allegato scansionato - Archivio Crispolti Arte Contemporanea
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00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 12
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Introduzione alla<br />
disagevole pittura<br />
di Sergio Vacchi<br />
An Introduction to the<br />
Problematic Painting<br />
of Sergio Vacchi<br />
13
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Lo scandalo di un percorso “avulso”<br />
(in una storicità “introiettata”)<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
1. “… prima dell’impatto definitivo”<br />
(con una premessa sulla durata)<br />
“C’è una frase di Kafka per me molto misteriosa: ‘L’unica<br />
nostra salvezza è la morte ma non questa’. È come<br />
se la mia nave facesse acqua da tutte le parti ormai e si<br />
stesse avvicinando verso una riva piena di scogli, con cui<br />
probabilmente entrerà in collisione. Ecco io rappresento<br />
questi minuti di attesa, che poi sono decenni e forse<br />
anche un secolo, prima dell’impatto definitivo, dal<br />
quale non so se io stesso o qualcuno della mia nave si<br />
salverà raggiungendo la riva. Questo ‘oltre’, oltre la morte,<br />
per me rimane come sospeso, forse in attesa di un’altra<br />
morte, come dice Kafka.” Così Sergio Vacchi a Marco<br />
Tonelli, in una conversazione contenuta nel catalogo<br />
dell’antologica che come V Premio Scipione ho organizzato<br />
a Macerata, in Palazzo Ricci, nel 2002 1 .<br />
Sostanzialmente per due ragioni pongo queste sue parole<br />
in testa a un impegnativo viaggio fra motivazioni,<br />
modi e tempi dell’operare del pittore bolognese, poi romano,<br />
oggi e da tempo felicemente senese, attraverso un<br />
sessantennio di intensissima sua attività creativa. La prima<br />
delle ragioni è che, al contrario che nel caso di almeno<br />
diversi dei maestri sui quali si è formato, la creatività<br />
di Vacchi non ha subìto nel tempo un qualche appannamento,<br />
un qualche accenno di avvio di declino,<br />
insomma alcuna rischiosa flessione di tensione immaginativa<br />
e di attualità d’implicite argomentazioni. La<br />
sua creatività anzi si è ricaricata nel tempo attraverso circostanze<br />
immaginative differenti, fino alla straordinaria<br />
intensità della decina d’anni finora felicemente trascorsi,<br />
in consapevole vigile secessione, nel Castello di<br />
Grotti, appunto nel contado senese.<br />
Nella valutazione dell’apporto creativo di molti dei protagonisti<br />
del XX secolo, assai spesso ci si deve riferire<br />
maggiormente, quando non esclusivamente, a quanto<br />
realizzato in gioventù o poco più che nella prima maturità<br />
(riferendosi anche soltanto all’ambito italiano, è<br />
il caso di Balla quanto di Carrà, di De Chirico quanto<br />
14<br />
di Campigli, di Burri quanto di Morlotti, per esempio;<br />
assai poche risultandovi le eccezioni: certamente Fontana<br />
o Cagli, e prima Arturo Martini ma anche poi<br />
Moreni, per esempio, pur in un percorso creativo complessivamente<br />
non altrettanto esteso). Mentre, per densità<br />
propositiva e insieme motilità d’invenzioni iconico-visionarie,<br />
l’ulteriore stagione creativa che Vacchi sta<br />
vivendo fra scorcio degli anni novanta e questi primi<br />
dei duemila, verso e più che ottantenne, dunque la sua<br />
“vecchiaia” cronologica, risulta una delle più memorabili<br />
fra quante se ne possano indicare lungo appunto<br />
sessant’anni di suo appassionato totale riconoscersi in<br />
un comunicare pittorico esistenzialmente ben radicato;<br />
certamente corrispondendo a uno dei momenti più alti<br />
della sua creatività. E non soltanto in un senso da dire<br />
complementare rispetto a trascorsi altri momenti<br />
d’intensità creativa (come è stato nel caso di Fontana,<br />
sgranati quei momenti lungo un quarantennio), ma in<br />
quanto, al suo più alto livello d’intensità immaginativa<br />
e di complessità di interrogazione problematica, e in<br />
un passaggio propositivo nuovo, d’ulteriore a volte strepitosa<br />
disinvoltura d’invenzioni simboliche, vi si riassumono<br />
ed esaltano intenzioni dal pittore variamente<br />
formulate durante il suo lungo vissuto.<br />
La seconda ragione è che, proprio attraverso la straordinaria<br />
nuova intensità operativa, il patrimonio di motivazioni<br />
che ha alimentato le immaginose provocazioni<br />
monitorie formulate nel tempo nell’operare pittorico<br />
di Vacchi appare attualmente giunto quasi a intravedere<br />
(certo ideologicamente ma per passionalmente<br />
compartecipe intuizione) un rischioso ultimativo<br />
traguardo, quasi una teleologia profetica della sua<br />
avventura creativa antagonistica esistenzialmente profondamente<br />
avvinta. Pervenuta infine, questa, a un’interrogazione<br />
infatti estrema, di valenza ultimativa, nella<br />
quale sia in gioco un’identità propria e nostra, del tempo<br />
e dei comportamenti individuali e sociali che viviamo,<br />
sul profilo di un’allarmante, catastrofica, apocalittica<br />
escatologia umana vividamente prefigurata.
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The Scandal of a “Discordant” Trajectory<br />
(within an “Introjected” Historicity)<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
1. “… before the definitive impact”<br />
(with a foreword on duration)<br />
“There is a remark by Kafka that I find very mysterious:<br />
‘Our only salvation is death, but not this death.’<br />
It is as though my ship had sprung leaks all over and<br />
was set on a collision course for the rocks. Well, I depict<br />
these minutes of waiting—which turn out to be<br />
decades and perhaps even a century—before the definitive<br />
impact, after which I do not know whether I or<br />
anyone else from my ship will reach shore safely. This<br />
‘beyond’—beyond death—remains as though suspended<br />
for me, perhaps awaiting the other death that Kafka<br />
talks about.” Sergio Vacchi made this observation in an<br />
interview with Marco Tonelli published in the catalogue<br />
of the anthological exhibition that I organized<br />
within the framework of the Fifth Scipione Prize held<br />
at Palazzo Ricci, Macerata, in 2002. 1<br />
There are substantially two reasons for placing these<br />
words at the beginning of a highly demanding exploration<br />
of the motivations, methods and phases of the<br />
work developed by the initially Bolognese then Roman<br />
and now happily Sienese painter over some sixty years<br />
of intense creative activity. The first of these reasons is<br />
the fact that, unlike at least some of the masters who<br />
served as points of reference for his development, Vacchi<br />
has undergone no dimming of creativity over the<br />
years and shows no sign of starting to wane. In short,<br />
there has been no perilous slackening either of his imaginative<br />
tension or of the relevance of the rationale implicit<br />
in his oeuvre. Indeed, his creativity has been<br />
recharged over the years through changes in imaginative<br />
circumstances, right up to the extraordinary intensity<br />
of the last ten years or so happily spent in conscious<br />
and alert withdrawal in the Castello di Grotti in<br />
the Sienese countryside.<br />
In assessing the creative contribution of many of the leading<br />
figures of the twentieth century, it is very often necessary<br />
to focus primarily—if not indeed exclusively—<br />
on what was achieved in their youth or early maturity.<br />
(Even with reference solely to the Italian sphere, the examples<br />
include Carrà, Balla, De Chirico, Campigli,<br />
Burri and Morlotti, whereas the exceptions are very few<br />
indeed: certainly Fontana and Cagli as well as Arturo<br />
Martini before them, but then also Moreni, for example,<br />
albeit in a creative trajectory that was not, all in all,<br />
quite so prolonged.) In terms of rich fertility and motility<br />
of iconic-visionary invention, the further creative<br />
phase experienced by Vacchi—now in his eighties and<br />
hence chronologically in his “old age”—since the late<br />
1990s and on into the new millennium has proved to<br />
be one of most memorable of those developed during<br />
his sixty years of impassioned and utter identification<br />
with a form of pictorial communication nourished by<br />
sound existential roots. It is unquestionably one of the<br />
peaks of his creativity, and not only in a sense that could<br />
be described as complementary with respect to other past<br />
periods of creative intensity (as in the case of Fontana,<br />
with such moments spread out over a period of forty<br />
years). At its highest level of imaginative intensity and<br />
complexity of problematic probing, and within a new<br />
phase of fertility and further and sometimes extraordinary<br />
spontaneity of symbolic invention, the period encapsulates<br />
and enhances intentions variously formulated<br />
by the painter during his long experience.<br />
The second reason is that, precisely through this extraordinary<br />
new operative intensity, the host of motivations<br />
underpinning the imaginative monitory challenges formulated<br />
over the years in Vacchi’s painting now almost<br />
appear to afford a glimpse (ideologically of course, but<br />
through emotively involved intuition) of a perilous final<br />
goal, almost a prophetic teleology of an antagonistic<br />
creative course that is deeply involved in existential<br />
terms. This has in fact finally arrived at an ultimate and<br />
definitive question in which what is at stake is both the<br />
artist’s identity and ours, the identity of the times and<br />
the individual and social behaviours we experience, in<br />
terms of a vividly prefigured human eschatology of an<br />
15
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Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
Giacché esemplarmente, come ben di rado è dato riscontrare<br />
altrettanto, oggi, all’ingresso di questo terzo<br />
millennio, la ricerca pittorica di Vacchi è mirata a costituire<br />
occasioni di comunicazione d’implicazione totale.<br />
Contenenti cioè non soltanto una nozione della<br />
realtà della contingente temperie individuale e collettiva,<br />
ma un partecipe implicito (ma certo non preterintenzionale)<br />
interrogativo giudizio su questa, presupponendo<br />
ancora come possibile riferimento il patrimonio<br />
di un’ancestrale esperienza umana ritenuta<br />
non necessariamente esaurita.<br />
Attraverso varietà, intensità, spesso eccezionalità inventiva<br />
delle proprie proposizioni, Vacchi intende infatti porsi<br />
e porre domande cruciali, interrogare sé e le immagini<br />
alle quali, in un’emblematicità visionaria sconcertante<br />
e imprevedibile, ha dato di volta in volta vita. Intende<br />
sollecitare e provocare coinvolti interlocutori, verificare<br />
condizioni, insinuare presagi di destino, rivolgendosi<br />
all’uomo d’oggi nella realtà individuale altrettanto<br />
che collettiva e societaria del suo vissuto, del suo<br />
essere nel mondo, e dunque anche del suo destino. Non<br />
trascrive o ribadisce verità, parametri convenzionali o verità<br />
convenzionate, astrattamente normative, in un facile<br />
folclore d’illustrato orrore post-human, subito scontato<br />
e di fatto pittorescamente (granguignolescamente)<br />
innocuo, ma ricerca, interroga, in un’apertura conoscitiva<br />
che si pone subito come rischiosamente impregiudicata,<br />
capace anche di prefigurazione epistemologica 2 .<br />
“Io dipingo ciò che non conosco. Ho cercato per venti<br />
anni di apprendere dagli antichi maestri, per essere il<br />
più possibile preparato e possedere al meglio gli strumenti<br />
del fare. Il grosso intoppo della contemporaneità<br />
è che quando si vorrebbero fare delle cose ma non si è<br />
pronti dentro, le si fanno comunque, realizzando così<br />
azioni, gesti e situazioni irrisolte. Io devo sempre trovare<br />
il modo di risolvere la mia emergenza, il mio modo<br />
di trasferirmi nel mondo. Mi sono sempre preparato<br />
in questo senso.” Dice allo stesso Tonelli 3 .<br />
Ma intanto, preliminarmente, si rifletta sul fatto che<br />
possa anche contare qualcosa se, in capo a mezzo secolo<br />
di dialogo fra i medesimi intercorso, un pittore e<br />
un critico si impegnano nell’impresa di una rilettura storico-critica<br />
in termini in particolare di organicità di catalogazione<br />
scientifica del lavoro del primo, ritrovandosi<br />
nell’occasione, i due, non da distanze di tempi interrotti<br />
ma entro una continuità dialetticamente interlocutoria,<br />
lungo appunto tutta la seconda metà del<br />
XX secolo e buona parte di questo primo decennio del<br />
XXI. E conterà ben qualcosa che i due attori di tale inusuale<br />
impresa, con reciproca convinzione, ancora una<br />
volta si impegnino assieme, avendo, ciascuno in vario<br />
modo e in differenti vicissitudini, resistito, lungo quei<br />
16<br />
cinquant’anni, in misura non inerte, sia nell’ingaggio<br />
entro l’approfondimento di nessi evolutivi delle motivazioni<br />
del dialogo sviluppato, sia a esterne insidie provenienti<br />
da reiterate (autorevoli) iniziative di emarginazione<br />
e di tentato annientamento, dell’uno e dell’altro.<br />
Conterà che abbiano ambedue resistito con i propri<br />
specifici mezzi di lavoro e d’identità esistenziale,<br />
intellettuali e linguistici, e con la tenacia del perdurare<br />
sostanzialmente innovativo e partecipe d’un atteggiamento<br />
di riscontro fondamentalmente critico a fronte<br />
