />
possa eccedere l’inizio delle operazioni di voto, fissato<br />
dall’art. 175, secondo comma l.fall. come termine<br />
di immodificabilità della proposta, per i verosimili riflessi<br />
di variazione sulla stessa dei rapporti pendenti.<br />
La richiesta del debitore deve poi ottenere l’autorizzazione<br />
del giudice (trib<strong>un</strong>ale o giudice delegato<br />
che sia), sicché il conseguente interrogativo che<br />
naturalmente si pone è di quale valutazione esso<br />
debba operare.<br />
Mi pare che, l<strong>un</strong>gi dal ritenerla <strong>un</strong>a «mera presa<br />
d’atto di <strong>un</strong> diritto potestativo del debitore» sul rilievo<br />
della mancanza di <strong>un</strong>’indicazione normativa<br />
di «<strong>un</strong> criterio in base al quale parametrare questo<br />
genere di autorizzazioni» (36), occorra seguire <strong>un</strong><br />
criterio di merito (37), anche qui ravvisabile nella<br />
migliore riuscita del concordato preventivo nell’interesse<br />
dei creditori (38).<br />
3. I contratti in corso nel concordato<br />
con continuità aziendale<br />
Particolare rilevanza assume il regime di trattamento<br />
dei rapporti pendenti nel concordato con continuità<br />
aziendale, già noto nella letteratura concorsuale e<br />
(talvolta) praticato nell’esperienza operativa, ora<br />
espressamente regolato dall’art. 186 bis l.fall. (39),<br />
avente natura di norma di fattispecie (40).<br />
3.1. Le ipotesi<br />
Le ipotesi specificamente previste dal suo primo<br />
comma ne contemplano l’alternativa modulazione<br />
(con possibilità di liquidazione di beni non f<strong>un</strong>zionali<br />
all’esercizio) per prosecuzione dell’attività di<br />
impresa dal parte del debitore, per cessione dell’a-<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
zienda in esercizio, ovvero per conferimento dell’azienda<br />
in esercizio in <strong>un</strong>a o più società, anche di<br />
nuova costituzione.<br />
Qualche argomentata perplessità è stata autorevolmente<br />
prospettata in ordine al caso, qualificato come<br />
‘‘di confine’’, dell’affitto d’azienda pendente, inteso<br />
come rilevante essenzialmente ai fini della prospettiva<br />
di ‘‘continuità contrattuale’’, ai sensi dell’art.<br />
186 bis, terzo e quarto comma l.fall., senz’altro<br />
ascrivibile alla fattispecie in esame se successivo alla<br />
domanda di concordato (41).<br />
A me pare tuttavia che, anche per l’affitto d’azienda<br />
anteriore e pertanto pendente al momento della<br />
domanda, si verta a pieno titolo nell’ipotesi di concordato<br />
con continuità. E ciò per la prosecuzione<br />
dell’attività imprenditoriale (che non cessa, essendo<br />
anzi presupposta dal divieto di concorrenza stabilito<br />
dall’art. 2557, quarto comma c.c., per l’affitto dell’azienda,<br />
che di regola comporta, nei rapporti con i<br />
terzi, il subentro dell’affittuario nella posizione del<br />
locatore) (42), secondo <strong>un</strong>a particolare disposizione<br />
del debitore (se si vuole, non diversa, salvo che<br />
nella modalità tecnica, dall’allocazione che della<br />
Note:<br />
(36) Così testualmente pare opinare, sia pure ricavata poi l’inopport<strong>un</strong>ità<br />
della prosecuzione del contratto (nel caso di specie: di<br />
affitto di ramo d’azienda) dalla concretezza della fattispecie: Trib<br />
Salerno 25 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 75, con nota<br />
di P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato<br />
preventivo ‘‘con riserva’’, ivi, 82.<br />
(37) Non c’è tempo qui per <strong>un</strong> approfondimento, che pure andrebbe<br />
e andrà fatto, in ordine all’ambito e alla natura del sindacato<br />
autorizzatorio giudiziale, in stretta correlazione con i principi<br />
di autonomia ‘‘controllata nella legittimità sostanziale’’, che reggono<br />
il nuovo concordato preventivo, con particolare riferimento<br />
ai suoi limiti in ordine alla fattibilità del piano (per cui si segnala<br />
la recentissima Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in<br />
questa Rivista, 2013, 149, con nota di M. Fabiani, La fattibilità<br />
del piano concordatario nella lettura delle sezioni <strong>un</strong>ite, ivi, 156),<br />
cui i rapporti pendenti strettamente correlati.<br />
Per <strong>un</strong> recente approfondimento del tema, mi permetto di rinviare<br />
a: A. Patti, Esclusione della sindacabilità dal trib<strong>un</strong>ale della<br />
fattibilità del piano nel concordato preventivo, in questa Rivista,<br />
2012,42.<br />
(38) In tale senso, tra i primi provvedimenti: Trib. La Spezia 25<br />
ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 76.<br />
(39) Esso è stato aggi<strong>un</strong>to dall’art. 33, primo comma, lett. h)<br />
D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con mod. in L. 7 agosto 2012,<br />
n. 134.<br />
(40) Così, in particolare: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />
aziendale: tipologie e finanziamenti, relazione al Corso di<br />
Perfezionamento ‘‘Il nuovo diritto fallimentare’’, avente ad oggetto<br />
‘‘Crisi d’impresa e continuità aziendale’’, tenuto a Firenze<br />
il (15 e) 29 novembre 2012.<br />
(41) In tale senso, ancora: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />
aziendale: tipologie e finanziamenti, cit.<br />
(42) Così, tra le altre, con particolare riferimento alla tutela dei<br />
segni distintivi dell’imprenditore: Cass. 18 settembre 1993, n.<br />
9230, in Foro it., 1994, I, 1354.<br />
Il Fallimento 3/2013 269
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
medesima azienda egli faccia presso altri, soggetto<br />
cessionario o conferitario), di natura temporanea,<br />
in quanto destinata alla retrocessione nel suo patrimonio<br />
(cui mai venuta meno), per effetto di naturale<br />
scadenza convenzionale ovvero di scioglimento,<br />
a norma dell’art. 169 bis, primo comma l.fall., in<br />
quanto contratto app<strong>un</strong>to pendente.<br />
3.2. La disciplina<br />
Il terzo comma della disposizione in esame stabilisce<br />
espressamente che, ferma l’applicazione dell’art.<br />
169 bis (e quindi: possibilità di loro scioglimento o<br />
prosecuzione, ad iniziativa, autorizzata, del debitore),<br />
i contratti in corso (tutti, non essendo prevista<br />
esclusione alc<strong>un</strong>a: se non, a particolari condizioni,<br />
per quelli stipulati con pubbliche amministrazioni<br />
(43), essi pure soggetti tendenzialmente al principio<br />
di continuità) proseguano o, secondo la lettera<br />
della norma, non si risolvano per effetto dell’apertura<br />
della procedura.<br />
La disposizione di ordinaria continuazione riceve<br />
ulteriore rinforzo dalla regola, immediatamente successiva,<br />
di inefficacia di ‘‘eventuali patti contrari’’,<br />
ossia di clausole risolutive ipso iure.<br />
Essa ricalca la previsione, nel fallimento, dell’art.<br />
72, sesto comma (44), con la quale istituisce <strong>un</strong> significativo<br />
collegamento, per la simmetrica collocazione<br />
del baricentro della gestione dei rapporti pendenti<br />
in capo (non più, come è regola per il diritto<br />
com<strong>un</strong>e, al contraente non insolvente, ma) al debitore<br />
in (procinto di) procedura, qui e del curatore,<br />
là: in entrambi i casi, per il prevalere della regola<br />
processuale su quella economica.<br />
Se allora questa è la regola, di prosecuzione (salva<br />
la facoltà di scioglimento o di sospensione esclusivamente<br />
riservata al debitore) per tutti i tipi di<br />
contratto, senza distinzioni salve le ipotesi espressamente<br />
eccettuate dal legislatore (45), essa vale anche<br />
per i contratti di finanziamento: nonostante alc<strong>un</strong>e<br />
perplessità in proposito manifestate, secondo<br />
cui gli istituti di credito potrebbero fondatamente<br />
opporsi a detta prosecuzione, per la soggezione dei<br />
rapporti di finanziamento alla disciplina prevista<br />
dall’art. 186 quinquies, primo e secondo comma<br />
l.fall., individuata come speciale.<br />
3.2.1. (Segue) I contratti di finanziamento<br />
Su quale regime sia connotabile di specialità, rispetto<br />
ad altro, occorre tuttavia intendersi: se, come<br />
propugnato da <strong>un</strong>a tale interpretazione, per tipologia<br />
del rapporto, app<strong>un</strong>to di finanziamento, ovvero<br />
per sua collocazione temporale rispetto alla proce-<br />
dura di concordato, nel senso di anteriorità ormai<br />
esaurita, di posteriorità o di pendenza attuale.<br />
Ebbene, se il ragionamento interpretativo fin qui<br />
condotto ha <strong>un</strong>a sua coerenza con la lettera e la ratio<br />
sistematica delle norme scrutinate, la risposta mi<br />
pare obbligata. La specialità non può che essere individuata<br />
nel regime di pendenza del rapporto (rispondente<br />
alle illustrate regole di disciplina, indifferenziata<br />
per tipi di contratti), non già nella sua natura<br />
di finanziamento, posto che le regole stabilite<br />
dall’art. 186 quinquies valgono soltanto per finanziamenti<br />
non ancora stipulati (e pertanto non pendenti),<br />
in quanto da ‘‘contrarre’’ (secondo il suo<br />
primo comma) o addirittura anche ‘‘individuati soltanto<br />
per tipologia ed entità, non ancora oggetto di<br />
trattative’’ (secondo il suo secondo comma).<br />
E nel senso qui patrocinato è pure <strong>un</strong> ben argomentato<br />
provvedimento di merito, secondo cui anche i<br />
rapporti di finanziamento (nel caso di specie: operazioni<br />
di anticipo o di sconto di fatture, con sottostante<br />
eventuale cessione dei crediti anticipati) sono<br />
soggetti ad ordinaria prosecuzione dopo la presentazione<br />
di ricorso, ai sensi dell’art. 161, sesto comma<br />
l.fall. (con riserva di presentazione della proposta),<br />
senza neppure necessità di autorizzazione dal giudice,<br />
in quanto atti di ordinaria amministrazione (46).<br />
Qui si pone il delicato problema della conservazione<br />
delle linee di credito, nella loro convenzionale modulazione<br />
strutturale: ed in particolare, in specifico riferimento<br />
alla concessione di affidamenti assistiti da<br />
‘‘cessioni di portafoglio’’ (in virtù di anticipazioni di<br />
crediti su fatture o di altra ‘‘carta commerciale’’) c.d.<br />
‘‘autoliquidanti’’, della possibilità per la banca, mandataria<br />
in rem propriam all’incasso dei crediti della debitrice<br />
finanziata anticipataria, di compensare i propri<br />
crediti anteriori alla data di presentazione della domanda<br />
di concordato con tali crediti incassati dopo.<br />
Da sempre l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità<br />
distingue (47) il caso del conferimento alla<br />
banca di <strong>un</strong> semplice mandato all’incasso in rem propriam,<br />
per il quale la pendenza del rapporto obbliga<br />
la banca mandataria a darvi esecuzione con la riscos-<br />
Note:<br />
(43) Per alc<strong>un</strong>e prime considerazioni al riguardo: P. Pizza, Il concordato<br />
preventivo di imprese fornitrici della pubblica amministrazione,<br />
inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti del 3<br />
agosto 2012.<br />
(44) Per essa: «Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno<br />
dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento».<br />
(45) Come illustrato più sopra, § 2.1.1.<br />
(46) In tale senso: Trib. Terni 12 ottobre 2012, cit.<br />
(47) E così pure, richiamandolo, il provvedimento citato alla nota<br />
precedente, che opera analoga distinzione.<br />
270 Il Fallimento 3/2013
sione dei crediti affidati, salvo rimetterne le relative<br />
sommealmandanteinprocedura(senzapoteroperare<br />
la compensazione, ai sensi del combinato disposto<br />
degli artt. 169 e 56 l.fall., per soggezione al principio<br />
della concorsualità, che vieta <strong>un</strong>a diretta soddisfazione:<br />
se si vuole, anche in applicazione del principio<br />
posto dall’art. 168 l.fall.) (48), dal caso in cui esso<br />
sia invece assistito da <strong>un</strong>a clausola attributiva del diritto<br />
di ‘‘incamerare’’ le somme riscosse in favore della<br />
banca (c.d. ‘‘patto di compensazione’’ o, secondo<br />
altra definizione, patto di annotazione ed elisione<br />
nel conto di partite di segno opposto), legittimante<br />
la banca a compensare il proprio debito di restituzione<br />
al cliente delle somme riscosse, con il proprio credito<br />
verso lo stesso, conseguente ad operazioni regolate<br />
nel medesimo conto corrente, indipendentemente<br />
dall’anteriorità di questo alla procedura concorsuale<br />
e dalla posteriorità di quello (in tale ipotesi<br />
non operando il principio di concorsualità) (49).<br />
E la ragione di questa distinzione attiene proprio alla<br />
collocazione extraconcorsuale del rapporto pendente<br />
che prosegua nel corso della procedura. Si<br />
deve, infatti, ritenere la continuità del rapporto<br />
nella sua interezza, comprensiva di tutte le clausole<br />
pattizie che lo regolino (così anche di quella attributiva<br />
alla banca del diritto di ‘‘incamerare’’ le<br />
somme riscosse per conto del correntista), per l’essenziale<br />
loro connessione: nel senso della regolamentazione,<br />
pattuita tra le parti, della modalità satisfattiva<br />
del credito (di anticipazione) della banca,<br />
senza la quale l’operazione non sarebbe stata posta<br />
in essere, con la conseguenza dell’interdipendenza<br />
del negozio e del patto (50).<br />
La valutazione da operare è allora di convenienza<br />
del mantenimento delle linee di credito, con le pattuizioni<br />
ad esse accedenti (eventuali cessioni di crediti<br />
o patti di compensazione, in f<strong>un</strong>zione solutoria,<br />
in favore della banca finanziatrice) e l’ordinario servizio<br />
di incasso dei crediti (per cui indubbiamente<br />
essa professionalmente più attrezzata), ovvero di<br />
scioglimento dal contratto pendente, con i coerenti<br />
effetti di caducazione di tutti i patti accedenti. In<br />
ogni caso, tale scelta spetta al curatore e non all’istituto<br />
finanziario, non legittimato a sciogliersi dal<br />
rapporto (neppure potendosi, a mio avviso, invocare<br />
l’applicazione della disciplina prevista dall’art.<br />
182 quinquies l.fall., per le ragioni dette), in coerente<br />
osservanza dei principi regolanti la materia.<br />
4. Applicabilità della disciplina<br />
alla domanda con riserva<br />
L’art. 161, sesto comma l.fall. (51) ha introdotto la<br />
possibilità per il debitore di deposito del ricorso,<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
contenente la domanda di concordato <strong>un</strong>itamente<br />
ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, con riserva<br />
di presentazione della proposta, del piano e della<br />
documentazione prevista dal secondo e dal terzo<br />
comma entro <strong>un</strong> termine fissato dal giudice, compreso<br />
tra sessanta e centoventi giorni e prorogabile,<br />
per giustificati motivi, di non oltre sessanta; con<br />
possibilità di deposito nello stesso termine, in alternativa<br />
e con la conservazione degli effetti del ricorso<br />
fino all’omologazione, di <strong>un</strong>a domanda ai sensi<br />
dell’art. 182 bis, primo comma l.fall.; con applicazione,<br />
in mancanza, delle conseguenze stabilite dall’art.<br />
162, secondo e terzo comma l.fall.<br />
La nuova disposizione traduce normativamente la<br />
distinzione perspicuamente operata tra domanda,<br />
proposta e piano (52), nell’ispirazione alla disciplina<br />
del Chapter 11 stat<strong>un</strong>itense (53), in f<strong>un</strong>zione agevolatrice<br />
dell’imprenditore in crisi, cui offre la possibilità<br />
di trattare con i propri creditori, finanziatori e<br />
fornitori, concertando l’elaborazione di <strong>un</strong> percorso<br />
idoneo alla sua soluzione, fruendo dell’anticipazione<br />
dell’effetto protettivo sul suo patrimonio (54).<br />
Ci si chiede se la nuova disciplina dei rapporti pendenti<br />
sia applicabile anche alla domanda qui in esame.<br />
La delicatezza dell’autorizzazione allo scioglimento<br />
(che, come non a torto è stato osservato, «costituisce<br />
misura estrema d’incidenza sullo statuto del cre-<br />
Note:<br />
(48) Si ritiene, infatti, che la norma, vietando la possibilità di<br />
azioni esecutive individuali, a maggior ragione escluda la possibilità<br />
di pagamenti spontanei.<br />
(49) In tale senso, ancora ultimamente: Cass. 18 settembre<br />
2011, n. 17999, in Giust. civ., 2012, I, 778; per la giurisprudenza<br />
di merito più recente: Trib. Bergamo 21 novembre 2011, in questa<br />
Rivista, 2012, 586, con nota di G. Tarzia, Riscossione di crediti<br />
‘‘anticipati’’ dalla banca ed efficacia del patto di compensazione<br />
nel concordato preventivo, ivi, 588.<br />
(50) Così: Cass. 7 marzo 1998, n. 2539, in questa Rivista, 1998,<br />
1254.<br />
Per <strong>un</strong> maggiore approfondimento, si rinvia a: A. Dim<strong>un</strong>do, A.<br />
Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali<br />
minori, cit., 341 ss.<br />
(51) Esso è stato aggi<strong>un</strong>to dall’art. 33, primo comma, lett. b), n.<br />
4 D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. con mod. dalla L. 7 agosto<br />
2012, n. 134)<br />
(52) Per essa, nitidamente: M. Fabiani, Per la chiarezza delle<br />
idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e<br />
riflessi sulla fattibilità, in questa Rivista, 2011, 768.<br />
(53) Per interessanti riferimenti comparatistici al riguardo: P. Manganelli,<br />
Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli Stati Uniti:<br />
due sistemi fallimentari a confronto, in questa Rivista, 2011, 129.<br />
(54) Per alc<strong>un</strong>e, prime riflessioni in proposito: M. Fabiani, Nuovi<br />
incentivi per la regolazione della crisi d’impresa, inCorr. giur.,<br />
2012, 1265, part. 1271; L. Panzani, Speciale decreto sviluppo. Il<br />
concordato in bianco, inIl Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti<br />
del 14 settembre 2012.<br />
Il Fallimento 3/2013 271
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
ditore ... che può trovare razionalizzazione solo alla<br />
luce della sua f<strong>un</strong>zionalità con la tipologia della effettiva<br />
proposta concordataria’’ anche se ‘‘davvero di<br />
difficile declinazione con la privatizzazione del concordato<br />
e la sua visione in termini di pura contrattualità»)<br />
(55) e l’indubbia irreversibilità dei suoi effetti,<br />
non espressamente limitati al concorso (che<br />
potrebbero essere impropriamente trasferiti dall’istituto<br />
concordatario, per il quale previsti, a quello, ad<br />
essi estraneo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti,<br />
per l’esplicita possibilità del debitore di tale selezione<br />
discretiva nel termine concesso dal giudice<br />
dalla data di pubblicazione della domanda) (56), ha<br />
giustificato l’ass<strong>un</strong>zione di posizioni sostanzialmente<br />
negative, con limitata apertura alla richiesta di sospensione,<br />
compatibile con <strong>un</strong>a fase così nebulosa<br />
ed avara di discovery del debitore (57).<br />
Altra lettura della disposizione non ne ha escluso<br />
l’applicabilità pregiudiziale anche alla domanda con<br />
riserva, purché almeno delineato il tipo di concordato<br />
preventivo in via di presentazione e rappresentata<br />
l’incidenza del rapporto in corso nella gestione<br />
ordinaria dell’impresa (58).<br />
Personalmente, credo che il chiaro riferimento dell’art.<br />
169 bis al «ricorso di cui all’art. 161» non possa<br />
eluderne il suo sesto comma (app<strong>un</strong>to relativo<br />
all’ipotesi di domanda con riserva), non essendo<br />
necessario l’esplicito richiamo del comma (come<br />
invece nell’art. 182 quinquies, primo comma), trattandosi<br />
piuttosto di scarsa organicità e coerenza,<br />
anche lessicale, di <strong>un</strong> legislatore alluvionale.<br />
Ma le obiezioni illustrate sono, tuttavia, serie e meritevoli<br />
di adeguata considerazione. Ed allora, se l’esito<br />
interpretativo più corretto e rispondente alla ratio legis<br />
(di indubbio favore per l’accesso a concordati in<br />
<strong>un</strong> regime di trattativa e di predisposizione di piano e<br />
di proposta, più protetto ed alleggerito di oneri non<br />
f<strong>un</strong>zionali allo scopo), depone, a mio avviso, per l’applicazione<br />
della nuova norma anche a tale fase, occorre<br />
pure che il debitore, il quale richieda di essere<br />
autorizzato allo scioglimento di rapporti pendenti, sia<br />
adeguatamente responsabilizzato. E ciò, mediantela<br />
pretesa (in f<strong>un</strong>zione della richiesta autorizzazione) di<br />
<strong>un</strong>’adeguata indicazione del piano e della proposta,<br />
sia pure non ancora definitivi e suscettibili di modifiche,<br />
tenuto anche conto della verosimile possibilità<br />
di originaria valutazione della collocazione dell’istanza,<br />
relativa al rapporto pendente, nell’impianto strategico<br />
del concordato e della sua incidenza quivi fin<br />
da subito: più difficilmente configurabile, se non in<br />
qualche caso, come atto urgente di straordinaria amministrazione<br />
«dopo il deposito del ricorso», per cui<br />
sufficiente l’ass<strong>un</strong>zione di informazioni sommarie.<br />
Ciò che credo non sia proprio possibile è l’autorizzazione<br />
di scioglimento da rapporti pendenti ‘‘al buio’’<br />
o quasi: la stessa valutazione del debitore, a monte<br />
della richiesta, impone che egli abbia sufficientemente<br />
chiaro <strong>un</strong> possibile percorso concordatario,<br />
cui già abbia cominciato a lavorare, nell’intenzione<br />
di adire <strong>un</strong> regime di ‘‘gestione controllata’’ (app<strong>un</strong>to<br />
dal giudice, tramite autorizzazione). Ed <strong>un</strong>a volta<br />
che <strong>un</strong>a tale strada sia imboccata, ottenuta l’autorizzazione<br />
richiesta, credo anche che gli rimanga preclusa<br />
quella alternativa degli accordi di ristrutturazione:<br />
proprio perché deliberatamente scelta l’utilizzazione<br />
di <strong>un</strong>o strumento previsto dal legislatore soltanto<br />
per il concordato, certamente ancora suscettibile<br />
di variazioni modulative anche significative,<br />
purché coerenti con l’impostazione scelta.<br />
Si tratta evidentemente di prime riflessioni, da offrire<br />
al dibattito interpretativo, che presuppongono<br />
<strong>un</strong> atteggiamento di buona fede, esigibile da tutti<br />
(giudici sicuramente, ma anche imprenditori e professionisti)<br />
nell’impiego corretto e non malizioso<br />
degli istituti.<br />
Ancora, ci si chiede se l’inefficacia delle clausole risolutive<br />
espresse, stabilita per il concordato con<br />
continuità (art. 186 bis, terzo comma), operi anche<br />
nell’ipotesi di domanda con riserva. L’interrogativo<br />
presuppone evidentemente quello di applicabilità,<br />
più in generale, di detta ipotesi al concordato con<br />
continuità.<br />
Ebbene, mi pare che, <strong>un</strong>a volta data risposta positiva<br />
alla possibilità di <strong>un</strong>a gestione controllata (con<br />
particolare riferimento al trattamento dei rapporti<br />
Note:<br />
(55) Così: Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 74.<br />
(56) L’art. 161, sesto comma, seconda parte l. fall prevede, infatti:<br />
«Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino<br />
all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può<br />
depositare domanda ai sensi dell’art. 182 bis, primo comma».<br />
In non condivisibile senso contrario, per l’esclusione degli effetti<br />
previsti dall’art. 169 bis, qualora il debitore, autorizzato allo scioglimento<br />
di contratti pendenti, poi opti per il deposito di <strong>un</strong> accordo<br />
di ristrutturazione dei debiti: G.B. Nardecchia, Art. 169<br />
bis, cit., 2004.<br />
(57) In tale senso, app<strong>un</strong>to: Trib. Pistoia 30 ottobre 2012, cit.; A.<br />
Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato<br />
con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni<br />
del trib<strong>un</strong>ale, inIl fallimentarista.it del 26 novembre 2012,<br />
consapevole dell’inevitabile estensione della norma, quanto meno<br />
in via astratta, ma concretamente esigente il deposito della<br />
proposta e del piano definitivi.<br />
(58) In tale senso: Trib. Mantova 27 settembre 2012, in Il Caso.it,<br />
I, 7874, con particolare riguardo all’incidenza dei canoni<br />
del contratto di leasing pendente, che nel caso di specie ha negato<br />
l’autorizzazione, per il difetto dei requisiti indicati nel testo.<br />
In senso favorevole all’applicabilità dell’art. 169 bis alla domanda<br />
con riserva, anche: Trib. Modena 30 novembre 2012, in Il Caso.it,<br />
I, 8196.<br />
272 Il Fallimento 3/2013
pendenti) anche nella fase qui in esame, la risposta<br />
positiva sia coerente anche per la riserva di presentazione<br />
di <strong>un</strong>a proposta e di <strong>un</strong> piano (a condizioni<br />
di loro previa idonea indicazione) di concordato<br />
con continuità: tenuto anche conto dell’indubbia<br />
possibilità di esercizio dell’attività di impresa (certamente<br />
dopo ed a fortiori anche) prima del deposito<br />
del piano e della proposta, come pure dell’indubbia<br />
possibilità di presentazione successiva di <strong>un</strong> piano<br />
di continuità aziendale, trattandosi, come già detto,<br />
di <strong>un</strong> fatto oggettivo, che responsabilizza (maggiormente)<br />
il debitore ed i suoi consulenti (59).<br />
Ed allora, l’inefficacia delle clausole risolutive ipso iure<br />
deve ritenersi pure qui operante, per il coerente riferimento<br />
della norma («Fermo quanto previsto nell’art.<br />
169 bis»: come visto applicabile) ai «contratti<br />
in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso»<br />
(anche ai sensi dell’art. 161, sesto comma).<br />
Infine, mi pare che parimenti debba ritenersi anche<br />
nel concordato preventivo senza continuità, attesa<br />
l’indiscutibile collocazione del baricentro del ‘‘governo’’<br />
dei rapporti pendenti in capo al debitore (60).<br />
5. Un interrogativo conclusivo<br />
Alla luce delle considerazioni svolte, si deve osservare<br />
come la disciplina dei rapporti pendenti (per<br />
la prima volta) introdotta nel concordato preventivo,<br />
se indubbiamente incontra il favore degli operatori<br />
(per averne accolti gli auspici di <strong>un</strong>a più libera<br />
gestione, per la facilitazione delle soluzioni concordatarie),<br />
profili <strong>un</strong>’incerta ‘‘navigazione a vista’’ tra<br />
rottura dei principi della concorsualità (sintomaticamente<br />
individuabile, per le ragioni illustrate, nell’art.<br />
182 quinquies, quarto comma l.fall.) e ‘‘discontinuità’’<br />
di impresa.<br />
L’interrogativo di fondo, che mi pare riassuma tutti<br />
gli altri, è, infatti, di quale sia la regola adottata dal<br />
legislatore per la prosecuzione dell’attività di impresa<br />
nel concordato preventivo.<br />
Credo difficilmente contestabile che la regola economica<br />
risulti fortemente contaminata da quella<br />
squisitamente processuale (che app<strong>un</strong>to prevede la<br />
facoltà per il debitore, su autorizzazione del giudice,<br />
di sciogliersi da tali rapporti o di sospenderne l’esecuzione):<br />
proprio come nell’esercizio provvisorio<br />
nel fallimento, ai sensi dell’art. 104, settimo comma<br />
l.fall. e nell’amministrazione straordinaria, ai sensi<br />
dell’art. 50 D.Lgs. 270/99 (61).<br />
Ma in tali procedure è chiara la finalità protettiva<br />
del ceto creditorio, rappresentato dal curatore e dal<br />
commissario straordinario, orientati nel loro agire da<br />
<strong>un</strong>a finalità essenzialmente liquidatoria; non mi pare<br />
che altrettanto si possa affermare nel concordato con<br />
Opinioni<br />
Concordato preventivo<br />
continuità aziendale, nel quale il debitore non assolve<br />
ad <strong>un</strong>a tale f<strong>un</strong>zione, né realizza direttamente <strong>un</strong>a<br />
tale finalità: se non nei limiti di <strong>un</strong>a migliore soddisfazione<br />
dei creditori, qualora, per sua esplicita menzione<br />
nell’art. 182 quinquies, quarto comma l.fall. (in<br />
riferimento al pagamento antergato di crediti anteriori)<br />
e nell’art. 186 bis, secondo comma, lett. b)<br />
l.fall. (in riferimento alla prosecuzione dell’attività di<br />
impresa) e sempre su attestazione di professionista<br />
designato dal debitore (in possesso dei requisiti prescritti<br />
dall’art. 67, terzo comma, lett. d) l.fall.), individuabile<br />
alla stregua di principio generale.<br />
In ogni caso, mi pare meritevole di attenta valutazione<br />
l’effetto distorsivo del regolare ‘‘gioco concorrenziale’’<br />
prodotto da <strong>un</strong>’impresa (poco importa se<br />
ancora direttamente esercitata dallo stesso debitore<br />
in procedura o da terzi, cessionari o conferitari dell’azienda,<br />
per l’autonomia da tempo acquisita dall’impresa,<br />
intesa nella sua oggettività, dalla figura<br />
soggettiva dell’imprenditore), che prosegua nella propria<br />
attività, in <strong>un</strong>a sostanziale continuità economica,<br />
ma fruendo del particolare vantaggio della (possibile)<br />
liberazione da rapporti contrattuali onerosi<br />
ed antieconomici, in virtù del beneficio (ad essa sola<br />
proprio) di <strong>un</strong>a regola giuridica e quindi in <strong>un</strong><br />
regime di sostanziale discontinuità.<br />
Occorre, infatti, essere avvertiti dell’alterazione della<br />
regola di mercato comportata dall’improprio vantaggio<br />
competitivo, spurio rispetto ai suoi principi<br />
(62), in <strong>un</strong>a sorta di ‘‘dumping da procedura concorsuale’’<br />
(63).<br />
Ed essa può creare qualche problema: forse anche<br />
di legittimità costituzionale, sotto il profilo della<br />
violazione dei principi di libertà dell’iniziativa economica<br />
e di uguaglianza. Ma su questo si avrà modo<br />
di riflettere ancora...<br />
Note:<br />
(59) Così anche: L. Stanghellini, Concordato con continuità<br />
aziendale: tipologie e finanziamenti, cit.<br />
(60) In senso contrario, per la natura di eccezione della previsione,<br />
costituendo regola generale l’applicazione delle clausole negoziali<br />
comportanti la risoluzione contrattuale in caso di ammissione<br />
di <strong>un</strong>o dei contraenti al concordato preventivo: G.B. Nardecchia,<br />
Art. 169 bis, cit., 2001.<br />
(61) Si richiama in proposito: A. Patti, Rapporti pendenti ed esercizio<br />
provvisorio tra prededuzione e concorsualità, alla ricerca<br />
della regola da applicare, in questa Rivista, 2012, 1230.<br />
(62) In tale senso, con precipuo riferimento all’esercizio di azioni<br />
revocatorie nell’ambito dell’amministrazione straordinaria speciale<br />
(L. 18 febbraio 2004, n. 39, cd. Parmalat): M. Libertini, Le<br />
azioni revocatorie nella ristrutturazione della grande impresa in<br />
crisi e la tutela della concorrenza, inGiur cost., 2006, 1551, part.<br />
1561, a commento di Corte cost. 7 aprile 2006, n. 172.<br />
(63) L’espressione è di: F. Finmanò, Art. 104, in A. Jorio, M. Fabiani,<br />
Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1612.<br />
Il Fallimento 3/2013 273
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Decreti "Crescita" (D.L n. 83/2012) e "Crescita bis" (D.L. n.<br />
179/2012) e dalla Legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) in<br />
materia di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione,<br />
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FALLIMENTO<br />
AUMENTO DI SESTO NELLA VENDITA ALL’INCANTO<br />
E PRELAZIONE DELL’AFFITTUARIO<br />
Cassazione, Sez. I, 28 gennaio 2013, n. 1808 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Ragonesi - Immobiliare S.r.l. c. Fall. Agrituristica<br />
Palombo Domenico S.a.s. ed altri<br />
(legge fallimentare artt. 26, 108; cod. proc. civ. artt. 2290,<br />
2320)<br />
L’esercizio del diritto di prelazione, riconosciuto in confronto<br />
dell’affittuario (nella specie, di azienda alberghiera condotta<br />
su immobile) va collocato nella fase della vendita coattiva<br />
all’esito della quale si forma il prezzo in via definitiva,<br />
conseguendone che il titolare di tale diritto ben può restare<br />
estraneo alla procedura liquidatoria e riservarsi di intervenire<br />
solo allorché il prezzo si sia determinato. Qualora d<strong>un</strong>que,<br />
posteriormente alla prima aggiudicazione del bene, sia stato<br />
presentato <strong>un</strong> aumento di sesto, esi proceda a nuova gara,<br />
l’affittuario con prelazione è legittimato ad esercitare tale<br />
facoltà, così rendendosi aggiudicatario, sul nuovo prezzo<br />
emerso dalla fase del cd. rincaro. Parimenti, se l’affittuario<br />
del bene diviene aggiudicatario all’esito del primo incanto -<br />
per effetto dell’esercizio della prelazione - egli non è obbligato<br />
a partecipare come concorrente alla nuova gara in aumento<br />
di sesto e ben potrà riesercitare il medesimo diritto a seguito<br />
dell’aggiudicazione finale, senza che la previa aggiudicazione<br />
lo vincoli come circostanza consumativa della facoltà<br />
in esame.<br />
CESSIONE DEL CREDITO IPOTECARIO IN FAVORE<br />
DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI E ANNOTAZIONE<br />
DELLA FORMALITÀ DOPO LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO<br />
Cassazione, Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3402 - Pres. Salmé<br />
- Est. Ragonesi - Corona & Partners S.p.a. c. Fall. Arno<br />
S.r.l.<br />
(legge fallimentare art. 45; D.Lgs. 1 settembre 1993, n.<br />
385, art. 58; L. 21 febbraio 1991, n. 52; cod. civ. art. 2843)<br />
Il principio per cui sono senza effetto rispetto ai creditori le<br />
formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi,<br />
se compiute dopo la dichiarazione di fallimento, va inteso<br />
per la sola finalità di impedire, ai sensi dell’art. 45 l.fall., <strong>un</strong><br />
pregiudizio ai creditori conseguente ad atti compiuti dopo<br />
l’apertura della procedura concorsuale, così garantendo<br />
la cristallizzazione della situazione patrimoniale a quella data.<br />
L’annotazione del trasferimento d’ipoteca, pur se eseguita<br />
dopo, comporta invece la mera sostituzione soggettiva<br />
nell’iscrizione originaria (ed anteriore), e perciò anche nel<br />
grado, ma non la nascita di <strong>un</strong>a nuova garanzia reale, d<strong>un</strong>-<br />
Giurisprudenza<br />
que da <strong>un</strong> lato non configurandosi come atto pregiudizievole<br />
e dall’altro valendo anche nel caso di cessione del credito,<br />
purché a margine dell’iscrizione d’ipoteca, prima o dopo il<br />
fallimento, ricorra tale annotazione in base alla regola dell’art.<br />
2843 c.c. In caso tuttavia di intermediari finanziari<br />
iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 della legge<br />
bancaria, l’art. 58 di questa dispone che ness<strong>un</strong>a formalità<br />
sia necessaria per la cessione di crediti ipotecari, operando<br />
la sopraggi<strong>un</strong>ta normativa (in base alla riforma, sul p<strong>un</strong>to,<br />
adottata con l’art.12 del D.Lgs. n. 342 del 1999) come <strong>un</strong>a<br />
condizione dell’azione, equiparabile all’annotazione formale<br />
successiva e consentita anche in corso di opposizione allo<br />
stato passivo, come avvenuto.<br />
LIMITI ALLA COMPENSAZIONE DEL CREDITO NON SCADUTO<br />
PRIMA DEL FALLIMENTO<br />
Cassazione, Sez. I, 5 gennaio 2013, n. 2695 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Ceccherini - Fintecna S.p.a. c. Fall. Comapre<br />
S.p.a. ed altri<br />
(legge fallimentare art. 56; cod. civ. art. 1243)<br />
Il principio generale per cui la compensazione opera nel fallimento<br />
se la causa genetica del diritto del creditore in bonis<br />
verso il fallito sia anteriore al fallimento, anche se il credito<br />
venga a scadenza successiva, non trova più applicazione<br />
quando tale credito non scaduto sia oggetto d’acquisto, ai<br />
sensi dell’art. 56, comma 2, l.fall., per atto tra vivi app<strong>un</strong>to<br />
dopo il fallimento o nell’anno anteriore. Nella fattispecie,<br />
il creditore aveva acquisito i crediti già vantati dalle banche<br />
finanziatrici nei confronti di tre associazioni temporanee<br />
d’impresa costituite in società consortili, nonché nei confronti<br />
delle società a queste partecipanti.<br />
POTERE DI SOSPENSIONE DELLA VENDITA IMMOBILIARE<br />
ED ESERCIZIO DELLA PRELAZIONE DELL’AFFITTUARIO<br />
Cassazione, Sez. I, 31 gennaio 2013, n. 2316 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Ragonesi - Immobiliare S.r.l. c. Scalise ed altri<br />
(legge fallimentare artt. 26, 108; legge 23 luglio 1991, n.<br />
223, art. 3)<br />
La sospensione da parte del giudice delegato dell’aggiudicazione<br />
di <strong>un</strong> bene immobile (inserito in <strong>un</strong> coacervo<br />
aziendale alberghiero) in ragione di <strong>un</strong>’offerta ricevuta in aumento<br />
del 35% del prezzo di aggiudicazione, d<strong>un</strong>que ritenuto<br />
notevolmente inferiore a quello giusto ex art. 108 l.fall., è<br />
compatibile sia con la provenienza da parte degli stessi aggiudicatari<br />
del bene all’esito del primo incanto, sia con l’esercizio,<br />
nel frattempo manifestato, del diritto di prelazione, riconosciuto<br />
in confronto dell’affittuario ex art. 3 L. n. 223<br />
del 1991. Il limite esterno a tale provvedimento è infatti costituito<br />
solo dalla ottimizzazione del risultato economico<br />
Il Fallimento 3/2013 275
Giurisprudenza<br />
della vendita ai fini della migliore soddisfazione dei creditori.<br />
Né <strong>un</strong>a posizione privilegiata va d<strong>un</strong>que ascritta al prelazionario<br />
che, esercitando il diritto, subentri nella posizione<br />
dell’aggiudicatario, compresi gli effetti sfavorevoli di <strong>un</strong>a perdurante<br />
soggezione - sino al trasferimento del bene - ad ogni<br />
ipotesi di rinnovo della gara, per aumento di sesto o sospensione<br />
per non giusto prezzo provvisorio.<br />
COMUNICAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO E NOTIFICAZIONI<br />
Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1523 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Di Palma - L. c. INPS ed altri<br />
(legge fallimentare artt. 93, 110)<br />
L’impossibilità di notificare al creditore destinatario di<br />
<strong>un</strong> piano di riparto l’avviso di cui all’art. 110, comma 2,<br />
l.fall. presso il domicilio eletto nella domanda di insinuazione<br />
al passivo deve risultare con riguardo non già ad <strong>un</strong> atto precedente<br />
(nella specie, l’avviso di deposito del conto della gestione<br />
da parte del curatore) ma ad <strong>un</strong> accertamento contestuale<br />
all’atto da com<strong>un</strong>icare (nella specie, l’avviso di<br />
deposito del piano di riparto finale dell’attivo). D<strong>un</strong>que l’avviso<br />
dell’avvenuto deposito in cancelleria del progetto di riparto<br />
(cui il giudice delegato, ai sensi del previgente art. 110<br />
l.fall., abbia apportato le opport<strong>un</strong>e modifiche) va disposto<br />
nei confronti di tutti i creditori, al fine delle osservazioni possibili,<br />
ma senza che vi sia perdita di efficacia automatica dell’elezione<br />
di domicilio fatta nella originaria domanda di ammissione,<br />
così da giustificare il nuovo modus operandi della<br />
notifica o com<strong>un</strong>icazione riservata a coloro che non si siano<br />
domiciliati ai sensi dell’art. 93, comma 2, l.fall. La conseguente<br />
com<strong>un</strong>icazione dell’avviso al creditore ritenuto<br />
domiciliato presso la cancelleria del trib<strong>un</strong>ale è pertanto<br />
scorretta, se egli risulti sconosciuto all’indirizzo indicato all’atto<br />
della com<strong>un</strong>icazione del rendiconto, che è atto del tutto<br />
diverso, occorrendo salvaguardare l’effettività della provocatio<br />
ad agendum nella quale si risolve l’attività notiziatoria<br />
del curatore, ma rispettando l’autonomia delle fasi in cui essa<br />
s’inserisce. Va pertanto cassato il decreto del trib<strong>un</strong>ale<br />
che si sia accontentato, per la validità della notifica presso la<br />
cancelleria al creditore (nel frattempo vittorioso a seguito<br />
dell’opposizione allo stato passivo), del non reperimento dello<br />
stesso al citato indirizzo, occorrendo la ripetizione dell’avviso<br />
anche per il riparto, preceduta ove possibile da informazioni<br />
e ricerche.<br />
PRODUZIONE DEI DOCUMENTI IN SEDE DI OPPOSIZIONE<br />
ALLO STATO PASSIVO<br />
Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1529 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Cristiano - Breplast S.p.a. c. Fall. GGS S.r.l.<br />
(legge fallimentare artt. 93, 98, 99; cod. proc. civ. art.<br />
345)<br />
Nel procedimento di opposizione allo stato passivo è ammissibile<br />
la produzione dei documenti che si dovrebbero<br />
accludere, a pena di decadenza, almeno 15 giorni prima dell’udienza<br />
di verifica dello stato passivo secondo il regime<br />
intermedio, vigente tra il D.Lgs. n. 5 del 2006 ed il D.Lgs.<br />
n. 169 del 2007. Quella decadenza, invero, si riferisce esclusivamente<br />
alla verificazione dei crediti, procedimento imperniato<br />
sulla sommarietà della cognizione, la speditezza istruttoria<br />
e la non obbligatorietà dell’assistenza del creditore. La<br />
cognizione piena, instaurata con l’opposizione allo stato<br />
passivo, non può essere condizionata da preclusioni istruttorie<br />
maturate nella fase precedente, che anzi l’art. 99 l.fall.<br />
esclude. L’interpretazione data dalla Corte all’art. 93, comma<br />
7, l.fall è per parte sua costituzionalmente coerente con l’impianto<br />
organizzativo della prima fase, in cui il termine dell’abrogato<br />
articolo era lo stesso entro cui il curatore doveva depositare<br />
lo stato passivo, per cui al creditore non si può negare<br />
di poter contrastare le eccezioni dell’organo concorsuale<br />
almeno successivamente, in via di opposizione.<br />
ESCLUSIONE DELLA GARANZIA PER ECCEPITA REVOCABILITÀ<br />
ORDINARIA EX ART. 2901 C.C. IN SEDE DI VERIFICA DEI CREDITI<br />
Cassazione, Sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1533 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Ceccherini - Castello gestioni crediti S.r.l. c.<br />
Fall. E. C. e c. S.a.s.<br />
(legge fallimentare artt. 67, 93, 98; codice civile art. 2901)<br />
Nella sede della verifica dei crediti non è necessario, al fine<br />
di escludere la garanzia invocata dal creditore, che sia<br />
anche formalmente proposta dal curatore l’azione revocatoria<br />
ordinaria ex art. 2901 c.c., consentendo la stessa legge<br />
- e direttamente al giudice delegato - la non ammissione sulla<br />
semplice contestazione com<strong>un</strong>que svolta dal curatore,<br />
senza che questi sia nemmeno tenuto a confermarla con<br />
azione dedotta in via riconvenzionale nel giudizio di opposizione<br />
promosso poi ex art. 98 l.fall. La revocabilità dell’atto,<br />
che pur implica <strong>un</strong> accertamento costitutivo in cui l’intervento<br />
del giudice non ha carattere necessario, può d<strong>un</strong>que<br />
farsi valere anche come mera eccezione, in coerenza con il<br />
principio più generale secondo cui anche l’accertamento costitutivo<br />
incidentale non trova ostacolo nell’art. 2697 c.c.<br />
che, nel sancire il diritto di eccezione, non pone <strong>un</strong>a limitazione<br />
con riguardo ai citati effetti costitutivi. In ogni caso, aggi<strong>un</strong>ge<br />
la Corte, il diritto potestativo che presiede anche a tale<br />
azione non spiega infuenza sulla soluzione del problema,<br />
ben potendo il destinatario dell’azione riconoscere extragiudizialmente<br />
la fondatezza della pretesa avversa, così disponendo<br />
del diritto stesso.<br />
CONCORDATO PREVENTIVO<br />
INCOMPATIBILITÀ DEL COMMISSARIO GIUDIZIALE<br />
AD ESSERE NOMINATO ALTRESì LIQUIDATORE<br />
NEL CONCORDATO CON CESSIONE DEI BENI<br />
Cassazione, Sez. I, 18 gennaio 2013, n. 1237 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Di Palma - Europack Cables Industry S.p.a. in<br />
liq. c. Piacenti ed al.<br />
(legge fallimentare artt. 28, 180, 182, 185)<br />
Se la proposta di concordato con cessione dei beni non<br />
contenga alc<strong>un</strong>a previsione quanto a designazione e poteri<br />
del liquidatore, ovvero anche modalità di liquidazione, la natura<br />
derogabile della norma regolatrice di cui all’art. 182 l.fall.<br />
presuppone che la disciplina sia imperniata sulla tendenziale<br />
valorizzazione, in prima battuta, dell’autonomia privata. Il riconoscimento<br />
della natura integrativa delle disposizioni legali<br />
a sua volta esige però che sia certa la sussistenza di <strong>un</strong>a<br />
fattispecie di cessione dei beni o ad essa assimilabile in<br />
276 Il Fallimento 3/2013
p<strong>un</strong>to di nomina del liquidatore. In tali casi, il potere integrativo<br />
del trib<strong>un</strong>ale non può tuttavia spingersi fino al p<strong>un</strong>to di<br />
nominare come liquidatore giudiziale la medesima persona<br />
già nominata commissario giudiziale, stante la collisione<br />
che si darebbe rispetto ai requisiti di imm<strong>un</strong>ità da conflitto<br />
d’interessi, vietata dal richiamato art. 28 l.fall. Il cumulo<br />
della nuova f<strong>un</strong>zione gestoria sarebbe invero incompatibile<br />
con i compiti di sorveglianza sull’adempimento del concordato,<br />
spettanti al commissario. Se poi, come ravvisato<br />
nella decisione del Trib<strong>un</strong>ale di Ravenna, difettino gli elementi<br />
identificativi della citata fattispecie con cessione dei<br />
beni, va annullata sia la nomina a liquidatore del commissario<br />
giudiziale, sia la nomina del comitato dei creditori, dovendo<br />
in realtà il giudice - in assenza di opposizioni - limitarsi all’omologazione<br />
della proposta e non procedere a nomine<br />
per ragioni di mera opport<strong>un</strong>ità, come avvenuto.<br />
LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA<br />
CONCORDATO COATTO ED INTERESSE ALLA PROSECUZIONE<br />
DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA<br />
Cassazione, Sez. I, 6 febbraio 2013, n. 2782 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Ceccherini - Società gestione per il realizzo<br />
S.p.a. c. C.A.P. Catania e Messina S.c. a r.l. in l.c.a.<br />
(legge fallimentare artt. 52, 214; cod. civ. art. 2740)<br />
L’interesse pubblico alla prosecuzione dell’attività d’impresa<br />
giustifica, nel particolare concordato di cui all’art. 214<br />
l.fall., la scelta di preservare nella liquidazione l’<strong>un</strong>ità<br />
aziendale, senza sindacato sul p<strong>un</strong>to da parte dei creditori,<br />
ma non arriva al limite di sottrarre alla liquidazione tutto<br />
o anche solo parte dell’attivo, per destinarlo alle medesime<br />
necessità di detta prosecuzione, dovendosi, in difetto,<br />
negare l’omologazione. Nella specie, la S.C. ha escluso la<br />
compatibilità del concordato coatto con la segregazione, a<br />
favore del debitore insolvente, di beni mobili ed immobili<br />
strumentali, tolti dalla liquidazione e lasciati alla continuità<br />
aziendale. Con essi, il consorzio agrario avrebbe proseguito<br />
l’attività, ma con minore, ingiustificata, soddisfazione dei<br />
creditori, come rilevato da <strong>un</strong>o di essi, opponente. La specialità<br />
di tale istituto, anche rispetto all’art. 124 l.fall. e nel regime<br />
anteriore al D.Lgs. n. 169 del 2007, per la Corte opera<br />
solo sul piano delle modalità di liquidazione, beninteso sull’intero<br />
patrimonio del debitore, ma non travolge il principio<br />
della soggezione generale dei beni nel mero interesse alla<br />
prosecuzione dell’attività d’impresa.<br />
CREDITO DELL’APPALTATORE E COLLAUDO DELL’OPERA:<br />
LIMITI ALLA DOMANDA DI AMMISSIONE AL PASSIVO<br />
Cassazione, Sez. I, 8 febbraio 2013, n. 3068 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Di Amato - Barresi c. La Panoramica S.c.a r.l. in<br />
l.c.a. ed altri.<br />
(legge fallimentare artt. 101, 209; d.P.R. 16 luglio 1962, n.<br />
1063, art. 44)<br />
La necessità del preventivo collaudo delle opere, realizzate<br />
con contributo erariale e per il richiamo a tale adempimento<br />
nel contratto d’appalto, condiziona, ai sensi dell’art. 44<br />
d.P.R. n. 1063 del 1962, non solo l’esperimento dell’arbitrato<br />
Giurisprudenza<br />
ivi ipotizzato ma altresì il promuovimento dell’azione giudiziaria<br />
in sé; lamancanza del collaudo, tuttavia, non produce ipso<br />
jure l’improponibilità della domanda, costituendo piuttosto<br />
<strong>un</strong> presupposto processuale refluente in <strong>un</strong>’eccezione<br />
processuale, senza divenire <strong>un</strong>a condizione per l’instaurazione<br />
del relativo rapporto. Le conseguenze non consistono tuttavia<br />
nell’ammissibilità in ogni caso di <strong>un</strong>a domanda - nella<br />
specie, di credito - dell’appaltatore, ma solo nell’impossibilità<br />
del rilievo d’ufficio della carenza di collaudo, se la parte<br />
interessata non l’ha sollevata e parimenti l’esclusione di <strong>un</strong>a<br />
causa di nullità del lodo se l’improponibilità della domanda,<br />
per la medesima ragione, non sia stata eccepita nella sede<br />
arbitrale. Di tale eccezione, allorché formulata dal debitore<br />
in bonis, può invece e d<strong>un</strong>que avvalersi anche l’organo<br />
concorsuale, <strong>un</strong>a volta aperta la liquidazione coatta amministrativa<br />
e coltivata, da parte del creditore, <strong>un</strong>a domanda di<br />
ammissione al passivo, da respingere per tale motivo.<br />
PAGAMENTO SULLA BASE DI DECRETO INGIUNTIVO<br />
PROVVISORIAMENTE ESECUTIVO E SOPRAGGIUNTA<br />
PROCEDURA CONCORSUALE DEL DEBITORE<br />
Cassazione, Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3401 - Pres. Vitrone<br />
- Est. Di Amato - Provincia di Como c. FIRS S.p.a. in<br />
l.c.a. ed altri<br />
(legge fallimentare artt. 95, 209; cod. civ. art. 2033; cod.<br />
proc. civ. art. 336)<br />
Il pagamento effettuato dal debitore in bonis, in esecuzione<br />
di <strong>un</strong> decreto ingi<strong>un</strong>tivo provvisoriamente esecutivo,<br />
pur non divenendo oggetto di <strong>un</strong>a possibile actio indebiti,<br />
invirtùdella sopravvenuta procedura concorsuale a carico<br />
del solvens si correla all’inopponibilità del titolo, per<br />
esclusione del decreto ingi<strong>un</strong>tivo dall’ambito di operatività<br />
dell’art. 95, comma 3, l.fall. (vecchio testo). Tale principio induce<br />
a sua volta ad <strong>un</strong>’esigenza di autonoma restaurazione<br />
della situazione patrimoniale antecedente al pagamento,<br />
sia esso avvenuto con esecuzione volontaria o coattiva,<br />
ed a prescindere dal congegno revocatorio com<strong>un</strong>que<br />
attivabile. Superando precedenti tesi più restrittive, la S.C.<br />
valuta che l’inopponibilità alla massa del decreto ingi<strong>un</strong>tivo<br />
rende malfermo altresì il pagamento chevisicorrelietale<br />
ripristino patrimoniale va attuato ad opera di <strong>un</strong> giudice<br />
non diverso da quello che ha accertato l’inefficacia del decreto<br />
La situazione, spiegano i giudici, non è differente da<br />
quella che si ha quando <strong>un</strong>a sentenza di primo grado sia riformata<br />
in appello, con sentenza non ancora passata in giudicato:<br />
in entrambi i casi ricorre <strong>un</strong> pagamento effettuato<br />
sulla base di <strong>un</strong> titolo giudiziale che ha perduto efficacia,<br />
senza che sia intervenuto <strong>un</strong> accertamento definitivo<br />
della sussistenza o meno del credito. Il comportamento dell’accipiens,<br />
pertanto, da <strong>un</strong> lato sfugge ad ogni valutazione<br />
di buona o mala fede ex art. 2033 c.c., ma, dall’altro, rientra<br />
in <strong>un</strong>a condizione analoga ai presupposti dell’azione di<br />
restituzione di cui all’art. 336 c.p.c., potendo dirsi che l’inefficacia<br />
del decreto ingi<strong>un</strong>tivo provvisoriamente esecutivo<br />
estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti che dal<br />
medesimo dipendono per effetto di <strong>un</strong>a sua esecuzione. La<br />
conseguente richiesta di restituzione non costituisce domanda<br />
nuova rispetto a quella originaria di revoca ed è<br />
inoltre proponibile anche in corso di giudizio, se dopo l’instaurazione<br />
dell’impugnazione sia intervenuto il pagamento,<br />
potendo addirittura, ancora ai sensi della citata norma processuale,<br />
essere ordinata d’ufficio.<br />
Il Fallimento 3/2013 277
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Ammissione, revoca e omologazione della proposta<br />
La fattibilità del piano<br />
concordatatario nella lettura<br />
delle Sezioni Unite<br />
Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 - Pres. Preden - Est. Piccininni - P.M. Ceniccola<br />
- Idraulica Sud S.a.s. c. Fallimento Idraulica Sud S.a.s. di Ruongo Maurizio & C.<br />
Concordato preventivo - Ammissione - Procedimento - Poteri del trib<strong>un</strong>ale - Giudizio di fattibilità del piano - Configurabilità<br />
- Limiti<br />
(legge fallimentare artt. 160, 161, 162, 173, 179, 180)<br />
Il giudice deve esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità giuridica della proposta di concordato,<br />
non essendo questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre è riservata ai creditori la valutazione<br />
in ordine al merito che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il<br />
controllo di legittimità si realizza mediante <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità,<br />
revoca ed omologazione in cui si articola la procedura con la verifica dell’effettiva realizzabilità della causa concreta<br />
del procedimento, quale obiettivo specifico perseguito, senza alc<strong>un</strong> contenuto fisso e predeterminato,<br />
essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato,<br />
da <strong>un</strong> lato, al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e, dall’altro all’assicurazione di <strong>un</strong> soddisfacimento,<br />
sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori (massima non ufficiale).<br />
(Omissis) *.<br />
Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo<br />
e giudizio «permanente» di fattibilità del piano<br />
di Francesco De Santis<br />
L’autore si sofferma sulle caratteristiche del sindacato giudiziale avente ad oggetto la causa in concreto della<br />
proposta di concordato preventivo secondo le Sezioni Unite, sui limiti della sua oppugnabilità davanti alla<br />
Corte di cassazione e su tal<strong>un</strong>e problematiche relative alla «permanenza» del suddetto sindacato in tutte le<br />
fasi della procedura concordataria. La pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite - attraverso l’inserzione, nel giudizio di<br />
fattibilità del concordato preventivo, della categoria (di derivazione schiettamente civilistica) della causa in<br />
concreto - ha aperto complessi ed in parte inattesi scenari interpretativi, dando l’avvio ad <strong>un</strong> rinnovato dibattito<br />
ed a possibili disallineamenti in sede applicativa.<br />
1. «Se vogliamo che tutto rimanga come è,<br />
bisogna che tutto cambi»<br />
Dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di<br />
cassazione n. 1521/2013 (1), ness<strong>un</strong>o, io credo, può<br />
dubitare del fatto che la valutazione della convenienza<br />
economica della proposta di concordato preventivo<br />
spetti ai creditori.<br />
Secondo le Sezioni Unite, «la proposta di concor-<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
Note:<br />
* Il testo della sentenza si può legge in questa Rivista, 2013,<br />
149.<br />
(1) La rimessione alle Sezioni Unite è avvenuta, come noto, ad<br />
opera di Cass., 15 dicembre 2011, n. 27063, che aveva evidenziato<br />
<strong>un</strong> contrasto fra Cass., 15 settembre 2011, n. 18864, in<br />
questa Rivista, 2012, 39, da <strong>un</strong> lato, e Cass., 16 settembre<br />
2011, n. 18987, ib., Cass., 23 giugno 2011, n. 13818, ivi, 2011,<br />
933, Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, ib., 805, Cass., 25 otto-<br />
(segue)<br />
Il Fallimento 3/2013 279
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
dato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione<br />
della crisi, la quale a sua volta può assumere<br />
concretezza soltanto attraverso le indicazioni<br />
delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse<br />
comprese quindi le relative percentuali ed i tempi<br />
di adempimento), rispetto alla quale la relativa<br />
valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza<br />
dell’esito e della sua convenienza) è rimessa<br />
al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati».<br />
Ness<strong>un</strong> sindacato è rimesso al trib<strong>un</strong>ale sull’aspetto<br />
pratico-economico della proposta, ossia «sulla<br />
correttezza dell’indicazione della misura di soddisfacimento<br />
percentuale offerta dal debitore ai creditori»,<br />
e neppure in ordine alla «prognosi di realizzabilità<br />
dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore»<br />
(2).<br />
D’altro canto, la Corte non ha mancato di rilevare,<br />
in premessa, che il legislatore delle riforme fallimentari,<br />
pur valorizzando l’elemento privatistico<br />
del concordato preventivo, non ne ha cancellato<br />
tutti gli aspetti di carattere pubblicistico, «suggeriti<br />
dall’avvertita esigenza di tener conto anche degli<br />
interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla<br />
proposta, ma com<strong>un</strong>que esposti agli effetti di <strong>un</strong>a<br />
sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante<br />
la fissazione di <strong>un</strong>a serie di regole processuali inderogabili,<br />
finalizzate alla corretta formazione dell’accordo<br />
tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento<br />
dei margini di intervento del giudice<br />
in chiave di garanzia».<br />
Sicché spetta al trib<strong>un</strong>ale di verificare la fattibilità<br />
«giuridica» del concordato, eventualmente esprimendo<br />
<strong>un</strong> giudizio ostativo all’ammissibilità della<br />
proposta concordataria, quando le modalità attuative<br />
della stessa risultano incompatibili con norme<br />
inderogabili.<br />
Spetta altresì al trib<strong>un</strong>ale sorvegliare su ciò, che la<br />
valutazione dei creditori venga espressa correttamente<br />
e determini il giusto esito della procedura<br />
concordataria, e che, pertanto, essi «ricevano <strong>un</strong>a<br />
p<strong>un</strong>tuale informazione circa i dati, le verifiche interne<br />
e le connesse valutazioni».<br />
La Corte ha, quindi, declinato <strong>un</strong>a composita (e<br />
certamente per molti aspetti meritoria) piattaforma<br />
di indicazioni nomofilattiche, volte a definire i limiti<br />
del sindacato giudiziale sulla fattibilità «economica»<br />
della proposta, intesa come «prognosi circa<br />
la possibilità di realizzazione della proposta nei termini<br />
prospettati».<br />
Con qualche (a mio avviso inevitabile) semplificazione,<br />
proverei a scomporre tali indicazioni, tra gli<br />
altri, nei seguenti addendi:<br />
a) il sindacato giudiziale sul requisito di fattibilità<br />
economica del concordato deve essere esercitato<br />
sotto l’aspetto della verifica della rispondenza dei<br />
singoli atti in cui si articola la procedura alla causa<br />
del procedimento concordatario;<br />
b) segnatamente, il trib<strong>un</strong>ale deve verificare l’effettiva<br />
realizzabilità della «causa in concreto», quest’ultima<br />
da intendere come l’obiettivo specifico perseguito<br />
dal procedimento concordatario, che non ha<br />
contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente<br />
dal tipo di proposta formulata, ma che deve<br />
essere inserita «nel generale quadro di riferimento,<br />
finalizzato al superamento della situazione di crisi<br />
dell’imprenditore, da <strong>un</strong> lato, ed all’assicurazione di<br />
<strong>un</strong> soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto<br />
e parziale, dei creditori, da <strong>un</strong> altro»;<br />
c) rientra nell’ambito del sindacato giudiziale la delibazione<br />
in ordine: c1) alla correttezza delle argomentazioni<br />
svolte e delle motivazioni addotte dall’attestatore<br />
a sostegno del formulato giudizio di fattibilità<br />
del piano (ossia «la congruità e la logicità<br />
della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento<br />
effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente<br />
giudizio»); c2) alla coerenza complessiva<br />
delle conclusioni finali prospettate («si pensi ad<br />
esempio ad <strong>un</strong> giudizio di fattibilità ancorato ad <strong>un</strong><br />
complesso di dati, la cui sommatoria deponesse viceversa<br />
in favore di conclusioni di segno opposto»);<br />
c3) all’impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia<br />
pure parziale) alla proposta di concordato («si pensi<br />
Note:<br />
(segue nota 1)<br />
bre 2010, n. 21860, ib., 167, dall’altro lato. Atteso il carattere di<br />
«postilla», che il presente intervento riveste, non replicherò i<br />
pur cospicui riferimenti all’intenso dibattito che ha preceduto la<br />
pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite, potendo all’uopo rinviare alla bibliografia<br />
citata nella nota di M. Fabiani, La questione ‘‘fattibilità’’<br />
del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, ivi,<br />
2013, 149, nonché a Id., I disorientamenti nella nomofilachia a<br />
proposito della fattibilità del concordato preventivo e della cessione<br />
dei beni, inForo it., 2012, I, 170, ed a R. Amatore, Il giudizio<br />
di fattibilità del piano nel concordato preventivo, inDir. fall.,<br />
I, 2012, 104 ss. V. altresì gli atti del convegno Controllo del giudice<br />
e autonomia privata nel concordato preventivo, tenutosi<br />
presso la Suprema Corte di cassazione l’11 ottobre 2012, consultabili<br />
in http://www.cortedicassazione.it/notizie/eventi/SchedaEventiPrimaPag.asp?ID=195<br />
(interventi di S. Ambrosini, M.<br />
Fabiani, F. Lamanna e P. Vella). A commento della pron<strong>un</strong>zia<br />
delle Sezioni Unite n. 1521/2013, v. già A. Didone, Le Sezioni<br />
Unite e la fattibilità del concordato preventivo, Dir. fall., 2013 (in<br />
corso di pubblicazione); G.B. Nardecchia, Concordato senza segreti,<br />
inIl Sole 24Ore del 5 febbraio 2013.<br />
(2) Condivisibilmente M. Fabiani, La questione ‘‘fattibilità", cit.,<br />
158, discorre di «prognosi di adempimento dell’obbligazione<br />
contenuta nella proposta», anche se a me non pare, per quanto<br />
dirò nel testo, che la pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni Unite induca a ritenere<br />
(così come parrebbe concludere l’A. citato) che «la fattibilità<br />
non è <strong>un</strong> giudizio che compete al trib<strong>un</strong>ale», salvo che non incida<br />
sulla stessa riconoscibilità della relazione dell’attestatore.<br />
280 Il Fallimento 3/2013
ancora, ad esempio, alla programmata cessione di<br />
beni di proprietà altrui»); c4) alla «rilevazione del<br />
dato, se emergente prima facie, da cui poter desumere<br />
l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche<br />
misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto<br />
dei termini di adempimento previsti»;<br />
d) siffatto giudizio è esercitabile dal trib<strong>un</strong>ale in<br />
ogni fase della procedura concordataria e si realizza<br />
facendo applicazione di <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico e medesimo parametro<br />
nelle diverse fasi dell’ammissibilità, revoca<br />
ed omologazione, in cui si articola la procedura di<br />
concordato preventivo.<br />
Un’interpretazione a prima lettura di quanto sopra<br />
mi induce a ritenere che le Sezioni Unite - pur sancendo<br />
l’impronta privatistica del concordato e la<br />
spettanza ai creditori di ogni valutazione in ordine<br />
alla convenienza economica della proposta - abbiano<br />
inteso escludere a chiare lettere che al trib<strong>un</strong>ale<br />
sia affidata <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione di controllo della regolarità<br />
formale della procedura (3), nonché di sanzione<br />
degli atti di reticenza (se non di frode) posti in essere<br />
dal debitore nell’esposizione del piano concordatario<br />
(4).<br />
Inoltre a me pare che il sindacato giudiziale al quale<br />
alludono le Sezioni Unite sia anche qualcosa di<br />
più del mero controllo giuridico della legittimità sostanziale<br />
della proposta, se incidente su <strong>un</strong> possibile<br />
vizio «genetico» della sua causa, accertabile in via<br />
preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza<br />
del piano, e traducibile in <strong>un</strong>a sorta di<br />
nullità negoziale per impossibilità dell’oggetto (5).<br />
L’elemento di (forse) inattesa novità, che si rinviene<br />
nella pron<strong>un</strong>zia e che sostanzia il sindacato giudiziale<br />
di fattibilità, èil riconoscimento del potere<br />
giudiziale di controllo sulla «causa in concreto» della<br />
proposta e del procedimento concordatari.<br />
Poiché si tratta, come dirò di qui a poco, di <strong>un</strong> giudizio<br />
che si inscrive al novero del sindacato di merito,<br />
esso riveste carattere discrezionale (nel senso,<br />
s’intende bene, della discrezionalità del giudice, che<br />
deve essere esercitata nel rispetto della legge e con<br />
adeguata motivazione, che tenga conto di tutti i<br />
fatti decisivi e rilevanti sottoposti al suo esame).<br />
Ho perciò l’impressione che le pur dotte ed argomentate<br />
indicazioni delle Sezioni Unite potrebbero<br />
non aver spostato di molto i termini di <strong>un</strong>o dei problemi<br />
che divide gli interpreti del concordato preventivo<br />
riformato, non avendo la Corte precisato<br />
fin dove, in concreto, possa spingersi il sindacato<br />
del giudice, anzi affidandogli il delicato compito di<br />
valutare discrezionalmente l’inserimento del tipo di<br />
proposta, in concreto formulata dal debitore, nel<br />
generale quadro di riferimento degli interessi pub-<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
blici sottesi al concordato (soluzione della crisi<br />
d’impresa e soddisfazione, pur parziale, dei creditori).<br />
Può darsi, d<strong>un</strong>que, che tali affermazioni solleveranno<br />
<strong>un</strong> dibattito altrettanto intenso di quello che ha<br />
preceduto l’arresto oggi all’esame.<br />
Di sicuro, oltre ad interpretare le norme, occorrerà,<br />
d’ora innanzi, anche <strong>un</strong> po’ interpretare la sentenza<br />
delle Sezioni Unite, siccome espressione, ai massimi<br />
livelli, del diritto vivente.<br />
Del resto, le sentenze della Suprema Corte (soprattutto<br />
se rese a Sezioni Unite e, per gi<strong>un</strong>ta, ai sensi<br />
dell’art. 363 c.p.c., come è accaduto nel caso di<br />
specie), nascono - direbbe Redenti - come avvenne<br />
per Minerva, cioè «con l’elmo in testa»: si può dissentire<br />
o restare perplessi, ma ci si deve adeguare.<br />
Proverò, a partire dalle affermazioni contenute nella<br />
pron<strong>un</strong>zia, a riflettere brevemente, fra le tante<br />
possibili, su due questioni sollevate (direttamente o<br />
indirettamente) dalle Sezioni Unite: sul sindacato<br />
di merito della proposta di concordato a cui è chiamato<br />
il trib<strong>un</strong>ale, anche in relazione ai limiti del<br />
(successivo ed eventuale) sindacato della Corte di<br />
cassazione sul giudizio di fattibilità svolto del giudice<br />
di merito; e sulla «permanenza» del sindacato di<br />
merito l<strong>un</strong>go tutto il corso di procedura concordataria,<br />
se del caso al cospetto di circostanze sopravvenute.<br />
2. Sulla valutazione della causa in concreto<br />
della proposta di concordato preventivo<br />
Le Sezioni Unite estendono al concordato preventivo<br />
(ed al relativo sindacato giudiziale) categorie<br />
di stretta derivazione privatistica, quali l’autonomia<br />
contrattuale (6) e la causa negoziale in concreto.<br />
Note:<br />
(3) Come a me sembra emergesse, nella sostanza, dalle pron<strong>un</strong>zie<br />
di Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, e di Cass., 14 febbraio<br />
2011, n. 3586, citt. Invece, Cass., 15 dicembre 2011, n.<br />
27063, cit., aveva affermato non esservi «ragione, in ultima analisi,<br />
di ridurre la cognizione della proposta e del piano concordatari<br />
ad <strong>un</strong>a mera f<strong>un</strong>zione notarile di regolarità formale, svolta da<br />
<strong>un</strong> giudice costretto nel ruolo ancillare di convitato di pietra: in<br />
tal modo, inibendo la tutela anche dell’interesse pubblico a che<br />
il governo della crisi d’impresa - tutt’altro che privo di costi per<br />
la collettività - non sia piegato ad utilizzazioni improprie, con abuso<br />
del diritto».<br />
(4) Sulla necessità che i creditori siano posti in grado di esprimere<br />
<strong>un</strong> «consenso informato» si era soffermata, in particolare,<br />
Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, cit.<br />
(5) Controllo, quest’ultimo, al quale aveva già dato (a mio avviso<br />
correttamente) adito la pron<strong>un</strong>zia di Cass., 15 settembre 2011,<br />
n. 18864, cit.<br />
(6) Sul tema v. A.M. Azzaro, Concordato preventivo e autonomia<br />
privata, inFall., 2007, 1267 ss.<br />
Il Fallimento 3/2013 281
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
Sotto il primo profilo, ness<strong>un</strong>o, io credo, dubita<br />
che (salve le limitate ipotesi in cui la legge prevede<br />
obblighi a contrarre) resti affidato all’autonomia<br />
dei privati la valutazione circa la convenienza economica<br />
del contratto, prima della sua stipula, e ciò<br />
vale anche in relazione all’adesione che i creditori<br />
concordatari sono chiamati a prestare (o a negare)<br />
alla proposta esdebitativa dell’imprenditore (7).<br />
Ma, l’accentuazione dell’autonomia privata non elìde<br />
la necessità «che vi sia chi è chiamato a riconoscere<br />
l’esistenza delle condizioni perché l’obbligatorietà<br />
operi, oltre che nei confronti della maggioranza,<br />
anche rispetto alla minoranza dissenziente, e a<br />
coloro che alla votazione neppure hanno partecipato,<br />
perché non individuati né dal debitore, né dal<br />
commissario giudiziale. Ed è evidente che questo riscontro<br />
non può che essere rimesso al trib<strong>un</strong>ale, come<br />
soggetto terzo e imparziale, istituzionalmente<br />
vocato a svolgerlo» (8).<br />
Il metro del «riscontro» sarà, da oggi, oltre alla valutazione<br />
della fattibilità giuridica della proposta<br />
(ovvero della sua compatibilità con le norme inderogabili),<br />
anche la delibazione della causa in concreto<br />
del contratto di concordato.<br />
Di sicuro, la categoria della causa in concreto non è<br />
sconosciuta alla giurisprudenza della Suprema Corte.<br />
È noto che «la causa del contratto si identifica con<br />
la f<strong>un</strong>zione economico-sociale che il negozio obiettivamente<br />
persegue e il diritto riconosce rilevante<br />
ai fini della tutela apprestata» (9), ovvero con la<br />
f<strong>un</strong>zione economico-sociale dell’atto di autonomia<br />
privata «nella sintesi dei suoi elementi essenziali»<br />
(10).<br />
Sovente il richiamo pretorio alla f<strong>un</strong>zione che il<br />
negozio astrattamente persegue è finalizzato alla distinzione<br />
«ontologica» rispetto allo scopo particolare,<br />
che ciasc<strong>un</strong>a delle due parti si propone di realizzare,<br />
sicché l’illiceità della causa consegue sia all’ipotesi<br />
di contrarietà a norme imperative, all’ordine<br />
pubblico e al buon costume, sia all’ipotesi di utilizzazione<br />
dello strumento negoziale, ancorché tipico,<br />
per frodare la legge, qualora entrambe le parti attribuiscano<br />
al contratto <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione obiettiva volta<br />
al raggi<strong>un</strong>gimento di <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>e finalità contraria<br />
alla legge (11).<br />
La riflessione autoriale degli ultimi decenni ha condotto<br />
al graduale superamento della ricostruzione<br />
della causa in termini di astratta f<strong>un</strong>zione economico-sociale<br />
del negozio (12), per approdare all’idea<br />
della causa come f<strong>un</strong>zione economico-individuale<br />
del negozio medesimo, rappresentativa del programma<br />
contrattuale concretamente voluto e costruito<br />
dalle parti, con la conseguenza che il giudizio sulla<br />
liceità deve svolgersi anche per i contratti tipici ed<br />
ha ad oggetto la legittimità dell’operazione economica<br />
concretamente posta in essere (13).<br />
Ecco che nel diritto vivente è frequente l’affermazione<br />
per la quale nell’interpretazione del contratto<br />
occorre considerarne la causa in concreto, quale scopo<br />
pratico del negozio, ovvero sintesi degli interessi<br />
che lo stesso è concretamente volto a realizzare<br />
(14).<br />
La nozione di causa del negozio deve essere colta,<br />
d<strong>un</strong>que, nella f<strong>un</strong>zione individuale dello specifico<br />
contratto posto in essere (15).<br />
Pertanto, l’indagine relativa alla liceità della causa<br />
quale obiettiva f<strong>un</strong>zione economico-sociale del<br />
contratto va svolta non in astratto ma in concreto,<br />
onde verificare la conformità a legge dell’attività<br />
negoziale posta in essere dalle parti, e quindi la riconoscibilità<br />
nella specie della tutela apprestata<br />
dall’ordinamento giuridico. Siffatta indagine non<br />
può prescindere dall’apprezzamento degli interessi<br />
che il negozio è destinato a realizzare, quali emergono<br />
dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e<br />
successive alla sua conclusione), secondo la valuta-<br />
Note:<br />
(7) Valutazione di convenienza che l’originario testo dell’art. 160<br />
l. fall. riteneva adeguata (ricorrendo ad <strong>un</strong>a sorta di pres<strong>un</strong>zione,<br />
ovvero, io direi, di fictio normativa) in relazione a percentuali dal<br />
40% in su (come opport<strong>un</strong>amente rammenta A. Didone, op<br />
cit.).<br />
(8) I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e<br />
negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze,<br />
in Trattato di diritto fallimentare diretto da V. Buonocore e A.<br />
Bassi, I, Padova, 2010, 561 s., la quale pone opport<strong>un</strong>amente<br />
l’accento sulla particolare efficacia che il concordato è vocato ad<br />
esplicare su qualsiasi credito anteriore al decreto di apertura della<br />
procedura (cfr. art. 184 l. fall.).<br />
(9) Cass., 18 febbraio 1983, n. 1244.<br />
(10) Cass., 15 luglio 1993, n. 7833, in Giur. it., 1995, I, 1, 734.<br />
(11) Cfr. in questo senso Cass., 4 aprile 2003, n. 5324.<br />
(12) Secondo la quale, per i contratti tipici, il giudizio sulla loro liceità<br />
era già risolto a priori dal legislatore mediante la determinazione<br />
dei connotati caratterizzanti il tipo contrattuale, dovendo la<br />
valutazione di liceità riguardare soltanto i contratti innominati<br />
(cfr., per tutti, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto<br />
civile, Napoli, 1966, 187).<br />
(13) V., con accenti e sp<strong>un</strong>ti diversi, tra i molti, M. Giorgianni,<br />
Causa (diritto privato), inEnc. dir., VI, Milano, 1960, 568; G.B.<br />
Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano,<br />
1966, spec. 99, 345; A. Di Majo, Causa del negozio giuridico, in<br />
Enc. giur., VI, Roma, 1988, 2; R. Scognamiglio, Negozio giuridico,<br />
I,In generale, ivi, XX, Roma, 1990, 6; C.M. Bianca, Diritto civile,<br />
III, Il contratto, II ed., Milano, 2000, 452; C. Scognamiglio,<br />
Problemi della causa e del tipo, inTratt. Roppo, II, Regolamento,<br />
Milano, 2006, 91.<br />
(14) Cass., 18 agosto 2011, n. 17360; Cass., 8 maggio 2006, n.<br />
10490.<br />
(15) Cass., 12 novembre 2009, n. 23941.<br />
282 Il Fallimento 3/2013
zione, riservata al giudice del merito, del materiale<br />
probatorio acquisito: qualora emerga che le parti<br />
abbiano utilizzato <strong>un</strong> determinato modello negoziale<br />
per realizzare <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione obiettiva, che non sia<br />
solo diversa da quella per cui tale strumento giuridico<br />
è previsto dalla legge, ma anche in contrasto<br />
con norme imperative, il giudice non può accordare<br />
al negozio in questione la tutela apprestata dall’ordinamento<br />
(16).<br />
Ancor più chiaramente, si dice che il giudice, nel<br />
procedere all’identificazione del rapporto contrattuale,<br />
alla sua denominazione ed all’individuazione<br />
della disciplina che lo regola, deve procedere alla<br />
valutazione in concreto della causa, quale elemento<br />
essenziale del negozio, tenendo presente che essa si<br />
prospetta come strumento di accertamento, per l’interprete,<br />
della generale conformità a legge dell’attività<br />
negoziale posta effettivamente in essere, della<br />
quale va verificata la conformità ai parametri normativi<br />
dell’art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1322,<br />
comma 2, c.c. (meritevolezza di tutela degli interessi<br />
dei soggetti contraenti secondo l’ordinamento<br />
giuridico) (17).<br />
Se questo è il tessuto dei richiami sottesi al concetto<br />
di causa in concreto, che le Sezioni Unite hanno<br />
ritenuto di estendere al negozio (tipico?) di concordato<br />
preventivo, non sarebbe corretto, a mio avviso,<br />
sostenere che il sindacato giudiziale sia stato limitato<br />
dalle Sezioni Unite al solo controllo di fattibilità<br />
giuridica della proposta: difatti, secondo la<br />
Corte regolatrice, il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a valutare<br />
l’idoneità della stessa non soltanto ad assicurare il<br />
soddisfacimento, sia pur modesto e parziale, dei creditori,<br />
ma perfino il superamento della situazione di<br />
crisi dell’imprenditore.<br />
E poiché dalla crisi si può uscire con la liquidazione<br />
dell’attivo (i beni ceduti), ma anche con la prosecuzione<br />
dell’attività d’impresa (18), dovrà essere,<br />
da <strong>un</strong> lato, il debitore ad indicare la modalità all’uopo<br />
prescelta (concordato con cessione dei beni,<br />
piuttosto che concordato in prosecuzione), e, dall’altro<br />
lato, il trib<strong>un</strong>ale a valutare l’attitudine della<br />
proposta (e dei mezzi con essa messi in campo) ad<br />
inverarla.<br />
Ben inteso: si può condividere o meno l’impostazione<br />
data dalle Sezioni Unite al percorso delibativo<br />
che il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a svolgere. In ogni caso,<br />
a me pare che siffatto percorso abbia le caratteristiche<br />
di <strong>un</strong> tipico sindacato «di merito», che - per restare<br />
sul piano del diritto dei contratti - ingloba in<br />
sé <strong>un</strong>a fase interpretativa ed <strong>un</strong>a fase valutativa:<br />
l’interpretazione della proposta concordataria (e<br />
delle eventuali modifiche introdotte dal debitore in<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
corso di procedura), e la valutazione della legittimità<br />
della proposta e dell’idoneità a perseguire la sua<br />
causa in concreto.<br />
3. (Segue) Sindacato di merito sulla causa<br />
in concreto ed accesso al giudizio<br />
di legittimità<br />
Se così stanno le cose, la pron<strong>un</strong>zia delle Sezioni<br />
Unite non può non sottendere <strong>un</strong> ulteriore profilo,<br />
legato ai limiti della censura per cassazione in ordine<br />
al sindacato di fattibilità del concordato svolto<br />
dal giudice di merito.<br />
È noto che il provvedimento reso dal trib<strong>un</strong>ale all’esito<br />
del giudizio di omologazione ex art. 180 l.fall.<br />
(a cui, in caso di diniego dell’omologazione, può<br />
conseguire o meno la dichiarazione di fallimento, a<br />
seconda che vi siano o meno domande in tal senso),<br />
è reclamabile ai sensi dell’art. 18 l.fall., e, quindi,<br />
ricorribile in Cassazione per tutti i motivi di cui<br />
all’art. 360 c.p.c.<br />
Nonostante l’espressa previsione di non reclamabilità,<br />
èparimenti ricorribile in Cassazione (a mente<br />
degli artt. 111, comma 7, cost., e 360, comma 4,<br />
c.p.c.) il decreto col quale il trib<strong>un</strong>ale dichiara l’inammissibilità<br />
della proposta di concordato, ai sensi<br />
dell’art. 162, comma 2, l.fall., le quante volte la<br />
dichiarazione d’inammissibilità abbia intrinseco carattere<br />
decisorio, essendo dipesa da ragioni che<br />
escludono <strong>un</strong>a consequenziale declaratoria di fallimento,<br />
dovendosi invece negare l’ammissibilità del<br />
ricorso in Cassazione quando il decreto è inscindibilmente<br />
connesso ad <strong>un</strong>a successiva e consequenziale<br />
sentenza dichiarativa di fallimento (anche<br />
non contestuale), giacché in tal caso i vizi del decreto<br />
debbono esser fatti valere mediante l’impugnazione<br />
della sentenza, ossia attraverso il reclamo<br />
ex art. 18 l.fall. (19).<br />
Orbene, mentre alla Corte d’appello (adìta ex art.<br />
18 l.fall.) non è precluso, nei limiti dell’effetto de-<br />
Note:<br />
(16) Cass., 14 settembre 2012, n. 15449.<br />
(17) Così Cass., 19 febbraio 2000, n. 1898.<br />
(18) Le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’obiettivo del superamento<br />
dello stato di crisi dell’imprenditore sia «meritevole di tutela<br />
sotto il duplice aspetto dell’interpretazione della crisi come<br />
<strong>un</strong>o dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata<br />
opport<strong>un</strong>ità di privilegiare soluzioni di composizione idonee<br />
a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori<br />
aziendali, altrimenti destinati ad <strong>un</strong> inevitabile quanto inutile depauperamento».<br />
(19) Giurisprudenza pacifica, prima e dopo le riforme della legge<br />
fallimentare: cfr. Cass., 2 aprile 2010, n. 8186; Cass., Sez. Un.,<br />
14 aprile 2008, n. 9743; Cass., 28 gennaio 2000, n. 948; Cass.,<br />
2 maggio 1994, n. 4231.<br />
Il Fallimento 3/2013 283
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
volutivo del reclamo (20), alc<strong>un</strong> sindacato di merito,<br />
ivi compreso il riesame della causa in concreto<br />
della proposta concordataria, l’àmbito del sindacato<br />
della Corte di cassazione è assai più ristretto, dovendosi<br />
incanalare - in disparte le censure (probabilmente<br />
meno ricorrenti nelle ipotesi che ci occupano)<br />
relative alla violazione delle norme sulla<br />
competenza, alla violazione di legge, sostanziale o<br />
processuale, ed alla nullità del provvedimento o del<br />
procedimento - nelle «strettoie» dell’omesso esame<br />
circa <strong>un</strong> fatto decisivo per il giudizio, che è stato<br />
oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma<br />
1, n. 5, c.p.c.) (21).<br />
La valorizzazione, quale parametro del sindacato di<br />
fattibilità, dell’indagine attorno alla causa in concreto<br />
della proposta di concordato, potrebbe, in tal<br />
guisa, tradursi in <strong>un</strong> tendenziale restringimento dell’accesso<br />
al giudizio di legittimità, potendo il ricorrente<br />
censurare la motivazione di merito soltanto<br />
evidenziando (al di là di ogni pur possibile contraddizione<br />
interna alla motivazione medesima) i fatti<br />
«decisivi per il giudizio» (22), che, pur essendo stati<br />
oggetto di discussione tra le parti, il provvedimento<br />
impugnato non ha considerato.<br />
Del resto, ancora per restare sul terreno del sindacato<br />
sull’ermeneutica contrattuale, è noto che l’opera<br />
dell’interprete, mirando a determinare <strong>un</strong>a realtà<br />
storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti<br />
espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto,<br />
istituzionalmente riservato al giudice del merito,<br />
censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione<br />
dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale<br />
posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di<br />
motivazione nell’applicazione di essi (23); e che,<br />
qualora si censuri in Cassazione l’interpretazione offerta<br />
dal giudice di merito, occorre non solo l’astratto<br />
riferimento agli articoli del codice che sanciscono<br />
le regole interpretative, ma anche la specificazione<br />
dei canoni in concreto violati, precisando in<br />
che modo il giudice se ne è discostato, sì da evidenziare<br />
le distorsioni che l’asserita violazione ha prodotto<br />
(24).<br />
4. Il sindacato «permanente» della causa<br />
in concreto nelle diverse fasi<br />
della procedura concordataria<br />
Il controllo di fattibilità, dicono le Sezioni Unite, è<br />
esercitabile dal trib<strong>un</strong>ale in ogni fase della procedura<br />
concordataria - ossia nella fase di ammissione<br />
(art. 162 l.fall.), in quella di revoca (art. 173 l.fall.)<br />
e in quella di omologazione (art. 180 l.fall.) - alla<br />
stregua del medesimo parametro di giudizio, ovvero<br />
dell’attitudine della proposta a perseguire la causa<br />
in concreto del concordato.<br />
Vero è che, dopo le modifiche introdotte dal D.L.<br />
n. 83/2012 (conv. in L. n. 134/2012), il sindacato<br />
giudiziale ha ad oggetto anche ipotesi in cui la valutazione<br />
della causa in concreto potrebbe non essere<br />
possibile, allorché non vi sia ancora <strong>un</strong>a proposta<br />
di concordato, essendosi il debitore riservato di presentarla<br />
nel termine fissato dal trib<strong>un</strong>ale ai sensi<br />
dell’art. 161, comma 6, l.fall.<br />
Si tratta di quelle «misure» (25), riconducibili ora<br />
all’anticipazione degli effetti del concordato alla data<br />
del deposito del ricorso, ora alle esigenze del modello<br />
di concordato cd. con «continuità aziendale»<br />
(26).<br />
Al riguardo, le Sezioni Unite rilevano che «si tratta<br />
di ipotesi tutte caratterizzate dalla necessità di <strong>un</strong><br />
intervento urgente, finalizzato a dare corso alla possibilità<br />
di accesso alla procedura», che esigono l’in-<br />
Note:<br />
(20) Cfr. F. De Santis, Per <strong>un</strong> tentativo di chiarezza di idee attorno<br />
al preteso effetto devolutivo ‘‘pieno’’ del reclamo contro la<br />
sentenza dichiarativa di fallimento, in questa Rivista, 2012, 1186<br />
ss., ed ivi i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali.<br />
(21) Per più l<strong>un</strong>go discorso sull’applicabilità al giudizio fallimentare<br />
delle modifiche al sistema delle impugnazioni civili (introdotte<br />
dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modificazioni,<br />
in L. 7 agosto 2012, n. 134), rinvio al mio scritto «Filtro in appello»,<br />
«doppia conforme» e «ridotta» censura in Cassazione per<br />
vizio della motivazione nei procedimenti fallimentari, in corso di<br />
pubblicazione su questa Rivista.<br />
(22) Sarà il diritto vivente a somministrare le opport<strong>un</strong>e indicazioni<br />
sui contorni del fatto «decisivo per il giudizio», e sulle forme<br />
tecniche della sua sottoposizione allo scrutinio della Corte<br />
regolatrice. Se, come a me pare, la nozione di fatto decisivo per<br />
il giudizio sia non tanto discosta da quella già oggetto della (ormai<br />
abrogata) nozione di prova «indispensabile» (ammissibile<br />
come prova nuova in appello, ai sensi del terzo comma dell’art.<br />
345 c.p.c., oggi modificato dalla L. n. 134/2012), i fatti «decisivi»<br />
potrebbero essere quelli dotati di <strong>un</strong>’«influenza causale più incisiva»<br />
rispetto a quella che i fatti «rilevanti» hanno sulla decisione<br />
finale della controversia, al pari di quanto la giurisprudenza<br />
aveva ritenuto per la prova indispensabile (cfr. Cass,. 5 dicembre<br />
2011, n. 26020; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14766).<br />
(23) Cass., 29 ottobre 2012, n. 18587.<br />
(24) Cass., 30 novembre 2011, n. 25568; Cass., 3 febbraio<br />
