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LIBRERIA PHILOBIBLON
Lista X
2007

4. L’Annunciazione

LIBRERIA PHILOBIBLON
Lista X
2007

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© 2007 Libreria Philobiblon, Roma

1
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). [Libro delle
clare donne]. Manoscritto miniato su pergamena, [Italia,
sec. XV].
Manoscritto membranaceo di mm 216x142. Tre carte non numerate
contenenti l’indice in inchiostro rosso, 160 carte numerate al centro del
margine superiore in inchiostro rosso. COMPLETO. Scrittura corsiva umanistica
in inchiostro marrone scuro, ascrivibile ad un’unica mano, su una
colonna di 26 linee (giustificazione mm 130x77). Rigatura a secco. Alla
prima carta di testo splendida bordura miniata su tre lati e decorata da
bianchi girarî su fondo blu, verde e rosa; lungo il margine inferiore della
cornice due putti alati sorregono uno stemma, le cui armi sono state
però abrase; la bordura è collegata ad un grande capolettera ‘N’ a foglia
d’oro su otto righe; 104 capilettera in blu nel testo, in corrispondenza
dell’inizio dei capitoli; rubriche in inchiostro rosso. Legatura coeva, probabilmente
napoletana, in vitello nocciola su assi di legno, decorata a secco
da motivi geometrici; dorso a quattro grandi nervi decorato a secco;
tracce di fermagli e di borchie metalliche ai piatti. Codice in ottimo stato
di conservazione, qualche lieve macchia e traccia d’usura alle prime e
alle ultime carte; legatura usurata, con perdite ai piatti e al dorso, anticamente
restaurato; perdita di pergamena al contropiatto anteriore. Note
di possesso manoscritte coeve al foglio di guardia anteriore.
c. 4r, rubrica: «Incomincia el libro delle clare donne compilato pel clarissimo poeta
M. Giovanni Boccaccio cittadino fiorentino. Prohemio». Incipit: «Ne passati
di tra le nobili et egregie donne ritrovandomi alquanto separato dal tracurato vulgo
et quasi dogni altra mia cura disciolto in excelsa laude del femineo sexo et certo
ancora per alcuno piacere degli amici piu che per grande della re publica scrissi
uno piccolo libretto [...]».
c. 160v, explicit: «[...] et se in lloro e alcuno spirito con piatosa carita quelle cose
che meno che debitamente sono scripte accresciendo & diminuendo corregghino
5

et emendino Accioche cosi corretta questa operetta piu tosto in bene dalcuno sia
che lacerata & morsa da denti delli invidiosi et essendo di nulla utilita perischa».
Colophon: «Finiscie el libro delle clare donne compilato pel clarissimo poeta M.
Giovanni Boccaccio cittadino Fiorentino».
Prezioso e rarissimo manoscritto quattrocentesco in legatura
coeva di questo volgarizzamento di una delle più
note opere latine del Boccaccio, il De claris mulieribus,
composto a Certaldo nell’estate del 1361, e ispirato dalla
lettura dei poemi omerici tradotti da Leonzio Pilato.
Il compendio – dedicato alla sorella di Niccolò Acciaiuoli,
Andreola - si compone di 104 capitoli dedicati
alle donne valorose e virtuose che «si resero famose:
o per l’audacia, o per la forza del carattere e dell’ingegno,
o per dono di natura, o per favore o avversità di
fortuna, o anche solo per aver offerto l’occasione a
straordinarie imprese. Lo scrittore non vuole adoperare
il termine claritas in una sua accezione strettamente positiva,
riferito cioè solo alla virtù (ut semper in virtutem videatur
exire), ma anzi nel senso più lato e comprensivo:
in modo da suscitare, con racconti diffusi e piacevoli, interesse
e diletto, specialmente nelle donne, spesso ignoranti
di storie. Il fine morale (sacra utilitas) potrà essere
raggiunto inserendo nella narrazione amabili inviti alla
virtù e sferzanti frecciate contro il vizio; ma di proposito
lo scrittore eviterà di mescolare alle donne pagane
quelle della storia sacra, perché egli non cerca modelli
di perfetta virtù, già consacrati dalle opere di illustri
scrittori, bensì esempi di donne che solo per un certo
6

dono o istinto di natura si resero famose» (G. Boccaccio,
De mulieribus claris, a cura di V. Zaccaria, Milano
1967, pp. 5-6).
Il volgarizzamento di quest’opera si inscrive nel quadro
delle testimonianze della fortuna delle opere latine del
Boccaccio in Italia e in Europa. «Il Boccaccio erudito fu
veicolo presso la cultura europea della nuova sensibilità
protoumanistica che s’era affermata nella cerchia degli
amici del Petrarca: ma è anche in dubbio che il De casibus
e il De mulieribus furono sentiti molto rapidamente,
oltr’Alpe, come repertori narrativi. [...] Al di qua delle
Alpi è solo il De mulieribus che subisce questo trattamento
prima della fine del Trecento. Esso è volgarizzato
quasi contemporaneamente da Donato Albanzani e
dal monaco agostiniano Antonio da S. Elpidio. Questi
volgarizzamenti rimasero manoscritti e non si inserirono
nella tradizione a stampa. [...]» (C. Scarpati, Note sulla
fortuna editoriale del Boccaccio, in Boccaccio in Europe. Proceedings
of the Boccaccio Conference.Louvain,December 1975,
edited by Dr. G.Tournoy, Leuven 1977, p. 211).
7

2
Vergilius Maro, Publius (70-19 a.C.). Aeneis. Bucolicon.
Georgicon]. Manoscritto miniato su pergamena,
[Italia, sec. XV].
Codice membranaceo di mm 241x170. 251 carte non numerate. COM-
PLETO. Scrittura corsiva umanistica in inchiostro marrone, ascrivibile ad
una sola mano, su una colonna di 26 linee (giustificazione mm 159x100).
Rigatura a secco. Alla c1r bel capolettera miniato su 6 righe, con corpo
della lettera a foglia d’oro su fondo blu rosso e verde decorato da bianchi
girarî, con estensioni lungo il margine interno, grafismi a penna e
bottoni d’oro; al centro del margine inferiore della stessa carta stemma
circolare in oro e verde decorato da grafismi a penna e bottoni in oro.
Alla c 192r iniziale miniata ‘T’ con corpo della lettera a foglia d’oro su
fondo blu, rosso e verde decorato a bianchi girarî; numerosi piccoli capilettera
miniati in oro, rosso verde e blu nel testo. Legatura settecentesca
in vitello agli acidi, dorso a cinque nervi decorato da ferri dorati, titolo
in oro su tassello in marocchino, sguardie in carta marmorizzata. Manoscritto
in ottimo stato di conservazione, alcuni fori dovuti a difetti della
pergamena reintegrati contemporaneamente alla stesura del codice, aggiunte
di pergamena ai margini delle prime carte; legatura usurata, con
perdite ai piatti e al dorso. Ex-libris al contropiatto anteriore.
c. 1r, incipit: «Arma virumque cano troye qui primus ab oris [...]».
c. 191r, explicit: «Sic vos non vobis nidificatis aves. Finis».
c. 192r, incipit: «Tityre tu patule recubans sub tegmine fagi [...]».
c. 208r, explicit: «Ite domum sature venit hesperus ite capelle».
c. 208v, incipit: «Quid faciat letas segetes quo sydere servet [...]».
c. 251r, explicit: «Tityre te patule cecini sub tegmine fagi. Laus Deo. Finis».
Raro ed interessante manoscritto quattrocentesco con-
8

2. Vergilius Maro, Publius

1. Boccaccio, Giovanni

3. Cicero, Marcus Tullius

8. Aristoteles

9. Gaffurius, Franchinus

11. Pollux, Julius

13. Vocabolarium Nebrissense

12. Pseudo - Bonaventura

tenente i dodici libri dell’Eneide, i dieci carmi delle Bucoliche
e i quattro libri delle Georgiche, che testimonia la
fortuna di cui il poeta latino godette nel Quattro e nel
Cinquecento. Il testo dell’Eneide si conclude con i cinque
esametri che, stando agli antichi biografi,Virgilio
avrebbe scritto per rivendicare la paternità dei propri
versi, di cui il poeta Batillo aveva cercato di appropriarsi.
3
Cicero, Marcus Tullius (106–43 a.C.). [Tusculanae
disputationes]. Manoscritto miniato su pergamena.
[Napoli, 1450-1460 ca.].
Manoscritto membranaceo di mm 324x230. 94 carte non numerate, le
ultime due bianche. COMPLETO. Scrittura corsiva umanistica di un’unica
mano su una colonna di 30 linee (giustificazione mm 200x128). Richiami
lungo il margine inferiore interno; notabilia dello stesso scriba
lungo il margine esterno. Rigatura in inchiostro grigio.Titoli, rubriche
ed iniziali degli interlocutori in rosa. Alla c. 1r testo inquadrato da una
splendida bordura miniata decorata da bianchi girarî su fondo blu, verde
e rosso e ornata da putti, pavoni e conigli e iniziale ‘C’ su 7 linee in oro,
lungo il margine inferiore scudo lasciato bianco; dieci grandi capilettera
in oro su fondo a bianchi girarî nel testo. Legatura novecentesca di Katharine
Adams in marocchino blu, con titolo i oro sul piatto anteriore e
sul dorso. Codice in ottimo stato di conservazione, alcune macchie e segni
d’usura alle cc. 1, 29 e 87-91; lievi tracce d’usura alla legatura. All’ultima
carta nota di possesso manoscritta seicentesca di Pietro de Rossi,
dottore in medicina. Ex-libris ‘W.A. Foyle’ e ‘John Hornby’, al
9

contropiatto anteriore. Charles Harry St. John Hornby fissò al foglio di
guardia un frammento manoscritto, proveniente da un codice di Cicerone
datato 1453 e sottoscritto dallo scriba fiorentino Giovanni del Ciriago,
acquistato da Sir Sydney Cockerell che, dal momento che il manoscritto
era già assai danneggiato, ne distribuì le carte ai suoi amici. Il
codice venne acquistato nel 1946 da Major J.R.Abbey, come testimonia
la nota di possesso al foglio di guardia finale, che lo vendette l’anno seguente.
c.1r: «Marci Tullii Ciceronis quaestionum tusculanarum liber primus incipit feliciter
praefatio: Cum defensionum laboribus senatoriisque muneribus aut omnino
aut magna ex parte essem aliquando liberatus retuli me brute te hortante maxime
ad ea studia quae retenta animo remissa temporibus longo intervallo intermissa
revocavi».
Libro I
c. 2v, incipit: «Praefatio explicit. Narrationis exordium incipit feliciter lege A.
Malum mihi videtur esse mors [...]».
c. 23r, explicit: «Cras autem et quot dies erimus in tusculano agamus haec et ea
potissimum quae Levationem habent aegritudinum cupiditatum cum omni philosophia
est fructus uberrimus».
Libro II
c. 23r, rubrica: «Marci Tullii Ciceronis quaestionum tusculanarum liber secundus
incipit feliciter praefatio.
Incipit: Neoptolemus quidem apud Ennium philosophari sibi aut necesse esse:
Sed paucis Nam omnino haud placere»
c. 36r, explicit: «Alta prorsus et illud quidem ante meridiem hoc eodem temporem
sic faciemus tuisque optimis studiis obsequamur».
Libro III
c.23r, rubrica: «Marci Tullii Ciceronis quaestionum tusculanarum liber tertius
incipit feliciter praefatio».
Incipit: «Quidnam causae esse Brute putem cur cum constemus ex animo et corpore
corporis curandi tuendique causa quaesita sit ars [...]».
10

c. 53r, explicit: «Caetera quotienscumque voletis et hoc loco et aliis parata vobis
erunt».
Libro IV
c. 53r, rubrica: «Marci Tullii Ciceronis Quaestionum Tusculanarum Liber Quartus
incipit feliciter Praefatio».
Incipit: «Cum multis locis nostrorum hominum ingenia virtutesque Brute soleo
mirari [...]».
c. 69r, explicit: «si boni et beati volumus esse omnia adiumenta et auxilia petamus
bene beateque vivendi».
Libro V
c. 69r, rubrica: «Marci Tullii Ciceronis Quaestionum Tusculanarum Liber Quintus
incipit feliciter praefatio».
Incipit: «Quintus hic dies Brute finem faciet tusculanarum disputationum quo
die est a nobis ea de re quam tu ex omnibus maxime probas disputatum»
c. 91r, explicit: «Nostris quidem acerbissimis doloribus variisque et undique circunfusis
molestiis alia nulla potuit inveniri levatio».
Splendido manoscritto contenente una delle maggiori
opere filosofiche di Cicerone, le Tusculanae disputationes,
scritte sotto forma di dialogo tra l’autore ed un anonimo
interlocutore e divise in cinque libri nei quali vengono
trattati i temi della morte, del dolore, della tristezza, dei
turbamenti dell’animo e delle virtù come garanzia della
felicità.
Il codice è stato confezionato a Napoli, probabilmente
per qualche membro della corte aragonese poiché sia lo
scriba che il miniatore, identificati dalla professoressa Albinia
de la Mare rispettivamente in Pietro Ursuleo da Capua
e Matteo Felice, lavorarono per illustri esponenti di
questa corte. Il primo lavoro documentato prodotto dal-
11

la collaborazione tra Pietro Ursuleo da Capua e Matteo
Felice è il Boezio (Vat. Pal. lat. 1740) eseguito nel 1467
per Agnolo Manetti (cfr.T. De Marinis, La Biblioteca napoletana
dei re d’Aragona, I, pp. 157-58, tav. 34). Il codice
ciceroniano qui descritto è probabilmente uno dei primi
lavori del noto miniatore alla corte aragonese di Napoli,
presso la quale lavorò fino al 1493. Il repertorio di elementi
decorativi (putti, pavoni e conigli) qui utilizzato ricorre
anche nei tre volumi delle opere di Seneca (Vienna,
ÖNB, cod. 69; Modena, Bibl. Estense, ms. H.5.1;
Parigi, BnF, ms. lat. 17842), prodotti anch’essi per la corte
napoletana. Nel Seneca come in questo Cicerone, l’opera
di Matteo Felice completa il lavoro di Pietro Ursuleo,
che svolse la sua attività di scriba principalmente alla
corte reale a partire dal 1448, fino al suo trasferimento a
Roma alla fine degli anni ’60 del Quattrocento, dove
venne eletto vescovo di Satriano e nel 1483, anno del sua
morte, arcivescovo di Santa Severina. Sebbene in maniera
assai riluttante, come testimoniano i suoi colophon, continuò
anche a Roma la sua attività di copista, lavorando
per papa Sisto IV (cfr.A. Derolez, Codicologie des manuscrits
en écriture humanistique sur parchemin, in «Bibliologia»
(1984), n. 358).
12