della realtà di sé e del mondo. La singolarità, e forse<br />
meglio eccezionalità, di questa condizione, certo del<br />
tutto inusitata sullo scenario critico contemporaneo, certamente<br />
non soltanto italiano, non credo infatti vada<br />
sottaciuta introducendo a una rilettura di ragioni, evoluzione<br />
e tempi del lavoro di Sergio Vacchi, quale quella<br />
contenuta in questo primo volume, interamente infatti<br />
di carattere monografico, del Catalogo ragionato dei<br />
suoi dipinti, la schedatura dei quali si dispiega in altri<br />
due volumi.<br />
Quando ho curato un’analoga impresa, relativamente<br />
all’opera, plastica, pittorica e ambientale, di Lucio Fontana<br />
(catalogo inizialmente pubblicato nel 1974, poi nel<br />
1986 e nuovamente nel 2006), avevo un’esperienza di<br />
dialogo diretto con il divenire della sua ricerca lungo<br />
una decina d’anni di frequentazioni e collaborazioni,<br />
benché questi riguardassero in realtà proprio i suoi risultati<br />
evolutivamente più innovativi. Una decina d’anni<br />
su poco più della quarantina appunto del suo percorso<br />
creativo, e che per me erano stati occasione reiterata<br />
sia di interrogazioni nella ricostruzione dei suoi<br />
trascorsi creativi, sia naturalmente di riscontro con<br />
quanto di nuovo la sua liberissima ricerca andava proponendo.<br />
E quando ho redatto il catalogo dei dipinti<br />
di Renato Guttuso, la mia esperienza diretta, che analogamente<br />
nel caso di Fontana è stata di indagine sul<br />
passato quanto di dialogo con le novità in atto nella sua<br />
ricerca, si era sviluppata lungo poco più d’una ventina<br />
d’anni 4 . Non mezzo secolo, come ora nel caso di Vacchi!<br />
Un tempo assai lungo, che peraltro corrisponde a<br />
buona parte di un percorso creativo come il suo, sviluppatosi<br />
appunto lungo sessant’anni interamente di<br />
straordinaria intensità propositiva, acutezza inventiva<br />
e consistenza di determinazione antagonistica rispetto<br />
a prospettive, sia culturali sia societarie e di costume,<br />
di facile ed esteriore “modernità”, da farne uno dei protagonisti<br />
più solidi dell’arte italiana del secondo Novecento,<br />
e uno dei più solidi e forti e originali esponenti<br />
dell’arte del nostro tempo sulla concomitante scena europea.<br />
Un percorso che peraltro questa impresa di rilettura<br />
critica e di catalogazione, a fronte della realtà<br />
dei fatti, considera non retrospettivamente ma nel vi-
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Renato Guttuso, Ritratto<br />
di Sergio Vacchi, 1967<br />
Collezione Vacchi, Castello<br />
di Grotti, Siena<br />
Renato Guttuso, Portrait<br />
of Sergio Vacchi, 1967<br />
Vacchi Collection, Castello<br />
di Grotti, Siena<br />
alarming, catastrophic and apocalyptic character. Exemplary<br />
to a degree seldom equalled, Vacchi’s painting<br />
seeks today, in the early years of this third millennium,<br />
to provide opportunities for communication of total<br />
implication: in other words, containing not only an<br />
idea of the reality of the contingent individual and collective<br />
conditions, but also an involved and implicit<br />
(but certainly not inadvertent) interrogative judgment<br />
on this, the legacy of ancestral human experience being<br />
regarded as not necessarily exhausted and always assumed<br />
as a possible point of reference.<br />
Through the variety, intensity and often exceptional inventiveness<br />
of his works, Vacchi is in fact determined<br />
to raise and address crucial issues, to question himself<br />
and the disconcerting, unpredictable, visionary and emblematic<br />
images to which he has given birth. His aim<br />
is to prompt and provoke those he engages in deeply<br />
involved dialogue, to ascertain conditions, to suggest premonitions<br />
of fate, addressing today’s mankind in the individual<br />
but also collective and social reality of its existence,<br />
of its being-in-the-world, and hence also of its<br />
destiny. He does not transcribe or reaffirm truths, conventional<br />
parameters or verities that are agreed upon and<br />
abstractly normative in a facile folklore of illustrated<br />
post-human horror that is immediately trite and in fact<br />
picturesquely (à la Grand Guignol) innocuous, but<br />
rather seeks and probes in a state of cognitive openness<br />
that immediately presents itself as perilously unresolved<br />
and capable also of epistemological prefiguration. 2 As<br />
he said in the interview with Tonelli, “I paint what I don’t<br />
know. I endeavoured for twenty years to learn from the<br />
old masters, to be as well prepared as possible and to<br />
attain the greatest mastery of the working tools. The great<br />
stumbling block of the contemporary world is that when<br />
people want to do things but do not feel ready inside,<br />
they do them anyway, thus producing unresolved situations,<br />
gestures and actions. I always have to find the<br />
way to resolve my state of emergency, my way of transferring<br />
myself into the world. I have always prepared myself<br />
in this sense.” 3<br />
In the meantime, as a preliminary, consider the fact<br />
that it may also count for something if after half a century<br />
of dialogue, a painter and a critic undertake the enterprise<br />
of a historical and critical re-reading of the former’s<br />
work, above all with a view to organic, scientific<br />
cataloguing, and find themselves once again not separated<br />
by the length of time elapsed but proceeding within<br />
the continuity of dialectical interchange stretching all<br />
the way through the second half of the twentieth century<br />
and most of this first decade of the twenty-first. And<br />
it will certainly count for something that the two figures<br />
involved in this unusual enterprise, with mutual<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
conviction, should once again undertake a venture together,<br />
having each in different ways and different circumstances<br />
persevered during those fifty years, to no<br />
small degree, both in the endeavour to probe the evolutionary<br />
phases of the motivations of the dialogue developed<br />
and in resistance to external traps laid in reiterated<br />
(and authoritative) attempts to marginalize and<br />
destroy both one and the other. It will count for something<br />
that they have both resisted with their specific work<br />
tools and existential, linguistic and intellectual identity,<br />
and with the tenacity of the substantially innovative<br />
and participatory survival of a fundamentally critical<br />
attitude with respect to the reality of their own existence<br />
and the world. The singular and perhaps indeed exceptional<br />
nature of this condition, which is unquestionably<br />
most unusual in the area of contemporary criticism<br />
(and certainly not only in Italy), is in fact something<br />
that should not, in my view, be passed over in the<br />
introduction to a re-reading of the rationale, evolution<br />
and phases of the work of Sergio Vacchi such as is contained<br />
in this first volume, of a wholly monographic<br />
character, of the catalogue raisonné of his paintings, the<br />
detailed analysis of which is spread over two further<br />
volumes.<br />
When I undertook a similar enterprise regarding the<br />
painting, sculpture and environmental work of Lucio<br />
Fontana (a catalogue initially published in 1974, then<br />
again in 1986 and 2006), I had an experience of direct<br />
dialogue with the unfolding of his long career through<br />
about ten years of contact and collaboration, even though<br />
this was in reality concerned with his most innovative<br />
achievements in evolutionary terms. Ten years out of the<br />
just over forty of his creative course, providing me with<br />
repeated opportunities both for questions with a view<br />
to reconstructing his creative past and of course for experience<br />
of the fruits of his wholly unfettered artistic research.<br />
And when I drew up the catalogue of Renato<br />
Guttuso’s paintings, my direct experience—again involving<br />
both investigation of the past and dialogue with<br />
the new elements emerging in his work—had developed<br />
over a period of slightly more than twenty years. 4<br />
Certainly not half a century, as is now the case of Vacchi.<br />
A very long period of time that coincides moreover<br />
with most of his creative trajectory, which developed over<br />
a span of sixty years and was characterized throughout<br />
by extraordinary fertility, inventive acuteness, and solidity<br />
of antagonistic determination with respect to perspectives—regarding<br />
not only culture but also society<br />
and lifestyle—of facile and superficial “modernity” that<br />
make him one of the most solid masters of Italian art<br />
in the second half of the twentieth century as well as<br />
one of the strongest, most solid and original figures in<br />
17
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Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
vo di una perdurante straordinaria vivacità propositiva,<br />
che ha fatto di quest’ultimo decennio d’attività appunto<br />
una delle sue stagioni creativamente più ricche<br />
e significative, visionariamente spinte e sconvolgenti,<br />
di tale lunga vicenda.<br />
Partecipo della densità della pittura di Vacchi da quando<br />
ho avuto modo di conoscerla, subito anche direttamente,<br />
nel 1956 (in particolare nelle pur poche opere<br />
esposte nella Biennale veneziana) 5 . In breve è divenuta<br />
uno dei punti di riferimento d’attualità stimolanti per<br />
la fondante maturazione della mia esperienza critica, e<br />
il più spinto fra quanti costituiti allora dai più giovani,<br />
decisivo anzitutto per apprensione e approfondimento<br />
di una componente organica, corporea, della problematica<br />
informale, della cui rilevanza innovativa mi andavo<br />
sempre più allora convincendo 6 . Un rapporto che<br />
è divenuto diretto da durante l’anno seguente, invitandolo<br />
a collaborare a una mia iniziativa espositiva già all’inizio<br />
del 1958 7 . Mezzo secolo dunque di dialogo critico,<br />
di interrogazioni, riscontri, discussioni, prese di<br />
posizione anche estreme, di progetti, tentativi e anche<br />
fallimenti, di realizzazioni espositive ed editoriali, fra<br />
dialoghi a distanza romano-bolognesi, poi intensa prossimità<br />
quotidiana romana (nella breve distanza fra piazza<br />
Nicosia, via di Ripetta e piazza in Lucina), infine ricorrenti<br />
frequentazioni senesi (ritrovandoci nei luoghi<br />
di oltre vent’anni di mia presenza universitaria). Un sodalizio<br />
fondato appunto su un confronto assai partecipato,<br />
avviato fra un poco più che trentenne pittore e un<br />
neanche venticinquenne critico in erba, intensamente<br />
aspirante tale (Sergio del 1925, io del 1933), sviluppatosi<br />
appunto dialogicamente, lungo dunque cinque decenni,<br />
attraverso una reciprocamente differenziata evoluzione,<br />
complessa quanto naturale. Un intenso rapporto<br />
che per me è stato appunto una componente fra<br />
18<br />
quelle poche di peso fondamentale della mia prima maturazione<br />
critica, nonché poi una componente qualificante<br />
della crescita evolutiva d’una consapevolezza problematica<br />
autonoma di ricerca rispetto alle rabbonenti<br />
soddisfazioni ufficiali, entro un orizzonte di profonda<br />
rinnovata attualità di “figurazione”; la componente dunque<br />
d’un patrimonio d’autonome scelte di campo 8 . E<br />
per Vacchi è stata il dinamico dispiegarsi d’un percorso<br />
pittorico svariato nelle sue diverse formulazioni ed<br />
esperienze, eccezionalmente creativo nella sua intensità<br />
di prospettiva critica monitoria, e persino visionariamente<br />
premonitoria, personalissimamente “avulso” rispetto<br />
ad analoghi destini ufficializzati, e perciò ormai<br />
innocui, della ricerca artistica contemporanea, in Italia<br />
come altrove (ma in un acuto, profondo riscontro, con<br />
alcune delle antenne culturali maggiori del nostro tempo).<br />
“Avulso” rispetto a destini segnati da un’adesione<br />
più o meno a breve (più o meno irresponsabilmente incondizionata<br />
e intrinsecamente celebrante) a una soddisfazione<br />
inconsulta di “modernità”. Rispetto alla quale<br />
lungo il secondo Novecento italiano ed europeo si erge<br />
la monizione catastrofica, sostanzialmente non anacronistica<br />
ma anzi ormai quasi monitoriamente futurologica,<br />
di Vacchi.<br />
Rivendicando l’eccezionalità di un dialogo emisecolare,<br />
di cui in questa circostanza non è possibile sottacere,<br />
quantomeno per interrogarsi sul perché e sul come,<br />
non intendo tuttavia con ciò stabilire un qualche parametro<br />
virtuoso, ma soltanto sottolineare come l’istituzione,<br />
altrettanto che l’evolutiva sua durata nel tempo,<br />
d’un autentico dialogo fra un critico e un artista, non<br />
possa che dipendere plausibilmente da motivazioni intrinseche.<br />
Le quali, se realmente fondate e dunque forti,<br />
non effimere, stabiliscono una loro consistenza non<br />
soltanto soggetta a una resistenza nel tempo, ma soprattutto<br />
rispondente a una continuità fondata su confronti<br />
attraverso una reciproca autonomia evolutiva e che<br />
accresce, rinnova, rifonda le motivazioni iniziali attraverso<br />
il reciprocamente arrischiato rinnovarsi del dialogo<br />
nel tempo. Beninteso, quando questo sia alimentato<br />