2009, n. 2602; Cass., 6 febbraio 2007, n. 2560; Cass., 22 febbraio<br />
2007, n. 4178.<br />
(25) L’autorizzazione al compimento degli atti urgenti di straordinaria<br />
amministrazione con il riconoscimento della prededucibilita<br />
ai crediti da essi derivanti, ex art. 162, comma 7, l. fall, nei casi<br />
di domanda di concordato cd. «con riserva»; l’autorizzazione allo<br />
scioglimento dei contratti in corso ex art. 169-bis l. fall.; l’autorizzazione<br />
a contrarre finanziamenti prededucibili e a pagare crediti<br />
anteriori per prestazioni di beni o servizi, quando ciò sia f<strong>un</strong>zionale<br />
alla migliore soddisfazione dei creditori, ex art. 182-quinquies.<br />
(26) In tema cfr. G. Lo Cascio, Crisi delle imprese, attualità normative<br />
e tramonto della tutela concorsuale, e P. Vella, Il controllo<br />
giudiziale sulla domanda di concordato preventivo con riserva,<br />
entrambi in questa Rivista, 2013, rispettivamente 5 ss, e 82 ss.<br />
284 Il Fallimento 3/2013
tervento di <strong>un</strong> organo terzo in f<strong>un</strong>zione di garanzia<br />
dei creditori, ossia del trib<strong>un</strong>ale, ma non somministrano<br />
alc<strong>un</strong> parametro discretivo ai fini della valutazione<br />
delle istanze di autorizzazione presentate dal<br />
debitore, le quante volte esse avvengano nelle more<br />
della riserva di presentare la proposta, il piano e la<br />
documentazione di supporto, ai sensi dell’art. 161,<br />
comma 6, l.fall.<br />
Ed allora è da ritenersi che, se il parametro della<br />
causa in concreto rappresenta la «stella polare» del<br />
sindacato giudiziale in ogni fase della procedura, sarà<br />
inevitabile che il debitore, pur in pendenza della<br />
suddetta «riserva», debba porre il trib<strong>un</strong>ale in condizioni<br />
di valutare le caratteristiche minimali dell’imminente<br />
proposta, effettuando <strong>un</strong>a (ancora non<br />
completa, ma sicuramente non irrilevante) disclosure<br />
delle sue linee portanti, tali da consentire al giudice<br />
di apprezzare la f<strong>un</strong>zionalità dell’atto, per il<br />
compimento del quale si chiede l’autorizzazione, alla<br />
migliore soddisfazione dei creditori, nel quadro<br />
del modello prescelto di superamento della crisi.<br />
Nella fase, poi, dell’ammissione al concordato preventivo,<br />
il trib<strong>un</strong>ale è chiamato a sindacare la causa<br />
in concreto della proposta a partire dalla relazione<br />
dell’attestatore.<br />
Le Sezioni Unite, da <strong>un</strong> lato, sembrano ricondurre<br />
la posizione dell’attestatore a quella di <strong>un</strong> consulente<br />
del giudice, il quale, nella sua posizione di peritus<br />
peritorum, ha il potere di smentire i risultati dell’attestazione;<br />
ma, dall’altro lato, negano che da ciò<br />
«debba necessariamente discendere il riconoscimento<br />
di <strong>un</strong> potere di controllo di merito».<br />
Sennonché, sono le stesse Sezioni Unite ad affidare<br />
al trib<strong>un</strong>ale la conclusiva valutazione della correttezza,<br />
congruità e coerenza delle argomentazioni<br />
svolte e delle motivazioni addotte dall’attestatore a<br />
sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano,<br />
anche sotto il profilo del collegamento effettivo<br />
fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.<br />
E, secondo quanto a me pare, ci troviamo qui nuovamente<br />
nel contesto di <strong>un</strong> sindacato di merito,<br />
che, stando al dettato della corte regolatrice, deve<br />
arrestarsi soltanto di fronte alla «prognosi di realizzabilità<br />
dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore»,<br />
ossia alla valutazione di convenienza economica<br />
della proposta strettamente intesa.<br />
Non meno significativo mi sembra, infine, il percorso<br />
disegnato dalle Sezioni Unite con riferimento<br />
al sindacato sulla permanente attitudine della proposta<br />
a perseguire la causa in concreto nelle fasi successive<br />
all’ammissione dell’imprenditore alla procedura<br />
di concordato.<br />
In effetti, sono le stesse Sezioni Unite a precisare<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
che l’art. 179, ult. comma, l.fall. - ove si dispone<br />
che quando il commissario giudiziale rileva, dopo<br />
l’approvazione del concordato, che sono mutate le<br />
condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai<br />
creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di<br />
omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per<br />
modificare il voto - «esclude incontestabilmente<br />
che il trib<strong>un</strong>ale debba avere notizia dell’eventuale<br />
mutamento registrato in ordine alle condizioni di<br />
fattibilità, il che lascia implicitamente intendere<br />
che l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato<br />
prima, solo così potendosi giustificare la sua<br />
indifferenza, rispetto al mutamento di dati altrimenti<br />
potenzialmente rilevanti».<br />
E sono, d’altro canto, ancora le Sezioni Unite ad<br />
affermare che - vuoi ai fini dell’eventuale revoca<br />
dell’ammissione al concordato ai sensi dell’art. 173<br />
l.fall., vuoi in sede di giudizio di omologazione ex<br />
art. 180 l.fall. - il sindacato in ordine alla regolarità<br />
della procedura deve ragionevolmente essere realizzato<br />
«con la verifica del fatto che anche nel prosieguo<br />
della procedura non siano venuti meno quei<br />
presupposti, la cui mancanza iniziale non avrebbe<br />
consentito l’accesso alla procedura».<br />
Salvo, poi, a precisare che la previsione dell’art.<br />
180, comma 4, l.fall. (secondo la quale, se, nell’ipotesi<br />
di mancata formazione delle classi, i creditori<br />
dissenzienti che rappresentano il 20 per cento dei<br />
crediti ammessi al voto, contestano la convenienza<br />
della proposta, il trib<strong>un</strong>ale può omologare il concordato<br />
qualora ritenga che il credito possa risultare<br />
soddisfatto dal concordato in misura non inferiore<br />
rispetto alle alternative concretamente praticabili),<br />
«non sembra possa trovare ragionevole fondamento<br />
nell’intento di ampliare i margini di intervento del<br />
giudice nell’ambito della procedura in questione,<br />
ma appare piuttosto <strong>un</strong> bilanciamento in favore del<br />
ceto creditorio, determinato dalla modifica apportata<br />
alla l.fall., art. 178, comma 4, che, contrapponendosi<br />
alla disciplina previgente, ha introdotto il<br />
principio del silenzio assenso nello svolgimento delle<br />
operazioni di voto» (27).<br />
Nota:<br />
(27) E, ancora, a proposito del potere (riconosciuto al trib<strong>un</strong>ale<br />
dall’art. 180, comma 4, l. fall.) di disporre, allorché vi siano opposizioni<br />
all’omologazione, mezzi di prova d’ufficio, le Sezioni Unite<br />
si richiamano «alla rilevanza pubblicistica riconosciuta alla procedura<br />
di concordato, che in quanto tale giustifica <strong>un</strong> più penetrante<br />
controllo del giudice rispetto all’ordinario proprio in vista dell’esigenza<br />
di realizzazione dell’interesse pubblico ad essa sotteso»,<br />
salvo, però, a precisare che ciò porta com<strong>un</strong>que ad escludere<br />
che «tale facoltà possa essere interpretata come espressione di<br />
<strong>un</strong> potere di sindacato da parte del giudice, in relazione al contenuto<br />
della proposta formulata dall’imprenditore ai creditori».<br />
Il Fallimento 3/2013 285
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
L’andamento <strong>un</strong> po’ ondeggiante, che l’ordito argomentativo<br />
delle Sezioni Unite sembra evidenziare<br />
in parte qua, potrebbe, a mio avviso, far passare in<br />
secondo piano il tema finale (ma non per questo<br />
meno importante) del sindacato di fattibilità secondo<br />
il metro della causa in concreto, che sintetizzerei<br />
nella seguente domanda: se sopravvengono in corso di<br />
procedura circostanze di fatto (delle quali il commissario<br />
giudiziale ha reso tempestivamente edotti i creditori), tali<br />
da far venir meno i presupposti di accesso al concordato<br />
e da rendere la proposta inidonea al perseguimento<br />
della causa in concreto, al trib<strong>un</strong>ale è o non è da riconoscersi<br />
il potere di denegare l’omologazione, pur nell’assenza<br />
di opposizioni?<br />
Volendo attenersi alla ratio complessiva del dettato<br />
nomofilattico, a me pare che a tale domanda debba<br />
darsi <strong>un</strong>a risposta positiva (28).<br />
L’interprete, però, si sarebbe forse atteso dalla Corte<br />
del precedente indicazioni più inequivoche,<br />
protese a sedare i contrasti che <strong>un</strong>a tematica così<br />
complessa, tormentata e dibattuta ha finora sollevato<br />
negli orientamenti pretori e nelle riflessioni<br />
autoriali.<br />
Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza<br />
23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘f<strong>un</strong>zionale’’ aperta<br />
dal richiamo alla ‘‘causa concreta’’<br />
di Ilaria Pagni<br />
Nell’attesa di enucleare <strong>un</strong>a casistica, sulla quale misurare il richiamo alla nozione di ‘‘causa concreta’’, elaborata<br />
con riferimento alle forme in cui più tradizionalmente si esprime l’autonomia privata, l’A. cerca di individuare<br />
i binari dell’intervento che le Sezioni Unite ritengono sia demandato ai giudici di merito, quando ipotizzano<br />
<strong>un</strong> controllo sul contenuto della proposta in termini di ‘‘realizzabilità della causa concreta nella procedura<br />
di concordato’’. La maggiore difficoltà sta nel cogliere - non già nei casi esemplari prospettati nella sentenza,<br />
ma dinanzi alle ipotesi più articolate, offerte dal confronto con la dimensione applicativa - il discrimine<br />
tra verifica, rimessa al trib<strong>un</strong>ale, dell’effettiva idoneità della proposta ad assicurare la rimozione della crisi<br />
nei tempi e modi convenuti tra debitore e creditori, e giudizio, riservato ai creditori, in ordine alla congruità<br />
di quei tempi e di quei modi. Più semplice è ricavare, dalla pron<strong>un</strong>cia della Corte, i seguenti p<strong>un</strong>ti fermi: che<br />
l’inidoneità della proposta sia rilevabile d’ufficio; che il controllo si eserciti in modo identico in tutte le fasi<br />
della procedura, sia pure coi diversi limiti di conoscenza che caratterizzano ciasc<strong>un</strong>a fase; che il controllo si<br />
realizzi non soltanto sulla completezza e congruità logica della relazione del professionista, ma si eserciti direttamente<br />
sugli elementi che l’attestatore fornisce (oltre che su quelli che emergano dal parere del commissario<br />
giudiziale, o dalle opposizioni).<br />
1. Fattibilità del concordato e causa<br />
del contratto: le difficoltà del ricorso<br />
alle categorie civilistiche<br />
Il disorientamento che ha provocato la pubblicazione<br />
della pron<strong>un</strong>cia resa dalla Cassazione a Sezioni<br />
Unite sulla questione della fattibilità del concordato<br />
è indicativo delle difficoltà di adattamento delle nozioni<br />
civilistiche di oggetto e causa alla peculiare dimensione<br />
del diritto concorsuale e ad <strong>un</strong> contratto<br />
così particolare come quello tra il debitore e la massa<br />
dei suoi creditori. Difficoltà di adattamento che non<br />
mi sono mai nascosta, nel proporre il ricorso alla ca-<br />
Nota:<br />
(28) Le Sezioni Unite affermano, infatti, che «nel caso di mancanza<br />
di opposizioni, non è demandato al trib<strong>un</strong>ale alc<strong>un</strong> accertamento<br />
o compito peculiare; la verifica in ordine alla regolarità<br />
della procedura, il cui obbligo è richiamato nel terzo comma dell’articolo<br />
citato [art. 180 l. fall., n.d.r.], deve ragionevolmente essere<br />
realizzata con la verifica del fatto che anche nel prosieguo<br />
della procedura non siano venuti meno quei presupposti la cui<br />
mancanza iniziale non avrebbe consentito l’accesso alla procedura».<br />
tegoria della ‘‘possibilità dell’oggetto’’ per cercare di<br />
ricondurre in qualche modo alla sistematica del contratto<br />
il requisito della fattibilità del piano (1).<br />
Nota:<br />
(1) V., si vis, il mio Contratto e processo nel concordato preventivo<br />
e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze,<br />
inTrattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e<br />
Bassi, I, Padova, 2010, 558 ss., spec. 586.<br />
Per <strong>un</strong> analogo ricorso alla categoria dell’impossibilità dell’oggetto,<br />
«riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla<br />
luce della relazione del commissario giudiziale, alc<strong>un</strong>a probabilità<br />
di essere adempiuta», Cass., Sez. I, 15 settembre 2011, n.<br />
18864, in Corr. giur., 2012, 39 ss.<br />
286 Il Fallimento 3/2013
È <strong>un</strong> contratto, quello di concordato, in cui il consenso<br />
si forma con <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità involontaria di<br />
interessi, composta dal ceto creditorio, costretta a<br />
esprimere la propria volontà attraverso meccanismi<br />
di maggioranza e non già nei modi che presiedono<br />
di norma alla stipula degli accordi; e in cui, alla difficoltà<br />
di individuare tutti i creditori chiamati ad<br />
esprimere il proprio voto (seppure oggi parzialmente<br />
temperata dalla previsione della pubblicità della<br />
domanda di concordato nel registro delle imprese),<br />
si aggi<strong>un</strong>ge il fatto che gli effetti indiretti dell’accordo<br />
si producono anche verso terzi che non votano<br />
(si pensi ai coobbligati, fideiussori e obbligati in<br />
via di regresso, rispetto ai quali i creditori conservano<br />
impregiudicate le ragioni di credito, e che perciò<br />
si troveranno certamente ‘‘aggrediti’’ per la parte<br />
del debito che non sia stato rimesso al debitore<br />
principale).<br />
Così come avviene, del resto, nell’accordo di ristrutturazione<br />
dei debiti, dove la conformazione<br />
della garanzia patrimoniale determinata dall’esonero<br />
da revocatoria dell’art. 67, terzo comma, lett. e,<br />
l.fall. opera anche a svantaggio dei creditori non<br />
aderenti all’accordo; o nella disciplina sul sovraindebitamento,<br />
dove di nuovo sono previsti vincoli<br />
particolari per i terzi.<br />
2. Le ragioni dell’intervento giudiziale<br />
nelle soluzioni negoziali della crisi<br />
Sono principalmente queste, seppure declinate diversamente<br />
a seconda della tipologia di accordo tra<br />
debitore e creditori, le ragioni per cui, pur nell’accentuazione<br />
del ruolo dell’autonomia privata, rimane<br />
immanente a qual<strong>un</strong>que disciplina, nella materia<br />
delle soluzioni negoziali alla crisi d’impresa, la<br />
necessità strutturale della presenza del trib<strong>un</strong>ale.<br />
Una necessità strutturale che niente ha a che vedere<br />
con impostazioni ideologiche volte a privilegiare<br />
la dimensione pubblicistica rispetto a quella privatistica,<br />
ma che anzi muove proprio all’interno di quest’ultima,<br />
per consentire all’autonomia privata di<br />
dispiegare appieno i propri effetti, anche in situazioni<br />
diverse da quelle del tradizionale diritto dei contratti.<br />
L’attribuzione di efficacia all’accordo da parte del<br />
giudice presuppone non solo <strong>un</strong>a verifica dell’effettività<br />
del consenso espresso dalla maggioranza, ma<br />
anche <strong>un</strong> controllo della correttezza della procedura<br />
(da intendersi in senso ampio, e non soltanto limitata<br />
ai profili formali della regolarità del procedimento),<br />
all’esito della quale gli effetti dell’accordo<br />
si estenderanno anche verso coloro che non abbia-<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
no partecipato all’iter di formazione della volontà<br />
negoziale, perché non raggi<strong>un</strong>ti dalla notizia del<br />
concordato o perché com<strong>un</strong>que ad esso estranei.<br />
La necessità che in ogni fase della procedura si tenga<br />
conto della compresenza di più interessi (tra cui<br />
quelli dei terzi, toccati dagli effetti dell’accordo), e<br />
l’impossibilità, perciò, di rimettere in toto alle decisioni<br />
della maggioranza, pur depurate dal rischio<br />
del conflitto di interessi, l’efficacia dell’intesa raggi<strong>un</strong>ta<br />
tra debitore e creditori, spiegano anche perché,<br />
<strong>un</strong>a volta che si sia gi<strong>un</strong>ti all’omologa, il controllo<br />
rimesso al trib<strong>un</strong>ale non muti di profondità,<br />
per il fatto che vi siano o meno opposizioni.<br />
L’omologa, nel concordato, è <strong>un</strong> giudizio camerale,<br />
incentrato sull’accordo cui dovrà essere attribuita<br />
efficacia, e la presenza delle opposizioni non ne muta<br />
l’oggetto. Le opposizioni, infatti, non portano all’attenzione<br />
del giudice i diritti degli opponenti,<br />
trasformando l’omologa in <strong>un</strong> giudizio contenzioso<br />
sul credito, ma servono ad introdurre questioni di<br />
fatto (sull’esistenza dei crediti, sulla regolarità della<br />
votazione, sulla fattibilità della proposta, e via dicendo)<br />
che il trib<strong>un</strong>ale potrebbe conoscere altrimenti<br />
- grazie, ad esempio, alle segnalazioni del<br />
commissario giudiziale - e che com<strong>un</strong>que dovrebbe<br />
affrontare per decidere in ordine alla soluzione della<br />
crisi. Non a caso, perciò, nella versione anteriore al<br />
correttivo, le opposizioni venivano definite ‘‘eccezioni’’,<br />
in corrispondenza alla natura di atto processuale<br />
rivolto ad introdurre fatti, e non già a modificare<br />
l’oggetto del giudizio: fatti che potevano indurre<br />
il trib<strong>un</strong>ale a mettere in discussione quel che era<br />
stato oggetto della votazione, non diversamente da<br />
quel che può fare il commissario giudiziale nel depositare<br />
il proprio motivato parere, ex art. 180, secondo<br />
comma, o nel segnalare il venir meno delle<br />
condizioni di ammissibilità del concordato, come<br />
gli impone l’art. 173 l.fall. (dell’art. 179 l.fall. diremo<br />
tra poco).<br />
3. Le linee generali dell’intervento<br />
delle Sezioni Unite<br />
Se questa ricostruzione è corretta, compito dell’interprete<br />
non è prendere posizione per il partito dell’autonomia<br />
negoziale o per quello dell’eteronomia<br />
giudiziale ad ogni costo, ma, piuttosto, cercare, all’interno<br />
dei binari tracciati dal legislatore e oggi ridefiniti,<br />
sia pure con qualche incertezza, dalla Cassazione,<br />
quale sia l’esatta misura del rapporto tra applicazione<br />
del principio maggioritario, da <strong>un</strong>a parte,<br />
e irrin<strong>un</strong>ciabilità, dall’altra parte, di <strong>un</strong>a tutela per i<br />
creditori assenti e dissenzienti, per i terzi, e per gli<br />
Il Fallimento 3/2013 287
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
stessi consenzienti, la cui volontà, tuttavia, non si<br />
sia formata correttamente.<br />
Ciò sia evitando di eccedere, in nome di <strong>un</strong> nostalgico<br />
ritorno al passato, nella pretesa di ampliare gli<br />
spazi riservati all’intervento del Trib<strong>un</strong>ale (2), sia,<br />
al tempo stesso, evitando di accentuare oltre misura<br />
l’idea che il concordato sia soltanto <strong>un</strong> ‘‘affare del<br />
debitore e dei suoi creditori’’, visti gli effetti che lo<br />
stesso produce, anche soltanto come moltiplicatore<br />
di costi e, con essi, degli effetti dell’insolvenza<br />
quando manchino i presupposti per il superamento<br />
della crisi.<br />
La Cassazione ha individuato le linee generali dell’intervento<br />
del giudice nei termini seguenti.<br />
Ai creditori è riservata la valutazione (‘‘di merito’’)<br />
in ordine alla probabilità di successo economico del<br />
piano, ovvero dell’atto che specifica modi e tempi<br />
con cui il debitore intende adempiere all’accordo<br />
raggi<strong>un</strong>to; al trib<strong>un</strong>ale è riservata invece la valutazione<br />
(‘‘di legittimità’’) circa la realizzabilità della<br />
causa concreta della procedura di concordato. Causa<br />
concreta che - in ossequio alla ricostruzione che<br />
dottrina e giurisprudenza danno della causa, non<br />
già come mera e astratta f<strong>un</strong>zione economico sociale<br />
del negozio, bensì come sintesi degli interessi reali<br />
che il contratto è diretto a realizzare (3) - viene<br />
colta nel superamento dello stato di crisi, per l’imprenditore,<br />
e nel riconoscimento, in favore dei creditori,<br />
di <strong>un</strong>a sia pur minimale consistenza del credito<br />
da essi vantato, in tempi di realizzazione ragionevolmente<br />
contenuti.<br />
Sicché - mi sembra di poter dire - se spetta ai creditori,<br />
in quanto diretti interessati, la valutazione della<br />
convenienza, rispetto all’alternativa fallimentare,<br />
e della realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione<br />
proposta dal debitore a ciasc<strong>un</strong>o di essi (in<br />
base alla classe di appartenenza), è tuttavia demandato<br />
al giudice il controllo dell’assetto complessivo<br />
del concordato: non solo il riscontro della legalità<br />
degli atti in cui si articola la procedura, ma anche<br />
la verifica dell’effettiva idoneità della proposta ad<br />
assicurare il soddisfacimento della causa del concordato:<br />
ad assicurare, cioè, la rimozione della crisi mediante<br />
i tempi e i modi di adempimento promessi ai creditori<br />
nel loro complesso.<br />
In questo senso, l’en<strong>un</strong>ciazione della Corte non mi<br />
sembra possa essere letta in chiave minimalista (4):<br />
perché se è vero che non rileva la misura del soddisfacimento,<br />
per le Sezioni Unite non è neppure sufficiente<br />
che <strong>un</strong> soddisfacimento vi sia e sia economicamente<br />
quantificabile, ma occorre verificare in<br />
concreto (di qui il riferimento ad <strong>un</strong> approccio ermeneutico<br />
non di tipo astratto, quale sarebbe quel-<br />
lo che si accontentasse del requisito ora accennato,<br />
senza il quale il concordato neppure corrisponderebbe<br />
al ‘‘tipo’’ contrattuale) se l’operazione negoziale<br />
assicuri davvero il superamento della crisi, e<br />
non si limiti a procrastinare <strong>un</strong>a dichiarazione di<br />
insolvenza, che farebbe venir meno la ragione giustificatrice<br />
(e con essa la causa) del sacrificio sopportato<br />
dai creditori.<br />
Nel procedere attraverso esempi (che non esauriscono<br />
- né potrebbero, in ossequio alla scelta di<br />
portare la fattibilità sul piano della causa concreta<br />
del negozio - lo spettro delle possibilità di intervento<br />
ricavabili dall’en<strong>un</strong>ciazione astratta di <strong>un</strong> dovere<br />
di controllo sulla causa), è la stessa Corte, coerentemente,<br />
a non limitare il controllo alle ipotesi,<br />
quasi di scuola, in cui la fattibilità sia stata ancorata<br />
ad <strong>un</strong> complesso di dati, la cui sommatoria deponga<br />
viceversa in favore di conclusioni di segno opposto;<br />
o in cui sia impossibile, giuridicamente, dare esecuzione<br />
all’accordo, essendo stata programmata la cessione<br />
di beni di proprietà altrui. E ad estendere la<br />
verifica dei presupposti dell’accordo al controllo<br />
sull’inidoneità della proposta a soddisfare in <strong>un</strong>a<br />
qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto<br />
dei termini di adempimento previsti.<br />
Una prospettiva f<strong>un</strong>zionale, quella che il ricorso al<br />
concetto di causa inevitabilmente porta con sé, che<br />
richiede particolare cautela nella distinzione rispetto<br />
alla prognosi di realizzabilità dell’attivo, che la<br />
Corte vuole rimessa ai creditori, ma intendendo<br />
con questo, a mio avviso, riservare ad essi l’accettazione<br />
dell’alea delle condizioni di mercato, e non<br />
già l’autorizzazione al procedere di <strong>un</strong> concordato<br />
in cui sia già prevedibile l’esito negativo delle operazioni<br />
che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità<br />
giuridica od economica poco importa,<br />
poiché è vero che quella distinzione non dev’essere<br />
eccessivamente enfatizzata) (5).<br />
Note:<br />
(2) Secondo il suggerimento di G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi<br />
ed abusi nel concordato preventivo, in questa Rivista, 2012, 891<br />
ss., spec. 905.<br />
(3) In argomento è d’obbligo la citazione di G.B. Ferri, Causa e<br />
tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966. Per <strong>un</strong> esame<br />
del concetto di causa, si rinvia a V. Roppo, Il contratto, in<br />
Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano,<br />
2011, 341 ss.<br />
(4) Così, invece, M. Fabiani, Guida rapida alla lettura di Cass.<br />
s.u. 1521/2013, inwww.Ilcaso.it, 2013, 7; Id., La questione ‘‘fattibilità’’<br />
del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite,<br />
in questa Rivista, 2013, 156.<br />
(5) Su questo p<strong>un</strong>to si concorda con M. Fabiani, Guida rapida,<br />
cit., 3; Id., La questione ‘‘fattibilità’’, cit., 156.<br />
288 Il Fallimento 3/2013
4. Alc<strong>un</strong>i p<strong>un</strong>ti fermi<br />
In tutto ciò si annida il rischio di interpretazioni<br />
difformi da parte dei giudici di merito delle indicazioni<br />
fornite dalla Suprema Corte.<br />
È talmente sfuggente la nozione di causa (che <strong>un</strong><br />
civilista della prima metà del secolo scorso definiva<br />
<strong>un</strong> ‘‘oggetto molto vago e misterioso’’), e lo è ancor<br />
più ove riferita non ad <strong>un</strong> contratto qualsiasi, ma<br />
ad <strong>un</strong> accordo così particolare come quello in esame,<br />
che, se da <strong>un</strong> lato non vi è dubbio che, col richiamo<br />
ad essa, la Corte abbia ribadito la necessità<br />
di <strong>un</strong> controllo del giudice sulla fattibilità del piano,<br />
dall’altro sembra inevitabile fermarsi alla conclusione<br />
che saranno i singoli trib<strong>un</strong>ali a dover valutare,<br />
caso per caso, se l’intervento che hanno in<br />
mente di compiere si muova nei limiti della verifica<br />
dell’effettiva realizzabilità della causa concreta della<br />
procedura di concordato, oppure trasmodi in <strong>un</strong><br />
giudizio - che è invece, per la Cassazione, di competenza<br />
esclusiva dei creditori - sul merito della singola<br />
percentuale di soddisfazione proposta alla classe,<br />
e sui rischi inerenti alla possibilità di ottenere<br />
davvero il singolo risultato da ciasc<strong>un</strong>o auspicato.<br />
È la Corte stessa a rimettere i margini dell’intervento<br />
alla discrezionalità dei giudici di merito, nel momento<br />
in cui afferma, coerentemente col proprio ruolo<br />
di giudice di legittimità, che «non è possibile stabilire<br />
con <strong>un</strong>a previsione generale e astratta i margini di<br />
intervento del giudice in ordine alla fattibilità del<br />
concordato, dovendosi a tal fine tener conto delle<br />
concrete modalità proposte dal debitore per la composizione<br />
della propria esposizione debitoria».<br />
E tuttavia, se non vogliamo rin<strong>un</strong>ciare a indicare<br />
delle possibili linee guida per <strong>un</strong> compito così delicato,<br />
nell’attesa che si formi <strong>un</strong>a casistica (specifica<br />
del concordato) sulla quale misurare la nozione di<br />
causa in concreto, possiamo intanto individuare alc<strong>un</strong>i<br />
p<strong>un</strong>ti fermi che sembrano potersi ricavare dall’ampio<br />
argomentare della Corte.<br />
Innanzitutto, la Cassazione ha definitivamente ribadito<br />
la necessità di <strong>un</strong> controllo del giudice sulla<br />
fattibilità del piano; ha chiarito che il controllo<br />
non è di secondo grado (destinato cioè a realizzarsi<br />
soltanto sulla completezza e congruità logica della<br />
relazione del professionista), ma si esercita direttamente<br />
sugli elementi che l’attestatore fornisce, in<br />
<strong>un</strong>a veste analoga (ma non identica, visto che si<br />
tratta di <strong>un</strong> soggetto nominato dal debitore) a quella<br />
di <strong>un</strong> ausiliare del giudice, dalle cui valutazioni,<br />
pertanto, il trib<strong>un</strong>ale è libero di discostarsi, come fa<br />
dalle valutazioni non condivise, che gli siano offerte<br />
da <strong>un</strong> qual<strong>un</strong>que suo ausiliare (6). Ha precisato,<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
infine, che il controllo è identico in tutte le fasi<br />
della procedura, sia pure coi diversi limiti di conoscenza<br />
che caratterizzano ciasc<strong>un</strong>a fase (ed è identico,<br />
in fase di omologazione, indipendentemente dal<br />
se vi siano o meno opposizioni, visto che com<strong>un</strong>que<br />
il trib<strong>un</strong>ale dovrà verificare se «anche nel prosieguo<br />
della procedura non siano venuti meno quei<br />
presupposti la cui mancanza iniziale non avrebbe<br />
consentito l’accesso alla procedura»: con ciò definitivamente<br />
riconoscendo la natura di fatto costitutivo<br />
- o, il che è lo stesso per quanto qui interessa, di<br />
fatto impeditivo rilevabile d’ufficio - del requisito<br />
della fattibilità del piano) (7).<br />
A questo proposito, la Corte ha anche menzionato<br />
- per bilanciare le aperture all’intervento giudiziale<br />
che alc<strong>un</strong>i hanno des<strong>un</strong>to dalle norme introdotte<br />
dal Decreto sviluppo, segnatamente in tema di continuità<br />
aziendale (8) - l’importanza del novellato<br />
art. 179 l.fall., nella parte in cui prevede che<br />
«quando il commissario rileva, dopo l’approvazione<br />
del concordato, che sono mutate le condizioni di<br />
fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali<br />
possono costituirsi nel giudizio di omologazione<br />
fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il<br />
voto». Un dettato normativo che escluderebbe che<br />
il trib<strong>un</strong>ale debba avere notizia dell’eventuale mutamento<br />
registrato in ordine alle condizioni di fattibilità,<br />
ma che può riguardare, evidentemente - perché<br />
altrimenti tutto il ragionamento della Corte<br />
Note:<br />
(6) Sulla natura dell’attestatore, si condividono le considerazioni<br />
di G. Bozza, La fattibilità nel contratto preventivo è giudizio che<br />
spetta ai creditori, in questa Rivista, 2011, 182 ss., spec. 184.<br />
V., inoltre, V. Colesanti, Crisi d’impresa, accordi di ristrutturazione<br />
e insolvenza (‘‘prospettica’’), in Corr. giur., 122 ss., spec.<br />
124-125.<br />
(7) In senso contrario giocherebbe invece, secondo S. Ambrosini,<br />
Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla<br />
luce della riforma del 2012, inwww.Ilcaso.it, 2012, 8, 9, la previsione<br />
dell’art. 179 l. fall., nel testo novellato. La norma, infatti,<br />
«attributiva di <strong>un</strong>a rilevante facoltà ai creditori, può nondimeno<br />
rappresentare, al contempo, <strong>un</strong> limite all’esercizio di altre prerogative,<br />
nella misura in cui si ritenga - e la formulazione della norma,<br />
letta in combinato disposto con l’art. 180, potrebbe in effetti<br />
autorizzare <strong>un</strong>a conclusione siffatta - che lo scrutinio circa la<br />
fattibilità del piano, effettuato dai creditori con l’esercizio del voto,<br />
non possa aver luogo, in sede di omologazione, se non nel<br />
caso espressamente contemplato dall’art. 179, secondo comma,<br />
e pertanto non d’ufficio, né in assenza di mutamenti delle<br />
condizioni di fattibilità del piano, ma solo, per l’app<strong>un</strong>to, in presenza<br />
di <strong>un</strong>a modifica del voto giustificata da <strong>un</strong> tale ‘‘cambiamento<br />
di scenario’’ e fatta valere con la costituzione nel giudizio<br />
di omologazione». Ma per <strong>un</strong> diversa lettura dell’art. 179, secondo<br />
comma, l. fall., v subito infra, nel testo.<br />
(8) Sul p<strong>un</strong>to, si vedano le osservazioni di F. Lamanna, Il controllo<br />
giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione<br />
del concordato preventivo, inIl Fallimentarista, 1 ss.,<br />
spec. 49 ss.<br />
Il Fallimento 3/2013 289
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
non avrebbe senso - solo quelle condizioni di cui il<br />
giudice non si sarebbe dovuto com<strong>un</strong>que occupare<br />
neppure prima.<br />
Quella norma, a mio avviso, significa soltanto che i<br />
creditori debbono essere avvertiti dell’eventuale<br />
mutamento delle condizioni sulle quali sono stati<br />
chiamati ad esprimere la propria approvazione della<br />
proposta, in modo da poter modificare il proprio<br />
voto, ma non esclude affatto, se alla disposizione si<br />
vuole dare <strong>un</strong> senso complessivo nel quadro del sistema,<br />
che analoga notizia debba essere indirizzata<br />
al trib<strong>un</strong>ale, per gli aspetti di relativa competenza.<br />
Escluso che rilevi, nell’economia della proposta concordataria,<br />
l’indicazione della prevedibile misura di<br />
soddisfazione dei creditori (anche perché - ricorda la<br />
Cassazione - la percentuale di pagamento eventualmente<br />
prospettata non è vincolante, essendo al contrario<br />
sufficiente l’impegno del debitore a mettere a<br />
disposizione dei creditori «i beni liberi da vincoli<br />
ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino<br />
apprezzabilmente il valore»), e che perciò rilevi<br />
anche la realizzabilità in concreto della percentuale<br />
in discorso (rientrando questa valutazione nel giudizio<br />
rimesso ai creditori, in ordine alla ‘‘fattibilità<br />
economica’’ del piano), il sindacato del giudice dovrà<br />
esercitarsi invece nella verifica - perché in ciò<br />
consiste il controllo sulla causa - che il singolo concordato,<br />
pur non prevedendo prestazioni illecite o<br />
impossibili, non sia com<strong>un</strong>que inidoneo, invirtùdella<br />
concreta disciplina dettata dai paciscenti, a realizzare<br />
gli interessi programmati dai contraenti stessi.<br />
Mentre la corrispondenza tra il singolo contratto e<br />
il tipo legale vale solo ad accertare la sussistenza<br />
della causa in astratto, e cioè della generale ammissibilità<br />
di quel tipo di atto, la necessità di <strong>un</strong> riscontro<br />
della causa in concreto, voluta dalla Cassazione,<br />
impone <strong>un</strong> esame nel concreto della capacità<br />
della complessiva operazione perseguita dalle parti<br />
di superare la crisi attraverso <strong>un</strong> soddisfacimento,<br />
sia pure ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.<br />
In questo senso, la verifica della sussistenza<br />
concreta della causa non può andare disgi<strong>un</strong>ta da<br />
<strong>un</strong> controllo sulla effettiva f<strong>un</strong>zionalità del contratto:<br />
se, nonostante debitore e maggioranza dei creditori<br />
si siano accordati sui termini economici dell’impegno<br />
richiesto all’imprenditore, si ravvisino,<br />
sulla scorta dei dati che emergono dall’attestazione<br />
o sulla scorta delle considerazioni del commissario,<br />
elementi che facciano ritenere che, ab origine, quell’impegno<br />
non sia in grado di evitare il fallimento,<br />
il trib<strong>un</strong>ale deve intervenire ad evitare la moltiplicazione<br />
dei costi che <strong>un</strong> concordato ‘‘inutile’’ (in<br />
ciò sostanziandosi l’assenza di causa) produce. Allo<br />
stesso modo in cui, al contrario, dovrà astenersi dall’intervenire<br />
quando quel concordato abbia com<strong>un</strong>que<br />
la capacità di determinare il superamento della<br />
crisi, pur se le condizioni proposte ai creditori appaiano<br />
svantaggiose o più difficilmente realizzabili<br />
rispetto a quelle che - a giudizio del trib<strong>un</strong>ale - si<br />
potrebbero ottenere col fallimento.<br />
In assenza di giurisprudenza formatasi sulla causa<br />
concreta nei concordati, e in presenza, invece, di<br />
<strong>un</strong>a giurisprudenza ricchissima sull’impiego della<br />
nozione di causa nei contratti (9), occorrerà, d’ora<br />
in avanti, procedere, sulla scorta di quella, ad <strong>un</strong><br />
intenso lavoro di indagine e di studio dell’operazione<br />
economica perseguita dalle parti nei singoli strumenti<br />
di risoluzione negoziale della crisi d’impresa.<br />
Compito, questo, da svolgere senza adesioni acritiche<br />
ad alc<strong>un</strong>o schieramento, «senza cedimenti verso<br />
f<strong>un</strong>zioni di polizia del processo troppo pubblicisticamente<br />
intese» (10), che in momenti di crisi come<br />
questo rischierebbero di aggravare ulteriormente la<br />
già difficile condizione delle imprese, ma senza neppure<br />
entusiastiche concessioni al mito dell’autonomia<br />
negoziale, a riparare i possibili guasti della quale<br />
(per l’eventualità, immanente al tipo contrattuale,<br />
che vi sia <strong>un</strong>o squilibrio, e non soltanto informativo,<br />
tra le parti del contratto, e poi all’interno del<br />
ceto creditorio) è app<strong>un</strong>to preposto il trib<strong>un</strong>ale.<br />
La caratterizzazione negoziale del concordato, <strong>un</strong>ita<br />
alla natura non meramente individuale degli interessi<br />
in gioco, spinge a non rin<strong>un</strong>ciare al favore per<br />
<strong>un</strong>a soluzione concordata della crisi, ma insieme a<br />
negarle forza conclusiva del processo senza quel controllo<br />
della legittimità della soluzione proposta, che<br />
presuppone che attraverso il piano, fino all’omologa,<br />
il trib<strong>un</strong>ale possa, a garanzia di tutti gli interessi<br />
coinvolti, saggiare la capacità dell’imprenditore di<br />
soddisfare i propri creditori nei termini (di cui i creditori<br />
sono sovrani) risultanti dalla proposta, e di dimostrare,<br />
attraverso <strong>un</strong> soddisfacimento dei creditori<br />
‘‘sia pur ipoteticamente modesto e parziale’’, il ricorrere<br />
della causa concreta dell’operazione negoziale<br />
che col concordato si propone di realizzare.<br />
Note:<br />
(9) Tra le quali, si segnalano all’attenzione dei lettori, Cass., Sez.<br />
III, 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, 1718, con nota<br />
di F. Rolfi, La causa come «f<strong>un</strong>zione economico sociale»: tramonto<br />
di <strong>un</strong> idolum tribus?; Cass., sez. III, 20 dicembre 2007, n.<br />
26958, ivi, 2008, 921, con nota di F. Rolfi, F<strong>un</strong>zione concreta, interesse<br />
del creditore ed inutilità della prestazione: la Cassazione<br />
e la rielaborazione del concetto di causa del contratto.<br />
(10) Secondo <strong>un</strong>’espressione icastica utilizzata da Claudio Consolo<br />
ad altro proposito, ma che si attaglia perfettamente al caso<br />
di specie.<br />
290 Il Fallimento 3/2013
Il percorso ‘‘l<strong>un</strong>go’’ della fattibilità del piano proposto<br />
nel concordato<br />
di Adolfo Di Majo<br />
L’Autore muove dall’ordinanza con cui la Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la soluzione della divergenza<br />
tra le stesse Sezioni della Cassazione. Rispondono le Sezioni Unite, ribadendo che il controllo della<br />
fattibilità del piano proposto dal debitore attiene alla concreta realizzabilità di esso e non già soltanto alla correttezza<br />
delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dall’esperto. Resta d<strong>un</strong>que che spetta al Trib<strong>un</strong>ale<br />
controllare se la fattibilità è tale, in senso giuridico, mentre il suo esito economico resta a rischio del<br />
ceto creditorio, ove sufficientemente informato. L’Autore condivide detta impostazione giacché il Trib<strong>un</strong>ale<br />
non può essere ridotto ad <strong>un</strong> ‘‘convitato di pietra’’, dovendo valutare, in prima battuta, se il contenuto prognostico<br />
o prospettico del piano sia mezzo adeguato allo scopo.<br />
1. Dissonanze e assonanze<br />
Nel commento del sottoscritto alla ordinanza della<br />
Cassazione (1), con la quale si era rimessa alle Sezioni<br />
Unite la soluzione della divergenza circa la<br />
natura del controllo che il Trib<strong>un</strong>ale avrebbe dovuto<br />
esercitare in sede di ammissibilità e di omologazione<br />
del concordato preventivo, si era osservato<br />
come il dissenso tra i vari giudici di legittimità poteva<br />
racchiudersi nel richiamo a categorie negoziali,<br />
quali la nullità per impossibilità dell’oggetto, il quale<br />
richiamo avrebbe riproposto ‘‘in altra veste’’ il<br />
medesimo problema dei limiti entro i quali il giudice<br />
è legittimato a sindacare l’anzidetto requisito della<br />
fattibilità del piano (art. 161 l.fall.). Di qui l’esigenza<br />
che le Sezioni Unite avessero a pron<strong>un</strong>ciarsi sul<br />
p<strong>un</strong>to.<br />
Le Sezioni Unite della Cassazione (2) hanno raccolto<br />
il messaggio e con <strong>un</strong>a decisione, forse sovrabbondante<br />
per le argomentazioni che si succedono,<br />
si sono adoperate per riempire le caselle che potevano<br />
essere all’origine del dissenso. Essa in particolare<br />
dedica attenzione al requisito di ‘‘fattibilità’’<br />
che, se riferito espressamente al ‘‘piano’’ (art. 162,<br />
terzo comma, l.fall.), non può non avere riflessi sulla<br />
proposta, essendone, questa, lo strumento realizzativo.<br />
Com’è noto, la sentenza, alla quale maggiormente<br />
si imputava il dissenso, aveva preso posizione in<br />
senso decisamente correttivo di <strong>un</strong>a lettura, in<br />
chiave prevalentemente liberistica e negoziale, del<br />
piano predisposto dal debitore ed accettato dai creditori,<br />
per sottolineare come la presenza anche di<br />
elementi definiti genericamente pubblicistici nella<br />
procedura concordataria non poteva non assegnare<br />
al giudice anche <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione di controllo, non solo<br />
formale, ma anche sostanziale di quanto proposto<br />
dal debitore e condiviso dai creditori.<br />
In sostanza, se la riforma legislativa (dal 2005 ai<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
giorni nostri) è all’insegna di iniettare economicità<br />
in procedure oltremodo appesantite nel versante<br />
giudiziario v’è altresì il rispetto di <strong>un</strong> principio di<br />
‘‘legalità sostanziale’’ sul terreno della tutela dei diritti<br />
soggettivi (dei creditori), specie dissenzienti,<br />
che alla esigenza di economicità può fare da contraltare.<br />
La pron<strong>un</strong>cia dissonante, cui si fa riferimento (e<br />
cioè la n. 18864/2011), era stata tuttavia ben accorta<br />
nel mantenere il controllo del giudice sul terreno<br />
squisitamente giuridico e non della ‘‘convenienza<br />
economica’’ della proposta pianificata (3).<br />
A tal p<strong>un</strong>to da dover richiamare <strong>un</strong>a categoria ultra<br />
- nota, come quella dell’invalidità del contratto ove<br />
il suo oggetto, già in partenza, si presenti ‘‘impossibile’’<br />
rispetto al fine che esso intende realizzare. Nel<br />
caso di specie, trattandosi di valutare <strong>un</strong> ‘‘piano’’ e<br />
non solo <strong>un</strong>a proposta fonte di obblighi, occorreva<br />
concentrare il controllo sul mezzo predisposto per<br />
realizzare il fine. Il mezzo è il piano, il fine è la regolazione<br />
della crisi attraverso la soddisfazione dei<br />
creditori (art. 160 l.fall.).<br />
La sentenza delle Sezioni Unite, come si è detto,<br />
raccoglie la sollecitazione e si adopera per meglio<br />
precisare che cosa è da intendersi per ‘‘fattibilità’’.<br />
Essa non tace sulla premessa, per così dire, ideologica,<br />
che è alla base della interpretazione di codesto<br />
requisito, e che è da ravvisare nella presenza di<br />
‘‘manifestazioni evidenti di riflessi pubblicistici’’<br />
nella procedura concordataria e tali possono defi-<br />
Note:<br />
(1) V. A. di Majo, Corriere Giur., 2012, 230 ss. Il dissenso è tra<br />
Cass. 15 settembre 2011, n. 18864 e la precedente 23 giugno<br />
2011, n. 13817. L’ordinanza di rimessione alle S.U. è del 15 dicembre<br />
2011, n. 27063.<br />
(2) Ora con sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521.<br />
(3) Parla di nuovi ‘‘orizzonti interpretativi’’ da parte di Cass. n.<br />
18864/2011 Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite,<br />
inwww.ilCaso.it, 2013, 16.<br />
Il Fallimento 3/2013 291
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
nirsi anche gli interessi «ipoteticamente non aderenti<br />
alla proposta ma com<strong>un</strong>que esposti agli effetti<br />
di <strong>un</strong>a sua non condivisa approvazione».<br />
Insomma, il giudice deve farsi carico anche dell’interesse<br />
dei creditori non aderenti, visto che, per altro<br />
verso, il principio maggioritario è proprio, e solo,<br />
di strutture associative e societarie ma non già<br />
dei rapporti obbligatori che restano pur sempre individuali<br />
tra il debitore e i creditori.<br />
Se codesta è la premessa, ne discende che il giudice<br />
non può ridursi a ‘‘convitato di pietra’’ rispetto a<br />
quanto proposto e pianificato dal debitore e ciò in<br />
sede di (giudizio di) ammissibilità della proposta e/o<br />
successivamente di sua omologazione, così da dovere<br />
solo prendere atto della regolarità formale della<br />
procedura nonché di quanto attestato dall’esperto<br />
circa la veridicità dei dati e la fattibilità del piano,<br />
sia pure nella veste di ausiliario del giudice, ma deve<br />
valutare, in prima battuta, se il contenuto prognostico<br />
e/o prospettico del piano abbia idoneità di<br />
mezzo adeguato allo scopo.<br />
2. La fattibilità giuridica e quella economica,<br />
la causa del procedimento<br />
e non del contratto<br />
Né può esservi dubbio sul fatto che il controllo del<br />
Trib<strong>un</strong>ale abbia ad oggetto il requisito di fattibilità<br />
e non già il giudizio su di essa, come potrebbe invece<br />
erroneamente desumersi dalla formulazione del<br />
principio di diritto en<strong>un</strong>ciato nella sentenza (4). È<br />
infatti bene precisato nella motivazione, e da essa<br />
complessivamente risultante, come l’alternativa da<br />
porsi è se il requisito di fattibilità «deve essere inteso<br />
in senso oggettivo ovvero .... ricavato dalla attestazione<br />
dell’esperto», alternativa da risolvere nel<br />
primo senso, anche in considerazione del fatto che<br />
l’esperto-indipendente, se ha la primaria f<strong>un</strong>zione<br />
di informare, oltre che i creditori, anche il giudice,<br />
non ha invece quella di rappresentare quasi <strong>un</strong>a<br />
prova legale in ordine al requisito di fattibilità, così<br />
da postulare «<strong>un</strong>a competenza esclusiva di soggetti<br />
privati (quale l’esperto), imm<strong>un</strong>e da verifica dell’organo<br />
giurisdizionale» (5). Ciò è da escludere.<br />
E la prognosi, oggetto di controllo, sembra di capire,<br />
è propria tanto della fattibilità giuridica quanto<br />
di quella economica (6). Ma resta che la prima si arresta<br />
alla previsione che i mezzi e gli strumenti predisposti<br />
abbiano idoneità e/o capacità a superare lo<br />
stato di crisi dell’imprenditore, attraverso la soddisfazione<br />
delle ragioni creditorie (e cioè in termini<br />
di dover essere), mentre la seconda si fa carico anche<br />
dell’esito economico del piano, così come predi-<br />
sposto (e cioè in termini di ‘‘essere’’ dell’evento).<br />
Ora, è il controllo della ‘‘fattibilità giuridica’’ che è<br />
demandata al Trib<strong>un</strong>ale mentre della seconda (e<br />
cioè della fattibilità economica) si assume il rischio<br />
il ceto creditorio nella sua maggioranza.<br />
E volendo ulteriormente riempire la casella della<br />
‘‘fattibilità giuridica’’ con <strong>un</strong>a categoria più familiare<br />
al ceto giuridico, la Cassazione si adopera per individuarla<br />
nella categoria ‘‘della causa concreta’’<br />
ma riferita, si badi bene, al procedimento di concordato,<br />
come più volte en<strong>un</strong>ciato nella sentenza (7), e<br />
non già alla singola proposta - negozio, il che fa la<br />
differenza. E d<strong>un</strong>que al procedimento di concordato,<br />
pur interpretato in senso negoziale, che va riferita<br />
la ‘‘causa concreta’’, con <strong>un</strong>a indubbia innovazione,<br />
costituita dalla introduzione di <strong>un</strong> elemento f<strong>un</strong>zionale<br />
nell’ambito di <strong>un</strong> ‘‘procedimento’’ che dovrebbe<br />
invece esaurirsi nella corretta sequenza di atti. Il<br />
che non viene osservato dalla gran parte dei Commentatori<br />
che riferiscono la ‘‘causa concreta’’ al negozio<br />
e non al procedimento (8). Ma tutto ciò non<br />
può non evidenziare il distacco da <strong>un</strong>a lettura iper -<br />
negoziale del concordato, per accentuarne l’aspetto<br />
di componente di <strong>un</strong>a procedura, e/o di <strong>un</strong> procedimento<br />
siano pure destinati ad innestarsi sulla ristrutturazione<br />
di <strong>un</strong>a esposizione debitoria, consensualmente<br />
concordata.<br />
È codesto, tuttavia, anche il passaggio più delicato<br />
della decisione perché più esposto a ‘‘strumentalizzazioni’’,<br />
come subito da tal<strong>un</strong>o (9) paventato, e<br />
dove il continuo ‘‘andirivieni’’ della sentenza su di<br />
esso, per precisare - integrare - correggere può dare<br />
Note:<br />
(4) V. invece la diversa opinione di Di Marzio, Il principio di diritto<br />
in tema di giudizio di fattibilità della proposta di concordato stabilito<br />
dalla Cassazione a Sezioni Unite, inIlFallimentarista.it., 25<br />
gennaio 2013 ove con riguardo all’oggetto del controllo, si afferma<br />
che «dovendosi giudicare sopra <strong>un</strong> giudizio, il termine di riferimento<br />
non potrebbe essere il termine di quel giudizio», dal<br />
che l’ipotesi di lettura «secondo cui <strong>un</strong>ico effettivo oggetto del<br />
controllo del Trib<strong>un</strong>ale sia la relazione attestativa e non il piano<br />
che ne costituisce riferimento». Ma, in termini esatti, I. Pagni, in<br />
Il controllo di fattibilità del piano di concordato, in questo stesso<br />
fascicolo, 286 ss. nel senso della esclusione di <strong>un</strong> controllo di<br />
secondo grado.<br />
(5) Così testualmente in chiave critica Cass. n. 18864/2011.<br />
(6) V. sul p<strong>un</strong>to del collegamento tra fattibilità e prognosi Patti,<br />
in questa Rivista, 2012, 46 ss.<br />
(7) v. testualmente in questa Rivista, 2013, 151, 152 e 153.<br />
(8) Così De Santis, Causa in concreto della proposta di concordato<br />
preventivo e giudizio ‘‘permanente’’ di fattibilità del piano,<br />
in questo stesso fascicolo, 279 ss. e I. Pagni, op. loc. cit. Parla<br />
invece più genericamente di ‘‘causa del concordato’’ M. Fabiani,<br />
La questione ‘‘fattibilità’’ del concordato preventivo e la lettura<br />
della Sezioni Unite, in questa Rivista, 2013, 156 ss.<br />
(9) V. sull’equivoco del termine fattibilità Fabiani, op. loc. cit.<br />
292 Il Fallimento 3/2013
nel lettore l’impressione di <strong>un</strong>a persistente incertezza<br />
sul principio che si intende affermare. Ma il principio<br />
appare chiaro.<br />
Si è in presenza di <strong>un</strong>a proposta recante <strong>un</strong> ‘‘piano’’,<br />
destinato alla ‘‘regolazione della crisi’’, attraverso<br />
la soddisfazione dei creditori, le cui modalità<br />
non possono certo essere sindacate dal giudice, se<br />
non con il limite della loro inconsistenza e/o impraticabilità,<br />
tali, codeste, da paventare <strong>un</strong> vero e proprio<br />
svuotamento delle spettanze creditorie, in modo<br />
tale da non poter aver luogo se non nell’ambito<br />
di <strong>un</strong>a procedura primaria a ciò deputata (quale il<br />
fallimento) e non in <strong>un</strong>a procedura con la quale si<br />
intende risolvere le crisi. Ma è proprio siffatta realtà,<br />
rappresentata, si ribadisce ancora <strong>un</strong>a volta, non<br />
già da <strong>un</strong>a proposta negoziale e/o da <strong>un</strong> accordo destinato<br />
hic et n<strong>un</strong>c ad esaurirsi sul piano degli effetti<br />
bensì da ‘‘<strong>un</strong> piano’’ che racchiude e incorpora <strong>un</strong><br />
fine (la regolazione della crisi), cui l’occhio del giudice<br />
deve aver riguardo, salvo app<strong>un</strong>to che a renderlo<br />
irrealizzabile non sarà tanto il mezzo predisposto<br />
ma le svariate vicende, specie di natura economica<br />
(v. il richiamo al ‘‘successo economico’’), che<br />
abbiano successivamente a contrastarlo o impedirlo<br />
e delle quali il ceto creditorio, a maggioranza, se ne<br />
sia ass<strong>un</strong>to il rischio attraverso la apposita deliberazione.<br />
E la stessa sentenza, che qui si commenta, non è<br />
priva di esempi. Essa fa il caso di cessione di beni<br />
altrui ma è <strong>un</strong> esempio di per sé scontato, perché<br />
attiene all’ammissibilità della proposta più che alla<br />
sua realizzabilità in fact (10). Più in generale, è da<br />
convenire che il rispetto di norme inderogabili riguarda<br />
la ammissibilità, non la fattibilità (11). Può<br />
invece proporsi il caso, come di recente deciso dal<br />
Trib. di Roma in sede di omologazione (12), ove si<br />
è provveduto al controllo «del contenuto sostanziale<br />
della proposta» con particolare riguardo, trattandosi<br />
di cespiti immobiliari, «alla stima dei beni proposti<br />
in cessione dal debitore, allo stato effettivo<br />
dei luoghi, alla efficacia dei titoli abilitativi, allo<br />
stato della urbanizzazione, all’importo del piano di<br />
lottizzazione», per giudicare omologabile la proposta<br />
di concordato. V’ha ampio margine d<strong>un</strong>que per<br />
sindacare il contenuto ‘‘sostanziale’’ della proposta.<br />
Ma può farsi il caso della previsione di finanziamenti<br />
in mente Dei o il cui condizionamento è<br />
quanto mai precario perché fatto dipendere da<br />
eventi incerti o infine dell’attribuzione ai creditori<br />
di partecipazioni societarie in società o gruppi il cui<br />
stato di salute è precario. Gli esempi possono essere<br />
tanti.<br />
L<strong>un</strong>gi dal poter sindacare «le probabilità di successo<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
economico del piano ed i rischi inerenti» (così la<br />
sentenza commentata), si tratta di valutare, in sede<br />
di legittimità, se il mezzo proposto (e cioè il piano)<br />
è in grado di realizzare in concreto il fine perseguito<br />
(e cioè la regolazione della crisi attraverso la soddisfazione,<br />
pur parziale e possibilmente ‘‘non minimale’’,<br />
dei creditori).<br />
Come en<strong>un</strong>ciato in qualche parte dalla ‘‘l<strong>un</strong>ga’’ sentenza,<br />
si tratta, né più enémeno, che di «assicurare<br />
la tutela della legalità del procedimento», compito<br />
istituzionalmente demandato al giudice, seppure in<br />
<strong>un</strong>a cornice normativa caratterizzata da ‘‘obiettiva<br />
opacità’’ secondo <strong>un</strong> acuto osservatore (13).<br />
Note:<br />
(10) V. sul p<strong>un</strong>to, Fabiani, op. loc. cit.<br />
(11) Così Fabiani, op. ult. cit., 161. La fattibilità invece attiene<br />
non tanto o non solo, come sostiene Nardecchia, op. loc. cit., 8<br />
«alla risoluzione di ogni questione di fattibilità dipendente dalla<br />
corretta o quanto meno non manifestamente errata applicazione<br />
di norme di diritto» quanto proprio alla insufficienza e/o inadeguatezza,<br />
in termini fattuali, in ordine alla prospettiva che il piano<br />
abbia a garantire l’uscita dalla crisi attraverso <strong>un</strong>a soddisfazione,<br />
e non meramente virtuale, dei creditori.<br />
(12) Trib. Roma 11 gennaio 2013, n. 83.<br />
(13) Fabiani, op. loc. cit., 3.<br />
Il Fallimento 3/2013 293
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Effetti per il debitore<br />
Sulla revocabilita<br />
delle retribuzioni corrisposte<br />
al fallito in assenza di decreto<br />
del giudice delegato<br />
Cassazione Civile, Sez. I, 31 ottobre 2012, n. 18843 - Pres. Plenteda - Est . Rordorf - P.M. Fimiani -<br />
Alvi S.p.a. c. Fallimento B.M.<br />
Fallimento - Effetti per il debitore - Beni non compresi nel fallimento - Retribuzione - Decreto del giudice delegato -<br />
Mancanza - Pagamento al fallito - Efficacia<br />
(legge fallimentare artt. 44, 46)<br />
Il fallito ha diritto di percepire e trattenere gli emolumenti necessari al mantenimento suo e della sua famiglia,<br />
prima ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi la misura; la natura dichiarativa di detto provvedimento<br />
esclude che possano essere dichiarati inefficaci, nei confronti della curatela, i pagamenti compiuti<br />
dal debitore direttamente al fallito in assenza del decreto, avente efficacia retroattiva. Per far accertare la parziale<br />
o totale inopponibilità dei pagamenti, il curatore ha d<strong>un</strong>que l’onere di richiedere al giudice delegato la<br />
pron<strong>un</strong>cia del decreto di cui all’art. 46, comma 2, l.fall.<br />
La Corte (omissis).<br />
1. Il ricorrente, col primo motivo, lamenta la violazione<br />
della l.fall., art. 46, comma 1, n. 2, poiché sostiene che -<br />
contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello<br />
- il diritto del fallito di conservare per sé i proventi della<br />
propria attività lavorativa, entro i limiti necessari al<br />
mantenimento suo e della sua famiglia, sussiste prima ed<br />
indipendentemente dal decreto col quale il giudice delegato<br />
provveda a determinarne la misura. La circostanza<br />
che tale decreto non sia stato emesso, nel caso in esame,<br />
non implicherebbe perciò che le retribuzioni corrisposte<br />
alla fallita sig.ra B. potessero essere considerate senz’altro<br />
di pertinenza del fallimento, e che pertanto il relativo<br />
pagamento operato dalla società datrice di lavoro fosse<br />
inefficace, ma avrebbe semmai comportato il dovere per<br />
il trib<strong>un</strong>ale d’individuare se, ed eventualmente entro<br />
quali limiti, quei pagamenti avevano in concreto ecceduto<br />
le necessità alimentari della fallita.<br />
2. Col secondo motivo, riferito ad <strong>un</strong> preteso vizio d’integrità<br />
del contraddittorio ed all’assenza di motivazione<br />
dell’impugnata sentenza sul p<strong>un</strong>to, la ricorrente si duole<br />
del mancato accoglimento della sua richiesta di chiamare<br />
in giudizio la fallita sig.ra B. personalmente, assumendo<br />
che la partecipazione di costei alla causa sarebbe stata<br />
indispensabile.<br />
3. L’esame del secondo motivo di ricorso è logicamente<br />
preliminare.<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
La censura è, tuttavia, infondata. Contrariamente a<br />
quanto sostiene la società ricorrente, la corte d’appello,<br />
sia pure in termini che avrebbero potuto essere più chiari,<br />
non ha ignorato l’eccezione concernente la mancata<br />
partecipazione personale della fallita al giudizio vertente<br />
sulla sottrazione al fallimento dei proventi dell’attività<br />
lavorativa destinati al mantenimento della stessa fallita e<br />
della sua famiglia. In tal senso va letto il passaggio motivazionale<br />
dell’impugnata sentenza in cui si fa cenno al<br />
fatto che il suindicato giudizio è stato instaurato (si sottintende:<br />
correttamente e senza necessità di altri contraddittori)<br />
nei confronti del soggetto che, avendo effettuato<br />
il pagamento della cui opponibilità alla curatela si<br />
discute, è passivamente legittimato a subire gli effetti di<br />
tale inopponibilità e quindi ad esser condannato a reiterare<br />
il pagamento in favore della stessa curatela del fallimento.<br />
Affermazione, questa, che appare del tutto condivisibile:<br />
posto che tanto il petitum quanto la causa petendi dell’azione<br />
proposta dal curatore riguardano esclusivamente<br />
l’inefficacia del summenzionato pagamento e la conseguente<br />
pretesa di condanna dell’odierna ricorrente a versare<br />
di nuovo la medesima somma a mani del curatore<br />
del fallimento. Sia quanto all’accertamento dell’inefficacia<br />
relativa del pagamento, sia quanto alla domanda di<br />
condanna, il rapporto processuale fa capo <strong>un</strong>icamente al<br />
fallimento, dal lato attivo, e, dal lato passivo, alla società<br />
Il Fallimento 3/2013 295
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Alvi, che quel pagamento effettuò e nei cui confronti<br />
quella condanna è stata richiesta. La circostanza che la<br />
fondatezza delle proposte domande possa, in tutto o in<br />
parte, dipendere dall’accertamento incidentale del diritto<br />
della fallita a beneficiare personalmente della totalità<br />
o di <strong>un</strong>a frazione degli emolumenti dovuti per le sue prestazioni<br />
lavorative non fa di lei <strong>un</strong> contraddittore necessario<br />
in questa causa.<br />
4. È invece fondato il primo motivo di ricorso.<br />
Il collegio non ignora il risalente orientamento giurisprudenziale<br />
secondo cui, avendo il fallimento diritto di far<br />
propri i crediti del fallito per stipendi arretrati oltre il limite<br />
di quantità determinato dai bisogni del fallito e della<br />
sua famiglia, l’acquisizione potrebbe essere totale se il<br />
fallito non abbia chiesto ed ottenuto dal giudice delegato<br />
<strong>un</strong> provvedimento che determini la misura degli alimenti<br />
spettantigli (Cass. 1 novembre 1964, n. 2738),<br />
sicché detti emolumenti rientrerebbero nell’attivo fallimentare<br />
a meno che il giudice delegato non ne abbia accertato<br />
l’occorrenza al mantenimento del fallito o della<br />
famiglia, fissando i relativi limiti (Cass. 25 luglio 1986,<br />
n. 4758).<br />
La più recente giurisprudenza di questa corte ha però<br />
avuto modo di chiarire la natura soltanto dichiarativa<br />
del decreto col quale il giudice delegato, a norma della<br />
l.fall., art. 46, comma 2, fissa i limiti entro cui i proventi<br />
dell’attività lavorativa del fallito, in quanto necessari al<br />
mantenimento suo e della sua famiglia, non sono compresi<br />
nel fallimento; con la conseguenza che non può esser<br />
dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal<br />
debitore direttamente al fallito prima dell’emanazione<br />
del decreto (Cass. 27 settembre 2007, n. 20325). Rafforza<br />
il riconoscimento della natura meramente dichiarativa<br />
del suddetto decreto - destinato ad individuare i limiti<br />
quantitativi di <strong>un</strong> diritto che ad esso preesiste - la ripetuta<br />
attribuzione al decreto medesimo di <strong>un</strong>’efficacia retroattiva<br />
(si vedano Cass. 2 settembre 1995, n. 9268, e<br />
Cass. 30 luglio 2009, n. 17751).<br />
È al ben motivato orientamento espresso dalla citata<br />
sentenza n. 20325/07 che il collegio ritiene di dover dare<br />
qui continuità, con la sola precisazione che, a differenza<br />
di quanto era accaduto nel caso esaminato da detta precedente<br />
sentenza, in cui il decreto del giudice delegato<br />
era intervenuto in <strong>un</strong> momento successivo a quello del<br />
pagamento effettuato dal terzo a mani del fallito, qui<br />
dall’impugnata sentenza sembra doversi desumere che <strong>un</strong><br />
analogo decreto non sia mai stato pron<strong>un</strong>ciato. Ciò non<br />
può giustificare, tuttavia, <strong>un</strong>a conclusione diversa. Volta<br />
che, infatti, si muova dal presupposto che il diritto del<br />
fallito di percepire e trattenere gli emolumenti necessari<br />
al mantenimento suo e della sua famiglia sussiste prima<br />
ed indipendentemente dal decreto del giudice che ne fissi<br />
la misura, non si può affermare l’inefficacia nei confronti<br />
del fallimento del pagamento eseguito a mani del<br />
fallito da colui che quegli emolumenti è tenuto a corrispondere,<br />
sol perché è mancata l’emanazione del summenzionato<br />
decreto. Quel pagamento può essere considerato<br />
inopponibile al fallimento solamente se, e nella<br />
misura in cui, risulti eccedente rispetto al limite fissato<br />
dal decreto del giudice delegato. Ma ciò implica che, in<br />
simili casi, per poter fondatamente agire al fine di far accertare<br />
la parziale o totale inopponibilità e per conseguire<br />
la condanna del solvens in favore del fallimento, il curatore<br />
ha l’onere di richiedere preventivamente al giudice<br />
delegato la pron<strong>un</strong>cia del decreto previsto dal citato<br />
art. 46, comma 2, così da poter poi documentare in causa<br />
l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore<br />
direttamente al fallito rispetto ai limiti fissati in detto<br />
decreto. Onere che, nel caso di cui qui si discute, non risulta<br />
sia stato adempiuto.<br />
5. L’impugnata sentenza, alla luce del principio di diritto<br />
ora en<strong>un</strong>ciato, va quindi cassata e, non occorrendo ulteriori<br />
accertamenti, è possibile decidere senz’altro la causa<br />
nel merito rigettando la domanda proposta dal curatore<br />
del fallimento nei confronti della società Alvi.<br />
6. La circostanza che l’orientamento giurisprudenziale<br />
cui ci si è attenuti nel decidere sul ricorso si sia sviluppato<br />
in epoca successiva alla proposizione dell’azione, induce<br />
a compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.<br />
(omissis).<br />
Osservazioni<br />
L’art. 46 l.fall. al primo comma esclude che siano comprese<br />
nel fallimento <strong>un</strong>a serie dettagliata di entrate del fallito; tra di<br />
esse il n. 2 elenca, tra l’altro, stipendi, pensioni e salari e ciò<br />
che il fallito guadagna con la sua attività «entro i limiti di<br />
quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia»; il<br />
legislatore ha inteso così incentivare e premiare il fallito per<br />
l’attività produttiva svolta, che tra l’altro consente di evitare il<br />
sussidio alimentare ex art. 47 l.fall., a carico della massa. Il secondo<br />
comma della norma, nella versione originaria, disponeva<br />
soltanto che i limiti suddetti fossero fissati con decreto del<br />
giudice delegato; l’attuale formulazione, introdotta con il<br />
d.lgs., 5/2006, è invece più dettagliata: si fa infatti riferimento<br />
ad <strong>un</strong> «decreto motivato del giudice delegato», «che deve tener<br />
conto della condizione personale del fallito e della sua famiglia»<br />
(Per <strong>un</strong> primo riscontro cfr. Pajardi, Codice del fallimento,<br />
Milano 2009). La modifica di per sé non è peraltro particolarmente<br />
innovativa; già la giurisprudenza infatti aveva<br />
precisato come il giudice delegato non esercitasse <strong>un</strong> potere<br />
pienamente discrezionale (con conseguente necessità di <strong>un</strong>a,<br />
se pur concisa, motivazione), incidendo su materia di diritti<br />
soggettivi, con il corollario che il provvedimento risulta soggetto<br />
a reclamo ex art. 26 l.fall. e su di esso è ammissibile il ricorso<br />
straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. (Cfr. Cass.<br />
7 febbraio 2008, n. 2939, in questa Rivista, 2008, 4, 409, con<br />
nota di Bruschetta; Cass. 8 febbraio 2007, n. 2765; Cass. 11<br />
novembre 2003, n. 16916; Cass. 27 giugno 2002, n, 9391, in<br />
questa Rivista, 2003, 2, 174, con nota di Marelli; Cass. 15 dicembre<br />
1994, n. 10736, ivi, 1995, 645; su questioni particolari,<br />
Cass. 13 dicembre 2002, n. 17839, ivi, 2003, 8, 851, con nota<br />
di Figone, con riferimento alla pensione di invalidità erogata<br />
al fallito). Da tempo dottrina e giurisprudenza hanno rilevato<br />
come il giudice debba procedere ad <strong>un</strong> bilanciamento di interessi,<br />
e così da <strong>un</strong> lato evitare di ridurre quanto destinato al<br />
fallito al mero soddisfacimento di esigenze alimentari, come tali<br />
idonee a far fronte ad <strong>un</strong>o stato di bisogno (in ordine al quale,<br />
come si è visto, già dispone l’art. 47 l. fall.), senza spingersi,<br />
dall’altro, a garantire al fallito <strong>un</strong> tenore di vita socialmente<br />
adeguato o corrispondente a quello beneficiato in precedenza,<br />
stante la necessità di tutela del ceto creditorio; si tratta d<strong>un</strong>que<br />
di individuare <strong>un</strong>a misura intermedia fra questi due estremi<br />
(Cfr. al riguardo Cass. 7 febbraio 2008, n. 2939, cit.; Cass. 8<br />
296 Il Fallimento 3/2013
febbraio 2007, n. 2765; Cass. 4 dicembre 2002, n. 17235, in<br />
questa Rivista, 2003, 8, 852, con nota di Figone; Trib. Udine,<br />
21 maggio 2010, in www.ilcaso.it, 2010; Trib. Trapani, 7 febbraio<br />
2003, ined. In dottrina V. ad es. Colussi, Redditi di lavoro,<br />
fallimento e limiti di acquisizione alla massa, inNuova giur.<br />
civ., 1995, I, 924).<br />
Il problema interpretativo riguarda la natura del provvedimento<br />
del giudice delegato. Si contrappongono al proposito due<br />
diverse posizioni. Un primo orientamento, più risalente nel<br />
tempo, gli attribuisce natura costitutiva: il fallito, come tale,<br />
verrebbe ad essere privato di ogni diritto su quanto a lui spettante<br />
in forza di rapporto di lavoro, da erogarsi direttamente<br />
alla curatela; il diritto ad <strong>un</strong>a parte di tali somme, nei limiti<br />
del mantenimento proprio del fallito e della famiglia, deriverebbe<br />
così dalla decisione del giudice delegato (Cass. 25 luglio<br />
1986, n. 4758, in questa Rivista, 1987, 153), da adottarsi su richiesta<br />
del fallito stesso (Cass. 13 dicembre 1964, n. 2378, in<br />
Dir. Fall., 1965, II, 219). In diversa prospettiva si ritiene che il<br />
fallito manterrebbe la sua posizione di creditore e che il decreto<br />
del giudice delegato avrebbe solo natura dichiarativa, specificando<br />
quale parte dello stipendio (o emolumenti ad esso<br />
equiparati) possa essere erogato al fallito e quale parte invece<br />
sia di spettanza della curatela (cfr. Cass. 30 luglio 2009, n.<br />
17751, in questa Rivista, 2010, 4, 494; Cass. 2 settembre 1995,<br />
n. 9268, ivi, 1996, 4, 3443, con nota di Patti, ove si precisa<br />
che la legittima acquisizione da parte della curatela delle somme<br />
destinate al fallito non ne preclude la restituzione nella<br />
parte poi individuata dal giudice delegato). La differenza non<br />
rimane solo a livello teorico, ma è foriera di conseguenze pratiche<br />
assai rilevanti. Nel primo caso infatti il debitore (datore di<br />
lavoro o ente pensionistico) che, in difetto di <strong>un</strong> provvedimento<br />
del giudice, dovesse pagare al fallito non si sottrarrebbe<br />
alla declaratoria di inefficacia dei pagamenti nei confronti della<br />
curatela ex art. 44 l.fall., con la necessità di doverli reiterare;<br />
nel secondo caso invece, l’inefficacia riguarderebbe esclusivamente<br />
i pagamenti effettuati in favore del fallito in maggiorazione<br />
rispetto a quanto stabilito, ancorché successivamente,<br />
dal giudice delegato.<br />
La sentenza in esame aderisce alla seconda tesi esposta ed affronta<br />
la specifica questione dedotta in giudizio. Ci si domanda<br />
infatti quale sia la sorte delle somme contemplate nell’art. 46<br />
comma 2 l.fall., ove il decreto del giudice delegato non sia stato<br />
emesso: nella specie, i giudici di merito avevano dichiarato<br />
inefficace, nei confronti della curatela, il pagamento di <strong>un</strong>’ingente<br />
somma, che il datore di lavoro aveva corrisposto ad <strong>un</strong>a<br />
dipendente dichiarata fallita. La Cassazione riforma la sentenza<br />
impugnata, rigettando la domanda della curatela, con ampia<br />
motivazione che recupera e sviluppa quella di altra precedente<br />
decisione, emessa con riferimento alla previgente formulazione<br />
della norma suddetta (Cfr. Cass. 27 settembre 2007, n. 20325,<br />
in questa Rivista, 2008, 4, 412, con nota di Bruschetta). In<br />
quell’occasione, la Suprema Corte era peraltro chiamata a giudicare<br />
in ordine all’inefficacia dei pagamenti effettuati dal datore<br />
di lavoro al fallito, in <strong>un</strong> momento precedente l’emissione<br />
del decreto del giudice delegato, di poi intervenuto (mentre,<br />
nella fattispecie oggetto della sentenza qui annotata, come si<br />
diceva, non risulta essere mai stato pron<strong>un</strong>ciato alc<strong>un</strong> decreto).<br />
Osservava in allora la Cassazione che il decreto del giudice<br />
delegato, proprio in quanto meramente dichiarativo, ben<br />
potrebbe disporre per il passato (tutte le volte che ciò si dovesse<br />
rendere necessario, a causa del ritardo con cui si provvede)<br />
e che il debitore sarebbe legittimato a rifiutare il pagamento a<br />
mani del fallito, sino al decreto stesso, per non rischiare di dover<br />
ripetere il pagamento a mani della curatela. A fronte della<br />
possibile efficacia retroattiva del provvedimento del giudice<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
delegato, l’inefficacia del pagamento ex art. 44, comma, 2<br />
l.fall., non potrebbe che riguardare l’eventuale differenza fra<br />
l’intero importo degli emolumenti maturati e quello destinato<br />
al mantenimento del fallito e della sua famiglia, secondo quanto<br />
disposto per il passato dal giudice delegato medesimo.<br />
A tali conclusioni è pervenuta <strong>un</strong>a successiva pron<strong>un</strong>cia del<br />
Supremo Collegio (Cass. 30 luglio 2009, n. 17751, cit.), in<br />
<strong>un</strong>a fattispecie nella quale il datore di lavoro dell’ex dipendente<br />
poi fallito gli aveva erogato l’indennità di fine rapporto, che<br />
<strong>un</strong> successivo provvedimento del giudice delegato aveva invece<br />
disposto acquisirsi all’attivo fallimentare per intero. Afferma<br />
la pron<strong>un</strong>cia che il decreto del giudice delegato ha efficacia retroattiva<br />
anche rispetto ai pagamenti già eseguiti, precisando<br />
che l’art. 1189 c.c. (relativo ai pagamenti effettuati al creditore<br />
apparente) non trova applicazione ai pagamenti effettuati<br />
in favore del creditore dopo la sua dichiarazione di fallimento,<br />
come tali inefficaci nei confronti della curatela; ricorda nel<br />
contempo la Suprema Corte che l’art. 545 c.p.c., in ordine ai<br />
limiti di impignorabilità non è estensibile alla materia fallimentare.<br />
Sussiste allora <strong>un</strong> preciso interesse a chiedere al giudice delegato<br />
la quantificazione della parte di stipendio di cui il fallito<br />
ha diritto a beneficare per sé e la sua famiglia; tale interesse fa<br />
capo tanto al fallito (che non voglia rischiare il mancato o ritardato<br />
pagamento da parte del datore di lavoro, timoroso di<br />
<strong>un</strong>a possibile declaratoria di inefficacia nei confronti della curatela)<br />
quanto al curatore. Questi, come osserva la sentenza<br />
annotata, ha anzi <strong>un</strong>o specifico onere di adire il giudice delegato,<br />
sì da poter documentare in <strong>un</strong> eventuale procedimento<br />
di revocatoria l’eventuale eccedenza di quanto pagato dal debitore<br />
direttamente al fallito, rispetto ai limiti fissati dal decreto.<br />
In altri termini, l’emanazione del decreto del giudice delegato,<br />
ai sensi dell’art. 46, secondo comma, l.fall. deve precedere<br />
l’azione revocatoria della curatela, pena, in difetto, il rigetto<br />
della domanda.<br />
Alberto Figone<br />
Il Fallimento 3/2013 297
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
Proposta<br />
Interpretazione della proposta<br />
di concordato e rapporto<br />
con l’attestazione<br />
Cassazione Civile, Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565 - Pres. Vitrone - Est. Bernabai - P.M. Destro<br />
(conf.) - Bingo International Service S.r.l. in liquidazione ed in concordato preventivo c. D.A.<br />
Concordato preventivo - Ammissione - Proposta - Relazione del professionista - Allegato - Esclusione - Contenuto integrante<br />
- Effetti<br />
(legge fallimentare artt. 26 e 161; cod. civ. artt. 1349, 1372).<br />
La relazione giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori contabili non può essere ridotta a mero<br />
rango di allegato, accessorio ed estrinseco alla proposta di cui forma invece parte integrante, dotata com’è di<br />
naturale vis persuasiva, suscettibile, se non rispondente al reale contenuto della proposta, di ingenerare errore<br />
vizio nel consenso dei creditori.<br />
La Corte (omissis).<br />
Nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata rilevata l’inammissibilità,<br />
per tardività, del ricorso per cassazione<br />
del liquidatore giudiziale, notificato il 22 dicembre 2010:<br />
e cioè, oltre il termine breve di 60 giorni dalla com<strong>un</strong>icazione<br />
del decreto del Trib<strong>un</strong>ale di Roma in sede di reclamo,<br />
curata dalla Cancelleria in data 21 ottobre 2010<br />
(art. 325 c.p.c., comma 2). Nella memoria di replica il<br />
liquidatore giudiziale assume che la l.fall., art. 26, nella<br />
sua formulazione novellata, con espressa previsione della<br />
decorrenza del termine perentorio per impugnare dalla<br />
com<strong>un</strong>icazione o dalla notificazione del provvedimento<br />
(d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, emendato, in parte qua, dal<br />
D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169), sarebbe riferibile al<br />
solo reclamo al trib<strong>un</strong>ale o alla corte d’appello; ma non<br />
pure al ricorso per cassazione, tuttora soggetto, senza deroghe,<br />
al criterio generale di cui all’art. 326 c.p.c., che<br />
prefigura come dies a quo la notificazione del provvedimento<br />
(avvenuta, di fatto, il 28 ottobre 2010): con la<br />
conseguente tempestività della presente impugnazione,<br />
notificata in data 23 Dicembre 2010.<br />
La tesi non ha pregio.<br />
L’espressa previsione della decorrenza del termine per<br />
impugnare dalla com<strong>un</strong>icazione o dalla notificazione del<br />
provvedimento contenuta nella l.fall., art. 26, in linea<br />
con l’analoga disciplina delle impugnazioni allo stato<br />
passivo (l.fall., art. 99), non costituisce deroga ad <strong>un</strong>a regola<br />
generale (come tale, soggetta al canone di stretta<br />
interpretazione); bensì, espressione di <strong>un</strong> principio informatore<br />
della lex specialis, consentaneo con la natura concorsuale<br />
dei diritti fatti valere.<br />
In tesi generale, la notificazione del provvedimento è,<br />
infatti, atto di impulso volitivo e discrezionale della parte<br />
vittoriosa che si attaglia ad <strong>un</strong> rapporto processuale<br />
tra parti definite, destinatane esclusive della pron<strong>un</strong>cia<br />
ed arbitre insindacabili della scelta di accelerare la definizione<br />
del processo, mettendo in moto il termine breve<br />
per l’impugnazione (art. 326 c.p.c.). Laddove, la potenziale<br />
efficacia riflessa di <strong>un</strong> provvedimento l.fall., ex art.<br />
26, sull’intero ceto creditorio, nell’ambito di <strong>un</strong>a procedura<br />
concorsuale caratterizzata da esigenze di speditezza,<br />
appare incompatibile con i tempi legati all’ordinaria iniziativa<br />
di parte e giustifica, quindi, la decorrenza del termine<br />
per impugnare già a partire dalla conoscenza legale<br />
acquisita con la com<strong>un</strong>icazione di cancelleria (art. 136<br />
c.p.c.: Cass., sez. 1, 10 giugno 2011, n. 12732). Senza<br />
spazio alc<strong>un</strong>o per distinzioni tra i vari mezzi ordinari di<br />
impugnazione, all’insegna di <strong>un</strong> eclettismo disarmonico<br />
con la ratio sottesa alla disciplina speciale.<br />
Alla luce di tali principi, appare d<strong>un</strong>que precluso da tardività<br />
il ricorso per cassazione del liquidatore giudiziale,<br />
notificato il 62 giorno dalla com<strong>un</strong>icazione del decreto<br />
del trib<strong>un</strong>ale, senza ricorrenza di proroghe di diritto (art.<br />
155 c.p.c.).<br />
La relazione ex art. 380 bis c.p.c., ha contestualmente<br />
negato la legittimazione attiva del commissario giudiziale:<br />
nei cui confronti non opera, invece, la medesima decadenza<br />
dall’impugnazione, in difetto di com<strong>un</strong>icazione<br />
della cancelleria.<br />
Sul p<strong>un</strong>to, il ricorrente replica che la sua legittimazione<br />
deriva dalla qualità di parte rivestita in sede di reclamo; e<br />
com<strong>un</strong>que assume di godere di legittimazione autonoma,<br />
attiva e passiva, trattandosi di controversia concernente<br />
l’interpretazione della proposta concordataria omologata.<br />
298 Il Fallimento 3/2013
Sotto il primo profilo, l’obiezione non coglie nel segno.<br />
Non vi è corrispondenza bi<strong>un</strong>ivoca tra qualità di parte<br />
formale, per effetto di <strong>un</strong>’iniziativa processuale propria o<br />
altrui, e legittimazione ad impugnare: come reso palese,<br />
del resto, dalla costante giurisprudenza di legittimità che<br />
riconosce l’officiosità della verifica, in ogni stato e grado,<br />
della legittimazione in senso tecnico: rigorosamente distinta<br />
dalla titolarità della situazione soggettiva sostanziale<br />
- che è questione di merito - che le è spesso impropriamente<br />
assimilata nel linguaggio empirico della prassi<br />
(Cass., sez. 2, 23 maggio 2012, n. 8175; Cass., sez. 2, 27<br />
giugno 2011, n. 14177; Cass., sez. 3, 30 maggio 2008, n.<br />
14468).<br />
Non è quindi risolutiva l’effettiva partecipazione, per effetto<br />
di vocatio, al reclamo ex artt. 164-26 l.fall. promosso<br />
dai soci della Bingo International Service S.r.l.: che<br />
lascia, di per sé, impregiudicata la questione dell’effettiva<br />
legittimazione attiva del commissario giudiziale, quale<br />
portatore degli interessi della società debitrice e della<br />
massa dei creditori nella controversia in esame.<br />
Neppure dirimente, in questo senso, appare l’ulteriore<br />
qualificazione di parte formale necessaria del procedimento<br />
di omologazione, tenuta alla costituzione in giudizio<br />
(l.fall., art. 180, comma 2), che rende il commissario<br />
giudiziale litisconsorte necessario anche nei gradi di<br />
impugnazione (Cass., sez. 1, 18 novembre 1998, n.<br />
11.604); dal momento che ad essa corrisponde <strong>un</strong>’eterogenea<br />
posizione giuridica di ausiliario del giudice: e non<br />
di parte in senso sostanziale, nemmeno nella veste di sostituto<br />
processuale (Cass., sez. 1, 9 maggio 2007 n.<br />
10.632).<br />
E tuttavia, i predetti rilievi non chiudono la problematica,<br />
come assumono le parti resistenti.<br />
Al riguardo, si osserva infatti come le f<strong>un</strong>zioni di vigilanza<br />
e controllo assegnate al commissario giudiziale nel<br />
corso della procedura, prima e dopo l’omologazione<br />
(l.fall., artt. 172, 173 e 185), non ne esauriscano il potere<br />
di iniziativa processuale. In almeno <strong>un</strong> caso la sua legittimazione<br />
attiva è espressamente prevista: e cioè, ai fini<br />
dell’annullamento del concordato preventivo omologato<br />
in caso di scoperta postuma dell’esagerazione dolosa<br />
del passivo o di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante<br />
dell’attivo, ai sensi del combinato disposto della<br />
l.fall., art. 186, u.c., e art. 138. La prima norma sostituisce<br />
espressamente al curatore il commissario giudiziale,<br />
quale (<strong>un</strong>ico) organo della procedura abilitato ad agire<br />
in giudizio, in concorso con i creditori: a differenza che<br />
nell’ipotesi, contestualmente prevista, della risoluzione<br />
del concordato preventivo, in cui la legittimazione attiva<br />
compete solo a questi ultimi.<br />
In entrambi i casi, senza menzione del liquidatore giudiziale.<br />
Quest’ultima notazione è di particolare interesse ai fini<br />
in esame, perché pone in risalto speculare il ruolo preminente,<br />
se non esclusivo, del commissario giudiziale in<br />
<strong>un</strong>a fattispecie che, seppur venuta alla luce nella fase<br />
esecutiva, a seguito della scoperta del dolo del debitore,<br />
riguarda retrospettivamente l’originaria proposta concordataria,<br />
con l’allegato piano: già oggetto del suo vaglio<br />
critico nella relazione, (l.fall., art. 172, comma 1), e nel<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
parere (l.fall., art. 189, comma 2). Ne discende che la<br />
l.fall., art. 186, u.c., appare, quindi, idoneo riferimento<br />
normativo di <strong>un</strong>’opzione ermeneutica rispondente all’esigenza<br />
di assicurare l’effettivo contraddittorio anche sulla<br />
domanda in esame, la cui causa petendi risiede nella stessa<br />
proposta di concordato, sulla quale il commissario giudiziale<br />
si è istituzionalmente espresso.<br />
Se d<strong>un</strong>que la corretta interpretazione di quest’ultima si<br />
pone come passaggio cognitivo essenziale di <strong>un</strong>’azione di<br />
annullamento, in ipotesi di comportamento decettivo<br />
del debitore, appare coerente confermare la legitimatio ad<br />
causam del commissario giudiziale su iniziative processuali<br />
com<strong>un</strong>que suscettibili di forzare o snaturare il contenuto<br />
della proposta e del piano così come interpretato<br />
in sede omologativa.<br />
Trattandosi di interpretazione negoziale ex t<strong>un</strong>c (a differenza<br />
dell’interpretatio ex n<strong>un</strong>c propria della legge), il<br />
commissario giudiziale - e non il liquidatore, intervenuto<br />
successivamente - si palesa come legittimo e necessario<br />
contraddittore, dotato di <strong>un</strong> bagaglio cognitivo che ne<br />
fa il rappresentante naturale degli interessi della procedura<br />
nel resistere ad <strong>un</strong>a domanda suscettibile di alterare<br />
le clausole dell’accordo omologato. Tanto più che il suo<br />
eventuale travisamento esegetico della proposta potrebbe<br />
perfino essere causa di responsabilità, se idoneo a<br />
fuorviare lo stesso voto dei creditori, in ragione dell’affidamento<br />
riposto.<br />
Ne consegue che la dr.ssa R.P., commissario giudiziale<br />
della Bingo International Service S.r.l. in concordato<br />
preventivo, è legittimata a ricorrere per cassazione nel<br />
caso in esame; in cui si tratta, app<strong>un</strong>to, di stabilire se la<br />
proposta concordataria prevedesse, o no, l’acquisizione<br />
definitiva all’attivo di versamenti promessi ‘‘a fondo perduto’’<br />
ed effettivamente eseguiti dai soci: questione, suscettibile,<br />
com’è ovvio, di interferenza negativa sulle posizioni<br />
dell’intero ceto creditorio, nonché sulle operazioni<br />
di liquidazione, con gli adempimenti connessi (Cass.,<br />
sez. 1, 29 settembre 1993, n. 9758).<br />
Ancora in via pregiudiziale di rito, si deve senz’altro riconoscere<br />
natura definitiva e decisoria - premessa per<br />
l’ammissibilità del presente ricorso straordinario per cassazione<br />
ex articolo 111 della Costituzione (del resto, da<br />
ness<strong>un</strong>a delle parti messa in discussione) - al decreto<br />
l.fall., ex art. 26, del Trib<strong>un</strong>ale di Roma, che ha accertato<br />
la spettanza della somma di Euro 380.000,00 ai soci e<br />
non alla procedura; in tal modo, sottraendola definitivamente<br />
al riparto ai creditori.<br />
Del tutto erronea, sotto diverso profilo, è poi l’eccezione<br />
di inammissibilità delle censure attinenti a vizi della motivazione,<br />
dopo l’estensione generalizzata del sindacato<br />
di legittimità ad opera della novella di cui al D.Lgs. 2<br />
febbraio 2006 n. 40 (art. 2).<br />
Ancora: il rilievo che si tratta di <strong>un</strong>a domanda di restituzione<br />
di somma versata alla procedura - e non, quindi,<br />
di <strong>un</strong> credito vantato verso la Bingo International Service<br />
S.r.l. in bonis - asseritamente a scopo di garanzia per il<br />
positivo perfezionamento del concordato in itinere porta<br />
ad escludere che i soci dovessero esperire <strong>un</strong>’azione ordinaria<br />
nei confronti della società (assente, invece, nel<br />
presente giudizio). Ed è appena il caso di aggi<strong>un</strong>gere che<br />
Il Fallimento 3/2013 299
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
è proprio in relazione a controversie riguardanti i crediti<br />
maturati prima e fuori del concorso, che si è formata la<br />
giurisprudenza negatrice della legittimazione attiva e passiva<br />
