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Gianni Vattimo Abitare viene prima di costruire In Casabella, Rivista ...

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Questo testo è proprietà intellettuale <strong>di</strong> Giusy Randazzo. Chiunque si appropri anche soltanto <strong>di</strong><br />

parte <strong>di</strong> esso senza la necessaria citazione commette un reato perseguibile a norma <strong>di</strong> legge (art.<br />

70, L 633/41 e successive mo<strong>di</strong>fiche).<br />

Per citare questo articolo: G. Randazzo, <strong>Vattimo</strong>. <strong>Abitare</strong> <strong>viene</strong> <strong>prima</strong> <strong>di</strong> <strong>costruire</strong>, pubblicato il<br />

06 gennaio 2011, consultato il 00 mese 20(__), <strong>di</strong>sponibile al seguente in<strong>di</strong>rizzo internet:<br />

http://www.giusyrandazzo.eu/2011/01/06/vattimo-­‐abitare-­‐<strong>viene</strong>-­‐<strong>prima</strong>-­‐<strong>di</strong>-­‐<strong>costruire</strong>/<br />

<strong>Gianni</strong> <strong>Vattimo</strong><br />

<strong>Abitare</strong> <strong>viene</strong> <strong>prima</strong> <strong>di</strong> <strong>costruire</strong><br />

<strong>In</strong> <strong>Casabella</strong>, <strong>Rivista</strong> internazionale <strong>di</strong> architettura<br />

Gruppo e<strong>di</strong>toriale Electa<br />

Anno XLVI, Novembre 1982, N. 485<br />

Pagine: 48-­‐49<br />

Nella presentazione dell’articolo si legge: «Questo <strong>di</strong> <strong>Vattimo</strong> è il terzo intervento<br />

nel <strong>di</strong>battito aperto da Massimo Cacciari sul tema del progetto architettonico».<br />

Eppure, sebbene non se ne faccia cenno, questo breve testo è da considerarsi<br />

come l’unica risposta compiuta e articolata all’accusa che i decostruzionisti –da<br />

Derrida a Lyotard-­‐ hanno rivolto al progetto, specchio dell’ere<strong>di</strong>tà metafisica, che<br />

a parer loro il <strong>di</strong>scorso heideggeriano non supererebbe ma anzi fonderebbe.<br />

Rintracciando l’errore originario <strong>di</strong> fondo, attraverso cui si evidenzia il valore<br />

della critica decostruzionista, <strong>Vattimo</strong> <strong>di</strong>mostra però come Heidegger debba<br />

essere riconosciuto quale promotore dell’oltrepassamento della metafisica anche<br />

nell’ambito della progettazione architettonica, riconoscendo il pericolo <strong>di</strong> un<br />

progettare a partire da principi incontrovertibili. Il progetto come fondazione<br />

assoluta, come risposta definitiva all’angoscia del vivere –o se si vuole<br />

dell’abitare-­‐, come legittimazione del prodotto, è immagine speculare <strong>di</strong> un<br />

principio –<strong>di</strong> origine metafisica-­‐ basato sulla dualità essere/<strong>di</strong>venire. Eppure la<br />

contrapposizione tra l’essere come principio assoluto, come arché, come<br />

coscienza storica, come sapere definitivo, -­‐in breve come volontà <strong>di</strong> stato-­‐, e il<br />

<strong>di</strong>venire come oblio, capacità <strong>di</strong> inventare, -­‐in breve come volontà <strong>di</strong> novum-­‐, per<br />

quel che riguarda le téchnai, le arti pratiche o produttive, non è presente nella<br />

metafisica <strong>di</strong> Aristotele. Le téchnai per lo stagirita sono arti organizzate<br />

razionalmente su una catena <strong>di</strong> sillogismi, ma al contrario <strong>di</strong> quanto accade nella<br />

metafisica non è possibile rintracciare dei principi primi, una “architettonica”: «il<br />

problema della tecnica e delle sue istanze “architettoniche” tende a consumare,<br />

fino a renderla irritrovabile, l’opposizione rigida tra essere e <strong>di</strong>venire, tra<br />

volontà <strong>di</strong> novum e volontà <strong>di</strong> stato che caratterizzerebbe il progetto come<br />

progetto assoluto». Secondo <strong>Vattimo</strong>, Nietzsche nella Seconda inattuale pur<br />

scagliandosi contro l’immobilismo storicistico mantiene la contrapposizione tra<br />