da un’adesione di convinzione profonda, da parte<br />
del critico, alle ragioni del fare di un artista. E tanto per<br />
quella che ne è la contingenza in atto della sua ricerca,<br />
quanto per quella che ne potrà di questa essere la consistenza<br />
futura, attraverso un’evoluzione reciprocamente<br />
così probante da motivare appunto di volta in volta<br />
una continuità di dialogo, sul passo d’un rinnovata convinzione<br />
d’assenso.<br />
Intendo dire che un dialogo fra critico e artista comporta<br />
un’interna dinamica di crescita che non può non essere<br />
che innovativamente evolutiva se gli interlocutori<br />
nella loro autonomia crescono, anche imprevedibil-<br />
Omaggio a Cézanne, 1950<br />
già Collezione Letizia<br />
Balboni, Roma<br />
Tribute to Cézanne, 1950<br />
formerly in the Letizia<br />
Balboni Collection, Rome
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Casa su palafitte con<br />
il sole rosso, 1951<br />
House on Stilts with<br />
Red Sun, 1951<br />
the art of our time on the concomitant European scene.<br />
Furthermore, with respect to the actual facts of the situation,<br />
this long trajectory is considered here in this enterprise<br />
of critical re-reading and cataloguing not retrospectively,<br />
but in the thick of continuing vitality and<br />
fertility that have made the last decade one of this<br />
painter’s richest and most significant phases of visionary<br />
and disquieting production.<br />
I have been deeply involved with Vacchi’s painting ever<br />
since I first came to know it first-hand in 1956, especially<br />
through the few works shown at the Venice Biennial.<br />
5 It soon became one of the stimulating points<br />
of reference for the crucial ripening of my experience<br />
as a critic, and the most daring of those put forward at<br />
the time by the younger generation, proving decisive first<br />
and foremost for the identification and in-depth examination<br />
of a corporeal, organic component of Art<br />
Informel, the innovative relevance of which was becoming<br />
increasingly clear to me at the time. 6 This relationship<br />
became direct the following year, when I invited<br />
Vacchi to take part in an exhibition I was planning<br />
for the beginning of 1958. 7 We thus have half a<br />
century of critical dialogue, questioning, confirmation,<br />
argument, stances (sometimes extreme), projects, attempts<br />
and also failures, exhibitions and publishing initiatives,<br />
long-distance exchanges between Rome and<br />
Bologna and then intense, everyday proximity in Rome<br />
(over the short distance between Piazza Nicosia, Via di<br />
Ripetta and Piazza in Lucina), and finally recurrent contact<br />
in the area of Siena (meeting again in the university<br />
milieu where I taught for over twenty years). A<br />
close relationship of involvement initiated between a<br />
painter a little over thirty years old and a budding, or<br />
at least intensely aspiring critic not yet twenty-five (Sergio<br />
being born in 1925 and myself in 1933) developed<br />
through dialogue over five decades through a differentiated<br />
reciprocal evolution of a complex but also natural<br />
character. This intense relationship was for me one<br />
of the few elements of fundamental importance for the<br />
initial ripening of my critical faculties as well as a key<br />
component in the evolutionary growth of an autonomous<br />
problematic awareness of artistic exploration<br />
lying outside the sphere of the self-satisfied, mollifying<br />
official stance, within the horizon of a radically revitalized<br />
return to “figuration,” and hence a component<br />
bound up with the independent taking of sides. 8 For Vacchi<br />
it was the dynamic unfolding of a pictorial trajectory<br />
highly varied in its range of formulations and experiences,<br />
exceptionally creative in its intensity as a<br />
monitory and even prophetically premonitory critical<br />
perspective, “discordant” in very personal terms with respect<br />
to analogous, officially approved (and therefore now<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
innocuous) destinies of contemporary art in Italy as<br />
elsewhere (but in deep and acute harmony with some<br />
of the major cultural antennae of our time). “Discordant”<br />
with respect to careers marked by a more or less<br />
short-term (more or less irresponsibly categorical and intrinsically<br />
celebratory) and ill-advised willingness to<br />
jump on the bandwagon of “modernity,” against which<br />
Vacchi’s substantially non-anachronistic and now indeed<br />
almost futurological warning of catastrophe stands<br />
out all the way through the second half of the Italian<br />
and European twentieth century.<br />
However, in asserting the exceptional character of a dialogue<br />
lasting over half a century, which could hardly<br />
be passed over in silence here, at least in order to examine<br />
the hows and whys, I do not intend to set up some<br />
sort of virtuous yardstick but to only emphasize how the<br />
creation of an authentic dialogue between a critic and<br />
an artist, together with its development and duration,<br />
can reasonably depend only on intrinsic motivations. If<br />
firmly based and therefore strong rather than ephemeral,<br />
these build up a consistency that is not only endowed<br />
with endurance over time but also and above all<br />
indicative of continuity grounded on the exchange of<br />
views through mutual evolutionary autonomy, and capable<br />
of revitalizing, enhancing and redeveloping the initial<br />
motivations through the reciprocally ventured renewal<br />
of the dialogue over time. Provided of course that<br />
this is fueled by deep conviction on the part of the critic<br />
as regards the rationale of the artist’s work, not only<br />
with respect to the present contingency of his or her exploration<br />
but also to what may come to be its future<br />
consistency through evolution that is so mutually substantiative<br />
as to support continuity of dialogue in terms<br />
of renewed conviction of assent.<br />
19
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 20<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
mente. L’uno, l’artista, in termini di ulteriori prospettive<br />
e modi linguistici della propria ricerca; l’altro, il<br />
critico, in termini di propria tempestiva partecipe intelligenza<br />
dialogica rispetto al divenire di quelle prospettive<br />
e di quei modi di linguaggio. Ci saranno naturalmente<br />
momenti di maggiore partecipazione e altri invece<br />
di dibattito o anche di frizione, tuttavia senza che<br />
il dialogo sostanzialmente si interrompa, eventualmente<br />
se mai soltanto si diradi, altrettanto che può altrimenti<br />
infittirsi in particolari differenti più favorevoli circostanze.<br />
Come personalmente mi è accaduto appunto<br />
lungo mezzo secolo nel caso della ricerca di Vacchi, la<br />
cui capacità di orientamento e la cui portanza peraltro<br />
sono dipese unicamente dall’intensità di motivazioni<br />
della medesima e non certo da esterni fattori, in una piena<br />
autonomia di gestione e ponderazione immaginativa<br />
del proprio destino. Esattamente rispondendo a pulsioni<br />
d’una creatività non soltanto sempre più originalmente<br />
autonoma, ma introiettata psicologicamente,<br />
psichicamente, quasi in senso intuitivamente analitico,<br />
fino alla dimensione negli ultimi anni da Vacchi stesso<br />
originalmente indicata come di un “autodivoramento”.<br />
Ma certo il dialogo critico-artista, diversamente, può<br />
invece spezzarsi, e anche per sempre. Come è accaduto<br />
al sottoscritto nel caso del lavoro di Burri, dopo una<br />
fiducia profondamente partecipe, sia rispetto a quanto<br />
realizzato in anni precedenti l’incontro avvenuto fra<br />
1956 e 1957 (dunque da “catrami” e “muffe” ai “sacchi”),<br />
sia della realtà da allora in atto della sua ricerca,<br />
fra secondi anni cinquanta e primissimi sessanta (dalle<br />
prime “plastiche” ai “ferri”, ai “legni” alle ulteriori “plastiche”<br />
trasparenti, e ancora ai “cretti”) 9 . È accaduto traumaticamente<br />
di fronte alla virata sconvolgente (ad avviso<br />
mio ma poi anche divenuta opinione piuttosto<br />
comune), remissivamente rinunciataria in intensità di<br />
pronunciamento immaginativo espressivo, rappresen-<br />
20<br />
tata dal nuovo ciclo di dipinti non-figurativi, la cui<br />
presentazione in Orsammichele a Firenze, tra fine 1980<br />
e inizio 1981, ricordo, risultò per me traumatica (mentre,<br />
paradossalmente, avviava a un ulteriore consolidarsi<br />
d’un riconoscimento qualunquisticamente ufficiale<br />
dell’importanza, in realtà ormai lontana da un’effettiva<br />
misura di creatività, del comunque grande umbro).<br />
In tali casi il dialogo si spezza perché vengono a mancare,<br />
negli svolgimenti nel tempo, le motivazioni stesse<br />
che lo hanno originato. D’altra parte le motivazioni<br />
del dialogo non possono essere estrinseche, cioè il<br />
dialogo non può istituirsi e svilupparsi e durare soltanto<br />
in funzione di ragioni esteriormente contingenti, come<br />
potrebbero essere, per esempio, quelle di una presunta<br />
rispondenza o meno d’esteriore attualità dell’operare<br />
di un artista. Come insomma dire: dialogo con<br />
te ora, non perché io condivida prospettive e modi di<br />
manifestazione linguistica di un tuo possibile destino<br />
personale, ma perché ritengo, qui e ora, l’apparenza<br />
del tuo lavoro consona rispetto a una più o meno ufficialmente<br />
conclamata situazione considerata di presunta<br />
attualità, alla quale è conveniente comunque accomunarsi<br />
(critico o artista, che sia).<br />
Se invece motivazionalmente fondato, il sodalizio dialogico<br />
rappresenta per ambedue, ma in particolare per<br />
il critico, l’implicazione in un’avventura verosimilmente<br />
non effimera, in quanto mirata verso l’esplicitazione<br />
di una propria identità esistenziale, culturale, creativa.<br />
L’artista infatti opera certamente ricercando il raggiungimento<br />
(in realtà sempre, di fatto, inevitabilmente subito<br />
riproposto, pena l’inaridimento ripetitivo) di una<br />
propria identità. E questo motiva la sua stessa indipendenza<br />
di destino verso il configurarsi di un’identità propria<br />
autonoma e non esteriormente mediata, non riflessa,<br />
non eteronormata. Ma anche il critico lavora mirando<br />
al chiarimento di una propria identità, attraver-<br />
La pietà del paesaggio, 1956<br />
già Collezione Quadrani,<br />
Roma<br />
The Compassion of the<br />
Landscape, 1956<br />
formerly in the Quadrani<br />
Collection, Rome<br />
Per un altro Concilio, 1963<br />
For Another Council, 1963
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 21<br />
Il sacco di Roma, 1965-1967<br />
Galleria Comunale d’<strong>Arte</strong><br />
<strong>Contemporanea</strong>, Arezzo<br />
The Sack of Rome, 1965–67<br />
Galleria Comunale d’<strong>Arte</strong><br />
<strong>Contemporanea</strong>, Arezzo<br />
What I mean by this is that a dialogue between critic<br />
and artist entails an internal dynamics of growth that<br />
cannot but be innovatively evolutionary if the parties<br />
involved are to grow independently, also in unforeseeable<br />
ways: the artist in terms of further perspectives and<br />
stylistic modes of his or her exploration; the critic in<br />
terms of prompt, involved, dialogical intelligence with<br />
respect to the unfolding of those perspectives and stylistic<br />
modes. Naturally, there will be some moments of<br />
greater participation and others of debate or even friction,<br />
but without the dialogue being substantially interrupted.<br />
If anything, it may lose intensity or equally<br />
gain it in different and more favourable circumstances.<br />
This is in fact what has happened to me for over half<br />
a century in the case of Vacchi’s work, whose capacity<br />
for orientation and relevance have in any case depended<br />
solely on the intensity of its motivations and certainly<br />
not on external factors, developing in its wholly autonomous<br />
imagination to shape the course of its own<br />
destiny. Responding precisely to the drives of a creativity<br />
that is not only autonomous in increasingly<br />
original terms but also introjected mentally and psychologically,<br />
almost in an intuitively analytical sense,<br />
this oeuvre has developed all the way up to the dimension<br />
of the last few years, originally described as<br />
“self-devouring” by Vacchi himself.<br />
The dialogue between critic and artist can of course also<br />
break down for good, as happened to the undersigned<br />
in the case of Burri’s work after a period of deeply<br />
involved conviction with respect not only to the work<br />
produced before the meeting some time between 1956<br />
and 1957 (from the works with tar and mould to those<br />
in sacking) but also to the subsequent development of<br />
his work in the late 1950s and early 1960s (from the<br />
first works in plastic to those in iron, wood and transparent<br />
plastic as well as the environmental “cretti”). 9<br />
This happened traumatically in connection with Burri’s<br />
disturbing change in direction represented by the new<br />
cycle of non-representational paintings presented at the<br />
Orsanmichele church in Florence from the end of 1980<br />
to the beginning of 1981, which I considered submissively<br />
defeatist as regards intensity of imaginative expression<br />
