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Dott. Fabrizio Vanorio – Sostituto Procuratore della Repubblica ...

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<strong>Dott</strong>. <strong>Fabrizio</strong> <strong>Vanorio</strong> <strong>–</strong> <strong>Sostituto</strong> <strong>Procuratore</strong> <strong>della</strong> <strong>Repubblica</strong> presso il Tribunale di Palermo<br />

Consiglio Superiore <strong>della</strong> Magistratura<br />

Nona Commissione <strong>–</strong> Referenti per la formazione decentrata per i distretti siciliani<br />

INCONTRO DI STUDIO “ROSARIO LIVATINO”<br />

Agrigento, martedì 21 settembre 2004<br />

La tutela penale del paesaggio e del patrimonio urbanistico: tecniche investigative ed intervento<br />

cautelare (l’efficacia ed esecuzione del sequestro preventivo, l’individuazione <strong>della</strong> committenza e<br />

la lottizzazione abusiva)<br />

1. L’efficacia del sequestro preventivo <strong>–</strong> lo sgombero degli immobili abusivi<br />

Una delle principali questioni che si pongono in relazione all’efficacia ed all’effettività del<br />

sequestro preventivo di immobili illecitamente edificati è quella dell’assenza di persone all’interno<br />

degli edifici stessi.<br />

Infatti, capita di frequente che i responsabili dei reati edilizi, unitamente ai loro familiari, per nulla<br />

scoraggiati dalle sanzioni penali che li attendono (o meglio, li dovrebbero attendere) violino<br />

ripetutamente i sigilli originariamente apposti al manufatto abusivo, al fine di ultimarlo e di abitarlo.<br />

In questi casi può accadere che il PM prosegua il procedimento penale con la contestazione del<br />

delitto di violazione di sigilli (aggravato e continuato) in sede procedimentale o processuale, senza,<br />

tuttavia, intervenire per far cessare la situazione di fatto.<br />

E’ evidente che consentire ai responsabili dell’abuso l’ingresso nell’immobile sequestrato vanifica<br />

l’essenza stessa del provvedimento giudiziario.<br />

Infatti, è noto che il sequestro preventivo viene adottato per evitare che “la libera disponibilità” di<br />

una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la<br />

commissione di altri reati.<br />

Ebbene, cosa comporta l’abitazione di un immobile sequestrato, se non proprio la libera<br />

disponibilità dello stesso in capo agli autori del reato ?<br />

Proprio le sentenze <strong>della</strong> III Sezione penale <strong>della</strong> Corte di Cassazione che hanno legittimato la<br />

possibilità di sequestrare immobili abusivi già ultimati hanno quasi sempre fatto leva sul concetto di<br />

“protrazione <strong>della</strong> lesione all’equilibrio urbanistico del territorio”, causata dall’utilizzazione del<br />

bene edificato ( ).<br />

La stessa decisione delle Sezioni Unite del marzo 2003, che ha contribuito a definire e limitare nel<br />

contempo il potere del giudice penale di sequestrare gli immobili ultimati, contiene in motivazione<br />

il riferimento alla “disponibilità attuale” del manufatto da parte dell’indagato o di terzi, quale<br />

parametro alla cui stregua si deve valutare il pericolo <strong>della</strong> protrazione <strong>della</strong> lesione del bene<br />

giuridico protetto ( ).<br />

Sotto questo profilo, a mio avviso, l’occupazione dell’immobile da parte del committente dell’abuso<br />

prima del completamento delle rifiniture e di tutti gli allacci alle reti di pubblica utilità, fenomeno<br />

assai ricorrente nella prassi, può integrare proprio gli estremi <strong>della</strong> “pericolosità dell’utilizzo<br />

dell’immobile”, che giustifica la sottoposizione a sequestro di un edificio già completato nelle parti<br />

strutturali.<br />

In altri termini, è senza dubbio più urgente scongiurare con una misura cautelare reale il pressoché<br />

certo aggravamento del carico urbanistico, dovuto ad un nuovo insediamento di persone in un’area<br />

non destinata ad edilizia residenziale, rispetto al caso dell’immobile abusivo non ancora occupato<br />

da nessuno (in specie quando la PG non rileva lavori in corso d’opera). Eppure, nessuno dubita<br />

sull’opportunità di sottoporre a sequestro l’immobile anche in quest’ultimo caso, quando può<br />

dimostrarsi con ragionevole verosimiglianza che la data dei lavori è recente.


Ne deriva, per evidenti esigenze logiche, che, nel caso dell’immobile già occupato dai responsabili<br />

del reato o da terzi, è possibile e doveroso adottare il sequestro, beninteso, qualora la data<br />

dell’occupazione non sia così risalente da rendere impossibile la valutazione dell’aumento del<br />

carico urbanistico.<br />

Occorre pertanto chiedersi che senso abbia vincolare il bene con provvedimento giudiziario, al fine<br />

di assicurare le esigenze cautelari salvaguardate dall’art. 321 del codice di rito, nominando un<br />

custode e provvedendo ai successivi incombenti di rito, nel momento in cui si consente agli<br />

occupanti di entrare ed uscire dai locali sequestrati, di ottenere certificazioni anagrafiche attestanti<br />

la loro residenza nei locali di stessi e, conseguentemente, di poter fruire degli allacci alle reti<br />