del commissario giudiziale: che pertanto non può essere<br />
addotta a sostegno dell’inammissibilità del ricorso in<br />
scrutinio.<br />
Scendendo ora alla disamina delle censure, si osserva come<br />
con il primo motivo si deduce la carenza di motivazione<br />
e la violazione della l.fall., artt. 160, 161 e 182, e<br />
artt. 1349 e 1372 c.c., nel ritenere che l’obbligazione di<br />
versamento dei soci fosse subordinata al mancato raggi<strong>un</strong>gimento<br />
della soglia del 5% di pagamento dei creditori<br />
chirografari.<br />
Il motivo è fondato.<br />
Nell’interpretare la promessa dei soci - che il giudice delegato<br />
aveva ritenuto, invece, condizionata alla sola approvazione<br />
ed omologazione del concordato preventivo<br />
proposto dalla società - il Trib<strong>un</strong>ale ha deliberatamente<br />
negletto la qualificazione ‘‘a fondo perduto’’ espressamente<br />
attribuitale dai soci.<br />
Non si tratta del risultato di <strong>un</strong>’ordinaria operazione ermeneutica,<br />
sulla base di <strong>un</strong>a ponderazione comparata degli<br />
elementi letterali e comportamentali acquisiti alla cognizione<br />
del giudice di merito, bensì dell’aprioristica ed<br />
apodittica esclusione di rilevanza di <strong>un</strong> sintagma che pure<br />
valeva a contraddistinguere l’impegno ass<strong>un</strong>to. In tal<br />
modo, la causa di garanzia dell’obbligazione - entro, e<br />
non oltre, il tetto prefissato - viene affermata, testualmente,<br />
«prescindendo dalla qualificazione a fondo perduto»:<br />
e cioè, con omissione della disamina di <strong>un</strong> dato<br />
letterale, prima facie rilevante ai fini della ricostruzione<br />
della volontà della parte promittente riscontrata dai creditori<br />
(art. 1362 c.c., comma 1).<br />
Oltre a ciò, il Trib<strong>un</strong>ale di Roma ha radicalmente svalu-<br />
tato la relazione dell’esperto, attestatrice della veridicità<br />
dei dati e della fattibilità del piano di ristrutturazione -<br />
nella parte in cui ventilava la possibilità di <strong>un</strong>a percentuale<br />
di soddisfazione dei crediti anche superiore al 5% -<br />
ritenendola inimputabile ai soggetti obbligati: senza<br />
quindi porsi il problema ermeneutico se il miglior risultato<br />
ivi prospettato presupponesse l’apporto definitivo ed<br />
irripetibile, fino ad Euro 380.000,00, da parte dei soci.<br />
L’impostazione non può essere condivisa, perché la relazione<br />
giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori<br />
contabili - la cui qualificazione è assicurata dal<br />
possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. D)<br />
- non può essere ridotta al rango di mero allegato, accessorio<br />
ed estrinseco alla proposta; di cui forma invece parte<br />
integrante, dotata com’è di naturale vis persuasiva, suscettibile,<br />
se non rispondente al reale contenuto della<br />
proposta, di ingenerare <strong>un</strong> errore-vizio nel consenso dei<br />
creditori.<br />
Resta assorbito il secondo motivo del ricorso, con cui si<br />
censura la violazione di legge e la carenza di motivazione<br />
nell’escludere, in via subordinata, l’autonoma obbligazione<br />
dei soci della Bingo International Service S.r.l. per<br />
effetto della dichiarazione da essi resa nel corso di <strong>un</strong>’assemblea<br />
e portata a conoscenza dei creditori della società.<br />
Il decreto deve essere quindi cassato, con rinvio al Trib<strong>un</strong>ale<br />
di Roma in diversa composizione, che alla luce<br />
della vantazione complessiva della proposta, della relazione<br />
e di ogni altro elemento emerso nel procedimento<br />
di omologazione giudichi se la somma versata dai soci<br />
fosse, o no, destinata ad essere acquisita all’attivo indipendentemente<br />
dalla percentuale di soddisfacimento<br />
realizzata, di fatto, con la liquidazione dei beni ceduti.<br />
(omissis).<br />
Interpretazione della proposta di concordato preventivo<br />
e f<strong>un</strong>zione della relazione di cui all’art. 161, comma 3, l.fall.<br />
di Dario Finardi *<br />
Con il commento si analizza le differenti ipotesi di versamenti effettuabili dai soci in <strong>un</strong>a S.r.l., avendo riguardo<br />
alla possibilità di <strong>un</strong>a loro ripartizione in favore del ceto creditorio in sede di concordato preventivo, alla<br />
luce del contenuto della relazione del professionista che accompagna la proposta.<br />
1. Premessa<br />
I soci di <strong>un</strong>a S.r.l., ammessa alla procedura di concordato<br />
preventivo, depositavano istanza al Giudice<br />
Delegato onde ottenere la restituzione della somma<br />
di E 380.000,00 da essi versata in esecuzione dell’impegno<br />
ass<strong>un</strong>to per consentire il soddisfacimento<br />
delle spese della procedura, dei creditori privilegiati<br />
e dei creditori chirografari nella misura del 5%; i<br />
soci deducevano infatti che tale somma fosse da<br />
considerarsi quale garanzia dell’esecuzione del con-<br />
cordato e che dovesse quindi essere restituita e non<br />
ripartita in favore del ceto creditorio, atteso che il<br />
concordato aveva avuto regolare esecuzione nei termini<br />
di cui alla proposta con <strong>un</strong> residuo attivo di E<br />
635.000,00. Il Giudice Delegato rigettava la richiesta<br />
ritenendo che la somma versata fosse stata qua-<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
300 Il Fallimento 3/2013
lificata quale conferimento ‘‘a fondo perduto’’. Il<br />
Trib<strong>un</strong>ale, adito con reclamo dai soci, riformava la<br />
decisione del Giudice Delegato e disponeva la restituzione<br />
ai soci del predetto importo, motivando<br />
che il medesimo doveva essere inteso quale garanzia<br />
dell’esecuzione della proposta nelle percentuali ivi<br />
previste, non rilevando né la sua qualificazione in<br />
termini di conferimento ‘‘a fondo perduto’’ né il<br />
contenuto della attestazione dell’esperto ex art. 161<br />
l.fall. che ipotizzava <strong>un</strong> soddisfacimento dei creditori<br />
in <strong>un</strong>a percentuale addirittura superiore a quanto<br />
indicato nella proposta per effetto del versamento<br />
in questione.<br />
Avverso il provvedimento del Trib<strong>un</strong>ale svolgevano<br />
ricorso in Cassazione congi<strong>un</strong>tamente il commissario<br />
giudiziale ed il liquidatore.<br />
Con la sentenza in commento la Cassazione ha affrontato<br />
innanzitutto le eccezioni processuali mosse<br />
dai soci resistenti in ordine all’inammissibilità del<br />
ricorso del liquidatore giudiziale per tardività della<br />
proposizione nonché il difetto di legittimazione attiva<br />
in capo al commissario giudiziale, dichiarando<br />
fondata la prima ed infondata la seconda; nel merito<br />
la Corte ha cassato con rinvio il provvedimento<br />
impugnato nella parte in cui ha omesso di valutare<br />
la natura dell’obbligazione ass<strong>un</strong>ta dai soci con il<br />
versamento oggetto della contestazione, alla luce<br />
della complessiva proposta di concordato, della relazione<br />
dell’esperto e di ogni altro elemento emerso<br />
in sede di omologa, dovendo quindi giudicare il<br />
Trib<strong>un</strong>ale del rinvio se tale somma dovesse essere<br />
destinata o meno all’attivo della procedura indipendentemente<br />
dalla % di soddisfacimento del ceto<br />
creditorio.<br />
2. Aspetti processuali<br />
Come detto la Corte si sofferma innanzitutto su<br />
due aspetti di carattere processuale: l’inammissibilità<br />
del ricorso proposto dal liquidatore giudiziale in<br />
quanto notificato oltre il termine di giorni 60 dalla<br />
com<strong>un</strong>icazione da parte della cancelleria del decreto<br />
del Trib<strong>un</strong>ale di Roma impugnato con il ricorso<br />
medesimo; la carenza di legittimazione attiva in capo<br />
al commissario giudiziale rispetto al ricorso promosso.<br />
Sul primo p<strong>un</strong>to la Cassazione accoglie l’eccezione<br />
sollevata dai soci resistenti e ritiene che il ricorso<br />
promosso dal liquidatore giudiziale sia inammissibile<br />
in quanto non rispettoso del termine di cui all’art.<br />
325 c.p.c. decorrente, secondo la Corte, dalla<br />
com<strong>un</strong>icazione di cancelleria del provvedimento da<br />
impugnarsi e non dalla sua successiva notificazione,<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
conformandosi al dettato della giurisprudenza precedente<br />
la quale ha affermato che «detto termine<br />
inizia a decorrere dalla com<strong>un</strong>icazione del provvedimento<br />
alla parte, come eseguita dalla cancelleria<br />
- di regola - ai sensi degli art. 136 c.p.c. e 45 disp.<br />
att. c.p.c., o anche in forme equipollenti, purché risulti<br />
certa la presa di conoscenza dell’atto da parte<br />
del destinatario e la relativa data» (1).<br />
Sull’eccezione di carenza di legittimazione attiva in<br />
capo al commissario giudiziale, viceversa, la Cassazione<br />
respinge la tesi dei resistenti affermando che<br />
«appare coerente confermare la legitimatio ad causam<br />
del commissario giudiziale su iniziative processuali<br />
com<strong>un</strong>que suscettibili di forzare o snaturare il<br />
contenuto della proposta e del piano come interpretato<br />
in sede omologativa», richiamando quindi<br />
come idoneo riferimento normativo l’art. 186 ult.<br />
comma l.fall. e l’art. 138 l.fall., i quali prevedono<br />
espressa legittimazione attiva del commissario giudiziale<br />
(e non del liquidatore giudiziale) ai fini dell’annullamento<br />
del concordato preventivo omologato<br />
in caso di scoperta postuma dell’esagerazione<br />
dolosa del passivo o di sottrazione o dissimulazione<br />
di parte rilevante dell’attivo.<br />
3. Acquisibilità all’attivo della proposta<br />
concordataria dei versamenti soci ‘‘a fondo<br />
perduto’’<br />
L’aspetto di merito sul quale la sentenza necessita<br />
di <strong>un</strong> approfondimento riguarda la questione dell’acquisibilità<br />
o meno all’attivo del concordato dei<br />
versamenti soci eseguiti con la dicitura ‘‘a fondo<br />
perduto’’ e rispetto ai quali i soci stessi avevano adito<br />
il Trib<strong>un</strong>ale per ottenerne la restituzione.<br />
Come detto, sul p<strong>un</strong>to, le decisioni del G.D. e del<br />
Trib<strong>un</strong>ale del reclamo sono state tra loro in contrasto<br />
visto che il primo, qualificando la promessa dei<br />
soci condizionata alla sola approvazione ed omologazione<br />
del concordato, ne ha ritenuto l’acquisibilità<br />
all’attivo e conseguentemente ne ha disposto la<br />
ripartizione in favore dei creditori, mentre il secondo<br />
ne ha sancito la qualificazione a titolo di garanzia<br />
dell’esecuzione della proposta fino alla percentuale<br />
ivi prevista con conseguente obbligo di restituzione<br />
visto l’adempimento del piano concordatario<br />
e il venir meno delle garanzie per l’adempimento.<br />
La sentenza in commento disattende in parte le<br />
Nota:<br />
(1) Cass. 10 giugno 2011, n. 12732, in Giust. civ. Mass., 2011,<br />
7-8, 992; nello stesso senso si era già pron<strong>un</strong>ciata Cass. 20 ottobre<br />
2005, n. 20279, ivi, 2005, 7/8.<br />
Il Fallimento 3/2013 301
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
conclusioni cui è pervenuto il Trib<strong>un</strong>ale e rimette<br />
la causa avanti al medesimo in diversa composizione<br />
affinché giudichi se la somma versata dai soci<br />
fosse o meno destinata ad essere acquisita all’attivo<br />
indipendentemente dalla percentuale di soddisfacimento<br />
del ceto creditorio e alla luce della valutazione<br />
complessiva della proposta, della relazione<br />
dell’esperto e di ogni altro elemento emerso in sede<br />
di omologa.<br />
L’analisi della natura dei versamenti effettuati dai<br />
soci, anche senza procedere a formali aumenti del<br />
capitale sociale, è stata condotta in linea generale<br />
nell’ambito della problematica relativa alla separazione<br />
tra le passività ed il patrimonio netto di <strong>un</strong>a<br />
società.<br />
I versamenti in questione, a seconda dei casi, possono<br />
assumere la natura di veri e propri conferimenti<br />
a titolo di dotazioni patrimoniali, oppure di finanziamenti<br />
a titolo di capitale di credito. In via generale,<br />
si possono individuare alc<strong>un</strong>e tipologie di versamenti<br />
da parte dei soci:<br />
1. Versamenti a titolo di finanziamento;<br />
2. Versamenti a fondo perduto;<br />
3. Versamenti in conto futuro aumento di capitale;<br />
4. Versamenti in conto aumento di capitale.<br />
I versamenti a titolo di finanziamento sono quelli<br />
per i quali la società ha obbligo di restituzione e l’elemento<br />
discriminante va individuato esclusivamente<br />
nel diritto dei soci alla restituzione delle<br />
somme versate (2).<br />
Ne consegue che per questa tipologia di versamenti<br />
il loro eventuale passaggio a capitale necessita della<br />
preventiva rin<strong>un</strong>cia dei soci al diritto alla restituzione,<br />
trasformando così il finanziamento in apporto.<br />
I versamenti a fondo perduto, viceversa, si hanno<br />
quando i soci, pur non volendo procedere ad <strong>un</strong><br />
formale aumento di capitale, decidono di sopperire<br />
al fabbisogno di capitale di rischio con nuovi conferimenti.<br />
In tali casi, manca <strong>un</strong>a specifica ed esplicita<br />
pattuizione da cui scaturisca <strong>un</strong> obbligo di restituzione<br />
ai soci dei versamenti effettuati. Questi si<br />
configurano, pertanto, come vere e proprie riserve<br />
di capitale (3).<br />
I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono<br />
quelli effettuati in via anticipata in previsione di<br />
<strong>un</strong> futuro aumento di capitale. Si tratta, pertanto,<br />
di riserve di capitale aventi <strong>un</strong>o specifico vincolo di<br />
destinazione mentre i versamenti in conto aumento<br />
di capitale si hanno in presenza di <strong>un</strong> aumento a pagamento<br />
del capitale sociale già deliberato, nelle<br />
more dell’iscrizione nel Registro delle imprese dell’attestazione<br />
degli amministratori dell’avvenuto aumento<br />
del capitale sociale (art. 2444 c.c.). Ovvia-<br />
mente, essendo tali versamenti destinati ad <strong>un</strong>o scopo<br />
ben preciso, se la procedura di aumento non<br />
gi<strong>un</strong>ge a perfezionamento secondo i dettami di legge,<br />
i soci hanno diritto alla loro restituzione (4).<br />
Anche la Cassazione, con <strong>un</strong>a recente pron<strong>un</strong>cia,<br />
si è soffermata sulla distinzione tra le diverse tipologie<br />
di versamenti eseguibili da parte dei soci, affermando<br />
che «l’erogazione di somme, che a vario titolo<br />
i soci effettuano alle società da loro partecipate,<br />
può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente<br />
obbligo per la società di restituire la somma<br />
ricevuta ad <strong>un</strong>a determinata scadenza, oppure di<br />
versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti,<br />
ma a confluire in apposita riserva ‘‘in conto capitale’’,<br />
o altre simili denominazioni, il quale d<strong>un</strong>que<br />
non dà luogo ad <strong>un</strong> credito esigibile, se non<br />
per effetto dello scioglimento della società e nei limiti<br />
dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione,<br />
ed è più simile al capitale di rischio che a quello<br />
di credito, connotandosi proprio per la postergazione<br />
della sua restituzione al soddisfacimento dei<br />
creditori sociali e per la posizione del socio quale<br />
residual claimant. La qualificazione, nell’<strong>un</strong>o o nel-<br />
Note:<br />
(2) Si tratta di capitali di credito che devono trovare collocazione<br />
in bilancio tra le passività, nella voce ‘‘Debiti verso altri finanziatori’’.<br />
Al riguardo, non è rilevante la natura fruttifera o meno di<br />
tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati<br />
da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione.<br />
(3) Tali finanziamenti sono da collocare in bilancio all’interno del<br />
Patrimonio netto, in voci denominate di solito ‘‘Versamenti in<br />
conto capitale’’, oppure ‘‘Versamenti a copertura perdite’’, se il<br />
conferimento è effettuato per coprire perdite di esercizio. «La<br />
qualificazione dei versamenti dei soci oltre il capitale come ‘‘finanziamenti’’<br />
o ‘‘versamenti a fondo perduto’’ o ‘‘versamenti in<br />
conto aumento capitale’’ è ‘‘quaestio vol<strong>un</strong>tatis’’ da risolversi<br />
secondo le regole interpretative di cui agli artt. 1362 ss. c.c.»,<br />
così Trib. Napoli 25 febbraio 1998, in Banca borsa tit. cred.,<br />
1998, II, 537, con nota F. Di Sabato.<br />
(4) «I versamenti effettuati dai soci della società in conto di futuro<br />
aumento di capitale, pur non determinando <strong>un</strong> incremento<br />
del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la<br />
condizione giuridica propria del capitale, hanno <strong>un</strong>a causa che,<br />
di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile invece<br />
a quella di capitale di rischio; ciò non esclude, tuttavia, che tra la<br />
società ed i soci possa essere convenuta l’erogazione di <strong>un</strong> capitale<br />
di credito e che, quindi, i soci possano effettuare versamenti<br />
in favore della società a titolo di mutuo. Lo stabilire poi, in<br />
concreto, la natura del versamento, è questione di interpretazione,<br />
che, in difetto di <strong>un</strong>a chiara manifestazione di volontà, ben<br />
può essere ricavata dalla terminologia adottata nel bilancio, poiché<br />
questo è soggetto all’approvazione dei soci e le qualificazioni<br />
che i versamenti hanno ricevuto diventano determinanti per<br />
stabilire se si controverta, app<strong>un</strong>to, di <strong>un</strong> finanziamento o di <strong>un</strong><br />
conferimento», così Cass. 13 agosto 2008, n. 21563, in Giust.<br />
civ. Mass., 2008, 9, 1300; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314, in Le<br />
Società, 1996, 1267; Cass. 3 dicembre 1980, n. 6315, ivi, 1981,<br />
II, 895; App. Bari 27 maggio 1988, ivi, 1988, 1269; Trib. Roma<br />
11 febbraio 1995, ivi, 1995, 964; Trib. Verona 14 marzo 1994,<br />
ivi, 1994, 961.<br />
302 Il Fallimento 3/2013
l’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale<br />
delle parti, dovendo trarsi la relativa prova,<br />
di cui è onerato il socio attore in restituzione, non<br />
tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta<br />
nelle scritture contabili della società, quanto dal<br />
modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto,<br />
dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto<br />
e dagli interessi che vi sono sottesi» (5).<br />
O ancora: «i versamenti dei soci possono consistere<br />
o in veri e propri finanziamenti, cioè prestiti o mutui<br />
alla società, che si caratterizzano per il fatto che<br />
i soci non rin<strong>un</strong>ciano alla restituzione delle relative<br />
somme, alla scadenza dei relativi contratti, e non<br />
hanno <strong>un</strong>a destinazione definitiva vincolata al fine<br />
della ricostruzione o dell’aumento del capitale sociale;<br />
oppure in conferimenti (od apporti) che si<br />
caratterizzano per il fatto che i soci rin<strong>un</strong>ciano a<br />
pretenderne la restituzione e così rimangono definitivamente<br />
acquisiti al patrimonio della società,<br />
dando luogo alla costituzione di riserve. I veri e<br />
propri finanziamenti soci, proprio perché implicano<br />
<strong>un</strong> obbligo restitutorio da soddisfare ad <strong>un</strong>a determinata<br />
scadenza, devono essere contabilizzati ed<br />
esposti in bilancio tra le passività, in particolare tra<br />
i debiti verso altri finanziatori al fine di distinguerli<br />
dai versamenti soci in c/capitale che, al contrario,<br />
devono essere contabilizzati tra le poste di patrimonio<br />
netto. Mancando <strong>un</strong>a diversa imputazione<br />
espressa, deve ritenersi che, di norma, il versamento<br />
del socio costituisca <strong>un</strong> finanziamento rimborsabile<br />
e non <strong>un</strong> versamento soci in c/capitale» (6).<br />
Stabilire se, in <strong>un</strong> determinato caso, si sia in presenza<br />
di <strong>un</strong> mutuo o di <strong>un</strong> apporto del socio in capitale,<br />
è quindi <strong>un</strong>a questione di interpretazione,<br />
che deve essere condotta tenendo conto di tutte le<br />
circostanze, tra le quali l’eventuale esistenza di<br />
clausole statutarie che prevedano i versamenti dei<br />
soci, la riconducibilità alla stessa clausola del versamento<br />
effettuato, il modo in cui concretamente è<br />
stato attuato il rapporto (con particolare riferimento<br />
alle finalità pratiche perseguite), mentre non<br />
hanno rilievo le attribuzioni contabili operate dagli<br />
amministratori (7).<br />
Nel caso di specie, giustamente quindi la Suprema<br />
Corte ha ritenuto non corretta la decisione del Trib<strong>un</strong>ale<br />
di Roma la quale non aveva esaminato approfonditamente<br />
le circostanze che avevano portato<br />
i soci al versamento della somma richiesta in restituzione,<br />
in particolare con riferimento alla relazione<br />
dell’esperto depositata nell’ambito della procedura di<br />
c.p. ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 161 l.fall.<br />
Il p<strong>un</strong>to di partenza, tuttavia, a parere dello scrivente,<br />
non può che essere il contenuto della propo-<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
sta: maggiore è il dettaglio con il quale il piano<br />
concordatario è stato predisposto, minore sarà lo<br />
spazio interpretativo e quindi più agevole l’individuazione<br />
di <strong>un</strong>’adeguata soluzione alla domanda restitutoria<br />
dei soci.<br />
La valutazione dovrà essere compiuta, come giustamente<br />
affermato dalla Cassazione, ai sensi dell’art.<br />
1362 c.c., atteso che il concordato preventivo costituisce<br />
<strong>un</strong> accordo, <strong>un</strong> contratto, tra il debitore e<br />
i suoi creditori (8), nonché secondo quanto disposto<br />
dall’art. 1349 c.c. in tema di oggetto del contratto,<br />
il tutto alla luce dell’intera proposta, del voto<br />
e dell’omologa ovvero di tutti i passaggi attraverso<br />
i quali si forma il consenso dei creditori, quali<br />
parti del contratto.<br />
La decisione quindi mette in luce l’importanza e la<br />
centralità del ruolo dell’attestatore e della sua relazione<br />
all’interno della procedura di concordato. Peraltro<br />
tale centralità è stata ulteriormente rafforzata<br />
dalle modifiche introdotte dal decreto sviluppo in<br />
materia fallimentare (9), ove viene stabilita <strong>un</strong>a<br />
nuova e maggiormente specifica regolamentazione<br />
dei requisiti del professionista c.d. ‘‘attestatore’’ poiché,<br />
rispetto alla disciplina precedentemente vigente,<br />
è stato previsto espressamente che il professionista<br />
debba essere designato dal debitore (ponendo fine<br />
al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla<br />
competenza a tale nomina) (10) e debba essere do-<br />
Note:<br />
(5) Così Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758, in Giust. civ. Mass.,<br />
2012, 2, 209. In senso conforme Cass. 30 marzo 2007, n. 7980,<br />
in Foro it., 2008, 4, 1237.<br />
(6) App. Milano 16 febbraio 2009, in Giur. merito, 2010, 4, 1018<br />
con nota di R. De Ritis.<br />
(7) Così Trib. Reggio Emilia 23 ottobre 2008, in Banca borsa tit.<br />
cred. 2011, 6, 714 con nota di T. Boatto. In passato la giurisprudenza<br />
ha valorizzato, al fine di stabilire, in concreto, se <strong>un</strong> determinato<br />
versamento effettuato dal socio di <strong>un</strong>a società a responsabilità<br />
limitata possa essere qualificato come conferimento in<br />
conto capitale ovvero versamento a titolo di mutuo, anche l’allocazione<br />
in bilancio soprattutto in presenza di <strong>un</strong>a clausola statutaria<br />
dal tenore non <strong>un</strong>ivoco. Così Cass. 30 marzo 2007, n. 7980<br />
in Foro it., 2008, 4, 1237. Cass. 31 marzo 2006, n. 7692, in Foro<br />
it., 2007, 11, 3217.<br />
(8) V. ad es. Trib. Monza 5 agosto 2010 in Red. Giuffrè, 2010.<br />
(9) L’art. 33 del c.d. decreto sviluppo approvato con D.L. 22 giugno<br />
2012 n. 83 e convertito con L. 7 agosto 2012 n. 134, pubblicata<br />
in Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012 n. 187, entrata in<br />
vigore l’11 settembre 2012, ha introdotto <strong>un</strong>a modifica alla lettera<br />
d) comma 3, art. 67 l.fall., norma richiamata dall’art. 161,<br />
comma 3, l.fall. in materia di concordato preventivo.<br />
(10) Si era pron<strong>un</strong>ciato nel senso che la competenza per la nomina<br />
spettasse al Trib<strong>un</strong>ale, Trib. Bari 14 agosto, 2008, in Fall.,<br />
2009, 467 ss.; anche prima della riforma invece aveva individuato<br />
la competenza esclusiva del debitore nella predetta nomina<br />
Trib. Ravenna 13 settembre 2011, in www.ilcaso.it; Trib. Verona<br />
27 luglio 2011, ivi.<br />
Il Fallimento 3/2013 303
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
tato del requisito dell’indipendenza dato da: assenza<br />
di legami professionali o personali all’impresa e a<br />
coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento,<br />
tali da comprometterne l’indipendenza di<br />
giudizio; possesso dei requisiti previsti dal codice civile<br />
per l’elezione alla carica di sindaco (cfr. art.<br />
2399 c.c.); assenza, negli ultimi cinque anni, di alc<strong>un</strong>a<br />
prestazione di lavoro subordinato o autonomo<br />
(anche per il tramite di soggetti con i quali il professionista<br />
sia <strong>un</strong>ito in associazione professionale)<br />
in favore del debitore ovvero assenza di alc<strong>un</strong>a partecipazione<br />
agli organi di amministrazione o di controllo<br />
di quest’ultimo.<br />
Con la riforma operata dal Decreto Sviluppo 2012<br />
è stata inoltre introdotta <strong>un</strong>’apposita norma disciplinante<br />
la responsabilità penale del professionista<br />
attestatore in caso di falso in attestazioni e relazioni<br />
(11), anch’essa quindi ad ulteriore riprova della<br />
centralità della figura in parola nell’ambito della<br />
composizione negoziale della crisi d’impresa.<br />
Sul p<strong>un</strong>to appare esplicativa e degna di richiamo la<br />
recente massima del Trib<strong>un</strong>ale di Firenze che afferma<br />
i caratteri e la f<strong>un</strong>zione principale di tale relazione:<br />
«Il giudizio dell’attestatore di cui all’articolo 161,<br />
legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione<br />
di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo,<br />
invece, desumere i dati in questione dalla<br />
realtà dell’azienda che egli deve indagare e verificare.<br />
Al fine di effettuare l’attestazione della veridicità<br />
dei dati, il professionista che attesta la relazione di<br />
cui all’articolo 161 l.fall. deve verificare la reale consistenza<br />
del patrimonio dell’azienda, esaminando e<br />
vagliando gli elementi che lo compongono. Omissis.<br />
Quanto al piano proposto dal debitore, l’attestatore<br />
deve verificare che sia concretamente attuabile, in<br />
relazione agli obiettivi che si propone e alla specifica<br />
situazione concreta. Omissis. Tenuto conto della f<strong>un</strong>zione<br />
che egli deve assolvere (assicurare ai creditori<br />
la serietà della proposta e la sua praticabilità), il giudizio<br />
di fattibilità non deve essere di ‘‘possibilità’’ o<br />
di ‘‘probabilità’’ - posto che nella realtà fenomenica<br />
quasi tutto il possibile e la probabilità non soddisfa<br />
alc<strong>un</strong> reale interesse dei creditori - ma di concreta<br />
verosimiglianza, nel senso che la situazione (necessariamente<br />
futura) prospettata nel piano deve apparire<br />
il naturale sviluppo, secondo logiche di esperienza e<br />
in base ai dettami delle discipline economiche finanziarie,<br />
delle premesse del piano e delle condotte attuative<br />
finalizzate alla sua esecuzione. Anche in questo<br />
caso, l’attestatore dovrà attenersi a criteri di prudenza,<br />
tenendo conto del fatto che ai creditori non<br />
interessa la possibilità astratta, ma la concreta praticabilità<br />
della soluzione proposta» (12).<br />
Il ruolo e la f<strong>un</strong>zione dell’attestazione dell’esperto,<br />
tuttavia, sono stati oggetto di differenti valutazioni<br />
in dottrina (13) e in giurisprudenza, le quali si sono<br />
divise tra coloro che ritengono che lo stesso sia <strong>un</strong><br />
mero consulente tecnico d’ufficio e di conseguenza<br />
che la sua relazione sia indirizzata solo al Trib<strong>un</strong>ale<br />
(14) e coloro che viceversa affermano che tale<br />
relazione sia rivolta ai creditori e la f<strong>un</strong>zione che le<br />
è propria è quella di fornire elementi di valutazione<br />
ai creditori per la formazione del loro consenso, dovendo<br />
il giudice astenersi da <strong>un</strong>’indagine di merito<br />
(15). In tal senso la figura di ‘‘testimone tecnico’’<br />
appare attagliarsi all’attestatore e al suo ruolo<br />
di imparzialità, specie alla luce della sanzione penale<br />
contenuta nell’art. 236 bis l.fall. (16)<br />
In ogni caso la relazione del professionista si inseri-<br />
Note:<br />
(11) L’articolo 236 bis della legge fallimentare dispone infatti<br />
che sia p<strong>un</strong>ito con la reclusione da due a cinque anni e con multa<br />
da Euro 50.000 a Euro 100.000 il professionista che nelle relazioni<br />
o attestazioni da rendersi nell’ambito di piani di risanamento,<br />
concordati preventivi e accordi di ristrutturazione esponga<br />
informazioni false ovvero ometta di riferire informazioni rilevanti.<br />
La pena è aumentata nel caso in cui il fatto sia commesso<br />
al fine di conseguire ingiusto profitto per sé o per gli altri. Nel<br />
caso in cui dal fatto consegua <strong>un</strong> danno per i creditori, la pena è<br />
aumentata fino alla metà.<br />
(12) Trib. Firenze 9 febbraio 2012, in Red. Giuffrè, 2012. Si veda<br />
altresì recente pron<strong>un</strong>cia del Trib<strong>un</strong>ale di Mantova, ove viene<br />
precisato che il professionista che attesta il piano di cui all’articolo<br />
161, legge fallimentare non può limitarsi alla dichiarazione<br />
di conformità della proposta ai dati contabili, dovendo invece desumere<br />
i dati in questione dalla realtà dell’azienda che egli deve<br />
indagare verificando la reale consistenza del patrimonio, esaminando<br />
e vagliando i dati che lo compongono (Nel caso di specie,<br />
non è stato ammesso al passivo il credito del professionista attestatore,<br />
il quale aveva omesso di verificare - mediante l’invio<br />
ai debitori di <strong>un</strong>a richiesta di conferma scritta delle rispettive posizioni<br />
- la effettiva esistenza di posizioni creditorie che rappresentavano<br />
buona parte dell’importo che l’impresa proponente<br />
metteva a disposizione dei creditori; così Trib. Mantova 28 maggio<br />
2012, in www.ilcaso.it.<br />
(13) In dottrina, cfr. P. Pirruccio, Limitati i poteri di controllo sulle<br />
conclusioni del professionista allegate alla proposta, inGuida al<br />
diritto, 2011, n. 5, 91; M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su<br />
proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi<br />
sulla fattibilità, in questa Rivista, 2011, 167; G. Brescia, Relazione<br />
dell’esperto per l’ammissione al concordato preventivo, in<br />
Fallimento e crisi d’impresa, 2008, 361; G. Jachia, Il concordato<br />
preventivo e la sua proposta, inFallimento ed altre procedure<br />
concorsuali diretto da Fauceglia e Panzani, III, Torino 2009,<br />
1608; F. Michelotti, La relazione del professionista e i limiti del<br />
controllo giurisdizionale del trib<strong>un</strong>ale in sede di ammissione al<br />
concordato preventivo, in questa Rivista, 2010, 961.<br />
(14) Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Foro it., 2012, 1, 136, con<br />
nota di M. Fabiani.<br />
(15) Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, in Giust. civ., 2011, 7-8,<br />
1673; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586, in Giust. civ. Mass.,<br />
2011, 2, 240; Cass. 29 ottobre 2009 n. 22927, in questa Rivista,<br />
2010, 822, con nota di Celentano.<br />
(16) M. Fabiani, Nuovi incentivi per la regolazione concordata<br />
della crisi d’impresa, inCorr. giur., 2012, 11, 1265 ss.<br />
304 Il Fallimento 3/2013
sce a pieno titolo nel procedimento giurisdizionale<br />
che porta all’ammissione del concordato e all’iter<br />
sino all’omologa, e di fatto sostituisce i poteri istruttori<br />
del trib<strong>un</strong>ale in ordine ad <strong>un</strong>a condizione di<br />
ammissibilità del concordato assolvendo alla f<strong>un</strong>zione<br />
di <strong>un</strong>a corretta informazione e tutela dei creditori<br />
e di ausilio all’indagine e alla relazione del commissario<br />
giudiziale. Detta relazione, attestando la<br />
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano,<br />
ha non solo <strong>un</strong> contenuto valutativo ma anche <strong>un</strong><br />
contenuto certificativo dal quale discende <strong>un</strong>o specifico<br />
valore probatorio. Si parla spesso in giurisprudenza<br />
di ‘‘f<strong>un</strong>zione di garante dei terzi’’ (17).<br />
Nel caso affrontato dalla sentenza in commento,<br />
quindi, laddove si consideri l’attestazione come mera<br />
relazione tecnica, indirizzata al Trib<strong>un</strong>ale, e tale<br />
Organo Giudicante accerti che il professionista ha<br />
ipotizzato effettivamente <strong>un</strong>a soddisfazione del ceto<br />
creditorio superiore al 5% contenuto espressamente<br />
in proposta, in virtù delle somme versate dai soci e<br />
di cui si discute, a parere dello scrivente tale valutazione<br />
non potrà impattare o meglio integrare il<br />
contenuto originario della proposta, che rimane invariata,<br />
e non può quindi essere utilizzata come<br />
strumento per avvalorare la ripartibilità di tali somme<br />
in favore dei creditori.<br />
Alla stessa conclusione, tuttavia, dovrebbe pervenirsi<br />
anche aderendo all’altra tesi che riconosce<br />
nell’attestazione <strong>un</strong>a relazione rivolta ai creditori e<br />
necessaria alla formazione del loro consenso. L’attestatore,<br />
infatti, anche alla luce delle recenti novità<br />
già citate, rimane in ogni caso <strong>un</strong> soggetto terzo all’accordo<br />
tra il debitore ed i suoi creditori nell’ambito<br />
degli elementi procedimentali necessari che<br />
sfociano nell’omologa del concordato. Non sarebbe<br />
possibile, quindi, che le valutazioni di tale soggetto<br />
vadano ad integrare la proposta del debitore, laddove<br />
essa sia stata dettagliatamente confezionata e come<br />
tale sottoposta ai creditori ed al Trib<strong>un</strong>ale e ciò<br />
alla luce dell’art. 1349 c.c. il quale prevede che la<br />
determinazione dell’oggetto del contratto (quindi<br />
nel nostro caso della proposta di c.p.) possa essere<br />
deferita al terzo solo a certe condizioni.<br />
L’attestazione rimane quindi com<strong>un</strong>que <strong>un</strong> elemento<br />
importante nella formazione del consenso e non<br />
deve essere utilizzata solo per confortare la fattibilità<br />
del piano, alla luce della veridicità dei dati aziendali.<br />
L’attestatore, infatti, per primo ha interpretato<br />
e valutato la proposta di concordato preventivo ed<br />
il relativo piano basato sulla cessio bonorum con garanzia<br />
di pagamento dei creditori chirografari nella<br />
misura del 5%; lo stesso ha quindi ipotizzato «anche<br />
il superamento delle percentuali promesse per<br />
Giurisprudenza<br />
Concordato preventivo<br />
effetto del versamento dei soci», interpretando la<br />
proposta nel senso che gli eventuali migliori esiti<br />
del piano sarebbero stati destinati ai creditori tra<br />
cui app<strong>un</strong>to il versamento dei soci a garanzia del<br />
minimo ma acquisibili all’attivo indipendentemente<br />
dalla percentuale di soddisfazione realizzata. Tale<br />
interpretazione viene trasmessa tramite l’attestazione<br />
ai creditori, il cui consenso si determina attraverso<br />
<strong>un</strong> iter a formazione progressiva dato da proposta<br />
- attestazione - relazione del commissario giudiziale<br />
- voto; il debitore, quindi, se avesse voluto,<br />
e se avesse effettivamente rilevato che l’interpretazione<br />
fornita dall’attestatore non era corrispondente<br />
al reale contenuto della proposta, avrebbe potuto<br />
intervenire come previsto dall’art. 175, comma 3,<br />
l.fall. modificando o integrando la proposta sino all’inizio<br />
delle operazioni di voto.<br />
In definitiva il Trib<strong>un</strong>ale del rinvio dovrà svolgere<br />
<strong>un</strong>’attenta esegesi della proposta, tenuto conto dell’intenzione<br />
delle parti ex art. 1362 c.c. e com<strong>un</strong>que<br />
della valutazione svolta dell’esperto attestatore e<br />
della conseguente vis persuasiva che ha influenzato<br />
il consenso dei creditori.<br />
Nota:<br />
(17) V. fra le tante Trib. Pordenone 26 novembre 2008, in Red.<br />
Giuffrè, 2010.<br />
Il Fallimento 3/2013 305
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Verifica dei crediti<br />
L’accertamento delle garanzie<br />
reali nel fallimento del terzo<br />
datore<br />
Cassazione Civile, Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289 - Pres. Plenteda - Rel. Cultrera - P.M. Sorrentino<br />
- Fall. C.P. c. Banca Nazionale del Lavoro S.p.a.<br />
Fallimento - Accertamento del passivo - Verifica dei crediti - Ipoteca sui beni del terzo fallito - Ammissione del credito -<br />
Abnormità del decreto - Efficacia preclusiva - Conseguenze<br />
(legge fallimentare artt. 96, 98, 100, 102)<br />
Al curatore fallimentare non è consentito agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa <strong>un</strong>a<br />
causa di prelazione (nella specie, ipoteca), in forza della quale <strong>un</strong> determinato credito sia stato già definitivamente<br />
ammesso al passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo di modificare lo stato passivo, retrocedendo<br />
quel credito al rango chirografario, potrebbe sorreggere <strong>un</strong>a tale azione, ma questo effetto non sarebbe<br />
raggi<strong>un</strong>gibile senza la modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei rimedi previsti dagli artt.<br />
98 ss. l.fall.; il curatore, quindi, stante la forza di giudicato endofallimentare, da attribuire al decreto che rende<br />
esecutivo lo stato passivo, può chiedere la revocazione del credito ammesso ai sensi dell’art. 102 l.fall., ma<br />
non agire in via ordinaria per rimettere in discussione il titolo, ovvero gli elementi che lo costituiscono o lo<br />
connotano. (Nella specie i giudici di merito, pur rilevando l’abnormità del decreto del giudice delegato, che<br />
aveva ammesso allo stato passivo il credito della banca nei confronti di <strong>un</strong> soggetto diverso dal fallito con garanzia<br />
concessa da quest’ultimo, in violazione della regola secondo cui il creditore che abbia ottenuto garanzia<br />
ipotecaria non ha titolo a partecipare al concorso nella massa fallimentare del terzo datore, che non ha debito<br />
nei suoi confronti, hanno ritenuto sussistente l’effetto preclusivo che discendeva dalla esecutività dello stato<br />
passivo, non impugnato attraverso i rimedi previsti dagli artt. 98, 100 e 102 l.fall.).<br />
La Corte (omissis).<br />
Il primo motivo den<strong>un</strong>cia violazione della l.fall., artt.<br />
25, 52, 64, 92, 96, 97, 98, 100, 102, 108, 109, 110, 112,<br />
114, e degli artt. 2033, 2901 e 2909 c.c., e vizio di motivazione<br />
in ordine agli effetti attribuiti a provvedimento<br />
abnorme. La Corte del merito sarebbe incorsa nel den<strong>un</strong>ciato<br />
errore per aver attribuito effetto preclusivo al<br />
decreto d’esecutività dello stato passivo pur in presenza<br />
della den<strong>un</strong>cia di abnormità del decreto del giudice delegato,<br />
che aveva ammesso allo stato passivo il credito<br />
della banca vantato nei confronti di soggetto diverso dal<br />
fallito in violazione della regola che esclude che il creditore<br />
che abbia ottenuto garanzia ipotecaria da <strong>un</strong> terzo<br />
abbia titolo a partecipare al concorso nella massa fallimentare<br />
del terzo datore, che non ha debito nei suoi<br />
confronti.<br />
La quaestio juris, riguardante non già la stabilità dello stato<br />
passivo dichiarato esecutivo, ma la verifica dei suoi<br />
effetti preclusivi in caso di decreto d’ammissione emesso<br />
in assoluta carenza di potere del giudice delegato sarebbe<br />
stata risolta dai giudici d’appello senza coglierne il nucleo,<br />
assumendo che il riesame di quel decreto era rimes-<br />
so esclusivamente ai rimedi endofallimentari previsti dalla<br />
l.fall., artt. 98, 100 e 102, applicabili ratione temporis,<br />
il cui mancato esperimento ha consentito che lo stato<br />
passivo acquistasse forza di giudicato. Soggi<strong>un</strong>ge il ricorrente<br />
che, in caso d’inesistenza giuridica del provvedimento<br />
d’ammissione allo stato passivo, verificabile incidenter<br />
tantum in controversie in cui si dibatte in ordine<br />
alla prelazione, lo stato passivo non ha attitudine al giudicato<br />
e, quindi, non produce ex se effetto preclusivo. Di<br />
qui la stridente contraddizione del ragionamento che sostiene<br />
la decisione impugnata che, pur richiamando l’insegnamento<br />
dei giudici di legittimità che afferma la giuridica<br />
inesistenza dell’ammissione del credito garantito<br />
allo stato passivo del fallimento del terzo datore dell’ipoteca,<br />
non ne hanno tratto le ovvie conseguenze. La prelazione<br />
concessa dal fallito al credito della banca verso il<br />
terzo non ha natura concorsuale e la sua partecipazione<br />
al concorso, se ammessa, è illegittima in quanto il relativo<br />
decreto, ass<strong>un</strong>to in carenza di potere, non ha natura<br />
decisoria.<br />
Il 2 motivo den<strong>un</strong>cia ancora violazione del medesimo<br />
quadro normativo e pone la questione di diritto se possa<br />
306 Il Fallimento 3/2013
dispiegare effetto preclusivo il decreto del giudice delegato<br />
che abbia ammesso al concorso <strong>un</strong> credito ad esso<br />
estraneo in quanto non riferibile al fallito, in relazione<br />
al quale non entrano in gioco esistenza ed efficacia della<br />
prelazione. In simile evenienza, conclude il ricorrente,<br />
restano esperibili le azioni tese a dichiarare l’inefficacia<br />
della prelazione.<br />
La resistente deduce l’infondatezza delle censure osservando<br />
che, benché il decreto d’ammissione allo stato<br />
passivo del fallimento del terzo datore d’ipoteca sia errato<br />
in parte qua, nondimeno, stante la sua definitività,<br />
produce effetto preclusivo. L’illegittimità di quel decreto,<br />
non riconducibile alle categorie dell’abnormità e dell’inesistenza<br />
evocate da controparte, avrebbe dovuto farsi<br />
valere mediante i rimedi apprestati dal sistema fallimentare,<br />
non attivati né dal curatore fallimentare né da alc<strong>un</strong>o<br />
degli altri creditori ammessi. Il decreto, in conclusione,<br />
secondo quanto sostiene consolidato orientamento<br />
giurisprudenziale - Cass. n. 15186/2000-, ha portata<br />
limitata all’accertamento della validità ed efficacia della<br />
prelazione che, reso esecutivo lo stato passivo, non può<br />
essere messo in discussione con azioni ordinarie.<br />
I motivi, che pongono questioni correlate esaminabili<br />
congi<strong>un</strong>tamente, espongono censure prive di pregio. Il<br />
consolidato orientamento di questa Corte (cui si presta<br />
adesione e che in questa sede s’intende ribadire senza<br />
necessità di rivisitazione, ha fatto chiarezza in ordine alla<br />
duplice problematica sollevata nei motivi in esame affermando<br />
che:<br />
1.- «Al curatore fallimentare non è consentito agire in<br />
revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa<br />
<strong>un</strong>a causa di prelazione in forza della quale <strong>un</strong> determinato<br />
credito sia stato già definitivamente ammesso al<br />
passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo<br />
di modificare lo stato passivo, retrocedendo quel credito<br />
al rango chirografario, potrebbe sorreggere <strong>un</strong>a tale azione,<br />
ma questo effetto non sarebbe raggi<strong>un</strong>gibile senza la<br />
modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei<br />
rimedi previsti dalla l.fall., art. 98, e ss.» (Cass. n.<br />
17888/2004). L’en<strong>un</strong>ciato, di cui la Corte del merito ha<br />
fatto ineccepibile applicazione, convalida la convergenza<br />
formatasi in sede interpretativa circa la forza di giudicato<br />
endofallimentare che va attribuita al decreto che rende<br />
esecutivo lo stato passivo, postulato del suo effetto preclusivo<br />
che può essere rimosso all’interno della procedura<br />
e solo con i soli rimedi tipici della stessa, di cui dispone<br />
anche il curatore che, stante l’attitudine del credito<br />
accertato con effetto di giudicato interno a partecipare<br />
al concorso, può chiederne la revocazione ai sensi della<br />
L.fall., art. 102, ma non certo agire in via ordinaria per<br />
rimetterne in discussione il titolo, ovvero gli elementi<br />
che lo costituiscono o lo connotano. Sgombrata in chiave<br />
esegetica ogni perplessità, seppur fosse residuata (cfr.<br />
Cass., sez. <strong>un</strong>., n. 16508/2010 seppur in relazione a diversa<br />
fattispecie), la forza di giudicato del decreto che<br />
rende esecutivo lo stato passivo riceve attestazione positiva<br />
nel testo riformato dell’art. 96, ultimo comma.<br />
Il decreto dispiega d<strong>un</strong>que pieno effetto decisorio nella<br />
procedura in duplice prospettiva: all’interno del concorso,<br />
il che vuol dire che assume carattere di stabilità in<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
ordine all’esistenza della pretesa sostanziale ed alla qualità<br />
del credito in coerenza con la regola della concorsualità<br />
che presuppone l’anteriorità al fallimento e l’opponibilità<br />
del suo titolo fondante alla massa; ai fini del concorso,<br />
in quanto garantisce la stabilità dei riparti escludendo<br />
la ripetibilità delle somme percepite dal creditore<br />
ammesso secondo quanto prevede l’art. 114, ed incide<br />
altresì, nel regime novellato, ai fini dell’esdebitazione -<br />
art. 142. Al di fuori della procedura, ma la questione è<br />
estranea al tema in questa sede dibattuto, il decreto non<br />
ha forza di giudicato potendo al più valere, secondo<br />
quanto prevede l’art. 120, ultimo comma, nel testo riformato,<br />
quale prova documentale del credito cui evidenti<br />
ragioni di economia processuale, attribuiscono piena valenza<br />
ed efficacia, per l’introduzione del giudizio monitorio.<br />
È indubbio d<strong>un</strong>que, né d’altronde il ricorrente smentisce<br />
l’ass<strong>un</strong>to, che il decreto d’ammissione allo stato<br />
passivo contiene accertamento del credito quanto ai fatti<br />
costitutivi, alla qualità, al rango ed alla sua opponibilità<br />
alla massa, e che, divenuto definitivo e non impugnato<br />
attraverso i rimedi interni alla procedura, assume carattere<br />
di stabilità nell’alveo della procedura<br />
stessa ed ai suoi fini, precludendo ogni successiva iniziativa<br />
che metta in discussione quel titolo e quel rango.<br />
2.- «I titolari di diritti di prelazione (nella specie, <strong>un</strong>’ipoteca)<br />
su beni immobili compresi nel fallimento, e già costituiti<br />
in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi<br />
dal fallito, non possono avvalersi del procedimento<br />
di verificazione, in quanto la l.fall., art. 52, sottopone<br />
ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il<br />
debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo<br />
al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non<br />
può incidere sulla massa passiva; i predetti crediti, anche<br />
se esclusi dal concorso formale, sono peraltro assoggettabili<br />
a verifica, ai sensi della l.fall., art. 108, ultimo comma,<br />
nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato,<br />
rappresentando il titolo che costituisce la prelazione<br />
<strong>un</strong>a passività di cui il patrimonio del fallito deve essere<br />
depurato prima della ripartizione del ricavato ai creditori<br />
concorsuali, sempre che la sua validità ed attualità,<br />
oltre che opponibilità alla massa, non siano state contestate<br />
dal curatore con le apposite azioni» (Cass. n. 2429/<br />
2009). Del principio, che va senz’altro confermato e<br />
non viene neppure messo in discussione dal ricorrente,<br />
la Corte del merito ha tenuto conto. Ha infatti riscontrato<br />
l’illegittimità del decreto d’ammissione allo stato<br />
passivo del fallimento di C.P., terzo datore della garanzia<br />
del credito che la banca vantava nei confronti del fratello<br />
P., reputando nondimeno quel vizio inidoneo a scalfire<br />
l’intangibilità del giudicato endofallimentare, formatosi<br />
nell’assoluta inerzia dei soggetti legittimati a proporre<br />
le impugnazioni previste dalla l.fall., art. 98, e ss. Le<br />
censure esposte nei motivi in esame ascrivono i den<strong>un</strong>ciati<br />
errori a siffatto passaggio argomentativo, lamentando<br />
che la Corte del merito avrebbe arrestato la sua verifica<br />
al riscontrato vizio senza rilevarne la riconducibilità<br />
alla categorie dell’abnormità ovvero dell’inesistenza giuridica,<br />
la cui applicabilità sarebbe resa evidente dall’assoluta<br />
assenza della potestas judicandi del giudice delegato<br />
in caso di debito ass<strong>un</strong>to da soggetto diverso dal fallito.<br />
Il Fallimento 3/2013 307
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Suggestiva ma infondata, la tesi argomentativa evoca,<br />
con richiamo alla pron<strong>un</strong>cia delle S.U. n. 9692/2002<br />
emessa in tutt’altra fattispecie, nozione, di sostanziale<br />
elaborazione giurisprudenziale applicabile alle ipotesi in<br />
cui il provvedimento ass<strong>un</strong>to dal giudice non è riconducibile<br />
all’archetipo dei provvedimenti giurisdizionali, ovvero<br />
è stato ass<strong>un</strong>to da autorità priva di potere decisorio<br />
ed è pertanto privo di effetti giuridici, non riscontrabile<br />
di certo nell’ipotesi di non corretto esercizio del potere<br />
decisorio, né nel caso in cui il provvedimento, ass<strong>un</strong>to<br />
dal giudice competente a pron<strong>un</strong>ciarlo secondo lo schema<br />
normativo di riferimento, risulti affetto da errore di<br />
diritto. Il vizio che inficia il provvedimento, ancorché<br />
fosse annoverabile tra le ipotesi di nullità, a lume del<br />
principio sancito nell’art. 161 c.p.c., ma applicabile in linea<br />
generale al sistema delle impugnazioni, è emendabile<br />
mediante i rimedi impugnatori ordinari, vale a dire tipicamente<br />
disponibili secondo il sistema nel cui alveo quel<br />
provvedimento è stato emesso, sì che, in caso d’inerzia<br />
della parte legittimata a quei rimedi, quel provvedimento<br />
si stabilizza, seppur nel contenuto affetto dal vizio,<br />
con effetto di giudicato. Il decreto in esame è inficiato<br />
da indiscusso errore di diritto, che non rappresenta però<br />
anomalia tale da collocarlo al di fuori della fattispecie legale<br />
data, precludendone l’identificabilità e quindi l’idoneità<br />
a produrre effetti giuridici. Il giudice delegato infatti,<br />
senza affatto esorbitare dai limiti posti alle sue attribuzioni<br />
dalla legge fallimentare, ha in sostanza ass<strong>un</strong>to<br />
provvedimento che, nella parte in cui esprime accertamento<br />
del credito verso il terzo e non nei confronti del<br />
fallito risulta ‘‘inutiliter’’ data, ma, nondimeno, potrebbe<br />
essere idoneo a spiegare effetto, laddove potesse interpre-<br />
tarsi ovvero risultasse in esso esplicato che quel diritto è<br />
stato verificato nel concorso al fine di consentire al creditore<br />
garantito di partecipare alle operazioni di liquidazione<br />
ed al conseguente riparto, in cui la sua prelazione<br />
assume rilievo. In assenza di tale esplicazione, nel decreto<br />
in esame, che ammette tout court il credito della banca,<br />
è riscontrabile errore di diritto che, tuttavia, ness<strong>un</strong>o<br />
dei creditori ha rilevato e fatto valere agendo, secondo il<br />
regime allora vigente, ai sensi della l.fall., art. 100, né il<br />
curatore ha chiesto di accertare e rimuovere promuovendo<br />
la revocazione l.fall., ex art. 102. Ormai m<strong>un</strong>ito di<br />
forza di giudicato, il decreto si è perciò consolidato con<br />
quel contenuto, senza produrre effetto nella parte in cui<br />
ha accertato il credito e dispiegando invece efficacia nella<br />
fase della liquidazione e del conseguente riparto, cui<br />
in ogni caso il creditore ipotecario ha titolo a partecipare,<br />
in cui esistenza validità ed opponibilità della garanzia<br />
non possono trovare ormai sp<strong>un</strong>ti di contestazione atteso<br />
lo scrutinio su tali requisiti condotto con esito confermativo<br />
ed in via anticipata nella sede della verifica del credito.<br />
A maggior ragione, l’azione ordinaria, che il curatore<br />
solo successivamente e melius re perpensa ha esperito,<br />
non può rimettere in discussione suddetti elementi sui<br />
quali, come ha correttamente affermato il giudice dell’appello,<br />
si è riverberato l’effetto di giudicato che, in ragione<br />
dell’omessa attivazione dei rimedi impugnatori, devesi<br />
conferire allo stato passivo regolarmente approvato.<br />
Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato disponendo<br />
la compensazione integrale delle spese del giudizio<br />
di legittimità in ragione della natura delle questioni<br />
trattate.<br />
(omissis).<br />
La verifica delle garanzie reali sui beni del terzo fallito<br />
tra vecchio e nuovo fallimento<br />
di Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco *<br />
Partendo da <strong>un</strong>a decisione resa in <strong>un</strong>a fattispecie risalente alla legge fallimentare anteriore al D.Lgs. n. 5/<br />
2006, l’Autore analizza dapprima le conclusioni dei Giudici di legittimità sull’accertamento delle garanzie reali<br />
sui beni del terzo fallito e sugli effetti di giudicato endo-fallimentare in caso di riconoscimento della prelazione<br />
in sede di verifica dei crediti, quindi espone le ragioni per le quali i principi espressi dalla giurisprudenza<br />
consolidata sul p<strong>un</strong>to non dovrebbero più trovare applicazione alla luce dell’art. 52, secondo comma,<br />
l.fall., nella formulazione successiva al D.Lgs. n. 5/2006.<br />
1. Premessa<br />
Il problema della sede nella quale il titolare di <strong>un</strong><br />
credito verso terzi garantito da pegno o ipoteca su<br />
beni del fallito possa fare valere le propri ragioni<br />
nel fallimento del terzo datore può essere definito a<br />
ragione <strong>un</strong>a ‘‘vexata quaestio’’, trattandosi di <strong>un</strong> tema<br />
che periodicamente - e da quasi cinquant’anni -<br />
si propone all’attenzione degli interpreti e dell’editoria<br />
giuridica.<br />
Gli orientamenti che a l<strong>un</strong>go si sono contrapposti,<br />
come meglio si vedrà nel seguito del commento, sono<br />
due: la giurisprudenza di legittimità e la maggioranza<br />
dei giudici di merito si sono orientati a sostenere<br />
che il beneficiario della garanzia possa e debba<br />
intervenire solo in sede di ripartizione dell’attivo,<br />
non potendo invece partecipare all’accertamento<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
308 Il Fallimento 3/2013
del passivo fallimentare, con la conseguente inammissibilità<br />
di <strong>un</strong>a sua eventuale domanda di insinuazione.<br />
In dottrina, invece, è prevalsa l’opinione contraria<br />
(che si riscontra anche in qualche decisione di merito),<br />
cioè quella che riconosce al garantito il diritto<br />
di prendere parte a pieno titolo alla verifica dei<br />
crediti.<br />
L’odierna decisione della Suprema Corte, come si<br />
legge nella parte motiva, si dovrebbe inserire nel<br />
primo filone, del quale afferma di costituire attuazione<br />
ed al quale vorrebbe dare continuità.<br />
In realtà vi è <strong>un</strong>a significativa variante che la rende<br />
di particolare interesse, anche perché fornisce lo<br />
sp<strong>un</strong>to per chiedersi se la soluzione proposta per<br />
molti anni dai giudici di legittimità sia ancora attuale,<br />
a seguito delle modifiche normative del<br />
D.Lgs. n. 5/2006 (il caso di specie origina invece da<br />
<strong>un</strong> ‘‘vecchio’’ fallimento).<br />
2. Il caso di specie<br />
Il tema oggetto della sentenza in esame, in realtà,<br />
non è sic et simpliciter quello della insinuabilità o<br />
non-insinuabilità al passivo delle garanzie verso i<br />
terzi datori di ipoteca falliti.<br />
Il problema era, infatti, ben più articolato e può<br />
riassumersi come segue:<br />
a) <strong>un</strong>a banca titolare di ipoteca su beni del fallito per<br />
crediti verso terzi aveva insinuato al passivo del terzo<br />
datore il credito (verso il terzo) e la garanzia che lo<br />
assisteva, venendo ammessa come da domanda;<br />
b) successivamente il curatore aveva ravvisato gli<br />
estremi per l’inefficacia e/o la revocatoria - sia ordinaria<br />
che fallimentare - dell’ipoteca ed aveva quindi<br />
agito giudizialmente;<br />
c) la banca, al fine di impedire l’impugnativa della<br />
garanzia, aveva opposto l’efficacia preclusiva del<br />
giudicato endo-fallimentare conseguente alla definitiva<br />
ammissione al passivo;<br />
d) il curatore a tal p<strong>un</strong>to aveva eccepito l’anomalia<br />
e l’inesistenza giuridica del provvedimento di ammissione,<br />
in quanto viziato da eccesso di potere, e<br />
ciò in base alla giurisprudenza che esclude la possibilità,<br />
per il beneficiario della garanzia del terzo datore,<br />
di avvalersi del procedimento di verifica del<br />
passivo;<br />
e) conseguentemente, secondo la curatela, il giudice<br />
bene avrebbe potuto pron<strong>un</strong>ciarsi sulle domande<br />
di inefficacia e revocatoria, dopo avere accertato incidenter<br />
tantum l’anomalia - in parte qua - del decreto<br />
di esecutività dello stato passivo.<br />
La Cassazione ha condiviso, in primo luogo, la tesi<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
del fallimento circa la indisponibilità per il garantito,<br />
in casi del genere, del procedimento di verifica<br />
dei crediti.<br />
Tuttavia, ad avviso della Corte, il provvedimento<br />
di ammissione del credito e della garanzia sarebbe<br />
stato privo di effetti nella sola parte riguardante il<br />
credito - non essendovi alc<strong>un</strong> credito nei confronti<br />
del fallito - mentre sarebbe stato efficace, invece,<br />
nella parte relativa alla garanzia, la quale avrebbe<br />
formato oggetto di <strong>un</strong> accertamento di esistenza, efficacia<br />
ed opponibilità anticipato rispetto alla sede<br />
naturale delle ripartizioni dell’attivo, ma pur sempre<br />
ammissibile.<br />
Su tali basi i giudici di legittimità hanno ritenuto<br />
inammissibili le domande di inefficacia e di revocatoria<br />
proposte dalla procedura: il curatore, si legge,<br />
avrebbe dovuto avvalersi a tal fine dei mezzi di impugnazione<br />
previsti dagli artt. 98 e ss. l.fall.; non<br />
avendolo fatto - e ferma restando la mancata produzione<br />
di effetti dell’ammissione al passivo del credito<br />
- si sarebbe privato della possibilità di impugnare,<br />
nel seguito del procedimento, il riconoscimento<br />
della garanzia, in virtù dell’efficacia preclusiva<br />
del giudicato endo-fallimentare.<br />
3. I principi giuridici<br />
Dalla lettura della motivazione la decisione risulterebbe<br />
prima facie come il frutto dell’applicazione di<br />
tre principi giurisprudenziali consolidati.<br />
In <strong>un</strong> ordine f<strong>un</strong>zionale al presente commento, il<br />
primo è quello secondo il quale il decreto di esecutività<br />
dello stato passivo di cui all’art. 96 l.fall., se<br />
non impugnato, preclude nell’ambito del procedimento<br />
fallimentare ogni questione relativa all’esistenza<br />
del credito, alla sua entità, all’efficacia del titolo<br />
ed all’esistenza di cause di prelazione.<br />
Su di esso i precedenti di legittimità sono molto<br />
<strong>numero</strong>si (1) e mette conto solo aggi<strong>un</strong>gere, da <strong>un</strong><br />
lato, che l’‘‘ambito del procedimento fallimentare’’<br />
riguarda qualsiasi controversia promossa dal curatore<br />
nei confronti del creditore ammesso in pendenza<br />
del fallimento, anche se davanti ad <strong>un</strong> giudice diverso<br />
da quello fallimentare (2), dall’altro che l’ef-<br />
Note:<br />
(1) Ex plurimis, v. al riguardo Cass. 1 aprile 2011, n. 7570, in<br />
questa Rivista, 2011, 1318; Cass. 7 agosto 2009, n. 18105, in<br />
Foro it., Rep. 2009, voce Fallimento, n. 465; Cass. 9 luglio 2008,<br />
n. 18832, in questa Rivista, 2009, 158, con nota di F. Rolfi, Ancora<br />
sull’effetto di «giudicato endofallimentare» del decreto di<br />
esecutività dello stato passivo, alla quale si rinvia per ulteriori riscontri.<br />
(2) V. al riguardo Cass. 9 giugno 2011, n. 12638, Foro it., Rep.<br />
2011, voce Fallimento, n. 448.<br />
Il Fallimento 3/2013 309
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
fetto preclusivo copre anche la revocabilità della<br />
garanzia, che non può più essere fatta valere, come<br />
si legge nella sentenza in esame e come è stato affermato<br />
anche in passato dalla giurisprudenza (3).<br />
Il secondo principio, invece, è indirettamente ricavabile<br />
dai passi della motivazione nei quali è stata<br />
respinta l’idea di <strong>un</strong>a radicale inesistenza giuridica<br />
del provvedimento di ammissione al passivo della<br />
garanzia per debiti altrui.<br />
Qui il richiamo è ai cc.dd. ‘‘provvedimenti anomali’’<br />
del giudice delegato, che è <strong>un</strong>a fattispecie che ricorre<br />
ogniqualvolta l’organo concorsuale abbia<br />
emesso provvedimenti che non appartengono ai tipi<br />
consentiti dalla legge fallimentare, ovvero si sia<br />
pron<strong>un</strong>ciato su materie riservate alla competenza di<br />
<strong>un</strong> altro organo, ovvero ancora abbia emesso provvedimenti<br />
nei confronti di soggetti diversi da quelli<br />
verso i quali avrebbero potuto essere pron<strong>un</strong>ciati<br />
(4).<br />
Secondo la giurisprudenza, che si è espressa prevalentemente<br />
sui cc.dd. ‘‘decreti di acquisizione’’, tali<br />
provvedimenti sono abnormi e giuridicamente inesistenti<br />
per carenza assoluta di potere in capo all’organo<br />
emanante e la loro invalidità può essere fatta<br />
valere o con il reclamo ex art. 26 l.fall., o con <strong>un</strong>a<br />
apposita azione di accertamento, oppure anche in<br />
via incidentale nel corso di <strong>un</strong> processo (5), come<br />
è avvenuto nel caso in esame.<br />
Terzo ed ultimo principio, infine, è quello accennato<br />
in esordio in merito alle modalità di accertamento<br />
delle garanzie reali nelle procedure fallimentari<br />
relative ai terzi datori.<br />
Anche in questo caso la Cassazione ha richiamato<br />
<strong>un</strong> indirizzo pluridecennale, ossia quello secondo il<br />
quale il titolare del diritto di prelazione non può<br />
avvalersi del procedimento di verificazione di cui<br />
all’art. 52 l.fall., ma può solo soddisfarsi sul ricavato<br />
della vendita del beni gravati in sede di riparto (6);<br />
insegnamento, questo, che - come già accennato -<br />
ha trovato peraltro in dottrina ampio spazio di critica<br />
(7).<br />
4. L’appicazione dei principi in sentenza:<br />
osservazioni<br />
Applicando questi tre principi - almeno, così si legge<br />
in motivazione - la Suprema Corte è gi<strong>un</strong>ta alla<br />
conclusione riportata in massima, vale a dire che il<br />
giudicato endo-fallimentare preclude l’azione revocatoria<br />
anche qualora oggetto dell’ammissione al<br />
passivo sia <strong>un</strong>’ipoteca nei confronti del fallito quale<br />
terzo garante.<br />
Il p<strong>un</strong>to centrale della sentenza è quello nel quale<br />
la Corte, disattendendo la tesi sostenuta dal Curatore<br />
circa l’anomalia e la conseguente inesistenza<br />
giuridica del provvedimento di ammissione al passivo,<br />
afferma che esso sarebbe stato radicalmente<br />
inefficace relativamente all’ammissione del credito<br />
verso il terzo, ma non anche nella parte relativa al-<br />
Note:<br />
(3) In tal senso v. Cass. 4 settembre 2004, n. 17888, in Giust.<br />
civ., 2005, I, 2383.<br />
(4) V. E.F. Ricci, Lezioni sul fallimento, 1997, 307 e ss.; Id., Ancora<br />
sull’impugnazione dei decreti del giudice delegato, in questa<br />
Rivista, 1994, 909. V. inoltre in argomento C. Ferri, I provvedimenti<br />
del giudice delegato e l’art. 26 della legge fallimentare,<br />
Milano, 1986, 58 ss. e 107 ss.<br />
(5) Ex plurimis, v. Cass. 6 dicembre 2006, n. 26172, in Foro it.,<br />
Rep. 2006, voce Fallimento, n. 408; Cass. 14 luglio 1997, n.<br />
6353, in questa Rivista, 1998, 178; Cass. 20 giugno 1997, n.<br />
5557, ivi, 1998, 269; Cass. 17 giugno 1995, n. 6850, ivi, 1995,<br />
1215; Cass. 4 febbraio 1995, n. 1340, ivi, 1995, 1102; Cass. 2<br />
gennaio 1995, n. 2, ivi, 1995, 1092, ove ulteriori richiami fino alla<br />
pron<strong>un</strong>cia a Sezioni Unite di Cass. 9 aprile 1984, n. 2258, ivi,<br />
1984, 1201. Va precisato peraltro che, ad avviso di E.F. Ricci,<br />
Lezioni sul fallimento, cit., 289, nella legislazione ante-riforma i<br />
cc.dd. ‘‘decreti di acquisizione’’ erano sempre inefficaci, anche<br />
qualora non vi fossero rivendicazioni di diritti incompatibili con<br />
l’avocazione alla procedura. Per la disciplina successiva al<br />
D.Lgs. n. 5/2006 v. G. Lo Cascio, Sub art. 26, in A. Jorio (diretto<br />
da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006, 482; E. Righetti,<br />
Il Giudice delegato, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare<br />
riformato, Padova, 2007, 103. Da segnalare per l’approfondimento,<br />
inoltre, l’analisi della disciplina ante e post-riforma<br />
di L. Abete, Acquisizione del patrimonio e tutela dei diritti<br />
dei terzi, in M. Fabiani - A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti<br />
nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 93 e ss.<br />
(6) In tal senso v. Cass. 19 maggio 2009, n. 11545, in Foro it.,<br />
Rep. 2009, voce Fallimento, n. 416, Cass. 30 gennaio 2009, n.<br />
2429, in questa Rivista, 2009, 1402, con nota di M. Cataldo, Ipoteca<br />
iscritta sui beni del fallito a garanzia di crediti verso terzi;<br />
Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, in Foro it., 2001, I, 910, con<br />
nota di osservazioni di M. Fabiani; Cass. 22 settembre 2000, n.<br />
12549, in questa Rivista, 2001, 993, e così via fino a Cass. 8<br />
aprile 1965, n. 613, in Foro it., 1965, I, 1031. Contra, v. Trib. Milano<br />
18 ottobre 2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 395.<br />
(7) In senso contrario alla soluzione della Suprema Corte S. Bonfatti,<br />
L’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in G. Ragusa<br />
Maggiore - C. Costa (diretto da), Le procedure concorsuali. Il<br />
fallimento, Trattato, vol. III, Torino, 1997, 194; M. Cataldo, Ipoteca<br />
iscritta su beni del fallito a garanzia di crediti verso terzi, cit.,<br />
1405 ss.; R. Danovi, La garanzia ipotecaria data dal fallito per debito<br />
altrui (insinuazione al passivo o domanda di intervento, onerosità<br />
o gratuità dell’atto), in questa Rivista, 1990, 61; M. Fabiani,<br />
L’esclusività del rito dell’accertamento del passivo, ivi, 913; Id.,<br />
Osservazioni a Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, in Foro it.,<br />
2001, I, 910; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2008,<br />
247; B. Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, inCommentario<br />
Scialoja-Branca, Legge fallimentare, Bologna - Roma, 1988,<br />
15; F. Lamanna, Tutela della nuda prelazione nel fallimento del<br />
terzo proprietario o datore, in questa Rivista, 1995, 995 ss.; M.<br />
Montanari, Della liquidazione dell’attivo, in G.U. Tedeschi (a cura<br />
di), Le procedure concorsuali Torino, 1996, I, 1049; L.A. Russo,<br />
La posizione dei non-creditori del fallito aventi titolo a partecipare<br />
all’esecuzione su beni acquisiti al fallimento, in questa Rivista,<br />
1989, 436. A sostegno della tesi dei Giudici di legittimità si vedano<br />
invece Bozza - Schiavon, L’accertamento dei crediti nel fallimento<br />
e le cause di prelazione, Milano, 1992, 284; Presti, Ipoteca<br />
per debito altrui e fallimento, Milano, 1992, 33.<br />
310 Il Fallimento 3/2013
la garanzia, e ciò perché il suo riconoscimento non<br />
sarebbe stato altro che <strong>un</strong>a anticipata verificazione<br />
di <strong>un</strong> diritto che avrebbe dovuto trovare com<strong>un</strong>que<br />
spazio in ambito concorsuale, sia pure in sede di riparto.<br />
La Corte, d<strong>un</strong>que, dapprima ha richiamato il principio<br />
della indisponibilità della verifica dei crediti<br />
per il terzo beneficiario della garanzia; dopodiché<br />
ha riconosciuto piena efficacia ad <strong>un</strong> provvedimento<br />
che, contrariamente a quel principio, aveva ammesso<br />
al passivo <strong>un</strong>’ipoteca vantata proprio per <strong>un</strong><br />
debito altrui, definendo quel provvedimento come<br />
frutto di ‘‘<strong>un</strong> indiscusso errore di diritto’’.<br />
Ad avviso di chi scrive, da queste affermazioni<br />
emerge <strong>un</strong>a contraddizione.<br />
Alla tesi secondo la quale l’accertamento del passivo<br />
non può mai ospitare le garanzie per debiti altrui,<br />
infatti, avrebbe dovuto sposarsi non già l’individuazione,<br />
nel caso di ammissione, di <strong>un</strong> mero errore<br />
di diritto, bensì il riconoscimento della più radicale<br />
anomalia ed inefficacia del provvedimento,<br />
in quanto viziato da eccesso di potere perché emesso<br />
nei confronti di <strong>un</strong> soggetto diverso da quelli<br />
verso i quali, secondo tale indirizzo, si possono dirigere<br />
le decisioni in sede di verifica (cioè solo i creditori<br />
del fallito).<br />
Si vuole dire, in altri termini, che se si sostiene che<br />
il provvedimento ammissivo della garanzia deve essere<br />
impugnato ex art. 98 ss. l.fall. e che la mancata<br />
impugnazione produce gli effetti preclusivi del giudicato<br />
endo-fallimentare, si deve anche riconoscere<br />
il potere del giudice della verifica di pron<strong>un</strong>ciarsi<br />
nel merito della pretesa, e tale riconoscimento presuppone<br />
a sua volta quello della possibilità, per il<br />
beneficiario della garanzia, di proporre l’istanza ai<br />
sensi dell’art. 93 l.fall.<br />
Per converso, teorizzando la non-assoggettabilità alla<br />
verifica di <strong>un</strong> simile diritto reale, si deve ammettere<br />
per forza di cose anche la carenza di potere del<br />
giudice della verifica sul p<strong>un</strong>to, quindi l’anormalità<br />
di <strong>un</strong> suo qualsiasi provvedimento diverso da <strong>un</strong>a<br />
declaratoria di inammissibilità e, in caso di decisione<br />
nel merito, la non-operatività del giudicato endo-fallimentare.<br />
Se si condividono queste argomentazioni, non si<br />
può non rilevare nella motivazione della Suprema<br />
Corte qualche incongruenza.<br />
Al di là di ciò, tuttavia, il decisum a mio parere è<br />
corretto.<br />
Se infatti è fuori discussione che l’ammissione al<br />
passivo del credito verso il terzo non abbia alc<strong>un</strong>a<br />
efficacia nel fallimento del garante, visto che quel<br />
credito non lo riguarda in alc<strong>un</strong> modo, è anche vero<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
che la garanzia invece interessa il fallito in pieno,<br />
perché grava su di <strong>un</strong> suo bene e deve essere prima<br />
o poi oggetto di accertamento da parte degli organi<br />
concorsuali quanto ad esistenza, validità, efficacia<br />
ed opponibilità (e con questo dimostro di aderire alla<br />
dottrina maggioritaria citata in precedenza).<br />
Il tutto, senza dimenticare che vi deve essere anche<br />
<strong>un</strong> vaglio da parte degli organi concorsuali del credito<br />
nei confronti del terzo, che, per limitarci a due<br />
facili esempi, potrebbe derivare da <strong>un</strong> titolo nullo<br />
(travolgendo la garanzia), ovvero potrebbe essere<br />
stato parzialmente soddisfatto in altra sede (il che<br />
inciderebbe, evidentemente, sull’entità del diritto a<br />
partecipare al riparto).<br />
Che tale verifica avvenga nel procedimento di accertamento<br />
del passivo o in sede di riparto, a mio<br />
parere, è del tutto indifferente; anzi, come è stato<br />
più volte sottolineato, sono molte più le ragioni sia<br />
giuridiche che pragmatiche che suggeriscono l’opport<strong>un</strong>ità<br />
di <strong>un</strong> accertamento in sede di verifica,<br />
piuttosto che nell’ambito dei riparti (8).<br />
Del resto, in entrambi i casi l’organo chiamato a<br />
pron<strong>un</strong>ciarsi è il giudice delegato, quindi la tesi della<br />
odierna decisione, secondo la quale l’ammissione<br />
della garanzia sarebbe lo stesso accertamento che<br />
avverrebbe in sede di riparto, ma con anticipazione<br />
alla fase della verifica, di per sé risulterebbe tutt’altro<br />
che fuori luogo.<br />
Per chiudere il paragrafo si deve ancora aggi<strong>un</strong>gere<br />
<strong>un</strong> dato di non trascurabile importanza.<br />
L’idea che il credito verso il terzo non possa essere<br />
insinuato al passivo, ma possa esserlo invece la garanzia<br />
in quanto relativa ad <strong>un</strong> bene facente parte<br />
del patrimonio fallimentare, sotto forma di ‘‘diritto<br />
a partecipare al riparto’’ sul (solo) ricavato della<br />
vendita del bene stesso, è stata recepita indirettamente<br />
anche dalla Suprema Corte in <strong>un</strong>a sentenza<br />
non troppo datata (9).<br />
La massima di quella decisione è la seguente: «in<br />
materia di fallimento, i titolari di diritti di prelazione<br />
su beni immobili compresi nel fallimento a garanzia<br />
di crediti vantati verso debitori diversi dal<br />
fallito non debbono né possono avvalersi del procedimento<br />
di verificazione e di formazione dello stato<br />
passivo; peraltro, poiché gli organi del fallimento<br />
devono verificare, in sede diversa dalla formazione<br />
del passivo, la garanzia ipotecaria in relazione alla<br />
Note:<br />
(8) Per <strong>un</strong>a disamina condivisibile ed esauriente di tali argomenti<br />
sia consentito rinviare a M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del<br />
fallito a garanzia di crediti verso terzi, cit.<br />
(9) V. Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, cit.<br />
Il Fallimento 3/2013 311
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
sua validità, attualità, opponibilità, non revocabilità,<br />
èlegittimo il decreto del giudice delegato che si<br />
limiti ad accertare il diritto del creditore ipotecario<br />
iscritto di soddisfare il suo credito sul solo ricavato<br />
della vendita dell’immobile gravato dell’ipoteca<br />
concessa in suo favore dal fallito».<br />
Con tale pron<strong>un</strong>cia i Giudici di legittimità hanno<br />
dichiarato la carenza di interesse ad agire in opposizione<br />
allo stato passivo in <strong>un</strong> caso nel quale il provvedimento<br />
di ammissione aveva ad oggetto <strong>un</strong>icamente<br />
il diritto del beneficiario della garanzia per<br />
debiti altrui a partecipare al riparto sul realizzo del<br />
bene ipotecato.<br />
Ciò è a dire, tornando al ragionamento svolto più<br />
sopra, che l’istanza di accertamento di quel diritto<br />
in sede di verifica doveva ritenersi ammissibile in<br />
linea di principio; e si vede pertanto, per concludere,<br />
che il fatto che la giurisprudenza della Cassazione<br />
fosse <strong>un</strong>animemente orientata nel senso della<br />
chiusura della strada dell’accertamento del passivo,<br />
non è poi corretto fino in fondo.<br />
5. Le garanzie reali per debiti altrui<br />
nel diritto fallimentare riformato<br />
Abbiamo già detto che la sentenza in commento è<br />
stata resa in <strong>un</strong>a procedura anteriore alla riforma<br />
della legge fallimentare del 2006 e che, di conseguenza,<br />
la Corte ha applicato i principi giurisprudenziali<br />
invalsi sotto la vecchia normativa.<br />
Ferma restando l’opinabilità di tali principi, è ora<br />
utile chiedersi se essi debbano o non debbano continuare<br />
a valere nelle procedure aperte dopo l’entrata<br />
in vigore della novella.<br />
Il p<strong>un</strong>to di partenza deve essere l’art. 52, secondo<br />
comma, l.fall.<br />
Nell’intervento riformatore la norma è stata modificata<br />
nel senso che «ogni credito, anche se m<strong>un</strong>ito<br />
di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo<br />
111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto<br />
reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere<br />
accertato secondo le norme stabilite dal Capo<br />
V, salvo diverse disposizioni della legge» (la versione<br />
precedente era «ogni credito, anche se m<strong>un</strong>ito<br />
di diritto di prelazione, deve essere accertato secondo<br />
le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni<br />
della legge»).<br />
In seguito, con il decreto ‘‘correttivo’’ n. 167/2007,<br />
all’art. 52 è stato aggi<strong>un</strong>to <strong>un</strong> terzo comma, il quale<br />
dispone analogamente - e quindi impone la verifica<br />
- anche per tutti i «crediti esentati dal divieto di<br />
cui all’articolo 51» (essenzialmente i crediti per finanziamenti<br />
fondiari, n.d.r.).<br />
Queste disposizioni evidenziano l’intenzione del legislatore<br />
di rafforzare ancora maggiormente, rispetto<br />
al testo originario della legge fallimentare, l’esclusività<br />
del rito dell’accertamento del passivo, assoggettandovi<br />
in modo indifferenziato tutte le pretese suscettibili<br />
di ripercuotersi sul patrimonio fallimentare,<br />
sotto forma di partecipazione ai riparti ovvero di<br />
sottrazione di beni per effetto di pretese di rivendicazione,<br />
restituzione o separazione.<br />
Che fosse questa l’intenzione del legislatore è difficilmente<br />
contestabile e d’altronde si riscontra anche<br />
in altre parti della legge fallimentare (si veda<br />
ad es. l’art. 72, quinto comma, l.fall., che consente<br />
la prosecuzione dell’azione di risoluzione contrattale<br />
promossa nei confronti del debitore inadempiente<br />
prima della dichiarazione di fallimento, ma soggi<strong>un</strong>ge<br />
che se essa contiene pretese restitutorie o risarcitorie<br />
ci si deve in ogni caso sottoporre al concorso<br />
formale), con le sole marginali eccezioni previste<br />
dagli artt. 87 bis (diritti reali o personali su beni<br />
mobili chiaramente riconoscibili), e 111, terzo<br />
comma, l.fall. (crediti prededucibili sorti in costanza<br />
di fallimento, liquidi, esigibili e non contestati<br />
per collocazione ed ammontare).<br />
Se questa è la ratio della modifica dell’art. 52 l.fall.,<br />
non si può che concentrare l’attenzione sul fatto<br />
che ora viene sottoposto a verifica, diversamente<br />
da quanto avveniva ante-riforma, «ogni diritto reale<br />
o personale, mobiliare o immobiliare».<br />
Tra i diritti reali, come tutti sanno, non vi sono solo<br />
i diritti reali di godimento, ma anche i diritti reali<br />
di garanzia; ed è altrettanto noto che i diritti reali<br />
di garanzia sono il pegno per i beni mobili e l’ipoteca<br />
per i beni immobili.<br />
Dalla lettura di questa disposizione dovrebbe d<strong>un</strong>que<br />
discendere de plano che con la riforma non vi è<br />
diritto reale che possa partecipare ai riparti senza<br />
essere stato previamente verificato (10), e ciò consentirebbe<br />
di concludere sic et simpliciter che la norma<br />
in esame ha risolto definitivamente ogni diatriba<br />
al riguardo, disponendo anche per i titolari delle<br />
garanzie reali per debiti altrui l’iter dell’accertamento<br />
del passivo, anziché l’intervento in sede di riparto.<br />
Al riguardo, tuttavia, la dottrina ha segnalato che<br />
l’art. 52, secondo comma, l.fall. male si coordina<br />
Nota:<br />
(10) Analogamente si veda F. Lamanna, Il nuovo procedimento<br />
di accertamento del passivo, Milano, 2006, 261 ss.; si tenga<br />
presente peraltro che l’Autore gi<strong>un</strong>geva alla stessa conclusione<br />
anche prima della riforma, facendo leva sul disposto dell’art. 51<br />
l.fall. oltreché dell’art. 52 l. fall.<br />
312 Il Fallimento 3/2013
con gli artt. 93, primo comma, 101, primo comma<br />
e 103, primo comma, l.fall., perché questi ultimi, in<br />
tema di procedimento di formazione dello stato passivo,<br />
menzionano esclusivamente le domande di restituzione<br />
e di rivendicazione, con ciò incoraggiando<br />
il convincimento che con la locuzione ‘‘diritto<br />
reale o personale’’, in contrapposizione al ‘‘credito’’<br />
verso il fallito, il legislatore abbia inteso riferirsi alle<br />
sole domande di rivendicazione o di restituzione,<br />
non anche ai diritti reali concessi dal fallito per debiti<br />
altrui (11).<br />
L’obiezione è sicuramente pertinente ma, a mio avviso,<br />
è preferibile opinare in senso contrario.<br />
Tra le due norme, infatti, vi è sicuramente <strong>un</strong> imperfetto<br />
coordinamento, ma qui l’alternativa è ritenere<br />
che la norma sostanziale dell’art. 52, secondo comma,<br />
l.fall. dica più di quello che scrive, ovvero che<br />
siano invece le norme di procedura (artt. 93, 101 e<br />
103 l.fall.), a dire meno di quello che vi si legge.<br />
Se si tiene presente la ratio della riforma dell’art. 52<br />
l.fall., come sopra individuata, a mio avviso è giocoforza<br />
propendere per la seconda opzione e ritenere<br />
che, là dove le norme procedurali parlano di ammissione<br />
al passivo di crediti ovvero di restituzione<br />
o rivendicazione di beni mobili e immobili, in realtà<br />
si riferiscono più ampiamente a tutte le istanze finalizzate<br />
a consentire al richiedente di partecipare<br />
ai riparti sui beni del fallito o a sottrarli al patrimonio<br />
fallimentare.<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Se si accetta questo ragionamento, la possibilità per<br />
il beneficiario della garanzia di sottoporsi alla verifica<br />
dei crediti discende de plano. Anzi, per essere più<br />
precisi, diventa addirittura <strong>un</strong>a necessità, con ciò<br />
che ne consegue in termini di obbligatorietà del rispetto<br />
del termine per le domande tempestive e tardive,<br />
al quale i creditori garantiti ‘‘istituzionali’’ dovranno<br />
fare l’abitudine, evitando di attendere i riparti<br />
come era d’uso nella precorsa disciplina, per<br />
non decadere dalla possibilità di concorrere nella distribuzione<br />
del ricavato della vendita dei beni gravati<br />
a causa della mancata sottoposizione del diritto al<br />
procedimento di cui agli artt. 93 e segg. l. fall.<br />
Se fosse stata davvero questa, infine, la vol<strong>un</strong>tas legis,<br />
non ci si potrebbe che trovare d’accordo con la scelta,<br />
che avrebbe reso giustizia alle ragioni svolte a<br />
più riprese dalla dottrina che non ha aderito, negli<br />
anni passati, all’orientamento della Corte di Cassazione<br />
sul p<strong>un</strong>to e che, come ho già detto, a parere<br />
mio devono essere integralmente condivise (12).<br />
Note:<br />
(11) Si veda M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del fallito a garanzia<br />
di crediti verso terzi, cit., 1406.<br />
(12) Per non appesantire lo scritto con la ripetizione di osservazioni<br />
già svolte da altri Autori, sia consentito rinviare nuovamente<br />
al contributo di M. Cataldo, Ipoteca iscritta su beni del fallito<br />
a garanzia di crediti verso terzi, cit.<br />
Il Fallimento 3/2013 313
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Professore Emerito di Diritto Bancario<br />
presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
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Professore Ordinario di Diritto Commerciale<br />
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Curatore<br />
Il curatore e la prova<br />
della simulazione<br />
Cassazione civile, Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965 - Pres. Plenteda - Rel. Ceccherini - P.M. Fimiani<br />
- Riano 74 S.r.l. c. Fallimento Azienda Agricola San Marcello<br />
Fallimento - Organi - Curatore - Erede del simulato alienante - Azione di simulazione - Prova - Esclusione della qualità di<br />
terzo<br />
(legge fallimentare art. 43; cod. civ. artt. 1417, 2722-2725)<br />
Il curatore del fallimento dell’erede del simulato alienante che chieda l’accertamento della simulazione dell’atto<br />
compiuto dal dante causa del fallito, agisce avvalendosi dei poteri di questo e non versa nella situazione dei<br />
creditori del simulato alienante né dei terzi, nel significato che questo termine ha nell’art. 1417 c.c., sicché è<br />
soggetto ai limiti della prova testimoniale derivanti dall’art. 2722 c.c.<br />
La Corte (omissis)<br />
Con il primo motivo di ricorso si censura per falsa applicazione<br />
dell’art. 1417 c.c. l’impugnata sentenza, nella<br />
parte in cui afferma che l’azione del curatore, per l’accertamento<br />
della simulazione delle vendite immobiliari stipulate<br />
con <strong>un</strong> terzo dalla madre del fallito, poi deceduta<br />
in costanza di fallimento, non sarebbe soggetta ai limiti<br />
dell’art. 1417 c.c., dovendosi il curatore considerare, in<br />
tale azione, come terzo.<br />
Sulla questione di diritto posta dal motivo deve registrarsi<br />
<strong>un</strong> lontano precedente di questa corte, contrario<br />
alla tesi della parte ricorrente. Si è ritenuto infatti, in<br />
quell’occasione, che, poiché il curatore non rappresenta<br />
né il fallito, né la massa dei creditori, ma è <strong>un</strong> organo<br />
pubblico che agisce per la realizzazione dei fini che sono<br />
propri del fallimento, egli deve essere considerato terzo,<br />
con le conseguenze che da tale qualità derivano in ordine<br />
ai mezzi di prova di cui può avvalersi (art. 1417 c.c.),<br />
quando agisce per far dichiarare la simulazione di atti<br />
posti in essere non solo dal fallito, ma anche dal dante<br />
causa di questi, i cui effetti, <strong>un</strong>a volta accettata l’eredità,<br />
si trasferiscono nel fallimento (Cass. 12 agosto 1963, n.<br />
2314).<br />
Il collegio ritiene tuttavia che la questione meriti <strong>un</strong>’attenta<br />
riconsiderazione, sia perché per alc<strong>un</strong>i profili quella<br />
conclusione non appare coerente con altri principi ripetutamente<br />
affermati dalla giurisprudenza di questa corte,<br />
e sia perché quella decisione sollevò alc<strong>un</strong>e critiche,<br />
da parte della dottrina più autorevole, che richiedono<br />
<strong>un</strong>a riflessione.<br />
Occorre muovere dalla ragione posta a fondamento della<br />
decisione in quel lontano precedente, vale a dire dalla<br />
considerazione che il curatore non rappresenta né il fallito,<br />
né la massa dei creditori, ma è <strong>un</strong> organo pubblico<br />
che agisce per la realizzazione dei fini che sono propri<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
del fallimento. Il principio è solidamente consolidato<br />
nella giurisprudenza della corte, ma il suo significato deve<br />
essere ulteriormente chiarito. Esso attiene alla legittimazione<br />
del curatore, che discende direttamente dalla l.<br />
fall., art. 43, per il quale nelle controversie, anche in<br />
corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito<br />
compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Come<br />