(a view that later became fairly common). Paradoxically<br />
enough, this marked a further stage in the<br />
consolidation of opportunistic official recognition of<br />
the importance of the Umbrian artist—who in any case<br />
is to be considered great—recognition that in reality is<br />
far from being an effective yardstick of creativity. In<br />
such cases, the dialogue collapses because its original motivations<br />
have disappeared over time. At the same time,<br />
the motivations of the dialogue cannot be extrinsic. In<br />
other words, dialogue cannot be initiated and devel-<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
oped and then endure solely on the basis of externally<br />
contingent factors, such as some presumed convergence<br />
or divergence of the external relevance of an artist’s<br />
work. In short, this would be like saying: I am engaged<br />
in a dialogue with you now not because I agree with the<br />
perspectives and expressive modes of your possible artistic<br />
destiny, but because I regard, here and now, the appearance<br />
of your work as in line with a more or less officially<br />
recognized situation of presumed topical relevance,<br />
with which it is in any case expedient to be associated<br />
(whether as a critic or as artist).<br />
If on the other hand it is motivationally grounded, this<br />
type of relationship constitutes for both parties—but especially<br />
the critic—involvement in a venture that is<br />
probably not ephemeral in that it is aimed at the unfolding<br />
of its own existential, cultural and creative identity.<br />
In fact, artists certainly seek to attain identity<br />
through their work, which is then always and inevitably<br />
called into question so as to avoid the risk of drying up<br />
through repetition. And this motivates their very independent<br />
destiny toward the shaping of a distinctive<br />
identity that is autonomous and not externally mediated,<br />
reflected or hetero-directed. But critics also work<br />
at clarifying their identity through a dialogical understanding<br />
of the rationale of the work of the artist, or<br />
rather artists, with whom, in their own course of research,<br />
they are deeply engaged in dialogue, with whose work<br />
they identify in various respects, whose existentially and<br />
imaginatively propulsive motivations they share, in short.<br />
It is in striving to attain existential, cultural and creative<br />
21
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 22<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
so la comprensione dialogica delle ragioni dell’operare<br />
dell’artista, o meglio degli artisti con i quali, nel proprio<br />
percorso di ricerca, profondamente dialoga, nel cui<br />
lavoro per aspetti diversi si riconosce, delle cui ragioni<br />
esistenzialmente e immaginativamente propulsive insomma<br />
partecipa.<br />
Nella tensione alla conquista – in realtà dunque mobile<br />
giacché sempre rimessa in causa, pena appunto<br />
una sclerotizzazione immaginativa – di una propria<br />
identità esistenziale, culturale, creativa, l’artista costruisce<br />
la sua indipendenza e originalità. Che non vuol<br />
dire separatezza storica, ma una storicità non condizionata,<br />
non subordinata, e invece sostanzialmente<br />
d’intenzione o almeno tensione autonomamente protagonistica.<br />
Per esempio, nel caso di Guttuso, si tratta<br />
di una storicità civilmente partecipata e testimonialmente<br />
corrisposta in termini di rappresentazione.<br />
Mentre, nel caso di Vacchi, si tratta di una storicità<br />
esemplarmente invece del tutto “introiettata”, e perciò<br />
“avulsa” attraverso la sua esplicita criticità. E una<br />
metastoricità avveniristica, volendo continuare con<br />
gli esempi, si potrebbe azzardare nel caso del personalissimo<br />
inesauribile creazionismo di un Fontana,<br />
così naturalmente incondizionabile entro contingenze<br />
storiche di eventi, movimenti o altro. Ma, mirando<br />
alla costruzione di una propria identità culturale<br />
ed etica, esistenzialmente compromessa, attraverso il<br />
dialogo con artisti nell’operare dei quali profondamente<br />
si riconosce, altrettanto il critico definisce le prospettive<br />
di una propria indipendenza, di una propria<br />
storicità non condizionatamente partecipata. E anzi,<br />
altrettanto che lo è dato all’artista, il critico configura<br />
le prospettive di una propria storicità partecipativamente<br />
pregiudicata.<br />
In questo senso, fra quanti critici sono stati un punto<br />
di riferimento in un dialogo di confronto e d’evoluzione<br />
problematica rispetto a un artista, nel caso di<br />
Vacchi ho avuto il raro privilegio di non esserne interlocutore<br />
per una sola stagione problematica del<br />
suo percorso evolutivo. Come è accaduto invece, per<br />
esempio, ad Arcangeli, rimasto criticamente, di fatto,<br />
legato, ideologicamente quanto passionalmente,<br />
soltanto al segmento, peraltro certo assai cospicuo e<br />
fondante, del suo itinerario problematico dal neonaturalismo<br />
all’esperienza informale. Troppo tuttavia<br />
ancora questa inficiata, nell’impostazione partecipativa<br />
del critico bolognese, dall’implicazione in prospettive<br />
di passionalità di natura, e con appena un affaccio<br />
positivo, ma senza seguito consistente, sulle<br />
primissime esperienze di figurazione nuova, espressionista<br />
e visionaria, di Vacchi, appena oltre il “Concilio”,<br />
nel 1964 10 .<br />
22<br />
2. “Un po’ come un messaggio in una bottiglia<br />
nel mare” (lo scotto d’un percorso “avulso”)<br />
Non lo è certamente stato, né poteva infatti esserlo,<br />
d’una reciproca adesione, neppure ritrovata, l’incontro<br />
di Pierre Restany con l’opera di Sergio Vacchi, propiziato<br />
dal sottoscritto in vista dell’importante antologica<br />
a Macerata nel 2002, per il V Premio Scipione 11 . Sarebbe<br />
del resto risultata assai tardiva un’improbabile e<br />
comunque non preventivata reciproca adesione, giacché<br />
se non altro, nell’area critica francofona, un interesse per<br />
la visionarietà critica del pittore bolognese-romano l’avevano<br />
invece tempestivamente manifestata sia Édouard<br />
Jaguer, nei secondi sessanta, sia Gérald Gassiot-Talabot<br />
e Pierre Gaudibert nei settanta, e fino a un François Fossier,<br />
nei novanta. Quell’incontro è stato infatti immaginato<br />
e cercato esattamente in termini soprattutto di<br />
sfida, cioè di confronto di fatto a viso aperto, e in certa<br />
misura estremo, fra due autogestioni di destino personalmente<br />
assai diverso, da parte di due capitani indubbiamente<br />
di lungo corso della navigazione artistica<br />
europea, nella seconda metà del secolo scorso (Sergio appunto<br />
del 1925, Pierre del 1930). I quali peraltro non<br />
si erano personalmente mai incrociati né cercati, negli<br />
itinerari delle reciproche avventure, di pittore, l’una, e<br />
di critico, l’altra, benché negli anni cinquanta avessero<br />
ambedue in realtà vissuto la vicenda informale in relativa<br />
comunanza di fondante esperienza giovanile, seppure<br />
su diverse sponde quanto a modi e motivazioni di<br />
ricerca. Tra il realismo fattuale, organico corporeo, materico,<br />
optato da Vacchi (e il suo verosimile maggiore<br />
riconoscimento dubuffetiano, per quel particolare anomalo<br />
materismo apittorico), e la levità gestuale e segnica,<br />
e soltanto subordinatamente materica, dell’“astrazione<br />
lirica” supportata criticamente da Restany (fra preminenti<br />
modelli fautrieriani e hartunghiani) 12 . Soltanto in<br />
termini di sfida, in un confronto di presupposto contrappositorio,<br />
l’incontro era infatti immaginabile, e così<br />
infatti lo avevo pensato e proposto. E intanto anche<br />
come occasione per riprendere, all’inizio del nuovo millennio,<br />
al massimo livello di problematicità di confronto<br />
(intendo anziché del consueto occasionale concorso testuale,<br />
conclamatorio quando non imbonitorio, da parte<br />
del critico, ad assolvimento di un incarico professionale),<br />
un riscontro internazionale al lavoro di Vacchi,<br />
provocandovi un interlocutore europeo dai svariati e<br />
lunghi trascorsi anche spericolatamente sperimentali. E<br />
ciò in particolare dopo l’intelligente adesione critica della<br />
nord-americana Barbara Rose, neanche una decina<br />
d’anni prima.<br />
È stata la sfida del possibile confronto tra due mondi<br />
fra di loro molto diversi e distanti, non soltanto appa-
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 23<br />
Vittoria al chiaro di luna:<br />
l’amante di Federico II, 1966<br />
Collezione Marraccini,<br />
Giulianova<br />
Victory in the Moonlight: the<br />
Mistress of Frederick II, 1966<br />
Marraccini Collection,<br />
Giulianova<br />
identity—which is in actual fact always called into question<br />
so as to avoid any sclerosis of the imagination, and<br />
hence constitutes a moving target—that artists develop<br />
their independence and originality. This does not mean<br />
historical detachment but historicity that is not conditioned<br />
or subordinate, and instead substantially a matter<br />
of autonomous “protagonistic” intention or at least<br />
effort. In the case of Guttuso, for example, this regards<br />
historicity that is socially committed and demonstrably<br />
reflected in terms of representation. In the case of Vacchi,<br />
the historicity is instead wholly and exemplarily<br />
“introjected” and therefore “discordant” through its explicitly<br />
critical nature. To continue with the examples,<br />
a sort of futuristic meta-historicity could be suggested<br />
in the case of the highly personal and inexhaustible creativity<br />
of a painter like Fontana, who is so naturally impervious<br />
to the influence of historical contingencies<br />
such as events, movements and so on. At the same time,<br />
however, by aiming at the construction of an existentially<br />
engaged cultural and ethical identity through dialogue<br />
with the artists with whose work they deeply<br />
identify, critics also define the perspectives of their own<br />
independence and historicity of unconditional participation.<br />
Indeed, just like artists, critics shape the perspectives<br />
of their own engaged historicity.<br />
In this sense, among all the critics that have been points<br />
of reference in a dialogue of problematic evolution and<br />
exchange of views with an artist, in the case of Vacchi<br />
I have had the rare privilege of involvement that is not<br />
confined to one problematic phase of his artistic evolution.<br />
This was instead what happened with Arcangeli,<br />
who in fact remained critically, ideologically and indeed<br />
emotively linked solely to the artist’s problematic<br />
transition from neo-naturalism to Art Informel, important<br />
and fundamental though this phase certainly<br />
was. The Bolognese critic’s view of the Informel period<br />
was, however, still unduly vitiated by involvement in nature<br />
in an emotive dimension and there was just one instance<br />
of positive attention paid to Vacchi’s very first<br />
works of new expressionistic and visionary figuration immediately<br />
following the ‘Concilio’ cycle (which in any<br />
case led to nothing substantial). 10<br />
2. “Something like a message in a bottle thrown into<br />
the sea” (the price paid for a “discordant” path)<br />
The meeting between Pierre Restany and the work of<br />
Sergio Vacchi, which I myself brought about in connection<br />
with the major anthological exhibition in Macerata<br />
for the Fifth Scipione Prize in 2002, was certainly<br />
not a matter of reciprocal or indeed rediscovered acceptance,<br />
nor could it in fact have been so. 11 An im-<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
probable and in any case not envisaged instance of mutual<br />
approval would in any case have been very belated,<br />
if for no other reason that the fact that interest in<br />
the visionary dimension of the Bolognese-Roman<br />
painter’s work had instead been promptly manifested<br />
within Francophone critical circles both by Édouard<br />
Jaguer in the second half of the 1960s and by Gérald<br />
Gassiot-Talabot and Pierre Gaudibert in the 1970s, all<br />
the way up to François Fossier in the 1990s. The meeting<br />
was in fact imagined and sought above all as a challenge,<br />
a wide-open and to a certain degree extreme confrontation<br />
between two figures firmly in control of their<br />
respective destinies, differing greatly at the personal level,<br />
and unquestionably playing a key role in the explorations<br />
of European art throughout the second half of<br />
the twentieth century, Vacchi having been born in 1925<br />
and Restany in 1930. They had, moreover, never sought<br />
one another out or met in person in the course of their<br />
respective careers as painter and critic, even though they<br />
had actually both been involved in Art Informel during<br />
the 1950s as a crucial experience of their youth, albeit<br />
on different sides as regards methods and motivations.<br />
While Vacchi opted for a kind of factual, organic,<br />
corporeal, material realism (and probably had greater<br />
affinity with Dubuffet’s anomalous and “apictorial” approach<br />
to material), the “lyrical abstraction” that enjoyed<br />
Restany’s critical support was characterized by lightness<br />
in terms of gesture and sign, the textural-material factor<br />
