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atti del covegno - Comune di Melegnano

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Città <strong>di</strong> <strong>Melegnano</strong><br />

Assessorato all’Istruzione<br />

Istituto Comprensivo Giuseppe Dezza<br />

Istituto Comprensivo Paolo Frisi<br />

Istituto Suore Domenicane<br />

Scuola <strong>del</strong>l’Infanzia San Gaetano<br />

Scuola <strong>del</strong>l’Infanzia Santa Maria <strong>del</strong> Carmine<br />

Istituto <strong>di</strong> Istruzione Superiore Vincenzo Benini<br />

Istituto <strong>di</strong> Istruzione Superiore Piero <strong>del</strong>la Francesca<br />

Corso Formazione Professionale “Aiuto cuochi”<br />

SETTEMBRE PEDAGOGICO 2005<br />

ATTI DEL CONVEGNO<br />

EMOZIONI, DIVIETI E REGOLE<br />

DELL’AZIONE EDUCATIVA<br />

<strong>Melegnano</strong> 8 ottobre 2005<br />

MODERATORE<br />

Prof. Sandro SANNA<br />

Presidente UCIIM – Milano<br />

INTERVENTI<br />

Prof.ssa Lucia PELAMATTI<br />

Psicologa, psicoterapeuta e sessuologa<br />

Prof. Bruno RAVASIO<br />

Direttore <strong>del</strong> Centro <strong>di</strong> Psicologia Clinica ed Educativa (COSPES) <strong>di</strong> Milano<br />

Prof.ssa Elena ZANFRONI<br />

Esperta <strong>di</strong> educazione degli adulti<br />

Dott. Fabrizio FANTONI<br />

Psicologo-psicoterapeuta, COSPES Milano<br />

Anno scolastico 2005 - 2006


ATTI DEL CONVEGNO<br />

EMOZIONI, DIVIETI E REGOLE DELL’AZIONE EDUCATIVA<br />

(8 ottobre 2005)<br />

I testi riportati si riferiscono alla “sbobinatura” degli interventi proposti dai relatori. Il<br />

prezioso lavoro <strong>di</strong> trascrizione è stato effettuato anche con l’aiuto dall’équipe<br />

pedagogica <strong>del</strong>la scuola <strong>del</strong>l’Infanzia Santa Maria <strong>del</strong> Carmine <strong>di</strong> <strong>Melegnano</strong>,<br />

coor<strong>di</strong>nata dalle dott.sse Giuliana Negroni e Cristina Ruffini.<br />

Si è cercato <strong>di</strong> sistematizzare la trascrizione che, in ogni caso, ha il pregio <strong>del</strong>la<br />

spontaneità, <strong>del</strong>l’imme<strong>di</strong>atezza e <strong>del</strong> <strong>di</strong>alogo, ma anche i <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> minor scorrevolezza<br />

che non se avessimo “preteso” un testo scritto da ogni relatore.<br />

Si poteva provvedere a una maggiore sistematicità aggiungendo o mo<strong>di</strong>ficando alcuni<br />

pensieri, ma si sarebbe corso il rischio <strong>di</strong> travisare o <strong>di</strong> dare interpretazioni non corrette.<br />

Si può invece garantire la “genuinità” degli interventi che, visto le spessore culturale da<br />

cui sono caratterizzati, speriamo possano essere utili a chi riceverà questa<br />

pubblicazione.<br />

Gli <strong>atti</strong> sono inoltre arricchiti da un’appen<strong>di</strong>ce costituita dalla <strong>di</strong>spensa “Emozioni…<br />

Pensieri… Comportamenti” fornita dalla Prof.ssa Lucia Pelam<strong>atti</strong>, alla quale va tutta la<br />

nostra riconoscenza.<br />

<strong>Melegnano</strong>, novembre 2005<br />

2<br />

Maria Teresa Golfari<br />

Assessore all’istruzione e alla formazione


APERTURA DEI LAVORI<br />

SANDRO SANNA<br />

CITTA’ DI MELEGNANO<br />

ATTI DEL CONVEGNO DELL’8 OTTOBRE 2005<br />

EMOZIONI DIVIETI E REGOLE DELL’AZIONE EDUCATIVA<br />

Buon giorno a tutti. Sono le 9.15 e come da programma iniziamo. Benvenuti a voi tutti e<br />

ai nostri ospiti in particolare a questo Convegno così fortemente partecipato, al punto<br />

che è stato necessario <strong>atti</strong>vare un collegamento in video conferenza. Perciò un saluto<br />

particolare lo rivolgiamo anche al numeroso gruppo che si trova giù, nel Centro<br />

Anziani.<br />

La giornata <strong>di</strong> oggi rappresenta uno dei momenti forti <strong>del</strong> Settembre Pedagogico<br />

melegnanese 2005, caratterizzato da incontri tra bambini e ragazzi, da momenti<br />

formativi come questo e dalla costruzione <strong>di</strong> occasioni in cui gli studenti possano<br />

entrare in contatto con il territorio, nella consapevolezza che la scuola non è solo degli<br />

insegnanti o <strong>di</strong> una parte <strong>del</strong> <strong>Comune</strong>, ma <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni.<br />

Il tema che desideriamo approfon<strong>di</strong>re oggi è quello <strong>del</strong>le emozioni, dei <strong>di</strong>vieti e <strong>del</strong>le<br />

regole che caratterizzano l’azione educativa alla quale siamo chiamati tutti noi,<br />

educatori, docenti, genitori e nonni, ogni giorno alle prese con bambini e ragazzi.<br />

Entriamo nel nostro argomento con la prof.ssa Lucia Pelam<strong>atti</strong>.<br />

Già insegnante e <strong>di</strong>rigente scolastico, lavora ora come psicologa, psicoterapeuta e<br />

sessuologa. Si occupa a livello nazionale <strong>di</strong> formazione in campo psicosociale per<br />

operatori scolastici ed extrascolastici, genitori, fidanzati e coppie. Collabora con<br />

numerose riviste educative e ha pubblicato articoli e volumi <strong>di</strong> carattere psicologico.<br />

Svilupperà il tema: “La vita <strong>del</strong> bambino, un puzzle <strong>di</strong> emozioni”.<br />

PROF.SSA LUCIA PELAMATTI<br />

Buongiorno a tutti. E’ un vero piacere trovarsi a parlare in un luogo così bello e con una<br />

presenza così intensa e significativa.<br />

Il tema <strong>di</strong> cui oggi mi occupo riguarda la <strong>di</strong>mensione emotivo-affettiva <strong>del</strong>la persona, in<br />

particolare <strong>del</strong> bambino. Come tutti noi abbiamo modo <strong>di</strong> verificare ogni giorno, questa<br />

<strong>di</strong>mensione riveste un ruolo fondamentale perché riguarda ogni aspetto <strong>del</strong>la nostra<br />

esistenza, ogni luogo <strong>del</strong>la nostra appartenenza, ogni ambiente <strong>di</strong> vita, dalla famiglia<br />

alla scuola alle varie se<strong>di</strong> in cui si svolgono aggregazioni sociali e amicali. Ci influenza<br />

3


intensamente, poiché le emozioni ritmano in modo <strong>di</strong>verso le nostre giornate dando<br />

colore alla nostra vita, possono farci stare davvero bene oppure possono arrivare a<br />

<strong>di</strong>struggerci dentro compromettendo la relazione con noi stessi e la relazione con gli<br />

altri.<br />

Mentre un tempo si pensava, ad esempio, che i processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

<strong>di</strong>pendessero esclusivamente o comunque prevalentemente da percorsi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

cognitivo, oggi si è all’unanimità convinti che essi <strong>di</strong>pendano tantissimo da processi <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne emozionale. Non a caso, mentre un tempo si parlava solo <strong>di</strong> quoziente<br />

intellettuale, il famoso Q.I., oggi si parla tantissimo <strong>di</strong> quoziente emozionale, cioè <strong>di</strong><br />

quella capacità <strong>di</strong> star bene con se stessi, <strong>di</strong> non provare <strong>di</strong>sagio, <strong>di</strong> <strong>atti</strong>vare una<br />

relazione anzitutto intra-psichica e poi interpersonale molto positiva.<br />

Oggi, purtroppo, il bambino, e credo che tutti lo possiamo constatare, sta incontrando,<br />

a causa <strong>di</strong> una molteplicità <strong>di</strong> fenomeni, alcuni problemi nel raggiungimento <strong>di</strong> un<br />

equilibrio emotivo e ancor più <strong>di</strong> un benessere emotivo. Molte sono le ricerche condotte<br />

su bambini dai 2 ai 7 anni e poi via via, che parlano già <strong>di</strong> mal <strong>di</strong> vivere, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio nel<br />

bambino. La costellazione <strong>di</strong> elementi che possono in qualche modo farci intuire i<br />

motivi che portano a questo può essere sintetizzata in quell’incertezza esistenziale<br />

generale che colpisce tutti e che dall’adulto ha effetti <strong>di</strong> ricaduta poi nel bambino: la<br />

mancanza <strong>di</strong> riferimenti stabili, <strong>di</strong> valori con<strong>di</strong>visi, la presenza <strong>di</strong> situazioni <strong>di</strong>fficili <strong>di</strong><br />

coppia e <strong>di</strong> famiglia, fino anche all’assenza <strong>di</strong> fratelli e <strong>di</strong> sorelle. A scuola troviamo<br />

spesso bambini con intelligenza buona o più che buona che all’appren<strong>di</strong>mento non<br />

arrivano, e questo per gli insegnanti è fonte <strong>di</strong> notevole <strong>di</strong>sagio, <strong>di</strong> senso <strong>di</strong> colpa, <strong>di</strong><br />

senso <strong>di</strong> impotenza, <strong>di</strong> inadeguatezza. Certamente quando il bambino prova <strong>di</strong>sagio<br />

dentro, a livello affettivo, ha <strong>del</strong>le risorse che si bloccano, che non riescono a salire al<br />

cognitivo. Oggi non c’è testo che parli <strong>del</strong>la relazione adulto/bambino nelle declinazioni<br />

fondamentali genitore/figlio o insegnante/alunno che non ci inviti a riflettere su questi<br />

aspetti. La bilancia purtroppo pare che per tutti, dal bambino, al ragazzo, all’adulto, pesi<br />

<strong>di</strong> più dal punto <strong>di</strong> vista <strong>del</strong>le emozioni negative. Quin<strong>di</strong> tutti dovremmo fare uno sforzo<br />

per rovesciare questa bilancia.<br />

Cominciamo con un lucido che ci parla <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress emozionale che oggi<br />

finiscono inevitabilmente per colpire tutti e nei riguar<strong>di</strong> <strong>del</strong>le quali a volte siamo<br />

impotenti, nel senso che ci troviamo immessi in una <strong>di</strong>namica tale che non possiamo<br />

arrestarci. Per questo siamo invitati a cambiare ciò che <strong>di</strong>pende da noi e a tentare <strong>di</strong><br />

adattarci a ciò che non <strong>di</strong>pende da noi senza chiuderci un falsi vittimismi o in como<strong>di</strong><br />

piagnistei.<br />

Imme<strong>di</strong>atamente, guardando questo grafico, proviamo qualcosa a livello emozionale,<br />

quasi un pugno allo stomaco: con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> stress emozionale molte volte provocano<br />

soprattutto nei bambini la manifestazione <strong>di</strong> un comportamento problematico, il<br />

capriccio. Noi adulti spesso, se non stiamo attenti, ci lasciamo andare ad una reazione<br />

negativa imme<strong>di</strong>ata: il bambino urla, noi urliamo più <strong>di</strong> lui; il bambino fa in questo modo<br />

e noi cerchiamo <strong>di</strong> moltiplicare la reazione, portando ad una moltiplicazione <strong>di</strong> stress<br />

4


emozionale, ad un nuovo comportamento problematico, ad una nuova reazione<br />

negativa.<br />

Se noi decliniamo tutto ciò in termini <strong>di</strong> situazione scolastica o <strong>di</strong> situazione familiare,<br />

applicandolo ad esempio ad una m<strong>atti</strong>na in famiglia, ci accorgiamo <strong>di</strong> come tutti stiamo<br />

malissimo a seguito <strong>di</strong> questi giochi senza fine.<br />

Certamente non è in nostro potere azzerare questa con<strong>di</strong>zione, ma dobbiamo imparare<br />

a gestirla, e ciò che <strong>di</strong>pende da noi interviene a questo punto. Se noi anziché lasciarci<br />

andare ad una reazione emotiva imme<strong>di</strong>ata ci fermassimo e ci chiedessimo: questo<br />

bambino, che pesta i pie<strong>di</strong> ed urla, che emozione sta provando in questo momento? E’<br />

qui che dobbiamo riflettere su quella serie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni che ci viene data dallo SPEC<br />

(= Situazione Pensiero Emozione Comportamento).<br />

Noi, <strong>di</strong> solito, data una situazione vissuta o vista, imme<strong>di</strong>atamente passiamo ad un<br />

comportamento. Difficilmente ci fermiamo a chiederci qual è l’emozione che porta verso<br />

questo comportamento, e ancora, a monte, qual è il pensiero che ha generato questa<br />

emozione. Ecco, io credo che se noi adulti apprendessimo questo semplice esercizio,<br />

sicuramente miglioreremmo il destino <strong>del</strong>le nostre relazioni. Certamente, se noi<br />

lavoriamo sull’emozione rischiamo grosso, nel senso che se noi, ad esempio,<br />

sperimentiamo una emozione <strong>di</strong> rabbia e lavoriamo sull’emozione stessa, siamo portati<br />

molte volte a reprimere la rabbia, oppure a negarla. Noi sappiamo che interventi <strong>di</strong><br />

questo genere danneggiano moltissimo, non solo a livello psicologico ma ad<strong>di</strong>rittura a<br />

livello fisico: la psicosomatica oggi ci insegna che la stragrande maggioranza <strong>del</strong>le<br />

mal<strong>atti</strong>e derivano proprio da queste emozioni negative represse, schiacciate dentro per<br />

giorni, per mesi, per anni. Sono molto convinta che queste teorie abbiano in sé <strong>del</strong>le<br />

verità: quando noi non provve<strong>di</strong>amo alla liberazione <strong>del</strong>l’emozione negativa a volte è<br />

l’organismo stesso, purtroppo, che arriva, con <strong>del</strong>le strane proliferazioni che poi ci<br />

danneggiano tantissimo, a operare questa liberazione.<br />

Da questo passaggio cosa possiamo capire? Che l’emozione sicuramente va vissuta,<br />

va espressa, va liberata, quin<strong>di</strong> se il bambino a volte arriva ed esprimere dei sentimenti<br />

negativi che ci creano <strong>di</strong>sagio, noi li dovremmo accogliere, pensando che in quel<br />

momento lui se ne libera. Semmai interverremo sui comportamenti a seguito <strong>di</strong> questi<br />

sentimenti, ma fino a quando il bambino esprime sentimenti dovremmo gioire con lui.<br />

Pensiamo ad esempio alla classica situazione <strong>del</strong> bambino che noi abbiamo preparato<br />

come genitori, in accordo con la scuola, alla nascita <strong>del</strong> fratellino o <strong>del</strong>la sorellina,<br />

responsabilizzandolo, facendo la festa per lui ecc., secondo i canoni. La sorellina<br />

nasce e sembra che tutto vada bene, poi, dopo qualche tempo, un giorno il bambino ci<br />

<strong>di</strong>ce: ”Io quella lì la faccio morere”. Non sa ancora pronunciare l’infinito corretto <strong>del</strong><br />

verbo morire, però ci esprime questo sentimento, e noi ci sentiamo malissimo, ci<br />

chie<strong>di</strong>amo che cosa abbiamo sbagliato. Anche in questo caso noi dovremmo pensare<br />

che certi <strong>di</strong>sagi se rimangono nel tempo schiacciati dentro esplodono magari dopo<br />

trent’anni e vengono ad affollare gli stu<strong>di</strong> degli psicoterapeuti. Quin<strong>di</strong> sicuramente tutto<br />

ciò che è espressione va accolto e va persino stimolato. C’è un bel libro a proposito<br />

5


<strong>del</strong>la rabbia intitolato: “Ho un vulcano nella pancia” da cui possiamo ricavare degli<br />

esercizi utilissimi per bambini <strong>di</strong> scuola materna, elementare e me<strong>di</strong>a.<br />

Interessante anche il passaggio dall’emozione al pensiero, perché se noi non possiamo<br />

lavorare <strong>di</strong>rettamente sull’emozione, il lavoro va fatto, a monte, sul pensiero. Pensiero<br />

inteso nella vasta accezione <strong>del</strong> termine, inteso come vissuto, come esperienza <strong>di</strong>retta<br />

o in<strong>di</strong>retta, come ricordo. Qui c’è tutto un lavoro su quali sono i pensieri dannosi che<br />

non ci aiutano, che ci fanno percepire la realtà come minacciosa o il nostro io come<br />

piccolo, come perdente: tutti lavori legati alla fiducia in se stessi e all’autostima.<br />

Entrando più da vicino nel tema <strong>del</strong>le emozioni, ci può essere utile questa<br />

classificazione che fa <strong>di</strong>vertire tanto i bambini.<br />

CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI SECONDO PLUTCHIK<br />

OTTIMISMO<br />

AGGRESSIVITA'<br />

DISPREZZO<br />

Attesa<br />

Aspettativa<br />

Collera<br />

Rabbia<br />

Gioia<br />

Schifo<br />

Disgusto<br />

AMORE<br />

RIMORSO<br />

Al centro troviamo le otto emozioni primarie: la gioia, l’accettazione, la paura, la<br />

sorpresa, la tristezza, lo schifo/<strong>di</strong>sgusto, la collera/rabbia, l’attesa/aspettativa. Vedete<br />

che, accorpandole a due a due, dalla loro unione ne nasce una terza: dalla gioia con<br />

l’accettazione nasce l’amore; dalla accettazione e dalla paura nasce la sottomissione;<br />

dalla paura con la sorpresa nasce lo spavento; dalla sorpresa con la tristezza nasce la<br />

<strong>del</strong>usione; la tristezza con lo schifo/<strong>di</strong>sgusto dà origine al rimorso; schifo/<strong>di</strong>sgusto con<br />

la collera/rabbia genera <strong>di</strong>sprezzo; la collera/rabbia con l’attesa/aspettativa genera<br />

aggressività; l’attesa/aspettativa con la gioia genera ottimismo. Pensate a quanti lavori<br />

interessanti possono essere f<strong>atti</strong> a partire da questo, ponendo ad esempio in vicinanza<br />

<strong>di</strong>versa le otto emozioni primarie; oppure, a partire da una emozione provata<br />

6<br />

Accettazione<br />

Tristezza<br />

Paura<br />

Sorpresa<br />

SOTTOMISSIONE<br />

SPAVENTO<br />

DELUSIONE


(pensiamo alla gelosia), chiederci da quali emozioni può essere generata. I bambini si<br />

<strong>di</strong>vertono molto e riescono veramente ad arricchire se stessi.<br />

A volte, parlando con gli insegnanti, essi <strong>di</strong>cono che sono oberati da mille cose da fare<br />

(e questo è vero) e che non hanno proprio tempo da de<strong>di</strong>care a questi aspetti.<br />

Certamente, già da quando il bambino è piccolo, lavorando sulle emozioni noi<br />

possiamo ricavare tutta una serie <strong>di</strong> vantaggi anche a livello lessicale. Io ho notato che,<br />

in alcune classi in cui si fanno lavori <strong>di</strong> questo genere, persino in alcune scuole<br />

materne, i bambini acquisiscono una capacità verbale e una sfumatura lessicale<br />

notevole.<br />

Pren<strong>di</strong>amo ora in esame le 60 abilità sociali per la vita <strong>del</strong> bambino, in classe e nelle<br />

sue relazioni amicali. Vedete che sono <strong>di</strong>vise in cinque gran<strong>di</strong> settori: le abilità<br />

prerequisite per la vita <strong>di</strong> classe o <strong>di</strong> sezione, quelle per fare o mantenere amicizie (e si<br />

pensi all’importanza <strong>di</strong> questo: tanti bambini hanno situazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio perché hanno<br />