tale, la legittimazione processuale prescinde da ogni<br />
forma di rappresentanza, negoziale o figurata, ed è f<strong>un</strong>zionale<br />
alla realizzazione dei fini propri del fallimento. Si<br />
tratta tuttavia di legittimazione processuale, che non<br />
cancella la specificità delle azioni esercitate dal curatore,<br />
le quali sono definite in f<strong>un</strong>zione delle posizioni di diritto<br />
sostanziale di volta in volta protette. È, infatti, del pari<br />
risalente e consolidata la giurisprudenza di questa corte<br />
nel senso che il curatore fallimentare, pur svolgendo <strong>un</strong>a<br />
f<strong>un</strong>zione pubblicistica, svolge <strong>un</strong>’attività, certo distinta<br />
da quella del fallito e dei creditori, che si attua nel campo<br />
strettamente privatistico, ma da quelle condizionata,<br />
onde egli si pone, rispetto ai rapporti giuridici preesistenti,<br />
a volta, come terzo, e, a volta, come avente causa del<br />
fallito. E così, quando il curatore esercita <strong>un</strong> diritto proprio<br />
del fallimento, come avviene in relazione a negozi<br />
compiuti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento,<br />
è indubbiamente terzo, mentre quando esercita<br />
<strong>un</strong> diritto che egli ha trovato nel fallimento e nel quale<br />
è succeduto, non può essere considerato che avente causa<br />
del fallito (a partire almeno da Cass. 17 luglio 1962,<br />
n. 1903).<br />
Tal è l’ipotesi del curatore che spiega <strong>un</strong>’azione di recupero<br />
di <strong>un</strong> credito di spettanza del fallito, poiché egli,<br />
pur agendo nell’interesse della massa, è subentrato in <strong>un</strong><br />
rapporto giuridico preesistente e attua <strong>un</strong> diritto che il<br />
fallito avrebbe potuto far valere se non fosse intervenuta<br />
la sentenza dichiarativa di fallimento. E non si dubita<br />
Il Fallimento 3/2013 315
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
del fatto che, quando esercita <strong>un</strong>’azione rinvenuta nel<br />
patrimonio del fallito stesso, il curatore si pone nella sua<br />
stessa posizione sostanziale e processuale, nella posizione,<br />
cioè, che avrebbe avuto il fallito agendo in proprio al fine<br />
di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza<br />
già prima della dichiarazione di fallimento, e indipendentemente<br />
dal dissesto successivamente verificatosi.<br />
Da ciò si è tratta la conseguenza che, evocato in giudizio<br />
dal curatore, il terzo convenuto può a questi legittimamente<br />
opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre<br />
all’imprenditore fallito, comprese le prove documentali<br />
da questi provenienti, senza i limiti di cui all’art.<br />
2704 c.c. (Cass. 24 novembre 1998, n. 11904).<br />
Ai fini della decisione del caso di specie è pertanto essenziale<br />
stabilire se il curatore, facendo valere la simulazione<br />
di <strong>un</strong> atto compiuto dal dante causa dell’erede fallito,<br />
agisca utendo iuribus del fallito medesimo, rimanendo<br />
soggetto ai limiti, anche di prova, ai quali questo sarebbe<br />
andato incontro promovendo egli stesso l’azione;<br />
o invece a tutela della massa dei creditori, ma svolgendo<br />
<strong>un</strong>’azione che i creditori stessi avrebbero potuto svolgere<br />
se non fosse stato dichiarato il fallimento; o infine in<br />
forza di <strong>un</strong>’azione che nasce dal fallimento medesimo,<br />
come avviene ad esempio nel caso delle azioni revocatorie<br />
fallimentari.<br />
Come è stato efficacemente sottolineato dalla dottrina,<br />
nel regolamento della simulazione la legge opera <strong>un</strong>a<br />
precisa distinzione tra creditori e terzi, il cui significato<br />
andrebbe perduto se gli stessi creditori, in quanto tali,<br />
dovessero considerarsi terzi agli effetti dell’art. 1417 c.c.<br />
Creditori, legittimamente interessati a far accertare la simulazione,<br />
sono i creditori del simulato alienante, che<br />
vantano <strong>un</strong>a legittimazione non secondaria e subordinata<br />
(d<strong>un</strong>que surrogatoria), bensì primaria e indipendente,<br />
perché espressione del potere ad essi spettante iure proprio<br />
come autonomo mezzo di conservazione della garanzia<br />
patrimoniale. Di contro ad essi, nell’art. 1417 c.c.<br />
terzi non sono tutti gli estranei all’atto, che abbiano <strong>un</strong><br />
legittimo interesse a far accertare la simulazione, bensì<br />
esclusivamente coloro che fanno valere <strong>un</strong> diritto sul bene<br />
alienato, non meramente strumentale alla soddisfazione<br />
di <strong>un</strong> credito, ma diretto e incompatibile con gli effetti<br />
dell’atto simulato. Tal è il caso dell’avente causa<br />
dal simulato alienante, e tal è anche il caso dell’erede legittimario.<br />
I creditori dell’erede del simulato alienante non solo,<br />
d<strong>un</strong>que, nel senso dell’art. 1417 c.c. non sono creditori,<br />
ma non sono neppure terzi. Ciò nonostante, non si dubita<br />
che essi possano agire per far accertare la simulazione<br />
dell’atto compiuto dal dante causa del loro debitore; ciò<br />
possono fare, tuttavia non già in forza di <strong>un</strong> diritto che<br />
la legge riconosce in capo a loro autonomamente, come<br />
nel caso dei creditori del simulato alienante o dei terzi<br />
ex art. 1417 c.c., ai quali la legge consente la prova per<br />
testimoni senza limiti (art. 1417 c.c.), bensì con <strong>un</strong>’azione<br />
surrogatoria, tutelando il patrimonio del loro debitore<br />
nell’inerzia del titolare dell’azione, a norma dell’art.<br />
2900 c.c.; e in tale azione, conseguentemente, essi sono<br />
soggetti a tutti i limiti di prova stabili dall’art. 2722 c.c.<br />
La medesima azione, poi, può certamente proporre il cu-<br />
ratore fallimentare che tuttavia, non diversamente dai<br />
creditori dell’erede in bonis, agirebbe surrogandosi nei diritti<br />
del fallito, e non in forza di <strong>un</strong>a posizione di diritto<br />
sostanziale originariamente riconosciutagli dalle legge.<br />
L’azione in questione, infatti, non è di quelle che derivino<br />
dal fallimento, e per le quali la legge appresti strumenti<br />
particolari, diversi da quelli di cui disporrebbe l’erede<br />
in bonis. In particolare, non può assimilarsi <strong>un</strong>a tale<br />
azione - di natura, come s’è detto surrogatoria - a <strong>un</strong>’azione<br />
revocatoria, perché qui non si tratta di contrastare<br />
l’efficacia di <strong>un</strong> atto posto in essere dal fallito e che pregiudichi<br />
la garanzia patrimoniale dei creditori: a determinare<br />
tale pregiudizio è, al contrario, l’inerzia del titolare<br />
dell’azione, volontaria nel caso che questi sia in bonis, o<br />
derivante dalla l.fall., art. 42, nel caso di fallimento. È a<br />
tale inerzia che occorre supplire, e a tanto soccorre l’azione<br />
in esame, che ha d<strong>un</strong>que natura lato sensu surrogatoria.<br />
Il profilo pubblicistico della figura del curatore,<br />
pertanto, se rileva nel senso di riservare esclusivamente<br />
a lui, e nell’interesse della massa, l’azione altrimenti<br />
esperibile dall’erede del simulato alienante o dai suoi<br />
creditori, non ha alc<strong>un</strong>a incidenza sulla natura dell’azione,<br />
che si svolge utendo iuribus del fallito e con i limiti,<br />
anche sul piano probatorio a essa immanenti. Egli, pertanto,<br />
non può essere considerato terzo ai fini del regime<br />
della prova della simulazione. Solo qualora si facesse<br />
questione di lesione del diritto dell’erede legittimario,<br />
questi dovrebbe essere considerato terzo, nel senso dell’art.<br />
1417 c.c., e di ciò si avvantaggerebbe altresì il curatore<br />
del suo fallimento; ma né dalla sentenza né dagli<br />
scritti difensivi della parti risulta che sia mai stata adombrata<br />
<strong>un</strong>a tale lesione. Questa situazione, infine, non è<br />
influenzata dalla circostanza che l’azione di simulazione<br />
in capo all’erede preesista al suo fallimento, o vi pervenga<br />
dopo la dichiarazione di fallimento, a norma della l.<br />
fall., art. 42 cpv, posto che l’azione entra nel patrimonio<br />
del fallito con i suoi limiti intrinseci, che vincolano il<br />
curatore come il fallito stesso. La fondatezza di questo<br />
motivo, in conclusione, porta alla cassazione della sentenza,<br />
che si è attenuta all’opposto principio di diritto.<br />
Con il secondo motivo si censura per violazione degli<br />
artt. 2703 e 2704 nonché per violazione dell’art. 1346 e<br />
per vizi di motivazione l’impugnata sentenza, nella parte<br />
in cui esclude che le sottoscrizioni del preliminare fossero<br />
autenticate da notaio, e che il prezzo della vendita<br />
fosse determinabile.<br />
Il motivo è superato dall’accoglimento del motivo precedente.<br />
Il curatore, agendo in luogo del fallito, successore<br />
<strong>un</strong>iversale del simulato alienante, avrebbe dovuto disconoscere<br />
alla prima udienza utile la sottoscrizione del preliminare,<br />
e in mancanza di ciò l’autenticità della sottoscrizione<br />
deve ritenersi riconosciuta. Né poi la questione,<br />
che involge la prova della validità dell’atto pubblico<br />
di vendita, conserva qualche rilievo, <strong>un</strong>a volta accertato<br />
che l’onere della prova della simulazione grava interamente<br />
sul curatore.<br />
Per le stesse ragioni deve ritenersi assorbito il terzo motivo,<br />
con il quale si censura, per violazione o falsa applicazione<br />
dell’art. 345 c.p.c., comma 3, l’impugnata sentenza<br />
nella parte in cui dichiara inammissibile la produzione<br />
316 Il Fallimento 3/2013
in appello delle copie degli assegni circolari, allegati dalla<br />
parte a dimostrazione del pagamento avvenuto.<br />
L’esame delle questioni sollevate con il ricorso incidentale<br />
è riservato al giudice di rinvio, che nel decidere la<br />
causa, anche ai fini del regolamento delle spese di questo<br />
grado di giudizio, si <strong>un</strong>iformerà al seguente principio di<br />
diritto:<br />
il curatore del fallimento dell’erede del simulato alienan-<br />
te, che chieda l’accertamento della simulazione dell’atto<br />
compiuto dal dante causa del fallito, agisce avvalendosi<br />
dei poteri di questo, e non versa nella situazione dei creditori<br />
del simulato alienante né dei terzi, nel significato<br />
che questo termine ha nell’art. 1417 c.c., sicché è soggetto<br />
ai limiti della prova testimoniale derivanti dall’art.<br />
2722 c.c.<br />
(Omissis).<br />
Prova della simulazione: il curatore rappresenta il fallito?<br />
di Maria Costanza *<br />
L’Autore, ripreso sinteticamente il tema della disciplina della prova della simulazione secondo l’art. 1417<br />
c.c. e del suo significato, si interroga sulla posizione del curatore fallimentare, quale terzo rispetto all’atto simulato<br />
o quale rappresentante del fallito o dei creditori, per indicare che il meccanismo surrogatorio non è<br />
sempre sufficiente per negare al curatore l’utilizzo della prova orale e per pres<strong>un</strong>zioni.<br />
1. Premessa<br />
Nella sentenza in commento i Giudici del Supremo<br />
Collegio hanno, per loro espressa dichiarazione, disatteso<br />
il precedente orientamento seguito in tema<br />
di prova della simulazione, quando la domanda sia<br />
proposta dal curatore fallimentare.<br />
L’occasione è stata offerta da <strong>un</strong> contenzioso avviato<br />
dal curatore del fallimento di <strong>un</strong> imprenditore individuale.<br />
Ad essere impugnate per simulazione assoluta<br />
sono compravendite che il genitore del fallito<br />
aveva posto in essere per il tramite di mandatario, la<br />
sorella del fallito. Nella prospettiva del curatore le<br />
compravendite sarebbero state o prive di effetti, per<br />
simulazione, o suscettibili di revoca. Quest’ultima<br />
domanda non trova trattazione nella decisione del<br />
Supremo Collegio perché presso i Giudici del merito<br />
era stata dichiarata la inefficacia per simulazione.<br />
Come si diceva, il Supremo Collegio ha però ass<strong>un</strong>to<br />
<strong>un</strong>a decisione disallineata rispetto alle sue precedenti<br />
posizioni, avendo guardato alla disposizione<br />
dell’art. 1417 c.c. come regola che consente soltanto<br />
a soggetti diversi dagli autori dell’atto simulato e<br />
dai loro aventi causa a titolo successorio <strong>un</strong>iversale<br />
di avvalersi della prova testimoniale e delle pres<strong>un</strong>zioni,<br />
per dimostrare l’apparenza del negozio contestato.<br />
In mancanza della terzietà, la simulazione deve<br />
essere dimostrata attraverso la allegazione documentale,<br />
la cui mancanza preclude l’accoglimento<br />
della domanda.<br />
2. La prova della simulazione<br />
L’art. 1417 c.c. contiene <strong>un</strong>’espressa disciplina della<br />
prova della simulazione, dove è stato stabilito <strong>un</strong><br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
doppio regime, più rigoroso rispetto agli autori dell’atto<br />
simulato e più liberale allorché siano soggetti<br />
terzi ad avere interesse a dimostrare la simulazione;<br />
lo stesso regime agevolato vale quando alla prova<br />
della simulazione si accompagni lo scopo di far valere<br />
l’illiceità del contratto dissimulato.<br />
La spiegazione della scelta compiuta dal legislatore<br />
viene ricercata prevalentemente nel regime della<br />
prova dell’esistenza del contratto. Si traccia cioè<br />
<strong>un</strong>a sorta di identità fra il sistema della prova occorrente<br />
per la dimostrazione del contratto e quello<br />
della dimostrazione dell’apparenza dell’atto simulato<br />
a fronte della reale volontà delle parti. L’atto dissimulato,<br />
consista esso in <strong>un</strong> ‘‘patto’’ diretto ad<br />
escludere gli effetti del negozio simulato o a produrne<br />
di diversi, seguirebbe, per essere provato, le medesime<br />
regole stabilite negli artt. 2722 ss. c.c.<br />
Non vi sarebbe perciò nella disposizione dell’art.<br />
1417 c.c. l’espressione di <strong>un</strong>a regola eccezionale,<br />
bensì l’applicazione di canoni di ordine generale.<br />
La giustificazione così data al disposto dell’art. 1417<br />
c.c. risente però di <strong>un</strong>’ipotesi ricostruttiva della simulazione<br />
basata sul dualismo fra atto simulato e atto<br />
dissimulato. Il fenomeno simulatorio, invero,<br />
sembra risolversi in <strong>un</strong>a ontologica coesistenza di<br />
apparenza e realtà che l’atto simulato agglutina nel<br />
momento in cui ad esso si richiede di soggiacere, segnatamente<br />
rispetto alla forma, alla disciplina stabilita<br />
per la validità e l’efficacia dell’atto dissimulato.<br />
Le controdichiarazioni alle quali resterebbe affidata<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
Il Fallimento 3/2013 317
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
la manifestazione della vera volontà delle parti perdono<br />
in qualche misura il valore di contrarius actus<br />
per assumere il ruolo di strumento di definizione<br />
degli effetti propri del negozio simulato, voluto per<br />
dare luogo ad <strong>un</strong> equivoco che deve rimanere tale<br />
fino a quando del simulacro si abbia come tale rispetto.<br />
La regola della prova scritta si propone allora<br />
come prescrizione particolare, nella quale si restringe<br />
lo spettro dei mezzi di prova, peraltro limitatamente<br />
al caso in cui l’<strong>un</strong>o o l’altro degli autori<br />
dell’atto simulato voglia fare emergere la realtà. Le<br />
restrizioni all’impiego delle prove orali e delle pres<strong>un</strong>zioni<br />
possono cadere quando dietro alla simulazione<br />
vi sia pure <strong>un</strong>o scopo illecito o siano soggetti<br />
terzi ad avere interesse allo svelamento di rapporti<br />
che la simulazione cela. Ciò significa che l’oggetto<br />
della dimostrazione, più che l’esistenza di <strong>un</strong> negozio<br />
giuridico o di <strong>un</strong> contratto, sia l’esistenza di <strong>un</strong><br />
fatto rispetto al quale non vigono limitazioni circa i<br />
mezzi di prova. L’allentamento che spesso si scorge<br />
nella giurisprudenza sui limiti al ricorso alla prova<br />
orale quando la simulazione si configuri come interposizione<br />
fittizia apre anch’esso ad <strong>un</strong>a lettura dell’art.<br />
1417 c.c., quale regola particolare non esattamente<br />
riconducibile, nella sua ratio, alla disciplina<br />
della prova del contratto. Pure in questa evenienza<br />
il disegno di <strong>un</strong> accordo dissimulato e trilaterale si<br />
mostra lontana dalle morfologie della fattispecie, la<br />
quale in tanto può essere dimostrata con ogni mezzo<br />
probatorio in quanto si ponga a tema la fittizietà<br />
della posizione dell’interposto più che l’efficacia<br />
dell’atto nei confronti del reale suo destinatario, rispetto<br />
al quale dovrebbe tornare applicabile la regola<br />
dell’art. 1417 c.c., intesa quale norma dalla quale<br />
il catalogo dei mezzi di prova utilizzabile viene ridotto<br />
solo quando si debba dimostrare altro dalla<br />
mera apparenza dell’atto simulato.<br />
La disciplina della prova della simulazione, se trae<br />
senso dalle finalità per le quali si faccia valere la simulazione<br />
ovvero il disvelamento della realtà coperta<br />
dall’atto simulato, recupera la sua autonomia<br />
rispetto alla disciplina generale della prova documentale<br />
alla quale si ridà spazio quando, con il fenomeno<br />
simulatorio, si voglia dimostrare pure la<br />
modificazione di situazioni giuridiche determinate<br />
dall’atto dissimulato. Il diverso trattamento riservato<br />
agli autori dell’atto simulato e ai terzi in ordine<br />
alla prova della simulazione si annoda con il regime<br />
della prova dell’esistenza del contratto solo quando<br />
debba fornirsi dimostrazione dell’atto dissimulato<br />
quale regolamento di interessi realmente voluto<br />
dalle parti ed al quale si dà rilievo, ove ricorrano i<br />
requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 1414 c.c.<br />
3. Il fallimento e la prova della simulazione<br />
Le intersezioni tra fallimento e simulazione si rinvengono<br />
principalmente quando dal curatore del<br />
fallimento si ritenga che il fallito, prima della dichiarazione<br />
di insolvenza, abbia compiuto fittiziamente<br />
atti di disposizione del proprio patrimonio,<br />
onde sottrarli ai propri creditori concorsuali.<br />
L’intento di sottrarre ai propri creditori le dovute<br />
garanzie patrimoniali non ha sbocco esclusivo nella<br />
simulazione. Il trasferimento compiuto a titolo fiduciario<br />
realizza egualmente il risultato di allocare al<br />
di fuori del proprio patrimonio i beni che si vuole<br />
proteggere. La fiducia che connota il trasferimento<br />
implica <strong>un</strong>a effettiva determinazione verso il mutamento<br />
di titolarità formale, <strong>un</strong>a determinazione che<br />
diverge da quella tipica della simulazione in cui si<br />
darebbe luogo ad <strong>un</strong>a mera apparenza. A cospetto<br />
di <strong>un</strong> trasferimento fiduciario se esso si qualifica come<br />
rilevante solo inter partes i terzi non ricevono<br />
tutele se non mediante l’azione pauliana che presuppone<br />
<strong>un</strong> effettivo atto di disposizione. Quando<br />
l’atto di disposizione sia stato compiuto da <strong>un</strong> imprenditore<br />
poi dichiarato fallito, di nuovo è l’azione<br />
revocatoria a rappresentare il mezzo per correggere<br />
le distorsioni generate dal trasferimento.<br />
L’ipotesi simulatoria, invece, offre ai terzi tutela attraverso<br />
l’azione volta a scoprire <strong>un</strong>a realtà nascosta<br />
dall’atto simulato, sia esso <strong>un</strong> atto meramente apparente<br />
e dal quale non derivano mutamenti reali di<br />
consistenze patrimoniali o <strong>un</strong> atto che abbia causa<br />
non onerosa, così da essere suscettibile di revoca e<br />
quindi di inefficacia di fronte ai creditori dell’esponente.<br />
Che dell’azione avente ad oggetto domanda declaratoria<br />
della simulazione possa, nell’interesse dei<br />
creditori, avvalersi anche il curatore fallimentare è<br />
conseguenziale alle dinamiche proprie della ricostituzione<br />
delle garanzie patrimoniali ass<strong>un</strong>te dal fallito.<br />
La posizione che il curatore assume è connotata<br />
da interessi contrapposti a quelli che abbiano potuto<br />
riguardare il fallito, quale autore dell’atto simulato<br />
e quindi soggetto portatore di esigenze confliggenti<br />
con quelle dei suoi creditori. Il curatore si pone<br />
quindi in <strong>un</strong>a condizione diversa da quella del<br />
fallito autore del patto simulato. Il curatore alla<br />
stessa stregua dell’erede legittimario ha motivo di<br />
far accertare la simulazione in contrapposizione con<br />
gli interessi degli autori dell’atto simulato che dell’apparenza<br />
vorrebbero invece profittare.<br />
La terzietà rispetto alla vicenda simulatoria ha base<br />
proprio nella contrapposizione tra interesse all’emersione<br />
della realtà e interesse al mantenimento<br />
318 Il Fallimento 3/2013
dell’apparenza. L’intento simulatorio al quale gli<br />
autori dell’atto debbono restare fedeli si realizza nella<br />
conservazione di <strong>un</strong>a consapevole finzione. La<br />
volontà della finzione trova credito presso l’ordinamento,<br />
che non priva le parti della possibilità di<br />
porre in essere <strong>un</strong> atto nel quale la lex contractus risieda<br />
nel nascondimento. Il terzo rispetto al fenomeno<br />
simulatorio è colui che non ha partecipato a<br />
questo patto dell’occultamento della realtà, <strong>un</strong>a<br />
realtà che egli vuol far emergere. A differenza di colui<br />
che tradisse il patto simulatorio per pretendere<br />
che l’apparenza assuma corpo, il terzo è colui che<br />
della vicenda simulatoria richiede l’accertamento<br />
per fare emergere la realtà dissimulata. Terzo rispetto<br />
alla simulazione non è chi voglia giocare fra realtà<br />
ed apparenza per non togliere a questa rilevanza.<br />
Terzo è solo colui che all’apparenza nega qualsiasi<br />
consistenza giuridica per premiare solo la realtà. È<br />
questo il terzo che, volendo dimostrare la simulazione<br />
come fatto, può avvalersi di ogni mezzo di prova<br />
e d<strong>un</strong>que pure delle pres<strong>un</strong>zioni.<br />
Nella decisione in commento, al curatore fallimentare<br />
è stata negata la posizione di soggetto terzo,<br />
perché la simulazione investiva <strong>un</strong> atto posto in essere<br />
da soggetto diverso dal fallito e non finalizzato<br />
a sottrarre garanzie patrimoniali ai creditori di quest’ultimo.<br />
Il regime probatorio più ampio non sarebbe<br />
stato però fruibile da parte del curatore. Questi,<br />
avendo agito per l’accertamento di simulazione di<br />
atti di vendita compiuti dal genitore del fallito per<br />
il tramite di mandatario, pur volendo riportare nella<br />
massa fallimentare attiva la quota ereditaria di<br />
spettanza del fallito, si sarebbe posto non già quale<br />
rappresentante dell’interesse dei creditori concorsuali,<br />
bensì quale promotore di iniziativa concernente<br />
situazioni appartenenti al fallito, in quanto<br />
erede del genitore.<br />
La decisione resa dai giudici del Supremo Collegio<br />
lascia in ombra qualche aspetto dell’azione di accertamento<br />
della simulazione alla quale può accedere<br />
l’erede dell’autore dell’atto simulato. Si è già fatto<br />
cenno alla terzietà dell’erede legittimario che all’azione<br />
di simulazione faccia ricorso quale antecedente<br />
necessario per procedere all’esercizio dell’azione<br />
di riduzione. La qualità di legittimario oltre che di<br />
erede del simulato disponente genera il disallineamento<br />
tra l’interesse alla declaratoria di intervenuta<br />
simulazione e l’interesse al celamento della realtà<br />
dal quale proviene il presupposto per l’applicazione<br />
del più liberale regime della prova.<br />
Diversa è l’ipotesi in cui l’accertamento della simulazione<br />
sia richiesto dall’erede per dimostrare il patto<br />
simulatorio, in quanto successore a titolo <strong>un</strong>iver-<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
sale dell’autore della simulazione. La condizione di<br />
erede pone l’attore nella medesima posizione della<br />
parte autrice del patto simulatorio. Questa come il<br />
suo erede non legittimario, se vorrà dimostrare l’accordo<br />
dissimulato, dovrà fornire prova scritta.<br />
Secondo i giudici del Supremo Collegio, qualora<br />
non l’erede ma il curatore del suo fallimento agisca<br />
per la declaratoria di simulazione di atto compiuto<br />
dal dante causa del fallito, egualmente varranno le<br />
regole più restrittive in tema di prova stabilite dall’art.<br />
1417 c.c. Il curatore, quale sostituto del fallito,<br />
promuoverebbe in surroga di esso le azioni che<br />
gli appartengono. Il riportare nell’area della sostituzione<br />
surrogatoria la posizione del curatore rispetto<br />
alle azioni che appartengono al fallito comporta<br />
che la condizione di terzietà rispetto all’atto di cui<br />
si faccia accertare la simulazione compete al curatore<br />
esclusivamente se tale qualità spettava al fallito.<br />
L’affermazione ha - ad avviso di chi scrive - quale<br />
esito che il curatore del fallimento dell’autore di <strong>un</strong><br />
atto simulato, qualora intendesse fare accertare la<br />
circostanza, non agirà quale terzo, ma quale parte<br />
dell’accordo simulatorio e al curatore si dovranno<br />
applicare le restrizioni in materia di prova sancite<br />
dall’art. 1417 c.c.<br />
Qualora invece l’azione di simulazione potesse essere<br />
esercitata dal fallito, non quale autore diretto<br />
dell’atto simulato o quale erede del suo autore bensì<br />
in veste di legittimario, allora il curatore recupererebbe<br />
le prerogative di cui gode il terzo in relazione<br />
alla prova della simulazione.<br />
La conclusione alla quale sono pervenuti i giudici<br />
della Suprema Corte oltre a tacere della condizione<br />
del fallito erede legittimario, trascura due aspetti,<br />
l’<strong>un</strong>o di indole generale e concernente la specialità<br />
del regime della prova della simulazione, che finisce<br />
con lo scomparire nell’assorbimento dell’azione di<br />
simulazione nella surrogatoria, l’altro legato alla ratio<br />
dell’art. 1417 c.c. La norma, nel consentire l’utilizzo<br />
di ogni mezzo di prova per fare emergere la natura<br />
simulata dell’atto, ha riguardo ad <strong>un</strong> fatto e<br />
non ad <strong>un</strong> atto giuridico di cui si voglia dimostrare<br />
l’esistenza e l’effetto. La prova del fatto simulatorio<br />
non può soffrire limitazioni. Se tale fatto è ciò che<br />
al curatore fallimentare preme di dimostrare, ogni<br />
mezzo probatorio sarà a sua disposizione e questa<br />
possibilità non è soltanto <strong>un</strong>a agevolazione pratica<br />
offerta a coloro che non sarebbero in grado di procurarsi<br />
le controdichiarazioni, perché il fenomeno<br />
simulatorio non coincide né si risolve negli effetti<br />
dell’atto dissimulato.<br />
Il Fallimento 3/2013 319
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Opposizione allo stato passivo<br />
Ammissibilità e procedibilità<br />
dell’opposizione allo stato<br />
passivo<br />
Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804 - Pres. Fioretti - Rel. Ceccherini - P.M. Libertino<br />
(conf.) - Agrileasing s.p.a. c. Fallimento Idea Tissue s.p.a. Igiene Consumer & Catering<br />
Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione - Mancata produzione di copia del decreto opposto - Improcedibilità<br />
- Esclusione<br />
(legge fallimentare artt. 98, 99; cod. proc. civ. artt. 347, 348)<br />
Nel giudizio di reclamo avverso lo stato passivo del fallimento, il deposito della copia autentica del provvedimento<br />
impugnato, la cui mancata produzione <strong>un</strong>itamente all’atto oppositivo non è sancita a pena d’improcedibilità,<br />
può essere utilmente eseguito da tutte le parti e in qualsiasi momento, fino alla chiusura del contradditorio,<br />
trattandosi di documento indispensabile alla decisione.<br />
La Corte (omissis).<br />
3. Con il ricorso si den<strong>un</strong>cia la falsa applicazione dell’art.<br />
347 c.p.c. in relazione alla l. fall., artt. 97, 98 e 99.<br />
Si sostiene che la norma del codice di rito non è applicabile<br />
al procedimento di reclamo avverso lo stato passivo<br />
nel quale il credito della parte istante sia stato escluso.<br />
4. Il motivo è fondato. Questa corte ha già affermato il<br />
principio che, in tema di opposizione allo stato passivo<br />
del fallimento nel regime previsto dal D.Lgs. n. 169 del<br />
2007, la mancata produzione di copia autentica del<br />
provvedimento impugnato non costituisce causa di improcedibilità<br />
del giudizio, non trovando applicazione in<br />
materia la disciplina di cui all’art. 339 c.p.c. e segg., versandosi<br />
in <strong>un</strong> giudizio diverso da quello ordinario di cognizione<br />
e non potendo la predetta opposizione essere<br />
qualificata come <strong>un</strong> appello, pur avendo natura impugnatoria;<br />
inoltre, l. fall., art. 99, che indica il contenuto<br />
del ricorso, non fa riferimento alla predetta allegazione e<br />
l’<strong>un</strong>ico richiamo sul p<strong>un</strong>to concerne i documenti che la<br />
parte può discrezionalmente sottoporre al giudice (ord.<br />
22 febbraio 2012 n. 2677).<br />
Occorre tuttavia aggi<strong>un</strong>gere quanto segue:<br />
a) L’art. 347 c.p.c. esprime <strong>un</strong>’esigenza com<strong>un</strong>e a tutti i<br />
procedimenti di carattere impugnatorio, non potendosi<br />
configurare <strong>un</strong>a decisione del giudice che annulli o modifichi<br />
<strong>un</strong> provvedimento giudiziario senza averne conosciuto<br />
il contenuto in <strong>un</strong> documento che ne garantisca<br />
l’autenticità; sicché il precetto contenuto nella norma<br />
trova applicazione anche nel giudizio di reclamo avverso<br />
lo stato passivo del fallimento (ord. n. 2677 del 2012,<br />
cit.). b) Attualmente né l’art. 347 c.p.c. né l’art. 348<br />
c.p.c., nel testo riformato dalla L. 26 novembre 1990, n.<br />
353, art. 54 contemplano la sanzione dell’improcedibilità<br />
per il mancato deposito del provvedimento impugnato<br />
insieme all’atto d’appello, e il giudice dell’impugnazione<br />
decide nel merito, se in atti vi sia com<strong>un</strong>que <strong>un</strong>a<br />
copia autentica del provvedimento. c) La l. fall., art. 99,<br />
comma 2, n. 4, nel regime previsto dal D.Lgs. n. 169 del<br />
2007, laddove pone a carico del reclamante l’onere di<br />
indicare i documenti prodotti, a pena di decadenza, non<br />
si applica alla copia autentica del provvedimento impugnato,<br />
trattandosi di documento indispensabile alla decisione,<br />
e non potendo applicarsi in detto giudizio, improntato<br />
alle regole semplificate della trattazione camerale,<br />
regole più rigide di quelle dettate per l’appello, in<br />
cui il divieto di produrre nuovi documenti non opera<br />
laddove detti documenti siano ritenuti indispensabili alla<br />
decisione. d) La produzione della copia autentica del<br />
documento impugnato è pertanto consentita in qualsiasi<br />
momento, anche nel giudizio di rinvio, sino a quando il<br />
contraddittorio non sia chiuso.<br />
5. In conclusione il ricorso deve essere accolto, e il decreto<br />
impugnato deve essere cassato con rinvio della<br />
causa allo stesso trib<strong>un</strong>ale che, pron<strong>un</strong>ciandosi nuovamente<br />
sul reclamo, anche ai fini del regolamento delle<br />
spese del presente giudizio di legittimità, si atterrà al seguente<br />
principio di diritto: nel giudizio di reclamo avverso<br />
lo stato passivo del fallimento, il deposito della copia<br />
autentica del provvedimento impugnato, la cui omissione<br />
non è sancita a pena d’improcedibilità, può essere<br />
utilmente eseguito da qualsiasi parte e in qualsiasi momento,<br />
fino alla chiusura del contraddittorio.<br />
(omissis).<br />
320 Il Fallimento 3/2013
Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799 - Pres. Plenteda - Rel. Cultrera - P.M. Velardi<br />
(diff.) - Mara Immobiliare s.a.s. c. Fallimento Artecasa s.r.l. in liquidazione.<br />
Fallimento - Accertamento del passivo - Opposizione - Com<strong>un</strong>icazione del deposito dello stato passivo - Avviso di ricevimento<br />
della raccomandata - Onere del curatore - Mancanza - Conseguenze<br />
(legge fallimentare artt. 97, 98, 99; cod. proc. civ. art. 347)<br />
Grava sul curatore, che eccepisce la tardività dell’opposizione allo stato passivo, l’onere di produrre l’avviso di<br />
ricevimento della raccomandata, con la quale ha com<strong>un</strong>icato ai creditori l’esito del procedimento di verifica dei<br />
crediti (massima non ufficiale).<br />
La Corte (omissis).<br />
La ricorrente den<strong>un</strong>cia violazione della l. fall., artt. 98 e<br />
99, e pone la questione di diritto se sia onere della parte<br />
opponente dimostrare la tempestività della sua azione<br />
ovvero incomba sul curatore che la eccepisca l’onere di<br />
provarne la tardività. La problematica ha trovato soluzione<br />
nel precedente di questa Corte n. 17829/2005 secondo<br />
cui «A seguito della sentenza della Corte costituzionale<br />
n. 102 del 1986, che ha dichiarato l’illegittimità<br />
costituzionale della l. fall., art. 98, nella parte in cui stabilisce<br />
che il termine per l’opposizione allo stato passivo<br />
del fallimento decorre dalla data del suo deposito, detto<br />
termine decorre dal giorno della ricezione della lettera<br />
raccomandata con cui il curatore deve dare com<strong>un</strong>icazione<br />
dell’avvenuto deposito e l’onere di dimostrare il ricevimento<br />
della raccomandata, mediante la produzione<br />
del relativo avviso, grava sul curatore, avendo com<strong>un</strong>que<br />
il trib<strong>un</strong>ale, quale giudice dell’opposizione, il potere-dovere<br />
di acquisire d’ufficio il fascicolo fallimentare, allo<br />
scopo di accertare se esso sia allegato agli atti di detto fascicolo,<br />
in quanto ha il dovere di verificare pure d’ufficio<br />
l’esistenza di siffatto presupposto processuale, con la conseguenza<br />
che, qualora detto avviso non sia rinvenuto tra<br />
gli atti del fascicolo fallimentare, deve ritenersi tempestiva<br />
l’opposizione proposta entro l’anno dal deposito».<br />
L’en<strong>un</strong>ciato, al quale in piena condivisione s’intende in<br />
questa sede dare continuità, seppur espresso nel vigore<br />
del precedente regime fallimentare, non può ritenersi superato<br />
dalla riforma del procedimento d’opposizione allo<br />
stato passivo che, seppur interamente ridisegnato, nulla<br />
prevede in ordine al riparto dell’onere probatorio in parte<br />
qua. La sua indiscussa natura impugnatoria, che non<br />
lo equipara tuttavia tout court all’appello (cfr. Cass. n.<br />
4708/2011), sì che non ne mutua integralmente la disciplina,<br />
e segnatamente la previsione dell’art. 347 c.p.c. tipica<br />
dell’appello, non ha inciso sullo svolgimento della<br />
dialettica processuale tra le parti, che resta ispirata a quel<br />
principio della parità delle armi che la Cassazione ha posto<br />
a fondamento del richiamato approdo. Il riparto dell’onere<br />
probatorio resta pertanto regolato secondo la regola<br />
generale posta dall’art. 2697 c.c. che onera la parte<br />
che formula l’eccezione della prova del suo fondamento,<br />
vieppiù operante in fattispecie in cui, in ragione del<br />
principio della cosiddetta riferibilità della prova, anche<br />
detto della ‘‘vicinanza o prossimità della prova’’ che<br />
esprime il criterio di ripartizione basato sulla concreta<br />
possibilità per l’<strong>un</strong>o o l’altro soggetto di fornire prova<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
dei fatti che ricadono nelle rispettive sfere di azione (cfr.<br />
su tale principio Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass.<br />
21 giugno 2004, n. 11488), il curatore dispone dell’avviso<br />
di ricezione della com<strong>un</strong>icazione di deposito dello stato<br />
passivo, che ne documenta altresì la data.<br />
Questi per l’effetto ha l’onere di versarlo in atti al fine<br />
di fugare i dubbi da lui sottoposti al giudice dell’opposizione<br />
circa il rispetto del termine per l’introduzione del<br />
procedimento. Il Trib<strong>un</strong>ale di Monza, in contrasto con<br />
questa esegesi, è incorso nel den<strong>un</strong>ciato errore di diritto<br />
per aver fatto malgoverno del regime in materia di distribuzione<br />
dell’onere probatorio, onerando non già il curatore<br />
fallimentare che aveva dedotto l’eccezione di tardività<br />
dell’opposizione della relativa prova, di cui aveva la<br />
disponibilità, bensì l’opponente che, assolvendo correttamente<br />
al proprio onere probatorio, aveva allegato, la<br />
produzione della copia della busta contenente la com<strong>un</strong>icazione<br />
inviatagli dal curatore fallimentare.<br />
Alla luce di queste considerazioni, il ricorso merita accoglimento<br />
ed il decreto impugnato deve essere cassato<br />
con rinvio al Trib<strong>un</strong>ale di Monza per l’esame del merito,<br />
che provvederà anche alla regolamentazione delle spese<br />
del presente giudizio.<br />
(omissis).<br />
Il Fallimento 3/2013 321
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Evoluzioni (e involuzioni) della giurisprudenza<br />
sull’opposizione allo stato passivo<br />
di Gianpaolo Impagnatiello *<br />
Nonostante le riforme della legge fallimentare del 2006-2007, il giudizio di opposizione allo stato passivo<br />
continua a porre all’interprete dubbi di natura processuale, che derivano in parte dalla essenzialità della sua<br />
disciplina positiva e, per <strong>un</strong>’altra parte, dalla difficoltà di definire i limiti dell’analogia con il giudizio d’appello.<br />
Le coeve pron<strong>un</strong>zie in commento si occupano, rispettivamente, degli effetti della mancata produzione in copia<br />
autentica del provvedimento impugnato e dei criteri per ripartire tra creditore opponente e curatore l’onere<br />
probatorio della tardività dell’opposizione; ma, mentre la seconda questione, nonostante alc<strong>un</strong>e incertezze<br />
nel percorso motivazionale seguito dalla Cassazione, può dirsi risolta in maniera soddisfacente, la prima<br />
è destinata a fare ancora discutere.<br />
1. Premessa<br />
Le sentenze in epigrafe si segnalano perché sono<br />
manifestazione di quella ars distinguendi che, ormai<br />
da anni, la giurisprudenza esercita nella definizione<br />
dei rapporti tra opposizione allo stato passivo e giudizio<br />
di appello. Se la natura impugnatoria dell’opposizione<br />
è ormai largamente riconosciuta tanto<br />
dalla giurisprudenza (1), quanto dalla dottrina (2),<br />
meno chiaro è il limite entro il quale la disciplina<br />
del giudizio di opposizione, che era decisamente lac<strong>un</strong>osa<br />
prima delle riforme della legge fallimentare<br />
del 2006-2007 e continua a esserlo anche dopo,<br />
può essere integrata mediante l’applicazione delle<br />
regole codicistiche in tema di appello. Certo, delineando<br />
in modo più preciso il ruolo del giudice e<br />
del curatore nell’intera procedura fallimentare,<br />
chiarendo la natura giurisdizionale della verifica del<br />
passivo da parte del giudice delegato e sopprimendo<br />
l’appello avverso il decreto che decide l’opposizione,<br />
le riforme hanno contribuito a risolvere alc<strong>un</strong>i<br />
dei nodi problematici che in passato impegnavano<br />
l’interprete (3). Ne restano però sul tappeto molti<br />
altri, nell’affrontare i quali il filo che lega opposizione<br />
e appello si all<strong>un</strong>ga o si accorcia a seconda dei<br />
p<strong>un</strong>ti di vista e delle opzioni in campo. Entrambe<br />
le decisioni qui annotate si collocano perfettamente<br />
in questo solco: pur rifiutando in apicibus l’equiparazione<br />
tra opposizione e appello, la Corte ha risolto<br />
le questioni al suo esame mediante lo strumentario<br />
tipico del giudice del gravame, adottando soluzioni<br />
che, benché pensate per il giudizio di opposizione,<br />
appaiono perfettamente adattabili anche a quello<br />
d’appello.<br />
2. La produzione della copia autentica<br />
del decreto opposto<br />
Con la prima sentenza, la Suprema Corte ha cassato<br />
<strong>un</strong> decreto che aveva dichiarato improcedibile<br />
l’opposizione a causa della mancata produzione della<br />
copia del provvedimento impugnato. I giudici di<br />
legittimità avrebbero potuto decidere il ricorso sem-<br />
Note:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
(1) Cfr. Cass. 25 febbraio 2011, n. 4708, in Giust. civ., 2011, I,<br />
1465; Cass. 22 ottobre 2007, n. 22108; Cass. 1 ottobre 2007, n.<br />
20622, in Dir. fallim., 2009, II, 181, la quale, pur riconoscendo il<br />
carattere impugnatorio dell’opposizione, esclude che da ciò derivi<br />
l’automatica applicazione delle norme che disciplinano il giudizio<br />
di appello, e segnatamente dell’art. 345 c.p.c.; Cass. 30 settembre<br />
2004, n. 19605; Cass. 28 maggio 2003, n. 8472. In senso<br />
contrario, Cass. 11 settembre 2009, n. 19697, in Foro it.,<br />
2010, I, 463, con nota di M. Fabiani, Accertamento del passivo<br />
fallimentare e riforme processuali, che propende decisamente<br />
per la tesi della natura prosecutoria e non impugnatoria dell’opposizione.<br />
(2) Con <strong>un</strong>a certa qual varietà di toni, v. Cavallini, Formazione ed<br />
impugnazione dello stato passivo: poteri processuali del creditore,<br />
in questa Rivista, 2009, 709; Canale, La formazione dello stato<br />
passivo, inLa riforma della legge fallimentare, a cura di Ambrosini,<br />
Bologna, 2006, 200; Cavalli-Ambrosini-Jorio, Il fallimento,<br />
inTrattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova,<br />
2009, 582, in nota; Scarselli-Bertacchini-Gualandi-S.Pacchi-<br />
G.Pacchi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 294 ss.;<br />
Pagni, L’accertamento del passivo nella riforma della legge fallimentare,<br />
inForo it., 2006, V, 191 ss.; Guglielmucci, Diritto fallimentare,<br />
Torino, II ed., 2007, 220 ss.; M. Fabiani, Impugnazioni<br />
dello stato passivo, raccordo col procedimento sommario e preclusioni,<br />
inForo it., 2008, I, 633; Zoppellari, in La legge fallimentare,<br />
a cura di Ferro, Padova, 2007, 706; Impagnatiello, L’accertamento<br />
del passivo, inManuale di diritto fallimentare e delle<br />
procedure concorsuali, a cura di Trisorio Liuzzi, Milano, 2011,<br />
214; Asprella, in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano,<br />
2006, 445; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare,<br />
Padova, 2006, 404; Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare,<br />
Milano, 2008, 536. In senso diverso, v. Farina, Preclusioni<br />
e decadenze in sede di impugnazioni a stato passivo, in<br />
questa Rivista, 2008, 676; Plenteda, Profili processuali del fallimento<br />
dopo la riforma, Milano, 2008, 218.<br />
(3) Si pensi, per fare solo due esempi, al problema dell’autorizzazione<br />
a stare in giudizio data al curatore dal giudice delegato,<br />
della quale il nuovo l’art. 31, comma 2, l.fall. esclude la necessità<br />
«nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice<br />
delegato», e all’incompatibilità del giudice delegato con le f<strong>un</strong>zioni<br />
di componente del collegio giudicante sulle impugnazioni<br />
dello stato passivo, oggi espressamente riconosciuta dall’art.<br />
99, comma 10, l.fall.<br />
322 Il Fallimento 3/2013
plicemente richiamando il principio, en<strong>un</strong>ciato<br />
qualche mese prima (4), secondo cui la mancata<br />
produzione in copia autentica del decreto del giudice<br />
delegato dichiarativo dell’esecutività dello stato<br />
passivo non è motivo d’improcedibilità dell’opposizione;<br />
invece, hanno colto l’occasione per indulgere<br />
ad alc<strong>un</strong>e p<strong>un</strong>tualizzazioni. La Corte ha infatti<br />
affermato che: a) la produzione della copia autentica<br />
del provvedimento impugnato, prevista dall’art.<br />
347 c.p.c., risponde a <strong>un</strong>’esigenza com<strong>un</strong>e a tutti i<br />
procedimenti di carattere impugnatorio; b) gli artt.<br />
347 e 348 c.p.c. non sanzionano con l’improcedibilità<br />
il mancato deposito del provvedimento impugnato;<br />
c) il giudice è tenuto a decidere nel merito<br />
l’impugnazione ogni qual volta agli atti vi sia com<strong>un</strong>que<br />
<strong>un</strong>a copia autentica del provvedimento, la<br />
quale può d<strong>un</strong>que essere prodotta in qualsiasi momento,<br />
persino nel giudizio di rinvio, finché il contraddittorio<br />
non sia definitivamente chiuso; d) l’art.<br />
99, comma 2, n. 4, l.fall., riferendosi ai documenti<br />
che possono essere prodotti insieme col ricorso in<br />
opposizione, non si applica alla copia autentica del<br />
provvedimento impugnato, la quale è essenziale alla<br />
decisione.<br />
Come appare chiaro, queste en<strong>un</strong>ciazioni temprano<br />
<strong>un</strong>a compiuta disciplina dell’onere di produzione<br />
del provvedimento impugnato nel giudizio di opposizione<br />
allo stato passivo. Sarebbe perciò facile cogliervi<br />
<strong>un</strong> (comprensibilissimo, beninteso) intento<br />
‘‘nomofilattico’’. Non credo però che l’obiettivo dei<br />
giudici di legittimità fosse solo questo. Traspare<br />
piuttosto il proposito di ridimensionare la portata<br />
dei principi en<strong>un</strong>ciati dalla precedente Cass. 2677/<br />
2012 - pure richiamata a sostegno della soluzione<br />
contraria alla sanzione dell’improcedibilità - la quale<br />
aveva fondato la decisione su argomenti non poco<br />
diversi.<br />
In particolare, il dissenso è nella f<strong>un</strong>zione attribuita<br />
al precetto dell’art. 347, comma 2, c.p.c., il quale,<br />
benché dettato per il giudizio d’appello, è - lo riconosce<br />
la stessa Corte - applicabile anche in sede di<br />
opposizione allo stato passivo. Secondo Cass. 2677/<br />
2012, tale disposizione «ha come scopo solo la possibilità<br />
dell’esame di detto provvedimento [quello<br />
impugnato, ndr.] da parte del giudice dell’appello»,<br />
con la conseguenza che il giudice deve decidere nel<br />
merito ogni qual volta negli atti si rinvenga <strong>un</strong>a copia<br />
del provvedimento impugnato oppure esso sia<br />
in qualche altro modo conoscibile. Si tratta, è forse<br />
utile notarlo, di <strong>un</strong>’affermazione coerente con gli<br />
approdi della giurisprudenza di legittimità in tema<br />
di appello (5), la quale è solita ritenere, da <strong>un</strong>a parte,<br />
che nel silenzio degli artt. 347 e 348 c.p.c. la<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
mancata produzione in copia autentica della sentenza<br />
impugnata non sia in alc<strong>un</strong> caso sanzionabile<br />
con l’improcedibilità (6) e, dall’altra, che il giudice<br />
d’appello abbia il potere-dovere di desumere la conoscenza<br />
della sentenza dal complesso delle risultanze<br />
processuali: debba, cioè, prendere in considerazione<br />
non soltanto eventuali copie non autentiche<br />
della sentenza (purché la loro conformità all’originale<br />
non sia contestata) (7), ma anche la trascrizione<br />
della sentenza riportata nell’atto di appello<br />
(8) e, più in generale, qual<strong>un</strong>que altra fonte di<br />
conoscenza del contenuto della decisione (9). Non<br />
a caso, la citata Cass. 2677/2012 ha ritenuto che,<br />
nella fattispecie, l’esigenza di conoscenza del provvedimento<br />
da parte del giudice ad quem fosse soddisfatta<br />
dalla testuale trascrizione nel ricorso in opposizione<br />
del provvedimento del giudice delegato, così<br />
come tratto dalla com<strong>un</strong>icazione del curatore.<br />
Orbene, nella sentenza in epigrafe si leggono affermazioni<br />
di tutt’altro tenore, che ruotano attorno all’imprescindibile<br />
necessità che al momento della<br />
decisione risulti agli atti la copia autentica del<br />
provvedimento impugnato: non importa chi l’abbia<br />
prodotta e quando, ma quel che conta è che la copia<br />
autentica del decreto del giudice delegato, che<br />
ha dichiarato l’esecutività dello stato passivo, sia<br />
nel fascicolo quando la causa viene trattenuta in<br />
decisione. A differenza dei precedenti testé richiamati<br />
(e dello stesso art. 347 c.p.c., che non pretende<br />
affatto l’autenticità della copia), la Corte ne fa<br />
<strong>un</strong>a questione di attendibilità della fonte di conoscenza<br />
del provvedimento, la quale può essere assicurata<br />
solo da «<strong>un</strong> documento che ne garantisca<br />
l’autenticità»: con esclusione, d<strong>un</strong>que, di qualsiasi<br />
equipollente e di qual<strong>un</strong>que fonte indiretta di co-<br />
Note:<br />
(4) Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677.<br />
(5) Difatti, Cass. 22 febbraio 2012, n. 2677, riporta in motivazione<br />
la massima di Cass. 14 aprile 2005, n. 7746.<br />
(6) Cass. 3 agosto 2004, n. 14869; Cass. 7 maggio 2003, n.<br />
6936, in Foro it., 2003, I, 2509, non osservazioni di C.M. Barone,<br />
e in Giur. it., 2003, 2241, con nota di Caporusso, Sulla decisione<br />
dell’appello nel caso di mancanza in atti della sentenza appellata.<br />
Secondo Cass. 16 maggio 2007, n. 11289, l’improcedibilità<br />
può essere dichiarata solo qualora il giudice ritenga la sentenza<br />
indispensabile ai fini dell’esame del merito dell’impugnazione.<br />
(7) Cass. 26 gennaio 1999, n. 696, in Giur. it., 2000, 64, con nota<br />
di Ronco, App<strong>un</strong>ti sparsi in tema di mancato deposito della<br />
sentenza appellata, di improcedibilità dell’appello e di correlazione<br />
tra forma e regime di impugnazione dei provvedimenti decisori;<br />
Cass. 22 maggio 1998, n. 5136; Cass. 8 febbraio 1996, n.<br />
1008; Cass. 5 giugno 1993, n. 6318.<br />
(8) Cass. 28 gennaio 2009, n. 2171.<br />
(9) Cass. 14 aprile 2005, n. 7746.<br />
Il Fallimento 3/2013 323
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
noscenza. Ne deriva che la sanzione dell’improcedibilità,<br />
benché non colpisca la mancata produzione<br />
ab initio della copia autentica, la quale può essere<br />
sanata in qualsiasi momento anteriore alla chiusura<br />
del contraddittorio, non è scongiurata del tutto: essendo<br />
la copia autentica indispensabile per la decisione,<br />
la sua mancata produzione per l’intero corso<br />
del giudizio di opposizione è in qualche modo ostativa<br />
alla decisione stessa. Per la verità, la Corte non<br />
ci ha detto cosa accada in tale eventualità, ma dall’affermazione<br />
che «il giudice dell’impugnazione decide<br />
nel merito, se in atti vi sia com<strong>un</strong>que <strong>un</strong>a copia<br />
autentica del provvedimento» è del tutto logico<br />
inferire che, in caso contrario, la decisione non sia<br />
possibile e si vada incontro a <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>zia di absolutio<br />
ab instantia.<br />
Ne dedurrei che la soluzione affermata dalla Corte<br />
è appagante solo in apparenza, vuoi perché genera<br />
<strong>un</strong> contrasto strisciante - ma non per questo meno<br />
netto - con la precedente Cass. 2677/2012, vuoi<br />
perché introduce nel giudizio di opposizione allo<br />
stato passivo <strong>un</strong> regime persino più rigoroso di quello<br />
che si osserva in sede di appello, vuoi, infine,<br />
perché rischia di provocare <strong>un</strong> ripensamento dell’approccio<br />
meritoriamente antiformalista che la<br />
giurisprudenza di legittimità ha finora ass<strong>un</strong>to nell’applicazione<br />
degli artt. 347 e 348 c.p.c. È perciò<br />
auspicabile che le sezioni <strong>un</strong>ite siano quanto prima<br />
investite della questione e, se possibile, diano continuità<br />
all’indirizzo che non ritiene affatto indispensabile<br />
la produzione nel giudizio di opposizione della<br />
copia autentica del decreto impugnato.<br />
3. L’onere della prova della tardività<br />
dell’opposizione<br />
La seconda sentenza in epigrafe si occupa invece<br />
del problema della ripartizione dell’onere della prova<br />
in tema di tempestività dell’opposizione: spetta<br />
all’opponente dimostrare che il ricorso è stato depositato<br />
nei trenta giorni dalla com<strong>un</strong>icazione del<br />
decreto del giudice delegato che ha dichiarato esecutivo<br />
lo stato passivo oppure al curatore, che eccepisce<br />
la tardività dell’opposizione, produrre l’avviso<br />
di ricevimento della raccomandata di cui all’art. 97<br />
l.fall.? La Suprema Corte non ha esitato a seguire il<br />
secondo corno dell’alternativa, dando continuità al<br />
proprio indirizzo interpretativo precedente alle riforme<br />
della legge fallimentare del 2006-2007 (10) e<br />
affermando che l’onere della prova si distribuisce in<br />
subiecta materia secondo la regola generale dell’art.<br />
2697 c.c.: ciò sia alla luce della dichiarazione d’incostituzionalità<br />
dell’art. 98 l.fall. a opera di Corte<br />
cost. n. 102/1986, la quale ha stabilito che il termine<br />
per l’opposizione decorre dalla ricezione della<br />
raccomandata con cui il curatore avvisa i creditori<br />
dell’esito del procedimento di accertamento, sia in<br />
base al c.d. principio di prossimità della prova, secondo<br />
cui ciasc<strong>un</strong>a parte (nella specie il curatore,<br />
che dispone dell’avviso di ricevimento della raccomandata)<br />
è tenuta a provare i fatti che ricadono<br />
nella propria sfera d’azione.<br />
La soluzione è ineccepibile, per quanto, ragionando<br />
con rigore, si debba escludere che qui c’entri qualcosa<br />
il precetto dell’art. 2697 c.c. La violazione del<br />
termine per impugnare non rappresenta certo <strong>un</strong><br />
‘‘fatto’’ costitutivo del diritto sostanziale, né <strong>un</strong><br />
‘‘fatto’’ impeditivo, modificativo o estintivo del medesimo,<br />
bensì <strong>un</strong> fatto processuale, il cui solo effetto<br />
consiste nell’estinguere il potere d’impugnazione.<br />
Si tratta, cioè, di <strong>un</strong> presupposto processuale (negativo),<br />
che nulla ha a che vedere col merito e alla<br />
cui prova la regola dell’art. 2697 c.c., che si riferisce<br />
inequivocabilmente ai fatti che costituiscono il fondamento<br />
della domanda o dell’eccezione, non si<br />
può applicare (11), se non in modo indiretto e con<br />
<strong>un</strong>a generosa, anzi generosissima (12), dose di analogia.<br />
Come dicevo, però, questo non significa che la<br />
conclusione attinta dalla Corte non sia corretta.<br />
Gli è che il suo fondamento è rappresentato non<br />
tanto dall’art. 2697 c.c., quanto piuttosto da <strong>un</strong> duplice<br />
ordine di considerazioni, il primo di carattere<br />
formale, il secondo pratico.<br />
Sotto <strong>un</strong> primo profilo, i presupposti processuali -<br />
qual è, come si è detto, la tempestività dell’impugnazione<br />
- assumono rilevanza non tanto in positivo,<br />
quanto in negativo, ossia quando mancano. Essi,<br />
cioè, non entrano automaticamente nel thema<br />
decidendum, sicché, se non sono controversi, non de-<br />
Note:<br />
(10) Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, richiamata in motivazione,<br />
che leggesi in questa Rivista, 2006, 931, con nota adesiva<br />
di Badini Confalonieri, L’onere di dimostrare la tempestività dell’impugnazione:<br />
<strong>un</strong> insegnamento valido anche a seguito della<br />
recente riforma della legge fallimentare.<br />
(11) Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli,<br />
1974, 158 s. e 394. Nel senso che per la prova dei presupposti<br />
processuali non valgano le regole legali sull’onere della prova, v.<br />
anche Redenti, Diritto processuale civile, a cura di Vellani, II, IV<br />
ed., Milano, 1997, 47; Luiso, Il processo del lavoro, Torino,<br />
1992, 144.<br />
(12) Osserva Verde, L’onere della prova, cit., 159, che, allorché<br />
nel campo delle fattispecie processuali ci è richiamati analogicamente<br />
all’art. 2697 c.c., «non ci si è resi conto che, mancando<br />
la norma di riferimento da applicare, il ricorso all’analogia costituisce<br />
<strong>un</strong> mero espediente verbale per rappresentare l’esigenza<br />
logica e razionale che è a base della disposizione stessa».<br />
324 Il Fallimento 3/2013
vono formare oggetto di <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>zia esplicita da<br />
parte del giudice, il quale ben può limitarsi a conoscere<br />
del merito dando per scontata la sussistenza di<br />
tutte le condizioni formali per farlo (13). Il p<strong>un</strong>to<br />
può dirsi pacifico tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza,<br />
le quali si domandano piuttosto - ma si<br />
tratta evidentemente di problema del tutto diverso<br />
- se la pron<strong>un</strong>zia implicita debba essere oggetto<br />
d’impugnazione per evitare che su di essa si formi il<br />
giudicato interno (14).<br />
Le cose cambiano quando sul presupposto processuale<br />
sorge <strong>un</strong>a questione (pregiudiziale di rito),<br />
vuoi per effetto dell’eccezione di parte, vuoi a seguito<br />
di rilievo ufficioso. Infatti, se il presupposto<br />
processuale è controverso, il giudice non potrà fare<br />
a meno di conoscere della questione e di deciderla,<br />
fondando il proprio convincimento sulle allegazioni<br />
e sugli elementi di prova fornitigli dalle parti.<br />
Per conseguenza, <strong>un</strong> problema di prova del presupposto<br />
processuale può porsi solo qualora se ne faccia<br />
questione; e solo in tal caso ci si dovrà preoccupare<br />
di stabilire quale delle parti sia gravata del relativo<br />
onere. Il problema, naturalmente, è suscettibile di<br />
diversa considerazione a seconda che la questione<br />
sia stata posta dal convenuto o sia stata sollevata<br />
d’ufficio, ma - possiamo anticiparlo - le conclusioni<br />
nei due casi divergono solo marginalmente.<br />
Nella prima eventualità (eccezione di parte), non<br />
può esservi alc<strong>un</strong> dubbio che della prova sia onerato<br />
l’eccipiente, vuoi perché, come si è detto, a dover<br />
essere provata non è la sussistenza delle condizioni<br />
formali per l’esame del merito, ma piuttosto la<br />
loro mancanza (15), vuoi perché, non essendo applicabile<br />
l’art. 2697 c.c., la distribuzione dell’onere<br />
della prova è inevitabilmente regolata «dal dato<br />
metagiuridico dell’interesse» (16), vuoi, infine, perché,<br />
essendo la carenza dei presupposti processuali<br />
rilevabile d’ufficio, l’eccezione di parte è irrilevante<br />
sia quando non è proposta, sia quando lo è: come<br />
la mancata eccezione non rende pacifico il presupposto,<br />
così l’eccezione non può produrre l’effetto di<br />
onerare della prova l’altra parte, restando inutilizzabile<br />
lo schema delineato dall’art. 115 c.p.c. a proposto<br />
dei fatti che costituiscono il fondamento della<br />
domanda o dell’eccezione di merito (17).<br />
È solo il caso di aggi<strong>un</strong>gere, con particolare riguardo<br />
al profilo della tempestività dell’impugnazione,<br />
che la conclusione non muterebbe neppure alla luce<br />
della distinzione tra Prozessvoraussetz<strong>un</strong>gen e Prozesshindernisse,<br />
ossia tra presupposti processuali c.d.<br />
positivi (che consentono la decisione di merito) e<br />
presupposti processuali c.d. negativi (che la impediscono),<br />
distinzione che talora è stata evocata per<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
giustificare <strong>un</strong>a differente ripartizione dell’onere<br />
della prova: i presupposti processuali positivi, se<br />
contestati, andrebbero provati dall’attore, quelli negativi<br />
dal convenuto (18). A tutto voler concedere,<br />
infatti, non è la tempestività a condizionare l’esistenza<br />
del potere d’impugnare, ma è piuttosto la<br />
violazione del termine legale a causarne l’estinzione,<br />
il che implica che il regime probatorio in subiecta<br />
materia non possa che essere quello tipico dei<br />
presupposti processuali negativi.<br />
Allorché, invece, la carenza del presupposto processuale<br />
positivo o l’esistenza di quello negativo sia rilevata<br />
d’ufficio, il discorso si fa più complesso. Rispetto<br />
al rilievo d’ufficio, infatti, le parti si trovano<br />
in posizione equidistante, sicché ness<strong>un</strong>a soluzione<br />
può essere data per scontata. Ciò non di meno, esistono<br />
valide ragioni per ritenere che la ripartizione<br />
dell’onere probatorio debba, almeno in linea di<br />
principio, seguire regole non dissimili da quella testé<br />
vista a proposito dell’eccezione di parte. Decisiva<br />
appare la considerazione che il potere di rilevazione<br />
ufficiosa va correlato, da <strong>un</strong> canto, con il principio<br />
di allegazione, che riguarda tanto i fatti rilevanti per<br />
la definizione della fattispecie sostanziale, quanto<br />
quelli di carattere più strettamente processuale, e,<br />
dall’altro, col divieto di utilizzazione della scienza<br />
privata del giudice. Questo significa, in buona sostanza,<br />
che la carenza del presupposto processuale<br />
positivo o l’esistenza di quello negativo può essere<br />
rilevata d’ufficio solo quando risulta dagli atti (19):<br />
Note:<br />
(13) Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, II ed.,<br />
Torino, 2012, 4.<br />
(14) Il problema, com’è noto, è divenuto di particolare attualità<br />
per effetto degli arresti coi quali la Suprema Corte, qualche anno<br />
fa, ha preso ad affermare che la pron<strong>un</strong>zia implicita affermativa<br />
della giurisdizione, contenuta nella sentenza di primo grado, impedisce<br />
al giudice dell’impugnazione il rilievo d’ufficio di cui all’art.<br />
37 c.p.c.: cfr. Cass., sez. <strong>un</strong>., 9 ottobre 2008, n. 24883, annotata<br />
criticamente da G.G. Poli, in Foro it., 2009, I, 810, da Caponi<br />
e Cuomo Ulloa in Corriere giur., 2009, 380 e 386, da Vaccarella<br />
e Socci in Giur. it., 2009, 412 e 416, da Basilico in Giusto<br />
processo civ., 2009, 263 e da E.F. Ricci e Petrella in Riv. dir.<br />
proc., 2009, 1085 e 1088. V. anche le successive Cass., sez.<br />
<strong>un</strong>., 30 ottobre 2008, n. 26019; Cass., sez. <strong>un</strong>., 20 novembre<br />
2008, n. 27531; Cass., sez. <strong>un</strong>., 9 novembre 2011, n. 23306.<br />
(15) Redenti, Diritto processuale civile, II, cit., 48.<br />
(16) Così Verde, L’onere della prova, cit., 395.<br />
(17) Cfr. Deluca, Sulla prova dei presupposti processuali (a proposito<br />
della legitimatio ad processum), in Giur. it., 1996, I, 2,<br />
476.<br />
(18) Micheli, L’onere della prova, Padova, 1942, 401; Luiso, Il<br />
processo del lavoro, cit., 144. Ma v. le giuste riflessioni critiche<br />
di Deluca, Sulla prova dei presupposti processuali, cit., 474 s.<br />
(19) Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, III<br />
ed., 1923, 738.<br />
Il Fallimento 3/2013 325
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
solo, cioè, quando le allegazioni delle parti (e, aggi<strong>un</strong>gerei,<br />
il complesso delle risultanze processuali)<br />
rendono per lo meno plausibile la sussistenza di <strong>un</strong><br />
ostacolo formale all’esame del merito. In caso contrario,<br />
l’esercizio del potere ufficioso risulterebbe illegittimo.<br />
D<strong>un</strong>que, delle due l’<strong>un</strong>a: se negli atti vi è già la<br />
prova della carenza del presupposto processuale positivo<br />
o dell’esistenza di quello negativo, il problema<br />
è risolto a monte, poiché il giudice - fermo restando<br />
il dovere da parte sua di provocare il contraddittorio<br />
(art. 101 c.p.c.) - ha quel che gli occorre<br />
per definire in rito la causa. In tale eventualità,<br />
il convenuto non è onerato di alc<strong>un</strong>a prova, poiché<br />
questa c’è già, edèl’attore ad avere interesse a fornire,<br />
se può, la prova contraria onde evitare la soccombenza.<br />
Invece, se negli atti non vi è la piena prova dell’impedimento<br />
processuale, ma le allegazioni delle parti<br />
giustificano in qualche modo il rilievo ufficioso,<br />
non par dubbio che la questione debba essere risolta<br />
tenendo conto della fondamentale regola di giudizio<br />
per cui è la carenza del presupposto processuale<br />
positivo o l’esistenza del presupposto processuale<br />
negativo a dover essere provata, e non già il contrario.<br />
Se ne deve dedurre che rilevare d’ufficio la questione<br />
relativa al presupposto processuale non vuol<br />
dire deciderla automaticamente in senso contrario<br />
all’attore che non provi l’infondatezza del dubbio<br />
del giudice, ma vuol dire solamente sollecitare le<br />
parti a dibattere la questione e a fornire gli elementi<br />
di convincimento che ciasc<strong>un</strong>a reputa a sé favorevoli;<br />
con l’avvertenza che, se al giudice non consti<br />
<strong>un</strong>a prova ragionevolmente piena dell’impedimento<br />
processuale, questo non potrà e non dovrà<br />
essere dichiarato. In definitiva, d<strong>un</strong>que, si torna alla<br />
regola che governa l’onere della prova in presenza<br />
dell’eccezione di parte: è pur sempre la parte interessata<br />
alla chiusura in rito del processo a dover fornire<br />
al giudice la prova dell’impedimento all’esame<br />
del merito.<br />
È però ragionevole ritenere che tale regola subisca<br />
qui qualche temperamento, connesso al potere del<br />
giudice di tener conto del comportamento processuale<br />
delle parti (art. 116, comma 2, c.p.c.) e della<br />
‘‘prossimità’’ della prova all’attore piuttosto che al<br />
convenuto. Infatti, l’inapplicabilità dell’art. 2697<br />
c.c. finisce per ampliare gli spazi nei quali il giudice<br />
può trarre elementi di convincimento dalla condotta<br />
processuale delle parti: così, se l’attore non fornisce<br />
al giudice quegli elementi di prova, che pure<br />
potrebbe produrre con molta più facilità dell’avversario,<br />
non mi pare azzardato pensare che il giudice<br />
possa da ciò solo trarre argomenti sufficienti per definire<br />
in rito in processo.<br />
4. L’onere di provare la tardività<br />
dell’opposizione allo stato passivo grava<br />
sul curatore<br />
Il riferimento al c.d. principio di prossimità della<br />
prova ci conduce al secondo dei motivi per i quali<br />
non può che essere il curatore eccipiente a provare<br />
la tardività dell’opposizione allo stato passivo, e<br />
non già il creditore opponente a provarne la tempestività.<br />
Come Cass. 6799/2012 ha opport<strong>un</strong>amente ricordato<br />
in motivazione, la dichiarazione d’incostituzionalità<br />
dell’art. 98 l.fall., a opera della sentenza ‘‘manipolativa<br />
additiva’’ n. 102/1986 del Giudice delle leggi<br />
(20), ha introdotto nel sistema la regola per cui la<br />
tempestività dell’opposizione allo stato passivo va valutata<br />
con riferimento (non già al deposito del decreto<br />
del giudice delegato, ma) alla ricezione della raccomandata<br />
con avviso di ricevimento con la quale il<br />
curatore dà notizia ai creditori esclusi o ammessi con<br />
riserva. Tale regola, peraltro, si trova oggi codificata<br />
nel nuovo art. 99 l.fall., chiarissimo nel far decorrere<br />
il termine di trenta giorni per impugnare lo stato<br />
passivo dalla com<strong>un</strong>icazione di cui all’art. 97 (21).<br />
Orbene, se il termine decorre dalla ricezione della<br />
com<strong>un</strong>icazione del curatore, è evidente che per stabilire<br />
se l’opposizione è tempestiva o no è decisivo<br />
l’avviso di ricevimento della raccomandata, a nulla<br />
rilevando la data di spedizione del plico raccomandato<br />
e neppure il timbro a data apposto sull’involucro.<br />
Sennonché, l’avviso di ricevimento è nella<br />
esclusiva disponibilità del curatore, cui viene restituito<br />
dal servizio postale, sicché è il curatore la sola<br />
parte a trovarsi nelle condizioni materiali di produrlo<br />
e dalla quale, d<strong>un</strong>que, ha senso pretenderne l’esibizione<br />
(22).<br />
Note:<br />
(20) Corte cost. 22 aprile 1986, n. 102, in questa Rivista, 1986,<br />
673, con nota di Lo Cascio, La corte costituzionale modifica il sistema<br />
normativo delle impugnazioni avverso lo stato passivo<br />
esecutivo.<br />
(21) Cfr. Impagnatiello, L’accertamento del passivo, cit., 217.<br />
(22) Questo è tanto più vero se si tiene conto dell’indirizzo, affermato<br />
dalla già citata Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, per il<br />
quale il curatore ha non soltanto l’onere di produrre l’avviso di ricevimento<br />
a fondamento dell’eccezione di tardività dell’opposizione,<br />
ma, prima ancora, l’obbligo di versarlo nel fascicolo della<br />
procedura fallimentare, fascicolo che il giudice dell’opposizione<br />
ha poi il potere-dovere di acquisire d’ufficio. Se ne può dedurre<br />
che, se l’avviso di ricevimento non è agli atti al momento della<br />
decisione del giudizio di opposizione, ciò è l’effetto di <strong>un</strong>a duplice<br />
negligenza del curatore.<br />
326 Il Fallimento 3/2013
Viceversa, se si facesse gravare sul creditore opponente<br />
la dimostrazione della tempestività dell’opposizione,<br />
lo si onererebbe di <strong>un</strong>a probatio davvero diabolica,<br />
essendo per lui praticamente impossibile procurarsi<br />
l’avviso di ricevimento. Il creditore opponente<br />
sarebbe lasciato così in balìa del curatore, vedendo<br />
irrimediabilmente leso il suo diritto alla difesa (23).<br />
In definitiva, la manifesta iniquità di qual<strong>un</strong>que diversa<br />
soluzione impone di concludere che, tanto se<br />
la tardività sia stata rilevata ex officio, quanto - a<br />
fortiori - se sia stata eccepita dal curatore, è quest’ultima<br />
la parte a cui carico devono ricadere il relativo<br />
onere probatorio e, per conseguenza, gli effetti della<br />
mancata prova. Si tratta della conclusione non solo<br />
più corretta sul piano formale e più equa su quello<br />
sostanziale, ma anche più utile dal p<strong>un</strong>to di vista<br />
pratico: basti riflettere sugli inconvenienti e sugli<br />
abusi cui si andrebbe incontro se si affermassel’idea<br />
che è sufficiente eccepire la tardività dell’opposizione<br />
per onerare il creditore della (pressoché impossibile)<br />
prova del rispetto dei termini.<br />
Un’ultima precisazione. È noto che, secondo <strong>un</strong><br />
consolidato insegnamento della giurisprudenza di<br />
legittimità, qualora il curatore abbia omesso d’inviare<br />
la raccomandata di cui all’art. 97 l.fall. il termine<br />
per impugnare è quello previsto dall’art. 327<br />
c.p.c., applicabile in via analogica in considerazione<br />
della natura impugnatoria dell’opposizione: sei mesi<br />
(prima della l. 69/2009, <strong>un</strong> anno) a far data dal de-<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
posito del decreto del giudice delegato (24). Esistendo<br />
<strong>un</strong> termine l<strong>un</strong>go decorrente ipso facto dal<br />
deposito del decreto, l’invio della raccomandata da<br />
parte del curatore costituisce, a ben vedere, <strong>un</strong> atto<br />
potestativo, equivalente negli effetti alla notificazione<br />
della sentenza di cui agli artt. 285 e 326<br />
c.p.c. La qual cosa, se da <strong>un</strong>a parte rafforza la convinzione<br />
che l’effetto acceleratorio del termine derivante<br />
dalla ricezione della raccomandata debba essere<br />
comprovato dal curatore che l’ha provocato e<br />
che intende avvalersene in giudizio, dall’altra induce<br />
a ritenere che ciò vale solo quando l’opposizione<br />
è stata proposta nei sei mesi dal deposito del decreto.<br />
Se, invece, dagli atti risulta che l’opposizione è<br />
stata proposta oltre tale termine, la data di ricezione<br />
della raccomandata non ha più alc<strong>un</strong>a rilevanza:<br />
con la duplice conseguenza che il curatore non è<br />
tenuto a produrre in giudizio alc<strong>un</strong>ché e che il giudice<br />
ha il potere-dovere di dichiarare d’ufficio l’inammissibilità<br />
dell’opposizione.<br />
Note:<br />
(23) Questa p<strong>un</strong>tualizzazione, inespressa da Cass. 4 maggio<br />
2012, n. 6799, in epigrafe, è invece nitidissima nella motivazione<br />
della precedente Cass. 7 settembre 2005, n. 17829.<br />
(24) Oltre alla già citata Cass. 7 settembre 2005, n. 17829, v.<br />
Cass. 21 aprile 1999, n. 3924, in Giust. civ., 1999, I, 2677; Cass.<br />
27 agosto 1990, n. 8763, in questa Rivista, 1991, 251. Nella giurisprudenza<br />
di merito, v. Trib. Catania 13 giugno 1998, in Foro<br />
it., 1998, I, 3010.<br />
Il Fallimento 3/2013 327
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Amministrazione straordinaria e gruppo di imprese<br />
Il procedimento di estensione<br />
dell’amministrazione<br />
straordinaria ad <strong>un</strong>’impresa<br />
del gruppo<br />
Corte d’Appello di Torino, 20 gennaio 2012 - Pres. Mario Griffey - Rel. Stalla - Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a. in a.s. c. Fallimento Fashion Network S.p.a. e altri<br />
Amministrazione straordinaria - Soggetti - Imprese di gruppo - Estensione del procedimento - Osservanza della struttura<br />
bifasica - Necessità - Sussistenza - Anticipazione della decisione - Accertamento dei presupposti - Preclusione<br />
(Artt. 3, 27, 80, 81 e 82 D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270)<br />
In tema di amministrazione straordinaria, la scansione procedimentale dettata per la procedura ‘‘madre’’ deve<br />
essere necessariamente rispettata anche nell’ambito del procedimento f<strong>un</strong>zionale all’estensione della procedura<br />
concorsuale ad <strong>un</strong>’impresa del gruppo, con la conseguenza che la valutazione circa i presupposti per pron<strong>un</strong>ciare<br />
l’apertura della procedura non può essere anticipata all’esito della prima fase giudiziale, la quale è<br />
f<strong>un</strong>zionale <strong>un</strong>icamente a verificare la sussistenza dello stato di insolvenza della impresa del gruppo e dei presupposti<br />
di collegamento richiesti dall’art. 81 D.Lgs. n. 270/1999.<br />
Fallimento - Dichiarazione - Sentenza - Reclamo - Presupposti per l’amministrazione straordinaria - Parziale accoglimento<br />
del reclamo - Restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale - Adozione dei provvedimenti conseguenti all’accertamento dello<br />
stato di insolvenza<br />
(Artt. 18 l.fall., 8 e 82 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, 353 e 354 c.p.c.)<br />
Nell’ipotesi in cui la Corte di Appello, in sede di reclamo ex artt. 18 l.fall. e 12 D.Lgs. 270/99, accerti l’insussistenza<br />
dei presupposti per dichiarare il fallimento di <strong>un</strong>a società, ravvisando al contrario i presupposti per ammettere<br />
la società insolvente alla procedura di amministrazione straordinaria, la restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />
dovrà essere disposta al solo fine di porre quest’ultimo organo in condizione di adottare tutti i conseguenti<br />
provvedimenti ex artt. 8 e 82 D.Lgs. 270/99, restando ferma la parte della sentenza con cui è stato accertato<br />
lo stato di insolvenza della Società.<br />
La Corte (omissis).<br />
Con sentenza n. 3044 dell’11 ottobre 2011, il Trib<strong>un</strong>ale<br />
di Torino: - respingeva l’istanza di estensione ex art. 81<br />
D.Lgs. 270/99 alla Fashion Network S.p.a. della procedura<br />
di amministrazione straordinaria della Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a.; - dichiarava, su istanza del Pubblico<br />
Ministero e della creditrice Siam Handels S.r.l., il<br />
fallimento della medesima; - disponeva l’esercizio provvisorio<br />
della gestione ex art. 104 legge fallimentare.<br />
Rilevava il Trib<strong>un</strong>ale che: - con decreto 25 gennaio<br />
2011, la Fashion Network S.p.a. (società avente sede in<br />
Settimo Torinese, ad oggetto la distribuzione retail multimarca<br />
di abbigliamento ed accessori tramite 15 outlet e<br />
91 p<strong>un</strong>ti vendita diretta disseminati in Italia, Svizzera ed<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
Austria) era stata ammessa al concordato preventivo in<br />
continuità di gestione, e sulla base di <strong>un</strong> piano di ristrutturazione<br />
che avrebbe dovuto consentirle il superamento<br />
delle gravi difficoltà finanziarie nelle quali si trovava; - il<br />
29 luglio 2011 i commissari giudiziali, verificata la situazione<br />
contabile ed amministrativa della medesima, avevano<br />
depositato la relazione ex articolo 173 l.fall. con la<br />
quale sollecitavano l’apertura del procedimento di revoca<br />
del concordato preventivo, stante la ‘‘conclamata<br />
non fattibilità del piano’’, nonché lo stato ‘‘non di semplice<br />
crisi ma di irreversibile insolvenza’’ della società<br />
proponente; - lo stesso 29 luglio 2011 la società debitrice<br />
aveva depositato atto di revoca della proposta concordataria,<br />
sostanzialmente riconoscendo il proprio stato di in-<br />
Il Fallimento 3/2013 329
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
solvenza irreversibile; - il 18 agosto 2011 il Trib<strong>un</strong>ale<br />
aveva revocato l’ammissione al concordato preventivo e<br />
fissato, per la stessa data ed ora, tanto l’udienza ex articolo<br />
15 legge fallimentare per l’esame delle istanze di fallimento<br />
presentate prima della ammissione al concordato<br />
preventivo, quanto l’udienza ex articoli 7 e 82 D.Lgs.<br />
270/99 sull’istanza di accertamento dei presupposti di<br />
estensione alla Fashion Network S.p.a. della procedura<br />
di amministrazione straordinaria alla quale era stata già<br />
ammessa (nel maggio 2010, a seguito di dichiarazione di<br />
insolvenza del Trib<strong>un</strong>ale di Reggio Emilia del 17 marzo<br />
2010) la controllante Mariella Burani Fashion Network<br />
S.p.a., nel frattempo presentata (nel parere favorevole<br />
del Ministro per lo Sviluppo Economico e nell’adesione<br />
della Società debitrice) dai Commissari straordinari di<br />
quest’ultima; - alla revoca del concordato preventivo doveva<br />
seguire, stante la pacifica ricorrenza dei presupposti<br />
di cui agli articoli 1 e 5 legge fallimentare, la dichiarazione<br />
di fallimento della Fashion Network s.p.a., così come<br />
richiesto dal Pubblico Ministero e dai creditori; - l’estensione<br />
alla debitrice della procedura di amministrazione<br />
straordinaria della Mariella Burani Fashion Network<br />
S.p.a. (controllante al 96,18% del capitale sociale) era<br />
preclusa dalla mancata allegazione da parte dei richiedenti<br />
commissari straordinari di concreti elementi volti<br />
a dimostrare che la gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />
nell’ambito del gruppo fosse idonea, così come richiesto<br />
dal combinato disposto degli articoli 81 e 27 D.Lgs. 270/<br />
99, ad agevolare, per i collegamenti di natura economica<br />
e produttiva esistenti tra le singole imprese, il raggi<strong>un</strong>gimento<br />
degli obiettivi della procedura, insiti nella conservazione<br />
dei valori produttivi e dei livelli occupazionali; -<br />
in particolare non sussistevano elementi, né questi potevano<br />
trarsi dal progetto presentato dai commissari della<br />
procedura madre ex art. 54 D.Lgs. 270/99, per ritenere<br />
che l’<strong>un</strong>ificazione delle procedure di insolvenza consentisse<br />
in concreto il recupero degli equilibri economici<br />
mediante sinergie produttive con la capogruppo (stante<br />
la modestia, nel 2010, degli acquisti infragruppo rispetto<br />
a quelli presso terzi), ed il reperimento delle risorse necessarie<br />
alla ricapitalizzazione (stante <strong>un</strong> fatturato della<br />
controllante, nel 2011, di appena E 4.800.000 circa);<br />
inoltre, nemmeno il programma ex art. 54 cit. di Mariella<br />
Burani Fashion Network S.p.a. prevedeva la dismissione<br />
della Fashion Network S.p.a. congi<strong>un</strong>tamente agli altri<br />
assets aziendali della capogruppo; - queste valutazioni<br />
sui presupposti di estensione della procedura di amministrazione<br />
straordinaria potevano e dovevano essere immediatamente<br />
rese dal Trib<strong>un</strong>ale, atteso (pag. 7) che<br />
«ragioni di economia processuale (oltre che di non duplicazione<br />
di costi professionali già elevati) impongono<br />
di non indugiare ulteriormente nell’apertura di <strong>un</strong> procedimento<br />
che demanderebbe a nuovi commissari giudiziali<br />
di porre in essere quella medesima attività diagnostica<br />
già espletata dai commissari giudiziali nel concordato<br />
preventivo»; tanto più considerando che dalla relazione<br />
presentata da questi ultimi ex art. 173 l.fall., risultava come,<br />
a causa delle perdite accumulate al 31 dicembre<br />
2010 (circa E 30 milioni), il patrimonio della Fashion<br />
Network S.p.a. fosse negativo, con conseguente necessità<br />
di assumere i provvedimenti ex articolo 2447 c.c.<br />
Con ricorso depositato il 26 ottobre 2011, i commissari<br />
della Mariella Burani Fashion Network S.p.a. in amministrazione<br />
straordinaria proponevano reclamo avverso<br />
tale sentenza ex articoli 18 legge fallimentare e 12 D.Lgs.<br />
270/99, sulla base dei seguenti motivi; 1. erronea interpretazione<br />
dell’articolo 81 D.Lgs. 270/99 e, in generale,<br />
del provvedimento di estensione della procedura di amministrazione<br />
straordinaria alle imprese del gruppo, poiché<br />
il Trib<strong>un</strong>ale non si era limitato alla dichiarazione<br />
dello stato di insolvenza della Fashion Network S.p.a.,<br />
ma aveva indebitamente anticipato <strong>un</strong>a valutazione (insussistenza<br />
dei presupposti di assoggettamento dell’impresa<br />
del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria<br />
della società madre) che doveva in realtà essere resa<br />
soltanto in <strong>un</strong>a fase successivo alla dichiarazione dello<br />
stato di insolvenza, ed in esito alla relazione del commissario<br />
giudiziale, del parere reso dal Ministero dello Sviluppo<br />
Economico e degli altri accertamenti eventualmente<br />
disposti ex art. 30 D.Lgs. 270/99: «il Trib<strong>un</strong>ale,<br />
in conclusione, <strong>un</strong>a volta accertato che Fashion Network<br />
S.p.a., per come inteso dagli articoli 80 e 81, primo<br />
comma, D.Lgs. 270/99, avrebbe dovuto dichiarare lo stato<br />
di insolvenza e nominare i commissari giudiziali, senza<br />
entrare nel merito della sussistenza dei requisiti per l’apertura<br />
dell’amministrazione straordinaria in capo a Fashion<br />
Network S.p.a., ai sensi dell’art. 81, secondo comma,<br />
D.Lgs. 270/99» (reclamo, pag. 12); 2 erronea valutazione<br />
di insussistenza delle condizioni di gestione <strong>un</strong>itaria<br />
delle insolvenze atteso lo stato di liquidazione di fatto<br />
in cui si trovava la Fashion Network S.p.a., dal momento<br />
che la ratio dell’articolo 81, D.Lgs. 270/99 era quella<br />
di «esaltare il principio di solidarietà tra le imprese del<br />
gruppo» ammettendo, in tale ottica, alla gestione <strong>un</strong>itaria<br />
anche le imprese del gruppo non più risanabili o in<br />
condizione ex art. 2447 c.c., sempre che ciò agevolasse<br />
gli obiettivi della procedura madre; né lo stato di ‘‘liquidazione<br />
di fatto’’ della Fashion Network S.p.a. era di per<br />
sé ostativo all’attuazione del programma di cessione dei<br />
complessi aziendali previsto dall’art. 27, lett. a), D.Lgs.<br />
270/99 per conseguire il recupero dell’equilibrio economico;<br />
3. erronea valutazione in ordine alla circostanza<br />
che il programma ex articolo 54, D.Lgs. 270/99 non prevedesse<br />
la dismissione congi<strong>un</strong>ta di Fashion Network<br />
S.p.a. con i restanti assets aziendali della Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a., dal momento che in tale programma<br />
(redatto quando la Fashion Network S.p.a. era<br />
ancora in bonis) veniva semplicemente detto che l’inclusione<br />
della Fashion Network S.p.a. nella cessione congi<strong>un</strong>ta<br />
(in alternativa alla sua cessione separata) rappresentava<br />
<strong>un</strong> profilo di convenienza suscettibile di essere<br />
valutato solo successivamente all’avvio del processo di<br />
vendita e sulla base delle offerte pervenute; 4. Illegittimo<br />
rigetto dell’istanza di estensione della procedura di amministrazione<br />
straordinaria in forza dell’asserita ‘‘mancata<br />
dimostrazione’’ da parte dei commissari ricorrenti della reversibilità<br />
della crisi della Fashion Network S.p.a., ovvero<br />
della opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria, nonostante<br />
che il procedimento per la dichiarazione dello stato di<br />
330 Il Fallimento 3/2013
insolvenza fosse volto alla tutela di interessi (di rilevanza<br />
pubblica) diversi da quelli dell’impresa, e giustificasse<br />
quindi l’esercizio di poteri inquisitori d’ufficio o, quantomeno,<br />
l’assegnazione ai ricorrenti di <strong>un</strong> termine per fornire<br />
la prova ritenuta mancante; 5. erronea affermazione<br />
circa il mancato emergere di motivi di opport<strong>un</strong>ità della<br />
gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza del gruppo Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a. (Aspetto peraltro suscettibile<br />
di essere riconsiderato dallo stesso Trib<strong>un</strong>ale investito<br />
della seconda fase del procedimento conseguente alla dichiarazione<br />
di insolvenza: v. sub 1), dal momento che:<br />
Fashion Network S.p.a. braccio outlet di Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a. non aveva possibilità di sopravvivere<br />
al di fuori del gruppo di appartenenza, in quanto<br />
rifornita pressoché esclusivamente dalla capogruppo (per<br />
circa il 25% degli ordini complessivamente evasi da quest’ultima),<br />
che era anche in grado di assisterla finanziariamente;<br />
la procedura fallimentare consentiva realizzi<br />
degli stock di magazzino a valori infinitesimali rispetto a<br />
quelli valorizzabili nella sinergia congi<strong>un</strong>ta, volta alla<br />
conservazione dell’avviamento ancora esistente; tale sinergia<br />
garantiva altresì <strong>un</strong>o degli scopi primari della procedura<br />
di amministrazione straordinaria, insito nel mantenimento<br />
dei livelli occupazionali.<br />
Tutto ciò premesso chiedeva la riforma della sentenza reclamata<br />
mediane revoca del fallimento e rimessione degli<br />
atti al Trib<strong>un</strong>ale per la dichiarazione di insolvenza della<br />
Fashion Network S.p.a. ai sensi del combinato disposto<br />
degli articoli 8, 81 primo comma e 82, D.Lgs. 270/99.<br />
Il curatore del fallimento Fashion Network S.p.a. si costituiva<br />
in giudizio per chiedere il rigetto del reclamo, assumendo<br />
che: - plurimi elementi deponevano per la scelta,<br />
da parte degli stessi commissari straordinari, della gestione<br />
separata e non <strong>un</strong>itaria delle insolvenze: la presentazione<br />
della proposta di concordato preventivo; la<br />
mancanza di indicazioni di gestione <strong>un</strong>itaria (in alternativa<br />
al risanamento endogeno della società) tanto nella<br />
relazione ex articolo 28, quanto del programma ex art.<br />
54 D.Lgs. 270/99; la mancata conversione in amministrazione<br />
straordinaria dei fallimenti dichiarati a carico<br />
di altre società del gruppo (anche questo significativo<br />
dell’obiettivo di gestione individualizzata delle insolvenze);<br />
- in <strong>un</strong>a situazione nella quale erano già evidenti<br />
l’impossibilità di recupero dell’equilibrio economico e l’inopport<strong>un</strong>ità<br />
di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze,<br />
ragioni di economia processuale e l’esigenza di non differire<br />
inutilmente i già evidenti esiti fallimentari della procedura<br />
deponevano nel senso che il Trib<strong>un</strong>ale dovesse<br />
