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Ufficio Ed<strong>il</strong>izia<br />

Consiglio di Stato - Sentenza n. 5778 del 27 ottobre 2011 - Ed<strong>il</strong>izia ed<br />

urbanistica - Mutamento di destinazione - Trasformazione di un<br />

negozio commerciale in luogo di culto - Permesso di costruire -<br />

Necessità - Sussiste.<br />

N. 05778/2011REG.PROV.COLL.<br />

REPUBBLICA ITALIANA<br />

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO<br />

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)<br />

ha pronunciato la presente<br />

SENTENZA<br />

sul ricorso numero di registro generale 10401 del 2010, proposto da:<br />

Comune di Giussano (Mb), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Bullo e<br />

dall’Avv. Nino Paolantonio, con domic<strong>il</strong>io eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Principessa Clot<strong>il</strong>de,<br />

2;<br />

contro<br />

Zorzan Giancarlo, Zorzan, Nicoletta, Seibou Maman e Associazione Culturale Da’awa, in persona del suo legale<br />

rappresentante pro tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avv. Davide Galimberti, con<br />

domic<strong>il</strong>io eletto presso la Segreteria della Sezione, Piazza Capo di Ferro, 13;<br />

nei confronti di Regione Lombardia;<br />

per la riforma<br />

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, M<strong>il</strong>ano, Sez. II^, n. 7050 dd. 25 ottobre 2050, resa tra le parti e<br />

concernente ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi e della destinazione d’uso originaria, nonchè di<br />

sospensione delle attività di culto e di preghiera.<br />

Visti <strong>il</strong> ricorso in appello e i relativi allegati;<br />

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Giancarlo Zorzan, di Nicoletta Zorzan, di Maman Seibou e<br />

dell’Associazione Culturale Da’awa;<br />

Viste le memorie difensive;<br />

Visti tutti gli atti della causa;<br />

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2011 <strong>il</strong> Cons. Fulvio Rocco e uditi per le parti l’Avv. Nino<br />

Paolantonio per <strong>il</strong> Comune di Giussano e l’Avv. Davide Galimberti per gli appellati;<br />

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Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.<br />

FATTO e DIRITTO<br />

1.1. Con nota prot. n. 19198 dei 9 - 12 luglio 2010, <strong>il</strong> Comune di Giussano (Mb), odierno appellante, ha<br />

comunicato ai signori Nicoletta Zorzan, Giancarlo Zorzan e Maman Seibou l’avvio del procedimento finalizzato<br />

all’accertamento della compatib<strong>il</strong>ità della destinazione d’uso della porzione d’immob<strong>il</strong>e ubicata in Giussano, via<br />

Cavour n. 85, distinta in catasto al foglio 13, mappale 54, subalterni nn. 701 e 702, concessa in locazione dai<br />

predetti Signori Zorzan al Signor Seibou, legale rappresentante dell’Associazione culturale Da’awa, rispetto<br />

all’attività ed alle pratiche ivi di fatto esercitate (cfr. doc.ti 2 e 3, già prodotti nel fascicolo processuale di primo<br />

grado).<br />

La medesima Amministrazione Comunale rimarca che l’Associazione Culturale Da’awa (da tradursi<br />

letteralmente come "Invito"), sarebbe ad oggi priva dell’iscrizione al Registro Nazionale istituito presso la<br />

Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento per gli Affari Sociali, e pertanto essa non può accedere al<br />

regime agevolato di cui all’art. 32, comma 4, della L. 7 dicembre 2000 n. 383, a’ sensi del quale "la sede delle<br />

associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatib<strong>il</strong>i con tutte le<br />

destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 apr<strong>il</strong>e 1968, pubblicato nella<br />

Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 apr<strong>il</strong>e 1968 indipendentemente dalla destinazione urbanistica".<br />

Consta dallo statuto dell’Associazione Culturale Da’awa che la medesima persegue le seguenti finalità:<br />

"rafforzare <strong>il</strong> legame di fratellanza umana tra comunità e i cittadini locali attraverso lo scambio culturale, la<br />

collaborazione sociale, la vicinanza civ<strong>il</strong>e all’interno di un quadro di rispetto e di integrazione" ;"organizzare<br />

preghiere individuali e collettive";<br />

"far rivivere gli insegnamenti del Profeta (Sunna) e la rivelazione Divina (Corano)"; "essere un elemento di una<br />

area di convivenza e di pace, promuovendo una condotta morale che porti alla pratica del bene"; "organizzare e<br />

fac<strong>il</strong>itare la procedura di sepoltura dei musulmani", con lo specifico proposito, fra l’altro, di "ospitare gruppi affini<br />

di provenienza sia nazionale, sia internazionale"; <strong>il</strong> tutto, peraltro, con l’espressa limitazione dell’ammissione ai<br />

soli "fedeli musulmani" (cfr. ibidem, doc. 4).<br />

Da’awa svolge la propria attività nell’unità immob<strong>il</strong>iare di via Cavour n. 85 a Giussano, di proprietà dei Signori<br />

