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RACCOLTA DI VOLUMI RARI
«or vien quinci e
or vien quindi…»
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1
Vegetius Renatus, Flavius (sec. IV-V d.C). Epitoma
rei militaris. [Segue un anonimo trattato sull’arte
militare navale]. [Probabilmente Spagna (Barcellona?),
ca. 1380-1420].
Manoscritto miniato su pergamena (mm 220x162); 95 carte. 11 fascicoli
di 8 carte, con lettere di richiamo, seguiti da 12 fascicoli di 7 carte, probabilmente
mancante dell’ultima carta bianca. COMPLETO. Rigatura ad
inchiostro nero; scrittura gotica libraria su due colonne di 23 linee; incipit
e titoli di ogni capitolo in inchiostro rosso; iniziali di paragrafo segnate
in rosso e blu; numerosi capilettera su 2 righe in inchiostro rosso
o blu con decorazioni a penna di colore contrastante; alla prima carta
iniziale ‘P’ su 5 righe in inchiostro blu lapislazzulo su fondo oro, riccamente
miniata a motivi floreali blu, verdi e oro che si estendono su tre
montanti; al margine inferiore della stessa pagina una cornice circolare
dorata e uno scudo su fondo verde con lo stemma di un membro della
famiglia Riccio di Napoli. Nel testo 7 capilettera (cc. 16v, 32v, 69v, 81v,
87v, 88v, 91v) che non sono stati completati e recano unicamente il fondo
e le decorazioni a foglia d’oro. Splendida legatura coeva napoletana
in marocchino marrone su assi di legno; i piatti sono riccamente decorati
da elaborate cornici nelle quali si intreccia un motivo ornamentale
a nodi e, nella cornice più interna, a ferri floreali, il pannello centrale è
copiosamente ornato da motivi geometrici nei quali viene ripetuto il
medesimo ferro romboidale variamente disposto, tagli dorati. Tre (di
quattro) bindelle con fermagli in bronzo; dorso ricostruito negli anni ’30
con titolo in oro (per la legatura cfr.T. De Marinis, La legatura artistica in
Italia, vol. 1, tav XXXVII, n° 224). Codice ottimamente conservato, fatta
eccezione per l’usura delle cerniere e per qualche piccolo foro di tarlo
alle ultime carte.
Al recto della prima carta la nota di possesso “1528 Sum Claudii Bernardi”,
che viene ripetuta al verso dell’ultima carta, con l’aggiunta del mònito
“Hunc qui comperiet reddetque repente libellum Illi dena lubens au-
5

ea mala dabo. Ipse iubet mortis te meminisse Deus”. Numerose correzioni
manoscritte nel testo, alcune coeve in gotica libraria eseguite abradendo
il supporto scrittorio, altre in corsiva umanistica (cc. 69, 80 e 83v),
probabilmente dello stesso Bernardi che appone anche radi marginalia.
cc. 1r-88v:Vegetius, Epitoma rei militaris.
«Flavii vegetii renati virj illustris comitis ecolii epitoma rei militaris libri numero
quinque incipiunt». (cfr. M.D. Reeve, Vegetius, p. vii, nota 3:“P. Richardot,‘La
datation du De re militari de Végèce’, Latomus, 57 (1998), 136-47, at pp.
137-38, muddies the waters by citing the phrase comitis ecolii from the title
recorded in a collation.The manuscript collated is identifiable as Leiden
Voss. Lat. F 59 (s. XIV/XV), […] ecolii is a further corruption of etilii, itself a
corruption of et ill. not attested before the 14th century”).
c.1r. incipit:«Primus liber electionem edocet iuniorum ex quibus locis vel quales
milites probandi sint…».
cc. 88v-91v:Trattato anonimo sull’arte militare navale.
«Incipit quidam alius tractatus de re militari».
c. 88v. incipit:«Possimus ad presens alia enumerare per que marini pugnatores
hostes impugnare debent…».
cc. 91v-95v:Trattato anonimo.
«Aristotiles in libro de secretis secretorum de disponicione ductionis sui et de electione
bellorum et procerum inferiorum sic scripsit ut sequitur et cetera».
c. 91v. incipit:«Processunt (?) addicio et multiplicacio regni…»
c. 95v: fine del testo e explicit:«Ffinito libro sit laus et gloria Cristo amen».
Testimone non censito dell’Epitoma di Vegezio, esso risulta
infatti sconosciuto ai maggiori repertori di quest’opera
quali: C.R. Shrader’s, A Handlist of Extant Manuscripts
Containing the De re militari of Flavius Vegetius
Renatus, Scriptorium, 33 (1979), pp. 280-305 e M.D.
Reeve, The Transmission of Vegetius’ Epitoma rei militaris,
Aevum, 74 (2000), pp. 243-351.
6

La ripartizione del testo adottata nel presente manoscritto
risulta piuttosto insolita. Nella maggior parte dei
testimoni l’opera viene infatti suddivisa in quattro libri,
mentre in questo si presenta ripartita in cinque (come
indicano sia l’incipit che l’explicit). La seconda parte del
quarto libro, dedicata all’arte militare navale, è stata infatti
relegata in un libro a se stante. Una tradizione manoscritta,
di area tipicamente iberica, recante una suddivisione
di questo tipo può essere fatta risalire ad un
codice del IX/X secolo conservato alla Biblioteca dell’Escorial
di Madrid (a questo riguardo si veda l’analisi
di M.D. Reeve nell’introduzione al testo critico dell’Epitoma,
p. liii).
Il nostro codex fu probabilmente esemplato in Spagna
(Barcellona) verso la fine del XIV secolo o sul principio
del XV secolo, per poi esser portato in Italia dove,
sul finire del Quattrocento, vennero aggiunte le miniature,
per altro non completate, e le armi di uno dei
membri della famiglia napoletana dei Riccio (cfr. Rietstap,
Armorial général, V,tav.CLVI). Anche la legatura,
di scuola napoletana, deve essere ricondotta allo stesso
periodo.
L’opera del Vegezio è considerata “the most systematic
treatment to have survived from Antiquity of a subject
that retained practical and educational interest long after
the arrival of gunpowder in the West: Roman warfare.Written
in elegant and markedly rhythmical Latin,
with few lapses from lucidity, by a highly placed civil
servant with a bee in his bonnet, it was among those se-
7

cular works of Antiquity that medieval readers most often
copied, excerpted, and translated” (Reeve, p. v).
Vegetius, Epitoma rei militaris. Edited by M.D. Reeve, Oxford 2004; Cat. asta
L.-A. Barbet, Paris, Hôtel Drouot (Giraud Badin), 13-14 Juin 1932, lot 15.
2
Pulci, Luigi (1432-1484) – Franco, Matteo (1447-
1494). Sonetti I-LXXXIII. [Firenze, ca. 1480].
Manoscritto cartaceo (mm 203x137), 31 carte non numerate, di cui le
ultime tre bianche; tre quaderni di 8 carte e uno di 7. COMPLETO.Testo
su un’unica colonna (145x80), su 29 linee; richiami alla fine di ogni fascicolo
posti in basso trasversalmente, parzialmente rifilati; rigatura a secco.
Elegantemente vergato da unica mano in grafia umanistica corsiva;
carta con filigrana del tipo ‘a cappello’, identificabile con Briquet, n°
3373 (Firenze, tra il 1474 e il 1483). La prima carta reca un’iniziale miniata
“S(alve)”. Il pregevole capolettera, su 3 linee, presenta il consueto
motivo decorativo con corpo della lettera a foglia d’oro, cui si avviluppano
tralci a bianchi girarî, su fondo blu, rosa e verde, sbalzato con puntini
bianchi. Il testo è inoltre scandito da iniziali calligrafiche in inchiostro
bruno di modulo lievemente maggiore del testo, poste all’inizio di
ogni quartina. I primi sette sonetti prevedono, inoltre, un titolo rubricato
dallo stesso scriba; l’inserimento di tali rubriche era concepito per tutti
i sonetti, in quanto tra l’uno e l’altro compaiono alcune righe bianche,
ma non venne mai realizzato. Per tutte le altre composizioni un’altra mano
ha introdotto brevi titoli in inchiostro nero.
Legatura d’inizio Cinquecento in pergamena floscia, dorso a capitelli
passanti; in astuccio moderno in marocchino. La conservazione del codice,
molto marginoso, è ottima, se si eccettuano uno strappo marginale
8

2. Pulci, Luigi

1. Vegetius Renatus, Flavius

1. Vegetius Renatus, Flavius

4. Euclides

5. Plotinus

7. Colonna, Francesco

7. Colonna, Francesco

6. Antonino, santo

estaurato presso la carta tre, lievi fioriture della carta e un antico restauro
a cospicua mancanza al margine inferiore della prima carta, peraltro
senza lesioni al testo.
Incipit: c. 1r «Salve se se’ quel poeta Luigi…»; explicit: c. 28v «…e tutta
notte attesi a far cumete».
Il confronto con gli altri rari testimoni manoscritti e
l’individuazione della filigrana permettono di collocare
la confezione del presente codice a Firenze, nei decenni
terminali del ’400, proprio a ridosso della realizzazione
dell’opera da parte di Luigi Pulci; ipotesi, con cui
concordano pienamente sia la grafia che il sistema decorativo
del codice.
I Sonetti, accanto ad alcuni componimenti più burlescamente
realistici e descrittivi, prevedono brani indirizzati
dal Pulci a Matteo Franco, canonico del duomo di Firenze
al servizio dei Medici a partire dai primi anni Settanta
del Quattrocento, all’umanista Bartolomeo della Scala e a
Marsilio Ficino.Testimoniano i vani tentativi dello scrittore
fiorentino di rimanere legato ai favori medicei,ormai
indirizzati a forme letterarie e culturali lontane dal “suo
naturalismo borghese, diverso da quello idillico del Poliziano
e da quello teologicamente accomodante del Ficino
impegnato nella ricerca di un’armonia fra Dio e la natura”
(Nigro, p. 68). La tradizione letteraria, sino a epoche
relativamente recenti, ha voluto vedere nello scontro tra i
due protetti di Lorenzo de’ Medici, Franco e Pulci, una
tenzone di maniera, inscenata tra due letterati uniti nella
realtà da una salda amicizia: tale è l’interpretazione accre-
9

ditata, già a ridosso della loro scomparsa, da una delle prime
stampe (Dolci, p. 3). Il dissidio, secondo tutta la critica
novecentesca, fu invece reale e si accese non appena il
Franco, entrato al servizio di Lorenzo, si adoperò in tutti i
modi per conquistarne i favori. Una serie di lettere indirizzate
dal Pulci e da Franco al Magnifico negli anni intorno
al 1474 e 1475 definiscono con precisione l’inizio
di una contesa letteraria e personale che avrebbe coinvolto
altri membri della cosiddetta ‘brigata medicea’, perdurando
per non pochi anni.
Tra gli esigui testimoni manoscritti superstiti dei Sonetti
di Luigi Pulci e di Matteo Franco, databili intorno agli
anni 1474-75, il presente è senz’altro uno dei primi ed
è sicuramente anteriore a qualsiasi edizione a stampa.
Gli altri testimoni manoscritti dell’opera pulciana attualmente
noti, tutti su supporto cartaceo, sono:
- Trivulziano 965 della Biblioteca Trivulziana di Milano
(inizio del XVI sec.);
- Vaticano Barberiniano latino 3912 (122 sonetti, fine
del XV o inizio del XVI secolo). Come nel caso del manoscritto
in esame, è qui presente un apparato illustrativo
che incornicia la scrittura nell’angolo sinistro in alto,
con uno stemma nella parte inferiore della carta.
- Parmense 1336 della Biblioteca Palatina di Parma
(fine del XV o inizio del XVI secolo). Il sistema illustrativo
del codice prevedeva uno stemma nel bas de page
di c. 1r, attualmente non più leggibile.
10

Testimoni manoscritti parziali:
- Venturi Ginori Lisci 3 (Codice Scarlatti) della omonima
biblioteca fiorentina (16 componimenti).
- Conv. Soppr. B.7.2889 della Nazionale di Firenze (13
componimenti).
- Casanatense 884 (4 componimenti).
Pure la tradizione tipografica dell’opera pulciana risulta
estremamente poco documentata: le edizioni a stampa
sono esigue, tra l’altro di datazione assai controversa tra
la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Ne sopravvivono,
per di più, da uno a tre esemplari per ciascuna. La
più antica edizione a stampa dei Sonetti è quella che il
BMC, VI, 655 attribuisce a Bartolomeo de Libri e lo
STC, 279 indica come «B. di Libri: Florence 1495?»
(esempl. scompleto).
Il manoscritto in esame è strettamente legato alla personalità
di Carlo Dolci e alla sua edizione del 1933 del
Libro de Sonetti. Da un lato, la presenza all’interno delle
pagine del codice di un foglietto manoscritto recante
l’indicazione “Codice Dolci”, dall’altro una puntuale
collazione con l’edizione a stampa pubblicata da Dolci
nel 1933 hanno permesso di identificare con certezza
nel manoscritto in questione l’opera di proprietà privata
dello studioso, presto ritenuta introvabile e utilizzata
come fondamento testuale della pubblicazione (Brambilla
Ageno I, pp. 183-210; Pignatti, pp. 194-196).
Nella prefazione all’edizione dei Sonetti del 1933, in re-
11

lazione al codice in suo possesso, il Dolci scrive: “I sonetti
del Pulci e del Franco furono stampati l’ultima
volta in Lucca nel 1759 di su un “accuratissimo testo a
penna di Carlo Dati”, ma non senza errori, specialmente
tipografici. I primi 83 sonetti si ristampano oggi da
un ms. inedito, che è in possesso del compilatore di queste
note [indicato con la sigla D]. I sonetti dopo l’83°
sono ristampati, corretti i più evidenti errori, seconda
l'edizione del 1759. Ho creduto opportuno segnare via
via le più importanti, o per significato o per singolarità
di grafia, varianti, e rispetto all’edizione del 1759 (E) e
rispetto al Codice Trivulziano 965, che la gentilezza di
S. E. il principe Trivulzio ha messo a mia disposizione
(Il Cod.Trivulziano n. 965, del sec. XV, cartaceo, contiene
103 sonetti, il cui ordine e la cui intestazione apparirà
via via nella notazione delle varianti). La grafia è
ammodernata convenientemente, in modo però da non
far perdere agli scritti il loro sapore primitivo; e così la
punteggiatura”.
Il manoscritto in esame, contiene ottantatré Sonetti così
suddivisi:
- 17 di Luigi Pulci a Matteo Franco (II, IV, X, XV, XVI, XVII,
XVIII, XIX, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, LV, LVI).
- 1 del Pulci a Luigi Stufa - nobile ambasciatore al servizio
di Lorenzo de’Medici - e Giuliano de’Medici (LXXV).
- 43 di Matteo Franco a Luigi Pulci (I, III, V, VI, VII, VIII,
IX, XI, XII, XIII, XIV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX, XXXI, XXXII,
XXXIII, XXXIV,XXXV, XXXXVI, XXXVII, XXXVIII, XXXIX, XL,
12

