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Mediterraneo<br />

La rivolta<br />

febbario 2011


www.<strong>diario</strong><strong>21</strong>.net<br />

direttore<br />

antonio suraci<br />

direttore editoriale<br />

antonella priori<br />

Responsabile media e comunicazione<br />

massimo gazzè riccardi<br />

responsabile relazioni esterne<br />

matilde scotto di minico<br />

project and design<br />

stefano de paolis<br />

Global team<br />

Valerio Bosco<br />

Luigi Cappugi<br />

Paolo Celot<br />

Marco Ciapponi<br />

Giulio De Flammineis<br />

Valerio De Luca<br />

Massimo Gazzè Riccardi<br />

Massimo Giannini ´<br />

Tiziana Grassi<br />

Marco Iezzi<br />

Claudio Martelli<br />

Valentina Meliciani<br />

Massimo Menchini<br />

Eugheni Novosselov<br />

Margherita Parrilla<br />

Francesco Pastore<br />

Francisco J. Fiz Pérez<br />

Marco Ricceri<br />

Luca Vitali<br />

3<br />

<strong>diario</strong><strong>21</strong>.net<br />

International network<br />

Report n.5<br />

febbraio 2011<br />

Mediterraneo<br />

La rivolta<br />

Raccolta di articoli di <strong>d<strong>21</strong></strong><br />

in questo numero:<br />

Un nuovo equlibrio pag. 4<br />

Libano: Hariri vola a Riad 5<br />

Egitto: massacro in chiesa 5<br />

La tragedia di Alessandria 6<br />

Tunisia nel caos 10<br />

L’esercito presidia Tunisi 11<br />

Tunisi: la rabbia non si placa 12<br />

Libano: Hezbollah fa cedere il governo 13<br />

Ghannouchi forma il nuovo governo 14<br />

Egitto: giornata cruciale al Cairo 15<br />

Egitto: non si ferma la protesta 16<br />

Egitto: un milione 17<br />

Mubarak: non lascio 18<br />

Yemen: ventimila in piazza 19<br />

Il Cairo: la giornata della pertenza 20


Un nuovo equlibrio per il Mediterraneo<br />

Il milione che ci deve unire, non dividere<br />

Antonio Suraci<br />

Un milione di persone, oggi<br />

in piazza in Egitto, divi‐<br />

dono e uniscono le sponde<br />

del Mediterraneo. Ci divide la<br />

paura di comprendere il fenomeno<br />

della rivolta che ha caratterizzato<br />

intere giornate in Tunisia, Algeria,<br />

Giordania, Yemen ed Egitto. Con<br />

titubante attenzione l´Occidente si<br />

è accostato alla rivolta temendo un<br />

effetto domino a danno dei propri<br />

interessi, pur sapendo che nulla<br />

poteva paragonare tale rivolta ad<br />

una rivoluzione islamica. L´Occi‐<br />

dente frena, non capendo che il<br />

senso delle contestazioni riguar‐<br />

dano non tanto l´economia, lo svi‐<br />

luppo e il lavoro, certamente non<br />

secondari, quanto la dignità di es‐<br />

sere uomini liberi anche all´interno<br />

di un sistema che trae origine da<br />

valori religiosi, pur laicizzati, in<br />

questa parte del Mediterraneo. La<br />

paura di avere tante cellule di al<br />

Quaeda pronte ad aggredirci ha<br />

fatto muovere le diplomazie occi‐<br />

dentali con il solito consueto atten‐<br />

dismo. Gli interessi di un<br />

continente hanno ancora prevari‐<br />

cato i sentimenti di libertà e demo‐<br />

crazia. Eppure quel milione di<br />

uomini, oggi, ci unisce in una ri‐<br />

chiesta assai più corposa che pre‐<br />

tende risposte certe, molto più<br />

concrete di quanto abbiano fatto le<br />

Cancellerie europee nel fronteg‐<br />

giare una crisi economica globale,<br />

non saputa anticipare e control‐<br />

lare. Unisce le due sponde del Me‐<br />

diterraneo il bisogno di una<br />

politica più aperta, più partecipa‐<br />

tiva e meno basata sui consolidati<br />

rapporti di una globalizzazione<br />

che rende meno liberi e più<br />

schiavi. La crisi del sud Mediterra‐<br />

neo è databile tanti anni or sono,<br />

solo la convenienza di non sbloc‐<br />

care situazioni apparentemente<br />

stabili ha portato l´Europa a ri‐<br />

chiudersi in se stessa e a governare<br />

i processi di fuga da queste terre<br />

penalizzando quanti richiedevano<br />

ospitalità. La chiusura delle fron‐<br />

tiere è stato un altro elemento di<br />

lievitazione, in questi ultimi tre<br />

anni, del malcontento poi sfociato<br />

nella rivolta. Ci unisce la gioventù,<br />

uomini diplomati o laureati, che<br />

vogliono avere la possibilità di<br />

confrontarsi apertamente con i<br />

loro coetanei europei, i quali, sep‐<br />

pur assai più protetti, non di meno<br />

vivono le stesse pulsioni dei loro<br />

amici algerini, tunisini o egiziani.<br />

Ci unisce la nascita, sempre sotto‐<br />

valutata, di una classe media che<br />

in queste terre è andata a disarti‐<br />

colare un sistema affacciandosi<br />

sulla scena economica nazionale,<br />

chiedendo una maggiore conside‐<br />

razione e una maggiore libertà per<br />

rappresentare il proprio trasver‐<br />

sale potere sociale. Quella nuova<br />

classe media che avanza non solo<br />

in queste terre, ma nella stessa<br />

Africa dove lo sviluppo economico<br />

ha fatto crescere una nuova classe<br />

di consumatori che richiede più<br />

stabilità di lavoro e di sviluppo. In<br />

Cina e in tutto il continente asiatico<br />

masse di cittadini chiedono le<br />

stesse cose.<br />

Necessitano risposte adeguate e<br />

non solo vertici in cui riscrivere re‐<br />

gole valide per gestire l´esistente.<br />

Risposte che coinvolgano gli inte‐<br />

ressi diffusi e sappiano riportarli a<br />

sintesi per superare definitiva‐<br />

mente quelle lotte etniche frutto di<br />

un neo‐colonialismo globalizzato,<br />

dannoso per gli stessi interessi di<br />

pace e di sviluppo dell´Occidente.<br />

Ci unisce, infine, l´esempio. L´Eu‐<br />

ropa dei popoli, ancora assai im‐<br />

matura sul piano politico, offre un<br />

esempio di convivenza civile,<br />

dopo secoli di orrendi massacri, e<br />

questa convivenza civile la si deve<br />

non tanto a pochi illuminati legi‐


slatori, quanto soprattutto a quelle giovani<br />

generazioni che fanno progredire la pace e la<br />

cultura nel vecchio Continente. Le giovani<br />

generazioni si guardano, si globalizzano, si<br />

scambiano idee e cultura nella consapevo‐<br />

lezza, da entrambe le sponde, che vi sono<br />

due modi di vivere la democrazia, il nostro e<br />