4
L’Annunciazione. Miniatura da un libro d’ore.
[Milano, fine del secolo XV].
Frammento su pergamena di mm 100x77.Annunciazione miniata all’interno
di una cornice - dipinta a tempera rosso scuro, verde, grigia e oro
e decorata da putti, gioielli, pesci e da un piccolo medaglione contenente
un ritratto femminile; nel bordo inferiore sono raffigurate due sirene che
sorreggono un stemma nobiliare con la scritta: Ave Maria gratia plena dominus
tecum. All’interno della cornice e sotto l’Annunciazione, 4 linee
scritte in inchiostro blu in littera textualis, due righe in inchiostro marrone;
un capolettera miniato ‘O’ in tempera dorata su fondo rosso cupo,
con interno blu, decorato da gioielli e motivi floreali.Al verso del frammento
testo, in inchiostro rosso e marrone, su 11 linee in littera textualis
su un’unica colonna (giustificazione mm 58x52) alla terza linea piccolo
capolettera dorato ‘D’, su due linee, miniato su fondo rosso verde e blu
con decorazioni floreali dorate. Frammento in ottimo stato di conservazione,
montato su un passe-partout in cartoncino avorio.
Questo elegante frammento è splendidamente miniato in
uno stile molto simile a quello usato dal maestro di Mandriani,chiamato
così per aver eseguito le miniature del Libro
d’ore commissionato da Antonio Mandriani. La mano
raffinata richiama anche alcuni lavori eseguiti per
Francesco Maria Sforza e Gian Giacomo Trivulzio (cfr. C.
Quattrini, Libri e documenti, 1995, XXV).
13

5
[Scriptores Historiae Augustae]. (Incipit seconda
parte:) In hoc codice continentur vitae diversorum
principum et tyrannorum a divo Hadriano
usque ad Numerianum diversis scriptoribus
compositae. Milano, Filippo da Lavagna, 22 dicembre,
1475. [Id.]. (Incipit prima parte:) bonus Accursius Pisanus
Salutem dicit plurimam Magnifico equiti
aurato & sapientissimo ac primo ducali secretario
Cicho Simonetae. Milano, Filippo da Lavagna, 20
luglio 1475.
Due parti – erroneamente invertite nella legatura - in un volume in-folio
(mm 313x223). Collazione: [Parte II: B 10-1 , C-R 8 ,S 10 ;A-D 8 ,E 8 ,F 10 ; parte
I: A 10 , B-I 8 , K-M 8 , N-O 6 A 4 ]. Dal momento che le segnature dei quaderni
si trovavano molto in basso lungo l’angolo destro esterno del
margine inferiore delle carte (cfr. BMC VI, p. 702), esse sono state asportate
dalla rifilatura subita dal volume; il quaderno A 4 che dovrebbe trovarsi
alla fine della prima parte è stato erroneamente inserito tra la carta
5D e la carta 6D della seconda parte. Una carta bianca, 138 carte non
numerate, una bianca, 52 carte non numerate, tre bianche, 108 carte non
numerate, una bianca (delle 5 carte bianche solo la seconda e l’ultima sono
originali).Testo su un’unica colonna di 40 linee. Carattere 108 R. La
prima carta di testo della seconda parte (che qui si trova al principio del
volume) è riccamente decorata da una splendida cornice miniata coeva
a motivi fitomorfi e floreali rossi, blu, verdi, gialli, rosa e da inserti d’oro
in foglia. Lungo il margine superiore il monogramma ‘IHS’ miniato a foglia
d’oro; lungo il margine inferiore una ghirlanda sorretta da due cornucopie
nella quale è inscritto uno scudo gentilizio grigio argento con
due bande orizzontali sormontate da due lune; capolettera ‘O’ su 6 linee,
con corpo verde su fondo a foglia d’oro decorato da un ritratto che raf-
14

figura probabilmente l’imperatore Adriano con l’abito rosso e il manto
d’ermellino. Nella seconda parte del testo, che, come si è già detto, è
quella posta al principio del volume, 82 splendidi capilettera miniati su
6 righe, con corpo della lettera a foglia d’oro cui si avviluppano tralci a
bianchi girarî, su fondo blu, rosa e verde; la decorazione delle iniziali è
arricchita da grafismi a penna e bottoni a dorati lungo i margini; alle iniziali
miniate si alternano, in alcuni punti, capilettera dipinti, alternativamente,
in rosso e blu. Legatura settecentesca in piena pergamena rigida;
dorso a 4 grandi nervi con titolo in oro su tassello in marocchino nocciola,
tagli azzurri. Esemplare in ottimo stato di conserazione, lievissime
gore, qualche macchia e qualche foro di tarlo nel testo. Numerose note
manoscritte di mani differenti, coeve e di poco posteriori alla stampa del
volume, in tutta l’opera; numerazione aggiunta a penna sulle carte e sull’indice
della seconda parte; al verso dell’ultima carta bianca splendido
schizzo cinquecentesco eseguito a penna in inchiostro marrone e raffigurante
un paesaggio. Ex-libris ed etichetta della libreria Thomas-Scheler
di Parigi al contropiatto anteriore, note di possesso manoscritte alle
prime carte.
Prima edizione assoluta di questa raccolta di biografie di
imperatori romani, stampata da Filippo da Lavagna e curata
dal famoso umanista Buono Accursio Pisano, che si era
trasferito a Milano l’anno precedente su invito di Francesco
Filelfo. Per tutto il 1475 e fino al 1477 infatti, il Lavagna
si avvalse della collaborazione del noto erudito pisano
«per procurarsi i testi da stampare, revisionarli e correggere
le bozze [...]. Filippo fu il primo a cooptare nel proprio lavoro
questo umanista che garantiva la correttezza filologica
delle edizioni e, firmandole, contribuiva al loro successo
commerciale» (A. Ganda, Filippo Cavagni da Lavagna,
editore, tipografo, commerciante a Milano nel Quattrocento, presentazione
di Dennis H. Rhodes, Firenze 2006, p. 102).
15

La silloge di opere contenute nella presente edizione è comunemente
nota col nome di Scriptores Historiae Augustae,
che le venne dato dal Causabon - che ne curò la prima
edizione critica (1603) – e raccoglie, seguendo criteri alquanto
eterogenei, più di 30 biografie di imperatori romani
del II e III secolo d.C. redatte da sei differenti autori
– Aelius Spartianus, Iulius Capitolinus,Vulcacius Gallicanus,
Aelius Lampridius, Trebellius Pollio e Flavius Vospiscus
- altrimenti sconosciuti. L’opera, stilisticamente modellata
sul De vita Caesarum di Svetonio, è stata oggetto,
dalla fine dell’Ottocento ad oggi, di una controversia, non
ancora risolta, che mette in discussione da una parte la datazione
(da spostare secondo alcuni dalla fine del secolo III
alla fine del secolo IV) e dall’altra l’ascrivibilità della raccolta
ad autori differenti, proponendo in base ad un’analisi
storica e stilistica la possibilità che si tratti del lavoro di
un singolo autore (per una sintesi di queste problematiche
si veda L.W. Gurney e P.J. Gurney,The “Scriptores Historiae
Augustae”: History and Controversy, in «Lit Linguist Computing»,
1998, 13 (3), pp. 105-109).
HC* 14561; Goff S, 340; Pellechet Ms, 10371; IGI 8847; Mendes 1192;
Madsen 3644; Walsh 3038; Proctor 5845; BMC VI, 702; Ganda, Filippo
Cavagni da Lavagna, n. 12.
16

6
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Ameto overe
Comoedia de Nymphe fiorentine [con due sonetti
di Girolamo Bononio]. Treviso, Michele Manzolo,
1479.
In-4° (mm 210x144). Collazione: a-i 8 , k-l 6 . 82 di 84 carte numerate (mancano
la prima e l’ultima bianche). Carattere romano, testo su un’unica colonna
di 32-34 linee. Legatura moderna in vitello decorato a secco; titolo
in oro su tassello in marocchino rosso al dorso. Esemplare in ottimo stato
di conservazione, restauri ai margini inferiori bianchi delle prime 8 carte;
qualche lieve fioritura.
Seconda edizione, impressa da Michele Manzolo, non
meno rara della prima, stampata a Roma l’anno precedente.
La presente copia reca la variante, descritta nel
Gesamt Katalog, con l’incipit che recita: «overe Comoedia
de Nymphe» (terza e quarta linea) e, alla quinta riga
del colophon: «anno de». Alla fine del volume (c. 83
recto e verso) si trovano inoltre due sonetti del poeta trevigiano
Girolamo Bononio, il primo in lode del tipografo,
che viene celebrato per aver contribuito a diffondere
e stampare quest’opera del Boccaccio
considerata «rara, ignota [...] et quasi persa», il secondo
che tesse l’elogio della potenza di Amore e la grandezza
degli autori che lo eleggono a materia delle loro
opere, quali Petrarca e Boccaccio. Dal punto di vista
tipografico è curioso notare come il secondo sonetto
(c 83v) sia inscritto tra quattro lettere (P, T, R, S), per le
17

quali non è stata ancora trovata una valida spiegazione.
L’Ameto, titolo dato all’opera dai suoi primi editori e
che qui si affianca a quello originale attribuito dal
Boccaccio – Comedia delle ninfe fiorentine – con la sua
combinazione di allegoria e romanzo pastorale, la sua
struttura di prosimetrum – che si ispira alla Vita Nuova
– prefigura il Decameron (il Sansovino lo chiamava «il
piccolo Decameron») e, al contempo, è ancora vicino alla
parte del Filocolo dedicata alla corte d’Amore di
Fiammetta. «Ma, se la vera Vita Nuova è un’autobiografia
simbolica sopraggiunta attorno a rime almeno in
gran parte preesistenti, questa del Boccaccio sottostà,
per l’insieme della cornice e per i ternarî, a tutta una
placcatura allegorica, che pretende significare la trasfigurazione
operata dall’amore entro un essere selvaggio:
sublimazione il cui carattere all’ingrosso neoplatonico
doveva rendere il libro particolarmente gradito ai
lettori rinascimentali» (G. Contini, Letteratura italiana
delle origini, Firenze 2003 3 , p. 715).
HC 3287; GW 4429; BMC VI, 888; IGI 1764; Goff B, 707; Bacchi della
Lega, p. 98; Cat. Bernard Quaritch, Italian books XV-XVIII secoli,
(1992), n° 4 (same copy).
18

7
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). [Fiammetta]. Venezia,
Filippo di Pietro, [non prima del 19 giugno] 1481.
In-4° (mm 220x156). Collazione: a-f 8 ,g 12 ,h 6 . 66 carte non numerate di
cui la prima bianca.Testo su un’unica colonna di 36 linee; carattere 80 G;
spazi bianchi per iniziali con lettera di richiamo. Legatura ottocentesca in
pergamena rigida con decorazioni a secco ai piatti e titolo manoscritto al
dorso. Esemplare in buono stato di conservazione, ad ampi margini; alcune
gore, leggere macchie e fioriture in tutto il volume, gli angoli delle prime
carte consunti; alla prima carta quadrato d’oro al posto del capolettera.
Al contropiatto anteriore ex-libris inciso, recante la data 1911, della
famiglia Merklein, timbro di appartenenza al foglio di guardia.
Prima edizione curata da Girolamo Squarciafico, contenente
inoltre le sue addizioni, e terza - o quarta - edizione
assoluta della Fiammetta. La stampa di Filippo di
Pietro è successiva alla princeps di Padova, 1472; all’edizione
napoletana del 1480 ed è contemporanea o di poco
posteriore a quella stampata dal tipografo del De legitimationibus
di Antonio de Rossellis.
Il libro «interamente prosastico, […] nella formula più
piena del suo titolo si chiama Elegia di madonna Fiammetta:“elegia”
vale, secondo il De vulgari,“stilus miserorum”,
e a ciò consuona l’inizio (:“suole a’ miseri crescere
di dolersi vaghezza” ecc.). È infatti il lamento
d’un’abbandonata […]. La gentildonna napoletana velata
dal senhal di Fiammetta rievoca il suo subitaneo innamoramento
d’un giovane designato come Panfilo
(Pamphilus è il seduttore protagonista d’una famosa:
19

“commedia elegiaca” latina di Francia); ricorda la partenza
di lui per Firenze, richiamato dal padre, e la sua
non mantenuta promessa di tornare entro quattro mesi;
minutamente analizza il proprio stato d’animo quando
l’amante si rivela spergiuro e allorché ne giungono più
o meno inesatte notizie» (G. Contini, Letteratura italiana
delle origini, Firenze 2003 3 , p. 722).All’opera del Boccaccio
segue un’epistola di Girolamo Squarciafico, professore
di letteratura greca originario di Alessandria, noto
per i suoi commenti a Petrarca e per le sue edizioni di
autori classici. L’epistola, datata 19 giugno 1481, è indirizzata
alle donne innamorate e il letterato alessandrino
vi tesse l’elogio del grande certaldese di cui vien detto
che «ciaschuno huomo d’ingegno il può et debbe per il
più excellente che alchuno altro iudicare» (c. 66v).
HC 3293; IGI 1782; Goff B, 736; Proctor 4284; BMC V, 223; GW 4459;
Zambrini, p. 109.
20