XLI, XLII, XLIII, XLIV, XLV, XLVI, XLVII, XLVIII, XLIX, L, LI, LII,
LIII, LIV, LVII, LVIII, LIX, LXXVI).
- 2 generici di Matteo Franco (LXXVIII, LXXXI).
- 8 di Matteo Franco a Lorenzo de’ Medici (LX, LXII,
LXIII, LXIV, LXVI, LXXIV, LXXXII, LXXXIII).
- 2 di Matteo Franco a Giuliano de’ Medici (LXV, LXVII).
- 1 di Matteo Franco «A uno che lo secava che gl’insegnassi
archimia un merciaio» (LXXVII).
- 1 di Matteo Franco a Madonna Clarice - Madonna
Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico - (LXI).
- 1 di Matteo Franco a ser Niccolò Michelozzi - cancelliere
di Lorenzo de’ Medici - (LXVIII).
- 1 di Matteo Franco a Marsilio Ficino (LXIX).
- 1 di Matteo Franco «Agli ufficiali della posta» - agenti
della imposta delle tasse - (LXX).
- 1 di Matteo Franco a Iacopo di Messer Poggio - figlio
dell’umanista Poggio Bracciolini - (LXXI).
- 1 di Matteo Franco all’arcivescovo di Firenze - Cardinale
Pietro Riario, nipote di Sisto IV - (LXXII).
- 2 di Matteo Franco ad un suo amico/compare (LXXIII,
LXXIX).
L. Pulci-M. Franco, Il “Libro dei Sonetti”, a cura di G. Dolci, Milano-Genova-Roma-Napoli
1933; S.S. Nigro, Pulci e la cultura medicea, Bari-Roma
1972; F. Brambilla Ageno, Per l’edizione dei Sonetti di Matteo Franco e di Luigi
Pulci, in AA.VV., Tra latino e volgare. Per Carlo Dionisotti, a cura di G. Bernardoni
Trezzini, O. Besomi, L. Bianchi, N. Casella,V. Ferrini Cavalleri,
G. Gianella, L. Simona, Padova 1974; F. Pignatti, Franco Matteo, in Dizionario
Biografico degli Italiani, L, Roma 1998, pp. 194-196, in partic. p. 195.
13

3
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Ameto overe
Comoedia de Nymphe fiorentine [con le aggiunte
di Hieronimus Bononius]. Treviso, Michele
Manzolo, 1479.
In-4° (mm 210x144). Collazione: a-i 8 , k-l 6 . 8 carte non numerate di 84
(mancano la prima e l’ultima bianche), testo su 32-34 linee, carattere romano.
Legatura moderna in vitello impresso a secco, dorso a quattro nervi
con tassello in marocchino rosso e titolo in oro. Esemplare in buono
stato di conservazione.
Seconda edizione, curata da Hieronimus Bononius, non
meno rara e ricercata di quella originale stampata l’anno
precedente a Roma. Il nostro esemplare appartiene alla
variante descritta dal Gesamt Katalog recante le lezioni:
“overe Comoedia de Nymphe” alla terza e quarta riga
dell’incipit e alla quinta riga del colophon “anno de”.
“[…] l’Ameto appare […] una prefigurazione strutturale
del Decameron, cornice (ambientata ai piedi della collina
fiesolana) stesa attorno a una serie di novelle. Ma naturalmente,
anche per la natura “a chiave” delle narrazioni
autobiografiche (pettegolezzi sentimentali sulla società
fiorentina, con casi riferibili, sia pure con la cautela
non sempre osservata dai vecchi critici, all'autore stesso),
si è ancora vicini alla parte del Filocolo dedicata alla
corte d’amore di Fiammetta. Le innovazioni sono tuttavia
parecchie, e la più vistosa è di carattere già formale:
il complesso prosastico include parti in verso, più esat-
14

tamente in terzine di tipo dantesco (come quelle, non
meglio riuscite, di cui consta, in quello stesso torno di
tempo, l’Amorosa Visione), e perciò è un prosimetrum al
modo, lasciando stare Marziano Capella e Boezio, della
Vita Nuova. Ma, se la vera Vita Nuova è un’autobiografia
simbolica sopraggiunta attorno a rime almeno in
gran parte preesistenti, questa del Boccaccio sottostà,
per l’insieme della cornice e per i ternarii, a tutta una
placcatura allegorica, che pretende significare la trasfigurazione
operata dall'amore entro un essere selvaggio:
sublimazione il cui carattere all'ingrosso neoplatonico
doveva rendere il libro particolarmente gradito ai lettori
rinascimentali. Quest’allegoria poco o nulla ha di
dantesco, quando si pensi al Dante della Vita, del Convivio
e della Commedia: mediazione alla nuova posizione
del Boccaccio è l’allegoria pastorale, che muove dalle
Bucoliche virgiliane [...]. L’Ameto venne a costituire il
paradigma della letteratura pastorale, direttamente
nell’Arcadia, indirettamente, attraverso appunto il Sannazzaro,
nelle letterature europee del Rinascimento e
oltre” (G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze
1985, pp. 715-16).
HC 3287; GW 4429; BMC VI, 888; IGI 1764; Goff B, 707; Bacchi della
Lega, p. 98; Cat. Bernard Quaritch, Italian books XV-XVIII centuries, (1992),
n° 4 (stessa copia).
15

4
Euclides (sec. IV-III a.C.). Preclarissimus liber elementorum
Euclidis perspicacissimi: in artem
Geometrie incipit quam foelicissime [...].Venezia,
Erhard Ratdolt, 25 maggio 1482.
In-folio (mm 277x201). Collazione: a 10 , b-r 8 . 137 carte non numerate,
manca l’ultima bianca.Testo su 44-45 linee su un’unica colonna; caratteri
109:R, 91, 56, 76 e 92 gotici. Al recto della seconda carta elegante
iniziale silografica decorata con un motivo a viticci su fondo nero e circondata
da un bordo, anch’esso ornato da tralci di vite su fondo nero,
che si estende su tre margini. La famosa cornice è quella utilizzata da
Ratdolt nel secondo volume della sua Historia Romana di Appiano del
1477. Prima rubrica stampata in rosso; nel testo iniziali silografiche ornate
su fondo nero e più di 420 diagrammi lungo i margini esterni. Secondo
il Sander “Les belles initiales et la bordure sont probablement
l’oeuvre de Bernhard Maler. Une bonne partie des dessins schématiques
n’est pas gravée sur bois, mais formée à l’aide de lamelles métalliques”.
Legatura ottocentesca in marocchino rosso; piatti inquadrati da tre cornici
di filetti dorati con ferri floreali e rotondi ai quattro angoli; dorso a cinque
nervi con decorazioni floreali e note tipografiche in oro, tagli dorati.
Esemplare in buono stato di conservazione,accuratamente lavato,restauri
lungo il margine interno della prima e dell’ultima carta, qualche piccolo
foro di tarlo.
Antica nota manoscritta, pressoché illeggibile, al recto della prima carta.
Ex libris “John Pierpont Morgan”.
Prima edizione del primo testo di geometria mai stampato
e primo esempio di diagrammi geometrici a stampa.
La traduzione latina di quest’opera impressa dal Ratdolt
risale al secolo XIII ed è attribuita ad Adelardo di Bath,
sebbene non si sappia con certezza se essa fu eseguita sul
16

testo originale greco o su una ulteriore traduzione
araba, essa venne in seguito commentata e riveduta da
Campano da Novara. Il testo commentato degli Elementa
è preceduto da un’epistola dedicatoria dello stampatore
al Doge Giovanni Mocenigo.
Gli Elementa furono il primo importante libro scientifico
dato alle stampe, superando il grande ostacolo della
realizzazione delle figure geometriche, per le quali furono
inventati appositi caratteri tipografici e lasciati
margini molto ampî, sui quali poterle inserire.
“It was the first attempt – and a highly successfull one –
to produce a long mathematical book illustrated by diagrams.
In his dedicatory epistle to the Doge Ratdolt says
that he had often wondered why the great output of the
Venetian printing presses included so few and so insignificant
mathematical works. He had discovered that this
was due to the difficulty of printing the diagrams without
which such books were almost unintelligible, and he had
set himself to overcome the difficulty. He certainly did
overcome it; and he did more. He not only produced a
very beautiful book, but he set a standard for the production
of mathematical books which lasted for a generation
or longer” (Thomas-Stanford, p. 3). L’influenza di questo
libro sulla rinascita delle scienze fu enorme ed esso viene
giustamente ritenuto uno dei lavori che più significativamente
caratterizzarono l’inizio del Rinascimento.
HC* 6693; GW 9428; BMC V, 285; IGI 3722; Goff E, 113; BAV E, 33;
Klebs 382.1; Essling 282; Sander 2605; PMM 25; G. Redgrave, Erhard Rat-
17

dolt and his work at Venice. A paper read before the Bibliographical Society, November
20, 1893, London 1899, pp. 15-17; C.Thomas-Stanford, Early editions
of Euclid’s Elements, San Francisco, 1977, n° 1.
5
Plotinus (204-270 d.C.). Opera. Firenze,Antonio di
Bartolomeo Miscomini, 7 maggio 1492.
In-folio (mm 350x237). Collazione: a 10 ,b 8 , c-n 10 ,o 12 ,p 10 , q-z 10 ,& 10 , aa-tt 10 ,
uu 10 ,vv 2 . 442 carte non numerate di cui la prima bianca.Testo su 45 linee,
carattere 112:R; il quaderno ‘r’ alla fine è stampato con un differente
set di caratteri, lettere guida. Al colophon marca tipografica dello stampatore
[Kristeller 47]. Alla prima carta di testo splendida ‘P’ in oro miniata
con uno scolaro intento a scrivere nel suo studio, bordura con motivi
ornamentali classici in rosa, verde, blu e oro. Capilettera da 3 a 8 linee
in rosso e blu. Legatura di Kalthoeber in marocchino rosso a grana larga,
i piatti sono inquadrati da una cornice di tre filetti dorati, al centro,
impresse in oro, le armi di Barclay. Dorso a sei nervi, delimitati da fili dorati,
con titolo e note tipografiche. Merletto interno alla greca, carte di
guardia in carta caillouté, tagli dorati e goffrati. Esemplare in ottimo stato
di conservazione, un piccolo foro di tarlo anticamente riparato all’ultima
carta tocca tre lettere.
Proveniente dalla collezione Earl Spencer. Ex libris: “Charles Barclay”,
“Charles Harry St. John Hornby”,“Clifford Rattey”.
Prima edizione dell’opera di Plotino, tradotta e commentata
da Marsilio Ficino su richiesta del suo mecenate Lorenzo
de’ Medici. Gli scritti del Plotino furono raccolti in
un corpus omogeneo, le Enneadi, dal suo discepolo Porfi-
18

io e rappresentano il primo testo neoplatonico. Il Ficino,
incoraggiato da Pico della Mirandola, terminò la traduzione
del summus interpres di Platone nel 1486 ed il commento
nel 1491, l’anno seguente furono dati alle stampe,
ma purtroppo Lorenzo morì un mese prima della pubblicazione
del volume. La dedica del Ficino al Magnifico è
testimonianza importante per la storia del platonismo a
Firenze, infatti nell’epistola viene dato il resoconto di come
Cosimo de’ Medici, dopo aver assistito alle letture di
Pleto su Platone, commissionasse al Ficino la traduzione
del corpus platonico e come gli ordinasse, una volta venuti
alla luce gli scritti del Trismegisto, di abbandonare temporaneamente
Platone per tradurre Ermete.
HC* 13121; BMC VI, 640, XII, 46; IGI 7906; Goff P, 815; Polain (B)
3207.
6
Antonino, santo (1389-1459). Tractato volgare di
frate Antonino arcivescovo di Firenze che è intitolato
Curam illius habe. Firenze, Lorenzo Morgiani
e Johannes Petri, 23 maggio 1493.
In-4° (mm 197x130). Collazione: a-i 8 ,k 6 ,l 4 . 82 carte non numerate. Carattere
4:85R su 36 righe.Al frontespizio silografia, già apparsa nei Soliloquia
di S. Agostino del 1491, raffigurante S. Antonino nel suo studio
nell’atto di scrivere; al verso dell’ultima carta un altro legno, inedito, raf-
19

figurante S.Antonino nell’atto di confessare un penitente inginocchiato
dinnanzi a lui. Iniziali silografiche ornate su fondo nero. Legatura moderna
in marocchino marrone, titolo in oro al dorso, dentelles interne,
tagli dorati. Esemplare in buono stato di conservazione, alcune fioriture,
angolo inferiore dell’ultima carta ricostruito con parziale perdita del colophon.
Ex libris “W.A. Foyle. Beeleigh abbey”.
Rara edizione del trattato redatto in volgare da Antonino
Pierozzi, frate domenicano, che fu valido sostenitore della
riforma dell’ordine promossa dal Beato Raimondo da Capua.
Fu ricevuto nell’ordine dal Beato Giovanni Dominici
nel convento di Santa Maria Novella, proseguendo la
sua preparazione a Cortona, dove ebbe come maestro il
Beato Lorenzo di Ripafratta, del quale fu degno discepolo.
Papa Eugenio IV, nel 1446, lo nominò Arcivescovo di
Firenze, morì nel 1459 e fu proclamato santo da Papa
Adriano VI il 31 maggio 1523.
Il trattato contenuto nella presente edizione va considerato
come un vero e proprio catechismo, prova delle preoccupazioni
pastorali del santo arcivescovo.
HC 1214; BMC V, 682; GW 2079; IGI 615; Goff A, 785; Sander 427.
7
[Colonna, Francesco (ca. 1433-1527)]. Hypnerotomachia
Poliphili. Venezia, Aldo Manuzio,dicembre 1499.
20

In-folio (mm 300x205). Collazione: 4 , a-y 8 ,z 10 , A-E 8 ,F 4 . 234 carte non
numerate. Caratteri: 2:115R (testo); 10:82R (titoli, errata, incipit di alcuni
capitoli); 7:114G (alcune parole); 9:48G (errata), carattere ebraico
squadrato (iscrizioni in b8 recto e verso). Due grandi e 37 piccole iniziali
silografiche che in successione formano il celebre acrostico “Poliam
fratrem Franciscus Columna peramavis”. Illustrato da 172 legni, due dei
quali (a6v e c1r) con il monogramma ‘b’, e di cui 11 a piena pagina. Le
silografie sono probabilmente da attribuirsi alla cerchia del miniatore padovano
Benedetto Bordon (cfr. Lilian Armstrong, “Benedetto Bordon,
Aldus Manutius and Lucantonio Giunta”, in Aldus Manutius and Renaissance
culture, Firenze 1998, pp. 161-183), sebbene Alessandro Parronchi
proponga il nome di Pietro Paolo Agabiti. Legatura francese in vitello
d’inizio Seicento, con le armi di Gaspard III Fieubert de Naulac, signore
di Ligny (Olivier, tav. 252), impresse in oro su entrambi i piatti; titolo in
oro al dorso, tagli spruzzati. Esemplare molto fresco, in ottimo stato di
conservazione; piccola perdita di carta al margine inferiore di un foglio;
dorso restaurato conservando gran parte della pelle originale.L’errata SA-
NEQVE è stata corretta sbarrando l’ultima lettera e scrivendo a mano la
desinenza AM. Provenienza: al frontespizio firma di Guillermus Marlius,
commentatore del XVI secolo; Gaspard III de Naulac, sieur de Ligny, che
fece parte del Parlamento di Parigi nel 1649, fu consigliere di stato e cancelliere
della regina Maria Teresa; al frontespizio firma di Vignier, storico
e accademico francese del XVIII secolo, biografo di Enrico IV; firma al
frontespizio di Myron (sec. XVIII); nota di acquisto del 6 marzo 1775 di
Michael Wodhull che lo acquistò all’asta White; ex libris Philip Hofer,
al quale fu venduto nel 1886 a Londra; John M. Crawford, collezionista
americano; H. Bradley Martin, venduto nel 1990 ad un collezionista
privato.
Prima edizione del Sogno di Polifilo, dedicata dal gentiluomo
veronese Leonardo Crasso, che ne finanziò la
stampa, a Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino.
Il romanzo d’amore allegorico attribuito al frate domenicano
del convento di San Zanipolo Francesco Co-
21

lonna – identificabile dall’acrostico composto dai 39 capilettera
che ornano il testo – è uno dei rari volumi illustrati
impressi dai torchi della tipografia aldina. Scritto
in un linguaggio ibrido tra italiano e latino, irto di
simbolismi, di allusioni erudite, di riferimenti antiquari
è un unicum nella carriera dello stampatore veneziano
e la sua eccezionalità risiede anche nelle raffinate silografie
che adornano il testo.
HC* 5501; BMC V, 561; GW 7223; IGI 3062; Goff C, 767; Renouard
21, p. 5; Ahmanson-Murphy 35; Laurenziana, n° 36; Marciana, n° 36;
Lowry, pp. 129-135; Essling 1198.
8
Parzaytumar Hayoc’ [Almanacco semplice]. [Venezia,Yakob
Melapart, 1512].
In-8° (mm 150x103); 60 carte non numerate, segnate con le prime otto
lettere dell’alfabeto armeno. Carattere bolorgir 18, stampato in rosso
e nero.Al recto della prima carta, soltanto le parole: [«È l’Almanacco degli
Armeni»]; segue il calendario per l’anno 961 dell’era armena
[= 1512], titoli correnti in rosso e nero racchiusi in un elaborato cartiglio
silografico. Al verso della penultima carta, registro e marca tipografica
stampata in rosso (con, inscrittevi, le lettere romane «D. I. Z.A.»). Legatura
antica in vitello marrone con cornice decorata a secco da ferri
ovali, tracce di bindelle, fogli di guardia in pergamena manoscritta. Esemplare
in buono stato di conservazione, se si considerano la rarità del volume
e la sua povertà tipografica; carta piuttosto usurata, alcune macchie.
22