vagliare, contestualmente all’accertamento dello stato di<br />
insolvenza, anche i presupposti per la dichiarazione immediata<br />
di fallimento; nella specie tanto più urgente in<br />
considerazione degli ingenti debiti prededucibili che erano<br />
sopraggi<strong>un</strong>ti nel corso della procedura di concordato<br />
preventivo (tanto che la pretesa di ulteriore differimento<br />
concretava <strong>un</strong>a vera e propria ipotesi di abuso del diritto<br />
nell’ambito del sistema concorsuale); - ness<strong>un</strong> elemento<br />
i commissari straordinari avevano dedotto, in particolare,<br />
sui benefici che la gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />
avrebbe arrecato alla procedura madre, dovendo il parametro<br />
della opport<strong>un</strong>ità essere misurato proprio alla luce<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
di quest’ultima procedura, così come desumibile anche<br />
dal principio di cui all’articolo 87 D.Lgs. 270/99 in forza<br />
del quale la chiusura o la conversione della procedura<br />
madre determinava l’automatica conversione in fallimento<br />
anche delle procedure delle società figlie; - i commissari<br />
straordinari difettavano finanche di interesse ad<br />
agire, poiché l’attuazione del piano di dismissione degli<br />
assets aziendali della Mariella Burani Fashion Network<br />
S.p.a. (eventualmente comprensivi della Fashion Network<br />
S.p.a.) doveva tassativamente compiersi entro <strong>un</strong><br />
termine legale (28 gennaio 2012 o, al massimo, 28 aprile<br />
2012 in presenza di motivata richiesta di proroga ex articolo<br />
66 D.Lgs. 270/99) evidentemente incompatibile<br />
con l’estensione a quest’ultima società della procedura di<br />
amministrazione straordinaria.<br />
Nel procedimento interveniva, con memoria 30 dicembre<br />
2011, il Pubblico Ministero presso il Trib<strong>un</strong>ale di<br />
Torino, il quale chiedeva il rigetto del reclamo deducendo<br />
che: - dal programma ex art. 54 D.Lgs. 270/99 risultava<br />
come i commissari straordinari della Mariella Burani<br />
Fashion Network S.p.a. avessero optato per la ristrutturazione<br />
e il risanamento separato della controllata Fashion<br />
Network S.p.a., trovandosi proprio in ciò il fondamento<br />
della presentazione della proposta di concordato<br />
preventivo di quest’ultima (di per sé implicante la gestione<br />
separata, non già <strong>un</strong>itaria, delle insolvenze); - la<br />
strategia da essi così intrapresa li aveva «posti al di fuori<br />
dell’ambito di applicazione del D.Lgs. 270/99», per ragioni<br />
sia formali (dal momento che la richiesta di concordato<br />
preventivo implicava rin<strong>un</strong>cia ad ottenere l’estensione<br />
della procedura di amministrazione straordinaria),<br />
sia sistematiche (atteso che l’amministrazione<br />
straordinaria doveva provvedere al recupero dell’equilibrio<br />
economico delle attività imprenditoriali secondo <strong>un</strong><br />
programma di cessione che doveva concludersi tassativamente<br />
entro l’aprile 2012 e, d<strong>un</strong>que, entro <strong>un</strong> termine<br />
incompatibile con la prospettiva di apertura di <strong>un</strong>a procedura<br />
di estensione); sia economiche (per il sopravvenire,<br />
in corso della procedura concordataria, di pesanti<br />
oneri prededucibili quantificati dal curatore in circa E<br />
4.290.000,00); - decisivo era poi il fatt che <strong>un</strong>a volta<br />
emersi, nel corso del concordato preventivo, atti di frode<br />
ex art. 173 legge fallimentare (come era accaduto nella<br />
specie, essendo stati evidenziati dati aziendali non veridici<br />
quanto a minor valore dei beni immateriali ed a minor<br />
fatturato rispetto ala volume preventivato), il Trib<strong>un</strong>ale<br />
non aveva altra strada che procedere alla dichiarazione<br />
di fallimento, infatti «dall’accertamento degli atti<br />
di frode non può che conseguire il procedimento ex art.<br />
173 legge fallimentare, non potendosi sostenere che da<br />
<strong>un</strong> contesto illecito cagionato dai ricorrenti stessi possano<br />
sottrarsi a piacimento evitando le conseguenze sanzionatorie<br />
di <strong>un</strong>a procedura liberamente scelta e coscientemente<br />
accettata (...)»; né era possibile che, da <strong>un</strong>a situazione<br />
illecita, si potesse «far derivare l’occasione per<br />
partecipare ai benefici connessi con la richiesta di ammissione<br />
ad altra procedura, mettendo nel nulla la gravità<br />
della situazione venutasi a creare per effetto dell’incauta<br />
iniziativa concordataria (...)».<br />
Nel corso dell’odierna udienza in camera di consiglio, le<br />
Il Fallimento 3/2013 331
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
parti illustravano ulteriormente le rispettive posizioni,<br />
insistendo infine nelle suriportate conclusioni.<br />
È accoglibile - con effetto assorbente di ogni altra censura<br />
- il primo motivo di reclamo.<br />
Prima di dare conto delle norme di cui al D.Lgs. 270/99<br />
qui principalmente rilevanti, occorre prendere in esame<br />
le eccezioni mosse dal Pubblico Ministero le quali, se intese<br />
nella loro portata più estrema, condurrebbero a radicalmente<br />
escludere l’applicabilità nel caso in esame di<br />
questa normativa.<br />
Una simile soluzione va tuttavia disattesa, osservandosi<br />
che: a. la sottoposizione della Mariella Burani Fashion<br />
Network S.p.a alla amministrazione straordinaria non<br />
escludeva che altre società con essa collegate, come la<br />
Fashion Network S.p.a., chiedessero di autonomamente<br />
accedere a procedure concorsuali diverse sulla base di<br />
considerazioni di opport<strong>un</strong>ità proprie di queste ultime<br />
(tanto più che, nel caso di specie, l’estensione della amministrazione<br />
straordinaria è stata richiesta non già dalla<br />
stessa Fashion Network S.p.a., ma dai commissari straordinari<br />
della controllante); b. la possibilità di dichiarare<br />
lo stato di insolvenza ai fini della amministrazione<br />
straordinaria in capo a società già ammesse al concordato<br />
preventivo è espressamente prevista dall’articolo 3, secondo<br />
comma, D.Lgs. 270/99; ravvisandosi in ciò <strong>un</strong>o<br />
dei tanti profili di preminenza normativa della procedura<br />
straordinaria rispetto alla concorsualità ordinaria di cui<br />
alla legge fallimentare; c. la valutazione sulla ammissione/non<br />
ammissione della società alla amministrazione<br />
straordinaria non è ispirata al principio dispositivo di<br />
parte, dovendo essere resa con riguardo ad interessi di<br />
ordine più generale e di rilevanza pubblicistica, d<strong>un</strong>que<br />
anche travalicando lo specifico interesse della società debitrice<br />
e della sua massa creditoria; d. tutte le considerazioni<br />
svolte dai commissari straordinari sulle future sorti<br />
di Fashion Network S.p.a., nella relazione ex articolo 28<br />
come nel programma ex articolo 54 D.Lgs. 270/99, muovevano<br />
dal presupposto che quest’ultima non si trovasse<br />
in stato di insolvenza, presupposto poi venuto meno soltanto<br />
a seguito del deposito della relazione dei commissari<br />
del concordato preventivo ex articolo 173 legge fallimentare<br />
(dopo la quale la stessa Fashion network S.p.a.<br />
ha revocato l’originaria proposta concordataria) e. la dichiarazione<br />
di fallimento ad esclusione della amministrazione<br />
straordinaria non può svolgere, nell’intendimento<br />
del legislatore, <strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione sanzionatoria per effetto<br />
dell’emergere di fatti di frode o a questi ultimi equiparati<br />
ex articolo 173 l.fall.: non soltanto perché involgente,<br />
come detto, interessi diversi ed ulteriori da quelli facenti<br />
capo alla specifica posizione della società debitrice, ma<br />
anche perché, in base alla nuova disciplina della legge<br />
fallimentare, nemmeno in ambito ordinario la presenza<br />
di tali fatti comporta la dichiarazione di fallimento, quale<br />
conseguenza automatica e necessaria; f. ciò è tanto<br />
più vero - a smentita dell’affermazione secondo cui l’assoggettamento<br />
alla amministrazione straordinaria potrebbe<br />
nella specie concretare <strong>un</strong> indebito ‘‘beneficio’’ per il<br />
debitore che si sia reso autore di condotte illecite - in<br />
considerazione del fato che le disposizioni penali della<br />
legge fallimentare si rendono applicabili anche a seguito<br />
e per effetto della dichiarazione dello stato di insolvenza<br />
ai sensi degli articoli 3 e 82 D.Lgs. 270/99, da intendersi<br />
a tal fine in toto «equiparata alla dichiarazione di fallimento»<br />
(art. 95, D.Lgs. 270/99).<br />
La disciplina di cui al D.Lgs. 270/99 - che va d<strong>un</strong>que ritenuta<br />
nella specie pienamente applicabile - muove da<br />
<strong>un</strong>’articolazione bifasica del procedimento di assoggettamento<br />
della grande impresa in stato di insolvenza all’amministrazione<br />
straordinaria.<br />
La prima fase implica, da <strong>un</strong> lato, l’accertamento della<br />
sussistenza in capo all’impresa dei requisiti dimensionali<br />
di cui all’articolo 2 e, dall’altro, l’accertamento dello stato<br />
di insolvenza.<br />
Con la sentenza che dichiara lo stato di insolvenza, il<br />
Trib<strong>un</strong>ale designa il giudice delegato per la procedura e<br />
nomina <strong>un</strong>o o tre commissari giudiziali in conformità all’indicazione<br />
del Ministro dell’Industria (salvo che quest’ultima<br />
non pervenga in tempo utile); impartisce quindi<br />
tutte le altre prescrizioni di cui all’articolo 8.<br />
A conclusione di questa prima fase (che può prevedere<br />
l’affidamento della gestione dell’impresa al commissario<br />
giudiziale), si apre <strong>un</strong>a seconda fase specificamente preposta<br />
all’apertura della procedura di amministrazione<br />
straordinaria.<br />
Tale esito presuppone la sussistenza di «concrete prospettive<br />
di recupero dell’equilibrio economico delle attività<br />
imprenditoriali» (Art. 27), mediante l’attuazione alternativa<br />
di <strong>un</strong> programma di cessione dei complessi<br />
aziendali, ovvero di <strong>un</strong> programma di ristrutturazione.<br />
Allo scopo di fornire al Trib<strong>un</strong>ale tutti i necessari elementi<br />
di valutazione, è previsto (at. 28.1) che il commissario<br />
giudiziale depositi in Cancelleria, entro 30 giorni<br />
dalla dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 8,<br />
<strong>un</strong>a relazione particolareggiata - oltre che sulle cause<br />
dello stato di insolvenza - sulla presenza delle condizioni<br />
di cui al citato articolo 27 ai fini dell’ammissione all’amministrazione<br />
straordinaria. L’apertura della procedura di<br />
amministrazione straordinaria è disposta dal Trib<strong>un</strong>ale<br />
entro 30 giorni dal deposito di tale relazione «tenuto<br />
conto del parere e delle osservazioni depositati, nonché<br />
degli ulteriori accertamenti eventualmente disposti»<br />
(art. 30). Nell’ipotesi in cui non sussistano i presupposti<br />
di cui all’articolo 27, il Trib<strong>un</strong>ale dichiara - non con<br />
sentenza, ma con decreto motivato puramente recettivo<br />
di <strong>un</strong>o stato di insolvenza già dichiarato - il fallimento.<br />
Con decreto che dichiara aperta la procedura di amministrazione<br />
straordinaria, il Trib<strong>un</strong>ale adotta o conferma i<br />
provvedimenti opport<strong>un</strong>i per la prosecuzione della gestione<br />
da parte del commissario giudiziale, fino a quando<br />
il Ministro dell’Industria non provveda alla nomina di<br />
<strong>un</strong>o o tre commissari straordinari (art. 38).<br />
Una simile strutturazione bipartita sottende <strong>un</strong>a ben determinata<br />
scelta di fondo del legislatore il quale, imponendo<br />
<strong>un</strong>a preliminare fase di diagnosi (quella immediatamente<br />
conseguente alla dichiarazione dello stato di insolvenza),<br />
ha concepito la sottoposizione della grande<br />
impresa insolvente all’amministrazione straordinaria in<br />
termini di mera eventualità; dal momento che l’effettiva<br />
apertura di tale procedura concorsuale potrà avvenire, in<br />
esito ad <strong>un</strong>a distinta e successiva valutazione da parte<br />
332 Il Fallimento 3/2013
del Trib<strong>un</strong>ale, solo nell’accertata presenza dei suddetti<br />
requisiti di riequilibrio economico.<br />
Sul piano procedurale - sempre assistito dall’obiettivo di<br />
apprestare pienezza di contradditorio e di tutela dei diritti<br />
soggettivi coinvolti - la novità più rilevante è senz’altro<br />
rappresentata dall’introduzione nell’ordinamento<br />
concorsuale di <strong>un</strong>a fase preventiva e necessaria di osservazione,<br />
secondo modelli di analisi dell’insolvenza mutuati<br />
da ordinamenti stranieri.<br />
Sul piano dei principi e delle scelte di politica legislativa<br />
nel trattamento della crisi di impresa, però, la novità rispetto<br />
alla disciplina previgente di cui alla c.d. ‘‘l. Prodi’’<br />
è ancor più eclatante; là dove si afferma, nel D.Lgs. 270/<br />
99, la regola per cui, in ipotesi di insolvenza, la grande<br />
impresa non va sempre e com<strong>un</strong>que sottoposta alla procedura<br />
di amministrazione straordinaria ad esclusione<br />
del fallimento, ben potendo (dovendo) invece essere dichiarata<br />
fallita allorché facciano difetto i presupposti<br />
dell’articolo 27.<br />
L’opzione tra amministrazione straordinaria e fallimento<br />
rappresenta anzi il momento focale dell’intera disciplina,<br />
dal momento che soltanto la comprovata sussistenza di<br />
concrete prospettive di riequilibrio economico mediante<br />
cessione dei complessi aziendali, ovvero ristrutturazione<br />
preordinata al risanamento - con quanto ne consegue in<br />
ordine al mantenimento dei livelli occupazionali ed alla<br />
valorizzazione degli assets aziendali - giustifica, nell’ottica<br />
del legislatore, la preferenza per la procedura conservativa.<br />
La quale, <strong>un</strong>a volta varata, esplica poi <strong>un</strong>’efficacia attrattiva<br />
ed assorbente nei confronti delle eventuali insolvenze<br />
‘‘satelliti’’.<br />
La scelta tra liquidazione fallimentare ed apertura dell’amministrazione<br />
straordinaria (pur in presenza di <strong>un</strong>a nozione<br />
normativa i insolvenza qualitativamente identica per<br />
entrambe le procedure) è in definitiva ritenuta a tal p<strong>un</strong>to<br />
cruciale nella disciplina delle grandi insolvenze - anche<br />
per le sue evidenti ripercussioni economiche, non soltanto<br />
sui diritti e le aspettative dei creditori ma anche sull’intero<br />
tessuto socioeconomico del Paese - che il legislatore del<br />
’99 ha voluto che ad essa il Trib<strong>un</strong>ale pervenga, app<strong>un</strong>to,<br />
soltanto in seconda battuta; cioè a dire, soltanto dopo essere<br />
entrato in possesso del patrimonio conoscitivo conseguente<br />
all’obbligatorio esaurimento della fase di studio e<br />
verifica dei concreti connotati della situazione aziendale.<br />
Nella stessa direzione si muove anche la disciplina volta<br />
a coordinare l’insolvenza della società dotata di requisiti<br />
dimensionali di cui all’articolo 2 D.Lgs. 279/99 (ammessa<br />
in quanto tale alla ‘‘procedura madre’’ di amministrazione<br />
straordinaria) con quella delle società collegate, e<br />
poste con essa in relazione di controllo attivo o passivo.<br />
In <strong>un</strong> contesto normativo ancora alieno - in nome dell’autonoma<br />
soggettività attribuita alle singole società<br />
collegare, e dell’<strong>un</strong>itarietà soltanto economica, non anche<br />
giuridica, del gruppo societario in quanto tale - dalla<br />
configurazione di <strong>un</strong> vero e proprio ‘‘gruppo insolvente’’,<br />
la scelta recepita con il D.Lgs. 270/99 è stata quella di<br />
concepire la possibilità che le imprese del gruppo siano<br />
ammesse anch’esse, se insolventi, all’amministrazione<br />
straordinaria, pur in carenza dei requisiti dimensionali di<br />
cui all’articolo 2.<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
Anche in tal caso, però, l’estensione della procedura-madre<br />
alle imprese del gruppo non è automatica poiché,<br />
<strong>un</strong>a volta accertato il rapporto controllo/collegamento<br />
(art. 80) con la società già ammessa alla procedura, è necessario<br />
appurare che tale estensione si giustifichi in ragione<br />
di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio<br />
economico delle attività imprenditoriali (secondo quanto<br />
già previsto, per la procedura madre, dall’articolo 27, ovvero<br />
«quando risulti com<strong>un</strong>que opport<strong>un</strong>a la gestione<br />
<strong>un</strong>itaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo, in quanto<br />
idonea ad agevolare, per i collegamenti di natura economica<br />
o produttiva esistenti tra le singole imprese, in raggi<strong>un</strong>gimento<br />
degli obiettivi della procedura» (art. 81).<br />
In maniera speculare a quanto previsto per l’apertura<br />
della procedura madre, anche l’accertamento dei presupposti<br />
per l’ammissione all’amministrazione straordinaria<br />
delle imprese del gruppo presuppone il rispetto della suddetta<br />
strutturazione bifasica del procedimento è infatti<br />
previsto (art. 82) che tali presupposti siano verificati dal<br />
Trib<strong>un</strong>ale territorialmente competente in base al luogo<br />
dove l’impresa del gruppo ha la propria sede principale,<br />
«con l’osservanza delle disposizioni del titolo II e del capo<br />
I del titolo III» (art. 82).<br />
Vale a dire, con l’osservanza delle disposizioni relative,<br />
app<strong>un</strong>to, all’accertamento dello stato di insolvenza (prima<br />
fase), ed all’apertura della procedura di amministrazione<br />
straordinaria (seconda fase).<br />
Il fatto che - al pari di quanto accade per l’impresa monade<br />
- anche l’estensione dell’amministrazione straordinaria<br />
alle imprese del gruppo presupponga <strong>un</strong> periodo di<br />
obbligatoria osservazione risponde all’esigenza sostanziale<br />
di valutare l’impatto, in termini di convenienza ed opport<strong>un</strong>ità<br />
economico produttiva, che tale estensione potrà<br />
sortire sulla procedura principale; ass<strong>un</strong>ta a metro di<br />
valutazione, e ritenuta ex lege a tal p<strong>un</strong>to preminente da<br />
prevedersi che, in caso di sua chiusura ovvero conversione<br />
in fallimento, si determini l’automatica conversione<br />
in fallimento anche della procedura di amministrazione<br />
straordinaria delle imprese del gruppo (art. 87).<br />
Ebbene il Trib<strong>un</strong>ale di Torino - nel provveidmento reclamato<br />
- ha non condivisbilmente ritenuto di poter<br />
obliterare la struttura bifasica in questione, pur <strong>un</strong>ivocamente<br />
evincibile dalla disciplina normativa finora sommariamente<br />
descritta.<br />
Chiamato dal D.Lgs. 270/99 ad accertare, in <strong>un</strong> primo<br />
momento, lo stato di insolvenza della Fashion Network<br />
s.p.a., il Trib<strong>un</strong>ale è andato ben oltre, gi<strong>un</strong>gendo a dichiarare<br />
il fallimento della società senza rispettare la cadenza<br />
procedurale che imponeva di (eventualmente)<br />
gi<strong>un</strong>gere ad <strong>un</strong>a simile conclusione solo in esito alla fase<br />
di osservazione ex art. 81 e 82 cit.<br />
Dopo aver dato atto (sent. p. 4) che, senza dubbio, l’amministrazione<br />
straordinaria doveva «prevalere sul fallimento<br />
in considerazione delle finalità conservative dell’istituto,<br />
che ha f<strong>un</strong>zione non soltanto liquidatoria dell’attivo<br />
della società insolvente nell’interesse esclusivo<br />
dei creditori, ma tende prima di tutto alla salvaguardia<br />
del patrimonio produttivo espresso dall’impresa e al<br />
mantenimento dei livelli occupazionali (...)», e che era<br />
nella specie pacifico il presupposto collegamento societa-<br />
Il Fallimento 3/2013 333
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
rio (controllo al 96,18%) necessario per l’attrazione della<br />
Fashion Network S.p.a. nella procedura conservativa<br />
della capogruppo, il primo giudice ha travalicato il thema<br />
decidendum dichiarando senz’altro il fallimento della società<br />
(in alternativa alla sua sottoposizione alla amministrazione<br />
straordinaria).<br />
Tale soluzione è stata dichiaratamente ispirata da valutazioni<br />
di economia i costi professionali e di tempi processuali,<br />
dal momento che il differimento della pron<strong>un</strong>cia<br />
sui presupposti di estensione dell’amministrazione straordinaria<br />
alla Fashion Netwok S.p.a. avrebbe all<strong>un</strong>gato i<br />
tempi di trattamento dell’insolvenza, senza al contempo<br />
portare alc<strong>un</strong> ‘‘valore aggi<strong>un</strong>to’’ di tipo conoscitivo; posto<br />
che tutti gli elementi eventualmente acquisibili sulla<br />
base della relazione dei commissari giudiziali nominati ex<br />
articolo 8 D.Lgs. 270/99 si trovavano in realtà già ali atti<br />
del giudizio, perché forniti dai commissari giudiziali del<br />
concordato preventivo. Sicché è apparso al Trib<strong>un</strong>ale<br />
inutilmente dilatorio (<strong>un</strong>a vera e propria ‘‘perdita di<br />
tempo’’ pregiudizievole alle ragioni creditori) limitarsi alla<br />
dichiarazione dello stato di insolvenza senza contestualmente<br />
rilevare anche la mancanza dei presupposti<br />
dell’ammissione della Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />
straordinaria, stante «quella medesima attività<br />
diagnostica già espletata dai commissari giudiziali nel<br />
concordato preventivo» (ivi, pag. 7).<br />
L<strong>un</strong>gi dall’essere affetta da sterile formalismo, o peggio,<br />
da concretare <strong>un</strong> vero e proprio abuso del diritto, la censura<br />
oggi mossa dalla reclamante mira a ripristinare <strong>un</strong><br />
equilibrio normativo che, nel riaffermare la necessaria<br />
osservanza delle forme (garanzie) procedimentali, è ispirato,<br />
come si è anticipato, al perseguimento di valori<br />
fondanti e coessenziali all’intera disciplina dell’amministrazione<br />
straordinaria di cui al D.Lgs. 270/99.<br />
Basterà in proposito considerare, a sostengo della insopprimibilità<br />
dell’articolazione bifasica, pur in presenza degli<br />
elementi di conoscenza qui già in possesso del Trib<strong>un</strong>ale,<br />
che: a. la relazione redatta ex articolo 173 l.fall. dai<br />
commissari del concordato preventivo si ispira, nel giudizio<br />
di fattibilità della proposta concordataria e nella<br />
eventuale emersione di atti di frode, a finalità del tutto<br />
differenti da quella redatta ex articolo 28 D.Lgs. 270/99,<br />
viceversa incentrata sull’esistenza delel condizioni di recupero<br />
dell’equilibrio economico mediante l’attuazione<br />
di <strong>un</strong> programma di cessione ovvero di <strong>un</strong> programma di<br />
ristrutturazione nonché, nel caso di presa di gruppo qual<br />
è la Fashion Network S.p.a., sull’esistenza delle condizioni<br />
di opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />
all’interno del gruppo stesso; b. a sua volta quest’ultimo<br />
parametro deve trovare il proprio baricentro, come si è<br />
detto (e come implicitamente riconosce anche il Trib<strong>un</strong>ale<br />
là dove ribadisce la prevalenza dell’amministrazione<br />
straordinaria sul fallimento), nella convenienza considerata<br />
dl p<strong>un</strong>to di vista della società ammessa alla ‘‘procedura<br />
madre’’ di amministrazione straordinaria; vale a dire,<br />
in <strong>un</strong>’ottica del tutto avulsa da quella della non fattibilità<br />
della proposta concordataria; c. le persone fisiche<br />
dei commissari giudiziali del concordato preventivo che<br />
hanno reso tale valutazione non si identificano nemmeno<br />
necessariamente in quelle dei commissari giudiziali<br />
della ‘‘fase di osservazione’’, la cui designazione è tra l’altro<br />
assoggettata all’indicazione del Ministro dell’Industria;<br />
d. al fine di soppesare tutte le variabili e gli interessi<br />
in campo, le fonti di convincimento del Trib<strong>un</strong>ale in<br />
sede di apertura della procedura di amministrazione<br />
straordinaria debbono essere (v. art. 29 D.Lgs. 270/99)<br />
di eterogenea e composizione, in quanto involgenti anche<br />
il parere ministeriale (successivo, non anteriore, alla<br />
relazione ex art. 28), nonché le osservazioni scritte dei<br />
creditori e di ‘‘qualsiasi interessato’’; da depositarsi in<br />
cancelleria nel termine di 10 giorni dall’affissione dell’avviso<br />
di deposito della relazione (forma di pubblicità<br />
non prevista per la relazione dei commissari nel concordato<br />
preventivo); e. la ritenuta opport<strong>un</strong>ità di garantire<br />
l’esercizio provvisorio dell’impresa ex art. 104 l.fall. non<br />
presupponeva affatto l’immediata dichiarazione di fallimento,<br />
dal momento che istituto del tutto analogo è<br />
previsto, a seguito della dichiarazione dello stato di insolvenza,<br />
dall’art. 19 D.Lgs. 270/99; f. il richiamo alle<br />
(indubbie) esigenze di concentrazione, speditezza ed economia<br />
nell’interesse dei creditori non è tale da annichilire<br />
<strong>un</strong> iter procedurale che il legislatore ha voluto articolato,<br />
per le già svolte ragioni, non soltanto nell’interesse<br />
di questi ultimi, ma anche (e soprattutto) a garanzia<br />
del perseguimento di finalità conservative di più generale<br />
e preminente portata.<br />
Sotto quest’ultimo aspetto, va ancora osservato che la<br />
mancanza di tempi tecnici idonei a consentire l’attuazione<br />
di <strong>un</strong> programma di dismissione congi<strong>un</strong>ta di Fashion<br />
Network S.p.a. in <strong>un</strong>a con le componenti aziendali<br />
della Mariella Burani Fashion Network S.p.a. (dedotta<br />
dal Fallimento resistente a sostegno di <strong>un</strong>a radicale eccezione<br />
di carenza di interesse ad agire in capo ai commissari<br />
straordinari di quest’ultima) non pare possa essere<br />
di per sé posta a carico della stessa parte che tale differimento<br />
abbia dovuto subire in forza di <strong>un</strong> provvedimento<br />
illegittimo; tanto più considerando che l’istanza<br />
di ammissione di Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />
straordinaria è stata proposta dai commissari<br />
straordinari il 18 agosto 2001, vale a dire appena tre<br />
giorni dopo il deposito della relazione ex art. 173 l.fall.<br />
dalla quale risultavano la non fattibilità della proposta<br />
concordataria e lo stato di insolvenza della società controllata.<br />
Né il Trib<strong>un</strong>ale ha motivato il diniego dell’amministrazione<br />
straordinaria per ragioni specificamente riconducibili<br />
alla tempistica di esecuzione del programma<br />
di cessione. Tutto ciò pare più che sufficiente all’accoglimento<br />
del reclamo.<br />
Per la verità, nel presente procedimento si è svolto <strong>un</strong><br />
aspro contraddittorio tra le parti anche sul ‘‘merito’’ della<br />
valutazione offerta dei primi giudici; essendosi altresì<br />
negato dai commissari straordinari che, contrariamente a<br />
quanto affermato dal Trib<strong>un</strong>ale, vi fosse nella specie evidenza<br />
dei presupposti di inopport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione<br />
<strong>un</strong>itaria delle insolvenze. A ben vedere, si tratta però di<br />
argomenti resi del tutto ininfluenti dall’assorbente rilievo<br />
della violazione procedurale.<br />
Si asterrà pertanto questa Corte di Appello dal prendere<br />
posizione su tali profili contenutistici, proprio perché del<br />
tutto estranei ad <strong>un</strong>a fase di giudizio destinata a conclu-<br />
334 Il Fallimento 3/2013
dersi naturalmente con la (sola) dichiarazione di insolvenza<br />
della Fashion Network S.p.a.<br />
Ciò non esime tuttavia dallo svolgimento di <strong>un</strong>’ulteriore<br />
considerazione - perché non di merito, ma di impostazione<br />
logica e sistematica a sua volta foriera di distorte conseguenze<br />
- volta ad evidenziare come, in realtà, il Trib<strong>un</strong>ale<br />
abbia ecceduto, nell’emettere <strong>un</strong>a decisione contestuale<br />
e concentrata, altresì i limiti del thema probandum.<br />
Traendone importante fonte di convincimento circa la<br />
sussistenza nella specie dei presupposti di gestione <strong>un</strong>itaria<br />
delle insolvenze, il primo giudice ha infatti rimarcato<br />
la genericità degli elementi dimostrativi sotto tale profilo<br />
allegati dai commissari straordinari, senza con ciò tenere<br />
in debito conto che costoro ben potevano fare affidamento<br />
sul fatto che l’opport<strong>un</strong>ità di gestione <strong>un</strong>itaria<br />
delle insolvenze (ancorché da essi illustrato già nel ricorso<br />
ex articolo 81 D.Lgs. 270/99 nella prospettiva della<br />
ammissione finale di Fashion Network S.p.a. all’amministrazione<br />
straordinaria) trovasse poi opport<strong>un</strong>o approfondimento<br />
istruttorio soltanto successivamente alla dichiarazione<br />
di insolvenza, ed in esito alla relazione a ciò specificamente<br />
dedicata, nella seconda fase procedurale, dal<br />
commissario designato ex artt. 8-82 D.Lgs. 270/99.<br />
Tutto ciò posto, sussiste il problema, non specificamente<br />
disciplinato dalla legge - della sorte della procedura a seguito<br />
dell’accoglimento del presente reclamo.<br />
I commissari straordinari hanno senz’altro chiesto la revoca<br />
della sentenza di fallimento e la restituzione degli<br />
atti al Trib<strong>un</strong>ale di Torino per la dichiarazione ex novo<br />
di insolvenza ex articoli 8, 81 ed 82 D.Lgs. 270/99.<br />
In realtà ness<strong>un</strong>a delle norme invocate, negli atti di causa<br />
e nel corso della discussione, a sostegno di tale soluzione<br />
pare attagliarsi al caso.<br />
Non l’articolo 12 D.Lgs. 270/99, trattandosi di norma<br />
(speculare all’art. 22 l.fall.) che presuppone proprio il<br />
contrario di quanto è accaduto nella specie, vale a dire<br />
l’originario rigetto del ricorso per la dichiarazione dello<br />
stato di insolvenza e, d<strong>un</strong>que, <strong>un</strong>a situazione nella quale<br />
il debitore non ha mai cessato di essere in bonis; ma<br />
nemmeno l’ultimo comma dell’articolo 33 (invece posto<br />
a fondamento della restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />
da parte della Corte di Appello di Roma nella sentenza<br />
n. 3360 del 25 luglio 2011 qui allegata dalla parte reclamante).<br />
Si consideri infatti che quest’ultima disposizione<br />
presuppone l’emanazione del decreto di apertura dell’amministrazione<br />
straordinaria ovvero di dichiarazione di<br />
fallimento in esito alla ‘‘seconda fase’’ di giudizio e, d<strong>un</strong>que,<br />
allorquando la dichiarazione di insolvenza risulti essere<br />
stata correttamente posta a fondamento dell’apertura<br />
della fase di osservazione.<br />
Tanto è vero che, in base ad essa, la rimessione d’ufficio<br />
degli atti al Trib<strong>un</strong>ale deve dalla Corte di Appello essere<br />
disposta non già per la dichiarazione dello stato di insolvenza,<br />
ma per l’adozione dei provvedimenti previsti dagli<br />
articoli 30, 31 e 32 (vale a dire, alternativamente, per<br />
l’apertura dell’amministrazione straordinaria o per la dichiarazione<br />
di fallimento).<br />
Quanto all’art. 35 (norma simmetrica all’articolo 11),<br />
vari elementi letterali e sistematici inducono a ritenerne<br />
(ancorché tale disposizione sia formalmente ricompresa<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
nel rinvio operato dall’articolo 82) l’inapplicabilità ella<br />
presente fattispecie, atteso che: - nel caso in questione si<br />
verte non di conversione ma, se mai, di estensione o attrazione<br />
di procedure; - il permanere (in via eccezionale<br />
e d<strong>un</strong>que di stretta interpretazione) degli effetti della dichiarazione<br />
di fallimento fin visto il giudicato sul reclamo<br />
ex articolo 18 legge fallimentare presuppone che si<br />
controverta <strong>un</strong>icamente della sussistenza o insussistenza,<br />
nella impresa fallita, dei requisiti dimensionali di cui all’articolo<br />
2; vale a dire, di <strong>un</strong> aspetto estraneo all’attrazione<br />
delle imprese del gruppo alla procedura-madre di<br />
amministrazione straordinaria e, com<strong>un</strong>que, del tutto pacifico<br />
nel caso di specie; - nel caso di estensione della<br />
procedura di amministrazione straordinaria alle imprese<br />
del gruppo, la permanenza della sentenza dichiarativa di<br />
fallimento fin visto il suddetto giudicato finirebbe di fatto<br />
con l’intralciare, se non addirittura frustrare, (contravvenendo<br />
agli obiettivi pratici perseguiti dal legislatore)<br />
l’attuazione di <strong>un</strong> programma di cessione comprensivo<br />
dell’azienda in fallimento, per gi<strong>un</strong>ta con l’affidamento<br />
al curatore di valutare <strong>un</strong> aspetto (la convenienza della<br />
gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze) che, per le già svolte<br />
considerazioni, dovrebbe in realtà essere valutato dai<br />
commissari straordinari della procedura-madre, in quanto<br />
titolari del ‘‘p<strong>un</strong>to di vista’’ privilegiato ex lege.<br />
Quanto infine, all’articolo 84, si tratta di norma effettivamente<br />
pertinente all’estensione dell’amministrazione<br />
straordinaria alle imprese del gruppo, ma anch’essa operante<br />
in <strong>un</strong> contesto diverso dal presente; nel quale il<br />
decreto che ha dichiarato aperta la procedura madre della<br />
Mariella Burani Fashion Network S.p.a. è stato emesso<br />
prima - non dopo - la sentenza di fallimento della<br />
Fashion Network S.p.a., con conseguente esclusione di<br />
<strong>un</strong> vero e proprio problema di conversione del fallimento<br />
in amministrazione straordinaria (essendo, l’opzione<br />
tra le due procedure, l’oggetto specifico di <strong>un</strong>a fase di<br />
giudizio qui non ancora espletata).<br />
In <strong>un</strong> tale quadro normativo si ritiene di dover richiamare<br />
due considerazioni di ordine generale idonee a f<strong>un</strong>gere<br />
da linee guida nel caso specifico.<br />
La prima è che nell’ordinamento concorsuale è nitidamente<br />
individuabile <strong>un</strong> principio (applicato anche alla<br />
problematica, contigua alla presente, della consecuzione<br />
di procedure) di conservazione e continuità degli effetti<br />
della dichiarazione dello stato di insolvenza; principio<br />
tanto più significativo in <strong>un</strong> contesto nel quale, come<br />
nel presente, i presupposti dello stato di insolvenza (come<br />
si è anticipato, normativamente identici tanto nell’amministrazione<br />
straordinaria quanto nel fallimento)<br />
sono del tutto pacifici e, in quanto tali, estranei ai motivi<br />
di impugnazione della sentenza del Trib<strong>un</strong>ale di Torino.<br />
Tale sentenza è stata infatti censurata soltanto sotto<br />
il profilo dell’adozione, proprio sullo scontato presupposto<br />
dello stato di insolvenza, di <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />
‘‘sbagliata’’ perché insuscettibile di essere aperta<br />
‘‘in quel momento’’ e sulla base di ‘‘quei dati conoscitivi’’.<br />
Sicché, in <strong>un</strong> simile contesto, non potrebbe trovare<br />
ragionevole giustificazione - attese anche le vaste ripercussioni<br />
che ne scaturirebbero in ordine ad aspetti derivativi<br />
essenziali ai fini del concorso quali, ad esempio:<br />
Il Fallimento 3/2013 335
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
l’inefficacia/inopponibilità alla massa di determinati atti<br />
di disposizione patrimoniale; la decorrenza dei termini<br />
per l’eventuale proposizione di azioni revocatorie; l’accertamento<br />
delle responsabilità penali - la rimessione<br />
‘‘in bonis’’ - seppur temporanea - di <strong>un</strong> debitore che si<br />
trova in stato di insolvenza che ha già trovato riscontro<br />
giudiziale non contestato e, d<strong>un</strong>que, ormai irrevocabile.<br />
La seconda (mutuata dalla disciplina generale della nullità<br />
dell’atto processuale ex artt. 159-162 c.p.c.) è che<br />
l’emersione di <strong>un</strong> vizio procedimentale deve di norma<br />
indurre la restituzione del procedimento stesso alla fase<br />
in cui il vizio si è verificato, così da permettere, in sede<br />
di rinnovazione dell’atto viziato, il ripristino del corretto<br />
iter. Ora, nella presente fattispecie, il reclamo viene accolto<br />
per ragioni non di merito, ma - app<strong>un</strong>to - di ordine<br />
puramente formale. Da ciò consegue che la richiesta<br />
retrocessione dovrà sì avvenire (mediante la restituzione<br />
degli atti al Trib<strong>un</strong>ale) ma al solo scopo di far ripartire il<br />
procedimento dal momento in cui si è verificato l’errore;<br />
qui rilevato con <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia di tipo rescindente parziale.<br />
Errore che non è affatto consistito nella dichiarazione<br />
dello stato di insolvenza, ma nell’aver individuato<br />
in tale stato i presupposti per la immediata apertura del<br />
fallimento, piuttosto che per l’instaurazione della fase<br />
prodromica di osservazione (segnata anch’essa da pregnanti<br />
connotati di concorsualità).<br />
In definitiva il nucleo sostanziale implicito della sentenza<br />
di fallimento - vale a dire la dichiarazione dello stato<br />
di insolvenza - deve restare fermo e la restituzione degli<br />
atti al Trib<strong>un</strong>ale dovrà essere disposta al solo fine di porre<br />
quest’ultimo in condizione di adottare tutti i conseguenti<br />
provvedimenti ex articoli 8-82 D.Lgs. 270/99 (a<br />
cominciare dalla nomina dei commissari giudiziali per le<br />
attività e le valutazioni di loro competenza).<br />
(Omissis).<br />
Sul carattere necessario ed inderogabile della struttura bifasica<br />
che caratterizza l’estensione della procedura<br />
di amministrazione straordinaria<br />
di Filippo Ghignone *<br />
La Corte di Appello di Torino, per il tramite di <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia che merita di essere integralmente condivisa, conferma<br />
il carattere inderogabile della struttura bifasica del procedimento di estensione della procedura di amministrazione<br />
straordinaria alle imprese insolventi del gruppo, ponendo in luce alc<strong>un</strong>i delicati aspetti interpretativi.<br />
1. Breve premessa in p<strong>un</strong>to di fatto<br />
e delimitazione del tema di indagine<br />
La vicenda processuale da cui trae origine l’articolata<br />
pron<strong>un</strong>cia in epigrafe rappresenta l’epilogo del<br />
travagliato percorso di ristrutturazione affrontato da<br />
<strong>un</strong>a società facente parte di <strong>un</strong> noto gruppo operante<br />
nel settore della moda.<br />
In p<strong>un</strong>to di fatto è qui sufficiente rilevare che la società<br />
in stato di crisi - dichiarata fallita dal Trib<strong>un</strong>ale<br />
- era stata ammessa alla procedura di concordato<br />
preventivo sulla base di <strong>un</strong> piano in continuità<br />
nella prospettiva di bloccare le istanze di fallimento<br />
già formulate nei confronti della stessa dal<br />
Pubblico Ministero e dai creditori.<br />
Dopo pochi mesi dalla ammissione alla procedura<br />
di concordato preventivo, i commissari giudiziali,<br />
verificata la situazione contabile ed amministrativa<br />
della società, sollecitavano l’apertura del procedimento<br />
di revoca dell’ammissione al concordato ai<br />
sensi dell’articolo 173 l.fall.<br />
La medesima conclusione veniva fatta propria dalla<br />
stessa società debitrice, la quale, preso atto dell’impossibilità<br />
di adempiere le obbligazioni concordata-<br />
rie, formulava in pari data istanza di revoca della<br />
proposta concordataria.<br />
Medio tempore i commissari straordinari della società<br />
controllante, ammessa alla procedura di amministrazione<br />
straordinaria ai sensi del D.Lgs. 270/1999,<br />
depositavano <strong>un</strong>’istanza di estensione della procedura<br />
di amministrazione straordinaria nei confronti<br />
della controllata, ormai divenuta insolvente.<br />
Il Trib<strong>un</strong>ale torinese, <strong>un</strong>a volta revocata l’ammissione<br />
alla procedura di concordato preventivo, fissava<br />
per il medesimo giorno ed ora sia l’udienza ex<br />
art. 15 l.fall. ai fini dell’esame delle istanze di fallimento<br />
depositate prima dell’apertura della procedura<br />
di concordato preventivo dal Pubblico Ministero<br />
e dai creditori della società, sia l’udienza, f<strong>un</strong>zionale<br />
all’esame dell’istanza di estensione della procedura<br />
di amministrazione straordinaria.<br />
Ad esito della citata udienza, il Trib<strong>un</strong>ale, muovendo<br />
dall’ass<strong>un</strong>to che l’esistenza dei presupposti di<br />
estensione ex art. 27 D.Lgs. n. 270/1999 potesse e<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
336 Il Fallimento 3/2013
dovesse essere immediatamente vagliata dallo stesso<br />
organo giudiziario sin dalla prima fase giudiziale, dichiarava<br />
il fallimento della società.<br />
In particolare, l’assenza dei presupposti per pron<strong>un</strong>ciare<br />
l’apertura della procedura veniva ravvisata dal<br />
Trib<strong>un</strong>ale in considerazione della mancata allegazione<br />
da parte dei Commissari straordinari di concreti<br />
elementi volti a dimostrare la sussistenza dei<br />
presupposti richiesti dall’art. 82 D.Lgs. n. 270/9 e<br />
del mancato inserimento nel programma ex art. 54<br />
D.Lgs. n. 270/99 predisposto dai Commissari<br />
Straordinari della contestuale dismissione della<br />
controllata <strong>un</strong>itamente agli altri assets del gruppo.<br />
Precisava inoltre il Trib<strong>un</strong>ale che ragioni di economia<br />
processuale inducevano a non rinviare ulteriormente<br />
l’apertura di <strong>un</strong> procedimento che avrebbe<br />
demandato ai designandi commissari giudiziali di<br />
porre in essere la medesima attività diagnostica già<br />
espletata dai commissari giudiziali del concordato<br />
preventivo.<br />
Tale decisione veniva impugnata dai Commissari<br />
Straordinari della controllante sulla base di molteplici<br />
argomenti e parzialmente riformata dalla Corte<br />
di Appello piemontese nella pron<strong>un</strong>cia - di cui si<br />
condivide il contenuto - che qui si commenta.<br />
Molteplici sono d<strong>un</strong>que gli sp<strong>un</strong>ti di riflessione offerti<br />
dalla pron<strong>un</strong>cia della Corte di Appello di Torino<br />
ed in generale dalla vicenda processuale che<br />
paiono meritevoli di approfondimento.<br />
2. Il contesto normativo: cenni<br />
sulla struttura bifasica del procedimento<br />
di estensione della amministrazione<br />
straordinaria alle imprese del gruppo<br />
La disciplina della estensione della amministrazione<br />
straordinaria alle imprese del gruppo dettata dagli<br />
artt. 80-87 del D.Lgs. n. 270/1999 (1), riprendendo<br />
il quadro normativo già tracciato dalla l. 3 aprile<br />
1979 n. 95 (c.d. legge Prodi), interviene sulle norme<br />
della procedura straordinaria nel contesto dei<br />
gruppi di impresa, sancendo - tra l’altro - l’assoggettabilità<br />
alla procedura delle imprese facenti parte di<br />
<strong>un</strong> gruppo anche in assenza dei necessari requisiti<br />
dimensionali precisati dall’art. 2, D.Lgs. 270/1999.<br />
Diversamente da quanto previsto dalla c.d. legge<br />
Prodi, che prevedeva meccanismi di estensione<br />
automatica della procedura di amministrazione<br />
straordinaria alle imprese del gruppo (2), la disciplina<br />
dettata dal D.Lgs. 270/1999, nel definire i criteri<br />
di individuazione delle imprese del gruppo e nel<br />
confermare la necessità dello stato di insolvenza in<br />
capo alla singola società, richiede la presenza di due<br />
ulteriori condizioni alternative.<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
È infatti necessario accertare che ciasc<strong>un</strong>a impresa<br />
del gruppo presenti concrete prospettive di recupero<br />
dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali,<br />
ovvero che sussista - come prospettato nel caso di<br />
specie - l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />
in vista di collegamenti economici e produttivi<br />
tra le singole imprese che consentano il raggi<strong>un</strong>gimento<br />
degli obiettivi della procedura madre (3).<br />
La ratio seguita dal legislatore nel formulare tale<br />
previsione è rappresentata dall’esigenza di consentire,<br />
nella logica dei rapporti all’interno del gruppo,<br />
la gestione <strong>un</strong>itaria delle imprese a questo appartenenti,<br />
indipendentemente dalle dimensioni delle<br />
imprese controllate (4).<br />
È d<strong>un</strong>que in tale contesto che il primo comma dell’art.<br />
82 D.Lgs. 270/1999 statuisce che «l’accertamento<br />
dei presupposti e delle condizioni per l’ammissione<br />
alla procedura di amministrazione straordinaria<br />
dell’impresa del gruppo è effettuato dal trib<strong>un</strong>ale<br />
del luogo in cui essa ha la sede principale con<br />
l’osservanza delle disposizioni del titolo II e del capo<br />
I del titolo III».<br />
Sotto <strong>un</strong> profilo strettamente procedimentale, la<br />
norma effettua <strong>un</strong> esplicito riferimento alle disposi-<br />
Note:<br />
(1) G. Alessi, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />
insolventi, Milano, 2000, 97 ss.; C. Costa-A. Pappalardo, Amministrazione<br />
straordinaria e gruppo di imprese, in C. Costa (a<br />
cura di), L’amministrazione straordinaria delle grani imprese in<br />
stato di insolvenza, Milano, 2008, 667 ss.; M.A. De Lucia, La<br />
procedura <strong>un</strong>itaria anticipata del caso Cirio, inDir. fall., 2005,<br />
621; A. Di Majo, Impresa di gruppo e attrazione nell’amministrazione<br />
straordinaria, in questa Rivista, 2008, 218;M. Fabiani, Diritto<br />
fallimentare. Un profilo organico, Torino, 2011, 779 ss.; V. Zanichelli,<br />
L’amministrazione straordinaria, in G. Fauceglia-L. Panzani,<br />
(diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 2009,<br />
Milano, 2066 ss.; G. Scognamiglio, Gruppi di imprese e procedure<br />
concorsuali, inGiur. comm., 2008, 1091 ss.; F. Innocenti,<br />
Osservazioni in tema di amministrazione straordinaria di gruppo,<br />
in Giur. merito, 2004, 687; A. Pavone La Rosa, Gruppi di imprese<br />
e procedure concorsuali, inGiur. comm., 2001, 557 ss.; A.<br />
Pavone La Rosa, Il gruppo di imprese nella amministrazione<br />
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, inGiur.<br />
comm., 2000, 481 ss.; G. Santoni, L’amministrazione straordinaria<br />
delle società e dei gruppi, inDiritto e giurisprudenza, 1999,<br />
115 ss.; R. Marinoni-N. Nisivoccia, Amministrazione straordinaria:<br />
ambito soggettivo del ‘‘gruppo’’ insolvente, inDir. e prat.<br />
Soc., 2000, 13 ss.; F. Innocenti, Osservazioni in tema di amministrazione<br />
straordinaria di gruppo, inGiur. mer., II, 2004, 686. Nel<br />
vigore della c.d. legge Prodi si veda anche S. Bonfatti, Il ‘‘gruppo’’<br />
di imprese nella amministrazione straordinaria e nel fallimento,<br />
inDiritto banca merc. finanz., 1999, 3 e ss.<br />
(2) Sul p<strong>un</strong>to si veda A. Daccò, op. cit., 430.<br />
(3) Cfr. Trib. Bari, 15 luglio 2004, in Foro it., 2005, I, 234, con nota<br />
di M. Fabiani, Fallimento, amministrazione straordinaria e modelli<br />
di conversione nel gruppo di imprese nell’attività dei decreti<br />
legge ‘‘espansivi’’.<br />
(4) Cfr. TAR Lazio, sez. III, 16 luglio 2004, n. 6998, in Foro it.,<br />
2004, 3, 615.<br />
Il Fallimento 3/2013 337
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
zioni che riguardano il procedimento f<strong>un</strong>zionale alla<br />
dichiarazione dello stato di insolvenza (artt. 3 e<br />
ss. D.Lgs. 270/1999) e l’apertura della procedura<br />
(artt. 27 e ss. D.Lgs. 270/1999), richiamando integralmente<br />
i principi che disciplinano l’apertura della<br />
procedura ‘‘madre’’.<br />
La dialettica processuale espressa nel corso del procedimento<br />
per estensione è necessariamente scandita<br />
secondo i tempi e le modalità indicate dagli artt.<br />
2 e ss. del D.Lgs. 270/1999 (5), seguendo il modello<br />
normativo regolamentato dagli artt. 737 e ss. c.p.c.<br />
Ciò comporta, come correttamente rilevato dalla<br />
Corte piemontese, la necessità di replicare in seno<br />
al procedimento di estensione la medesima struttura<br />
bifasica che caratterizza il procedimento di apertura<br />
della procedura ‘‘madre’’.<br />
Tale ass<strong>un</strong>to, peraltro in assenza di elementi di carattere<br />
normativo o sistematico che consentano di<br />
argomentare diversamente, risulta coerente con la<br />
ratio seguita dal legislatore in quanto è proprio nel<br />
rispetto di tale iter procedimentale che può ritenersi<br />
assicurato il perseguimento di valori fondanti e<br />
coessenziali all’intera disciplina della amministrazione<br />
straordinaria.<br />
La sola differenza che emerge tra il procedimento di<br />
apertura della procedura ‘‘madre’’ ed il procedimento<br />
di estensione alle imprese del gruppo concerne<br />
l’ambito dell’indagine affidata al Trib<strong>un</strong>ale, indagine<br />
che, nel secondo caso, dovendo considerare anche<br />
i presupposti per invocare la speciale disciplina<br />
dettata dagli artt. 80 e ss. D.Lgs. 270/1999, sarà ovviamente<br />
più estesa.<br />
Più precisamente la prima fase (sempre necessaria)<br />
risulta f<strong>un</strong>zionale a verificare la competenza del Trib<strong>un</strong>ale<br />
adito la sussistenza dello stato di insolvenza<br />
in capo alla società di cui si richiede l’ammissione<br />
(6) e, nello specifico, la sussistenza dei presupposti<br />
indicati dall’art. 82 del D.Lgs. 270/1999 (7).<br />
Tale fase pertanto, <strong>un</strong>a volta svolti i suindicati accertamenti<br />
è destinata a culminare con la dichiarazione<br />
di insolvenza della società debitrice, ovvero<br />
in via alternativa, nell’ipotesi in cui non sussistano<br />
i presupposti richiesti dall’art. 80 D.Lgs. 270/1999,<br />
con la pron<strong>un</strong>cia della sentenza di fallimento.<br />
In tale contesto la dichiarazione di insolvenza assolve<br />
alla f<strong>un</strong>zione non già di aprire <strong>un</strong>a procedura concorsuale<br />
autonoma, quanto piuttosto di dare l’avvio<br />
ad<strong>un</strong>aulterioreeprodromicafasediaccertamento.<br />
Ed infatti, solamente ad esito della verifica dei presupposti<br />
(insolvenza e rapporto di gruppo) effettuata<br />
nella prima fase, potrà essere avviata la seconda<br />
eventuale fase del procedimento, f<strong>un</strong>zionale a veri-<br />
ficare la sussistenza delle condizioni per estendere la<br />
procedura di amministrazione straordinaria.<br />
In tale contesto è previsto che il Trib<strong>un</strong>ale debba<br />
concentrare la propria indagine sulla sussistenza dei<br />
presupposti indicati dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999,<br />
ovvero sull’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria<br />
delle procedure che risulti f<strong>un</strong>zionale al raggi<strong>un</strong>gimento<br />
degli obiettivi della procedura ‘‘madre’’ (8)<br />
in ragione degli elementi di connessione economica<br />
ed industriale tra le società del gruppo.<br />
Le norme richiamate dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999<br />
prevedono che tale verifica (9) debba essere compiuta<br />
dal Trib<strong>un</strong>ale sulla base di <strong>un</strong>a indagine<br />
Note:<br />
(5) Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 1 agosto 1994, n. 7149 secondo cui<br />
il contraddittorio che permea il procedimento giurisdizionale di<br />
ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria è<br />
più di natura sostanziale che non tecnica, non trattandosi di <strong>un</strong><br />
processo di parti dominato dal principio di causalità necessaria<br />
tra domanda della parte e pron<strong>un</strong>cia del giudice.<br />
(6) Sul concetto di insolvenza nella amministrazione straordinaria<br />
si veda G. Schiavon, L’insolvenza nell’amministrazione<br />
straordinaria, in questa Rivista, 2000, 945; C. Pasquariello, Commento<br />
all’art. 3, d.lgs. 270/1999, in A. Maffei Alberti, Commentario<br />
breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1395.<br />
(7) M. Fabiani, Fallimento, amministrazione straordinaria e modelli<br />
di conversione nel gruppo di imprese nell’attualità dei decreti<br />
legge «espansivi», inForo it., 2005, I, 233; O. Cagnasso,<br />
La ricostruzione del fenomeno del gruppo e l’amministrazione<br />
straordinaria: <strong>un</strong> caso «clinico», inGiur. it., 2001, 2331; A. Daccò,<br />
Commento agli artt. 80-87, in A. Castagnola-R. Sacchi (a cura<br />
di), La nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle<br />
grandi imprese in stato di insolvenza, Torino, 2000, 420 e ss.;<br />
G. Mucciarelli, Impresa e impresa del gruppo nella nuova legge<br />
sull’amministrazione straordinaria, inRiv. società, 2000, 868; G.<br />
Lo Cascio, Commentario alla legge sull’amministrazione straordinaria<br />
delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 423; G.<br />
Alessi, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi,<br />
Milano, 2000, 110; G. Santoni, L’amministrazione<br />
straordinaria delle società e dei gruppi, inDir. e giur., 1999, 115.<br />
(8) Non è mancato <strong>un</strong> dibattito in dottrina circa la possibilità di ritenere<br />
che gli obiettivi da raggi<strong>un</strong>gere potessero essere anche<br />
quelli delle altre società del gruppo eventualmente ammesse alla<br />
procedura di amministrazione straordinaria; sul p<strong>un</strong>to v. A.<br />
Daccò, op. cit., 432; P. Dal Soglio, Commento all’art. 81, d.lgs.<br />
270/1999, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare,<br />
Padova, 2009, 1583.<br />
(9) La decisione sull’ammissione alla procedura di amministrazione<br />
straordinaria spetta all’autorità giudiziaria, la quale non è vincolata<br />
né dalla relazione resa dal commissario giudiziale, né dal parere<br />
espresso dal competente Ministero. Sulla discrezionalità del<br />
Trib<strong>un</strong>ale nell’assumere la decisione a tale riguardo si veda App.<br />
Milano, 9 settembre 2002, in questa Rivista, 2003, 442, con nota<br />
di N.D.Luisi, Sindacato del giudice alla luce del d.lgs. 270/1999.<br />
Osserva parte della dottrina che in presenza delle valutazioni del<br />
commissario giudiziale il Trib<strong>un</strong>ale, per discostarsene - sulla base<br />
del parere del Ministro, delle osservazioni degli interessati od anche<br />
d’ufficio - può ritenere opport<strong>un</strong>a <strong>un</strong>a verifica del piano di risanamento<br />
o di cessione dei complessi aziendali e, ove la relazione<br />
del commissario giudiziale non appaia esauriente o sia messa<br />
motivatamente in discussione nel parere del ministro o nelle osservazioni<br />
scritte degli interessati, può non soltanto sentire i prin-<br />
(segue)<br />
338 Il Fallimento 3/2013
istruttoria, che necessariamente dovrà considerare<br />
la relazione resa dal commissario giudiziale indicato<br />
dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi<br />
dell’art. 28 D.Lgs. 270/1999 (10) e potrà essere ulteriormente<br />
approfondita attraverso il parere reso<br />
dallo stesso Ministero (11), le possibili osservazioni<br />
presentate da debitore insolvente, dai creditori ed<br />
da altri soggetti interessati e gli ulteriori accertamenti<br />
eventualmente disposti dal Trib<strong>un</strong>ale (12).<br />
Come accennato, tale indagine - delineata dal legislatore<br />
proprio nell’ottica di assicurare al Trib<strong>un</strong>ale<br />
gli elementi necessari e sufficienti per assumere correttamente<br />
la decisione in ordine all’apertura della<br />
procedura - culminerà con il decreto motivato di<br />
apertura della procedura di amministrazione straordinaria<br />
ovvero, in via alternativa e solamente in assenza<br />
dei presupposti indicati dal secondo comma<br />
dell’art. 82 D.Lgs. 270/1999, con la sentenza dichiarativa<br />
di fallimento.<br />
Anche nel procedimento di estensione, pertanto le<br />
due fasi, pur essendo strettamente connesse in<br />
quanto parti di <strong>un</strong> medesimo procedimento, dovranno<br />
restare nettamente distinte.<br />
3. Sulla centralità della relazione<br />
del commissario giudiziale ex art. 27,<br />
D.Lgs. 270/1999<br />
L’impossibilità di alterare la struttura bifasica del<br />
procedimento porta d<strong>un</strong>que a concludere, in perfetta<br />
assonanza con quanto rilevato dalla Corte di appello,<br />
che la valutazione circa la apertura della amministrazione<br />
straordinaria non può essere anticipata<br />
alla prima fase del procedimento (13).<br />
La ragioni di tale impossibilità risiedono certamente<br />
nella necessità di assicurare a tale valutazione <strong>un</strong>a<br />
autonoma fase del procedimento (circostanza, questa,<br />
di per sé idonea ad attribuire rilevanza alla decisione<br />
sul p<strong>un</strong>to), ma anche e soprattutto nella necessità<br />
per il Trib<strong>un</strong>ale di compiere la propria valutazione<br />
alla luce della relazione resa dal commissario<br />
giudiziale (14), relazione che assume nel procedimento<br />
in oggetto <strong>un</strong>’oggettiva centralità (15).<br />
La relazione del commissario giudiziale da <strong>un</strong> lato<br />
rappresenta l’<strong>un</strong>ico elemento certo alla luce del<br />
quale il Trib<strong>un</strong>ale è chiamato ad esprimersi (attesa<br />
l’eventualità delle osservazioni presentate da creditori<br />
e soggetti interessati degli accertamenti disposti<br />
dal Trib<strong>un</strong>ale e financo del parere del competente<br />
Ministero) e, dall’altro lato, rappresenta il cardine<br />
del contraddittorio ‘‘tecnico’’ suscettibile di svilupparsi<br />
nella seconda fase del procedimento.<br />
In tale contesto la relazione assolve d<strong>un</strong>que ad <strong>un</strong>a<br />
fondamentale f<strong>un</strong>zione informativa tanto nei con-<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
Note:<br />
(segue nota 9)<br />
cipali creditori, come ad esempio il ceto bancario, ai quali è probabile<br />
che con il piano di risanamento venga richiesto <strong>un</strong> qualche<br />
sacrificio, ma anche farsi assistere da <strong>un</strong> consulente nei limiti<br />
compatibili con il rispetto del termine preveduto per la decisione.<br />
L’ampia formula legislativa, che non è quella consueta<br />
dell’«ass<strong>un</strong>te sommarie informazioni», ma quella più lata di «disposti<br />
gli opport<strong>un</strong>i accertamenti», lo sembra consentire; cfr. L.<br />
Guglielmucci, Una procedura concorsuale amministrativa sotto<br />
controllo giudiziario, in questa Rivista, 2000, 133.<br />
(10) Tale relazione costituirà evidentemente <strong>un</strong>a fonte primaria<br />
di convincimento per il Trib<strong>un</strong>ale, il quale resterà libero di decidere<br />
in piena autonomia. Cfr. sul p<strong>un</strong>to la relazione governativa<br />
al D.Lgs. 270/1999 sub par. 4.1.<br />
(11) Al fine di apprezzare lo sviluppo della dialettica processuale<br />
nel contesto in esame, preme qui evidenziare che il parere reso<br />
dal Ministero conserva la natura di atto amministrativo al quale<br />
non è attribuita <strong>un</strong>a valenza gerarchicamente sovraordinata agli<br />
altri elementi acquisiti dal giudice (Cass. civ. 15 luglio 2004, n.<br />
13120, in Mass. Giur. it., 2004). La disciplina della amministrazione<br />
straordinaria (primo comma dell’art. 29) prevede peraltro<br />
la possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale di assumere la necessaria decisione<br />
anche in assenza del parere del Ministero.<br />
(12) Parte della dottrina ha correttamente rilevato come la formula<br />
legislativa, più ampia di quella consueta dell’«ass<strong>un</strong>te sommarie<br />
informazioni» consentirebbe al trib<strong>un</strong>ale, soprattutto nell’ipotesi in<br />
cui la relazione del commissario giudiziale non appaia esauriente o<br />
sia messa motivatamente in discussione nelle osservazioni scritte<br />
degli interessati, non solo di sentire i creditori più esposti, ma anche<br />
di farsi assistere da <strong>un</strong> consulente nei limiti compatibili con il<br />
rispetto del termine pervenuto per la decisione; in tal senso L. Guglielmucci,<br />
Una procedura concorsuale amministrativa sotto controllo<br />
giudiziario, in questa Rivista, 2000, 133.<br />
(13) Cfr. A Jorio, Luci ed ombre della nuova Prodi, in Giur.<br />
comm., 1999, 7.<br />
(14) Osserva la dottrina che tale relazione costituirà lo strumento<br />
principale per il Trib<strong>un</strong>ale chiamato a decidere sulla apertura della<br />
procedura, atteso che, dall’<strong>un</strong> lato sarà il commissario giudiziale<br />
ad osservare direttamente lo stato dell’impresa insolvente e, nel<br />
caso di estensione, a valutare i collegamenti di natura economica<br />
produttiva esistenti tre le imprese del gruppo; dall’altro lato la rigida<br />
scansione temporale dettata dalla norma renderà oltremodo<br />
difficoltoso per il Trib<strong>un</strong>ale svolgere ulteriori accertamenti al riguardo;<br />
in tal senso si veda E. Stanuovo Polacco, Commento all’art.<br />
28 d.lgs. 270/1999, in A. Castagnola, R. Sacchi, La nuova disciplina<br />
della amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />
in stato di insolvenza, Torino, 2000, 174; G. Alessi, op. cit., 49;V.<br />
Napoleoni, Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in<br />
stato di insolvenza: i chiaroscuri della riforma, inNuove leggi civ.<br />
comm., 1999, I, 119; G. Schiavon, Insolvenza e risanamento dell’impresa<br />
nella nuova disciplina, inquestaRivista, 2000, 241; A.<br />
Cesaroni-P. De Gioia Caraballese, L’amministrazione straordinaria<br />
della grande impresa commerciale insolvente: prime riflessioni, in<br />
questa Rivista, 1999, 725; R. Vivaldi, Insolvenza e grandi imprese,<br />
in questa Rivista, 2000, 124.<br />
(15) Sulla base di tali argomentazioni si deve ritenere che la<br />
scansione bifasica del procedimento non possa essere obliterata<br />
neppure nell’eventualità in cui il soggetto istante fosse già in<br />
grado, nel formulare l’istanza ex art. 82 D.Lgs. 270/1999, di dimostrare<br />
l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze<br />
ovvero la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 27<br />
D.Lgs. 270/1999. Non mancano tuttavia in giurisprudenza pron<strong>un</strong>ce<br />
che hanno interpretato in maniera estensiva la portata<br />
della norma al fine di anticipare ad esito della prima fase giudiziale<br />
il provvedimento di apertura della procedura di amministrazione<br />
straordinaria per le imprese del gruppo: cfr. Trib. Roma,<br />
27 agosto 2003, in Dir. fall., 2005, II, 621 e ss. con nota di M.A.<br />
De Lucia, La procedura anticipata nel caso Cirio.<br />
Il Fallimento 3/2013 339
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
fronti dell’autorità giudiziaria, quanto nei confronti<br />
degli altri soggetti, essendo peraltro destinata ad annullare<br />
le asimmetrie informative esistenti tra le diverse<br />
categorie di soggetti coinvolti nel procedimento<br />
(16).<br />
Così confermata la centralità della relazione resa ai<br />
sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 270/1999, preme ora<br />
valutare se l’onere informativo che tale relazione è<br />
chiamata ad assolvere possa in qualche maniera essere<br />
soddisfatto altrimenti, senza alterare la qualità<br />
delle informazioni di cui necessita il Trib<strong>un</strong>ale.<br />
Dalla lettura del provvedimento in epigrafe, sembrerebbe<br />
potersi evincere che il Trib<strong>un</strong>ale ha ritenuto<br />
non tanto di poter obliterare tout court la fase<br />
di verifica disciplinata dagli artt. 27 e ss. D.Lgs.<br />
270/1999, quanto piuttosto di poter ritenere che tale<br />
verifica fosse già stata effettuata dagli stessi commissari<br />
giudiziali chiamati a vigilare sull’esecuzione<br />
del concordato preventivo.<br />
Sul p<strong>un</strong>to deve ritenersi pienamente condivisibile<br />
l’ass<strong>un</strong>to in forza del quale la relazione resa dai<br />
commissari giudiziali ai sensi del 173 l.fall. non può<br />
essere assimilata, quanto a contenuti e finalità, alla<br />
relazione che il commissario giudiziale avrebbe dovuto<br />
rendere ai sensi dell’art. 28, D.Lgs. 270/1999.<br />
Tale relazione deve infatti contenere non solo <strong>un</strong><br />
approfondimento diagnostico sulle cause dell’insolvenza,<br />
ma anche e soprattutto <strong>un</strong>a valutazione prognostica<br />
circa le capacità dell’impresa di raggi<strong>un</strong>gere<br />
<strong>un</strong> equilibrio economico attraverso <strong>un</strong>a delle opzioni<br />
indicate dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999 e, in occasione<br />
del procedimento di estensione, dovrà altresì<br />
svolgere <strong>un</strong>a p<strong>un</strong>tuale analisi con riguardo agli<br />
eventuali collegamenti di natura economica e produttiva<br />
esistenti tra le società del gruppo, al fine di<br />
verificare l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />
nell’ambito del gruppo (17).<br />
L’impossibilità di portare a compimento il piano<br />
concordatario espressa dai commissari giudiziali nella<br />
relazione ex art. 173 l.fall. non riguarda, né si sovrappone<br />
in alc<strong>un</strong> modo alla necessità di valutare i<br />
presupposti per <strong>un</strong>a ristrutturazione (anche mediante<br />
cessione del complesso aziendale) ovvero l’opport<strong>un</strong>ità<br />
di privilegiare <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />
nell’ambito del gruppo.<br />
Peraltro, come correttamente evidenziato dalla<br />
Corte piemontese, l’opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria<br />
dell’insolvenza deve essere valutata assumendo<br />
la prospettiva e valutando l’interesse della società<br />
ammessa alla procedura ‘‘madre’’ e d<strong>un</strong>que in <strong>un</strong>a<br />
prospettiva necessariamente distinta da quella ass<strong>un</strong>ta<br />
dai commissari giudiziali nel redigere la relazione<br />
ai sensi dell’art. 173 l.fall.<br />
Deve d<strong>un</strong>que escludersi l possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale<br />
di valutare la sussistenza dei presupposti per estendere<br />
la procedura sulla base della relazione ex art.<br />
173 l.fall., non potendo essere assolti in tale sede i<br />
precisi obblighi i valutazione richiesti al commissario<br />
giudiziale.<br />
4. Sui riflessi processuali della struttura<br />
bifasica<br />
La demarcazione summenzionata si riflette inevitabilmente<br />
sulla delimitazione del thema decidendum e<br />
del thema probandum delle due fasi del procedimento<br />
di estensione, con evidenti implicazioni sugli oneri<br />
di allegazione e dimostrazione gravanti in capo al<br />
soggetto che formula la richiesta di estensione.<br />
Cogliendo lo sp<strong>un</strong>to offerto dalle argomentazioni<br />
fatte proprie dal Trib<strong>un</strong>ale per gi<strong>un</strong>gere alla dichiarazione<br />
di insolvenza, preme qui evidenziare come<br />
<strong>un</strong> onere di allegazione possa essere tuttalpiù ravvisato<br />
in capo al soggetto che formula l’istanza di estensione<br />
<strong>un</strong>icamente con riferimento agli elementi che<br />
il Trib<strong>un</strong>ale è chiamato a vagliare nella prima fase<br />
del procedimento (competenza, natura di imprenditore<br />
commerciale, insolvenza e sussistenza di <strong>un</strong> rapporto<br />
di gruppo ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. 270/1999).<br />
Non potrà invece essere ravvisato in capo al soggetto<br />
istante <strong>un</strong>o specifico onere di allegazione (e tanto<br />
meno di dimostrazione) in relazione agli elementi<br />
fondanti i presupposti per dichiarare l’estensione<br />
ai sensi dell’art. 82 D.Lgs. 270/1999.<br />
L’impossibilità di ravvisare <strong>un</strong>o specifico onere di<br />
allegazione è peraltro confermata dal fatto che l’attuale<br />
disciplina normativa attribuisce la legittimazione<br />
a formulare l’istanza di estensione ad <strong>un</strong>a pluralità<br />
di soggetti (18) i quali, muovendo da prospettive<br />
del tutto distinte, non necessariamente dispor-<br />
Note:<br />
(16) Sul p<strong>un</strong>to v. G. Sansone, Brevi riflessioni sulla nuova disciplina,<br />
in questa Rivista, 2000, 281.<br />
(17) Circostanza, questa, che rende opport<strong>un</strong>a la nomina quale<br />
commissario giudiziale del commissario della procedura ‘‘madre’’.<br />
(18) Legittimati a formulare l’istanza di estensione sono la società<br />
debitrice, i creditori della stessa, il Pubblico Ministero e, in forza<br />
dell’art. 82 D.Lgs. n. 270/1999, anche il commissario straordinario<br />
della procedura ‘‘madre’’. L’art. 3 D.Lgs. 270/1999, richiamato<br />
dal primo comma della succitata norma, prevede altresì la<br />
possibilità per il Trib<strong>un</strong>ale di provvedere d’ufficio alla dichiarazione<br />
di insolvenza. Tuttavia, a seguito dell’abrogazione dell’art. 8<br />
l.fall., si è ritenuto in dottrina che l’iniziativa officiosa debba intendersi<br />
implicitamente soppressa; in tal senso si veda M. Bianca, Il<br />
procedimento di dichiarazione dello stato di insolvenza, inC.Costa<br />
(a cura di), L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese<br />
in stato di insolvenza, Milano, 2008, 61 e ss.; contra P. Dal<br />
Soglio, Commento all’art. 82 d.lgs. 270/1999, in A. Maffei Alberti,<br />
(segue)<br />
340 Il Fallimento 3/2013
anno degli elementi necessari per adempiere ad <strong>un</strong><br />
preciso onere di allegazione in tal senso (si pensi alle<br />
diverse informazioni di cui possono disporre i<br />
creditori della società debitrice, la società debitrice<br />
ed i commissari della procedura ‘‘madre’’).<br />
Né, invero, la prospettiva privilegiata di cui può<br />
astrattamente godere il commissario straordinario<br />
della procedura ‘‘madre’’ può ritenersi sufficiente a<br />
ravvisare in capo allo stesso <strong>un</strong> qualsivoglia diverso<br />
o più gravoso onere di allegazione e/o dimostrazione<br />
sul p<strong>un</strong>to.<br />
Si deve d<strong>un</strong>que ritenere che non sussista in capo al<br />
soggetto che formula l’istanza di estensione (anche<br />
nell’ipotesi in cui questa sia presentata dal commissario<br />
straordinario della procedura ‘‘madre’’) alc<strong>un</strong> onere<br />
di specifica allegazione e dimostrazione con riferimento<br />
ai presupposti indicati dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999.<br />
Ne discende che, coerentemente con quanto rilevato<br />
dalla Corte di Appello, la mancata allegazione e/<br />
o dimostrazione da parte del soggetto istante della<br />
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 27 D.Lgs.<br />
270/1999 ovvero dell’opport<strong>un</strong>ità di gestire <strong>un</strong>itariamente<br />
le insolvenze non potrà certamente ritenersi<br />
idonea ad impedire l’apertura della procedura.<br />
Le considerazioni che precedono portano anzi a ritenere<br />
che l’istanza di estensione, affrancandosi da<br />
<strong>un</strong> principio di necessaria corrispondenza tra chiesto<br />
e pron<strong>un</strong>ciato, non sia tanto volta ad ottenere<br />
<strong>un</strong>o specifico provvedimento da parte dell’Autorità<br />
giudiziaria, quanto piuttosto a sollecitare, previa dichiarazione<br />
d’insolvenza, il compimento di <strong>un</strong>a determinata<br />
valutazione, sulla base degli elementi<br />
istruttori sopra menzionati.<br />
Peraltro - come correttamente precisato dalla Corte<br />
piemontese - la valutazione sulla ammissione o non<br />
ammissione della società alla amministrazione<br />
straordinaria non è ispirata al principio dispositivo<br />
di parte, dovendo essere resa con riguardo ad interessi<br />
di ordine generale e di rilevanza pubblicistica,<br />
anche travalicando lo specifico interesse della società<br />
debitrice e della sua massa di creditori.<br />
In tale contesto preme altresì rilevare come la mancata<br />
previsione di <strong>un</strong>a dismissione congi<strong>un</strong>ta dei<br />
complessi aziendali di controllante e controllata nel<br />
programma relativo alla procedura ‘‘madre’’ risulti<br />
del tutto neutra ai fini della presente indagine. Ed<br />
infatti da <strong>un</strong> lato non può certamente essere censurata<br />
la mancata previsione delle modalità di gestione<br />
di <strong>un</strong>’insolvenza manifestatasi in epoca successiva al<br />
deposito del programma, dall’altro lato nulla esclude<br />
che lo stesso programma della procedura ‘‘madre’’<br />
possa essere modificato o integrato al fine di riflettere<br />
le eventuali circostanze sopravvenute medio tempore.<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
5. Brevi note sulla tempistica di esecuzione<br />
dei programmi<br />
La sentenza in epigrafe consente di approfondire <strong>un</strong><br />
ulteriore delicato aspetto della disciplina de qua, essendo<br />
stato evidenziato dalla curatela della società<br />
dichiarata fallita come l’imminente termine per l’esecuzione<br />
del programma adottato dalla procedura<br />
‘‘madre’’ non consentisse l’attuazione di <strong>un</strong> programma<br />
di dismissione congi<strong>un</strong>ta della controllata<br />
in <strong>un</strong>a con le componenti aziendali della controllante<br />
(19), dovendosi pertanto ritenere i commissari<br />
straordinari della controllante privi dell’interesse<br />
a formulare la citata istanza.<br />
Sul p<strong>un</strong>to la Corte piemontese osserva come non<br />
possano essere poste a carico della controllante (costretta<br />
a subire la dilatazione dei tempi per effetto<br />
del provvedimento illegittimo pron<strong>un</strong>ciato dal Trib<strong>un</strong>ale)<br />
le - non meglio specificate - conseguenze<br />
negative derivanti da tale differimento. Assume<br />
inoltre che, nel caso di specie, anche tralasciando il<br />
tempestivo deposito dell’istanza di estensione della<br />
procedura da parte dei Commissari straordinari, il<br />
diniego della amministrazione straordinaria da parte<br />
del Trib<strong>un</strong>ale non risultava com<strong>un</strong>que motivato da<br />
ragioni specificamente riconducibili alla tempistica<br />
di esecuzione del programma di cessione.<br />
A tale riguardo pare opport<strong>un</strong>o svolgere tal<strong>un</strong>e<br />
considerazioni.<br />
Sotto il profilo temporale l’art. 81 D.Lgs. 270/1999<br />
prevede la possibilità di ammettere le imprese del<br />
gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria<br />
nel lasso di tempo compreso tra la data di<br />
pubblicazione del decreto di apertura della procedu-<br />
Nota:<br />
(segue nota 18)<br />
Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1584.<br />
Sul p<strong>un</strong>to si veda anche Trib. Udine 9 luglio 2009, secondo cui<br />
deve ritenersi manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità<br />
della norma di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 270/1999 che<br />
consente (diversamente dall’attuale disciplina del fallimento) l’apertura<br />
d’ufficio della procedura di amministrazione straordinaria,<br />
per asserita violazione dell’art. 111 Cost., ossia per violazione<br />
dei principi di ‘‘terzietà’’ e imparzialità del giudice, qualora<br />
non vi sia stata <strong>un</strong>’apertura officiosa della procedura di amministrazione<br />
straordinaria ex art. 3, D.Lgs. n. 270/1999, sulla base<br />
di <strong>un</strong>a ‘‘notizia decoctionis’’ com<strong>un</strong>que acquisita, ma l’apertura<br />
della procedura c.d. ‘‘madre’’, nel cui ambito si inserisce l’estensione,<br />
sia avvenuta su ricorso di altra società del gruppo, ed il<br />
Trib<strong>un</strong>ale, investito della prima procedura, si sia limitato ad instaurare<br />
d’ufficio la procedura di ‘‘estensione’’ alla controllante,<br />
alla luce delle risultanze della relazione del Commissario Giudiziale,<br />
così utilizzando <strong>un</strong>o strumento previsto dalla legge in f<strong>un</strong>zione<br />
del perseguimento dell’interesse della procedura ‘‘madre’’.<br />
(19) Sul p<strong>un</strong>to si veda A. Rossi, Il programma nell’amministrazione<br />
straordinaria delle grandi imprese insolventi, in Giur.<br />
comm., 2001, 356 ss.<br />
Il Fallimento 3/2013 341
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
ra ‘‘madre’’ e la data di pubblicazione del decreto di<br />
chiusura della stessa pron<strong>un</strong>ciato a norma dell’art.<br />
76 D.Lgs. 270/1999 (20).<br />
Ne discende che la possibilità di domandare l’ammissione<br />
di <strong>un</strong>’impresa del gruppo alla procedura di<br />
amministrazione straordinaria non risulta in alc<strong>un</strong><br />
modo limitata dallo stato di avanzamento del programma<br />
predisposto dalla procedura ‘‘madre’’.<br />
Cosicché in astratto, anche laddove la procedura<br />
‘‘madre’’ avesse già portato a termine l’esecuzione<br />
del programma, sarebbe in ogni caso possibile formulare<br />
(e, in presenza dei presupposti, vedere accolta)<br />
<strong>un</strong>’istanza di estensione.<br />
Sulla base di tali premesse deve a maggior ragione<br />
ritenersi che l’imminente scadenza del termine per<br />
portare a compimento l’esecuzione del programma<br />
della procedura ‘‘madre’’ non potesse costituire di<br />
per sé circostanza idonea a privare di interesse il<br />
soggetto che formula l’istanza di estensione, né,<br />
tanto meno, potesse costituire <strong>un</strong>a circostanza sufficiente<br />
per anticipare alla prima fase del procedimento<br />
la valutazione circa la sussistenza dei presupposti<br />
per estendere la procedura.<br />
Ciò non significa tuttavia che l’elemento temporale<br />
risulti privo di rilevanza ai fini della scelta offerta<br />
dall’art. 82 D.Lgs. 270/1999 tra le due procedure<br />
concorsuali.<br />
A tale riguardo occorre tuttavia distinguere le ipotesi<br />
che possono prospettarsi.<br />
Ed infatti laddove l’impresa del gruppo nei confronti<br />
della quale è richiesta l’estensione presenti di per sé<br />
concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico<br />
delle attività imprenditoriali ai sensi dell’art.<br />
27, D.Lgs. 270/1999 il contenuto del programma<br />
della procedura ‘‘madre’’ e lo stato di avanzamento<br />
dello stesso saranno privi di rilevanza ai fini della valutazione<br />
circa la sussistenza dei presupposti per dichiarare<br />
l’apertura della procedura. In tal caso, infatti,<br />
i programmi autonomi che siano predisposti in<br />
presenza delle condizioni richieste dall’art. 27 l.fall.<br />
dovranno essere eseguiti nelle tempistiche previste<br />
dalla stessa norma, previa approvazione da parte del<br />
competente Ministero (21).<br />
Viceversa, nell’ipotesi in cui non sussistano le condizioni<br />
indicate dall’art. 27 D.Lgs. 270/1999 ed occorra<br />
valutare l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria<br />
delle insolvenze lo stato di avanzamento del programma<br />
assumerà <strong>un</strong>a sua innegabile importanza.<br />
L’art. 81 D.Lgs. 270/1999 precisa che la dichiarazione<br />
di estensione, in tale ipotesi, potrà essere pron<strong>un</strong>ciata<br />
a condizione che la gestione <strong>un</strong>itaria delle<br />
insolvenze agevoli il raggi<strong>un</strong>gimento degli obiettivi<br />
della procedura.<br />
Una lettura sistematica della disciplina della amministrazione<br />
straordinaria sembrerebbe privilegiare<br />
<strong>un</strong>a lettura non estensiva della disposizione, portando<br />
a ritenere che gli obiettivi citati dalla summenzionata<br />
norma debbano ritenersi esclusivamente<br />
quelli indicati dagli artt. 1 e 27, id est la conservazione<br />
ed il risanamento dell’impresa del gruppo che<br />
ha collegamenti economici o produttivi con quella<br />
cui viene estesa la procedura (22).<br />
Pare d<strong>un</strong>que corretto ritenere che la cessazione dell’esercizio<br />
dell’impresa che sia pron<strong>un</strong>ciata ad esito della<br />
integrale cessione dei complessi aziendali a norma<br />
dell’art. 73, primo comma, D.Lgs. 270/1999, nell’attribuire<br />
alla procedura <strong>un</strong> carattere meramente liquidatorio,<br />
sancisca il raggi<strong>un</strong>gimento degli obiettivi, così<br />
come intesi dall’art. 81 D.Lgs. 270/99. In tale ipotesi,<br />
infatti, le peculiari finalità proprie della procedura<br />
di amministrazione straordinaria dovranno ritenersi<br />
a questo p<strong>un</strong>to pienamente soddisfatte, così determinandosi<br />
aprioril’impossibilità di riscontrare l’opport<strong>un</strong>ità<br />
di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle insolvenze.<br />
Appare quindi verosimile che, in assenza dei presupposti<br />
di cui all’art. 27 D.Lgs. 270/1999, tanto<br />
più avanzato sarà lo stato di esecuzione del programma,<br />
tanto minori saranno le probabilità di ravvisare<br />
l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a gestione <strong>un</strong>itaria delle<br />
imprese del gruppo (23).<br />
Tale conclusione non significa tuttavia che, per<br />
quanto residuali possano essere le probabilità in tal<br />
senso, la norma consenta di obliterare tale necessaria<br />
verifica, non potendosi peraltro escludere la sussistenza<br />
dei presupposti di cui all’art. 27 D.Lgs. 270/<br />
1999 e la conseguente possibilità per la società del<br />
gruppo di adottare <strong>un</strong> programma autonomo.<br />
Correttamente d<strong>un</strong>que l’imminente scadenza del<br />
termine per attuare il programma di cessione adot-<br />
Note:<br />
(20) Così dovendosi intendere il disposto normativo secondo cui<br />
l’ammissione è possibile «sino a quando la procedura madre è<br />
in corso».<br />
(21) Quanto al contenuto del programma l’art. 86 D.Lgs. 270/<br />
1999 prevede che, nell’ipotesi in cui l’impresa del gruppo sia ammessa<br />
alla procedura di amministrazione straordinaria in assenza<br />
dei requisiti di cui all’art 27, D.Lgs. 270/1999, dovrà essere predisposto<br />
<strong>un</strong> programma f<strong>un</strong>zionale ad integrare il programma adottato<br />
nell’ambito della procedura ‘‘madre’’ ovvero in relazione ad<br />
altra impresa del gruppo (sul p<strong>un</strong>to cfr. A. Rossi, op. cit., 384).<br />
(22) In tal senso si veda G. Alessi, L’amministrazione straordinaria<br />
delle grandi imprese insolventi, Milano, 2000, 118.<br />
(23) Il giudizio di opport<strong>un</strong>ità della gestione <strong>un</strong>itaria dell’insolvenza<br />
dipende dalla prospettiva di <strong>un</strong>a dismissione delle attività nella<br />
loro organica composizione operativa, d<strong>un</strong>que in condizioni da<br />
presumersi di maggior interesse per gli operatori del mercato rilevante,<br />
nonché da <strong>un</strong>a valutazione dell’interesse pubblico alla<br />
salvaguardia dei livelli occupazionali; cfr. Trib. Roma, 7 giugno<br />
2007, in Fall., 2008, 218.<br />
342 Il Fallimento 3/2013
tato dalla controllante non è stato ritenuto elemento<br />
idoneo ad anticipare la valutazione circa la sussistenza<br />
dei presupposti per estendere la procedura.<br />
6. La restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale<br />
La pron<strong>un</strong>cia in epigrafe consente di soffermarsi altresì<br />
su di <strong>un</strong> aspetto prettamente processuale. La<br />
Corte di Appello affronta infatti il tema, non specificamente<br />
disciplinato dalla legge della sorte della<br />
procedura a seguito dell’accoglimento del reclamo.<br />
Nel caso di specie i commissari straordinari, nel reclamare<br />
la dichiarazione di fallimento, hanno domandato<br />
la revoca della sentenza di fallimento e la<br />
restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale di Torino per la<br />
dichiarazione ex novo di insolvenza ex articoli 8, 81<br />
ed 82 D.Lgs. n. 270/99.<br />
La Corte di Appello ha ritenuto che ness<strong>un</strong>a delle<br />
norme invocate, negli atti di causa e nel corso della<br />
discussione, a sostegno di tale soluzione potesse attagliarsi<br />
al caso.<br />
Alla luce del corrente quadro normativo, la Corte<br />
di Appello ha ritenuto di dover richiamare due<br />
considerazioni di ordine generale idonee a f<strong>un</strong>gere<br />
da linee guida nel caso specifico.<br />
La prima è che nell’ordinamento concorsuale è nitidamente<br />
individuabile <strong>un</strong> principio di conservazione<br />
e continuità degli effetti della dichiarazione<br />
dello stato di insolvenza; principio tanto più significativo<br />
in <strong>un</strong> contesto nel quale i presupposti dello<br />
stato di insolvenza sono del tutto pacifici e, in<br />
quanto tali, estranei ai motivi di impugnazione della<br />
sentenza. Tale sentenza è stata infatti censurata<br />
soltanto sotto il profilo dell’adozione, proprio sullo<br />
scontato presupposto dello stato di insolvenza, di<br />
<strong>un</strong>a procedura concorsuale ‘‘sbagliata’’ perché insuscettibile<br />
di essere aperta ‘‘in quel momento’’ e sulla<br />
base di ‘‘quei dati conoscitivi’’. Sicché, in <strong>un</strong> simile<br />
contesto, non potrebbe trovare ragionevole giustificazione<br />
- attese anche le vaste ripercussioni che ne<br />
scaturirebbero in ordine ad aspetti derivativi essenziali<br />
ai fini del concorso quali, ad esempio: l’inefficacia/inopponibilità<br />
alla massa di determinati atti<br />
di disposizione patrimoniale; la decorrenza dei termini<br />
per l’eventuale proposizione di azioni revocatorie;<br />
l’accertamento delle responsabilità penali - la<br />
rimessione ‘‘in bonis’’ - seppur temporanea - di <strong>un</strong><br />
debitore che si trova in stato di insolvenza che ha<br />
già trovato riscontro giudiziale non contestato e,<br />
d<strong>un</strong>que, ormai irrevocabile.<br />
La seconda (mutuata dalla disciplina generale della<br />
nullità dell’atto processuale ex artt. 159-162 c.p.c.) è<br />
che l’emersione di <strong>un</strong> vizio procedimentale deve di<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
norma indurre la restituzione del procedimento stesso<br />
alla fase in cui il vizio si è verificato, così da permettere,<br />
in sede di rinnovazione dell’atto viziato, il ripristino<br />
del corretto iter. Ora, nella presente fattispecie,<br />
il reclamo viene accolto per ragioni non di merito,<br />
ma - app<strong>un</strong>to - di ordine puramente formale. Da ciò<br />
consegue che la richiesta retrocessione dovrà sì avvenire<br />
(mediante la restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale)<br />
ma al solo scopo di far ripartire il procedimento dal<br />
momento in cui si è verificato l’errore; qui rilevato<br />
con <strong>un</strong>a pron<strong>un</strong>cia di tipo rescindente parziale. Errore<br />
che non è affatto consistito nella dichiarazione<br />
dello stato di insolvenza, ma nell’aver individuato in<br />
tale stato i presupposti per la immediata apertura del<br />
fallimento, piuttosto che per l’instaurazione della fase<br />
prodromica di osservazione (segnata anch’essa da pregnanti<br />
connotati di concorsualità).<br />
I principi generali applicati dalla Corte di Appello<br />
paiono condivisibili.<br />
Occorre tuttavia vagliare la decisione in epigrafe alla<br />
luce del principio di tassatività.<br />
In definitiva il nucleo sostanziale implicito della<br />
sentenza di fallimento - vale a dire la dichiarazione<br />
dello stato di insolvenza - deve restare fermo e la<br />
restituzione degli atti al Trib<strong>un</strong>ale dovrà essere disposta<br />