elettriche, idriche e simili ( ).<br />

D’altra parte, l’impossibilità di consentire l’abitazione dell’immobile sequestrato è stata<br />

ampiamente riconosciuta dai giudici di legittimità in diverse pronunce relative al reato di violazione<br />

di sigilli, nelle quali è stato chiarito che l’oggetto <strong>della</strong> tutela penale dei sigilli apposti dalle<br />

pubbliche autorità non è tanto la “cosa” assicurata dai sigilli, bensì l’intangibilità del vincolo<br />

giuridico espresso dal sequestro, per cui il reato sussiste anche nel caso di semplice uso <strong>della</strong> cosa<br />

sequestrata ( ).<br />

Lo strumento necessario ad assicurare l’effettività e la stessa utilità al sequestro preventivo è,<br />

quindi, quello dello sgombero dell’immobile abusivo occupato, naturalmente dopo la<br />

formalizzazione del provvedimento di sequestro ( ).<br />

Il provvedimento di sgombero costituisce espressione del potere del PM di disporre l’esecuzione del<br />

sequestro preventivo, pertanto non ha autonoma natura provvedimentale, né richiede una sua<br />

motivazione, essendo necessario, come si è avuto modo di chiarire in precedenza, per la tutela delle<br />

esigenze cautelari già riconosciute sussistenti con l’emissione del decreto di sequestro preventivo da<br />

parte del giudice ( ).<br />

Naturalmente, dal momento in cui sono gli appartenenti alla PG ad assicurare materialmente<br />

l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro, la disposizione di sgombero sarà di norma impartita<br />

per iscritto dal PM alla PG, nel provvedimento in cui si delega l’ordine di esecuzione del sequestro.<br />

Nella prassi si registra in qualche caso l’opposizione allo sgombero da parte dei responsabili<br />

dell’abuso, motivata dall’esigenza di venire in possesso di copia del provvedimento di sgombero.<br />

Occorre sottolineare, da un lato, che nulla osta alla consegna ai richiedenti di un documento che<br />

ordini lo sgombero entro un determinato termine, nel contempo avvertendoli <strong>della</strong> possibilità di<br />

sgombero coatto (tale avviso ben può essere redatto dalla PG, in forza <strong>della</strong> delega già conferita dal<br />

PM), dall’altro, che non è oggettivamente necessario che gli occupanti ricevano tale atto, per cui<br />

l’omissione di tale adempimento non può determinare alcuna nullità, né inefficacia del sequestro.<br />

Tutto ciò discende dalle argomentazioni finora svolte: lo sgombero dell’immobile abusivo non è<br />

altro che l’attuazione materiale del sequestro preventivo (ma la ratio si estende al sequestro<br />

probatorio: si pensi all’immobile sequestrato per gli accertamenti investigativi su un omicidio ed<br />

alla conseguente incompatibilità <strong>della</strong> presenza di chicchessia all’interno). Pertanto dell’avvenuto<br />

sgombero potrà farsi menzione, ad esempio, nel corpo dello stesso verbale di sequestro.<br />

Con riferimento alla possibilità delle impugnazioni, deve in primo luogo rilevarsi l’impossibilità di<br />

censurare lo sgombero dell’immobile abusivo in quanto tale al Tribunale in sede di riesame. Tale<br />

assunto non è altro che il corollario <strong>della</strong> tesi finora delineata: poiché lo sgombero è una modalità<br />

esecutiva del sequestro, è solo quest’ultimo provvedimento che può essere impugnato davanti alla<br />

Sezione del riesame.<br />

In altri termini, l’indagato (o il terzo istante) potrà censurare l’assenza del periculum in mora, per la<br />

mancanza del pericolo di un concreto aggravamento del carico urbanistico, secondo i canoni<br />

interpretativi <strong>della</strong> citata giurisprudenza di legittimità, ma non potrà sindacare autonomamente<br />

davanti al Tribunale il potere <strong>–</strong> dovere di assicurare l’effettività di un sequestro legittimamente<br />

disposto, attraverso l’interdizione dell’uso dell’immobile sequestrato.<br />

La Sezione per il riesame del Tribunale di Palermo ha fin qui accolto questo orientamento ( ).


Naturalmente, gli interessati potranno indirizzare al PM istanze volte a contemperare i loro interessi<br />

con quelli pubblicistici (p. es. chiedendo dilazioni supportate da idonee motivazioni o chiedendo la<br />

rimozione dei sigilli per procedere al prelievo di suppellettili ) .<br />

In caso di opposizione violenta o minacciosa alle procedure di sgombero troveranno applicazione<br />

gli artt. 336 o 337 del codice penale.<br />

La casistica dei procedimenti nelle zone ad elevato abusivismo edilizio, tra cui senza dubbio rientra<br />

il territorio di Palermo e provincia, richiede talvolta interventi incisivi, al fine di tutelare l’effettività<br />

del sequestro, anche dopo l’esecuzione di uno sgombero. Di conseguenza, nei casi più difficili, si è<br />

fatto ricorso anche alla muratura dei vani di accesso all’immobile ( ). Anche se, di norma, le spese<br />

relative a questi interventi non sono di importo elevato, si registra il problema <strong>della</strong> loro ripetibilità<br />

ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 115/2002, che può essere risolto solo inquadrandole tra le spese<br />

straordinarie, indicate dalla lettera h) dell’articolo suddetto ( ).<br />

2. L’individuazione <strong>della</strong> committenza dell’opera abusiva <strong>–</strong> il concorso di persone nei reati<br />

urbanistici<br />

2.1. Cenni generali<br />

L’art. 6 <strong>della</strong> legge n. 47/’85 ed il pedissequo art. 29, I comma, del d.P.R. 380/2001 assegnano la<br />

responsabilità per le contravvenzioni edilizia al “committente”, oltre che al costruttore, al titolare<br />

<strong>della</strong> concessione / permesso di costruire ed al direttore dei lavori.<br />

E’ evidente, tuttavia, che nella stragrande maggioranza dei casi, nei quali l’illecito consiste<br />

nell’edificare manufatti in radicale carenza di un titolo autorizzativo, il principale problema è quello<br />

di identificare il committente (o i committenti).<br />

Se i controlli di PG sono efficaci e costanti, l’accesso presso il cantiere illegale può consentire di<br />

individuare in primo luogo gli operai addetti alla costruzione dell’opera, in modo tale da pervenire,<br />

attraverso gli opportuni atti istruttori, all’acquisizione di notizie certe sulla committenza, la<br />

direzione dei lavori e la titolarità dell’impresa edile.<br />

A tal proposito, si pone la questione delle modalità di assunzione dei manovali individuati in loco,<br />

poiché emerge il problema del loro coinvolgimento nelle condotte illecite.<br />

In questa sede può dirsi che, se è vero che per le contravvenzioni previste dall’art. 20 <strong>della</strong> legge<br />

47/’85 e succ. mod. prevale l’orientamento <strong>della</strong> sufficienza <strong>della</strong> colpa a titolo di elemento<br />

psicologico, più volte le sentenze di legittimità hanno distinto tra soggetti ad elevata competenza<br />

teorica e tecnica (ingegneri, architetti, titolari di imprese edili) e semplici esecutori materiali delle<br />

opere, richiedendo per questi ultimi ( ).<br />

Sulla scorta di tale criterio, può ritenersi corretta la tempestiva audizione dei manovali in qualità di<br />

persone informate sui fatti da parte <strong>della</strong> PG, fermi restando, naturalmente, gli adempimenti previsti<br />

dal codice in caso di dichiarazioni autoindizianti. L’esperienza pratica, comunque, depone nel senso<br />

<strong>della</strong> fruttuosità per le indagini di questi atti istruttori, anche nei casi in cui i manovali siano sentiti<br />

come indagati. Infatti, la coscienza dell’illiceità delle attività edili è decisamente bassa, per cui non<br />

si riscontrano comportamenti reticenti in modo marcato e si riesce quantomeno ad acquisire<br />

dichiarazioni sui committenti.<br />

Spesso, peraltro, gli operai sono assunti a giornata, in modo irregolare, e dunque è più difficile che<br />

abbiano avuto contatti diretti con i proprietari- committenti. In questo caso occorre risalire nella<br />

catena degli intermediari ed i risultati sono di più difficile conseguimento.<br />

Quando, invece, la PG interviene in un cantiere dove i lavori sono fermi, occorre risolvere in via<br />

prettamente indiziaria il problema dell’individuazione <strong>della</strong> committenza.<br />

2.2. La posizione del proprietario


Innanzitutto, è necessario acquisire il titolo di proprietà dell’area o dell’immobile (inviando la PG<br />

presso i competenti uffici catastali ed immobiliari nei casi, invero abbastanza rari, in cui i<br />

proprietari non collaborino spontaneamente). Nelle more <strong>della</strong> compiuta individuazione dei<br />

proprietari, naturalmente nulla osta all’esecuzione di un sequestro d’urgenza, con la contestuale<br />

apertura di un procedimento contro ignoti.<br />

Occorrerà valutare in seguito anche il regime patrimoniale coniugale, tutte le volte in cui ci si trovi<br />

di fronte ad una committenza di tipo familiare.<br />

Una volta individuati con certezza i proprietari, il percorso investigativo non si esaurisce, poiché le<br />

richiamate formulazioni legislative non consentono di esprimere un sillogismo tra la posizione del<br />

proprietario e quella del committente, al fine di affermare la costante responsabilità del primo.<br />

Su questo orientamento la giurisprudenza di legittimità è ferma: ( ).<br />

Questi principi, sotto il profilo teorico ineccepibili, vanno però calati nella pratica, dal momento che<br />

una loro rigida applicazione condurrebbe gli inquirenti alla “contemplazione” di un immobile<br />

abusivo, abitato dai proprietari dell’area, tuttavia non punibili in quanto estranei alla committenza<br />

dell’opera. In molti casi, ancora, si registrano veri e propri “accolli” di responsabilità (in genere, la<br />

moglie al posto del marito, il padre al posto del figlio, l’incensurato al posto del pregiudicato e<br />

simili), che naturalmente non possono essere supinamente accettati dal PM.<br />

La giurisprudenza si è pertanto occupata a fondo degli elementi che devono essere ravvisati per<br />

potere attribuire al proprietario <strong>–</strong> che non può non essere il primo riferimento soggettivo delle<br />

indagini <strong>–</strong> la qualità di committente delle opere.<br />

La III Sezione <strong>della</strong> Cassazione ha chiarito che:


etribuire gli esecutori materiali da parte di un altro ( ). Le indagini possono acclarare le effettive<br />

disponibilità patrimoniali e reddituali dei comproprietari, fino alla dimostrazione di pagamenti da<br />

parte di uno di loro all’impresa esecutrice (o, quantomeno, al rinvenimento di documenti tecnici o<br />

contrattuali firmati dal committente “occulto”).<br />

Merita anche di essere commentata la sentenza n. 5476 del 30 marzo 1999, emessa sempre dalla III<br />