il loro. Due modi che sapranno arrivare ad un<br />

punto di sintesi arricchendo l´umana società<br />

e non dividendola. Se l´Occidente continua<br />

ad ´esportare´ democrazia, sull´esempio di<br />

quanto già sperimentato in Iraq o in Afgha‐<br />

nistan, nascondendo dietro questa nobile<br />

campagna ben altri interessi, non avrà mai<br />

pace e mai troverà la possibilità di offrirsi<br />

quale esempio di alta convivenza civile.<br />

Certo, quanto accade oggi nel Mediterraneo<br />

pone non pochi problemi a quelle logiche di<br />

equilibrio che sino ad oggi hanno puntellato<br />

la pace. Problemi che dovranno affrontare in‐<br />

nanzitutto Stati Uniti e Israele e insieme a<br />

loro tutti noi. Quali equilibri si andranno a<br />

rompere o a rinsaldare è presto per dirlo, cer‐<br />

tamente tutto lascia intendere che nulla sarà<br />

più come prima. Anche nelle stesse società<br />

islamiche non sarà più come prima. Un mo‐<br />

vimento sotterraneo di riforme avanza e<br />

prende corpo ogni giorno di più e il pro‐<br />

gramma degli Imam e degli intellettuali egi‐<br />

ziani lascia ben sperare per un progresso au‐<br />

todeterminato di queste società.<br />

Osserviamo con attenzione lo sviluppo di<br />

questi drammatici eventi, ma osserviamolo<br />

come opportunità di cambiamento e non<br />

come tragedia alla quale porre rimedio. I gio‐<br />

vani sono scesi in piazza anche in Europa: In‐<br />

ghilterra, Francia, Belgio, Grecia, Italia,<br />

Albania, Spagna e Portogallo. Tutti, pur con<br />

diverse sollecitazioni, hanno posto le stesse<br />

domande alle nostre democrazie che saranno<br />

obbligate, prima o poi, a dare una risposta:<br />

per quale futuro e per quale società si devono<br />

immolare? La ricchezza delle nazioni è un<br />

bene comune certamente da difendere, ma<br />

non può essere parziale e deve rispettare<br />

nuove regole globali di convivenza e di con‐<br />

correnza a favore anche dei più deboli e degli<br />

esclusi, altrimenti rimarrà esclusivo terreno<br />

da arare per le solite élite politiche ed econo‐<br />

miche, arroccate sul colle della conservazione<br />

sino alla consunzione ma con l´incipiente pe‐<br />

ricolo di diventare causa di rivolte assai più<br />

consistenti nello stesso nostro Vecchio Conti‐<br />

nente.<br />

1 febbraio 2011


Il quotidiano israeliano Haaretz afferma che, in cambio,<br />

il movimento sciita eviterà di compiere azioni militari<br />

e garantirà protezione ad Hariri, il quale potrà mantenere<br />

i suoi apparati di sicurezza. Già nei giorni scorsi erano trapelate<br />

indiscrezioni su un possibile compromesso tra<br />

maggioranza e opposizione libanesi per porre fine alla<br />

crisi politica causata dai dubbi sulla legittimità del Tribunale<br />

Speciale per il Libano, promosso dalle Nazioni<br />

Unite. L´eventuale accordo è sostenuto anche dalla Siria.<br />

Sempre secondo il quotidiano, accettare il compromesso<br />

implica che Hariri chieda al Tribunale internazionale di<br />

interrompere le indagini sull´assassinio del padre perché<br />

da queste, è dato per certo da tutti gli osservatori, dovrebbero<br />

risultare coinvolti i membri di Hezbollah e le<br />

alte sfere siriane. I risultati delle indagini sono attesi per<br />

Di lì a poco, infatti, sarebbe terminata la messa, e l´intera<br />

folla di fedeli sarebbe stata colpita all´uscita dalla<br />

chiesa. Dopo l´attentato, violenti scontri a colpi di bastone<br />

si sono verificati tra cristiani e musulmani lungo le strade<br />

e nelle piazze adiacenti il luogo dell´esplosione. Molto<br />

probabile un collegamento con la strage di Baghdad del<br />

giorno prima contro una chiesa siro-cattolica, prontamente<br />

rivendicata da al Qaeda. Il sindaco di Alessandria, generale<br />

Adel Labib, ha raccontato alla tv nazionale di essere<br />

6<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

30 dicembre 2010<br />

Saad Hariri, tornato di recente<br />

da New York, ha lasciato Beirut<br />

ed intrapreso un nuovo viaggio<br />

in Arabia Saudita. Dovrà decidere<br />

se accettare un accordo con<br />

Hezbollah e respingere il verdetto<br />

atteso dal Tribunale Speciale<br />

per il Libano, che fornirà i<br />

nomi dei colpevoli dell´omicidio<br />

del padre Rafiq.<br />

metà gennaio. La comunità internazionale è preoccupata<br />

per le possibili violente reazioni all´annuncio dei nomi<br />

dei responsabili dell´assassinio dell´ex-premier Rafic Hariri<br />

e di altri omicidi politici avvenuti in Libano dopo il<br />

2005. Il procuratore del TSL Daniel Bellemare, completato<br />

la fase investigativa, aveva lasciato trapelare che "i<br />

risultati ottenuti rendono il Tribunale capace di formulare<br />

imputazioni basate su prove forti, fondate e decisive" al<br />

punto che "sarà difficile, se non impossibile, contestarle".<br />

Da tempo, Hezbollah, Siria e Iran portano avanti una vera<br />

e propria campagna denigratoria nei confronti del Tribunale,<br />

accusato di essere uno strumento di Israele, degli<br />

Stati Uniti e di tutto l´Occidente, con l´evidente obiettivo<br />

di minarne la credibilità e, soprattutto, evitare di dover rispondere<br />

alle accuse.<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

02 gennaio 2011<br />

Un´autobomba è esplosa davanti<br />

ad una chiesa copta ad<br />

Alessandria d´Egitto, provocando<br />

la morte di <strong>21</strong> persone ed<br />

il ferimento di 43, poco dopo la<br />

mezzanotte del 1 gennaio. Il bilancio<br />

avrebbe potuto essere<br />

peggiore se il veicolo fosse<br />

esploso pochi minuti più tardi.<br />

al corrente di recenti minacce ricevute dalla comunità cristiana.<br />

Dal ministero dell´Interno fanno sapere di aver imposto<br />

misure di sicurezza eccezionali intorno a tutte le<br />

chiese. Di fronte al palese sforzo islamico di ripulire il<br />

Medio Oriente dai cristiani, il presidente egiziano Mubarak<br />

ha lanciato un appello a copti e musulmani affinché<br />

mantengano l´unità di fronte ai tentativi terroristici di minare<br />

la stabilità del Paese.


