Procedure per il rilevamento fenologico nei Giardini Italiani - Cra-Cma
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Gruppo di "1\'Oro nazionale <strong>per</strong> i <strong>Giardini</strong> fenologici
Gruppo di lavoro nazionale <strong>per</strong> i <strong>Giardini</strong> fenologici<br />
PROCEDURE<br />
PER IL RILEVAMENTO<br />
FENOLOGICO<br />
NEI GIARDINI ITALIANI<br />
a cura di<br />
Andrea Malossini<br />
Servizio Produzioni agricole, Assessorato Agricoltura<br />
Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna<br />
ottobre 1993
Progetto grafico di co<strong>per</strong>tina:<br />
Bianca Maria Rizzoli<br />
Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna<br />
Coordinamento redazionale:<br />
Andrea Malossini<br />
Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna<br />
Seconda edizione: ottobre 1993<br />
CO - Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna - Bologna 1993<br />
Stampato presso <strong>il</strong> Centro Stampa della Giunta regionale - Viale S<strong>il</strong>vani 6 - 40122 Bologna<br />
in caratteri CO Caslon
INDICE<br />
lUna rete di <strong>Giardini</strong> fenologici In<br />
Italia: finalità e criteri.<br />
Paolo Mandrioli.<br />
II I <strong>Giardini</strong> fenologici internazionali.<br />
Andrea Malossini, Tommaso Ristori.<br />
III I <strong>Giardini</strong> fenologici italiani.<br />
Andrea Malossini, Gaddo Cavenago<br />
Bignami, Aldo Col etti, Tommaso<br />
Ristori, Valeria Sacchetti, Donatel/a<br />
Spano.<br />
IV Criteri <strong>per</strong> <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evamento <strong>fenologico</strong>:<br />
Angios<strong>per</strong>me.<br />
Giovanna Puppi Branzi.<br />
V Il r<strong>il</strong>evamento <strong>fenologico</strong> nelle<br />
Conifere.<br />
Paolo Grossoni.<br />
VI Costituzione e gestione del Giardino<br />
<strong>fenologico</strong>.<br />
Andrea Malossini.<br />
VII Clonazione di specie indicatrici <strong>per</strong> i<br />
<strong>Giardini</strong> fenologici <strong>Italiani</strong>.<br />
Aldo Ranfa.<br />
VIII La misura dei parametri<br />
meteorologici nel <strong>Giardini</strong><br />
fenologici: indicazioni <strong>per</strong> la scelta<br />
delle stazioni.<br />
Lucio Botarel/i, Angelo Salsi.<br />
pago 5<br />
pago 9<br />
pag.17<br />
pag.29<br />
pag.41<br />
pag.51<br />
pag.57<br />
pag.61
1<br />
I<br />
UNA RETE DI GIARDINI FENOLOGICI IN ITALIA:<br />
FINALITA' E CRITERI<br />
INTRODUZIONE<br />
Paolo Mandrioli<br />
Istituto FISBAT, Consiglio Nozionaledelle Ricm:he, Bologna<br />
Quando dieci anni fa, nel 1982, nell'ambito di una collaborazione con <strong>il</strong> Dipartimento<br />
Attività Produttive, Agricoltura e Alimentazione della Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna, demmo<br />
inizio al progetto di realizzazione di un Giardino <strong>fenologico</strong> presso la Base Meteorologica di<br />
San Pietro Capofiume (BO), l'obiettivo primario fu di preparare una stazione di osservazione<br />
fenologica che potesse rappresentare l'Italia, del tutto assente, nella rete europea dei <strong>Giardini</strong><br />
Fenologici Internazionali (IPG) coordinati dal Servizio Meteorologico Tedesco.<br />
Dopo un avvio non fac<strong>il</strong>e durato alcuni anni <strong>per</strong> consentire l'attecchimento di piante<br />
provenienti da ambienti climaticamente molto differenti da quello padano orientale,<br />
decidemmo di affiancare alla lista delle piante suggerite dalla rete IPG, un certo numero di<br />
piante indicatrici, diffuse comunemente nel nord Italia, scelte fra quelle di maggior interesse<br />
agrario e forestale, creando cosÌ una "sezione italiana" accanto a quella "internazionale".<br />
Grazie all'interessamento ed alla tenacia di coloro che hanno collaborato in questa<br />
impresa in tutti questi anni, <strong>il</strong> Giardino <strong>fenologico</strong> di San Pietro Capofiume, al quale è stato<br />
assegnato <strong>il</strong> codice internazionale 80, ha già prodotto cinque anni di dati e, altrettanto<br />
importante ed ancor più significativo, ha giocato concretamente <strong>il</strong> ruolo di punto di<br />
riferimento e di stimolo <strong>per</strong> <strong>il</strong> progetto e la realizzazione nel nostro Paese di altri <strong>Giardini</strong><br />
fenologici (Fig. 1).<br />
Si sono così create, quasi naturalmente, le condizioni <strong>per</strong> la costituzione di un Gruppo<br />
di Lavoro nazionale avente la funzione di coordinare l'attività delle singole stazioni (gestite<br />
autonomamente) e, soprattutto, di definire un protocollo comune delle osservazione<br />
fenologiche e del trattamento dei dati. A questo Gruppo collaborano alcuni Enti appartenenti<br />
alle Amministrazioni di alcune Regioni, la Società Botanica Italiana, l'Associazione di<br />
Aerobiologia ed alcuni Istituti Universitari.<br />
L'attività di ciascun Giardino <strong>fenologico</strong> e l'attività di Rete, debbono poter rispondere<br />
alle domande poste qui di seguito.<br />
Quali sono le caratteristiche principali di un Giardino <strong>fenologico</strong> rispetto ad un Orto<br />
Botanico o ad una stazione di osservazione? Il Giardino <strong>fenologico</strong> svolge la propria attività<br />
attraverso <strong>per</strong>sonale preparato alla osservazione fenologica su piante scelte ad hoc, a seconda<br />
del programma di lavoro, e messe a dimora con precisi criteri. Parallelamente alla raccolta delle<br />
osservazioni fenologiche vengono eseguite, nello stesso sito, le misure microclimatiche<br />
riguardanti come minimo le misure dei parametri meteorologici di base.<br />
Una Rete di <strong>Giardini</strong> Fenologici coordina l'attività di più punti di osservazione<br />
attraverso un protocollo comune riguardante le modalità di impianto, l'elenco delle piante da<br />
considerare, la metodologia di osservazione, l'archiviazione ed <strong>il</strong> trattamento dei dati.<br />
5
2 OBIETTIVI DI UNA RETE FENOLOGICA<br />
Oltre all'interesse legato più strettamente allo studio dei ritmi stagionali, caratteristici<br />
della attività vegetativa e riproduttiva delle piante, vi sono altri obiettivi che possono essere<br />
raggiunti attraverso le informazioni fornite da una rete fenologica partendo dal concetto che le<br />
risposte ritmiche della vegetazione sono determinate sia dalle caratteristiche genetiche di ogni<br />
pianta, sia dall'impatto di numerosi parametri ambientali (terreno, clima, pratiche colturali,<br />
inquinamento del suolo e dell'aria, fitopatogeni) sulla vegetazione stessa.<br />
Potremmo suddividere le finalità di una rete fenologica in finalità scientifiche e<br />
finalità applicative: le prime sono soprattutto centrate verso una migliore conoscenza dei<br />
processi connessi alle fenofasi ed alla individuazione di piante potenzialmente interessanti<br />
come indicatori biologici; le seconde concernono l'ut<strong>il</strong>izzo di piante indicatrici, non solo come<br />
sensori delle variazioni climatiche, ma anche come sensori della qualità dell'ambiente,<br />
soprattutto dell'aria, <strong>nei</strong> riguardi di sostanze inquinanti.<br />
Per meglio esemplificare questo ultimo aspetto, sottolineando ancora che la pianta in<br />
questo caso viene considerata come strumento in grado di integrare risposte complesse<br />
derivate dall'impatto con l'ambiente in cui vive e si sv<strong>il</strong>uppa, possiamo evidenziare alcune<br />
applicazioni in agricoltura, nel monitoraggio ambientale e <strong>nei</strong> riguardi della salute dell'uomo.<br />
In agricoltura e selvicoltura: la valutazione dell'impatto delle variazioni del clima e del<br />
tipo di suolo sugli eventi fenologici, in piante di importanza agricola o forestale, <strong>per</strong> ricavarne<br />
indicazioni ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i nella programmazione della gestione delle colture. In questo settore<br />
vengono ut<strong>il</strong>izzate piante, predittori stagionali dell'andamento climatico.<br />
Nel monitoraggio ambientale: le risposte della pianta sottoposta all'azione di agenti<br />
chimici e fisici di origine non naturale, come gas, particelle inquinanti e radiazioni, osservando<br />
non solo le modificazioni dei ritmi biologici ma anche quelle, almeno a livello macroscopico, di<br />
tipo patologico. Ovviamente la scelta dei bioindicatori sarà rivolta particolarmente a quelle<br />
piante più sensib<strong>il</strong>i agli agenti inquinanti.<br />
Riguardo alla salute dell'uomo, le osservazioni fenologiche si affiancano a quelle sui<br />
fitoallergeni aerodis<strong>per</strong>si, responsab<strong>il</strong>i di patologie respiratorie che oggi interessano <strong>il</strong> 12-15%<br />
della popolazione che vive nelle grandi città. La previsione di date di inizio fioritura di una<br />
specie allergenica, <strong>per</strong>mette a medici e pazienti di meglio programmare terapie ed attività<br />
fisica.<br />
Così dicendo abbiamo ampliato <strong>il</strong> concetto e la funzione canonica del Giardino<br />
<strong>fenologico</strong> suggerendo un possib<strong>il</strong>e programma di lavoro che <strong>per</strong>metterebbe di produrre dati<br />
ed informazioni ut<strong>il</strong>i ed interessanti, non solo a livello strettamente scientifico, fin dai primi<br />
momenti di costituzione del giardino stesso, in attesa di raggiungere l'equ<strong>il</strong>ibrio, necessario al<br />
nuovo impianto, <strong>per</strong> poter effettuare osservazioni affidab<strong>il</strong>i.<br />
6
Figura 1<br />
7<br />
* <strong>Giardini</strong> esistenti<br />
{;:{ <strong>Giardini</strong> in progettazione<br />
Situazione giugno 1993
BIBLIOGRAFIA<br />
Arboreta Phaenologiea. Injormotion oj tlle fll)orking group oj Intemotionol Phenologicol Gordens,<br />
Hann. Munden and Offenbaeh.<br />
Mandrioli P.; Malossini A.; Negrini M.G.; Ventre A. 1982. Fenologio e Agricolturo - Lo stozione<br />
<strong>fenologico</strong> di S. Pietro Copofiume, Bologna, Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna.<br />
Sehnelle F. 1955. Plontphenology - Problems in Bioc/imotology, VoI. 3 Leipzig, E. Germany.<br />
Sehnelle F.; Volkert E. 1964. Intemotionole Phonologische Gorten, Agrie. Met. 1:22-29. e<br />
l<br />
8<br />
1
II<br />
I GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI<br />
Andrea Malossini 1 , Tommaso Ristoriz<br />
ISeroi:tio Produ:tioni ogricole, Assessorato Agricolturo, Regione Em<strong>il</strong>io-Romogno<br />
21stituto lATA, Consiglio Nozionok delle Ricetrhe, Firenze<br />
1 INTRODUZIONE<br />
L'osservazione degli eventi fenologici, almeno di quelli principali, risale agli antichi<br />
cinesi. Per arrivare <strong>per</strong>ò alla fenologia come disciplina scientifica, ed alla connessione tra essa e<br />
la climatologia, bisogna attendere <strong>il</strong> XVII secolo. Prima Linneo e poi Reamur, si<br />
pronunciarono sulle grandi possib<strong>il</strong>ità di questa materia, innescando un processo evolutivo che<br />
portò nella seconda metà del XIX secolo allo studio sistematico delle piante come indicatori<br />
biologici. Il botanico svedese ebbe <strong>il</strong> merito di proporre <strong>per</strong> primo uno schema comune,<br />
secondo <strong>il</strong> quale le osservazioni fenologiche andavano eseguite. Il fisico francese propose<br />
invece <strong>il</strong> concetto di unità termica, nel tentativo di correlare la tem<strong>per</strong>atura allo sv<strong>il</strong>uppo delle<br />
piante.<br />
Nella seconda metà del XIX secolo, quasi tutti gli Stati europei disponevano di serie<br />
storiche abbastanza accurate delle fasi fenologiche delle principali specie. Ingh<strong>il</strong>terra, Svezia,<br />
Germania e Francia erano le nazioni più organizzate, ma anche l'Italia disponeva di queste<br />
informazioni. Tra <strong>il</strong> 1880 e <strong>il</strong> 1890 vennero pubblicati numerosi importanti lavori di fenologia.<br />
Il tedesco Hoffmann calcolò l'arrivo della primavera (Apr<strong>il</strong>bliihten) <strong>per</strong> l'intera Europa, <strong>il</strong><br />
francese Angot determinò la distribuzione di alcuni fenomeni fenologici in base alla latitudine<br />
e lo svedese Hult, <strong>per</strong> primo, definì con una certa precisione <strong>il</strong> rapporto tra gli eventi<br />
meteorici e l'andamento dei fenomeni fenologici.<br />
La nascita dei <strong>Giardini</strong> fenologici, almeno nel significato mederno del termine, è<br />
avventa intorno al 1953. In quell'anno Erik Volkert, presidente dello Hannoversh Munden<br />
Lehrforstandt, ebbe l'idea di allestire dei <strong>Giardini</strong> fenologici.<br />
2 GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI<br />
All'idea di Volkert credette <strong>il</strong> Prof. Schnelle, con <strong>il</strong> quale nel 1957, con la<br />
pubblicazione «Suggestion for the establishment of international phenological gardens as a<br />
station in a network for International Phenological observations», diede l'avvio ufficiale alla<br />
rete dei <strong>Giardini</strong> Fenologici Internazionali (IPG)<br />
L'obbiettivo principale fu quello di indagare sull'importanza e gli effetti del clima<br />
sullo sv<strong>il</strong>uppo delle piante con l'unica variante, al1'inizio, della differenza di latitudine delle<br />
varie stazioni.<br />
Il primo Giardino fu quello di Offenbach, cittadina dell'Assia situata sulle sponde del<br />
fiume Meno, nel quale, nel 1959, vennero iniziati anche i primi r<strong>il</strong>ievi fenologici.<br />
Con la successiva diffusione dei <strong>Giardini</strong>, l'IPG si organizzò negli anni seguenti a fare<br />
in modo che fossero disponib<strong>il</strong>i, <strong>per</strong> tutti, esemplari clonati dalle stesse piante madri. A questo<br />
compito si dedicò dapprima l'Istituto di Genetica Forestale di Wachtersbach, presieduto dal<br />
Dott. Hertmuller, che nel 1964 iniziò la distribuzione, poi l'Istituto Forestale di Bassa Sassonia<br />
9
presieduto dal Dott. Frohlich, che sempre nel 1964 creò due cloni di Picea abies, uno precoce<br />
e uno tardivo. Dal 1964 <strong>il</strong> centro di Wachtersbach divenne l'unico autorizzato a produrre i<br />
cloni <strong>per</strong> l'IPG.<br />
Successivamente anche l'Istituto di Hannoversh-Munden e di Escherade<br />
parteciparono attivamente alla propagazione delle piante.<br />
Completata la prima fase, i <strong>Giardini</strong> fenologici presero piede anche in altre nazioni<br />
oltre alla Germania: Regno Unito, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Austria e Jugoslavia<br />
furono tra le più attive.<br />
Nel 1967 vennero pubblicate <strong>per</strong> la prima volta le osservazioni fenologiche fino ad<br />
allora compiute (i primi 9 anni), dalla rivista Arboreta Phaenologica, organo ufficiale dell'IPG.<br />
Nel 1973 <strong>il</strong> fondatore Volkert cessò di fatto la collaborazione attiva nella propagazione<br />
delle piante, e tutta l'attività venne trasferita all'Istituto di Schmalenbech, <strong>nei</strong> pressi di<br />
Amburgo. Con <strong>il</strong> passaggio di tale settore a questo centro, l'attività ebbe un nuovo slancio,<br />
rendendo possib<strong>il</strong>e la nascita di nuovi <strong>Giardini</strong>. Verso la fine del 1978 si raggiunse infatti <strong>il</strong> più<br />
alto numero di <strong>Giardini</strong> fenologici attivi (poco più di 60). Da quella data le cose cambiarono,<br />
anche se molto lentamente, e pur con nuove adesioni, i <strong>Giardini</strong> calarono come numero. Nel<br />
1981 chiuse ad esempio <strong>il</strong> Giardino di Londra.<br />
Nel 1983 vennero comunque festeggiati i 25 anni di osservazioni ininterrotte, e su<br />
Arboreta Phaenologica comparve un dettagliato resoconto della situazione e l'evoluzione dei<br />
<strong>Giardini</strong>. Tre anni più tardi si svolse a Vienna <strong>il</strong> Simposio Internazionale di Fenologia, durante<br />
<strong>il</strong> quale si discusse delle attività svolte e, soprattutto, dei programmi futuri. Era ormai chiaro<br />
che la vecchia impostazione data dai fondatori, non soddisfava più le diverse esigenze, ed<br />
anche grazie al Prof. Helmut Lieth, si iniziò a ridiscutere le vigenti norme.<br />
Lieth divenne poi anche l'erede ufficiale della parte scientifica dell'attività al<br />
momento della morte del Dott. Schnelle, avvenuta nel luglio del 1990. Per <strong>il</strong> settore tecnicoscientifico<br />
invece era, e rimane tutt'oggi quale punto di riferimento, la Dott.ssa Erika Fritag di<br />
Offenbach.<br />
Attualmente la Rete dei <strong>Giardini</strong> fenologici Internazionale conta circa 50 <strong>Giardini</strong> attivi<br />