Giancarlo e Nicoletta Zorzan, costituita da un negozio con affaccio diretto su strada e ubicato al piano terra e<br />

seminterrato in un edificio a prevalente destinazione residenziale, a sua volta ricadente in ambito che <strong>il</strong> vigente<br />

strumento urbanistico del Comune di Giussano destina a "tessuto consolidato monofunzionale residenziale ad<br />

alta densità da mantenere" (cfr. ibidem, doc. 5).<br />

Il Comune afferma che l’elevata frequenza di persone nelle vicinanze del negozio (<strong>il</strong> quale sarebbe stato chiuso<br />

per molti mesi a seguito di una serie di vicende tra la proprietà ed <strong>il</strong> Condominio, note alla comunità sebbene<br />

estranee alla vicenda per cui è ora lite) hanno indotto la Polizia Locale di Giussano ad effettuare taluni<br />

sopralluoghi presso gli anzidetti locali.<br />

Tali sopralluoghi avrebbero consentito di accertare "al piano seminterrato l’esecuzione di un tavolato interno<br />

senza avere presentato regolare richiesta di permesso o denuncia di inizio di attività ed un cambio di<br />

destinazione d’uso funzionale da negozio ad edificio adibito a luogo di culto": e ciò in quanto "<strong>il</strong> piano terra del<br />

negozio era coperto di tappeti che venivano ut<strong>il</strong>izzati per pregare, com’è stato precedentemente accertato dalla<br />

Polizia Locale con relazioni di servizio n. 147 del 10 luglio 2010, n. 144 del 12 luglio 2010 e n.152 del 17 luglio<br />

2010", e come sarebbe pure confermato dalle evidenze fotografiche ivi allegate (cfr. ibidem, doc. 6).<br />

Il Comune espone inoltre che in data 10 luglio 2010, gli Agenti della Polizia Locale hanno effettuato un controllo<br />

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in via Cavour, dove hanno riscontrato la "presenza di persone di religione islamica presso la struttura che<br />

dovrebbe ospitare un centro di culto" (cfr. ibidem, doc. 7).<br />

In data 17 luglio 2010 sono stati ancora identificati nei locali taluni fedeli "che, all’arrivo degli<br />

scriventi, si trovavano al piano interrato raccolti in preghiera" (cfr. ibidem, doc. 8).<br />

L’Amministrazione Comunale afferma, quindi, che a margine dell’effettuazione di alcuni lavori interni privi di titolo<br />

ab<strong>il</strong>itativo, sarebbe pertanto emersa la definitiva destinazione dell’immob<strong>il</strong>e stesso a fini di culto: e ciò, in difetto<br />

del permesso di costruire cui all’art. 52, comma 3 bis, della L.R. 11 marzo 2005 n. 12 come introdotto dall’art. 1<br />

della L.R. 14 luglio 2006 n. 12 e necessario per i "mutamenti di destinazione d’uso di immob<strong>il</strong>i, anche non<br />

comportanti la realizzazione di opere ed<strong>il</strong>izie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto" (che l’art. 70 e ss. della<br />

stessa L.R. disciplinano puntualmente) "e luoghi destinati a centri sociali".<br />

Gli Zorzan e l’Associazione Culturale Da’awa non hanno prodotto alcuna osservazione nel procedimento avviato<br />

con la predetta nota Prot. 19198 del 9 luglio 2010, e in conseguenza di ciò, con ordinanza n. 133 del 22 luglio<br />

2010, notificata ai destinatari <strong>il</strong> giorno successivo, <strong>il</strong> Dirigente preposto al Settore Urbanistica, Ed<strong>il</strong>izia,<br />

SUE/SUAP del Comune di Giussano ha contestato agli odierni appellati la violazione dell’anzidetto art. 52,<br />

comma 3-bis della L.R. 12 del 2005, ingiungendo l’immediato ripristino dello stato originario dei luoghi e della<br />

destinazione d’uso originaria del negozio e del seminterrato, nonché la sospensione in tali locali dell’attività<br />

cultuale incompatib<strong>il</strong>e con la destinazione d’uso originaria e con le previsioni del vigente strumento urbanistico.<br />

Va soggiunto che in data 31 luglio 2010, alle ore 21.15, gli agenti della Polizia Locale si sono recati sul posto al<br />

fine di verificare <strong>il</strong> rispetto di tale ordinanza e hanno rinvenuto – r<strong>il</strong>evandone le generalità - ben trentuno persone<br />

di nazionalità Pakistana, Marocchina, Ghanese, Ivoriana, Tunisina, Algerina e del Togo, tutte residenti nei paesi<br />

circostanti la città di Giussano, le quali "all’arrivo degli scriventi erano intente a dialogare" (cfr. ibidem, doc. 9,<br />

non prodotto nel primo grado di giudizio).<br />

In data 3 agosto 2010, alle 20.40, la Polizia Locale ha constatato che tutte le saracinesche dell’immob<strong>il</strong>e in<br />

questione erano abbassate ed i vetri schermati da fogli di carta bianca, in modo da rendere impossib<strong>il</strong>e guardare<br />

all’interno (cfr. ibidem, doc. 10, non prodotto nel primo grado di giudizio).<br />