Sezione penale <strong>della</strong> Corte di Cassazione ( ).<br />

Infatti, la decisione concerneva reati urbanistici e di violazione dei sigilli commessi nel territorio<br />

<strong>della</strong> provincia di Agrigento, in un caso dove si registrava il consueto “accollo di responsabilità” da<br />

parte <strong>della</strong> moglie, per evitare censure penali al marito comproprietario.<br />

I giudici di legittimità, nel confermare la statuizione di responsabilità anche per il marito, hanno<br />

ripercorso criticamente la motivazione <strong>della</strong> sentenza d’appello, dando valore, in primo luogo, al<br />

parametro dell’interesse personale del comproprietario, manifestato dalla presentazione di istanze<br />

agli organi comunali. Questo elemento è molto importante e ricorre frequentemente nella prassi,<br />

poiché i responsabili inoltrano spesso dichiarazioni di inizio attività oppure ottengono<br />

autorizzazioni per opere interne o accessorie, passando in seguito a realizzare opere del tutto<br />

difformi, che necessiterebbero di concessione o titoli equipollenti. E’ evidente che la sottoscrizione<br />

delle istanze assume rilievo probatorio nei confronti del comproprietario, poiché è indice <strong>della</strong> sua<br />

piena conoscenza dello stato dei luoghi e <strong>della</strong> presenza di un tecnico (alle istanze sono di norma<br />

allegati gli elaborati progettuali) e di un’impresa incaricati di effettuare i lavori, i quali, a loro volta,<br />

non hanno alcun interesse a realizzare lavori in difformità da uno specifico mandato del<br />

committente. D’altra parte, i reati contravvenzionali urbanistici sono integrati anche dall’elemento<br />

psicologico <strong>della</strong> colpa ( ), per cui il disinteresse circa l’esecuzione materiale di lavori<br />

personalmente richiesti alla p.A. competente denota quantomeno negligenza.<br />

Altro elemento positivamente vagliato dalla S.C. per la declaratoria di responsabilità è stato quello<br />

<strong>della</strong> disponibilità giuridica (si trattava di due coniugi in comunione legale), unito a quello più<br />

pregnante <strong>della</strong> disponibilità di fatto dell’immobile, anche perché l’opera contestata era una<br />

sopraelevazione, per cui le possibilità di controllo dei lavori da parte dell’imputato, il quale abitava<br />

nello stesso stabile insieme alla moglie, erano ancor più ampie rispetto alla costruzione di un<br />

edificio ex novo.<br />

La sentenza di legittimità ha valorizzato anche massime di comune esperienza, quali la maggiore<br />

dipendenza economica e la minore autonomia decisionale <strong>della</strong> donna nel meridione, in relazione<br />

all'età del ricorrente (anche se si è visto che indagini patrimoniali in tal senso possono fornire<br />

elementi probatori concreti), mentre ha correttamente negato rilevanza alla mancanza di<br />

dissociazione del comproprietario rispetto alle condotte <strong>della</strong> convivente, che pure era stata presa in<br />

considerazione nella motivazione <strong>della</strong> Corte d’Appello.<br />

Infatti, ha osservato la S.C., qualora si richiedesse all’imputato la prova di aver compiuto un atto da<br />

cui risulti il suo dissenso si introdurrebbe un'inammissibile inversione dell’onere probatorio ( ).<br />

Con riferimento ad altre categorie di possibili responsabili, va escluso che il proprietario che abbia<br />

concesso in locazione l’immobile possa essere giudicato corresponsabile dei reati commessi dal<br />

conduttore, nemmeno a titolo di colpa, poiché non risulta un obbligo di vigilanza posto dalla legge a<br />

suo carico ( ), anche se occorre valutare se il contratto di locazione abbia data certa, poiché spesso<br />

ci si imbatte in scritture private non aventi alcuna efficacia probatoria nel senso <strong>della</strong> detenzione del<br />

fondo da parte di un dato soggetto.<br />

2.3. Il costruttore<br />

Ritornando alla fattispecie del costruttore, deve essere posta attenzione alla figura del titolare<br />

dell’impresa, alla cui individuazione può pervenirsi attraverso le deposizioni dei suoi dipendenti,<br />

come si è visto in precedenza oppure, più semplicemente, tramite le opportune attività di controllo<br />

da parte <strong>della</strong> PG, con i consequenziali provvedimenti di sequestro. Sotto questo profilo, ben può<br />

essere affermata la responsabilità del titolare dell’impresa, i cui macchinari siano effettivamente


utilizzati per la costruzione illecita ( ). Quasi sempre questi soggetti si difendono sostenendo di<br />

essere intervenuti solo a consegnare materiale edile, ma, ogniqualvolta la PG riesca ad attestare la<br />

presenza continuativa dei mezzi e macchinari presso il cantiere (betoniere, autopompe e simili), tale<br />

assunto potrà essere confutato. Talvolta accade che, a seguito del sequestro dei macchinari rinvenuti<br />

in loco o delle impalcature che avvolgono il manufatto abusivo, vengano presentate istanze di<br />

restituzione che consentono di individuare il titolare dell’impresa costruttrice.<br />