e 4 o 5 in via di completamento, anche se, causa la guerra in corso, quelli dell'ex-Jugoslavia da<br />
tempo non inviano regolari informazioni (tabella 1)<br />
3 GESTIONE DEI GIARDINI FENOLOGICI INTERNAZIONALI<br />
I <strong>Giardini</strong> fenologici della rete IPG non si differenziano di molto da quelli italiani,<br />
salvo <strong>per</strong> alcune norme molto rigide riguardanti la gestione del giardino ed, ovviamente, <strong>per</strong> le<br />
diverse specie presenti.<br />
3.1 SPECIE INDICATRICI<br />
Molte delle specie consigliate dall'IPG sono in realtà comuni anche <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong><br />
italiani, anche se di diversa provenienza ed origine. Altre invece, come si può notare<br />
dall'elenco che segue, sono tipiche delle regioni centro-settentrionali dell'Europa.<br />
Larix decidua; Pinus sylvestris; Picea abies, Ribes alpinum, Salix acutifolia, aurita,<br />
glauca, smithiana, viminalis; Sambucus nigra; Betula pubescens; Fagus sylvatica, Populus<br />
canescens, tremula; Prunus avium; Quercus robur; Robinia pseudoacacia; Sorbus aucuparia;<br />
T<strong>il</strong>ia cordata.<br />
lO
Normalmente <strong>nei</strong> diversi <strong>Giardini</strong> non compaiono tutte le specie consigliate, ma solo<br />
alcune, anche <strong>per</strong>chè in questi ultimi anni le difficoltà dell'IPG a consegnare cloni, ha<br />
provocato una riduzione del numero di nuovi impianti.<br />
3.2 NORME PER LA GESTIONE E IL RILEVAMENTO<br />
Le norme previstedall'IPG <strong>per</strong> la gestione dei <strong>Giardini</strong>, sono come detto scarse e<br />
molto rigide. Le specie indicatrici devono ad esempio essere piantate a tre metri di distanza le<br />
une dalle altre, ed essere presenti in almeno tre esemplari ciascune. Il terreno deve essere<br />
mantenuto a prato rasato, tranne la zona circostante le piante che va lavorata.<br />
Concimazioni, irrigazioni, potature, trattamenti antiparassitari ed ogni qualsiasi altra<br />
cura colturale, non vanno eseguite. Unica precauzione, due ispezioni all'anno <strong>per</strong> verificare gli<br />
eventuali danni provocati da avversità atmosferiche o da potogeni.<br />
Anche le osservazioni fenologiche non sono particolarmente accurate; <strong>il</strong> programma di<br />
minima prevede infatti la registrazione di sole 2 o 3 fasi fenologiche, <strong>per</strong> specie, durante<br />
l'intera stagione (figure 2 e 3). La scheda proposta da Schnelle e Volkert nel 1964,<br />
normalmente adottata, propone 6 fasi: apparizione foglie; inizio fioritura; piena fioritura; primi<br />
frutti maturi; foglie completamente ingiallite; foglie completamente cadute. Nulla vieta <strong>per</strong>ò,<br />
a seconda delle esigenze locali, la possib<strong>il</strong>ità di integrarle con altre osservazioni.<br />
11
BIBLIOGRAFIA<br />
Arboreta Phaenologica. Informotion of tlle working group of Intemotionol Pllenologicol Gordens,<br />
Hann. Munden and Offenbach.<br />
Ferrari C. 1886. I fenomeni <strong>per</strong>iodici dello vegetozione, secondo i più recenti studi, Roma, Nuova<br />
Antologia, VoI. II, Fase. VIII.<br />
Malossini A. 1993. Lo fiorituro d'opr<strong>il</strong>e. Bologna, AER, n. 4, Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna.<br />
Mandrioli P.; Malossini A.; Negrini M.G.; Ventre A. 1982. Fenologio e Agricolturo - Lo stozione<br />
<strong>fenologico</strong> di S. Pietro Copofiume, Bologna, Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna.<br />
Marcello A. 1957. Lezioni di Geobotonico e Fenologio, Venezia.<br />
Reamur R.A.F. 1735. Thermometric obserootions mode ot Poris during the yeor 1735, compored to to<br />
tbose mode below the Equotor on tlle Isle Mouritius, otAlgiers ond on o few ofour Ammcon islond,<br />
Paris, Memories Acad. Sci.<br />
Schnelle F. 1955. Plont phenology - Problems in Bioclimotology, VoI. 3 Leipzig, E. Germany.<br />
Schnelle F.; Volkert E. 1957. Suggestion for the estoblishment of intemotionol phenologicol gordens<br />
os o stotion in o network for Intemotionol Phenologicol obserootions, Meteorologische<br />
Rundschau, 10: 130-133.<br />
Schnelle F.; Volkert E. 1964. Intemotionole Phonologische Gorten, Agric. Met. 1:22-29.<br />
15
1<br />
III<br />
I GIARDINI FENOLOGICI ITALIANI<br />
Andrea Malossinio, Gaddo Cavenago Bignam<strong>il</strong>, Aldo Colett<strong>il</strong>, Tommaso Ristori 2 ,<br />
Valeria SacchettiO, Donatella Span0 3<br />
°Seroi:uo ProduRioni ogricole, Assessoroto Agricoll'llro, Regione Em<strong>il</strong>io-Romogno<br />
lEnte Regionele di Sv<strong>il</strong>uppo Agricolo del Veneto, 2lst<strong>il</strong>'llto lATA, Consiglio No:uonole delle Ricerche, Firmu<br />
3lstituto di Coltivo:uoni orbo"e, Università di Sossori<br />
INTRODUZIONE<br />
Benché l'Italia abbia una buona tradizione nel campo della fenologia, la costituzione di<br />
<strong>Giardini</strong> fenologici nel nostro paese è un fatto abbastanza recente, almeno nel significato<br />
corrente del termine. II primo Giardino fu infatti costituito verso la fine del 1982. In quel<br />
<strong>per</strong>iodo, con lo sv<strong>il</strong>uppo delle discipline legate all'agrometeorologia, vennero avviati in Em<strong>il</strong>ia<br />
Romagna numerosi programmi di collaborazione tra le Amministrazioni locali ed Enti di<br />
ricerca. Uno di questi, stipulato tra l'Assessorato Agricoltura della Regione e l'Istituto Fisbat<br />
del Consiglio Nazionale delle Ricerche, prevedeva la costituzione di una Stazione fenologica.<br />
I primi passi vennero mossi cercando di seguire le indicazioni dettate dall'International<br />
Phenological Garden (IPG), allora da oltre vent'anni impegnata in questa attività. Le rigide<br />
norme fissate da questo organismo, riguardo la gestione dei <strong>Giardini</strong>, crearono ben presto<br />
numerosi problemi al primo Giardino italiano, tanto che, parzialmente in contrasto con l'IPG,<br />
<strong>il</strong> Giardino costituito a San Pietro Capofiume fu costretto ad adattarle alla situazione locale,<br />
caratterizzata da un'agricoltura intensiva ed un clima certamente più favorevole all'insorgenza<br />
di fitopatie di quelli dell'Europa centro-settentrionale. II primo gruppo di piante fu allora di<br />
provenienza locale, ben presto integrato dai cloni inviati dall'IPG.<br />
Completata la fase preparatoria, durante la quale al Giardino venne affiancata una<br />
stazione meteorologica automatica, incominciarono i primi r<strong>il</strong>ievi fenologici. Ut<strong>il</strong>izzando<br />
schede di r<strong>il</strong>evamento direttamente derivate da quelle proposte da Valenziano <strong>per</strong> le fasi<br />
generali e Marcello <strong>per</strong> la fioritura, a partire dal 1989 le osservazioni divennero regolari.<br />
Pochi anni dopo l'es<strong>per</strong>ienza di San Pietro Capofiume, precisamente nel 1985, anche<br />
l'Istituto di Coltivazioni Arboree dell'Università di Sassari avviò un'es<strong>per</strong>ienza sim<strong>il</strong>e,<br />
costituendo, vicino ad Oristano, <strong>il</strong> secondo Giardino italiano. Questo Giardino, come del resto<br />
quelli creati successivamente, non poté beneficiare della fornitura di cloni da parte dell'IPG,<br />
già in quegli anni in notevole difficoltà e optò dunque <strong>per</strong> piante di provenienza quasi<br />
esclusivamente locale.<br />
Nel 1989 l'Ente Regionale di Sv<strong>il</strong>uppo Agricolo del Veneto costituì, <strong>nei</strong> pressi di<br />
Mogliano, <strong>il</strong> terzo Giardino <strong>fenologico</strong> italiano. In origine <strong>il</strong> Giardino veneto si dedicò<br />
principalmente allo studio della fenologia delle specie frutticole; successivamente, <strong>per</strong><br />
consentire un migliore collegamento con l'impostazione dell'IPG e con quella dei <strong>Giardini</strong><br />
italiani, vennero sostituite numerose piante frutticole con specie arboree ed arbustive di<br />
interesse locale.<br />
Nel 1992 infine, a sud di Firenze, l'Istituto lATA del CNR fondò <strong>il</strong> quarto Giardino<br />
della serie.<br />
17
3 GIARDINO DI SAN PIETRO CAPOFIUME<br />
Istituto responsab<strong>il</strong>e:<br />
Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna, Assessorato Agricoltura, Servizio Produzioni agricole, viale Aldo<br />
Moro 38,40127 Bologna BO.<br />
Referente:<br />
Per. Agr. Andrea Malossini<br />
R<strong>il</strong>evatore:<br />
Ec. Diet. Valeria Sacchetti<br />
Indirizzo:<br />
Base Meteorologica regionale "Giorgio Fea", Via Idice Abbandonato 20, 40062 San Pietro<br />
Capofiume, Molinella, Bologna.<br />
Dati geografici:<br />
latitudine 44 0 39' 17" N longitudine 110 37' 25" E altitudine 10m<br />
Situazione geografica:<br />
Il giardino è situato nella zona centrale della Pianura padana orientale e <strong>il</strong> clima presenta<br />
caratteristiche di tipo continentale. Si trova a circa 30 km a nord-est dall'inizio dell'Appennino<br />
tosco-em<strong>il</strong>iano e a circa 60 km a nord-est del crinale appenninico centro-settentrionale.<br />
Suolo:<br />
Terreno di origine alluvionale, limo-arg<strong>il</strong>loso e sabbioso con caratteristiche basiche (pH 8).<br />
Disponib<strong>il</strong>ità idrica:<br />
Precipitazione media annua di 650 mm, esiste <strong>per</strong> <strong>il</strong> vivaio un impianto di irrigazione a goccia.<br />
Sesto d'impianto:<br />
Le piante sono disposte su sette f<strong>il</strong>ari di circa 100 m di lunghezza ciascuno, distanziati tra di<br />
loro da un minimo di 3 m a un massimo di 5 m. La distanza lungo le f<strong>il</strong>e varia da un minimo di<br />
3 m ad un massimo di 6 m.<br />
Specie presenti<br />
n. specie<br />
1 Betula pubescens Ehrh.<br />
4 Cornus mas L.<br />
3 Cornus sanguinea L.<br />
4 Corylus avellana L.<br />
3 <strong>Cra</strong>taegus monogyna Jacq.<br />
2 Cytisus scoparius L.<br />
4 Fagus sylvatica L.<br />
3 Laburnum anagyroides L.<br />
2 Larix decidua L.<br />
4 Ligustrum vulgare L.<br />
6 Picea abies Link.<br />
8 Pinus sylvestris L.<br />
3 Populus canescens Aiton<br />
3 Populus tremula L.<br />
4 Prunus avium L.<br />
4 Prunus cerasifera Ehrh.<br />
3 Quercus robur L.<br />
5 Ribes alpinum L.<br />
3 Robinia pseudoacacia L.<br />
3 Salix acutifolia W<strong>il</strong>ld.<br />
1 Salix caprea L.<br />
3 Salix smithiana W<strong>il</strong>ld.<br />
19<br />
n. specie<br />
5 Salix viminalis L.<br />
3 Sambucus nigra L ..<br />
5 Sorbus aucuparia L.<br />
3 Spartium junceum L.<br />
4 T<strong>il</strong>ia cordata M<strong>il</strong>l.<br />
2 Albicocchi cv Precoce d'Imola<br />
2 Albicocchi cv Reale d'Imola<br />
2 Albicocchi cv Boccuccia<br />
1 C<strong>il</strong>iegio acido cv Montmorency<br />
1 C<strong>il</strong>iegio dolce cv Bigarreau Moreau<br />
4 Meli cv Golden delicious B<br />
2 Meli cv Red delicious<br />
2 Meli cv Florina<br />
2 Peri cv Conference<br />
3 Peri cv W<strong>il</strong>liam<br />
2 Peri cv Abate Fetel<br />
2 Peschi cv Redhaven<br />
1 Pesco cv Stark red gold<br />
2 Susini cv Shiro<br />
2 Susini cv Bluefre<br />
3 Vite v. Fortana nera<br />
3 Vite v. Trebbiano Romagnolo
4 GIARDINO DI FENOSU<br />
Istituto responsab<strong>il</strong>e:<br />
Università degli Studi di Sassari, Istituto di Coltivazioni Arboree, Via De Nicola 1, Sassari, SS.<br />
Referente:<br />
Dott.ssa Donatella Spano<br />
Indirizzo:<br />
Azienda s<strong>per</strong>imentale dell'Istituto di Coltivazioni Arboree, Università degli Studi di Sassari,<br />
Fenosu, Oristano.<br />
Dati geografici:<br />
latitudine 39°53'42" N<br />
longitudine 08°37'01" E<br />
altitudine Il m<br />
Situazione geografica:<br />
Il giardino è situato nella pianura del Campidano di Oristano e <strong>il</strong> clima presenta caratteristiche<br />
di tipo tem<strong>per</strong>ato-caldo.<br />
Suolo:<br />
Terreno di origine alluvionale, caratterizzato da un prof<strong>il</strong>o i cui i primi 30 cm mostrano una<br />
tessitura franco-sabbiosa, mentre i successivi (30-60 cm), franco-sabbioso-arg<strong>il</strong>loso, (pH 7,48).<br />
Disponib<strong>il</strong>ità idrica:<br />
L'irrigazione avviene <strong>per</strong> inf<strong>il</strong>trazione.<br />
Sesto d'impianto:<br />
Le piante sono disposte su sette f<strong>il</strong>ari, distanziati tra di loro da un minimo di 4 m ad un<br />
massimo di 8 m. La distanza lungo le f<strong>il</strong>e varia da un minimo di 4 m ad un massimo di 8 m.<br />
Specie presenti:<br />
n. specie<br />
1 Aesculus hippocastanum L.<br />
3 Arbutus unedo L.<br />
4 Cassia tomentosa L.<br />
4 Celtis australis L.<br />
4 Cercis s<strong>il</strong>iquastrum L.<br />
2 Ilex aquifolium L.<br />
1 Juglans nigra L.<br />
4 Myrtus communis L.<br />
4 Olea europea L.<br />
4 Pistacia lentiscus L.<br />
4 Populus tremula L.<br />
4 Quercus <strong>il</strong>ex L.<br />
4 Robinia pseudoacacia L.<br />
4 Salix bab<strong>il</strong>onica x alba<br />
1 Sambucus nigra L.<br />
2 Spartium junceum L.<br />
4 T<strong>il</strong>ia cordata M<strong>il</strong>ler<br />
4 Yacaranda mimosaefolia D.Don. (Y. ovalifolia R.Br.)<br />
20
5 GIARDINO DI BONISIOLO<br />
Istituto responsab<strong>il</strong>e:<br />
Ente Regionale di Sv<strong>il</strong>uppo Agricolo del Veneto, Settore Assistenza Tecnica Specialistica, via<br />
Uruguay 45, Padova PD.<br />
Referente:<br />
Dott. Gaddo Cavenago Bignami<br />
R<strong>il</strong>evatore:<br />
Per. Agr. Aldo Coletti<br />
Indirizzo:<br />
Azienda "Diana" ESA V Veneto, Via Altinia 14, Bonisiolo di Mogliano Veneto, TV<br />
Dati geografici:<br />
latitudine 45° 34' 54" N<br />
longitudine 12° 18' 29" E<br />
altitudine 8 m<br />
Situazione geografica:<br />
Il Giardino è situato nella pianura del Veneto orientale, a circa 15 km a est di Venezia, <strong>il</strong> clima<br />
presenta caretteristiche di tipo continentale.<br />
Suolo:<br />
Terreno arg<strong>il</strong>loso-limoso, ben drenato (pH 8).<br />
Disponib<strong>il</strong>ità idrica:<br />
Precipitazione media annua di 900 mm.<br />
Disponib<strong>il</strong>ità impianto irriguo.<br />
Sesto d'impianto:<br />
Le piante sono disposte in quinconce in sette f<strong>il</strong>ari di circa 100 m di lunghezza, distanziati tra<br />
di loro di 6 m. La distanza lungo le f<strong>il</strong>e varia da un minimo di 3 m ad un massimo di 6 m.<br />
Specie presenti:<br />
n. specIe<br />
3 Acer campestre L<br />
4 Alnus incana L.<br />
4 Betula pubescens Ehrh.<br />
4 Carpinus betulus L.<br />
5 Celtis australis L.<br />
4 Comus mas L.<br />
4 Corylus avellana L.<br />
4 <strong>Cra</strong>taegus monogyna Jacq.<br />
4 Fagus sylvatica L.<br />
6 Fraxinus sp.<br />
4 Labumum anagyroides L<br />
4 Morus sp.<br />
4 Platanus sp.<br />
5 Prunus avium L.<br />
3 Quercus <strong>il</strong>ex L.<br />
4 Quercus pubescens L.<br />
5 Quercus robur L.<br />
4 Salix alba L.<br />
4 Sorbus aucuparia L.<br />
4 T<strong>il</strong>ia platyph<strong>il</strong>los Scopo<br />
21<br />
n. specIe<br />
2 Albicocchi cv San Castrese<br />
2 C<strong>il</strong>iegi cv Sunburst<br />
2 C<strong>il</strong>iegi cv New Star<br />
2 C<strong>il</strong>iegi cv Van<br />
lO Meli cv Golden delicious<br />
4 Meli cv Ozark gold<br />
3 Meli cv Renetta grigia<br />
lO Meli cv Red Chief<br />
6 Meli cv Summerred<br />
3 Meli cv Granny Smith<br />
1 Pero cv Conference<br />
8 Peri cv W<strong>il</strong>liam<br />
2 Peri cv Passa <strong>Cra</strong>ssana<br />
3 Peschi cv Redhaven bianco<br />
9 Peschi cv Flavorcrest<br />
4 Peschi cv Suncrest<br />
1 Pesco cv K2<br />
16 Peschi cv Springlady<br />
3 Susini cv Florencia<br />
9 Susini cv Burbank
6 GIARDINO DI MONTEPALDI<br />
Istituto responsab<strong>il</strong>e:<br />
Istituto I.A.T.A. Consiglio Nazionale delle Ricerche, Piazzale Cascine 18,50144 Firenze FI.<br />
Referente:<br />
Dott Tommaso Ristori.<br />
Indirizzo:<br />
Università di Firenze, Facoltà di Agraria, Azienda Agricola "Montepaldi'\ San Casciano Val di<br />
Pesa, Firenze.<br />
Dati geografici:<br />
latitudine 43 0 40'16" N<br />
longitudine 11 0 09'08" E<br />
altitudine 250/270 m<br />
Situazione geografica:<br />
Il giardino è situato nella fascia collinare a sud di Firenze e <strong>il</strong> clima presenta caratteristiche di<br />
tipo continentale. Si trova a circa 30 km a ovest dal crinale dell'Appennino tosco-em<strong>il</strong>iano e a<br />
circa 70 km a est del mare Tirreno.<br />
Suolo:<br />
arg<strong>il</strong>loso, ricco di scheletro.<br />
Disponib<strong>il</strong>ità idrica:<br />
Precipitazione media annua di 850 mm, disponib<strong>il</strong>ità di un impianto di irrigazione.<br />
Sesto d'impianto:<br />
Le piante sono disposte su f<strong>il</strong>ari di lunghezza variab<strong>il</strong>e. La distanza lungo le f<strong>il</strong>e e tra le f<strong>il</strong>e<br />
