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Numero 39 - Ricre.Org

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8<br />

ALTA UOTA i più uotati<br />

DA UN’IDEA IL PRESEPE. DAL PRESEPE UN IMPEGNO<br />

Comprendo che parlare di Presepe alla soglia della quaresima<br />

può sembrare fuori tempo, ma prima non ho ritenuto<br />

farlo per scaramanzia: in tutta sincerità non ero sicuro che<br />

ce l’avremmo fatta.<br />

Mi riferisco al Presepe che è comparso nel periodo natalizio<br />

all’interno del nostro Duomo. Vi racconto la sua<br />

storia. Come spesso accade, tutto nasce quasi per caso da<br />

un’idea che accende una passione, che contagia un gruppo<br />

di amici che poi ne fanno una sfida da vincere a tutti i<br />

costi e che alla fine riempie i cuori di soddisfazione e di<br />

buoni proposti per il futuro.<br />

Da lungo tempo tra gli amici che ogni anno si ritrovano<br />

per allestire un piccolo carro di Carnevale ricorreva l’idea<br />

di riprendere con impegno la tradizione del presepe<br />

che si era un po’ spenta a Cervignano. E così alla fine della<br />

scorsa estate, presa la decisione, ci siamo avventurati<br />

nell’impresa.<br />

In effetti rispetto alle più famose e blasonate realizzazioni<br />

conosciute avevamo una difficoltà in più: la mancanza di<br />

una localizzazione stanziale.<br />

Infatti ha assorbito molte energie e condizionato molte<br />

Guglielmo Zorzenon, classe 1923, è nato a Belvedere, ha<br />

vissuto qui fino al 1950 e poi si è trasferito a Cervignano,<br />

a Mossa, a Scodovacca e attualmente vive a Farra d’Isonzo,<br />

località Mainizza. Ha lavorato come contadino,<br />

come dipendente di una ditta di Torviscosa, e poi è entrato<br />

nell’ANAS. Di seguito il suo racconto di uno spezzone<br />

della storia di Cervignano.<br />

«A Cervignano lavoravo<br />

come mezzadro<br />

presso la<br />

famiglia Piani, che<br />

possedeva molti<br />

campi sparsi per<br />

il territorio cervignanese.<br />

Lavoravo<br />

con le regole della<br />

mezzadria, quindi<br />

vivevo in una casa<br />

fornita da loro nella<br />

piazzetta dove<br />

c’è la chiesa di San<br />

Girolamo: ancora<br />

oggi c’è la casa,<br />

ormai diroccata, dove ho abitato in quel periodo. Molte<br />

donne venivano da noi insieme ai bambini, per poter bere<br />

un po’ di latte fresco, infatti potevamo tenere degli animali<br />

da cortile. Ricordo che quando stavo per sposarmi<br />

volevo smettere di lavorare lì, ma serviva un documento<br />

per lavorare da qualche altra parte… alla fine sono dovuto<br />

andare fino dal sindaco! Anche mia sorella abitava lì ed<br />

ha imparato a cucire, faceva la sarta da Pellegrini, un negozio<br />

di abbigliamento, per accorciare o sistemare i vestiti<br />

dei clienti che compravano qualcosa nel negozio». Prima<br />

di questi ricordi cervignanesi, però, ci sono i ricordi<br />

del periodo della guerra: «Nei primi mesi del 1943 sono<br />

partito da Belvedere per andare prima a Trieste, e poi in<br />

Jugoslavia. Ero nel plotone dei mortai da 8, a tiro corto.<br />

Mettevo la spoletta per far esplodere il colpo, mi ricordo<br />

che al soldato davanti a me tremavano troppo le mani: in<br />

effetti era un lavoro pericoloso perché se qualcosa andava<br />

storto, ti scoppiava in mano. Io però non avevo più paura<br />

perché sapevo che lì morivano tante persone ogni giorno<br />

e allora se anche fosse scoppiato… ‘pazienza’. Ricordo<br />

un soldato, Scopelitti di Siracusa: aveva un figlio che non<br />

aveva mai visto perché non poteva tornare a casa perché<br />

là erano già arrivati gli americani. Spesso mi mostrava la<br />

foto e si dispiaceva di non poterlo vederlo dal vivo. Un<br />

giorno eravamo in un’osteria e bevevamo del vino con<br />

l’aranciata. C’era una collina dove si vedeva una casa<br />

capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54<br />

vecchia; io ero di schiena rispetto alla collina, un altro<br />

scelte la necessità di realizzare una struttura modulare e<br />

trasportabile, ma fortunatamente la disponibilità di un<br />

posto dove poter lavorare ed una buona dose di spirito di<br />

adattamento hanno contribuito a risolvere brillantemente il<br />

problema. Anzi, ha permesso a chi ha partecipato di formare<br />

un gruppo, di esprimere abilità diverse, ma anche diverse<br />

sensibilità, contribuendo ad accrescere una comune passione<br />

che ha saldato ancor più amicizie vecchie e nuove.<br />