<strong>di</strong>fficoltà relazionali, non riescono trovare il giusto modo per entrare in contatto con<br />

l’altro), le abilità <strong>di</strong> gestione <strong>del</strong>le emozioni, ma anche le abilità per controllare<br />

l’aggressività, e ancora le abilità per gestire lo stress. Tutte appartengono al campo<br />

<strong>del</strong>le emozioni. Quin<strong>di</strong>, anche lavorando sulle abilità sociali, le emozioni hanno una<br />

parte gran<strong>di</strong>ssima. Pensiamo per esempio all’abilità <strong>del</strong> saper perdere: i nostri bambini<br />

proprio non possiedono questa abilità. Prima, quando citavo alcuni dei fattori che<br />

portano a questo <strong>di</strong>sagio <strong>del</strong> bambino <strong>di</strong> oggi, <strong>di</strong>cevo anche <strong>del</strong>la mancanza <strong>di</strong> fratelli e<br />

<strong>di</strong> sorelle. Non è che la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> figlio unico meccanicisticamente porti a degli<br />

svantaggi: certamente, se il bambino vive una relazione molto intensa con i cugini, con<br />

i vicini <strong>di</strong> casa ecc. si rime<strong>di</strong>a agli effetti negativi. Ma se una persona non ha queste<br />

relazioni, certamente rischia <strong>di</strong> impoverire la sua capacità relazionale e il bambino che<br />

è figlio unico a volte incontra qualche <strong>di</strong>sagio in questo.<br />

Proviamo a vedere il problema <strong>del</strong>l’educazione sessuale, o problema <strong>del</strong>la sessualità.<br />

Le <strong>di</strong>mensioni che compongono la sessualità non sono certamente, come a volte si<br />

trova in qualche percorso, la <strong>di</strong>mensione riproduttiva o la <strong>di</strong>mensione biologica.<br />

Certamente sono <strong>di</strong>mensioni molto importanti, ma, vedete, in alto è messa la<br />

<strong>di</strong>mensione emotivo-affettivo-relazionale, cioè tutto ciò che noi costruiamo dentro la<br />

persona, a livello <strong>di</strong> emozione, a livello <strong>di</strong> affetti, va poi a scaturire in questa<br />

<strong>di</strong>mensione che è fondamentale nella vita. Non mi riferisco alla sola genitalità, mi<br />

riferisco a qualcosa <strong>di</strong> più ampio che <strong>atti</strong>ene alla propria realizzazione come uomini,<br />

come donne, i cui semi come ben sappiamo vengono messi da subito, ad<strong>di</strong>rittura,<br />

secondo gli ultimi stu<strong>di</strong>, dal momento <strong>del</strong> concepimento in poi.<br />

Quali sono le componenti principali <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong> alfabetizzazione emozionale.<br />

Anzitutto conoscere se stessi in modo approfon<strong>di</strong>to. Quin<strong>di</strong>, già da quando il bambino è<br />

piccolo, impiegare <strong>del</strong> tempo con lui per farlo <strong>di</strong>vertire in questa avventura che non ha<br />

mai fine <strong>del</strong> capire “ma chi sono veramente io?”, “chi sei veramente tu?”. Quin<strong>di</strong>, si può<br />

cominciare con dei semplici giochetti che sembrano banali ma che nascondono poi<br />

notevoli ricchezze: Se io sono un oggetto mi paragono a… E perché mi paragono a<br />

questo? E se io mi paragono a un albero, che albero scelgo? Se mi paragono a un<br />

7


animale... È molto interessante con bambini un po’ più gran<strong>di</strong>, partendo dalla scuola<br />

elementare e continuando poi nella scuola me<strong>di</strong>a, con i preadolescenti, fare giochi <strong>di</strong><br />

questo genere. Ad esempio si possono pre<strong>di</strong>sporre <strong>del</strong>le schede in scrivere: “Io sono<br />

come un…”. “Fiore”. “E perché?”. “Io sono come un animale…”. “Io sono come una<br />

cosa…”. “E perché?”. Poi, invitare lo stesso ragazzo a in<strong>di</strong>care tre aspetti che gli<br />

piacciono molto <strong>di</strong> se stesso e osservarlo mentre fa questi lavori. Ci sono ragazzini che,<br />

quando sono invitati a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> sé cose positive, iniziano ad agitarsi, cominciano a<br />

guardarsi in giro… Passa il minuto <strong>di</strong> tempo che noi consentiamo per questi lavori e al<br />

massimo sono riusciti a scrivere una cosa; e magari poi nella relazione fanno gli<br />

strafottenti. Se noi rimaniamo a questa visione superficiale, entriamo in quel gioco<br />

senza fine che crea <strong>di</strong>stanze notevoli e non recuperiamo assolutamente più il<br />

ragazzino. Se invece noi, osservandolo, iniziamo a riflettere: “Forse questo ragazzino<br />

non riesce ad avere una immagine positiva <strong>di</strong> sé, forse ha tanto bisogno <strong>di</strong> qualche<br />

feedback positivo da noi insegnanti, dalla relazione con i compagni; forse anche a casa<br />

non riceve nutrimento a questi suoi bisogni <strong>di</strong> fiducia, <strong>di</strong> affetto, <strong>di</strong> stima, <strong>di</strong><br />

valorizzazione...”. Ecco che ci si aprono degli orizzonti <strong>di</strong>versi, ecco che<br />

inspiegabilmente, quando noi prestiamo più attenzione a questo aspetto emotivo,<br />

anche a livello <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento il bambino comincia a seguirci <strong>di</strong> più. Poi, possiamo<br />

ad esempio chiedere al bambino <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare tre cose che <strong>di</strong> sé non riesce ad<br />

apprezzare, non accetta; e magari notiamo che i bambini si precipitano a scrivere;<br />

anche questo non è privo <strong>di</strong> significato. Poi si invitano i bambini a fare dei bigliettini<br />

chiusi, scrivendo in stampatello maiuscolo perché la scrittura non sia riconoscibile, li si<br />

mette in un cestino si chiama il primo in or<strong>di</strong>ne alfabetico, lo si invita a sorteggiare un<br />

bigliettino; il bambino legge questa descrizione: ”Io sono come un … perché…” e tutta<br />

la classe è invitata a indovinare chi si nasconde <strong>di</strong>etro questa descrizione. E’ molto<br />

interessante, perché tutto questo lavoro porta al conoscersi in modo approfon<strong>di</strong>to. E’<br />

molto importante soprattutto quando troviamo bambini che non hanno un’immagine<br />

positiva <strong>di</strong> sé. Attraverso un lavoro che possiamo organizzare con la classe, con la<br />

sezione, prendendo i bambini più gran<strong>di</strong>, noi riusciamo a fare davvero <strong>del</strong> bene e a<br />

rime<strong>di</strong>are ad alcuni errori precedenti.<br />

Il secondo passaggio che vi propongo è l’auto-accettazione, il riconoscere le proprie<br />

aree <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza, il considerarsi positivamente, l’essere capaci <strong>di</strong> ridere, <strong>di</strong><br />

sorridere <strong>di</strong> se stessi. Anche il considerarsi positivamente è molto importante, e<br />

dobbiamo a mio parere spendere un po’ <strong>di</strong> tempo per questo. Se noi riusciamo a<br />

rime<strong>di</strong>are ad alcune con<strong>di</strong>zioni emozionali negative in classe, ad un certo <strong>di</strong>sagio, a un<br />

certo malessere, noi riusciamo poi a vivere molto bene, nel senso che, anche a livello<br />

<strong>di</strong> efficienza, se noi lavoriamo sull’affettività, i risultati tornano tantissimo. Spostiamo<br />

ora l’attenzione su ragazzi preadolescenti e adolescenti. Pensiamo ad un ragazzo che<br />

scriva sul suo <strong>di</strong>ario: “Io non piaccio alle ragazze. Mi specchio e capisco benissimo<br />

perché non piaccio. Anzitutto i foruncoli, maledetti foruncoli, più li schiaccio più quelli<br />

saltano fuori. E poi mi guardo il naso: ha una base mostruosa, non può piacere. Poi mi<br />

8


guardo il viso: ho un viso da luna piena, quando invece alle ragazze piacciono i visi un<br />

po’ fini, un po’ nobili. Poi mi guardo i capelli: ho la fronte stempiata… alla mia età<br />

stempiata? Non si può…” e così via, continua la vivisezione in negativo…<br />

Di fronte a questo, il ragazzo si chiude, nel senso che rifiuta da quel momento <strong>di</strong> uscire,<br />

non partecipa più a relazioni interpersonali. Ora, noi cosa possiamo fare? Proviamo un<br />

<strong>atti</strong>mo ad applicare l’esercizio <strong>del</strong>lo SPEC visto prima. Proviamo chiederci che<br />

emozioni prova questo ragazzo mentre scrive questa pagina <strong>di</strong> <strong>di</strong>ario. Certamente<br />

sono emozioni molto negative: amarezza, <strong>del</strong>usione, rabbia, frustrazione,<br />

scoraggiamento, insod<strong>di</strong>sfazione… Quali sono i pensieri che attraversano la mente <strong>di</strong><br />

questo ragazzo? Alcuni li ha espressi, altri li tiene dentro. Proviamo ora a vedere<br />

questo SPEC messo invece in positivo. La situazione è la stessa: il ragazzo i foruncoli<br />

li ha, questi pensieri li ha. Dov’è che possiamo cominciare a lavorare? Ovviamente sui<br />

pensieri. Quali pensieri potremmo suggerirgli? Il ragazzo è molto centrato sulla<br />

corporeità, per cui non possiamo subito cominciare <strong>di</strong>cendogli che esiste anche una<br />

bellezza interiore, quello glielo <strong>di</strong>remo dopo. Prima dobbiamo viaggiare sulla sua linea,<br />

quin<strong>di</strong>, ad esempio, gli <strong>di</strong>remo che i foruncoli sono un fenomeno temporaneo e gli<br />

daremo tutti quei suggerimenti che lo possono aiutare a credere in se stesso e a vivere<br />

emozioni positive. Valorizzeremo le belle qualità <strong>di</strong> carattere che lui sta <strong>di</strong>mostrando:<br />

quanto sia simpatico e che peccato sia che lui passi le sue giornate chiuso senza<br />

regalare qualcosa <strong>di</strong> sé agli amici. Le emozioni, dalla amarezza/<strong>del</strong>usione,<br />

cominceranno a viaggiare su un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fiducia, <strong>di</strong> speranza, un po’ <strong>di</strong> accettazione,<br />

un po’ <strong>di</strong> gioia, <strong>di</strong> fiducia.<br />

Io credo che sarebbero sufficienti questi tre primi passaggi proprio per aiutare<br />

veramente le persone: essere auto-consapevoli, osservare se stessi, riconoscere i<br />

propri sentimenti. Quin<strong>di</strong> ogni tanto sarebbe bene fermare l’<strong>atti</strong>vità <strong>di</strong> classe o, per i<br />

genitori, la cena in famiglia, e con tono positivo e gioioso <strong>di</strong>re: “Proviamo a vedere,<br />

cos’è che stiamo provando in questo momento?” E ciascuno <strong>di</strong> noi può cominciare a<br />

insegnare al bambino questo contatto con i sentimenti, costruire un vocabolario per le<br />

emozioni, conoscere il rapporto tra pensieri, emozioni e comportamenti. Ecco, io credo<br />

che attraverso queste cose molto pratiche, molto semplici, si possa fare parecchio. C’è<br />

poi tutta una serie <strong>di</strong> giochi interessanti: il volto <strong>del</strong>le emozioni, per imparare a dare un<br />

nome alle principali emozioni, il gioco <strong>del</strong> mimo, per riconoscerle dalle espressioni <strong>del</strong><br />

viso, la tombola <strong>del</strong>le emozioni, il termometro <strong>del</strong>le emozioni, per capire quanta rabbia<br />

o gioia sto provando (se provo rabbia a 3000 il mio comportamento molto<br />

probabilmente sarà <strong>di</strong> un certo tipo, se provo rabbia a 10 sarà <strong>di</strong>verso. E come fare a<br />

impe<strong>di</strong>re che la mia rabbia arrivi a questi livelli).<br />

Io credo che attraverso questo la scuola e la famiglia possano fare tanto. Certamente è<br />

un lavoro che ci coinvolge e ci prende tanto tempo, che deve necessariamente<br />

chiederci <strong>di</strong> partire da noi stessi nel senso che non è qualcosa che impegna solo la<br />

testa, ma passa a livello molto più profondo. Quin<strong>di</strong> se noi non abbiamo prima<br />

9


sperimentato su <strong>di</strong> noi e acquisito questa facilità <strong>di</strong> contatto con il nostro mondo<br />

emozionale, a fatica riusciamo poi ad ottenere risultati con i bambini e i ragazzi. Grazie.<br />

SANDRO SANNA<br />

Grazie alla prof.ssa Lucia Pelam<strong>atti</strong>. Una prima relazione davvero intensa e<br />

arricchente, che ci permette <strong>di</strong> riflettere sulla <strong>di</strong>mensione emotiva, fondamentale per<br />

l’appren<strong>di</strong>mento. La professoressa Pelam<strong>atti</strong> ci ha parlato <strong>del</strong>lo “SPEC”, proponendoci,<br />

quin<strong>di</strong>, elementi operativi per migliorare la nostra relazione educativa sia a scuola, sia<br />

in famiglia, sia nell’extrascuola, tutti ambiti nei quali, con il nostro modo <strong>di</strong> essere e <strong>di</strong><br />

agire, siamo chiamati a favorire la crescita integrale <strong>del</strong>la persona.<br />

Il bambino <strong>di</strong> cui abbiamo sentito parlare è il bambino <strong>del</strong>la Carta internazionale dei<br />

Diritti <strong>del</strong>l’Infanzia, quin<strong>di</strong> è la persona da zero a <strong>di</strong>ciotto anni.<br />

Proseguiamo quin<strong>di</strong> nella nostra riflessione dando la parola al Prof. Bruno Ravasio,<br />

<strong>di</strong>rettore <strong>del</strong> Centro <strong>di</strong> Psicologia Clinica ed Educativa (COSPES) <strong>di</strong> Milano. Il tema è:<br />

“Adolescenti e adulti: incontro o scontro?”.<br />

PROF. BRUNO RAVASIO<br />

Vorrei partire da alcune considerazioni generali.<br />

Oggi è piuttosto <strong>di</strong>ffusa una mentalità lamentosa e <strong>di</strong>missionaria nei confronti <strong>del</strong><br />

problema educativo. Quanti genitori e quanti insegnanti, un po’ scoraggiati, ripetono<br />

che oggi educare è <strong>di</strong>fficile! “I ragazzi non ci ascoltano più!”. “I figli fanno quello che<br />

vogliono”… E quin<strong>di</strong> assistiamo a questa lamentosa presenza all’interno <strong>del</strong>l’ambiente<br />

educativo nei confronti <strong>del</strong>le <strong>di</strong>fficoltà che si incontrano nell’educare.<br />

Ora, da questa mentalità lamentosa e <strong>di</strong>missionaria, che ci fa <strong>di</strong>re: “Educare è <strong>di</strong>fficile”,<br />

dobbiamo arrivare a <strong>di</strong>re che “educare è possibile”.<br />

Educare è prendere coscienza <strong>del</strong>la complessità: certo è qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile, ma la<br />

complessità fa parte ormai <strong>del</strong>la nostra vita. Certo, la complessità rimanda<br />

maggiormente al concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà e <strong>di</strong> incertezza, piuttosto che a quello <strong>di</strong><br />

chiarezza e <strong>di</strong> risposta. Oggi nel nostro mondo è introdotta l’incertezza laddove si<br />

pensava <strong>di</strong> aver capito tutto e spiegata ogni cosa.<br />

Ma la complessità, che si presenta come un ostacolo alla maggiore comprensione dei<br />

f<strong>atti</strong>, può <strong>di</strong>ventare anche una vera sfida, una sfida psicologica e pedagogica per tutti.<br />

Ed ecco allora che bisogna prendere coscienza <strong>di</strong> questa complessità e comprendere<br />

che educare è un nostro compito generazionale. Tocca alla generazione adulta<br />

prendersi in carico il compito <strong>di</strong> educare i giovani.<br />

Diciamo <strong>di</strong> più: non bisogna aspettare a intervenire sull’accaduto, non bisogna<br />

aspettare che il ragazzo <strong>di</strong>venti <strong>di</strong>fficile perché lo si possa recuperare. Non posso<br />

aspettare che il ragazzo si droghi perché poi dopo lo recupero. Non posso aspettare <strong>di</strong><br />

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intervenire quando le cose accadono: dobbiamo superare questo tipo <strong>di</strong> approccio, che<br />

fa un po’ parte <strong>del</strong> nostro sistema <strong>di</strong> vivere. Bisogna saper prevenire e fare in modo<br />

che il ragazzo non <strong>di</strong>venti <strong>di</strong>fficile, bisogna fare in modo che il ragazzo non arrivi alla<br />

droga. Questo è il compito più importante! Si parla tanto <strong>di</strong> prevenzione, ma se ne fa<br />

poca. Se un bambino è <strong>di</strong>fficile, è incontenibile, a 8-9 anni, bisogna saper intervenire<br />

subito.<br />

Quando comincia l’educazione <strong>del</strong> figlio? Prima che nasca. L’educazione <strong>del</strong> figlio<br />

comincia dalla formazione <strong>del</strong>la coppia genitoriale. Quando due decidono <strong>di</strong> mettere su<br />

famiglia, <strong>di</strong> fare un figlio, devono prepararsi all’educazione; non ci si improvvisa<br />

genitori, educatori, ma bisogna sapersi preparare almeno con un animo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità<br />

a capire, a comprendere la situazione.<br />

Un’altra considerazione: l’importanza <strong>del</strong>la prima educazione, quella che viene fatta in<br />

famiglia. E’ estremamente importante perché è la prima. Quando nevica, le orme che si<br />

stampano nella prima neve sono nitide, perfette, perché sono le prime. Tutte le altre<br />

sono scalpiccio che rovina il manto <strong>di</strong> questa neve. Quin<strong>di</strong> capiamo l’importanza <strong>del</strong>la<br />

prima educazione familiare, perché la seconda educazione corre il rischio <strong>di</strong> essere<br />

una faticosa rieducazione.<br />

Tutti siamo educatori nonostante noi. Quando un adulto entra in relazione con un<br />

minore, automaticamente <strong>di</strong>venta educatore perché i suoi atteggiamenti, il suo modo <strong>di</strong><br />

parlare, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> fare, <strong>di</strong>ventano forme educative per qualsiasi ragazzo.<br />

Qual è lo strumento più valido che abbiamo tra le mani per educare?<br />

Gli stu<strong>di</strong> che abbiamo fatto?<br />

I successi <strong>del</strong>la nostra vita professionale?<br />

No. Lo strumento più valido che abbiamo tra le mani per educare è la nostra<br />

personalità.<br />

La nostra personalità è uno strumento che va continuamente “accordato”. Ogni<br />

m<strong>atti</strong>na, alzandoci, la prima cosa da fare è quella <strong>di</strong> “accordare” la propria personalità<br />

affinché sia pronta a fare “melo<strong>di</strong>e”.<br />

Un altro aspetto importante è questo. Ippocrate <strong>di</strong>ce: “Tutte le parti <strong>del</strong>l’organismo<br />

formano un cerchio, perciò ogni parte è sia il principio che la fine”. Così vale per ogni<br />

organismo e quin<strong>di</strong> anche per la famiglia. Se applichiamo questo principio ai mo<strong>del</strong>li <strong>di</strong><br />

comunicazione presenti all’interno <strong>di</strong> una famiglia, dovremmo, ad esempio, chiederci: è<br />

patologica la comunicazione <strong>di</strong> una data famiglia perché uno dei suoi membri è<br />

nevrotico oppure uno dei suoi membri è nevrotico perché la famiglia è patologica?<br />