varia dai 3 m ai 6 m. 3 m <strong>per</strong> le specie arbustive e 6 m <strong>per</strong> quelle arboree.<br />
Specie presenti:<br />
n. specie<br />
5 Alnus glutinosa L.<br />
5 Cistus salvifoli us L.<br />
5 Comus mas L<br />
5 Cytisus scoparius L.<br />
5 Eriobotrya japonica LindI.<br />
5 Juni<strong>per</strong>us communis L.<br />
5 Prunus avium L.<br />
5 Prunus spinosa L.<br />
5 Robinia pseudoacacia L.<br />
5 Spartium junceum L.<br />
5 Syringa <strong>per</strong>sica L.<br />
5 Syringa vulgaris L.<br />
5 T<strong>il</strong>ia cordata M<strong>il</strong>ler.<br />
5 Ulex europaeus L.<br />
22
7 SPECIE INDICATRICI<br />
Per i <strong>Giardini</strong> fenologici italiani, come appare evidente dalle specie presenti, non<br />
esisteva un elenco comune di piante indicatrici, ed <strong>il</strong> materiale disponib<strong>il</strong>e non deriva, come<br />
dovrebbe, da materiale ottenuto <strong>per</strong> propagazione vegetati va dalle stesse piante madri.<br />
Per questo motivo <strong>il</strong> Gruppo di lavoro si è attivato <strong>per</strong> poter stab<strong>il</strong>ire, in tempi brevi,<br />
l'elenco delle specie da ut<strong>il</strong>izzare in questi casi.<br />
In realtà gli elenchi predisposti sono diventati tre: <strong>il</strong> primo indicante le specie comuni a<br />
tutti i <strong>Giardini</strong> e ottenute dalle piante madri conservate a San Pietro Capofiume <strong>per</strong><br />
propagazione vegetati va; <strong>il</strong> secondo indicante le specie comuni a tutti i <strong>Giardini</strong>, ma re<strong>per</strong>ite<br />
in loco e <strong>per</strong>ciò non provenienti da una stessa pianta madre; <strong>il</strong> terzo elenco, o meglio una terza<br />
possib<strong>il</strong>ità, comprendente tutte quelle piante che, <strong>per</strong> interesse locale o <strong>per</strong> altro motivo,<br />
possono essere messe a dimora <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong> italiani.<br />
Del primo elenco fanno parte le seguenti specie: GrotoegtlS monogyno, Gory/ui avellono,<br />
Ligustrom vu/gore, Robinio pseudoococio, SombUCIIS nigro, Solix ocutifo/io, So/ix smithiono e So/ix<br />
f)imino/is.<br />
Le tre diverse specie di salice, derivate dalle piante madri conservate in Germania<br />
dall'LP. G., consentiranno <strong>il</strong> collegamento con la Rete fenologica internazionale.<br />
Il secondo elenco è composto da: Gomus mos, Gomus songuineo, Popu/us conescens,<br />
Pronus avium, Spottium junceum e Ti/io cordoto.<br />
Del terzo elenco fanno parte tutte le specie non comprese <strong>nei</strong> primi due.<br />
Per maggior completezza, di seguito, sono allegate delle schede sintetiche sulle<br />
principali caratteristiche morfologiche delle specie comprese <strong>nei</strong> due primi elenchi.<br />
DESCRIZIONE DELLE PRINCIPALI SPECIE INDICATRICI<br />
Salix acutifolia W<strong>il</strong>ld.<br />
Famiglia Salicaceae<br />
Fiorisce tra marzo e apr<strong>il</strong>e, prima della fogliazione.<br />
Arbusto dioico di grosse dimensioni o, raramente, albero.<br />
Foglie lunghe 6-15 cm, 5 volte più lunghe che larghe, lanceolate o lineari-Ianceolate,<br />
acuminate, serrate; grigio chiaro e lucide su<strong>per</strong>iormente, opache grigio-verdi e pallide<br />
inferiormente. Picciolo lungo circa 15 mm. Stipole lanceolate, acuminate e serrate.<br />
Gli amenti sono co<strong>per</strong>ti da una lunga e lucente peluria biancastra, prima della fioritura;<br />
peduncolo corto.<br />
Salix smithiana W<strong>il</strong>ld. (Salix X dasyclados Wimm.) (Salix viminalis X caprea)<br />
Famiglia Salicaceae<br />
Fiorisce tra marzo e apr<strong>il</strong>e, prima della fogliazione.<br />
Arbusto o piccolo albero (4-6 m) dioico, a rami fittamente bianco-pubescenti, glabri e bruno<br />
scuri a maturità.<br />
Foglie lanceolate, lunghe 13-25 cm, a margine debolmente revoluto, crenulato o crenulatodentato,<br />
di sopra glabre o glabrescenti, sulla pagina inferiore dapprima pubescenti, infine<br />
glabre. Picciolo lungo circa l/IO del lembo.<br />
Amenti c<strong>il</strong>indrici, lunghi 4-5 cm, bianco v<strong>il</strong>losi, provvisti di peduncoli con 2-4 foglie. Brattee<br />
ovali o largamente lanceolate, bicolori, brunastre, più scure all'apice. Fiori masch<strong>il</strong>i e<br />
femmin<strong>il</strong>i con un solo nettario. F<strong>il</strong>amenti glabri. Capsula ovale, lunga fino a 4 mm,<br />
brevemente stipitata, densamente bianco-pubescente.<br />
Preferisce i terreni sabbiosi lungo le sponde dei corsi d'acqua di pianura.<br />
23
Salix viminalis L.<br />
Vimine, Vetrice<br />
Famiglia Salicaceae<br />
E' diffuso in pianura e prima collina, raramente fino ai 1500 m.<br />
Vigoroso arbusto (2-10 m), dioico, a rami allungati, grigio pubescenti, poi glabri, opachi, giallo<br />
verdastri o bruno grigiastri, a corteccia internamente verde. Foglie lineari o lineari-Ianceolate<br />
ovvero strettamente lineari, lunghe fino a 15 cm, 8-18 volte più lunghe che larghe, attenuate<br />
all'apice, cuneate alla base, a margine revoluto, intero od oscuramente sinuato-dentato, di<br />
sopra verdi scure, inferiormente bianco sericee. Picciolo lungo fino a 1 cm, pubescente.<br />
Amenti pittosto tozzi, con peduncolo densamente pubescente, provvisto di qualche foglia, i<br />
masch<strong>il</strong>i lunghi 3-3,5 cm, eretti, i femmin<strong>il</strong>i lunghi 3 cm, più o meno arcuati, densiflori.<br />
Brattee ovali, bicolori, bruno scure all'apice, più chiare in basso, lungamente grigio-v<strong>il</strong>lose.<br />
Stami a f<strong>il</strong>amenti lunghi fino a 3 volte la brattea, glabri; antere gialle. Capsula ovoidale, sess<strong>il</strong>e,<br />
lunga fino a 5-6 mm, fittamente pubescente. St<strong>il</strong>o lungo più della metà dell'ovario.<br />
Pred<strong>il</strong>ige terreni umidi e inondati.<br />
Populus canescens Aiton<br />
Pioppo canescente<br />
Famiglia Salicaceae<br />
Albero caducifoglio alto fino a 20 m; corteccia dapprima liscia, di colore grigio verdognolo o<br />
bruno verdognolo, poi screpolata. Foglie di 3-8 cm, rotondeggianti, con margine sinuato<br />
dentato, di colore grigio-tomentose di sotto; picciolo cmpresso. Le foglie dei polloni sono di<br />
forma triangolare-ovata.<br />
Specie dioica; fiori disposti in amenti. Bratte fiorali lacinate. Amenti fruttiferi lunghi fino a 12<br />
cm. I frutti sono piccole capsule che contengono numerosi semi lungamente pelosi.<br />
Fiorisce da marzo a maggio e fruttifica da maggio a luglio.<br />
Diffuso in montagna e collina, localmente anche in pianura.<br />
Eliof<strong>il</strong>o, tollera <strong>per</strong>ò l'ombra. Preferisce un clima tem<strong>per</strong>ato, fresco e umido.<br />
Assai frugale, si adatta a terreni poveri, con umidità stagnante, ma mal tollera la presenza di<br />
calcare.<br />
Sporadico, cresce <strong>nei</strong> boschi misti con carpino, castagno, frassino e salice.<br />
Si propaga <strong>per</strong> seme <strong>per</strong> polloni radica ti, mentre diffic<strong>il</strong>e è la propagazione <strong>per</strong> talea, salvo<br />
l'applicazione di metodi specifici, con l'impiego di ormoni.<br />
Corylus avellana L.<br />
Nocciolo<br />
Famiglia Corylaceae<br />
Fiorisce tra gennaio e marzo e fruttifica tra agosto e settembre.<br />
Diffuso nella fascia collinare e in quella montana inferiore (O - 1700 m)<br />
Arbusto o alberello a foglie caduche alto fino a 6-8 m. Corteccia liscia di colore bruno-grigio,<br />
lucida, cosparsa da macchie più chiare.<br />
Gemme ellittiche, glabre, verdi; foglie quasi orbicolari, acuminate, doppiamente seghettate,<br />
cordate alla base, a volte vagamente lobate;<br />
Specie monoica; fiori masch<strong>il</strong>i raggruppati in amenti penduIi, lunghi fino a 8 cm: fiori<br />
femmin<strong>il</strong>i piccoli, nascosti nelle gemme e mostranti al momento della fioritura solo gli stimmi,<br />
che sono sim<strong>il</strong>i a peluzzi rossi o violacei.<br />
L'infruttescenza è composta da 1 a 4 noci di 1,5 - 2 cm ciascuna, quasi completamente avvolte<br />
da 2 brattee fogliacee pubescenti e sfrangiate. Specie mediamente lucivaga, abbastanza<br />
frugale: adattab<strong>il</strong>e al substrato, preferisce comunque terreni profondi e sciolti, rifuggendo da<br />
quelli troppo compatti.<br />
Il Nocciolo si trova al margine o dentro boschi di diverso tipo della fascia collinare,<br />
submontana e montana. Si propaga <strong>per</strong> seme o <strong>per</strong> polloni radicati.<br />
24
<strong>Cra</strong>taegus monogyna J a.cq.<br />
Biancospino<br />
Famiglia Rosaceae<br />
Fiorisce tra maggio e giugno e fruttifica in estate.<br />
E' diffuso sia in pianura che in collina.<br />
Arbusto spinoso o piccolo albero, alto fino a 6 m, con chioma espansa ed intricata: rami giovani<br />
scuri, glabri, con spine acute alla base dei rami abbreviati.<br />
Foglie alterne (o quasi opposte), su es<strong>il</strong>e picciolo lungo 2-3 cm, a lamina coriacea lunga 3-5 cm,<br />
romboidale e profondamente lobata a 3-5 (7) lobi, a margine sinuoso-crenato o<br />
grossolanamente dentato.<br />
Infiorescenza ad ombrella con peduncoli dritti, verdi: calice campanulato con 5 brevi e sott<strong>il</strong>i<br />
denti: corolla con 5 petali bianchi e subrotondi; 20 stami ed l st<strong>il</strong>o.<br />
Frutto ovale o globoso, di 6-9 mm di diametro, rosso e ceroso, con polpa farinosa ed un solo<br />
seme giallo.<br />
Specie frugale, eliof<strong>il</strong>a e moderatamente xerof<strong>il</strong>a, <strong>il</strong> Biancospino si trova in siepi e boschi<br />
luminosi; prende parte ai cespuglieti di ricostituzione dei boschi a Querce caducifoglie.<br />
Prunus avium L.<br />
C<strong>il</strong>iegio selvatico<br />
Famiglia Rosaceae<br />
Fiorisce tra marzo ed apr<strong>il</strong>e e fruttifica tra giugno e luglio. E' spontaneo in montagna e collina,<br />
coltivato in pianura.<br />
Albero alto fino a 30 m, con tronco eretto, c<strong>il</strong>indrico e rami che formano una chioma<br />
piramidale e rada. La corteccia, rosso-bruna a maturità, si distacca in strisce orizzontali.<br />
Le foglie, i fiori ed i frutti, sono portati all'apice da rametti laterali con internodi raccorciati<br />
(brachiblasti).<br />
Le foglie, alterne e lungamente picciolate, sono a lamina, da ovato-oblunga ad obovata (12-15<br />
x 5-7 cm), cuneata alla base ed a margini doppiamente dentati; verde scuro, glabre<br />
su<strong>per</strong>iormente e più o meno pelose, chiare, sulla pagina inferiore.<br />
Fiori ermafroditi con lungo peduncolo e riuniti in gruppi da 2 a 6; i 5 petali sono bianchi,<br />
rotondato-smarginati.<br />
Il frutto (drupa) è globoso, rosso scuro o nero-purpureo a maturità, lucido, dolce, con epicarpo<br />
aderente alla polpa ed endocarpo (nocciolo) globoso e liscio.<br />
Spartium junceum L.<br />
Ginestra odorosa<br />
Famiglia Leguminosae<br />
Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica tra agosto e settembre. E' diffuso nella bassa e media<br />
collina.<br />
Arbusto inerme, alto 0,5-3 m, con rami eretti giunchiformi e rametti c<strong>il</strong>indrici verdi; le foglie<br />
precocemente caduche, sono rade, opposte e subsess<strong>il</strong>i, Iineari-lanceolate.<br />
Fiori grandi (lunghi circa 20 mm) in radi racemi terminali; calice verde, piccolo e corolla<br />
pap<strong>il</strong>ionacea giallo-br<strong>il</strong>lante; <strong>il</strong> vess<strong>il</strong>lo è subrotondo con ali ristrette aderenti alla carena, che è<br />
sott<strong>il</strong>e ed acuminata; stami 10, concresciuti fino a 2/3 attorno allo st<strong>il</strong>o, che è peloso alla base.<br />
Il legume è eretto, leggermente falciforme, lungo 4-8 cm e largo 5-7 mm, compresso, peloso<br />
<strong>per</strong> peli sericei, quasi nero a maturità, semi da 10 a 14.<br />
Specie decisamente eliof<strong>il</strong>a e xerof<strong>il</strong>a, forma densi popolamenti nelle basse e medie colline,<br />
anche su suolo arg<strong>il</strong>loso; entra a far parte, in stazioni particolarmente aride e su suolo povero,<br />
dei popola menti di cespugli interpretab<strong>il</strong>e come stadio di passaggio verso i querceti della<br />
fascia submediterranea.<br />
25
Robinia pseudoacacia L.<br />
Robinia<br />
Famiglia Leguminosae<br />
Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica tra luglio e settembre. E' comune dalla pianura alla<br />
bassa montagna, subspontanea e coltivata.<br />
Albero alto sino a 20 m, armato di robusti spini originati dalle stipole fogliari.<br />
Il tronco è eretto, i rami sono lisci, i rametti angolosi e bruno-rossastri; corteccia rugosa, bruna<br />
e fessurata longitudinalmente.<br />
Le foglie sono imparipennate con 4-10 paia di foglioline glabre, brevemente picciolate, ovali o<br />
bislunghe (4,5 x 2,5 cm), a margine intero, con piccolo mucrone apicale; sono verdi<br />
su<strong>per</strong>iormente e grigio-verdi inferiormente.<br />
Fiori in grappoli di 15-25, odorosi; <strong>il</strong> calice è campanulato, verde chiaro e peloso, a brevi denti<br />
triangolari: la corolla è pap<strong>il</strong>ionacea, bianca, precocemente caduca, con vess<strong>il</strong>lo ampio ad apice<br />
da arrotondato a debolmente rostrato.<br />
Il legume è coriaceo, lineare (lungo fino a 20 cm), compresso, deiscente, rosso bruno a<br />
maturità; i semi da 3 a 10, sono duri e bruno-nerastri, oblungo-reniformi.<br />
La Robinia è specie eliof<strong>il</strong>a, ampiamente adattab<strong>il</strong>e e spontanea sia in stazioni calde ed<br />
assolate sia in luoghi più o meno freschi ed umidi.<br />
E' originaria dell'America settentrionale-orientale ed è stata importata in Europa nel XVII<br />
secolo. La sua diffusione è stata, anche eccessivamente, favorita dalle attività umane.<br />
Si propaga <strong>per</strong> seme, <strong>per</strong> talea e <strong>per</strong> polloni radicati.<br />
T<strong>il</strong>ia cordata M<strong>il</strong>ler.<br />
Tiglio<br />
Famiglia T<strong>il</strong>iaceae<br />
Fiorisce tra maggio e luglio e fruttifica a settembre. Spontaneo in collina e bassa montagna,<br />
coltivato al livello del mare.<br />
Il Tiglio è un albero d'alto fusto.<br />
Le foglie sono larghe, tendenzialmente cordate e più o meno asimmetriche e con apice<br />
bruscamente ristretto.<br />
Fiori, con 5 petali, riuniti in infiorescenze di 2-5 fiori, pendenti, all'ascella di una foglia e con<br />
una brattea molto evidente in parte saldata al peduncolo.<br />
Il frutto con <strong>per</strong>icarpo legnoso, frag<strong>il</strong>e, con coste longitudinali.<br />
Il Tiglio è mesof<strong>il</strong>o, tendenzialmente sciaf<strong>il</strong>e; preferisce terreni fert<strong>il</strong>i e profondi.<br />
E' diffuso <strong>nei</strong> boschi di lati foglie dell'Europa centrale e in Italia è presente in gran parte del<br />
territorio, esclusa la Sardegna; la Calabria e la Sic<strong>il</strong>ia.<br />
Si propaga <strong>per</strong> seme, <strong>per</strong> talea o <strong>per</strong> polloni radicali.<br />
ComusmasL.<br />
Corniolo maschio<br />
Famiglia Cornaceae<br />
Fiorisce tra febbraio e apr<strong>il</strong>e e fruttifica tra agosto e settembre.<br />
Diffuso normalmente tra <strong>il</strong> livello del mare fino a 400 m, ma eccezionalmente arriva anche<br />
fino a 1.400 - 1.800 m.<br />
E' un arbusto o alberetto alto da 1 a 6 m, con corteccia grigia con crepe rossastre; gemme<br />
avvolte da 2 squame acute (2 x 6 mm), carenate, pubescenti.<br />
Foglie opposte, ovato-acuminate, fiori gialli in ombrelle ascellari che compaiono prima delle<br />
foglie, avvolte da brattee cuoriformi-acuminate.<br />
Il frutto è una drupa oblunga, di colore rosso a maturità, liscio e lucido.<br />
In boschi e siepi soprattutto nell'Italia settentrionale e centrale.<br />
26
Comus sanguinea L.<br />
Sanguinello<br />
Famiglia Cornaceae<br />
Fiorisce tra apr<strong>il</strong>e e giugno e fruttifica tra agosto e settembre. E' diffuso tra la pianura e i 1200<br />
metri.<br />
Arbusto a foglia decidua, alto sino a 4 - 6 metri, con rami allungati di color rossastro, vistosi<br />
soprattutto in inverno.<br />
Foglie ovali o ellittiche, opposte, di color verde chiaro, in autunno diventano rosse.<br />
I fiori, che sbocciano dopo le foglie, sono bianchi, a quattro petali, riuniti in corimbi terminali.<br />
I frutti, drupe sferiche della dimensione di un pisello e di colore purpureo-nerastra a maturità,<br />
sono riuniti in dense infruttescenze.<br />
Cresce in suoli profondi e fert<strong>il</strong>i, di preferenza calcarei, <strong>nei</strong> cespuglieti, nelle siepi, ai bordi dei<br />
boschi o nel sotto bosco.<br />
Ligustrum vulgare L.<br />
Ligustro<br />
Famiglia Oleaceae<br />