Inoltre, deve essere messa in rilievo la necessità di esporre il cartello con gli estremi <strong>della</strong><br />

concessione all’ingresso del cantiere ( ), adempimento che non può essere verosimilmente ignorato<br />

da imprenditori del ramo o da soggetti qualificati sotto il profilo tecnico-professionale.<br />

2.4. Il direttore dei lavori<br />

In quest’ultima categoria rientra il direttore dei lavori, annoverato dalla legge tra gli intranei che<br />

possono commettere il reato proprio in esame.<br />

E’ bene subito precisare che il direttore dei lavori è il professionista che sovraintende alla<br />

esecuzione dei lavori e pertanto non necessariamente coincide con il progettista, di cui si parlerà<br />

oltre.<br />

Nominativo e funzioni del d.l. dovranno essere comunicate al Comune secondo le previsioni<br />

vigenti, in tal modo il tecnico assumerà formalmente le specifiche responsabilità penali che la legge<br />

gli affida, laddove, nei casi in cui il suo incarico non sia formalizzato e rimanga per così dire<br />

“sommerso” (è chiaro che ciò si verifica molto frequentemente nelle ipotesi di “abuso totale”, in<br />

specie se commesso in zone vincolate) potrà essere chiamato a rispondere del reato secondo le<br />

regole generali del concorso di persone, che si sono in precedenza analizzate ( ).<br />

Al direttore dei lavori la normativa (art. 29, 2° comma, t.u.) assegna precisi doveri di contestazione<br />

delle difformità delle opere rispetto alle prescrizioni del permesso di costruire, nonché l’onere di<br />

comunicare al Comune il riscontro di tali violazioni, fino alla rinuncia all’incarico per il caso di<br />

opere compiute in variazione essenziale o in totale difformità.<br />

Tale rinuncia, quando è tempestiva, si configura come una vera esclusione del nesso di causalità tra<br />

le condotte <strong>–</strong> lecite <strong>–</strong> del direttore dei lavori e l’evento illecito prodotto dalle condotte dei<br />

committenti e del costruttore (è dunque improprio, a mio avviso, parlare di scriminante).<br />

Naturalmente, come per le altre tipologie di atti negoziali che si rinvengono nei rapporti tra i diversi<br />

soggetti interessati alla realizzazione di opere edili, l’atto di rinuncia all’incarico deve essere stato<br />

ritualmente formalizzato, in modo da avere data certa. In molti casi la giurisprudenza ha negato<br />

rilievo alle asserzioni degli imputati, secondo cui il d.l. non avrebbe mai effettivamente coordinato<br />

le opere oppure avrebbe assunto l’incarico in modo simulato ( ). Così pure non assume rilevanza il<br />

fatto che la valutazione tecnica delle opere illecitamente effettuate esuli dalle competenze<br />

formalmente possedute da determinate categorie professionali (p. es. periti edili o geometri): ciò<br />

perché la consapevole assunzione dell’incarico di direzione dei lavori comporta l’assunzione<br />

contrattuale di un obbligo di garanzia <strong>della</strong> realizzazione di opere non lesive dell’assetto<br />

urbanistico, per cui il d.l. può sottrarsi alla responsabilità penale solo recedendo dall’incarico, ove si<br />

accorga dell’inizio di opere difformi dalle previsioni dei piani o del titolo autorizzativo.<br />

Naturalmente, può essere accertata la cessazione dell’incarico del professionista (sempre con il<br />

consueto rigore, onde evitare di premiare recessi fittizi). In questo caso, la Cassazione ha avuto<br />

modo di affermare:


non a "chiunque", ma a quel soggetto che, in relazione all'attività edilizia in corso, rivesta la<br />

qualifica di direttore dei lavori, sicché qualora l'attività sia cessata, è la stessa qualifica che è venuta<br />

meno, conseguendone che colui il quale l'aveva rivestita, avendola dismessa, torna a divenire<br />

estraneo alla previsione normativa (il che la S.C. ha ritenuto essersi verificato nella fattispecie, nella<br />

quale, al momento dell'accertamento <strong>della</strong> difformità, questa si era già definitivamente compiuta<br />

senza nessun contributo volitivo da parte dell'imputato direttore dei lavori, che di essa, anzi,<br />

nemmeno era cosciente perché, di fatto, lo stesso incarico professionale si era esaurito)>> ( ).<br />

2.5. Il progettista<br />

Ben diversa, invece, è la posizione del progettista delle opere oggetto di contestazione in sede<br />

penale. Infatti, in primo luogo occorre rilevare che non è scontata l’assunzione <strong>della</strong> direzione dei<br />

lavori da parte del professionista che ha redatto gli elaborati progettuali.<br />