8
Aristoteles (384-322 a.C).Iepi zwvwu Istorivaz].
Venezia, Aldo Manuzio, gennaio 1497.
In-folio (mm 310x204). Collazione: aa aa-&& ww 10 , AA- PP 10 ,PP 1 , PP-
FF 10 ,XX 8 ,X 8 (la carta PP1, impressa solo al recto, era stata dimenticata
in fase di stampa e venne aggiunta in un secondo momento; segue un
quinterno con la stessa segnatura PP; la carta XX8 bianca originale). 457
carte numerate, una carta bianca, 8 carte non numerate (il verso dell’ultima
carta bianco). Splendidi capilettera silografici ornati e testatine silografiche
nel testo. Legatura in pergamena antica, dorso rifatto successivamente,
titolo manoscritto al dorso. Esemplare in ottimo stato di
conservazione, lievi gore lungo il margine interno bianco di tutto il volume;
alla carta qq2 perdita dell’angolo inferiore che non tocca il testo.
Il volume è copiosamente postillato in greco dalla mano di Ottaviano
Ferrari come è testimoniato, al recto della prima carta, dalla firma e dall’annotazione:
Codex hic fuit olim Octaviani Ferrarij, notasque, quibus adspersus
est illius esse mano exaratus crediderim; eum tamen emimus ab haeredibus
Caesaris Rovidij (questo libro appartenne a Ottaviano Ferrari, e ritengo
che le note, di cui esso è cosparso siano state vergate dalla sua mano; tuttavia
lo abbiamo acquistato dagli eredi di Cesare Rovidio). Al verso del
foglio di guardia anteriore è stato aggiunto, da una mano cinquecentesca,
un indice del volume in latino. Nel volume si trovano inoltre inseriti
due fogli volanti annotati dalla mano del Ferrari. L’ultimo fascicolo,
contenente il libro X del De historia animalium, proviene probabilmente
da un altro esemplare ed è annotato in greco ed in latino, da una mano
cinquecentesca differente da quella del Ferrari.
Editio princeps del terzo dei cinque volumi delle opere
complete di Aristotele che vennero stampate dalla tipografia
aldina tra il 1495 ed il 1498 - e che sono considerate
un monumento tipografico della storia delle
21

scienze e della filosofia - a cui Aldo fece seguire nel
1508 la prima pubblicazione della Poetica e della Retorica.
Il presente volume «catalogato dai repertori come III
volume appare invece nel catalogo di Aldo dell’ottobre
1498 come secondo volume “in Philosophia” rispetto
al seguente pur uscito successivamente non considerando
Aldo il volume dell’Organon indicato come
“in logica”» (Laurenziana, p. 51). Inoltre le ultime 8 carte
del volume contengono frammenti del decimo libro
dell’Historia animalium, che mancano ad alcuni esemplari,
poiché, come Aldo stesso precisa nella nota posta all’ultima
carta, erano stati rinvenuti solo in un secondo
momento. L’edizione rappresenta, oltre che una grande
innovazione in materia tipografica - essendo la prima
impressione in greco a larga diffusione - un elemento
chiave dell’evoluzione del pensiero occidentale nel suo
massimo momento d’integrazione con l’eredità filosofica
greca. Ogni parte presenta un epistola di dedica in
latino ad Alberto Pio, principe di Carpi nonché nipote
di Pico della Mirandola, con il quale Aldo vedeva la realizzazione
del governo ideale di Platone, ovvero quello
del re filosofo. Ciascuna delle cinque parti costituisce
un’entità tipografica distinta, con un suo proprio colophon
e la data di pubblicazione differente. L’editio princeps
di Aldo era dunque un libro particolarmente caro:
«un ami personnel d’Alde, l’helléniste bolonais Codrus
Urceus, en arrivait à se plaindre en 1498 d’avoir dépensé
pour acheter son Aristote le prix de dix beaux manuscrits
latins» (Lowry, p.125). Pièce maitresse dell’ambi-
22

zioso programma editoriale consacrato ai testi greci,
questa edizione divenne il riferimento di molti umanisti,
come testimonia la cattedra di Niccolò Leonico Tenco
centrata sul testo originale di Aristotele, creata appositamente
dall’università di Padova subito dopo la
pubblicazione aldina. L’esemplare qui descritto è fittamente
postillato in greco dal milanese Ottaviano Ferrari
(1518-1586), anch’egli professore di filosofia a Padova,
e, oltre a costituire un documento di grande interesse
per quel che riguarda le modalità di fruizione dell’opera,
ribadisce ulteriormente la fortuna e il ruolo centrale
che il testo aldino assunse nelle accademie cinquecentesche.
HC 1657; Goff A, 959; GW 2334; BMC V, 555-6; Proctor, 5553; Renouard
p. 11, n. 2; Laurenziana, n. 22 Marciana, n. 14;Ahmanson-Murphy
21; Lowry, p. 75; PMM 38.
9
Gafurius, Franchinus (1451-1522). Practica musicae.
Brescia, Angelo Britannico, 23 settembre 1497.
In-folio (mm 252x179). Collazione: [* 4 ], a-b 8 ,c 6 , 2a-2k 8 ,2l 6 ; 112 carte
non numerate (di cui l’ultima bianca). Carattere 160 G 2 (frontespizio) e
carattere 102 R (testo), note stampate a margine del testo, piccole iniziali
silografiche e spazi bianchi per le iniziali all’inizio di ogni libro.Testo su
una colonna di 38 linee. Alla carta a2v grande illustrazione silografica,
stampata a piena pagina, raffigurante il diapason secondo le teorie di Pi-
23

tagora e Guido d’Arezzo. Nel testo, numerosi diagrammi silografici di
notazioni musicali (note, pause, legature) ed esempi musicali su pentagramma
e tetragramma. Legatura tardo-ottocentesca in vitello nocciola
con decorazioni in oro ai piatti e titolo in oro al dorso; tagli dorati, guardie
in carta marmorizzata, dentelles interne. Esemplare in buono stato di
conservazione, margini esterni di alcune carte sobri, cerniere usurate;
qualche nota manoscritta coeva in inchiostro marrone nel testo; firma di
appartenenza cancellata alla prima carta; all’ultima carta partitura musicale
manoscritta. Ex libris ‘Cornelius J. Hauck’; acquistato da Emil Offenbacher
nel marzo 1946.
Seconda edizione assoluta di questo raro e celebre trattato,
che è una ristampa pressoché fedele della princeps –
sono infatti stati utilizzati gli stessi legni – stampata a
Milano da Le Signerre nel 1496 («Reprinted with the
same quiring and mostly with the same page-contents
fromthe edition of Le Signerre [...]. The diagrams and
examples appear to be printed from Le Signerre’s original
blocks, but the title-cut and borders have not been
taken over», BMC). L’edizione milanese e quella bresciana
sono inoltre le uniche due ad essere stampate nell’arco
del secolo xv. L’opera dedicata a Ludovico il Moro,
venne redatta dal grande teorico e musicista
lodigiano Franchino Gaffurio, che fu maestro di cappella
del Duomo di Milano, notevole compositore di
messe, mottetti e inni, e amico di Leonardo da Vinci, che
lo immortalò nel famoso dipinto oggi conservato alla
Biblioteca Ambrosiana di Milano. «The importance of
Gafori’s Practica musicae of 1496 needs little explanation.
It is one of the larger summaries of the position of music
theory at the end of the fifteenth century and, with
24

its two accompanying treatises, the Theoria musicae and
the De harmonia, provides an almost complete picture of
the status of music theory at the time, including both
speculative and practical elements. It was a popular
book, going through five editions by 1512, and was referred
to and plagiarized from by most theorists of following
generations. Its contents, in four books, treat of
plainchant, mensural music, counterpoint, and proportions;
each shows Gafori’s erudition, for he quotes at
length from nearly all the great earlier writers on music
and gives much information about the composers
and practice of his own day» (A. Seay, recensione a Franchinus
Gafurius: Practica Musicae by Clement A. Miller e a
The Practica Musicae of Franchinus Gafurius by Irwin Young,
in «Notes», 2nd Ser., vol. 26, n. 2, Dec. 1969, p. 264).
HC 7408; IGI 4113; Goff G, 7; GW 10435; BMC VII, 979; Sander 2984;
Walsh 3417.
10
[Colonna, Francesco]. Hypnerotomachia Poliphili.
Venezia, Aldo Manuzio, dicembre 1499.
In-folio (mm 305x195). Collazione: a-y 8 , z 10 ,A-E 8 , F 4 . 234 carte non numerate.
Due grandi e 37 piccole iniziali silografiche che in successione
formano il celebre acrostico «Poliam fratrem Franciscus Columna peramavis».
Illustrato da 172 legni di cui 11 a piena pagina - due silografie
25

con una piccola ‘b’ in a6v e c1r fanno parte della segnatura - probabilmente
attribuibili alla cerchia del miniatore padovano Benedetto Bordon
(cfr. Lilian Armstrong, Benedetto Bordon, Aldus Manutius and Lucantonio
Giunta, Aldus Manutius and Renaissance culture, Florence 1998, pp.
161-183), ora Alessandro Parronchi propone il nome di Pietro Paolo
Agabiti. Legatura di Bozérian le Jeune in marocchino blu, i piatti sono
decorati da una cornice dorata, con al centro lo stemma dorato del conte
di Sutherland; dentelles interne, tagli dorati. Esemplare in ottimo stato
di conservazione, ad ampi margini, una lieve traccia di coloritura alla
silografia del Sacrificio. Ex-libris del 1632 al secondo frontespizio.
Prima edizione in prima tiratura - completa dell’errata -
del Sogno di Polifilo dedicata dal gentiluomo veronese
Leonardo Crasso, che ne finanziò la stampa, a Guidobaldo
da Montefeltro, duca di Urbino. Il romanzo allegorico
d’amore attribuito al frate domenicano del
convento di San Zanipolo Francesco Colonna - identificabile
dall’acrostico composto dai 39 capilettera che
ornano il testo - è uno dei rari volumi illustrati impresso
dai torchi della tipografia aldina. Scritto in un
linguaggio ibrido tra italiano e latino, irto di simbolismi,
di allusioni erudite, di riferimenti antiquari è un
unicum nella carriera dello stampatore veneziano e la
sua eccezionalità risiede anche nelle raffinate silografie
che adornano il testo.
HC* 5501; Goff C, 767; BMC V, 561; GW 7223; IGI 3062; Renouard
p. 21, n° 5; Laurenziana, n° 36; Marciana, n° 36;Ahmanson-Murphy 35;
Essling 1198; Lowry, pp. 129-135.
26

11
Pollux, Julius (sec. II d.C.). ULI OU PODEUKOUX
ONOMAXTIKON IULII POLLUCIS VOCABULARIUM. Venezia,
Aldo Manuzio, aprile 1502.
In-folio (mm 320x204). Collazione: aa-un 8 ,AA 4 , [*] 4 . 112 carte non numerate.Testo
in greco stampato su due colonne di 56 linee, l’Indice è invece
stampato in caratteri sia greci che latini. Splendida legatura ottocentesca
in marocchino blu scuro di René Simier, decorata ai piatti da
una cornice dorata a ferri floreali racchiusa da una cornice a due filetti;
dorso a sei nervi riccamente decorato da ferri floreali dorati con titolo
in oro; dentelles interne, sguardie in seta e in pergamena, tagli dorati,
astuccio in tela blu. Esemplare in ottimo stato di conservazione, stampato
in carta grande. Ex-libris al contropiatto anteriore.
Prima rarissima edizione del lessico di Polluce, retore e
grammatico del II secolo d.C. originario di Naucratis in
Egitto, che studiò ad Atene presso il sofista Adraino e, con
il favore dell’imperatore Commodo, ottenne la cattedra
di retorica presso la scuola pubblica di Atene. La sua opera,
una silloge di parole greche di grande interesse filologico,
si è conservata solo in parte. Si tratta di un’edizione
di grande eleganza, tra le greche più rare licenziate da Aldo.
L’Onomastikon, diviso in dieci libri e dedicato all’imperatore,
è l’opera più importante di Polluce; il testo è
preceduto da una dedica latina ad Elia Capreolo, giurista
e storico bresciano, ed è seguito da 8 carte di indici in
greco ed in latino; in fine è stampato il saluto in greco di
Scipione Forteguerri ai filologi.
27

Renouard 32, 1; Adams P, 1787;Venetiae-Byzantium (1993), n.12; Aldo
Manuzio editore, n. XXXIV.
12
[Pseudo-Bonaventura]. Devotissimum opus passionis
Christi Meditationum incipit: a seraphico doctore
Bonaventura editum [...]. Pesaro, Pietro Cafa per Girolamo
Soncino, 1510.
In-8° (mm 130x90). 96 carte non numerate. Segnatura: A-M 8 . La carta
con segnatura 8K posta per errore alla fine del quaderno H; il verso dell’ultima
carta bianco. Carattere gotico per i titoli, carattere romano per
il testo. Al frontespizio piccolo legno raffigurante San Francesco che riceve
le stigmate; al verso del frontespizio silografia a piena pagina (mm
118x77) rappresentante Cristo in croce. Nel testo 16 piccoli legni con
scene della Passione, copiati da incisioni veneziane o ad esse ispirati. Legatura
ottocentesca di gusto romantico in vitello nocciola con decorazioni
in oro e a secco ai piatti; titolo e decorazioni in oro al dorso, tagli
spruzzati di azzurro, sguardie in carta marmorizzata. Esemplare in discreto
stato di conservazione; bruniture in tutto il volume, specialmente
al frontespizio, i cui margini risultano usurati; una macchia d’inchiostro
alla carta 5Gr, piccoli fori di tarlo alcuni dei quali anticamente restaurati,
con ricostruzione delle lettere eseguita in inchiostro nero, fallo di carta
al margine inferiore bianco della carta 8G. Nota manoscritta di possesso
al frontespizio ‘S.P. Basilio Luchese’.
Rarissima edizione soncinate di quest’opera apocrifa,
attibuita a San Bonaventura, di cui esistono molteplici
versioni e numerose edizioni a stampa in cui viene però
raramente proposto il testo nella sua integrità. Pietro
28

Cafa, originario di Capo d’Istria, aveva lavorato come
fonditore di caratteri per l’officina di Aldo Manuzio, nel
1509 si trasferì a Pesaro presso Girolamo Soncino, che
fu l’editore di quasi tutte le sue stampe. Già il Manzoni,
nei suoi Annali ribadiva la rarità estrema dell’opera,
come si desume da quanto scrive in proposito: «Per cotesta
edizione debbo contentarmi di una scheda favoritami
sig. Prof. Adamo Rossi, che, nell’inviarmela, affermò
di non essere riescito a trovare l’esemplare del libro
che le corrisponde nella comunale di Perugia, dal di cui
catalogo apparisce legata con altra stampa soncinate parimente
sconosciuta, ed è: Ioannis Donati Ciondelli,
Sermones et oratiunculae vulgares et litterales. Pisauri,
per Hieronymum Soncinum, 1515» (Manzoni, n. 54).
Adams 2399; Olschki, Choix, 5562; Manzoni, Annali tipografici dei Soncino,
n. 54; Sander 1193; Fumagalli, p. 299; E. Sandal, Gershom, Girolamo,
Hieronymus, le edizioni del Soncino nelle città adriatiche 1502-1527. Catalogo
della mostra Soncino – Rocca Sforzesca 1 aprile – 27 maggio 2001, Soncino
2001, n. 39; 4 copie censite in EDIT 16.
29