La tragedia di Alessandria:<br />

interrogativi e riflessioni<br />

di Fahmi Huwaidi*<br />

La tragedia di Alessandria richiama alla mente<br />

una serie di interrogativi, sui quali sarebbe<br />

bene riflettere per far fronte alle conseguenze<br />

di quanto è accaduto. Ma prima di affrontare l´argomento,<br />

è necessario ripetere che - a prescindere<br />

dai retroscena e dalle motivazioni che si celano dietro<br />

questo episodio - condannare e respingere con<br />

sdegno quanto è accaduto è il dovere di ogni cittadino<br />

in Egitto, ed in generale di ogni arabo, soprattutto<br />

se musulmano.<br />

Mi rendo conto che affrontare l´argomento prima<br />

che siano state chiarite le dinamiche dell´accaduto<br />

presenta i suoi rischi. Almeno per quanto riguarda<br />

me personalmente. Siccome sto scrivendo queste<br />

righe nella giornata di domenica, e questo articolo<br />

sarà probabilmente consegnato lunedì, ancora non<br />

è del tutto chiaro chi siano gli esecutori dell´attentato,<br />

né se esso sia stato compiuto tramite un´autobomba,<br />

come sostengono alcuni, o per mezzo di un<br />

attentatore suicida che portava una cintura esplosiva,<br />

come affermano fonti della sicurezza.<br />

Ma in ogni caso, non vi è dubbio che il metodo con<br />

cui è stato compiuto questo crimine è relativamente<br />

nuovo per l´Egitto. Intendo dire che se in passato<br />

(nel 1993) ci fu un fallito attentato con un´autobomba<br />

ai danni dell´ex primo ministro Atef Sedki<br />

che riuscì ad uccidere solo una bambina (Shaima),<br />

oggi la faccenda è completamente diversa. L´attentato<br />

appare ben orchestrato, le vittime sono state numerose,<br />

la malvagità degli obiettivi è apparsa<br />

moltiplicata. Questo perché, se il fallito attentato al<br />

primo ministro puntava ad una resa dei conti con il<br />

regime, il recente attentato punta invece a dividere<br />

la nazione. A questo proposito balza tuttavia alla<br />

mente una certa somiglianza, se dovesse rivelarsi<br />

corretto che dietro il crimine di Alessandria vi sono<br />

elementi appartenenti ad al-Qaeda - o che quantomeno<br />

utilizzano i suoi metodi. Questo perché del<br />

fallito attentato ad Atef Sedki negli anni ´90 fu accusata<br />

l´organizzazione "Tala´i´ al-Fath" (la Avanguardie<br />

della Conquista) la quale aveva adottato un<br />

pensiero molto vicino a quello di al-Qaeda, che era<br />

ostile a tutti e dichiarava guerra a chiunque. Ciò non<br />

vuol dire che il recente episodio di Alessandria non<br />

sia nuovo ed eccezionale, e che non contenga in sé<br />

un´eco di quanto accade tra le fazioni belligeranti in<br />

Iraq, o di quanto accade in Pakistan tra estremisti<br />

sciiti e sunniti. Voglio dire che questo episodio<br />

7<br />

esprime un forte disprezzo per la vita umana, così<br />

come esprime tendenze criminali insolite per<br />

l´Egitto. Infatti, se l´episodio accaduto nel 1997 a<br />

Luxor (quando i terroristi uccisero 59 turisti) aveva<br />

l´obiettivo di colpire il settore turistico egiziano, ciò<br />

che è accaduto ad Alessandria sembra andare molto<br />

al di là di questo, poiché apre la strada al possibile<br />

divampare di un incendio in tutto il paese qualora<br />

simili episodi dovessero ripetersi. Vi sono precauzioni<br />

di cui bisogna tener conto nel trattare l´argomento,<br />

per evitare di cadere in errore:<br />

- Dobbiamo sempre tenere la nazione davanti ai nostri<br />

occhi, in modo da non trattare quanto è accaduto<br />

partendo da un punto di vista settario. Colpire i copti<br />

costituisce infatti in primo luogo un´aggressione alla<br />

nazione, la quale dovrebbe rispondere con grande<br />

forza e decisione. Questo perché ogni essere umano<br />

in questo paese dovrebbe avere i propri diritti e la<br />

propria dignità, non in quanto copto o musulmano,<br />

ma in quanto cittadino che ha pari diritti e doveri rispetto<br />

agli altri cittadini.<br />

- Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze alla divisione<br />

del paese in copti e musulmani, affinché la<br />

religione di ciascuno non diventi una connotazione<br />

esteriore invece di un fatto del cuore. E´ questa la<br />

disgrazia che ha colpito l´Iraq, diviso tra sunniti e<br />

sciiti, e che ha colpito il Libano, dove negli anni ´80<br />

si sono combattuti musulmani e maroniti, e successivamente<br />

sono stati gettati i semi della discordia fra<br />

sunniti e sciiti. Poiché abbiamo continuato a dire che<br />

l´Egitto è un paese diverso per storia e geografia - e<br />

che ciò ha fatto sì che gli egiziani e le loro contraddizioni<br />

si fondessero nel letto del Nilo in un insieme<br />

coeso - proteggere il tessuto unitario del paese deve<br />

diventare l´impegno primario di tutti coloro che<br />

hanno a cuore le sorti dell´Egitto.<br />

- Dobbiamo attribuire all´attentato di Alessandria il<br />

suo valore reale. Esso non è un´aggressione dei musulmani<br />

contro i copti, ma è un crimine di cui è stato<br />

accusato solo un gruppo di musulmani. Coloro che<br />

rivolgono l´accusa contro tutti i musulmani in conseguenza<br />

di quanto è accaduto ad Alessandria alimentano<br />

il fuoco della discordia. Costoro non<br />

differiscono molto dall´amministrazione americana<br />

di George W. Bush che pose tutti i musulmani sul<br />

banco degli accusati dopo gli attacchi dell´11 settembre.<br />

Tutti abbiamo visto i risultati: essa inaugurò<br />

la guerra al terrorismo, la quale rese quest´ultimo un<br />

fenomeno globale e favorì la diffusione delle organizzazioni<br />

terroristiche. Ciò ci spinge ad estendere la<br />

condanna anche a quei copti inferociti che hanno<br />

reagito all´attentato scagliandosi contro una vicina<br />

moschea e manifestando rabbiosamente contro i


musulmani ad Alessandria.<br />

- Non dobbiamo cadere nella trappola dei fanatici e<br />

dei seminatori di odio che approfittano di ogni occasione<br />

per condannare i musulmani e per incitare<br />

all´odio contro l´Islam. Costoro sono quelli che in<br />

passato hanno tratto vantaggio dal clima della campagna<br />

contro il terrorismo per realizzare i propri desideri<br />

e perseguitare la religiosità in ogni sua forma.<br />

Non metto in dubbio che coloro che hanno perpetrato<br />

il crimine di Alessandria abbiano fornito a costoro<br />

un ottimo pretesto per continuare nei propri<br />

sforzi di macchiare l´immagine dell´Islam. Ma tali<br />

sforzi allo stesso tempo risultano provocatori per le<br />

masse religiose, alimentano le correnti estremiste ed<br />

aumentano la loro indignazione e la loro ostilità nei<br />

confronti della società.<br />

- Alludere alla crescita del fenomeno religioso<br />

presso i musulmani, ed attribuire ad esso la responsabilità<br />

di tragedie come quella di Alessandria, appare<br />

come un ricatto odioso volto a spingere i<br />

musulmani a rinunciare alla loro fede. Recentemente<br />

abbiamo potuto riconoscere questo tentativo<br />

nelle condanne rivolte contro la diffusione del fenomeno<br />

religioso e nell´insistenza a promuovere<br />

l´idea dello stato laico inteso come antitesi della religiosità.<br />

Ma il rimedio alle deviazioni del fenomeno<br />

religioso o al cattivo uso della religione non avviene<br />

rinunciando alla religiosità o attaccando i suoi insegnamenti,<br />

poiché le deviazioni sono presenti in ogni<br />

manifestazione dell´uomo, e se vogliamo seguire la<br />

logica di costoro finiremo per distruggere l´intero<br />

sistema dei valori, giungendo in un inferno nel quale<br />

non eravamo mai stati prima<br />

Gli interrogativi sollevati dalla tragedia di Alessandria<br />

sono in parte legati ai particolari dell´episodio,<br />

ed in parte al clima generale in cui esso si è verificato.<br />

In merito ai primi, osserviamo che i comunicati<br />

ufficiali hanno parlato del ruolo giocato da elementi<br />

stranieri nell´attentato, e questa è una deduzione<br />

comprensibile considerata la natura eccezionale<br />

dell´episodio e la sua somiglianza con il tipo di attentati<br />

commessi in particolare in Iraq. Allo stesso<br />

tempo una simile affermazione lascia aperte tre domande.<br />

La prima è la seguente: a che livello elementi<br />

stranieri hanno avuto un ruolo in ciò che è<br />

accaduto? A livello puramente ideologico, o a livello<br />

finanziario, organizzativo e dell´addestramento? Il<br />

secondo interrogativo riguarda il livello di permeabilità<br />

del fronte egiziano interno: fino a che punto il<br />

clima egiziano interno si armonizza con i piani di<br />

questi elementi stranieri? Il terzo interrogativo è: chi<br />

sono questi ambienti stranieri che hanno contribuito<br />

a portare a termine l´attentato? E che tipo di affilia-<br />

8<br />

zioni hanno in Egitto? Tali affiliazioni sono circoscritte<br />

alla sola Alessandria o sono presenti in altre<br />

regioni del paese?<br />

E´ poi necessario attribuire a questi ambienti stranieri<br />

il loro peso reale, e saper distinguere tra i piani<br />

di infiltrazione preparati all´estero e il livello di permeabilità<br />

del fronte egiziano interno. Che esistano<br />

ambienti stranieri interessati a seminare la discordia<br />

in Egitto è possibile, ma tali ambienti sono al di<br />

fuori della nostra portata. Quello che deve interessarci<br />

è invece rendere il più possibile immune il<br />

fronte egiziano interno in modo che esso diventi<br />

scarsamente permeabile. Questa riflessione solleva<br />

numerosi interrogativi a proposito degli sforzi effettivamente<br />

compiuti per garantire l´impermeabilità<br />

del fronte interno, e a proposito dell´identità<br />

degli esecutori, e di come e dove si è formata la loro<br />