al solo fine di porre quest’ultimo in condizione<br />
di adottare tutti i conseguenti provvedimenti ex<br />
articoli 8-82 D.Lgs. 270/99 (a cominciare dalla nomina<br />
dei commissari giudiziali per le attività ele<br />
valutazioni di loro competenza).<br />
7. Conclusioni<br />
L’analisi del sistema procedimentale dettato dal<br />
D.Lgs. 270/99 ai fini dell’estensione della procedura<br />
di amministrazione straordinaria conferma l’intento<br />
del legislatore di tutelare massimamente le finalità<br />
conservative perseguite dalla richiamata disciplina.<br />
Per quanto condivisibile il richiamo alle esigenze di<br />
concentrazione, speditezza ed economia nell’interesse<br />
dei creditori (della controllata) operato dalla<br />
curatela, l’attuale dato normativo non sembra<br />
escludere la possibilità che il perseguimento di tali<br />
finalità possa incidere negativamente sulle aspettative<br />
di soddisfazione vantate dai creditori della società<br />
del gruppo rispetto alla quale deve essere valutata<br />
la possibilità di estensione della procedura di<br />
amministrazione straordinaria. Correttamente, d<strong>un</strong>que,<br />
la Corte di Appello piemontese ha confermato<br />
il nucleo sostanziale ed implicito della sentenza di<br />
fallimento, restituendo gli atti al Trib<strong>un</strong>ale al fine<br />
di porre in essere le attività - inizialmente obliterate<br />
- di cui agli artt. 8-81 D.Lgs. 270/99.<br />
Il Fallimento 3/2013 343
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Fallimento di società a responsabilità limitata<br />
Azione ex art. 2394 c.c.:<br />
ammissibilità in tema di S.r.l.<br />
e legittimazione del curatore<br />
fallimentare a farla valere<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012 - Pres. Mirenda - Est. Vaccari - GEMA 96 S.p.a. e altre c.<br />
G.R.C. e altri<br />
Fallimento - Soggetti - Amministratori - Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. - Società a responsabilità<br />
limitata - Inammissibilità - Azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. del curatore - Configurabilità<br />
(cod. civ. artt. 146, 2043, 2394, 2394 bis, 2476; legge fallimentare art. 1)<br />
I creditori della società a responsabilità limitata possono agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti degli amministratori<br />
che si siano resi responsabili dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità<br />
del patrimonio sociale, ove questo risulti insufficiente ed in caso di fallimento è legittimato a far valere tale<br />
azione il curatore.<br />
Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />
La Gema 96 S.p.a, la S<strong>un</strong> & Sea S.r.l. e la Esse Group<br />
S.r.l. hanno convenuto in giudizio avanti a questo Trib<strong>un</strong>ale<br />
S.C.G., presidente del C.d.A. della Alberghi del<br />
Sole S.r.l. fino al febbraio 2006, R.C.G., amministratore<br />
<strong>un</strong>ico della predetta società dal marzo al maggio 2006 e,<br />
da quella data in poi consigliere di amministrazione, al<br />
pari di R.L. nonché la socia controllante di tale società,<br />
Arabba S.r.l., per sentir accogliere le conclusioni meglio<br />
riportate in epigrafe.<br />
A sostegno di tale domande le attrici hanno innanzitutto<br />
elencato i titoli, anche di natura giudiziale, in virtù<br />
dei quali hanno ass<strong>un</strong>to di essere creditrici della Alberghi<br />
del Sole S.r.l. Quindi, dopo aver descritto le principali<br />
vicende societarie e quelle che avevano riguardato<br />
l’organo amministrativo di quest’ultima società, hanno<br />
esposto le condotte di cui ritengono responsabili i convenuti<br />
ai sensi dell’art. 2394 c.c. e che, a loro dire, hanno<br />
provocato danni alla medesima.<br />
In primo luogo gli attori hanno addebitato ai convenuti<br />
di aver ritardato approvazione del bilancio dell’esercizio<br />
chiuso al 31 ottobre 2005, dopo il momento in cui Unicredit<br />
aveva erogato, a fronte dell’iscrizione di <strong>un</strong>a ipoteca<br />
volontaria sull’immobile di proprietà della società, <strong>un</strong><br />
finanziamento di euro 3.500.000,00 a favore della stessa<br />
e senza aver com<strong>un</strong>que provveduto a coprire le perdite<br />
maturate a quella data.<br />
Ancora gli attori hanno dedotto, quale ulteriore profilo<br />
di responsabilità dei convenuti, di non aver concluso ac-<br />
cordi transattivi con terzi soggetti, come la GSB s.a.s., la<br />
Le Gran Balcon e la Gema 96 S.p.A., verso i quali era<br />
fortemente esposta sebbene, dopo l’erogazione del succitato<br />
finanziamento, avesse avuto la liquidità utile a ciò,<br />
inducendo così i medesimi ad alc<strong>un</strong>e iniziative pregiudizievoli<br />
per la Alberghi del Sole (attivazione di <strong>un</strong> arbitrato<br />
da parte della Le Gran Balcon e escussione della fideiussione<br />
di cui era beneficiaria da parte della GSB).<br />
Le attrici hanno poi addebitato ai convenuti di aver proceduto,<br />
in violazione dell’art. 2467 c.c., a restituire alla<br />
socia Arabba S.r.l. il finanziamento di euro 550.000,00,<br />
che quella aveva erogato in favore della Alberghi del<br />
Sole utilizzando parte della somma mutuata da Unicredit.<br />
Ancora, a detta degli attori, gli amministratori della Alberghi<br />
del Sole hanno presentato <strong>un</strong>a domanda di concordato<br />
preventivo presso <strong>un</strong> Trib<strong>un</strong>ale, quale quello di<br />
Verona, palesemente incompetente per territorio e senza<br />
aver acquisito il consenso dei soci e aver neppure informato<br />
l’<strong>un</strong>ico soggetto che potesse esprimere <strong>un</strong> voto valido,<br />
ossia il creditore pignorante le quote sociali della<br />
società, ossia la Leans S.r.l. che aveva proceduto con<br />
due distinti pignoramenti, <strong>un</strong>o sulla quota, pari al 50%<br />
del capitale, di titolarità di S.C.G. e l’altro sul restante<br />
50% del capitale, di titolarità della Arabba S.r.l.<br />
Infine gli attori hanno sostenuto che i convenuti nel<br />
2007 hanno provveduto ad affittare l’albergo Li Rosi<br />
Marini, che costituiva l’<strong>un</strong>ica azienda di cui era proprietaria<br />
la Alberghi del Sole S.r.l., ad <strong>un</strong> canone irrisorio<br />
344 Il Fallimento 3/2013
ad <strong>un</strong>a società, la Iella S.r.l., di cui R.C.G. e la di lui<br />
moglie detenevano l’intera partecipazione, con il conseguente<br />
rischio di perdere i finanziamenti statali erogati<br />
ai sensi della L. n. 488/1992.<br />
Nello stesso periodo l’organo amministrativo della società<br />
ha risolto il contratto di affitto avente ad oggetto l’albergo<br />
La Mandola per stipularne <strong>un</strong> altro, alle medesime<br />
condizioni, con altra società, la CP Hotel S.r.l. di cui il<br />
C. e la moglie detengono il 50% del capitale.<br />
Dopo la notifica dell’atto introduttivo gli attori hanno<br />
proposto ricorso per sequestro conservativo nei confronti<br />
dei convenuti che, dopo l’instaurazione del contraddittorio<br />
ad esso relativo, è stato rigettato dal Giudice designato.<br />
I convenuti si sono costituiti anche nel giudizio di merito.<br />
R. e S.C.G., costituitisi a mezzo dello stesso difensore,<br />
hanno eccepito in via preliminare la nullità dell’atto<br />
di citazione sulla base del rilievo che gli addebiti nei loro<br />
confronti risultavano generici e indeterminati.<br />
Sempre in via preliminare i predetti convenuti, al pari<br />
degli altri, hanno sollevato eccezione di difetto di legittimazione<br />
attiva degli attori a proporre le domande. Tutti<br />
i convenuti poi hanno contestato anche nel merito la<br />
fondatezza degli ass<strong>un</strong>ti di controparte.<br />
La causa è stata istruita mediante <strong>un</strong>a c.t.u. diretta ad<br />
accertare la natura del pagamento effettuato da Arabba<br />
S.r.l. in favore di Alberghi del Sole e l’entità del patrimonio<br />
netto di quest’ultima società rispetto al suo indebitamento<br />
nel momento in cui beneficiò del suddetto<br />
importo.<br />
All’esito della c.t.u. all’udienza del 20 maggio 2011 il difensore<br />
di Arabba S.r.l., ha com<strong>un</strong>icato l’intervenuto fallimento<br />
della Alberghi del Sole S.r.l. e, conseguentemente,<br />
ha dedotto la sopravvenuta improcedibilità della<br />
domanda e a tale rilievo si sono associati i difensori degli<br />
altri convenuti.<br />
Ciò detto con riguardo all’iter del giudizio, in via preliminare<br />
va innanzitutto ribadita l’infondatezza dell’eccezione<br />
di difetto di legittimazione attiva delle attrici che<br />
le convenute avevano sollevato nel procedimento cautelare<br />
in corso di causa e che hanno riproposto nel giudizio<br />
di merito.<br />
Tale rilievo, che si fonda sull’incontestato presupposto<br />
che i comportamenti di cui si dolgono gli attori e che, a<br />
loro dire, hanno depauperato il patrimonio della società<br />
Alberghi del Sole ricadano sotto la disciplina del D.Lgs.<br />
n. 6/2003, essendo stati compiuti a partire dal febbraio<br />
2006, si richiama a quell’orientamento che, muovendo<br />
dalla constatazione che nella disciplina sulle società aresponsabilità<br />
limitata, introdotta dal predetto testo di legge,<br />
manca ogni previsione dell’azione dei creditori sociali<br />
(con la modifica dell’art. 2476 c.c. infatti, oltre ad essere<br />
stato eliminato il rinvio, tra gli altri, all’art. 2394 c.c. non<br />
è stata prevista ness<strong>un</strong>a disciplina specifica al riguardo),<br />
reputa che a tali soggetti non possa essere più riconosciuta<br />
la legittimazione ad <strong>un</strong>a simile iniziativa giudiziaria.<br />
Per i commentatori che aderiscono a tale interpretazione<br />
l’attuale assetto normativo è il frutto di <strong>un</strong>a scelta consapevole<br />
del legislatore, che ha inteso differenziare lo statuto<br />
della S.r.l. rispetto a quello delle S.p.a., sul presupposto<br />
che la prima costituisce ‘‘affare dei soci’’, accen-<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
tuando la responsabilità per l’amministrazione sul fronte<br />
interno, con contestuale esclusione di tale tipo di tutela<br />
per i creditori.<br />
A tale orientamento se ne contrappone <strong>un</strong> altro, nell’ambito<br />
del quale vanno annoverate alc<strong>un</strong>e pron<strong>un</strong>ce<br />
di merito (tra le più recenti si veda: Trib. Milano, sez.<br />
VIII, 18 gennaio 2011, n. 501) che ritiene che, anche<br />
in mancanza di <strong>un</strong>a espressa previsione di legge, la legittimazione<br />
dei creditori sociali a promuovere l’azione di<br />
responsabilità per i danni derivanti dalla mancata conservazione<br />
del patrimonio sociale discende dall’applicazione,<br />
in via analogica, dell’art. 2394 c.c.<br />
A favore di tale opzione è stato innanzitutto addotto <strong>un</strong><br />
condivisibile argomento di ordine sistematico, ossia la<br />
presenza all’interno del corpus normativo riguardante le<br />
società a responsabilità limitata, di norme che contemplano<br />
casi di responsabilità dei titolari di cariche sociali<br />
verso i creditori sociali, in particolare nella fase di liquidazione<br />
(art. 2485, primo comma seconda parte; art.<br />
2486 secondo comma e art. 2491 ultimo comma c.c.),<br />
per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento<br />
(art. 2497, primo comma, c.c.) o per quelle dotate<br />
di organo di controllo (art. 2477 ultimo comma c.c.<br />
ai sensi del quale ove il collegio sindacale sia obbligatorio<br />
si applica alla S.r.l. l’art. 2407 c.c. che, a sua volta,<br />
richiama l’art. 2394 c.c.).<br />
I sostenitori della tesi qui in esame hanno poi posto in<br />
luce, quale ulteriore considerazione a sostegno della medesima,<br />
come essa appaia l’<strong>un</strong>ica conforme alla Costituzione,<br />
in quanto idonea ad evitare <strong>un</strong>a disparità di trattamento<br />
per i creditori a seconda della diversa tipologia<br />
della persona giuridica con la quale sono in rapporto,<br />
pur in presenza di identica limitazione di responsabilità<br />
per i soci.<br />
Peraltro la conclusione alla quale gi<strong>un</strong>ge tale indirizzo,<br />
ossia che l’istituto di cui all’art. 2394 c.c. è espressione<br />
del principio generale secondo cui l’azione dei creditori<br />
sociali è f<strong>un</strong>zionale alla tutela dell’interesse pubblico al<br />
corretto f<strong>un</strong>zionamento dell’impresa in qualsiasi forma o<br />
tipologia societaria si svolga, che era superfluo richiamare<br />
ma che è meritevole di tutela anche nell’ambito delle<br />
S.r.l., risultando così passibile di interpretazione analogica,<br />
non persuade del tutto.<br />
Essa infatti postula che il testo attuale dell’art. 2476 c.c.<br />
sia il risultato di <strong>un</strong> difetto di coordinamento tra la disciplina<br />
delle S.p.a. e quella delle S.r.l. ma tale ass<strong>un</strong>to è<br />
contraddetto dal fatto che il sesto comma di tale disposizione<br />
contiene <strong>un</strong>a previsione identica a quella dell’attuale<br />
art. 2395 c.c., che ha mantenuto la formulazione<br />
antecedente alla riforma della società di capitali, e da<br />
ciò può desumersi che il legislatore, nel momento in cui<br />
delineò la nuova disciplina, aveva ben presente quale<br />
fosse quella in tema di società per azioni e in quali p<strong>un</strong>ti<br />
intendeva discostarsi da essa con riguardo alle S.r.l.<br />
L’estensione alla società a responsabilità limitata del disposto<br />
dell’art. 2394 risulta problematica anche per<br />
<strong>un</strong>’ulteriore considerazione, ossia quella che essa dovrebbe<br />
riguardare solo i primi due commi di tale norma mentre<br />
il terzo comma contiene <strong>un</strong>a disciplina sui presupposti<br />
per l’efficacia della rin<strong>un</strong>cia e della transazione all’a-<br />
Il Fallimento 3/2013 345
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
zione di responsabilità significativamente diversa da<br />
quella che l’art. 2476 quinto comma c.c. dedica all’analoga<br />
ipotesi che si verifichi nelle società a responsabilità<br />
limitata.<br />
Alla luce di tali considerazioni, e al fine di superare i<br />
p<strong>un</strong>ti critici che entrambe le opzioni sopra illustrate presentano,<br />
questo Giudice ritiene preferibile l’interpretazione,<br />
invero minoritaria (cfr. Trib. Napoli 11 novembre<br />
2004), che riconosce ai creditori sociali delle S.r.l. la tutela<br />
aquiliana del credito e che individua quindi la copertura<br />
normativa dell’azione di responsabilità che essi<br />
vogliano esperire nei confronti degli amministratori della<br />
società nell’art. 2043 c.c., con l’ovvia conseguenza che il<br />
comportamento dannoso dell’amministratore deve essere<br />
sorretto da dolo o colpa.<br />
È evidente che tale soluzione, oltre a risultare pienamente<br />
compatibile con il dettato costituzionale, presenta<br />
l’indubbio vantaggio di esimere l’interprete dall’interrogarsi<br />
sulla sorte della disciplina contenuta nell’art.2394<br />
c.c. Quanto poi alla possibile obiezione che essa viene<br />
com<strong>un</strong>que a legittimare <strong>un</strong>o statuto differente per la società<br />
a responsabilità limitata e la S.p.a è sufficiente osservare<br />
che ciò non è irragionevole dal momento che,<br />
come noto, il legislatore, con la riforma del 2003, ha inteso<br />
delineare le prima come società personale che gode<br />
del beneficio della responsabilità limitata (cfr. per tale<br />
definizione la relazione al D.Lgs. di riforma).<br />
Sulla base di tali considerazioni, poiché dalla lettura dell’atto<br />
di citazione, emerge chiaramente che le ricorrenti<br />
hanno descritto come intenzionali le condotte illecite<br />
che hanno attribuito ai convenuti e addirittura le hanno<br />
configurate come sorrette da <strong>un</strong> piano <strong>un</strong>itario, sussiste<br />
la legittimazione attiva delle società attrici.<br />
Una volta pervenuti alla conclusione appena esposta è<br />
possibile risolvere anche la questione, che è stata posta<br />
dalla difesa dei convenuti, a seguito dell’intervenuto fallimento<br />
della Alberghi del Sole S.r.l., se persista o meno<br />
la legittimazione degli attori a coltivare il presente giudizio.<br />
Sul p<strong>un</strong>to, pur in mancanza di <strong>un</strong>a disposizione come<br />
l’art. 2394 bis c.c. all’interno del corredo di norme<br />
sulla società a responsabilità limitata, occorre far riferimento<br />
alla disciplina fallimentare come interpretata dalla<br />
Corte di Cassazione nella pron<strong>un</strong>cia che è stata citata<br />
dalla difese dei convenuti nelle note conclusive autorizzate<br />
(si tratta di Cass. 21 luglio 2010, n. 17121).<br />
Il passo più significativo di tale decisione è il seguente:«-<br />
La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla considerazione<br />
che la l. fall., art. 146, nel suo testo originario,<br />
era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore<br />
all’esercizio delle azioni di responsabilità com<strong>un</strong>que<br />
esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli<br />
amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento<br />
agli artt. 2393 e 2394 c.c. E questa interpretazione<br />
risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perché il<br />
nuovo testo della l. fall., art. 146, come sostituito dal<br />
D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente<br />
che il curatore è legittimato a esercitare le azioni<br />
di responsabilità contro gli amministratori, i componenti<br />
degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori,<br />
della società fallita». La Corte in tale sentenza ha an-<br />
che ribadito il proprio orientamento secondo cui «l’azione<br />
di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento<br />
ai sensi della l. fall., art. 146, ha natura contrattuale e carattere<br />
<strong>un</strong>itario ed inscindibile, risultando frutto della<br />
confluenza in <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico rimedio delle due diverse azioni<br />
di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c.» (cfr. in tali termini anche<br />
Cass., Sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977, m. 605521).<br />
In altri termini, secondo la Suprema Corte, la riforma<br />
della legge fallimentare, nell’attribuire al curatore fallimentare<br />
la legittimazione esclusiva all’esercizio di tutte le<br />
azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori<br />
che trovino fondamento nella disciplina di diritto sostanziale,<br />
non ha fatto altro che esplicitare quanto già poteva<br />
desumersi in via interpretativa dal testo previgente.<br />
Se poi si tiene presente la f<strong>un</strong>zione di <strong>un</strong>a simile legittimazione<br />
risulta evidente l’infondatezza dell’obiezione<br />
della difesa attorea, secondo cui i predetti principii non<br />
sarebbero applicabili ai casi, come quello di specie, in<br />
cui l’azione di responsabilità sia stata già promossa dai<br />
creditori sociali prima del fallimento.<br />
L’esclusività della legittimazione del curatore invero risponde<br />
all’esigenza di utilizzare le azioni di responsabilità<br />
come strumento per la ricostruzione del patrimonio della<br />
società fallita e acquisire, così, anche gli eventuali risultati<br />
economici dell’iniziativa giudiziale alla massa, in ossequio<br />
ai principi di parità di trattamento che sono alla<br />
base della procedura concorsuale.<br />
La dottrina, ha infatti evidenziato che lo scopo dell’azione<br />
di responsabilità esercitata dal curatore non può più<br />
essere quello di reintegrare il patrimonio dei singoli creditori,<br />
ma quello di attuare, per il tramite della ricostruzione<br />
del patrimonio del fallito, il concorso anche su <strong>un</strong><br />
patrimonio diverso, e cioè quello dell’amministratore. Il<br />
danno risarcibile, conseguentemente, non può più essere<br />
quello cagionato al singolo creditore, bensì quello subito<br />
dalla società che sia divenuta incapiente come massa e<br />
proprio queste considerazioni valgono a spiegare meglio<br />
perché l’azione del curatore sociale abbia quel carattere<br />
misto di cui si è detto sopra.<br />
Se tutto ciò è vero non è concepibile che, dopo la declaratoria<br />
di fallimento di <strong>un</strong>a società di capitali, il giudizio<br />
di responsabilità promosso, prima di quell’evento, dal<br />
creditore sociale nei confronti dell’amministratore della<br />
società fallita possa proseguire perché l’accoglimento delle<br />
domanda comporterebbe la violazione della par condicio<br />
creditorum.<br />
In questi casi pertanto spetta al curatore proseguire l’azione,<br />
come ha avuto occasione di chiarire la Corte di<br />
Cassazione già con riguardo al disposto dell’art. 2394,<br />
comma 3, precedente la riforma del 2003, che era identico<br />
a quello dell’attuale art. 2394 bis (si veda, sebbene<br />
si tratti di affermazione incidentale: Cass. 7 novembre<br />
1997, n. 10937). La Suprema Corte, sempre con riguardo<br />
alla predetta disciplina, ha anche chiarito che: «in<br />
costanza di fallimento la legittimazione dei creditori sociali<br />
ad esercitare l’azione di responsabilità di cui all’art.<br />
2394 c.c. non sopravvive, ancorché il curatore rimanga<br />
inerte» (Cass. 28 novembre 1984, n. 6187 e Cass. 28<br />
febbraio 1998, n. 2251) e che la legittimazione dei creditori<br />
risorge in caso di chiusura del fallimento.<br />
346 Il Fallimento 3/2013
È appena il caso di aggi<strong>un</strong>gere che all’estensione di queste<br />
conclusioni al caso in cui l’azione di responsabilità sia<br />
stata promossa dai creditori di <strong>un</strong>a S.r.l., non osta la<br />
mancanza di <strong>un</strong>a norma come l’art. 2393 bis c.c. nell’ambito<br />
della disciplina di tale tipo di società. Ricorre infatti,<br />
l’eadem ratio, per l’effetto implementativo conseguente,<br />
poiché, anche in caso di fallimento di <strong>un</strong>a S.r.l., quell’azione<br />
acquista la medesima finalità di cui si è detto e<br />
compete quindi al curatore fallimentare in via esclusiva.<br />
Per quanto riguarda la regolamentazione delle spese di lite,<br />
la considerazione che l’esito in rito del presente giudizio<br />
è stato determinato da <strong>un</strong>a circostanza sopravvenuta<br />
nel corso di esso, che non era prevedibile nel momento<br />
in cui esso ha avuto inizio, giustifica la compensazione<br />
di esse, ivi comprese quelle della fase cautelare in corso<br />
di causa, tra le parti. Quelle della espletata c.t.u. invece<br />
vanno poste a carico delle parti che le hanno anticipate.<br />
(Omissis).<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto 2012 - Est. Rabuano - Curatela fallimento Antico<br />
Opificio Serico De Negri in liquidazione c. A.S. e altri<br />
Fallimento - Soggetti - Amministratori - Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. - Società a responsabilità<br />
limitata - Legittimazione del curatore fallimentare - Ammissibilità<br />
(cod. civ. artt. 146, 2394, 2394 bis, 2476; legge fallimentare art. 1)<br />
All’esito della nuova disciplina societaria e fallimentare, il curatore della società a responsabilità limitata dichiarata<br />
fallita è legittimato ad agire ai sensi dell’art. 2394 c.c. e 146 l. fall. nei confronti degli amministratori<br />
che non abbiano osservato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ove<br />
questo risulti insufficiente a soddisfare le pretese creditorie.<br />
Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />
2. Legittimazione del curatore del fallimento AOS a<br />
esercitare l’azione di responsabilità dei creditori sociali.<br />
La difesa del C. ha contestato l’esercizio da parte della<br />
curatela del fallimento AOS dell’azione dei creditori sociali<br />
precisando che: «Con riguardo a tale tipo di società<br />
la normativa introdotta dalla riforma del 2003 (art.<br />
2476 c.c.) dispone che gli amministratori sono responsabili<br />
verso la società stessa dei danni derivanti dalla inosservanza<br />
dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto<br />
costitutivo, precisando che l’azione di responsabilità<br />
contro gli amministratori è promossa da ciasc<strong>un</strong> socio<br />
(art. 2476 c.c.). La nuova disciplina delle società a responsabilità<br />
limitata non prevede invece <strong>un</strong>’azione di responsabilità<br />
contro gli amministratori esperibile dai creditori<br />
sociali nel caso in cui il patrimonio sociale, a causa<br />
della indebita condotta degli amministratori stessi, risulti<br />
insufficiente al pagamento dei debiti della società,<br />
non contenendo la nuova normativa <strong>un</strong>a disposizione<br />
analoga a quella dettata dall’art. 2394 c.c. in materia di<br />
società per azioni».<br />
L’eccezione è infondata.<br />
La riforma del diritto societario, entrata in vigore l’1<br />
gennaio 2004 ed, in via definitiva, e cioè prevalendo<br />
sulle norme statutarie eventualmente difformi, l’1 ottobre<br />
2004, ha previsto relativamente alle società per azioni,<br />
in <strong>un</strong> modo non molto dissimile dal passato, le azioni<br />
di responsabilità degli amministratori verso la società<br />
(art. 2392-2393 c.c.), verso i creditori sociali (art. 2394<br />
c.c.) e verso il socio e il terzo direttamente danneggiati<br />
da atti dolosi o colposi, riservando, in caso di fallimento<br />
della società, le azioni previste dagli artt. 2392, 2393 c.c.<br />
al curatore della procedura concorsuale.<br />
Per le società a responsabilità limitata, invece, la nuova<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
normativa ha previsto e disciplinato le azioni di responsabilità<br />
degli amministratori verso la società (art. 2476,<br />
commi 1, 2, 3, 4 e 5, nuovo testo, c.c.) e verso i singoli<br />
soci e terzi direttamente danneggiati da atti dolosi e colposi<br />
(art. 2476, comma 6, c.c.), ma ha omesso di prevedere,<br />
in modo espresso, l’azione di responsabilità spettante<br />
ai creditori sociali per il caso d’inadempimento degli<br />
amministratori al dovere di conservare l’integrità del patrimonio<br />
sociale tale da provocarne l’insufficienza a soddisfare<br />
tutti i debiti della società.<br />
Il trib<strong>un</strong>ale ritiene che le questione oggetto di analisi<br />
siano due: 1) se sia desumibile, in via interpretativa, l’esistenza<br />
dell’azione di responsabilità dei creditori sociali<br />
nei confronti degli amministratori di società a responsabilità<br />
limitata; 2) se sia configurabile la legittimazione<br />
straordinaria del curatore all’esercizio dell’azione di responsabilità<br />
dei creditori sociali.<br />
Per quanto riguarda la prima questione, il trib<strong>un</strong>ale rileva,<br />
innanzitutto, che l’art. 146 R.D. 267/42 con la sua<br />
ampia formulazione «Sono esercitate dal curatore previa<br />
autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato<br />
dei creditori: a)le azioni di responsabilità contro gli amministratori,<br />
i componenti degli organi di controllo, i direttori<br />
generali e i liquidatori» riconosce all’ufficio fallimentare<br />
qualsiasi azione di responsabilità nei confronti<br />
degli amministratori della società e, dovendosi trattare<br />
di azioni strumentali alla tutela degli interessi cha la curatela<br />
rappresenta e, quindi, degli interessi sia dell’impresa<br />
insolvente sia dei suoi creditori, si deve pervenire alla<br />
conclusione che la disposizione citata riconosce alla curatela<br />
il diritto di esercitare l’azione di responsabilità nei<br />
confronti degli amministratori della società fallita quando<br />
gli stessi abbiano recato pregiudizio alle ragioni dei<br />
creditori sociali.<br />
Il Fallimento 3/2013 347
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
L’analisi sistematica delle norme che regolano il regime<br />
di responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità<br />
limitata conferma l’esistenza dell’azione di<br />
responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli<br />
amministratori di s.r.l.<br />
L’art. 2485, comma 1, c.c. prevede che gli amministratori<br />
che hanno ritardato od omesso di procedere all’accertamento<br />
‘‘senza indugio’’ ed alla pubblicità della verificazione<br />
di <strong>un</strong>a causa di scioglimento della società sono responsabili<br />
per i danni cagionati ai creditori sociali.<br />
L’art. 2486 c.c. prevede che gli amministratori che hanno<br />
compiuto, dopo lo scioglimento della società, atti<br />
non finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore<br />
del patrimonio sociale sono responsabili per i danni<br />
cagionati ai creditori della società.<br />
L’art. 2497 c.c. dispone che i creditori sociali di <strong>un</strong>a società<br />
assoggettata all’altrui potere di direzione e coordinamento,<br />
quindi, anche imprese collettive organizzate<br />
secondo il modello della società a responsabilità limitata<br />
possono agire, in caso di abuso, contro la società controllante<br />
e di chi<strong>un</strong>que abbia preso parte al fatto, ivi<br />
compresi gli amministratori della controllante<br />
Infine, si può ritenere applicabile analogicamente l’art.<br />
2394 c.c. che prevede espressamente per le società per<br />
azioni il diritto dei creditori sociali di agire per far valere<br />
la responsabilità degli amministratori per aver cagionato<br />
<strong>un</strong>a diminuzione del patrimonio della società con<br />
conseguente pregiudizio per le loro ragioni economiche.<br />
Sussistono, infatti, i presupposti dall’analogia legis: 1) l’esistenza,<br />
nella nuova disciplina dettata in tema di responsabilità<br />
degli amministratori di società a responsabilità<br />
limitata, di <strong>un</strong>a lac<strong>un</strong>a normativa (tanto più se si<br />
considera che, se non disciplinata, l’azione dei creditori<br />
sociali neppure è stata espressamente o inequivocabilmente<br />
esclusa dalla legge); 2) l’eadem legis ratio: tanto<br />
nelle società per azioni, quanto nelle società a responsabilità<br />
limitata, infatti, la responsabilità degli amministratori<br />
verso i creditori sociali costituisce <strong>un</strong> principio generale<br />
che rappresenta il contrappeso rispetto alla responsabilità<br />
limitata dei soci.<br />
Infine, pur se si volesse escludere l’applicazione delle<br />
norme indicate, i creditori potrebbero agire nei confronti<br />
degli amministratori della società per i danni cagionati<br />
al patrimonio sociale e, quindi, alle loro ragioni economiche<br />
ricorrendo all’art. 2043 c.c.<br />
La legittimazione straordinaria del curatore all’esercizio<br />
dell’azione di responsabilità dei creditori sociali ha il<br />
proprio fondamento nella stessa previsione dell’art. 146<br />
R.D. 267/42 che concentra in capo all’ufficio fallimentare<br />
la titolarità delle azioni di massa dirette a ricostituire<br />
il patrimonio della società tramite l’accertamento della<br />
responsabilità e la condanna di coloro che, in qualità di<br />
amministratori e sindaci, hanno danneggiato l’impresa e<br />
il relativo ceto creditorio.<br />
Inoltre, secondo i principi del diritto concorsuale, riconosciuta<br />
l’esistenza dell’azione dei creditori per far valere<br />
al responsabilità degli amministratori della società, la legittimazione<br />
al suo esercizio deve essere riconosciuta necessariamente<br />
al curatore fallimentare con la conseguenza<br />
che nel corso della procedura i creditori (ammessi o<br />
meno al passivo) non hanno <strong>un</strong>a legittimazione concorrente<br />
al suo esperimento.<br />
In definitiva, l’eccezione della difesa del Cappuccilli è<br />
infondata.<br />
(Omissis).<br />
Il ceto creditorio e la dimensione istituzionale della S.r.l.:<br />
riflessi sull’azione dei creditori sociali e sulla legittimazione<br />
del curatore<br />
di Luigi Abete *<br />
Le pron<strong>un</strong>ce in commento offrono l’occasione per riflettere ulteriormente in ordine sia all’operatività della<br />
responsabilità ex art. 2394 c.c. nell’ambito della disciplina della S.r.l. sia della legittimazione del curatore del<br />
fallimento. L’A., in considerazione delle peculiarità che all’esito della riforma di cui al D.Lgs. n. 6/2003 connotano<br />
la società a responsabilità limitata, dissente dalla esegesi patrocinata dal trib<strong>un</strong>ale di S. Maria C.V.,<br />
ancorché confortata da <strong>un</strong> recente arresto della Suprema Corte, e la condivide solo in parte, segnatamente<br />
laddove si afferma che la responsabilità degli amministratori per l’insufficienza patrimoniale è in ogni caso<br />
configurabile nel solco dell’art. 2043 c.c., ma se ne discosta, viceversa, laddove opina per l’esclusiva legittimazione<br />
del curatore del fallimento di S.r.l. ad azionarla.<br />
1. La vicenda di cui alla statuizione<br />
veronese<br />
La vicenda di cui alla sentenza del trib<strong>un</strong>ale di Verona,<br />
allo specifico fine dei rilievi che si intendono<br />
svolgere, può esser come di seguito esplicitata.<br />
La ‘‘Gema 96’’ S.p.a., la ‘‘S<strong>un</strong> & Sea’’ S.r.l. e la<br />
‘‘Esse Group’’ S.r.l. convengono innanzi al trib<strong>un</strong>ale<br />
di Verona Sergio Cattaneo Guerra, Roberto Cat-<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
348 Il Fallimento 3/2013
taneo Guerra e Roberto Lazzarini, rispettivamente,<br />
il primo, quale presidente del consiglio di amministrazione<br />
sino al mese di febbraio 2006, il secondo,<br />
quale amministratore <strong>un</strong>ico dal marzo al maggio del<br />
2006 e poi componente del consiglio di amministrazione,<br />
il terzo, quale componente dal maggio<br />
2006 del consiglio di amministrazione della ‘‘Alberghi<br />
del Sole’’ S.r.l. Convengono in giudizio, altresì,<br />
la ‘‘Arabba’’ S.r.l., quale società controllante la medesima<br />
‘‘Alberghi del Sole’’.<br />
Le attrici premettono di esser a vario titolo creditrici<br />
della ‘‘Alberghi del Sole’’ S.r.l. e, su tale scorta,<br />
danno conto di tal<strong>un</strong>e condotte ascrivibili ai convenuti<br />
e - a loro dire - atte ad aver cagionato l’effetto<br />
pregiudizievole dell’insufficienza patrimoniale<br />
di cui all’art. 2394 c.c.<br />
Instano, pertanto, per la loro condanna al risarcimento<br />
del danno ex art. 2394 c.c.<br />
Nel corso del giudizio, all’udienza del 20 maggio<br />
2011, il difensore della ‘‘Arabba’’ riferisce della declaratoria<br />
di fallimento della ‘‘Alberghi del Sole’’<br />
ed in forza di tale sopravvenuta circostanza chiede,<br />
<strong>un</strong>itamente ai difensori degli altri convenuti, dichiararsi<br />
l’improcedibilità della domanda.<br />
Con la pron<strong>un</strong>cia de qua il trib<strong>un</strong>ale di Verona, limitatamente<br />
alla preliminare eccezione di difetto di<br />
legittimazione delle attrici sollevata dai convenuti e<br />
da costoro ancorata alla «constatazione che nella<br />
disciplina sulle società a responsabilità limitata ...<br />
manca ogni previsione dell’azione dei creditori sociali»,<br />
dà atto che «l’estensione alla società a responsabilità<br />
limitata del disposto dell’art. 2394 risulta<br />
problematica» e, d<strong>un</strong>que, «ritiene preferibile<br />
l’interpretazione, invero minoritaria (cfr. Trib. Napoli<br />
11 novembre 2004), che riconosce ai creditori<br />
sociali delle s.r.l. la tutela aquiliana del credito e<br />
che individua quindi la copertura normativa dell’azione<br />
di responsabilità che essi vogliono esperire<br />
nei confronti degli amministratori della società nell’art.<br />
2043 c.c. ...».<br />
Su tale scorta reputa sussistente la legittimazione<br />
attiva delle società attrici.<br />
Al contempo, nel delibare la questione - del pari<br />
posta dalla difesa dei convenuti - circa la persistenza<br />
o meno, a seguito dell’intervenuto fallimento<br />
della ‘‘Alberghi del Sole’’, della «legittimazione degli<br />
attori a coltivare il presente giudizio», reputa<br />
che, «pur in mancanza di <strong>un</strong>a disposizione come<br />
l’art. 2394 bis c.c. all’interno del corredo di norme<br />
sulla società a responsabilità limitata, occorre far riferimento<br />
alla disciplina fallimentare come interpretata<br />
dalla Corte di Cassazione nella pron<strong>un</strong>cia<br />
... 21 luglio 2010 n. 17121)».<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Sulla scorta del testé indicato arresto della Suprema<br />
Corte il trib<strong>un</strong>ale di Verona opina per la legittimazione<br />
esclusiva del curatore fallimentare «all’esercizio<br />
di tutte le azioni di responsabilità nei confronti<br />
degli amministratori che trovino fondamento nella<br />
disciplina di diritto sostanziale» e, quindi, nel senso<br />
che «non è concepibile che, dopo la declaratoria di<br />
fallimento di <strong>un</strong>a società di capitali, il giudizio di<br />
responsabilità promosso, prima di quell’evento, dal<br />
creditore sociale nei confronti dell’amministratore<br />
della società fallita possa proseguire perché l’accoglimento<br />
della domanda comporterebbe violazione<br />
della par condicio creditorum», soggi<strong>un</strong>gendo che<br />
«non osta la mancanza di <strong>un</strong>a norma come l’art.<br />
2393 bis c.c. nell’ambito della disciplina di tale tipo<br />
di società. Ricorre, infatti, l’eadem ratio ...».<br />
2. La vicenda di cui alla statuizione<br />
sammaritana<br />
La vicenda di cui alla ponderosa ordinanza del trib<strong>un</strong>ale<br />
di S. Maria Capua Vetere, del pari al precipuo<br />
scopo delle argomentazioni da svolgere, può<br />
dal canto suo esser rappresentata nei susseguenti<br />
circoscritti termini.<br />
Il curatore del fallimento della S.r.l. ‘‘Antico Opificio<br />
Serico De Negri’’, con ricorso ex art. 671 c.p.c.<br />
depositato in data 15 febbraio 2012 e correlato ad<br />
<strong>un</strong> atto di citazione datato 16 giugno 2011 con cui<br />
il medesimo organo aveva provveduto ad esperire<br />
azione ex art. 146 l. fall. nei confronti di amministratori<br />
e sindaci della società fallita, insta affinché<br />
sia autorizzato in danno dei resistenti - già convenuti<br />
- il sequestro conservativo delle loro rispettive<br />
integrali consistenze patrimoniali, onde salvaguardare<br />
la possibilità di coattiva realizzazione delle ragioni<br />
di credito atte a scaturire dall’affermanda responsabilità<br />
dei medesimi resistenti.<br />
I resistenti si costituiscono ed, a loro volta, tra l’altro,<br />
danno atto dell’omessa prefigurazione nel quadro<br />
della disciplina della società a responsabilità limitata,<br />
quale fuoriuscita dalla ‘‘riforma’’ del 2003,<br />
di <strong>un</strong>’azione del tipo di quella di cui all’art. 2394<br />
c.c., scritto in materia di società azionaria ed abilitante<br />
i creditori sociali ad agire in danno degli amministratori.<br />
Con l’ordinanza in disamina il trib<strong>un</strong>ale sammaritano<br />
reputa, per <strong>un</strong> verso, che il sistema registra <strong>un</strong>a<br />
pluralità di indici positivi - ovvero gli artt. 2485,<br />
primo comma, 2486 e 2497 c.c. - idonei a confermare<br />
(la tesi favorevole al)l’ammissibilità pur sul<br />
terreno della disciplina della S.r.l. della responsabilità<br />
degli amministratori e dei sindaci nei confronti<br />
Il Fallimento 3/2013 349
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
del ceto creditorio considerato nel suo complesso,<br />
reputa, per altro verso, che la legittimazione straordinaria<br />
del curatore del fallimento di S.r.l. all’esercizio<br />
dell’azione dei creditori sociali rinviene il suo<br />
ancoraggio positivo nella previsione dell’art. 146 l.<br />
fall.<br />
3. Breve rappresentazione dello stato<br />
della giurisprudenza e della dottrina<br />
in ordine alla tematica in disamina<br />
Il tema della configurabilità, da <strong>un</strong> lato, della responsabilità<br />
degli amministratori di S.r.l. nei confronti<br />
del ceto creditorio nel suo complesso considerato,<br />
analogamente a quanto prefigura l’art. 2394<br />
c.c. sul terreno della società azionaria, e, dall’altro,<br />
della legittimazione del curatore del fallimento di<br />
S.r.l. ad esperire la medesima azione, ha registrato<br />
in epoca relativamente recente l’intervento del giudice<br />
di legittimità.<br />
La Corte suprema, con sentenza n. 17121 del 21 luglio<br />
2010 (1), siccome leggesi testualmente in motivazione,<br />
ha dato atto che «il D.Lgs. n. 6/2003 ha<br />
disciplinato autonomamente la responsabilità degli<br />
amministratori di S.r.l., eliminando ogni richiamo<br />
alla disciplina della S.p.a.», sicché «si discute ... se<br />
il curatore fallimentare sia ancora legittimato all’esercizio<br />
delle azioni di responsabilità nei confronti<br />
degli amministratori di S.r.l.»; in ogni caso ha, al<br />
riguardo, opinato nel senso che «la questione deve<br />
ritenersi tuttavia superata dalla considerazione che<br />
la l. fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato<br />
solo a riconoscere la legittimazione del curatore<br />
all’esercizio delle azioni di responsabilità com<strong>un</strong>que<br />
esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti<br />
degli amministratori, indipendentemente dallo specifico<br />
riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.»; ed ha<br />
concluso nel senso che «questa interpretazione risulta<br />
ora confermata dallo stesso legislatore, perché<br />
il nuovo testo della l. fall., art. 146, come sostituito<br />
dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede<br />
semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare<br />
le azioni di responsabilità contro gli amministratori,<br />
i componenti degli organi di controllo, i<br />
direttori generali e i liquidatori, della società fallita.<br />
Sicché il curatore può esercitare qualsiasi azione di<br />
responsabilità cui sia ammesso contro gli amministratori<br />
di qualsiasi società».<br />
L’elaborazione giurisprudenziale di merito, dal canto<br />
suo, appare in forma ampiamente maggioritaria<br />
orientata nel senso della operatività in via analogica<br />
dell’art. 2394 c.c. anche nel quadro della disciplina<br />
della minore delle società di capitali e, paral-<br />
lelamente, nel senso della piena legittimazione del<br />
curatore del fallimento di S.r.l. ad esperire l’azione<br />
dei creditori sociali (2).<br />
Da ultimo si è espresso in questi termini il trib<strong>un</strong>ale<br />
di Lecce con sentenza del 9 dicembre 2011 (3),<br />
che si limita a registrare, in toto <strong>un</strong>iformandosi, la<br />
summenzionata statuizione del giudice del diritto.<br />
In questo quadro l’orientamento giurisprudenziale -<br />
di merito - propenso a disconoscere la responsabilità<br />
degli amministratori di S.r.l. nei confronti del ceto<br />
creditorio globalmente inteso ed, in pari tempo,<br />
la legittimazione del curatore del fallimento di società<br />
di tale tipo ad esercitare la correlata azione si<br />
rivela decisamente minoritario (4).<br />
Il panorama delle riflessioni dottrinali appare egualmente<br />
diviso (5).<br />
Note:<br />
(1) In Le Società, 2011, 701.<br />
(2) Cfr. in tal senso Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in Le Società,<br />
2011, 1145; Trib. Milano, 22 dicembre 2010, in Le Società,<br />
2011, 757; Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Le Società, 2011,<br />
510; Trib. Novara, 12 gennaio 2010, in Le Società, 2010, 645;<br />
Trib. Nola, 18 giugno 2009, in Fall., 2010, 121; Trib. Roma, (ord.)<br />
23 febbraio 2009, in Le Società, 2010, 97; Trib. Milano, 10 ottobre<br />
2007, in Giur. it., 2008, 2511; Trib. Mantova, (ord.) 14 settembre<br />
2005, in questa Rivista, 2006, 98; Trib. Udine, (ord.) 11<br />
febbraio 2005, in Dir. fall., 2005, II, 808; Trib. Napoli, 12 maggio<br />
2004, in Le Società, 2005, 1013; Trib. Napoli, 16 aprile 2004, in<br />
Le Società, 2005, 1015.<br />
(3) In questa Rivista, 2012, 705, con nota di S. Ronco, Questioni<br />
varie in tema di responsabilità di amministratori e sindaci di S.r.l.<br />
(4) Il riferimento è a Trib. Napoli, 11 novembre 2004, in Le Società,<br />
2005, 1007; Trib. S. Maria C.V., 18 marzo 2005, in questa<br />
Rivista, 2006, 190; Trib. Milano, 25 gennaio 2006, in Le Società,<br />
2007, 320.<br />
(5) Per l’orientamento incline a ritenere che nulla sia mutato all’esito<br />
delle riforme, e societaria e fallimentare, cfr. S. Ambrosini,<br />
Le azioni di responsabilità, inTrattato di diritto commerciale,<br />
diretto da Cottino, IX, 2, Il Fallimento, Padova, 2009, 735 ss.;<br />
cfr. G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel fallimento, in<br />
Fallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali e negoziate delle<br />
crisi d’impresa dopo le riforme, a cura di P. Celentano, E. Forgillo,<br />
Torino, 2008, 877 ss.; cfr. M. Rescigno, Rapporti e interferenze<br />
tra riforma societaria e fallimentare, inIl nuovo diritto fallimentare,<br />
diretto da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, II, Bologna,<br />
2007, 2126 ss.; cfr. M. Bianca, La responsabilità degli amministratori<br />
nella società a responsabilità limitata, inDir. fall.,<br />
2005, II, 808; cfr. S. Sica, Responsabilità degli amministratori e<br />
fallimento delle società di capitali, in questa Rivista, 2005, 98.<br />
Per l’orientamento di segno contrario cfr. N. Rocco di Torrepadula,<br />
La Responsabilità degli amministratori nel fallimento della<br />
società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 2006, 1464,<br />
secondo cui «sembra, in definitiva, che non vi sia spazio per le<br />
impostazioni che intendono preservare tuttora <strong>un</strong>o spazio d’intervento<br />
dei creditori nei confronti degli amministratori di società<br />
a responsabilità limitata»; l’Autore soggi<strong>un</strong>ge che «l’assenza<br />
dell’azione dei creditori nella società a responsabilità limitata<br />
non sia <strong>un</strong> fatto così strano o drammatico come viene paventato»;<br />
cfr. G. Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali,<br />
Milano, 2007, 921, secondo cui, «rispetto alle società per<br />
azioni, per le quali è prevista sia l’azione sociale, sia quella dei<br />
creditori sociali, per le società a responsabilità limitata il legisla-<br />
(segue)<br />
350 Il Fallimento 3/2013
Più esattamente la ricostruzione dottrinale che<br />
più d’ogni altra risulta argomentata onde dar ragione<br />
della perdurante operatività del pregresso<br />
assetto pur nel nuovo regime (6), fa leva su di<br />
<strong>un</strong>a pluralità di indici positivi in parte riflessi nell’ordinanza<br />
sammaritana, propriamente sul disposto<br />
degli artt. 2485, primo comma, 2486, 2477,<br />
quarto comma, 2489 e 2497 c.c., debitamente<br />
soggi<strong>un</strong>gendo, da <strong>un</strong> lato, che «a ragionare diversamente,<br />
si rischierebbe <strong>un</strong>’ingiustificata disparità<br />
di trattamento dei creditori della società per azioni<br />
rispetto ai creditori della società a responsabilità<br />
limitata e, tra questi ultimi, tra i creditori della<br />
società a responsabilità limitata dotata di collegio<br />
sindacale ed i creditori della società a responsabilità<br />
limitata che ne sia priva» (7), dall’altro, che,<br />
alla stregua della previsione dell’art. 146, secondo<br />
comma, lett. a), l. fall., il curatore del fallimento<br />
di qualsivoglia società di capitali e, d<strong>un</strong>que, anche<br />
di S.r.l. è legittimato ad esperire tutte indistintamenteleazionidiresponsabilitàall’uopo<br />
previste<br />
nei confronti degli amministratori, degli organi di<br />
controllo, dei direttori generali e dei liquidatori<br />
(8).<br />
4. Le disposizioni in tema di scioglimento<br />
e liquidazione ed in tema di direzione<br />
e coordinamento<br />
L’ordinanza sammaritana, d<strong>un</strong>que, al p<strong>un</strong>to 2. della<br />
motivazione, intitolato ‘‘legittimazione del curatore<br />
del fallimento AOS a esercitare l’azione di responsabilità<br />
dei creditori sociali’’, sulla scia della dottrina<br />
testé menzionata, fa perno espressamente sulle<br />
previsioni degli artt. 2485, primo comma, 2486 e<br />
2497 c.c.<br />
Al riguardo, tuttavia, devesi inevitabilmente porre<br />
in risalto, innanzitutto, che le disposizioni in tema<br />
di ‘‘scioglimento e liquidazione delle società di capitali’’,<br />
di cui agli artt. 2484 e ss. c.c., sono ambivalenti,<br />
operano, cioè, al contempo sia con riferimento<br />
alla S.p.a. sia con riferimento alla S.r.l.<br />
Conseguentemente la responsabilità e degli amministratori<br />
e, si aggi<strong>un</strong>ge, dei liquidatori, segnatamente<br />
a norma dell’art. 2489 c.c. (9), non può che<br />
qualificarsi e specificarsi, a seconda che trattasi di<br />
S.p.a. ovvero di S.r.l., alla stregua delle disposizioni<br />
dettate in materia di responsabilità per l’<strong>un</strong>a e l’altra<br />
tipologia societaria, allorché l’organismo collettivo<br />
versi in fase operativa. Del resto particolarmente<br />
esplicativa in tal senso è la previsione dell’art.<br />
2489, secondo comma, c.c., ove leggesi testualmente<br />
che la responsabilità dei liquidatori per<br />
i danni derivati dall’inosservanza dei loro doveri «è<br />
disciplinata secondo le norme in tema di responsabilità<br />
degli amministratori».<br />
Devesi inevitabilmente rimarcare, in secondo luo-<br />
Note:<br />
(segue nota 5)<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
tore non ha ribadito la possibilità di esercitare quest’ultima azione<br />
e tale omissione, sicuramente non ricollegabile ad <strong>un</strong>a mera<br />
dimenticanza, dovrebbe precludere la relativa iniziativa. Nelle<br />
procedure concorsuali dovrebbe valere la medesima interpretazione<br />
...»; cfr. F. Ciampi, Novità della Novella per le azioni di responsabilità<br />
nelle s.r.l., inLe Società, 2006, 286; cfr. C. Proto,<br />
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nelle S.r.l., in questa<br />
Rivista, 2005, 692, che reputa che «l’azione dei creditori sociali<br />
di S.r.l. sia mantenuta per le società in stato di scioglimento,<br />
ex art. 2486 e nella disciplina del gruppo ex art. 2497 ..., ma<br />
sia stata eliminata esclusivamente per il risarcimento di quei<br />
danni che siano stati cagionati al patrimonio sociale di S.r.l. da<br />
condotte antecedenti al verificarsi della causa di scioglimento e<br />
determinative dell’insufficienza patrimoniale»; cfr. A. Silvestrini,<br />
Responsabilità degli amministratori nella S.p.a. e nella S.r.l. dopo<br />
la riforma societaria, inLe Società, 2004, 681, secondo cui,<br />
«mentre l’art. 2476 c.c. prevede ancora (al sesto comma) la responsabilità<br />
degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi<br />
per danni direttamente cagionati a costoro, nulla stabilisce in ordine<br />
all’azione dei creditori sociali e ciò, in <strong>un</strong> sistema che prevede<br />
specificamente tale azione nella S.p.a., non può avere altro<br />
significato se non quello della sua eliminazione come azione di<br />
categoria»; cfr. S. Di Amato, Le azioni di responsabilità nella<br />
nuova disciplina della società a responsabilità limitata, inGiur.<br />
comm., 2003, I, 298; cfr. - sia consentito - L. Abete, Il fallimento<br />
degli imprenditori collettivi, inLe riforme della legge fallimentare,<br />
a cura di A. Didone, Torino, 2009, 1451 ss.<br />
(6) Il riferimento è a G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità<br />
nel fallimento, inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali<br />
e negoziate delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 918 ss.<br />
(7) Così G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità nel fallimento,<br />
inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali e negoziate<br />
delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 920. Al riguardo cfr.,<br />
altresì, S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, inTrattato di diritto<br />
commerciale, diretto da G. Cottino, IX, 2, Il Fallimento, cit.,<br />
745 s., secondo cui, «ogniqualvolta la S.r.l. sia dotata di <strong>un</strong> capitale<br />
sociale superiore al limite di euro 120.000,00, ... il che ...<br />
comporta l’applicazione delle regole dettate per il modello azionario,<br />
... ne deriva che ... l’azione dei creditori è certamente<br />
esperibile’’ e secondo il quale, inoltre, ‘‘non sarebbe sostenibile<br />
... <strong>un</strong>’interpretazione che consentisse al curatore di convenire in<br />
giudizio i membri dell’organo di controllo e non anche quelli dell’organo<br />
di gestione, in quanto si tratterebbe di <strong>un</strong>a situazione<br />
palesemente irragionevole».<br />
(8) Cfr. in tal senso G. Dongiacomo, Le azioni di responsabilità<br />
nel fallimento, inFallimento e concordati, Le soluzioni giudiziali<br />
e negoziate delle crisi d’impresa dopo le riforme, cit., 920<br />
s.; l’A. aggi<strong>un</strong>ge che la patrocinata soluzione troverebbe, inoltre,<br />
conferma nella previsione dell’art. 206, primo comma, l.<br />
fall. - a tenore della quale, in ipotesi di liquidazione coatta amministrativa,<br />
«l’azione di responsabilità contro gli amministratori<br />
e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in liquidazione,<br />
a norma degli artt. 2393 e 2394 del codice civile,<br />
è esercitata dal commissario liquidatore ...» - non essendo<br />
concepibile che «a parità di tipo sociale, ciò che è consentito<br />
al commissario liquidatore non è consentito al curatore del fallimento».<br />
(9) In verità ness<strong>un</strong> riferimento alla previsione dell’art. 2489 c.c.<br />
si rinviene al p<strong>un</strong>to 2. della motivazione dell’ordinanza del trib<strong>un</strong>ale<br />
di S. Maria C.V.<br />
Il Fallimento 3/2013 351
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
go, che la responsabilità ex art. 2497 c.c. (10) connessa<br />
all’esercizio di attività di direzione e coordinamento<br />
di altre società, in ipotesi di violazione dei<br />
principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale<br />
delle società eterodirette, è, sì, configurata a<br />
vantaggio - altresì - dei creditori, recte, del ceto creditorio,<br />
ed, in caso di fallimento, del curatore fallimentare<br />
di tali ultime società, allorché ne sia stata<br />
menomata l’integrità patrimoniale, ciò nonostante<br />
si tratta di <strong>un</strong>a responsabilità che è prefigurata essenzialmente<br />
a carico e nei confronti della società<br />
‘‘capogruppo’’, eventualmente a responsabilità limitata,<br />
non già a carico e nei confronti dell’organo<br />
gestorio della società eterodiretta (11).<br />
Invero, in relazione alla previsione del secondo<br />
comma dell’art. 2497 c.c. - ove è sancito che «risponde<br />
in solido chi abbia com<strong>un</strong>que preso parte al<br />
fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito,<br />
che ne abbia consapevolmente tratto beneficio» - è<br />
difficile immaginare che la menomazione cagionata<br />
all’integrità del patrimoniale della società eterodiretta<br />
possa essere ascritta in via solidale, ex art.<br />
2055 c.c., anche all’organo gestorio della medesima<br />
società controllata (12).<br />
D’altronde, se è vero - ed è indiscutibilmente vero -<br />
che principio cardine nel nostro ordinamento è<br />
quello della distinta soggettività e della formale indipendenza<br />
giuridica delle società del ‘‘gruppo’’, tant’è<br />
che tuttora è da disconoscere che la ‘‘capogruppo’’<br />
possa esser chiamata a rispondere delle obbligazioni<br />
ass<strong>un</strong>te dalle controllate in attuazione della<br />
politica di ‘‘gruppo’’ (13), devesi riconoscere, conseguentemente,<br />
che la novella disciplina di cui agli<br />
artt. 2497 e ss. c.c. mira propriamente a temperare,<br />
a mitigare le conseguenze atte a scaturire dall’en<strong>un</strong>ciato<br />
principio cardine, ragion per cui è da escludere<br />
che il disposto dell’art. 2497 c.c. possa esser correlato<br />
tout court alla previsione dell’art. 2394 c.c. (14).<br />
5. Il rinvio alle disposizioni della S.p.a.<br />
in ipotesi di obbligatoria costituzione<br />
del collegio sindacale e la immutata<br />
disciplina in tema di l.c.a.<br />
Devesi inevitabilmente esplicitare, in pari tempo,<br />
la portata del rinvio disposto dall’art. 2477, quarto<br />
comma, c.c. alle norme in tema di S.p.a., allorché<br />
la nomina del collegio sindacale si sia, sul terreno<br />
della S.r.l., resa obbligatoria ai sensi dei commi secondo<br />
e terzo del medesimo art. 2477 c.c.<br />
Propriamente l’applicabilità della disciplina della<br />
società azionaria va intesa quale mero rinvio alla<br />
previsione del secondo comma dell’art. 2407 c.c.,<br />
ossia quale possibilità di ascrivere ai sindaci in via<br />
solidale la responsabilità per le condotte, anche<br />
omissive, degli amministratori, allorché il danno da<br />
tali atti scaturito non si sarebbe verificato se i primi<br />
avessero vigilato in conformità agli obblighi della<br />
loro carica, non va intesa, quindi, nel senso dell’operatività<br />
del combinato disposto degli artt. 2407,<br />
secondo comma, e 2394 c.c. È da escludere, cioè,<br />
che la responsabilità dei sindaci per concorso omissivo<br />
- per difetto di vigilanza gestoria e/o contabile<br />
- nell’illecito degli amministratori, giacché alla responsabilità<br />
di questi ultimi senza dubbio susseguente,<br />
possa proiettarsi oltre l’ambito soggettivo<br />
segnato dall’art. 2476 c.c.<br />
Del resto si è correttamente p<strong>un</strong>tualizzato che «la<br />
responsabilità dei sindaci presuppone quella degli<br />
amministratori (art. 2407, secondo comma) cosicché<br />
se non si può configurare <strong>un</strong>a responsabilità degli<br />
amministratori verso i creditori sociali automaticamente<br />
si deve escludere <strong>un</strong>a analoga responsabilità<br />
dei sindaci. Il generale rinvio alle disposizioni in<br />
tema di società per azioni contiene ... <strong>un</strong> implicito<br />
limite di compatibilità con la disciplina della società<br />
a responsabilità limitata» (15).<br />
Note:<br />
(10) Il disposto dell’art. 2497 c.c. è espressamente addotto al<br />
p<strong>un</strong>to n. 2 della motivazione dell’ordinanza di S. Maria C.V. a sostegno<br />
della operatività analogica della responsabilità ex art.<br />
2394 c.c. nei confronti degli amministratori di S.r.l.<br />
(11) Cfr., in senso analogo, F. Ciampi, Novità della Novella per<br />
le azioni di responsabilità nelle S.r.l., cit., 289.<br />
(12) Perplessità a tal riguardo sono altresì espresse da C. Proto,<br />
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nelle s.r.l., cit., 693<br />
(in nota), secondo cui «pare, tuttavia, quanto meno opinabile<br />
che il secondo comma dell’art. 2497, laddove stabilisce la responsabilità<br />
di chi abbia com<strong>un</strong>que preso parte al fatto lesivo,<br />
possa essere inteso come riferito anche alla responsabilità degli<br />
amministratori della stessa società assoggettata a direzione e<br />
danneggiata».<br />
(13) Al ‘‘gruppo’’ è attribuita <strong>un</strong>a rilevanza prevalentemente economica,<br />
sicché si esclude che dia vita ad <strong>un</strong>’attività d’impresa<br />
giuridicamente <strong>un</strong>itaria, imputabile alla società capogruppo ovvero<br />
congi<strong>un</strong>tamente a questa ed alle società controllate: cfr. in<br />
tal senso Cass., 8 maggio 1991, n. 5123, in Foro it., 1992, I,<br />
817; Cass., 25 novembre 1990, n. 9704, in Giur. comm., 1992,<br />
II, 192; Cass., 8 luglio 1988, n. 4523, in Dir. fall., 1989, II, 271;<br />
Cass., 13 giugno 1986, n. 3945, in Giust. civ. Mass., 1986, fasc.<br />
6; App. Milano, 9 settembre 1988, in Riv. dir. comm., 1989, II,<br />
215; Trib. Napoli, 8 luglio 1996, in Le Società, 1997, 190; Trib.<br />
Napoli, 27 febbraio 1995, in questa Rivista, 1995, 1067.<br />
(14) Al riguardo cfr. C. Proto, L’azione di responsabilità dei creditori<br />
sociali nelle S.r.l., cit., 699, che afferma testualmente: «non<br />
credo ... che si possa utilizzare <strong>un</strong>a norma dettata per la specifica<br />
esigenza di accordare <strong>un</strong>a tutela rafforzata a soci e creditori a<br />
fronte di abusi nell’ambito dei gruppi per <strong>un</strong>’estensione analogica<br />
dell’azione di responsabilità concessa ai creditori di società<br />
(anche di S.r.l.) del gruppo, anche ai creditori di S.r.l. non appartenenti<br />
a gruppi societari».<br />
(15) Così S. Di Amato, Società a responsabilità limitata, inLa riforma<br />
del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003,<br />
(segue)<br />
352 Il Fallimento 3/2013
Devesi imprescindibilmente evidenziare, ancora,<br />
che la perdurante ed incondizionata - d<strong>un</strong>que, pur<br />
nell’evenienza in cui la società sottoposta a l.c.a.<br />
abbia veste di S.r.l. - operatività, anormadell’art.<br />
206, primo comma, l. fall., della responsabilità ex<br />
art. 2394 c.c. sul terreno della liquidazione coatta<br />
amministrativa ben può - sufficientemente - giustificarsi<br />
alla luce delle peculiarità che suggeriscono<br />
la sottoposizione del soggetto imprenditore a siffatta<br />
diversa, rispetto al fallimento, procedura concorsuale.<br />
6. P<strong>un</strong>tualizzazione di metodo<br />
Va senza dubbio condiviso, giacché assolutamente<br />
ineccepibile dal p<strong>un</strong>to di visto ricostruttivo, l’approccio<br />
metodologico sul quale in parte qua agitur<br />
l’ordinanza sammaritana è costruita (16).<br />
È rigorosamente necessario, cioè, distinguere due<br />
profili.<br />
Il primo attiene alla configurabilità (o meno) sul<br />
terreno della disciplina della società a responsabilità<br />
limitata dell’azione di cui all’art. 2394 c.c., ossia alla<br />
possibilità (o meno) che pur nel quadro della disciplina<br />
di siffatta tipologia societaria vi sia margine<br />
per reputare gli amministratori ed i sindaci responsabili<br />
nei confronti del ceto creditorio considerato<br />
nel suo complesso.<br />
Il secondo attiene alla possibilità (o meno) di reputar<br />
legittimato il curatore del fallimento di S.r.l. all’esercizio<br />
dell’azione che compete ai creditori della<br />
medesima S.r.l.<br />
7. Il profilo dell’operatività (o meno)<br />
dell’art. 2394 c.c. sul terreno della S.r.l.<br />
Con riferimento al primo aspetto non può - evidentemente<br />
- che reiterarsi il rilievo, espressamente ‘‘ripreso’’,<br />
con la sentenza in commento, dal trib<strong>un</strong>ale<br />
di Verona dalla statuizione del trib<strong>un</strong>ale di Napoli<br />
dell’11 novembre 2004, cit., rilievo secondo cui l’omessa<br />
esplicita prefigurazione, sul terreno della<br />
S.r.l., di <strong>un</strong>a previsione simile a quella di cui all’art.<br />
2394 c.c. e, si aggi<strong>un</strong>ge, la mancata operatività sul<br />
medesimo terreno, in via ‘‘indiretta’’ - mediata dagli<br />
artt. 2485, primo comma, 2486, 2489, 2497, 2477,<br />
quarto comma, c.c. e 206, primo comma, l. fall. -<br />
della specifica previsione dell’art. 2394 c.c., in alc<strong>un</strong><br />
modo importa, non implica affatto menomazione<br />
della tutela apprestata dal legislatore sul terreno<br />
della società azionaria.<br />
Difatti, pur nel quadro della disciplina della S.r.l.,<br />
ancorché non operi <strong>un</strong>a norma simile a quella di<br />
cui all’art. 2394 c.c., l’organo gestorio, allorquando<br />
abbia con atti di mala gestio cagionato l’insufficienza<br />
del patrimonio sociale, ed, eventualmente, l’organo<br />
di controllo, quest’ultimo per concorso omissivo<br />
nel fatto commissivo del primo, continuano nondimeno<br />
ad essere esposti nei confronti di ogni singolo<br />
creditore a responsabilità ex art. 2043 c.c.<br />
Più esattamente l’insufficienza patrimoniale in connessione<br />
eziologica con l’atto di mala gestio dell’amministratore,<br />
nel segno del prioritario insegnamento<br />
propenso ad attribuire natura autonoma ed extracontrattuale<br />
all’azione dei creditori sociali ex art.<br />
2394 c.c., rileva al contempo quale pregiudizio<br />
aquiliano direttamente arrecato ad ogni singola ragione<br />
di credito, quale lesione aquiliana del credito,<br />
non già propriamente in guisa di inadempimento<br />
provocato dal terzo, sibbene, piuttosto, quale diretta<br />
menomazione del substrato patrimoniale di ciasc<strong>un</strong>a<br />
pretesa creditoria (17).<br />
Ne discende che è ben possibile e nulla osta a che<br />
ciasc<strong>un</strong> creditore faccia valere il danno in tal maniera<br />
subito ai sensi dell’art. 2476, sesto comma,<br />
c.c., ove, in perfetta simmetria con l’art. 2395<br />
c.c. (18), è fatto salvo il diritto al risarcimento del<br />
danno dei singoli soci ovvero dei terzi direttamente<br />
danneggiati dalla condotta colpevole degli amministratori.<br />
In quest’ottica, incline ad incanalare il pregiudizio -<br />
insufficienza patrimoniale - caratterizzante la responsabilità<br />
aquiliana ex art. 2394 c.c. nel solco<br />
della responsabilità, parimenti extracontrattuale, ex<br />
Note:<br />
(segue nota 15)<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
sub art. 2476, 217. Al riguardo si veda anche F. Ciampi, Novità<br />
della Novella per le azioni di responsabilità nelle S.r.l., in Le Società,<br />
2006, 286.<br />
(16) Il medesimo approccio si rinviene in C. Ferri, La legittimazione<br />
del curatore fallimentare: poteri e limiti, in questa Rivista,<br />
2007, 1031.<br />
(17) Cfr. nello stesso senso cfr. G. Fauceglia, Articolo 146, inIl<br />
nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, coordinato da Fabiani,<br />
II, Bologna, 2007, 2159, secondo cui non è da disconoscere nella<br />
disciplina della società a responsabilità limitata «la responsabilità<br />
degli amministratori anche nei confronti dei creditori sociali<br />
almeno in ragione dell’art. 2043 c.c. - responsabilità che ogn<strong>un</strong>o<br />
dei creditori può azionare ai sensi dell’art. 2476, sesto comma,<br />
c.c. -...»; l’A. prosegue p<strong>un</strong>tualizzando che «in sostanza, il problema<br />
non concerne più il profilo della perdurante responsabilità<br />
degli amministratori verso ciasc<strong>un</strong> creditore sociale, ...». Si tenga<br />
conto che, alla stregua delle teorie patrimoniali, «il diritto di<br />
credito è fondamentalmente quel diritto sul patrimonio del debitore<br />
che può essere realizzato in via esecutiva»: così C.M. Bianca,<br />
Diritto civile 4 L’obbligazione, Milano, 1990, 36.<br />
(18) Cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere, 10 ottobre 2006, in Le Società,<br />
2008, 486, secondo cui l’azione individuale, di natura aquiliana,<br />
del socio o del terzo verso gli amministratori, dettata dall’art.<br />
2476, sesto comma, c.c. in tema di S.r.l., è in tutto e per<br />
tutto analoga a quella regolata dall’art. 2395 c.c. in tema di S.p.a.<br />
Il Fallimento 3/2013 353
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
art. 2476, sesto comma, c.c., inoltre, si stempera<br />
senza dubbio qualsivoglia preoccupazione, sul terreno<br />
della S.r.l., di irragionevoli disparità di trattamento<br />
connesse al difetto di operatività della responsabilità<br />
ex art. 2394 c.c. (19).<br />
Nei termini esposti, tuttavia e verosimilmente in<br />
via del tutto preliminare, l’interprete ha da interrogarsi<br />
in ordine al significato ultimo dell’omessa prefigurazione,<br />
nel corpo dell’art. 2476 c.c., di <strong>un</strong>a disposizione<br />
analoga a quella di cui all’art. 2394 c.c.,<br />
giacché solo dopo averne individuato il senso più<br />
profondo, è possibile riscontrare o disconoscere l’eadem<br />
ratio legis, ossia le precondizioni per qualsivoglia<br />
operazione analogica.<br />
A tale scopo si prospetta inevitabile - si reputa - la<br />
necessità di <strong>un</strong>a più incisiva riflessione in ordine al<br />
rapporto tra l’actio ex art. 2394 c.c. e l’actio ex art.<br />
2395 c.c. ovvero - il che è lo stesso - tra l’actio ex<br />
art. 2394 c.c. e l’actio ex art. 2476, sesto comma,<br />
c.c. e, quindi, in ordine al pregiudizio che in relazione<br />
all’<strong>un</strong>a ed all’altra azione rileva e, prima ancora,<br />
su tal<strong>un</strong>i aspetti - legittimazione, entità del<br />
pregiudizio risarcibile - specificamente dell’actio ex<br />
art. 2394 c.c., aspetti che il tendenziale esclusivo<br />
esercizio - che la casistica giudiziaria indiscutibilmente<br />
registra - di tal ultima azione in sede fallimentare,<br />
da parte del curatore, ha inesorabilmente<br />
lasciato nell’ombra.<br />
Ebbene a tal ultimo riguardo si ritiene che l’art.<br />
2394 c.c. contempli <strong>un</strong>a sorta o, quanto meno, <strong>un</strong><br />
‘‘principio’’ di ‘‘soggettivazione’’ (20) del ceto creditorio,<br />
nella misura in cui abilita ciasc<strong>un</strong> creditore,<br />
evidentemente nell’interesse dell’intera collettività<br />
di cui - incidentalmente - fa parte, a domandare in<br />
giudizio il reintegro non già della mera frazione dell’insufficienza<br />
patrimoniale idonea a garantire, ex<br />
art. 2740 c.c., la piena coattiva realizzazione della<br />
sola sua personale ragione di credito, sibbene il<br />
reintegro dell’intera insufficienza patrimoniale, dell’intero<br />
quantum corrispondente alla differenza algebrica<br />
tra il valore monetario negativo del patrimonio<br />
netto, quale prodottosi a seguito e per effetto<br />
degli atti di mala gestio dell’amministratore, degli<br />
amministratori, ed il valore zero (21).<br />
In tal guisa non si tratterebbe di <strong>un</strong>a legittimazione<br />
ad agire pro parte, parzialmente straordinaria, ma<br />
tratterebbesi, piuttosto, del conferimento a ciasc<strong>un</strong><br />
creditore, al limitato scopo del reintegro dell’intero<br />
pregiudizio sofferto dalla collettività di cui fa parte,<br />
di <strong>un</strong>a vera e propria potestas gerendi e di rappresentanza<br />
nell’interesse ed a nome della medesima com<strong>un</strong>ità,<br />
potestà di gestione e di rappresentanza destinata<br />
a proiettarsi pur sul terreno processuale (22).<br />
D’altro canto è da disconoscere, alla stregua delle<br />
teorie patrimoniali del diritto di credito, che sussistano<br />
differenze di sorta tra il danno aquiliano che<br />
ciasc<strong>un</strong> creditore, seppur pro parte, direttamente risente<br />
in dipendenza dell’insufficienza patrimoniale<br />
ex art. 2394 c.c. ed il danno immediato e diretto ex<br />
art. 2395 c.c. e, quindi, ex art. 2476, sesto comma,<br />
c.c.: il primo, ancorché specificantesi in guisa di lesione<br />
del substrato ‘‘patrimoniale’’ del credito, è<br />
null’altro che <strong>un</strong>a species del secondo.<br />
Conseguentemente l’<strong>un</strong>ico profilo che vale a distinguere<br />
l’actio ex art. 2476, sesto comma, c.c., in<br />
quanto destinata ad assicurare tutela giudiziale anche<br />
al diritto al ristoro del pregiudizio da ciasc<strong>un</strong><br />
creditore direttamente subito in dipendenza ed a seguito<br />
dell’insufficienza patrimoniale scaturita dall’atto<br />
di mala gestio dell’amministratore, degli amministratori,<br />
dall’actio ex art. 2394 c.c. - ovvero l’<strong>un</strong>ica<br />
differenza destinata a prodursi per effetto ed a seguito<br />
della mancata prefigurazione sul terreno della<br />
S.r.l. della responsabilità degli amministratori verso<br />
il ceto creditorio complessivamente considerato - è<br />
da identificare nella circostanza per cui mercé la<br />
prima azione il creditore può invocare il reintegro<br />
esclusivamente della frazione di insufficienza patrimoniale<br />
di ‘‘sua pertinenza’’, idonea, cioè, ad assicurare,<br />
nel segno dell’art. 2740 c.c., <strong>un</strong>icamente la<br />
realizzazione coattiva della sua personale ragione di<br />
credito.<br />
L’omessa prefigurazione sul terreno della S.r.l. di<br />
<strong>un</strong>a disposizione simile a quella di cui all’art. 2394<br />
c.c., pertanto, null’altro significa, in radice, se non<br />
Note:<br />
(19) Cfr. al riguardo S. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, in<br />
Trattato di diritto commerciale, cit., 745, secondo cui «la configurabilità<br />
in capo ai creditori della legittimazione ad agire in responsabilità<br />
verso i membri degli organi sociali ... discende recta<br />
via dal fatto che il principio stesso dell’art. 2394 è connaturale<br />
alla f<strong>un</strong>zione gestoria esercitata nell’ambito di qual<strong>un</strong>que impresa<br />
ad autonomia patrimoniale perfetta, sicché <strong>un</strong>a diversa conclusione<br />
non andrebbe esente da censure sotto il profilo dell’irragionevole<br />
disparità di trattamento»; cfr. Trib. Milano, 18 gennaio<br />
2011, cit., e Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, cit., che prefigurano<br />
il rischio di illegittimità costituzionali connesse all’opzione<br />
‘‘negazionista’’.<br />
(20) Soggettivazione che potrebbe conferire <strong>un</strong>a certa qual giustificazione<br />
positiva all’operatività prevista ad altri fini - art. 177,<br />
primo comma, l. fall. - del principio maggioritario in rapporto alla<br />
platea dei creditori.<br />
(21) Qualsivoglia valore positivo del patrimonio netto, ovviamente,<br />
vale di per sé ad escludere il presupposto dell’insufficienza<br />
patrimoniale e, quindi, costituisce il limite estremo della responsabilità<br />
ex art. 2394 c.c., lasciando spazio <strong>un</strong>icamente alla configurabilità<br />
di <strong>un</strong> pregiudizio per la società e, quindi, all’esperibilità<br />
dell’azione sociale di responsabilità.<br />
(22) Riecheggiano le previsioni degli artt. 2257, primo comma, e<br />
2266, secondo comma, c.c.<br />
354 Il Fallimento 3/2013
che su questo medesimo terreno ciasc<strong>un</strong> creditore<br />
rileva singolarmente, non già quale componente di<br />
<strong>un</strong>a collettività più o meno personificata.<br />
Al cospetto di <strong>un</strong>a valenza siffatta, valenza che<br />
sembra riflettere la diversa dimensione istituzionale<br />
della S.r.l. rispetto alla S.p.a. (23), non può che<br />
escludersi l’eadem ratio legis, non sembra sussistano,<br />
cioè, gli estremi per affermare l’operatività analogica<br />
nel quadro della disciplina della minore delle società<br />
di capitali di <strong>un</strong>a norma - l’art. 2394 c.c. -<br />
dettata esclusivamente per la maggiore.<br />
8. Il profilo della legittimazione del curatore<br />
del fallimento di S.r.l. ad esercitare l’actio<br />
ex art. 2394 c.c.<br />
È da escludere recisamente che la formula di cui al<br />
novello art. 146, secondo comma, l. fall. (24) valga<br />
a fondare l’attribuzione, ex novo, al curatore fallimentare,<br />
indifferentemente di S.p.a. e di S.r.l., di<br />
legittimazioni ad agire che il sistema codicistico<br />
non ha inteso attribuirgli: il disposto dell’art. 146,<br />
secondo comma, l. fall. più che ‘‘costituitivo’’ di<br />
novelle legittimazioni, riepiloga semplicemente lo<br />
spettro di legittimazioni altrove prefigurate (25).<br />
In tal guisa per nulla si condividono l’insegnamento<br />
-giàcitato - n. 17121 del 21 luglio 2010 della Suprema<br />
Corte e, conseguentemente, in parte qua, l’ordinanza<br />
in commento del trib<strong>un</strong>ale di S. Maria C.V.<br />
Opinare diversamente, difatti, potrebbe importare,<br />
in contrasto con <strong>un</strong>a ricostruzione consolidata ed<br />
ampiamente condivisa anche nel vigore dei previgenti<br />
sistemi, societario e fallimentare (26), riconoscimento<br />
della legittimazione, evidentemente<br />
straordinaria, del curatore del fallimento, sia di<br />
S.p.a. che di S.r.l., ad esercitare anche l’azione individuale<br />
del socio e del terzo di cui, rispettivamente,<br />
agli artt. 2395 e 2476, sesto comma, c.c. (27).<br />
Per altro verso non può che ribadirsi l’ass<strong>un</strong>to secondo<br />
cui «il carattere straordinario della legittimazione<br />
ex art. 2394 bis c.c. del curatore del fallimento<br />
di <strong>un</strong>a s.p.a. all’esercizio dell’azione dei creditori<br />
sociali ... vale senza dubbio a connotare la previsione<br />
dello stesso art. 2394 bis c.c. a mò di norma eccezionale,<br />
giacché derogante alla regola generale affermata<br />
nella seconda parte dell’art. 81 c.p.c., e,<br />
quindi, ex art. 14 delle preleggi, a renderla non suscettibile<br />
di applicazione a casi simili ossia all’analoga<br />
responsabilità nei confronti del ceto creditorio<br />
degli amministratori di <strong>un</strong>a s.r.l. Del resto, ai sensi<br />
dell’art. 81, prima parte, c.p.c., la legittimazione all’esercizio<br />
in nome proprio di <strong>un</strong> diritto altrui è oggetto<br />
di <strong>un</strong>’espressa riserva di legge» (28).<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Note:<br />
(23) Al riguardo sia consentito il riferimento a L. Abete, L’Articolo<br />
2476 c.c.: sp<strong>un</strong>ti e riflessioni, inLe Società, 2012, 644, ove si<br />
è ass<strong>un</strong>to che «l’omessa riproduzione sul terreno della S.r.l. di<br />
<strong>un</strong>a disposizione del tipo di quella di cui all’art. 2383, terzo comma,<br />
c.c. non sia di scarso momento ed abbia valore ‘‘sistematico’’,<br />
costituisca ovvero il segno lampante ed incontrovertibile<br />
della diversità ‘‘qualitativa’’ che attualmente intercorre tra l’<strong>un</strong>o<br />
e l’altro modello di organizzazione dell’impresa societaria a base<br />
capitalistica e, quindi, integri, per la minore delle società di capitali,<br />
<strong>un</strong> dato fisionomico di valenza caratterizzante. Il fenomeno<br />
della società a responsabilità limitata, giacché connotantesi - alla<br />
stregua della dispositiva disciplina codicistica - per l’irrevocabilità<br />
della carica gestoria, recte per la modificabilità dell’assetto gestorio<br />
<strong>un</strong>icamente sub specie di modificazione dell’atto costitutivo,<br />
modificazione postulante, ex artt. 2480 e 2479 bis, terzo<br />
comma, c.c., il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno<br />
la metà del capitale sociale, deve reputarsi ancorato alla<br />
persona del socio di maggioranza, alle persone dei soci di maggioranza,<br />
deve considerarsi incentrato sulla ‘‘persona’’ dell’<strong>un</strong>o<br />
o degli altri, quasi, con l’<strong>un</strong>o o gli altri, identificandosi. La dimensione<br />
istituzionale della società a responsabilità limitata ... non<br />
è, propriamente, astratta, avulsa - così come, viceversa, nella<br />
società azionaria - dalla compagine societaria né si app<strong>un</strong>ta tout<br />
court sull’organismo collettivo cui i soci hanno volontariamente<br />
inteso dar vita, sicché il medesimo organismo si connota rigorosamente<br />
quale terzo, seppur ‘‘primo’’ - per ordine di prossimità<br />
- terzo, rispetto ai soci. La dimensione istituzionale della S.r.l.<br />
appare, piuttosto, il ‘‘riflesso’’ della persona del socio di maggioranza,<br />
delle persone dei soci di maggioranza».<br />
(24) «Sono esercitate dal curatore ...: a) le azioni di responsabilità<br />
contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo,<br />
i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità<br />
contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti<br />
dall’art. 2476, comma settimo, del codice civile».<br />
(25) In senso analogo cfr. N. Rocco di Torrepadula, La Responsabilità<br />
degli amministratori nel fallimento della società a responsabilità<br />
limitata, cit., 1468, secondo cui «l’art. 146 l. fall. ...<br />
non attribuisce alc<strong>un</strong> autonomo diritto al curatore». Si tenga<br />
conto che nella Relazione al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, si legge,<br />
al riguardo, testualmente: «quanto agli amministratori della<br />
società a responsabilità limitata e al dibattito in ordine alla sussistenza<br />
di <strong>un</strong>a loro specifica responsabilità verso i creditori sociali,<br />
si è preferito, considerato che la delega legislativa è muta al<br />
riguardo, adottare <strong>un</strong>a formula ‘‘aperta’’ che lascia cioè agli interpreti<br />
il compito di stabilire se il curatore possa esercitare nei<br />
confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata<br />
solo l’azione di responsabilità sociale o anche quella verso i creditori<br />
sociali».<br />
(26) Cfr. App. Bari, 17 giugno 2002, in Dir. fall., 2002, II, 951;<br />
Trib. Napoli, 27 novembre 1993, in Fall., 1994, 861; Trib. Padova<br />
18 giugno 1987, in Giur. comm., 1989, II, 839. Al riguardo si veda,<br />
anche, Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7029, in Giust.<br />
civ. Mass., 2006, 4.<br />
(27) Si veda anche M. Rescigno, Rapporti e interferenze tra riforma<br />
societaria e fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto<br />
da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, II, cit., 2127, secondo<br />
cui «il secondo comma, lett. a), dell’art. 146 l. fall. si limita ad<br />
attribuire la legittimazione all’esercizio delle azioni di responsabilità<br />
contro organi gestori e di controllo al curatore, senza alc<strong>un</strong>a<br />
altra specificazione».<br />
(28) Così Trib. Napoli, 11 novembre 2004, cit., ove si soggi<strong>un</strong>ge<br />
che «la regola ermeneutica ubi lex voluit, dixit, noluit, tacuit, appare,<br />
conseguentemente, di ineludibile applicazione». Evidentemente<br />
in questa prospettiva in alc<strong>un</strong> modo si giustifica il riferimento<br />
analogico - esplicativo alla previsione dell’art. 206, primo<br />
comma, l. fall. - alla cui stregua, in caso di liquidazione coatta<br />
amministrativa, il commissario liquidatore può esperire nei confronti<br />
degli amministratori e dei componenti degli organi di con-<br />
(segue)<br />
Il Fallimento 3/2013 355
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
Nondimeno, in questa sede, va debitamente soggi<strong>un</strong>to<br />
e rimarcato che il difetto di legittimazione<br />
del curatore è innanzitutto mero corollario dell’assenza<br />
di quel principio di ‘‘soggettivazione’’ del ceto<br />
creditorio che si registra sul terreno della S.r.l. e<br />
che, viceversa, siccome si è anticipato, è proprio, è<br />
presente sul terreno della società azionaria.<br />
Più esattamente il curatore del fallimento di S.r.l.<br />
non è legittimato a far valere il pregiudizio aquiliano<br />
direttamente arrecato ad ogni singola ragione di<br />
credito in dipendenza dell’insufficienza patrimoniale<br />
colpevolmente scaturita dagli atti di mala gestio<br />
degli amministratori nella medesima misura in cui<br />
non è legittimato ad esperire l’actio ex art. 2395 c.c.<br />
ovvero - il che è lo stesso - l’actio ex art. 2476, sesto<br />
comma, c.c.<br />
È questa in conclusione la ragione per cui la seconda<br />
affermazione di cui alla massima desumibile dalla<br />
statuizione veronese non può assolutamente esser<br />
condivisa: il trib<strong>un</strong>ale, al cospetto del sopravvenuto<br />
fallimento della ‘‘Alberghi del Sole’’, avrebbe dovuto<br />
disconoscere e non già affermare l’esclusiva legittimazione<br />
del curatore fallimentare.<br />
Né, al contempo, vi è motivo per ritenere - in rapporto<br />
ovviamente ai dissesti delle S.r.l. - che nei<br />
termini patrocinati il valore cardine della par condicio<br />
creditorum risulti irrimediabilmente menomato.<br />
Si è altrove ass<strong>un</strong>to - e non può che ribadirsi in<br />
questo contesto - che il legislatore della ‘‘riforma’’<br />
societaria, mercé l’omessa prefigurazione della responsabilità<br />
degli amministratori di S.r.l. nei confronti<br />
del ceto creditorio complessivamente considerato<br />
nonché mercé l’omessa prefigurazione della<br />
legittimazione del curatore del fallimento di S.r.l.<br />
ad esercitare l’azione dei creditori sociali, «abbia inteso<br />
stemperare, abbia inteso ridimensionare il sistema<br />
della ‘‘concorsualità’’, ben vero in rapporto alle<br />
ipotesi in cui, precedentemente, la sua operatività<br />
risultava proiettata al di là della sfera giuridica del<br />
soggetto fallito, nei confronti, quindi, di soggetti<br />
terzi. E <strong>un</strong>’opzione legislativa siffatta, è innegabile,<br />
desta perplessità, poiché sembra contraddire quella<br />
prioritaria esigenza di giustizia distributiva che identifica<br />
la ratio ispiratrice del sistema concorsuale e<br />
che, come tale, rinviene fondamento nel duplice<br />
paradigma egalitario, formale e sostanziale, sancito<br />
all’art. 3 della Carta fondamentale. Tuttavia, della<br />
legittimità della novella scelta positiva non è da<br />
dubitarsi: la compressione della regola egalitaria ha<br />
inciso su <strong>un</strong> istituto ‘‘concorsuale’’, diremmo, di secondo<br />
grado, non coessenziale, cioè, al sistema, poiché<br />
finalizzato <strong>un</strong>icamente ad assicurarne <strong>un</strong> più<br />
‘‘raffinato’’ f<strong>un</strong>zionamento. Del resto, vigente l’a-<br />
brogata disciplina la mancata positiva configurazione<br />
della legittimazione del curatore all’esercizio, in<br />
nome proprio e nell’interesse della massa, dell’azione<br />
di responsabilità ex art. 2449, primo comma c.c.<br />
ness<strong>un</strong> dubbio aveva suscitato in ordine alla sua legittimità<br />
costituzionale; anzi ... il disconoscimento<br />
di siffatta legittimazione in capo al curatore fallimentare<br />
aveva ricevuto il suggello della prevalente<br />
ricostruzione giurisprudenziale» (29).<br />
Note:<br />
(segue nota 28)<br />
trollo le azioni di responsabilità di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. -<br />
onde concludere che «non è concepibile che, a parità di tipo sociale,<br />
ciò che è consentito al commissario liquidatore non è consentito<br />
al curatore del fallimento»: così Trib. Napoli 11 gennaio<br />
2011, cit.<br />
(29) Così Trib. Napoli, 11 novembre 2004, cit.<br />
356 Il Fallimento 3/2013
Concordato fallimentare<br />
Nuovi privilegi retroattivi<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012 - Pres. Rossotti - Est. Canavero - Mael S.p.a. c. Equitalia<br />
Nord S.p.a.<br />
Fallimento - Cessazione - Concordato - Omologazione - Opposizione - Mancato riconoscimento del privilegio del credito<br />
ex art. 23, comma 37, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 - Presupposto - Modifica del passivo<br />
(D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, commi 37 e 40; codice civile art. 2752; legge fallimentare artt. 124, comma 4, e 129)<br />
Il creditore già ammesso al passivo in via chirografaria, che intenda ottenere l’insinuazione al privilegio a seguito<br />
delle modifiche normative intervenute ai sensi dell’art. 23, comma trentasettesimo, D.L. 6 luglio 2011, n.<br />
98, ha l’onere di chiedere la modifica dello stato passivo del fallimento. In difetto di tale iniziativa, non è fondata<br />
l’opposizione con cui il creditore chieda, sul presupposto che il concordato sarebbe in contrasto con il novellato<br />
art. 2752 c.c., il rigetto della domanda di omologazione del concordato proposta dal terzo-ass<strong>un</strong>tore che si<br />
sia avvalso della possibilità di limitare gli impegni ass<strong>un</strong>ti ex art. 124, comma quarto, l.fall. e che non abbia riconosciuto<br />
a quel creditore il nuovo privilegio.<br />
Il Trib<strong>un</strong>ale (omissis).<br />
Con ricorso ex art. 129 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267,<br />
la Mael S.p.a. ha chiesto l’omologazione del concordato<br />
fallimentare da essa proposto nell’ambito del Fallimento<br />
Ànex S.p.a.<br />
Depositata il 22 luglio 2011, nonché integrata in data 28<br />
settembre 2011, tale proposta di concordato prevedeva<br />
(e prevede), in particolare, da parte della Mael S.p.a. (e<br />
nella sua qualità di ass<strong>un</strong>tore): l’integrale pagamento delle<br />
spese di procedura, nonché dei creditori privilegiati; il<br />
pagamento dei creditori chirografari in <strong>un</strong>a percentuale<br />
pari al 23,75%; a garanzia degli impegni ass<strong>un</strong>ti, la consegna<br />
di <strong>un</strong>a fideiussione a prima richiesta della Banca Valsabbina<br />