Certamente può accadere che il tecnico prescelto elabori un progetto difforme dagli strumenti<br />

urbanistici vigenti, ma tale attività concettuale non può ritenersi foriera di responsabilità penale, in<br />

concorso con le persone che abbiano realizzato le opere edili illecite. In tal caso non sussiste il<br />

rapporto di causalità, non solo perché il progetto non può essere considerato condicio sine qua non<br />

rispetto all’edificazione del manufatto, ma soprattutto perché mancano norme impositive di<br />

specifici obblighi di garanzia (come quella sul direttore dei lavori), per cui il tecnico è libero di<br />

elaborare qualsiasi progetto, fermo restando che chiunque voglia darvi esecuzione ha l’onere di<br />

richiedere i dovuti provvedimenti alla p.A., fino alle modifiche degli strumenti urbanistici vigenti in<br />

caso di difformità del progetto dagli stessi. Ad esempio, la normativa sull’edilizia popolare prevede<br />

ipotesi di insediamenti di edilizia economica realizzate da apposite società cooperative, con la<br />

possibilità di ottenere assegnazioni di zone territoriali da parte del Comune, anche in deroga al<br />

p.r.g.. E’ evidente che in questi casi vengono frequentemente redatti progetti anche del tutto<br />

difformi dai piani vigenti, senza che tale attività possa essere in alcun modo addebitata ai<br />

professionisti di fiducia delle cooperative, i cui rappresentanti hanno, invece, l’onere di seguire in<br />

modo corretto l’iter procedimentale previsto dalla legge ( ).<br />

3. Questioni in tema di lottizzazione abusiva<br />

3.1. Lottizzazione materiale - casistica<br />

Una delle questioni particolari che si sono poste all’attenzione del Dipartimento che si occupa dei<br />

reati edilizi all’interno <strong>della</strong> Procura di Palermo è quella dell’unico proprietario che realizza (o<br />

inizia a costruire) più edifici sul fondo di sua proprietà, con destinazione urbanistica incompatibile<br />

rispetto a quella residenziale ( ).<br />

Come è noto, il reato di lottizzazione abusiva è stato compiutamente definito dall’art. 18 <strong>della</strong> legge<br />

47/’85, recepito senza modifiche sostanziali dall’art. 30 del nuovo testo unico, approvato con d.P.R.<br />

380/2001 ( ). In accoglimento delle precedenti elaborazioni giurisprudenziali ( ), il legislatore del<br />

1985 introdusse una norma penale a più fattispecie, imperniata su due distinte condotte (che<br />

possono ovviamente coesistere ), la prima, basata sulle attività materiali di trasformazione<br />

urbanistica dei terreni; la seconda, imperniata sugli atti giuridici inter vivos di frazionamento e<br />

vendita o equipollenti.<br />

La fattispecie che ha sempre destato maggiori problemi applicativi è quest’ultima (la c.d.<br />

“lottizzazione negoziale”), in quanto è evidente che, sotto il profilo del principio di materialità <strong>della</strong><br />

condotte penalmente rilevanti, comporta un’incriminazione anticipata di atti giuridici non ancora<br />

oggetto di esecuzione pratica ( ).<br />

Ma, a ben vedere, anche la forma di lottizzazione materiale, come risulta dall’esempio sopra<br />

riportato, può sollevare dubbi interpretativi.


Infatti, è molto sentita nella prassi l’esigenza di distinguere tra le condotte di mera edificazione<br />

illecita, sanzionate dalle diverse disposizioni dell’art. 20, l. 47/’85 e successive modifiche, da quelle<br />

inquadrabili nell’ambito <strong>della</strong> lottizzazione materiale.<br />

Una corretta interpretazione <strong>della</strong> norma incriminatrice, a mio avviso, conduce alla punibilità a<br />

titolo di lottizzazione materiale <strong>della</strong> realizzazione di più costruzioni sul fondo di proprietà di un<br />

unico soggetto, con destinazione urbanistica a verde agricolo (o comunque incompatibile con la<br />

complessiva volumetria realizzata e le tipologie dei nuovi manufatti). Ciò per le seguenti ragioni.<br />

La linea di demarcazione tra le fattispecie criminose di costruzione e lottizzazione abusiva poggia<br />

sull’incidenza <strong>della</strong> prima sugli edifici e <strong>della</strong> seconda sui terreni.<br />

In altri termini, per aversi lottizzazione abusiva occorre che l’assetto urbanistico di un’area sia<br />

modificato, anche se soltanto per effetto di atti giuridici.<br />

A tal proposito, deve richiamarsi la sentenza <strong>della</strong> Cassazione ( ), la quale, pur criticata da<br />

autorevole dottrina, escluse che potesse ravvisarsi il reato previsto dall’art. 18 <strong>della</strong> legge 47/’85 in<br />

un caso in cui era stata mutata solo la destinazione d’uso di un complesso di edifici. Ciò perché è<br />

necessario che dalla condotta dell’imputato scaturisca come conseguenza necessaria, secondo i<br />

consueti canoni del rapporto di causalità, la modifica dell’assetto urbanistico di un’area più o meno<br />

vasta ( ).<br />

Nel caso che si sta esaminando dell’unico proprietario che inizia a costruire più edifici sul fondo di<br />

sua proprietà, avente destinazione urbanistica a verde agricolo, invece, anche se il fondo non è stato<br />

ancora frazionato, ben può sostenersi che, con le prime opere di costruzione di immobili ad uso<br />

abitativo, di magazzini, recinzioni o strade di collegamento, l’area subisce una obiettiva<br />

trasformazione <strong>della</strong> sua destinazione accolta dalla pianificazione urbanistica.<br />