Il presente libro è stato considerato per lungo tempo il
primo di una serie di volumi che, stampati a Venezia a
partire dal 1512, costituiscono “les plus anciens produits
de l’Imprimerie Arménienne” (De Marinis). Recenti
studi di Raymond H. Kévorkian portano alla conclusione
che il Parzaytumar fu il terzo dei cinque libri armeni
pubblicati da Yakob Melapart negli anni 1512-13.
L’opera consta di cinque parti: 1) Trattato sui segni zodiacali;
2) Trattato sul primo giorno dell’anno; 3) Trattato
sui sogni; 4) Trattato sulla nascita dei bambini; 5)
Trattato sui movimenti delle membra del corpo umano.
“L’édition est suffisament nette et régulière; elle a une
ponctuation et des lettres majuscules; les mots y sont séparés
les uns des autres et les fautes typographiques n’y
sont pas nombreuses” (De Marinis).
“[In Venice] Armenian printing began.The first Armenian
printer was Yakob Melapart (Jacob the sinful) who,
with the aid of the small Armenian community, published
the first Armenian book in 1512. We possess very
little information about him, but the high quality and
original features of his publications are evidence that he
was a learned individual. Five of his books have been
preserved, but no copy of the sixth, a Psalter, has yet
been discovered.All are diminutive; the paper resembles
vellum in colour and texture; the type, printed in red
and black, resembles the script used in manuscripts.
None of the books has a title page, and the pages are
not numbered. Several elegant head-pieces, engravings
23

and ornamental letters are used. At the end of each
book, we find the printer’s device with the initials
D.I.Z.A., which occurs only in the five books printed
by Yakob Melapart,and this rules out the possibility that
the books could have been printed by Italian firms. In
1513 Lelio and Paulo di Maximi, the heirs of Democrito
Terracina, were granted a renewal for twenty-five
years of an exclusive Venetian privilege to print works
in the characters of certain Oriental languages, including
Armenian, originally granted to Terracina in 1498.
There is nothing to show that they were concerned in
the printing or publication of the above works. Armenian
scholars have suggested various solutions. Karapet
Besmajean deciphers the initials as follows:
D. = Dei Servus
I. = Iacobus [= Yakob]
Z. = Zanni or Zuanne [= Yovhannes]
A. = Armenus” (Nersessian).
T. De Marinis, Les débuts de l’Imprimerie Arménienne à Venise, prefazione al
catalogo T. De Marinis & Co., Livres rares, autographes et manuscripts, Florence
1906, p. IV, n° 1 (“On en trouve un exemplaire dans la bibliothèque
des PP. Mekithariste à Vienne et un autre dans le Couvent de St.
Jacques à Jérusalem”);V. Nersessian, Catalogue of Armenian Printed Books
in the British Library and the Bodleian Library, 1512-1800, n° 1 (un’unica
copia, presso la Bodleian Library); H. Kévorkian, Catalogue des «incunables»
arméniens ou chronique de l’imprimerie arménienne, Genève 1986, n° 3.
24

8. Parzaytumar Hayoc’

9. Granollachs, Bernat de

10. Dominici, Giovanni beato

11. Stabili, Francesco

16. Leonico Tomeo, Niccolò

12. Erasmus, Desiderius Roterodamus

13. Erasmus, Desiderius Roterodamus

22. Alighieri, Dante

9
Granollachs, Bernat de (ca. 1421-1485). Lunarium: in
quo reperiuntur Coniunctiones & Oppositiones Lunae/
& Eclypses Solis & Lunae/ per Anni circulum,
Festa mobilia,Aureus numerus: & Littera dominicalis
etc. [Venezia, s.n., 1513].
In-8° (mm 131x90); 22 carte non numerate.Al frontespizio silografia di
scuola veneziana che rappresenta un astronomo nel suo studio. Legatura
moderna in marocchino blu firmata da Lortic. Su entrambi i piatti stemma
dorato del principe d’Essling, dentelles interne, tagli dorati. Esemplare
in ottimo stato di conservazione, accuratamente lavato.
Rarissima edizione del Lunarium di Bernat de Grannollachs,
le tavole in esso contenute vanno dall’anno 1512
al 1550. Si tratta del calendario astronomico più importante
dell’Europa tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo:
in cent’anni (tenendo conto che la primissima edizione
risale al 1488) ne vennero stampate più di 90
edizioni. L’opera del Granollachs fu infatti stampata in
latino, catalano, italiano, portoghese in Spagna, Francia,
Portogallo ed Italia.
Si tratta dell’unico esemplare censito di questa edizione,
probabilmente veneziana (e non romana come ipotizzato
da Sander e Chabàs-Roca), poiché proveniente
dalla raccolta Essling, noto collezionista di libri stampati
a Venezia.
Sander 3245; Chabàs-Roca 62 (non cita nessuna copia); manca al Palau.
25

10
Dominici, Giovanni beato (1357-1419).Trattato della
sanctissima charita. Siena, Simeone Nardi e Gionanni
Landi, 17 ottobre 1513.
In-4° (mm 202x130); 4 carte non numerate, 170 carte erroneamente numerate
180, due non numerate. Al frontespizio grande silografia in cornice
e a piena pagina raffigurante l’autore inginocchiato nell’atto di offrire
la propria opera a Cristo in croce; capilettera silografici ornati; al
colophon note tipografiche stampate su righe di misura variabile a comporre
una croce. Legatura ottocentesca in marocchino rosso firmata da
Lortic, stemma dorato del principe d’Essling al centro di entrambi i piatti.
Dorso a cinque nervi con titolo impresso in oro e monogramma
‘MV’, dentelles interne, tagli dorati. Esemplare in buono stato di conservazione,
accuratamente lavato.
Prima e assai rara edizione di quest’opera ascetica di
Giovanni Dominici, frate domenicano, cardinale e fondatore,
nel 1406, del Convento di S. Domenico di Fiesole.
Nella prefazione viene narrata la vita dell’autore.
“S. Antonino, arcivescovo di Firenze, condiscepolo col
celebre b. Angelico da Fiesole, scrive del suo maestro e
primo ispiratore alla vita monastica a proposito di questo
Trattato: «Ut etiam illitteratis doctrinam spiritualem
relinqueret, librum in vulgari venusto composuit stylo,
quem Amorem Caritatis intitulavit, exponens illud capitulum:
Si linguis hominum loquar et Angelorum etc., nec
simile in vulgari reperitur»; e nella Somma dà lode allo
stesso, perché avesse scritto in linguaggio volgare questo
libro, esso pure scientifico, contro l’uso allora comune.
26

La facile e rapida diffusione di quell’opera, avvenuta
dapprima mercé i codici manoscritti, indi col mezzo tipografico,
dimostra indubbiamente in quanto pregio essa
fosse tenuta, e con quanto entusiasmo fosse accolto
uno scritto dettato da quella mente profondamente filosofica,
che seppe trattare un argomento ascetico e morale
anche colle speculazioni più alte, a cui può giungere
l’intelletto umano” (Il libro d’amore di carità…, p.X).
Le lodi del Dominici e l’apprezzamento per la sua opera
ricorrono in numerosi testi dell’epoca,quali,ad esempio,
una lettera di Coluccio Salutati a Gregorio XII, le
Lettere dell’Aretino ed il Dialogo contro gli Ipocriti di Poggio
Bracciolini.
F. Jacometti, Il primo stampatore senese: Simone di Niccolò di Nardo,“La Diana.
Rassegna d’arte e vita senese”, I (1926), fasc. 3°, pp. 184-202; Sander
2466; Olschki, n° 4474 (“Volume fort rare”); Il libro d’amore di carità del
fiorentino B. Giovanni Dominici.Testo inedito di lingua pubblicato per cura
del dott. Antonio Ceruti, Bologna 1889.
11
Stabili, Francesco, detto Cecco d’Ascoli (1269-1327).
[L’Acerba] Lo illustro poeta Cecho d’Ascoli; con comento
novamente trovato; et nobilmente historiato,
revisto et emendato da molta incorrectione extirpato
et da antiquo suo vestigio exemplato. Venezia,
Marchiò Sessa e Piero di Ravani, 1516.
27

In-4° (mm 209x139); 100 carte numerate.Al frontespizio illustrazione silografica
firmata ‘LF’ - già comparsa nell’edizione sessiana de L’Acerba del
1510 - e tratta dal del De virtutibus herbarum di Alberto Magno del 1509,
raffigurante due astronomi. Nel testo figure astronomiche e vignette, alcune
raffiguranti i vizi e le virtù degli animali. Capilettera silografici ornati.
Al colophon marca editoriale, un gatto con topo in bocca in cerchio
sormontato da corona (Z595). Legatura in mezza pelle bazzana
ottocentesca. Esemplare in discreto stato di conservazione, qualche macchia
accuratamente lavata ed alcuni difetti al dorso.
Rara edizione veneziana, riccamente illustrata de L’Acerba
di Cecco d’Ascoli. Si tratta di una ristampa dell’edizione
del Sessa del 1510, che viene considerata “la migliore
per la qualità della impressione, per l’importanza
dei commenti del Massetti e per l’ordine col quale ne sono
divise le parti” (Riccardi).
“Più dei trattati (latini) astronomici e astrologici, ebbe
fortuna fino alla Controriforma il poemetto volgare, divulgativo
(benché, per ruvidezza di dettato, tutt’altro che
trasparente) compendio di filosofia naturale,intitolato Lacerba:
da dividersi L’Acerba, con programmatica allusione
all’asprezza della materia e della scrittura. Questa interpretazione
(alla quale si attennero i futuristi fiorentini
chiamando Lacerba una loro rivista di velleità anticonformistiche)
sembra accordarsi con un passo del IV e penultimo
libro: “Or, alma grazïosa, pôi vedere Quanta dolcezza
è in quisti acerbi fogli”; ma, poiché più
specificamente all’inizio del medesimo libro Cecco vuol
levar “l’ale de l’acerba mente,Seguendo del filosofo la via”
(e non manca nella tradizione il titolo Liber acerbæ ætatis
28

o cosa affine, forse sullo schema di Vita Nuova), Cecco alluderà
all’adolescenza mentale, da dirozzare in modo
scientifico. […] Un certo fascino, per quanto intermittente,
viene al poemetto dalla sua stessa petrosità, in buona
parte preterintenzionale. L’Acerba è per qualche aspetto
un’anti-Commedia, poiché Cecco non perde occasione
di combattere, con l’acredine allora propria di filosofi e
scienziati,singole tesi di Dante (col quale egli avrebbe polemizzato
personalmente sul tema della nobiltà), e anche
la generale organizzazione fantastica dalla selva oscura in
giù, coi più famosi personaggi e aneddoti anche storici
(Paolo e Francesca, conte Ugolino,Vanni Fucci ecc.): tutte
futili favole, in confronto alla nuda verità propugnata
da Cecco. Un qualche recalcitrante omaggio alla Commedia
è reso peraltro dal metro, che pure è una specie di
terzine, ma associate a due a due con rime ABA, CBC,come
sirme di sonetto non incatenate fra loro (in fine al capitolo
è un distico a rima baciata)”. (G.CONTINI, Letteratura
italiana delle origini, Firenze 1985 4 , p. 441).
Riccardi 472; Abrams 144; Essling 1333; Sander 1889.
12
Erasmus, Desiderius Roterodamus (1466-1536). Institutio
Principis Christiani saluberrimis referta
praeceptis […]. Basilea, Johann Froben, maggio 1516.
29

In-4° (mm 212x148); 166 carte non numerate. Frontespizio inquadrato
da una cornice silografica a fondo nero. Anche al recto della seconda
carta – recante l’incipit della dedica di Erasmo al principe Carlos I di
Spagna – ricca cornice silografica, che si ritrova identica alla carta 2v e,
con il legno superiore invertito con quello inferiore, alle carte P1r e Y1v.
Capilettera silografici ornati nel testo; al verso dell’ultima carta marca tipografica
di Johann Froben – una mano che regge un cadùceo – sormontato
da una colomba e inquadrato dal motto evangelico in latino, ripetuto
anche in greco e in ebraico “Prudens simplicitas amorque recti”
e affiancata dalle iniziali “IO”,“FRO.”. Legatura cinquecentesca in piena
pelle, rimontata e molto usurata, con perdita quasi totale dell’oro. Piatti
decorati lungo i bordi e, al centro, motivo ornamentale a ferri floreali
dorati. Esemplare stampato su carta forte, con ampi margini, in buono
stato di conservazione; qualche gora, più marcata lungo il margine inferiore
del volume.
Alcune note manoscritte di possesso dei secoli XVII e XVIII al frontespizio;
marginalia e sottolineature in inchiostro marrone nel testo.
Prima edizione dell’Institutio di Erasmo, scritta nel 1515
e dedicata a Carlos I di Spagna con le parole che seguono:“Illustrissimo
principi Carolo invictissimi Maximiliani
nepoti,Desiderius Erasmus Roterodamus S.D”.La dedica
colpì il futuro imperatore di Spagna a tal punto che
egli fece del libro una delle sue principali letture, come
nota José Luis Abellán nel suo studio El erasmismo español
“La idea imperial de Carlos V está directamente inspirada
en esa fuente erasmiana. Según ésta, el imperio es la
unidad espiritual cristiana, idea alejada tanto de la concepción
clásica del imperio como de la monarquía universal,
que algunos pretendían; en ambos casos el emperador
aparece como dominus mundi. Por el contrario, en la
concepción de Carlos V, éste se prefigura como rey de la
30

universitas christiana de la que se considera más jefe espiritual
que político” (p. 128). Il volume contiene inoltre le
opere di Erasmo De regno administrando, il panegirico indirizzato
a Filippo il Bello e, in coda, il Libellum Plutarchi
de discrimine adulatoris & amici… ad Henricum octavum.
Vander Haeghen,111;Adams E,380;Bibl.Belg.E,1253;Machiels E,483;
J.L. Abellán, El erasmismo español, Madrid 2005.
13
Erasmus, Desiderius Roterodamus (1466-1536). Antibarbarorum
[...] liber unus. Basilea, Johann Froben,
maggio 1520.
In-4° (mm 205x143); 150 pagine numerate.Titolo racchiuso entro una
elaborata cornice architettonica disegnata da Hans Holbein e ripresa dall’edizione
di Pico della Mirandola del 1518, in basso al centro due putti
sorreggono uno scudo con la marca del Froben, il cadùceo con al centro
una colomba. La prima pagina di dedica (p. 3) e la prima pagina di
testo (p. 9) sono anch’esse circondate da un’elaborata cornice silografica
a fondo nero ornata da motivi architettonici e floreali e da un capolettera
animato.Al verso dell’ultima carta marca tipografica dello stampatore
inserita in uno scudo sorretto da due putti in cornice architettonica.
Legatura moderna in mezza pergamena. Esemplare stampato su carta forte,
in buono stato di conservazione, con ampi margini; tracce di umidità
al margine inferiore e qualche brunitura.
Marginalia coevi in inchiostro marrone in tutto il volume.
Rarissima editio princeps di una delle prime opere di
31