Il 5 agosto 2010, alle ore 20.35 circa, la Polizia Locale ha effettuato un nuovo accesso all’immob<strong>il</strong>e al fine di<br />

verificare <strong>il</strong> rispetto dell’ordinanza n. 133 del 2010, ivi rinvenendo, oltre al Signor Maman Seibou, legale<br />

rappresentante dell’Associazione Da’awa, tale Rahmoon Bachir, di nazionalità marocchina, seduto a terra su<br />

alcuni tappeti (cfr. ibidem, doc. 11, non prodotto nel primo grado di giudizio).<br />

I due sono state poi raggiunti da altre 19 persone, tutte a loro volta identificate, ed <strong>il</strong> Signor Maman Seibou,<br />

interrogato sulla motivazione della riunione, "rispondeva che si incontrano abitualmente per parlare tra di loro ed<br />

all’arrivo dell’orario prestab<strong>il</strong>ito si riuniscono in preghiera"; e, infatti, tutti i presenti all'interno dei locali sono stati<br />

poi trovati "inginocchiati sul tappeto con testa rivolta a sud-est bisbigliando delle frasi in coro in lingua straniera"<br />

(cfr. ibidem).<br />

Il giorno 10 agosto 2010, alle 20.35 circa, nell’approssimarsi dell’ora prevista per la preghiera del tramonto<br />

("Maghrib") la Polizia Locale ha effettuato un nuovo sopralluogo presso i locali con l’assenso del Signor Maman<br />

Seibu <strong>il</strong> quale, dapprima solo, è stato poi raggiunto da altre 18 persone, molte delle quali già presenti <strong>il</strong> 31 luglio<br />

2010 (cfr. ibidem, doc. 12, non prodotto nel primo grado di giudizio).<br />

Nella loro relazione di servizio gli Agenti hanno riferito che "sebbene gli scriventi si trattenessero in possib<strong>il</strong>ità dei<br />

locali dalle ore 20.35 fino alle ore 21.05 nessuno dei presenti si disponeva in atteggiamento di preghiera" e che,<br />

tuttavia, "nel salone era stato incrementato l’allestimento di tappeti che ricoprono <strong>il</strong> pavimento" (cfr. ibidem).<br />

In data 11 agosto 2010 ha avuto inizio <strong>il</strong> Ramadan, e <strong>il</strong> giorno successivo, alle ore 20.45, con l’aus<strong>il</strong>io dei<br />

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Carabinieri della stazione di Giussano, la Polizia Locale ha nuovamente verificato <strong>il</strong> rispetto dell’ordinanza<br />

anzidetta, rinvenendo sul posto tre persone "intente a dialogare", le quali peraltro non risultavano essere soci<br />

dell’Associazione Da’awa, <strong>il</strong> cui legale rappresentante era, al momento, assente (cfr. ibidem, doc. 13, non<br />

prodotto nel primo grado di giudizio).<br />

In data 13 agosto 2010, alle ore 20.05, i Carabinieri della locale stazione, recatisi presso l’immob<strong>il</strong>e in questione,<br />

"accertavano che tutte le saracinesche dell’immob<strong>il</strong>e erano abbassate e le vetrate erano state oscurate da fogli<br />

di carta appesi dall’interno, rendendo quindi impossib<strong>il</strong>e vedere dentro i locali"; peraltro, "la porta d’ingresso era<br />

aperta" e i m<strong>il</strong>itari sono entrati all’interno del salone al piano terra, nel quale hanno notato "la presenza di 7<br />

(sette) persone di sesso masch<strong>il</strong>e, fra i quali anche un minore, inginocchiati sui tappeti posti sul pavimento …<br />

tutti a piedi scalzi … con la testa rivolta verso sud est...., pronunciavano frasi in coro in lingua straniera ed in<br />

contemporanea, appoggiavano e rialzavano ripetutamente la fronte a terra".<br />

Al termine della preghiera gli astanti sono stati identificati (cfr. ibidem, doc. 14, non prodotto nel primo grado di<br />

giudizio).<br />

1.2. Ciò posto, con ricorso proposto sub R.G. 2020 del 2010 proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede<br />

di M<strong>il</strong>ano, i Signori Giancarlo e Nicoletta Zorzan, nonché <strong>il</strong> Sig. Maman Seibou, in proprio nonchè quale legale<br />

rappresentante dell’Associazione Da’awa, hanno chiesto l’annullamento dell’anzidetta ordinanza n. 133 dd. 22<br />

luglio 2010 del Dirigente preposto al Settore Urbanistica, Ed<strong>il</strong>izia, SUE/SUAP del Comune di Giussano, nonché<br />

della presupposta comunicazione Prot. 20344 dd. 20 luglio 2010 della Polizia Locale, nonché di ogni altro atto<br />

presupposto e consequenziale, tra cui – segnatamente - delle relazioni di servizio n. 147 dd. 10 luglio 2010, n.<br />