consapevolezza. Abbiamo fornito a costoro la possibilità<br />

di compiere scelte migliori ed essi hanno optato<br />

per la scelta peggiore, oppure abbiamo chiuso<br />

loro la porta in faccia e abbiamo lasciato che essi<br />

scivolassero verso la scelta più infelice?<br />

D´altra parte, quanto è accaduto ad Alessandria ci<br />

ricorda il messaggio elettronico rivolto all´Egitto<br />

all´inizio del mese di novembre da parte dell´autoproclamato<br />

"Stato Islamico dell´Iraq". La nota invitava<br />

a liberare due donne egiziane che, secondo<br />

alcune voci, si erano convertite all´Islam ed erano<br />

state sequestrate dalla Chiesa in uno dei suoi monasteri,<br />

e delle quali si sono perse le tracce. Il messaggio<br />

minacciava di colpire i cristiani in Egitto ed<br />

in altri paesi della regione, se la richiesta non fosse<br />

stata accolta entro 48 ore. Questa nota ha rappresentato<br />

una sorpresa essendo la prima del suo genere<br />

in Egitto, ed era stato annunciato che i servizi<br />

di sicurezza egiziani l´avrebbero tenuta in considerazione.<br />

Sebbene le misure di sicurezza non possano<br />

impedire a priori che vengano commessi crimini o<br />

attacchi terroristici, sono sorti interrogativi sul livello<br />

di tali misure di sicurezza in particolare in occasione<br />

delle festività del Natale. Questi<br />

interrogativi sono stati sollevati soprattutto da una<br />

notizia riportata dall´edizione del 1° gennaio del<br />

quotidiano El-Shorouk, in cui si parlava di "intensificazione<br />

delle misure di sicurezza in occasione del<br />

Natale". L´articolo riportava in dettaglio i provvedimenti<br />

presi dai servizi di sicurezza in due regioni<br />

essenziali: la regione dell´Alto Egitto, in cui si registrano<br />

ricorrenti tensioni fra copti e musulmani, e le<br />

zone turistiche nel sud del Sinai. Non si faceva menzione<br />

di alcun provvedimento analogo nella città di<br />

Alessandria, che ha una lunga storia di tensioni confessionali<br />

ed è considerata una delle roccaforti del


movimento salafita in Egitto. Per non parlare poi del<br />

fatto che nelle scorse settimane la città aveva assistito<br />

a diverse manifestazioni dopo la preghiera del<br />

venerdì, nel corso delle quali erano stati lanciati slogan<br />

e appelli a proposito delle due donne sopra citate.<br />

Se la notizia di El-Shorouk è vera, ciò significa<br />

che gravi lacune nelle misure di sicurezza hanno caratterizzato<br />

i preparativi per garantire il normale<br />

svolgimento delle celebrazioni del Natale ad Alessandria,<br />

cosa che fa sorgere il seguente interrogativo:<br />

le cose sarebbero potute andare diversamente<br />

se fosse stata fatta un´adeguata prevenzione? Ho<br />

letto che sono stati mobilitati 10.000 soldati per garantire<br />

il normale svolgimento delle celebrazioni di<br />

quello che per gli ebrei d´Israele è l´anniversario<br />

della nascita di Yaakov Abuhatzeira (dotto ebraico<br />

marocchino del XIX secolo; morì di malattia in<br />

Egitto mentre era diretto in Palestina (N.d.T.) ) nella<br />

provincia di Buhayrah, nel delta del Nilo. Ciò rende<br />

ancora più pressante l´interrogativo che ho appena<br />

posto.<br />

Chi ha fornito agli assassini il coraggio necessario<br />

per compiere il loro odioso crimine ad Alessandria?<br />

Questo interrogativo è particolarmente pressante, fra<br />

quelli riguardanti il "clima" nel quale si è consumato<br />

tale episodio. Gli esecutori avrebbero potuto compiere<br />

questo crimine se avessero trovato una società<br />

egiziana sana, coesa e dedita con tutte le proprie<br />

forze a costruire il proprio presente ed il proprio futuro?<br />

Nei mesi scorsi, un qualunque osservatore delle vicende<br />

egiziane avrebbe potuto rilevare che la nazione<br />

era del tutto assente dai pensieri dell´élite,<br />

mentre essa era a sua volta dimentica della società.<br />

L´attenzione di coloro che detengono l´autorità era<br />

tutta rivolta al modo di monopolizzare il potere, di<br />

emarginare le voci critiche e gli oppositori, e di batterli<br />

in un´assurda guerra civile dalla quale la nazione<br />

è stata la prima ad uscire sconfitta.<br />

Il partito di governo è riuscito ad allontanare gli oppositori<br />

dal Consiglio del Popolo e dal Consiglio<br />

della Shura (i due rami del parlamento egiziano<br />

(N.d.T.) ). Il potere è riuscito a ridurre all´obbedienza<br />

i mezzi di informazione, ad intimidire i giornalisti,<br />

ad addomesticare gli intellettuali. La polizia<br />

è riuscita a reprimere l´opposizione ed a perseguire<br />

i blogger. La gente ha perso quel poco di fiducia che<br />

le era rimasta nei partiti, alcuni dei quali soffrono di<br />

conflitti interni (il Tagammu, il Partito Nasserista,<br />

ma anche il Wafd e i Fratelli Musulmani). Da questo<br />

malessere non è stato risparmiato nemmeno il<br />

Movimento Nazionale per il Cambiamento (guidato<br />

dal premio Nobel ed ex direttore dell´AIEA Moha-<br />

med ElBaradei (N.d.T.) ). A ciò si possono aggiungere<br />

altri fattori, come la manomissione della Costituzione,<br />

il disprezzo della legge, la trasformazione<br />

della prepotenza in un valore sociale riconosciuto.<br />

Il paese soffre di un vuoto politico che confisca la<br />

partecipazione del cittadino alla sfera pubblica, così<br />

come soffre di un vuoto intellettuale e culturale nel<br />

cui ambito i valori nazionali e religiosi vengono disprezzati<br />

e trascurati. Quando accade tutto questo,<br />

quando scompaiono i denominatori comuni all´interno<br />

della società, ed i cittadini perdono la speranza<br />

di cambiare il presente e non hanno più un sogno<br />

condiviso in cui riconoscersi, è lecito considerare<br />

questa situazione come un clima favorevole agli avventurieri,<br />

ai seminatori di discordia, a coloro che<br />

invocano il sangue?<br />

Non sono affatto contrario alla manifestazione di<br />

sentimenti di cordoglio, di solidarietà e di simpatia,<br />

ma dev´essere chiaro alla mente di tutti che la ferita<br />

è ancora più grave della situazione di chi è rimasto<br />

ferito, e che chi ha veramente bisogno di protezione<br />

e di salvezza è la nazione indebolita e sfibrata, che<br />

assieme alla propria salute ha perso il proprio sogno<br />

ed il proprio ruolo.<br />

Iintellettuale islamico di nazionalità egiziana<br />

(da medarabnews)<br />

9


La protesta, iniziata tre settimane fa a Sidi Bouzid,<br />

è scoppiata a causa del malessere economico,<br />

complici i recenti aumenti dei prezzi dei beni<br />

di prima necessità e l´elevato tasso di disoccupazione.<br />

Il 17 dicembre scorso, un venditore ambulante<br />

si era dato fuoco dopo che la polizia gli aveva<br />

requisito la merce. Dopo di lui, almeno altre 5 persone<br />

si sono date fuoco. I manifestanti, soprattutto<br />

giovani, in assenza di prospettive per il loro futuro,<br />

hanno indirizzato la propria rabbia contro i luoghisimbolo<br />

del potere politico, come la sede del partito<br />

di governo, bruciato le immagini del presidente, al<br />

potere ormai da 24 anni. Secondo la versione ufficiale,<br />

le forze dell´ordine hanno ´applicato´ la legittima<br />

difesa, aprendo il fuoco a protezione di alcuni<br />

edifici governativi. Prima che la situazione degenerasse,<br />

Ben Ali aveva promesso maggiore equità<br />

nella redistribuzione della ricchezza. Soltanto lo<br />

scorso anno, 80mila giovani laureati sono usciti<br />

dalle università tunisine, ma per loro le prospettive<br />

di impiego sono molto vicine allo zero. Ben Ali, che<br />

governa censurando sistematicamente le opposizioni,<br />

riesce a farsi rieleggere ogni 5 anni ottenendo<br />

consensi vicini al 100% ed i giovani, esclusi anche<br />

a livello locale da questo potere, sono socialmente<br />

emarginati. Gli studenti, in particolare, sono stati<br />

spesso accusati di voler offuscare l´immagine del<br />

Paese. Ahmed Nejib Chebbi, capo storico del Partito<br />

Democratico Progressista (PDP), ha lanciato un appello<br />

al presidente per sottolineare « la gravità della<br />

situazione » e chiedere di « far cessare immediatamente<br />

il fuoco al fine di risparmiare la vita di cittadini<br />

innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare<br />

».Anche l´Algeria è teatro in questi giorni di scontri<br />

allarmanti tra le forze dell´ordine e la popolazione<br />

che protesta contro l´aumento - improvviso e<br />

senza spiegazioni da parte del governo - dei prezzi<br />

dei beni di prima necessità e contro la disoccupa-<br />

11<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

10 gennaion 2011<br />

Proseguono gli scontri nelle<br />

città di Thala, Kasserine, Rgeb,<br />

Meknassi, Feriana. La popolazione<br />

continua ad essere respinta<br />

dalle forze dell´ordine,<br />

prima con i lacrimogeni, poi<br />

con le armi in dotazione. Sono<br />

14 i morti secondo l´Interno,<br />

tra i 20 e i 50 secondo gli oppositori<br />

del regime.<br />

zione : il bilancio conta, per ora, 6 morti e centinaia<br />

di feriti. I cittadini tunisini sanno bene che i proventi<br />

del petrolio (150 miliardi di dollari nel 2010) non<br />

sono redistribuiti e l´oligarchia che li gestisce mantiene<br />

il potere politico ed economico. Il malcontento<br />

è un problema storico, anche se il conflitto sociale è<br />

esploso soltanto di recente. La repressione militare<br />

non poteva che esasperare gli animi e contribuire<br />

all´instabilità politica. Ad Algeri, i negozi rimangono<br />

chiusi ed i blindati presidiano sia il centro che<br />

la periferia della città. Il governo ha deciso di rivedere<br />

i prezzi, ma la notizia non basta a riportare la<br />

calma.