Erasmo.Essa venne scritta nel 1495 in difesa di coloro che
conoscevano correttamente il latino e contro gli scrittori
‘barbari’, dal linguaggio poco corretto. L’autore attribuisce
la responsabilità di questa decadenza ai cristiani
dell’età post-patristica, che avevano avvertito il contrasto
fra la loro fede e gli studi tradizionali, ovvero tra classicismo
e cristianesimo.“I veri Goti” dice Erasmo “non erano
stati gli indotti ed i rudi guerrieri germanici, ma gli
uomini della scienza, che avevano oscurato con i loro tenebrosi
commentari gli autori tradotti dal greco”.
Con la redazione della presente opera il grande erudito
mitteleuropeo pone fine alla diatriba innescata dallo
scambio epistolare tra Pico della Mirandola ed Ermolao
Barbaro del 1485, tra i ‘barbari’ filosofi e gli ‘eloquenti’
umanisti. Con l’Antibarbarorum Erasmo giunge alla conclusione
che l’eloquenza latina ben si sposa, e anzi favorisce,
qualsiasi prodotto dell’intelletto umano.
Vander Haegen I, 9;Adams E, 463; Bibl. Belgica II, 400, E, 286; Machiels
E, 158.
14
Caesar, Gaius Iulius (100-44 a.C.). Commentaria
Caesaris […] In his autem commentariis continentur:
De Bello Gallico Libri VIII. De bello civili
Pompeiano libri IIII. [Hircus, Aulus]. De bello
32

Alexandrino liber I. De bello Africano Liber I.De
bello Hispaniensi liber I […] [Marliano, Raimondo].
Nomina locorum urbiumque… Pictura totius
Galliae […]. Firenze, eredi di Filippo Giunti,
1520.
In-8° (mm 152x88); 15 carte non numerate, una carta bianca, 285 carte
numerate (numerosi errori di paginazione), una carta bianca recante, al
verso, la marca tipografica dei Giunti (Z648). Illustrato da 7 silografie, di
cui due a doppia pagina raffiguranti la Gallia e la Spagna, e cinque raffiguranti,
rispettivamente, il ponte fatto costruire da Cesare sul Reno, le
mura fortificate della città di Avaricum, la città di Alexia Mandubiorum,
la città di Uxellodunum, le mura fortificate di Marsiglia. Legatura seicentesca
in pergamena rigida, tagli spruzzati. Esemplare in buono stato
di conservazione, lievi tracce di umidità. Nota manoscritta di possesso
del XVII secolo al frontespizio, radi richiami manoscritti in inchiostro
marrone lungo i margini.
Ristampa dell’edizione giuntina del 1514, che, a sua volta
è la seconda uscita dai torchi di questa officina. “I
Giunti, che nel 1508 avevano dato di Cesare una vera e
propria edizione, riproducono […] il testo aldino, compresa
la sua dedicatoria.Tipograficamente però la giuntina
è migliore, soprattutto per le carte e le illustrazioni.”
(Camerini, p. 84).
Camerini n° 143; Adams C, 31; Renouard p. 45, n° 38.
33

15
Leone, Ambrogio (1459-1525). Ambrosii Leonis
Nolani divini philosophi novum opus questionum
seu problematum ut pulcherrimorum ita
utilissimorum tum aliis plerisque in rebus cognoscendis
tum maxime in philosophia & medicina
scientia. Venezia, Bernardino e Matteo Vitali, 28
agosto 1523.
In-folio (mm 314x216); 63 carte non numerate, una carta bianca. Frontespizio
con titolo in rosso racchiuso in una cornice silografica a motivi
floreali stampata in inchiostro blu; al verso della carta P3 marca tipografica
dei fratelli Vitali raffigurante il leone di S. Marco che tiene con la
zampa destra il Vangelo recante la scritta “Pax tibi Marce evangelista
meus” (Z807). Legatura coeva in pergamena floscia recante sul piatto superiore
la scritta, in caratteri capitali, “Ambrosii Nolani Problemata” in
inchiostro marrone, racchiusa da una cornice formata da quattro cerchi
concentrici. La stessa iscrizione manoscritta, ma in caratteri gotici, compare
anche lungo il dorso del volume; tracce di bindelle. Esemplare in
ottimo stato di conservazione,legatura parzialmente scucita al dorso. Antica
nota manoscritta di possesso, quasi totalmente abrasa, al frontespizio.
Rarissima prima – ed unica – edizione di quest’opera
di Ambrogio Leone, dotto medico, filosofo, storico, matematico
e letterato originario di Nola.Thorndicke ne
fa menzione per la sua analisi, incredibilmente sofisticata
e all’avanguardia rispetto ai tempi, della sifilide (HistoriaV.147),
pubblicata otto anni prima della prima edizione
del Fracastoro. “Ambrogio Leone fu mente
eclettica, aperta ad ogni forma di cultura, anche se pro-
34

vava una naturale e particolare inclinazione per le scienze
sperimentali e per la filosofia. Figlio del suo tempo,
egli assorbì a Padova, a Napoli e a Venezia tutti gli aspetti
e le sfumature della complessa cultura e civiltà dell’Umanesimo
e produsse, nei primi lustri del secolo successivo,
il Rinascimento, buona parte delle sue opere,
che di quella cultura sono, spesso, la sintesi e la puntualizzazione
esegetica. Alcune di esse, infatti, sono come
delle enciclopedie del sapere, ricche di erudizione messa
al servizio di quanti volessero apprendere e di coloro
che desiderassero approfondire o rivedere le proprie cognizioni
filosofiche e scientifiche” (Ammirati, p. 97).
Le Quaestiones sono “un’opera colossale, una vera enciclopedia
che per il vario contenuto e le finalità che […]
anticipano l’Illuminismo, risponde a quesiti riguardanti
le più disparate discipline e a domande le più strane e
curiose, non ebbe, a quanto consta, altre edizioni oltre a
quella veneziana, nonostante la grande considerazione
in cui fu tenuta dagli studiosi del Rinascimento e dei
secoli successivi. Erasmo nel 1519, scrivendo all’amico,
dice di essere rimasto meravigliato per non aver avuto
ragguagli su quell’opera: «De problematis rerum naturalium,
quod opus iam olim habeas in manibus, admiror
te nihil meminisse…»” (Ammirati, pp. 139-140).
La presente edizione risulta piuttosto accurata e lussuosa,
se si considera il suo carattere di testo scientifico: il
frontespizio è stampato con inchiostro a due colori ed
è impreziosito da un’elaborata cornice architettonica a
35

motivi floreali in inchiostro blu, fatto assai inconsueto
nel panorama della stampa dei libri italiani del XVI secolo.
Riccardi 332; Sander 3915; P. Manzi, Editori, tipografi e librai napoletani a
Venezia nel secolo XVI,“La Bibliofilia”, 1974, pp. 35-134 e 65-138; L.Ammirati,
Ambrogio Leone nolano, Marigliano 1983.
16
Leonico Tomeo, Niccolò (1456-1531). Nicolai
Leonici Thomaei opuscula nuper in lucem aedita
[...]. Venezia, Bernardino Vitali, 23 febbraio 1525.
In-4° (mm 196x136); 139 carte numerate (di cui la carta 74 è vuota),
una carta bianca. Testo stampato in carattere romano, corsivo e greco.
Frontespizio con titolo stampato in rosso racchiuso da una cornice ornata
da elementi architettonici, figure animali ed antropomorfe, grottesche,
elmi e scudi e da una piccola veduta in basso; nel testo capilettera
silografici ornati ed animati e un gran numero di diagrammi geometrici
ed astronomici; alla carta 41r la prima rappresentazione di uno strumento
odontoiatrico. Richiami in greco e latino stampati ai margini del
testo. Legatura coeva in pergamena floscia; titolo manoscritto in inchiostro
marrone al dorso. Esemplare ottimamente conservato, ad ampi margini;
lievi fioriture, un poco più marcate lungo il margine superiore di
alcune carte.
Rara prima edizione del commento ad alcune opere aristoteliche
del veneziano Niccolò Leonico, discepolo di
Demetrio Calcondila, professore di greco e latino nello
36

Studio padovano, dove lesse per la prima volta Aristotele
sul testo originale.“Contains the author’s commentaries
on Aristoteles’ De animalium motu, De animalium incessu,
& Mechanica [with text], and an extract from Proclus’
commentary on Plato’s Timeo” (Durling). La presenza
di un fascicolo ‘I’ di quattro carte in alcuni
esemplari sembrerebbe attestare l’esistenza di due tirature
differenti, di cui, a rigor di logica, la nostra – priva della
tabula – sarebbe la prima,considerando anche che molte
bibliografie (Durling, Wellcome, etc.) non citano
affatto l’ultimo quaderno in esame.
Durling 2794;Wellcome 3744; Adams L, 502.
17
[Passerini, Silvio (1469-1529)]. Statuta Reverendissimi
domini Sylvii Cardinalis Cortonensis Legati.
Perugia, Girolamo Cartolari per l’autore, 27 gennaio
1526.
In-4° (mm 210x140); 39 carte non numerate, una bianca. Esemplare
stampato su pergamena.Al frontespizio grande silografia con le armi del
Cardinal Silvio Passerini, al verso un legno raffigurante il grifone di Perugia;
iniziali silografiche ornate. Splendida legatura perugina, strettamente
coeva, in marocchino nocciola; piatti decorati a secco da una cornice
a nodi che racchiude un’altra cornice romboidale ornata da ferri a
‘X’.Tagli gialli, tracce di bindelle, custodia moderna. I fogli di guardia so-
37

no costituiti da due frammenti membranacei di un manoscritto legale
italiano del XIII/XIV secolo. Esemplare in buono stato di conservazione,
fori di tarlo alle prime carte e al dorso della legatura.
Al frontespizio nota di possesso manoscritta: “Filippo Baldacchini, 31
gennaio 1526”.
Copia di presentazione di questa rara edizione, stampata
su pergamena, di proprietà del nipote del Passerini, Filippo
Baldacchini (fl. seconda metà del secolo XV, ca. 1530)
– elogiato dallo zio nell’introduzione – che appose la sua
nota di possesso su questa copia degli Statuti solo quattro
giorni dopo la sua pubblicazione. Il Baldacchini fu autore
di versi d’intrattenimento, venne favorito dagli ambienti
ecclesiastici grazie al suo rapporto di parentela col
Passerini, tanto che fu eletto vescovo di Assisi nel 1526.
La nota di possesso contemporanea alla stampa permette
di attribuire la legatura del volumetto a un atélier perugino.
Biblioteca del Senato della Repubblica, Catalogo della raccolta di Statuti, V,
p. 306; Sander 5571.
18
Plautus,Titus Maccius (ca. 254-184 a.C). Cassina,
comedia di Plauto tradotta di latino in volgare,
per Girolamo Berrardo Ferrarese […]. Venezia,
Niccolò di Aristotile detto Zoppino, 1530.
38

In-8° (mm 152x101); 62 carte mal numerate 54, una non numerata recante
le note tipografiche, una carta bianca. Frontespizio stampato in rosso
e nero con un ritratto silografico raffigurante l’autore, già apparso
in alcune edizioni latine ciceroniane e utilizzato ad effigiare l’erudito di
Arpino.Al verso della penultima carta marca tipografica dello Zoppino,
S. Nicola con la mitra seduto sulla cattedra episcopale, con la mano destra
alzata, il pastorale nella sinistra e le tre palle d’oro sul libro (Z895).
Legatura moderna in pergamena rigida. Esemplare in buono stato di
conservazione, lievi gore.
Prima edizione della traduzione volgare in terzine del
ferrarese Girolamo Berardo (fl. 1530) della Casina di
Plauto.
La commedia mette in scena le vicende di Casina (La
fanciulla del caso), una trovatella che la buona Cleòstrata
raccoglie e alleva in casa sua e della quale si innamorano
padre e figlio; della situazione si accorge Cleòstrata,
che cerca di distogliere il marito libertino da quel desiderio
insano; questi, dopo aver proposto che la ragazza
venga sposata da uno dei servi, suo o del figlio, traendola
a sorte, fa in modo che favorito dalla sorte sia il
proprio servo. Si scopre poi che la fanciulla è figlia di
un vicino di casa, per cui non sarà più costretta a sposare
un servo ma può liberamente sposare il figlio di
Cleòstrata. A quest’opera di Plauto si ispirò nel 1525
Machiavelli nella redazione della Clizia.
Allacci 168; Clubb 164; Solleinne I, 114; Salvioli 670 (“rara”); BMC 525;
Adams P, 1524; Essling 1726; Sander 5754.
39

19
Boccaccio, Giovanni (1313-1375). Fiammetta. Venezia,
Bernardo di Filippo Giunta, 1533.
In-8° (mm 142x90); 110 carte con numerosi errori nella paginazione,
una carta bianca seguita da una carta recante, al verso, la marca tipografica
dei Giunti (Z647). Legatura del sec. XVIII in mezza pelle con titolo
in oro su tassello rosso al dorso. Esemplare in discreto stato di conservazione,
lievi fioriture, margine superiore sobrio.
Terza edizione giuntina della Fiammetta del Boccaccio,
che riprende la prima del 1517, e la successiva ristampa
del 1524 ed è, come precisa il Gamba,“la prescelta dagli
Accademici”(p. 64).
Il libro “interamente prosastico, […] nella formula più
piena del suo titolo si chiama Elegia di madonna Fiammetta:
«elegia» vale, secondo il De vulgari, «stilus miserorum»,
e a ciò consuona l’inizio (: «suole a’ miseri crescere di dolersi
vaghezza» ecc.). È infatti il lamento d’un’abbandonata
[…]. La gentildonna napoletana velata dal senhal di
Fiammetta rievoca il suo subitaneo innamoramento d’un
giovane designato come Panfilo (Pamphilus è il seduttore
protagonista d’una famosa «commedia elegiaca» latina di
Francia); ricorda la partenza di lui per Firenze, richiamato
dal padre, e la sua non mantenuta promessa di tornare
entro quattro mesi; minutamente analizza il proprio stato
d’animo quando l’amante si rivela spergiuro e allorché ne
giungono più o meno inesatte notizie”. (G. Contini, Letteratura
italiana delle origini, Firenze 1985, p. 722).
4040