144 dd. 12 luglio 2010 e n. 157 dd. 20 luglio 2010 n. 157.<br />

Con un primo motivo di ricorso è stata dedotta l’avvenuta violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241,<br />

dell’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e dell’art. 52 della L.R. 12 del 2005, oltrechè di diverse norme<br />

costituzionali ed eccesso di potere sotto svariati prof<strong>il</strong>i, assumendo che i locali non sarebbero stati affatto<br />

destinati a "luogo di culto" posto che <strong>il</strong> culto medesimo si porrebbe in termini di mera occasionalità e, comunque,<br />

nell’alveo della complessiva attività statutaria dell’Associazione, espressione a sua volta di libertà<br />

costituzionalmente garantite;<br />

di conseguenza, la realizzazione asseritamente abusiva del tavolato andrebbe ricondotto nell’ambito dell’attività<br />

ed<strong>il</strong>izia libera e sarebbe irr<strong>il</strong>evante sotto <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o strettamente ed<strong>il</strong>izio, anche perché lo spazio destinato alle<br />

riunioni dei fedeli sarebbe inferiore al 50% della superficie dell’immob<strong>il</strong>e.<br />

Con un secondo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per<br />

indeterminatezza dell’azione amministrativa sussisterebbero in quanto l’atto repressivo dell’abuso ed<strong>il</strong>izio<br />

menzionerebbe la violazione del vigente strumento urbanistico senza peraltro mai indicare quale ne sia la norma<br />

concretamente violata.<br />

Ad ogni buon conto, gli stessi ricorrenti in primo grado hanno pure dedotto la violazione dell’art. 42 delle N.T.A.<br />

dello strumento urbanistico del Comune di Giussano, assumendo che, all’epoca dei sopralluoghi, l’Associazione<br />

Da’awa stava completando i lavori di adeguamento dell’immob<strong>il</strong>e al fine di destinarlo a propria sede associativa<br />

(asseritamente del tutto compatib<strong>il</strong>e con quella attuale di "negozio"): donde la continua presenza di persone "per<br />

vedere lo stato d’avanzamento dei lavori d’imbiancatura" (così a pag. 8 del ricorso in primo grado).<br />

I ricorrenti hanno anche sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 3-bis della L.R. 12<br />

del 2005 per asserita violazione degli artt. 2, 3, 8, 9, 18, 19 e 20 Cost., ed hanno proposto domanda risarcitoria<br />

del danno esistenziale asseritamente patito dai fedeli, in relazione al turbamento loro causato dai sopralluoghi<br />

effettuati dalle Forze dell’ordine.<br />

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1.3. In tale primo grado di giudizio non si è costituito <strong>il</strong> Comune di Giussano; né si è costituita la parimenti<br />

intimata Regione Lombardia.<br />

1.4. Con sentenza n. 7050 dd. 25 ottobre 2010 resa in forma semplificata a’ sensi degli artt. 60 e 74 cod. proc.<br />

amm. la Sezione II^ del T.A.R. per la Lombardia ha accolto in parte <strong>il</strong> ricorso degli Zorzan e del Seibou,<br />

annullando segnatamente l’impugnata ordinanza n. 133 dd. 22 luglio 2010 del Dirigente preposto al Settore<br />

Urbanistica, Ed<strong>il</strong>izia, SUE/SUAP del Comune di Giussano ma respingendo la domanda risarcitoria<br />

contestualmente proposta dai ricorrenti medesimi.<br />

In tale senso <strong>il</strong> T.A.R. ha evidenziato che l’unità immob<strong>il</strong>iare di cui trattasi è stata data in locazione per lo<br />

svolgimento di attività che non comportano contatti diretti con <strong>il</strong> pubblico, e che i ricorrenti hanno impugnato<br />

l’anzidetta ordinanza dirigenziale n. 133 del 2010 e gli atti ad essa presupposti e conseguenti "assumendo che:<br />

non vi è stato alcun mutamento di destinazione d’uso finalizzato alla creazione di un luogo di culto, e la<br />

realizzazione di un divisorio interno rientra nell’ambito dell’attività ed<strong>il</strong>izia libera ex art. 6 del T.U. dell’ed<strong>il</strong>izia,<br />

approvato con D.P.R. 380 del 2001 (primo motivo); l’ordinanza omette ogni indicazione della norma urbanistica<br />

che <strong>il</strong> Comune reputa violata (secondo motivo); <strong>il</strong> mutamento d’uso, da negozio a sede associativa, è conforme<br />

alla destinazione urbanistica dell’immob<strong>il</strong>e (B1.4), normata dall’art. 42 n.t.a. del PGT (secondo motivo bis)",<br />

nonché deducendo "l’incostituzionalità dell’art. 52, comma 3 bis, della legge regionale Lombardia n. 12/2005, per<br />

violazione degli artt. 2, 3, 8, 9, 18, 19, 20 e 21 Cost., per <strong>il</strong> fatto che detta disposizione, ove intendesse<br />

subordinare a permesso di costruire i mutamenti di destinazione d’uso (anche senza opere) finalizzati alla<br />

creazione di luoghi di culto, comprendendo in tale nozione anche i centri culturali in cui si eserciti privatamente<br />

ed occasionalmente la preghiera religiosa, discriminerebbe inammissib<strong>il</strong>mente l’uso di culto rispetto ad ogni altro<br />

genere di usi, in violazione del diritto costituzionale alla libertà di espressione del pensiero, alla libertà di<br />

associazione nonché alla libertà religiosa in tutte le sue manifestazioni, in particolare violando l’art. 20 della<br />