being only subordinate (the primary models being<br />
Fautrier and Hartung). 12 Indeed, the meeting was conceivable<br />
only as a challenge and a confrontation of opposing<br />
assumptions, and it was in these terms that I had<br />
therefore suggested and devised it. And at the same<br />
time, it was also designed as an opportunity to rekindle<br />
international interest in Vacchi’s work at the beginning<br />
of the new millennium and with the highest possible<br />
degree of problematic engagement (by which I<br />
mean something more than the customary review<br />
marked by acclaim if not indeed glib flattery produced<br />
23
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 24<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
rentemente ma sostanzialmente; fra due percorsi di ricerca<br />
del tutto differentemente orientati. Quello di Restany<br />
segnato da una personale, e per molti aspetti assai<br />
originale, ricerca di possibili segni, icone, comportamenti<br />
di una convincente, non necessariamente convenzionale,<br />
riconoscibile “modernità”; non senza tuttavia<br />
interrogativi e anche dubbi. Quello di Vacchi distesosi<br />
negli anni in un itinerario di sondaggio profondo<br />
di realtà, di radicamento esistenziale, maturato ed<br />
evolutosi sostanzialmente attraverso la manifestazione<br />
sempre più esplicitamente monitoria di un profondo<br />
disagio verso un’ipotesi di “modernità” di presunzione<br />
palingenetica.<br />
È stata la sfida tra, da una parte, un’esperienza di incuriosita<br />
estroversione, come quella vissuta da Restany,<br />
che appunto, dopo partecipazioni informali giovanilmente<br />
significative (a fronte soprattutto delle mozioni<br />
altrimenti fondanti, storiche, d’un Michel Tapié, all’inizio<br />
degli anni cinquanta), si era originalmente consolidata<br />
negli anni del Nouveau Réalisme, all’esordio dei<br />
sessanta, al di là d’ogni apparente contraddizione, nella<br />
capacità di stabilire un nesso ipotetico d’innovazione<br />
europea, fra induzioni sociologiche (Arman), presentismo<br />
oggettuale azzerante (Spoerri), ironia meccanica<br />
sferragliante (Tinguely), risentimenti esistenziali<br />
archetipi (Saint-Phalle), ma anche esplicite prospezioni<br />
mistiche (Klein). Momento dei maggiormente inquieti<br />
e diramati nell’orizzonte delle cosiddette “neoavanguardie”.<br />
E, dall’altra parte, l’avventura pittorica infine<br />
piuttosto solitaria di Vacchi, trascorsa lungo la seconda<br />
metà del XX e quest’inizio di XXI secolo, dapprima<br />
dall’imponenza di una basica, materiale corporeità organica<br />
all’implicazione scenica compassionevolmente<br />
(in senso etimologico) detronizzante residuali emblemi<br />
storici di potere (fra vaticani e di Federico II di Hoehnstaufen),<br />
e poi da un inabissamento introiettivo immaginativo<br />
e spaziale domestico (e della “Nekyia”) a una<br />
liberissima prospezione visionaria in spazialità topologicamente<br />
allusive della complessità irrazionale del vissuto<br />
presente, nutrita di spiazzanti provocazioni monitorie,<br />
e capace di tutto implicare entro un sostanziale<br />
“autodivoramento” (dal ciclo leonardesco ai dipinti visionari<br />
realizzati a Grotti).<br />
Le ultime esperienze, di attenzione critica di circolazione<br />
planetaria, di Restany, negli anni novanta, anche<br />
su quel remoto presupposto sociologico “novorealista”,<br />
si sono orientate su un’attenzione a modi d’espressività<br />
nuovi che avessero manifestamente fatto i conti con<br />
una dimensione comunicativa essenzialmente tecnologico-mediatica<br />
della ricerca artistica, per presupposto<br />
dato per assodato ritenuta ubiquitariamente la più attuale.<br />
La sua, consapevolmente, una “proiezione ipote-<br />
24<br />
tica sull’avvenire diurno della cultura globale”; di contro<br />
all’orientamento esplicito di quella immaginativa di<br />
Vacchi, “questo custode cosciente di un’alta tradizione<br />
pittorica in via d’estinzione”. Che, nella considerazione<br />
del critico francese, “è lontano dall’essere insensibile<br />
al potere dei media, ma di fronte alla loro invadente<br />
presunzione diurna, intende difendere il privilegio dell’arte<br />
nella sua sapiente visione notturna”.<br />
Infatti, annotava: “Entrare nel mondo della pittura di<br />
Sergio Vacchi è come intraprendere un viaggio infinito<br />
al limite della notte. La notte dei tempi, la notte dello<br />
spazio, la notte della scatola nera e della camera oscura.<br />
Una notte di fantasmi travestiti che si rivelano premonizioni<br />
della realtà futura. Una notte che assomiglia<br />
a una versione oscura della metafisica di De Chirico rivista<br />
e corretta dalla visione critica di un Otto Dix. […]<br />
La notte delle libertà nel nomadismo culturale, da Kafka<br />
all’assurdo di Beckett, fino alla proustiana ricerca del tempo<br />
perduto. […] Quella notte è l’esatto contrario dell’onnipotenza<br />
diurna della società dello spettacolo, personificata<br />
dalle luci della ribalta del mondo di Walt Disney.<br />
‘A questo travestitismo di massa permeato dal divertimento<br />
continuo’ Sergio Vacchi dedica un’esecrazione<br />
globale. E in effetti, la notte di Vacchi e il giorno<br />
alla Walt Disney sono molto più che due stili di messa<br />
in scena: rappresentano due sistemi di comunicazione<br />
globale che si fronteggiano” 13 .<br />
Questo il terreno della sfida, dello scontro, fra due<br />
grandi “vecchi” giunti ormai, per esperienza di vissuto,<br />
a intravedere in certa misura i possibili confini dei<br />
destini reciprocamente così diversi. Da una parte, la frizione<br />
inevitabile fra la mediazione distanziante prodotta<br />
dall’“effetto di omologazione neutralizzante dell’immagine<br />
presentata sul piccolo schermo”, riflesso<br />
del “flusso globale dell’informazione mediatica”; e, dall’altra,<br />
l’immediatezza comunicativa ancora permessa<br />
dall’esercizio della pittura, nella sua capacità inclusiva<br />
totale, nella sua complicità partecipativa. Quella che riguarda<br />
quest’ultima, la pittura, suppone senza mezzi termini<br />
Restany, è ormai “una lunga storia arrivata al suo<br />
capolinea, perché si basava sulle strutture percettive di<br />
una sensibilità individuale e collettiva concepita come<br />
permanente e immutabile. Sotto l’effetto dell’influenza<br />
planetaria dei media, la grande macchina elettronica<br />
dell’informazione opera un innesto sui nostri cervelli<br />
che altera le nostre strutture percettive, fa esplodere le<br />
nostre sensibilità, e assegna all’immagine un nuovo destino.<br />
Progressivamente rientriamo nella cultura di una<br />
civiltà nuova, quella della comunicazione globale, di cui<br />
l’arte dovrebbe essere il vettore umanistico. L’arte diviene<br />
necessariamente comunicabile o non esiste più.<br />
Non c’è più posto oggi per le torri d’avorio o per i giar-
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 25<br />
by a critic on an occasional basis as a professional assignment).<br />
The involvement of a European figure with<br />
a long and varied history of critical exploration, including<br />
some of a daringly experimental character,<br />
seemed one way to achieve this aim, especially after the<br />
intelligent appreciation the American critic Barbara<br />
Rose had displayed less than a decade earlier.<br />
It was the challenge of a possible confrontation between<br />
two worlds of a very different and distant nature in not<br />
only apparent but also substantial terms, between two<br />
pathways of completely different orientation. Restany’s<br />
approach is distinguished by a personal and in many respects<br />
very original search for possible signs, icons and<br />
behaviours of a convincing, recognizable and not necessarily<br />
conventional “modernity,” albeit not devoid of<br />
questions and even doubts. Vacchi’s trajectory instead<br />
has developed over the years in a deep probing of reality<br />
and existential roots ripened and evolved substantially<br />
through the increasingly, explicitly monitory manifestation<br />
of radical discontent with a hypothesis of<br />
“modernity” of a supposedly palingenetic nature.<br />
On the one hand, there was Restany’s experience of intrigued<br />
extroversion. After significant youthful participation<br />
in Art Informel (above all by comparison with<br />
the crucial and historic involvement of Michel Tapié in<br />
the early 1950s), this was originally consolidated in the<br />
years of Nouveau Réalisme at the beginning of the<br />
1960s, above and beyond all apparent contradiction, in<br />
the ability to establish a hypothetical nexus of European<br />
innovation among sociological induction (Arman), alldemolishing<br />
objectual presentism (Spoerri), clanking<br />
mechanical irony (Tinguely) and archetypal existential<br />
resentment (Saint-Phalle), as well as explicit mystical projection<br />
(Klein), one of the most agitated and ramified<br />
moments in the sphere of the “new avant-gardes.” On<br />
the other hand, there was Vacchi’s ultimately solitary pictorial<br />
adventure stretching through the second half of<br />
the twentieth century and into the beginning of the<br />
twenty-first, first from the majesty of a basal, material,<br />
organic corporality to the scenic implication that compassionately<br />
(in the etymological sense) dethrones residual<br />
historical emblems of power (the Vatican and Emperor<br />
Frederick II), and then from an introjective plunge<br />
into the abyss in terms of the imagination and domestic<br />
space (the ‘Stanze della Nekyia’ cycle) to the freest<br />
possible visionary exploration of topologically allusive<br />
spaces of the irrational complexity of present-day life,<br />
fuelled by disorienting monitory provocations and capable<br />
of involving everything in a substantial act of<br />
“self-devouring” (from the ‘Leonardo’ cycle to the visionary<br />
paintings produced in the Castello di Grotti).<br />
Restany’s most recent critical undertakings with world-<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
wide circulation in the 1990s, based also on the remote<br />
sociological assumption of “neo-realism,” focused on<br />
new forms of expression that had manifestly come to<br />
terms with an essentially technological-mass media communicative<br />
dimension of art taken for granted on all<br />
hands as endowed with the highest degree of presentday<br />
relevance. His was consciously a “hypothetical projection<br />
onto the diurnal future of global culture,” as<br />
against the explicit orientation of the imaginative projection<br />
of Vacchi, “this conscious guardian of a lofty<br />
pictorial tradition in danger of extinction,” described by<br />
the French critic as “far from insensitive to the power<br />
of the media but intent, with respect to their obtrusive<br />
diurnal presumption, on defending the privileges of art<br />
in his sage nocturnal vision.”<br />
As he pointed out, “Entering the world of Sergio Vacchi’s<br />
painting is like undertaking an endless journey into<br />
the depths of night. The night of ages, the night of<br />
space, the night of the black box and the camera obscura.<br />
A night of disguised spectres that prove to be premonitions<br />
of the future reality. A night that resembles a dark<br />
version of De Chirico’s metaphysical painting revised and<br />
corrected by the critical vision of an Otto Dix. […] A<br />
night of freedom in cultural nomadism, from Kafka to<br />
the absurdity of Beckett and Proust’s search for lost time.<br />
[…] This night is the exact opposite of the diurnal omnipotence<br />
of the society of spectacle, as personified by the<br />
limelight of the world of Walt Disney. Sergio Vacchi responds<br />
to this ‘mass disguise permeated by constant<br />
amusement’ with global execration. Vacchi’s night and<br />
Walt Disney’s day are in fact much more than two styles<br />
of stage presentation. They represent two systems of global<br />
communication confronting one another.” 13<br />
It was on this terrain that the encounter and confrontation<br />
took place between two “grand old men”<br />
now enabled by their experience of life to glimpse to a<br />
certain degree the possible boundaries of destinies so very<br />
different from one another. On the one hand, the unavoidable<br />
friction between the distancing mediation<br />
produced by the “effect of neutralizing standardization<br />
of the image presented on the television screen,” a reflection<br />
of the “global flow of mass-media information”;<br />
on the other, the communicative immediacy still allowed<br />
by the exercise of painting in its total inclusive<br />
capacity and participative complicity. What now regards<br />
the latter, namely painting, is bluntly described<br />
by Restany as “a long history that has arrived at the end<br />
because it based itself on the perceptual structures of an<br />
individual and collective sensibility conceived as permanent<br />
and immutable. Under the effect of the worldwide<br />
influence of the media, the great electronic machine<br />
of information performs a graft on our brains<br />
25
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 26<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
dini dell’Arcadia, per i pittori maledetti o scandalosi,<br />
e non c’è più posto a maggior ragione per la notte culturale<br />
di un Sergio Vacchi”.<br />
Ma a conclusione della sfida, che non può che risolversi<br />