Fiorisce tra apr<strong>il</strong>e e giugno, fruttifica in settembre. E' diffuso dal livello del mare fino a 1300<br />
m.<br />
E' un arbusto alto 2-3 m con corteccia scura e liscia e rami flessib<strong>il</strong>i. I rami giovani sono<br />
leggermente pelosi.<br />
Le foglie sono intere, opposte, di forma ellittica o lanceolata e sono solitamente <strong>per</strong>sistenti. I<br />
fiori sono bianchi, riuniti in pannocchie terminali compatte.<br />
I frutti sono bacche nere, rotonde, grosse come piselli, con polpa violetta, <strong>per</strong>sistenti tutto<br />
l'inverno.<br />
Si trova in boschi caducifogli termof<strong>il</strong>i, soprattutto al margine, <strong>nei</strong> boschi degradati, <strong>nei</strong><br />
cespuglieti e nelle siepi.<br />
Sambucus nigra L.<br />
Sambuco<br />
Famiglia Caprifoliaceae<br />
Fiorisce tra apr<strong>il</strong>e e luglio e fruttifica a settembre. E' presente tra <strong>il</strong> livello del mare e i 1800<br />
m.<br />
Pianta legnosa di 1-8 m con odore fetido; rami giovani verdi con lenti celle longitudinali,<br />
corteccia bruna con fratture longitudinali e solchi profondi.<br />
Foglie opposte imparipennate con 5 - 7 segmenti ellittici e lanceolati, acuminati, i maggiori<br />
seghettati.<br />
I fiori sono bianco-lattei con odore molto forte, riuniti in infiorescenze cimose lungamente<br />
peduncolate con i rami primari quinati, stami con antere gialle; i frutti sono drupe neroviolacee,<br />
lucide.<br />
Il Sambuco si trovano in boschi e in siepi e in ambienti di reinsediamento della vegetazione<br />
forestale, anche un poco ruderali, su suoli umidi.<br />
27
BIBLIOGRAFIA<br />
AA.VV. 1983. Alberi e arbusti dell'Em<strong>il</strong>io-Romagna, Bologna, Azienda Regionale delle Foreste<br />
dell 'Em<strong>il</strong>ia-Romagna.<br />
AA.VV. 1964. Floro Europoeo, Cambridge, Cambridge University Presso<br />
Fiori A. 1969. NuO'Vo Flora Analitico d'Italia, Bologna, Edagricole.<br />
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<strong>fenologico</strong> di S. Pietro Copofiume, Bologna, Regione Em<strong>il</strong>ia-Romagna.<br />
Martini F.; Paiero P. 1988.1salici d'Italia, Trieste, Lint Ed.<br />
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metodologici n. 12 - Metodi di r<strong>il</strong>ievo e di rappresentazione degli stadi fenologici, Roma,<br />
CNR - IPRA.<br />
28
IV<br />
CRITERI PER IL RILEVAMENTO FENOLOGICO: ANGIOSPERME<br />
1 PREMESSA<br />
Giovanna Puppi Branzi<br />
Dipartimento di Biologio Evoluz.ionistico S<strong>per</strong>imento/e<br />
Università di Bologno<br />
In questo contributo intendo puntualizzare le problematiche inerenti <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evamento<br />
<strong>fenologico</strong> in generale, con particolare riguardo alle Angios<strong>per</strong>me, trattando soprattutto alcuni<br />
aspetti relativi alle chiavi fenologiche che non avevo sv<strong>il</strong>uppato in un precedente scritto di<br />
argomento analogo (Puppi Branzi, 1989)<br />
Innanzitutto è bene precisare quali sono i criteri informatori della metodologia di<br />
r<strong>il</strong>evamento <strong>fenologico</strong>.<br />
A) Il r<strong>il</strong>evamento deve essere effettuato in modo da <strong>per</strong>mettere di<br />
RAPPRESENTARE UN EVENTO FENOLOGICO <strong>nei</strong> suoi tratti essenzialì: deve <strong>per</strong>mettere ad<br />
esempio di ricostruire l'andamento della fioritura o della fogliazione di una o più specie in una<br />
determinata stazione. Questo si ottiene adottando una frequenza di r<strong>il</strong>evamenti e una chiave<br />
fenologica appropriate, come verrà <strong>il</strong>lustrato più avanti.<br />
B) Il r<strong>il</strong>evamento deve rispondere a criteri di OBIETTIVITÀ <strong>per</strong> <strong>per</strong>mettere <strong>il</strong><br />
confronto dei dati provenienti da diversi r<strong>il</strong>evatori: si deve fare attenzione che la metodologia<br />
adottata <strong>per</strong> effettuare i r<strong>il</strong>ievi lasci poco spazio a interpretazioni soggettive del r<strong>il</strong>evatore.<br />
C) Il r<strong>il</strong>evamento deve <strong>per</strong>mettere di VALUTARE LA VARIABILITÀ fenologica tra<br />
piante della stessa specie <strong>per</strong> poter sottoporre i dati r<strong>il</strong>evati ad elaborazioni statistiche. I r<strong>il</strong>ievi<br />
vanno dunque effettuati con i metodi e criteri della FENOLOGIA QUANTITATIVA, che consiste<br />
nella registrazione delle quantità di individui di una certa specie che si trovano nelle diverse<br />
fenofasi. Quando gli individui sono molto numerosi e non possono essere osservati tutti, tali<br />
quantità possono essere stimate in vario modo: con valutazioni cumulative mediante<br />
<strong>per</strong>centuali (Tab.l) riferite alla co<strong>per</strong>tura della specie nella stazione (vedi scala di<br />
Braun-Blanquet in Tuxen, 1962) o al numero di individui (vedi la scala quantitativa in Kriisi,<br />
1981) oppure con valutazioni analitiche mediante conteggi fino ad un limite numerico<br />
massimo (vedi Puppi e S<strong>per</strong>anza, 1983).<br />
2 LE CHIAVI DI RILEVAMENTO<br />
Le fenofasi vengono registrate usualmente mediante delle chiavi fenologiche: queste<br />
consistono in serie di stadi fenologici (o fenofasi) sinteticamente descritti che rappresentano<br />
<strong>nei</strong> tratti essenziali lo svolgersi di un evento <strong>fenologico</strong>, quale la fioritura, fruttificazione o<br />
fogliazione. Le chiavi fenologiche possono essere di tipo QUALITATIVO quando le descrizioni<br />
delle fenofasi sono esclusivamente di tale tipo (vedi ad es. Valenziano e Miscetti, 1983),<br />
oppure QUANTITATIVE quando le fenofasi rappresentano stadi di un unico fenomeno graduale<br />
di sv<strong>il</strong>uppo (ad esempio lo srotolamento e distensione delle fronde delle felci) e richiedono<br />
valutazioni quantitative (generalmente in termini <strong>per</strong>centuali). Per lo più le chiavi fenologiche<br />
29
sono a carattere misto, con alcune fenofasi qualitative e altre quantitative, come nella note<br />
chiavi di Ellenberg (1954) e di Dierschke (1972) (Tab. 2 e 3).<br />
2.1 DETIAGLIO<br />
Il dettaglio deve essere proporzionato agli scopi prefissi. Le chiavi fenologiche possono<br />
essere composte da pochi. stadi (come la chiave generale della rete IPG: vedi Schnelle e<br />
Volkert, 1964) o anche da numerosissimi microstadi. L'adozione di chiavi poco dettagliate può<br />
essere adeguata <strong>per</strong> certi scopi ma in altri casi può risultare insufficiente e fornire informazioni<br />
lacunose o addirittura inut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i; d'altra parte chiavi di dettaglio troppo elevato rispetto agli<br />
scopi comportano un inut<strong>il</strong>e aggravio di lavoro.<br />
2.2 SOGGETIIVITÀ ED ERRORI DI RILEVAMENTO<br />
La obiettività del metodo di r<strong>il</strong>evamento, requisito indispensab<strong>il</strong>e <strong>per</strong> poter<br />
confrontare i dati, si consegue con l'adozione di chiavi di r<strong>il</strong>evamento standard che abbiano<br />
fenofasi FACILMENTE INDIVIDUABILI e NON AMBIGUE. Grande importanza ha dunque la<br />
definizione delle fenofasi, che devono essere fatte in modo da evitare errori di r<strong>il</strong>evamento o<br />
interpretazioni differenti da parte di r<strong>il</strong>evatori diversi. Anche le valutazioni quantitative in<br />
certi casi possono essere fonte di errori di r<strong>il</strong>evamento.<br />
Ad esempio, nella chiave proposta da Ellenberg (Tab. 2), le fenofasi relative alla<br />
distensione fogliare, espresse in <strong>per</strong>centuali delle dimensioni finali delle foglie, possono dare<br />
luogo ad errori di valutazione: infatti le dimensioni finali delle foglie di una pianta non sono<br />
costanti, ma dipendono da vari fattori, tra cui, l'età della pianta, la posizione della foglia, la<br />
densità delle piante circostanti ed inoltre da vari fattori ambientali come tem<strong>per</strong>atura, acqua,<br />
luce.<br />
Difficoltà ed errori nel r<strong>il</strong>evamento possono essere legate anche alla dimensione degli<br />
organi. Se non c'è difficoltà nell'attribuire la giusta fenofase di fioritura ad una pianta con fiori<br />
grandi (ad es. C<strong>il</strong>iegio), questo può risultare meno agevole in casi di infiorescenze con fiori<br />
piccoli (Sambuco, Corniolo) e molto diffic<strong>il</strong>e nel caso di infiorescenze formate da fiori<br />
minuscoli non distinguib<strong>il</strong>i a occhio (amenti di Salice o Nocciolo, capolini di Composite): in<br />
questi ultimi casi è conveniente ut<strong>il</strong>izzare chiavi con descrizioni ad hoc che <strong>per</strong>mettano di<br />
valutare lo stadio di fioritura della infiorescenza nel suo complesso (vedi Tab. 4, da Puppi et<br />
al., 1988).<br />
Anche <strong>il</strong> <strong>per</strong>icolo di ambiguità delle fenofasi non è certo da sottovalutare: più volte è<br />
capitato di riscontrare, anche <strong>per</strong> chiavi molto collaudate, che due diversi r<strong>il</strong>evatori<br />
interpretino una certa fenofase in modo assai diverso. A questo proposito è consigliab<strong>il</strong>e agire<br />
in modo empirico, favorendo incontri tra i r<strong>il</strong>evatori e mettendoli a confronto in campo, al fine<br />
di individuare eventuali ambiguità delle chiavi adottate.<br />
2.3 SPECIFICITÀ<br />
Le chiavi di r<strong>il</strong>evamento possono essere GENERALI, quando sono applicab<strong>il</strong>i a grandi<br />
gruppi di specie (ed es. Angios<strong>per</strong>me e Gimnos<strong>per</strong>me, oppure anche latifoglie, erbe ecc.),<br />
oppure SPECIFICHE quando si riferiscono a singoli generi o specie e le descrizioni delle<br />
fenofasi sono strettamente aderenti alle relative caratteristiche morfologiche e<br />
morfogenetiche. E' da notare che nell'ambito dei grossi gruppi (ad es. Angios<strong>per</strong>me) si<br />
riscontrano r<strong>il</strong>evanti differenze strutturali e di sv<strong>il</strong>uppo tra organi omologhi, che non possono<br />
essere trascurate nelle descrizioni delle fenofasi, come ad esempio fiori con <strong>per</strong>ianzio<br />
30
sv<strong>il</strong>uppato rispetto a fiori con <strong>per</strong>ianzio ridotto o mancante oppure fiori distinti rispetto a<br />
infiorescenze e pseudanzi con l'aspetto di singoli fiori (vedi Tab. 4).<br />
Chiavi generali e specifiche hanno differenti vantaggi e svantaggi. Le chiavi generali<br />
sono adottate soprattutto <strong>nei</strong> lavori di sinfenologia e di fenologia generale, <strong>per</strong>ché rendono<br />
immediatamente confrontab<strong>il</strong>i i cicli fenologici di specie diverse; d'altro lato <strong>per</strong>ò possono<br />
presentare difficoltà di applicazione e possib<strong>il</strong>ità di errori di valutazione, <strong>per</strong>ché in certi casi le<br />
descrizioni sono poco aderenti alla realtà delle singole specie e richiedono sforzi interpretativi.<br />
Le chiavi specifiche sono adatte soprattutto <strong>per</strong> lavori di fenologia applicata, in cui è<br />
necessario individuare con grande precisione <strong>il</strong> momento di manifestazione di determinate<br />
fenofasi di interesse applicativo.<br />
Queste chiavi sono generalmente di agevole applicazione e non richiedono<br />
interpretazione da parte del r<strong>il</strong>evatore; la elevata specificità <strong>per</strong>ò non sempre <strong>per</strong>mette un<br />
raffronto diretto tra cicli fenologici di specie diverse.<br />
2.4 MODALITÀ DI RILIEVO E TIPI DI CHIAVI<br />
Le chiavi possono essere distinte in due categorie a seconda che i relativi stadi<br />
corrispondano a fenofasi ISOLATE (PUNTIFORMI) oppure a fenofasi SEQUENZIALI (INTERVALLI<br />
CONSECUTIVI).<br />
A) Nelle chiavi a fenofasi isolate vengono descritti solo alcuni eventi del ciclo<br />
vegetativo o riproduttivo delle piante. Ne consegue che i r<strong>il</strong>evamenti devono essere<br />
concentrati <strong>nei</strong> momenti in cui si verificano le fenofasi indicate, mentre nel resto del ciclo<br />
vegetativo o riproduttivo non si effettua nessun r<strong>il</strong>ievo. Inoltre le modalità di r<strong>il</strong>evamento<br />
prevedono la registrazione della data di INIZIO e di FINE o COMPLETAMENTO di ciascuna<br />
fenofase (Tab. 5 e 6). A questo proposito si può far cenno ad alcuni problemi relativi alla<br />
individuazione dell'inizio e della fine di un fenomeno.<br />
Alcuni autori fanno riferimento a numeri assoluti: ad esempio l'inizio della fioritura di<br />
una pianta corrisponderebbe alla a<strong>per</strong>tura del primo fiore. Questo metodo è di fac<strong>il</strong>e<br />
applicazione ma non ha valore statistico ed inoltre la data varia a seconda del numero di fiori<br />
prodotti.<br />
Questi inconvenienti si possono evitare facendo riferimento a <strong>per</strong>centuali (ad esempio<br />
1-10%)<br />
E' bene inoltre puntualizzare la differenza tra fine e completamento di un fenomeno.<br />
Per FINE di un fenomeno si intende quella fase in cui <strong>il</strong> fenomeno si è appena<br />
manifestato ma ormai non è più presente o quasi sulla pianta osservata: ad esempio fine della<br />
fioritura è <strong>il</strong> momento in cui sfioriscono gli ultimi fiori.<br />
Per COMPLETAMENTO invece si intende <strong>il</strong> momento in cui <strong>il</strong> fenomeno si è<br />
manifestato in tutte le parti della pianta: ad esempio <strong>il</strong> completamento della antesi si verifica<br />
quando tutti i fiori sono sbocciati e quindi non ci sono più fiori in boccio (possono esserci o no<br />
fiori appassiti). E' evidente che <strong>il</strong> completamento della antesi si verifica in un momento<br />
precedente a quello della fine.<br />
B) Nel caso di chiavi a fenofasi sequenziali tutto <strong>il</strong> ciclo <strong>fenologico</strong> viene suddiviso<br />
in intervalli e a ciascun intervallo corrisponde una fenofase (Tab.7): le fenofasi non hanno<br />
necessariamente la stessa lunghezza, anzi spesso coesistono fenofasi brevi con altre lunghe.<br />
Ne consegue che in qualunque momento dell'anno è possib<strong>il</strong>e attribuire una fenofase<br />
alla pianta osservata e quindi si possono effettuare r<strong>il</strong>evamenti anche a cadenza regolare<br />
31
(settimanale o decadale): comunque c'è una certa elasticità nella programmazIOne dei<br />
r<strong>il</strong>evamenti senz'altro su<strong>per</strong>iore a quella del caso precedente.<br />
In conclusione le chiavi a fenofasi isolate <strong>per</strong>mettono di studiare con maggior<br />
precisione alcuni fenomeni ma esigono una precisa programmazione dei r<strong>il</strong>ievi che devono<br />
essere mirati alla individuazione dei momenti di inizio e fine delle fenofasi e quindi molto<br />
frequenti in certi <strong>per</strong>iodi dell'anno che <strong>per</strong>ò variano da specie a specie.<br />
Le chiavi a fenofasi sequenziali sono consigliab<strong>il</strong>i <strong>nei</strong> casi in cui la campagna di r<strong>il</strong>ievi<br />
<strong>per</strong> vari motivi non possa rispondere ai requisiti di cui sopra.<br />
3<br />
tra<br />
tra<br />
tra<br />
tra<br />
tra<br />
LA VARIABILITÀ FENOLOGICA<br />
La variab<strong>il</strong>ità fenologica si esplica a diversi livelli<br />
C. RIPRODUTTIVO C. VEGETATIVO TIPO DI VARIAZIONE<br />
popolazioni popolazioni<br />
piante piante<br />
infiorescenze rami<br />
fiori gemme<br />
stami/ovari foglie<br />
casuale<br />
casuale<br />
non casuale<br />
non casuale<br />
non casuale<br />
Il comportamento <strong>fenologico</strong> di una pianta può essere visto come quello di una<br />
popolazione di fiori o foglie. Poiché le variazioni fenologiche entro un individuo non sono<br />
casuali ma dipendono dalla posizione dei vari elementi, <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evatore dovrebbe tenerne conto.<br />
Questo problema diventa non secondario nella r<strong>il</strong>evazione delle piante arboree, in cui,<br />
a causa della accentuata scalarità dei fenomeni e delle difficoltà di osservazione dovute alla<br />
grande taglia, risulta arduo dare una valutazione globale dello stadio <strong>fenologico</strong> della pianta:<br />
una valutazione effettuata osservando alcuni rami scelti casualmente può portare ad errori di<br />
valutazione e a disparità di valutazione tra diversi r<strong>il</strong>evatori.<br />
4 UNITÀ DI OSSERVAZIONE<br />
L'oggetto del r<strong>il</strong>evamento <strong>fenologico</strong> è senza dubbio la singola pianta, tuttavia, proprio<br />