Costituzione, secondo cui <strong>il</strong> carattere ecclesiastico e <strong>il</strong> fine di religione o di culto d'una associazione od<br />

istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, nè di speciali gravami fiscali per la sua<br />

costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività".<br />

Il giudice di primo grado ha, quindi, "considerato che: l’ordinanza muove dal presupposto che sia stata<br />

abusivamente modificata la destinazione d’uso dell’immob<strong>il</strong>e da negozio a luogo di culto, in contrasto con <strong>il</strong> PGT<br />

e in violazione dell’art. 52, comma 3 bis, della legge regionale lombarda 11 marzo 2005 n. 12 (legge per <strong>il</strong><br />

governo del territorio); in punto di fatto <strong>il</strong> Comune trae <strong>il</strong> proprio convincimento al riguardo da rapporti di servizio<br />

della Polizia Locale dai quali emerge (per quanto è dato ricavare dalle copie prodotte in giudizio, r<strong>il</strong>asciate ai<br />

ricorrenti con la schermatura delle generalità dei presenti) che in occasione di sopralluoghi e di controlli in loco<br />

gli agenti verbalizzanti hanno riscontrato la "presenza in sede di persone di religione islamica" (rapporto dd. 12<br />

luglio 2010) ovvero di persone "raccolte in preghiera" (rapporto dd. 20 luglio 2010)".<br />

Il T.A.R. ha conseguentemente "ritenuto che: l’art. 52, comma 3 bis, della legge regionale (<strong>il</strong> quale stab<strong>il</strong>isce che<br />

"i mutamenti di destinazione d’uso di immob<strong>il</strong>i, anche non comportanti la realizzazione di opere ed<strong>il</strong>izie,<br />

finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali, sono assoggettati a permesso di<br />

costruire"),per la sua collocazione e la sua ratio è palesemente volto al controllo di mutamenti di destinazione<br />

d’uso suscettib<strong>il</strong>i, per l’afflusso di persone o di utenti, di creare centri di aggregazione (chiese, moschee, centri<br />

sociali, ecc.) aventi come destinazione principale o esclusiva l’esercizio del culto religioso o altre attività con<br />

riflessi di r<strong>il</strong>evante impatto urbanistico, che richiedono la verifica delle dotazioni di attrezzature pubbliche<br />

rapportate a dette destinazioni;<br />

la norma non pare quindi applicab<strong>il</strong>e nel caso in cui l’immob<strong>il</strong>e venga ut<strong>il</strong>izzato da un’associazione culturale in<br />

cui <strong>il</strong> fine religioso rivesta carattere di accessorietà e di marginalità nel contesto degli scopi statutari;la previsione<br />

statutaria (art. 3) che comprende tra gli scopi dell’Associazione l’ "organizzare preghiere individuali e collettive"<br />

ovvero <strong>il</strong> "far rivivere gli insegnamenti del Profeta (Sunna) e la rivelazione Divina (Corano)" non costituisce<br />

elemento sufficiente a identificare detta sede con un "luogo di culto" assoggettab<strong>il</strong>e alla predetta disciplina; del<br />

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pari insufficiente è la circostanza che nella sede dell’associazione sia stata occasionalmente riscontrata la<br />

presenza di "persone di religione islamica" ovvero di "persone raccolta in preghiera", non potendosi qualificare,<br />

ai predetti fini, "luogo di culto" un centro culturale o altro luogo di riunione nel quale si svolgano, privatamente e<br />

saltuariamente, preghiere religiose, tanto più ove si consideri che - come questo Tribunale ha avuto modo di<br />

statuire in una fattispecie sim<strong>il</strong>are (cfr. T.A.R. Lombardia, M<strong>il</strong>ano, Sez. II, 17 settembre 2009 n. 4665) - non r<strong>il</strong>eva<br />

di norma ai fini urbanistici l’uso di fatto dell’immob<strong>il</strong>e in relazione alle molteplici attività umane che <strong>il</strong> titolare è<br />

libero di esplicare;<br />

ove altrimenti interpretata, la norma regionale si esporrebbe a dubbi di legittimità costituzionale".<br />