altro che in una presentazione dialetticamente oppositoria,<br />
il critico francese riconosce tuttavia al pittore,<br />
da bolognese e poi romano divenuto ormai un castellano<br />
del contado senese, un ruolo di vaticinio e testimonianza<br />
a futura memoria. Avvertendo che, “dopo<br />
tante visioni premonitrici, Vacchi lo aveva anche previsto,<br />
questo regno della comunicazione totale, della comunicationis<br />
religio”, in suoi dipinti del 2000, ove infatti<br />
“definisce bene il clima apocalittico nel quale viviamo<br />
questo periodo di meditazione che annuncia un<br />
cambio di civiltà”. “Oggi siamo a questo punto: l’orrore<br />
sensuale a cui Vacchi ha attinto nella notte dei<br />
tempi di Abramo per consegnarcene l’organica permanenza,<br />
tela dopo tela, lungo il suo percorso esistenziale,<br />
sfocia naturalmente nell’apocalisse del nostro Terzo<br />
Millennio. Nella monumentale solitudine del Castello<br />
di Grotti, Vacchi ha assistito agli ultimi sussulti di<br />
una cultura moribonda di fronte all’inesorabile attesa<br />
di un uomo nuovo”.<br />
Il quale, se – come crede Restany – nel suo “approccio<br />
percettivo al mondo sarà condizionato dall’impatto dell’informazione<br />
elettronica e dei progressi della scienza<br />
biotecnologica attraverso le sue clonazioni intelligenti”,<br />
tuttavia “potrà decifrare il doppio senso premonitorio<br />
dell’apocalisse che sgorga in seno alla notte culturale di<br />
Vacchi. Anzitutto l’esplosiva negazione del senso lineare<br />
del tempo, concetto immemoriale di cui abbiamo<br />
fatto una legge universale, dalla nascita alla morte. La<br />
visione apocalittica di Vacchi accosta deliberatamente,<br />
in una messa in scena unitaria, simboli e personaggi di<br />
cultura ed età diverse. […] E poi, seconda dimensione<br />
premonitrice di Vacchi: lo sconfinamento della simbo-<br />
26<br />
logia organica del linguaggio primario del corpo nell’orrore.<br />
[…] I corpi straziati, mutilati e sviliti di Vacchi<br />
saranno considerati in un altro modo, come testimonianze<br />
concettuali di una più completa fusione tra<br />
il sensoriale e il mentale”. Certo Vacchi, conclude il critico<br />
in un estremo, significativo riconoscimento al suo,<br />
reciprocamente sfidante, antagonistico interlocutore:<br />
“Non vedrà l’uomo nuovo, ma gli allunga la chiave di<br />
un mondo di enigmi premonitori che domani saranno<br />
verità di evidenza sensibile. Un po’ come un messaggio<br />
in una bottiglia nel mare” 14 .<br />
In realtà, tuttavia, questa proiezione monitoria del pittore,<br />
riconosciuta anche da Restany, ha non soltanto<br />
costituito la ragione di un confronto senza reti fra mentalità,<br />
passioni e mondi diversi, attualizzata nel gioco delle<br />
due differenti posizioni nell’incontro con il critico francese<br />
il 10 giugno di sei anni fa a Rozzano, nella redazione<br />
di “Domus”, e nel testo che ne è scaturito per il<br />
catalogo maceratese. Ma soprattutto, anche a prescindere<br />
da quello stesso confronto che pure l’ha evidenziata,<br />
rappresenta il senso centrale della sfida cruciale che nella<br />
sua totalità il percorso creativo consapevolmente “avulso”,<br />
sostanzialmente inomologato, di Vacchi è venuto a<br />
porre sulla scena della società contemporanea, attraverso<br />
un’antagonistica forte diversione monitoriamente critica<br />
verso una “modernità” facile, in nome di un’estrema<br />
difesa di tramandi di vissuto di patrimonio umanistico.<br />
E ciò dipanandosi lungo oltre mezzo secolo, attraverso<br />
momenti diversi di ricerca di svisceramento<br />
delle possibilità di comunicazione immaginativa pittorica,<br />
messe in atto con assoluta seppure non agevole libertà.<br />
Dall’orizzonte della percezione della prima invasività<br />
tecnologica domestica e comportamentale, negli<br />
anni dell’esperienza informale, contestando una riduzione<br />
a “una dimensione” dell’uomo contemporaneo, già<br />
in prospettiva di consenziente persuasione consumistica,<br />
fino alla contestazione della pretesa omologazione<br />
omogeneizzante globalizzata, deindividualizzante, disumanizzante,<br />
in una planetaria, indotta e consentita riduzione<br />
alla disponibilità consumistica.<br />
3. “a futura memoria”, in una storicità “introiettata”<br />
per “autodivoramento”<br />
Restany non percepiva certo altrettanto di Vacchi il logoramento<br />
in atto, l’usurante entropia di quella “influenza<br />
planetaria dei media” e della mentalità di consumismo<br />
spinto che ne sembra motivare l’invasività, letalmente<br />
repressiva rispetto a ogni occasione di creatività<br />
autonoma, individua nelle proprie motivazioni. E<br />
dunque il critico francese destinava a futura memoria<br />
rivelatoria il riconoscimento stesso del senso opposito-<br />
La Cina non è un campo<br />
da tennis e neppure Galileo,<br />
1967<br />
Galleria d’<strong>Arte</strong> Moderna<br />
e <strong>Contemporanea</strong>, Ferrara<br />
China Is Not a Tennis Court<br />
and Neither Is Galileo, 1967<br />
Galleria d’<strong>Arte</strong> Moderna e<br />
<strong>Contemporanea</strong>, Ferrara
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 27<br />
that alters our perceptual structures, detonates our sensibility,<br />
and assigns a new destiny to the image. We<br />
gradually enter the culture of the new civilization of<br />
global communication, which art is supposed to serve<br />
as a humanistic vehicle. Art necessarily becomes communicable<br />
or ceases to exist. There is no more room today<br />
for ivory towers or gardens of Arcadia, for painters<br />
arousing outcry and scandal, and a fortiori no more<br />
room for the cultural night of a Sergio Vacchi.”<br />
At the end of the encounter, which could have no outcome<br />
other than a dialectically adversarial presentation,<br />
the French critic did, however, acknowledge that the<br />
painter—first Bolognese, then Roman and now the lord<br />
of a castle in the Sienese hills—have a role of prophecy<br />
and testimony for the future. Pointing out that, “after<br />
so many premonitory visions, Vacchi had also foreseen<br />
this realm of total communication or comunicationis<br />
religio” in his paintings of 2000, where he in fact “clearly<br />
defines the apocalyptic atmosphere in which we are<br />
living through this period of meditation that heralds a<br />
change in civilization [...] This is the point we have arrived<br />
at today: the sensual horror upon which Vacchi<br />
has drawn in Abraham’s night of the ages in order to<br />
present us with its organic permanence, canvas after<br />
canvas, all the way along his existential pathway, naturally<br />
leads to the apocalypse of our third millennium.<br />
In the monumental solitude of the Castello di Grotti,<br />
Vacchi has witnessed the last spasms of a moribund culture<br />
awaiting the inexorable arrival of a new mankind.”<br />
According to Restany, while this new species “will be<br />
conditioned in its perceptual approach to the world<br />
by the impact of electronic information and the<br />
progress of biotechnological science through intelligent<br />
cloning,” it will also be able “to decipher the dual premonitory<br />
sense of the apocalypse gushing out in the<br />
bosom of Vacchi’s cultural night: first of all, the explosive<br />
negation of the linear sense of time, an immemorial<br />
concept that we have made into a universal<br />
law, from birth to death. Vacchi’s apocalyptic vision<br />
deliberately combines symbols and figures from different<br />
cultures and eras in a unified setting. […] Then<br />
we have Vacchi’s second premonitory dimension: the<br />
organic symbology of the primary language of the<br />
body crosses the boundary into horror. […] Another<br />
view will be taken of Vacchi’s tortured, mutilated and<br />
debased bodies as conceptual evidence of a more complete<br />
melding of the sensory and the mental.” As the<br />
critic concludes in a final and meaningful act of acknowledgment<br />
to his mutually antagonistic challenger<br />
and interlocutor, while Vacchi will certainly “not see<br />
this new mankind, he hands it the key to a world of<br />
premonitory riddles that will be palpably evident truths<br />
tomorrow, something like a message in a bottle thrown<br />
into the sea.” 14<br />
In actual fact, however, the painter’s monitory projection,<br />
which is also recognized by Restany, does not only<br />
constitute the reason for a confrontation with no safety<br />
net between different mentalities, passions and<br />
worlds, given concrete shape through the interplay of<br />
the two different positions in the meeting with the<br />
French critic on 10 June six years ago at Rozzano in<br />
the offices of Domus and in the resulting text for the<br />
catalogue of the exhibition in Macerata. Above all, even<br />
if we leave aside the confrontation highlighting it, it represents<br />
the central significance of the crucial challenge<br />
that Vacchi’s consciously “discordant” and substantially<br />
non-standardized creative trajectory as a whole has<br />
come to pose on the scene of contemporary society<br />
through a markedly antagonistic diversion adopting a<br />
monitory and critical stance toward a facile form of<br />
“modernity” in the name of an extreme defence of<br />
handing down the experience of the humanistic legacy.<br />
And this is a process unfolding over half a century<br />
through different moments of exploration and dissection<br />
of the possibilities of imaginative pictorial communication<br />
developed with a freedom that is absolute<br />
even though by no means easily attained. It goes from<br />
the horizon of the perception of the initial domestic and<br />
behavioural invasiveness of technology in the years of<br />
the Art Informel experience, opposing the reduction of<br />
contemporary man to “one dimension”, already within<br />
a perspective of consentient consumeristic persuasion,<br />
all the way to challenging the purported dehumanizing,<br />
deindividualizing, homogenizing, globalized<br />
standardization within a planetary, induced and accepted<br />
reduction to consumeristic availability.<br />
3. “for future reference” in a form of historicity<br />
“introjected” through “self-devouring”<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
Restany was certainly not equal to Vacchi in his perception<br />
of the process of deterioration underway, the<br />
wearing entropy of the “planetary influence of the media”<br />
and the mentality of exaggerated consumerism that<br />
appears to motivate its invasiveness and lethal suppression<br />
of any opportunity for autonomous creativity. The<br />
French critic therefore made even acknowledgment of<br />
the oppositional thrust of the painter’s work a matter<br />
of future reference. Perception of evident signs of this<br />
deterioration (among other things, not revealed but<br />
tragically confirmed by the events of 11 September<br />
2001 in New York) instead offered Vacchi convincing<br />
evidence of the possibility of his visionary testimony<br />
proving effective in the shorter term. 15 In other words,<br />
27
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 28<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
rio dell’operare del nostro pittore. Mentre la percezione<br />
di indizi evidenti di quel logoramento (fra l’altro, non<br />
rivelato ma tragicamente confermato dagli eventi<br />
newyorkesi dell’11 settembre 2001) offre a Vacchi elementi<br />
di convinzione di possibilità d’efficacia più a breve<br />
per la sua veggente testimonianza 15 . Intendo dire che<br />
il precipitare degli eventi, gli scricchiolii molteplici che<br />
dall’edificio dell’ottimismo consumistico planetario globalizzato<br />
quotidianamente ci pervengono, spostano di<br />
fatto la condizione di Vacchi da quella di profeta disarmato,<br />
quasi eventuale visionaria Cassandra degli anni<br />
duemila, interamente mirato a un ascolto e a una comprensibilità<br />
dunque soltanto futuri, a quella comunque<br />
di partecipe testimone, attuale, credibilmente rivelatore<br />
di una crisi in atto, palpabile, ubiquitariamente seppure<br />
in modi diversi sofferta. Ed è se mai l’asprezza e la<br />
complessità delle implicazioni immaginative quanto<br />
ideologiche ed etiche che la sua pittura comporta, a costituire<br />
un inevitabile limite rispetto a una corrispondenza<br />
comunicativa subito appetibile; non tanto, credo,<br />
la scarsa chiarezza delle sue proposizioni, di coinvolgente<br />
vertigine visionaria, piuttosto inequivocabile.<br />
Questo significa che, seppure la proiezione complessiva<br />
dell’immaginazione di Vacchi miri a costituire una<br />
proposizione sostanzialmente destinata, non v’è dubbio,<br />
“a futura memoria” (e come tale certamente si attesti<br />
sulla scena attuale fra le più significative disponibili<br />
d’una tale possibile intima testimonianza per il futuro<br />
del travaglio collettivo dei nostri giorni), tuttavia<br />
non necessariamente soltanto di ipotetiche divinazioni<br />
catastrofiche si tratta, nel caso dei suoi vividi pronunciamenti<br />
immaginativi, ma intanto di quantomeno inquietanti<br />
proposizioni iconiche di una presa diretta e<br />
28<br />
drammatica sulla realtà mostruosa e ambigua della nostra<br />
attuale contingenza psichica e comportamentale,<br />
individuale e collettiva, insomma dei nostri orizzonti e<br />
della nostra memoria. La visionarietà topologica messa<br />