13
Nebrija, Antonio de (1444-1522) – Escobar, Cristobal
de (m.ca.1541).Vocabolarium Nebrissense ex Sicilianensi
sermone in Latinum L. Christophoro
Schobare Bethico interprete traductum. Venezia,
Bernardino Benali, giugno 1519.
In-folio (mm 298x197). 115 di 116 carte numerate (manca l’ultima carta
con il colophon).Alla prima carta grande silografia (mm 67x166) raffigurante
Nebrija e l’allievo Scobar seduti ad una grande scrivania riccamente
decorata e circondata da scaffalature piene di libri su ambedue i
lati.Al verso della prima carta due capilettera su fondo criblé, ornati da un
motivo a linee interlacciate. Carattere romano, testo bilingue (sicilianolatino)
su tre doppie colonne. Legatura coeva in pergamena floscia, titolo
manoscritto al dorso. Esemplare in discreto stato di conservazione,
qualche gora e qualche macchia nel testo; restauri agli angoli di alcune
carte. Qualche nota manoscritta coeva nel testo; ex-libris al contropiatto
anteriore, antiche note di possesso manoscritte del barone Friddani e
di Angelo Chiaranda alla prima carta.
Prima edizione, di estrema rarità, di questo vocabolario
che, assieme a quello del filologo agrigentino Nicolò
Valla, segna una pietra miliare nella storia dei lavori lessicografici
della Sicilia. Dopo aver condotto studi grammaticali,
matematici e filosofici a Salamanca, Elio Antonio
de Nebrija passò in Italia frequentando i corsi di
ebraico e di greco al Collegio Spagnolo di Bologna e
dimorandovi per dieci anni. Di ritorno in Spagna insegnò
grammatica e retorica a Salamanca, che lasciò soltanto
nel 1513 per assumere una cattedra all’Università
30

di Alcalà, a cui fu chiamato dal cardinale Cisneros. Da
questo il Nebrija aveva già avuto l’incarico, nel 1502, di
rivedere i testi latini e greci della famosa Bibbia Poliglotta.
Negli anni 1492-1495, il celebre umanista e
grammatico spagnolo aveva pubblicato il Dictionarium
Latinum-Hispanicum et Hispanicum-Latinum, il primo lessico
compilato con precisa esperienza delle due lingue.
Uno dei suoi allievi, Luigi Cristoforo Scobar, canonico
di Siracusa e Agrigento, lo migliorò nel 1519 aggiungendovi
questa traduzione in dialetto siciliano; una seconda
edizione, ma trilingue (siciliano-latino-spagnolo),
sarà poi pubblicata l’anno successivo, sempre dai
torchi del tipografo veneziano Bernardino Benali. L’importanza
dell’opera, che comprende circa 3.000 voci, è
data dal fatto che resta il maggior esempio del genere
sia per la vastità che per la ricchezza dei vocaboli.
Brunet IV, 30 («rare et curieux»); Graesse IV, 654; Sander-Rava, 4947 bis;
Moncada lo Giudice, Una Biblioteca Siciliana, 2027 («opera da considerarsi
quasi in 45 anni di collezionismo non l’ho mai trovata sul mercato, e delle
rarissime copie esistenti in biblioteche pubbliche quasi tutte sono mutile»);
Bacchi della Lega, Bibliografia dei vocabolari siciliani (Sinesio,Valla, Scobar), pp.
43 e segg. Manca ad Adams e alla British Library.
31

14
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Innamoramento
di Florio et di Bianzafiore chiamato Philocolo
[...]. Venezia, Bernardino Viani da Lissona, 22 marzo
1520.
In-4° (mm 210x150). 208 carte non numerate. Il titolo è racchiuso entro
una cornice silografica a piena pagina ornata dai ritratti dei due
amanti, da figure antropomorfe e da elementi architettonici; piccole iniziali
silografiche ornate nel testo. Legatura settecentesca in vitello marrone,
dorso decorato da ferri dorati, tagli azzurri. Esemplare in buono
stato di conservazione, accuratamente lavato, restauri ai margini di alcune
carte.Al verso del piatto anteriore nota di possesso manoscritta settecentesca:
Ex-libris ‘Alexandri Dunanti’.
Rara edizione di quest’opera giovanile del Boccaccio,
uscita dai torchi di Bernardino Viani da Lesona, nei
pressi di Vercelli, che esercitò la propria attività a Venezia
tra il 1501 ed il 1543. Il Filocolo è la scrittura prosatica
più antica del Boccaccio e si ispira al poemetto francese
(di cui la versione più antica risale al 1160 ca.)
Floire et Blanchefleur, in cui viene narrata la «storia di un
ragazzo pagano e di una ragazza cristiana allevati insieme
alla corte del padre di lui, Felice re di Spagna, e della
loro passione, ostacolata dai genitori di Florio, ma dopo
complesse traversie trionfante. Fino a epoca recente
si riteneva (col Crescini) che il Filocolo derivasse dal cantare
italiano di Fiorio e Biancifiore (la cui redazione più
antica fu trascritta circa nel 1345), mentre ora è stato di-
32

mostrato inoppugnabilmente (dal Monteverdi) che è il
cantare a presupporre la conoscenza del Filocolo; ed essendo
il Fiorio il primo o fra i primi cantari di cui si abbia
notizia, si rafforza l’ipotesi che inventore del cantare
in ottave sia proprio, per il Filostrato, il Boccaccio» (G.
Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansoni
2003 3 , p. 710).
Zambrini, p. 105; STC Italian, p. 111; Essling, 2074; Sander 1094; manca
in Adams; 8 copie censite in EDIT 16.
15
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Ameto. Firenze,
eredi di Filippo Giunta, 20 febbraio 1521.
In-8° (mm 162x97). 102 carte numerate erroneamente 94, numerosi errori
nella paginazione, due carte non numerate, la prima bianca, la seconda,
mancante in questo esemplare poiché è stata tagliata lungo il margine
interno, avrebbe dovuto recare la marca tipografica dei Giunti.
Capilettera silografici. Legatura del sec. XIX in pergamena rigida con unghie,
titolo manoscritto al dorso, tagli dorati e goffrati. Esemplare accuratamente
lavato, in buono stato di conservazione; sottolineature a lapis
rosso alle cc. 10 e 11.
Rara seconda edizione giuntina in prima emissione, dedicata
a Giovanni Serristori e la prima di questo testo ad
esser stata stampata in forma d’enchiridio e in corsivo.
«Elegante edizione. Bernardo Giunta scrive a Gio. Serri-
33

stori, d’essere ricorso ad antichi testi, lagnandosi che tutte
le impressioni anteriori si trovassero troppo viziate»
(Gamba, p. 66).
Camerini, n. 161; Graesse I, 447; Gamba, 200; Renouard 46, n. 53; Brunet
I, 992.
16
Modesti, Publio Francesco (1471-1557). [Venetiados
Libri XII, et alia poemata]. Rimini, Sebastiano
Modesti per Bernardino Vitali, 28 novembre 1521. (Legato
con:) Gunther von Pairis (1150-1220). Ligurinus,
seu Opus De Rebus gestis Imp. Caesaris Friderici,
I. [...]. Bartolini, Riccardo (m. 1529).
Austriados lib. XII [...] cum scholiis Iacobi Spiegellij.
Strassburg, [Johann Schott], 1531.
Due opere – entrambe divise in due parti – in un volume in-folio (mm
293x200). I: 258 carte non numerate. Titolo stampato in rosso e racchiuso
in una grande cornice silografica con la marca tipografica del
Vitali raffigurante S. Marco in cattedra che scrive il Vangelo, con ai piedi
il leone alato che stringe fra gli artigli il libro e, nella targa in basso, le
iniziali del tipografo (Z823); alla carta 12v legno raffigurante il leone di
S. Marco. II: 246 pagine numerate, 10 non numerate, 353 pagine numerate,
17 non numerate.Al frontespizio ricca cornice architettonica in legno
in cui compaiono, in basso, i sovrani Federico I Barbarossa, Massimiliano
I d’Austria, Carlo V d’Asburgo e Ferdinando d’Asburgo e, in alto,
i relativi stemmi; all’inizio di entrambe le parti dell’opera una grande
cornice silografica a motivi fitomorfi, animali e figure antropomorfe, de-
34

corata da medaglioni contenenti ritratti di imperatori di ispirazione classica,
entrambe le cornici sono state anticamente colorate a tempera così
come alcuni dei finalini e dei capilettera silografici ornati nel testo. Remboîtage
in legatura cinquecentesca in pelle di scrofa su assi di legno, riccamente
decorata a secco ai piatti; dorso a quattro grandi nervi con titolo
manoscritto, due fermagli in ottone lungo il margine esterno.
Esemplare in ottimo stato di conservazione, qualche piccolo foro di tarlo,
mancanze al piatto posteriore della legatura, agganci in pelle dei fermagli
ricostruiti. Qualche nota manoscritta coeva ai margini della seconda
opera.
I. Prima rarissima edizione della Veneziade che non solo
è da annoverare tra le prime testimonianze tipografiche
di Rimini, ma che è anche l’unico libro ivi impresso da
Bernardino Vitali, attivo principalmente a Venezia. L’edizione
di questo lungo poema eroico latino, composto dal
domenicano umanista e poeta Publio Francesco Modesti,
venne curata dal fratello Sebastiano, che «per stampare
più correttamente detto poema aveva condotto in Rimini
espressamente e a sue spese un novello calcografo»:
Bernardino Vitali appunto (Manzoni, Annali dei Soncino,
II, p. 36-37).Tuttavia nonostante i propositi di Sebastiano
l’edizione è piena di mende, come testimonia la nota del
correttore. Il Venetias, contenuto nella prima parte dell’opera
e diviso in 12 libri, celebra la storia della città di Venezia
e le gesta dei suoi cittadini ed è dedicato al doge
Antonio Grimani. Nella seconda parte del volume impresso
dal Vitali sono invece contenute alcune opere minori
del Modesti «quelques élégies et “sylvae” sur les événements
contemporains, addreessées à François I er et à la
reine Claude. À la fin:“Duellum inter Vidum Rangonem
35

et Ugonem Pepulum”.Toutes ces poésies sont pleines de
haine implacable contre Maximilien, sont toutefois d’un
certain intérêt pour l’histoire du temp» (Olschki, Choix,
4881).
II. Splendida edizione divisa in due parti, nella quale vengono
raccolti due interessanti poemi encomiastici: il Ligurinus
e l’Austrias. Il primo celebra le imprese di Federico
Barbarossa contro i ligures, cioè gli italiani – e «dopo
essere stato creduto per un certo tempo perfino una falsificazione
umanistica, trovò, per gli studi del Pannenborg,
una paternità in quel Guntero monaco cistercense
di Pairis, nell’Alsazia, il quale oltre che essere autore di
uno scritto ascetico [...], tradusse intorno ai primi anni
del 1200, nella Historia captae a Latinis Constantinopoleos,il
racconto della quarta Crociata fattogli dal suo abate Martino»
(P. Mastrandrea, Arnaldo da Brescia nel “Ligurinus” di
Gunther von Pairis, p. 185). Il secondo, qui in prima edizione,
è invece un poema epico di stampo virgiliano -
corredato dal commento di Jacob Spiegel - dell’umanista
perugino Riccardo Bartolini che trovò fortuna in
Germania, diventando segretario di Matthias Lang, vescovo
di Gurk, ed assumendo una posizione di rilievo
nella cerchia di scrittori che si raggruppava intorno alla
corte dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo (1493-
1519). «Massimiliano considerava talmente importante
quest’opera che incaricò il suo cortegiano preferito, Jacobus
Spiegel, di scriverne un commento [...] poi pubblicato
a lunga distanza di tempo posteriormente alla
36

morte dell’imperatore» (L. Szörènyi, L’influenza della Farsaglia
di Lucano sull’epopea tardo-umanista latina in Ungheria,
p. 103)
I: Brunet III, 1783; Olschki, Choix, 4881; Fumagalli, p. 327; STC Italian,
442; Cat. Colombina, V, p. 118; Manzoni, Annali dei Soncino, II, pp. 34-39;
Essling 2113; Sander 4862. II: P. Mastrandrea, Arnaldo da Brescia nel “Ligurinus”
di Gunther von Pairis: i modelli epici antichi, in «Paideia», 60 (2005),
p. 185-193; L. Szörènyi, L’influenza della Farsaglia di Lucano sull’epopea tardo-umanista
latina in Ungheria, in «Neohelicon», 27/2 (dic. 2000), pp. 97-
111.
17
Bembo, Pietro (1470-1547). Prose di M. Pietro
Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua
[...]. Venezia, Giovanni Tacuino, 1525.
In-4° (mm 298x210). 94 carte con numerazione romana. Legatura
coeva in piena pergamena, dorso a tre nervi. Esemplare non sofisticato
in buono stato di conservazione, ampi margini. Copia annotata da marginalia
di mano cinquecentesca, il lettore del tempo riporta ai lati del
testo esplicative summe ivi comprese le caratteristiche ‘capitali’ romane
diffuse nell’opera bembiana.
Prima edizione delle Prose della volgar lingua, in cui il
Bembo «fonda anzitutto la coscienza critica della tradizione
letteraria italiana, indicandone gli esempi più significativi
nell’ambito dei grandi scrittori del Trecento.
La ricchissima esemplificazione di modi e di parole che
37

il Bembo dà, ricavandoli dai suoi ammirati trecentisti, è
volta a costituire una lingua che abbia dignità ed eleganza
letteraria e al tempo stesso la vivacità e la naturalezza
dell’uso toscano» (cfr. Pietro Bembo, Prose della volgar
lingua, Gli Asolani, Rime, a cura di Carlo Dioni-sotti,
Utet-Classici Italiani, Milano 1989, p. 29).
Probabilmente già negli ultimi anni del Quattrocento,
mentre era impegnato nella cura delle edizioni di Petrarca
(Canzoniere, Aldo Manuzio, 1501) e di Dante
(Commedia,Aldo Manuzio, 1502), Bembo aveva cominciato
a riflettere sulla generale ‘questione della lingua’, e
proprio le sue esperienze presso la tipografia aldina furono
fondamentali per l’affermazione dell’idea che accanto
al patrimonio dei greci e dei latini vi fosse ormai
un patrimonio di scrittori in volgare, di classici italiani;
infatti nell’edizione del Canzoniere compare un’appendice,
anonima ma certamente di Bembo, in cui si discutono
alcuni aspetti della lingua e dello stile di Petrarca
e che costituisce un primo nucleo dei ragionamenti
che l’autore farà negli anni successivi.
Come ricorda Dionisotti «la storia della letteratura italiana
non comincia con le Prose del Bembo, comincia
col De vulgari eloquentia di Dante tradotto dal Trissino,
ma è certo che il ponte di quella storia che sul corso di
quattro secoli congiunge la riva del De vulgari eloquentia
a quella della Ragion poetica del Gravina ha a mezza via
nelle Prose il suo pilastro centrale che regge l’intera
struttura. Di li viene, al di là delle indicazioni dantesche
38

e petrarchesche, l’inquadramento della poesia italiana
nell’ambito di un’originaria poetica romanza, la scoperta
cioè di un medioevo letterario diverso da quel che
per la storiografia umanistica erano i relitti anonimi, informi,
della decadenza latina; di lì la discussione in termini
tecnici, propriamente letterari, di lingua e stile e
forme,metriche,dell’influsso provenzale sull’antica poesia
italiana, e di questa stessa poesia, e dell’antica prosa,
dal Novellino al Villani. In poche pagine delle Prose, con
rigore teorico e sottigliezza di analisi, i capolavori della
letteratura volgare, Dante, Petrarca, Boccaccio, vengono
per la prima volta definiti in termini di lingua e di stile,
per quei caratteri che soli, secondo il Bembo, erano
propri dello scrittore, di qualunque materia e in qualsiasi
lingua scrivesse» (Ibid., p. 31).
Gamba 136; P. Bembo, Prose della volgar lingua, Gli Asolani, Rime, a cura
di C. Dionisotti, Milano 1989.
18
Trissino, Giovanni Giorgio (1478-1550). La Poetica.
Vicenza,Tolomeo Ianiculo, 1529.
In-folio piccolo (mm 280x180). 68 carte con numerazione romana. Bella
insegna tipografica impressa al verso dell’ultimo foglio. Legatura ottocentesca
in mezza pergamena, tassello con titolo in oro al dorso. Esemplare
in buono stato di conservazione.
39