Il bilancio umano delle violenze in Tunisia è<br />

tutt´ora incerto. Il ministero dell´Interno ha ammesso<br />

ieri sera <strong>21</strong> morti, nel tentativo di stabilire<br />

una cifra ufficiale, dal momento che i sindacati nazionali<br />

hanno parlato in questi giorni di 30-50 decessi<br />

almeno. Alla richiesta del ministro delle<br />

Comunicazioni, Samir Laabidi, di una lista di nominativi,<br />

la Federazione Internazionale delle Leghe<br />

dei Diritti dell´Uomo (FIDH) ha assicurato di disporre<br />

di una lista di 35 nominativi di persone uccise,<br />

confermando che il bilancio complessivo si<br />

avvicina effettivamente ai 50 morti.<br />

Il fatto assolutamente nuovo è che, per la prima<br />

volta dallo scoppio della rivolta sociale, i manifestanti<br />

hanno guadagnato la periferia della capitale e<br />

ora marciano decisi ad occupare le strade del centro<br />

cittadino e, con ogni probabilità, le sedi delle istituzioni.<br />

Si ha notizia, per il momento, soltanto di magazzini<br />

commerciali saccheggiati e di un autobus<br />

dato alle fiamme.<br />

La polizia ha reagito con il lancio di gas lacrimogeni<br />

e pallottole di gomma nel tentativo di disperdere<br />

la folla inferocita. Ma già alcuni testimoni<br />

hanno riferito di aver udito l´esplosione di colpi<br />

d´arma da fuoco regolari.<br />

Washington ha espresso « preoccupazione per un<br />

utilizzo eccessivo della forza » ma il governo tunisino<br />

resta fermo sulle sue posizioni, difendendo<br />

l´operato della polizia la quale, ha assicurato, « ha<br />

reagito per legittima difesa » nei riguardi di gruppi<br />

violenti armati di bottiglie incendiarie, bastoni e<br />

spranghe di ferro che hanno assaltato due commissariati<br />

portando a segno attacchi multipli.<br />

Tra le reazioni miti della comunità internazionale,<br />

soprattutto della Francia, gli Stati Uniti hanno convocato<br />

l´Ambasciatore di Tunisia per chiedere l´abbandono<br />

delle armi ed il rispetto delle libertà<br />

individuali. Il governo tunisino ha fatto sapere di es-<br />

12<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

12 gennaio 2011<br />

All´avvicinarsi dei manifestanti<br />

verso il centro della capitale già<br />

durante la notte, il governo tunisino<br />

ha dispiegato l´esercito a supporto<br />

delle forze di polizia, che da<br />

ieri affronta la folla alla periferia<br />

della città. Presidiati tutti i punti<br />

sensibili, la sede del governo, le<br />

ambasciate, le radio e le tv. .<br />

sere « sorpreso » dal commento americano ed ha<br />

convocato a sua volta l´ambasciatore americano a<br />

Tunisi.


Negli scontri con l´esercito e con le forze di polizia,<br />

dimostratisi più violenti di quelli dei giorni<br />

passati, sono morte 14 persone : 9 hanno perso la vita<br />

a Tozeur, dove è stato incendiato il tribunale ; altre 5<br />

a Douz, dove la polizia ha sparato ad altezza d´uomo<br />

contro la folla, come riportato da numerosi testimoni.<br />

Si rincorrono voci sulla destituzione del capo di Stato<br />

maggiore dell´Esercito tunisino Rashid Ammar, confermate<br />

anche da alcune fonti diplomatiche, colpevole<br />

di non aver represso a sufficienza i moti di<br />

protesta. L´emittente televisiva al Arabiya ha riportato<br />

gli eventi parlando in modo generico di morti e<br />

feriti, senza però fornire numeri.<br />

Secondo fonti locali, la polizia ha condotto azioni repressive<br />

contro il sindacato dei lavoratori, assaltando<br />

la sede di Tunisi ed arrestando le persone asserragliate<br />

all´interno dei locali. Almeno tre sindacalisti<br />

sono rimasti feriti. Nessun incidente, invece, durante<br />

la manifestazione organizzata nella città di Sfax, pur<br />

attraversata da 40mila persone che, in mattinata,<br />

hanno sfilato pacificamente per le vie della città, protestando<br />

contro il carovita e la disoccupazione e chiedendo<br />

al governo di ascoltare le richieste dei<br />

disoccupati. Il ministro dell´interno Rafik Belhaj<br />

Kacem, destituito stamattina, è stato rimpiazzato da<br />

Ahmed Friaa, ex-docente universitario già sottosegretario.<br />

Intanto, a Gassrine, 200 km a sud-ovest di<br />

Tunisi, 3mila persone circa sono scese in piazza per<br />

manifestare contro il governo e contro il capo dello<br />

Stato, Ben Ali. Secondo quanto riportato da testimoni,<br />

le forze di polizia non sono intervenute. Sempre<br />

su al Arabiya, è stata trasmessa un´intervista a<br />

Hillary Clinton la quale, dopo aver sottolineato la<br />

preoccupazione americana per l´evolversi degli<br />

eventi e per la instabilità crescente del Paese, ha deplorato<br />

la condotta del governo tunisino che « sfortunatamente,<br />

ha provocato la morte di alcuni giovani<br />

dimostranti ».<br />

13<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

12 gennaio 2011<br />

Non è bastata la scarcerazione dei<br />

manifestanti arrestati in questi<br />

giorni, né l´avvio delle indagini<br />

sull´operato di alcuni funzionari<br />

pubblici sospettati di corruzione,<br />

né la sostituzione del ministro<br />

dell´Interno. La rabbia popolare<br />

non si placa e, per le strade di Tunisi,<br />

si muore ancora.<br />

Nel contempo, anche la Francia ha deciso di reagire<br />

alle accuse di ´immobilismo´ - mosse da più parti -<br />

nei confronti di una politica che ha evitato ogni intervento,<br />

ma che si autodefinisce « equilibrata » e attenta<br />

ad evitare « inopportune ingerenze » che non<br />

rappresentano affatto « la linea della diplomazia<br />

francese ». Infine, il capo della diplomazia europea,<br />

Catherine Ashton, ha espresso ferma condanna per<br />

« l´uso sproporzionato della forza » da parte della<br />

polizia tunisina contro i manifestanti. « Questa violenza<br />

è inaccettabile - ha aggiunto - gli autori devono<br />

essere identificati e portati davanti alla giustizia ».


Formato sul finire del 2009, questo governo di<br />

unione nazionale è stato teatro di confronto e<br />

scontro su qualsiasi tema. Di fatto da settimane era<br />

paralizzato, il Consiglio dei Ministri non si riuniva<br />

da tempo. Posizioni troppo spesso inconciliabili tra<br />

Hezbollah ed i suoi alleati da un lato, e Saad Hariri<br />

e i suoi fedeli dall´altro, hanno raggiunto la loro<br />

massima espressione a proposito del tribunale internazionale<br />

incaricato di indagare sull´uccisione<br />

proprio del padre di Saad Hariri, accelerando la caduta<br />

del governo.<br />

L´atto di accusa nei confronti di alcuni alti membri<br />

di Hezbollah, indicati come responsabili del gesto<br />

criminale, è atteso per la fine di gennaio. Il ´Partito<br />

di Dio´ è impegnato da tempo in azioni di boicottaggio<br />

del Tribunale speciale per il Libano, per screditarlo<br />

agli occhi dei libanesi e della comunità<br />

internazionale e rendere nulle le sue decisioni. Le<br />

accuse, secondo Hezbollah, sono fondate su testimonianze<br />

false, artefatte e manovrate da Stati Uniti<br />

e Israele. Per evitare lo scoppio di violenti scontri<br />

tra i partigiani sciiti di Hezbollah ed i sunniti di Hariri,<br />

Arabia Saudita e Siria hanno siglato a Beirut nel<br />

luglio scorso un accordo che li vede garanti della<br />

stabilità libanese. La mediazione sirio-saudita cerca<br />

un compromesso da mesi e certo oggi è possibile riconoscerne<br />

il fallimento. Gli Stati Uniti, dal canto<br />

loro, hanno esercitato forti pressioni affinché non<br />

venissero fatte concessioni all´Iran, principale alleato<br />

di Hezbollah, non prima della ripresa dei negoziati<br />

sul nucleare, prevista per fine gennaio. Hariri<br />

è stato invitato a mettere da parte ogni amore (e orgoglio)<br />

filiale e sfiduciare il Tribunale Speciale per<br />

il Libano, rifiutando le sue conclusioni. Il primo ministro<br />

libanese, da parte sua, reclama per sé delle garanzie<br />

per esercitare la sua autorità, cioè per<br />

revocare quel diritto di veto accordato a suo tempo<br />

ad Hezbollah sull´operato dell´esecutivo. E´ proprio<br />

in virtù di questo diritto, accordato nel 2008 a Doha,<br />

che Hezbollah e i suoi alleati hanno potuto decretare<br />

la fine del governo di Hariri.<br />

Saad Hariri, che ha appena lasciato gli Stati Uniti<br />

per tornare in patria, è partito in serata per Parigi,<br />

dove trascorrerà la giornata di giovedi a colloquio<br />

con il presidente Sarkozy. Difficile prevedere l´evoluzione<br />

e la durata di una crisi istituzionale che, da<br />

più parti, è ormai considerata cronica.<br />

14<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

13 gennaio 2011<br />

Dimissioni collettive degli 11<br />

ministri di Hezbollah, come annunciato.<br />

Il governo Hariri è caduto.<br />

Falliti i tentativi di<br />

conciliazione siro-sauditi. Le<br />

tensioni intorno all´inchiesta<br />

sull´assassinio dell´ex-primo<br />

ministro Rafic Hariri sono cresciute<br />

in questi ultimi mesi. . .