Ovvero, è il comportamento provocatorio <strong>del</strong>l’adolescente a rendere il clima familiare<br />

insopportabile o è il clima familiare pesante a rendere il figlio provocatorio? Almeno<br />

metà e metà!<br />

Ricordo un fatto. Una m<strong>atti</strong>na arrivano nel mio stu<strong>di</strong>o un papà, una mamma e un<br />

adolescente <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci anni. Il padre era un <strong>di</strong>rettore d’azienda, la madre<br />

un’insegnante. Quella m<strong>atti</strong>na il padre doveva sistemare il “problema” <strong>di</strong> suo figlio,<br />

aveva fretta. Entrano: il papà, deciso e baldanzoso, pronto a risolvere il problema, la<br />

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madre e il figlio, a testa bassa. Si siedono. L’aria era un po’ movimentata. Chiedo al<br />

figlio se può aspettare fuori. Parlo con i genitori. Il padre inizia: “Mio figlio fa la terza<br />

superiore”. E la madre: “No, fa la seconda”. Insistono ognuno sulla propria posizione.<br />

Alla fine il padre si alza <strong>di</strong> scatto, esce, prende il figlio, lo porta dentro e gli chiede che<br />

classe fa. Era tutto chiaro… Il padre voleva risolvere il problema come se fosse un<br />

problema comune <strong>di</strong> un’<strong>atti</strong>vità comune. Quin<strong>di</strong> vedete: è la famiglia o è il ragazzo?<br />

Almeno tutti e due!<br />

Se noi ci convinceremo <strong>di</strong> questo, non andremo più alla ricerca <strong>di</strong> un colpevole o <strong>di</strong> un<br />

presunto capro espiatorio, ma considereremo la questione nella sua globalità e ci<br />

sentiremo tutti inevitabilmente coinvolti nelle stesse responsabilità.<br />

Possiamo fare l’esempio <strong>del</strong>la classe. Entra in classe un insegnante e i ragazzi sono<br />

tranquilli. Ne entra un altro e c’è baldoria. Cosa è cambiato? I ragazzi sono ancora<br />

quelli! E’ cambiato l’insegnante che non ha quella autorevolezza per farsi ascoltare, per<br />

contenere, ecc.<br />

Ora analizziamo alcuni dei comportamenti <strong>del</strong>l’adolescenza.<br />

La crescita personale e l’identità personale si formano in un rapporto con l’esperienza<br />

familiare che ogni in<strong>di</strong>viduo interiorizza. L’uomo evolve recuperando le ra<strong>di</strong>ci all’interno<br />

<strong>del</strong>la sua storia familiare (si porta <strong>di</strong>etro tutto quello che raccoglie nella sua famiglia).<br />

La ricerca <strong>del</strong>la propria identità parte appunto dallo stu<strong>di</strong>o <strong>del</strong>le ra<strong>di</strong>ci; chi non riesce a<br />

mantenere un rapporto con il proprio passato assomiglia a un albero che cresce senza<br />

dare frutti. La casa è il punto da cui si parte. La storia <strong>del</strong>l’adolescente comincia prima<br />

<strong>del</strong>la sua nascita biologica, inf<strong>atti</strong> esiste uno scenario fantasmatico <strong>di</strong> ognuno dei<br />

genitori e <strong>del</strong>la coppia: quando due genitori vogliono un bambino, cominciano a<br />

fantasticare su questo figlio; anche se sono <strong>di</strong>sposti ad accettare tutto quello che<br />

arriva, sognano. Se il papà è uno sportivo, ad esempio pensa che porterà il figlio nel<br />

campetto a giocare a pallone. Poi magari ne rimane <strong>del</strong>uso, perché quando il figlio<br />

vede la palla scappa via. Ora il rischio è che il genitore si innamori <strong>di</strong> questo figlio<br />

fantastico, idealizzato e continui a relazionarsi con lui emotivamente come se fosse<br />

reale. Il figlio invece è quello che è. Il figlio può essere una <strong>del</strong>usione per il padre e per<br />

la madre, cioè può non corrispondere ai sogni dei genitori e <strong>di</strong>ventare il figlio non<br />

accettato, rifiutato, <strong>di</strong>scusso, criticato.<br />

Ebbene, il figlio percepisce questa <strong>del</strong>usione, percepisce <strong>di</strong> non corrispondere alle<br />

aspettative <strong>del</strong> genitore, <strong>di</strong> non essere il figlio desiderato e non sentendosi in colpa per<br />

questo (perché proprio lui non ne ha colpa) innesca un comportamento re<strong>atti</strong>vo, fatto <strong>di</strong><br />

aggressività, oppure <strong>di</strong> un sabotaggio passivo alle richieste genitoriali. Cioè afferma la<br />

sua personalità, come se <strong>di</strong>cesse: “Non sono il figlio che voi volevate, sono <strong>di</strong>verso,<br />

sono io!”.<br />

Compito dei genitori è quello <strong>di</strong> abbandonare l’immagine <strong>del</strong> figlio sognato per<br />

de<strong>di</strong>carsi al figlio che si ha, al vero figlio, con le sue caratteristiche, i suoi limiti, la sua<br />

unicità. Compito dei genitori è annientare la primitiva immagine <strong>del</strong> figlio per de<strong>di</strong>carsi<br />

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alla promozione <strong>del</strong>le potenzialità caratteristiche proprie <strong>del</strong> figlio, affrontando questo<br />

test <strong>di</strong> realtà.<br />

E’ un po’ come gli insegnanti che <strong>di</strong>cono: “Che razza <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> ragazzi sconclusionati<br />

che ho io quest’anno!”. Sono tutti <strong>di</strong>scorsi inutili. Questa è la tua classe, adesso! Questi<br />

sono i tuoi ragazzi e li devi accettare nelle loro caratteristiche, nei loro limiti.<br />

L’adolescenza si può <strong>di</strong>stinguere in tante maniere, io propongo qui alcuni aspetti.<br />

Innanzitutto la pubertà, che è l’ingresso nell’adolescenza. Questo è uno dei momenti<br />

chiave <strong>del</strong>la riorganizzazione <strong>del</strong>l’essere umano. E’ come una seconda nascita.<br />

L’adolescente scopre un mondo, si accorge <strong>di</strong> quello che è. Inizialmente per<br />

l’adolescente <strong>di</strong>venta importante il gruppo, una pseudofamiglia. La famiglia è troppo<br />

stretta per lui; per l’adolescente è <strong>di</strong>fficile rimanere in casa. Nel gruppo si sente libero,<br />

emancipato e, nello stesso tempo, non si sente abbandonato. L’adolescente non è<br />

pronto per andare a vivere la vita sociale, ha bisogno <strong>di</strong> un’altra famiglia, più allargata,<br />

più comprensiva, più tollerante, più simile a lui, dove può parlare <strong>di</strong> quello che vuole,<br />

sentire la musica che vuole e al volume che vuole… insomma vuole stare insieme ai<br />

suoi coetanei, in un ambiente che è una sorta <strong>di</strong> famiglia più allargata, non ancora la<br />

società. In mezzo ai suoi coetanei, che hanno un po’ i suoi stessi problemi <strong>di</strong> confronto<br />

e <strong>di</strong> scontro con i propri genitori e con gli insegnanti, trova una sicurezza, uno spirito <strong>di</strong><br />

emulazione che tende a dargli un equilibrio.<br />

E’ senza dubbio in una prospettiva <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> sicurezza che va valutato il<br />

sorprendente conformismo che caratterizza l’adolescente, in così evidente contrasto<br />

con il tentativo <strong>di</strong> emancipazione che si manifesta nei confronti <strong>del</strong>la famiglia. Nel<br />

gruppo l’adolescente è conformista; in casa è un ribelle. Sono proprio gli atteggiamenti<br />

conformistici che danno all’adolescente una rassicurante sensazione <strong>di</strong> non essere<br />

isolato e al tempo stesso gli permettono <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziarsi come persona giovane dal<br />

gruppo degli adulti.<br />

Il gruppo per l’adolescente ha sempre un’importanza primaria. Nell’adolescenza il<br />

giovane si trova <strong>di</strong> fronte a un duplice compito: da un lato deve migrare dalla vita<br />

familiare che ha conosciuto fin da piccolo e quin<strong>di</strong> ha tutta la sindrome <strong>del</strong>l’emigrante<br />

che esce <strong>di</strong> casa, lascia il suo paese, la sua terra, la sua tana e si affaccia sul mondo<br />

esterno, con tutta l’incertezza, l’insicurezza <strong>del</strong>l’emigrante; dall’altro deve immigrare,<br />

ma non nel mondo degli adulti, <strong>del</strong> quale non gli importa nulla, ma nel sistema sociale<br />

<strong>del</strong>la società dei suoi pari. Quin<strong>di</strong> ha la sindrome <strong>del</strong>l’emigrante e <strong>del</strong>l’immigrato. Il<br />

gruppo appare così come il rifugio <strong>del</strong>l’emigrante o la patria <strong>del</strong>l’immigrato.<br />

Anche se l’adolescente è da solo in una stanza con il genitore o l’educatore, lo<br />

specchio psicologico <strong>del</strong> gruppo è onnipresente. Voi potete prendere anche il ragazzo<br />

più <strong>di</strong>fficile, prendetelo a tu per tu, cominciate a parlargli. Di fronte a voi è buono, è<br />

ragionevole, capisce, si può anche avere un bel <strong>di</strong>alogo, ma non è lui! Lui è quando è<br />

in mezzo ai suoi compagni. Perché mentre voi gli parlate, lui sente alle sue spalle lo<br />

specchio psicologico <strong>del</strong> gruppo, sente il commento dei suoi compagni (“Che cosa ti ha<br />

detto tua madre?”. “Che cosa ti ha detto la prof.?”. “Te l’ha messa giù dura, vero?”).<br />

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Lo specchio psicologico <strong>del</strong> gruppo e onnipresente e il timore <strong>di</strong> fare c<strong>atti</strong>va o bella<br />

figura presso il proprio gruppo è un fattore importante che gioca nell’interazione<br />

educativa. Quin<strong>di</strong> non c’è da meravigliarsi se quando parliamo a tu per tu l’adolescente<br />

è docile, attento, ascolta… Ma non è lui. Lui è quando è in mezzo ai suoi compagni.<br />

Ciò va tenuto presente, insieme alla consapevolezza che vi sono precise norme <strong>del</strong><br />

“duello” complesso <strong>del</strong>l’interazione fra adulto e adolescente, per cui il ragazzo può<br />

apparire tra<strong>di</strong>tore, <strong>di</strong>sertore, codardo… se si arrende a un richiamo che proviene da<br />

fuori <strong>del</strong> gruppo. Se il ragazzo si arrende, questo può comportare per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> prestigio<br />

agli occhi <strong>del</strong> gruppo, oppure ostracismo categorico da parte <strong>del</strong> gruppo.<br />

Un altro aspetto è il problema <strong>del</strong>la resistenza psicologica <strong>di</strong> gruppo: questo aspetto,<br />

anche in assenza <strong>del</strong> gruppo stesso, va sempre tenuto presente. Alle spalle <strong>del</strong><br />

ragazzo che abbiamo <strong>di</strong> fronte c’è sempre il suo gruppo. L’adolescente non può mai<br />

permettersi <strong>di</strong> sentirsi solo. C’è sempre il gruppo in ascolto.<br />

Un ulteriore aspetto importante è che la personalità <strong>del</strong>l’adolescente va anche<br />

facilmente soggetta a un collasso sotto l’influenza <strong>del</strong> gruppo: la cosiddetta<br />

“intossicazione psicologica <strong>di</strong> gruppo”. Inf<strong>atti</strong> gli adolescenti non hanno bisogno <strong>di</strong><br />

alcool o <strong>di</strong> droga per raggiungere uno stato <strong>di</strong> ebbrezza o <strong>di</strong> eccitazione. Possono farlo<br />

semplicemente guardando quello che fanno gli altri, per contaminazione. Cioè in un<br />

mondo <strong>di</strong> violenza, dalla violenza sono inebriati; in un mondo <strong>di</strong> erotismo, <strong>di</strong> erotismo<br />

sono contagiati.<br />

Vi è poi l’opposizione, uno degli aspetti più evidenti <strong>del</strong>l’adolescenza. Tuttavia esistono<br />

alcune “sindromi” caratteristiche <strong>di</strong> opposizione. Innanzitutto l’allergia alle situazioni e<br />

agli adulti estranei all’esperienza quoti<strong>di</strong>ana, quin<strong>di</strong> un’allergia a tutti quelli che si<br />

interessano <strong>di</strong> loro (genitori, insegnanti, educatori), ma che non sono <strong>di</strong> loro. Portare un<br />

adolescente dallo psicologo, perché ne ha bisogno, è la cosa più <strong>di</strong>fficile <strong>del</strong> mondo! Gli<br />

adolescenti quando sono in <strong>di</strong>fficoltà sono ostili, non ne vogliono sapere <strong>del</strong>l’aiuto <strong>di</strong><br />

altre persone, pensano <strong>di</strong> risolvere tutti i problemi da soli, <strong>di</strong> avere in mano la chiave<br />

per la risoluzione dei loro problemi. Quando arriva un adolescente che <strong>di</strong>ce: “Ho<br />

bisogno <strong>di</strong> essere aiutato”, il problema è già risolto!<br />

Gli adolescenti entrano in comunicazione solo con quegli adulti che sono immersi nella<br />

loro situazione; stare con loro, entrare in relazione con loro nei rapporti forniti dalla vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana: questa è la chiave! Ci sono dei genitori che sanno interessarsi <strong>del</strong>la vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana dei loro figli <strong>di</strong>alogando, non inquisendo. Questo va fatto fin dall’inizio, non<br />

dai se<strong>di</strong>ci anni in poi! Altrimenti a se<strong>di</strong>ci anni tu sei nessuno per tuo figlio!<br />

Il comportamento adolescenziale è causa <strong>di</strong> scandalo per i conformisti <strong>di</strong> ogni paese.<br />

Innanzitutto il comportamento adolescenziale è caratterizzato da una decisa volontà <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fferenziazione in rapporto ai mo<strong>del</strong>li <strong>di</strong> comportamento <strong>del</strong>le generazioni mature.<br />

Pensiamo alla moda: cavallo basso, ombelico scoperto… Poi va a finire che sono gli<br />

adolescenti a imporre la moda, perché gli adulti imitano loro… E allora assistiamo a<br />

degli “spettacoli” ri<strong>di</strong>coli! Comunque i gruppi <strong>di</strong> adolescenti hanno tutti in comune una<br />

caratteristica: la volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziarsi dalla società dominante con una volontà, più o<br />

meno intensa, <strong>di</strong> protesta.<br />

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Le reazioni <strong>di</strong> fronte a tutto ciò sono molteplici: qualcuno, per la verità pochi, è<br />

entusiasta; qualcun altro esprime condanna incon<strong>di</strong>zionata, esprimendola con termini<br />

fortemente caricati <strong>di</strong> emotività. Molti propongono mo<strong>del</strong>li educativi <strong>di</strong> tipo autoritario,<br />

altri minimizzano il problema, riconducendolo a un fenomeno ricorrente ad ogni<br />

passaggio <strong>di</strong> generazione. Altri ancora si abbandonano ad un’assurda permissività,<br />

coperta magari da atteggiamenti conservatori o autoritari, e che si manifesta in risposte<br />

prefabbricate e facilmente asservibili a tutte le richieste <strong>del</strong>l’opposizione<br />

adolescenziale. Questo significa che l’adolescente nei suoi sforzi <strong>di</strong> emancipazione<br />

sfonda continuamente porte aperte oppure minaccia <strong>di</strong> crollare <strong>di</strong> fronte ai no.<br />

Insomma o c’è un’opposizione assurda o c’è un permissivismo incomprensibile.<br />

Qual è l’atteggiamento migliore? Quello <strong>di</strong> una resistenza elastica. Cioè saper resister,<br />

ma anche cedere. Il boxeur, per allenarsi, non dà i pugni contro una parete dura e<br />

nemmeno contro <strong>del</strong>le tende, ma contro un pungiball, che oppone una resistenza<br />

elastica. Questo è l’atteggiamento da seguire nell’educazione: saper concedere e<br />

saper resistere. I ragazzi devono incontrare <strong>del</strong>le <strong>di</strong>fficoltà: la libertà, come l’autonomia,<br />

va conquistata, non gliela si può regalare.<br />

L’adolescente ha un bisogno estremo <strong>di</strong> mantenere un legame <strong>di</strong> fondo con la sua<br />

famiglia; non è ancora pronto a liberarsi <strong>del</strong>la famiglia; sente il bisogno <strong>di</strong> avere le<br />

spalle coperte e quin<strong>di</strong> i genitori, così come gli insegnanti, devono essere sempre<br />

pronti a dare una mano e nello stesso tempo permettere all’adolescente <strong>di</strong> fare queste<br />

esperienze “esterne”.<br />

L’adolescente per emanciparsi deve mo<strong>di</strong>ficare il suo comportamento verso i genitori;<br />

mira a svalorizzare i genitori per poterli superare. Perché il figlio <strong>del</strong> campione è<br />

sempre un brocco? Perché il figlio ha davanti un leader, uno riuscito nella vita. Come fa<br />

a <strong>di</strong>ventare meglio <strong>di</strong> lui? Si sente un poverino, un incapace e ha bisogno <strong>di</strong><br />

svalorizzare questo mito per poterlo superare, per <strong>di</strong>ventare anche lui un adulto.<br />

In ogni caso un ragazzo può anche mantenere un comportamento equilibrato e<br />

tranquillo verso i suoi genitori senza per questo costituire un caso patologico.<br />

Qual è il messaggio fondamentale che l’adolescente dà agli adulti? Lo possiamo<br />

esplicitare in questi termini: “Come io cambio i miei comportamenti con voi, così voi<br />

dovete cambiare i vostri comportamenti con me”.<br />

Come conclusione, possiamo <strong>di</strong>re che forse oggi più che mai il giovane ha bisogno <strong>di</strong><br />

una più riuscita identificazione con i genitori, che si adoperino per fargli scoprire che la<br />

vita vale la pena <strong>di</strong> essere vissuta e che attraverso l’esempio gli insegnino che il<br />

rapporto vita-<strong>di</strong>pendenza è cosa desiderabile e che il matrimonio, la maternità e la<br />

paternità sono finalità degne <strong>di</strong> essere perseguite.<br />

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SANDRO SANNA<br />

Un grazie anche al professor Ravasio che ci ricorda che l’essere educatori è <strong>di</strong> tutti gli<br />

adulti.<br />

I ragazzi hanno bisogno <strong>di</strong> un confronto adulto, hanno bisogno <strong>di</strong> persone che siano in<br />

grado <strong>di</strong> trasmettere qualche cosa che i ragazzi non hanno. E d’altra parte gli adulti<br />

devono saper accettare la “novità” che i giovani portano, saper cogliere e assorbire<br />

questa aggressività che essi hanno nei confronti <strong>del</strong>l’adulto, e saper trasmettere e<br />

rimandare a loro qualche cosa <strong>di</strong> più maturo, altrimenti non c’è più educazione.<br />

Cogliamo anche l’invito a mantenerci in un atteggiamento costante <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> una<br />

qualche linea <strong>di</strong> soluzione, <strong>di</strong> alcuni orientamenti che ci aiutino a capire come non<br />

limitarci a intervenire sui f<strong>atti</strong> che accadono, promuovendo strategie <strong>di</strong> prevenzione<br />

nell'ambito familiare, scolastico e sociale.<br />

E quest’oggi siamo qui proprio per questo; i nostri relatori ci stanno aiutando proprio a<br />

fare questo.<br />

E’ ora il momento <strong>del</strong> contributo <strong>del</strong>la prof.ssa Elena Zanfoni, Vicepresidente<br />