Prima edizione in prima tiratura della Poetica del Trissino,
stampata su carta forte e priva dell’errata solitamente
apposta agli esemplari successivi alla prima impressione.
L’opera è divisa in quattro libri, o divisioni,
dedicati all’arte metrica. I rimanenti libri della Poetica,
già composti nel 1549, apparvero postumi a Venezia
presso Andrea Arrivabene nel 1562 con il titolo de La
quinta e la sesta divisione dove l’umanista tratta, secondo
i canoni aristotelici, i rimanenti generi letterari. Il Tasso
intorno a questa opera così scriveva «Ne fo molta
stima, perchè egli fu il primo che ci diede alcuna luce
del modo di poetare tenuto da’ greci; et arricchì questa
lingua di nobilissimi componimenti» (T.Tasso, Lettere
Poetiche del Tasso, Milano 1995, p. 89). Come è
usuale nelle edizioni originali delle opere a firma del
letterato vicentino, la princeps della Poetica si distingue
per un’elegante veste tipografica, resa particolarmente
preziosa dallo stupendo corsivo, fuso da Lodovico Arrighi
e fornito personalmente dall’autore allo stampatore.Al
Trissino linguista pertengono, poi, le sottigliezze
grafiche introdotte: omega ed epsilon per differenziare
le o e le e aperte o chiuse, le vocali u e i in luogo delle
consonanti v e j.
Gamba 1706; Adams T, 955; Mortimer 507.
4040

16. Modesti, Publio Francesco

20. Lemaire de Belges, Jean

21. Ptolomaeus, Claudius

23. Valla, Lorenzo

27. Honter, Johannes

26. Novum Testamentum Graecum

24. Tartaglia, Niccolò

28. Aragonese, Sebastiano

19
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Fiammetta. Venezia,
Bernardo di Filippo Giunta, 1533.
In-8° (mm 142x90). 110 carte con numerosi errori nella paginazione,
una carta bianca seguita da una carta recante, al verso, la marca tipografica
dei Giunti (Z647). Legatura del sec. XVIII in mezza pelle con titolo in
oro su tassello rosso al dorso. Esemplare in discreto stato di conservazione,
lievi fioriture, margine superiore sobrio.
Terza edizione giuntina della Fiammetta del Boccaccio,
che riprende la prima del 1517, e la successiva ristampa
del 1524 e, come precisa il Gamba, va rammentata poiché
è «questa edizione, ch’è la prescelta dagli Accademici»
(p. 64).
Bacchi della Lega, p. 111; Camerini, n. 229; Renouard 54, n. 122; Gamba,
195.
20
Lemaire de Belges, Jean (1473-1524). Le promptuaire
des conciles de Leglise Catholique, avec les
Scismes & la difference diceulx [...]. Imprime
nouvellement. [Lione, Denys de Harsy per Romain
Morain], 1533.
In-8° (mm 134x93). 72 carte numerate con numerazione romana. Frontespizio
con titolo stampato in rosso e nero racchiuso entro cornice si-
41

lografica a motivi floreali; al centro piccolo legno raffigurante l’autore in
cattedra; 31 piccoli legni nel testo, alcuni dei quali ripetuti, di cui 18 raffigurano
papi, re e imperatori e 13 altre scene di cui molte dell’Eneide;
capilettera silografici animati ed ornati. Legatura novecentesca in pelle
marrone riccamente decorata a secco, due fermagli in ottone lungo il taglio
esterno. Esemplare in ottimo stato di conservazione, piccolo foro al
margine bianco delle prime tre carte. Ex-libris inciso al contropiatto anteriore,
timbro di appartenenza al frontespizio.
Rara edizione di quest’opera – stampata per la prima
volta nel 1511 con un titolo leggermente differente –
che è una nuova emissione di quella impressa dal medesimo
tipografo l’anno precedente dalla quale differisce
unicamente per la data al frontespizio (1532). «La
popularité du Traité est démontrée par le fait que dès
1532 à Lyon paraît une édition du Traité, du Sophy et du
Saufconduit sous le nouveau titre de Promptuaire des conciles.
Ce dernier suit en général le texte de Regnault, Paris
1528, sans qu’il y ait des variantes qui suggèrent une
intention polémique quelconque. Remise en vente en
1533 avec une nouvelle date sur la page du titre, cette
édition est imitée par des éditeurs parisiens au cours des
années 40 et 50» (J. Lemaire de Belges, Traicté de la différence
des schismes et des conciles de l’église, éd. J. Britnell, pp.
49-50).
L’autore di questo interessante trattato polemico, il poeta
e storico Jean Lemaire de Belges, nipote e allievo del
celebre cronista Molinet, fu prima segretario di Luigi di
Lussemburgo, poi bibliotecario di Margherita d’Austria,
e infine storiografo di Luigi XII per il quale scrisse il
42

Promptuaire des Conciles, raccolta di storie di scismi dal
sapore profetico, per supportare il re di Francia nella sua
lotta che mirava alla deposizione di papa Giulio II. Si
tratta dunque di un’opera di propaganda, in cui viene
proposta una visione gallo-monarchica della storia, che,
come altre opere del Lemaire, ebbe una vasta diffusione
e venne stampata più volte nel corso del secolo XVI, anche
all’interno delle raccolte delle opere complete. È interessante
notare come la parte finale dell’opera contenga
La vraye Histoire du Prince Syach Ysmail – che narra
la storia del principe persiano Syach, fondatore della dinastia
Safavide, con accenti marcatamente antipapali e
che l’autore tradusse - come ammette egli stesso - dall’italiano,
basandosi sulla Vita del Sophi re di Persia et de
Media, et de molti altri regni et paesi scritta da Giovanni
Rotta e stampata a Venezia nel 1508.
Baudrier V, 375-76; K. Miriam Munn, A Contribution to the Study of Jean
Lemaire de Belges.A Critical Study of Bio-bibliographical Data, Including a Transcript
of Various Unpublished Works, New York 1936, nn. 31-32; Bujanda, p.
387; J. Lemaire de Belges, Traicté de la différence des schismes et des conciles de
l’église avec l’histoire du Prince Sophy et autres oeuvres, édition critique par
Jennifer Britnell, Genève 1997 (cfr. pp. 70-71 per la descrizione di questa
edizione).
43

21
Ptolomaeus, Claudius (100-ca. 178). Magnae
Constructionis, Id est Perfectae coelestium motuum
pertractationis, lib. XIII [...]. Basel, Johann
Walder, 1538.
In-folio (mm 322x202). 16 pagine non numerate, 327 numerate.Titolo
in greco e in latino, lettera di dedica in latino, testo in greco. Numerosi
diagrammi su legno nel testo, capilettera silografici animati e
ornati. Legatura coeva in pergamena, titolo manoscritto al dorso.
Esemplare in buono stato di conservazione, lievi gore, legatura usurata
con sguardie ottocentesche. Manca, come nella maggior parte
degli esemplari, il secondo volume col Commento di Teone di Alessandria.
Prima edizione dell’originale greco della più importante
opera astronomica di Tolomeo, curata dal celebre
umanista Simone Grineo – amico intimo di Erasmo e
Tommaso Moro – e da lui dedicata a re Enrico VIII
d’Inghilterra. Il Grineo preparò la presente edizione
basandosi su uno dei manoscritti greci del cardinal
Bessarione, donato dal Regiomontano alla biblioteca
di Norimberga ed oggi perduto. Si tratta della prima
opera di Tolomeo, comunemente nota dal medioevo in
poi con il nome di Almagesto, dal titolo della traduzione
araba Al-Majisti («Grande composizione»), in cui
l’astronomo greco propose la sua teoria geocentrica
del sistema planetario, che godette di un successo immenso
e fu accettata, per più di mille anni, nei paesi
44

europei e arabi come il corretto modello cosmologico.
Adams P, 2209; Brunet IV, 947.
22
Norchiati, Giovanni (sec. XVI). Trattato de dihpthongi
toscani. Venezia, Giovann’Antonio Nicolini da
Sabio per Marchiò Sessa, 1539.
In-16° (mm 150x98). 16 carte non numerate. Al frontespizio e al verso
dell’ultima carta marca tipografica del Sessa ‘gatto con topo in bocca in
cornice figurata’ (U140). Legatura moderna in marocchino rosso. Esemplare
in ottimo stato di conservazione, lievi fioriture, margine esterno sobrio.
Prima ed unica edizione di questa grammatica dedicata
dall’autore, che fu canonico di San Lorenzo a Firenze, a
Pierfrancesco Giambullari. Come ricorda il Gamba,
«sappiamo dal Doni (Libraria Prima;Ven. 1560, pag. 60),
che’l Norchiati fiorentino avea raccolto più di diecimila
vocaboli, spettanti tutti ai mestieri anche più meccanici;
utilissima fatica che non comparve mai in luce».
Gamba, 1538; Graesse N, 686; C.Vitali, Grammatiche stampate nei secoli XV
e XVI e loro più preziose edizioni, n. 218.
45

23
Valla, Lorenzo (1407-1457). Elegantiarum latinae
linguae libri sex. Eiusdem de Reciprocatione Sui,
& Suus, libellus [...]. Lione, Sebastiano Grifo, 1544.
In-8° (mm 169x111). 486 pagine numerate, 42 non numerate.Al frontespizio
e al verso dell’ultima carta due varianti della marca tipografica del
Grifo; capilettera silografici animati ed ornati nel testo. Splendida legatura
bolognese – strettamente coeva – in marocchino nocciola con i piatti
decorati da una cornice a ferri floreali dorati con al centro un medaglione,
anch’esso composto da ferri floreali, che racchiude, al piatto anteriore,
la scritta:‘L.VALLA ELE.’ e, al piatto posteriore, un’immagine allegorica
della Fortuna; dorso a sette nervi decorato da filetti dorati, tagli in oro.
Esemplare in ottimo stato di conservazione,lievi gore,fori di tarlo ai margini
inferiori bianchi dei primi quaderni, con minime perdite di lettere
su alcune carte, accurati piccoli restauri al dorso e agli angoli della legatura.
Ex-libris ‘Cornelius J. Hauck’ al contropiatto anteriore.
Splendido esemplare in legatura coeva di questa grammatica
considerata «la Magna Charta dell’Umanesimo,
non italiano soltanto ma europeo» (C. Dionisotti, Geografia
e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi
1971, p. 189) e stampata per la prima volta a Roma da
Filippo de Lignamine nel 1471. Le Elegantiae propongono
uno studio della lingua latina basato sui testi classici
e per la loro struttura organica e facilmente fruibile
riscossero un successo enorme e vennero adottate come
libro di testo nelle scuole per gran parte del XVI secolo.
La ricca legatura presenta alcuni ferri floreali che formano
la cornice ed i fregi angolari simili a quelli di una
46

legatura conservata alla Biblioteca Universitaria di Bologna
e riprodotta in T. De Marinis, La legatura artistica
in Italia nei secoli 15 e 16, Firenze 1960, vol. 2, tav.
CCXXVII.
Adams V, 182 (con data 1543).
24
Tartaglia, Niccolò (ca. 1449-1557). Quesiti, et inventioni
diverse [...]. [Venezia,Venturino Ruffinelli
per l’autore, luglio 1546].
In-4° (mm 207x147). 4 carte non numerate, 128 carte numerate 5-132,
due carte non numerate. Al frontespizio grande ritratto silografico dell’autore;
numerosi diagrammi ed illustrazioni su legno nel testo; capilettera
silografici animati ed ornati. Legatura moderna in marocchino blu,
decorata da una cornice a doppi filetti ai piatti; titolo in oro al dorso.
Esemplare in buono stato di conservazione; una macchia d’inchiostro al
margine superiore del frontespizio e alcune macchie alla c. 33v. Alcune
note manoscritte coeve nel testo e al foglio di guardia posteriore.
Prima edizione di una delle opere principali di uno dei
maggiori matematici del Rinascimento, curata dall’autore
stesso e da lui dedicata a re Enrico VIII d’Inghilterra.
Il Quesiti et inventioni propone la risoluzione delle
equazioni di terzo grado, già conseguita da Scipione del
Ferro (1465-1526) nel primo o secondo decennio del
Cinquecento ma mai divulgata. Tartaglia ne espose la
47

formula solo in seguito all’indebita appropriazione dell’invenzione
da parte di Girolamo Cardano che, dopo
averla appresa dallo stesso Tartaglia nel 1539, l’aveva
pubblicata nella sua Ars magna del 1545. Il volume è diviso
in nove libri, ciascuno dei quali comprende un certo
numero di “quesiti” relativi a problemi che trattano
di artiglieria, agrimensura, fortificazioni, topografia,
equilibrio delle bilance e statica dei gravi. L’opera «è in
prosa, tranne l’indirizzo “Alli lettori” (che è un sonetto
caudato), l’enunciato di un problema algebrico proposto
al Tartaglia (IX, 22) e la regola risolutiva delle equazioni
cubiche (IX, 34), che è in terzine. Italiana è la lingua,
viva ed efficace anche se disadorna. Ogni quesito si
svolge in forma di dialogo, talvolta epistolare, fra un personaggio
che domanda e il Tartaglia che risponde (ma
vari quesiti del libro VIII si riducono a un semplice
enunciato). Non raramente, del dialogo sono enunciate
le circostanze di luogo e di tempo: il Tartaglia si trova a
Verona e a Venezia (e una volta a Milano), e le date varinao
fra il 1521 e il 1545. Gli interlocutori del Tartaglia,
ora oscuri ora illustri, appartengono ai più vari ceti
sociali» (A. Masotti, Studi su Nicolò Tartaglia, Brescia
1962, p. 21).
Adams T, 183; Riccardi, I, 499; G. Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani
in Italia nel Cinquecento, Brescia 2000, pp. 212-213.
48