Sono Najib Chebbi (PDP), in qualità di ministro<br />

dello Sviluppo regionale, Mustafa Ben Jaafar<br />

(FDTL) e Ahmed Ibrahim (Ettajdid). Ghannouchi<br />

ha annunciato l´immediata liberazione di tutti i prigionieri<br />

politici, una misura chiesta a gran voce dai<br />

tre leader. Soppressa la figura del ministro dell´Informazione.<br />

Tra i ministri provenienti dal passato<br />

governo, Kamel Morjane agli Esteri. Mantengono il<br />

dicastero la Difesa e le Finanze. L´attrice Mufida al-<br />

Talatl ha ricevuto l´incarico come ministro della<br />

Cultura. Le elezioni legislative e presidenziali attese<br />

nei prossimi mesi saranno monitorate da un Comitato<br />

indipendente e da osservatori internazionali, per<br />

dare al popolo l´opportunità di un voto libero e trasparente.<br />

Ieri sera, in collegamento telefonico con<br />

la tv di Stato, Ghannouchi aveva avvertito che le<br />

nuove autorità non avranno « alcuna tolleranza » nei<br />

confronti di coloro che seminano caos nel Paese. Intanto,<br />

per le strade di Tunisi si registrano ancora episodi<br />

di violenza. In attesa di conoscere la<br />

formazione del nuovo governo, migliaia di dimostranti<br />

hanno scandito slogan contro il partito di governo,<br />

l´RCD, e - ancora - contro l´ormai<br />

ex-presidente Ben Ali. Ieri la polizia ha arrestato il<br />

fratello Kaises Bel Ali ed il ministro dell´Interno<br />

Rafik Hadi Kacem mentre tentatavano di fuggire dal<br />

Paese. Anche il generale Ali Seriati, capo della sicurezza<br />

del presidente, è stato tratto in arresto mentre<br />

tentava di raggiungere la Libia. La moglie di Ben<br />

Ali, invece, ha raggiunto il marito a Gedda portando<br />

con sè 1,5 tonnellate d´oro per un valore di circa 45<br />

milioni di euro.<br />

A nome della Comunità Europea, Catherine Ashton<br />

ha offerto « aiuti immediati » alla Tunisia, da destinarsi<br />

all´organizzazione di elezioni libere e democratiche.<br />

15<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

17 gennaio 2011<br />

Il primo ministro Ghannouchi<br />

ha annunciato la formazione di<br />

un governo di unità nazionale<br />

incaricato di gestire la transizione<br />

fino alle elezioni presidenziali<br />

e legislative. I leader dei tre<br />

partiti di opposizione sono chiamati<br />

a governare il Paese in<br />

questa delicata fase di ricostruzione.


Sette persone sono morte dall´inizio delle proteste,<br />

al Cairo e a Suez, mentre la mobilitazione<br />

ha interessato l´intero Egitto. Il governo ha minacciato<br />

ieri di ricorrere a « misure decisive », avendo<br />

già - nei giorni scorsi - decretato il divieto di manifestare.<br />

Intanto, gli arresti si moltiplicano, oltre mille<br />

persone sono in carcere per aver disatteso la misura<br />

repressiva. Stanotte, almeno 20 membri dei Fratelli<br />

musulmani, la prima forza d´opposizione in Egitto,<br />

sono stati portati in prigione. Secondo quanto riferito<br />

dall´avvocato del partito, Abdelmoneim Abdel<br />

Masqsoud, tra loro ci sono anche 5 ex-deputati e 5<br />

membri dell´ufficio politico, i cui leader più conosciuti<br />

sono Essam El-Eriane e Mohammed Moursi.<br />

I dirigenti della formazione avevano annunciato ieri<br />

la propria partecipazione in massa alla manifestazione<br />

di oggi al Cairo. La WAFD, primo partito di<br />

opposizione laico, ha ufficialmente lasciato liberi i<br />

suoi militanti di scegliere di parteciparvi. Un forte<br />

appoggio alla manifestazione viene da Mohamed El<br />

Baradei, il più popolare tra gli oppositori di Moubarak,<br />

che ha raggiunto il Cairo nella serata di ieri<br />

per essere presente oggi in piazza. L´ex-responsabile<br />

dell´Agenzia Internazionale dell´Energia Atomica<br />

si è anche detto pronto a condurre la<br />

transizione verso un nuovo governo. A queste parole,<br />

il ministro degli Interni, infuriato, ha messo in<br />

guardia tutti contro tali azioni e ha minacciato l´adozione<br />

di « misure decisive » senza peraltro specificare<br />

quali. Intanto, la collera degli egiziani non<br />

accenna a diminuire. Dopo la morte di un giovane<br />

manifestante di 22 anni, avvenuta ieri nella zona del<br />

Sinai e provocata da una pallottola che lo ha raggiunto<br />

alla testa, portando a 7 i decessi causati dagli<br />

scontri con la polizia, si teme che la giornata di oggi<br />

potrà difficilmente risolversi in un corteo pacifico.<br />

Al lancio di pietre e bottiglie, da martedi i poliziotti<br />

hanno risposto dapprima lanciando candelotti di gas<br />

lacrimogeno, poi dirigendo contro la folla i cannoni<br />

ad acqua e le pallottole di gomma, infine - nella speranza<br />

di poter contenere le aggressioni - sparando<br />

con le armi da fuoco in dotazione. Ieri, a Suez, un<br />

gruppo di manifestanti ha dato fuoco ad una caserma<br />

dei pompieri, dopo aver lanciato molotov<br />

contro le forze dell´ordine. Diverse centinaia di persone<br />

si sono radunate nel pomeriggio davanti alla<br />

sede di una questura per reclamare la liberazione dei<br />

manifestanti arrestati il giorno prima, una settantina.<br />

La polizia, in tenuta antisommossa, ha allontanato la<br />

folla sparando pallottole di gomma. Scontri simili<br />

sono accaduti a Ismailiya, cinquanta chilometri più<br />

a nord sul canale di Suez. La Casa Bianca, l´ONU,<br />

l´Unione europea hanno condannato le violenze e<br />

hanno fatto appello al governo di Mubarak affinché<br />

dia ascolto alle rivendicazioni del suo popolo. Secondo<br />

Obama, il momento è propizio per mettere<br />

mano alle riforme.<br />

16<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

28 gennaio 2011<br />

Intenet inaccessibile questa mattina<br />

al Cairo. Sebbene privati<br />

dello strumento più efficace per<br />

organizzare la rivolta, in migliaia<br />

si sono dati appuntamento<br />

e sfileranno in corteo contro il<br />

governo di Hosni Mubarak, al<br />

termine della tradizionale preghiera<br />

del venerdi. La tensione<br />

è alta.


Anche a Suez e ad Alessandria i manifestanti si<br />

sono riversati di nuovo in strada, in quella che<br />

si preannuncia una giornata densa di avvenimenti.<br />

Dopo lo scioglimento del governo, misura adottata<br />

da Mubarak nella serata di ieri, si attendono oggi<br />

nuovi nomi e nuovi incarichi. Ma la folla continua<br />

a chiedere a gran voce l´allontanamento del presidente.Intanto,<br />

dagli Esteri iraniani arrivano appelli<br />

ai dirigenti egiziani di « sottomettersi alle esigenze<br />

dei manifestanti ».<br />

Il portavoce del ministro, Ramin Mehmanparast,<br />

esorta il presidente Mubarak ad « evitare ogni repressione<br />

violenta da parte delle forze di polizia<br />

contro l´onda di risveglio islamico che ha assunto la<br />

forma di un movimento che chiede giustizia ».<br />

Prosegue affermando che l´Iran segue ed osserva<br />

con attenzione gli avvenimenti e si aspetta che i responsabili<br />

del Paese ascoltino la voce della nazione<br />

musulmana e si sottomettano alle sue esigenze legittime.<br />

Il Cairo e Teheran hanno interrotto le relazioni<br />

diplomatiche nel 1980, dopo la rivoluzione<br />

islamica in Iran e il riconoscimento dello Stato<br />

d´Israele da parte dell´Egitto.<br />

Il bilancio di stanotte, che parlava di 20 morti e mille<br />

feriti, potrebbe addirittuta raddoppiare. Nella sola<br />

Suez, ieri ci sono stati 13 decessi e ad Alessandria<br />

20, secondo quanto riportato da fonti mediche.<br />

Continuano le pressioni americane su Mubarak, affinché<br />

affretti quelle riforme strutturali che la popolazione<br />

chiede. In Cina, intanto, il governo ha<br />

censurato dalla rete internet la parola « EGITTO »,<br />

scomparsa dai motori di ricerca e dai blog. Per evitare<br />

che la popolazione cinese venga a conoscenza<br />

delle richieste di riforma, delle rivendicazioni democratiche<br />

e dei disordini di ordine pubblico, digitando<br />

la parola « EGITTO» appare la seguente frase<br />

: « Secondo le norme in vigore, il risultato della vostra<br />

ricerca non può essere comunicato ». L´Agen-<br />

zia New China e la rete televisiva CCTV hanno tuttavia<br />

parlato delle manifestazioni e dei morti in<br />

Egitto provocati dalla contestazione del regime di<br />

Hosni Mubarak.<br />

17<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

29 gennaio 2011<br />

Le strade e le piazze del Cairo<br />

sono di nuovo piene. Dopo gli<br />

scontri di ieri, in migliaia hanno<br />

ripreso le ostilità contro le forze<br />

di polizia. I servizi di telefonia<br />

mobile sono stati ripristinati<br />

solo parzialmente, mentre Internet<br />

rimane completamente oscurato.<br />

Iran : "Accogliete l´onda<br />

islamica".