<strong>del</strong>l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani (ANPE) <strong>del</strong>la Regione Lombar<strong>di</strong>a e<br />

membro <strong>del</strong> Consiglio <strong>di</strong>rettivo <strong>del</strong>l’ANPE. La prof.ssa Zanfoni si occupa <strong>di</strong> educazione<br />

degli adulti presso la Facoltà <strong>di</strong> Scienze <strong>del</strong>la Formazione <strong>del</strong>l’Università Cattolica <strong>del</strong><br />

Sacro Cuore.<br />

Ci parlerà dei “ruoli genitoriali in funzione <strong>del</strong>le regole <strong>del</strong>la famiglia”, quin<strong>di</strong> è un<br />

approfon<strong>di</strong>mento <strong>del</strong>la riflessione che faceva il professor Ravasio a proposito<br />

<strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong>la prima educazione, quella che viene fatta in famiglia.<br />

PROF.SSA ELENA ZANFRONI<br />

Ringrazio per l’invito in una così splen<strong>di</strong>da cornice, anche perché parlare <strong>di</strong> famiglia e<br />

<strong>di</strong> queste tematiche <strong>di</strong> cui si sente spesso oggi parlare è sempre comunque stimolante.<br />

E’ <strong>di</strong>fficile intervenire dopo due relazioni autorevoli come quella <strong>del</strong> Prof. Ravasio e<br />

quella <strong>del</strong>la Prof.ssa Pelam<strong>atti</strong> ma cercherò, anche da alcuni stimoli che sono pervenuti<br />

da queste relazioni, <strong>di</strong> procedere nell’intento.<br />

Si deve parlare <strong>di</strong> ruoli genitoriali in funzione <strong>di</strong> regole familiari, però bisogna a questo<br />

punto, anche alla luce <strong>di</strong> quel che abbiamo sentito, stabilire quale è la famiglia <strong>di</strong><br />

riferimento, quale è il nostro mo<strong>del</strong>lo familiare <strong>di</strong> riferimento, quali sono i reali bisogni<br />

educativi <strong>di</strong> questo mo<strong>del</strong>lo familiare che noi deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> considerare.<br />

Si continua a sentir <strong>di</strong>re che la famiglia è mutata nel tempo, che ci sono i ruoli<br />

genitoriali che sono <strong>di</strong>ventati interscambiabili, ci sono le funzioni che sono cambiate, ci<br />

sono i nuovi padri, ci sono le madri che si de<strong>di</strong>cano sempre più al lavoro e <strong>del</strong>egano ad<br />

altri l’educazione dei figli. Si continuano a sentire questi luoghi comuni che, se da un<br />

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lato sono luoghi comuni, dall’altro sono anche in molte occasioni dei dati <strong>di</strong> fatto.<br />

Diciamo che in generale, nel cambiamento che la famiglia subisce attraverso i secoli (e<br />

che è inevitabile perché comunque cambia la società e <strong>di</strong> conseguenza anche la<br />

struttura familiare), quello che non deve mai venir meno è il progetto <strong>del</strong>la coppia<br />

genitoriale nei confronti <strong>di</strong> un figlio.<br />

La coppia genitoriale in qualsiasi tempo e in qualsiasi secolo dovrebbe sempre avere<br />

come riferimento il fatto che <strong>di</strong> quel figlio dovrà fare un adulto autonomo e<br />

responsabile. Questo è l’assioma da cui partiamo ed è imprescin<strong>di</strong>bile, è al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

qualsiasi cambiamento a cui noi possiamo assistere nell’ambito <strong>del</strong>la società e anche<br />

all’interno <strong>del</strong>lo stesso assetto familiare. Per fare questo quin<strong>di</strong> c’è la necessità, <strong>di</strong>rei<br />

l’urgenza, l’emergenza educativa, <strong>di</strong> stabilire un chiaro progetto educativo per questo<br />

figlio che sia con<strong>di</strong>viso da entrambi i genitori, che non sia il progetto <strong>di</strong> una persona, <strong>di</strong><br />

uno solo dei due genitori, ma sia un progetto con<strong>di</strong>viso. Anche rispetto a questo<br />

qualcuno avrebbe da obiettare: ma oggi che comunque sentiamo sempre più le<br />

famiglie monogenitoriali, famiglie con genitori single, famiglie che comunque sono<br />

<strong>di</strong>sgregate o quanto meno separate, <strong>di</strong>vorziate, come è possibile fare questo progetto?<br />

Questo progetto si deve comunque fare perché <strong>di</strong> mezzo c’è l’integrità <strong>del</strong>la personalità<br />

<strong>del</strong> bambino. Anche gli esempi che ci ha proposto il prof. Ravasio ci permettono <strong>di</strong> <strong>di</strong>re<br />

che portare a termine questo progetto è qualcosa <strong>di</strong> faticoso, però questa fatica merita<br />

in tutti i sensi <strong>di</strong> essere vissuta nel momento in cui <strong>di</strong> mezzo c’è un figlio, una bambino,<br />

un futuro adulto. Un adulto che sarà “artefice” <strong>del</strong>la società che verrà, per cui<br />

comunque non dobbiamo esimerci dal considerare che la coppia si può <strong>di</strong>sgregare ma<br />

la coppia genitoriale non si <strong>di</strong>sgrega mai.<br />

Nel momento in cui la coppia decide <strong>di</strong> avere un figlio, questo è un progetto che si<br />

porterà sempre <strong>di</strong>etro al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quella che sarà la storia <strong>di</strong> questa coppia.<br />

Quin<strong>di</strong>, per chiarirci bene, dovremmo innanzi tutto definire che cosa si intende con il<br />

termine “ruolo genitoriale” e con il termine “funzione”. Molto spesso sono utilizzati in<br />

modo in<strong>di</strong>stinto, ma in realtà c’è una rigida <strong>di</strong>stinzione che vede il “ruolo” come il<br />

comportamento che la società si attende dal soggetto, è quello che in un certo senso la<br />

società richiede al soggetto per il fatto stesso che quel soggetto occupi una<br />

determinata posizione sociale. Quin<strong>di</strong> il ruolo genitoriale è da intendersi in questo<br />

modo, rappresenta il modo <strong>di</strong> essere genitore. Accanto al ruolo <strong>di</strong>stinguiamo la<br />

“funzione” che invece rappresenta il modo <strong>di</strong> fare il genitore, che allora <strong>di</strong>venta quello<br />

che noi possiamo <strong>di</strong>re intercambiabile: si parla <strong>di</strong> funzioni materne e <strong>di</strong> funzioni<br />

paterne; assistiamo alla presenza <strong>del</strong> padre che più che nel passato accu<strong>di</strong>sce il figlio.<br />

In questo è cambiato il modo <strong>di</strong> fare il padre, non è cambiato il modo <strong>di</strong> essere padre: il<br />

padre è sempre lo stesso nell’arco degli anni, il padre è quello che la società si aspetta<br />

dalla figura paterna. In realtà quello che può cambiare è la funzione che quin<strong>di</strong> si può<br />

rendere più o meno intercambiabile.<br />

Quin<strong>di</strong> per la funzione genitoriale in particolare che cosa è richiesto? E’ richiesto <strong>di</strong> non<br />

improvvisarla, cioè è auspicabile una adeguata preparazione allo svolgimento <strong>del</strong>la<br />

17


propria funzione genitoriale proprio per evitare dei problemi che nonostante tutto<br />

potrebbero esserci. Perché se una coppia <strong>di</strong> genitori decide <strong>di</strong> seguire dei percorsi<br />

formativi, <strong>di</strong> aiutarsi in qualche modo a svolgere la propria funzione, ciò non vuol <strong>di</strong>re<br />

che abbia in tasca la ricetta per la felicità eterna. Questo no, perché da questi corsi cui i<br />

genitori partecipano (e anche l’affluenza a questo convegno è una testimonianza <strong>di</strong> ciò<br />

che sto per <strong>di</strong>re) non possiamo ricavare le ”ricette” ma una “cassetta degli attrezzi”,<br />

<strong>del</strong>le occasioni per riflettere su <strong>del</strong>le problematiche, per con<strong>di</strong>viderle. Nessuno deve<br />

avere la sensazione <strong>di</strong> essere inadeguato o <strong>di</strong> perdere tempo, perché in realtà il fatto<br />

stesso <strong>di</strong> sentire un genitore che vive un medesimo problema, uno stesso stato<br />

d’animo, una stessa sensazione nei confronti <strong>di</strong> una problematica che ha<br />

nell’educazione dei figli, <strong>di</strong> fatto può aiutare questo stesso genitore a trovare il<br />

momento <strong>del</strong> riscatto, a trovare la modalità per reagire ad un determinato problema e<br />

soprattutto a non enfatizzarlo eccessivamente perché molto spesso i problemi, se non<br />

li esterniamo agli altri, si amplificano. E’ il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> prima <strong>del</strong>le emozioni: se noi le<br />

reprimiamo, le teniamo dentro <strong>di</strong> noi, <strong>di</strong> fatto rischiano <strong>di</strong> manifestarsi in altri mo<strong>di</strong> più<br />

<strong>del</strong>eteri. In realtà se noi da queste occasioni <strong>di</strong> incontro, <strong>di</strong> confronto, <strong>di</strong> riflessione,<br />

traiamo questi spunti per poterci sentire non da soli in questi percorsi riusciamo<br />

sicuramente ad avere potenzialmente una forza per andare avanti e soprattutto <strong>del</strong>le<br />

potenzialità che possono aiutarci nel nostro mestiere <strong>di</strong> genitore giorno per giorno.<br />

Ma facendo il punto <strong>del</strong>la situazione, anche dagli spaccati familiari che sono emersi nei<br />

precedenti interventi, proviamo ad articolare la riflessione basandoci sui punti <strong>di</strong><br />

debolezza che sono identificati nella famiglia <strong>di</strong> oggi. Questi punti <strong>di</strong> debolezza non ci<br />

devono mettere davanti ad una situazione tragica o eccessivamente pessimistica. In<br />

realtà sono dei punti <strong>di</strong> debolezza da cui poi noi possiamo evincere dei punti <strong>di</strong> forza<br />

che la famiglia ha in sé, in<strong>di</strong>pendentemente dal tipo <strong>di</strong> famiglia che ci troviamo davanti.<br />

Cioè, la famiglia ha in sé dei punti <strong>di</strong> forza che le possono permettere <strong>di</strong> reagire a<br />

qualsiasi situazione e soprattutto <strong>di</strong> intraprendere il suo cammino educativo e formativo<br />

nei confronti dei figli.<br />

Un primo punto <strong>di</strong> debolezza, che si può evincere da tutte le pubblicazioni anche<br />

numerose che ormai animano gli scaffali <strong>di</strong> qualsiasi libreria, è quello che <strong>di</strong>ce che la<br />

famiglia non educa più ma istruisce e basta. Non educa più perché <strong>del</strong>ega agli altri il<br />

suo compito, non c’è il tempo, non ci sono le modalità e le possibilità <strong>di</strong> educare i propri<br />

figli e <strong>di</strong> conseguenza <strong>del</strong>ega il proprio ruolo genitoriale. Partendo da quello che<br />

abbiamo detto prima, capiamo che questa è una cosa impossibile: non possiamo <strong>di</strong>re<br />

che il genitore <strong>del</strong>eghi il proprio ruolo, potrà semmai <strong>del</strong>egare la propria funzione, non il<br />

proprio ruolo. Per cui un primo punto <strong>di</strong> debolezza che viene comunque riconosciuto<br />

alla famiglia <strong>di</strong> oggi è questo: la famiglia tende non ad educare ma ad istruire e basta.<br />

La famiglia oggi è caratterizzata da un’assenza <strong>di</strong> ruoli, da una confusione <strong>di</strong> funzioni,<br />

<strong>di</strong> mansioni. Di fatto molto spesso <strong>del</strong>egando il proprio ruolo il genitore <strong>del</strong>ega anche<br />

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decisioni inerenti alla propria funzione genitoriale. In realtà il ruolo è fisso; la funzione,<br />

l’azione, la mansione educativa è scambiabile. In questo senso nell’educazione <strong>del</strong><br />

figlio noi dobbiamo considerare che possiamo riconoscere alla famiglia che ci sia<br />

un’assenza <strong>di</strong> ruoli, ma più che altro che ci sia forse una confusione nelle funzioni e<br />

nelle mansioni educative <strong>del</strong>la famiglia, proprio perché c’è questa confusione a livello <strong>di</strong><br />

ripartizione dei compiti nella coppia genitoriale.<br />

La storia ci <strong>di</strong>ce che prima la figura femminile era legata all’ambito domestico, la donna<br />

era il cosiddetto “angelo <strong>del</strong> focolare”; <strong>di</strong> fatto oggi sono cambiati i tempi e in questo<br />

senso si è mo<strong>di</strong>ficato anche il ruolo <strong>del</strong>la donna all’interno <strong>del</strong>la società, però non per<br />

questo la donna non ha in sé potenzialmente la capacità <strong>di</strong> essere una buona madre.<br />

Di conseguenza anche in questo senso dobbiamo stare attenti a non generalizzare<br />

eccessivamente il problema.<br />

Quin<strong>di</strong> perché nella famiglia c’è un’assenza <strong>di</strong> ruoli? Perché si <strong>di</strong>ce che in famiglia<br />

mancano i valori, non c’è un riferimento valoriale consistente, non c’è un saldo<br />

riferimento valoriale, e questo provoca il fatto che il figlio viene immesso nella società,<br />

nella scuola e negli altri ambienti extra-familiari con un po’ <strong>di</strong> confusione a livello anche<br />

comportamentale. In realtà è proprio la famiglia (quella che il prof. Ravasio chiamava<br />

prima educazione) che dà l’educazione al ragazzo, non è qualsiasi altro ente educativo<br />

che si mette in relazione col figlio, ma è la famiglia che dà la prima educazione, perché<br />

i valori forti, che possono essere il nostro riferimento, sono in famiglia, si respirano in<br />

famiglia, proprio perché sono quei principi orientativi <strong>del</strong>la persona che<br />

necessariamente il figlio può cogliere nell’ambiente familiare e non da altri. O<br />

comunque se li coglie da altri ovviamente poi c’è la confusione, il <strong>di</strong>sagio, l’emergere <strong>di</strong><br />

forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>sadattamento che possono essere anche facilmente riscontrabili.<br />

Un terzo punto è quello che <strong>di</strong>ce: c’è confusione tra “amore infantile” e “amore maturo”.<br />

Amore infantile inteso nel senso <strong>di</strong> “amo perché sono amato”, amore maturo inteso nel<br />

senso <strong>di</strong> “sono amato perché amo”. Fromm in uno dei suoi più bei libri aveva chiarito<br />

questa definizione <strong>di</strong> amore maturo e amore infantile. Quin<strong>di</strong> quello che si riconosce<br />

come punto <strong>di</strong> debolezza <strong>del</strong>la famiglia è un po’ questa confusione tra le due forme <strong>di</strong><br />

amore, una tipica <strong>del</strong> bambino e l’altra <strong>del</strong> genitore. Prima il professor Ravasio ha<br />

detto: “Ci sono dei genitori che si vestono come i propri figli, per sembrare giovani, per<br />

essere come loro”. Ecco, questo è un atteggiamento “infantile”, ma non perché siamo<br />

qui a mettere all’in<strong>di</strong>ce questi comportamenti, ma perché comunque l’omologazione <strong>del</strong><br />

ruolo genitoriale col ruolo filiale <strong>di</strong> fatto è qualcosa <strong>di</strong> riprovevole, perché comunque<br />

non ci porta ad un salto <strong>di</strong> qualità, non dà al figlio una sicurezza interiore. Tanti<br />

potrebbero <strong>di</strong>re: “Solo perché i genitori si vestono come il figlio, siamo qui a fare dei<br />

<strong>di</strong>scorsi esistenziali”. In realtà da questi elementi noi capiamo anche che tipo <strong>di</strong><br />

relazione ci può essere tra genitori e figli e il tipo <strong>di</strong> valori che il genitore trasmette al<br />

figlio.<br />

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Non c’è un rispetto <strong>del</strong>le potenzialità e dei ritmi <strong>di</strong> crescita dei figli. C’è una sorta <strong>di</strong><br />

slogan che <strong>di</strong>ce: ”Liberate il tempo libero ai bambini”. La tendenza oggi è quella <strong>di</strong><br />

riempire la vita <strong>del</strong> bambino anche e soprattutto al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>la scuola. Per cui abbiamo<br />

questi bambini che sono stressati fin da piccoli perché il lunedì hanno catechismo, il<br />

martedì hanno inglese, il giovedì hanno danza, il venerdì hanno un’altra cosa. Di fatto<br />

questo non è negativo <strong>di</strong> per sé a priori, ma va considerato in relazione al bambino, ai<br />

suoi ritmi <strong>di</strong> crescita, non a quelli dei suoi genitori che hanno il desiderio che il bambino<br />

faccia pianoforte, danza, inglese perché già da piccolo deve <strong>di</strong>ventare un adulto che<br />

parla inglese come la sua lingua madre. Bisogna considerare i ritmi <strong>di</strong> crescita dei<br />

bambini e bisogna riflettere bambino per bambino. Lo sanno benissimo gli insegnanti:<br />

ci sono dei ritmi <strong>di</strong>versissimi, per cui comunque bisogna agire nel rispetto <strong>di</strong> questi<br />

ritmi. Se questo calendario settimanale molto ricco <strong>di</strong> impegni è <strong>di</strong> fatto un calendario<br />

fatto solo per tamponare una situazione <strong>di</strong> emergenza <strong>del</strong> genitore che altrimenti prima<br />

<strong>di</strong> quell’ora non sa dove mettere il bambino perché la scuola ormai è finita, bisogna<br />

riflettere e capire: è un’esigenza <strong>del</strong> genitore o è una volontà <strong>del</strong> bambino?<br />

Il coniuge non sa essere coniuge e <strong>di</strong> conseguenza non sa essere genitore. Posto che<br />

non a priori i due ruoli siano legati (uno può essere un buon coniuge ma <strong>di</strong> fatto non<br />

saper essere genitore), nel momento in cui noi ci troviamo <strong>di</strong> fronte a una coppia che<br />

non ha assunto una sua <strong>di</strong>mensione esistenziale, che non si sa parlare, che comunque<br />

ha dei problemi (i dati statistici ce lo rivelano: parecchie sono le coppie che possono<br />

avere problemi relazionali al loro interno, nella <strong>di</strong>ade coniugale), <strong>di</strong>fficilmente questi<br />

coniugi riusciranno ad essere dei buoni genitori, perché <strong>di</strong> fondo manca la <strong>di</strong>sponibilità<br />

a stabilire tra i due quella coesione educativa che può portare ad essere dei buoni<br />

genitori. Se nella coppia non c’è <strong>di</strong>alogo, nella coppia non ci potrà essere una coesione<br />

educativa, ovvero una con<strong>di</strong>visione <strong>del</strong> proprio progetto educativo nei confronti <strong>del</strong><br />

figlio. Quin<strong>di</strong>, non il progetto <strong>di</strong> uno dei genitori, ma il progetto <strong>di</strong> entrambi, nasce da<br />

una coesione, da un accordo che c’è tra i genitori. Molto spesso, se voi solo pensate<br />

nella quoti<strong>di</strong>anità, ci troviamo davanti alla madre che sgrida il bambino e al padre che<br />

davanti alla madre <strong>di</strong>ce che non è giusto.<br />

A questo punto possiamo <strong>di</strong>re che educare vuol <strong>di</strong>re saper orientare a due <strong>di</strong>mensioni<br />

in particolare. Una <strong>di</strong>mensione “longitu<strong>di</strong>nale”, che vuol <strong>di</strong>re educare al futuro, orientare<br />

al futuro, e una <strong>di</strong>mensione “<strong>di</strong>fferenziale” che è il saper orientare in base alle proprie<br />

potenzialità. Quin<strong>di</strong> una volta che la coppia assume queste due capacità, queste due<br />

<strong>di</strong>mensioni, possiamo <strong>di</strong>re che supera il problema <strong>di</strong> per sé.<br />