Dal progetto iniziale al risultato finale, ciò che si voleva<br />

esprimere non doveva suscitare stupore, meraviglia o<br />

soggezione, ma trasmettere emozioni, rendere visibile la<br />

presenza di un Dio che si fa bimbo in mezzo agli uomini.<br />

In effetti proprio chi lo ha realizzato è stato il primo a<br />

coglierne difetti e spazi di miglioramento. È ben chiaro<br />

quali siamo le modifiche ha apportare, ma sono anche<br />

diverse le idee per una futura evoluzione, che ha tutto il<br />

sapore di un impegno per gli anni a venire.<br />

È un impegno che ci prendiamo, ma anche un’apertura al<br />

contributo di chiunque voglia cimentarsi nell’impresa: al<br />

prossimo Natale.<br />

GIUSEPPE ANCONA<br />

la ban a della memoria<br />

GUGLIELMO ZORZENON di Sofia Balducci<br />

soldato era di lato e Scopelitti di fronte. Nell’abitazione<br />

c’erano dei cecchini partigiani che hanno sparato verso di<br />

noi e Scopelitti è morto tra le mie braccia».<br />

Un altro ricordo: «per un periodo dormivamo in un castello,<br />

ma per entrare dovevamo passar davanti alla casa di<br />

un contadino. Io ero già malato da un po’ e dentro la casa<br />

c’era un vecchio a cui donavo le mie sigarette: per questo<br />

motivo mi avevano preso in simpatia e mi volevano<br />

bene, mi hanno portato a casa, mi davano da mangiare e<br />

da bere…mi avevano preso come un figlio anche se eravamo<br />

uno contro l’altro, perché avevano capito che non<br />

volevo fare del male a nessuno.<br />

Dopo l’armistizio mi hanno portato su un camion senza<br />

telo, solo con le sponde. Io ero malato e non sapevano<br />

come sistemarmi, finché hanno deciso di mettermi in uno<br />

scatolone, legato in un angolo del camion. Il nostro mezzo<br />

di trasporto, però, è stato sequestrato dai partigiani che<br />

volevano tutto il carico, quindi ho continuato a piedi e ho<br />

incontrato un gruppo di soldati jugoslavi che mi hanno<br />

preso in simpatia e mi hanno accompagnato verso l’Italia.<br />

Ricordo che ero per terra, malato, con la barba lunga e mi<br />

hanno puntato un faro in faccia, urlando «italiano? con<br />

il Re o con Mussolini?». Se avessi risposto “Mussolini”<br />

il mitra sarebbe già stato pronto a sparare. Questi soldati<br />

volevano aiutarmi perché avevano capito la mia condizione<br />

e mi hanno portato in una famiglia che mi ha accolto e<br />

mi ha sfamato per qualche giorno, finché mi hanno affidato<br />

a un altro gruppo di soldati e via via mi avvicinavo al<br />

confine con l’Italia. Ricordo un partigiano jugoslavo, padre<br />

di due figlie, che mi ha detto che gli avevano bruciato<br />

tutto e che non possedeva più niente. Inoltre devo dire che<br />

io mi sono salvato sia perché ero malato, sia perché non<br />

avevo mai espresso opinioni in modo avventato; chi si dimostrava<br />

più spavaldo contro i soldati jugoslavi lasciava<br />

subito la pelle, infatti mi ricordo che c’erano dei giovani<br />

papaveriepapere.pdf 19/04/2010 16.40.11<br />

militari di 16 anni o poco<br />

più che erano stati chiamati<br />

fuori e uccisi a bruciapelo.<br />

Una volta giunto a Opicina<br />

sono stato tradito da un italiano.<br />

Al mio arrivo c’erano un tedesco e un fascista italiano;<br />

quest’ultimo mi ha indirizzato verso dove c’erano<br />

quelli destinati al campo di concentramento in Germania.<br />

Invece la Croce Rossa mi ha salvato proprio perché avevo<br />

la pleurite, e quindi la febbre molto alta, mangiando stentatamente<br />

da settimane (mi ero trovato costretto a mangiare<br />

anche lumache). Ricordo che alle 5.40 sono partiti i<br />

sani e alle 6.40 i malati. Ma siamo rimasti lì in tre, tra cui<br />

io. Un tedesco ci diceva –Raus! intendendo che la Croce<br />

Rossa era già passata. Successivamente ci hanno messo<br />

su una branda e caricati su una camionetta, in cui ho detto<br />

all’autista che conoscevo una famiglia a Trieste dove potevano<br />

portarmi. Anche gli altri due miei compagni sono<br />

stati accolti in un seminario, finché sono stati recuperati<br />

dalle famiglie. Uno dei due era di Padova e ha detto che<br />

sarebbe subito andato a fare una preghiera a Sant’Antonio.<br />

Quando sono tornato a casa, mio papà mi ha fatto<br />

portare a Grado in ospedale e il dottore mi ha detto che<br />

ero molto malato. Dopo la mia guarigione avevo due scelte:<br />

prendere le armi o lavorare per i tedeschi, avevo già le<br />

carte e infatti ho lavorato per la TOT per due anni».

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