Nonostante la formazione del nuovo governo e l´annuncio<br />

di un´apertura al dialogo, l´opposizione<br />

egiziana conta di portare in strada un milione di manifestanti.<br />

Oltre 50 ONG con sede in Egitto, impegnate<br />

nella difesa dei diritti dell´uomo, hanno diffuso un comunicato<br />

rivolto al presidente Mubarak, in cui lo invitano<br />

a ritirarsi per « evitare un bagno di sangue » nel<br />

corso di questa ottava giornata di rivolta popolare. Gli<br />

scontri tra manifestanti e polizia hanno avuto come conseguenza<br />

la morte di oltre 120 persone ed il ferimento<br />

di 2mila. L´esercito, in vista di questa imponente manifestazione,<br />

ha fatto sapere che non sparerà sulla folla,<br />

le cui rivendicazioni giudica « legittime ». « La libertà<br />

di espressione in forma pacifica è garantita a tutti » si<br />

legge nel comunicato ufficiale dello Stato maggiore.<br />

Questa dichiarazione dovrebbe rappresentare un deterrente<br />

per Mubarak che, invece, non dimostra di voler lasciare<br />

il potere. O per lo meno un chiaro invito<br />

all´82enne, presidente da 30, a lasciare che il Paese scivoli<br />

senza ulteriori strappi verso una nuova fase di democrazia.<br />

Non pochi osservatori internazionali vedono<br />

come possibile un´assunzione di responsabilità dei militari<br />

che porterebbe, in breve tempo, alle elezioni. «<br />

Solo la famiglia o l´esercito possono convincerlo ad andarsene<br />

», è l´opinione di fonti diplomatiche che hanno<br />

voluto mantenere l´anonimato. Privati della possibilità<br />

di comunicare attraverso internet e la telefonia mobile,<br />

i manifestanti hanno organizzato un passa-parola per<br />

garantire la mobilitazione di un´enorme massa di persone<br />

al Cairo e ad Alessandria, nonostante anche il traffico<br />

ferroviario sia stato sospeso. I Fratelli musulmani<br />

hanno chiesto agli egiziani di « resistere fino alla completa<br />

caduta del regime ». Nella piazza Tahrir, epicentro<br />

della rivolta, c´è chi ha trascorso la notte, malgrado<br />

il coprifuoco, confortato dai generi di prima necessità<br />

portati dai soldati. I militari, con i blindati dispiegati intorno<br />

alla piazza e lungo tutte le strade del Cairo, controllano<br />

i documenti dei manifestanti, senza tuttavia<br />

18<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

01 febbraio 2011<br />

All´alba, già 5mila persone occupavano<br />

la piazza di Tahrir, al<br />

centro del Cairo. Un milione di<br />

persone sono attese oggi: sfileranno<br />

in corteo per chiedere<br />

l´allontanamento di Hosni Mubarak.<br />

Intanto, lo Stato maggiore<br />

dell´esercito fa sapere che<br />

non sparerà sulla folla.<br />

impedire loro l´accesso. Ieri sera il nuovo vicepresidente<br />

Omar Suleiman ha annunciato alla televisione<br />

pubblica di essere stato incaricato dal presidente Mubarak<br />

di aprire un dialogo immediato con l´opposizione<br />

« su tutte le questioni legate alla riforma costituzionale<br />

e a quella legislativa », parte delle richieste dei manifestanti.<br />

Ma gli effetti della rivolta sul presidente, per il<br />

momento, appaiono tiepidi: degli esponenti del nuovo<br />

governo, solo il ministro degli Interni Habib al-Adli - di<br />

cui i manifestanti reclamavano espressamente l´allontanamento<br />

- è stato rimpiazzato da un generale, Mahmud<br />

Wagdi. Quasi tutti gli altri sono rimasti al loro<br />

posto. Dagli Stati Uniti, continuano ad arrivare gli appelli<br />

alla calma e, a Mubarak, l´invito a facilitare la transizione,<br />

una « transizione ordinata ». Mubarak, alleato<br />

di lunga data e chiave di volta della diplomazia americana<br />

nella regione, ha contatti multipli giornalieri con<br />

l´amministrazione Obama, che segue minuto per minuto<br />

l´evolversi degli eventi. Lo stesso appello è stato<br />

rilanciato dall´Unione europea. Da Israele, invece, il<br />

primo ministro Benjamin Netanyahu agita lo spettro di<br />

un « regime all´iraniana » nel caso in cui « un movimento<br />

islamista organizzato assumesse il controllo<br />

dello Stato egiziano ». Intanto, il Paese resta paralizzato.<br />

Numerose imprese straniere hanno sospeso la propria<br />

attività, le banche e la Borsa sono chiuse e le<br />

tensioni sociali hanno rallentato il traffico nel canale di<br />

Suez. Google ha annunciato di aver messo a punto, durante<br />

il fine settimana, un sistema di cooperazione con<br />

Twitter che permetta agli egiziani di inviare messaggi<br />

vocali via telefono, aggirando in questo modo il blocco<br />

della rete internet. Il sistema ha il pregio di togliere<br />

dall´isolamento la popolazione egiziana, in un momento<br />

in cui comunicare è stato reso sempre più difficile<br />

dal governo di Mubarak.


Mubarak ha parlato alla popolazione. Quella di non<br />

candidarsi resta l´unica concessione. Il presidente<br />

egiziano non intende lasciare il Paese e rispondere così<br />

alla più pressante delle richieste dei manifestanti: «Morirò<br />

su questa terra» ha rilanciato. La folla, che in serata<br />

ancora affollava la piazza Tahrir, a queste parole si è<br />

mostrata ancora più determinata a cacciare il raìs e ha<br />

ripreso con maggiore energia a scandire slogan in favore<br />

della sua immediata destituzione e del suo allontanamento<br />

dall´Egitto. Intanto, la reazione popolare alle<br />

parole di El Baradei è apparsa piuttosto tiepida. Il Premio<br />

Nobel, autocandidatosi alla guida del Paese nella<br />

transizione verso le elezioni democratiche, non sembra<br />

essere quel capo indiscusso che in molti si aspettavano.<br />

Tuttavia, nel pomeriggio di ieri, l´ambasciatrice americana<br />

al Cairo si è intrattenuta a lungo con lui per discutere<br />

dell´immediato futuro del Paese.<br />

La replica di Barak Obama al discorso televisivo di<br />

Mubarak non si è fatta attendere. Dopo i primi giorni in<br />

cui, lasciando prevalere gli interessi strategici nella regione,<br />

aveva fatto pressione affinché Mubarak rimanesse<br />

al suo posto, il presidente americano ha prima<br />

inviato il diplomatico Frank Wisner a parlare con il governo<br />

del Cairo poi, a distanza di qualche ora, è apparso<br />

in tv, dove - in un attesissimo discorso - ha definito<br />

"insufficienti" le dichiarazioni del leader egiziano. La<br />

rinuncia di Mubarak a cadidarsi non basta. "Il popolo ha<br />

diritto al cambiamento" - ha dichiarato. Il timore di una<br />

deriva musulmana è palpabile, soprattutto in mancanza<br />

di un leader forte dell´opposizione laica. Anche il segretario<br />

gnenerale della Lega Araba, Amr Moussa, si è<br />

dichiarato disponibile a traghettare il Paese verso le elezioni<br />

democratiche di settembre. Nonostante la timidezza<br />

della prima ora, dimostrata non soltanto<br />

dall´Europa ma dalla gran parte della comunità internazionale,<br />

nel sostenere la rivolta egiziana, è lampante<br />

che la piazza non intende retrocedere di un passo dalle<br />

proprie posizioni e richieste. E anche Obama ha deciso<br />

di assecondarla, cercando probabilmente di capire se<br />

gli 84milioni di egiziani vanno verso una repubblica<br />

islamica oppure verso una democrazia laica. Il diritto a<br />

manifestare senza per questo subire violenza o repressione,<br />

sostiene Obama, è sacrosanto. Anche il fatto che<br />

gli egiziani pretendano un cambiamento dopo 30 anni,<br />

lo è. Gli Stati Uniti non possono guidare il cammino<br />

del popolo egiziano. La gente che ha visto manifestare<br />

saprà dare una risposta ai tanti dubbi della comunità internazionale<br />

sul futuro dell´Egitto. Finalmente è arrivata<br />

dalla Casa Bianca una posizione chiara.<br />

Una nuova manifestazione è stata indetta per venerdi,<br />

sempre al Cairo, in quella piazza Tahrir (in italiano=libertà)<br />

che ha visto ieri oltre due milioni di persone, di<br />

ogni età e religione, manifestare per la caduta del regime.<br />

Il leader dei Fratelli musulmani, Essam Eryan,<br />

ha parlato oggi di ´fratellanza´ e ha affermato che,<br />

nell´Egitto post-Mubarak non ci sarà posto per un emirato<br />

islamico. "I cristiani e i musulmani sono una cosa<br />

sola ed hanno i medesimi diritti al pari di ogni altro cittadino<br />

egiziano" ha rilanciato il portavoce del movimento<br />

islamico.<br />

19<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

02 febbraio 2011<br />

In un discorso alla tv di Stato,<br />

Mubarak dichiara che non si<br />

candiderà alle prossime presidenziali.<br />

Ma non lascia l´Egitto.<br />

Vuole restare alla guida del<br />

Paese fino alle elezioni. La folla,<br />

inferocita, alza i toni. Secca la<br />

replica di Obama: "Il popolo ha<br />

diritto al cambiamento".