Ne deriva la configurabilità del reato, nella forma <strong>della</strong> lottizzazione materiale, mentre a<br />

conclusione diversa deve giungersi tutte le volte in cui le plurime costruzioni non contrastino con<br />

gli strumenti già adottati e siano semplicemente state realizzate in assenza di concessione o<br />

permesso di costruire.<br />

La tesi suesposta è in linea con la giurisprudenza, anche amministrativa, che ha ravvisato la<br />

lottizzazione da parte del soggetto che presenti numerose domande di concessione edilizia<br />

formalmente autonome tra loro per immobili distinti, ma tutti rientranti in un unico comprensorio di<br />

sua proprietà ( ). D’altra parte, è stato giustamente messo in luce che si registra un illecito<br />

cambiamento di assetto del territorio anche quando si combinano impianti di solo interesse privato<br />

con impianti di interesse collettivo e che tale interesse collettivo non si identifica necessariamente<br />

con l’interesse pubblico ( ). Di conseguenza, aggiungerei che la creazione abusiva di un complesso<br />

di edifici, con le necessarie opere collaterali e pertinenziali (parcheggi, recinzioni, strade di<br />

collegamento), in quanto tale idonea alla creazione di un “supercondominio”, è già lesiva <strong>della</strong><br />

pianificazione urbanistica dell’intera area interessata, a prescindere dai primi atti di vendita delle<br />

singole unità immobiliari, che pertanto, in questo caso, non sono indispensabili per l’integrazione<br />

del reato in esame.<br />

Talvolta è accaduto che gli indagati, dopo l’esecuzione di un sequestro preventivo relativo solo a<br />

costruzioni abusive, ai sensi dell’art. 20, lett. b), l. 47/’85 e succ. mod., abbiano presentato istanze<br />

finalizzate ad ottenere l’autorizzazione all’ingresso nel fondo, allo scopo di coltivarlo o di<br />

procedere ad altre attività non costruttive.<br />

Pertanto, l’importanza del riscontro <strong>della</strong> lottizzazione, anche nell’ipotesi prima tratteggiata, si<br />

coglie dalla possibilità di sequestrare l’intera area oggetto dell’edificazione del nuovo complesso<br />

edilizio (invece, qualora si procedesse alla contestazione solo dei singoli abusi edilizi, ben potrebbe<br />

la difesa ottenere la delimitazione dell’estensione del sequestro ai soli manufatti edilizi ed alle<br />

immediate pertinenze), con ciò impedendo in radice agli interessati di accedere al fondo ed<br />

eliminando il rischio che gli stessi pongano proprio in essere le opere di urbanizzazione e di<br />

collegamento tra gli edifici in costruzione.<br />

CLXXI. 3.2. Lottizzazione negoziale <strong>–</strong> casi controversi


CLXXII.<br />

CLXXIII. Con riferimento ai casi di lottizzazione negoziale controversi, viene in rilievo senza<br />

dubbio la vendita pro indiviso del fondo a più soggetti o ad una società.<br />

CLXXIV. A questo proposito si è messo in luce in dottrina che, ai fini <strong>della</strong> contestazione del<br />

reato, non è necessario che il frazionamento preceda gli atti dispositivi, per cui anche la vendita pro<br />

indiviso può essere penalmente rilevante ( ). Si nota anche, sotto questo profilo, che la norma<br />

incrimina qualsiasi suddivisione del terreno in lotti, a prescindere da un frazionamento catastale in<br />

senso stretto. L’opinione è senza dubbio condivisibile, peraltro va precisato che l’attività negoziale<br />

illecita può ravvisarsi solo quando emerga inequivocamente la finalità edificatoria delle parti,<br />

dunque per la punibilità degli atti occorre che gli acquirenti in comunione procedano alla divisione<br />

(o allo scioglimento <strong>della</strong> società).<br />

CLXXV. Infatti, è solo in questo momento che si compromette l’originaria vocazione<br />

urbanistica del fondo, divenendo impossibile, ad esempio, la coltivazione unitaria<br />

dell’appezzamento. Ragionando diversamente si rischierebbe di incriminare anche un semplice<br />

trasferimento temporaneo, seguito da una rivendita ad un soggetto unico (cioè dalla pluralità di<br />

acquirenti ad un unico subacquirente) oppure si rischierebbe di punire un uso lecito del fondo (gli<br />

acquirenti potrebbero legittimamente coltivare il fondo indiviso e lo stesso potrebbe fare la società<br />

cessionaria).<br />

CLXXVI. Sul punto, si rinvengono conformi precedenti giurisprudenziali, anche in ipotesi di<br />

frazionamento già effettuato. Un interessante caso è stato deciso dal T.A.R. Lazio ( ). Si trattava del<br />

frazionamento di un terreno agricolo, con vendite dei lotti frazionati a persone legate da stretti<br />

vincoli di parentela e tutte dedite ad attività di coltivazione. Il Tribunale amministrativo ha<br />

osservato che: .<br />

CLXXVII. La stessa sentenza, affermando la necessità di interpretare in senso restrittivo la<br />

fattispecie di reato, ha ipotizzato la possibilità di destinare il terreno a coltivazioni ad uso familiare<br />