in atto dall’immaginazione figurale di Vacchi risulta infatti<br />
motivazionalmente a frizione diretta delle contingenze<br />
del proprio presente, più collettivo e societario che<br />
individuale, non meno di quanto lo fosse, nei primi anni<br />
venti, il realismo capziosamente spinto, d’evidente<br />
escatologico presupposto, di un Otto Dix. Realismo<br />
escatologico questo, attraverso un’impietosa analisi di<br />
contingenze sociologiche, anche quotidiane, della società<br />
tedesca coinvolta nelle dilanianti conseguenze del primo<br />
conflitto mondiale del XX secolo; realismo fattuale<br />
del pronunciamento visionario, quello vacchiano, attraverso<br />
l’attualità di relazioni evocativamente implicate<br />
in prospettiva di comune destino.<br />
Sono le motivazioni basiche che sorreggono, appunto<br />
lungo oltre mezzo secolo, il complesso tracciato della ricerca<br />
pittorica di Vacchi, configurandone indubbiamente<br />
un percorso, d’imponente esperienza e di molteplici<br />
connessioni, che tuttavia si caratterizza appunto<br />
nel suo risultare deliberatamente “avulso” rispetto al<br />
contesto codificato e conclamato della scena artistica<br />
contemporanea 16 . “Avulso” perché divergente, estraneo,<br />
alternativo, cioè rispondente a una dimensione di complessità<br />
della ricerca reale nel suo farsi, sul campo, contrapposta<br />
a modelli di ricerca ufficialmente istituzionalizzati<br />
e ormai usurati, spenti e insomma innocui, secondo<br />
un’evidenza riscontrabile un po’ ovunque, sempre<br />
più esplicitamente. E proprio al punto d’aver ormai<br />
di fatto codificato la riconosciuta insopportabile distanza,<br />
anzi sostanziale separatezza culturale quanto sociale,<br />
dell’attività delle più grandi quanto delle mediograndi<br />
istituzioni pubbliche espositive e museali, non soltanto<br />
in Italia (dalla Biennale veneziana infatti, a Documenta,<br />
in particolare, e da noi ai vari Macro, Maxxi,<br />
Gnam, Gam, Gamec, Madre, Arcos ecc.). Attività istituzionale<br />
che risulta di fatto del tutto centralizzata e di<br />
funzionalità soltanto di dipendenza lobbistica, e conseguentemente<br />
ripetitiva, scontata, noiosamente soporifera,<br />
ma proprio perciò di garantita innocuità critica e<br />
di speculazione intellettiva; a fronte di vivacità e di molteplicità<br />
della realtà ubiquitaria di un’incondizionata<br />
varia ricerca altrimenti liberamente in atto, imprevedibilmente<br />
stimolante. Secondo del resto l’acuirsi, entro<br />
la cultura artistica, di una contrapposizione schizofrenica<br />
che avevo avuto modo di segnalare, in varie occasioni,<br />
già da oltre dieci anni 17 .<br />
E attività istituzionale che, inficiando e sterilizzando<br />
con mentalità di difesa appunto lobbistica ogni spazio<br />
di possibile confronto, spinge più che mai oggi a una<br />
L’ultimo viandante, 1993<br />
The Last Wayfarer, 1993
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 29<br />
Cavallo indomabile, 1984<br />
Indomitable Horse, 1984<br />
that gathering momentum of events and the manifold<br />
creaking that comes from all over the edifice of worldwide<br />
consumeristic optimism every day altered Vacchi’s<br />
condition from that of a powerless prophet—a sort of<br />
visionary Cassandra of the 21st century and hence entirely<br />
aiming at being listened to and understood solely<br />
in the future—to one of an involved present-day witness,<br />
a credible indicator of a crisis already underway,<br />
palpable and endured everywhere, albeit in different<br />
ways. And in my view it is, if anything, the harshness<br />
and complexity of the imaginative as well as ideological<br />
and ethical implications of his painting—rather than<br />
any insufficient clarity of his enthrallingly visionary<br />
propositions, which are quite unequivocal—that constitute<br />
an inevitable limit with respect to the immediate<br />
appeal of “communicative correspondence”.<br />
This means that even though the overall projection of<br />
Vacchi’s imagination aims at constituting a proposition<br />
substantially and unquestionably intended “for future<br />
reference” (and as such certainly established on the<br />
present-day scene as one of the most significant examples<br />
of the possibility of such intimate testimony for<br />
the future of the collective trials and tribulations of<br />
our days), his vivid, imaginative pronouncements are<br />
not necessarily confined to the status of hypothetical<br />
divinations of catastrophe but also comprise at least disturbing<br />
iconic propositions of a direct and dramatic<br />
grasp of the monstrous and ambiguous reality of our<br />
contingent present, both mental and behavioural, individual<br />
and collective, in brief, of our horizons and<br />
our memory. The topological visionary dimension<br />
opened up by Vacchi’s figural imagination proves in fact<br />
to be motivationally in a state of direct friction with<br />
the contingencies of its present—more social and collective<br />
than individual—just as much as Otto Dix’s<br />
captiously accentuated realism with its evident eschatological<br />
basis in the early 1920s. While the latter is an<br />
eschatological realism developed through a merciless<br />
analysis of the sociological contingencies—including the<br />
everyday ones—of German society caught up in the lacerating<br />
consequences of World War I, Vacchi’s factual<br />
realism of visionary pronouncement works through<br />
the present-day relevance of relations evocatively involved<br />
in a perspective of common destiny.<br />
These are the basic motivations underpinning the complex<br />
course of Vacchi’s pictorial exploration for over half<br />
a century and unquestionably plotting a path of imposing<br />
experience and multiple connections that is,<br />
however, characterized precisely by the fact of being deliberately<br />
“discordant” with respect to the clear and codified<br />
context of the contemporary art scene. 16 This is “discordant”<br />
insofar as it is estranged, extraneous and al-<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
ternative, reflecting a dimension of complexity of real<br />
investigation in its development, in the field, as opposed<br />
to officially institutionalized models that are now<br />
worn out, rundown and, in a word, innocuous, as can<br />
be seen in increasingly explicit terms on all hands. And<br />
precisely to the point of having by now actually codified<br />
the recognized distance of detachment—and indeed<br />
the substantial cultural and social gap—characterizing<br />
the activities of both the major and the medium-large<br />
public museums, galleries and institutions, and not only<br />
in Italy (from the Venice Biennial to Documenta, in<br />
particular, as well as the various bodies operating in<br />
Italy, such as Macro, Maxxi, Gnam, Gam, Gamec,<br />
Madre and Arcos, etc.). This institutional activity is in<br />
actual fact wholly centralized and functions solely in<br />
terms of pressure groups, thus being repetitive, trite and<br />
soporific but for this very reason also certainly harmless<br />
on an art-critical plane and marked by intellective<br />
speculation, as against the vivacious and multifarious reality<br />
of unfettered, varied and unpredictably stimulating<br />
investigation that is freely developed elsewhere. Underpinning<br />
this is in any case the intensification of a<br />
schizophrenic clash within the sphere of artistic culture<br />
to which I first drew attention on various occasions<br />
over ten years ago. 17<br />
By adopting a lobby-directed, defensive mentality to<br />
invalidate and sterilize any area of possible confrontation,<br />
this institutional activity works more than<br />
ever today to force into a dimension of solitary opposition<br />
those in particular who, like Vacchi, have<br />
continued over the years to express intimately antagonistic<br />
and critical imaginative propositions of such<br />
power as to turn their solitary choice or deliberate<br />
29
00A_Saggio <strong>Crispolti</strong>OKk2:02_Saggio Campiglio 12-03-2009 14:57 Pagina 30<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
dimensione di contrapposizione solitaria in particolare<br />
chi, come felicemente Vacchi, abbia espresso nel tempo<br />
e tuttora sappia esprimere una tale forza di proposizione<br />
immaginativa critica, intimamente oppositoria,<br />
da capovolgere a sfida nel presente la propria scelta solitaria,<br />
la propria deliberata “avulsione”, come tale mirata<br />
appunto a una comunicazione che si realizzi nella<br />
sua carica eversiva sostanzialmente “a futura memoria”.<br />
Da capovolgerla infatti in incalzante imponenza monitoria,<br />
con la quale sia tuttavia difficile non fare i conti<br />
appunto già nel presente, nel deprimente vuoto inventivo<br />
attualmente dovuto all’appiattimento indotto dal<br />
demotivante eterodiretto consumismo globalizzato.<br />
Quando l’invasività del qualunquismo istituzionale globalizzante<br />
non spinga, altrimenti, il montare di un’insoddisfazione<br />
profonda, di un malcontento a misura di<br />
contrapposizione quasi insurrezionale, di affermazione<br />
e organizzazione di radicale alterità di difesa ultimativa<br />
della libertà d’espressione e delle possibilità di libero<br />
confronto sul campo fra esiti di ricerca. Ma è impazienza<br />
che non corrisponde a un’opzione critica monitoria<br />
a lunga gittata, come quella di Vacchi.<br />
D’altra parte, se il fondamento più autentico della ricerca<br />
è attualmente proprio in un’alternativa individuale<br />
capace di aprire un possibile diverso percorso culturale<br />
d’identità esistenziale (pur, per sua natura, si è detto, di<br />
traguardo che sempre creativamente si rinnovi), la condizione<br />
di una libera ricerca, quando sia sostanzialmente<br />
innovativa, non può che risultare sociologicamente minoritaria,<br />
pagandone consapevolmente l’inevitabile scotto.<br />
Giacché la sua forza propulsiva, di fatto d’avanguardia,<br />
si manifesta nella capacità di motivazioni individualmente<br />
generate ed espresse in contrapposizione<br />
innovativa rispetto al gusto, al pensiero, alle convenzioni<br />
imperanti della maggioranza di volta in volta<br />
dominante, culturalmente quanto socialmente, che nella<br />
fattispecie attuale risulta più che mai essere oggetto<br />
e vittima (spesso tuttavia consapevolmente collusa) di<br />
un’invasiva globalizzazione consumistica, livellante, demotivante,<br />
deindividualizzante. Nella coscienza d’una<br />
tale inesorabile condizione alternativa, quale proprio<br />
modo contestuale di essere e operare, l’“avulsione” deliberatamente<br />
optata da Vacchi, come margine di resistenza<br />
proprio, si è tuttavia originalmente realizzata nel<br />
tempo, e tuttora si conferma, orientando momento dopo<br />
momento il suo percorso creativo sempre più individualmente<br />
motivato. Esattamente non in quanto sottrazione<br />
di riscontri di realtà ma al contrario come possibilità<br />
d’ulteriore inveramento soggettivo di realtà totalizzanti,<br />
interamente infatti oggettivandovisi. E ciò<br />
avviene proprio nell’esito d’oggettivazione monitoria,<br />
visionariamente allarmante di quel processo che carat-<br />
30<br />
terizza la particolare condizione profondamente partecipativa<br />
attraverso di sé, ma infine ben oltre un orizzonte<br />
di sé, che negli ultimi anni egli ha appunto riconosciuto<br />
e definito come “autodivoramento” 18 . Che è “non<br />
un’espulsione o una reazione espressionista, una rivolta<br />
o un assalto violento, ma un raccoglimento doloroso,<br />
un assorbimento lento, una trasformazione organica<br />
delle proprie capacità visionarie sollecitate da una<br />
massa inconscia che viene forzata e penetrata dalla storia,<br />
dai fatti, dalla realtà”, sottolinea Tonelli. Il quale avverte:<br />
“Vacchi racconta la trasformazione organica di sé<br />
in ‘storia’, in accadimento transpersonale” 19 .<br />
Dunque un processo di inverante introiettamento di<br />
realtà, che si realizza attraverso una profonda, totale rimotivazione<br />
esistenziale individuale, soggettiva, di pienezza<br />
di proprio vissuto personale. Appunto un processo<br />
di “autofagocitazione”, di “autodivoramento”, entro<br />
il quale tuttavia la dimensione soggettiva, vissuta fino<br />
alla sua estrema macerazione d’intensità passionale,<br />
si rifonda infine in una prepotente estroversione immaginativa<br />
oggettivante, capace di trasformare l’immersione<br />
nell’abisso individuale in una possibile rivelatoria<br />
immagine di una contingente temperie morale<br />
collettiva. In tal modo si opera come un rovesciamento<br />
“introiettivo” d’ogni nesso di passione ideologica, civile,<br />
societaria o di memoria collettiva e di storia, entro<br />
quel gorgo di “autofagocitante” passionalità esistenziale<br />
(e insieme di tonificante escalation passionale<br />
di visionarietà immaginativa), nel quale si estremizzano<br />
e metabolizzano umori e velleità del proprio vissuto,<br />
propri umani scacchi, fallimenti, paure, terrori,<br />
rimorsi, intenzioni culturali, remore, desideri, sogni e<br />
disfatte. Al fondo del quale, dunque, per straordinaria<br />
passionalità evocativa, autosuggestiva, autoemozionante,<br />
la misura d’una mera esasperata, estrema soggettività<br />
(che rimane fondante) si risolve infine in un’oggettivante<br />
epifania di misteriose premonitorie ritualità. Come<br />
coinvolgendo nel proprio un possibile più esteso processo<br />