l’essere e il <strong>di</strong>venire. L’azione storica intesa come oblio, come <strong>di</strong>venire che<br />

nullifica, è una versione irrazionalistica dell’astuzia della ragione. Una tale<br />

visione era destinata a essere superata dal Nietzsche più maturo nel Crepuscolo<br />

degli idoli: il mondo vero <strong>di</strong><strong>viene</strong> una favola e non nel senso che la favola assume<br />

i caratteri del mondo vero, ma in senso nichilistico. Si tratta <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssoluzione del mondo vero che è processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluzione <strong>di</strong> tutte le strutture<br />

oppositive. Una riflessione sul progetto, come nozione e come pratica, deve tener<br />

conto <strong>di</strong> questo senso del nichilismo già presente in Aristotele, in cui la<br />

svalutazione dei valori supremi non è la morte <strong>di</strong> ogni genere <strong>di</strong> valore ma


soltanto <strong>di</strong> quelli supremi. Con questo non si vuol <strong>di</strong>re che non sia più possibile<br />

un progettare, ma che non lo sia più nei termini <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione metafisica,<br />

peraltro <strong>di</strong>mentica del <strong>di</strong>scorso aristotelico sulle téchnai. Fa notare <strong>Vattimo</strong> che<br />

la stessa analogia <strong>di</strong> Wittgenstein tra linguaggio e città è un’eco aristotelica:<br />

«l’architettura, ogni architettura, non attinge ad archaí ultime, ma si muove in<br />

ambiti <strong>di</strong> archaí relative». Il progettare architettonico, al pari <strong>di</strong> un “gioco<br />

linguistico”, «è quel <strong>costruire</strong> che può essere tale in quanto già abita, e non<br />

viceversa», assume i tratti nichilistici del «crescere intorno a nuclei esistenti»<br />

come nel «“bricolage”, che rifà continuamente con ciò <strong>di</strong> cui già <strong>di</strong>spone e da cui è<br />

<strong>di</strong>sposto». L’oltrepassamento della metafisica –origine del domandare<br />

heideggeriano-­‐ è anche oltrepassamento del progettare come fondazione<br />

assoluta, perché Heidegger riconosce la con<strong>di</strong>zione che «caratterizza la nostra<br />

gettatezza storico-­‐finita in questa epoca», in cui non sono più <strong>di</strong>sponibili archaí<br />

né nella forma delle certezze metafisiche né nella forma del consenso sociale. Ed<br />

è proprio quest’ultimo che oggi, più che mai, risente <strong>di</strong> una “degradazione<br />

ontologica” perché ogni novità è «legata agli automatismi del sistema della<br />

<strong>di</strong>stribuzione (il necessario rinnovarsi delle mode) e della produzione<br />

(l’obsolescenza artificiale dei prodotti)». <strong>In</strong>combe dunque il rischio che il<br />

progettare abbia più i caratteri dell’ingegneria che dell’architettura, <strong>di</strong> una<br />

“sperimentale” ingegneria per <strong>di</strong>rla con Nietzsche. È questo il pericolo <strong>di</strong> un<br />

razionalismo <strong>di</strong>sincarnato da cui mette in guar<strong>di</strong>a anche Gehlen. Da qui la<br />

necessità <strong>di</strong> comprendere cosa ne può “venire” dalle nuove <strong>di</strong>sponibilità tecniche<br />

«e dalle mo<strong>di</strong>ficazioni che anche in connessione con esse avvengono nel <strong>di</strong>a-­‐<br />

logos sociale –che non <strong>di</strong> mettere queste nuove possibilità al servizio <strong>di</strong> un<br />

progetto assoluto», perché «progettare è stare in rapporto –abitare-­‐ con questi<br />

lògoi». Il progetto come pro-­‐iezione in senso heideggeriano recupera il concetto<br />

<strong>di</strong> An-denken –rammemorazione-­‐ abbandonando i caratteri del progettare<br />

assoluto e gettando sullo schermo, proprio come la proiezione del cinema, forme<br />

già scritte nella pellicola/tra<strong>di</strong>zione che attraverso la luce/interpretazione<br />

vengono comprese/viste: «Nella immagine <strong>di</strong> Wittgenstein, e in una prospettiva<br />

heideggeriana, l’architettura perde il suo carattere progettuale assoluto e si<br />

qualifica come attività ermeneutica».<br />

Giusy Randazzo

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