S.p.a. per <strong>un</strong> importo di euro 860.000,00; il rilievo<br />
integrale - con decorrenza dalla data di definitività<br />
del decreto di omologazione - di tutto l’attivo fallimentare<br />
(ivi comprese le vertenze, giudiziali e stragiudiziali,<br />
pendenti ovvero proponende), senza alc<strong>un</strong>a esclusione.<br />
Con decreto dell’8 novembre 2011, il giudice delegato<br />
del Fallimento Anex S.p.a. fissava <strong>un</strong> termine perentorio<br />
di venti giorni - decorrente dalla com<strong>un</strong>icazione, da parte<br />
del curatore, della predetta proposta -, entro cui i creditori<br />
avrebbero potuto far pervenire alla cancelleria di<br />
questo Trib<strong>un</strong>ale le loro eventuali dichiarazioni di dissenso,<br />
in mancanza delle quali il loro voto si sarebbe inteso<br />
come favorevole al concordato. Nel suddetto termine,<br />
soltanto Equitalia Nord S.p.a. manifestava - con dichiarazione<br />
ricevuta dalla cancelleria di questo Trib<strong>un</strong>ale<br />
in data 12 dicembre 2011 - il suo dissenso; pertanto,<br />
tenuto conto che essa non rappresentava la maggioranza<br />
dei crediti ammessi al voto, la predetta proposta veniva<br />
considerata come approvata ed il giudice delegato - con<br />
decreto del 25 gennaio 2012 - fissava ai creditori <strong>un</strong> termine<br />
di trenta giorni per proporre eventuali opposizioni<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
alla richiesta di omologazione che la Mael S.p.a. avrebbe<br />
dovuto depositare.<br />
Con ricorso proposto sempre ai sensi dell’art. 129 del<br />
R.D. 16 marzo 1942, n. 267, Equitalia Nord S.p.a. ha<br />
chiesto la modifica del predetto concordato, mediante riconoscimento<br />
ad essa, al privilegio, del credito - pari ad<br />
euro 477.150,03 - vantato nei confronti della Anex S.p.a.<br />
Con decreto del 5 marzo 2012, il Presidente del Collegio<br />
ha ri<strong>un</strong>ito i due procedimenti instaurati a seguito del deposito<br />
dei due suddetti ricorsi, nonché onerato Equitalia<br />
Nord S.p.a. di notificare il ricorso da essa proposto al curatore,<br />
alla Mael S.p.a. ed ai creditori di grado inferiore<br />
rispetto a sé.<br />
A seguito di tale notifica, hanno depositato <strong>un</strong>a memoria<br />
di costituzione sia il Fallimento Anex S.p.a. che la<br />
Mael S.p.a.; non si è invece costituito in giudizio - nonostante<br />
il ricorso sia stato loro regolarmente notificato<br />
- alc<strong>un</strong>o dei predetti creditori.<br />
All’udienza dell’11 luglio 2012, Equitalia Nord S.p.a. ha<br />
precisato le proprie conclusioni domandando il rigetto<br />
della proposta di concordato fallimentare avanzata dalla<br />
Mael S.p.a.<br />
Ciò premesso, deve ritenersi che - come peraltro implicitamente<br />
ammesso dalla stessa Equitalia Nord S.p.a., la<br />
quale, in sede di udienza di discussione, si è limitata a<br />
chiedere il rigetto della proposta avanzata dalla Mael<br />
S.p.a. - la domanda di modifica del concordato fallimentare<br />
originariamente proposta dalla medesima Equitalia<br />
Nord S.p.a. sia inammissibile.<br />
Tale conclusione non può essere messa in discussione,<br />
alla luce sia di quanto previsto dall’art. 129 del R.D, 16<br />
marzo 1942. n. 267 - che consente al Trib<strong>un</strong>ale di omologare<br />
(ovvero di non omologare) <strong>un</strong> concordato fallimentare,<br />
senza attribuirgli il potere dì modificarlo - sia<br />
di quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale ha avu-<br />
Il Fallimento 3/2013 357
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
to modo di affermare che «il giudice, sia esso il trib<strong>un</strong>ale<br />
o la corte d’appello in sede di reclamo, non può omologare<br />
<strong>un</strong>a proposta di concordato apportandovi modifiche<br />
sostanziali mentre può dettare, laddove necessario, modalità<br />
esecutive integrative di quelle previste» (Cass. 10<br />
febbraio 2011, n. 3274).<br />
Occorre - tuttavia ed a questo p<strong>un</strong>to - verificare se le ragioni<br />
che Equitalia Nord S.p.a. ha posto a fondamento<br />
della sua opposizione siano tali da condurre al rigetto<br />
della domanda di omologazione proposta dalla Mael<br />
S.p.a.<br />
Deve ritenersi che a tale quesito vada data <strong>un</strong>a risposta<br />
negativa.<br />
La predetta opposizione si fonda infatti sull’ass<strong>un</strong>to secondo<br />
il quale il concordato per cui è causa sarebbe in<br />
contrasto con l’art. 2752 c.c. (cosi come oggi formulato).<br />
L’ass<strong>un</strong>to non è pertinente.<br />
Sono bensì vere, infatti, le seguenti circostanze, ovvero<br />
che:<br />
– la predetta norma prevedeva che «hanno privilegio<br />
generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per<br />
l’imposta sul reddito delle persone fìsiche, per l’imposta<br />
delle persone giuridiche, per l’imposta regionale sulle attività<br />
produttive e per l’imposta locale sui redditi, diversi<br />
da quelli indicati nel primo comma dell’articolo 2771,<br />
iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario<br />
del servizio di riscossione procede o interviene<br />
nell’esecuzione e nell’anno precedente»;<br />
– ad oggi, a seguito della modifica operata dall’art. 23,<br />
comma 37, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito,<br />
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.<br />
111), la medesima norma sancisce che «hanno privilegio<br />
generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per<br />
le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia<br />
di imposta sul reddito delle persone fìsiche, imposta<br />
delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società,<br />
imposta regionale sulle attività produttive ed imposta<br />
locale sui redditi»;<br />
– per effetto di tale modifica, i crediti dello Stato - diversi<br />
da quelli iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in<br />
cui il concessionario del servizio di riscossione procede o<br />
interviene nell’esecuzione, nonché nell’anno precedente<br />
- per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, per l’imposta<br />
delle persone giuridiche, per l’imposta regionale<br />
sulle attività produttive e per l’imposta locale sui redditi<br />
sono divenuti - da chirografari che erano - privilegiati;<br />
– ai sensi dell’art. 23, comma 37, del suddetto decreto<br />
legge, la predetta modifica «si osserva anche per i crediti<br />
sorti anteriormente all’entrata in vigore del predetto decreto»;<br />
– dalla documentazione prodotta risulta che Equitalia<br />
Nord S.p.a. vantava - nei confronti della Anex S.p.a. -<br />
crediti dello Stato per le imposte sopra indicate (cfr.<br />
docc. 4 e 5 fasc. Equitalia Nord S.p.a.);<br />
– nell’ambito del Fallimento Anex S.p.a., tali crediti<br />
erano stati ammessi - per quanto concerne quelli iscritti<br />
nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario<br />
del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione,<br />
nonché nell’anno precedente - al privilegio e -<br />
per quanto concerne quelli diversi - al chirografo; la pro-<br />
posta di concordato fallimentare è stata depositata dopo<br />
l’entrata in vigore del predetto decreto legge;<br />
– nel presentare tale proposta, la Mael S.p.a. si è avvalsa<br />
della facoltà - riconosciutale dall’art. 124, ultimo comma,<br />
del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 - di «limitare gli impegni<br />
ass<strong>un</strong>ti con il concordato ai soli creditori ammessi<br />
al passivo, anche provvisoriamente, e a quelli che hanno<br />
proposto opposizione o domanda di ammissione tardiva<br />
al tempo della proposta»; in relazione al credito per cui<br />
è causa - e con riferimento al tempo della proposta -,<br />
Equitalia Nord S.p.a. era stata ammessa ai passivo al chirografo;<br />
al fine di ottenere l’ammissione al privilegio di<br />
tale credito, Equitalia Nord S.p.a. non ha avanzato - né<br />
in data anteriore alla proposta, né ad oggi - alc<strong>un</strong>a opposizione<br />
o domanda tardiva;<br />
– ai sensi dell’art. 23, comma 40, del predetto decreto<br />
legge, «i titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione<br />
o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore<br />
alla data di entrata in vigore del presente decreto,<br />
possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove<br />
norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti<br />
ai loro crediti nel grado del privilegio, valendosi, in sede<br />
di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui<br />
all’articolo 512 del codice di procedura civile, oppure<br />
proponendo l’impugnazione prevista dall’articolo 98,<br />
comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel<br />
termine di cui all’articolo 99 dello stesso decreto»;<br />
– al fine di ottenere l’ammissione al privilegio del suddetto<br />
credito, Equitalia Nord S.p.a. non ha proposto alc<strong>un</strong>a<br />
impugnazione ex art. 98, terzo comma, del R.D. 16<br />
marzo 1942, n, 267, né si è valsa del rimedio di cui all’art.<br />
512 c.p.c;<br />
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, deve ritenersi<br />
che le ragioni che Equitalia Nord S.p.a. ha posto a fondamento<br />
della sua opposizione non siano tali da determinare<br />
il rigetto della domanda di omologazione proposta<br />
dalla Mael S.p.a. Occorre infatti considerare:<br />
– da <strong>un</strong>a parte, che la proposta concordataria è stata effettuata<br />
ai sensi dell’art, 124, ultimo comma, del R.D.<br />
16 marzo 1942, n. 267, con la conseguenza che la Mael<br />
S.p.a. aveva la facoltà (ed anzi l’obbligo) di non prendere<br />
in considerazione i crediti non ammessi allo stato passivo<br />
(e quindi di non attribuire - ai crediti già ammessi<br />
allo stato passivo - <strong>un</strong> grado diverso rispetto a quello riconosciuto<br />
- con proprio decreto - dal giudice delegato);<br />
– dall’altra parte, che Equitalia Nord S.p.a. non ha -<br />
come era suo onere fare - chiesto che - per effetto della<br />
modifica operata dall’art. 23, comma 37, del predetto<br />
decreto legge - fosse modificato lo stato passivo del Fallimento<br />
Anex S.p.a. Va infine segnalato che la legge<br />
29 luglio 1975, n. 426 aveva - col suo art. 1 - modificato<br />
l’art. 2751 c.c. (il quale disciplina il privilegio generale<br />
sui mobili dei crediti per spese f<strong>un</strong>ebri, d’infermità<br />
ed alimenti) e - col suo art. 15 - dettato <strong>un</strong>a disciplina<br />
transitoria - del tutto analoga a quella di cui all’art. 23,<br />
comma 40, del predetto decreto legge -, la quale sanciva<br />
che «le disposizioni dei precedenti articoli si osservano<br />
anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata<br />
in vigore della presente legge. I titolari di crediti privilegiati,<br />
intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo<br />
358 Il Fallimento 3/2013
fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore<br />
della presente legge, possono contestare i crediti<br />
che, per effètto delle nuove norme di cui ai precedenti<br />
articoli, sono stati anteposti ai loro credili nel grado del<br />
privilegio, proponendo opposizione a norma dell’articolo<br />
512 del codice di procedura civile, fino alla distribuzione<br />
della somma ricavata dalla vendita, oppure l’impugnazione<br />
prevista dall’art. 100 del regio decreto 16<br />
marzo 1942, n. 267, fino a che il giudice competente<br />
non abbia reso esecutivo il riparto finale, secondo le<br />
norme contenute nello stesso decreto» ed era stata interpretata<br />
dalla giurisprudenza della Suprema Corte nel<br />
senso che «la disciplina transitoria dettata dall’art. 15<br />
della legge 29 luglio 1975, n. 426, recante modificazioni<br />
al codice civile ed alla legge 30 aprile 1969, n. 153<br />
in materia di privilegi, comporta che i nuovi privilegi<br />
attribuiti dalla legge medesima (nella specie, in favore<br />
di credito di cooperativa per la vendita di manufatti, ai<br />
sensi dell’art. 2751 bis n. 5 c.c.) assistono anche i crediti<br />
sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere<br />
dal tempo in cui siano stati azionati in sede<br />
concorsuale, e, quindi, anche i crediti prima chirografari,<br />
e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la<br />
conseguenza che i privilegi medesimi possono essere<br />
esercitati, pure dopo l’approvazione dello stato passivo<br />
e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo,<br />
anche con le forme dell’insinuazione tardiva, prevista<br />
dall’art. 101 della legge fallimentare, in deroga al principio<br />
altrimenti operante, sulla non utilizzabilità di<br />
quest’ultima per il riconoscimentodi<strong>un</strong>privilegioper<br />
credito già ammesso al passivo in via chirografaria»<br />
(Cass. 11 gennaio 1980, n. 235); ciò, a conferma del<br />
fatto che è onere del creditore - già ammesso in via<br />
chirografaria - proporre <strong>un</strong>a domanda tardiva, al fine di<br />
ottenere l’insinuazione al privilegio, a lui spettante per<br />
effetto di modifiche normative intervenute in epoca<br />
successiva alla data di esecutività dello stato passivo.<br />
A questo p<strong>un</strong>to - ed in conclusione - occorre verificare<br />
se - oltre a quelle (già esaminate e respinte) che sono<br />
state prospettate da Equitalia Nord S.p.a. - vi siano altre<br />
ragioni idonee a determinare il rigetto della domanda<br />
proposta dalla Mael S.p.a.<br />
Deve ritenersi che anche a tale quesito vada data [nella<br />
fattispecie] <strong>un</strong>a risposta negativa.<br />
(omissis).<br />
Mutamento retroattivo della qualità del credito, proposta<br />
del terzo-ass<strong>un</strong>tore e omologazione del concordato<br />
di Daniele Griffini *<br />
Con l’art. 23 D.L. 6 luglio 2011, n. 98, il legislatore ha m<strong>un</strong>ito di privilegio, con effetto retroattivo, alc<strong>un</strong>i crediti<br />
(tributari) originariamente chirografari. Data la scarna disciplina di coordinamento, la decisione sopraestesa<br />
si trova ad affrontare delicate questioni interpretative. L’Autore commenta le affermazioni del Trib<strong>un</strong>ale<br />
di Pinerolo anche alla luce degli orientamenti formatisi in occasione dei precedenti interventi legislativi retroattivi<br />
in materia di privilegi.<br />
1. Inquadramento<br />
Come è risaputo, <strong>un</strong>o dei principali obiettivi presi<br />
di mira dal legislatore con la c.d. ‘‘manovra’’ del luglio<br />
2011 è stato quello di rimpinguare le casse erariali;<br />
obiettivo che, fra l’altro, l’art. 23 D.L. 6 luglio<br />
2011, n. 98 (convertito in L. 15 luglio 2011, n.<br />
111) ha cercato di conseguire introducendo nuovi<br />
privilegi per i crediti tributari relativi alle imposte<br />
c.d. ‘‘dirette’’.<br />
In quest’ottica, il trentasettesimo comma del suddetto<br />
art. 23 ha modificato il primo comma dell’art.<br />
2752 c.c.; disposizione, quest’ultima, che - prima<br />
della modifica - assegnava il privilegio generale mobiliare,<br />
in questa materia, soltanto ai crediti dello<br />
Stato per le imposte, e soltanto a condizione che essi<br />
fossero stati «iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno<br />
in cui il concessionario del servizio di riscossione<br />
procede o interviene nell’esecuzione e nel-<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
l’anno precedente»; e che invece - dopo la modifica<br />
- conferisce la medesima causa di prelazione ai<br />
crediti dello Stato (non solo per le imposte, ma)<br />
anche per le sanzioni, ed a prescindere dalla condizione<br />
della loro iscrizione nei ruoli resi esecutivi entro<br />
il limite temporale appena riferito.<br />
Nella medesima prospettiva, poi, il trentanovesimo<br />
comma del menzionato art. 23, ha novellato il terzo<br />
comma dell’art. 2776 c.c.; disposizione, quest’ultima,<br />
che - prima della novella - conferiva la collocazione<br />
sussidiaria sul prezzo degli immobili solo ai<br />
crediti dello Stato (contemplati dall’art. 2752, terzo<br />
comma, c.c.) per l’i.v.a. e per le relative sanzioni; e<br />
che - in seguito alla novella - assegna simile collo-<br />
Nota:<br />
* Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione<br />
di <strong>un</strong> referee.<br />
Il Fallimento 3/2013 359
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
cazione pure ai crediti dello Stato (contemplati dall’anzidetto<br />
art. 2572, primo comma, c.c.) per le imposte<br />
dirette e per le relative sanzioni.<br />
Ma il legislatore, allo scopo di incrementare le entrate<br />
statali, non si è fermato qui; ed infatti i citati<br />
commi trentasettesimo e trentanovesimo si chiudono,<br />
per così dire lapidariamente, con la seguente formula:<br />
«la disposizione si osserva anche per i crediti<br />
sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente<br />
decreto».<br />
Sull’esempio di quanto era già accaduto con l’art.<br />
66, L. 30 aprile 1969, n. 153 e, poi, con l’art. 15,<br />
L. 29 luglio 1975, n. 426 e, poi ancora, con l’art. 1,<br />
L. 18 gennaio 1994, n. 44, il legislatore - ancora<br />
<strong>un</strong>a volta - non s’è d<strong>un</strong>que limitato ad introdurre<br />
nuovi privilegi per l’avvenire, ma ne ha disposto<br />
l’applicazione con effetto retroattivo (1).<br />
Ed è appena il caso di osservare che - ogniqualvolta<br />
la legge interviene con disposizioni retroattive in<br />
materia di privilegi - sorgono, quasi inevitabilmente,<br />
delicati problemi di diritto transitorio; «del resto<br />
- sono queste le parole di <strong>un</strong> eminente studioso del<br />
settore - nella storia del diritto del privilegio, i problemi<br />
di diritto transitorio acquistano <strong>un</strong>a grande<br />
rilevanza e impegnano, per la loro difficoltà, le<br />
energie degli interpreti, poiché l’istituto, nato all’insegna<br />
della certezza legislativa, è condannato,<br />
per la sua logica intrinseca, a subire <strong>un</strong>a continua<br />
riformulazione della disciplina attraverso il continuo<br />
intervento del legislatore» (2).<br />
2. Il caso<br />
Proprio dalla retroattività della nuova disciplina introdotta<br />
con il D.L. n. 98/2011 origina il non semplice<br />
caso giurisprudenziale sul quale, nella decisione<br />
in commento, il Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo s’è cimentato.<br />
Si supponga infatti il seguente scenario: che - in<br />
tempo <strong>un</strong>o - sia stato dichiarato il fallimento di <strong>un</strong><br />
imprenditore commerciale (nel caso di specie, la A.<br />
S.p.a.); che - in tempo due - l’agente della riscossione<br />
abbia ottenuto l’ammissione al passivo fallimentare<br />
di <strong>un</strong> credito tributario chirografario (nel caso<br />
di specie, di <strong>un</strong> credito per imposte dirette non<br />
iscritto nei ruoli resi esecutivi nell’anno dell’avvio/<br />
intervento nell’esecuzione e in quello precedente);<br />
che - in tempo tre - sia entrato in vigore il famigerato<br />
D.L. n. 98/2011, il quale ha m<strong>un</strong>ito di privilegio<br />
generale mobiliare il suddetto credito tributario, già<br />
ammesso al passivo - come si è detto - in via chirografaria;<br />
che - in tempo quattro - <strong>un</strong> terzo (nel caso<br />
di specie, la M. S.p.a.), in qualità di ass<strong>un</strong>tore, ab-<br />
bia presentato <strong>un</strong>a proposta di concordato fallimentare,<br />
con limitazione della propria responsabilità (ex<br />
art. 124, ultimo comma, l.fall.) ai soli creditori ammessi,<br />
anche provvisoriamente, al passivo (e a quelli<br />
che, pur non ammessi, avessero presentato opposizione<br />
o domanda tardiva al tempo della proposta);<br />
che, in tale proposta, il terzo-ass<strong>un</strong>tore abbia trattato<br />
il credito tributario (non già come privilegiato,<br />
alla stregua della novella legislativa, ma) come chirografario,<br />
con previsione per esso (non del pagamento<br />
integrale in quel caso previsto per i privilegiati,<br />
bensì) del pagamento falcidiato in quel caso<br />
previsto per gli altri chirografari; che - in tempo cinque<br />
- la proposta del terzo-ass<strong>un</strong>tore sia stata approvata<br />
dalla maggioranza del ceto creditorio (seppur<br />
con il dissenso dell’agente della riscossione).<br />
Ebbene - sorge spontaneo chiedersi - quid juris se,<br />
in <strong>un</strong> siffatto scenario, l’agente della riscossione, a<br />
mezzo di opposizione al concordato, den<strong>un</strong>ciasse<br />
l’illegittimità della proposta approvata dai creditori,<br />
per avere quest’ultima - in contrasto con il dettato<br />
del D.L. n. 98/2011 - trattato il credito tributario<br />
come chirografario e non già come privilegiato? Potrebbe<br />
l’agente della riscossione ottenere dal Trib<strong>un</strong>ale<br />
la modifica della proposta di concordato o, com<strong>un</strong>que,<br />
il diniego dell’omologazione?<br />
3. La decisione<br />
Volendo seguire l’orientamento dei giudici piemontesi,<br />
la risposta da darsi s’impone negativa su entrambi<br />
i fronti.<br />
Per quanto concerne la richiesta di modificare la<br />
proposta, essa è - a giudizio del Trib<strong>un</strong>ale - inammissibile,<br />
poiché l’art. 129 l.fall. «consente al Trib<strong>un</strong>ale<br />
di omologare (ovvero di non omologare) <strong>un</strong><br />
concordato fallimentare, senza attribuirgli il potere<br />
di modificarlo». E non par dubbio che, così decidendo,<br />
i giudici piemontesi si siano iscritti (e sono<br />
loro stessi a metterlo in luce) nel solco della giurisprudenza<br />
di legittimità, la quale ha recentemente<br />
ribadito che «il giudice, sia esso il Trib<strong>un</strong>ale o la<br />
Note:<br />
(1) Con riguardo agli interventi del 1969 e del 1975, v. - in sintesi<br />
- G. Tucci, I privilegi, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto<br />
privato, XIX.1, Torino, 1997, 608 e s. e - per <strong>un</strong> ricco excursus<br />
della dottrina e della giurisprudenza (anche di merito) - S.<br />
Bonfatti, La formazione dello stato passivo nel fallimento, Milano,<br />
1981, 321 e s. (spec. 326 e s.); con riguardo all’intervento legislativo<br />
del 2011 v. invece M. Ferro, Manovra fiscale: più tutele<br />
ai crediti tributari e prime procedure concorsuali per gli imprenditori<br />
agricoli, in questa Rivista, 2011, 910 e s., nonché - per<br />
cenni - P. Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizioni dell’attivo,<br />
in questa Rivista, 2011, 1136-1137.<br />
(2) G. Tucci, I privilegi, cit., 609.<br />
360 Il Fallimento 3/2013
Corte d’appello in sede di reclamo, non può omologare<br />
<strong>un</strong>a proposta di concordato apportandovi modifiche<br />
sostanziali» (3). D’altronde, ché nel giudizio<br />
di omologazione non esista <strong>un</strong>a terza via rispetto all’approvazione<br />
ed alla reiezione del concordato era<br />
principio consolidato ancor prima delle ultime novelle<br />
(4); e, per vero, ancor prima della legge fallimentare<br />
del 1942 (5).<br />
Per quanto concerne, invece, la richiesta di denegare<br />
l’omologazione del concordato, essa è - a giudizio<br />
del Trib<strong>un</strong>ale - infondata.<br />
Al riguardo, secondo l’ordine logico-giuridico, vien<br />
fatto d’osservare che il Trib<strong>un</strong>ale, prima di gi<strong>un</strong>gere<br />
a siffatta conclusione, formula <strong>numero</strong>se (anche se,<br />
talvolta, sottointese) affermazioni. Vediamole.<br />
Prima affermazione: se, per effetto di ius superveniens,<br />
si verifica <strong>un</strong> mutamento retroattivo migliorativo<br />
della qualità del credito (da chirografario a privilegiato),<br />
il creditore ha diritto di avvalersi del privilegio<br />
di nuovo conio anche se sia già stato ammesso<br />
al passivo come chirografario.<br />
Seconda affermazione: per avvalersi del privilegio di<br />
nuovo conio, il suddetto creditore può chiedere<br />
<strong>un</strong>a modifica dello stato passivo.<br />
Terza affermazione: per avvalersi del privilegio di<br />
nuovo conio, il suddetto creditore - in particolare -<br />
può proporre: a) <strong>un</strong>’impugnazione ex art. 98, terzo<br />
comma, l.fall.; oppure, b) <strong>un</strong>a domanda tardiva ex<br />
art. 101 l.fall.<br />
Quarta affermazione: il terzo-ass<strong>un</strong>tore, che (ex art.<br />
124, ultimo comma, l.fall.) si sia avvalso della<br />
clausola di limitazione della responsabilità, ha«la<br />
facoltà (ed anzi l’obbligo) di non prendere in considerazione<br />
i crediti non ammessi allo stato passivo»<br />
(tranne quelli per cui sia stata presentata opposizione<br />
o domanda tardiva al tempo della proposta).<br />
Quinta affermazione: se il creditore neoprivilegiato,<br />
già ammesso al passivo come chirografario, si oppone<br />
al concordato sul presupposto che la riduzione<br />
concordataria sia ingiustificata in quanto il credito<br />
avrebbe natura privilegiata (e non chirografaria),<br />
il Trib<strong>un</strong>ale deve verificare se esso abbia<br />
chiesto (ed ottenuto?) <strong>un</strong>a modifica dello stato<br />
passivo; in ipotesi negativa, il Trib<strong>un</strong>ale deve rigettare<br />
<strong>un</strong> tale motivo di opposizione perché il terzo-ass<strong>un</strong>tore,<br />
che si sia avvalso della clausola di limitazione<br />
della responsabilità, ha la facoltà (ed<br />
anzi l’obbligo) «di non attribuire - ai crediti già<br />
ammessi allo stato passivo - <strong>un</strong> grado diverso rispetto<br />
a quello riconosciuto - con proprio decreto<br />
- dal giudice delegato».<br />
Ora, quanto alla prima affermazione, il Trib<strong>un</strong>ale<br />
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
non si preoccupa di motivarla, ma - a ben guardare<br />
- essa non risulta <strong>un</strong>animemente condivisa: v’è infatti<br />
chi argomenta che il creditore già ammesso al<br />
passivo non potrebbe avvalersi del nuovo privilegio,<br />
in quanto il decreto di esecutività farebbe cadere,<br />
sul credito già ammesso, il velo di piombo del<br />
giudicato (sia pur endofallimentare), impedendo<br />
così di tornare a discutere sull’esistenza di eventuali<br />
cause di prelazione (6). Una simile obiezione, però,<br />
era già stata spesa in precedenti occasioni, e la Suprema<br />
Corte aveva finito per ritenerla contrastante<br />
«col principio costituzionale di eguaglianza (che si<br />
deve presumere rispettato dal legislatore, se elementi<br />
di sicuro valore non dimostrino il contrario) perché<br />
crea <strong>un</strong>a disparità di trattamento sia tra i creditori<br />
che intervengono nella procedura fallimentare<br />
e quelli che intervengono nell’esecuzione individuale<br />
(i quali ultimi non incontrano preclusioni<br />
analoghe a quelle che derivano dall’approvazione<br />
dello stato passivo), sia, nell’ambito della procedura<br />
fallimentare, tra i creditori verificati tempestivamente,<br />
e quindi soggetti all’asserita preclusione, ed<br />
i (meno diligenti) creditori che chiedano l’ammissione<br />
tardiva dopo l’entrata in vigore della nuova<br />
legge» (7). Di conseguenza, è giusto affermare (come,<br />
implicitamente, fa anche la curia pinerolese)<br />
che l’efficacia retroattiva dello ius superveniens «su-<br />
Note:<br />
(3) Così, Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in questa Rivista,<br />
2011, 403 e s., con nota di N. Nisivoccia, secondo la quale è tutt’al<br />
più consentito al giudice di «dettare, laddove necessario,<br />
modalità esecutive integrative di quelle previste». Sul p<strong>un</strong>to v.<br />
in dottrina, in luogo di altri, M. Fabiani, Concordato preventivo<br />
per cessione dei beni e predeterminazione delle modalità di liquidazione,<br />
in questa Rivista, 2010, 593 e s. (spec. 596-597).<br />
(4) V. A. Bonsignori, Sub art. 130, in F. Bricola - F. Galgano - G.<br />
Santini (a cura di), Commentario Scialoja-Branca Legge Fallimentare,<br />
Artt. 118-145, Bologna-Roma, 1977, 335-336.<br />
(5) V. Al. Rocco, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento,<br />
Torino, 1902, 489.<br />
(6) In questo senso sembra essersi espresso, inter alia, il giudice<br />
delegato del Trib<strong>un</strong>ale di Ravenna: v., sul p<strong>un</strong>to, il resoconto<br />
di G. Guerrieri, I crediti tributari, inwww.odcec-ra.it. In passato,<br />
tale tesi - all’indomani della L. n. 153/1969 - era stata espressa<br />
pure da Cass. 29 ottobre 1970, n. 2222, in Foro It., 1971, I, 181<br />
e s. (spec. 184), anche se in obiter dictum.<br />
(7) Così, Cass. 10 gennaio 1979, n. 157, in Giur. it., I, 1, 168 e<br />
s., che - omaggiando il canone ermeneutico dell’interpretazione<br />
sec<strong>un</strong>dum costitutionem - ha inaugurato <strong>un</strong> orientamento (v., infatti,<br />
i decisivi arresti di Cass. 11 ottobre 1979, n. 5288, in Giur.<br />
comm., 1980, II, 884 e s., con nota di S. Ferreri, nonché Cass. 7<br />
gennaio 1980, n. 79 e Cass. 11 gennaio 1980, n. 235, entrambe<br />
in Giur. it., I, 1, 1038 e s.) sposato dai giudici della Consulta con<br />
successiva sentenza interpretativa di rigetto (v. Corte Cost. 28<br />
novembre 1983, n. 325, in Foro it., 1983, I, 919 e s., con nota di<br />
G. Tucci). Nella giurisprudenza di merito v. in senso conforme,<br />
più recentemente, Trib. Reggio Emilia 30 agosto 1996, in Dir.<br />
fall., 1996, II, 1156 e s.<br />
Il Fallimento 3/2013 361
Giurisprudenza<br />
Fallimento<br />
pera le preclusioni derivanti dall’approvazione dello<br />
stato passivo» (8).<br />
Quanto alla seconda affermazione, èevidente che essa<br />
si desume come corollario dalla prima.<br />
Quanto alla terza affermazione, occorre intendersi.<br />
Che il creditore già ammesso al passivo come chirografario,<br />
per avvalersi del privilegio di nuovo conio,<br />
possa proporre <strong>un</strong>a domanda tardiva ex art. 101<br />
l.fall. costituisce <strong>un</strong> altro corollario della prima regola:<br />
infatti, caduta l’ordinaria preclusione che impedirebbe<br />
di tornare a discutere sull’esistenza di<br />
eventuali cause di prelazione, cade anche l’ordinario<br />
divieto di svolgere l’insinuazione tardiva per far<br />
valere <strong>un</strong> diritto di prelazione accedente ad <strong>un</strong> credito<br />
già ammesso in chirografo su conforme domanda<br />
del creditore (9).<br />
Che, invece, allo stesso fine, il suddetto creditore<br />
possa proporre, in via alternativa, l’impugnazione<br />
ex art. 98, terzo comma, l.fall., lo escluderei. Il Trib<strong>un</strong>ale<br />
trae simile conclusione dall’art. 23, comma<br />
quarantesimo, D.L. n. 98/2011; ma basta leggere attentamente<br />
questa disposizione per accorgersi che<br />
l’utilizzo di tale strumento processuale spetta - non<br />
già ai creditori neoprivilegiati già ammessi al passivo<br />
come chirografari, bensì - ai creditori privilegiati<br />
già ammessi al passivo come privilegiati, i quali siano<br />
stati scavalcati dai primi nella graduatoria dei<br />
privilegi. E ciò, del resto, in linea con la f<strong>un</strong>zione<br />
dell’impugnazione, che serve proprio - lo dice l’art.<br />
98, terzo comma, l.fall. - per contestare che la domanda<br />
di <strong>un</strong> creditore o di altro concorrente sia<br />
stata accolta (10).<br />
Quanto alla quarta affermazione, non v’è dubbio<br />
che l’art. 124, ultimo comma, l.fall. consenta<br />
espressamente all’ass<strong>un</strong>tore di creare <strong>un</strong>a summa divisio<br />
del ceto creditorio: ossia, di mettere i creditori<br />
‘‘tempestivi’’ da <strong>un</strong> lato e quelli ‘‘tardivi’’ dall’altro,<br />
e di impegnarsi solo nei confronti dei primi. La legge,<br />
giustamente, tiene in conto che l’ass<strong>un</strong>tore è<br />
normalmente <strong>un</strong>o ‘‘speculatore’’ (11) e, in quanto<br />
tale, deve poter conoscere l’entità della massa debitoria<br />
di cui andrà a farsi carico (12).<br />
Quanto alla quinta affermazione, mi permetterei di<br />
avanzare <strong>un</strong> dubbio.<br />
Opponendosi al concordato sul presupposto che la<br />
riduzione concordataria sia ingiustificata in quanto<br />
il suo credito avrebbe natura privilegiata (e non<br />
chirografaria), il creditore neoprivilegiato introduce<br />
nel giudizio di omologazione <strong>un</strong> accertamento incidenter<br />
tantum sulla qualità del credito e, d<strong>un</strong>que, su<br />
<strong>un</strong> presupposto per l’accoglimento della domanda<br />
di omologazione del concordato.<br />
Ora, nel compiere detto accertamento, il giudicante<br />
(a differenza di quel che pare ritenere, nella decisione<br />
sopraestesa, il Trib<strong>un</strong>ale) non si dovrebbe ritener<br />
vincolato al decreto di esecutività dello stato<br />
passivo divenuto definitivo ed alle relative risultanze,<br />
perché -losièdianzi ricordato - lo ius superveniens,<br />
nel nostro caso, ‘‘supera le preclusioni derivanti<br />
dall’approvazione dello stato passivo’’ medesimo.<br />
Se cosi è - <strong>un</strong>a volta accertata in via incidentale la<br />
natura privilegiata del credito tributario - la curia<br />
pinerolese altro non avrebbe potuto fare, se non accogliere<br />
l’opposizione dell’agente della riscossione e<br />
rigettare la domanda di omologazione del terzo-ass<strong>un</strong>tore<br />
(13).<br />
Note:<br />
(8) Così, Cass. 11 gennaio 1980, n. 235, cit., che ritiene esperibile<br />
la domanda tardiva sino al riparto definitivo.<br />
(9) V., in quest’ordine di idee, Cass. 11 gennaio 1980, n. 235,<br />
cit., nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Reggio Emilia<br />
30 agosto 1996, cit.<br />
(10) La disposizione dell’art. 23, quarantesimo comma, D.L. n.<br />
98/2011 trova il proprio precedente storico nell’art. 1, secondo<br />
comma, L. n. 44/1994 e, prima, nell’art. 15, secondo comma, L.<br />
n. 426/1975 e, prima ancora, nella sentenza ‘‘additiva’’ della<br />
Corte Costituzionale 12 luglio 1972, n. 129, in Foro It., 1972, I,<br />
2338 e s., che aveva dichiarato incostituzionale l’art. 66, quinto<br />
comma, L. n. 153/1969 «nella parte in cui non prevede che i titolari<br />
di crediti privilegiati, ammessi al passivo fallimentare in data<br />
anteriore alla entrata in vigore della legge, possano contestare<br />
i crediti, che, per effetto della nuova disciplina, sono stati anteposti<br />
al loro nel grado di privilegio». La ratio è chiara: il legislatore<br />
vuole «rimettere in termini i creditori rispetto ad <strong>un</strong>a impugnazione,<br />
l’interesse alla cui proposizione, prima mancante per<br />
l’originaria poziorità del loro privilegio, è sopraggi<strong>un</strong>to con la<br />
nuova normativa nei limiti in cui questa pospone il detto privilegio<br />
agli altri da essa considerati» (così, Cass. 10 gennaio 1979,<br />
n. 157, cit.); tant’è che, secondo P. Celentano, Accertamenti del<br />
passivo e ripartizioni dell’attivo, cit., 1137 - in mancanza di <strong>un</strong>a<br />
disposizione transitoria del tipo di quella contenuta nel sopramenzionato<br />
quarantesimo comma - si dovrebbe com<strong>un</strong>que applicare<br />
l’istituto, di sicura valenza generale, della rimessione in<br />
termini.<br />
(11) V., per questa definizione, F. Ferrara jr., Il fallimento, Milano,<br />
1974, 577, ricordato da L. Stanghellini, Sub art. 124, in A. Jorio<br />
(diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007,<br />
1984.<br />
(12) V., f<strong>un</strong>ditus, M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato<br />
fallimentare, Torino, 2009, 410 e s., anche con riferimento all’elaborazione<br />
di alc<strong>un</strong>e ‘‘ipotesi critiche di limitazione di responsabilità’’.<br />
(13) A mio avviso, analogo accertamento incidenter tantum sulla<br />
mutata qualità del credito sarebbe imposto, mutatis mutandis,<br />
in caso di epilogo non concordatario, da <strong>un</strong> eventuale reclamo<br />
contro il progetto di riparto ex art. 110, terzo comma, l.fall.; anche<br />
in questo caso il giudicante non dovrebbe ritenersi vincolato,<br />
per gli stessi motivi detti nel testo, alle risultanze dello stato<br />
passivo.<br />
362 Il Fallimento 3/2013
Concordati ex art. 214 l.fall.<br />
Nomina dell’esperto chiamato<br />
a redigere la relazione di cui<br />
all’art. 124, terzo comma, l.fall.<br />
Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012 - Pres. e Rel. Platania - Fineuro S.p.a.<br />
Amministrazione straordinaria - Cessazione - Concordato - Relazione ex art. 124, terzo comma, l.fall. - Designazione dell’esperto<br />
- Competenza dell’Autorità amministrativa di vigilanza<br />
(legge fallimentare artt. 124 e 214)<br />
Nel concordato ai sensi dell’art. 214 l.fall. la designazione dell’esperto chiamato a redigere la relazione di cui all’art.<br />
124, terzo comma, l.fall. spetta all’Autorità amministrativa giacché vi deve essere coincidenza tra l’Autorità<br />
che designa l’esperto e quella che autorizza la presentazione del concordato.<br />
La Corte (omissis).<br />
Con ricorso presentato il 29 febbraio 2012 la società Fineuro<br />
S.p.a. chiedeva al sensi dell’art. 124, terzo comma,<br />
l.fall. la designazione dell’esperto al fine di procedere alla<br />
stima degli attivi delle società del gruppo Arena poste in<br />
amministrazione straordinaria al divisato fine di proporre<br />
<strong>un</strong> concordato anche a seguito della pubblicazione da<br />
parte dei commissari, delle procedure di <strong>un</strong> avviso di ricerca<br />
di terzi ass<strong>un</strong>tori di concordati in conformità alla<br />
Circolare ministeriale del 27 luglio 2011; apparendo opport<strong>un</strong>o<br />
disporre la comparizione degli istanti <strong>un</strong>itamente<br />
ai commissari delle procedure interessale, veniva fissata<br />
udienza camerale; si costituivano in giudizio in tale<br />
procedura i commissari delle società sottoposte ad amministrazione<br />
straordinaria che chiedevano il rigetto dell’istanza<br />
assumendo che fosse competente alla designazione<br />
dell’esperto ai sensi dell’art. 124 l.fall. il Ministero dello<br />
Sviluppo Economico quale autorità vigilante delle procedure;<br />
veniva anche chiesta la revoca del provvedimento<br />
di designazione dell’esperto a suo tempo nominato dal<br />
Trib<strong>un</strong>ale per la valutazione del patrimonio della società<br />
Finsipa per la quale era stato nominato l’esperto ai sensi<br />
dell’art. 124 l.fall.<br />
La complessa questione sottoposta all’esame del Trib<strong>un</strong>ale<br />
e sulla quale non vi sono sostanzialmente precedenti,<br />
deve muovere dall’esame delle normative applicabili<br />
alle procedure di amministrazione straordinaria aperte in<br />
epoca antecedente al D.Lgs. 8 luglio 1999 n. 270 le quali,<br />
ai sensi della L. 30 gennaio 1979, n. 26 art. 1, sesto<br />
comma sono disciplinate, se non diversamente stabilito,<br />
dagli artt. 195 e segg. della legge fallimentare. Tra le disposizioni<br />
applicabili in forza dell’indicato richiamo v’è<br />
l’art. 201 l.fall. che dispone la sostituzione dell’Autorità<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
amministrativa che vigila sulla liquidazione nei poteri<br />
del Trib<strong>un</strong>ale (oltre ché nei poteri del giudice delegato).<br />
Né sembra rilevante il fatto che anche per le procedure<br />
aperte nel vigore della L. 30 gennaio 1979 n. 26 possano<br />
trovare applicazione le disposizioni del D.Lgs. 8 luglio<br />
1999 n. 270 dettate per le procedure di concordato poiché<br />
tali disposizioni non apportano deroghe significative<br />
al regime in precedenza previsto, considerato che l’art.<br />
78 richiama pur sempre le disposizioni dell’art. 214 l.fall.<br />
(sul concordato nell’ambito delle procedure di liquidazione<br />
coatta amministrativa).<br />
Ciò che rileva effettivamente è che il sistema previsto<br />
dal D.L. n. 70/2011 non deroga alle disposizioni generali<br />
dettate per l’amministrazione straordinaria modellate sulla<br />
liquidazione coatta amministrativa e quindi, per quel<br />
che qui conta, alle disposizioni che prevedono la sostituzione<br />
dell’autorità amministrativa nel poteri del Trib<strong>un</strong>ale.<br />
Mette conto di osservare in particolare che anche nel sistema<br />
delineato dal D.Lgs. n. 270/99, l’Autorità Amministrativa<br />
di vigilanza ha conservato poteri assai rilevanti,<br />
essendo ad essa riservato il potere di autorizzare l’imprenditore<br />
ovvero <strong>un</strong> terzo a depositare l’istanza di concordato.<br />
Se ciò è, appare conforme al sistema che anche<br />
la designazione dell’esperto che debba redigere la relazione<br />
prevista dall’art. 124 l.fall. sia affidata all’autorità amministrativa<br />
poiché tale relazione è sostanzialmente prodromica<br />
all’autorizzazione alla presentazione della proposta<br />
di concordato che è affidata alla stessa Autorità. In<br />
altre parole come nel sistema ordinario vi è coincidenza<br />
tra l’autorità che designa l’esperto e autorità che deve<br />
valutare la congruità dei criteri seguiti nella proposta<br />
che preveda condizioni differenziali per i creditori (il<br />
Trib<strong>un</strong>ale), così non può ritenersi incoerente che anche<br />
Il Fallimento 3/2013 363
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
nel sistema delineato per le amministrazioni straordinarie<br />
vi sia coincidenza tra autorità che autorizza la presentazione<br />
del concordato ed autorità che designa l’esperto.<br />
Pertanto occorre prendere atto che la nomina dell’esperto<br />
non può essere disposta dal Trib<strong>un</strong>ale.<br />
Conseguentemente l’istanza di designazione dell’esperto<br />
va respinta e va anche disposta la revoca della designazione<br />
già effettuata in relazione all’istanza formulata dalla<br />
Fineuro il 5 settembre 2011.<br />
Trattandosi di designazione e non di nomina, non sono<br />
coinvolti i diritti dell’esperto designato che d<strong>un</strong>que non<br />
deve essere coinvolto nel presente procedimento.<br />
(Omissis).<br />
Osservazioni<br />
La sentenza annotata risolve, nel sostanziale vuoto di precedenti,<br />
l’incertezza circa la competenza a designare l’esperto di<br />
cui all’art. 124, terzo comma, l.fall., nei concordati ex art. 214<br />
l.fall., attribuendola all’Autorità amministrativa quale attributo<br />
della più generale, e generica, vigilanza sulla procedura. Un<br />
esame più approfondito delle soluzioni concordatarie nelle<br />
procedure concorsuali amministrative sembra poter sollevare<br />
qualche dubbio su tale ricostruzione.<br />
Il concordato disegnato dall’art. 214 l.fall., come modificato<br />
dal D.Lgs. 13 settembre 2007, n. 169, è applicabile - ovviamente<br />
- nella liquidazione coatta amministrativa disciplinata<br />
dalla legge fallimentare (e nelle leggi che vi fanno esplicito richiamo,<br />
come da ultimo la disciplina dell’impresa sociale di<br />
cui al D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155), dall’amministrazione<br />
straordinaria ex D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (e da quelle ex<br />
D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 che, ai sensi dell’art. 7, L. 12 dicembre<br />
2002, n. 273 proseguono la gestione liquidatoria secondo<br />
le norme della liquidazione coatta amministrativa; per<br />
l’applicazione dell’art. 214 l.fall. alle ‘‘vecchie Prodi’’ v. Trib.<br />
Udine, 13 novembre 1984, in Dir. fall., 1985, II, 507 ss.), dal<br />
T.U. bancario (D.Lgs. 18 settembre 1993, n. 385) e da quello<br />
assicurativo (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), ma non invece<br />
da <strong>un</strong>’altra procedura concorsuale amministrativa come quella<br />
per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato<br />
d’insolvenza (D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con<br />
L. 18 febbraio 2004, n. 39).<br />
La riforma del 2007 (c.d. decreto correttivo alla riforma fallimentare)<br />
ha sostanzialmente innovato questa tipologia di concordato<br />
modificando app<strong>un</strong>to l’art. 214 l.fall. Nella relazione<br />
di accompagnamento, infatti, viene affermato che «il comma<br />
5 sostituisce l’art. 214 del R.D., allo scopo di adeguare la disciplina<br />
del concordato della liquidazione coatta amministrativa,<br />
<strong>un</strong>iformandola per quanto possibile alla nuova disciplina del<br />
concordato fallimentare e rendendola più rispettosa delle garanzie<br />
della difesa e del contraddittorio» (cfr. M. Fabiani, Diritto<br />
fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 751).<br />
Questa affermata <strong>un</strong>iformazione alla disciplina del concordato<br />
fallimentare è stata attuata con il richiamo esplicito gli artt.<br />
124 ss. l.fall. Tuttavia questo peculiare concordato ha mantenuto<br />
del vecchio assetto il suo carattere coattivo, cioè l’esclusione<br />
della votazione da parte dei creditori, i cui diritti sono ristretti<br />
alla sola possibilità di proporre opposizione, così che la<br />
proposta è rimessa alla sola duplice ‘‘approvazione’’ in sede amministrativa<br />
e giudiziaria, segnando il massimo favor del legislatore<br />
per la soluzione concordataria nelle procedure concorsuali<br />
amministrative (così F. Vassalli, Il decreto correttivo della riforma<br />
della legge fallimentare, inwww.dottrinaediritto.ipsoa.it/). Infatti,<br />
la conferma della negazione del diritto di voto dei creditori<br />
marca l’intento di sottrarre il successo della soluzione concordataria<br />
agli interessi prettamente privati dei creditori che, proprio<br />
in quanto privati, potrebbero negare il consenso a concordati<br />
rispondenti a quell’interesse pubblico sotteso alla disciplina<br />
delle procedure concorsuali amministrative (per <strong>un</strong>a attenta<br />
declinazione degli specifici interessi pubblici, anche in ragione<br />
dei diversi indirizzi dell’amministrazione straordinaria v. F.<br />
Fimmanò, Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I,<br />
973 ss.).<br />
In realtà, in tema di concordato coattivo si è assistito ad <strong>un</strong>a<br />
crescente, se non definitiva, erosione dell’interesse pubblico<br />
quale valore cui possono essere sacrificati i diritti patrimoniali<br />
dei creditori (come esempio dell’interpretazione ‘‘superata’’ v.<br />
G.C.M. Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano,<br />
1969, 154 ss.; mentre per <strong>un</strong>a critica v. F. D’Alessandro, La<br />
crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali,<br />
inGiust. civ., 2006, II, 331: «permettere all’impresa di sopravvivere<br />
non pagando i propri creditori, o pagandoli nella<br />
ridotta misura stimata compatibile con le esigenze di continuazione<br />
[...] altro non significa se non (I) novazione coatta e retroattiva<br />
del capitale di credito in capitale di rischio e poi (II)<br />
postergazione altrettanto coatta e altrettanto retroattiva del<br />
nuovo capitale di rischio rispetto all’antico»). Questa ‘‘lotta’’<br />
tra interesse pubblico e diritto dei creditori non certifica <strong>un</strong>a<br />
raggi<strong>un</strong>ta supremazia di quest’ultimo, quasi a considerare la<br />
mancata riforma dell’art. 214 l.fall. <strong>un</strong>a sorta di timidezza o addirittura<br />
di svista del legislatore della riforma. Se ancora <strong>un</strong><br />
contenuto può essere dato a questo singolare assetto è app<strong>un</strong>to<br />
quello già accennato circa gli interessi privati dei creditori. Se<br />
il ceto dei creditori è considerato in <strong>un</strong> insieme <strong>un</strong>iforme<br />
(non in specifiche classi, ma nella distinzione ‘‘storica’’ tra privilegiati<br />
e chirografi) e nel loro interesse ad ottenere dal concorso<br />
la massima soddisfazione nel minor tempo, non trova effettivamente<br />
molta sostanza l’interesse pubblico (cfr. Cass. 18<br />
marzo 2008, n. 7263, in questa Rivista, 2008, 893 ss. «l’interesse<br />
pubblico si attua nella sola scelta di convenienza tra conservazione<br />
o liquidazione dell’impresa (rimessa all’autorità amministrativa),<br />
e non prevale su quello dei creditori concorrenti<br />
alla soddisfazione delle loro ragioni, il quale si attua mediante<br />
le eventuali opposizioniNe consegue che la tutela del credito,<br />
secondo i principi di responsabilità patrimoniale ex art. 2740<br />
c.c., fonda la possibile approvazione del concordato se il sacrificio,<br />
anche parziale, dei creditori in f<strong>un</strong>zione della conservazione<br />
dell’impresa sia almeno equivalente a quello che ad essi<br />
viene prospettato dall’alternativa ipotesi della liquidazione»).<br />
Invero esso può recuperare invece <strong>un</strong> significato e assumere<br />
spessore qualificante laddove si consideri che gli interessi dei<br />
creditori o, meglio, di alc<strong>un</strong>i di essi possono non essere quelli<br />
della massima soddisfazione nel minor tempo. Infatti, nel fallimento,<br />
soprattutto dopo la riforma del concordato, è possibile<br />
che non abbiano successo le proposte più vantaggiose per il<br />
ceto creditorio, bensì più modestamente solo quelle votate dalla<br />
maggioranza. Gli interessi dei privati, che in quanto tali devono<br />
giustamente essere ‘‘egoistici’’, potrebbero non coincidere<br />
con soluzioni concordatarie votate alla massima percentuale<br />
ottenibile. Infatti, nel fallimento è possibile per <strong>un</strong> creditore,<br />
avente o coalizzante la maggioranza dei crediti, acquisire gli attivi<br />
di <strong>un</strong>a procedura fallimentare imponendo il suo vantaggio<br />
indiretto a scapito degli interessi della minoranza (utilizzando<br />
le riflessioni di F. D’Alessandro, op. ult. loc. cit., ciò significa<br />
consentire a questo creditore <strong>un</strong>a novazione coatta, solo figurativa<br />
e deleteria per la minoranza, e retroattiva, pienamente<br />
vantaggiosa e magari anche effettiva per la maggioranza, del<br />
capitale di credito in capitale di rischio).<br />
Intendere l’interesse pubblico nel concordato coattivo perlo-<br />
364 Il Fallimento 3/2013
meno quale valore limite all’ingresso di interessi diversi da<br />
quelli riassumibili nell’ass<strong>un</strong>to di massimo incasso nel minor<br />
tempo significa che detto ‘‘baluardo’’ dovrebbe consentire l’approvazione,<br />
anche a dispetto dell’opposizione dei creditori,<br />
delle proposte migliori; queste non sono certo quelle ciecamente<br />
orientate al debitore a detrimento delle ragioni economiche<br />
del ceto creditorio, ma quelle che compongono la crisi<br />
attraverso il risparmio del tempo (secondo la nota equazione<br />
che tempo è denaro) e la certezza nella determinazione del valore<br />
dell’attivo residuo (che deve tener conto delle incertezze<br />
nella fase dell’alienazione, cioè della necessaria trasformazione<br />
del bene specifico in somma liquida) per gi<strong>un</strong>gere alla sopravvivenza<br />
dell’impresa.<br />
Nondimeno deve tenersi in conto che il legislatore non ha delimitato<br />
l’applicazione del concordato coattivo solo alle procedure<br />
in <strong>un</strong>a fase dove sono ancora presenti <strong>un</strong>’azienda o assets<br />
aziendali, cioè solo laddove l’interesse privatistico dei creditori<br />
come sopra individuato può ‘‘scontrarsi’’ con l’interesse pubblico<br />
alla sopravvivenza dell’impresa: vi possono ben essere concordati<br />
coattivi meramente liquidatori. Una conferma si ha<br />
nel D.L. 13 maggio 2011 n. 70 (in questa Rivista, 2011, 783)<br />
che, nell’intento di accelerare la chiusura delle amministrazioni<br />
straordinarie aperte con D.L. 30 gennaio 1979, n. 26 (c.d.<br />
‘‘vecchie Prodi’’) poi convertite in liquidazioni coatte amministrative<br />
dall’art. 7, L. 12 dicembre 2002, n. 273, ha previsto<br />
<strong>un</strong>a sorta di concordato [coattivo] forzato; infatti, queste procedure,<br />
aperte quantomeno dalla fine degli anni 90, non hanno<br />
certamente più aziende o assets aziendali da salvaguardare<br />
in ragione dell’interesse pubblico qui declinato nella difesa<br />
dell’occupazione (per <strong>un</strong>’analisi approfondita si rimanda ancora<br />
a F. Fimmanò, op. ult. loc. cit.). Pertanto il legislatore,<br />
quando ha voluto perseguire l’accelerazione della chiusura di<br />
procedure ridotte a gestire perlopiù del contenzioso, non ha<br />
inteso disegnare <strong>un</strong>a forma di concordato precipuo, ma si è affidato<br />
all’istituto di cui al - riformato - art. 214 l.fall.<br />
Deve quindi desumersi che il concordato coattivo è <strong>un</strong> modello<br />
f<strong>un</strong>gibile anche laddove non vi siano più attivi imprenditoriali<br />
e d<strong>un</strong>que utilizzabile quale strumento idoneo per reagire<br />
alla ‘‘naturale’’ inefficienza dovuta alla finalità estintiva della<br />
procedura concorsuale amministrativa. Infatti è fatale che, dovendo<br />
estinguere ogni posizione giuridica attiva e passiva, la<br />
procedura concorsuale amministrativa si può protrarre per <strong>un</strong><br />
tempo indubbiamente penalizzante per le naturali esigenze del<br />
ceto creditorio. In questi casi l’interesse pubblico tutelato dall’Autorità<br />
amministrativa coincide con la tutela effettiva del<br />
diritto di credito dei soggetti coinvolti nella procedura: potranno<br />
essere autorizzate quelle proposte di concordato che<br />
consentono, accorciando la durata della liquidazione, di far<br />
conseguire ai creditori <strong>un</strong> grado di soddisfazione qualitativamente<br />
migliore (secondo il principio che chi incassa prima incassa<br />
di più) che non la chiusura per riparto finale. A sua volta<br />
l’Autorità giudiziaria sarà chiamata a valutare, sulla scorta delle<br />
eventuali opposizioni, se l’interesse pubblico in astratto valutato<br />
dall’Autorità amministrativa sia corrispondente al concreto<br />
interesse dei creditori.<br />
Quindi nel concordato coattivo «al ceto creditorio non è attribuito<br />
il potere di scegliere il modo migliore di soddisfare i crediti<br />
concorsuali [...] le ragioni dei creditori sono tuttavia salvaguardate<br />
dall’opposizione, che impedisce l’approvazione di <strong>un</strong><br />
concordato nel quale quelle ragioni siano anche solo parzialmente<br />
sacrificate all’interesse pubblico» (così Cass. 19 settembre<br />
2006, n. 20259, in questa Rivista, 2007, 11 ss.) e spetta all’Autorità<br />
amministrativa, tanto nel caso in cui questo sia indirizzato<br />
verso <strong>un</strong>a procedura con attivi aziendali ancora suscettibili<br />
di essere recuperati, quanto in presenza di <strong>un</strong>a proce-<br />
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
dura meramente liquidatoria, individuare l’interesse pubblico<br />
di volta in volta presente e in ragione del quale autorizzare il<br />
creditore o il terzo al deposito in Trib<strong>un</strong>ale della proposta (cfr.<br />
Cass. 18 marzo 2008, n. 7263, loc. cit.).<br />
Spetta invece all’Autorità giudiziaria, coerentemente con il vigente<br />
sistema, la tutela del credito, secondo i principi della responsabilità<br />
patrimoniale ex art. 2740 c.c., cosicché potranno<br />
essere approvati solo quei concordati dove il sacrificio, anche<br />
parziale, dei creditori in f<strong>un</strong>zione della conservazione dell’impresa<br />
sia almeno equivalente a quello che ad essi viene prospettato<br />
dall’alternativa ipotesi della liquidazione.<br />
Ora, deve considerarsi che a) l’Autorità amministrativa ha piena<br />
facoltà di autorizzare proposte palesemente penalizzanti per<br />
i creditori, sacrificando i loro diritti sull’altare dell’interesse<br />
pubblico, b) a baluardo delle ragioni creditorie sta l’Autorità<br />
giudiziaria, c) la relazione ex art. 124, terzo comma, l.fall. deve<br />
attestare che la proposta di concordato non sia penalizzante<br />
per i creditori [privilegiati] rispetto all’ipotesi alternativa della<br />
continuazione della procedura concorsuale.<br />
La sentenza che si annota ritiene che il riconoscimento in capo<br />
all’Autorità amministrativa della designazione dell’esperto<br />
chiamato a redigere la relazione di cui all’art. 124, terzo comma,<br />
l.fall. trova fondamento negli ampi poteri ad essa riservati,<br />
poteri che possono arrestare l’iter del concordato con il diniego<br />
dell’autorizzazione al deposito in Trib<strong>un</strong>ale, quindi senza attivare<br />
la consultazione dei creditori e il vaglio dell’Autorità giudiziaria.<br />
Affermato poi che la relazione in questione è prodromica<br />
all’autorizzazione alla presentazione della proposta, la<br />
pron<strong>un</strong>cia giustifica tale scelta equiparando il concordato coattivo<br />
e fallimentare: «come nel sistema ordinario vi è coincidenza<br />
tra autorità che designa l’esperto e autorità che deve valutare<br />
la congruità dei criteri seguiti nella proposta che preveda<br />
condizioni differenziali per i creditori (il Trib<strong>un</strong>ale), cosi<br />
non può ritenersi incoerente che anche nel sistema delineato<br />
per le amministrazioni straordinarie vi sia coincidenza tra autorità<br />
che autorizza la presentazione del concordato ed autorità<br />
che designa l’esperto.<br />
Ora, sembra di poter affermare che, per le argomentazioni sin<br />
qui svolte, la relazione di cui all’art. 124, terzo comma, l.fall.<br />
non sia prodromica all’autorizzazione alla presentazione in Trib<strong>un</strong>ale<br />
della proposta: mentre la predetta autorizzazione verterà<br />
sulla corrispondenza della proposta di concordato all’interesse<br />
pubblico, la relazione dovrà servire quale fonte di valutazione<br />
circa il possibile pregiudizio che il concordato arrecherebbe<br />
ai creditori privilegiati. In altri termini, se si concorda su <strong>un</strong>a<br />
effettiva e tuttora attuale distinzione di compiti e di presupposti<br />
operativi tra le due Autorità (F. Fimmanò, op. ult. cit., 979<br />
che distingue però il caso del concordato straordinario, cioè<br />
quello nell’amministrazione straordinaria), deve concludersi<br />
che la tutela del ceto creditorio è rimessa <strong>un</strong>icamente all’Autorità<br />
giudiziaria ed allora non si vede per quale motivo l’affidamento<br />
dell’incarico all’esperto per la redazione della relazione<br />
ex art. 124, terzo comma, l.fall. debba spettare ad <strong>un</strong> soggetto,<br />
cioè l’Autorità amministrativa, cui sostanzialmente non<br />
serve giacché il requisito della convenienza per i creditori, anche<br />
se da essa preso in considerazione, compete all’Autorità<br />
giudiziaria (su questo potenziale endemico conflitto cfr. F. Di<br />
Marzio, voce Crisi d’impresa, inEnc. dir., Annali, V, Milano,<br />
2012, 533).<br />
Se invece si accettasse l’equiparazione proposta tra Autorità<br />
giudiziaria e amministrativa si dovrebbe allora concludere che<br />
l’autorizzazione rilasciata da quest’ultima non può che avere lo<br />
stesso spettro d’indagine, cioè i diritti dei creditori (certamente<br />
nella prospettiva di limitare i concordati a quelle sole proposte<br />
che non perseguono interessi coerenti con il principio di mas-<br />
Il Fallimento 3/2013 365
Giurisprudenza<br />
Amministrazione straordinaria<br />
sima soddisfazione nel minor tempo). Ma quest’impostazione,<br />
alla luce della disciplina del concordato coattivo che vede perdurare<br />
l’ablazione del diritto di voto (assetto che di per sé dovrebbe<br />
com<strong>un</strong>que escludere l’omologazione di proposte lesive<br />
del diritto di tutti i creditori, non potendo contare sul principio<br />
maggioritario), potrebbe far emergere <strong>un</strong> potenziale contrasto<br />
tra le due Autorità, chiamate app<strong>un</strong>to a compiere la<br />
stessa valutazione. Diversamente invece, affermare che anche<br />
nel concordato coattivo l’<strong>un</strong>ico interesse che può giustificare<br />
<strong>un</strong> concordato è sempre quello legato alla sola soddisfazione<br />
del ceto creditorio comporterebbe ritenere che la stessa Autorità<br />
amministrativa dovrebbe giocoforza autorizzare tutte le<br />
proposte di concordato che si prospettino come favorevoli ai<br />
creditori anche in presenza di assets aziendali, prescindendo<br />
così sempre dall’interesse pubblico sotteso alla procedura concorsuale<br />
amministrativa.<br />
Francesco Tomasso<br />
366 Il Fallimento 3/2013
Massimario di legittimità<br />
LEGGE FALLIMENTARE<br />
Art. 5<br />
Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8930 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Bernabai - P.S.C. c. Fallimento P.S.C.<br />
1. Ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza,<br />
l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti<br />
di <strong>un</strong> imprenditore individuale, in ragione della natura<br />
civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni<br />
della garanzia patrimoniale in f<strong>un</strong>zione della<br />
causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente<br />
rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore<br />
al fallimento; solo l’alterità soggettiva (ad esempio,<br />
in caso di impresa gestita tramite <strong>un</strong>a società di capitale<br />
<strong>un</strong>ipersonale) introduce <strong>un</strong> criterio diverso di imputazione<br />
dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia<br />
patrimoniale perfetta. (Nella specie, la S.C.<br />
ha rigettato il motivo di ricorso avverso la sentenza,<br />
che aveva ritenuto raggi<strong>un</strong>to il limite di indebitamento<br />
richiesto dall’art. 1 della l.fall., nonostante la dedotta<br />
natura civile e non commerciale del debito costituito da<br />
fideiussioni rilasciate prima dell’inizio dell’attività imprenditoriale).<br />
Cass. Civ., sez. I, 7 giugno 2012, n. 9253 - Pres. Fioretti -<br />
Est. Ferro - P.M. Apice - M.V. c. Fallimento M.V.<br />
2. Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale<br />
deve essere accertato, ai fini della dichiarazione di fallimento,<br />
attraverso <strong>un</strong>a valutazione globale, sia quantitativa<br />
che qualitativa, dei suoi debiti e dei suoi crediti ed a<br />
prescindere dalle cause che l’hanno determinato. (In applicazione<br />
di questo principio, la S.C. ha ritenuto corretta<br />
la decisione di merito, la quale, nel dichiarare il fallimento,<br />
ha ritenuto irrilevante che l’attività imprenditoriale<br />
fosse stata ridimensionata dall’assoggettamento ad <strong>un</strong><br />
sequestro, disposto illegittimamente dall’autorità giudiziaria).<br />
Vedi Cass. 28 marzo 2001, n. 4455; Cass. 13 agosto 2004,<br />
n. 15769.<br />
Art. 15<br />
Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8769 - Pres. Plenteda<br />
- Est. De chiara - P.M. Zeno - Fallimento P.N. c. P.N.<br />
1. In tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito,<br />
da parte dell’imprenditore raggi<strong>un</strong>to da istanza di<br />
fallimento, della situazione patrimoniale, economica e<br />
finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi<br />
tre esercizi), in violazione dell’art. 15, quarto comma,<br />
l.fall., come sostituito dal d.lgs. n. 169 del 2007, si<br />
risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che è<br />
onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali<br />
quale causa di esenzione dal fallimento, ai<br />
sensi dell’art. 1, secondo comma, l.fall., sostituito dal<br />
Giurisprudenza<br />
d.lgs. n. 169 cit. (La S.C., nel cassare con rinvio la sentenza<br />
impugnata, ne ha statuito l’erroneità ove essa<br />
aveva omesso di dare rilevanza alla citata omissione, in<br />
quanto i predetti limiti dimensionali vanno des<strong>un</strong>ti innanzitutto<br />
dalle produzioni documentali gravanti ‘‘ex lege’’<br />
a carico del debitore).<br />
Vedi Cass. 23 luglio 2010, n. 17281.<br />
Art. 16<br />
Cass. Civ., sez. I, 1 giugno 2012, n. 8863 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Didone - P.M. Fimiani - C.G. c. Gest Line S.p.a.<br />
1. La sentenza che pron<strong>un</strong>cia la nullità della dichiarazione<br />
di fallimento per vizi di natura processuale ha <strong>un</strong>a<br />
portata limitata al rapporto processuale in cui è emessa<br />
e, quindi, ancorché definitiva, non è idonea ad assumere<br />
l’autorità del giudicato in senso sostanziale. Ne consegue<br />
che tale sentenza non osta all’emissione di <strong>un</strong>a nuova<br />
dichiarazione di fallimento nei confronti dello stesso<br />
soggetto e sulla base di <strong>un</strong>a rivalutazione dei medesimi<br />
elementi di fatto.<br />
Vedi Cass. 29 novembre 1978, n. 5642.<br />
Art. 18<br />
Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8769 - Pres. Plenteda<br />
- Est. De chiara - P.M. Zeno - Fallimento P.N. c. P.N.<br />
1. L’indicazione, nel reclamo avverso la sentenza dichiarativa<br />
di fallimento, dei mezzi di prova di cui il ricorrente<br />
intende avvalersi e dei documenti prodotti, prevista dall’art.<br />
18, secondo comma, n. 4, l.fall., non è richiesta a<br />
pena di inammissibilità di successive produzioni, sulla<br />
base di <strong>un</strong>a interpretazione non rigoristica suggerita dalla<br />
natura informale del procedimento di reclamo.<br />
Cass. Civ., sez. VI - 1, 6 giugno 2012, n. 9174 - Pres. Salme’<br />
- Est. Cultrera - Dedalus S.r.l. c. MPS gestione Crediti<br />
Banca S.p.a.<br />
2. L’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento,<br />
limitatamente ai procedimenti in cui trova applicazione<br />
la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, è caratterizzata<br />
da <strong>un</strong> effetto devolutivo pieno, cui non si<br />
applicano i limiti previsti, in tema di appello, dagli artt.<br />
342 e 345 c.p.c. Pertanto, il fallito, benché non costituito<br />
avanti al trib<strong>un</strong>ale, può indicare per la prima volta in sede<br />
di reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi,<br />
al fine di dimostrare la sussistenza dei limiti dimensionali<br />
di cui all’art. 1, comma 2, l.fall. (Nella specie, <strong>un</strong><br />
creditore aveva proposto reclamo avverso il provvedimento<br />
di rigetto dell’istanza di fallimento, e la corte<br />
d’appello l’aveva accolto disponendo la trasmissione<br />
degli atti al trib<strong>un</strong>ale, che aveva dichiarato il fallimento.<br />
Tale decisione veniva reclamata dall’imprenditore, ma<br />
la Corte d’appello rigettava il reclamo ritenendo che i<br />
bilanci, attraverso i quali il reclamante intendeva dimo-<br />
Il Fallimento 3/2013 367
Giurisprudenza<br />
strare la reale entità delle proprie dimensioni, fossero<br />
inutilizzabili perché tardivamente depositati. La S.C., in<br />
base al principio di cui alla massima, ha cassato con<br />
rinvio tale decisione).<br />
Vedi Cass. 5 novembre 2010, n. 22546; Cass. 31 maggio<br />
2012, n. 8769.<br />
Art. 26<br />
Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8434 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Bernabai - P.M. Apice - Curatela del fallimento<br />
della Ittica Mediterrania S.r.l. c. M.M.<br />
1. I soci della società fallita, a differenza di quest’ultima,<br />
non sono legittimati a proporre reclamo ex art. 26 l.fall.<br />
avverso il provvedimento del giudice delegato che abbia<br />
negato la sospensione della vendita coattiva dei beni sociali,<br />
in quanto essi sono privi di alc<strong>un</strong> diritto reale su<br />
quei beni, e perciò titolari non del necessario interesse<br />
ex art. 100 c.p.c., bensì di <strong>un</strong> mero interesse di fatto alla<br />
conservazione del patrimonio sociale.<br />
Vedi Cass. 11 ottobre 1999, n. 11369.<br />
2. Il termine per proporre reclamo contro i decreti del<br />
giudice delegato al fallimento, di cui all’art. 26, comma<br />
terzo, l.fall., decorre in ogni caso, sia proposto il reclamo<br />
prima o dopo l’entrata in vigore della riforma di cui al<br />
d.lgs. n. 5 del 2006, dalla com<strong>un</strong>icazione integrale del<br />
provvedimento, mentre è inidonea ai fini della decorrenza<br />
del suddetto termine la mera com<strong>un</strong>icazione del dispositivo,<br />
stante la previsione generale di cui all’art. 136,<br />
primo comma, c.p.c., che riserva la forma abbreviata di<br />
casi espressamente previsti.<br />
Vedi Cass. 26 febbraio 2010, n. 4783.<br />
Art. 31<br />
Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8929 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Cultrera - P.M. Fimiani - Fallimento Tracal trasporti<br />
S.r.l. c. P.M.<br />
1. È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità<br />
costituzionale dell’art. 31 l.fall. per eccesso di delega,<br />
con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente<br />
<strong>un</strong> difensore, in quanto tale norma non<br />
esorbita dai limiti di essa, risultando coerente con i principi<br />
della legge delega e rispondendo al criterio di speditezza<br />
della procedura, che rappresenta l’obiettivo preminente<br />
del legislatore delegante.<br />
Vedi Cass. 11 gennaio 2005, n. 351; Cass. 5 novembre<br />
2010, n. 22540; Cass. 13 maggio 2011, n. 10652.<br />
Art. 36<br />
Cass. Civ., sez. I, 1 giugno 2012, n. 8870 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Didone - P.M. Velardi - L.G. c. Fallimento Baby Fantasy<br />
S.a.s. di G.G.<br />
1. Il decreto col quale il trib<strong>un</strong>ale fallimentare provvede,<br />
ai sensi dell’art. 36 l.fall., sul reclamo avverso il decreto<br />
del giudice delegato adito contro gli atti di amministrazione<br />
del curatore (nella specie, lo scioglimento dal contratto<br />
preliminare) non ha natura decisoria, in quanto<br />
non risolve <strong>un</strong>a controversia su diritti soggettivi, rientrando<br />
viceversa tra i provvedimenti di controllo sull’esercizio<br />
del potere amministrativo del curatore. Ne consegue<br />
che esso non è impugnabile con ricorso per cassazione<br />
ai sensi dell’art. 111 Cost., potendo i terzi interessati<br />
contestare gli effetti dell’attività nelle sedi ordinarie<br />
(nella specie, innanzitutto, nella sede naturale del giudizio<br />
ex art. 2932 cod. civ. o endoconcorsuali (ex artt. 93<br />
e 103 l.fall.).<br />
Vedi Cass. 4 giugno 1994, n. 5425; Cass. 26 novembre<br />
2010, n. 24019.<br />
Art. 43<br />
Cass. Civ., sez. III, 8 giugno 2012, n. 9297 - Pres. Uccella -<br />
Est. Barreca - P.M. Velardi - Fallimento base nautica<br />
Pontina S.r.l. c. T.S.<br />
1. Il curatore fallimentare, il quale domandi in giudizio la<br />
risoluzione per inadempimento di <strong>un</strong> contratto stipulato<br />
dall’imprenditore ‘‘in bonis’’, agisce in rappresentanza<br />
del fallito, e non della massa dei creditori. Egli, pertanto,<br />
rispetto al contratto di cui chiede la risoluzione, non è<br />
terzo, e non può provare per testimoni la simulazione<br />
della quietanza di pagamento rilasciata dal fallito alla<br />
controparte contrattuale.<br />
Vedi Cass. 19 novembre 1994, n. 9835; Cass. 9 luglio<br />
2005, n. 14481; Cass. 11 aprile 1991, n. 3824.<br />
Art. 52<br />
Cass. Civ., sez. VI - 1, 6 giugno 2012, n. 9175 - Pres. Salme’<br />
- Est. Cultrera - C.A. c. Fallimento Agostini Cedis<br />
S.p.a. In liquidazione<br />
1. L’anteriorità di <strong>un</strong> credito rispetto alla dichiarazione di<br />
fallimento può essere ritenuta provata anche se la relativa<br />
fattura non sia stata debitamente registrata nelle scritture<br />
contabili, quando tale anteriorità risulti inequivocamente<br />
in altro modo.<br />
Vedi Cass. 22 novembre 2007, n. 24320.<br />
Art. 67 (in generale)<br />
Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8782 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Di Virgilio - P.M. Fimiani - Barbara S.r.l. C. Amministrazione<br />
fallimento immobiliare<br />
1. Nel giudizio promosso dal curatore fallimentare per la<br />
revocatoria di <strong>un</strong> contratto (nella specie, vendita immobiliare<br />
conclusa in periodo sospetto), la domanda riconvenzionale,<br />
diretta ad ottenere la condanna del fallimento<br />
al pagamento di <strong>un</strong> credito derivante dal medesimo<br />
contratto (nella specie, restituzione del prezzo versato) è<br />
inammissibile, per violazione degli artt. 52 e 93 l.fall., i<br />
quali sanciscono l’esclusività del rito speciale di accertamento<br />
del passivo; ne consegue che l’omessa pron<strong>un</strong>cia,<br />
in quanto relativa a domanda inammissibile, non integra<br />
<strong>un</strong> vizio della sentenza, né rileva come motivo di ricorso<br />
per cassazione, facendo difetto l’obbligo del giudice<br />
di pron<strong>un</strong>ciarsi sul merito.<br />
Vedi Cass. 10 dicembre 2004, n. 23077.<br />
368 Il Fallimento 3/2013
Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8439 - Pres. Plenteda<br />
- Est. De Chiara - P.M. Russo - Cassa di risparmio di<br />
Firenze S.p.a. C. Fallimento Dragoni Gioielli S.r.l.<br />
2. Agli effetti della cosiddetta consecuzione, ossia della<br />
considerazione <strong>un</strong>itaria della procedura di concordato<br />
preventivo, cui è succeduta quella di fallimento, che<br />
comporta, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la<br />
retrodatazione al momento dell’ammissione del debitore<br />
alla prima di esse del termine iniziale del periodo sospetto,<br />
ciò che rileva non è la legittimità di tale ammissione,<br />
ma il fatto che <strong>un</strong>’ammissione vi sia stata e <strong>un</strong>a procedura<br />
di concordato sia iniziata, perché ciò impone di considerare<br />
la successiva dichiarazione del fallimento come<br />
conseguenza del medesimo stato d’insolvenza, già a fondamento<br />
dell’ammissione al concordato preventivo; invero,<br />
il giudice investito della revocatoria, come non può<br />
sindacare la legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento,<br />
così non può rivalutare i presupposti di ammissione<br />
al precedente concordato.<br />
Vedi Cass. 6 agosto 2010, n. 18437; Cass. 22 novembre<br />
2007, n. 24330.<br />
Art. 67 (secondo comma)<br />
Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8783 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Di Virgilio - P.M. Fimiani - F.lli Costanzo S.p.a.<br />
in amministrazione straordinaria c. Castaldo S.p.a.<br />
1. La revocatoria fallimentare del pagamento di debiti<br />
del fallito ex art. 67 l.fall. è esperibile anche quando il pagamento<br />
sia stato effettuato da <strong>un</strong> terzo, purché questi<br />
abbia pagato il debito con danaro dell’imprenditore poi<br />
fallito, ovvero con danaro proprio, sempre che, dopo<br />
aver pagato, abbia esercitato azione di rivalsa prima dell’apertura<br />
del fallimento.<br />
Vedi Cass. 17 aprile 2007, n. 9143.<br />
Art. 67 (terzo comma)<br />
Cass. Civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9375 - Pres. Fioretti -<br />
Est. Cristiano - P.M. Russo - Aspra Finance S.p.a. c. Curatela<br />
del fallimento della Caterpanta S.r.l.<br />
1. L’esenzione da revocatoria fallimentare delle rimesse<br />
su conto corrente bancario ex art. 67, terzo comma, lettera<br />
b), l.fall., come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera<br />
a), del D.L. n. 35 del 2005, conv. nella legge n. 80 del<br />
2005, non si applica, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del<br />
D.L. n. 35 cit., alle azioni revocatorie proposte nell’ambito<br />
di procedure iniziate prima della data di entrata in vigore<br />
del medesimo decreto, senza che ciò contrasti col<br />
principio costituzionale di ragionevolezza, avendo il legislatore<br />
tutelato l’affidamento riposto dai creditori concorsuali<br />
nella ricostruzione del patrimonio del fallito in<br />
base alle regole vigenti al tempo della dichiarazione di<br />
fallimento, riservando il mutamento ‘‘in peius’’ delle<br />
aspettative di reintegrazione derivante dall’esercizio delle<br />
azioni revocatorie ai creditori dei fallimenti aperti successivamente<br />
all’entrata in vigore della riforma.<br />
Vedi Cass. 8 marzo 2007, n. 5346.<br />
Giurisprudenza<br />
Art. 98<br />
Cass. Civ., sez. I, 4 giugno 2012, n. 8929 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Cultrera - P.M. Fimiani - Fallimento Tracal Trasporti<br />
S.r.l. C. P.m.<br />
1. Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera,<br />
nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione<br />
di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ‘‘ius novorum’’,<br />
con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore,<br />
in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato<br />
della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato<br />
al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione<br />
del ‘‘thema disputandum’’ e non ammette l’introduzione<br />
di domande riconvenzionali della curatela, non ne<br />
comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi,<br />
la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame<br />
del giudice delegato.<br />
Vedi Cass. 22 marzo 2010, n. 6900; Cass. 25 febbraio<br />
2011, n. 4708.<br />
Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8439 - Pres. Plenteda<br />
- Est. De Chiara - P.M. Russo - Cassa di risparmio di<br />
Firenze S.p.a. C. Fallimento Dragoni Gioielli S.r.l.<br />
2. In tema di opposizione allo stato passivo fallimentare,<br />
il termine di dieci giorni per la notifica al curatore del ricorso,<br />
con il decreto di fissazione dell’udienza davanti al<br />
giudice delegato, deve considerarsi ordinatorio, dal momento<br />
che l’obbligo di notifica al curatore è stato disciplinato<br />
dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 in maniera identica<br />
a quello previsto per la notifica al fallito, restando, a tali<br />
fini, irrilevante la soppressione di quest’ultimo con il decreto<br />
correttivo del 12 settembre 2007, n. 169.<br />
Vedi Cass. 21 dicembre 2010, n. 25819; Cass. 8 febbraio<br />
2011, n. 3082; Cass. 4 dicembre 2009, n. 25494.<br />
Art. 99<br />
Cass. Civ., sez. lav., 8 giugno 2012, n. 9341 - Pres. Vidiri -<br />
Est. Berrino - P.M. Fucci - M.M. c. Fallimento n. (omissis)<br />
del Trib<strong>un</strong>ale di Rieti DUE B S.a.s DI S.G.<br />
1. L’art. 99 l.fall., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 5 del<br />
2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio<br />
di opposizione allo stato passivo in senso impugnatorio,<br />
esclude l’ammissibilità di domande nuove, non<br />
proposte nel grado precedente, e di nuovi accertamenti<br />
di fatto, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione<br />
che solleciti l’esame di questioni, di fatto o di diritto, non<br />
prospettate, ritualmente e tempestivamente, nel giudizio<br />
di opposizione.<br />
Vedi Cass. 22 marzo 2010, n. 6900.<br />
Art. 107<br />
Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 2012, n. 8434 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Bernabai - P.M. Apice - Curatela del fallimento<br />
della Ittica Mediterrania S.r.l. c. M.M.<br />
1. La sospensione dell’esecuzione forzata, accordata dall’art.<br />
4 della L. 23 febbraio 1999, n. 44 alle vittime del delitto<br />
di usura, si applica anche alle vendite forzate dispo-<br />
Il Fallimento 3/2013 369
Giurisprudenza<br />
ste nell’ambito delle procedure fallimentari, tenuto conto<br />
dei più ampi benefici ora introdotti espressamente, anche<br />
per i falliti, degli artt. 1 e 2 della legge 27 gennaio<br />
2012, n. 3 e d<strong>un</strong>que della possibilità, attribuendo valore<br />
di interpretazione autentica a tale norma, di giustificare<br />
tale estensione soggettiva, valevole anche per le procedure<br />
iniziate anteriormente a detta legge.<br />
Vedi Cass. 24 gennaio 2007, n. 1496; Cass. 28 maggio<br />
2012, n. 8432.<br />
Art. 160<br />
Cass. Civ., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373 - Pres. Plenteda<br />
- Est. Ceccherini - P.M. Apice - Agenzia delle entrate c.<br />
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è a cura dell’Avv. Dario Finardi<br />
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1. Ai fini dell’ammissibilità della proposta di concordato<br />
preventivo, l’art. 160, secondo comma, l.fall. (nel testo<br />
sostituito dall’art. 2 del D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n.<br />
80 del 2005) deve essere interpretato nel senso che<br />
l’apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione<br />
della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti<br />
neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società<br />
debitrice, non comportando né <strong>un</strong> incremento dell’attivo,<br />
sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in<br />
ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né <strong>un</strong><br />
aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento<br />
di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente<br />
dalla circostanza che tale credito sia stato<br />
onopostergato.<br />
Vedi Cass. 4 marzo 2011, n. 5315.<br />
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370 Il Fallimento 3/2013
Massimario di merito<br />
acuradiFederica Commisso e Edoardo Sta<strong>un</strong>ovo-Polacco<br />
LEGGE FALLIMENTARE<br />
Art. 18<br />
App. Torino 15 gennaio 2013 - Pres. Mazzitelli - Est. Patti<br />
- R. ed altri c. Fall. N. S.p.a.<br />
1. In tema di reclamo contro la sentenza dichiarativa di<br />
fallimento, la legittimazione attribuita dall’art. 18 l.fall. a<br />
qual<strong>un</strong>que interessato compete sia all’ex amministratore<br />
della società fallita, quale titolare di <strong>un</strong> interesse qualificato<br />
in relazione all’eventuale esperimento di azione di<br />
responsabilità ed alla configurazione di reati a suo carico<br />
dipendenti dalla dichiarazione di fallimento, sia al socio,<br />
in relazione alla tutela del valore della quota di partecipazione<br />
alla società, sia altresì al garante delle obbligazioni<br />
della società fallita.<br />
Art. 43<br />
App. Torino 31 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />
Patti - B.P.C.I. c. Fall. S & S s.r.l.<br />
1. L’art. 43, terzo comma, l.fall. introduce <strong>un</strong>’ipotesi di interruzione<br />
del giudizio operante di diritto dal momento<br />
della dichiarazione di fallimento, ma la decorrenza del<br />
termine per la riass<strong>un</strong>zione del processo ad opera di parte<br />
diversa da quella dichiarata fallita avviene non già dal<br />
momento dell’interruzione, bensì dal giorno in cui tale<br />
evento sia venuto in forma legale a conoscenza del soggetto<br />
interessato alla riass<strong>un</strong>zione, e tale forma assume<br />
certamente la com<strong>un</strong>icazione fatta dal curatore ai creditori<br />
ai sensi dell’art. 92 l.fall.<br />
Art. 67 (primo comma)<br />
Trib. Bergamo 1 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />
<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />
1. Le cessioni di credito con finalità solutoria, dirette all’estinzione<br />
di <strong>un</strong>a preesistente obbligazione pec<strong>un</strong>iaria<br />
già scaduta ed esigibile della cedente verso la cessionaria,<br />
si caratterizzano come anomale rispetto al pagamento<br />
in denaro o con titoli di credito considerati equivalenti,<br />
in quanto il relativo processo satisfattorio non è usuale<br />
alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali, e<br />
sono pertanto revocabili ai sensi dell’art. 67, primo comma<br />
n. 2, l.fall.<br />
Art. 67 (secondo comma)<br />
Trib. Novara 17 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />
<strong>un</strong>ico - Est. Gambacorta - F.D.G. S.p.a. c. P.N. S.p.a.<br />
1. Ai fini della prova della scientia decoctionis, assume<br />
rilevanza sia il risalto di cronaca che aveva avuto la crisi<br />
del debitore (in considerazione della com<strong>un</strong>anza di terri-<br />
Giurisprudenza<br />
torio tra creditore e debitore, così che il primo non poteva<br />
ignorare le notizie di stampa), sia il fatto che il creditore<br />
abbia consentito <strong>un</strong> piano di rientro ed abbia accettato<br />
di eseguire nuove forniture solo previo pagamento di<br />
parte del pregresso insoluto.<br />
Art. 67 (terzo comma)<br />
Trib. Bergamo 1 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />
<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />
1. Il concetto di ‘‘termini d’uso’’ di cui al terzo comma lettera<br />
a) dell’art. 67 l.fall. fa riferimento alle condizioni di<br />
tempo e di modo dei pagamenti e risponde all’esigenza<br />
di verificare in concreto se i pagamenti siano stati eseguiti<br />
con mezzi fisiologici, normali ed usuali tra le parti,<br />
con la conseguenza che non possono ritenersi eseguiti<br />
‘‘nei termini d’uso’’ i pagamenti effettuati con prassi patologiche<br />
e/o con forme anomale non concordate tra le<br />
parti alla stipula del rapporto negoziale e con <strong>un</strong>a tempistica<br />
difforme da quella normalmente praticata tra le<br />
stesse (nel caso di specie il pagamento era stato effettuato<br />
a mezzo di cessione di crediti).<br />
Trib. Bergamo 14 dicembre 2012 in f<strong>un</strong>zione di giudice<br />
<strong>un</strong>ico - Est. Alfani<br />
2. In tema di azione revocatoria fallimentare, sono esenti<br />
ai sensi della lettera a) del terzo comma dell’art. 67 l.fall.<br />
solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti<br />
alla vita ordinaria e corrente dell’impresa, a condizione<br />
che siano eseguiti ‘‘nei termini d’uso’’; ne restano<br />
esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie e/o<br />
estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario<br />
esercizio dell’azienda e quindi non vi rientra<br />
l’incarico conferito al consulente finanziario per la ristrutturazione<br />
dei debiti e l’attivazione di <strong>un</strong>a procedura concorsuale.<br />
3. In tema di azione revocatoria fallimentare, non trova<br />
applicazione l’esenzione di cui alla lettera g) del terzo<br />
comma dell’art. 67 l.fall. nei casi in cui l’imprenditore<br />
che aveva programmato di chiedere l’ammissione alla<br />
procedura di concordato preventivo decida poi di non<br />
presentare il ricorso ovvero quando il trib<strong>un</strong>ale dichiari<br />
inammissibile la proposta di concordato.<br />
4. I pagamenti sono esenti da revocatoria ai sensi della<br />
lettera g) del terzo comma dell’art. 67 l.fall., allorché risultino<br />
afferenti a servizi resi in f<strong>un</strong>zione dell’accesso allo<br />
strumento di soluzione della crisi d’impresa e sono tali<br />
quelli specificatamente diretti a consentire l’ammissione<br />
dell’imprenditore alla procedura, quali le prestazioni rese<br />
per la redazione della relazione del professionista e per<br />
l’assistenza alla stesura del ricorso, con esclusione di<br />
quei servizi di carattere generale rivelatisi accidentalmente<br />
utili al fine dell’accesso alla procedura (nel caso<br />
di specie si trattava di prestazioni relative all’analisi della<br />
situazione debitoria, della collaborazione nella predispo-<br />
Il Fallimento 3/2013 371
Giurisprudenza<br />
sizione di <strong>un</strong> piano economico finalizzato alla prosecuzione<br />
dell’attività, della ricerca di eventuali partner per la<br />
realizzazione di <strong>un</strong> progetto di salvataggio aziendale ed<br />
altre prestazioni correnti).<br />
Art. 146<br />
App. Torino 31 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />
Patti - Fall. A. S.r.l. c. F.E.<br />
1. In tema di azione di responsabilità, qualora la prova<br />
del nesso di causalità tra specifici comportamenti antidoverosi<br />
degli amministratori ed il danno, e la determinazione<br />
del danno stesso, siano rese impossibili dalla mancanza<br />
o dall’irregolare tenuta delle scritture contabili, è<br />
ammessa <strong>un</strong>’inversione dell’onere della prova perché in<br />
tal caso la condotta, integrante violazione di specifici obblighi<br />
di legge in capo agli amministratori, è di per se<br />
stessa idonea a tradursi in <strong>un</strong> pregiudizio per il patrimonio<br />
della società.<br />
Art. 161<br />
Trib. Napoli 4 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Di Nosse -<br />
Est. De Matteis - F. c. Massa dei creditori<br />
1. Il professionista che redige la relazione che accompagna<br />
la domanda di concordato preventivo ed al quale<br />