Il sesto punto è quello <strong>di</strong> non saper comunicare. Questo aspetto lo abbiamo già<br />

intravisto nei punti precedenti, e <strong>di</strong> fatto sembra essere il problema sostanziale <strong>del</strong>la<br />

coppia genitoriale oggi, che <strong>di</strong>fficilmente comunica, o comunque se lo fa, lo fa nella<br />

maniera sbagliata. Questo è un atteggiamento che il figlio coglie al volo ed utilizza a<br />

proprio piacimento.<br />

20


Ma in questo quadro tragico cosa bisogna fare? Il quadro ci fa riflettere su quelli che<br />

effettivamente potrebbero essere dei punti <strong>di</strong> debolezza sostanziali che la famiglia può<br />

avere.<br />

I punti <strong>di</strong> forza li abbiamo già intravisti nell’elencare quelli <strong>di</strong> debolezza. Prima <strong>di</strong> tutto la<br />

coesione educativa, che è alla base <strong>di</strong> ogni scelta educativa. Non possiamo<br />

prescindere da una coesione educativa e questo implica i due genitori. Questo non è<br />

un ostacolo per le coppie separate, perché molto spesso si è notato come esista una<br />

maggiore coesione educativa in una coppia <strong>di</strong> separati che in una coppia che convive.<br />

Questo non deve essere un limite e tanti genitori spesso imparano a comunicare più da<br />

separati che non da sposati. Non mi fraintendete, non voglio <strong>di</strong>re che tutte le coppie<br />

separate hanno una coesione educativa maggiore <strong>di</strong> quelle che vivono insieme, però<br />

può capitare, perché molto spesso la coppia che convive o dà per scontato determinati<br />

atteggiamenti o comunque non ha un grado <strong>di</strong> comunicazione molto elevato, e questo<br />

incide nella mancanza <strong>di</strong> una coesione educativa vera e propria. Quin<strong>di</strong> talvolta manca<br />

proprio la volontà <strong>di</strong> ricercare <strong>del</strong>le regole, <strong>di</strong> ricercare <strong>del</strong>le decisioni, <strong>del</strong>le prospettive<br />

migliori <strong>di</strong> crescita, è <strong>di</strong>fficile che i genitori si fermino a riflettere sui propri figli e su<br />

determinate linee <strong>di</strong> condotta che la famiglia può avere.<br />

E’ molto importante stabilire <strong>del</strong>le regole familiari: il termine “regole” <strong>di</strong> per sé implica<br />

qualcosa <strong>di</strong> restrittivo, un <strong>di</strong>vieto, un atteggiamento negativo. In realtà la regola è un<br />

qualcosa <strong>di</strong> estremamente positivo. Se noi pensiamo alla regola evochiamo la<br />

subor<strong>di</strong>nazione, la rigi<strong>di</strong>tà, l’autoritarismo. In realtà la regola educativa è in<strong>di</strong>ce <strong>del</strong>la<br />

capacità dei genitori <strong>di</strong> offrire uno spazio chiaro dentro il quale esercitare azioni <strong>di</strong><br />

libertà. Se noi <strong>di</strong>amo <strong>del</strong>le regole, non <strong>di</strong>amo <strong>del</strong>le restrizioni, <strong>di</strong>amo <strong>del</strong>le possibilità <strong>di</strong><br />

<strong>del</strong>imitare uno spazio entro cui nostro figlio e i genitori stessi possano avere <strong>del</strong>le<br />

azioni <strong>di</strong> libertà, e la libertà <strong>del</strong>la persona è uno dei primi obiettivi se non quello<br />

massimo.<br />

E’ <strong>di</strong>fficile oggi per la coppia genitoriale darsi <strong>del</strong>le regole perché la cultura attuale è<br />

basata sull’assioma che i figli debbano tendere agli or<strong>di</strong>ni dati dai genitori, o comunque<br />

cogliere gli or<strong>di</strong>ni impliciti dei genitori prescindendo dalla chiarezza con cui sono<br />

esplicitati. E’ facile <strong>di</strong>re “il figlio non sta alle regole”, in realtà bisogna anche riflettere su<br />

quanto esplicite sono queste regole? Quanto i genitori sono in grado <strong>di</strong> esplicitare<br />

queste regole familiari? O quanto meno, quanto sono d’accordo entrambi i genitori su<br />

queste regole? Perché molto spesso capita che il figlio passi più ore a scuola… Qui si<br />

innesta il problema <strong>del</strong>la qualità o quantità <strong>del</strong> tempo: non importa la quantità <strong>del</strong><br />

tempo che passiamo coi figli, importa la qualità. Anche se ci sono poche ore è<br />

importante che queste siano de<strong>di</strong>cate al figlio e non siano de<strong>di</strong>cate a qualcos’altro ed il<br />

figlio coabiti solo in quel momento insieme al genitore. Passare le ore col figlio non<br />

significa coabitare nello stesso ambiente ma poi ognuno fa i f<strong>atti</strong> suoi, significa<br />

considerare il figlio, <strong>di</strong>alogare con lui, cercare <strong>di</strong> capire… non mettendosi in un modo<br />

strutturato ”adesso <strong>di</strong>aloghiamo”, ma giocando con lui, chiacchierando con lui <strong>del</strong>la<br />

giornata, facendolo parlare perché è sin da piccoli che si motivano, si stimolano in un<br />

certo senso ad aprirsi, a saper comunicare.<br />

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Quin<strong>di</strong> abbiamo detto la coesione educativa e il darsi <strong>del</strong>le regole familiari. Il terzo<br />

punto è pre<strong>di</strong>sporsi all’ascolto dei figli, e quello che abbiamo detto prima è un po’ un<br />

prelu<strong>di</strong>o a questo. Di fatto dobbiamo evitare <strong>di</strong> voler clonare il proprio figlio da noi<br />

stessi: non è che nostro figlio necessariamente perché è nostro figlio biologicamente<br />

deve avere le nostre aspirazioni, i nostri progetti, il nostro modo <strong>di</strong> vita. Di fatto<br />

sicuramente un figlio vivendo in una famiglia acquisisce le regole familiari, i valori<br />

familiari, però questo figlio è unico e irripetibile, come qualsiasi persona e <strong>di</strong><br />

conseguenza avrà le sue potenzialità che sono <strong>di</strong>verse dalle nostre e dovremo<br />

accettarle. Per cui non dovremo fare su <strong>di</strong> lui un progetto: è quella <strong>di</strong>fferenza tra<br />

bambino reale e bambino immaginario <strong>di</strong> cui parlava prima il Prof. Ravasio. Dovremo<br />

considerare nostro figlio per quello che è in quel momento, e non per quello che<br />

avremmo voluto che fosse.<br />

Per fare tutto ciò si può pensare al <strong>di</strong>scorso formativo dei genitori, ma non<br />

immaginando che i genitori siano costretti tra le mille cose che hanno da fare ad<br />

andare a frequentare un corso o <strong>del</strong>le iniziative costantemente. Sicuramente però<br />

significa che i genitori siano chiamati, e in questo la scuola li può aiutare, a riflettere sul<br />

proprio ruolo, che abbiano occasioni <strong>di</strong> formazione, come quella <strong>di</strong> oggi, che ci siano<br />

dei momenti formativi in cui non c’è il relatore che parla e l’altro che ascolta e assorbe<br />

le in<strong>di</strong>cazioni <strong>del</strong> relatore, perché in questi ambiti purtroppo il relatore non può dare<br />

<strong>del</strong>le regole, può aiutare a riflettere ma non può far altro perché ognuno poi deve<br />

rielaborare questi contenuti e adeguarli al proprio stile <strong>di</strong> vita. Il presupposto formativo<br />

<strong>del</strong>la famiglia è che tutti i genitori, al <strong>di</strong> là <strong>del</strong> proprio status, <strong>del</strong>la loro formazione, <strong>del</strong>le<br />

loro esperienze, siano chiamati a perfezionare costantemente il proprio modo <strong>di</strong> essere<br />

e <strong>di</strong> fare i genitori. Molto spesso si assiste alla situazione in cui a questi percorsi<br />

formativi ci vengono i genitori che sono sereni, che non hanno problemi con i figli o che<br />

comunque ne hanno pochi, mentre proprio quelli che hanno i problemi, che hanno il<br />

figlio che ha qualche <strong>di</strong>sagio, che è <strong>di</strong>sadattato, non rompono il ghiaccio e non<br />

prendono l’iniziativa <strong>di</strong> andare ad un incontro, ad un percorso, non intraprendono un<br />

percorso formativo in questo senso. Dobbiamo pensare ad una formazione dei genitori<br />

che non sia esclusivamente una formazione pensata come qualcosa <strong>di</strong> incanalato in<br />

un’offerta formativa quasi a mo’ <strong>di</strong> scuola. Sicuramente ci sono le cosiddette “scuole<br />

dei genitori”, però dobbiamo anche essere realisti e pensare che non tutti possono<br />

essere assidui frequentatori <strong>di</strong> esse. Quello che si può fare è stimolare al confronto il<br />

genitore creando proprio <strong>del</strong>le occasioni anche minime <strong>di</strong> riflessione che lo aiutino e lo<br />

incoraggino anche, perché molto spesso il genitore è scoraggiato. Se il figlio non<br />

ascolta, inf<strong>atti</strong>, il genitore si scoraggia e non è che accetta <strong>di</strong> parlare <strong>del</strong> proprio<br />

problema con gli altri. In questo legame <strong>di</strong> mutuo aiuto che si può instaurare tra le varie<br />

coppie genitoriali ci può essere la risorsa per tutti, per i genitori e per il figlio che si trova<br />

ad avere dei genitori più sicuri, più autorevoli con la loro presenza.<br />

Mi piace pensare a quello che una anonimo ha scritto in merito a questo: “I genitori<br />

dovrebbero trasmettere ai figli le ra<strong>di</strong>ci e le ali”. Le ra<strong>di</strong>ci nel senso <strong>del</strong>la robustezza, la<br />

storia, l’origine <strong>di</strong> questa famiglia, <strong>di</strong> fatto i valori forti che animano la famiglia; al tempo<br />

22


stesso le ali, cioè rendere il figlio autonomo, libero, un in<strong>di</strong>viduo, una persona<br />

consapevole, autonoma e responsabile, quell’adulto autonomo e responsabile cui si<br />

accennava prima.<br />

Non è una cosa facile, è <strong>di</strong>fficile o per lo meno faticoso, però sicuramente questa può<br />

essere la nostra risorsa <strong>di</strong> oggi nei confronti <strong>del</strong>la famiglia per evitare <strong>di</strong> sentirci <strong>di</strong>re i<br />

soliti luoghi comuni. “La famiglia è in crisi”. “La famiglia non c’è più”... Sicuramente ci<br />

sono molteplici forme familiari, molteplici contesti e problematiche che vanno anche al<br />

<strong>di</strong> là <strong>del</strong>la coppia genitoriale in sé, però bisogna aiutare creando occasioni formative<br />

per la coppia, occasioni che possano dare uno slancio a questa coppia per migliorarsi<br />

e per migliorare il proprio figlio.<br />

SANDRO SANNA<br />

Grazie alla prof.ssa Zanfroni per questa dotta relazione che ancora una volta si pone<br />

sul piano <strong>del</strong>la comunicazione. Interessante anche l’idea <strong>del</strong> progetto da con<strong>di</strong>videre: i<br />

genitori progettisti, che però, per poter essere tali, devono essere preparati. Ciò<br />

significa sia che la “scuola genitori” o occasioni come quelle <strong>di</strong> oggi possono essere<br />

utili per prepararsi, sia che spesso abbiamo bisogno <strong>di</strong> suggerimenti che possano<br />

essere sperimentati nella quoti<strong>di</strong>anità da tutti noi, in famiglia, a scuola o in altri ambiti <strong>di</strong><br />

lavoro educativo.<br />

Diamo ora spazio al dott. Fabrizio Fantoni, sempre <strong>del</strong> Centro <strong>di</strong> Psicologa Clinica ed<br />

Educativa <strong>di</strong> Milano, psicologo e psicoterapeuta, che ci parlerà <strong>del</strong>l’esperienza sociale<br />

<strong>del</strong>l’adolescente tra scuola ed extrascuola.<br />

DOTT. FABRIZIO FANTONI<br />

Ecco qui sul video un gruppo allegro <strong>di</strong> adolescenti che ci accoglie in questa nostra<br />

riflessione sullo stare insieme. Se fate caso, siamo spesso più noi adulti, o magari gli<br />

anziani, che lamentano una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> sofferenza per la solitu<strong>di</strong>ne, a<br />

volte reale, nel senso che veramente sono persone le cui con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita sono <strong>di</strong><br />

carenza <strong>di</strong> rapporti con gli altri e <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, a volte un po’ esibita. Non troverete mai<br />

un adolescente che vi <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> non avere nessun amico, anche quando ci sono<br />

adolescenti che non hanno amici, anche quando ci sono adolescenti che fanno fatica a<br />

costruire <strong>del</strong>le relazioni. Per tutti però è importante poter almeno esibire all’occhio<br />

<strong>del</strong>l’adulto la presenza <strong>di</strong> un amico. Poi si va a parlare con i genitori, con gli insegnanti<br />

e ci si accorge che effettivamente sono ragazzi con <strong>di</strong>fficoltà relazionali magari anche<br />

grosse, però nessun adolescente può permettersi <strong>di</strong> essere così povero. Ci saranno<br />

adolescenti che vi confesseranno con rammarico e magari anche con sofferenza <strong>di</strong> non<br />

sentirsi intelligenti, belli, attraenti, capaci sul piano sportivo, ma nessuno vi <strong>di</strong>rà <strong>di</strong><br />

essere proprio senza nessun amico.<br />

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Qualche settimana fa viene da me una mamma che mi <strong>di</strong>ce: “Ho trovato questo scritto<br />

sul desktop <strong>del</strong> computer. Mi preoccupo oppure no?”. Si tratta <strong>di</strong> pensieri <strong>di</strong> un<br />

adolescente, tre corposi paragrafi; quello <strong>di</strong> mezzo <strong>di</strong>ce così: “La mia vita la vivo io.<br />

Perché ho bisogno degli altri? Mi sento ipocrita a <strong>di</strong>re che io non ne ho bisogno, e<br />

vorrei che fosse così, e in effetti in alcuni momenti è così, ma poi mi ricordo <strong>di</strong> quanto<br />

mi <strong>di</strong>verto quando sto con loro. Mi rendo conto che ho quasi tre<strong>di</strong>ci anni e non ho un<br />

amico vero su cui poter contare, e mi rendo anche conto che ne ho bisogno. Ma perché<br />

devo essere così arrabbiato? Perché la serenità si trova solo dopo ogni momento <strong>di</strong><br />

rabbia? O<strong>di</strong>o dover ammettere <strong>di</strong> aver bisogno <strong>di</strong> un amico. Può darsi che mio cugino,<br />

plagiandomi, facendomi da guida, da maestro e amico, così come anche da <strong>di</strong>ttatore,<br />

sfruttatore e nemico, mi abbia fatto sorgere un o<strong>di</strong>o per la vita, una tale avversione per<br />

la felicità convenzionale che non riesco a trovare la mia. Ma <strong>di</strong>cendo così addosserei<br />

tutte le colpe su <strong>di</strong> lui e mi sentirei falsamente a posto con la coscienza. Invece so che<br />

è colpa mia se non sono stato capace <strong>di</strong> capire cosa è giusto e cosa non lo è per me.<br />

Devo vivere per forza?”. Un ragazzo <strong>di</strong> tre<strong>di</strong>ci anni con una profon<strong>di</strong>tà e una acutezza<br />

<strong>di</strong> auto-analisi davvero invi<strong>di</strong>abile. La mamma si preoccupa, ma non c’è troppo da<br />

preoccuparsi finché pensa, finché scrive, finché <strong>di</strong>ce le cose.<br />

Mi sembra che questo paragrafo in particolare esprima bene la con<strong>di</strong>zione degli<br />

adolescenti attr<strong>atti</strong> irrime<strong>di</strong>abilmente dall’orbita degli amici, ma contemporaneamente<br />

anche in tensione con loro, nel bisogno <strong>di</strong> dover vivere da soli e <strong>di</strong> sentire <strong>di</strong> poter far<br />

conto solo sulle proprie forze. Che è un po’ una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> oscillazione (negli<br />

adolescenti molto ampia) che forse viviamo un pochino tutti. Io credo che le persone si<br />

collochino su <strong>di</strong> un continuum che va da coloro che, come <strong>di</strong>ceva Sartre, pensano che<br />

gli altri siano l’inferno, a quelli che invece ritengono che solo attraverso gli altri si possa<br />

vivere: “Invano bagni il tuo viso in te stesso perché potrai specchiarlo soltanto in<br />

un’altra persona” <strong>di</strong>ceva un poeta ungherese. In questa oscillazione continua gli<br />

adolescenti si trovano alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo se stesso. La con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>del</strong>l’adolescente è quella <strong>di</strong> uno che deve nascere la seconda volta. La prima volta si<br />

nasce in senso anche fisico-organico alla vita e a una vita <strong>di</strong> famiglia, <strong>di</strong> relazione,<br />

all’interno <strong>di</strong> un gruppo ristretto, dove l’appartenenza è quella al nucleo familiare;<br />

l’adolescente nasce a una nuova appartenenza, quella <strong>del</strong> gruppo degli altri, <strong>del</strong><br />

mondo.<br />

Attraverso gli altri gli adolescenti sentono che possono <strong>di</strong>ventare se stessi, per questo<br />

nessuno vi <strong>di</strong>rà mai <strong>di</strong> essere completamente solo, perché sente che questo rischia <strong>di</strong><br />

essere uno scacco a questo percorso <strong>di</strong> crescita che ha iniziato e dal quale non si può<br />

recedere. Però con queste contrad<strong>di</strong>zioni: l’identità <strong>di</strong> contro all’alterità, il<br />

riconoscimento cioè <strong>del</strong>l’altro e che l’altro mi interessa. Pensiamo a quella spinta verso<br />

l’alterità che è la sessualità, che l’adolescente vive e sperimenta dentro <strong>di</strong> sé, che è<br />

proprio la ricerca <strong>di</strong> qualcuno che sia “altro” da me. Rispetto invece ad un movimento<br />

più centripeto <strong>di</strong> ritorno sui <strong>di</strong> sé, <strong>di</strong> definizione <strong>di</strong> un’identità propria, con una<br />

appartenenza anche molto netta, molto precisa. Il gruppo <strong>di</strong> appartenenza <strong>di</strong>venta<br />

importantissimo: devo con<strong>di</strong>videre l’abbigliamento, gli usi e i costumi, il linguaggio, i<br />

24


gesti, e quello è il mio gruppo. E’ il gruppo <strong>del</strong> quartiere, il gruppo <strong>del</strong>la classe, e questo<br />

gruppo deve essere un gruppo molto forte, molto intenso.<br />

Dunque l’adolescente vive questa duplice <strong>di</strong>mensione: da un lato il bisogno <strong>di</strong><br />

appartenenza, dall’altro il bisogno in certi momenti <strong>di</strong> ritornare verso l’in<strong>di</strong>vidualità, <strong>di</strong><br />

richiudersi in se stessi (“Non si fa più vedere, non si fa più sentire… Mando messaggi e<br />

questo non mi risponde… Che cosa è successo?”).<br />

Il conformismo, la necessità <strong>di</strong> adottare mode uguali per tutti (stesse scarpe, stessi<br />

jeans…) e <strong>di</strong> contro il bisogno <strong>di</strong> sentirsi <strong>di</strong>verso dagli altri: capite che è una bella<br />

quadratura <strong>del</strong> cerchio quella che l’adolescente si trova a dover affrontare!<br />