a causa della scalarità del manifestarsi degli eventi fenologici <strong>nei</strong> singoli individui, è opportuno<br />
introdurre <strong>il</strong> concetto o<strong>per</strong>ativo di UNITÀ DI OSSERVAZIONE che rappresenta ciò che<br />
viene osservato dal r<strong>il</strong>evatore <strong>per</strong> giungere alla attribuzione della fenofase.<br />
L'unità di osservazione può essere la pianta in toto, oppure singoli organi e parti di<br />
essa. Se come unità di osservazione viene scelta la pianta in toto , bisogna adottare chiavi di<br />
r<strong>il</strong>evamento le cui fenofasi siano comprensive della variab<strong>il</strong>ità entro l'individuo. Se invece si<br />
scelgono come unità di osservazione singole parti di una pianta (gemme, foglie, fiori, frutti) si<br />
dovranno effettuare valutazioni quantitative della presenza delle fenofasi mediante valutazioni<br />
<strong>per</strong>centuali (vedi Tab. 6) o scale quantitative in classi: a questo proposito si deve citare un<br />
interessante metodo <strong>per</strong> la r<strong>il</strong>evazione fenologica delle piante arboree elaborato da Schirone<br />
(1988 e 1989) (vedi Tab. 8).<br />
5 CONCLUSIONI<br />
In considerazione di quanto è stato sopra discusso, si può tentare di definire una<br />
metodologia di r<strong>il</strong>evamento <strong>fenologico</strong> che risulti ottimale <strong>per</strong> i nostri scopi e cioè <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ievo dei<br />
dati <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong> fenologici.<br />
32
A questo scopo sono state elaborati due diversi tipi di scheda fenologica con relative<br />
norme di r<strong>il</strong>evamento (Tab. 5, 6 e 7), che dovrebbero essere s<strong>per</strong>imentate da diversi o<strong>per</strong>atori<br />
in un primo anno: in seguito, se <strong>il</strong> riscontro sarà positivo e dopo le opportune modifiche, tra<br />
queste verrà scelta la scheda da adottare in tutti i <strong>Giardini</strong> Fenologici <strong>Italiani</strong>.<br />
E' allo studio anche la possib<strong>il</strong>ità di preparare chiavi di r<strong>il</strong>evamento specifiche <strong>per</strong> le<br />
principali specie coltivate <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong> fenologici, a cui verrebbe unita una tabella di<br />
equivalenza con la scheda generale <strong>per</strong> rendere comparab<strong>il</strong>i i dati tra specie diverse.<br />
33
Tabella l<br />
Tabella 2<br />
SCALE QUANTITATIVE UTILIZZATE NEI RILEVAMENTI<br />
Scalo di abbondanza - dominanza di Braun - Blanquet<br />
+<br />
specie sporadica a co<strong>per</strong>tura trascurab<strong>il</strong>e<br />
l specie frequente ma con co<strong>per</strong>tura inferiore al 5%<br />
2 specie con co<strong>per</strong>tura tra <strong>il</strong> 5% ed <strong>il</strong> 25%<br />
3 specie con co<strong>per</strong>tura tra <strong>il</strong> 25% ed <strong>il</strong> 50%<br />
4 specie con co<strong>per</strong>tura tra <strong>il</strong> 50% ed <strong>il</strong> 75%<br />
5 specie con co<strong>per</strong>tura su<strong>per</strong>iore al 75%<br />
Scalo delle frequnl:e pen:enluoli (Kriisi, 1981)<br />
+ o 5% degli individui<br />
l 5% 20%<br />
2 20% 40%<br />
3 40% 60%<br />
4 60% 80% •<br />
5 80% 100%<br />
Chiave propOSIO do Ellenkrg (Ì954) e (1974) distinlo in scalo vegeto/roo e scalo riproduttivo. (ELLENBERG H.,<br />
1954 - Naturgemasse anbauplanung, Melioration und Landesplege-Landw. Pflanzcnsoziologie III, Sruttgard.<br />
·1974· Wuchsklima-Gliederung von Hessen auf pflanzenphanologischen Grundlage - Hess. Ministcr fiir Landw.<br />
u. Unwelt (Hg), Wiesbaden.<br />
SVILUPPO FOGLIARE<br />
l Aspetto invernale<br />
2 Gemme rigonfie<br />
3 Gemme fortemente rigonfie<br />
4 Gemme prossime alla schiusura<br />
5 Schiusura delle gemme e inizio distensione delle foglie<br />
6 Foglie giovani, fino a 1/4 delle dimensioni finali<br />
7 Foglie giovani, fino a 1/2 dimensioni finali<br />
8 Foglie distese fino a 3/4 dimensioni finali<br />
9 Foglie distese oltre i 3/4 dimensioni finali<br />
lO Foglie completamente distese<br />
34<br />
SVILUPPO FIORALE<br />
l Gemme dormenti<br />
2 Gemme - bocci rigonfi<br />
3 Bocci fortemente rigonfi<br />
4 Bocci prossimi a sbocciare<br />
5 Inizio della fioritura<br />
6 Fino al 1/4 dei fiori a<strong>per</strong>ti<br />
7 Fino a 1/2 dei fiori a<strong>per</strong>ti<br />
8 Piena fioritura<br />
9 Inizio della sfiori tura<br />
lO Completamento della sfiorirura
Tabella 3<br />
CI1ÌOfJe proposla da Dierscl1le suddivisa, <strong>per</strong> sladi fJegelatitJi egeneralÌfJi, Ira latifog/ie, graminaro e a/I" erbe.<br />
(Dierschke H., 1972 - Zur Aufnahme und Darstellung phanologischer Erscheinungen in Pflanzcngesellschaften<br />
- in: Tuxen R. (Ed.) Grundfragen und Methoden in der Pflanzcnsoziologie - Ber. Int. Symp. der Int. verein. f<strong>il</strong>r<br />
Veg.; Junk Verlag. Den Haag).<br />
FASI VEGETATIVE<br />
Latifog/ie<br />
Ogemme chiuse<br />
l gemme con apice verde<br />
2 foglie verdi piegate<br />
3 f. distese fino al 25%<br />
4 f. distese fino al SOCio<br />
5 f. distese fino al 75%<br />
6 chioma compI. sv<strong>il</strong>up.<br />
7 inizio ingiallimento<br />
8 ingiall. fino al SOCio<br />
9 ingiall. oltre <strong>il</strong> SOCio<br />
lO completa caduta foglie<br />
FASI RIPRODUTTIVE<br />
Lati/og/<strong>il</strong><br />
Oassenza di bocci<br />
l bocci visib<strong>il</strong>i<br />
Zbocci rigonfi<br />
3 bocci semi a<strong>per</strong>ti<br />
4 inizio fioritura<br />
5 fiori sboc. fino al 25 %<br />
6 fiori sboc. fino al 50 %<br />
7 piena fioritura<br />
8 inizio sfiori tura<br />
9 sfiori tura completa<br />
lO maturazione dei frutti<br />
Il dis<strong>per</strong>sione dci semi<br />
Tabella 4<br />
Graminaro<br />
Osenza germogli epigei<br />
l germogli visib<strong>il</strong>i<br />
2 prima foglia distesa<br />
3 2-3 foglie distese<br />
4 inizio sv<strong>il</strong>uppo culmo<br />
5 parziale sviI. culmo<br />
6 pianta compI. sv<strong>il</strong>up.<br />
7 inizio ingiallimento<br />
8 ingiallimento fino al 50%<br />
9 ingiallimento oltre <strong>il</strong> 50%<br />
lO disseccamento totale<br />
Graminaro<br />
Osenza visib<strong>il</strong>i infiorescenzc<br />
l infior. chiuse ma visib<strong>il</strong>i<br />
2 inizio uscita infiorescenza<br />
3 infior. completo uscita<br />
4 infiorescenza sv<strong>il</strong>uppata<br />
5 inizio liberaz. polline<br />
6 fino al 50 % fiori Iib. poi.<br />
7 max liberazione polline<br />
8 inizio sfioritura<br />
9 sfiori tura completa<br />
lO maturazione dei frutti<br />
Il dis<strong>per</strong>sione dci semi<br />
Erbe<br />
Osenza germogli epigei<br />
l germogli visib<strong>il</strong>i<br />
Zprima foglia distesa<br />
3 2-3 foglie distese<br />
4 più foglie distese<br />
5 foglie distese quasi tutte<br />
6 pianta completamente sv<strong>il</strong>uppata<br />
7 inizio ingiallimento<br />
8 ingiallimento fino al SOCio<br />
9 ingiallimento oltre <strong>il</strong> SOCio<br />
lO disseccamento totale<br />
Erbe<br />
Oassenza di bocci<br />
l bocci visib<strong>il</strong>i<br />
2 bocci rigonfi<br />
3 bocci semia<strong>per</strong>ti<br />
4 inizio fioritura<br />
5 fiori sboc. fino al 25 %<br />
6 fiori sboc. fino al 50 %<br />
7 piena fioritura<br />
8 inizio sfiori tura<br />
9 sfiori tura completa<br />
lO maturazione frutti<br />
Il dis<strong>per</strong>sione dei semi<br />
Scala usata <strong>per</strong> <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evamento degli stadi di fioritura, da Marcello (1935 e 1957), integrata e modificata da Puppi<br />
et al (1988)<br />
l (+) O O boccioli presenti ma poco sv<strong>il</strong>uppati<br />
amenti immaturi, poco sv<strong>il</strong>uppati, rigidi<br />
2 + O O boccioli rigonfi con petali visib<strong>il</strong>i<br />
amenti immaturi, sv<strong>il</strong>uppati, flessib<strong>il</strong>i<br />
3 + + O boccioli rigonfi e fiori a<strong>per</strong>ti<br />
amenti in parte immaturi, in parte maturi<br />
4 + + + presenza di boccioli, fiori a<strong>per</strong>ti, fiori sfioriti<br />
amenti CI maturi (che liberano polline)<br />
5 O + + fiori a<strong>per</strong>ti e fiori appassiti<br />
amenti CI maturi ed amenti esauriti (che non r<strong>il</strong>asciano polline)<br />
6 O O + fiori appassiti<br />
amenti CI esauriti che non r<strong>il</strong>asciano più polline<br />
7 O O O inizio della formazione dci frutto, fiori caduti<br />
amenti CI caduti, amenti 9 in fruttificazione<br />
35
Tabella 8<br />
Scala quantitativa proposta da Schirone et al. 1989<br />
o <br />
1 =<br />
2 ==<br />
3 ==<br />
O - l<br />
2 - 15<br />
16 - 44<br />
45 - 55<br />
%<br />
%<br />
%<br />
%<br />
4 = 56 -<br />
5 = 85 -<br />
6 == 99 -<br />
84 %<br />
98 %<br />
100 %<br />
Schematizzazione delle classi <strong>per</strong>centuali prescelte. La figura in basso a destra rappresenta una<br />
situazione ipotetica poiché mai riscontrata sul cerro, almeno <strong>per</strong> gli stadi definiti secondo la<br />
chiave fenologica adottata.<br />
39
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40
v<br />
IL RILEVAMENTO FENOLOGICO NELLE GIMNOSPERME<br />
1 PREMESSA<br />
Paolo Grossoni<br />
Dipartimento di Biologia Vegçtale<br />
Università di Firmu<br />
I taxa ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i in un giardino <strong>fenologico</strong> devono possib<strong>il</strong>mente rispondere ai requisiti<br />
di:<br />
- essere rappresenta b<strong>il</strong>i tramite cloni;<br />
- essere adattab<strong>il</strong>i a situazioni pedoclimatiche anche molto diverse;<br />
- <strong>per</strong>mettere un agevole r<strong>il</strong>evamento delle fenofasi determinate.<br />
Per quanto riguarda le Gimnos<strong>per</strong>me è da sottolineare che esse sono tutte piante<br />
legnose e, in molti casi, a portamento arboreo; le foglie sono prevalentemente aciculari o<br />
squami formi; mentre <strong>il</strong> legno è omox<strong>il</strong>o e spesso sono presenti canali resiniferi. Gli alberi<br />
hanno frequentemente i rami inseriti in vertic<strong>il</strong>li. Nell'ambito nella biologia della<br />
riproduzione e dello sv<strong>il</strong>uppo, caratteristiche salienti e tipiche sono gli apparati riproduttori<br />
che consistono in fiori unisessuati e che portano gli ovuli direttamente sulla su<strong>per</strong>ficie delle<br />
squame ovuligere o di strutture analoghe. Nella fecondazione non viene interessata la<br />
porzione protallare e i semi sono portati in un organo (lo strob<strong>il</strong>o) che è, quasi sempre, di<br />
consistenza legnosa o cuoiosa.<br />
Fra le Gimnos<strong>per</strong>me l'ultimo dei tre requisiti prima ricordati non è fac<strong>il</strong>e da soddisfare<br />
in quanto, fra le Conifere indigene e quelle esotiche più diffuse, <strong>il</strong> portamento arboreo e<br />
l'habitus sempreverde sono quelli predominanti. Questo provoca una difficoltà anche notevole<br />
nella lettura degli eventi fenologici in quanto non esiste una fase evidente di f<strong>il</strong>loptosi<br />
(accompagnata, soprattutto, da una modificazione cromatica specifica) e la fioritura non è<br />
sempre presente <strong>nei</strong> rami bassi accessib<strong>il</strong>i dall'osservatore. Inoltre molti degli eventi ut<strong>il</strong>i si<br />
svolgono in un arco di tempo che può su<strong>per</strong>are l'anno sovrapponendosi in questo modo a<br />
quello del ciclo precedente e del successivo.<br />
La <strong>per</strong>sistenza delle foglie <strong>per</strong> un <strong>per</strong>iodo su<strong>per</strong>iore alla singola stagione vegetati va può<br />
tuttavia costituire un fattore ut<strong>il</strong>e <strong>per</strong> valutare lo stato sanitario della pianta stessa e tramite<br />
esso comprendere meglio <strong>il</strong> livello della qualità dell'ambiente. Infatti la <strong>per</strong>sistenza media<br />
delle foglie delle Conifere sempreverdi sulla pianta è un parametro che può essere precisato<br />
<strong>per</strong> cui una riduzione significativa nella vita delle foglie di un determinato anno rappresenta<br />
una chiara indicazione di uno stato di stress.<br />
Il portamento e l'habitus non si discostano molto fra i taxa, maggiore eteroge<strong>nei</strong>tà<br />
esiste <strong>per</strong> quanto riguarda la riproduzione. Per evitare una eccessiva articolazione e<br />
"pesantezza" della scheda di r<strong>il</strong>evamento (Tab. 1 e 2), si suggerisce di ut<strong>il</strong>izzare solo Pinacee e<br />
Cupressaceae che sono fra l'altro ben rappresentate sul nostro territorio. Purtroppo le Pinaceae<br />
hanno grosse difficoltà ad essere propagate <strong>per</strong> talea e, inoltre la fase di maturazione sessuale<br />
viene spesso raggiunta quando gli esemplari hanno dimensioni discrete.<br />
Generalizzando, gli aspetti più problematici possono essere riassunti <strong>nei</strong> punti che<br />
seguono.<br />
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2 MORFOLOGIA DELL'ACCRESCIMENTO:<br />
2.1 La maggior parte delle Conifere è costituita da sempreverdi (fanno eccezione<br />
Glyptostrobus, Lonx, Metosequoio, Pseudolonx, Toxodium) e mantengono le foglie anche <strong>per</strong><br />
diversi anni. Nelle sempreverdi l'abscissione di solito avviene verso la fine della fase di<br />
distensione fogliare, <strong>per</strong>ò non è infrequente che come effetto di uno stress (di norma l'aridità<br />
o una gelata, ma oggi è sufficientemente diffusa e documentata la responsab<strong>il</strong>ità - e la<br />
corresponsab<strong>il</strong>ità - dell'inquinamento atmosferico) l'abscissione possa venire anticipata non<br />
solo di qualche mese ma anche di qualche anno. Nelle specie decidue prima dell'ab scissione si<br />
ha un marcato viraggio del colore del fogliame. In Metasequoio e Toxodium abscindono anche i<br />
rametti laterali.<br />
2.2 Nei pini adulti sono presenti due tipi di foglie: le euf<strong>il</strong>le, squamiformi e<br />
decorrenti sul rametto, e i nomof<strong>il</strong>li, aghiformi, portati su rami nani e riuniti in fascetti di (1), 2<br />
(P. nolepensis, P. nigro, P. pinaster, P. pineo e P. sylvestris ad esempio), 3 (P. cononensis e P.<br />
radiato, ad esempio), (4) o 5 (P. cembro, P. strobus e P. wollicAiono, ad esempio).<br />
2.3 Molto spesso la gemma apicale è circondata da una corona di gemme laterali.<br />
Non tutte le Conifere formano la gemma apicale: le Cupressaceae ed alcune Taxodiaceae<br />
hanno accrescimento longitudinale non predeterminato e sono quindi prive di gemme vere e<br />
proprie; anche i pini mediterra<strong>nei</strong> termof<strong>il</strong>i (Pinus Aolepensis, P. pinaster e P. pineo) <strong>nei</strong><br />
primissimi stadi di crescita sono ad accrescimento non predeterminato.<br />
3 RIPRODUZIONE SESSUATA<br />
3.1 Le Conifere sono unisessuate: monoiche (<strong>per</strong> la maggior parte) o dioiche (ad<br />
esempio Juni<strong>per</strong>us). Nelle piante monoiche è normale una sfasatura temporale fra l'antesi<br />
masch<strong>il</strong>e e quella femmin<strong>il</strong>e <strong>per</strong> favorire l'impollinazione crociata; i conetti femmin<strong>il</strong>i sono di<br />
norma portati più in alto rispetto a quelli masch<strong>il</strong>i, spesso solo sui rami più apicali.<br />
3.2 I coni femmin<strong>il</strong>i sono portati isolati o riuniti in piccolo numero, non sono quindi<br />
agevoli da osservare (anche in considerazione della loro posizione sull'albero, cfr. <strong>il</strong> punto 3.1);<br />
invece le "infiorescenze" masch<strong>il</strong>i sono spesso più vistose (Abies, Cedrus, Cupressus, Piceo, Pinus,<br />
etc.) e possono quindi essere più agevolmente esaminate.<br />
3.3 La fioritura avviene nel tardo inverno o in primavera; <strong>il</strong> genere Cedrus fiorisce<br />
all'inizio dell'autunno.<br />
3.4 La maturazione dei semi dello strob<strong>il</strong>o avviene nell'arco dell'anno (in Abies,<br />
CAomoecyporis, Piceo, Pseudotsugo, Sequoio, Toxodium, Tsugo, etc.) o di due anni (Cupressus,<br />
Juni<strong>per</strong>us, Pinus, Sequoiodendron, etc.); in alcuni casi (Cedrus, Pinus pineo) la maturazione è<br />
triennale.<br />
3.5 Alla disseminazione le squame divergono, i semi vengono dis<strong>per</strong>si e lo strob<strong>il</strong>o<br />
cade quindi intero (Piceo, Pseudotsugo, diversi pini, molte Cupressaceae, etc.) oppure si<br />
disarticola e i semi si dis<strong>per</strong>dono insieme alle parti ster<strong>il</strong>i dello strob<strong>il</strong>o (Abies, Cedrus). In<br />
alcuni casi (alcuni pini, Cupressus, Juni<strong>per</strong>us, etc.) la disseminazione avviene nell'anno<br />
successivo alla maturazione o, addirittura, diversi anni dopo; lo strob<strong>il</strong>o, dopo la<br />