viene demandata l’attestazione della veridicità dei dati<br />
aziendali è tenuto ad <strong>un</strong>a verifica p<strong>un</strong>tuale ed analitica di<br />
tali dati e delle scritture contabili, con la conseguenza<br />
che non è idonea a tal fine <strong>un</strong>a relazione nella quale il<br />
professionista si sia attenuto ai dati ass<strong>un</strong>ti dal debitore<br />
e dai suoi professionisti senza averne riscontrato la corrispondenza<br />
alla realtà.<br />
Art. 169<br />
Trib. Napoli 4 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Di Nosse -<br />
Est. De Matteis - F. c. Massa dei creditori<br />
1. In caso di ammissione del debitore al concordato preventivo,<br />
la compensazione tra i suoi debiti ed i crediti da<br />
lui vantati postula, ai sensi del combinato disposto degli<br />
artt. 56 e 169 l.fall., che le contrapposte ragioni di credito<br />
siano entrambe preesistenti all’apertura della procedura<br />
concorsuale; essa, pertanto, non può operare nell’ipotesi<br />
in cui il debito del terzo nei confronti del debitore concordatario<br />
sia sorto successivamente all’apertura della<br />
procedura.<br />
Art. 173<br />
Trib. Siracusa 20 dicembre 2012 (decr.) - Pres. Milone -<br />
Est. Leuzzi - S. c. Massa dei creditori<br />
1. Nella categoria degli ‘‘altri atti di frode’’ idonei a dare<br />
luogo alla risoluzione del concordato preventivo, ai sensi<br />
dell’art. 173 l.fall., rientrano tutti quelli che valgono ad<br />
esibire ai creditori, al fine di captarne il consenso, <strong>un</strong>a<br />
surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione<br />
economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa<br />
debitrice; a tal fine è sufficiente che sia ravvisabile<br />
<strong>un</strong>a fittizia ed obiettivamente artefatta rappresentazione<br />
della realtà complessiva dell’impresa che si sostanzi in<br />
<strong>un</strong> inganno potenzialmente idoneo a ledere gli interessi<br />
dei creditori, senza che si debba indagare sull’esistenza<br />
in concreto del pregiudizio stesso.<br />
LEGGI DIVERSE<br />
Amministrazione straordinaria<br />
App. Torino 11 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est.<br />
Stalla - F. S.p.a. in a.s. c. D. ed altro<br />
1. In tema di amministrazione straordinaria ex D.Lgs.<br />
270/1999, nel periodo successivo alla dichiarazione di insolvenza<br />
si producono gli effetti del c.d. ‘‘spossessamento<br />
attenuato’’ previsti dall’art. 18 D.Lgs. n. 270/1999; ne<br />
consegue che tutti gli atti di straordinaria amministrazione<br />
devono essere autorizzati dal Giudice delegato, a pena<br />
di inefficacia, ed a tale pron<strong>un</strong>cia può accostarsi <strong>un</strong>a<br />
responsabilità risarcitoria del commissario giudiziale che<br />
abbia dato causa all’atto inefficace (nella specie, la Corte<br />
d’Appello ha dichiarato inefficace <strong>un</strong> pagamento privo di<br />
autorizzazione eseguito dalla società in procedura in favore<br />
del liquidatore sociale ed ha condannato il liquidatore<br />
stesso ed il commissario giudiziale, in solido fra loro,<br />
al pagamento all’amministrazione straordinaria del<br />
relativo importo).<br />
App. Torino 11 dicembre 2012 - Pres. Mazzitelli - Est. Silva<br />
- F. S.p.a. in a.s. c. T. ed altro<br />
2. In tema di amministrazione straordinaria ex D.Lgs.<br />
270/1999, nell’ipotesi in cui il giudice delegato abbia disposto<br />
la nomina di <strong>un</strong> coadiutore del commissario giudiziale<br />
prevedendone l’opera a spese e sotto la diretta<br />
responsabilità del commissario stesso, si deve ritenere<br />
che l’obbligazione di pagamento del compenso del coadiutore<br />
gravi direttamente sul commissario giudiziale e<br />
non già che al pagamento debba provvedere la procedura,<br />
salvo doversene tenere conto - in detrazione - nella<br />
determinazione finale del compenso del commissario.<br />
372 Il Fallimento 3/2013
Le azioni revocatorie<br />
nel fallimento<br />
acuradiPaolo Bosticco<br />
L’autore propone <strong>un</strong> itinerario dei principali orientamenti della giurisprudenza in tema azioni revocatorie promosse<br />
nell’ambito di procedure concorsuali, con <strong>un</strong>a particolare attenzione alle modifiche apportate dalla riforma<br />
e ai principi ereditati dalla normativa originaria, nonché alle principali problematiche esaminate dai<br />
Giudici in relazione a questioni specifiche.<br />
Premessa storica<br />
F<strong>un</strong>zione<br />
della revocatoria,<br />
presupposti com<strong>un</strong>i<br />
e suoi effetti<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
Un itinerario in materia fallimentare non può non tener conto dell’impatto della riforma concorsuale,<br />
che si è ispirata a principi che talora non coincidono affatto con quelli del legislatore<br />
del ’42; a maggior ragione ciò vale per le azioni revocatorie, laddove già con il D.L. 35/2005 sono<br />
state introdotte nuove disposizioni che hanno fortemente innovato l’istituto che, non a torto,<br />
si ritiene sia uscito ‘‘depotenziato’’ dalla riforma, sì da divenire quasi residuale.<br />
Proprio sulla base di tale mutamento radicale, la giurisprudenza ha sempre respinto il tentativo<br />
di applicare le nuove norme alle procedure avviate prima dell’intervento riformatore: come precisa<br />
Cass., sez. I, 8 giugno 2012, n. 9375, inCassazione.net, non è solo la disciplina transitoria<br />
(che com<strong>un</strong>que espressamente esclude l’applicazione alle procedure pendenti - cfr. Cass.,<br />
sez. I, 16 settembre 2011, n. 18965, in Mass.Giur.it.; Cass., sez. I, 7 marzo 2008, n. 6192, in<br />
Foro It., 2009, I, 395) ad escludere l’applicabilità retroattiva, ma proprio la radicale ‘‘novità’’ della<br />
disciplina riformata (Cass., sez. I, 7 ottobre 2010, n. 20834, in Foro It., 2010, I, 3315), che<br />
comporterebbe <strong>un</strong>a indebita frustrazione dei diritti dei creditori al soddisfo concorsuale sorti<br />
nella vigenza della disciplina vigente al momento dell’apertura del concorso (e per tale ragione<br />
la differenza di trattamento viene ritenuta del tutto legittima da Cass., sez. I, 5 marzo 2008, n.<br />
5962, inGiust.Civ., 2008, I, 2148).<br />
Di fatto, com<strong>un</strong>que, l’evoluzione giurisprudenziale dimostra che anche alle ‘‘nuove’’ revocatorie<br />
possono essere applicati tuttora molti dei principi elaborati in relazione a fattispecie disciplinate<br />
dalla normativa previgente.<br />
Anche dopo la riforma, la revocatoria è <strong>un</strong>’azione concorsuale - e come tale soggetta alla competenza<br />
f<strong>un</strong>zionale del foro fallimentare ex art. 24 l.fall. (Cass., sez. I, 1 aprile 2011, n. 7579, in<br />
questa Rivista, 2012, 125, che precisa, peraltro, che la competenza riguarda il foro, non anche<br />
la sezione specializzata all’interno dello stesso Trib<strong>un</strong>ale) - volta a garantire la par condicio creditorum<br />
e quindi non ha effetto invalidante degli atti, i quali sono solo inefficaci rispetto alla<br />
massa dei creditori, fondando <strong>un</strong> diritto esecutivo sul bene oggetto dell’atto revocato (Cass.,<br />
sez. <strong>un</strong>., 23 aprile 2009, n. 9660, inGiur.It., 2010, 79; Trib. Napoli, 2 settembre 2009, in questa<br />
Rivista, 2010, 1201), tant’è che - se non si possa recuperare all’attivo <strong>un</strong> bene trasferito<br />
con atto inefficace - la domanda di revocatoria contiene in sé quella di condanna per l’equivalente<br />
(Cass., sez. I, 17 giugno 2009, n. 14098, in Foro It. Mass., 2009, 938).<br />
L’azione sanziona la violazione della par condicio, ma la procedura non è tenuta a provare <strong>un</strong><br />
danno specifico, essendo pres<strong>un</strong>to l’eventus damni (Cass., sez. I, 8 marzo 2010, n. 5505, in<br />
questa Rivista, 2010, 930); si è, peraltro, escluso l’interesse della curatela a far dichiarare l’inefficacia<br />
dell’ipoteca se il creditore non abbia invocato la prelazione (Cass., sez. I, 27 febbraio<br />
2009, n. 4831, in Foro It. Mass., 2009, 289).<br />
L’azione revocatoria ha natura costitutiva e quindi vengono riconosciuti al fallimento gli interessi<br />
solo dalla domanda giudiziale (Cass., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27084, in questa Rivista,<br />
2012, 1001), con esclusione della rivalutazione (salvo che il fallimento dimostri il maggior<br />
danno: Trib. Padova, 11 maggio 2012, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. <strong>un</strong>., 18 marzo 2010, n.<br />
6538, in Giur. Comm., 2011, II, 561); quando, peraltro, l’azione abbia ad oggetto l’inefficacia di<br />
<strong>un</strong> atto traslativo di <strong>un</strong> diritto non più apprensibile al fallimento, si ritiene che l’onere restitutorio<br />
possa essere gravato di rivalutazione monetaria per risarcire il deprezzamento (Cass., sez. I,<br />
16 giugno 2011, n. 13244, in questa Rivista, 2012, 353), anche con applicazione dell’indice<br />
Istat (Trib. Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 624).<br />
Nonostante la natura costitutiva, che in genere induceva ad escludere l’esecutorietà della sentenza<br />
di prime cure (principio esteso alla revocatoria, tra le altre, da Trib. C<strong>un</strong>eo, 3 febbraio<br />
Il Fallimento 3/2013 373
Itinerari della giurisprudenza<br />
Segue:ilimitigenerali<br />
alla ammissibilità<br />
dell’azione revocatoria<br />
fallimentare<br />
2011, in questa Rivista, 2011, 462), per la revocatoria si ritiene esecutiva anche la condanna restitutoria<br />
emessa in primo grado (Cass., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737, inCorr.Giur., 2012,<br />
60; App. Milano, 12 maggio 2011, in sito Ilcaso.it). Poiché il diritto riveniente dalla revocatoria<br />
sorge per effetto del fallimento, l’accipiens revocato non può chiedere di compensare l’obbligo<br />
restitutorio con <strong>un</strong> proprio credito concorsuale (Cass., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518, in<br />
questa Rivista, 2009, 1167).<br />
Pur se qualche sentenza sostiene che la lesione della par condicio comporti l’illiceità del negozio<br />
revocando in quanto stipulato in frode (App. Torino, 21 dicembre 2011, in questa Rivista,<br />
2012, 476), si tende generalmente a ritenere che l’atto revocato sia in origine lecito (Cass.,<br />
sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736, in questa Rivista, 2012, 473); ne costituirebbe conferma la<br />
facoltà concessa dall’art. 70 l.fall. alla parte in bonis che ha subito la revocatoria di insinuare il<br />
proprio credito al passivo del fallimento per partecipare con gli altri creditori alle ripartizioni.<br />
Proprio in f<strong>un</strong>zione delle finalità e degli effetti dell’istituto revocatorio, la giurisprudenza ha individuato<br />
anche i limiti all’esperibilità dell’azione. In particolare, di recente è stata negata l’ammissibilità<br />
dell’azione a carico di altra procedura concorsuale se con essa si pretenda di ‘‘esecutare’’<br />
<strong>un</strong> bene ai danni del fallimento (Cass., sez. I, 12 maggio 2011, n. 10486, in questa Rivista,<br />
2011, 1477).<br />
Tale limitazione, peraltro, non riguarda le azioni volte a revocare atti compiuti nel corso della<br />
procedura e non vale ad impedire che venga proseguita (per riass<strong>un</strong>zione) nei confronti del fallimento<br />
l’azione revocatoria già avviata prima della procedura; in tal caso, poi, permane la competenza<br />
a norma dell’art. 24 l.fall. del foro del fallimento attore, salvo che le statuizioni restitutorie<br />
devono essere fatte valere nel fallimento dell’accipiens nella forma dell’insinuazione al<br />
passivo (Cass., sez. VI, 8 marzo 2012, n. 3672, in questa Rivista, 2013, 122). Inoltre, l’azione<br />
revocatoria ordinaria non è preclusa se il soggetto fallito sia solo il terzo beneficiario dell’atto di<br />
cui si chiede l’inefficacia (Cass., sez. I., 2 dicembre 2011, n. 25850, in questa Rivista, 2012,<br />
1253).<br />
Da segnalare anche l’esistenza di ulteriori limiti alla proposizione dell’azione revocatoria connessi<br />
con la natura privilegiata del debito pagato dal fallito; in tal caso, peraltro, non si è in presenza<br />
di <strong>un</strong>a limitazione assoluta ché, al contrario, l’eventus damni insito ex lege nella revocatoria<br />
e correlato alla sua f<strong>un</strong>zione distributiva e non indennitaria (Trib. Piacenza, 31 marzo<br />
2011, inedita); non è di per sé esclusa, quindi, l’esperibilità dell’azione per i crediti privilegiati<br />
(Cass., sez. I. 16 settembre 2011, n. 18965, in sito Plurisonline.it) e neppure se si tratti del soddisfo<br />
in executivis di <strong>un</strong> credito ipotecario (Trib. Napoli, 18 marzo 2012, in sito Ilcaso.it); a fronte<br />
della corrente secondo la quale, quindi, la revocabilità è esclusa solo se l’accipiens deduca e<br />
dimostri che la procedura non ha interesse alla revocatoria, in quanto il credito del soggetto<br />
revocando ammesso al passivo al privilegio verrebbe poi interamente soddisfatto in sede di riparto<br />
(Trib. Roma, 22 marzo 2006, in questa Rivista, 2006, 851; Trib. Milano, 15 novembre<br />
2005, ivi, 2006, 973), fa fronte la corrente ancor più rigida espressa da Trib. Monza, 5 gennaio<br />
2011, in questa Rivista, 2011, 1368 e Cass., sez. I, 17 dicembre 2010, n. 25571, in questa Rivista,<br />
2011, 877, secondo la quale la valutazione sull’interesse della procedura non può essere<br />
attuata in sede di revocatoria, laddove la possibilità di soddisfo del creditore privilegiato deve<br />
essere valutata in sede di riparto, tenuto conto anche del possibile sopravvenire di creditori tardivi.<br />
Ad <strong>un</strong>a preclusione processuale, invece, deve essere ricondotta la sanzione di inammissibilità<br />
cui è pervenuta Cass., sez. <strong>un</strong>., 14 luglio 2010, n. 16508, in questa Rivista, 2010, 1380 per la<br />
revocatoria che riguardi <strong>un</strong> atto i cui effetti compensativi siano coperti dal giudicato endo-concorsuale,<br />
in quanto dedotti in <strong>un</strong>a domanda di ammissione al passivo cui il curatore non si sia<br />
opposto.<br />
Quanto alla natura dei crediti revocandi, la giurisprudenza sembra invece ormai orientata a negare<br />
rilevanza alla qualifica di legal-monopolista (l’orientamento contrario, rappresentato da<br />
Cass., 11 novembre 1998, n. 11350, in Giur.It., 1999, 87 è stato sovvertito da Cass., 23 gennaio<br />
2004, n. 1232, inGiur.Comm., 2004, II, 501, cui si <strong>un</strong>iformano le recenti App. Milano -<br />
Sez. IV civ., 30 maggio 2012, n. 1928, inedita; App. Palermo, 3 febbraio 2009, in sito Plurisonline.it;<br />
Trib. Busto Arsizio, 6 febbraio 2012, n. 93, inedita; Trib. Bari, 21 ottobre 2010, in questa<br />
Rivista, 2011, 248), che com<strong>un</strong>que non viene riconosciuta se non in forza di espressa disposizione,<br />
tant’è che è stata esclusa in relazione all’eccepita esenzione da revocatoria invocata dal<br />
titolare di <strong>un</strong>a farmacia (Cass., sez. I, 9 luglio 2008, n. 18833, in questa Rivista, 2009, 365).<br />
Per opposte ragioni, viene invece esclusa a norma dell’art. 89 D.P.R. 60271973 l’azione revocatoria<br />
dei pagamenti di imposte scadute, in relazione alle finalità pubblicistiche dell’attività<br />
dell’Amministrazione Finanziaria (Cass., sez. I, 5 marzo 2012, n. 3398, in sito Ilcaso.it), esenzione<br />
che, tuttavia, non si estende al concessionario che incassi importi che contengono <strong>un</strong>a<br />
componente tributaria (Trib. Busto Arsizio, 6 febbraio 2012, inedita).<br />
Alle cause legali di esenzione da revocatoria può essere ricondotta indirettamente la previsione<br />
dell’art. 13 del Reg. UE n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, in forza della quale, se il<br />
374 Il Fallimento 3/2013
Le tipologie<br />
di revocatoria previste<br />
nel fallimento:<br />
la revocatoria ordinaria<br />
Revocabilità di atti<br />
a titolo gratuito<br />
e dei pagamenti<br />
di debiti non scaduti<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
contratto tra l’accipiens ed il fallito sia assoggettato a legge di altro Paese com<strong>un</strong>itario - diverso<br />
da quello in cui è stata aperta la procedura concorsuale -, la revocatoria non è ammessa se in<br />
quell’ordinamento l’atto non sarebbe impugnabile (Trib. Roma, 2 febbraio 2011, in sito Ilcaso.it);<br />
in passato si era escluso che l’esenzione valesse per i pagamenti in quanto atti solutori<br />
che prescindono dal contratto di cui il curatore non è parte (Trib. Busto Arsizio, 27 giugno<br />
2008, in questa Rivista, 2009, 476); più di recente, peraltro, prevale la corrente che estende l’esenzione<br />
agli atti esecutivi di contratto disciplinato dalla legge estera (Trib. Roma, 7 marzo<br />
2012, in sito Ilfallimentarista.it); la prova della pattuizione sulla legge applicabile e del fatto che<br />
nell’ordinamento richiamato non sia possibile contestare gli atti revocandi spetta al convenuto,<br />
ma di recente si è esteso l’ambito applicativo dell’art. 13 Reg. UE, ritenendo che non sia sufficiente<br />
ad escludere l’esenzione il rilievo che la legge estera preveda in astratto azioni per impugnare<br />
l’atto del fallito, occorrendo viceversa che la domanda possa essere in concreto accolta<br />
dal giudice in applicazione delle norme straniere (Trib. Busto Arsizio, 10 luglio 2012, in sito Ilfallimentarista.it).<br />
Nella sezione III dedicata alle revocatorie convivono più tipologie di azione, alc<strong>un</strong>e delle quali<br />
non sono tipicamente fallimentari.<br />
Solo alle revocatorie che trovano titolo nella procedura concorsuale si attaglia la statuizione di<br />
Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9386, in questa Rivista, 2012, 233 che esclude la proseguibilità<br />
delle azioni <strong>un</strong>a volta chiuso il fallimento.<br />
L’art. 66 l.fall. disciplina il trasferimento al curatore dell’azione di revocatoria ordinaria, che<br />
può essere esercitata anche da <strong>un</strong> creditore verso il debitore in bonis; anzi, l’azione avviata dal<br />
creditore prima del fallimento può essere proseguita dal curatore, il quale subentra nella medesima<br />
posizione processuale del creditore istante (Cass., sez. I, 28 maggio 2009, n. 12513, in<br />
Foro It. Mass., 2009, 719); è discusso se l’azione del creditore possa o meno proseguire<br />
(Cass., sez. <strong>un</strong>., 17 dicembre 2008, n. 29421, in questa Rivista, 2009, 540 propende per l’improcedibilità,<br />
laddove in passato Cass., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11763, in Foro It.Mass.,<br />
2006, 1246 riteneva compatibili le due legittimazioni); pare certo che, se il curatore non intervenga<br />
o non avvii separata azione, il creditore possa proseguire l’iniziativa pendente (Cass.,<br />
sez. <strong>un</strong>., 17 dicembre 2008, n. 29420, in questa Rivista, 2009, 537). Se il curatore promuove<br />
l’azione, essa rientra nella competenza fallimentare (Trib. Treviso, 2 luglio 2007, Corr.Giur.,<br />
2008, 849).<br />
L’accoglimento dell’azione postula l’assolvimento degli stessi oneri probatori che incombono<br />
al creditore privato (Cass., sez. II, 31 ottobre 2008, n. 26331, in questa Rivista, 2009,<br />
619); pertanto, oltre a dimostrare l’esistenza di crediti ammessi al passivo nei confronti del<br />
fallito, occorre dedurre la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto all’atto pregiudizievole<br />
ed il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto<br />
(inteso non come insufficienza, ma come aggravamento del rischio di non poter esecutare il<br />
credito: Cass., sez. I, 27 gennaio 2006, n. 1759, in Obbl.e contr., 2007, 27); sotto il profilo<br />
soggettivo, è necessaria la dimostrazione della mala fede del beneficiario di atto a titolo oneroso;<br />
nel caso di atto a titolo gratuito è sufficiente la consapevolezza in capo al debitore della<br />
valenza depauperativa dell’atto revocando (Cass., sez. I, 18 maggio 2005, n. 10430, in Giur.It.,<br />
2005, 2291).<br />
Si è anche precisato che la revocatoria ordinaria proposta nei confronti del debitore che poi fallisca<br />
non può essere riass<strong>un</strong>ta a carico del fallimento in relazione alla sua f<strong>un</strong>zione lato sensu<br />
esecutiva; può essere, invece, riass<strong>un</strong>ta la causa di revocatoria ordinaria nella quale la domanda<br />
sia rivolta verso <strong>un</strong> terzo (Cass., sez. III, 19 aprile 2011, n. 8984, in questa Rivista, 2011,<br />
1366).<br />
Alla revocatoria ordinaria va ricondotta la domanda che la curatela svolge nei confronti del terzo<br />
sub-acquirente del soggetto al quale il fallimento contesti la revocabilità di <strong>un</strong> atto ai sensi dell’art.<br />
67 l.fall., contestazione che non può estendersi al terzo (Cass., sez. III, 6 agosto 2010, n.<br />
18370, in questa Rivista, 2010, 1140; Trib. Monza, 25 gennaio 2011, in sito Ilcaso.it); in tal caso,<br />
la mala fede del terzo consiste nella consapevolezza della revocabilità dell’atto tra il fallito<br />
ed il soggetto che ha poi trasferito il diritto al terzo (Cass., sez. I, 23 dicembre 2009, n. 27230,<br />
in questa Rivista, 2010, 870).<br />
Gli artt. 64 e 65 l.fall., seppure senza utilizzare l’espressione normativa, disciplinano altre due<br />
tipologie di revocatoria caratterizzate, peraltro, da <strong>un</strong> diverso regime dei presupposti e probatorio;<br />
in particolare, l’inefficacia degli atti gratuiti prevista dalla prima delle due norme citate<br />
viene dichiarata con sentenza di tipo ricognitivo, a prescindere dalla verifica dei requisiti oggettivo<br />
e soggettivo previsti all’art. 67 l.fall. (Trib. Monza, 16 settembre 2011, in sito Ilcaso.it che<br />
riprende <strong>un</strong> principio già espresso da Cass., sez. I, 1 aprile 2005, n. 6918, in questa Rivista,<br />
2006, 150), tant’è che, come precisa Cass., sez. I, 30 settembre 2011, n. 20067, in questa Rivista,<br />
2012, 736, l’azione non è soggetta a prescrizione; la distinzione comporta che la domanda<br />
proposta ai sensi dell’art. 64 l.fall. debba essere proposta in via autonoma, non potendo es-<br />
Il Fallimento 3/2013 375
Itinerari della giurisprudenza<br />
Le fattispecie del primo<br />
comma dell’art. 67:<br />
a) atti caratterizzati<br />
da sproporzione<br />
sere compresa nell’azione ex art. 67 l.fall. (Cass., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5264, in questa Rivista,<br />
2007, 968).<br />
La diversa disciplina non esclude che la revocatoria di cui all’art. 64 l.fall. costituisca azione fallimentare<br />
a tutti gli effetti, di modo che l’inefficacia può essere dedotta dal curatore, anche in<br />
via di eccezione, per paralizzare l’ammissione di <strong>un</strong> credito, nonostante sia stata respinta con<br />
provvedimento avente effetto di giudicato <strong>un</strong>a domanda di nullità dell’atto gratuito promossa<br />
da <strong>un</strong> creditore (Cass., sez. I, 17 maggio 2012, n. 7774, in questa Rivista, 2012, 785).<br />
La revocabilità a norma dell’art. 64 l.fall. postula che l’atto sia gratuito, tant’è che Trib. Brescia,<br />
14 gennaio 2012, in sito Ilcaso.it ne esclude l’applicazione se sia stato versato <strong>un</strong> prezzo irrisorio,<br />
con la precisazione, peraltro, che la gratuità non implica che si accerti <strong>un</strong>o spirito di liberalità<br />
(Cass., sez. I, 12 marzo 2008, n. 6739, inForo It., 2009, II, 395), laddove la stessa va valutata<br />
in relazione alla previsione di <strong>un</strong> corrispettivo; in tal senso, è ritenuta revocabile, in quanto<br />
atto gratuito (Cass., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 966, in Impr., 2007, 1394), la costituzione di<br />
beni in fondo patrimoniale, non essendo rilevante che con essa si vogliano assolvere i doveri<br />
morali familiari (Cass., sez. I, 8 settembre 2004, n. 18065, in Giust.Civ., 2005, I, 997).<br />
La valutazione sulla gratuità assume profili peculiari con riguardo alla prestazione di garanzie:<br />
Cass., sez. I, 4 febbraio 2010, n. 2610, in questa Rivista, 2010, 994, richiamando per <strong>un</strong>a fattispecie<br />
ante riforma il disposto delle norme riformate dal D.L. 35/2005, ribadisce l’applicabilità<br />
anche nel sistema revocatorio della pres<strong>un</strong>zione di onerosità delle garanzie concesse per crediti<br />
contestualmente contratti (stesso principio era espresso ante riforma da Cass., sez. I, 15 dicembre<br />
2006, n. 26933, in Foro It., 2007, I, 1137); viceversa, è assoggettata alla disciplina dell’art.<br />
64 l.fall. la garanzia per debiti preesistenti, se non si dimostri il vantaggio economico tratto<br />
dal debitore per effetto della prestazione della garanzia (Cass., sez. I, 21 maggio 2010, n.<br />
12507, in questa Rivista, 2010, 1331); la situazione assume peculiare rilievo nei rapporti intragruppo:<br />
Trib. Genova, 27 maggio 2010, in Foro It., 2010, I, 2460 ritiene inefficace perché gratuita<br />
la garanzia se non vi sia <strong>un</strong> concreto interesse della società del gruppo che la presta, interesse<br />
che può ravvisarsi anche nel fatto che questa f<strong>un</strong>ga da ‘‘cassa di gruppo’’.<br />
Si ritiene gratuito sino a prova contraria il pagamento del debito altrui effettuato dal fallito, se<br />
non sia provato <strong>un</strong> interesse diretto specifico (Cass., sez. I, 28 luglio 2010, n. 17683, in questa<br />
Rivista, 2011, 280 e Cass., sez. <strong>un</strong>., 18 marzo 2010, n. 6538, in questa Rivista, 2010, 545);<br />
di contro App. Napoli, 17 marzo 2008, in sito Plurisonline.it non ha ritenuto gratuito l’acquisto<br />
di <strong>un</strong> credito se finalizzato ad eccepirlo in compensazione ai fini di <strong>un</strong>a operazione sul capitale.<br />
Quanto agli effetti della revocatoria, la stessa inficia l’atto dispositivo, ma Trib. Milano, 31 maggio<br />
2006, in questa Rivista, 2007, 65 va oltre, ritenendo che l’acquisto di <strong>un</strong> bene (nella fattispecie<br />
<strong>un</strong>a quota societaria) con danaro altrui costituisca donazione revocabile da parte del terzo<br />
fallito, di modo che, esperita l’azione ex art. 64 l. fall., il curatore può apprendere il bene acquistato<br />
con danaro del fallito. Da segnalare la pron<strong>un</strong>zia del Trib. Nola, 18 ottobre 2011, in sito<br />
Ilcaso.it, che ha ritenuto tutelabile con il sequestro giudiziario la pretesa restitutoria di <strong>un</strong>’azienda<br />
trasferita con atto gratuito revocabile.<br />
Anche l’art. 65 l.fall. disciplina <strong>un</strong>’ipotesi di inefficacia collegata ad <strong>un</strong> mero accertamento ricognitivo<br />
che concerne, in questo caso, il pagamento anticipato del debitore rispetto alla scadenza<br />
dell’obbligazione, sia essa convenzionale o legale (Cass., sez. I, 29 luglio 2009, n.<br />
17552, in questa Rivista, 2010, 621), anche se in passato si è ritenuto che il curatore debba altresì<br />
dimostrare il pregiudizio recato alla massa (Trib. Verbania, 13 agosto 1999, in questa Rivista,<br />
2000, 1047).<br />
Ancora in passato, si è ravvisato <strong>un</strong> pagamento anticipato inefficace nella restituzione ai soci -<br />
per la quale non era fissato <strong>un</strong> termine - di finanziamenti effettuati a favore della società (Trib.<br />
Napoli, 8 gennaio 2004, in Giur.Comm., 2005, II, 72).<br />
La casistica più frequente di azione revocatoria riguarda com<strong>un</strong>que le ipotesi disciplinate dall’art.<br />
67 l.fall.; il primo comma di quella norma sancisce anzitutto l’inefficacia degli atti ‘‘sproporzionati’’,<br />
in cui il beneficio conseguito dall’impresa fallita sia inferiore all’onere corrispettivo<br />
ass<strong>un</strong>to; la riforma ha fissato la misura pres<strong>un</strong>tiva della sproporzione (prima determinata dal<br />
Giudice con valutazione di merito insindacabile in Cassazione: Cass., sez. I, 18 novembre<br />
2010, n. 23356, in questa Rivista, 2011, 164), stabilendo che si ritengono revocabili gli atti in<br />
cui il valore della prestazione del fallito superi di <strong>un</strong> quarto quella da questi ricevuta.<br />
La sproporzione deve essere peraltro valutata in relazione alle prestazioni dedotte nell’atto revocando,<br />
prescindendo da eventuali situazioni preesistenti (Trib. Bari, 16 febbraio 2011, in sito<br />
Ilcaso.it) ed operando la valutazione con riguardo al momento della stipula e non a quello di<br />
proposizione dell’azione (Cass., 10 ottobre 2003, n. 15142, in Imp., 2004, 321).<br />
Evidentemente, tra gli atti revocabili per sproporzione rientrano anche le rin<strong>un</strong>zie ai diritti, purché<br />
abbiano <strong>un</strong> contenuto economico (in tal senso, Trib. Salerno, 9 marzo 2010, in questa Rivista,<br />
2010, 839 esclude la revocabilità della rin<strong>un</strong>cia o del mancato esercizio del diritto di opzione<br />
su quote, se non sia provata l’alienabilità del diritto).<br />
Come già detto, per estendere gli effetti della revocatoria fallimentare su atti sproporzionati ad<br />
376 Il Fallimento 3/2013
) i pagamenti<br />
‘‘anomali’’<br />
c) la revocatoria<br />
delle garanzie<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
<strong>un</strong>a successiva alienazione del diritto revocando ad <strong>un</strong> terzo, la curatela deve esercitare nei<br />
confronti di costui <strong>un</strong>’azione che presuppone l’accoglimento dell’azione fallimentare, ma che si<br />
configura a tutti gli effetti come <strong>un</strong>a revocatoria ordinaria (Cass., sez. I, 23 dicembre 2009, n.<br />
27230, in questa Rivista, 2010, 870; Cass., sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28988, ivi, 2009, 934).<br />
La seconda ipotesi di revoca dettata dal primo comma dell’art. 67 l.fall. riguarda il pagamento<br />
non effettuato con mezzi normali; anche se la norma fa riferimento al pagamento dei debiti<br />
scaduti, a maggior ragione la revocabilità sussiste per i pagamenti di debiti non scaduti (Trib.<br />
Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625) che non ricadano nella previsione dell’art.<br />
65 l.fall.<br />
In genere, si ritiene che si sottraggano alla disposizione in esame solo i pagamenti con mezzi<br />
com<strong>un</strong>i nella prassi commerciale, come assegni (anche se post-datati: Cass., sez. VI, 11 febbraio<br />
2011, n. 3471, in Foro It. Mass., 2011, 152), vaglia e bonifici e che siano viceversa revocabili<br />
come anormali tutte le fattispecie finalizzate - anche mediante negozi collegati - all’estinzione<br />
di passività pregresse (Cass., sez. I, 9 giugno 2011, n. 12644, in questa Rivista, 2012,<br />
233), come ad esempio l’accollo con liberazione dell’accollante da <strong>un</strong> proprio debito per effetto<br />
del pagamento a beneficio del creditor creditoris (Cass., sez. I, 4 maggio 2012, n. 6795, in sito<br />
Plurisonline.it) e le delegazioni di pagamento con finalità solutorie (Cass., sez. I, 15 luglio<br />
2011, n. 15691, in questa Rivista, 2012, 621); non rientra, invece, tra i pagamenti anomali il<br />
versamento che il terzo esecutato per <strong>un</strong> debito verso il fallito esegua iussu judicis (App. Roma,<br />
4 aprile 2011).<br />
Una delle tipiche modalità di adempimento anomalo è la datio in solutum, ovvero la consegna<br />
di beni in luogo del danaro (Cass., sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3581, inForo It. Mass.,<br />
2011, 154; Cass., sez. I, 18 febbraio 2009, n. 3905, in questa Rivista, 2009, 1238); la fattispecie<br />
si verifica anche se la modalità alternativa di adempimento sia stata pattuita ab initio, quando<br />
essa non risponda ad <strong>un</strong> interesse delle parti, bensì precostituisca <strong>un</strong>a via di elusione del<br />
principio del concorso (Trib. Milano, 7 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625).<br />
Viene considerata mezzo anormale di pagamento anche la cessione di credito che avvenga<br />
per consentire il rientro da <strong>un</strong>o scaduto (Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9388, in questa Rivista,<br />
2012, 233; Cass., sez. I, 29 luglio 2009, n. 17683, ivi, 2010, 621); non è, invece, revocabile<br />
a norma dell’art. 67 primo comma l.fall. la cessione che abbia f<strong>un</strong>zione finanziaria, ovvero<br />
quando sia attuata per garantire <strong>un</strong> nuovo credito contestualmente creato (Cass., sez. I, 10 giugno<br />
2011, n. 12736, in questa Rivista, 2012, 473), escludendosi quindi la revocabilità per anomalia<br />
dei contratti bancari basati su mandato all’incasso o anticipazione su crediti (Trib. Lecce,<br />
6 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 236).<br />
Anche la costituzione di garanzie viene considerata revocabile come ‘‘anomala’’ se in tal modo<br />
il creditore acquisisca <strong>un</strong>a prelazione senza <strong>un</strong>a controprestazione, ovvero senza concedere<br />
credito, bensì garantendosi <strong>un</strong>a preferenza su debiti preesistenti (Cass., sez. I, 7 gennaio<br />
2004, n. 12, inDir.Fall., 2005, II, 411).<br />
Per l’effetto, non saranno revocabili, ad esempio, l’ipoteca fondiaria costituita per debiti nuovi<br />
contestualmente creati, che si consolida a mente dell’art. 39 del T.U.B. (Cass., sez. VI, 11 febbraio<br />
2011, n. 3468, in Foro It., 2011, I, 3105), salvo che il curatore impugni anche l’atto che la<br />
costituisce (Cass., sez. I, 6 novembre 2006, n. 23669, in questa Rivista, 2007, 651); viceversa,<br />
l’atto di mutuo che istituisce <strong>un</strong>a garanzia ipotecaria può essere revocato, mancando anche la<br />
sua causa tipica, laddove stipulato esclusivamente al fine di coprire debiti scaduti (App. Milano,<br />
17 ottobre 2006, in Giur.It., 2007, 2246).<br />
Tra i principi ereditati dalla disciplina previgente vi è l’esclusione della revocabilità del pegno<br />
‘‘rotativo’’, ovvero della garanzia che preveda la sostituzione periodica dei beni che ne formano<br />
oggetto, se l’atto originario che la costituisce sia compiuto al di fuori del periodo sospetto (Trib.<br />
Novara, 24 gennaio 2012, in sito Ilcaso.it; in relazione alla normativa ante riforma, il principio è<br />
sancito da Cass., sez. I, 18 febbraio 2008, n. 2456, in questa Rivista, 2008, 757).<br />
L’intervento più rilevante della Suprema Corte in materia è dato dal sovvertimento della giurisprudenza<br />
prevalente in tema di revocabilità dell’ipoteca fiscale: sul presupposto che si tratti di<br />
<strong>un</strong> tertium genus di ipoteca, né giudiziale né volontaria e rilevato che la revocabilità è espressamente<br />
prevista solo per le prime due tipologie, Cass., sez. I, 18 marzo 2012, n. 3232, in questa<br />
Rivista, 2012, 644 e le sentenze gemelle Cass., sez. I, 5 marzo 2012, nn. 3397, 3398 e 3399,<br />
tutte in sito Plurisonline.it e nuovamente Cass., sez. I, 18 maggio 2012, n. 7911, inNotariato,<br />
2012, 443 hanno escluso l’applicabilità dell’art. 67 l.fall. all’ipoteca iscritta dall’Erario durante il<br />
periodo sospetto. La Suprema Corte, in tal senso, ha superato la questione circa la natura di<br />
ipoteca legale (sostenuta da Trib. Udine, 30 settembre 2011, in questa Rivista, 2012, 357 per<br />
escluderne la revocabilità, ma negata anche dalla Cassazione e dalla giurisprudenza che ne ammetteva<br />
la revoca: v. Trib. Milano, 2 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 625; Trib. Rimini,<br />
18 luglio 2011, in sito Ilcaso.it; Trib. Lodi, 29 aprile 2011, ivi) della prelazione fiscale.<br />
Il Fallimento 3/2013 377
Itinerari della giurisprudenza<br />
Il presupposto<br />
soggettivo<br />
della revocatoria<br />
ai sensi dell’art. 67,<br />
primo comma, l.fall.<br />
e l’onere della prova<br />
La revocatoria<br />
degli atti previsti<br />
dal secondo comma<br />
dell’art. 67 l.fall.:<br />
a) i pagamenti<br />
Pare corretto precisare che la revocatoria fallimentare postula sempre che l’atto sia stato compiuto<br />
con percezione dell’insolvenza del soggetto dipoi fallito salvo che, per le ipotesi previste<br />
dal primo comma dell’art. 67 l.fall., tale conoscenza è pres<strong>un</strong>ta in ragione della peculiarità di atti<br />
che ipso iure fondano <strong>un</strong>a pres<strong>un</strong>zione di scientia (e per tale considerazione Cass., sez. I, 18<br />
aprile 2011, n. 8826, inForo It. Mass., 2011, 345 respinge la questione di costituzionalità posta<br />
sulla legittimità della pres<strong>un</strong>zione). Pertanto, quando l’accipiens sia beneficiario di <strong>un</strong> atto<br />
‘‘anomalo’’ (in senso atecnico), per vincere la pres<strong>un</strong>zione di scientia, questi deve provare l’inscientia<br />
decoctionis, ovvero di non aver saputo che il solvens era insolvente (Cass., sez. I, 10<br />
febbraio 2011, n. 3280, inForo It. Mass., 2011, 148), non essendo a tal fine sufficiente dimostrare<br />
di aver confidato nella solvibilità della controparte, laddove dovranno essere positivamente<br />
provate circostanze tali da far ritenere ad <strong>un</strong>a persona di media diligenza che l’imprenditore<br />
si trovasse in condizioni di normale solvibilità (App. Taranto, 6 maggio 2011, in sito Plurisonline.it;<br />
Cass., sez. I, 6 agosto 2009, n. 17998, in questa Rivista, 2010, 621).<br />
Va sottolineato, poi, che la deduzione dell’inscientia non può consistere nella negazione circa<br />
l’oggettiva sussistenza di <strong>un</strong>o stato di insolvenza, che è pres<strong>un</strong>ta nel periodo sospetto per effetto<br />
della dichiarazione di fallimento, laddove la stessa riguarda la percezione - e la prova - ad<br />
opera dell’accipiens di normali condizioni di solvibilità del debitore (Cass., Sez. I, 24 febbraio<br />
2011, n. 4559, inForo It. Mass., 2011, 178); per contro, si ritiene irrilevante che l’accipiens si<br />
sia o meno prefigurato l’esito concorsuale, essendo rilevante la percezione dell’insolvenza<br />
(Cass., 13 dicembre 2006, n. 26697, in questa Rivista, 2007, 343), né a tal fine rileva <strong>un</strong>a situazione<br />
di insolvenza ritenuta dal medesimo reversibile se il successivo fallimento dimostri l’erroneità<br />
della prognosi e tenuto conto che anche la situazione su cui si fondano le procedure concorsuali<br />
minori è com<strong>un</strong>que lo stato di insolvenza (Cass., 6 agosto 2010, n. 18437, in questa<br />
Rivista, 2011, 30; Cass., 19 aprile 2010, n. 9289, ivi, 2010, 1463 e Cass., 6 maggio 2010, n.<br />
11012, in sito Plurisonline.it).<br />
I pagamenti nel semestre sono revocabili a prescindere dalla modalità di adempimento in<br />
quanto atti solutori inefficaci indipendentemente dal negozio da cui traggono causa (Cass.,<br />
sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3583, in questa Rivista, 2011, 1004; Cass., sez. I, 6 luglio 2010, n.<br />
15980, ivi, 2011, 244); in particolare, i pagamenti sono revocabili anche se ottenuti nell’ambito<br />
di procedure esecutive (Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 7579, in questa Rivista, 2012, 125), dovendosi<br />
avere riguardo al momento del materiale incasso da parte del creditore della somma<br />
realizzata in executivis (Cass., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518, in questa Rivista, 2009,<br />
1167); quando il pagamento venga, poi, effettuato con girata di <strong>un</strong> titolo, la revocatoria va a colpire<br />
l’incasso anche se la dazione sia avvenuta al di fuori del periodo sospetto (Cass., sez. I, 23<br />
luglio 2007, n. 16213, in questa Rivista, 2008, 21).<br />
Quanto ai pagamenti del terzo, con la recente Cass., sez. I, 24 ottobre 2012 n. 18194, in sito<br />
DirittoItalia.it la Suprema Corte ne ha sancito la revocabilità ogni qual volta la rimessa del<br />
terzo transiti sul conto corrente e ne riduca il saldo scoperto, laddove in passato si escludeva<br />
la revocabilità qualora l’accredito fosse solo formale in esecuzione dell’appalto di servizi con la<br />
banca, che in tale veste annota l’estinzione del debito per compensazione (Cass., sez. I, 10 ottobre<br />
2011, n. 20753, in questa Rivista, 2012, 877); più in generale, la revocatoria del pagamento<br />
del terzo era ammessa solo se costui avesse pagato con danaro dell’imprenditore fallito<br />
(ipotesi integrata anche nel caso di pagamento con somme che il terzo avrebbe dovuto versare<br />
al fallito per adempiere ad <strong>un</strong> proprio debito, come precisa Trib. Milano, 15 gennaio 2008, in<br />
Banca, borsa, 2010, II, 131) ovvero, dopo aver pagato ma prima dell’apertura del concorso,<br />
avesse esercitato azione di rivalsa sul fallito (Cass., sez. I, 31 maggio 2012, n. 8783, in sito<br />
Plurisonline.it; Cass., Sez. I, 24 febbraio 2011, n. 4553, in Foro It.Mass., 2011, 177); la revocabilità<br />
- e la dichiarazione di inefficacia - viene esclusa se, non risultando <strong>un</strong> debito del terzo fidejussore<br />
del fallito, si possa presumere che questi paghi per <strong>un</strong> obbligo proprio di garanzia<br />
(Cass., sez. I, 6 maggio 2011, n. 10004, in questa Rivista, 2012, 232; Cass., sez. I, 12 agosto<br />
2009, n. 18234, ivi, 2010, 622); per ragioni similari, Trib. Milano 5 luglio 2011, in questa Rivista,<br />
2012, 357 non ritiene fondata la revocatoria del pagamento del cessionario di azienda in caso<br />
di fallimento del cedente, poiché il terzo paga in forza di <strong>un</strong> proprio obbligo.<br />
Non costituiscono, per pacifica giurisprudenza, pagamenti di terzo in senso proprio i bonifici che<br />
affluiscono sul conto dell’impresa fallita, di cui Cass., sez. I, 9 settembre 2011 n. 18555, in sito<br />
Cassazione.net ribadisce da ultimo la revocabilità (conf. Trib. Messina, 31 marzo 2011, in questa<br />
Rivista, 2011, 751; Cass., sez. I, 28 febbraio 2007, n. 4762, in Dir.Fall., 2008, II, 227), così come<br />
sono revocabili i pagamenti che affluiscono sul conto per disposizione dei clienti con l’utilizzo di<br />
carte di credito (Cass., sez. I, 2 luglio 2010, n. 15781, in questa Rivista, 2011, 244).<br />
Nel caso di cessione del credito, il momento rilevante ai fini della revocatoria non è l’incasso a<br />
carico del debitore ceduto, ma quello in cui si verifica il trasferimento del credito (Cass., sez. I,<br />
3 febbraio 2010, n. 2517, in Foro Pad., 2010, I, 1), salvo che si tratti di mera cessione in garanzia,<br />
nel qual caso, la cessione perde la propria natura solutoria (Cass., sez. I, 3 febbraio 2010,<br />
n. 2517, citata).<br />
378 Il Fallimento 3/2013
) revocatoria<br />
delle garanzie<br />
‘‘contestuali’’<br />
c) la revocatoria<br />
degli atti negoziali<br />
Esenzioni<br />
da revocatoria previste<br />
dal terzo comma<br />
dell’art. 67 l.fall.<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
Se le garanzie prestate per debiti preesistenti si connotano di anomalia e quindi ne viene prevista<br />
la revocabilità ai sensi del primo comma dell’art. 67 l.fall., al capoverso della norma viene<br />
disciplinata la revoca delle garanzie che, in quanto prestate al momento di concedere credito,<br />
rientrano nella normalità.<br />
Da segnalare la disciplina del pegno irregolare: poiché con esso viene trasferita al creditore la<br />
titolarità del bene con l’obbligo di restituzione per equivalente, la revocatoria può colpire solo la<br />
costituzione del pegno (Cass., sez. I, 28 maggio 2008, n. 14067, in questa Rivista, 2008,<br />
1469) e non la sua mera escussione attuata realizzando il pegno (Cass., sez. I, 10 novembre<br />
2008, n. 26898, in Giust.Civ., 2009, I, 953; Cass., sez. I, 20 aprile 2006, n. 9306, in Banca, borsa,<br />
2008, II, 469), anche se l’incameramento avviene in forma convenzionale (Cass., sez. I, 28<br />
maggio 2008, n. 13998, in questa Rivista, 2008, 1256); l’incasso del controvalore del pegno, viceversa,<br />
dà luogo ad <strong>un</strong> incasso revocabile se il pegno sia regolare, allorché il creditore realizza<br />
il bene costituito in pegno ed utilizza il ricavato per soddisfare il credito (Cass., sez. I, 12 settembre<br />
2011, n. 18597, in questa Rivista, 2012, 736).<br />
Sono revocabili a norma del capoverso dell’art. 67 l.fall. gli atti a titolo oneroso e quindi anche<br />
i contratti ed in genere tutti gli atti che incidono sul patrimonio del fallito e sono idonei a recare<br />
pregiudizio alla massa dei creditori (Cass., sez. I, 9 dicembre 2004, n. 23016, in Foro<br />
It.Rep., 2004, v. Fallimento, n. 402). L’<strong>un</strong>ica eccezione espressamente prevista concerne l’esenzione<br />
da revocatoria per i contratti (e per i preliminari) di vendita di immobili abitativi conclusi<br />
al giusto prezzo per finalità abitative; alla originaria previsione, il D.L. 83/2012 ha aggi<strong>un</strong>to<br />
la non revocabilità dei contratti riferiti ad immobili non abitativi destinati a f<strong>un</strong>gere da sede principale<br />
dell’impresa dell’acquirente.<br />
Considerata l’espressione generica della norma, Trib. Catania, 9 gennaio 2012, in Vita Not.,<br />
2012, 278 ha ritenuto assoggettabile a revocatoria anche la scissione societaria.<br />
Nel caso di revocatoria di contratto definitivo preceduto da <strong>un</strong> preliminare, Cass., sez. I, 21 ottobre<br />
2011, n. 21927, in questa Rivista, 2012, 877, ha confermato che l’accertamento dei presupposti<br />
di revocabilità debba riguardare l’atto definitivo che opera il trasferimento del diritto<br />
(nello stesso senso, già in passato concludeva Cass., sez. I, 29 gennaio 2008, n. 2005, in questa<br />
Rivista, 2008, 465).<br />
La transazione, invece, è ritenuta revocabile solo a norma del primo comma dell’art. 67, ovvero<br />
se sussista a monte <strong>un</strong>a sproporzione ingiustificata tra le reciproche concessioni (Trib. Udine,<br />
17 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 880, ma così già Cass., sez. III, 27 giugno 2001, n.<br />
8808, in Foro It.Rep., 2001, v. Fallimento, n. 420).<br />
La natura della revocatoria esclude che l’azione riguardi il diritto sul bene e per l’effetto si è negata<br />
l’esistenza della competenza delle sezioni agrarie (Cass., sez. I, 12 luglio 2011, n. 15246,<br />
in questa Rivista, 2012, 621), sussistendo la vis actractiva del foro fallimentare anche per le<br />
azioni di simulazione dei contratti agrari (Cass., sez. I, 13 ottobre 2011, n. 21196, in questa Rivista,<br />
2012, 877).<br />
La riforma ha introdotto <strong>un</strong>a serie di limiti all’esperibilità della revocatoria che si risolvono in vere<br />
e proprie esenzioni oggettive dalla revocatoria, che operano anche nelle ipotesi in cui la<br />
controparte in bonis del fallito sia pienamente cosciente della sua insolvenza, sempre che l’accipiens<br />
deduca e dimostri l’applicabilità dell’esenzione (Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur.It.,<br />
2011, 123).<br />
Al fine di consentire all’impresa di superare situazioni di difficoltà senza subire l’ostacolo della<br />
diffidenza delle controparti negoziali timorose di eventuali revocatorie, la riforma ha dettato<br />
<strong>un</strong>a esenzione da revocatoria per gli atti che si inseriscano in <strong>un</strong> piano attestato di risanamento;<br />
peraltro, al fine di evitare abusi, l’esenzione postula che l’idoneità del piano a far conseguire<br />
il riequilibrio (Trib. Verona, 27 luglio 2011, in sito Ilcaso.it) venga attestata da <strong>un</strong> esperto in possesso<br />
dei requisiti previsti dall’art. 28 l.fall. e sia altresì iscritto all’albo dei revisori, anche se pare<br />
indiscusso - ed oggi anche normativamente previsto - che si tratti di incarico di tipo privatistico,<br />
con nomina deputata all’impresa (Trib. Ravenna, 13 settembre 2011, in sito Ilcaso.it;<br />
Trib. Mantova, sez. IV, 31 marzo 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 126; Trib. Bologna, 15 aprile 2009 e<br />
Trib. Milano, 10 marzo 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 128; contra in passato Trib. Bari, 14 agosto<br />
2008, in questa Rivista, 2009, 467, ma la questione è stata superata con la modifica apportata<br />
dal D.L. n. 83/2012, che non pare neppure consentire la soluzione ‘‘mediana’’ adottata da Trib.<br />
Treviso, 20 aprile 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 128 che ipotizzava la legittimità di <strong>un</strong> ricorso volontario<br />
per la nomina trib<strong>un</strong>alizia).<br />
L’esenzione da revocatoria per i pagamenti eseguiti nelle procedure minori costituisce il<br />
contraltare dell’applicazione del principio della consecuzione delle procedure - invocato per ampliare<br />
l’ambito temporale degli atti revocabili -, cui si ricollega il tentativo di teorizzare la prededucibilità<br />
o com<strong>un</strong>que la non revocabilità delle attribuzioni patrimoniali realizzate nel corso di<br />
<strong>un</strong>a procedura minore. Del resto, con notazione pratica ma di buon senso, si osserva che il<br />
‘‘periodo sospetto’’ non può avere <strong>un</strong>a doppia decorrenza, dal fallimento e dell’ammissione al<br />
Il Fallimento 3/2013 379
Itinerari della giurisprudenza<br />
Il presupposto<br />
soggettivo della<br />
scientia decoctionis<br />
e l’onere della prova<br />
concordato che lo preceda. L’esenzione da revocatoria è oggi espressamente sancita alla lett.<br />
e) del terzo comma dell’art. 67 l.fall. L’esenzione, peraltro, riguarda gli atti compiuti ‘‘legalmente’’;<br />
App. Torino, 21 febbraio 2012, in questa Rivista, 2012, 743 in tal senso, ha ritenuto revocabili<br />
gli atti compiuti in forza di <strong>un</strong> decreto di omologa non definitivo e poi revocato e Cass.,<br />
sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3581, inForo It. Mass., 2011, 154 - sul presupposto che la prosecuzione<br />
dell’attività non sia il fine del concordato - ha sancito la revocabilità degli atti compiuti<br />
nell’ambito di <strong>un</strong>a concordato poi risolto per inadempimento. Ad <strong>un</strong>a violazione di legge (precisamente<br />
dell’art. 2467 c.c.), va ricondotta anche la statuizione di Trib. Firenze, 26 aprile 2010,<br />
in sito Ilcaso.it, che ritiene revocabile il pagamento effettuato al socio creditore. Con riguardo<br />
ad <strong>un</strong>a fattispecie ante riforma, Cass., sez. I, 17 gennaio 2008, n. 893, in Foro It. Mass., 2008,<br />
48 ha sancito che la revocatoria di <strong>un</strong>’ipoteca concessa prima del concordato preventivo consente<br />
la ripetizione di quanto pagato nel corso della procedura minore che sia evoluta in fallimento,<br />
anche se il pagamento era stato effettuato con l’autorizzazione del Giudice delegato.<br />
La lett. b) del terzo comma dell’art. 67 l.fall. prevede <strong>un</strong>a limitazione alla revocabilità delle rimesse<br />
su conto bancario, escludendola se le rimesse non abbiamo comportato <strong>un</strong> rientro<br />
consistente e duraturo; sotto il primo profilo, si ritiene che il termine di paragone sia l’esposizione<br />
complessiva del debitore (Trib. Udine, 24 febbraio 2011, in questa Rivista, 2011, 633) ovvero,<br />
secondo altra tesi, se le rimesse siano rilevanti rispetto al rientro (Trib. Milano, 27 marzo<br />
2008, in questa Rivista, 2008, 1213 che ritiene revocabili rimesse superiori al 10% del rientro<br />
complessivo); per quel che concerne il secondo requisito, esso dovrebbe consistere nella stabilità<br />
temporale del rientro, anche in rapporto alla movimentazione del conto (Trib. Milano, 21<br />
luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360), ma si è precisato che il rientro viene ritenuto durevole<br />
anche se il saldo debitore del conto venga poi nuovamente incrementato per l’appostazione di<br />
sofferenze verso la stessa banca in f<strong>un</strong>zione di altri finanziamenti (Trib. Udine, 24 febbraio<br />
2011, in questa Rivista, 2011, 688).<br />
Precisano, peraltro, Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 880 e Trib. Milano, 21<br />
luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360 che in tal modo non viene derogato il limite generale di revocabilità<br />
connesso con l’’individuazione della natura solutoria dei movimenti bancari; come in<br />
passato, saranno revocabili solo le rimesse che affluiscano su conto passivo non affidato o su<br />
conto scoperto oltre il limite del fido (principio ribadito da ultimo da Cass., sez. I, 15 luglio<br />
2010, n. 16608, in questa Rivista, 2011, 244) e si deve ritenere sia onere della banca di dedurre<br />
e provare che la rimessa non ha natura solutoria per l’esistenza del fido (Cass., sez. I, 9 novembre<br />
2007, n. 23393, in Foro It., 2008, I, 1946). In senso opposto si erano espresse Trib.<br />
Bologna, 4 agosto 2011, Trib. Udine, 24 febbraio 2011, in questa Rivista, 2011, 633 e Trib. Milano,<br />
25 maggio 2009, in Dir.Banc., 2009, I, 447, che ritenevano rilevante solo il dato oggettivo<br />
del rientro della banca. Da segnalare l’isolata Trib. Brescia, 29 aprile 2008, in questa Rivista,<br />
2009, 101, che ritiene inapplicabile l’esenzione prevista dalla norma se la banca incassi le somme<br />
dopo la revoca dei fidi.<br />
La lett. d) dell’art. 67 prevede l’esenzione da revocatoria dei pagamenti effettuati ai fornitori<br />
nei termini d’uso; Laratio della norma viene individuata da Trib. Milano, 3 maggio 2012, in sito<br />
Ilcaso.it nella volontà del legislatore di consentire all’imprenditore di gestire con serenità i<br />
normali rapporti che consentono l’attività.<br />
Perché <strong>un</strong> pagamento possa ritenersi effettuato nei termini d’uso, peraltro, occorre che esso<br />
sia effettuato con modalità normali (Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Banca, borsa, 2012, II,<br />
831 nega rientrino in questa tipologia i pagamenti per girata di assegni di clienti della fallita) e<br />
con le tempistiche consuete nel rapporto con il fornitore (Trib. Torino, 23 aprile 2009, in questa<br />
Rivista, 2010, 368) o nell’ambito di rapporti similari (Trib. Milano, 18 luglio 2011, inedita); in tal<br />
senso, si ritiene che i pagamenti eseguiti in mora rispetto alle scadenze pattuite in origine siano<br />
tuttora revocabili (Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Banca, borsa, 2012, II, 831; Trib. Monza,<br />
24 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 1004), così come quelli ottenuti per mezzo di azioni<br />
monitorie (App. Torino, 21 febbraio 2012, ivi, 2012, 743); discutibile in tal senso la tesi di Trib.<br />
Marsala, 24 giugno 2011, in sito Ilcaso.it, che ritiene possa anche rientrare nell’esenzione <strong>un</strong><br />
pagamento incluso in <strong>un</strong> piano di rientro se esso rientri nella prassi del settore di attività; tale<br />
prospettiva è seguita anche da Trib. Torino, 4 maggio 2010, in Giur.It., 2011, 123, che reputa irrilevante<br />
il mutamento di condizioni di pagamento se anch’esso rientri nelle prassi com<strong>un</strong>e del<br />
settore.<br />
La giurisprudenza, sia di legittimità (Cass., sez. I, 4 marzo 2010, n. 5256, in questa Rivista,<br />
2010, 1211) che di merito (App. Roma, 11 luglio 2011; Trib. Perugia, 15 marzo 2011 entrambe<br />
in sito Purisonline.it) insiste nel sottolineare che la revocatoria prevista dal secondo comma<br />
dell’art. 67 l.fall. postula la prova della conoscenza dell’insolvenza in capo all’accipiens e non<br />
della sua mera conoscibilità. Peraltro è pressoché pacifico che la prova della conoscenza dell’insolvenza<br />
possa essere fornita per pres<strong>un</strong>zioni in forza di valutazione di merito incensurabile<br />
in Cassazione (Cass., sez. I, 18 aprile 2011, n. 8827, in questa Rivista, 2012, 125); la prova<br />
della conoscenza dell’insolvenza non è riferibile ad <strong>un</strong>a conoscenza effettiva, né va riferita alla<br />
380 Il Fallimento 3/2013
Fattispecie particolari<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
mera conoscibilità da parte di <strong>un</strong> contraente astratto, ma consiste nella valutazione della probabilità<br />
della scientia in relazione alle condizioni in cui l’accipiens si è trovato concretamente ad<br />
operare (Cass., sez. I, 3 maggio 2012, n. 6686, inSocietà, 2012, 709). A tal fine, conformandosi<br />
all’insegnamento ante riforma, la giurisprudenza precisa che, trattandosi di provare <strong>un</strong>o<br />
stato psicologico, la prova può essere raggi<strong>un</strong>ta per pres<strong>un</strong>zioni, che anzi costituiscono in tali<br />
casi la fonte primaria di prova (Cass., 24 aprile 2007, n. 9903, in questa Rivista, 2007, 879), dovendosi<br />
valutare l’esistenza di indici dell’insolvenza percepiti dall’accipiens tali da indurre ragionevolmente<br />
<strong>un</strong> soggetto di ordinaria diligenza a ritenere insolvente il debitore (Cass., sez. I, 26<br />
gennaio 2011, n. 1834, inForo It. Mass., 2011, 95; Trib. Milano, 26 settembre 2011 e Trib.<br />
Bologna, 9 marzo 2011, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 19 ottobre 2007, n. 22008, in Dir.-<br />
Fall., 2009, II, 168). In tal senso, se non è ammessa <strong>un</strong>’accezione sanzionatoria della scientia,<br />
volta a ravvisare il presupposto soggettivo quando l’ignoranza sia colpevole (Cass., sez. I, 23<br />
settembre 2009, n. 20482, in questa Rivista, 2010, 739), per altro verso, a fronte di indici che<br />
fanno presumere la conoscenza, a nulla vale che il convenuto in revocatoria opponga <strong>un</strong>a situazione<br />
di ignoranza non plausibile (Cass., 7 febbraio 2001, n. 1719, in Giust.Civ., 2001, I,<br />
2977), né la percezione dello insolvenza può essere di per sé esclusa dal rilievo che il creditore<br />
abbia proseguito il rapporto con l’impresa insolvente (Cass., sez. I, 22 gennaio 2009, n. 1617,<br />
in questa Rivista, 2009, 1000).<br />
Sempre nell’ambito di <strong>un</strong> corretto utilizzo dello strumento pres<strong>un</strong>tivo si ritiene che tal<strong>un</strong>i indici<br />
possano essere più efficacemente percepiti da soggetti ‘‘professionali’’, i quali cioè svolgono<br />
attività precipua nel settore finanziario (Cass., 4 febbraio 2008, n. 2557, in questa Rivista,<br />
2008, 606; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4762, in Dir.Fall., 2008, II, 227); per l’effetto, la giurisprudenza<br />
ritiene che nei confronti delle banche e degli altri operatori professionali, la scientia<br />
possa essere des<strong>un</strong>ta anche dalle risultanze dei bilanci (Cass., Sez. I, 30 luglio 2012, n.<br />
13540, in sito Cassazione.net), se questi manifestino in modo palese <strong>un</strong>o stato di insolvenza<br />
(arg. da Cass., sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3920; App. Torino, 13 gennaio 2011, in questa Rivista,<br />
2011, 377); dovrebbe, inoltre, valere tuttora il principio sancito da Cass., sez. I, 3 maggio<br />
2007, n. 10208, in questa Rivista, 2007, 1235 secondo il quale non viola il divieto di doppia pres<strong>un</strong>zione<br />
il giudice che presuma la conoscenza dei bilanci in capo alla banca, in quanto tenuta<br />
ex lege a verificare la solvibilità del debitore affidato con la richiesta delle situazioni contabili.<br />
Per le persone giuridiche, aggi<strong>un</strong>ge Cass., sez. I, 29 marzo 2012, n. 5106, in sito Cassazione.net,<br />
il presupposto soggettivo va valutato in relazione alla situazione del soggetto che ebbe a<br />
rappresentare l’ente nei rapporti revocandi, anche se il legale rappresentante sia poi mutato;<br />
per le stesse ragioni in caso di fusione rileva la scientia decoctionis provata in capo al soggetto<br />
i cui diritti e stati giuridici siano stati trasferiti in capo alla società scaturita dall’operazione<br />
straordinaria (Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059, in questa Rivista, 2011, 1478).<br />
Tra gli elementi che com<strong>un</strong>emente si ritiene facciano presumere la scientia: iprotesti pubblicati<br />
sui bollettini (Cass., sez. I, 19 marzo 2012, n. 4342, in sito Cassazione.net; App. L’Aquila,<br />
15 novembre 2011, in questa Rivista, 2012, 236), la cui pluralità consente anche di presumerne<br />
la conoscenza in capo all’accipiens (Cass., sez. I, 13 gennaio 2010, n. 391, in Foro It. Mass.,<br />
2010, 20); l’esistenza di precedenti procedimenti esecutivi avviati dal creditore (App. Brescia,<br />
25 maggio 2011, in questa Rivista, 2011, 1006); il mutamento delle condizioni di pagamento<br />
con la richiesta di pagamenti anticipati (App. Milano, 27 giugno 2012, n. 2496, inedita); la<br />
minaccia di sospendere le forniture (Cass., sez. I, 4 ottobre 2011, n. 25161, in sito Cassazione.net).<br />
La Suprema Corte, peraltro, sottolinea che, dovendo prevalere la considerazione per gli indici<br />
diretti, si debba attribuire rilievo decisivo alla manifestazione di incapacità fisiologica di adempiere<br />
nel rapporto con l’accipiens (Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15686, in sito Plurisonline.it),<br />
in ciò dando rilievo all’inequivoco disposto dell’art. 5 l.fall. secondo il quale l’insolvenza<br />
‘‘si manifesta’’ con gli inadempimenti e quindi è conosciuta dal soggetto che percepisca l’incapacità<br />
di adempiere (in tal senso Trib. Siracusa, 19 novembre 2010, in questa Rivista, 2011,<br />
980 ha sostenuto che <strong>un</strong> ritardo nei pagamenti, che non sia contenuto in due-tre mesi lascia<br />
presumere l’insolvenza). Per ragioni opposte, si tende ad attribuire scarso rilievo agli indici di<br />
insolvenza che non attengano alla specifica posizione del creditore, quali le notizie di stampa<br />
(Trib. Roma, 13 settembre 2010, in questa Rivista, 2011, 982).<br />
Quando la revocatoria sia rivolta ad inficiare atti o pagamenti compiuti dal socio fallito di società<br />
di persone, si ritiene che la scientia debba riguardare l’insolvenza della società e non quella<br />
personale del socio (Cass., sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260, in questa Rivista, 2012, 532). Ciò<br />
non toglie, di contro, che nella revocatoria promossa da <strong>un</strong>a società facente parte di <strong>un</strong> gruppo<br />
insolvente, ai fini della scientia si possa ritenere rilevante la conoscenza dell’insolvenza<br />
delle altre società del gruppo (Cass., sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059, in questa Rivista, 2011,<br />
1478).<br />
L’art. 67 bis l. fall., che disciplina la revocatoria nell’ambito dei ‘‘patrimoni destinati’’, non<br />
consta abbia ancora avuto applicazioni pratiche; la disciplina, pervero, non differisce da quella<br />
Il Fallimento 3/2013 381
Itinerari della giurisprudenza<br />
L’art. 70 l.fall.<br />
La regolamentazione<br />
della revocatoria<br />
di rimesse bancarie<br />
della revocatoria prevista dal capoverso dell’art. 67 l.fall., salvo che per la limitazione prevista<br />
laddove la norma precisa che l’eventus damni deve riguardare il patrimonio della società.<br />
Il disposto dell’art. 68 l.fall., invece, è stato oggetto di sporadiche sentenze ante riforma che<br />
ne hanno confermato la natura eccezionale, non estensibile, tra l’altro, al pagamento ricevuto<br />
dal creditore ipotecario che voglia evitare di perdere l’azione sui fidejussori (Cass., sez. I, 26<br />
gennaio 1999, n. 684, in questa Rivista, 2000, 361); la ‘‘necessità cambiaria’’ che esime l’accipiens<br />
dalla revocatoria può essere dedotta ed accertata incidentalmente nel processo avviato direttamente<br />
contro l’ultimo prenditore e può essere provata per pres<strong>un</strong>zioni (Cass., sez. I, 7 dicembre<br />
1999, n. 13663, in questa Rivista, 2000, 1377); si è, poi, ritenuto che l’eccezione del<br />
prenditore che deduca di aver dovuto accettare il pagamento per non perdere l’azione di regresso<br />
paralizza la revocatoria a prescindere dalla deduzione della sua scientia, che rileva solo a carico<br />
dell’ultimo obbligato in via di regresso (Cass., sez. I, 22 dicembre 1995, n. 13085, in questa<br />
Rivista, 1996, 649), laddove l’espressione ultimo obbligato viene intesa in senso relativo, con riguardo<br />
all’ultimo soggetto che girò la cambiale essendo a conoscenza dell’insolvenza (Trib. Torino,<br />
14 febbraio 1985, in Giur.Piem., 1985, 792); l’eccezione, evidentemente, non è proponibile<br />
se il soggetto che riceve il pagamento nel periodo sospetto sia il primo prenditore anche se la<br />
girata sia anteriore (Cass., sez. I, 7 marzo 1997, n. 2088, in Foro It., 1997, I, 2976). La norma<br />
non è stata modificata e quindi i principi enucleati in passato paiono tuttora applicabili.<br />
L’art. 69 l.fall. detta, invece, <strong>un</strong>a disciplina più severa in tema di revocabilità degli atti compiuti<br />
tra coniugi; la Suprema Corte ha confermato anche post riforma che la norma è di stretta<br />
interpretazione e quindi non si applica al coniuge del socio illimitatamente responsabile (Cass.,<br />
sez. I, 2 aprile 2012, n. 5260, in questa Rivista, 2012, 532); sotto il profilo dell’oggetto, invece,<br />
Cass., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8516, in Foro It., 2006, I, 2756 concludeva in passato per la revocabilità<br />
delle attribuzioni tra coniugi anche se derivanti da accordi di separazione, revocabilità<br />
che colpiva anche gli atti tra coniugi che avessero optato per il regime di separazione dei beni<br />
(App. Torino, 21 ottobre 1992, in Giur.It., 1994, I, 2, 30). Tra gli atti di più frequente revoca vi è<br />
la costituzione del fondo patrimoniale, ritenuto atto a titolo gratuito a prescindere dal fatto che<br />
il conferimento patrimoniale sia stato attuato anche dall’altro coniuge (Trib. Roma, 11 gennaio<br />
2001, in Temi romana, 2002, 57). Viceversa, già prima della riforma - e sin dalla riforma del diritto<br />
di famiglia del 1975 - non trovava più applicazione la pres<strong>un</strong>zione ‘‘muciana’’ prevista dal<br />
previgente art. 70 l.fall. (oggi sostituito da disposizione che concerne tutt’altra questione), essendo<br />
esclusa sia nel regime di com<strong>un</strong>ione che in caso di separazione dei beni la pres<strong>un</strong>zione<br />
che gli acquisti del coniuge del fallito effettuati nel quinquennio fossero compiuti con danaro<br />
del fallito (Cass., sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1501, in questa Rivista, 2001, 167; Cass., sez. I,<br />
18 marzo 1996, n. 2272, in questa Rivista, 1996, 967).<br />
La ‘‘diffidenza’’ del legislatore della riforma per la revocatoria trova conferma nella norma che<br />
limita l’importo pretensibile in caso di plurimi pagamenti eseguiti nell’ambito di <strong>un</strong> rapporto<br />
‘‘di durata’’, il quale viene considerato <strong>un</strong>itariamente, sì da limitare nel quantum la declaratoria<br />
di inefficacia alla differenza tra il massimo scoperto e l’importo del credito all’apertura del concorso.<br />
Trattandosi di disciplina innovativa e non di interpretazione già implicita nella previgente normativa,<br />
la limitazione non può ritenersi applicabile alle procedure avviate prima del D.L. 35/2005<br />
(Cass., sez. I, 3 settembre 2010, n. 19043, in questa Rivista, 2011, 374), anche se <strong>un</strong>a isolata<br />
Trib. Pavia, 19 aprile 2006, in questa Rivista, 2007, 89 aveva ipotizzato che solo il rientro effettivo<br />
attesti la natura solutoria e non meramente ripristinatoria delle rimesse via via affluite sul<br />
conto della fallita.<br />
La norma introduce <strong>un</strong>a eccezione e quindi l’ammontare della differenza tra massimo scoperto<br />
e saldo finale deve essere dedotto e provato dal convenuto in revocatoria (T. Udine, 24 febbraio<br />
2011, in questa Rivista, 2011, 688).<br />
Nella fattispecie regolata dall’art. 70 l.fall. rientrano ora, per espressa previsione normativa introdotta<br />
dal D.lgs. 169/2007 (con modifica che Trib. Milano, 25 maggio 2009, in Dir.Banc.,<br />
2009, I, 447 non ritiene interpretativa, tanto da escluderne l’applicazione alle procedure avviate<br />
prima del ‘‘correttivo’’), anche le revocatorie delle operazioni bancarie in conto corrente;<br />
pertanto, sarà revocabile solo la differenza tra il saldo massimo scoperto nel periodo sospetto<br />
(e non in generale:Trib. Milano, 21 luglio 2009, in Dir.Fall., 2010, II, 360) ed il saldo esistente all’apertura<br />
del concorso.<br />
Resta fermo - come ulteriore limite oggettivo di revocabilità - il principio già elaborato ante riforma<br />
che nega la revocabilità delle rimesse che affluiscano su conto attivo o passivo entro i limiti<br />
del fido; saranno quindi revocabili solo le rimesse su conto scoperto; qualora venga richiesta<br />
la revoca di operazioni in base ad <strong>un</strong>o scoperto infra-giornaliero, Cass., sez. I, 10 maggio 2012<br />
n. 7158, in sito Plurisonline.it ritiene sia onere del fallimento provare la cronologia delle operazioni,<br />
non essendo rilevante l’ordine che si evince dall’estratto conto. Il curatore, di contro - e<br />
dovremmo dire, a maggior ragione nel sistema riformato - può limitarsi a richiedere la declara-<br />
382 Il Fallimento 3/2013
Computo del ‘‘periodo<br />
sospetto’’ e termini<br />
di prescrizione, rectius<br />
decadenza, dell’azione<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
toria di inefficacia delle rimesse indicandone l’importo complessivo (rectius, nella nuova revocatoria,<br />
il delta tra massimo scoperto e saldo), senza specificare analiticamente quali movimenti<br />
siano oggetto di domanda, non incorrendo in <strong>un</strong>a nullità della citazione (Cass., sez. <strong>un</strong>., 22<br />
maggio 2012, n. 8077, inCorr.Merito, 2012, 791); nello stesso senso, Trib. Lecce, 6 luglio<br />
2011, in questa Rivista, 2012, 236 ritiene sufficiente la richiesta della ‘‘maggior o minor somma’’<br />
ritenuta di giustizia al fine di superare nella condanna l’importo della domanda contenuta<br />
in citazione e ciò qualora la CTU esperita individui ulteriori e diverse rimesse revocabili; tesi<br />
questa discutibile, poiché più correttamente - anche se in relazione a cause rette dalla normativa<br />
pre-riforma, che non conosceva il limite oggi previsto del ‘‘rientro da massimo scoperto’’ -<br />
la Suprema Corte ha precisato che la revocatoria delle rimesse consiste di fatto nella richiesta<br />
di dichiarare inefficaci <strong>un</strong>a serie di plurimi atti solutori distinti (Cass., sez. I, 28 aprile 2010, n.<br />
10219, in sito Plurisonline.it; Cass. 24 giugno 2008, n. 17090, in Contratti, 2009, 123).<br />
Si dovrebbe, peraltro, ritenere confermata la tesi secondo la quale non rilevano ai fini della copertura<br />
del conto gli affidamenti di ‘‘castelletto’’, ma solo l’apertura di credito, laddove solo<br />
quest’ultima crea <strong>un</strong>a disponibilità effettiva a favore del correntista (Cass., sez. I, 19 maggio<br />
2010, n. 12306, in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 20 febbraio 2009, n. 4191, ibidem; Cass.,<br />
sez. I, 20 marzo 2008, n. 7451, in questa Rivista, 2008, 843), disponibilità che negli affidamenti<br />
su presentazione di effetti è invece subordinata al compimento di altri atti (App. Torino, 3 agosto<br />
2006, in questa Rivista, 2006, 1338; Cass., sez. I, 2 aprile 2009, n. 8049); i fidi devono poi<br />
essere provati in forma opponibile al fallimento, prova che riguarda il contratto, non essendo viceversa<br />
sufficienti le risultanze <strong>un</strong>ilaterali del libro-fidi (Cass., sez. I, 20 giugno 2011, n.<br />
13445, in questa Rivista, 2012, 353); la disciplina introdotta dal D.lgs. 385/1993 implica che i fidi<br />
possano essere provati solo per iscritto e con documento avente data certa anteriore alla<br />
procedura, ma sul p<strong>un</strong>to si è formata <strong>un</strong>a corrente che ammette la prova del fido per pres<strong>un</strong>zioni<br />
e per facta concludentia, se il contratto originario già prevedeva la concessione dell’apertura<br />
di credito e l’andamento del conto pare coerente con l’esistenza dell’affidamento (Cass.,<br />
sez. I, 15 settembre 2006, n. 19941, in Giust.Civ., 2007, I, 2460; Cass., sez. I, 9 luglio 2005, n.<br />
14470, in Corr.Giur., 2006, 357).<br />
Inoltre, il fido deve essere operante, nel senso che sono considerate solutorie le rimesse successive<br />
alla revoca dei fidi (Cass., sez. I, 20 dicembre 2007, n. 26823, in questa Rivista, 2008,<br />
606), ovvero quelle che abbiano com<strong>un</strong>que la finalità di rientro in quanto affluite su conto ‘‘bloccato’’<br />
(App. L’Aquila, 15 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 128), poiché in tal caso si ritiene<br />
che l’apertura di credito sia solo apparente (Cass., sez. I, 11 novembre 2010, n. 22915, in Giur.It.,<br />
2011, 567), anche se sul p<strong>un</strong>to la recente Cass., sez. VI, 2 luglio 2012, n. 11054, insito<br />
Cassazione.net impone al fallimento di fornire la prova rigorosa della chiusura del conto, che<br />
non può consistere nel mero dato dell’andamento storico e del mancato riutilizzo della provvista;<br />
saranno, invece, ritenute solutorie le rimesse successive ad <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>icazione di invito al<br />
rientro (equiparata da Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 963 a revoca di fido).<br />
Anche nella nuova disciplina, si affronta la questione circa la revocabilità delle cosiddette ‘‘operazioni<br />
bilanciate’’, ovvero di quegli accrediti che la banca nega abbiano valore solutorio, in<br />
quanto destinati solo a creare <strong>un</strong>a provvista per <strong>un</strong> pagamento contestuale; la giurisprudenza<br />
tende ad avallare l’eccezione, ma solo quando vi sia coincidenza di datazione ed importo tra<br />
l’accredito e l’addebito (Trib. Lecce, 6 luglio 2011, in questa Rivista, 2012, 236), poiché in tal<br />
caso si può presumere per facta concludentia l’esistenza di <strong>un</strong> accordo per consentire al correntista<br />
di utilizzare le somme depositate per effettuare pagamenti (Cass., sez. I, 26 gennaio<br />
2011, n. 1834, inForo It. Mass., 2011, 95); in caso contrario, è la banca a dover dare la prova<br />
della natura bilanciata dall’operazione non contestuale (Cass., sez. I, 2 marzo 2012, n. 3316,<br />
in sito Plurisonline.it; Cass., sez. I, 22 agosto 2011, n. 17443, in questa Rivista, 2012, 740;<br />
Cass., sez. I, 11 aprile 2011, n. 8223; App. Brescia, 25 maggio 2011, ivi, 2011, 1006).<br />
Sono stati ritenuti revocabili, poi, anche i ‘‘giroconti’’ da conti anticipi al conto ordinario, se abbiano<br />
avuto in concreto l’effetto di ridurre l’esposizione (Cass., sez. I, 20 giugno 2011, n.<br />
13449, in questa Rivista, 2012, 353), sempre che ciò avvenga in maniera consistente e durevole<br />
(Trib. Udine, 16 aprile 2012, in questa Rivista, 2012, 880) ed in genere gli accrediti per anticipazioni<br />
su crediti e fatture che affluiscano su conto scoperto (Cass., sez. I, 18 luglio 2008, n.<br />
17954, in questa Rivista, 2009, 291); vengono altresì considerati revocabili gli accrediti derivanti<br />
da mero mandato all’incasso, il quale non attua <strong>un</strong> effetto traslativo come la cessione di credito<br />
vera e propria (Cass., sez. I, 27 aprile 2011, n. 9387, in questa Rivista, 2012, 233), salvo<br />
che risulti opponibile alla procedura <strong>un</strong> patto compensativo a valere sin dalla conclusione del<br />
contratto (Cass., sez. I, 15 aprile 2011, n. 8752, inForo It.Mass., 2011, 342).<br />
Il calcolo dei termini previsti dalle norme in tema di revocatoria distingue il momento dal quale<br />
può computarsi a ritroso il periodo di revocabilità rispetto al decorso del termine previsto dall’art.<br />
69 bis l.fall., che secondo l’interpretazione pressoché <strong>un</strong>iforme fissa <strong>un</strong>’ipotesi di decadenza<br />
e non più di mera prescrizione (come incidentalmente conferma Cass., sez. I, 18 luglio<br />
2007, n. 15960, in questa Rivista, 2008, 99).<br />
Il Fallimento 3/2013 383
Itinerari della giurisprudenza<br />
L’azione revocatoria<br />
nelle procedure diverse<br />
dal fallimento<br />
Per quel che concerne il computo del ‘‘periodo sospetto’’, anche dopo la riforma si tende a<br />
valorizzare l’<strong>un</strong>itarietà dell’accertamento dell’insolvenza che, in caso di consecuzione di procedure,<br />
induce a far decorrere il termine dall’ammissione alla prima procedura (Cass., sez. I, 6<br />
agosto 2010, n. 18437, in questa Rivista, 2011, 30; Trib. Monza, 5 gennaio 2011, ivi, 2011,<br />
1368; Trib. Ivrea, 22 gennaio 2008, in Giur.It., 2008, 1948); il principio è oggi espressamente<br />
sancito dall’art. 69 bis l.fall., come modificato dall’art. 33 D.L. 83/2012, norma che fa decorrere<br />
gli effetti concorsuali dalla data di pubblicazione a RR.II. della presentazione della domanda di<br />
concordato. In caso di mancata ammissione, peraltro, non essendovi <strong>un</strong> legame tra la procedura<br />
minore - mai venuta ad esistenza - ed il fallimento successivo, il termine non può che decorrere<br />
da quest’ultima procedura (Trib. Udine, 6 marzo 2010, in questa Rivista, 2010, 898; Trib.<br />
Udine, 15 ottobre 2008, ivi, 2009, 1414); per ragioni similari, la dichiarazione di fallimento da<br />
parte di trib<strong>un</strong>ale incompetente segna il decorso dei termini a ritroso per le revocatorie quando<br />
alla sentenza cassata segua <strong>un</strong>a successiva dichiarazione di fallimento da parte del giudice<br />
competente (Trib. Messina, 31 marzo 2011, in questa Rivista, 2011, 751). Quando l’atto revocando<br />
riguardi il socio illimitatamente responsabile cui sia esteso il fallimento, a detta di Cass.,<br />
sez. I, 17 febbraio 2012, n. 2335, in questa Rivista, 2012, 1476 e delle conformi Cass., sez. I,<br />
20 febbraio 2012, n. 2402 e n. 2403, il termine decorre a ritroso dal fallimento societario; in<br />
senso opposto si era pron<strong>un</strong>ciata in precedenza Cass., sez. I, 26 marzo 2010, n. 7273, in questa<br />
Rivista, 2010, 649, che aveva escluso la rilevanza della consecuzione delle procedure di<br />
concordato e fallimento per le revocatorie sui soci.<br />
La decorrenza del termine di prescrizione veniva computata ante riforma dal momento della<br />
nomina del curatore e non vi è ragione per modificare tale principio per la decadenza che non<br />
può correre in assenza del soggetto legittimato a promuovere l’azione.<br />
Trattandosi di azioni costitutive, già in passato si escludeva che l’interruzione potesse avvenire<br />
per atto stragiudiziale (Cass., Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 30077, in sito Plurisonline.it; Cass.,<br />
sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3379, in Giust.Civ., 2008, I, 1281); a maggior ragione, la decadenza<br />
potrà essere impedita solo con la notifica dell’atto di citazione; peraltro, lo stesso effetto interruttivo<br />
è riconosciuto a tutti gli atti giudiziari - quali il ricorso per sequestro giudiziario (Cass.,<br />
Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13302, in sito Plurisonline.it) - anche se non notificati alla parte, ma<br />
da questa conosciuti per il tramite del difensore a norma dell’art. 170 c.p.c., come nel caso di<br />
domanda riconvenzionale avanzata in sede di opposizione allo stato passivo (Cass., sez. I, 6<br />
agosto 2010, n. 18438, in questa Rivista, 2011, 630).<br />
In quanto termine sostanziale, il decorso del termine di prescrizione non è interrotto dal periodo<br />
feriale (Cass., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 22366, in Foro It., 2009, I, 516) e logica vorrebbe<br />
che, essendo atto recettizio, rilevi il momento in cui il convenuto in revocatoria riceve l’atto, anche<br />
se per ragioni di equità si tende a ritenere che alla procedura non possa essere addebitato<br />
il ritardo nella consegna che deriva dall’attività notificatoria, attività sulla quale la parte - che<br />
con la richiesta di notifica cessa di essere inerte - non può influire, ritenendo quindi interrotta<br />
la prescrizione dalla data di presentazione dell’atto alle notifiche (Trib. Milano, 19 gennaio<br />
2009, in questa Rivista, 2009,1325; Cass., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 22366, in Foro It., 2009,<br />
I, 516); di recente, peraltro, Cass., sez. I, 31 ottobre 2012, n. 21595, in sito Cassazione.net ha<br />
escluso che possa valere ad interrompere la prescrizione con efficacia ex t<strong>un</strong>c la rinnovazione<br />
di <strong>un</strong>a precedente notifica nulla.<br />
Le azioni revocatorie possono essere promosse anche in procedure concorsuali diverse dal<br />
fallimento e ciò per espresso richiamo normativo contenuto nell’art. 203 l.fall. (disposizione<br />
cui a sua volta rinviava la c.d. ‘‘Legge Prodi’’ che istituì la prima disciplina dell’amministrazione<br />
straordinaria) per la liquidazione coatta amministrativa in cui sia intervenuta la dichiarazione di<br />
insolvenza (T. Vercelli, 8 maggio 2001, in Giur.It., 2001, 2102) ovvero, se questa è anteriore,<br />
dalla nomina del Commissario (Cass., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16383, in Giust.Civ., 2008, I,<br />
696); il richiamo contenuto nell’art. 49 D.Lgs. 270/1999 consente la revocatoria anche nell’amministrazione<br />
straordinaria attualmente vigente.<br />
Per l’amministrazione straordinaria, peraltro, anche a seguito della censura formulata in sede<br />
com<strong>un</strong>itaria in merito alla procedura disciplinata dalla L. 95/1979, l’attuale D.Lgs. 270/1999<br />
ha previsto che la revocatoria possa essere esercitata solo se la procedura si sia avviata ad<br />
<strong>un</strong>a fase liquidatoria, destinazione che Cass., sez. I., 10 maggio 2012, n. 7163, in sito Plurisonline.it<br />
ritiene possa anche essere ravvisata prima del formale avvio della procedura di liquidazione,<br />
qualora sia com<strong>un</strong>que venuta meno la finalità ‘‘conservativa’’. L’azione è esperibile<br />
dal momento della nomina del Commissario, anche se può essere esercitata solo nell’eventuale<br />
fase liquidatoria (Cass., sez. VI, 4 marzo 2011, n. 5330, in questa Rivista, 2011, 1184) e<br />
proprio la cessazione della fase conservativa costituisce l’elemento dedotto per escludere che<br />
la revocatoria costituisca <strong>un</strong> ‘‘aiuto di Stato’’ per l’impresa insolvente (Cass., sez. I, 25 agosto<br />
2006, n. 18552, in Foro It. Mass., 2006, 1502; Trib. Bologna, 12 luglio 2005, in Dir.Fall., 2006,<br />
II, 498).<br />
Lievemente diversa è la disciplina della ‘‘Legge Marzano’’, ove la revocatoria è consentita dal-<br />
384 Il Fallimento 3/2013
Le conseguenze<br />
della revoca:<br />
l’insinuazione<br />
del credito ex art. 71<br />
l.fall.<br />
Itinerari della giurisprudenza<br />
l’art. 6 D.Lgs. n. 347/2003, senza distinzione tra fase conservativa o liquidatoria (Cass., sez. I,<br />
10 novembre 2005, n. 21823, in questa Rivista, 2006, 779).<br />
Da sempre si esclude l’estensibilità della revocatoria al concordato, anche se il recente D.L.<br />
83/2012 ha previsto l’inefficacia delle ipoteche legali iscritte nei sessanta giorni anteriori alla<br />
presentazione della domanda.<br />
Il soggetto che subisce la revocatoria può insinuare al passivo il proprio credito per l’importo<br />
restituito; si discute se il diritto sorga sul mero presupposto della restituzione, come precisa<br />
Trib. Napoli, 12 maggio 2006, in questa Rivista, 2006, 1426, ovvero sia necessario il passaggio<br />
in giudicato della pron<strong>un</strong>zia, come sostiene Trib. Genova, 7 luglio 2004, ivi, 2005, 61.<br />
La Suprema Corte, peraltro, precisa che la necessità di attendere l’esito dell’azione costitutiva<br />
non implica di per sé che la tardività dell’insinuazione non possa essere addebitata dal creditore<br />
revocato (Cass., sez. I, 3 giugno 2004, n. 10578, ivi, 2005, 426).<br />
L’ammissione spetta anche quando la restituzione avvenga a seguito di transazione, salvo che<br />
sia espressamente rin<strong>un</strong>ziato il diritto all’insinuazione (Trib. Roma, 2 luglio 1997, in Riv.Curatori,<br />
1998, 79).<br />
Se si ritiene che l’obbligo restitutorio faccia rivivere il credito pagato con l’atto revocato (tant’è<br />
che Trib. Milano, 21 settembre 1989, in Giur.It., 1990, I, 2, 389 consente al creditore dell’accollato<br />
fallito di agire in ripetizione verso l’accollante per il pagamento revocato e che la revoca<br />
può far rivivere la garanzia del fidejussore del fallito, come precisa Cass., sez. I, 17 ottobre<br />
2008, n. 25361, inForo It. Mass., 2008, 1445), pare corretto ipotizzare che il creditore possa<br />
chiedere l’ammissione con il privilegio che gli spetti (arg. da App. Genova, 7 febbraio 1985, in<br />
questa Rivista, 1986, 52), laddove qualche dubbio pare sussista sulla condivisibilità attuale del<br />
principio sancito da Trib. Lecce, 7 aprile 1992, in questa Rivista, 1993, 186, che ritiene prededucibile<br />
il credito che l’accipiens insinui per aver pagato debiti ipotecari consolidati (ove semmai<br />
potrebbe ipotizzarsi <strong>un</strong>a surroga nel credito).<br />
Il Fallimento 3/2013 385
Indici<br />
Fallimento<br />
INDICE ANALITICO - ALFABETICO<br />
Amministrazione straordinaria<br />
Amministrazione straordinaria<br />
Cessazione<br />
Concordato - Relazione ex art. 124, terzo comma,<br />
l.fall. - Designazione dell’esperto - Competenza dell’Autorità<br />
amministrativa di vigilanza<br />
(Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 14 giugno 2012) ................. 363<br />
Imprese di gruppo<br />
Estensione del procedimento<br />
Osservanza della struttura bifasica - Sussistenza -<br />
Anticipazione della decisione - Preclusione<br />
(Corte di Appello Torino, 20 gennaio 2012) ........... 329<br />
Concordato preventivo<br />
Ammissione<br />
Procedimento<br />
Poteri del trib<strong>un</strong>ale - Giudizio di fattibilità del piano -<br />
Configurabilità - Limiti<br />
(Cassazione Civile, Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n.<br />
1521) ......................................................... 279<br />
Proposta<br />
Relazione del professionista - Allegato - Esclusione -<br />
Contenuto integrante - Effetti<br />
(Cassazione Civile, Sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565) . 298<br />
Fallimento<br />
Accertamento del passivo<br />
Opposizione<br />
Com<strong>un</strong>icazione del deposito dello stato passivo - Avviso<br />
di ricevimento della raccomandata - Onere del<br />
curatore - Mancanza - Conseguenze<br />
(Cassazione civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6799) .. 321<br />
Mancata produzione di copia del decreto opposto -<br />
Improcedibilità - Esclusione<br />
(Cassazione Civile, Sez. I, 4 maggio 2012, n. 6804) . 320<br />
Verifica dei crediti<br />
Ipoteca sui beni del terzo fallito - Ammissione del<br />
credito - Abnormità del decreto - Efficacia preclusiva<br />
- Conseguenze<br />
(Cassazione Civile, Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13289) . 306<br />
Cessazione<br />
Concordato<br />
Omologazione - Opposizione - Mancato riconoscimento<br />
del privilegio del credito ex art. 23, comma<br />
37, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 - Presupposto - Modifica<br />
del passivo<br />
(Trib<strong>un</strong>ale di Pinerolo, 23 luglio 2012) .................. 357<br />
Dichiarazione<br />
Sentenza<br />
Reclamo - Presupposti per l’amministrazione straordinaria<br />
- Parziale accoglimento del reclamo - Restituzione<br />
degli atti al Trib<strong>un</strong>ale - Adozione dei provvedimenti<br />
conseguenti all’accertamento dello stato di insolvenza<br />
(Corte di Appello Torino, 20 gennaio 2012) ........... 329<br />
Effetti per il debitore<br />
Beni non compresi nel fallimento<br />
Retribuzione - Decreto del giudice delegato - Mancanza<br />
- Pagamento al fallito - Efficacia<br />
(Cassazione civile, Sez. I, 31 ottobre 2012, n.<br />
18843) ....................................................... 295<br />
Organi<br />
Curatore<br />
Erede del simulato alienante - Azione di simulazione<br />
- Prova - Esclusione della qualità di terzo<br />
(Cassazione Civile, Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12965) . 315<br />
Soggetti<br />
Amministratori<br />
Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art.<br />
2394 c.c. - Società a responsabilità limitata - Inammissibilità<br />
- Azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. del<br />
curatore - Configurabilità<br />
(Trib<strong>un</strong>ale di Verona, 3 agosto 2012) ................... 344<br />
Responsabilità - Azione dei creditori sociali ex art.<br />
2394 c.c. - Società a responsabilità limitata - Legittimazione<br />
del curatore fallimentare - Ammissibilità<br />
(Trib<strong>un</strong>ale di Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto<br />
2012) ........................................................ 347<br />
386 Il Fallimento 3/2013