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Riccardo Chicco Un artista internazionale

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successo ma ancora di più ama la propria incondizionata<br />

libertà...<br />

I suoi ritratti, i suoi fiori, i suoi paesaggi hanno<br />

successo: la nuovamente rampante borghesia<br />

torinese mette un <strong>Chicco</strong> in salotto, magari tra<br />

l’applique Luigi XVI di Accorsi e il batik giavanese<br />

o la maschera azteca riportati dall’Inclusive-Tour<br />

dell’ultima estate, attratta e rassicurata<br />

da una pittura per la quale alcuni critici hanno<br />

declinato in ogni possibile sfumatura sostantivi<br />

come “piacevolezza”, “gradevolezza”, “eleganza”,<br />

riducendola qualche volta a un gioco d’effetti<br />

e di emozioni e giudicandone gli acri umori<br />

della giovinezza ormai addolciti dal tempo.<br />

I fiori improbabili<br />

Se infatti <strong>Chicco</strong> continua a dipingere molti fiori<br />

- soggetto sempre ben accetto all’acquirente<br />

borghese e tema apparentemente facile - non<br />

ovvio è il modo con cui li tratta, senza mai rinunciare<br />

a se stesso, vogliamo dire, alla propria<br />

dimensione interiore, come nel voluto, bugiardo,<br />

ammiccante kitsch di quell’ardente arruffio<br />

di fiori improbabili, totalmente artefatti, debordanti<br />

sulla cornice in un’esplosione di colori<br />

allegramente contrapposti e solo fittiziamente<br />

naif. E sempre più frequentemente nelle sue tele<br />

compaiono temi e soggetti riferibili a un’acuta<br />

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percezione e a una impietosa analisi dei problemi<br />

e delle contraddizioni propri dell’attuale<br />

società: la confusione allegra e amara, istintiva<br />

e indotta, fragorosa e infantile delle strade della<br />

metropoli moderna; gli aspetti variegati e tetri<br />

della folla continuamente rinnovantesi e uguale,<br />

come quella dei grandi magazzini; il mondo<br />

dell’esuberanza, dell’artificio, dell’anonimato infelice<br />

sotto una vernice di autoimposta gaiezza;<br />

la pomposa borghesia del boom italiano, di volta<br />

in volta competitiva e feroce o cerimoniosa<br />

e appagata. E sente il bisogno di rappresentarsi<br />

altrettanto ironicamente vedendo se stesso come<br />

“altro” e traendo dal profondo quanto sente e<br />

sa di sé, in una gamma di sentimenti sfumati e<br />

ambivalenti. L’ambivalenza è con l’ironia l’altro<br />

suo tratto dominante: estroversione e reticenza,<br />

brillantezza e ripiegamento, notte e giorno,<br />

verità e maschera, una fittezza inestricabile di<br />

chiaroscuri, di laceranti contraddizioni solo<br />

apparentemente composte nel personaggio che<br />

si era creato...<br />

Il gran teatro delle cose<br />

Pupazzi, figure grottesche, personaggi da mascherata<br />

popolano molti suoi quadri e le loro<br />

rigidità burattinesche non occultano, ma scoprono<br />

ed esasperano i tratti del carattere e<br />

IL NEGOZIO DI GIOCATTOLI, 1973, olio, 70x80 cm<br />

É l’ultima opera del pittore, rimasta sul cavalletto il 21 giugno 1973<br />

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