Bacchi della Lega, p. 111; Camerini, n° 229; Renouard, p. LIV, n° 122;
Gamba, n° 195.
20
Ariosto, Ludovico (1474-1533). Comedia […] intitolata
gli soppositi. Venezia, Nicolò di Aristotile di
Ferrara detto Zoppino, 1538. (Legato con:) Idem. La
Lena. Venezia, Nicolò di Aristotile detto Zoppino,
1537. (Legato con:) Idem. Comedia […] intitolata
Cassaria, con l’argumento aggiunto et non più
stampato. Venezia, Nicolò di Aristotile di Ferrara detto
Zoppino, 1538. (Legato con:) Idem. Il Negromante.
Venezia, Nicolò di Aristotile detto Zoppino, 1538.
(Legato con:) Epicuro, Marcantonio (1472-1555).
Cecaria.Tragicommedia del Epicuro Napoletano
[…]. Venezia, Nicolò d’Aristotile detto Zoppino, gennaio
1535. (Legato con:) Dolce, Lodovico (1508-
1568). Il ragazzo. Venezia, Francesco di Alessandro
Bindoni & Mapheo Pasini, 1541.
Sei opere legate in un volume in-8° (mm 154x95). I: 34 carte numerate,
due bianche. II: 32 carte non numerate. III: due carte non numerate,
34 numerate 3-36. IV: 35 carte non numerate, una bianca. V: 32 carte non
numerate, di cui l’ultima bianca. VI: 55 carte numerate, una bianca.
Ritratto silografico di Ludovico Ariosto al frontespizio delle prime quattro
opere. Il legno è tratto dal famoso disegno del Tiziano e apparve anche
nel Furioso del 1532. Silografia rappresentante i tre ciechi al fronte-
41

spizio e alla carta C6v della Cecaria del Marsi, al colophon della stessa
opera marca tipografica dello Zoppino (Z897). Al frontespizio dell’ultima
opera marca tipografica del Bindoni (U166). Legatura ottocentesca
in vitello nocciola, doppia cornice di filetti dorati ai piatti, titolo e decorazioni
in oro al dorso, dentelles interne, guardie in carta marmorizzata,
tagli rossi. Esemplare in buono stato di conservazione, accuratamente
lavato.
Ex libris “R. Clayton Browne”.
I: Seconda edizione di questa commedia in prosa uscita
dai torchi dello Zoppino e nona assoluta (la princeps è
del 1525). L’opera venne rappresentata per la prima volta
a Ferrara nel 1509, e nel 1519 a Roma in onore di
papa Leone X. Edizione “assai elegante e rara, che il catalogo
Manzoni del 1892 dichiarava «édit. inconnue»,
mentre invece era già stata citata sia dal Gamba, sia dal
Graesse” (Agnelli-Ravegnani). L’opera è particolarmente
importante dal punto di vista letterario poiché vi si
ispirò William Shakespeare, che probabilmente conosceva
la traduzione inglese - stampata per la prima volta
nel 1566 -, per il suo Taming of the shrew. II: Rara edizione
di questa commedia messa in scena per la prima
volta durante il carnevale di Ferrara del 1528. Si tratta
della seconda edizione della Lena uscita dai torchi dello
Zoppino e risulta “in tutto similissima alla prima”
(Agnelli-Ravegnani), risalente al 1535. III: Edizione non
comune di questa commedia in prosa. La princeps assoluta
della Cassaria, priva di note tipografiche, risale ai
primi anni del XVI secolo. La presente edizione, pur essendo
la seconda stampata dallo Zoppino, è piuttosto
42

particolare poiché presenta per la prima volta “l’Argumento
in versi, che poi, in successive stampe, diventerà il
Prologo della commedia” (Agnelli-Ravegnani). La Cassaria
venne rappresentata per la prima volta alla corte di
Ferrara nel 1508, essa è da considerarsi una delle prime
commedie appartenenti al genere cosiddetto “regolare”
o “erudito”, che presentava cioè degli elementi moderni
e realistici rispetto a quelli tradizionali della commedia
latina. Pellegrino da Udine ideò la scenografia e a
questo riguardo è interessante ricordare che è proprio
alla rappresentazione di questa commedia che si riferiscono
le prime notizie su una nuova forma di allestimento:
la scenografia prospettica. IV:“Edizione […] rarissima.
Essa non è che la ristampa della zoppiniana del
1535, se non è addirittura la medesima, con la data modificata”
(Agnelli-Ravegnani). La princeps assoluta risale
al 1530 circa ed è priva di note tipografiche. La commedia
venne rappresentata per la prima volta in
occasione del carnevale di Ferrara del 1529. V: Seconda
edizione stampata dallo Zoppino di questa commedia,
sostanzialmente identica a quella pubblicata nel 1532,
dalla quale viene ripreso il legno raffigurante i tre ciechi.
Il titolo Cecaria è quello che viene adottato nelle
edizioni successive alle prime due (nelle quali era ancora
intitolata Dialogo di tre ciechi), mentre il testo è quello
recante l’aggiunta del Lamento del geloso e della Luminaria.
“La Cecaria […] fu il primo componimento drammatico
che avesse il titolo di Tragicommedia, titolo dal
Marsi preso ad un genere teatrale spagnolo […]. Il ver-
43

so del Marsi ha inoltre il gran merito, merito spesso
mancante a’ suoi contemporanei, di essere spontaneo e
piano, spesso tanto armonioso da rivaleggiare co’ versi
dello stesso Sannazzaro di cui il Marsi è onesto e intelligente
imitatore […]” (I drammi pastorali di Antonio Marsi...,
vol. I, pp. 74-78). VI: Seconda edizione assoluta –
la prima venne stampata, nello stesso anno e sempre a
Venezia, da Curzio di Navò – della prima commedia
scritta dal Dolce. Il Ragazzo può essere considerato il lavoro
teatrale del Dolce che riscosse maggior successo e
che ebbe fortuna duratura. Come asserisce l’autore stesso,
nell’introduzione all’opera, essa non fu “rubata dagli
antichi, o trovata dall’ingegno dei moderni come le altre
sono, ma, poco fa, avenuta in Roma” (c2v). Questo
testo appartiene al genere della commedia erudita cinquecentesca
e, se l’idea è tratta dalla Casina di Plauto e
non vi mancano alcuni accenni anche alla Clizia del
Machiavelli, lo sviluppo dell’azione può non a torto esser
considerato idea originale del Dolce.
I:Agnelli-Ravegnani II, p. 100; Gamba 69 (nota); Sander 538. II:Agnelli-
Ravegnani II, p. 112; Sander 539. III: Agnelli-Ravegnani II, pp. 86-87;
Gamba 67 (nota); Sander 536. IV: Agnelli-Ravegnani II, p. 122; Sander
543. V: Sander 1655; I drammi pastorali di Antonio Marsi, detto l’Epicuro napoletano,
a cura di Italo Palmarini, Bologna 1888, vol. II,n° IX. VI: Gamba
1358 (nota); Abd-el-Kader Salza, Delle commedie di Lodovico Dolce,
Melfi 1899, p. 69; cfr. anche R. H.Terpening, Lodovico Dolce, Renaissance
man of letters,Toronto 1997, pp. 67-83.
44

21
Platina, Bartolomeo Sacchi de (1421-1481). Delle
vite et fatti di tutti i sommi Pontefici romani,
cominciando da Christo infino a Sisto quarto.
Con la giunta di tutti gli altri Pontefici, infino a
Paulo terzo Pontefice Massimo. Venezia, Michele
Tramezzino, 1543.
In-4° (mm 242x158); 4 carte non numerate, 243 carte erroneamente
numerate 239, una bianca. Al frontespizio e al verso dell’ultima carta
marca tipografica del Tramezzino raffigurante una Sibilla seduta, racchiusa
in cornice figurata, che tiene con il braccio sinistro un libro e sulle
ginocchia un altro; in basso la scritta:“Sybilla” (Z1074). Splendida legatura
coeva veneziana in marocchino rosso; piatti inquadrati da una
serie di cornici a secco e dorate, al centro cartouche composta da filetti
curvi e arabeschi a racchiudere un medaglione circolare contenente, nel
piatto anteriore, il nome “P.LANDO”, in quello inferiore il suo titolo “AR-
CHI.CRETE”. Dorso a sette nervi con compartimenti decorati a secco, tagli
dorati e goffrati. Esemplare in ottimo stato di conservazione. Lunga
nota di possesso al frontespizio datata 1704 in cui si indica il presente
esemplare come proveniente dalla biblioteca di Pietro Lando.
Ex libris inciso di Lord Vernon.
Splendida copia di presentazione stampata su carta forte.
Esemplare legato per Pietro III Lando, arcivescovo di
Creta (1535-1583), al quale è dedicata la presente prima
traduzione dal latino delle Vite dei pontefici del Platina.
Il traduttore continuatore delle biografie platiniane
fu probabilmente Lucio Fauno, che è menzionato
nel privilegio di stampa papale di altre opere del Tra-
45

mezzino dello stesso periodo. La legatura è un lavoro
giovanile del cosiddetto “Wanderbuchbinder”, definito
così da Schunke (III pp. 163-69), di cui si identifica la
mano in vari ferri che circondano il medaglione centrale
e altri motivi decorativi fitomorfi alle cornici e nei
pannelli esterni. L’enigmatico legatore fu definito da
Foot “Venetian Apple Bindery”, la sua attività a Venezia
nel corso del secolo XVI è ben documentabile (cfr.
De Marinis II, C50-51, CCCXLVIII, CCCL, CCCLXXXIX).
Tinto, n° 24; I. Schunke, Beitrage zum Rollen und Plattenein-band im 16.
Jahrhundert,Wiesbaden 1968;T. De Marinis, La legatura artistica in Italia nei
secoli 15 e 16, Firenze 1960; M. Foot, Studies in the history of bookbinding,
Aldershot 1993.
22
Alighieri, Dante (1265-1321). La Comedia di
Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro
Vellutello. Venezia, Francesco Marcolini, 1544.
In-4° (mm 224x149); 442 carte non numerate, alcune carte dei fascicoli
BH e BI invertite, ma tutte presenti.Tre silografie a piena pagina e vignette
ad ogni canto. Le incisioni in legno sono attribuite allo stesso
Marcolini e vennero riprodotte dal Sessa nelle sue tre edizioni dette “del
Nasone”. Legatura settecentesca in pergamena rigida; titolo in oro su tassello
in marocchino rosso al dorso. Esemplare in buono stato di conservazione,
antichi restauri alle prime tre carte senza perdita di testo.
46

Prima edizione della Commedia stampata dal Marcolini,
di fondamentale importanza filologica per la presenza
del nuovo commento,il primo del Cinquecento,del letterato
lucchese Alessandro Vellutello, già autore di un
fortunato commento a Petrarca, che si oppone polemicamente
alla lezione bembiana a favore di un rinnovato
aristotelismo. “Essa è giudicata una delle migliori
edizioni antiche in carattere italiano ed è dedicata a
Paolo III. L’autore del commento vi ha premesso la vita
del Poeta e nel proemio parla con spregio della prima
edizione aldina che giudica incorrectissima” (Mambelli,
p. 43). Secondo il Volkmann si può addirittura parlare
della presente come della “prima edizione moderna
del Cinquecento”, ed invero i legni che la arricchiscono,
e che vengono ascritti al genio del Marcolini, apportano
alcune innovazioni figurative senza precedenti
nell’iconografia dantesca.“Egli dovette assimilare il Poema,
mettendosi negli occhi e nel cuore del Poeta e creò
delle figurazioni di un Inferno visto dall’alto, dove non
sai se ammirare maggiormente l’arditezza del disegno o
la vivente espressività. La lotta del bulino di quell’uomo
geniale con la grandezza della materia per esprimere l’eterea
sostanza del Paradiso, passa per fasi diverse con varia
fortuna, finché, in qualcuna delle ultime figurazioni,
la forma circolare trapunta di stelle e radiante di linee
tendenti all’infinito riesce a darci il senso profondo delle
cose divine ed eterne” (Morichini, La raccolta dantesca
Mackenzie, p. 10).
47

De Batines I, pp. 82-84; Mambelli 30; Casali 72;Adams D,94; Essling 545;
Sander 2328; Mortimer, Italian, 146; Gamba 387.
23
Aelianus, Claudius (ca. 170-235 d. C.). (Greco) Variae
historiae libri XIIII. Ex Eraclide de rebus publicis
commentarium. Polemonis Physionomia.
Adamantii Physionomia. Melampodis ex Palpitationibus
divinatio. De nevis. Roma, [Antonio Blado],
gennaio 1545.
In-4° (mm 210x148); 4 carte non numerate, 111 numerate, 11 non numerate,
una bianca, l’ultima con la marca tipografica e le note tipografiche.
Carattere greco corsivo. Al frontespizio e al verso dell’ultima carta
marca tipografica del Blado raffigurante un uomo nudo con cappello che
tiene un mazzo di fiori e versa farro su un’ara votiva (Z671). Legatura
coeva in pergamena floscia, tracce di bindelle. Esemplare in buono stato
di conservazione, piccolo strappo restaurato al margine superiore bianco
del frontespizio.
Ex libris “Erik Carlson”.
Editio princeps curata da Camillo Perusco. Questa raccolta
eterogenea di testi di filosofia morale, di retorica, di
religione e di superstizione fu scritta da Claudio Eliano
di Preneste per divulgare gli scritti classici dimenticati,
perduti o poco noti. Il trattato sulla frenologia di Melampode
e quelli di fisiognomica di Polemone – identificato
da R. Forster nel suo De Aristotelis quae feruntur
48

23. Aelianus, Claudius

15. Leone, Ambrogio

15. Leone,Ambrogio

21. Platina, Bartolomeo Sacchi de

21. Platina, Bartolomeo Sacchi de

20. Ariosto, Ludovico

20. Epicuro, Marcantonio

26. Medici, Lorenzo de

physiognomicis recensendis (Kiel 1882), come l’autore del
trattato fisiognomico attribuito ad Aristotele – ed Adamantio
sono qui pubblicati per la prima volta.
Catalogo delle edizioni dei Blado, 1523; Ascarelli, Le Cinquecentine Romane,
2; STC Italian, 7; Adams A, 221; Durling 42;Thorndike II, 266.
24
Gelli, Giovanni Battista (1498-1563). Il Gello sopra
un sonetto di M. Franc. Petrarca. Firenze, [Lorenzo
Torrentino], 1549.
In-8° (mm 170x93); 89 pagine numerate, tre pagine bianche (la pagina
87 erroneamente numerata 78). Frontespizio con titolo racchiuso in una
cornice silografica a motivi architettonici, al centro lo stemma dei Medici
sormontato da una corona e, racchiuso in un cartiglio, il motto “inclita
prole” (Z1141). Al verso della prima carta un legno col ritratto del
Gelli; capolettera silografico animato alla prima pagina di testo. Legatura
ottocentesca in mezza pelle con piatti in carta caillouté molto usurata,
soprattutto alle cerniere. Esemplare in buono stato di conservazione,
alcune fioriture e tracce di umidità, più marcate al frontespizio.
Prima edizione di questa Lettura del Gelli sul sonetto
petrachesco O tempo, o ciel volubil (Canzoniere CCCLV),
dedicata dall’autore a “Silvia Tornella Contessa Buonromea”.
Il Gelli fu letterato, fondatore dell’Accademia Fiorentina
e console dell’Accademia della Crusca. Fu tradutto-
49

e di Simone Porzio e di Euripide, nonché dantista, filosofo,
commediografo e linguista. Questa lettura, divisa
in tre parti o lezioni che vennero recitate nell’Accademia
Fiorentina, venne riprodotta dal Torrentino nel
1551 nel volume che raccoglieva tutte le lezioni accademiche
tenute dal Gelli.
Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino, pp. 75-76;
Gamba 501.
25
Stracca, Benvenuto (1509-1578). Clarissimi iurisconsulti
Benvenuti Stracchae [...] De mercatura,
seu mercatore tractatus. Venezia, [Paolo Manuzio],
1553.
In-8° (mm 154x103); 40 carte non numerate (di cui le ultime tre bianche),
287 carte numerate con molti errori di paginazione, manca l’ultima
carta bianca. Al frontespizio marca tipografica di Paolo Manuzio:
un’àncora accollata da un delfino in cornice figurata sorretta da due putti,
che è una variante non censita di Z42, poiché risulta essere identica
ad essa eccetto per il fatto che non reca all’interno della cornice la scritta
“Aldi filii”. Iniziali silografiche animate. Legatura in pergamena coeva
con unghie, molto usurata; dorso mancante, tracce di bindelle. Esemplare
in discreto stato di conservazione.Tracce di umidità alle prime e alle
ultime carte. Antiche note di possesso manoscritte al frontespizio e sui
fogli di guardia all’inizio e alla fine del volume.
50