Gli altri servono perché sono lo specchio: guardando quello che fanno gli altri, capisco<br />

meglio quello che faccio io; le reazioni degli altri mi <strong>di</strong>cono chi sono. Se gli altri mi<br />

trovano simpatico o se gli altri mi definiscono come un imbranato, questo incide<br />

fortemente sulla definizione <strong>del</strong>la mia identità. Quin<strong>di</strong> gli altri sono un supporto<br />

all’identità che si va costruendo e <strong>di</strong>ventano un supporto necessario; ma gli altri sono<br />

anche una palestra dove io posso affermare me stesso. All’interno <strong>del</strong> gruppo faccio<br />

esperimenti: vedo qual è l’identità all’interno <strong>del</strong>la quale posso trovarmi meglio; provo a<br />

fare il leader, provo a fare il gregario; provo a fare il simpaticone, provo a fare il<br />

pensatore e il filosofo. Volta per volta tento <strong>di</strong> assumere maschere <strong>di</strong>verse in modo da<br />

capire qual è quella più confacente a me.<br />

Dunque il problema centrale, quando paliamo <strong>del</strong> gruppo, è il problema <strong>del</strong>l’identità.<br />

Dove c’è l’identità <strong>del</strong>l’in<strong>di</strong>viduo e dove questa identità si scioglie nell’identità <strong>del</strong><br />

gruppo.<br />

“Non sono più un bambino… non sono ancora un adulto”, ci <strong>di</strong>ce l’adolescente<br />

(l’abbiamo sentito anche prima), “che cosa sono, non lo so bene!”.<br />

La prima domanda che l’adolescente rivolge all’adulto è: “Chi sono?”. Ed è la domanda<br />

cruciale, fondamentale. Questo “Chi sono?” lo possiamo articolare in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi:<br />

- Ci sono? Il mio è un esserci nel mondo, con questo corpo, che viene<br />

riconosciuto dagli altri, apprezzato, stimato, deriso, che io esibisco o infagotto in<br />

abiti che non consentano <strong>di</strong> vedere le forme e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare il sesso <strong>di</strong><br />

appartenenza.<br />

- Come sono? Come gli altri mi vedono? Chi sono questi altri per me? I genitori, i<br />

compagni <strong>di</strong> classe, gli amici <strong>del</strong> campo sportivo, quelli <strong>del</strong>l’oratorio… Un<br />

elemento che <strong>di</strong>stingue fortemente la ricerca <strong>di</strong> identità degli adolescenti <strong>di</strong> oggi<br />

rispetto alla nostra sta probabilmente nella risposta a questa domanda: Chi sono<br />

gli altri? Noi abbiamo in mente nella costruzione <strong>del</strong>l’identità un percorso<br />

piuttosto lineare, in cui si assumono una serie <strong>di</strong> comportamenti coerenti perché<br />

una persona si identifichi. Fino a non tanti anni fa l’identità era caratterizzata da<br />

comportamenti incontrovertibili: chi andava all’oratorio aveva un’identità, chi<br />

magari invece si trovava sul muretto ne aveva un’altra. Ad esempio l’identità<br />

cattolica o l’identità comunista erano ben definite e implicavano un decalogo<br />

abbastanza chiaro <strong>di</strong> norme <strong>di</strong> comportamento da assumere. Oggi invece<br />

l’adolescente sta dentro all’oratorio, ma sta contemporaneamente anche fuori;<br />

25


frequenta gruppi molto <strong>di</strong>versi tra loro; ha co<strong>di</strong>ci morali <strong>di</strong>fferenziati. Il problema<br />

<strong>del</strong>l’adolescente è quello <strong>di</strong> tenere insieme tutte queste appartenenze, non <strong>di</strong><br />

costruire un percorso definito, ma unico verso la propria identità. Al contrario ha<br />

il bisogno <strong>di</strong> sperimentarsi e <strong>di</strong> fare un lavoro <strong>di</strong> regia. Ed è questo che gli<br />

adolescenti ci chiedono <strong>di</strong> aiutarli a fare: la possibilità <strong>di</strong> vedere a che con<strong>di</strong>zioni<br />

è possibile tenere insieme le cose (andare a scuola, giocare a calcio, fare il<br />

teatro e uscire con gli amici) e mantenere questa situazione <strong>di</strong><br />

pluriappartenenza nella quale l’adolescente fa fatica a tenere in mano la regia.<br />

- Che cosa so fare?<br />

- Per chi sono? In vista <strong>di</strong> che cosa? In vista <strong>di</strong> quale progetto? In vista <strong>del</strong>la<br />

costruzione <strong>di</strong> quale “io” adulto?<br />

I luoghi <strong>di</strong> questo percorso con gli altri sono la scuola e l’extrascuola. La scuola<br />

dovrebbe abilitare a tre tipi <strong>di</strong> conoscenze. In realtà io credo che coltivi abbastanza<br />

bene il primo tipo, un po’ il secondo e non tanto il terzo. Il primo tipo <strong>di</strong> conoscenze<br />

sono i saperi <strong>di</strong>sciplinari: le materie, i contenuti e i meto<strong>di</strong>. Il secondo è il sapere<br />

sociale: lo stare con gli altri, il conoscere che quando si vive con gli altri ci sono<br />

determinate norme, co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> comportamento che vanno chiariti. C’è poi un sapere su <strong>di</strong><br />

sé, un dare risposte a quel “Chi sono io?” sul quale la scuola forse tiene poco acceso il<br />

riflettore, non stimola adeguatamente gli adolescenti.<br />

Di questi tre saperi, il sapere sociale è quello che riguarda gli altri. Perché si va a<br />

scuola? Se lo chie<strong>di</strong>amo agli studenti essi ci risponderanno un po’ perché devono e un<br />

po’ perché se alle <strong>di</strong>eci <strong>del</strong> m<strong>atti</strong>no vanno in piazza non trovano nessuno; se vanno<br />

all’Istituto invece trovano tutti.<br />

La scuola è una grande piazza dove è possibile coltivare relazioni. E’ il posto dove si<br />

imparano anche i co<strong>di</strong>ci comuni, ad esempio le mode. E’ il posto dove gli adulti si<br />

illudono un po’ <strong>di</strong> valutare gli adolescenti, ma dove molto spesso invece gli adulti sono<br />

quelli sotto esame. La scuola è un luogo <strong>di</strong> contatto tra gli adolescenti e gli adulti<br />

particolarmente fecondo perché il gruppo degli adolescenti tiene costantemente<br />

d’occhio l’adulto. Ogni riunione <strong>di</strong> ex allievi parte e finisce con il ricordo, e spesso la<br />

presa in giro, dei docenti, anche quando oramai sono passati venti, trenta o<br />

quarant’anni dall’esame <strong>di</strong> stato. Perché quello è il lavoro che l’adolescente fa a scuola:<br />

va a vedere se c’è qualche adulto interessante o se ci sono degli adulti un po’ palli<strong>di</strong>;<br />

se c’è gente che è appassionata, se c’è gente che sa riconoscere nell’u<strong>di</strong>torio il<br />

momento <strong>di</strong> lavoro e il momento <strong>di</strong> stanchezza; se c’è gente che è in grado <strong>di</strong> reggere<br />

le continue e massicce proiezioni <strong>di</strong> emozioni che gli adolescenti fanno sugli<br />

insegnanti.<br />

Ricordate il film “Caterina va in città”? Ad un certo punto c’è un insegnante che deve<br />

salutare la sua classe <strong>di</strong> allievi <strong>di</strong> scuola superiore e incomincia a parlare. Dice <strong>del</strong>le<br />

cose pesantissime nei confronti degli allievi (“Siete l’esperienza peggiore che mi sia<br />

mai capitata”. “Sono contento <strong>di</strong> andarmene”…): questi lo guardano con in<strong>di</strong>fferenza;<br />

mentre sta parlando suona la campana e gli studenti se ne vanno via. L’insegnante,<br />

26


tutto pieno com’è <strong>del</strong>le sue emozioni e dei suoi affetti, fa fatica a riconoscere gli affetti e<br />

le emozioni <strong>di</strong> questi ragazzi.<br />

Allora, gli adulti sono sotto esame e costantemente vengono giu<strong>di</strong>cati. Solo chi è in<br />

grado <strong>di</strong> suscitare emozioni è quello che rimane.<br />

La scuola è il luogo <strong>del</strong>le avventure <strong>del</strong> pensiero; è il luogo dove bisogna pensare e<br />

questa per gli adolescenti è una fatica gran<strong>di</strong>ssima. Non si può che pensare <strong>di</strong> farla<br />

con gli altri. Il pensare per dei ragazzi che, per la loro con<strong>di</strong>zione personale, hanno già<br />

la mente sotto pressione (un ragazzino <strong>di</strong> terza me<strong>di</strong>a una volta mi <strong>di</strong>sse: “Io, sì, vado a<br />

scuola. Ma lo sa che la mia testa è un flipper?) è molto faticoso. Allora qualche volta,<br />

per semplificare, staccano la spina, entrano nel vuoto totale, ci guardano con aria<br />

“allocchita”, non sanno più nemmeno quanto fa tre per quattro… Ad un certo punto poi<br />

“resettano” e ripartono.<br />

Però certamente la scuola è il luogo <strong>del</strong>l’avventura <strong>del</strong> pensiero e questa è una fatica<br />

che non si può che con<strong>di</strong>videre, tant’è vero che il problema è meno forte quando i<br />

ragazzi sono a scuola e più evidente quando devono stu<strong>di</strong>are a casa, dove non c’è il<br />

contesto <strong>del</strong>la scuola dove si riesce un po’ <strong>di</strong> più a pensare; a casa ci sono tanti<br />

<strong>di</strong>strattori, non c’è l’insegnante che comunque è un facilitatore <strong>del</strong>l’appren<strong>di</strong>mento, non<br />

ci sono i coetanei… Allora al pomeriggio ci si mette a stu<strong>di</strong>are e si tiene acceso il<br />

cellulare, ci si manda messaggi, ci si telefona, si chatta e via <strong>di</strong> seguito, perché stare<br />

da soli <strong>di</strong> fronte a un impegno mentale per molti adolescenti (non per tutti) è una fatica<br />

improba. I coetanei sono quei compagni <strong>di</strong> viaggio con cui ci si può consolare <strong>del</strong>le<br />

pene e <strong>del</strong>le sofferenze <strong>del</strong>l’imparare.<br />

Abbiamo visto la scuola e i compiti che il ragazzo affronta nella scuola. Fuori da scuola<br />

che cosa succede? Ci sono i gruppi. La grande <strong>di</strong>stinzione è tra i gruppi formali e i<br />

gruppi spontanei.<br />

I gruppi formali sono quelli che si caratterizzano per la con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> <strong>atti</strong>vità <strong>di</strong> vario<br />

genere (società sportiva, oratorio, gruppo scout…). Sono gruppi ai quali spesso i<br />

genitori spingono i ragazzi a partecipare: “Vai all’oratorio… Vai a giocare a basket…<br />

Invece <strong>di</strong> stare in giro o in casa tutto il giorno davanti al computer”. E questo <strong>di</strong>venta<br />

per i ragazzi anche un elemento <strong>di</strong> conflitto: “I miei vogliono che io vada lì, ma io non<br />

ne ho tanta voglia!”. E allora ci sono i genitori che vanno a vedere dove si trovano i<br />

figli…<br />

Sono comunque gruppi che propongono un’adesione a valori che sono già stabiliti in<br />

partenza, valori che non nascono all’interno <strong>del</strong> gruppo, ma che sono formalizzati da<br />

altri. Sono associazioni <strong>di</strong> vario genere, associazioni <strong>di</strong> impegno, associazioni <strong>di</strong><br />

fruizione culturale, ricreativa, sportiva…<br />

I gruppi formali sono importanti nei processi <strong>di</strong> socializzazione; hanno un valore<br />

specifico. Inf<strong>atti</strong>, innanzi tutto, mettono in contatto con <strong>del</strong>le proposte <strong>di</strong> valore e <strong>di</strong><br />

impegno continuativo, che consentono agli adolescenti <strong>di</strong> mettere alla prova, in un<br />

ambiente che non è la famiglia, i loro aspetti più adulti: l’affidabilità, la serietà,<br />

l’assunzione <strong>di</strong> un impegno, la continuità… (tutti aspetti che poi i ragazzi ritroveranno<br />

27


quando, ad esempio, dovranno affrontare il mondo <strong>del</strong> lavoro). Aiutano i ragazzi a<br />

sviluppare un immagine <strong>di</strong> sé un po’ meno legata al proprio piacere, a quello che<br />

voglio. E quello <strong>del</strong> problema <strong>del</strong> controllo e <strong>del</strong> contenimento <strong>del</strong>la <strong>di</strong>mensione <strong>del</strong><br />

piacere (“Mi piaceva e l’ho fatto!) sappiamo che è un problema non solo degli<br />

adolescenti. Io resto sempre molto colpito dalle persone che, senza particolari problemi<br />

<strong>di</strong> salute, bevono acqua in continuazione, magari anche mentre ascoltano una persona<br />

che parla. Mi fa sempre pensare che probabilmente c’è un bisogno <strong>di</strong>fficilmente<br />

controllabile, <strong>di</strong>fficilmente rinviabile. E la giustificazione <strong>del</strong> comportamento è ovvia:<br />

“Bevo perché ho sete!”. In realtà mi sembra che anche per noi adulti il problema a volte<br />

sia quello <strong>di</strong> rinviare alcune gratificazioni imme<strong>di</strong>ate. Allora un’immagine <strong>di</strong> sé un po’<br />

meno autoreferenziale sul proprio piacere, sul proprio “Ne avevo voglia”, viene favorita<br />

dalla permanenza in questi gruppi.<br />

I gruppi formali sono, inoltre, un’occasione preziosa <strong>di</strong> contatto più libero rispetto al<br />

contatto formalizzato che si ha con i genitori e con gli insegnanti. Permettono <strong>di</strong><br />

sviluppare l’educazione civica, ma in modo in<strong>di</strong>retto, non attraverso i libri.<br />

I gruppi formali, però, nel corso <strong>del</strong>la crescita, subiscono un progressivo <strong>di</strong>simpegno,<br />

un calo <strong>di</strong> adesione, perché il problema <strong>di</strong>venta quello <strong>del</strong>le multiappartenenze. Ci sono<br />

degli ambiti che vengono sentiti dal gruppo degli adolescenti come più vitali, perché più<br />

legati all’autorealizzazione. “Ho voglia <strong>di</strong> andare in un posto dove non c’è un adulto, un<br />

educatore che mi <strong>di</strong>ce che cosa devo o non devo fare, posso andarci come e quando<br />

voglio!”. E allora c’è un conflitto tra quello che il gruppo propone e quello che i ragazzi<br />

vivono. Il gruppo formale può subire un <strong>di</strong>simpegno anche per <strong>del</strong>le cause più <strong>di</strong> tipo<br />

relazionale: ad esempio si incrina un legame (“Non c’è più l’allenatore <strong>del</strong>l’anno scorso<br />

e quest’anno non mi trovo” oppure un gruppetto che se ne esce dal gruppo grande e<br />

porta una <strong>di</strong>sgregazione interna).<br />

Accanto a questi poi ci sono i gruppi spontanei, che subito <strong>atti</strong>vano nei genitori una<br />

serie <strong>di</strong> domande: “Con chi esci?”. “A che ora torni?”. Un po’ come se i genitori<br />

percepissero la rischiosità <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione come quella <strong>del</strong> gruppo spontaneo. E in<br />

che cosa consiste questa rischiosità? Nel fatto che è il gruppo degli amici, soggetti più<br />

o meno coetanei, nei quali i genitori vedono (certamente meno <strong>di</strong> un tempo) come degli<br />

avversari, perché offrono un’appartenenza che riduce molto quella <strong>del</strong>la famiglia. Oggi,<br />

più <strong>di</strong> un tempo, i genitori cercano <strong>di</strong> coinvolgere: “Portali a casa. Venite qui… Ti lascio<br />

la casa… Vieni pure con i tuoi amici”. C’è l’idea che comunque il gruppo degli amici<br />

possa essere ricondotto a un controllo.<br />

La domanda “A che ora ritorni?” non si aspetta solo una risposta <strong>di</strong> tipo concreto (che<br />

poi avvia un negoziato faticosissimo), ma prima <strong>di</strong> tutto è un po’ la domanda: “Ma tu sai<br />

che noi vogliamo che tu torni in casa? Sai che vogliamo che tu resti ancora all’interno<br />

<strong>di</strong> questo nucleo?”. Gli adolescenti lo sanno benissimo (perché non escono dal nucleo<br />

né a quin<strong>di</strong>ci, né a venti, né a venticinque, né a trenta, né…).<br />

Che caratteristiche ha il gruppo degli amici?<br />

28


Nasce spesso per cooptazione dei membri. Non c’è una domanda; c’è una chiamata:<br />

vieni tu perché sei in gamba, tu perché sei simpatico… oppure ti presenta l’amico<br />

<strong>del</strong>l’amico. C’è un po’ questo giro, costruito sulla base <strong>di</strong> sentimenti molto precisi anche<br />

se sottili <strong>di</strong> risonanza ed empatia. Il legame è <strong>di</strong>fficilmente detto; è molto vissuto. Del<br />

resto bisogna far passare un po’ <strong>di</strong> tempo per parlare degli amici. Parliamo noi dei<br />

nostri amici, ricor<strong>di</strong>amo noi i nostri amici; magari ne parliamo ai figli. Difficilmente i figli<br />

parlano degli amici e riescono a spiegare perché uscire con quel gruppo lì anziché con<br />

l’altro è meglio. Lo sanno punto e basta, ma non riescono a dare una spiegazione. Nel<br />

gruppo si parla poco, ma si agisce molto. Ci sono canali <strong>di</strong> comunicazione visiva e<br />

corporea. Il progetto <strong>del</strong> gruppo è uno solo: star bene insieme. E’ un progetto che porta<br />

a una fruizione imme<strong>di</strong>ata, tant’è vero che ci sono <strong>del</strong>le regole che non sono scritte<br />

(dove ci si trova; a che ora; quanto bisogna essere leali) e il leader è colui o colei che<br />

riesce a prendere <strong>del</strong>le decisioni che sono sempre funzionali allo star bene insieme.<br />

Se chiedete ai vostri figli o allievi che caratteristiche ha un amico vi <strong>di</strong>rà che è<br />

simpatico. La parola simpatia è da prendere nel senso etimologico <strong>del</strong> termine: è la<br />

possibilità <strong>di</strong> sentire le cose in comune, <strong>di</strong> intendersi senza bisogno <strong>di</strong> troppe parole.<br />

L’amico è uno strumento prezioso per gli adolescenti, perché è quello che gli consente<br />

<strong>di</strong> affrontare tutte quelle cose che sono <strong>di</strong>fficili da pensare. “Mio padre è un brav’uomo<br />

o un <strong>di</strong>sgraziato che mi martella?”. “Mia madre è una che mi fa fare le cose o è un<br />

ostacolo?”. “Pensi che quel ragazzo mi possa accettare come amico oppure no?”.<br />

Sono questi i pensieri <strong>di</strong>fficili che i ragazzi da soli non riescono a fare e hanno bisogno<br />

<strong>del</strong>l’amico. L’amico è la mente <strong>di</strong> supporto, prima ancora che il complice. L’adolescente<br />

gironzola per casa, apre il libro, poi il frigorifero, poi accende la Tv… e si trova alla<br />

mercé <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> pensieri… improvvisamente suona il citofono: bisogna<br />

rimboccarsi le maniche, bisogna andare, bisogna fare. Lì si comincia a costruire il<br />

pensiero, perché se si sta in casa si ha l’impressione <strong>di</strong> girare a vuoto. E i genitori<br />

questa cosa un po’ la capiscono tanto è vero che sono un po’ gli sponsor <strong>del</strong>le amicizie<br />

dei figli.<br />

Gli amici sono un supporto alla fragilità narcisistica <strong>del</strong>l’adolescente. Gli adolescenti<br />

che si trovano in sede <strong>di</strong> psicoterapia oggi sono soprattutto gli adolescenti la cui<br />

principale <strong>di</strong>fficoltà è quella <strong>di</strong> riempire con qualcosa <strong>di</strong> buono questo senso <strong>di</strong> identità<br />

in costruzione. Sono ragazzi che hanno un’immagine <strong>di</strong> sé fortemente deteriorata.<br />