Per quanto, da ultimo, attiene alla domanda risarcitoria <strong>il</strong> T.A.R. ha "considerato che <strong>il</strong> danno economico<br />

derivante dalla necessità di difendersi in giudizio trova rifusione all’interno del processo, nella disciplina delle<br />

spese di causa", nel mentre "<strong>il</strong> danno esistenziale (turbamento emotivo e psicologico) derivante dal divieto di<br />

esercitare in loco attività di culto non è comprovato, né nell’an né nel quantum, e non può essere comunque<br />

fatto valere dall’Associazione insostituzione dei singoli associati che avrebbero subito la compressione di diritti<br />

garantiti dalla carta costituzionale".<br />

Nell’espressa considerazione della parziale soccombenza del Comune, <strong>il</strong> giudice di primo grado ha condannato<br />

quest’ultimo al pagamento delle spese del giudizio, complessivamente liquidate nella misura di € 2.000,00.-,<br />

oltre ad I.V.A. e C.P.A.<br />

2.1. Con l’appello in epigrafe <strong>il</strong> Comune di Giussano chiede la riforma della sentenza sopradescritta, deducendo<br />

in via preliminare che l’atto introduttivo del relativo giudizio è stato notificato a mezzo del servizio postale da<br />

Ufficiale giudiziario incompetente, addetto infatti nella specie all’Ufficio notifiche del Tribunale di Monza anziché<br />

addetto all’Ufficio notifiche della Corte d’Appello di M<strong>il</strong>ano.<br />

Dalla nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado discenderebbe pertanto ad avviso<br />

dell’appellante Amministrazione Comunale l’inammissib<strong>il</strong>ità del relativo ricorso, tenendo in considerazione la<br />

circostanza che la nullità medesima non è stata nella specie sanata dalla costituzione delle parti intimate, ossia<br />

dello stesso Comune e della Regione Lombardia, per l’appunto non costituitisi nel giudizio di primo grado.<br />

Nel merito, con un primo ordine di censure <strong>il</strong> Comune deduce l’avvenuto travisamento dei presupposti di fatto e<br />

di diritto, nonché difetto di istruttoria per quanto segnatamente attiene all’interpretazione dello statuto associativo<br />

fatta dal giudice di primo grado e alla reputata "occasionalità" dell’attività di culto praticata nella sede<br />

associativa.<br />

Con un secondo ordine di censure <strong>il</strong> Comune deduce invece eccesso di potere per <strong>il</strong>logicità manifesta e<br />

travisamento dei presupposti di fatto e di diritto per quanto attiene alla destinazione d’uso dell’immob<strong>il</strong>e.<br />

2.2. Si sono costituiti in giudizio gli appellati Zorzan e Seibou, eccependo preliminarmente, a loro volta,<br />

l’inammissib<strong>il</strong>ità dell’appello proposto dal Comune per invalidità della procura ad litem apposta in calce all’atto<br />

introduttivo del presente giudizio, e ciòin quanto la sottoscrizione della procura medesima non risulta autenticata<br />

da un avvocato ab<strong>il</strong>itato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, a’ sensi dell’art. 33 del R.D.L. 27<br />

novembre 1933 n. 1578 convertito con modificazioni in L. 22 gennaio 1934 n. 36.<br />

Sempre in via preliminare gli appellati hanno chiesto l’inammissib<strong>il</strong>ità di tutte le nuove produzioni documentali<br />

del Comune di Giussano non presenti nel fascicolo processuale di primo grado, e segnatamente identificate<br />

nelle relazioni di polizia susseguenti alla data del 23 luglio 2010.<br />

Nel merito gli appellanti concludono per la conferma della sentenza resa in primo grado e, per tuziorismo,<br />

ripropongono comunque anche nel presente grado di giudizio la questione di costituzionalità dell’art. 52, comma<br />

3-bis della L.R. 12 del 2005 già sollevata innanzi al T.A.R.<br />

3. Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.<br />

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4. Il Collegio deve innanzitutto farsi carico di disaminare l’eccezione di inammissib<strong>il</strong>ità del ricorso dedotta dagli<br />

appellati, secondo la quale risulterebbe nulla la procura ad litem apposta in calce all’atto introduttivo del<br />

presente giudizio in quanto la sottoscrizione della procura medesima non risulta autenticata da un avvocato<br />

ab<strong>il</strong>itato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.<br />

Tale eccezione è infondata.<br />

In effetti, un’ormai remota giurisprudenza condivide la tesi degli appellati (cfr., ad es., Cass, Sez. II, 16 maggio<br />

1975 n. 1904 e, soprattutto, Cass., SS.UU., 19 dicembre 1989 n. 5664, secondo la quale - per l’appunto -<br />

qualora la firma della parte, nella procura in calce od a margine del ricorso per cassazione, sia certificata<br />

autografa da un difensore non iscritto all’albo dei patrocinanti in cassazione, cui sia stato conferito <strong>il</strong> mandato<br />

unitamente ad altro difensore iscritto a tale albo, si verifica l’inammissib<strong>il</strong>ità del ricorso medesimo, pure se<br />

sottoscritto da quell’altro difensore, considerato che tale certificazione è affetta da invalidità, perché <strong>il</strong> potere di<br />

effettuarla presuppone la sussistenza dello ius postulandi, e che, inoltre, l’invalidità o mancanza della<br />

certificazione stessa implica divergenza dell'atto d'impugnazione dal modello legale di cui all'art. 365 c.p.c., con<br />