Prima edizione del primo trattato sistematico di diritto
commerciale e di assicurazione, con particolare riguardo
al diritto fallimentare e a quello marittimo. Si tratta
dell’opera principale dello Stracca, giurista originario di
Ancona che ricoprì importanti cariche pubbliche. L’autore
fu il primo a considerare il diritto commerciale come
un complesso di norme distinte da quelle del diritto
civile.
Renouard p. 156, n° 6 (“Ce volume imprimé en petites lettres rondes
est rare”); Ahmanson-Murphy 444; Goldsmiths 52; Einaudi 5491.
26
Medici, Lorenzo de (1427-1492). Poesie volgari.
Venezia, Paolo Manuzio, 1554.
In-8° (mm 165x95); 205 carte numerate, tre carte non numerate. Àncora
aldina al frontespizio (A15) e al verso dell’ultima carta (A12), capilettera
silografici animati. Legatura italiana settecentesca in pergamena rigida,
tassello al dorso con titolo in oro. Esemplare in buono stato di
conservazione.
Prima edizione, stampata in carattere italico, delle poesie
del Magnifico, contenente il Canzoniere, le Stanze,le
Laudi, e il Commento de’ miei sonetti. L’edizione aldina,
considerata la vera e ufficiale prima edizione del Canzoniere
e di gran parte dell’opera laurenziana (cfr. Lo-
51

enzo de’ Medici, Canzoniere, Tiziano Zanato, Firenze
1991, sigla A, t. I, pp. 324-334), presenta – come viene
indicato nel registro – il fascicolo O in secondo stato di
quattro carte, tuttavia sono noti alcuni rari esemplari
aventi tale fascicolo di otto carte. Secondo il Renouard
la scelta di omettere le cinque canzoni non dipese da
una censura esercitata da Paolo Manuzio durante la
stampa, ma da una semplice decisione tipografica; oggi
infatti gli studi di Raffaella Castagnola ipotizzano che le
poesie non fossero state incluse perché non corrispondenti
ad un quadro omogeneo.
Renouard p. 162, n° 23; Gamba 648; Ahmanson-Murphy 473, 473.5;
Lorenzo de’ Medici, Stanze, Raffaella Castagnola, Firenze 1986, St. 7,
pp. LVIII-LXI; Lorenzo de’ Medici, Laude, Bernard Toscani, Firenze 1990,
A1, p. 20.
27
Gelli, Giovanni Battista (1498-1563). Lettura
quarta sopra l’Inferno di Dante […]. Firenze, [Lorenzo
Torrentino], 1558.
In-8° (mm 161x101); 238 pagine numerate erroneamente 237, una non
numerata.Al frontespizio la marca tipografica del Torrentino, lo stemma
Medici in cornice (Z1142); due capilettera silografici ornati nel testo.Legatura
in cartonato moderno con titolo scritto in inchiostro marrone al
dorso. Esemplare in buono stato di conservazione, lievi fioriture, un foro
di tarlo alle ultime tre carte.
Ex libris “Petri Ginori-Conti”.
52

Prima edizione del quarto ciclo di lezioni dantesche,
che il Gelli tenne nel 1557 al cospetto dell’Accademia
Fiorentina. La lettura è dedicata dall’autore al “Nobile,
et Virtuoso Filippo del Migliore cittadino Fiorentino”,
che fu Provveditore dello studio di Pisa e che viene nominato
con lode anche dal Giovio nelle sue Historie.
Il volume “contiene X lezioni” ed “è assai difficile da ritrovarsi”
(Gamba).
Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino, p. 302;
Adams G, 337; Gamba 508.
28
Caràvia,Alessandro (1503-1568). Naspo Bizaro nuovamente
restampao, con la zonta del lamento chel
fa per haverse pentio de haver sposao Cate Bionda
Biriotta. Venezia, Pietro di Domenico, [ca. 1570].
In-4° (mm 201x140); 43 carte numerate, una bianca. Frontespizio illustrato
da un legno – ripreso dalla princeps del 1565 – raffigurante il Naspo
Bizaro intento a fare una serenata, lo stesso legno è ripetuto alla carta
F2v.Alle carte D2v e H4r un’altra illustrazione silografica raffigurante
un gruppo di uomini intenti a fare una serenata sotto ad un balcone; entrambi
i legni sono firmati con le iniziali ‘AL’. Capilettera silografici nel
testo, al verso della carta L3 marca tipografica di Pietro di Domenico raffigurante
una pigna con rametto incorniciata da una ghirlanda, all’interno
le iniziali ‘M.P’ (U364). Legatura inglese in marocchino verde con
elaborate decorazioni in oro ai piatti, titolo in oro al dorso, tagli dorati,
53

guardie in carta marmorizzata a pettine. Esemplare accuratamente lavato
in buono stato di conservazione.
Esemplare G. Libri, descritto nel Catalogo della sua asta del 1847.
Seconda edizione assoluta di questo poemetto in ottava
rima, opera del gioielliere veneziano Alessandro Caràvia,
e la prima in cui compaia una novità importante,
un’appendice definita col nuovo titolo di “zonta”, contenente
il Lamento in terzine del Naspo e destinata ad
entrare nelle copiosa tradizione a stampa successiva.
“Tutti concordano nel riconoscere il valore del Naspo bizaro
per la storia del costume e della cultura. Alessandro
Caravia non è uomo privo di lettere né insensibile al fascino
dell’arte e delle cose belle. Fa grande stima degli
antichi, ai quali ricorre sempre «chi d’ogni virtù vuol far
discorso». Conosce Dante, non si contenta di citare il «rarissimo
Petrarca» e le sue rime, ma anche lo imita e traveste;
ricorda l’Ariosto e i personaggi del Furioso; sa di
Morgante e di Margutte. Apprezza i grandi artisti contemporanei,
corrisponde con l’Aretino, è ammesso alle
conversazioni del dotto patriarca d’Aquileia Giovanni
Grimani, si compiace dell’amicizia d’altri cultori delle
Muse.Tutto questo non gl’impedisce d’accostarsi ai verseggiatori
buffoneschi del suo tempo (non sempre, d’altronde,
sforniti di cognizioni letterarie) né di mettere il
Naspo bizaro sotto gli auspici del celebre buffone Zuan
Polo e dell’improvvisatore Mario Bernia, palesando così
il carattere e gli intenti del poemetto. Manifeste sono le
attinenze di Naspo, vecchio innamorato, e di Cate bion-
54

da, donna di partito, che si fa beffe di lui, con personaggi
del teatro comico cinquecentesco […]. In Naspo il tipo
del vecchio, progenitore di Pantalone, si fonde con
quello del soldato millantatore; e tutto il poemetto non
è che una successione di smanie amorose e risibili spacconate,
ch’è facile immaginare sottolineate nella lettura o
recitazione dai «gesti grotteschi e dalle smorfie» care ai
buffoni e canterini delle piazze non meno che agli attori
della commedia improvvisata. Ai buffoni e canterini,
legati con più fili alla tradizione popolare, il Caravia ha
tolto a prestito formule introduttive e di commiato, motivi
poetici e paremiologici, richiami seri e burleschi,
accenni di attualità, zeppe per puntellare un verso claudicante.
Ma alle fonti popolari egli attinse anche direttamente,
ascoltando i canti di cui, alla sera, risonavano i
campielli. Ha aggiunto di suo una notevole abilità di variazioni;
immagini e sentenze suggeritegli dall’arte di
gioielliere professata con intimo consenso, e un grano di
compunzione in cui, tra i lazzi, affiora il fondo austeramente
religioso della sua natura.” (Vidossi, pp.49-51).
G. Libri, Cat. 1847, n° 1667; Brunet, IV, 15-16; Gamba, Serie degli impressi
in dialetto veneziano,Venezia 1832, p. 83; G.Vidossi, Note al «Naspo Bizaro»,
in Saggi e scritti minori di folklore, Torino 1960; E. Benini Clementi,
Riforma religiosa e poesia popolare a Venezia nel Cinquecento: Alessandro Caravia,
Firenze 2000.
55

29
[Novellino]. Libro di novelle, et di bel Parlar
Gentile. Nel qual si contengono Cento Novelle
altra volta mandate fuori da Messer Carlo Gualteruzzi
da Fano. Di nuovo ricorrette. Con aggiunta
di quattro altre nel fine. Et una dichiarazione
delle voci più antiche. Firenze, Giunti, 1572.
In-4° (mm 204x138); 13 carte non numerate, una carta bianca, 165 pagine
numerate 2-153, con svariati errori nella paginazione, una carta non
numerata. Al frontespizio marca tipografica dei Giunti (Z653) raffigurante
un giglio fiorentino in cornice figurata; al verso dell’ultima carta
variante della marca tipografica giuntina (Z650). Bei capilettera silografici
animati ed ornati nel testo. Legatura moderna in mezza pergamena
con angoli, titolo in oro al dorso su tassello in pelle nocciola. Esemplare
in buono stato di conservazione, lievi gore su alcune carte, piccolo strappo
al margine esterno del frontespizio.
“Ex libris Sordelli”.
Importante edizione della raccolta di novelle che era
stata pubblicata per la prima volta a Bologna nel 1525
da Girolamo Benedetti e curata dal letterato fanese Carlo
Gualteruzzi su esortazione del Bembo.
Sebbene negli anni che intercorrono tra la stampa della
princeps e quella dell’edizione giuntina il testo venga
pubblicato altre due volte, è con questa edizione fiorentina,
curata da Vincenzo Borghini – che diede una
lezione differente del testo basandosi su alcuni codici
del XIII secolo – che inizia la discussione sull’omogeneità
della raccolta, sulla sua antichità e su chi ne fosse
56

l’autore. Il Borghini infatti, oltre ad offrire un testo alquanto
differente da quello delle edizioni precedenti,
aggiunse, alla fine, quattro novelle, tre delle quali erano
già state pubblicate dai Giunti nel Decameron del 1516.
“La rarità dell’edizione bolognese e l’autorità di monsignor
Vincenzo Borghini, procuraron da prima assai
fortuna al testo giuntino del 1572. Sul quale, unico e solo,
fondandosi allora i letterati per giudicare dell’età e
del probabile autore del libro, se ne videro uscire effetti
meravigliosi. Nel 1584, il cavaliere Lionardo Salviati
nei suoi Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone scriveva:
«Delle Cento novelle antiche […] alcune ve ne sono,
che per nostro parere nacquero innanzi a Dante, alcune
che del suo secolo mostra fosser fattura, e altre, che
giudicar si possono dell’età di Boccaccio: e di quelle ve
n’ha che scritte furono dopo la caduta della favella. Leggesi
questo libro molto corretto di stampa di Firenze, ed
evvi in fronte una utilissima dichiarazione d’alcune voci
antiche, che per entro si ritrovano: opera e diligenza
di Don Vincenzo Borghini […]» (Biagi, Le novelle antiche,pp.XXVII-XXVIII).
Camerini II, 16; Passano, p. 131; Adams G, 1358; Gamba 687; Le novelle
antiche […] con una introduzione della storia esterna del testo del Novellino per
Guido Biagi, Firenze 1880, p. LXIV, n° 4.
57

30
Gualterotti, Raffaello (ca. 1543-1638). Feste nelle
nozze del serenissimo Don Francesco Medici
Gran Duca di Toscana et della Serenissima Sua
Consorte Bianca Cappello […] con particolar
Descrizione della Sbarra & apparato di essa nel
palazzo de’pitti, mantenuta da tre cavalieri Persiani
contro a i Venturieri loro avversarij. Firenze,
Giunti, 1579.
In-4° (mm 214x141); 58 pagine numerate, una carta non numerata; 24
pagine numerate.Titolo racchiuso da una bordura ornamentale con piccola
veduta di Firenze; alla fine (p. 58) marca tipografica raffigurante lo
stemma degli sposi: Medici impalato con quello di Bianca Cappello.
Il testo è illustrato da 16 finissime tavole inventate dal Gualterotti – e incise
in rame da Accursio Baldi e Sebastiano Marsilii – raffiguranti i vari
spettacoli, carri e tornei organizzati per l’occasione. Le 16 tavole ripiegate
sono stampate in nero, verde e rosso e accrescono la rarità dell’esemplare
che comunemente si trova stampato con le tavole unicamente in nero.
Capilettera animati ed ornati. Legatura moderna in pergamena rigida.
Esemplare in buono stato di conservazione, completo dell’ultima tavola,
spesso mancante anche nelle descrizioni delle bibliografie (Brunet,Vinet,
Ruggieri, Didot). Lievi fioriture e qualche traccia di ossidazione su alcune
tavole. Note manoscritte coeve in inchiostro marrone riportano su
molte tavole le didascalie esplicatorie stampate alla fine del volume.
Rara prima edizione, completa delle illustrazioni, di
questa descrizione delle feste organizzate per la celebrazione
del Matrimonio, avvenuto a Palazzo Pitti il 12 ottobre
1579, tra il Granduca di Toscana Francesco I e la
veneziana Bianca Cappello.
58