Sono ragazzi che hanno costruito gran<strong>di</strong> ideali <strong>di</strong> sé, che naturalmente non sono<br />

raggiungibili e quin<strong>di</strong> una persona si sente una schifezza; oppure sono ragazzi pieni <strong>di</strong><br />

vergogna (non <strong>di</strong> colpa, inf<strong>atti</strong> quello che fanno continuano a farlo, sono ben convinti,<br />

non c’è la voglia <strong>di</strong> cambiare) perché pensano che gli altri li giu<strong>di</strong>chino male e<br />

proiettano sugli altri un’immagine molto negativa <strong>di</strong> sé.<br />

Gli amici prendono così come si è, non chiedono un’efficienza particolare. Sono un<br />

antidoto alle paure degli adolescenti. Le amicizie durano se non costano più <strong>di</strong> quello<br />

che offrono, perché c’è una componente strumentale nell’amicizia adolescenziale (“Si<br />

sta insieme finché io ti servo e tu mi servi per quel lavoro lì <strong>di</strong> pensiero”). Poi ad un<br />

certo punto non ci si frequenta più, senza bisogno <strong>di</strong> litigare.<br />

29


Cosa fanno gli adulti?<br />

Se un tempo si opponevano agli amici <strong>del</strong> figlio, adesso cercano <strong>di</strong> inglobarli in<br />

famiglia, perché c’è il grande timore nei confronti <strong>del</strong> <strong>di</strong>stacco. E questa è<br />

probabilmente la grande mal<strong>atti</strong>a <strong>di</strong> oggi: la <strong>di</strong>fficoltà anche da parte <strong>di</strong> molti genitori <strong>di</strong><br />

sentire che i figli possono camminare con le loro gambe e andare in giro per il mondo.<br />

C’è poi un altro timore, che è anche oggettivo: il timore <strong>del</strong>le c<strong>atti</strong>ve compagnie. Senza<br />

pensare alle compagnie pre<strong>del</strong>inquenziali o francamente <strong>del</strong>inquenziali, la c<strong>atti</strong>va<br />

compagnia è soprattutto il gruppo chiuso, il gruppo asfittico, il gruppo dove quello che<br />

viene sostenuto è soprattutto il conformismo (tutti devono fare questa cosa), il gruppo<br />

che sostiene il gregarismo, il gruppo che facilità l’assunzione <strong>di</strong> comportamenti<br />

devianti, pericolosi, antisociali, violenti, l’uso <strong>di</strong> sostanze, ecc.<br />

Che cosa fare?<br />

Sicuramente definire <strong>del</strong>le regole e definire dei limiti. Prima abbiamo sentito parlare <strong>di</strong><br />

genitori che si comportano come i figli, abbiamo sentito parlare <strong>di</strong> confusione <strong>di</strong> funzioni<br />

e <strong>di</strong> ruoli… Dobbiamo imparare a riconoscere i limiti, imparare a chiudere le porte,<br />

imparare a ridefinire se stessi come adulti e riconoscere che l’altro è un bambino o un<br />

adolescente.<br />

Dobbiamo riconoscere che ci sono percorsi complessi <strong>di</strong> costruzione per giungere<br />

all’identità. Dobbiamo riconoscere che i percorsi lineari <strong>del</strong>l’appartenenza unica oggi<br />

non funzionano più tanto e quin<strong>di</strong> fornire un aiuto ai ragazzi perché ci sia una buona<br />

regia <strong>di</strong> tutte le esperienze che vivono. Non una rinuncia <strong>di</strong> una per l’altra, ma la<br />

definizione per ciascuna <strong>di</strong> tempi e mo<strong>di</strong>.<br />

Dobbiamo mantenere aperta la comunicazione, sapendo che è una comunicazione<br />

fragile, incerta, labile, paradossalmente spesso silenziosa. Costruire dei luoghi <strong>di</strong><br />

parole per i ragazzi oggi <strong>di</strong>venta particolarmente importante, anche perché ci troviamo<br />

<strong>di</strong> fronte a ragazzi (e questo è un dato preoccupante) che hanno un patrimonio<br />

linguistico più ridotto rispetto ai loro coetanei <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci – venti anni fa. Questo è un<br />

problema, perché non conoscere le parole, vuol <strong>di</strong>re non conoscere la realtà. Costruire<br />

dei luoghi <strong>di</strong> parole vuol <strong>di</strong>re fare questo sforzo continuo <strong>di</strong> provare a nominare le cose,<br />

lanciando messaggi: “Ma forse mi vuoi <strong>di</strong>re questa cosa qua… Io non lo so… Ti vedo<br />

così… Per me mi stai <strong>di</strong>cendo questo…”. Provo a nominare gli stati emotivi, gli stati<br />

affettivi, in termini <strong>di</strong> proposta. Riuscire a costruire questi luoghi <strong>di</strong> parole che<br />

riguardano le emozioni, i desideri, le paure... è il grande compito che noi adulti<br />

abbiamo, anche perché c’è la necessità <strong>di</strong> poter costruire dei sensi comuni. Ciascuno<br />

<strong>di</strong> noi le cose che fa, le fa attribuendo significati <strong>di</strong>versi; quello che probabilmente sta al<br />

fondo <strong>del</strong>l’educazione è una proposta <strong>di</strong> significato. Ogni genitore, ogni insegnante,<br />

ogni educatore arriva ad un certo punto ad aver capito una o due cose nella vita: le<br />

propone ai figli o agli educan<strong>di</strong> o agli allievi. Poi saranno loro ad accettare o no, perché<br />

l’educazione si fonda sulla libertà <strong>del</strong>le persone, è un esercizio <strong>di</strong> libertà. L’abbiamo<br />

30


fatto noi con i nostri genitori <strong>di</strong> accettare <strong>del</strong>le proposte e <strong>di</strong> rifiutarne <strong>del</strong>le altre, magari<br />

<strong>di</strong> scoprirle a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> molti anni. La stessa cosa la facciamo con i figli: è molto più<br />

importante trovare i mo<strong>di</strong> e i linguaggi per fare <strong>del</strong>le proposte <strong>di</strong> significato che non<br />

soltanto parlare <strong>del</strong>le cose. Gli adulti sono preoccupati, ad esempio, <strong>del</strong>la sessualità<br />

degli adolescenti, ma finiscono per ridurre la sessualità a un problema <strong>di</strong><br />

comportamenti, mentre fanno fatica (anche perché si ha un po’ paura) a intavolare con<br />

i ragazzi una <strong>di</strong>scussione sul tema <strong>del</strong> piacere o <strong>del</strong>la creatività o <strong>del</strong>la generazione.<br />

Però è lì che si definisce autenticamente la proposta educativa, molto più che in tante<br />

altre parole accessorie, funzionali. Spesso in casa la comunicazione è funzionale (“Che<br />

cosa hai fatto?”. “A che ora?”…) o è <strong>di</strong> monologo. Poter correre insieme, anche se<br />

questo qualche volta ci provoca il fiatone perché i figli adolescenti molte volte corrono<br />

davanti a noi, è il lavoro più complesso che però ci tocca fare.<br />

SANDRO SANNA<br />

Grazie al dott. Fantoni per questa arricchente relazione, che ci ha parlato<br />

<strong>del</strong>l’adolescente nella scuola, nella famiglia e nell’extrascuola. Ci ha dato <strong>di</strong>versi<br />

suggerimenti su come fare ad aiutare gli adolescenti a crescere, interrogandoci in<br />

prima persona sui nostri comportamenti, sui nostri pensieri e sulle nostre paure.<br />

Apriamo ora lo spazio per gli interventi.<br />

Primo intervento<br />

Vorrei porre una domanda al prof. Ravasio. La mia domanda nasce da una<br />

considerazione e cioè che a volte le linee educative che gli educatori perseguono nel<br />

contesto scolastico ed extrascolastico sono in contrasto con i mo<strong>del</strong>li familiari. In questi<br />

casi, abbastanza frequenti, come possono e quanto possono gli educatori stimolare il<br />

ragazzo ad assumere degli stili <strong>di</strong> comportamento <strong>di</strong>versi da quelli che vedono in casa,<br />

sempre tenendo presente che gli adulti <strong>di</strong> riferimento sono importantissimi e non<br />

verranno mai meno per il minore?<br />

Prof. Ravasio<br />

Nei rapporti tra scuola e famiglia capitano un po’ le stesse cose che avvengono in<br />

famiglia. Quando il papà <strong>di</strong>ce una cosa e la mamma un’altra, il figlio fa quello che<br />

vuole, perché il ragazzo è sottoposto a due messaggi che riceve da due persone<br />

importanti per lui, solo che questi messaggi sono <strong>di</strong>scordanti e così il figlio, non<br />

sapendo che cosa fare, fa quello che vuole.<br />

La stessa cosa può avvenire nel rapporto famiglia – scuola, quando la scuola ha un<br />

sistema educativo e la famiglia <strong>di</strong>sattende completamente questo sistema. Ancora una<br />

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volta il ragazzo è sottoposto a due messaggi <strong>di</strong>versi che gli arrivano da due istituzioni<br />

importanti: chi seguire? Il ragazzo non sa che cosa fare.<br />

Allora che fare? Bisogna riuscire a stipulare un “patto” educativo tra famiglia e scuola<br />

per essere d’accordo sull’essenziale, su ciò che conta.<br />

Facciamo un esempio. Poniamo che la scuola faccia una campagna sulla tolleranza,<br />

per aiutare i bambini/ragazzi ad andare d’accordo, ad accettarsi, a non rifiutarsi, a<br />

vivere bene insieme. Poniamo che la famiglia <strong>di</strong>sattenda questo impegno <strong>del</strong>la scuola<br />

e continui nei suoi atteggiamenti abituali: magari ce l’ha su con quello <strong>del</strong> piano <strong>di</strong><br />

sopra, con il vicino <strong>di</strong> casa, non sopporta l’extracomunitario, rifiuta questo e quest’altro.<br />

Ebbene <strong>di</strong> fronte a due comportamenti opposti che cosa fa il ragazzo?<br />

Dunque la scuola deve coinvolgere la famiglia nel proprio progetto educativo. Non ci<br />

sono altre vie!<br />

Oggi i ragazzi si possono <strong>di</strong>stinguere in due gruppi: quelli che hanno la fortuna <strong>di</strong><br />

incontrare nella loro vita adulti capaci <strong>di</strong> educare e quelli che hanno la sfortuna <strong>di</strong><br />

incontrare adulti incapaci <strong>di</strong> educare.<br />

Secondo intervento<br />

Ringrazio i relatori e vorrei chiedere a ciascuno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong> esprimere, rispetto al tema<br />

che stiamo trattando, un suggerimento da attuare concretamente nei prossimi mesi.<br />

Prof.ssa Pelam<strong>atti</strong><br />

Io <strong>di</strong>rei che è molto importante, adesso, tornati a casa nei propri luoghi <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong><br />

famiglia o <strong>di</strong> scuola, per quanto riguarda ad esempio le emozioni, cercare sotto forma<br />

<strong>di</strong> gioco <strong>di</strong> fare <strong>del</strong>le piccole simulazioni. Provare a vedere quali sono i pensieri, quali le<br />

emozioni, quali i comportamenti, o <strong>di</strong>rettamente presi dalla realtà o anche giocando con<br />

dei roll play che possiamo improvvisare. Ad esempio, con i figli, ipotizziamo una<br />

situazione, anche ispirandoci alla relazione <strong>del</strong> prof. Fantoni, se abbiamo figli<br />

adolescenti, e chie<strong>di</strong>amoci quali pensieri potrebbero attraversare la mente in questa<br />

situazione, quali sono le emozioni e quali sono i comportamenti che mi trovo invogliato<br />

a mettere in atto. Da qui, lasciare molto spazio per consentire <strong>di</strong> esprimere che cosa<br />

provo, che cosa sento dentro <strong>di</strong> me; in che misura provo queste emozioni e dove mi<br />

possono portare.<br />

Io credo che questo contatto con noi stessi adulti, nel nostro mondo profondo,<br />

costituisca lo strumento importante per poi accompagnare i bambini e i ragazzi nella<br />

scoperta <strong>del</strong> loro mondo emozionale, che è la premessa per raggiungere un benessere<br />

emotivo che oggi si fa un po’ desiderare.<br />

Prof. Ravasio<br />

La generazione adulta cerchi <strong>di</strong> essere la generazione che è, cioè il compito suo è <strong>di</strong><br />

saper trasmettere alla nuova generazione quello che ha ere<strong>di</strong>tato, il meglio <strong>di</strong> quello<br />

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che ha ricevuto nella sua vita. Il suo compito è quello <strong>di</strong> trasmettere la cultura, i valori, il<br />

meglio <strong>di</strong> sé; il suo compito non è quello <strong>di</strong> identificarsi con i giovani. Oggi siamo in<br />

questo assurdo: non sono più i giovani che cercano <strong>di</strong> imitare gli adulti, ma gli adulti<br />

che cercano <strong>di</strong> imitare i giovani.<br />

Ciò fa ridere. Ve<strong>di</strong>amo il padre che sfida l’adolescente figlio al limite <strong>del</strong>l’infarto. La<br />

madre che si veste come la figlia per suscitare invi<strong>di</strong>a e gelosia.<br />

I ragazzi hanno bisogno <strong>di</strong> un confronto adulto, hanno bisogno <strong>di</strong> persone che siano<br />

capaci <strong>di</strong> trasmettere veramente qualche cosa che loro non hanno. D’altra parte gli<br />

adulti devono imparare ad accettare questa novità che i giovani portano; devono saper<br />

cogliere e assorbire l’aggressività che i giovani esprimono nei confronti <strong>del</strong>l’adulto, per<br />

poi rimandare a loro qualcosa <strong>di</strong> più adulto, <strong>di</strong> più maturo.<br />

Gli adulti devono imparare ad accettare la propria età; devono imparare a godere <strong>del</strong>le<br />

cose buone che ogni età ha. E’ bella la primavera, ma chi <strong>di</strong>ce che è brutta l’estate?<br />

Perché non l’autunno con i suoi frutti? Perché no l’inverno con i campi da sci? Ogni<br />

stagione ha la sua bellezza: saperla cogliere e saperla vivere è fondamentale.<br />

E’ importante saper cogliere il bello <strong>di</strong> ogni età e quin<strong>di</strong> vivere secondo i compiti e i ruoli<br />

che l’età comporta.<br />

Prof.ssa Zanfroni<br />

L’invito è quello <strong>di</strong> analizzare a casa, nel proprio contesto, tutte le forme <strong>di</strong><br />

comunicazione che si instaurano, tra genitori, tra genitori e figli, tra figli. Per capire che<br />

forse tutto quello che si è sentito non è qualcosa da cui noi siamo estranei, ma è<br />

qualcosa che riguarda un po’ tutti, chi più chi meno, non come una colpa, ma come uno<br />

stato <strong>di</strong> cose che comunque si verificano.<br />

In secondo luogo mi sembra molto importante il <strong>di</strong>scorso <strong>del</strong>la formazione, cioè il<br />

<strong>di</strong>scorso <strong>del</strong> capire che ogni età familiare ha determinati compiti evolutivi, ha<br />

determinate <strong>di</strong>namiche che si innescano e all’interno <strong>di</strong> ogni età la famiglia ha la<br />

necessità <strong>di</strong> mutare i propri compiti educativi: il ruolo genitoriale è qualcosa che va<br />

coltivato. Se siamo buoni genitori con i nostri figli <strong>di</strong> quattro anni, non è detto che<br />

automaticamente saremo buoni genitori quando i nostri saranno adolescenti. Questo<br />

non ci deve far sentire a <strong>di</strong>sagio, ma semplicemente renderci consapevoli che la<br />

capacità genitoriale è qualcosa che va coltivata. E per fare ciò non è necessario<br />

esporsi continuamente a momenti formativi, ma è importante anche ad esempio<br />

leggere libri, informarsi e relazionarsi con gli altri.<br />

Dott. Fantoni<br />

Parafrasando De Bartolomeis si potrebbe parlare <strong>del</strong>l’«amara libertà dei sogni» perché<br />

i sogni ci fanno confrontare sempre con una realtà molto più complessa.<br />

Se dovessi pensare a un auspicio, proporrei quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un popolo <strong>di</strong> ascoltatori<br />

e non solo <strong>di</strong> telespettatori, cioè <strong>del</strong>le persone che siano davvero in grado <strong>di</strong> accostarsi<br />

all’altro con rispetto e con capacità autentica <strong>di</strong> far risuonare dentro <strong>di</strong> sé quello che<br />

l’altro ci <strong>di</strong>ce. Molto spesso siamo invece, tutti noi, preda <strong>di</strong> ansie, <strong>di</strong> paure, <strong>di</strong><br />

33


preoccupazioni che ci allontanano dalle altre persone e in particolare dai soggetti in età<br />

evolutiva, dai bambini, dagli adolescenti. Siamo molto preoccupati <strong>del</strong>le nostre<br />

“prestazioni” educative; siamo molto preoccupati che se un figlio va bene o va male a<br />

scuola è perché io sono un bravo o un c<strong>atti</strong>vo genitore. Invece, se ci liberiamo un po’<br />

da questo senso <strong>di</strong> malintesa responsabilità e proviamo ad accostarci in un modo più<br />

appassionato e più <strong>di</strong>retto a capire quello che i ragazzi ci stanno <strong>di</strong>cendo, stando lì con<br />

loro e stando lì in silenzio, forse riusciamo a fare noi per primi e a far fare ai nostri<br />

ragazzi un’esperienza <strong>di</strong> alterità e <strong>di</strong> contatto con l’altro che non va a ledere l’identità.<br />

E’ un po’ l’esperienza che, e ve ne sono grato, ho fatto oggi qui con voi, con un<br />

pubblico così numeroso e così attento come francamente non è facile trovare.<br />

SANDRO SANNA<br />

Da questo ultimo giro <strong>di</strong> interventi cogliamo il prezioso invito alla solidarietà e alla<br />

sussi<strong>di</strong>arietà educativa. L’incontro promosso oggi dall’amministrazione comunale va<br />

esattamente in questa <strong>di</strong>rezione: l’auspicio è proprio quello che educatori, genitori e<br />

insegnanti costruiscano queste <strong>di</strong>mensioni nella famiglia, nella scuola e<br />

nell’extrascuola.<br />

L’obiettivo <strong>di</strong> questa giornata era stato espresso nel programma <strong>del</strong> convegno là dove<br />

troviamo scritto: “In questo mondo <strong>di</strong> bambini e <strong>di</strong> adolescenti ci addentriamo, cercando<br />

qualche linea <strong>di</strong> soluzione, orientamenti che ci aiutino a capire come non limitarci a<br />

intervenire sui f<strong>atti</strong> che accadono, promuovendo strategie <strong>di</strong> prevenzione nell'ambito<br />

familiare, scolastico e sociale”. Direi che l’obiettivo è stato raggiunto. Oggi pomeriggio,<br />

poi, nei tre workshop ai quali ci siamo iscritti avremo modo <strong>di</strong> riprendere e approfon<strong>di</strong>re<br />

queste tematiche, confrontandoci anche tra <strong>di</strong> noi.<br />

Grazie a tutti e buon pranzo.<br />

34


UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA<br />

SEDE DI AREZZO<br />

MASTER<br />

“COMUNICAZIONE E RELAZIONI INTERPERSONALI”<br />

COORDINATORE<br />

PROF. ENRICO CHELI<br />

EMOZIONI…<br />

PENSIERI…<br />

COMPORTAMENTI…<br />

35<br />

APPENDICE<br />

Arezzo, 1-2 Aprile 2004 Docente: dott.ssa LUCIA PELAMATTI


EMOZIONE: DEFINIZIONI<br />

36<br />

APPENDICE<br />

• ... ogni agitazione o turbamento <strong>del</strong>la mente, sentimento, passione, ogni stato<br />

mentale violento o eccitato...(Oxford English Dictionary).<br />

• Sorta <strong>di</strong> comunicazione imme<strong>di</strong>ata, somatica, avente come canale una vasta<br />

serie <strong>di</strong> reazioni fisiologiche (rossore – afasia – senso <strong>di</strong> svenimento –<br />

tachicar<strong>di</strong>a...) <strong>di</strong> ciò che nasce dentro... (V. Slepoj, Capire i sentimenti. Milano<br />