disseminazione, può ancora restare a lungo sulla pianta.<br />
4 RIPRODUZIONE AGAMICA<br />
4.1 Buona parte delle Conifere, specialmente le Pinaceae, hanno una scarsa capacità<br />
rigenerativa; la propagazione <strong>per</strong> talea avviene con difficoltà ed ha qualche successo solo<br />
partendo da piante madri (ortet) molto glovam. Ulteriore difficoltà è rappresentata dal<br />
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plagiotropismo, a volte molto spiccato, <strong>per</strong> cui ut<strong>il</strong>izzando rami laterali si ottengono piantine<br />
che hanno un portamento anomalo.<br />
Migliori risultati possono essere ottenuti tramite innesto che <strong>per</strong>ò richiede tempi<br />
lunghi <strong>per</strong> poter giungere ad un numero di esemplari sufficiente.<br />
I vantaggi della propagazione agamica sono rappresentati dalla possib<strong>il</strong>ità di<br />
confrontare individui geneticamente identici, di ridurre la fase giovan<strong>il</strong>e (che in alcune<br />
Pinaceae è molto lunga) potendo ut<strong>il</strong>izzare esemplari di piccole dimensioni già in grado di<br />
fiorire e fruttificare.<br />
5 ORGANOGRAFIA E FENOLOGIA<br />
Le Conifere hanno un habitus e una morfologia che, a prima vista, sono molto meno<br />
variate rispetto alle Angios<strong>per</strong>me. Infatti sono solo piante arboree o arbustive, le foglie sono<br />
aghiformi o squamiformi, la ramificazione è monopodiale e <strong>il</strong> portamento è quasi sempre<br />
excurrente (almeno nelle piante arboree e fino alla fase di senescenza).<br />
Ai fini del r<strong>il</strong>evamento delle fenofasi proposte, gli organi da osservare e tenere sotto<br />
controllo sono <strong>il</strong> sistema ramo-foglia-gemma e <strong>il</strong> complesso delle strutture riproduttive.<br />
5.1 RAMO<br />
Nelle Conifere sono presenti macroblasti, brachiblasti e rami nani.<br />
Mocroblasto è un normale ramo di allungamento (o di esplorazione secondo <strong>il</strong> significato<br />
di Thiébaut, 1988) in cui le singole gemme risultano regolarmente distanziate fra loro. Diversi<br />
generi presentano solo macroblasti (ad esempio, Abies. Pseudotsuga. Picea, Sequoia. Taxodium,<br />
Tsuga).<br />
Brachiblasto è invece un ramo in cui non si sono normalmente differenziati e/o distesi<br />
tutti i tessuti compresi fra due gemme consecutive; brachiblasti sono tipicamente presenti in<br />
Cedrus e in Lorix; essi sono fac<strong>il</strong>mente riconoscib<strong>il</strong>i <strong>per</strong>ché le foglie formano una rosetta<br />
attorno al punto di inserzione.<br />
Il ramo nono è invece tipico nel genere Pinus: si tratta di un ramo molto breve provvisto<br />
di una sola gemma portata all'apice. E' su questi rametti che sono inseriti i fascetti di aghi;<br />
comunemente questi rami vengono anch'essi chiamati brachiblasti.<br />
5.2 FOGLIA<br />
Le foglie delle Conifere sono aghiformi (Pinaceae e alcuni Juni<strong>per</strong>us) o squamiformi; in<br />
fase giovan<strong>il</strong>e, le Cupressaceae a foglia squamiforme hanno foglie aciculari; anche i pini allo<br />
stadio di semenzale hanno foglie aciculari semplici e non portate riunite in fascetti.<br />
Alla germogliazione le foglie si rendono visib<strong>il</strong>i non appena le <strong>per</strong>ule divergono. Nei<br />
pini, invece, i nomof<strong>il</strong>li (cfr. <strong>il</strong> punto 2.2) "emergono" racchiusi in una guaina dove restano <strong>per</strong><br />
una buona parte della loro fase di accrescimento e di distensione.<br />
Relativamente poco differenziate nella tipologia formale, le foglie delle Conifere<br />
presentano una notevole variab<strong>il</strong>ità nelle dimensioni; da pochi m<strong>il</strong>limetri di lunghezza nelle<br />
foglie squamiformi di molte Cupressaceae fino ai 30-50 cm in alcuni pini (P. cananensis e P.<br />
polustris ad esempio).<br />
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Nelle sempreverdi gli anni di <strong>per</strong>sistenza variano da specie a specie: 2-4 (5) in molti<br />
plOl, 8-12 negli abeti (Picea e Abies), oltre 15 in molte Cupressaceae e in alcuni pini (P.<br />
/ongaeva in particolare).<br />
5.2.1 GEMMA<br />
Le gemme sono· organi di resistenza <strong>per</strong> mezzo dei quali i tessuti deputati<br />
all'accrescimento longitudinale (meristemi apicali) possono su<strong>per</strong>are la stagione avversa che,<br />
alle nostra latitudini, è tipicamente quella invernale. A differenza delle latifoglie spesso nelle<br />
Conifere la gemma apicale è circondata da una corona di gemme subapicali mentre, nella<br />
restante parte del macroblasto hanno una distribuzione non regolarmente partita spesso<br />
complicata dalla presenza dei macrosporof<strong>il</strong>li (apicali o subapicali) e dei microsporof<strong>il</strong>li (più<br />
arretrati).<br />
Una gemma può essere definita come un asse costituito da primordi fogliari in diversi<br />
stadi di sv<strong>il</strong>uppo e da un meristema apicale indifferenziato; possono essere presenti anche<br />
primordi fiorali. Questo insieme è protetto da strutture squamiformi (<strong>per</strong>o/e) con funzione di<br />
protezione. Le gemme hanno dimensioni che possono variare da pochi m<strong>il</strong>limetri di lunghezza<br />
a oltre un centimetro a seconda delle specie. Alla ripresa vegetati va anche nelle Conifere la<br />
gemma attraversa diverse fasi fenologiche caratteristiche: essa aumenta le proprie dimensioni<br />
e inverdisce; successivamente le <strong>per</strong>ule divengono e ha inizio la comparsa delle foglie.<br />
Nei pini le gemme si allungano notevolmente in maniera caratteristica (<strong>il</strong> cosiddetto<br />
"sigaro"), la sua base può apparire rigonfia <strong>per</strong> <strong>il</strong> contemporaneo sv<strong>il</strong>uppo degli eventuali<br />
sporof<strong>il</strong>li masch<strong>il</strong>i. Quando iniziano a comparire le foglie (ancora parzialmente inguainate) è<br />
spesso già osservab<strong>il</strong>e la gemma apicale.<br />
Nella gemma in riposo, al di sotto delle <strong>per</strong>ule e ben protetto da esse, è presente <strong>il</strong><br />
futuro germoglio. Quando esistono delle gemme vere e proprie l'accrescimento longitudinale<br />
può essere completamente o parzialmente predeterminato; tuttavia, rispetto alle latifoglie, è<br />
diverso <strong>il</strong> significato di nodo e di internodo.<br />
Nelle Angios<strong>per</strong>me ogni foglia sottende una gemma e, <strong>per</strong> definizione, <strong>il</strong> nodo<br />
corrisponde al punto di inserzione della/e fogliale e della/e gemma/e; internodo è quindi la<br />
porzione di ramo compresa fra due nodi: un macroblasto è <strong>per</strong>ciò costituito da più internodi<br />
ben visib<strong>il</strong>i. Nelle Conifere, invece, le gemme non sono sottese da foglie <strong>per</strong> cui diventa<br />
diffic<strong>il</strong>e riconoscere un nodo e la porzione di ramo compresa fra due nodi.<br />
Convenzionalmente, viene definito come internodo (sinonimi: ramo dell'anno, cacciata, flusso,<br />
getto) la porzione di ramo compresa fra due insiemi consecutivi di cicatrici lasciate dalle<br />
<strong>per</strong>ule della gemma apicale, quindi l'internodo corrisponde al macroblasto intero.<br />
Nelle specie con una ramificazione nettamente vertic<strong>il</strong>lata (cioè in palchi regolari) è<br />
molto fac<strong>il</strong>e riconoscere i singoli nodi ed internodi. Molte conifere adulte hanno un solo flusso<br />
di crescita/anno <strong>per</strong> cui dal conteggio dei nodi (palchi) è agevole valutare l'età della pianta.<br />
Però <strong>nei</strong> pini, in particolare quando ancora giovani, questo può risultare complicato da una<br />
ritmica annuale di accrescimento in cui possono verificarsi più flussi predeterminati ma anche<br />
non determinati. Francini (1953) ha proposto, e <strong>il</strong> suo suggerimento è oggi comunemente<br />
accettato, i termini uninoda/e e mu/tinodak in funzione del numero di internodi formati ma già<br />
differenziati completamente nella gemma e i termini monociclico e po/iciclico in funzione del<br />
numero di cacciate formate ex novo durante la stagione di sv<strong>il</strong>uppo stessa. Ad esempio, le<br />
piante giovani di Pinus ha/epensis sono uninodali e policicliche in quanto nella gemma è<br />
differenziata una sola cacciata (uninodali) ma durante la stagione favorevole ne possono<br />
formare diverse di nuove (policicliche), viceversa da adulto <strong>il</strong> pino d'Aleppo diventa<br />
multinodale <strong>per</strong>ché produce diverse cacciate/anno tutte preformate ma è monociclico <strong>per</strong>ché<br />
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nessuna cacciata viene formata ex novo. Nella pratica, i termini uninodale/monociclico e<br />
multinodale/policiclico sono spesso usati, rispettivamente, come sinonimi.<br />
Nelle Cupressaceae l'accrescimento longitudinale non è predeterminato; in questi casi<br />
non sono assolutamente riconoscib<strong>il</strong>i strutture definib<strong>il</strong>i come gemme e la fase di<br />
germoglia mento ha, macroscopicamente, inizio nel momento in cui si possono osservare le<br />
prime foglioline neoformate.<br />
5.3 APPARATI RIPRODUTTORI<br />
Le Conifere presentano gli organi della riproduzione organizzati in strutture<br />
morfologicamente ben definite in cui la parte determinante è costituita dagli sporangi portati<br />
di norma da foglie fortemente modificate (gli sporof<strong>il</strong>li). Senza entrare nella descrizione di<br />
queste strutture, a seconda del tipo di spore prodotte, gli sporangi si distinguono in:<br />
a) microsporoftlli - portano le sacche polliniche (androsporangi) e sono quindi<br />
omologab<strong>il</strong>i a fiori masch<strong>il</strong>i.<br />
b) macrosporoftlli - portano gli ovuli (ginosporangi) e sono quindi omologab<strong>il</strong>i a fiori<br />
femmin<strong>il</strong>i.<br />
Micro e macrosporof<strong>il</strong>li sono <strong>per</strong> lo più riuniti in infiorescenze variamente complesse<br />
comunemente chiamate coni o strob<strong>il</strong>i; <strong>per</strong> sinèddoche, spesso le infiorescenze (che spesso<br />
sono amentiformi) vengono identificate con i singoli costituenti, gli sporof<strong>il</strong>li, e vengono<br />
indicate con i termini relativi (macrosporof<strong>il</strong>li e microsporof<strong>il</strong>li).<br />
Le Pinaceae sono unisessuate e quasi sempre monoiche, la fioritura masch<strong>il</strong>e di solito<br />
precede, nell'ambito della stagione vegetativa ma anche della vita della piante, la fioritura dei<br />
macrosporof<strong>il</strong>li femmin<strong>il</strong>i.<br />
Le infiorescenze masch<strong>il</strong>i sono costituite da numerosi microsporof<strong>il</strong>li disposti secondo<br />
una tassia spiralata. Ciascun microsporof<strong>il</strong>lo porta due sacche polliniche. I coni femmin<strong>il</strong>i sono<br />
isolati o riuniti in vertic<strong>il</strong>li; possono essere eretti o penduli, sess<strong>il</strong>i o peduncolati; sono formati<br />
da una serie di squame disposte a spirale, ciascuna è protetta da una brattea. Ogni squama<br />
porta due ovuli.<br />
Le infiorescenze masch<strong>il</strong>i delle Cupressaceae sono portate apicali o ascellari e ciascuna<br />
può anche portare un numero elevato di microsporof<strong>il</strong>li provvisti di 2-6 sacche pollini che. I<br />
coni femmin<strong>il</strong>i sono portati apicali, solitari o riuniti in gruppi, sono costituiti da coppie opposte<br />
e decussate di squame fuse con la corrispondente brattea; ciascuna squama porta da 2 a 20<br />
ovuli. Il genere Juni<strong>per</strong>us è quasi sempre dioico.<br />
6 CICLO RIPRODUTTIVO<br />
L'impollinazione è anemof<strong>il</strong>a. Nelle Conifere <strong>il</strong> granulo pollinico inizia la sua<br />
germinazione già nella sacca pollinica ma può completare <strong>il</strong> suo sv<strong>il</strong>uppo solo quando si trova<br />
sull'ovulo idoneo. La meiospora non degenerata produce l'endos<strong>per</strong>ma primario in cui si<br />
differenziano gli archegoni alla base dei quali si forma l'ovulo vero e proprio.<br />
Questo sv<strong>il</strong>uppo può avvenire in pochi giorni oppure richiede un numero variab<strong>il</strong>e di<br />
mesi; questo fa sì che la maturazione dello strob<strong>il</strong>o avvenga nell'anno o in 2 o anche 3 anni, a<br />
secondo delle specie.<br />
Tipicamente, al momento dell'impollinazione le singole squame del conetto<br />
femmin<strong>il</strong>e sono divaricate fra loro in modo da agevolare l'impollinazione.<br />
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6.1 STROBILO<br />
Lo strob<strong>il</strong>o viene comunemente chiamato "pigna" o "cono" quando è legnoso ed<br />
allungato; prende <strong>il</strong> nome di "galbula" o "coccola" quando è di forma rotondeggiante. in<br />
quest'ultimo caso può essere legnoso (Cupressus) o carnoso (Juni<strong>per</strong>us). Oltre alla consistenza.<br />
lo strob<strong>il</strong>o varia notevolmente <strong>per</strong> forma e dimensioni passando dai 4-5 mm di alcuni Juni<strong>per</strong>us<br />
ai 50 cm di lunghezza di Pinus lombertiono.<br />
Fra impollinazione e fecondazione può intercorrere, in alcuni taxa. un intervallo anche<br />
notevole. Non è quindi agevole poter visualizzare l'avvenuta allegagione. Segno<br />
macromorfologico spesso palese è invece l'oppressomento delle squame che è r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e subito<br />
dopo l'avvenuta impollinazione.<br />
6.2 SEME<br />
I semi delle Pinaceae sono di norma provvisti di un'ala anche molto lunga che è<br />
particolarmente ut<strong>il</strong>e <strong>per</strong> la disseminazione. Nelle Cupressaceae i semi sono piccoli e provvisti<br />
di tubercoli o creste. La germinazione può essere immediata oppure <strong>il</strong> seme può presentare<br />
una dormienza anche molto lungo indotta soprattutto da immaturità dell'embrione e/o da<br />
blocco metabolico indotto da ormoni.<br />
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BIBLIOGRAFIA<br />
Callen G. 1976. Les Conifères eultiute en Europe, Editions Ba<strong>il</strong>lière, Paris.<br />
Dallimore W.; Jackson A.B. 1966. A Itondbook olConiferoe, E. Arnold, London.<br />
Francini E. 1969. Ilpino d'Aleppo in Puglia, Ann. F ac. Agr. Bari, 8: 1-11 O.<br />
Gerola F.M. 1978. Biologia vegetale - Sistematico, UTET, Torino.<br />
Thiebaut B. 1988. Tree growtlt, morpltology ond orcltitecture, tlte cose 01 beeclt: Fogus sylvotico L. In<br />
Scientific btJSis ollorest dec/ine symptomotology, Ed by J.N. Cape and P. Mathy: 49-72.<br />
Commission of European Communities, Bruxelles.<br />
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VI<br />
COSTITUZIONE E GESTIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO<br />
Andrea Malossini<br />
Seroizio Produzioni ogricole, Assessoroto Agricolturo, Regione Em<strong>il</strong>io-Romogno<br />
l. COSTITUZIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO<br />
Le o<strong>per</strong>azioni che precedono la costituzione di un Giardino <strong>fenologico</strong> non sono molto<br />
diverse da quelle che normalmente precedono la progettazione di un giardino ornamentale.<br />
La piantagione di alberi e arbusti segue norme generali alle quali non ci si può sottrarre. Certo<br />
<strong>per</strong>ò che, considerato <strong>il</strong> diverso scopo, qualche precauzione in più va presa. Prima di tutto<br />
nella scelta del sito.<br />
1.1 SCELTA DEL SITO<br />
La scelta del sito nel quale costituire un Giardino <strong>fenologico</strong> è spesso trascurata, vuoi<br />
<strong>per</strong> mancanza di alternative, vuoi <strong>per</strong> mancanza di elementi conoscitivi. Questo fatto è di <strong>per</strong><br />
sè abbastanza negativo, visto che tra le finalità dei <strong>Giardini</strong> esiste anche quella di dover<br />
rappresentare un determinata zona.<br />
Per poter far questo, come avviene <strong>per</strong> le stazioni meteorologiche, è necessario far<br />
precedere, alla scelta finale del sito, un'accurata indagine climatologica. Questa delicata<br />
o<strong>per</strong>azione, comunque necessaria <strong>per</strong> poter collocare l'indispensab<strong>il</strong>e stazione meteorologica,<br />
è bene che accada prima ancora dell'analisi delle caratteristiche del terreno, altro elemento<br />
importante, affinché le scelte avvengano in modo ordinato e corretto.<br />
Le caratteristiche fisiche e chimiche del terreno sono, come detto, l'altro elemento<br />