Seguono, del medesimo autore, nelle 24 pagine finali
che fanno parte integrante dell’edizione, le Vaghezze sopra
Pratolino composte dal R.G. al Ser.mo Don Francesco
Medici secondo Gran Duca di Toscana. Alle quattro “vaghezze”
segue un Epitalamio nelle nozze della Sig. Perregrina
Cappello… et sig. Conte Ulisse Bentivogli.
Camerini 87; Moreni I, 468 (“Raro”); STC Italian, 316;Adams G, 1355;
Mortimer Italian, 223; Vinet 605; Ruggieri 727; Cicognara 1388; Nagler,
Theatre Festivals of the Medici, pp. 49-57.
31
Bardi, Giovanni (1534-1612). Discorso sopra il
giuoco del calcio fiorentino. Firenze, Giunti, 1580.
(Preceduto da:) Idem. Discorso sopra il giuoco del
calcio fiorentino. Firenze, all’Insegna della Stella,
1673. (Legato con:) Memorie del calcio fiorentino
tratte da diverse scritture e dedicate all’altezze
serenissime di Ferdinando Principe di Toscana e
Violante Beatrice di Baviera. Firenze, Stamperia di
S.A.S. alla Condotta, [1688]. (Legato con:) Instruzione
del modo del giuocare il calcio ai giovani nobili
fiorentini. Firenze, Stamperia Granducale, 1739. (Legato
con:) Capitoli del calcio fiorentino. [s.n.t.].
5 opere legate in un volume. I: In-4° (mm 187x132); 36 pagine numerate,
una tavola ripiegata fuori testo (mm 187x238). Al frontespizio mar-
59

ca tipografica dei Giunti (V366) raffigurante lo stemma Medici-Cappello
con il motto “Amat victoria curam” in cornice figurata; a p. 3 capolettera
silografico animato. La tavola ripiegata reca un’incisione su rame
nella quale si ritrae una partita di calcio fiorentino in piazza S. Croce.
Esemplare in discreto stato di conservazione,uniforme brunitura alle prime
e alle ultime carte; antica riparazione alla giuntura della tavola. II: In-
4° (mm 200x148); 4 carte non numerate, 32 pagine numerate 5-36, due
tavole ripiegate fuori testo (mm 197x289 e mm 192x286). Frontespizio
in rosso e nero con lo stemma mediceo stampato su rame; iniziali e fregi
silografici nel testo; due tavole ripiegate incise su rame raffiguranti, rispettivamente,
lo schema della disposizione dei giocatori sul campo e la
‘famosa partita’ già apposta alla princeps. Esemplare in buono stato di
conservazione, bruniture diffuse in tutto il volume; macchie dovute alla
colla lungo la piegatura delle due tavole. III: In-4° (mm 238x175); 6 carte
non numerate, 118 pagine numerate, due tavole ripiegate fuori testo
(mm 238x305 e mm 238x310). Al frontespizio incisione di Francesco
Nacci raffigurante lo stemma Medici-Baviera; le due tavole incise in rame
raffigurano rispettivamente: una “Veduta della piazza di S.ta Croce
della città di Firenze nel atto di principiare il gioco del calcio” (che è
opera di Alessandro Cecchini) e la “Pianta et ordinanza delle due squadre
come stanno in atto di principiare il gioco”. Capilettera silografici
animati ed ornati nel testo. Esemplare in buono stato di conservazione,
lievi fioriture. IV: In-4° (mm 208x152); 8 pagine numerate. Fregio silografico
al frontespizio, capilettera animati ed ornati. Esemplare in buono
stato di conservazione,leggere fioriture. V:In-4° (mm 208x145);due carte
non numerate (foglio volante contenete i Capitoli del Bardi). Iniziale
silografica ornata.
Legatura settecentesca in cartone, dorso ricoperto in pergamena con l’iscrizione
manoscritta in inchiostro marrone “Giuoco del calcio”.
Ex libris “Donald & Mary Hyde”.
“Calcio – secondo la Crusca – è il nome d’un giuoco proprio
e antico della città di Firenze, a guisa di battaglia ordinato,
con una palla a vento, rassomigliantesi alla sferomachia, pas-
60

sato da’ Greci a’ Latini, e da’ Latini a noi. Gioco proprio ed
antico di Firenze dunque,di cui bisogna ricercare il principio
nel tempo più remoto, anzi, come dice la Crusca
ed asseriscono gli Accademici fiorentini che ne hanno
parlato nel cinque e nel secento, risalire addirittura ai
Greci e specialmente ai Romani” (Fumagalli, p. 45).
I: Prima edizione assoluta del Discorso sopra il giuoco del
Calcio Fiorentino del gentiluomo, letterato e musicologo
fiorentino Giovanni Bardi, che era stato prima membro
dell’Accademia degli Alterati e, successivamente, di
quella della Crusca.“Il discorso del Bardi è […] il solo
scritto che tratti ex professo del giuoco del Calcio, ma
non a torto fu osservato che lo scrittore si preoccupò
piuttosto di fare una bella orazione accademica che di
spiegare e insegnare il giuoco” (Fumagalli, p. 5). II: Seconda
ristampa dell’opera del Bardi sul Calcio fiorentino
(la prima ristampa risale al 1615), curata da Orazio
Capponi, Provveditore del Calcio pro tempore e contenente
per la prima volta i Capitoli del calcio fiorentino, che
vennero successivamente ristampati più volte e che “più
che regole per ben giocare, sono le norme dettate dai
direttori per il buon ordine del giuoco” (Fumagalli, p.
5). III: Seconda edizione ampliata di questa raccolta, che
comprende opere già pubblicate in precedenza, curata
da Pietro Bini, successore del marchese Capponi nell’incarico
di Provveditore del Calcio e dedicata a Ferdinando
principe di Toscana e Violante Beatrice di Baviera.
Il volume raccoglie opere di diversi autori, tra i quali
61

alcuni anonimi ed antichi, sul calcio, andando a costituire
una sorta di compendio di questo gioco. Oltre al
Discorso del Bardi (qui alla quarta edizione), ai Capitoli
ripresi dall’edizione del 1673 vi si trovano poemetti e
versi del Ferrari, del Boccalini, un’ode sul calcio in versi
greci di Giorgio Coressio di Scio e una in versi toscani
dell’abate Salvini, la Calliope dell’Adimari, le memorie
di vari calci giocati in livrea: a Firenze per la
venuta di don Vincenzo Gonzaga, a Lione nel 1575, sull’Arno
ghiacciato nel 1490, per le nozze di Ferdinando
di Toscana e Violante Beatrice di Baviera.“Questa quarta
edizione del 1688, assai più copiosa di ogni altra ha il
corredo di alcuni scritti in diverse lingue […]” (Gamba,
99). IV: Rara placchetta settecentesca, anonima, nella
quale vengono spiegate le regole pratiche del gioco del
Calcio fiorentino che “toccò il sommo del suo favore
nel Seicento, poi nel secolo successivo decadde, e prima
che questo secolo finisse scomparve affatto; era nato sotto
la Repubblica come esercizio virile della balda gioventù
fiorentina, aveva fiorito sotto i Medici come spettacolo
sfarzoso, i Lorena lo trovarono agonizzante; di
guisa che gli scritti più tardi sono soltanto indici di studio
e di rievocazione del vecchio costume fiorentino”
(Fumagalli, p. 3). V: Estratto dei Capitoli del calcio fiorentino,
pubblicati per la prima volta nel 1673.
I: Camerini, 95; Fumagalli, n° 4; Olschki n° 2566. II: Fumagalli, n° 24
(“edizione rara citata dalla Crusca.”). III: Fumagalli, n° 26; Gamba, 99;
Piantanida, 127; Cicognara, 1570.
62

32
[Banco di Sant’Ambrogio]. Delle Leggi Contratti
et Governo del Banco Santo Ambrosio della
città di Milano, stabiliti nella Congregatione de’
Signori Governatori di detto Banco. Milano, Pandolfo
Malatesta, [1601].
In-4° (mm 230x144); 36 pagine numerate, 12 pagine non numerate. Al
frontespizio legno raffigurante S.Ambrogio, simbolo del Banco. Iniziali silografiche
nel testo. Legatura moderna in marocchino marrone, con titolo
impresso in oro al dorso. Esemplare in ottimo stato di conservazione.
Rarissima prima edizione degli statuti del Banco di
Sant’Ambrogio, una delle prime banche statali. La proposta
di fondazione del Banco fu fatta da Giovanni Antonio
Zerbi, uomo d’affari milanese e profondo conoscitore
di problemi di finanza pubblica e privata. Nel
1593 le autorità comunali di Milano concessero il permesso
alla fondazione del Banco, sull’esempio del Banco
di Rialto, fondato a Venezia tra il 1584 e il 1587, e
del Banco San Giorgio di Genova. Il volume offre una
testimonianza completa riguardante le prime banche
pubbliche europee e può essere considerato uno dei
primi libri di finanza.Vi sono contenuti tutti i bandi, le
regole e gli statuti del Banco e vi vengono descritti gli
scopi operativi, l’amministrazione e i dettagli della sua
fondazione.
Goldsmiths 305.1; manca in BM STC, Einaudi.
63

33
Castillo, Martín del (m. 1680). Arte Hebraispano
[…] Dikduk leschon hakkodhesch bilschon sipharadhit.
Grammatica de la Lengua Santa en
Idioma Castellano […]. Con todo lo necessario y
preciso, pára por si sólo qualquiér afficionádo,
podér leér, escribir, entendér y hablár la léngua
santa Hebréa. Lione, Florian Anisson, 1676.
In-8° (mm 164x108); 12 carte non numerate, 336 pagine numerate. Legatura
coeva in pergamena floscia. Esemplare marginoso, in buono stato
di conservazione.Alcune gore e fori di tarlo, dorso parzialmente scucito.
Prima rarissima edizione della prima Grammatica
Ebraica redatta da un americano. L’autore, Martín Castillo
era originario della città di Burgos dove studiò
ebraico sotto la guida del convertito Rabbi Moyses (D.
Francisco del Hoyo). Il testo venne originariamente approvato
per la stampa nel 1656, ma pubblicato solo vent’anni
dopo in Europa, poiché in Messico non c’erano
gli strumenti necessari per poter stampare un libro in
caratteri ebraici. L’autore stesso avverte che “La distanza
tra il Messico, nel Nuovo Mondo, e Lione, nel Vecchio
Mondo, dovrebbe essere una giustificazione sufficiente
a perdonare qualsiasi scrittore accusato della
presenza di numerosi errori di stampa nell’edizione”.
Le parole ebraiche sono segnalate e seguite dalla traduzione
in spagnolo. Stando a Marx “il libro è di tale rarità
che il nome dell’autore viene citato nella bibliogra-
64

28. Caràvia, Alessandro

30. Gualterotti, Raffaello

31. Bardi, Giovanni

32. Banco di Sant’Ambrogio

33. Castillo, Martín del

34. Basile, Giovan Battista

40. Beccaria, Cesare

43. Depero, Fortunato

fia di Kaiserling come Martyr del Castillo e seguito da
una nota che precisa che si tratta dello pseudonimo di
un ebreo spagnolo. Ne lui né Steinschneider riportano
correttamente il titolo del libro”.
A. Marx, Bibliographical studies and Notes on Rare Books and Manuscripts in
the Library of the Jewish Theological Seminary of America, Schmelzer (New
York 1977), p. 171.
34
Basile, Giovan Battista (1575-1632). Il Pentamerone
[…] Overo lo Cunto de li Cunte trattenemiento
de li peccerille. Roma, Bartolomeo Lupardi,
1679.
In-12° (mm 140x71); 5 carte non numerate, 633 pagine numerate, una
carta non numerata. Grazioso fregio silografico al frontespizio raffigurante
un pavone; finalini silografici nel testo. Legatura coeva in pergamena
rigida; titolo in oro su tassello in marocchino rosso al dorso. Esemplare
in buono stato di conservazione se si considera la povertà
tipografica di questo tipo di edizioni; piccole mancanze ai margini delle
pagine 542 e 623.
Prima edizione romana, “questa edizione che il Galiani
affermava non esser mai esistita, è la 5 a , e la 2 a col titolo
di Pentamerone ed il testo riveduto dal Sarnelli” (Piantanida)
ed è una fedele ristampa dell’edizione di Napoli del
1674, che fu anche la prima ad esser curata criticamente.
65

“Il Cunto de li cunti è un libro vivo e non ha a che vedere
con una mera raccolta di fiabe siciliane, toscane o
veneziane, come se ne hanno ora tante, e piuttosto si ricongiunge
idealmente alla letteratura italiana d’arte che
aveva col Pulci, col magnifico Lorenzo, col Folengo, e
per alcuni rispetti col Boiardo e con l’Ariosto, preso a
rifoggiare, celiando, la materia dei romanzi cavallereschi
e della letteratura popolare, e, in certo senso, è l’ultima
opera schietta di questa linea, venuta fuori in ritardo a
Napoli, non più nell’ambiente della Rinascenza, ma in
quello del seicento e del barocco” (B. Croce).
Passano p. 37; Piantanida 3551; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del
Seicento, Bari 1924, p. 72.
35
Monti Giuseppe (1682-1760). De monumento diluviano
nuper in Agro Bononiensi detecto Dissertatio.
Bologna, Rossi & Soci, 1719. (Legato con:)
Idem. Catalogi Stirpium agri bononiesis prodromus,
gramina ac hujiusmodi affinia complectens
[…]. Bologna, Costantino Pisarri, 1719.
Due opere in un volume in-4° (mm 193x140). I: 4 carte non numerate,
50 pagine numerate, una carta bianca; una grande tavola incisa (mm
421x320) raffigurante la zanna della famosa tigre dai denti a sciabola.
Frontespizio stampato in rosso e nero ornato da una vignetta incisa in
66

ame. II: 4 carte non numerate, 5 pagine numerate, 8 carte non numerate,
66 pagine numerate, 4 carte non numerate. Frontespizio stampato in
rosso e nero, con una grande vignetta incisa; tre tavole incise in rame, di
cui una ripiegata più volte, che rappresentano vari tipi di frumento, di
grano e di altre graminacee. Legatura coeva in pergamena rigida, titolo
manoscritto al dorso. Bell’esemplare su carta distinta.
Due begli esemplari legati insieme ab antiquo di due delle
opere più note del Monti.
Il primo testo diede origine ad una lunga diatriba nel
campo paleontologico, poiché il Monti ipotizzava che il
reperto fossile da poco rinvenuto – un ‘dente’ di notevoli
dimensioni – appartenesse ad un animale simile al leone
marino ed invece risultò essere di una tigre dai denti
a sciabola.
Il secondo trattato fornisce un repertorio di graminacee,
di cui l’autore elenca circa trecento tipi diversi, dandone
la descrizione botanica ed elencandone le proprietà mediche.
Molte di queste specie erano autoctone del territorio
bolognese, mentre altre provenivano dal giardino
botanico privato dell’autore. Giuseppe Monti fu professore
di Storia Naturale e di Farmacologia all’Ateneo bolognese
e direttore dell’Orto botanico della città. Interessato
fin da giovanissimo allo studio e alla coltivazione
delle piante medicinali, radunò nel proprio giardino botanico
un grandissimo numero di piante che raccolse in
tutte le parti del territorio bolognese e sulla vicina catena
delle Alpi.
I.Agassiz, Bibliographia Zoologiae et Geologiae, p. 616/1; Bohm. Bibl. IV,2,
p 235; Frati n° 262. II. Pritzel n° 6394; Frati n° 347.
67

36
[Lelli, Francesco]. Favola di due gatti e della
scimmia, coll’appello de medesimi gatti all’orso,
divisa in due parti, componimenti di diversi pastori
d’Arcadia. [Italia, sec. XVIII, probabilmente dopo
il 1730].
Manoscritto su carta (mm 223x170); una carta non numerata, 27 pagine
numerate, due tavole fuori testo. Il manoscritto è redatto in inchiostro
marrone e riproduce fedelmente nei caratteri, nell’impaginazione e
nei fregi un’edizione a stampa. Carattere romano per il testo originale
latino e carattere corsivo per il testo a fronte recante la traduzione italiana.
Le due tavole fuori testo, minuziosamente disegnate a china, rappresentano
i personaggi descritti nelle favole; i capilettera, anch’essi eseguiti
a penna sono inscritti in una cornice e ornati da piccole vedute
paesaggistiche sullo sfondo. Legatura in cartoncino piuttosto usurata; al
centro del piatto anteriore un’etichetta recante il titolo e la dicitura ‘Manoscritto’.
Esemplare in discreto stato di conservazione, tracce di umidità
e fioriture.
Questo curioso manoscritto riproduce, anche nella veste
grafica e nell’impaginazione, l’edizione a stampa della favola
latina dell’abate Francesco Lelli (pastore arcade con
lo pseudonimo di Nadisto), pubblicata a Firenze nel 1730
da B. Paperini e recante un testo a fronte con la traduzione
italiana di Filippo Buttari Caccianemici (pastore arcade
con lo pseudonimo di Ergisto Balirio). La prima
edizione era stata pubblicata a Pisa nel 1728,ma non conteneva
ancora la seconda parte – presente invece nel nostro
manoscritto – contenente l’appello dei gatti all’orso
scritto da Nicola Piccoli.
68