1996).<br />

• Reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e <strong>di</strong> breve durata, determinata<br />

da uno stimolo ambientale. La sua comparsa provoca una mo<strong>di</strong>ficazione a livello<br />

somatico, vegetativo e psichico. Possiamo avere <strong>del</strong>le reazioni:<br />

FISIOLOGICHE: che investono funzioni vegetative (circolazione,<br />

respirazione, <strong>di</strong>gestione, secrezione...); funzioni motorie (ipertensione<br />

muscolare...); funzioni sensorie (<strong>di</strong>sturbi alla vista, all'u<strong>di</strong>to...).<br />

VISCERALI: si manifestano con una per<strong>di</strong>ta momentanea <strong>del</strong> controllo<br />

neurovegetativo con conseguente incapacità temporanea <strong>di</strong> astrazione<br />

dal contesto emozionale.<br />

ESPRESSIVE: riguardano la mimica facciale, gli atteggiamenti <strong>del</strong> corpo,<br />

le abituali forme <strong>di</strong> comunicazione.<br />

PSICOLOGICHE: si manifestano come riduzione <strong>del</strong> controllo <strong>di</strong> sè,<br />

<strong>di</strong>fficoltà ad articolare logicamente azioni e riflessioni, <strong>di</strong>minuzione <strong>del</strong>le<br />

capacità <strong>di</strong> metodo e critica.<br />

(U. Galimberti, Dizionario <strong>di</strong> Psicologia, UTET, Torino '92).<br />

• Dal latino EMOVERE: E = fuori, all'esterno - MOVERE= muovere, spingere<br />

all’azione. Le emozioni sono stati complessi (stati <strong>del</strong>l'io, <strong>del</strong>la persona)<br />

accompagnati da una accresciuta percezione <strong>di</strong> un oggetto o <strong>di</strong> una situazione,<br />

da profonde mo<strong>di</strong>ficazioni fisiologiche, da una consapevolezza <strong>di</strong> attrazione o<br />

repulsione cosciente e da una condotta <strong>di</strong> avvicinamento o <strong>di</strong> allontanamento.<br />

Una <strong>del</strong>le più forti esperienze soggettive <strong>del</strong>l'emozione è la spinta all'azione, che<br />

esprime determinate forme <strong>di</strong> approccio con l'ambiente.(Dizionario <strong>di</strong> psicologia,<br />

ed. Paoline, Milano)


OTTIMISMO<br />

AGGRESSIVITA'<br />

CLASSIFICAZIONE DELLE EMOZIONI SECONDO<br />

PLUTCHIK<br />

DISPREZZO<br />

Attesa<br />

Aspettativa<br />

Collera<br />

Rabbia<br />

Gioia<br />

Schifo<br />

Disgusto<br />

AMORE<br />

RIMORSO<br />

37<br />

Accettazione<br />

Tristezza<br />

Paura<br />

Sorpresa<br />

APPENDICE<br />

SOTTOMISSIONE<br />

SPAVENTO<br />

DELUSIONE


1. COLLERA<br />

Furia<br />

Sdegno<br />

Risentimento<br />

Ira<br />

Esasperazione<br />

In<strong>di</strong>gnazione<br />

Irritazione<br />

Acrimonia<br />

Animosità<br />

Fasti<strong>di</strong>o<br />

Irritabilità<br />

Ostilità<br />

2. TRISTEZZA<br />

Pena<br />

Dolore<br />

Mancanza <strong>di</strong> allegria<br />

Cupezza<br />

Malinconia<br />

Autocommiserazione<br />

Solitu<strong>di</strong>ne<br />

Abb<strong>atti</strong>mento<br />

Disperazione<br />

Forte depressione<br />

3. PAURA<br />

Ansia<br />

Timore<br />

Nervosismo<br />

Preoccupazione<br />

Apprensione<br />

Cautela<br />

Esitazione<br />

Tensione<br />

Spavento<br />

Terrore<br />

Fobia<br />

Panico<br />

4. SORPRESA<br />

Shock<br />

Stupore<br />

Meraviglia<br />

Trasecolamento<br />

FAMIGLIE EMOZIONALI<br />

38<br />

APPENDICE<br />

5. GIOIA<br />

Felicità<br />

Go<strong>di</strong>mento<br />

Sollievo<br />

Contentezza<br />

Beatitu<strong>di</strong>ne<br />

Diletto<br />

Divertimento<br />

Fierezza<br />

Esaltazione<br />

Estasi<br />

Gratificazione<br />

Sod<strong>di</strong>sfazione<br />

Euforia<br />

Capriccio<br />

Entusiasmo maniacale<br />

6. AMORE<br />

Accettazione<br />

Benevolenza<br />

Fiducia<br />

Gentilezza<br />

Affinità<br />

Devozione<br />

Adorazione<br />

Infatuazione<br />

Agape<br />

7. DISGUSTO<br />

Disprezzo<br />

Sdegno<br />

Aborrimento<br />

Avversione<br />

Ripugnanza<br />

Schifo<br />

8. VERGOGNA<br />

Senso <strong>di</strong> colpa<br />

Imbarazzo<br />

Rammarico<br />

Rimorso<br />

Umiliazione<br />

Rimpianto<br />

Mortificazione<br />

costrizione


COMPONENTI PRINCIPALI DI UN PERCORSO<br />

DI ALFABETIZZAZIONE ALLE EMOZIONI<br />

• CONOSCERE se stessi in modo approfon<strong>di</strong>to<br />

39<br />

APPENDICE<br />

• AUTOACCETTARSI: riconoscere le proprie aree <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza, considerarsi<br />

positivamente, essere capaci <strong>di</strong> ridere <strong>di</strong> se stessi<br />

• ESSERE AUTOCONSAPEVOLI. Osservare se stessi e riconoscere i propri sentimenti,<br />

costruire un vocabolario <strong>del</strong>le emozioni, conoscere il rapporto tra pensieri / emozioni /<br />

comportamenti<br />

• GESTIRE I SENTIMENTI. "Colloquiare con se stessi" allo scopo <strong>di</strong> cogliere i messaggi<br />

negativi come le autocommiserazioni; capire cosa c'è <strong>di</strong>etro un sentimento, trovare mo<strong>di</strong><br />

per controllare le paure e le ansie, la collera e la tristezza<br />

• CONTROLLARE LO STRESS. Imparare il valore <strong>del</strong>l'esercizio, <strong>del</strong>la immaginazione<br />

guidata e dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> rilassamento<br />

• COMUNICARE: parlare dei sentimenti con efficacia; saper ascoltare e saper domandare,<br />

<strong>di</strong>stinguere tra ciò che qualcuno fa o <strong>di</strong>ce e le proprie reazioni o i propri giu<strong>di</strong>zi al<br />

riguardo; esporre il proprio punto <strong>di</strong> vista invece <strong>di</strong> incolpare gli altri<br />

• DECIDERE PERSONALMENTE: esaminare le proprie azioni e conoscerne le<br />

conseguenze, sapere se una decisione è dettata dal pensiero o dal sentimento<br />

• ESSERE APERTI: apprezzare l'apertura e costruire la fiducia in un rapporto, sapere<br />

quando si può parlare dei propri sentimenti privati senza correre rischi<br />

• ESSERE EMPATICI: comprendere i sentimenti e le preoccupazioni degli altri e<br />

assumere il loro punto <strong>di</strong> vista; apprezzare i <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> con cui le persone guardano la<br />

realtà<br />

• ESSERE PERSPICACI: identificare mo<strong>del</strong>li tipici nella propria vita emotiva e nelle<br />

proprie reazioni; riconoscere mo<strong>del</strong>li simili negli altri<br />

• ESSERE PERSONALMENTE RESPONSABILI: assumersi le responsabilità, riconoscere<br />

le conseguenze <strong>del</strong>le proprie decisioni e azioni; accettare i propri sentimenti e umori;<br />

portare a compimento gli impegni assunti


40<br />

APPENDICE<br />

• ESSERE SICURI DI SE': affermare le proprie emozioni o posizioni senza rabbia o<br />

passività.<br />

• SAPER RISOLVERE I CONFLITTI: saper affrontare lealmente gli altri; saper negoziare i<br />

compromessi in modo sod<strong>di</strong>sfacente per entrambe le parti<br />

• SAPER ENTRARE NELLA DINAMICA DI GRUPPO: saper collaborare; saper esercitare<br />

la leadership quando la situazione lo richiede; saper poi passare ad altri ruoli senza<br />

problemi (superare la rigi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> ruolo); saper riconoscere le aree problematiche che un<br />

gruppo può incontrare e superare<br />

(adatt. da D. Goleman, Intelligenza emotiva., Rizzoli 1996, pagg. 348-349)<br />

NON NEGARE LE EMOZIONI<br />

U. Galimberti parla <strong>del</strong>la necessità <strong>di</strong> riscoprire l'anima, l'emozione, che costituisce la natura<br />

più vera ed autentica <strong>del</strong>l'essere umano (cfr. "Che brutta questa scuola senz'anima" articolo<br />

1996).<br />

Egli sostiene che parte <strong>del</strong> <strong>di</strong>sagio giovanile sarebbe da imputare alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> massima<br />

estraneità con la quale si comunica a scuola, stabilendo rapporti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza, <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza<br />

formale, pur parlando spesso, come nelle <strong>di</strong>scipline umanistiche, <strong>di</strong> contenuti squisitamente<br />

umani.<br />

"Le emozioni personali sono tenute rigidamente da parte e quelle suscitate nell'u<strong>di</strong>torio non<br />

raccolte". Se i mo<strong>del</strong>li <strong>di</strong> cultura restano contenuti nella mente senza <strong>di</strong>ventare spunti <strong>del</strong><br />

cuore, "il cuore comincerà a vagare senza orizzonte in quel nulla inquieto e depresso che<br />

nemmeno il baccano <strong>del</strong>la musica giovanile riesce a mascherare".<br />

La non conoscenza <strong>del</strong>le emozioni negate può poi portare a restarne travolti quando esse<br />

sgorgano incontrollate ed improvvise.<br />

Freud definì "perturbante ciò che si crede noto e invece si scopre improvvisamente<br />

sconosciuto, in grado <strong>di</strong> generare spavento, angoscia, scompiglio proprio nel momento in cui<br />

emerge dal mondo <strong>del</strong>la notte, dal sottosuolo, dall'inconscio e si consegna alla luce <strong>del</strong> giorno,<br />

alla consapevolezza razionale".<br />

LO "SPEC" A SCUOLA, IN FAMIGLIA...<br />

(Per entrare sempre più in contatto con se stessi)<br />

1. LE MIE EMOZIONI<br />

IL VOLTO DELLE EMOZIONI (per imparare a dare un nome alle principali emozioni)<br />

IL GIOCO DEL MIMO (per riconoscerle dall'espressione <strong>del</strong> viso e dai gesti)


41<br />

APPENDICE<br />

LA TOMBOLA DELLE EMOZIONI (per trovare collegamenti fra emozioni e<br />

comportamenti)<br />

A PESCA DI EMOZIONI (per arricchire il vocabolario emotivo <strong>del</strong> figlio/alunno)<br />

IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI (per insegnare/imparare a riconoscere l'intensità<br />

dei sentimenti)<br />

2. PERCHE' MI SENTO COSI'<br />

COSA PROVEREI SE... (per verificare se, <strong>di</strong> fronte ad una stessa situazione, tutti<br />

provano lo stesso sentimento<br />

COSI' PENSO, COSI' MI SENTO... (per cogliere la corrispondenza fra pensieri ed<br />

emozioni)<br />

INDOVINO IL PENSIERO... (per constatare che, se cambio il pensiero, cambio<br />

l'emozione)<br />

DISEGNO UNA STORIA (per notare la connessione tra le varie fasi <strong>di</strong> una storia)<br />

MI E' SUCCESSO CHE... (per consolidare la consapevolezza che sono i pensieri a<br />

determinare le emozioni)<br />

3. I PENSIERI CHE CREANO PROBLEMI<br />

FATTI E OPINIONI (per imparare a <strong>di</strong>stinguere i f<strong>atti</strong> dalle opinioni)<br />

IL MIO MODO DI PENSARE (per riconoscere i pensieri utili da quelli dannosi)<br />

NON DOVEVA PROPRIO (per verificare i più comuni errori <strong>di</strong> pensiero)<br />

IL GIARDINO DEI PENSIERI (per capire quali pensieri inducono emozioni positivequali<br />

negative- quali neutre)<br />

CRUCIPUZZLE (per prevenire alcuni mo<strong>di</strong> dannosi <strong>di</strong> pensare)<br />

4. QUANDO LE COSE SONO DIFFICILI<br />

POSSO PROVARCI (per imparare ad impegnarsi anche se non si è sicuri <strong>di</strong> riuscire<br />

subito al meglio)<br />

PENSIERI ESAGERATI (per riconoscere alcuni mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> pensare che ingigantiscono le<br />

<strong>di</strong>fficoltà)<br />

LA SFIDA (per trasformare i pensieri irrazionali, che sono <strong>di</strong> ostacolo nell'affrontare le<br />

<strong>di</strong>fficoltà, in pensieri utili)<br />

GLI EMISFERI (per imparare a rilassarsi, visualizzare, me<strong>di</strong>tare)<br />

5. L'ERBA VOGLIO NEL MIO GIARDINO<br />

MI PIACEREBBE... (per capire la <strong>di</strong>fferenza fra desiderare qualcosa e volerla<br />

assolutamente)<br />

VIAGGIO IN UN'ISOLA DESERTA (per imparare a <strong>di</strong>stinguere ciò che è in<strong>di</strong>spensabile<br />

e ciò che è superfluo)


42<br />

APPENDICE<br />

COMPORTAMENTI E CONSEGUENZE (per riconoscere le conseguenze imme<strong>di</strong>ate e<br />

future <strong>di</strong> un comportamento)<br />

LE COSE DEVONO ANDARE COME VOGLIO IO (per verificare le conseguenze<br />

negative <strong>del</strong>le richieste irragionevoli)<br />

LE ARMI DELLA MENTE (per imparare ad usare pensieri utili, che aiutano a<br />

fronteggiare situazioni negative)<br />

6. HO PAURA DI ...<br />

DISEGNA LA PAURA (per riconoscere la <strong>di</strong>fferenza fra paura <strong>di</strong> cose reali e paura <strong>di</strong><br />

cose immaginarie)<br />

CLASSIFICHIAMO LA PAURA (per imparare a dare il giusto peso ad alcuni eventi<br />

negativi, senza considerarli una catastrofe)<br />

OSSERVA IL PENSIERO (per imparare a rilassarsi e ad attenuare le reazioni<br />

neurovegetative connesse a stati <strong>di</strong> forte <strong>atti</strong>vazione emotiva)<br />

COME UNA NUVOLA (per apprendere correttamente almeno una semplice tecnica <strong>di</strong><br />

rilassamento)<br />

IMMAGINA... (per imparare a praticare l'immaginazione razionale – emotiva al fine <strong>di</strong><br />

fronteggiare situazioni temute)<br />

7. PAROLACCE E DISPETTI<br />

LE ETICHETTE (per capire che è sbagliato apostrofare gli altri con soprannomi o<br />

aggettivi offensivi)<br />

IL BERSAGLIO (per imparare ad essere tolleranti verso chi ci prende in giro)<br />

SOPPORTABILE/INSOPPORTABILE (per apprendere che certe situazioni, pur<br />

fasti<strong>di</strong>ose, possono essere sopportate)<br />

COSA DIRE A ME STESSO (per usare pensieri utili che ci aiutano nei momenti <strong>di</strong>fficili –<br />

quando si è presi in giro, si riceve un <strong>di</strong>spetto…)<br />

TIRATI SU (per esercitarsi ad orientare la mente verso argomenti positivi ai fini <strong>di</strong> non<br />

abbattersi quando si è trattati male –o si crede <strong>di</strong> esserlo…)<br />

8. AIUTARE E' BELLO<br />

COSTRUIAMO INSIEME (per verificare che, collaborando in gruppo, si può creare<br />

qualcosa <strong>di</strong> bello e si possono raggiungere risultati molto vali<strong>di</strong>)<br />

PUZZLE DI GRUPPI (per allenarsi a coltivare sentimenti positivi nei riguar<strong>di</strong> degli altri)<br />

LA RUOTA DELL'AMICIZIA (per allenarsi ad accorgersi <strong>di</strong> chi ha bisogno d'aiuto)<br />

SALVA L'AMICO (per esercitare la solidarietà)


CONSIDERAZIONI<br />

43<br />

APPENDICE<br />

L'EMOZIONALITA' non deve essere negata o repressa: ciò turberebbe l'evoluzione<br />

psicoaffettiva <strong>del</strong> soggetto e provocherebbe conflitti interiori pesanti, destinati a lasciare tracce<br />

per tutta la vita.<br />

La psicosomatica afferma poi che tali negazioni/repressioni possono portare a mal<strong>atti</strong>e fisiche<br />

anche molto gravi (asma, ulcera, allergie, cancro, leucemia...)<br />

Ma l'EMOZIONALITA' deve essere conosciuta, gestita (cioè dosata, incanalata,<br />

orientata...)<br />

Se ciò non avviene, essa si pone con l'irruenza <strong>di</strong> un fiume in piena, con pericolo per se stessi<br />

e per gli altri.<br />

L'EMOZIONALITA', correttamente impostata, costituisce per la persona enorme ricchezza<br />

e contribuisce in modo rilevante alla sua autorealizzazione (ultimo livello <strong>del</strong>la piramide <strong>di</strong><br />

Maslow)<br />

Ecco alcuni effetti positivi <strong>di</strong> ricaduta <strong>di</strong> una sana emozionalità:<br />

• Ci aiuta a <strong>di</strong>venire più "umani", cioè più autentici, più ricchi dentro, più veri<br />

• Ci dona quella vitalità che ci consente <strong>di</strong> accettarci, <strong>di</strong> volerci bene, <strong>di</strong> integrare<br />

armoniosamente le varie parti che ci compongono verso una unità<br />

• Ci consente un buon adattamento socio-emotivo, connesso ad un funzionamento personale<br />

più felice e più efficace<br />

• Ci sostiene <strong>di</strong> fronte alle <strong>di</strong>fficoltà <strong>del</strong>la vita e ci consente <strong>di</strong> circoscrivere gli effetti negativi<br />

• Ci stimola al rapporto interpersonale, aiutandoci ad uscire da noi stessi e a vivere in empatia<br />

con gli altri<br />

• Ci dà la capacità <strong>di</strong> gestire/superare le ansie <strong>di</strong> ogni giorno<br />

• Ci consente <strong>di</strong> sorridere <strong>di</strong> noi stessi – per le nostre carenze – senza per questo indurci a<br />

compromettere l'autostima<br />

• Ci orienta <strong>di</strong> assumere, nei riguar<strong>di</strong> <strong>del</strong>la realtà e <strong>del</strong> mondo, posizioni equilibrate, fondate<br />

sul <strong>di</strong>scernimento, sulla capacità <strong>di</strong> analisi e <strong>di</strong> decisione<br />

• Ci guida verso una progettualità esistenziale, coerente con la nostra visione <strong>del</strong>la vita


• Facilita una maggiore integrazione sociale<br />

44<br />

APPENDICE<br />

• Ci aiuta, prima ancora che a capirci ed a capire, ad accettarci ed accettare, inducendoci a<br />

pensate che noi stessi e gli altri non siamo atteggiamenti da cambiare, ma anzitutto persone<br />

da accettare<br />

IL TRIANGOLO DELLA PERSONALITA'<br />

COGNITIVO<br />

AFFETTIVO RELAZIONALE

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