fondamentale e, di conseguenza, la scelta del sito deve essere fatta tenendone conto. Può<br />
infatti capitare che, ad esempio, in terreni con eccesso di calcare o con pH anormale, alcune<br />
piante non riescano ad attecchire. Oppure che terreni troppo sciolti o al contrario fortemente<br />
arg<strong>il</strong>losi, creino problemi molto sim<strong>il</strong>i a quelli provocati dalla scarsità di acqua o da un suo<br />
eccesso. Poter evitare questi intoppi può voler dire riuscire o meno nell'impresa, o <strong>per</strong> lo<br />
meno, risparmiarsi costosi interventi correttivi.<br />
Oltre alla scelta del sito in senso generale, che come abbiamo visto va fatta con<br />
oculatezza, prima di procedere alla messa a dimora delle piante bisogna considerare<br />
l'esposizione delle stesse (intesa come orientamento <strong>nei</strong> siti collinari), e la disponib<strong>il</strong>ità di<br />
acqua <strong>per</strong> l'irrigazione. Per l'esposizione valgono le considerazioni fatte <strong>per</strong> la climatologia,<br />
(mettere una pianta su un versante esposto a nord non è la stessa cosa che metterla in uno<br />
esposto a sud). Per l'acqua invece, anche se in condizioni normali le piante non andrebbero<br />
irrigate, è bene prevedere un sistema in grado di fornirne la quantità necessaria a far attecchire<br />
le giovani piantine.<br />
1.2 PREPARAZIONE DEL TERRENO<br />
Dato <strong>per</strong> scontato che la scelta del terreno sia quella ottimale, e che non siano <strong>per</strong>ciò<br />
necessari interventi correttivi con torba, sabbia od altri elementi, bisogna pensare ad accogliere<br />
in modo adeguato le piante. Lo scopo principale è quello di ottenere un rapido affrancamento<br />
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delle radici e un vigoroso sv<strong>il</strong>uppo della parte epigea. Per far si che questo avvenga è bene<br />
agire con ordine. Se <strong>il</strong> terreno è vergine bisogna dissodarlo prima della messa a dimora delle<br />
piante con uno scasso o comunque con un'aratura profonda, affinché questo aumenti la<br />
porosità e la fert<strong>il</strong>ità. Poi va data alla su<strong>per</strong>ficie una forma, come ad esempio la baulatura, in<br />
modo da evitare in futuro ristagni d'acqua e problemi idrici in generale.<br />
Dopo la sistemazione del terreno si può passare alla scelta del <strong>per</strong>iodo di trapianto.<br />
Solitamente le specie arboree caducifoglie si piantano dalla fine di ottobre alla fine di marzo;<br />
le sempreverdi da ottobre a novembre o da marzo ad apr<strong>il</strong>e (quando cioè <strong>il</strong> terreno è<br />
solitamente ben inumidito ma non gelato) e le conifere all'inizio della primavera. Gli arbusti<br />
sono ancor meno esigenti, evitando i <strong>per</strong>iodi con <strong>il</strong> terreno gelato, si può eseguire <strong>il</strong> trapianto<br />
da ottobre a marzo <strong>per</strong> quelli a foglia caduca e anche fino ad apr<strong>il</strong>e <strong>per</strong> quelli sempreverdi.<br />
Molto importante è la preparazione delle buche. Queste, se le piante non sono troppo<br />
grandi, possono essere di 2Ox20x20 cm <strong>per</strong> gli arbusti e 5Ox50x50 cm <strong>per</strong> gli alberi.<br />
Terminata la fase di scavo bisogna fissare <strong>il</strong> tutore nel terreno, porre sul fondo della<br />
buca <strong>il</strong> materiale drenante, l'eventuale cotica erbosa di risulta (con le radici in alto) ed infine,<br />
mettere a dimora la pianta, facendo attenzione che <strong>il</strong> colletto non sia interrato. Fatto questo si<br />
può ricoprire la buca, avendo cura di sminuzzare e mescolare in modo omogeneo <strong>il</strong> terriccio di<br />
risulta prima di rimetterlo nella buca. Completato <strong>il</strong> lavoro non resta che compattare bene <strong>il</strong><br />
terreno, affinché aderisca alle radici, ed annaffiare abbondantemente. L'uso di letame o di<br />
altri concimi al momento dell'impianto può essere, in terreni molto poveri e <strong>per</strong> piante<br />
esigenti, una buona soluzione.<br />
Particolare riguardo va posto nella scelta del tutore e alle necessarie protezioni delle<br />
giovani piante. Il tutore, a seconda delle dimensioni e del tipo di accrescimento della pianta,<br />
può essere di canna o di legno. Ad esso va fissata la pianta, legandola con l'apposita fettuccia e<br />
frapponendo tra i due legni del materiale morbido che impedisca gli scortecciamenti e le<br />
lesioni dovute allo sfregamento in caso di vento forte.<br />
Le piantine vanno poi protette con retine o cannicciato dall'attacco di animali a sangue<br />
caldo come roditori e ungulati. Le lepri in particolare possono provocare gravi danni alle<br />
giovani piante; <strong>per</strong> questo motivo è bene prevedere fin dall'inizio, oltre alle protezioni, l'uso<br />
di sostanze repellenti e di mastici cicatrizzanti <strong>per</strong> curare e disinfettare le spaccature causate<br />
dalla selvaggina e dalle avversità atmosferiche (vento e gelo). Tornando al cannicciato di<br />
protezione, che può essere re <strong>per</strong>ito in loco (Bambusa mitis, Arundo donax), è bene che sia<br />
posto fino a circa un metro di altezza e <strong>per</strong> un diametro di 60 - 80 cm intorno alla pianta,<br />
affinché oltre che dalla selvaggina, la protegga anche dal vento e dall'eccessiva traspirazione.<br />
L'ideale sarebbe abbinare <strong>il</strong> cannicciato con retine ant<strong>il</strong>epri, unendo così le due funzioni.<br />
1.3 SESTO D'IMPIANTO<br />
Prima della messa a dimora delle piantine, bisogna stab<strong>il</strong>ire quale sarà <strong>il</strong> sesto<br />
d'impianto. In questo caso le regole sono molto precise: distanze, disposizione ed<br />
orientamento delle piante nel Giardino, non vanno scelte a caso.<br />
Le f<strong>il</strong>e dovranno essere orientate est-ovest, mettendo a dimora, partendo dal f<strong>il</strong>are più<br />
a sud, prima le piante arbustive e comunque a ridotto sv<strong>il</strong>uppo verticale, poi, verso nord,<br />
quelle a maggior sv<strong>il</strong>uppo.<br />
Le f<strong>il</strong>e devono essere distanti tra di loro 6 m, mentre le piante, lungo la f<strong>il</strong>a, devono<br />
essere distanti 3 m nel caso siano arbustive e a sv<strong>il</strong>uppo limitato, e 6 metri se arboree. La<br />
disposizione generale deve essere del tipo a quinconce. Ogni specie dovrà essere presente in<br />
almeno tre esemplari, si consiglia <strong>per</strong>tanto, mettere a dimora almeno 5 esemplari <strong>per</strong> ogni<br />
specie.<br />
52
1.4 IRRIGAZIONE<br />
Come già accennato al punto 1.1 l'acqua, <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong> fenologici, non dovrebbe essere<br />
ut<strong>il</strong>izzata, modificherebbe infatti la naturale successione delle fenofasi e renderebbe inut<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />
confronto con i parametri meteorologici. E' invece indispensab<strong>il</strong>e <strong>nei</strong> primi anni successivi<br />
all'impianto. In tale <strong>per</strong>iodo averla a disposizione vuoi dire avere o meno successo con<br />
l'attecchimento. Si consiglia <strong>per</strong>ciò un impianto di irrigazione, possib<strong>il</strong>mente del tipo a goccia,<br />
affinché sia assicurata la quantità di acqua necessaria alle pianti ne durante i primi 2 o 3 anni.<br />
2. GESTIONE DEL GIARDINO FENOLOGICO<br />
La gestione del Giardino <strong>fenologico</strong> è in apparenza molto semplice, considerato <strong>il</strong> fatto<br />
che le piante indicatrici devono essere lasciate crescere <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e in modo naturale. Resta<br />
<strong>per</strong>ò <strong>il</strong> fatto che sempre di un Giardino si tratta, ed alcune o<strong>per</strong>azioni, specialmente se ci si<br />
trova in un ambiente dove l'agricoltura intensiva è molto sv<strong>il</strong>uppata, devono essere compiute.<br />
2.1 CURE COLTURALI<br />
Il terreno dei <strong>Giardini</strong> fenologici a regime va tenuto inerbito tra le f<strong>il</strong>e e lavorato lungo<br />
la f<strong>il</strong>a, mentre è consigliata la lavorazione di tutta la su<strong>per</strong>ficie nel <strong>per</strong>iodo dell'affrancamento<br />
(i primi 2 o 3 anni). L'irrigazione, dal momento che le piante sono affrancate, non va più<br />
eseguita. Stesso discorso anche <strong>per</strong> le concimazioni.<br />
Discorso diverso <strong>per</strong> la potatura ed i trattamenti antiparassitari. Nel primo caso, anche<br />
se non è consigliata, è bene procedere alla spollonatura (<strong>per</strong> circa un metro in altezza), e al<br />
taglio delle parti secche o fonte di inoculo di malattie.<br />
Per i trattamenti antiparassitari <strong>il</strong> discorso è invece molto più complicato. Di norma<br />
anche questo intervento non dovrebbe essere eseguito, ma vista la situazione nazionale, dove<br />
le aree incontaminate sono rare, e i <strong>Giardini</strong> sono spesso inseriti in ambienti fortemente<br />
urbanizzati o contigui a colture intensive, <strong>il</strong> farlo diventa una scelta quasi obbligata.<br />
Le avversità che colpiscono le specie comunemente ut<strong>il</strong>izzate <strong>nei</strong> <strong>Giardini</strong> fenologici<br />
sono principalmente di tipo animale. Insetti ed acari in particolare. Le avversità di natura<br />
vegetale, come le crittogame, seppur frequenti, diffic<strong>il</strong>mente pregiudicano <strong>il</strong> regolare sv<strong>il</strong>uppo<br />
delle piante.<br />
Di marginale importanza le malattie prodotte da batteri e virus, sia <strong>per</strong>chè scarsamente<br />
diffuse, ma pure <strong>per</strong>chè, nel caso che l'infezione si diffonda, non esistono validi metodi di<br />
lotta. La presenza di batteriosi o di virosi sulla vegetazione <strong>nei</strong> primi anni di vita delle piante,<br />
dovrebbe prevedere l'abbattimento e la sostituzione delle stesse, in quanto diffic<strong>il</strong>mente, col<br />
tempo, la situazione andrà a migliorare. Stesso discorso in caso di accertamento di malattie di<br />
natura vascolare o di marciumi radicali.<br />
Gli interventi consigliati <strong>per</strong> contrastare infestazioni di insetti sono principalmente di<br />
natura meccanica. Anche se di diffic<strong>il</strong>e esecuzione, sarebbe meglio intervenire, ad esempio,<br />
con spazzolature <strong>per</strong> eliminare le cocciniglie, con irrorazioni <strong>per</strong> afidi, acari o ripulire le piante<br />
da residui vari tipo melata, oppure con raccolta manuale di nidi, ricoveri, galle, ovature e<br />
quant'altro sia rièettacolo o prodotto di queste avversità. Altrettanto ut<strong>il</strong>e è l'ut<strong>il</strong>izzo di<br />
trappole alimentari o sessuali <strong>per</strong> catturare gli insetti adulti.<br />
Quando comunque le infestazioni provocate da insetti non sono altrimenti<br />
controllab<strong>il</strong>i, è indispensab<strong>il</strong>i intervenire con prodotti di natura chimica.<br />
Le principali avversità che hanno reso necessario l'intervento chimico <strong>nei</strong> primi anni di<br />
attività, tra le piante comprese nelle prime due liste (cfr. III cap 7), sono le seguenti:<br />
53
Afidi in Prunus avium e T<strong>il</strong>ia cordata<br />
Punteruolo (Cryptorhynchus lapathi) in Populus canescens<br />
Danni limitati sono stati provocati dalla ticchiolatura sul <strong>Cra</strong>taegus monogyna t e dagli<br />
afidi in generale su quasi tutte le specie. Non sono <strong>per</strong> ora comparse avversità particolarmente<br />
gravi come la Marssonina del pioppo o <strong>il</strong> Corineo nel c<strong>il</strong>iegio.<br />
54
BIBLIOGRAFIA<br />
AA.VV. 1982. Lo pototuro degli alberi ornamentali <strong>nei</strong> luoghi pubblici, Bologna, Regione Em<strong>il</strong>ia<br />
Romagna.<br />
AA.VV. 1988. Avversità degli alberi ornamentali, San Pietro in Casale Bo, Centro Professionale<br />
Malaguti.<br />
AA.VV. 1990. Calendario verde, Bologna, Edagricole.<br />
Pantanelli E. 1953. Agronomia generole, Bologna, Edagricole.<br />
Vezzosi C. 1985. Vivoistico Ornamentale, Bologna, Edagricole.<br />
55
VII<br />
CLONAZIONE DI SPECIE INDICATRICI PER I GIARDINI<br />
FENOLOGICI ITALIANI<br />
l INTRODUZIONE<br />
Aldo Ranfa<br />
Diportimento di Bio/oOo Vegeto/e, Orlo botonico, Univenitò di Perugio<br />
Si è cercato di clonare <strong>per</strong> propagazione vegetativa le otto specie indicatrici da<br />
ut<strong>il</strong>izzare obbligatoriamente nella costituzione dei <strong>Giardini</strong> fenologici italiani.<br />
Considerando le esigenze delle specie da propagare si è preferita la tecnica della talea<br />
come metodo più appropriato nella clonazione. Le piante madri attualmente sono coltivate<br />
presso <strong>il</strong> Giardino <strong>fenologico</strong> di San Pietro Capofiume, Bologna.<br />
Le otto specie considerate e che consentiranno <strong>il</strong> collegamento con la rete IPG e la rete<br />
dei <strong>Giardini</strong> Fenologici <strong>Italiani</strong> (GFI) sono le seguenti: Cory/us aveI/ono L. (GFI), Crotoegus<br />
monogyno Jocq. (GFI), Ligustrum vu/gore L. (GFI), Robinio pseudoococio L. (GFI), So/ix ocuti/o/io<br />
W<strong>il</strong>/d. (IPG), So/ix smithiono W<strong>il</strong>/d (lPG), So/ix vimino/is L. (lPG), Sombucus nigro L. (GFI)<br />
2 MATERIALI E METODI<br />
Il materiale vegetale è stato prelevato da piante madri coltivate presso <strong>il</strong> Giardino<br />
<strong>fenologico</strong> di S. Pietro Capofiume, Bologna, in tre epoche diverse: fine settembre, fine<br />
febbraio e fine apr<strong>il</strong>e.<br />
Il primo prelievo di materiale vegetale, effettuato <strong>il</strong> 29 settembre 1992, è stato eseguito<br />
prelevando campioni di età diverse, preferendo comunque la vegetazione dell'anno. In Cory/us<br />
ovel/ono, in particolare, si è preferito prelevare campioni dai giovani polloni situati alla base del<br />
fusto; in Robinio pseudococio, non essendo presenti polloni alla base del fusto, si sono prelevate<br />
le parti apicali delle branche più basse; in So/ix ocuti/olio, essendo la pianta madre ancora<br />
molto giovane, sono stati prelevati pochi ed obbligati campioni.<br />
Successivamente, <strong>il</strong> 1 ° settembre 1992, con i campioni prelevati sono state eseguite<br />
talee semplici che sono state messe a radicare in un letto di radicamento sotto misI<br />
intermittente presso l'Orto botanico di Perugia. La tem<strong>per</strong>atura osc<strong>il</strong>lava dai 18° ai 20°C<br />
mentre <strong>il</strong> substrato era composto da agri<strong>per</strong>lite. Per aumentare la <strong>per</strong>centuale di radica mento<br />
delle talee e <strong>per</strong> una maggior produzione di radici avventizie, è stato effettuato un trattamento<br />
con ormoni rizogeni in talco, a base di acido indolbutirrico (IBA), nella concentrazione di 2000<br />
ppm.<br />
Il secondo prelievo di materiale vegetale, effettuato <strong>il</strong> 19 febbraio 1993, è stato<br />
eseguito prelevando campioni di età diverse ed in quantità maggiore <strong>per</strong> le specie, come<br />
Cory/us ovel/ono, Crotoegus monogyno e Robinio pseudococio, che avevano mostrato qualche<br />
problema di radicamento nel primo tentativo. Il 20 febbraio 1993, con i campioni prelevati,<br />
sono state eseguite talee semplici che, successivamente, sono state messe a radicare in un letto<br />
di radicamento irrigato <strong>per</strong>iodicamente con acqua. La tem<strong>per</strong>atura osc<strong>il</strong>lava dai 20° ai 22°C<br />
mentre <strong>il</strong> substrato era composto da agri<strong>per</strong>lite. E' stato effettuato un trattamento con ormoni<br />
rizogeni in talco, a base di acido indolbutirrico (lBA), nella concentrazione di 8000 ppm.<br />
57
Il terzo prelievo di materiale vegetale, effettuato <strong>il</strong> 21 apr<strong>il</strong>e 1993, è stato eseguito<br />
prelevando campioni di età diverse solamente delle specie con problemi di radicamento:<br />
Cory/us avellana, <strong>Cra</strong>taegtls monogyna, Sa/ix acutifo/ia, Sa/ix smithiana, Robinia pseudocacia.<br />
Con i campioni prelevati sono state eseguite talee semplici che sono state messe a<br />
radicare <strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e 1993 in un letto di radicamento irrigato <strong>per</strong>iodicamente con acqua. La<br />
tem<strong>per</strong>atura osc<strong>il</strong>lava dai 22° ai 25°C. Per <strong>il</strong> substrato di radicamento è stato ut<strong>il</strong>izzato un misto<br />
alla pari di agri<strong>per</strong>lite e torba neutra. E' stato effettuato un trattamento con ormoni rizogeni in<br />