<strong>il</strong> difetto del requisito essenziale costituito dall'esistenza di procura certa ed anteriore alla notificazione; cfr.,<br />

altresì, più recentemente, Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2003 n. 2515, secondo cui è inammissib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> ricorso al<br />

Consiglio di Stato sottoscritto dal solo difensore iscritto nell’albo speciale allorquando l’autenticazione del<br />

mandato speciale, r<strong>il</strong>asciato a suo favore in calce al ricorso, sia stata effettuata invece da avvocato non ab<strong>il</strong>itato<br />

al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori).<br />

.<br />

Tuttavia, più recentemente, la giurisprudenza ha affermato che la domanda giudiziale è sempre valida ogni qual<br />

volta, anche in mancanza di sottoscrizione da parte di un difensore ab<strong>il</strong>itato, sussistono concorrenti elementi<br />

idonei ad imputare l’atto, sul piano sostanziale, ad altro difensore munito di ius postulandi e, in particolare,<br />

quando l’atto di appello sia stato sottoscritto – come, per l’appunto, nel caso di specie - anche da un altro<br />

procuratore competente (o destinatario della procura ) che abbia svolto attività difensiva (cfr. sul punto, Cons.<br />

Stato, Sez. V, 8 marzo 2006, n. 2873): e ciò in quanto la nullità della certificazione di autenticità della procura<br />

eseguita da procuratore non ab<strong>il</strong>itato non determina l’inammissib<strong>il</strong>ità dell’atto allorquando la procura stessa sia<br />

stata conferita anche ad altro avvocato ab<strong>il</strong>itato e questi abbia sottoscritto l’atto stesso nella cui epigrafe sia<br />

richiamata la procura a margine (o in calce), giacché, in tale ipotesi, <strong>il</strong> difensore ab<strong>il</strong>itato con la sottoscrizione<br />

dell’atto cui è incorporata la procura certifica, altresì, l’autenticità della firma di colui che risulta aver conferito la<br />

procura medesima (cfr. ibidem, con richiamo ai puntuali precedenti in tal senso di Cass. Civ., Sez. III, 2 maggio<br />

1996 n. 4009 e di Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2000 n. 2873).<br />

5. Sempre in via preliminare, <strong>il</strong> Collegio deve pure farsi carico di disaminare l’eccezione sollevata dall’appellante<br />

Comune in ordine all’ammissib<strong>il</strong>ità del ricorso proposto in primo grado dagli attuali appellati, reputato a sua volta<br />

inammissib<strong>il</strong>e in quanto notificato a mezzo posta da ufficiale giudiziario incompetente.<br />

Il Collegio, pur evidenziando che la questione risulta recessiva nell’economia di causa in quanto – come sarà<br />

evidenziato nel successivo § 7 – <strong>il</strong> ricorso proposto in primo grado dai Signori Zorzan e Seibou è comunque<br />

infondato nel merito, non sottace che, per giurisprudenza ormai prevalente, la violazione delle norme sulla<br />

competenza degli ufficiali giudiziari non comporta la nullità della notificazione , bensì una mera irregolarità che<br />

assume r<strong>il</strong>ievo soltanto nei confronti dell’ufficiale giudiziario incompetente, nel mentre è ininfluente sulla ritualità<br />

della notificazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2007 n. 2849 e 14 dicembre 2004 n. 8072;<br />

Sez. V, 25 febbraio 1999 n. 224 e 1 ottobre 1982 n. 692; A.P. 23 marzo 1982 n. 4), prescindendo anche dal<br />

contemplare (come viceversa seguita a fare la Corte di Cassazione: cfr. sul punto, ad es., Cass. Sez. lav., 11<br />

giugno 2004 n. 11140) la necessità di sanatoria con effetto retroattivo mediante costituzione della parte intimata<br />

anche nel caso in cui la costituzione stessa avvenga dichiaratamente al solo scopo di eccepire tale<br />

incompetenza.<br />

6. Ancora in via preliminare e in dipendenza di quanto disposto dall’art. 104, comma 2, cod. proc. amm. va<br />

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accolta l’istanza degli appellati in ordine all’inammissib<strong>il</strong>ità di tutte le nuove produzioni documentali<br />

dell’appellante Comune di Giussano non presenti nel fascicolo processuale di primo grado e segnatamente<br />

identificate nelle relazioni di polizia susseguenti alla data del 23 luglio 2010.<br />