25
L’Alcorano di Macometto nel qual si contiene la
dottrina, la vita, i costumi, et le leggi sue. Tradotto
nuovamente dall’arabo in lingua italiana.
[Venezia, Andrea Arrivabene], 1547.
In-4° (mm 197x141). 4 carte non numerate, 50 carte numerate in cifre
romane, 100 carte numerate. Frontespizio con titolo racchiuso entro una
ricca cornice silografica ornata da vignette raffiguranti scene del Corano;
iniziali ornate nel testo. Legatura coeva in pergamena rigida rimontata, titolo
manoscritto al dorso, tracce di bindelle. Esemplare in discreto stato di
conservazione, restauri alle prime e alle ultime carte, qualche lieve gora.
Prima rarissima edizione della prima traduzione in lingua
italiana del Corano, che è anche la prima traduzione
in una lingua europea moderna, dedicata dall’Arrivabene
a Gabriel de Luels, seigneur d’Aramon (c. 1508-
1533), che fu ambasciatore francese presso la corte di Solimano
il Magnifico. «Il testo del Corano tradotto in
volgare vien diviso in tre libri: il primo libro, “dove dimostrasi
con qual pessime arti hebbe principio l’imperio
e la religione di Macometto” (f. 1r-24v); il secondo
libro “nel quale si contiene la legge de Sarracini impostagli
da Macometto” (f. 25r-61v); il terzo libro “nel quale
medesimamente si contiene la legge di Macometto”
(f. 62r-100v). Ma, nonostante la vantata derivazione dal
testo arabo, si scopre la presenza d’una traduzione latina.
Di questa mediazione si accorse per primo (o tra i primi)
il Lang, che infatti notò come il traduttore stesso ci-
49

ti alla fine dell’opera la versione latina tenuta presente.
Inoltre il Lang poté accertare la estraneità del contenuto
del primo libro e affermare la derivazione di esso da
altre fonti arabe tradotte insieme al Corano da Ermanno
Dalmata e ristampate da Bibliander. Sarebbe stato facile
risalire a uno dei parecchi manoscritti della versione
di Roberto di Chester, che [...] esistevano in Italia; ma
evidentemente l’Arrivabene (o il suo traduttore) si servì
dell’edizione messa a stampa dal Bibliander. Ciò si nota
in qualche richiamo dell’edizione italiana a quella svizzera
e precisamente nella introduzione, che riecheggia le
parole del Bibliander a proposito del pericolo turco incombente
“in quegli agitatissimi tempi”. Pertanto è abbastanza
certo che l’ignoto traduttore incaricato dall’Arrivabene
si sia servito della edizione latina apparsa a
Basilea quattro anni prima» (C. De Frede, La prima traduzione
italiana del Corano sullo sfondo dei rapporti tra Cristianità
e Islam nel Cinquecento, Napoli 1967, pp. 36-37).
La maggior parte degli esemplari di questa edizione andò
con tutta probabilità distrutta, dal momento che l’Alcorano
dell’Arrivabene entrò a far parte dell’Indice dei libri
proibiti dalla Chiesa, ed il suo titolo figura in
numerosi documenti – risalenti agli anni ’60-’70 del
Cinquecento – riguardanti alcune inchieste intentate dai
commissari dell’Inquisizione contro numerosi librai ed
editori veneziani.
BMC Arabic I, 894; BMC Arabic (suppl. 2), 423; Chauvin, p. 122; Schnurrer,
p. 425; Binark-Eren, 985;Vercellin, 3; Ascarelli-Menato, p. 367.
50

26
THS KAINHS DIAQHKHS APANTA EUAGGELION [...]. Novum
Iesu Christi D. N. Testamentum. Ex Bibliotheca
Regia. Parigi, Robert Estienne, 1550.
In-folio (mm 337x212). 32 pagine non numerate, 268 pagine mal numerate
272, 202 numerate, una carta non numerata. Carattere greco, disegnato
da Garamond e detto Grec du Roi, su 34-35 linee, in tre differenti
varianti. Al frontespizio marca tipografica dell’Estienne (serpente
accollato ad una vite), una differente marca al verso dell’ultima carta.Alle
pp. 14-18 splendide cornici silografiche con putti e motivi floreali che
racchiudono il testo; capilettera ornati e finalini silografici nel testo. Exlibris
di varie epoche al contropiatto e al foglio di guardia anteriore.
Terza edizione del Nuovo testamento greco impresso dall’Estienne,
che è di gran lunga la migliore, ed è considerata
il capolavoro tipografico del grande stampatore
parigino. Si tratta inoltre del primo libro stampato con
il grande corsivo gros-parangon ed il primo che utilizzi i
tre caratteri del Grec du Roi. Il volume fa parte delle
prestigiose edizioni dette Ex Bibliotheca Regia, poiché i
testi venivano stabiliti sulla base di manoscritti conservati
alla Bibliothèque Royale. La lezione segue assai fedelmente
quella stabilita da Erasmo nell’edizione del
1516, mentre lungo il margine interno viene riportato
l’apparato critico – il primo mai apparso nell’edizione
di un testo greco - con la scelta delle lezioni tratte da
differenti manoscritti, uno italiano, otto della Bibliothèque
du Roi, sei appartenenti a collezioni private.
L’Estienne afferma di averli collazionati personalmen-
51

te, sebbene sia stato scoperto di recente che il lavoro
venne in realtà eseguito dal figlio Henri che, nella sua
collazione (non priva di imprecisioni ed errori) indicò
i codici con le lettere dell’alfabeto greco. Dal momento
che nell’edizione non vengono fornite ulteriori informazioni
sulle caratteristiche dei manoscritti utilizzati,
ricostruire il metodo ed i criteri filologici sottesi alla
preparazione dell’opera si è rivelato essere impresa assai
ardua; in tempi recenti è stato identificato uno dei
testimoni adoperati nel Codex Bezae Cantabrigiensis
(donato nel 1581 alla Biblioteca dell’Università di
Cambridge), testimone fondamentale nell’ambito della
tradizione manoscritta del Nuovo Testamento in greco.
Renouard, Annales de l’imp. des Estienne, 75, n.1.; Mortimer, French 16th
cent., 78; Schreiber, The Estiennes, 105.; Darlow & Moule, 4622.
27
Honter, Johannes (1498-1549). Rudimentorum
Cosmographicorum [...] Libri III. Cum tabellis
Geographicis elegantissimis. Anversa, Jean Richard,
[1555?].
In-8° (mm 139x87). 31 carte non numerate, una bianca, 14 carte non
numerate con le mappe del mondo, tra le quali una tavola con l’ordine
dei pianeti, una con le regioni e nomi dei venti, un planisfero stampato
a doppia pagina, seguono 37 carte bianche aggiunte nel Settecento. Al
52

frontespizio marca tipografica raffigurante la Fortuna col motto Fortuna
rotat omne fatum; capilettera silografici animati ed ornati nel testo. La marca,
le tavole e i capilettera recano tutti una splendida coloritua strettamente
coeva. Legatura settecentesca in vitello nocciola, titolo e decorazioni
in oro al dorso, tagli azzurri, segnalibro in seta verde; custodia
moderna. Esemplare in ottimo stato di conservazione. Ex-libris ‘J.C. Dezauche’
al contropiatto anteriore; timbro di appartenenza al frontespizio.
Rarissima edizione, con splendida coloritura coeva delle
tavole, di quello che può essere considerato il primo
atlante geografico europeo. Johannes Honter, umanista
e teologo, originario di Brassó in Romania, divenne famoso
principalmente per la sua attività di cartografo e
di geografo. Nel 1539 aprì una tipografia nella sua città
natale e nel 1542 stampò per la prima volta i suoi Rudimenta
Cosmographica, manuale di cosmografia corredato
da un testo in versi, che doveva facilitarne l’apprendimento,
e che godette di una fortuna immensa tanto
che se ne contano, nel corso del Cinquecento, non meno
di 39 edizioni stampate a Brassó, Anversa, Zurigo,
Basilea, Rostock, Praga e Colonia.
Adams H, 834; Le Cinquecentine della Biblioteca Casanatense, n. 210
53

28
Aragonese, Sebastiano di Ghedi (1523-dopo il 1564).
Monumenta antiqua urbis et agri Brixiani. [Brescia],
1564 (ma 1778).
In-folio (mm 391x266). 34 tavole non numerate e stampate – solo al recto
– su fondo nero in silografia. Legatura novecentesca in cartone; titolo
in oro su tassello al dorso. Esemplare in buono stato di conservazione; piccoli
fori e margini usurati al frontespizio, il margine interno di alcune carte
rinforzato. Ex-libris ‘Cornelius J. Hauck’ al contropiatto anteriore.
Unica edizione di questa rarissima opera rimasta inedita
fino al secolo XVIII, quando ne furono stampati pochissimi
esemplari utilizzando le matrici originali del 1564
(cfr. G. Labus, Dissertazione su d’un libro rarissimo di antichi
monumenti bresciani raccolti dall’Aragonese pittor Bresciano del
secolo XVI colle notizie biografiche, in Commentari dell’Ateneo
di Brescia degli anni 1818-1819, Brescia 1820, pp. 111-
118). Le suggestive tavole sono stampate su fondo nero e
raffigurano epigrafi romane della città lombarda. «Ce volume
peu connu consiste seulement en 34 pp. grav. en
bois, avec des lettres blanches sur un fond noir. Il est resté
inédit, jusqu’en 1778, époque à laquelle un curieux fit
tirer quelques épreuves de ces anciennes planches» (Brunet).Sebastiano
Aragonese,pittore e incisore,era figlio del
pittore spagnolo Alessandro. Di lui conosciamo quadri e
disegni, tra i quali, quelli per quest’opera e i legni originali,
conservati nell’Archivio di Brescia.
Brunet I, 494; Lozzi, 923.
54

29
Ortelius,Abraham (1527-1598).Theatrum orbis terrarum.
Anversa, Christopher Plantin, 1584
Tre parti in un volume in-folio (mm 429x275). In testa al volume una
tavola aggiunta posteriormente, non facente parte dell’opera, con lo
stemma dipinto a piena pagina, probabilmente della famiglia toscana dei
Riccio; 12 carte non numerate, 110 bifolii numerati al recto della prima
carta che li compone, stampati a doppia pagina, con il testo relativo ad
ogni tavola impresso al recto della prima carta e le mappe geografiche impresse
al verso della prima e al recto della seconda carta, il verso della seconda
carta bianco, 13 bifolii numerati 101-114 contenenti il testo del
Parergon e le relative 12 tavole a doppia pagina, 43 carte non numerate
contenenti il Nomenclator. La prima carta reca una splendida antiporta architettonica
contenente il titolo; alla c. 12, tavola contenente il ritratto
dell’autore. Il volume contiene, complessivamente, 112 mappe geografiche
(100 per il Theatrum e 12 per il Parergon).Tutte le mappe, l’antiporta,
il ritratto ed i frontespizii delle altre due parti recano una splendida
coloritura strettamente coeva. Legatura settecentesca in vitello nocciola;
piatti decorati da una cornice a piccoli ferri floreali, titolo in oro su tassello
in marocchino rosso e decorazioni in oro al dorso; sguardie in carta
marmorizzata, tagli dorati. Ex-libris al contropiatto anteriore.
Terza edizione latina stampata dal Plantin – la princeps
era stata pubblicata sempre ad Anversa da Egidius Coppens
van Diest a spese dell’autore nel 1570 - di quello
che è considerato il primo atlante moderno.
«The editions of the Theatrum may be subdivided into
five groups on the basis of the number of maps [...].The
first group contains 53 maps. In 1573, 18 maps are added.The
second group has 70 maps (one of the 18 new
55

maps replaces a previous one). In 1579 another expansion
follows with 23 maps, bringing the total to 93.The
third addition occured in 1584, comprising 24 maps.
Some maps replaced older ones, so that Theatrum contained
112 maps from 1584. In 1590 a fourth addition
followed with 22 maps. The editions have now 134
maps.A final, fifth expansion with 17 maps followed in
1595, bringing the total to 151» (Abraham Ortelius and
the First Atlas. Essays commemorating the Quadricentennial
of his death1598-1998.With an Introduction by Leon Voet,
edited by M. van den Broecke, P. van der Krogt, P. Meurer,
Houten 1998, p. 65).
Koeman III, Ort21; Phillips, Atlases, 388; Shirley, T.Ort-1t; BMC XVIII,
439.
30
Verdizotti, Giovanni Mario (1525-1600). Cento
favole morali dei più illustri antichi, & moderni
autori Greci & Latini [...]. Venezia, Francesco Ziletti,
1586.
In-8° (mm 198x143). 4 carte non numerate, 301 pagine numerate, 4 carte
non numerate.Titolo racchiuso entro cornice silografica a motivi architettonici,
comprendente anche la marca tipografica dello Ziletti. Le
favole contenute nel volume sono illustrate da 100 legni a piena pagina
(alcuni dei quali recano tracce di coloritura); capilettera silografici nel testo.
Legatura settecentesca in pergamena rigida con titolo in oro su tas-
56

sello in marocchino al dorso. Esemplare in buono stato di conservazione,
accuratamente lavato; alcune carte sono state rinforzate lungo il margine
bianco interno.
Terza edizione (la prima venne stampata a Venezia nel
1570) di questa interessante raccolta di favole allestita
dal Verdizotti, allievo di Tiziano, che oltre ad eseguire le
illustrazioni dalle quali furono tratte le silografie, si occupò
anche dell’adattamento dei testi delle favole.
BMC XXVI, 31.624; Cicognara, 1130.
31
Ovidius Naso, Publius (43 a.C.-17 d.C.). Le Metamorfosi
di Ovidio ridotte da M. Gio. Andrea
dall’Anguillara in ottava rima [...] con l’annotazioni
di M. Gioseppe Horologgi et con nuove postille,&
Argomenti à ciascun libro di M. Francesco
Turchi [...]. Venezia, Bernardo Giunti, 1592.
In-4° (mm 234x171). 8 carte non numerate, 547 pagine mal numerate
539, una pagina bianca. Legatura coeva in pergamena probabilmente alle
armi di Lodovico figlio del Marchese Cesare Facchinetti (o Fachenetti)
fratello del papa Giovanni Antonio Facchinetti salito al soglio con
il nome di Innocenzo IX. La legatura è opera della bottega dei Soresini;
i piatti presentano un campo inquadrato da un duplice filetto in oro, agli
angoli, sia verso l’esterno che verso l’interno un ferro con la “faccia del
pierrot” sormontato da un ferro a baldacchino, tipico della bottega dei
Soresini (cfr. Cat. della mostra Legatura Romana Barocca, 1991, tav. 1); al
57

centro del campo lo stemma araldico dei Facchinetti, contornato da ferri
girarî, un pendente floreale e sormontato da un elmo a cancelli con
svolazzi di piume. Il dorso ha quattro compartimenti separati da duplice
filetto e al centro un ferro in oro a forma di rosa stilizzata, antico titolo
manoscritto nel primo compartimento; capitelli in seta, tracce di bindelle,
segnalibro in seta oro, tagli blu. Esemplare in ottimo stato di conservazione,
frontespizio con leggera gora d’acqua, piccole bruniture su qualche
carta, piccola menda al capitello superiore. Antica firma di
appartenenza al frontespizio, una nota al margine di una carta.
Interessante edizione del testo ovidiano in una elegante
legatura coeva alle armi.Nel 1584 Giovanni Andrea dell’Anguillara
aveva curato per i Giunta la traduzione del
testo di Ovidio, l’edizione era stata arricchita dalla serie
di incisioni eseguite da Giacomo Franco. Nel 1592 il
Giunta ripubblicò lo stesso testo, cambiando il frontespizio
e sostituendone uno nuovo, dedicato al Re di
Francia. Le grandi illustrazioni, una all’inizio di ogni libro,
furono copiate e ritirate in blocchi di legno, e, in
parte, cambiarono anche le grandi bordure silografiche
con il riassunto del testo.
Mortimer, Italian 16th Century Books, n. 344.
32
Donia Matteo (sec. XVI). Raccolta di quattro operette
in edizione originale.
L’autore nacque attorno alla metà del secolo XVI a Palermo, nulla si sa della fa-
58

miglia ma si può supporre che appartenesse alla migliore società, come si desume
da una sua opera sul crollo del ponte a Palermo nel 1595 . Da uno studio di
Lombardo Radice risulta che il Donia studiò forse filosofia a Napoli e poi si recò
a Pisa dove si adottorò in medicina nel novembre 1586. A Palermo ritornò
e esercitò la professione, a detta degli storici con una certa fama. Fu membro della
Accademia degli Accesi e dell’Accademia degli Spregiati.
I. Ad Posteros Gephyraptoyca Descriptio. Palermo,
Io Antonius à Franc., 1595.
In-8° (mm 145x93). 32 pagine. Grande stemma silografico al frontespizio.
Legatura in cartonato. Esemplare in ottimo stato di conservazione.
In quest’opera l’autore narra, parte in prosa e parte in versi dello sfortunato
caso del 15 dicembre 1590 – nel quale si trovò coinvolto personalmente
- in cui crollò un ponte sul mare e annegò il fior fiore della nobiltà
cittadina. È interessante notare che nell’operetta viene riportato
anche l’elenco di coloro che precipitarono e di quelli che morirono.
59