Nella piazza prepotentemente ´rubata´ ai rivoltosi,<br />

che infatti sono stati costretti a cambiare il<br />

luogo del loro appuntamento, un nutrito gruppo di<br />

sostenitori del regime sembra ´aspettare´ l´ingresso<br />

dei ventimila. Questa mattina presto, membri<br />

dell´opposizione parlamentare sono stati visti percorrere<br />

le strade della capitale yemenita a bordo di<br />

auto munite di megafoni, per mezzo dei quali avvertivano<br />

la popolazione che la piazza Al-Tahrir era<br />

stata occupata dai sostenitori del regime, che vi stazionano<br />

tuttora, armati. Il timore è che i due gruppi<br />

cerchino lo scontro, replicando quello che si è appena<br />

verificato nell´altra piazza Tahrir, quella del<br />

Cairo.<br />

L´opposizione parlamentare, inspirata dagli esempi<br />

tunisino ed egiziano, aveva organizzato per oggi una<br />

manifestazione pacifica per chiedere a gran voce riforme<br />

democratiche. A quel punto, esponenti e simpatizzanti<br />

del partito al potere, il Congresso<br />

popolare generale (CPG), hanno dato l´avvio a tutta<br />

una serie di manovre atte a scoraggiare e a sabotare<br />

i rivali, compresa l´occupazione della piazza mediante<br />

tendoni, come a marcare il territorio. La mobilitazione<br />

di oggi non è limitata alla capitale ma<br />

prevede forti presenze anche in altre città. Ieri, a seguito<br />

delle contestazioni iniziate nei giorni scorsi, il<br />

presidente Ali Abdullah Saleh aveva annuncaito il<br />

congelamento di un emendamento costituzionale<br />

che gli avrebbe permesso di estendere il proprio<br />

mandato oltre la scadenza del 2013. Sollecitato da<br />

più parti, aveva anche dichiarato che non avrebbe<br />

tramandato il suo potere al figlio. Le elezioni, previste<br />

per il 27 aprile di quest´anno sono state rinviate.<br />

Subito, gli Stati Uniti hanno commentato<br />

favorevolmente le « dichiarazioni positive » di<br />

Saleh, accogliendo con soddisfazione la rinuncia a<br />

candidarsi per un nuovo mandato. Ma le opposizioni<br />

non hanno ritenuto sufficienti le promesse del pre-<br />

20<br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

03 febbraio 2011<br />

Gli oppositori al regime sono<br />

tornati in strada a Sanaa. Dopo<br />

le proteste dei giorni scorsi, ora<br />

chiedono l´immediata destituzione<br />

del presidente. A qualche<br />

centinaio di metri di distanza, sostenitori<br />

di Saleh manifestano a<br />

loro volta. Si temono scontri e<br />

una lunga giornata di violenza.<br />

sidente, per questo continuano a chiederne l´immediata<br />

destituzione. Lo Yemen si trova da tempo sotto<br />

lo sguardo attento della comunità internazionale a<br />

causa della situazione di instabilità che colpisce il<br />

sud del Paese. L´area è teatro di scontri tra il Movimento<br />

sudista, i cui membri reclamano l´autonomia<br />

e l´indipendenza del Sud-Yemen, e le forze di sicurezza<br />

impegnate a reprimere ogni azione del gruppo.<br />

Nella giornata di ieri, gli scontri verificatisi nella<br />

città di Habilayn, nella provincia di Lahej, hanno<br />

causato il ferimento di 3 persone, secondo quanto<br />

riportato da fonti mediche. Nella zona, la rete di al<br />

Qaeda sta rafforzando sempre più la propria presenza<br />

e accrescendo la propria attività.


Gli organizzatori della manifestazione di oggi puntano<br />

a portare in piazza un altro milione di persone<br />

per affrettare la caduta del regime. Nelle parole di Mubarak<br />

alla televisione americana ABC, qualcuno ha voluto<br />

leggere, con ottimismo, un messaggio di<br />

accondiscenza nei confronti delle richieste, sempre più<br />

pressanti, degli oppositori e della comunità internazionale<br />

per una transizione immediata, "ordinata e pacifica".<br />

Washington discute di questo con i responsabili<br />

egiziani mentre il Senato americano ha adottato all´unanimità<br />

una risoluzione che esorta Mubarak a formare<br />

un governo provvisorio per fare le riforme necessarie,<br />

senza tuttavia reclamare le sue dimissioni. Obama vedrebbe<br />

di buon occhio, secondo il New York Times,<br />

uno scenario in cui Omar Suleiman, sostenuto dai militari<br />

dell´esercito, sia impegnato immediatamente in un<br />

processo di riforma costituzionale. Al governo di transizione<br />

dovranno necessariamente essere invitati i<br />

gruppi di opposizione, tra cui anche i Fratelli Musulmani<br />

che però, fino a ieri, avevano ribadito la loro indisponibilità<br />

a partecipare ad un governo temporaneo,<br />

così come hanno sempre dichiarato di non avere l´intenzione<br />

di presentare un proprio candidato alle presidenziali<br />

egiziane di settembre, né di cercare un posto in<br />

un governo di coalizione. Il segretario generale della<br />

Lega Araba, Amr Moussa, si è detto invece pronto a<br />

giocare un ruolo nella transizione, pur ritenendo che<br />

Mubarak dovrebbe restare fino alla fine di agosto, cioè<br />

fino alla scadenza del suo mandato. Durante la preghiera<br />

del venerdi all´Università di Teheran, la guida<br />

suprema dell´Iran Ali Khamenei ha dichiarato che le rivolte<br />

in Tunisia e in Egitto costituiscono "un segno del<br />

risveglio islamico nel mondo". I giornalisti al Cairo<br />

sono un bersaglio Giunge questa mattina da Mosca la<br />

denuncia di una "repressione inaccettabile" contro i<br />

giornalisti che tentano di seguire l´evolversi della crisi<br />

egiziana. La direttrice di TF1 (Francia) ha raccontato<br />

oggi che i giornalisti arrestati ieri al Cairo sono stati li-<br />

<strong>21</strong><br />

<strong>d<strong>21</strong></strong><br />

04 febbraio 2011<br />

Washington prepara un piano<br />

per accelerare il passaggio dal<br />

regime ad un governo di transizione.<br />

Mentre la piazza celebra<br />

la sua giornata-simbolo, gli<br />

Stati Uniti studiano le modalità<br />

di un allontanamento immediato<br />

di Mubarak e il conferimento dei<br />

poteri al vice Omar Suleiman.<br />

berati nel bel mezzo della notte scorsa in un albergo<br />

dove già si trovavano altri giornalisti a cui era toccata la<br />

stessa sorte. "Stanno bene fisicamente - ha detto - ma<br />

hanno subìto 15 ore di interrogatorio con gli occhi bendati<br />

la maggior parte del tempo". TF1, che ha al momento<br />

ha 8 giornalisti sul posto, non ha intenzione di<br />

rimpatriarli, ma è certa che "non si potrà garantire più<br />

la copertura di prima".<br />

L´Esercito non sparerà sulla folla<br />

Mentre Omar Suleiman, rispondendo alle domande dei<br />

giornalisti, ha affermato che "non è possibile che i pro-<br />

Mubarak abbiano ucciso qualcuno nel corso delle manifestazioni"<br />

perché "si sono comportati bene",<br />

l´Esercito egiziano, che ieri ha separato i pro-Mubarak<br />

dagli oppositori, ha confermato oggi quanto già asserito<br />

alla vigilia dell´imponente manifestazione, e cioè che<br />

non aprirà il fuoco contro chi protesta. Il capo di Stato<br />

Maggiore dell´Esercito americano, ammiraglio Mike<br />

Mullen, ha garantito per loro.

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