37
Vasi, Giuseppe (1710-1782). Delle Magnificenze
di Roma antica e moderna. Roma, Stamperia del
Chracas [Pagliarini, eredi Barbiellini], 1747-1761.
10 libri in 4 volumi in-folio oblungo (mm 400x280). Dieci titoli ornati
da una vignetta, una dedicatoria incisa e un’antiporta allegorica al primo
libro. 202 vedute a piena pagina fuori testo; 37 incisioni nel testo.
Bella legatura coeva in vitello, dorso a nervi elegantemente ornati con
ferri floreali in oro e con l’indicazione dell’autore, del titolo e del numero
del volume su due etichette; tagli spruzzati. Esemplare completo
ed ottimamente conservato, qualche carta leggermente brunita.
Prima edizione e prima tiratura delle stupende acqueforti
del Vasi che costituiscono una delle più vaste e importanti
opere sulla topografia e l’arte di Roma, ed unica
edizione con testo descrittivo di G. Bianchini e del medesimo
Vasi, non più presente nelle successive e numerose
tirature di questa raccolta.
Alfredo Petrucci, nel suo Le Magnificenze di Roma di Giuseppe
Vasi, ipotizza la venuta a Roma dell’artista – “per
cercare fortuna” – nel 1736, dopo aver inciso a Palermo
nel 1735 una tavola per un libro di feste di Don Pietro
La Placa in onore del re Carlo, che lo rese noto. Nella capitale
trascorse 11 anni, disegnando, incidendo e costruendo
mentalmente quel progetto che lo portò, nel
1747, ad iniziare il volume su Roma che terminò, dopo
14 anni di lavoro, nel 1761. Il volume delle Magnificenze
è composto da 10 libri così suddivisi: le porte e le mura;
69

le piazze principali; le basiliche e le chiese antiche; i palazzi
e le vie più celebri; i ponti e gli edifici sul Tevere; le
chiese parrocchiali; i conventi e le case dei chierici regolari;
i monasteri e conservatori di donne; i collegi, gli
ospedali e luoghi pii; le ville e i giardini.
“Esatte fino allo scrupolo e documentariamente preziose,
le vedute del Vasi rivelano qua e là, nonostante la monotonia
del linguaggio incisorio un sentimento lirico del
paese” (Petrucci); alcuni ritengono che se il Vasi fosse stato
meno prolifico (alcune delle tavole sono inferiori qualitativamente
ad altre) avrebbe conteso al Piranesi il primato
nel campo dell’incisione.
L’opera è comunque il capolavoro di questo eccellente
incisore, che fu anche il primo maestro del grande Giovan
Battista Piranesi.
Schudt 306; Rossetti G-1193; Berlin Cat. 1880; Cicognara 3897; Olschki
18186; A. Petrucci, Le magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi, Roma
1946.
38
Brocchi, Giuseppe Maria (1687-1751). Descrizione
della provincia del Mugello, con la carta geografica
del medesimo aggiuntavi un’antica cronica
della nobil famiglia Da Lutiano. Firenze,
Anton Maria Albizzini, 1748.
70

In-4° (mm 220x166); 20 pagine numerate; 324 numerate; 99 pagine numerate,
una carta bianca. Capilettera silografici animati ed ornati, fregi e
finalini silografici nel testo, un’incisione in rame ripiegata fuori testo
(mm 395x551) di Carlo Faucci raffigurante la mappa del Mugello. Il secondo
frontespizio è ornato dallo stemma silografico dei da Lutiano. Legatura
coeva in pergamena rigida, titolo manoscritto in inchiostro marrone
al dorso; tagli spruzzati. Esemplare in ottimo stato di conservazione,
con la grande tavola impressa su carta forte, lievissime fioriture.
Ex libris “Giannalisa Feltrinelli”.
Prima importante edizione di quest’opera del Brocchi,
che fu attivo e vivace protagonista della vita religiosa e
culturale settecentesca fiorentina, autore di numerose
opere teologiche nonché collezionista di reliquie di santi
e beati. Dal racconto di taglio storico-biografico emerge
un uomo molto legato alla terra del Mugello, dove era
stato inviato per occuparsi della parrocchia di Santa Maria
ad Olmi, e dove aveva scelto come propria dimora
l’antica rocca di Lutiano.
La pianta raffigurante il Mugello è dedicata a Monsignor
Ubaldino Ubaldini, aricidiacono fiorentino ed offre una
visione molto schematica del territorio, attraversato dal
fiume Sieve. Una legenda di ben 88 numeri individua le
ville principali del Mugello, a partire da quella del “Nostro
Imperial Sovrano a Cafaggiuolo” posta al numero
uno. La carta rientra in una produzione di non scarso interesse
geografico-descrittivo, allestita per guide e storie
locali nel primo settecento toscano.
Esemplare completo delle pagine 325-334 stampate posteriormente,
assenti in molte copie, contenenti le Memorie
della famiglia dei signori Da Lutiano.
71

Moreni I, 171; per la mappa del Mugello si vedano: Il fondo cartografico dell’Osservatorio
Simeniano di Firenze, Firenze 1992, p. 60; La Toscana nella geocartografia
dal XV al XIX secolo,Venezia 1993, pp. 368 e 371.
39
Quadrio, Francesco Saverio (1695-1756). Lettera
intorno alla sferistica, o sia giuoco alla palla degli
antichi […]. Milano, Antonio Agnelli, [imprimatur:
6 ottobre 1751].
In-8° (mm 232x142); 95 pagine numerate. Cartonato d’attesa coevo.
Esemplare con barbe stampato su carta forte, in ottimo stato di conservazione;
lieve gora alle prime carte, qualche fioritura ed alcune macchie
sulla legatura.
Prima rara edizione di questa curiosa operetta, dedicata
dall’autore al marchese Alessandro Trivulzio, nella quale
viene delineata una breve ma documentata storia del calcio,
e dei giochi con la palla, nell’antichità greca e latina.
Francesco Saverio Quadrio, gesuita, predicatore e professore
a Padova è noto soprattutto per la sua opera Della
storia e ragione di ogni poesia.
Biblioteca Sportiva Nazionale, p. 29; C.O.N.I. 1996, n. 89; Gamba 2408.
72

40
[Beccaria, Cesare (1738-1794)]. Dei delitti e delle
pene. [Livorno,Tipografia Coltellini], 1764.
In-4° (204x140); 104 pagine numerate, una carta non numerata. Legatura
ottocentesca in marocchino nero, titolo in oro al dorso, dentelles interne,
tagli dorati. Esemplare in ottimo stato di conservazione, completo
dell’errata, mancante in molti esemplari. Descrizione bibliografica manoscritta
del XIX secolo al foglio di guardia anteriore.
Prima rara edizione di questo celebre saggio che è alla
base della riforma del diritto penale e del trattamento
carcerario dell’età moderna.
Il libretto del Beccaria, scritto nel 1763, per ragioni di
prudenza fu stampato anonimo a Livorno nel 1764 dal
Coltellini, editore dopo pochi anni anche dell’edizione
italiana dell’Encyclopédie. Il successo, la prima edizione andò
esaurita in breve tempo, testimoniava dell’importanza
del problema e del diffuso bisogno di chiarificazione sulla
materia esistente non solo nei diversi Stati d’Italia, ma
anche in tutto il mondo civile. Nello spazio di sei mesi il
testo venne pubblicato tre volte, seguirono nei primi due
anni sei edizioni italiane. Gli enciclopedisti francesi la
scoprirono già nel 1765, e alla fine dell’anno uscì l’edizione
francese di Parigi seguita da quella di Losanna, nella
traduzione dell’abate Morellet. Uomini della statura di
Voltaire, d’Alembert e Diderot la elogiarono senza riserve.
Il libro venne in seguito tradotto in 22 lingue.
73

Melzi I, 281; Firpo, 1; Einaudi, 380; PMM 209; Franco Venturi, Illuministi
Italiani, vol. 46, tomo III.
41
Galiani, Ferdinando (1728-1787) [et al.]. Dei vulcani
o monti ignivomi più noti e distintamente
del Vesuvio osservazioni fisiche e notizie istoriche.
Livorno, Calderoni e Faina, 1779.
Due volumi in-12° (mm 198x110); 70 pagine numerate, 149 pagine una
carta bianca; 228 pagine, una tavola sinottica fuori testo ripiegata più volte,
una grande incisione in rame (mm 417x285) realizzata dal lucchese
Ferdinando Fambrini e raffigurante il Prospetto del Vesuvio dal Palazzo Regio.
Cartonato coevo con carta remondiniana a più colori; etichette manoscritte
al dorso. Bell’esemplare con barbe, stampato su carta forte; qualche
traccia di polvere su tre carte, due antichi timbri di appartenenza.
Prima rara edizione di questa raccolta di saggi di vari autori
tra i quali figurano Giovanni Targioni Tozzetti, Lorenzo
Magalotti, Giovanni Strange, il de Bomare, il Darbie,
Guglielmo Derham, Ciro Saverio Minervino e
Antonio di Gennaro. L’opera principale di questa miscellanea,
di fondamentale importanza per le nascenti scienze
mineralogiche e vulcanologiche, è quella di Ferdinando
Galiani, che ha per titolo Osservazioni sopra il Vesuvio,
e che occupa quasi totalmente il primo volume dell’edizione.
L’autore, noto economista di area napoletana, aveva
già dato alle stampe, nel 1772, un Catalogo delle materie
74

appartenenti al Vesuvio… nel quale affrontava, nell’ottica
del nascente museo mineralogico napoletano, la classificazione
dei vari tipi di minerali di origine vulcanica.
Furcheim 61; Somma 2298; Dura 19975.
42
Zusto, Giovanni. Descrizione istorica dell’estrazione
della pubblica nave La Fenice dal canale
Spignon in cui giacque circa tre anni totalmente
sommersa […] scritta in ordine al Decreto 23
Novembre 1786. Venezia, eredi di Antonio Pinelli,
1789.
In 4° (mm 270x193); 32 pagine numerate (le prime due bianche), 90 pagine,
una carta non numerata.Antiporta incisa in rame che mostra lo Zusto
che consegna il libro della relazione sulla Fenice ad una figura femminile,
personificazione allegorica della città di Venezia, sullo sfondo
l’immagine delle navi; 7 grandi tavole incise da G. Daniotto (mediamente
di mm 695x515) che rappresentano i vari aspetti tecnici e i vari momenti
del sollevamento della nave. Legatura coeva in brossura con carta marmorizzata
remondiniana. Esemplare stampato su carta forte, in ottimo
stato di conservazione. Al frontespizio antico numero di collocazione
della biblioteca dell’Arsenale di Pola, al tempo del Dominio Asburgico.
Il vascello da 74 cannoni La Fenice affondò il giorno del
suo varo nel 1783 nel canale dello Spignon, appena fuori
dal porto di Malamocco, producendo fastidi alla libera
75

navigazione. Nel 1785 Venezia approntò una flotta al comando
dell’Ammiraglio Angelo Emo per condurre campagne
punitive contro i pirati algerini e dell’Africa del
Nord. In quella occasione, per contribuire al buon esito
della campagna, fu eseguita con successo questa prima e
difficilissima operazione di recupero. Il libro è corredato
da un utilissimo dizionario tecnico marinaio. Le pregevoli
tavole e la cura tipografica dell’edizione costituiscono
una valente testimonianza del gusto e della raffinatezza
del ‘libro veneziano del Settecento’.
Riccardi I, 407 (“Bella edizione è opera importantissima per gli studiosi
della meccanica applicata alla nautica”);Morazzoni 263;Cicogna 1485.
43
Depero, Fortunato (1892-1960). Depero futurista
1913-1927. Milano, Dinamo-Azari, 1927.
In-4° oblungo (mm 243x320); 123 carte non numerate (comprese le tavole,
le pagine di testo e le veline); illustrato da 28 tavole, di cui due a
colori. Brossura editoriale originale in cartonato verde oliva, due grossi
bulloni, con dadi e copiglie, tengono insieme i fogli. Al piatto anteriore
la scritta “Rilegatura dinamo creazione Azari”, che fu ideata, come viene
spiegato alla carta 6, con l’intento di essere un libro “meccanico imbullonato
come un motore pericoloso può costituire un’arma proiettile
inclassificabile non si può collocare in libreria tra gli altri volumi. È quindi
anche nella sua forma esteriore ORIGINALE-INVADENTE-ASSILLANTE
come DEPERO e LA SUA ARTE”. Esemplare in buono stato di conservazione,
lievi abrasioni alla brossura.
76

Prima edizione di questo capolavoro della tipografia del
Novecento e copia di presentazione dell’editore recante,
al verso del frontespizio, la dedica autografa dell’Azari “A
Thérèse Mack per un’amicizia artistica iniziata a Monza,
rinsaldata a New-York e continuata…” e la firma in inchiostro
azzurro dell’autore con la data 1928.
Uno dei capolavori dell’editoria d’avanguardia, per la varietà
delle soluzioni grafiche e l’inventiva che cattura il
lettore, pagina dopo pagina, in un percorso di incessanti
sorprese, è il Depero futurista. Stampato in formato rettangolare,
tipo album, riassume tutte le trovate parolibere,
con inchiostri e carte di differenti colori, tavole ripiegate
che si aprono, giochi tipografici, presentando una
rilegatura dinamo, ideata dall’editore Fedele Azari.
Si tratta della più importante antologia della tipografia rivoluzionaria
e delle arti grafiche di Depero, fondatore del
movimento Futurista, che offre una vasta raccolta delle
sue opere dal 1913 al 1927, compresa la famosa pubblicità
ideata per la Campari.
G. Belli, Depero, a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Milano 1989. pp.
48-49; G. Lista, Le livre futuriste, Modena 1984, p. 108, fig. 250.
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INDICE
Le cifre indicate si riferiscono alla numerazione progressiva
delle schede nel catalogo
Aelianus, Claudius 23
Alighieri, Dante 22
Antonino, santo 6
Ariosto, Ludovico 20
Banco di Sant’Ambrogio 32
Bardi, Giovanni 31
Basile, Giovan Battista 34
Beccaria, Cesare 40
Boccaccio, Giovanni 3, 19
Brocchi, Giuseppe Maria 38
Caesar, Gaius Iulius 14
Caràvia,Alessandro 28
Castillo, Martín del 33
Colonna, Francesco 7
Depero, Fortunato 43
Dominici, Giovanni beato 10
Erasmus, Roterodamus 12, 13
Euclides 4
Galiani, Ferdinando 41
Gelli, Giovanni Battista 24, 27
78
Granollachs, Bernat de 9
Gualterotti, Raffaello 30
Lelli, Francesco 36
Leone, Ambrogio 15
Leonico Tomeo, Niccolò 16
Medici, Lorenzo de 26
Monti, Giuseppe 35
Novellino 29
Parzaytumar Hayoc’ 8
Passerini, Silvio 17
Platina, Bartolomeo Sacchi de 21
Plautus,Titus Maccius 18
Plotinus 5
Pulci, Luigi 2
Quadrio, Francesco Saverio 39
Stabili, Francesco 11
Stracca, Benvenuto 25
Vasi, Giuseppe 35
Vegetius Renatus, Flavius 1
Zusto, Giovanni 42

CATALOGHI PUBBLICATI
Le cifre indicate si riferiscono alla numerazione progressiva
delle schede nel catalogo
Aldus 1495-1591, marzo 2001.
Philoteus. Giordano Bruno, marzo 2001.
Cinquecento libri del ‘500. Cento cinquecentine veneziane, dicembre
2001
Arché-Techné, marzo 2004.
Legature. Scrigni preziosi, marzo 2004.
Mirabilia Italiane, marzo 2004.
La scintilla, novembre 2004.
“Sieti raccomandato il mio Tesoro…”. Raccolta di edizioni dantesche,
marzo 2005.
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Questo volume
è stato impresso
dall’officina d’arte grafica Lucini
in Milano
ottobre 2005