o all’impianto di serre, quindi anche in casi in cui l’estensione dei lotti sia inferiore a quella per la<br />

coltivazione in senso stretto ( ).<br />

CLXXVIII. Un altro profilo <strong>della</strong> fattispecie criminosa <strong>della</strong> lottizzazione che merita di essere<br />

affrontato è quello del momento consumativo del reato.<br />

CLXXIX. Per giurisprudenza e dottrina dominanti il reato deve essere qualificato tra quelli<br />

permanenti, poiché la lesione al bene giuridico tutelato <strong>–</strong> l’assetto urbanistico ufficialmente<br />

pianificato di una determinata porzione di territorio <strong>–</strong> perdura per tutta la durata delle operazioni di<br />

frazionamento, urbanizzazione materiale e simili. Inoltre, tutti coloro che partecipano alla<br />

lottizzazione, ivi compresi i venditori, possono in ogni momento revocare il loro contributo causale<br />

alla collettiva condotta illecita denunciando l’operazione alle competenti autorità amministrative e<br />

giudiziarie.<br />

CLXXX. Il problema, tuttavia, è quello dell’individuazione <strong>della</strong> cessazione <strong>della</strong> permanenza.<br />

CLXXXI. Alcune sentenze di legittimità hanno sostenuto un orientamento restrittivo, secondo il<br />

quale occorre distinguere le attività lottizzatorie in senso stretto <strong>–</strong> frazionamento materiale del<br />

suolo, negozi giuridici traslativi di diritti reali su singole porzioni del suolo ecc. <strong>–</strong> da quelle di<br />

utilizzazione dei singoli lotti, tra cui la costruzione illecita di nuove unità immobiliari. Queste


ultime non rientrerebbero tra gli elementi costitutivi <strong>della</strong> lottizzazione abusiva, per cui la<br />

permanenza del reato cesserebbe con il completamento delle attività lottizzatorie in senso stretto ( ).<br />

CLXXXII. Questo orientamento è stato peraltro messo in discussione e superato da una serie di<br />

pronunce che, facendo leva sul multiforme concetto di trasformazione del fondo e sulla correlativa<br />

struttura di reato a condotta libera <strong>della</strong> lottizzazione abusiva, hanno evidenziato come la<br />

costruzione degli edifici sui singoli lotti, unitamente alle necessarie opere di collegamento e di<br />

urbanizzazione secondaria, siano elementi convergenti unitariamente verso la predetta<br />

trasformazione del fondo, prevista e voluta da tutti i lottizzatori. Pertanto, nel caso di costruzione di<br />

edifici, la permanenza <strong>della</strong> condotta lottizzatoria viene a cessare con l’ultimazione dei singoli<br />

manufatti ( ). Le ultime pronunce <strong>della</strong> Cassazione sul punto hanno ribadito quest’ultima tesi ( ).<br />

CLXXXIII. Tuttavia, come sempre occorre adattare questi principi alla realtà del caso concreto.<br />

Spesso accade che, a distanza di molti anni dai fatti, gli uffici tecnici comunali (esaminando per<br />

esempio un gruppo di pratiche di sanatoria edilizia), oppure la PG (p. es., all’atto di disporre un<br />

sequestro per ampliamento di immobile preesistente) trasmettano una notizia di reato, evidenziando<br />

la sussistenza di una lottizzazione. Però, quando gli atti traslativi, nonché le successive costruzioni e<br />

le stesse istanze di sanatoria risalgono a diversi anni prima <strong>della</strong> trasmissione <strong>della</strong> c.n.r., è evidente<br />

che il fondo oggetto <strong>della</strong> segnalazione è stato con tutta probabilità compiutamente trasformato,<br />

attraverso il frazionamento materiale, la stipulazione degli atti di vendita e la realizzazione delle<br />

costruzioni, l’ultima delle quali è stata, ad esempio, rifinita da più di tre anni. In questi casi, in cui<br />

tra l’altro gli immobili sono da tempo occupati ed usufruiscono dei servizi di pubblica utilità <strong>–</strong><br />

poiché hanno verosimilmente beneficiato <strong>della</strong> pendenza delle istanze di concessione in sanatoria,<br />

con le correlative posizioni di aspettativa giuridicamente rilevanti <strong>–</strong> appare davvero arduo, sia sotto<br />

il profilo giuridico, che dal punto di vista pratico, aprire un procedimento per una lottizzazione<br />

attuata in toto e mai precedentemente contestata.<br />

CLXXXIV. Pertanto, in questa situazione, a mio avviso, converrà prendere atto dell’intervenuta<br />

trasformazione del fondo e del decorso certo dei termini massimi di prescrizione, intervenendo,<br />

invece, a contestare le singole violazioni edilizie (ampliamenti, rifacimenti) più recentemente<br />

effettuate. In alcuni procedimenti istruiti dalla Procura di Palermo si è proceduto, pertanto, a<br />

chiedere l’archiviazione in casi del genere, con conformi provvedimenti del GIP ( ).<br />

CLXXXV. Questo assunto è, comunque, confortato dalla sentenza n. 2473/’99 in cui la<br />

Cassazione ha delineato una serie di indici concreti da cui desumere “la sicura cessazione del piano<br />

lottizzatorio originariamente delineato” ( ).

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