talco, a base di acido indolbutirrico (lBA), nella concentrazione di 2000 ppm.<br />
3<br />
RISULTATI E CONCLUSIONI<br />
Dalla tabella l si può constatare che sia nella prima prova di radicamento che nella<br />
seconda si è avuto un ottimo risultato sulle talee di Sambucus nigra tanto da risultare<br />
praticamente inut<strong>il</strong>e la terza prova.<br />
Buono anche <strong>il</strong> risultato del radicamento delle talee di Ligustrum vu/gare nelle due<br />
prove effettuate; la terza non è stata effettuata.<br />
Discreti invece i risultati del radicamento delle tale e dei salici: S. tJCUtifo/ia e S.<br />
smithiana hanno avuto una <strong>per</strong>centuale di radicamento buona nella prima e terza prova, ma<br />
fallimentare nella seconda dove forse l'eccessiva concentrazione di ormoni rizogeni ha influito<br />
negativamente sul risultato finale; S. vimina/is ha avuto basse <strong>per</strong>centuali di radicamento nelle<br />
talee delle due sole prove effettuate.<br />
U n discorso a parte va effettuato <strong>per</strong> Cory/us avellana, <strong>Cra</strong>llJegus monogyna e Robinia<br />
pseudoclJCia. Nelle talee di Cory/us si è evidenziata solamente la formazione di un piccolo callo<br />
alla base del ram etto ma nessun accenno di formazione radicale. In <strong>Cra</strong>taegus non si è formato<br />
neanche un piccolo callo basale. In Robinia invece si è apprezzata, in tutte le prove effettuate,<br />
la formazione di un callo basale e lo sv<strong>il</strong>uppo di una piccola vegetazione dalle gemme mediane<br />
del rametto, ma nessuna formazione radicale.<br />
In conclusione si può evidenziare l'effettiva difficoltà nel clonare le tre specie<br />
sopracitate tramite talee semplici di ramo; si potrebbe comunque intervenire in tempi<br />
successivi con altre tecniche di taleaggio come la talea di radice, consigliata soprattutto <strong>per</strong><br />
Robinia pseudocacia, o con altre tecniche di clonazione come la propaggine, la margotta, ecc.<br />
Per quanto riguarda Sa/ix vamina/is lo scarso risultato finale potrebbe dipendere dal<br />
rinvaso effettuato troppo precocemente quando ancora le radici erano troppo piccole.<br />
58
Tabella 1<br />
Specie la prova 29 setto 2a prova 20 febb. 3a prova 21 apro Totale<br />
piante<br />
n. specie % radic. n. specie % radic. n. specie % radic. disponib<strong>il</strong>i<br />
Corylus avellana L. O O O O O O O<br />
<strong>Cra</strong>taee:us monogyna Jacq. O O O O O O O<br />
Ligustrum vulgare L. 60 43,5 22 55,0 - - 82<br />
Robinia pseudoacacia L. O O O O O O O<br />
Salix acutifolia W<strong>il</strong>ld. 34 30,9 O O 15 53,6 49<br />
Salix smithiana W<strong>il</strong>ld. 30 19,6 1 5 6 30,0 37<br />
Salix viminalis L. 25 16,8 8 32,0 - - 33<br />
Sambucus nigra L. 62 82,7 52 85,3 - - 114<br />
59
BIBLIOGRAFIA<br />
Hartmann H.T.; Kester D.E. 1990. Propagazione deJJe piante; basi scientifiche e applicazioni<br />
tecniche, Edizioni Agricole, Bologna.<br />
McMiIlan Browse P. 1982. Riprodurre le piante, Zanichelli editore, Bologna.<br />
Romano B.; Frenguelli G. 1982. Botanica generale; la procreazione <strong>nei</strong> vegetali e organigrafia degli<br />
apparoti procreativi, Galeno Editrice, Perugia.<br />
60
VIII<br />
LA MISURA DEI PARAMETRI METEOROLOGICI NEI GIARDINI<br />
FENOLOGICI: INDICAZIONI PER LA SCELTA DELLE STAZIONI<br />
Lucio Botarelli, Angelo Salsi<br />
Servizio Meteorologico Regionole<br />
Regione Em<strong>il</strong>io-Romogno<br />
Tra le possib<strong>il</strong>i applicazioni dei dati fenologici risultano di grande importanza, ai fini<br />
della modellistica di crescita e sv<strong>il</strong>uppo delle piante, le relazioni con le variab<strong>il</strong>i<br />
meteorologiche.<br />
Si vuole qui affrontare l'aspetto della costituzione di una rete di stazioni<br />
meteorologiche che accompagnino ogni Giardino <strong>fenologico</strong> e ne costituiscano <strong>il</strong> corredo<br />
indispensab<strong>il</strong>e e comune a tutti.<br />
La costituzione della rete italiana di <strong>Giardini</strong> fenologici prevede la definizione di<br />
alcuni standard sia a riguardo della costituzione dei giardini stessi, sia in riferimento alle<br />
modalità di osservazione e registrazione dei dati fenologici, sia <strong>per</strong> <strong>il</strong> recu<strong>per</strong>o e<br />
l'organizzazione dei dati meteorologici.<br />
Anche <strong>per</strong> quest'ultimo aspetto esistono molte possib<strong>il</strong>ità di scelta riguardanti la<br />
conformazione ed <strong>il</strong> funzionamento dell'oggetto stazione.<br />
La necessità di disporre di serie di dati sicure e gestib<strong>il</strong>i suggerisce di pensare ad una<br />
struttura base raggiungib<strong>il</strong>e da tutti <strong>per</strong> livelli di costo e modalità di gestione; una stazione che<br />
possa in un secondo momento e <strong>per</strong> le necessità dei singoli, essere integrata con altri sensori<br />
eventualmente necessari.<br />
Sul mercato sono disponib<strong>il</strong>i stazioni con un numero variab<strong>il</strong>e di porte in entrata <strong>per</strong><br />
segnali da sensore; proprio <strong>per</strong> gli intenti della istituenda rete, al fine di raggiungere uno<br />
standard di efficienza e confrontab<strong>il</strong>ità, si ritiene che la configurazione base della stazione,<br />
capace di raccogliere i dati meteorologici dell'area in cui è impiantato <strong>il</strong> giardino <strong>fenologico</strong>,<br />
debba comprendere inizialmente solo i sensori di precipitazione, tem<strong>per</strong>atura e umidità.<br />
Quindi, deve necessariamente essere priv<strong>il</strong>egiata la scelta di stazioni con caratteristiche<br />
tecniche tali da <strong>per</strong>mettere una fac<strong>il</strong>e espansione del numero dei sensori collegab<strong>il</strong>i all'unità<br />
centrale. Questo implica che la scelta sia posta tra stazioni ad unità centrale con un numero di<br />
canali a disposizione tale da assolvere alle supposte future esigenze o che successivamente si<br />
provveda ad incrementare le entrate della stazione con aggiunte di schede hardware<br />
(multiplexer). In ogni caso è necessario che le stazioni siano fac<strong>il</strong>mente programmab<strong>il</strong>i e che<br />
siano corredate da un software guida <strong>per</strong> la loro programmab<strong>il</strong>ità e gestione (interrogazione,<br />
etc.).<br />
I sensori di tem<strong>per</strong>atura ed umidità relativa debbono essere alloggiati entro schermi<br />
antiradiazione multipiatto tipo GiII, prefçrib<strong>il</strong>mente a vent<strong>il</strong>azione forzata, ovvero a<br />
vent<strong>il</strong>azione naturale, considerando comunque che in condizioni di bassa vent<strong>il</strong>azione e forte<br />
irraggiamento, questi ultimi possono indurre errori di misura anche consistenti. I sensori di<br />
tem<strong>per</strong>atura e di umidità possono essere collocati entro schermi antiradiazione distinti o in un<br />
unico corpo di protezione (sensori integrati).<br />
Le classi di stazioni sono sostanzialmente due: quelle definite come "data Iogger" ,<br />
anche se la definizione è di fatto applicab<strong>il</strong>e a tutte, e quelle automatiche "tradizionali",<br />
61
Le seconde hanno una impostazione che ne <strong>per</strong>mette un uso semplice, ma a volte assai<br />
limitato e costringe comunque l'utente a rivolgersi alla casa madre <strong>per</strong> risolvere esigenze non<br />
previste dal progetto iniziale, come ad esempio <strong>il</strong> collegamento di sensori di altra marca o la<br />
modifica di alcune funzioni degli archivi. Inoltre quel tipo di stazioni non <strong>per</strong>mette di inserire<br />
nel programma di funzionamento algoritmi <strong>per</strong> calcoli di particolari parametri derivati, quale<br />
ad esempio l'evapotraspirazione potenziale, ad eccezione di quelli previsti dalla casa<br />
costruttrice, in altre parole .la loro programmab<strong>il</strong>ità è limitata alle esigenze fondamentali di un<br />
utente (tempi di archiviazione e tipo di dati archiviati).<br />
Le stazioni definib<strong>il</strong>i come "data logger" risultano meno semplici da ut<strong>il</strong>izzare, ma<br />
<strong>per</strong>mettono all'utente di scrivere <strong>il</strong> programma di funzionamento secondo le proprie esigenze<br />
con pochissime limitazioni. Con <strong>il</strong> data logger viene generalmente fornito un pacchetto di<br />
programmi tra i quali un editor che fac<strong>il</strong>ita la scrittura del programma di funzionamento della<br />
stazione ed <strong>il</strong> suo scarico <strong>per</strong> l'attivazione della stazione stessa. Tra i programmi forniti vi è<br />
sempre quello dedicato alla comunicazione ed interrogazione in loco o in remoto delle<br />
stazioni, potendo in pratica gestire diverse decine di stazioni da un buon <strong>per</strong>sonal computer<br />
MS-DOS compatib<strong>il</strong>e.<br />
I manuali a corredo delle macchine e del software sono sempre estremamente<br />
particolareggiati e quindi, con un po' di buona volontà, si può ottenere quasi tutto ciò che si<br />
vuole da una rete di questo tipo. Naturalmente questo tipo di macchine può essere acquistato<br />
con <strong>il</strong> programma già scritto dal fornitore secondo le specifiche del cliente e funzionare quindi<br />
come stazione "tradizionale" senza che l'utente debba acquisire conoscenze tecniche<br />
particolari <strong>per</strong> la loro gestione.<br />
In termini di costi i prezzi in Italia dei due tipi di apparecchi sono confrontab<strong>il</strong>i, ma si<br />
può considerare l'opportunità di rivolgersi al mercato inglese o statunitense dove i prezzi sono<br />
spesso inferiori.<br />
Il software <strong>per</strong> la gestione di una rete da PC presenta prezzi estremamente variab<strong>il</strong>i,<br />
ma non dovrebbe comunque su<strong>per</strong>are un costo di qualche m<strong>il</strong>ione di lire.<br />
Altri fattori da considerare, infine, sono i termini dell'assistenza e la serietà della casa:<br />
mentre i primi sono generalmente espliciti nell'offerta, <strong>per</strong> la seconda ci si può basare solo<br />
sull'es<strong>per</strong>ienza fatta da altri ut<strong>il</strong>izzatori e sul nome della casa stessa.<br />
Nel caso che <strong>il</strong> Giardino <strong>fenologico</strong> fosse localizzato in una area disagiata e di diffic<strong>il</strong>e<br />
raggiungimento tramite le normali linee della rete elettrica è possib<strong>il</strong>e pensare ad una stazione<br />
che sia autoalimentata tramite pannelli fotovoltaici e batterie in tampone.<br />
Lo scarico dei dati potrebbe avvenire su un <strong>per</strong>sonal computer collegato in loco<br />
mediante un apposito programma software, o su memorie EPROM trascrivi b<strong>il</strong>i mediante<br />
lettore.<br />
Il trasferimento dei dati può avvenire tramite linea telefonica o via radio; quest'ultima<br />
ipotesi risulta di gran lunga la più comoda, ma anche la più diffic<strong>il</strong>e da attuare a causa del<br />
regime di controllo delle bande radio o<strong>per</strong>ato dal Ministero competente. Pertanto una rete di<br />
stazioni che ricalchi e compendi quella fenologica può esser considerata costituita da punti di<br />
r<strong>il</strong>evazione collegati tramite linee telefoniche ed interrogab<strong>il</strong>i a distanza mediante modem <strong>per</strong><br />
linea telefonica con protocollo V22 e con velocità di trasmissione di 1200 o 2400 baud.<br />
Esistono ormai anche reti fonia dati che assicurano una maggiore efficienza e sicurezza nel<br />
trasferimento dell 'informazione.<br />
E' possib<strong>il</strong>e inoltre pensare all'uso della rete ITAPAC previa una valutazione di<br />
con ven lenza.<br />
62
La localizzazione del sito in cui posizionare la stazione deve rispondere alle disposizioni<br />
dettate dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale ed alle esigenze di fac<strong>il</strong>e raggiungib<strong>il</strong>ità<br />
ed ispezionab<strong>il</strong>ità della stazione stessa.<br />
In particolare la stazione meteorologica dovrebbe essere collocata in luogo accessib<strong>il</strong>e<br />
<strong>per</strong> <strong>il</strong> controllo dei sensori e della loro funzionalità, non deve comunque trovarsi ad una<br />
distanza inferiore a cinque volte l'altezza dell'ostacolo più vicino; se si pensa di voler installare<br />
una stazione munita di sensore della velocità e direzione del vento posto a due metri da terra o<br />
su palo abbattib<strong>il</strong>e di dieci metri, allora devono essere considerate distanze non inferiori a<br />
dieci volte l'altezza dell'ostacolo più vicino.<br />
Bisogna quindi considerare come ostacolo anche <strong>il</strong> giardino stesso; la collocazione della<br />
stazione non può <strong>per</strong>ciò avvenire nelle immediate vicinanze dei f<strong>il</strong>ari di piante arboree poste a<br />
dimora in esso, poiché la loro massa falserebbe la validità del dato registrato.<br />
Soffermandoci sui parametri velocità e direzione del vento, è opportuno notare la loro<br />
ut<strong>il</strong>izzazione <strong>per</strong> <strong>il</strong> calcolo della evapotraspirazione seguendo le metodologie microclimatiche,<br />
quale quella di Penmann.<br />
Soprattutto quando non siano previste forme di irrigazione fisse nel giardino, lo studio<br />
dell'accrescimento e della adattab<strong>il</strong>ità delle diverse specie all'interno di esso dovrebbe<br />
necessariamente considerare tali variab<strong>il</strong>i. Per le stesse motivazioni anche i sensori di misura<br />
della radiazione potrebbero costituire parte del corredo da destinare all'allestimento<br />
secondario della stazione.<br />
Infine, <strong>il</strong> recinto che chiuda l'area di rispetto della stazione dovrebbe essere di lato pari<br />
ad almeno dieci metri, eventualmente estendib<strong>il</strong>e in considerazione dello spazio necessario<br />
all'abbattimento del palo con <strong>il</strong> sensore anemometrico.<br />
Per quanto riguarda le specifiche a cui deve assolvere la sensoristica prevista <strong>per</strong> la<br />
stazione meteorologica nella configurazione sopra descritta, se ne riporta in calce un elenco.<br />
63
INDICAZIONI SULLE SPECIFICHE TECNICHE DEI SENSORI<br />
SENSORISTlCA RELATIVA AI PARAMETRI SPECIFICATI:<br />
CORREDO BASE<br />
TEMPERATURA ED UMIDITÀ<br />
Sonda di tipo integrato dotata dei seguenti elementi sensib<strong>il</strong>i:<br />
a) RTD PT 100 sensore di tem<strong>per</strong>atura classe B DIN 43760,<br />
b) sensore di umidità relativa dell'aria di tipo capacitivo a polimero solido ( ad esempio<br />
Hygromer C 80).<br />
La sonda deve essere dotata di schermo antiradiazione multipiatto (tipo G<strong>il</strong>l) e dovrà essere<br />
fac<strong>il</strong>mente calibrab<strong>il</strong>e; collocata a 180 cm da terra.<br />
PRECIPITAZIONI<br />
Pluviometro con bocca tarata, risoluzione 0.2 mm, con contenitore della capacità <strong>per</strong> 15 l <strong>per</strong><br />
raccolta acqua a valle del sensore, in cui inserire paraffina in estate contro l'evaporazione ed<br />
antigelo in inverno contro la formazione di ghiaccio.<br />
CORREDO AGGIUNTIVO<br />
TEMPERATURA<br />
Sonda dotata di elemento sensib<strong>il</strong>e RTD PT 100, sensore di tem<strong>per</strong>atura classe B DIN 43760.<br />
La sonda deve essere dotata di schermo antiradiazione multipiatto (tipo G<strong>il</strong>l), deve essere<br />
fac<strong>il</strong>mente calibrab<strong>il</strong>e e collocata a 50 cm da terra.<br />
RADIAZIONE GLOBALE<br />
Sensare di radiazione solare globale di classe 1 (piranometro) a termop<strong>il</strong>a MolI.<br />
VELOCITÀ E DIREZIONE DEL VENTO<br />
Anemometro a coppette e indicatore della direzione a banderuola a 200 cm (solo anemometro)<br />
elo 1000 cm da terra. N elle località dove è frequente la possib<strong>il</strong>ità di formazione di ghiaccio è<br />
possib<strong>il</strong>e scegliere strumenti appositamente studiati (dotati di "gonnelle" antighiaccio) o<br />
riscaldati.<br />
CARATTERISTICHE<br />
Per ciascuna delle sonde riportate dovranno essere conosciute le seguenti caratteristiche:<br />
- materiali costruttivi<br />
- normative tecniche di riferimento - isteresi<br />
- limiti di ut<strong>il</strong>izzo - alimentazione<br />
- campo di misura - tipo di uscita e range<br />
- accuratezza - tempo vita medio (se disponib<strong>il</strong>e)<br />
- precIsione - tempo medio fra avarie (se disponib<strong>il</strong>e)<br />
- risoluzione e tempo di risposta - tempo medio di intervento (se disponib<strong>il</strong>e)<br />
64