di premonizione catastrofica di “autodivoramento”<br />
complessivo della realtà del tempo, anzi delle più<br />
impellenti realtà dei nostri giorni, delle diverse società<br />
odierne, a cominciare dalle dominanti, nonché della<br />
realtà stessa della natura. E di questa allusa allarmante<br />
condizione finale e di questo destino, in un estremo atto<br />
di coscienza resistenziale, Vacchi è impegnato a dare<br />
testimonianza in un’oggettivata gamma di proposizioni<br />
immaginative di fortissima intensità e creativa<br />
dovizia visionaria.<br />
Attraverso il gorgo “autofagocitante” del proprio vissuto,<br />
opera un autosvelamento psichico impietoso, di accettazione<br />
di sé ostentata attraverso emblematici immaginosi<br />
richiami archetipici, mitici, biblici, risolti in
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“discordance”—aimed as such precisely at a form of<br />
communication that finds fulfilment in its subversive<br />
impetus substantially as testimony “for future reference”—into<br />
a present-day challenge. In fact, they turn<br />
it into a relentless warning on a massive scale that<br />
can indeed scarcely be ignored already in the present,<br />
in the depressing vacuum of invention currently due<br />
to the crushing levelling effect of demotivating, hetero-directed,<br />
globalized consumerism—when the invasiveness<br />
of globalizing institutional indifferentism<br />
does not indeed prompt the growth of deep dissatisfaction<br />
and discontent to levels of almost insurrectionary<br />
opposition, the assertion and organization of<br />
radical otherness and peremptory defence of the freedom<br />
of expression and the possibility of free exchange<br />
of ideas between the various explorations carried out<br />
in the field. This sort of impatience does not, however,<br />
fit in with a long-range critical and monitory<br />
stance like the one chosen by Vacchi.<br />
At the same time, if the most authentic basis of artistic<br />
investigation can now be identified precisely as an<br />
individual alternative capable of opening up a possible<br />
different cultural pathway of existential identity (albeit<br />
one that, as noted above, is constantly involved in<br />
creative renewal by its very nature), the condition of<br />
free exploration, when substantially innovative, can<br />
only prove to be a minority position in sociological<br />
terms and one that must consciously pay the inevitable<br />
penalty. This is because its avant-garde propulsive force<br />
manifests itself in the capacity of motivations individually<br />
generated and expressed in innovative contrast<br />
to the prevailing tastes, ideas and conventions of the<br />
culturally and socially dominant majority, which in the<br />
present situation proves to be more than ever the object<br />
and victim (albeit often in conscious collusion) of<br />
an invasive globalization of a consumeristic, levelling,<br />
demotivating and deindividualizing nature. It is in the<br />
awareness of this inexorable alternative condition as its<br />
contextual mode of being and operating that the “discordance”<br />
deliberately chosen by Vacchi as a margin of<br />
resistance originally took shape over time and still asserts<br />
itself to guide his increasingly individually motivated<br />
creative steps moment by moment. Not as avoidance<br />
of confrontation with reality, but on the contrary<br />
as the possibility of further subjective fulfilment of allembracing<br />
and wholly objectified realities. And this<br />
takes place precisely in the outcome of the prophetically<br />
alarming, monitory objectivization of the process<br />
that characterizes the particular condition—deeply participative<br />
through the self but ultimately stretching far<br />
beyond a horizon of the self—that Vacchi has identified<br />
and described as “self-devouring” over the last few<br />
Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
years. 18 As Tonelli points out, this is “not expressionistic<br />
reaction or expulsion, violent onslaught or revolt,<br />
but painful meditation, slow absorption and organic<br />
transformation of the visionary capacities prompted<br />
by an unconscious mass that is forced and penetrated<br />
by history, facts and reality. [...] Vacchi recounts the organic<br />
transformation of the self into ‘history’ or transpersonal<br />
event.” 19<br />
We thus have a process of the actualising introjection<br />
of reality that takes place through deep and total remotivation<br />
of the fullness of personal existence at the<br />
subjective, individual and existential level: a process of<br />
“autophagy” or “self-devouring” within which, however,<br />
the subjective dimension, experienced all the way<br />
to its extreme mortification of passional intensity, finally<br />
re-establishes itself in an overwhelming form of<br />
objectifying imaginative extroversion capable of transforming<br />
the plunge into the individual abyss into a<br />
possible revelatory image of a contingent collective<br />
moral climate. In this way, we have a sort of “introjective”<br />
reversal of every nexus of ideological, civil and<br />
social passion—or collective memory and history—<br />
within that whirlpool of “autophagic” existential passion<br />
(and at the same time of invigorating passional escalation<br />
of the imaginative visionary dimension), in<br />
which the moods and pipedreams of actual experience<br />
are taken to extremes and metabolized along with setbacks<br />
and failures at the human level, fear, terror, regrets,<br />
cultural intentions, hesitations, desires, dreams and<br />
defeats. At the end of this, through extraordinary evocative,<br />
self-prompting and self-stimulating passion, the<br />
yardstick of mere accentuated, extreme subjectivity<br />
(which remains crucial) is finally resolved in an objectifying<br />
epiphany of mysterious premonitory rituals. As<br />
though involving within its own development the possibility<br />
of a more extended process of catastrophic premonition<br />
of overall “self-devouring” of the reality of the<br />
time, and indeed the most urgent realities of our day,<br />
of the various societies of today, beginning with the<br />
dominant ones, as well as the very reality of nature. And<br />
Vacchi is committed to bearing witness to this destiny<br />
and the alarming final condition suggested in an extreme<br />
act of awareness and resistance through an objectified<br />
range of imaginative propositions of the utmost<br />
intensity and visionary, creative abundance.<br />
Through the “autophagic” vortex of his lived experience<br />
he develops a merciless process of mental self-revelation<br />
and self-acceptance displayed through imaginative<br />
emblematic references of an archetypal, mythic<br />
and biblical nature resolved in images that are deeply<br />
disturbing when they are not deliberately annoying<br />
and alarming.<br />
31
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Enrico <strong>Crispolti</strong><br />
immagini quantomeno profondamente inquietanti,<br />
quando non deliberatamente irritanti e allarmanti. I cui<br />
esiti figurali, emergenti dalla conflittualità di quelle latitudini<br />
psichiche profonde, tuttavia per forza icastica<br />
della loro formulazione linguistica, ipostatica o paratattica<br />
(che cioè siano frontali oppure topologicamente<br />
nello spazio diramati), attraverso il fortissimo di una<br />
straordinaria tensione di passionalità partecipativa, giungono<br />
a offrirsi dunque infine quali emblemi non di riscontro<br />
d’una visionarietà individuale, meramente di<br />
motivazione soggettiva, di soggettivazione figurale, ma<br />
appunto di una condizione d’oggettivazione iconica in<br />
un possibile riscontro d’immaginario collettivo. Ed è<br />
proprio tramite questa immaginosamente partecipata<br />
designazione emblematica di ritualità, miti, archetipi, figure<br />
di riferimento storico, come di iconi, oggetti, comportamenti<br />
del presente mediatico (che non sfugge alla<br />
prensile attenzione della fantasia creativa di Vacchi),<br />
ma anche tramite immagini significativamente affioranti<br />
da latitudini remote del proprio vissuto, che si<br />
compie lo stacco autobiografico che permette la conclusiva,<br />
decisiva, trasmutazione oggettivata della pulsione<br />
originariamente d’immersione soggettiva dell’“autodivoramento”.<br />
Ciò appare tanto più evidente nei<br />
dipinti che Vacchi ha realizzato in questi primi anni del<br />
duemila, spazialmente librati in un’illimitata personalissima<br />
disponibilità, topologicamente articolata, d’invenzioni<br />
e citazioni, ma iconicamente connessi persino<br />
appunto a richiami di riscontro massmediale. Ove<br />
proprio la riconoscibilità di avvenute frequentazioni<br />
entro una tale dimensione di modi comunicativi quanto<br />
di iconi d’immaginario collettivo del tempo (in particolare<br />
mediate da memorie cinematografiche) si pone<br />
come tangibile indizio dell’ampiezza dello scarto “a<br />
futura memoria” dei suoi visionari monitori pronunciamenti<br />
pittorici.<br />
Una storicità che mi sembra dunque possibile dire “introiettata”,<br />
quella che si configura attraverso il percorso<br />
creativo di Vacchi “avulso” da fiaccanti compromessi,<br />
culturali, esistenziali, ideologici quanto passionali 20 .<br />
A fronte, per esempio, almeno quanto alla scena artistica<br />
italiana, della dilaniata e dilaniante estroversione<br />
espressa nella storicità estroversamente “eversiva” manifestata<br />
in particolare nei dipinti d’accento e lestezza di<br />
segno “graffitista” dell’ultima stagione di Moreni (negli<br />
anni avanzati ottanta e nei novanta); o altrimenti a fronte<br />
della condizione di storicità invece dialetticamente<br />
“partecipata” nel tempo come espressa nel lungo dialogo<br />
di dimensione “civile” societaria appunto condotto<br />
da Guttuso. Ed è entro una tale storicità “introiettata”<br />
che corre quel percorso “avulso”, che è tale non per secessione<br />
dal proprio tempo in favore di un altrove uto-<br />
32<br />
pico, né semplicemente per secessione da un contingente<br />
contesto culturale, sociale, politico (come pure in certa<br />
misura è accaduto a Vacchi fra anni sessanta e settanta),<br />
ma per una consapevolezza di senso d’essere, di riconoscersi<br />
e d’operare soltanto in una radicalità alternativa<br />
rispetto a una storicità contingente, come tale, non<br />
immediatamente partecipabile 21 . E che infatti è intercettata<br />
e a suo modo corrisposta soltanto in quanto appunto<br />
capovolta nella responsabilità intellettuale, emotiva,<br />
passionale, radicalmente esistenziale, di un “introiettamento”,<br />
che la rimotivasse in forza alternativa di<br />
proposizione soggettiva, in una soggettività totale tuttavia<br />
oggettivatasi dunque attraverso il processo di “autodivoramento”.<br />
Cioè in termini e modi non di esperienze<br />
soggettive di riscontro esteriore rispetto a una<br />
storicità in atto, di fatto al massimo perciò subìta, ma<br />
di un’esperienza del tutto soggettiva della più profonda<br />
realtà storica in atto, attinta dialetticamente attraverso<br />
dunque l’oggettivazione dell’intensità della propria antagonistica<br />
divergente soggettiva partecipazione, appropriazione<br />
e metabolizzazione liberatoria. Una radicalità<br />
alternativa capace di immettere a un altro, incontingente,<br />
livello di possibile giudizio di realtà, totalizzante,<br />
psichico, cosmico, inclusivo d’ogni dimensione<br />
di passato, di presente e di ipotesi di futuro 22 .<br />
Ed è la sfida monitoria che, attraverso il suo lungo lavoro<br />
di scavo critico e di liberazione visionaria, Vacchi<br />
viene a porre alle prospettive della nostra realtà morale,<br />
della nostra attuale consistenza societaria civile, consumisticamente<br />
implicata e distratta, insomma a una<br />
presunzione di nuovo rischioso comune destino. Sfida<br />
operata rivendicando anzitutto implicitamente la necessità<br />
di riproporre la questione oggi fondamentale<br />
se, al suo più alto livello d’intensità e dirompenza significativa,<br />
il ruolo socialmente utile del pronunciamento<br />
artistico non sia da riconoscere appunto nella<br />
capacità e intensità della costituzione di un’alternativa<br />
individuale, di un’assunzione di piena responsabilità di<br />
affermazione di una soggettività tuttavia infine radicalmente<br />
oggettivata attraverso la vivida forza linguistica<br />
dei suoi pronunciamenti iconici. Rivendicando<br />
dunque le ragioni preminenti di una propria profonda<br />
identità, della propria storia, del patrimonio delle<br />
proprie origini, dei propri archetipi e dei propri tramandi,<br />
come dire dell’imprinting del contesto entro il<br />
quale quei pronunciamenti sono venuti manifestandosi<br />
e maturando nel tempo. Di contro dunque, inevitabilmente,<br />
alla concezione globalizzante, remissivamente<br />
pacificatoria, di un’arte di mero intrattenimento<br />
divagatorio, ubiquitario, nell’ottica di una politica d’offerta<br />
culturale meramente di piattamente ottimistica funzionalità<br />
consumistica intenzionalmente globalizzata.<br />
Salvo diversa indicazione,<br />
i dipinti riprodotti<br />
appartengono alla<br />
Fondazione Sergio Vacchi,<br />
Castello di Grotti<br />
Unless otherwise noted all<br />
paintings are from the Sergio<br />
Vacchi Foundation,<br />
Castello di Grotti