II. Panormi questus et Charontis cum Panormitano
Genio colloqui [...]. De Casu lignei pontis
in proregis reditum fabricati. Palermo, Io Antonius
à Franc., 1595.
In-8 ° (mm 145x91). 24 pagine non numerate.Al frontespizio bello stemma
silografico, al retro dello stesso grande stemma del Senato della Città
di Palermo col motto felix et regni caput, stessa marca silografica ripetuta
all’ultima carta. Legatura in cartonato.
Opuscolo correlato al precedente e dedicato a Don Andrea Salazar “Panormitani
Castri Dignissimo Praefecto”.
III. Polystichon [...]. Palermo, Io Antonius à
Franc,1595.
In-8°(mm 145x91). 32 pagine mal numerate 26. Nel testo 12 vignette silografiche;
marca dello stampatore al frontespizio. Legatura in cartonato.
Esemplare in ottimo stato di conservazione.
Raccolta di brevi composizioni fra cui notevole è l’epigramma in cui con
toccanti accenti l’autore piange la morte del primogenito Giovanni.
IV. Formica dialogus. Palermo, Io Antonius à Franc,
1595.
In-8°(mm 145x91).12 pagine.Marca silografica dello stampatore al frontespizio;
nel testo due vignette silografiche con la cicala e le formiche.
Legatura in cartonato.
Si tratta probabilmente della prima opera composta dal Donia ed è ispirata
alla nota favola esopiana.
DBI, sub voce Donia; Mongitore, Bib. Sicula, II, pp. 56-57; Mira I, 313
e ss.
60

33
Cervantes Saavedra, Miguel de (1547-1616). El ingenioso
hidalgo don Quixote de la Mancha. Milano,
Pietro Martire Locarno e Giovanni Battista Bidelli,
1610.
In-8° (mm 147x101). 16 carte non numerate, 720 pagine mal numerate
722.Al frontespizio marca tipografica raffigurante un gatto con un topo
in bocca; capilettera silografici ornati nel testo. Legatura coeva in pergamena
floscia, titolo manoscritto al dorso e sul taglio inferiore. Splendido
esemplare, in ottimo stato di conservazione; lievi gore in tutto il volume.
Nota manoscritta coeva al foglio di guardia anteriore.
Prima rarissima edizione stampata in Italia del Quixote.
Le opinioni riguardanti la versione del testo in essa pubblicato
sono assai discordanti: secondo Rius seguirebbe
fedelmente quello della seconda edizione impressa da
Cuesta, mentre secondo Suñe – che dice di aver collazionato
svariati capitoli – si tratterebbe del testo della
edizione di Valencia, 1605.
Rius, n. 9; Suñe, n. 10; Palau, n. 51983; Brunet I, 1748.
61

34
Galilei, Galileo (1564-1642). Istoria e dimostrazioni
intorno alle macchie solari. Roma, Giacomo
Mascardi, 1613.
In-4° (mm. 223x157). 3 pagine non numerate, una pagina numerata 4,
150 pagine numerate, 4 tavole fuori testo, 2 pagine numerate 161 e 162,
una tavola fuori testo, due pagine numerate 163 e 164. Oltre alle 5 tavole
non numerate sono presenti nel testo (da p. 59 a p. 96) 38 tavole incise
recanti i celebri «disegni delle macchie del sole».Al frontespizio, bella
marca tipografica dell’Accademia dei Lincei; a p. 5 incisione a piena
pagina con il ritratto del Galilei entro cornice architettonica; numerosi
diagrammi nel testo, capilettera silografici ornati nel testo. Legatura in
pergamena rigida coeva rimontata. Esemplare in buono stato di conservazione,
alcune carte uniformemente brunite; piccolo strappo al margine
bianco della p. 133; l’angolo superiore esterno delle prime carte usurato.
Al frontespizio nota manoscritta di possesso di mano coeva.
Prima edizione (in prima tiratura, che non comprende
le lettere dello Scheiner, presenti invece nella seconda)
di quest’opera dedicata al Salviati e pubblicata a cura
dell’Accademia dei Lincei nel 1613. Iniziata nella tarda
primavera del 1612, la stampa era compiuta il 22 marzo
1613, come dimostra una lettera di Cesi a Galileo recante
tale data, ma il contenuto dell’opera era già stato
presentato agli accademici nella riunione del 20 febbraio.
Tale lungaggine fu dovuta soprattutto alla difficoltà
di ottenere l’imprimatur a causa della tesi centrale
delle lettere riguardo la “corruttibilità” dei cieli, tesi avversa
all’allora vigente concezione astrologica aristoteli-
62

ca. L’opera comprende le lettere inviate da Galileo in risposta
a Mark Welser, banchiere di Augsburg, che gli
aveva chiesto un parere sulle macchie solari allegando
tre lettere del gesuita Cristoforo Scheiner che, con lo
pseudonimo di Apelle, si diceva scopritore del fenomeno.
Questi aveva affermato che le macchie non erano
proprie del sole, ma che si trattava in realtà di sciami di
stelle ruotantigli attorno.
Nella prime due lettere Galileo respinge le opinioni dello
Scheiner e determina che le macchie «sono contigue
o vicinissime alla superficie del corpo solare, dove esse si
generano e dissolvono continuamente». Definisce quindi
la vera natura delle macchie, le ragioni del loro movimento,
dovuto alla rotazione del Sole attorno al proprio
asse. Galileo inoltre determina il senso di rotazione
da occidente verso oriente del Sole, ne calcola il tempo
di rivoluzione e delimita la zona nella quale compaiono
le macchie, ponendole in relazione con i pianeti.
Cinti, p. 110; Geymonat, pp. 83-84; Paschini, pp. 243-276.
35
[Scotto, Andrea]. Canzuni siciliani raccolti da diversi
auturi. Manoscritto su carta. Palermo, 1631.
Manoscritto cartaceo di mm 201x150. 406 carte numerate.Testo in corsivo
di un’unica mano su una colonna. Frontespizio decorato a penna
63

con volute, uccelli e figure umane con titolo, luogo e data; alla c. 6r altro
piccolo disegno eseguiro a penna raffigurante una falena accanto ad
una lucerna accesa, inscritta in una cornice decorata da animali, frutta e
figure antropomorfe; ogni sezione inizia con il nome dell’autore dei
componimenti inserito in una semplice cornice rettangolare disegnata a
penna. Legatura coeva in marocchino nocciola, probabilmente eseguita
dalla Bottega dei Soresini. I piatti sono inquadrati da una larga rotella che
forma una cornice, all’interno della quale sono inscritte altre tre cornici,
realizzate con duplici filetti o con ferri a girarî; il campo centrale è
raccordato in diagonale con un ferro tipico dei Soresini (cfr. Cat. della
mostra Legatura Romana Barocca, 1991, tav. II), all’interno del campo centrale
si nota - ai quattro angoli - il caratteristico ferro a «faccia di Pierrot»,
sormontato da un ferro a baldacchino e molti ferri a catenelle tipici
delle legature di Baldassarre Soresini del secondo e terzo decennio del
secolo. Manoscritto in buono stato di conservazione, lievi fioriture, fori
di tarlo sulle prime carte e sulla legatura, qualche abrasione, capitello inferiore
e lacci mancanti. Schizzi a penna e note manoscritte coeve al foglio
di guardia posteriore.
Splendida raccolta di 1526 componimenti in volgare siciliano
di 45 diversi autori, copiati da Andrea Scotto,che
sottoscrive la lettera di dedica – datata Palermo, 28 novembre
1631 - a Placido Caruso, nobile siciliano di cui
sappiamo che fu senatore e quattro volte capitan d’arme.
Dello Scotto si conosce un altro manoscritto autografo
(Palermo, 20 giugno 1634) intitolato Parnassu Sicilianu,
dedicato a Natali Zuccaro e conservato alla
Biblioteca Universitaria di Messina. Il codice messinese
è organizzato in maniera pressoché identica a quello che
si descrive in questa sede. Esso si apre infatti con un
frontespizio ornato a penna – in cui però sono effigiate
anche le armi del destinatario - con una lettera di de-
64

29. Ortelius, Abraham

35. Canzuni siciliani
18

35. Canzuni siciliani
19

33. Cervantes Saavedra, Miguel de
20

36. Arnal de Bolea, Jacinto
21

31. Ovidius Naso, Publius
22

38. Martinelli, Agostino
23

37. Piergilii, Battista
24

dica sottoscritta dal copista-editore Andrea Scotto ed un
indice organizzato alfabeticamente per autore. Il nome
del primo autore della raccolta, Antoni Venetianu, è «racchiuso
in un fregio a nastro con al centro un ape vicina
ad una lucerna accesa» (T. Basile, I codici della poesia
siciliana, p. 105). Il fregio, molto simile a quello del nostro
manoscritto, l’organizzazione stessa del codice -
dall’impaginazione, agli autori di cui vengono raccolti i
componimenti (che qui sono 63 invece di 45) - sembrerebbero
indicare una certa continuità dell’ignoto curatore
nell’allestire sillogi di canzuni dedicate ad esponenti
di fa-miglie della nobiltà locale. La raccolta del
1631 potrebbe testimoniare, essendo un po’ meno estesa
rispetto a quella del 1634, sia una scelta precisa dello
Scotto che uno stadio meno avanzato nell’allestimento
di col-lezioni di canzoni in siciliano, considerando anche
che tutti e 45 gli autori della silloge del ’31 sono
presenti in quella di poco posteriore del ’34.
«Le collezioni manoscritte di poesie siciliane de’ secoli
XVI e XVII è risaputo che trovansi numerose, non solo
nelle Biblioteche dell’Isola nostra, ma in quelle del
Continente italiano e nelle estere; il che ci dimostra ad
evidenza il grido che levarono e la gran voga che ebbero
li Canzuni del Veneziano e di tutta la numerosa schiera
di poeti, e di buoni e cattivi, che sull’esempio di lui
grattarono per un intero secolo ed in tutti i toni la cetra
siciliana. La stampa de Le Muse Siciliane non si vide
che nel 1645, per opera del Galeani; ma innanzi a lui,
non corsero che raccolte manoscritte, più o meno ric-
65

che, più o meno corrette, a seconda della diligenza, della
capacità e de’mezzi di chi pensava di farle.Questa [del
1634], messa insieme dallo Scotto, ha il singolar pregio
non solo di aver preceduto di circa un decennio quella
del Galeani, ma di fornirci un’accolta di ben sessantacinque
autori ed un numero di poesie che supera di
gran lunga quello degli altri manoscritti dell’epoca stessa
o anteriori» (S. Salomone-Marino, Memorie originali
intorno al Parnassu Sicilianu, manoscritto del 1634, pp.
257-58).
S. Salomone-Marino, Memorie originali intorno al Parnassu Sicilianu, manoscritto
del 1634, in «Archivio storico siciliano» 17 (1892), pp. 257-70;T.
Basile, I codici della poesia siciliana dei secc. XVI, XVII e XVIII. Messina, Bibl.
Un., ms. F.N.16, in «Quaderni di filologia e letteratura siciliana», 3 (1976),
pp. 105-164.
36
Arnal de Bolea, Jacinto (sec. XVII). El Forastero.
Se alienta con la proteccion del Illustriss. Señor
el Señor D. Blasco de Alagon, y Cardona [...]. Cagliari,Antonio
Galcerin per Bartolomeo Gobetti, 1636.
In-4° (mm 189x140). 12 carte non numerate, 560 pagine numerate. Carattere
corsivo per le poesie e le lettere di dedica, testo in carattere rotondo.Alla
seconda carta incisione a piena pagina raffigurante le armi del
marchese de Villasor al quale è dedicata l’opera; numerosi capilettera silografici
ornati; testatine e finalini silografici nel testo; culs-de-lampe. Le-
66

gatura in pergamena rigida rimontata, titolo manoscritto al dorso. Esemplare
in ottimo stato di conservazione, qualche lieve fioritura, legatura
rinfrescata, con sguardie e bindelle moderne. Nota di possesso manoscritta
di mano coeva al frontespizio:‘Nobilis Don Bernardi de Aymeriis
et de Cruiylles’.
Prima ed unica edizione di quest’opera rarissima, capolavoro
della letteratura sarda di matrice ispanica ed unico
romanzo che abbia per oggetto la Sardegna pubblicato
sull’isola prima dell’Ottocento. Composto in uno
stile elegante e vigoroso, che alterna versi e prosa e con
una struttura ricca di abbondanti digressioni preziose
secondo i canoni letterari barocchi, il Forastero narra la
movimentata vicenda, crudele e sensuale al contempo,
di due amanti separati che, attraverso un’odissea sentimentale,
che li condurrà da Madrid a Cagliari, passando
attraverso l’esilio,la prigionia,le vendette familiari ed
un gran numero di rocambolesche peripezie, riusciranno
infine a ricongiungersi. La trama dell’opera, assai intricata
e complessa, attinge con dovizia agli espedienti
romanzeschi atti a procrastinare il lieto fine, ricorrendo
spesso ai dialoghi, agli scambi epistolari e ai componimenti
in versi. I dettagli pittoreschi contribuiscono
inoltre a creare un affresco vivacissimo e policromo della
vita in Sardegna durante il secolo XVII.
Joaquin Arce definì Arnal de Bolea una delle figure più
importanti della letteratura sarda-spagnola, se non la migliore
(«Como poeta lírico, no vacilaría en colocar a Arnal
en el primer lugar de toda la literatura hispano-sarda»).
In base alle poche notizie che ci fornisce Arce
67

sappiamo inoltre che l’autore ottenne nel 1635 un privilegio
di nobiltà e che, secondo quanto è riportato nel
frontespizio del romanzo, fu Primo Contabile dei conti
dei beni di sua Maestà e segretario particolare del
Marchese di Villasor.
Palau 17073 («rara»);Toda y Güell, Bibliografia Espanola de Cerdena, n. 27;
Fumagalli, p. 58; Maggs Bros., Spanish Books, Cat. 1927, n. 61 («This is e
very rare novel [...] The item is of typographical interest, emanating from
one of the lesser known presses of Sardigna»); Arce, Espana en Cerdena,
1960, pp. 153- 158, 182- 189, e 460 n. 14; Gallardo, Ensayo de una Bibliteca
Espanola, n. 282. Nessuna copia nella British Library; solo una copia
in America nella Biblioteca dell’Hispanic Society; in Italia un solo esemplare
censito, mutilo (Firenze, BNC).
37
Piergilii, Battista. Racconto della vita ‘e glorioso
martirio di S.Vincenzo Vescovo di Bevagna et di
S. Benigno Diacono. Foligno, Agostino Alteri, 1646.
(Segue:) Donati, Pietro. I felicissimi martiri,Vincenzo
vescovo di Bevagna e Benigno suo fratello,
e diacono restituiti a Trevi. Apologia di Pietro
Donati. Foligno, Agostino Alteri, 1650.
Due opere in un volume in-4° (mm 197x139). 6 carte non numerate,
107 pagine numerate, 3 carte non numerate, una bianca, 57 pagine numerate.Antiporta
incisa a piena pagina raffigurante i due santi Vincenzo
e Benigno e contenente lo stemma del cardinal Giovanni Battista Altie-
68

i, sottoscritta:“in Bevagna con licenza de’ superiori 1646”; alla seconda
carta frontespizio in latino con il ritratto inciso del santo all’interno di
uno stemma con le chiavi papali; alla terza carta frontespizio in volgare
ornato da un finalino silografico; frontespizio separato per la seconda
opera ornato da un legno raffigurante San Vincenzo; numerose testatine,
finalini e capilettera silografici ornati nel testo. Legatura coeva in pergamena
rigida con i piatti decorati da due placchette ovali in avorio intarsiato;
quella al piatto anteriore reca le figure di San Vincenzo e di San
Benigno, mentre quella al piatto posteriore reca la dedica al cardinal Altieri:
“All’eminentissimo et reverendissimo Cardinale Altieri vescovo di
Todi”. Esemplare in discreto stato di conservazione, antichi restauri agli
angoli dell’antiporta, numerose gore e macchie in tutto il volume.
Prima ed unica edizione di quest’opera in un’insolita legatura
di dedica.
Solo tre copie censite in ICCU.
38
Martinelli, Agostino (sec. XVII). I fiumi in libertà
overo Nuovo modo di regolare con molto frutto,
e poco dispendio le acque correnti all’Illustriss.
& Eccellentiss. Signore D. Emilio Altieri
[...]. Roma, Domenico Antonio Ercole, 1686.
In-12° (mm 140x75). 255 pagine, una bianca, 4 pagine contenenti l’indice,
due bianche. Iniziali e fregi silografici nel testo. Legatura coeva in
pergamena alle armi del principe Don Emilio Altieri, realizzata dai fratelli
Andreoli. I piatti sono inquadrati da un doppio filetto, dai quattro
69

angoli fuoriescono vasi di fiori, al centro grande stemma Altieri circondato
da ferri a girarî, la corona principesca è sorretta da due angeli e, sotto,
ferro con viso e ali di putto; dorso a cinque nervi, ognuno dei quali
è contornato da due duplici filetti in oro, al centro dei compartimenti
sono impresse le stelle araldiche degli Altieri (per i ferri cfr. Cat. della
mostra Legatura Romana Barocca, 1991, tav. 6 e p. 28). Esemplare in ottimo
stato di conservazione, piccole mancanze all’oro sulla pergamena.
Rara edizione, in una rarissima legatura di dedica Andreoli
alle armi non ecclesiali, di questo trattatello generale
sui fiumi e sulle loro problematiche che si ispira
a numerosi autori, dai filosofi greci ai contemporanei. Il
Martinelli, che insegnava all’Università di Roma, scrisse
diversi libri su problematiche di idraulica, sul restauro
di ponti, a Roma, a Rimini e nel ferrarese, sua zona
natale.
Riccardi I, 123 (con differenze nella collazione).
39
Carli, Giovanni Rinaldo (1720-1795). L’Uomo
Libero o sia Ragionamento sulla Libertà naturale
e civile dell’Uomo. Lione [i.e. Firenze], 1778.
In-12° (mm 165x91). Una carta non numerata, 182 pagine numerate,
due carte non numerate (l’ultima bianca).Vignetta silografica al frontespizio,
finalini silografici nel testo. Legatura coeva in vitello agli acidi, decorazioni
e titolo in oro su tassello in marocchino al dorso; tagli rossi.
Esemplare in ottimo stato di conservazione, lievi fioriture.
70

Prima edizione di quest’opera contro le teorie di Hobbes
e Rousseau, riguardante la libertà dell’uomo e il
contratto sociale, scritta dal conte Giovanni Rinaldo
Carli, una delle principali personalità dell’Illuminismo
italiano ed esponente della scuola milanese accanto a
Beccaria e Verri.
«Men are condemned by nature to a state of permanent
inequality [...]. Unlike Verri, for whom economic development
had in itself the power to improve the conditions
of the poorer classes, and unlike Beccaria who
continued to see inequality as the chief problem to be
solved, Carli was convinced that development would
increase not only inequality but also class conflict.The
remedy was the power of the sovereign, of a monarch
who could guard against despotism but at the same time
defend civil society against anarchy» (D. Carpanetto
& G. Ricuperati, Italy in the Age of Reason, London 1987,
p. 270).
Solo due copie censite in ICCU, di cui una alla Fondazione Feltrinelli.
71

40
Zatta,Antonio. Catalogus librorum omnium tam
veterum, quam recentiorum, qui venales reperiuntur
apud Antonium Zatta [...]. Venezia, [Antonio
Zatta], 1780.
In-12° (mm 156x90). 307 pagine numerate, una carta bianca. Legatura
in cartonato d’attesa. Esemplare in ottimo stato di conservazione, lievi
fioriture su alcune carte.
Interessante e rara edizione di questo catalogo di vendita
del celebre stampatore veneziano Antonio Zatta, specializzato
soprattutto in libri illustrati e cartografia. Il catalogo
propone uno stock di circa 3.300 libri in vendita,
di cui vengono riportati il titolo, l’autore, il formato, il
luogo e la data di stampa, ed il prezzo. Il catalogo è diviso
in due parti, la prima elenca i libri latini ordinati
alfabeticamente per autore, la seconda invece raccoglie
i libri in italiano ordinati alfabeticamente per titolo, eccezion
fatta per le edizioni dantesche che sono riportate
in questa sezione, ma sotto al nome dell’autore. Il catalogo
mostra che i libri in vendita non erano
unicamente quelli impressi dall’officina dello Zatta, ma
che erano disponibili anche numerose pubblicazioni
uscite dai torchi di altri stampatori veneziani, alcuni dei
quali suoi diretti rivali, quali l’Albrizzi ed il Pasquali, ed
europei (soprattutto francesi, tedeschi ed olandesi). I libri
in vendita sono per la maggior parte coevi, ma non
mancano edizioni del secolo XVII e perfino del secolo
72

XVI. Questo volume costituisce dunque una preziosa testimonianza
delle modalità del commercio librario a Venezia
ed è interessante notare come un’officina tipografica
potesse fungere da punto di distribuzione non solo
delle più importanti edizioni europee dell’epoca, ma
anche di volumi stampati nei secoli precedenti.
Pollard and Ehrmann, The Distribution of Books by Catalogue to 1800,p.
306, n. 127 (stessa copia); manca in British Library.
41
Ariosto, Ludovico (1474-1533). Rinaldo ardito
[...] frammenti inediti pubblicati sul manoscritto
originale da I. Giampieri e G. Aiazzi. Firenze,
Piatti, 1846.
In-8° grande (mm 273x196). 24 pagine numerate con cifre romane, due
pagine non numerate, 117 pagine numerate, tre pagine non numerate.
Marca tipografica al frontespizio; con un fac-simile di un autografo dell’Ariosto
nel testo. Cartonato editoriale originale. Esemplare in ottimo
stato di conservazione, stampato su carta giallina, con barbe e molti fogli
ancora chiusi, dorso della legatura un poco usurato. Ex-libris ‘Biblioteca
Caproni’ al contropiatto anteriore.
Prima edizione di questa interessante pubblicazione
dell'Accademia Valdarnese, che, oltre al Rinaldo ardito,
qui ascritto erroneamente all’Ariosto, comprende ampie
introduzioni, l'indice dei nomi e la canzone Per la par-
73

tenza di Ginevra, anch’essa apocrifa. Il manoscritto originale
dell’opera appartenne alla raccolta Lanzoni-Bevilacqua,
quindi al Canonico Faustini che lo cedette ai
due curatori. Come si può desumere dall’Introduzione
i curatori ritennero sia il Rinaldo che la Canzone testi
originali della produzione ariostesca: «Antonfrancesco
Doni fiorentino, uno degl’ingegni più bizzarri e fantastici
che coltivassero le lettere italiane sulla metà del Secolo
sedicesimo, fu il solo che nella Seconda Libreria (Venezia,
Marcolini, 1551) palesasse ai dotti l’esistenza del
nostro Poema, con queste nude e magre parole “Lodovico
Ariosto, RINALDO ARDITO, dodici canti”. Ma al bugiardo
(ed il Doni n’avea fama ben giustificata) non è
creduto neppure il vero; cosicché tutti coloro che parlarono
della vita e delle opere di Messer Lodovico, dal
di lui figlio Virginio sino al Tiraboschi, o si astennero dal
registrare fra queste il Rinaldo Ardito, o lo rammentarono
solo per causa di dileggio e di rimprovero al Doni
[...]» (p. VII).
Brunet I, 447 («Poëme chevaleresque attribué à l’Arioste, et publié pour
la première fois d’après un manuscrit dont l’attribution au chantre du
Furioso a été justement contestée»).
74

42
Regola dei Servi della Vergine gloriosa ordinata
e fatta in Bologna nell’anno 1281. Pubblicata per
la prima volta dal prof. Giuseppe Ferraro. Livorno,
Francesco Vigo, 1875.
In-4° (mm 265x190). 46 pagine numerate, due pagine non numerate.
Marca tipografica del Vigo al frontespizio; testatine, finalini e capilettera
silografici nel testo. Legatura coeva in pergamena rigida decorata da una
rotella in oro ai piatti; dorso ornato con titolo in oro su tassello in marocchino.
Splendida copia stampata su pergamena, lievi fioriture al frontespizio.
Prima rarissima edizione di quest’opera stampata in 110
esemplari, di cui solo quattro su pergamena. Come viene
specificato al colophon, questo esemplare venne impresso
appositamente per l’«illustrissimo signor Luigi
Andrea Nizzi di Livorno». Nell’introduzione il curatore
dell’edizione, Giuseppe Ferraro, precisa che il volume
«contiene una regola dei fratelli de la verzene glorioxa,
fatta in Bologna l’anno 1281, primo del pontificato di
Martino IV. Oltre agli ordinamenti relativi alle preghiere,
alla sollecitudine che i fratelli devono avere per la
chiesa, alla visita degli infermi, alla elezione dei loro capi,
sono aggiunti: una Esposizione dei dieci comandamenti
e del credo, un Trattatello sui sette peccati capitali,
ed alcune Orazioni in italiano, altre in latino, in
prosa; due poesie a Cristo, sei alla Vergine in volgare, una
alla stessa in latino» (p.1).
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INDICE
Le cifre indicate si riferiscono alla numerazione progressiva
delle schede nel catalogo
Alcorano di Macometto 25
Annunciazione 4
Aragonese, Sebastiano 28
Ariosto, Ludovico 41
Aristoteles 8
Arnal de Bolea, Jacinto 36
Bartolini, Riccardo 16
Bembo, Pietro 17
Boccaccio, Giovanni 1, 6, 7, 14, 15, 19
Canzuni siciliani 35
Carli, Giovanni Rinaldo 39
Cervantes Saavedra, Miguel de 33
Cicero, Marcus Tullius 3
Colonna, Francesco 10
Donia, Matteo 32
Escobar, Cristobal de 13
Gafurius, Franchinus 9
Galilei, Galileo 34
Gunther von Pairis 16
Honter, Johannes 27
77
Lemaire de Belges, Jean 20
Martinelli, Agostino 38
Modesti, Publio Francesco 16
Nebrija, Antonio de 13
Norchiati, Giovanni 22
Novum Testamentum Graecum 26
Ortelius, Abraham 29
Ovidius Naso, Publius 31
Piergilii, Battista 37
Pollux, Julius 11
Pseudo-Bonaventura 12
Ptoloemaeus, Claudius 21
Regola dei Servi 42
Scriptores Historiae Augustae 5
Tartaglia, Niccolò 24
Trissino, Giovanni Giorgio 18
Valla, Lorenzo 23
Verdizotti, Giovanni Mario 30
Vergilius Maro, Publius 2
Zatta, Antonio 40

CATALOGHI PUBBLICATI
Le cifre indicate si riferiscono alla numerazione progressiva
delle schede nel catalogo
Aldus 1495-1591, marzo 2001.
Philoteus. Giordano Bruno, marzo 2001.
Cinquecento libri del ‘500. Cento cinquecentine veneziane,
dicembre 2001.
Arché-Techné, marzo 2004.
Legature. Scrigni preziosi, marzo 2004.
Mirabilia Italiae, marzo 2004.
La scintilla, novembre 2004.
Roma, novembre 2004.
“Sieti raccomandato il mio Tesoro…”. Raccolta di edizioni dantesche,
marzo 2005.
“Or vien quinci e or vien quindi…”. Raccolta di volumi rari,
ottobre 2005.
Kol bo. Raccolta di volumi ebraici, marzo 2006.
“Movi ad alto desio”. Raccolta di volumi sul gioco del calcio,
marzo 2006.
Periplus & Varia, marzo 2006.
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Questo volume
è stato impresso
dall’officina d’arte grafica Lucini
in Milano
marzo 2007