7. Tutto ciò doversosamente premesso, e come detto innanzi, la sentenza resa in primo grado va riformata e –<br />

per l’effetto – <strong>il</strong> ricorso ivi proposto va respinto.<br />

Il Collegio ribadisce in tal senso che, come evidenziato anche nella recente ordinanza cautelare n. 2008 dd. 10<br />

maggio 2011, se un immob<strong>il</strong>e non risulta sia ut<strong>il</strong>izzato in via esclusiva quale luogo di culto (diritto, questo, <strong>il</strong> cui<br />

esercizio è comunque garantito anche ai non cittadini a’ sensi e nei limiti dell’art. 19 Cost.), in linea di principio<br />

non è possib<strong>il</strong>e affermare la sussistenza di un’incompatib<strong>il</strong>ità ed<strong>il</strong>izio-urbanistica della destinazione d’uso<br />

dell’immob<strong>il</strong>e medesimo, <strong>il</strong> quale peraltro consterebbe sia a tutt’oggi nella specie adibito a "negozio",anche se<br />

poi divenuto sede dell’Associazione Culturale Da’awa.<br />

L’esame dello statuto di tale Associazione e delle circostanze di fatto documentate sino alla predetta data del 23<br />

luglio 2011 convincono tuttavia <strong>il</strong> Collegio della circostanza che, a differenza del caso definito in sede cautelare<br />

da questa stessa Sezione mediante l’anzidetta ordinanza n. 2008 del 2001, nella fattispecie non risulta<br />

materialmente comprovato lo svolgimento da parte della Associazione medesima di attività diverse da quelle<br />

proprie della preghiera, nondimeno reputata in via del tutto apodittica dal T.A.R. come accessoria e marginale<br />

nel contesto degli scopi statutari perseguiti da Da’awa.<br />

In effetti, nell’estrema genericità dei pur commendevoli scopi di carattere generale enunciati dallo statuto di<br />

Da’awa ("rafforzare <strong>il</strong> legame di fratellanza umana tra comunità e i cittadini locali attraverso lo scambio culturale,<br />

la collaborazione sociale, la vicinanza civ<strong>il</strong>e all’interno di un quadro di rispetto e di integrazione" ; "essere un<br />

elemento di una area di convivenza e di pace, promuovendo una condotta morale che porti alla pratica del<br />

bene";<br />

"far rivivere gli insegnamenti del Profeta - Sunna e la rivelazione Divina - Corano"), la specifica attività di<br />

"organizzare preghiere individuali e collettive" assume all’evidenza un carattere non occasionale ma del tutto<br />

preminente: e ciò inderogab<strong>il</strong>mente impone, pertanto, l’applicazione nella specie dell’art. 52, comma 3-bis della<br />

L.R. 11 marzo 2005 n. 12 come introdotto dall’art. 1 della L.R. 14 luglio 2006 n. 12, laddove si dispone la<br />

necessità del r<strong>il</strong>ascio del permesso di costruire per i "mutamenti di destinazione d’uso di immob<strong>il</strong>i, anche non<br />

comportanti la realizzazione di opere ed<strong>il</strong>izie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri<br />

sociali".<br />

Né va sottaciuto che l’art. 70 e ss. della medesima L.R. 12 del 2005 reca una specifica disciplina urbanistica per<br />

i luoghi di culto e che, medio tempore, lo ius superveniens contenuto nell’art. 71, comma 1, lett. c – bis, della<br />

L.R. 11 marzo 2005 n. 12, così come inserito dall’art. 12 della L.R. 21 febbraio 2011 n. 3, ha comunque<br />

ricondotto nella categoria delle "attrezzature di interesse comune per servizi religiosi … gli immob<strong>il</strong>i (comunque)<br />

destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità<br />

statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali<br />

sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali".<br />

In tale contesto, pertanto, la trasformazione – inoppugnab<strong>il</strong>mente avvenuta nella specie – del preesistente<br />

"negozio" in luogo preminentemente adibito a culto non poteva che richiedere, anche a prescindere dalla<br />

concomitantemente contestata realizzazione al piano seminterrato di un tavolato interno, <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ascio del titolo<br />

ed<strong>il</strong>izio ab<strong>il</strong>itante al mutamento della destinazione d’uso dei relativi locali.<br />

Né la disciplina contenuta nel testè citato art. 52, comma 3-bis della L.R. 12 del 2005 come introdotto dall’art. 1<br />

della L.R. 12 del 2006 può reputarsi incostituzionale secondo la prospettazione svolta in tal senso dagli appellati.<br />

Secondo questi ultimi, infatti, tale disciplina violerebbe l’art. 2 Cost. (riconoscimento costituzionale dei diritti<br />

inviolab<strong>il</strong>i dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali; tra i diritti inviolab<strong>il</strong>i dell’uomo vi è <strong>il</strong> diritto alla<br />

preghiera religiosa ed al culto); l’art. 3 Cost. (violazione del principio d’eguaglianza e ragionevolezza in quanto<br />

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sarebbe chiara la discriminazione che la Regione Lombardia pone a coloro che vogliano destinare i locali, anche<br />

senza opere, a luogo di culto - necessità di operare con permesso di costruire - rispetto a tutti gli altri cittadini<br />

che vogliano effettuare un mutamento di destinazione d'uso d’altro genere - <strong>il</strong> permesso di costruire non<br />

necessita. è sufficiente la denuncia d’inizio attività, o la semplice comunicazione) l’art. 8 Cost. (libertà di tutte le<br />

confessioni religiose davanti alla legge);<br />

l’art. 9 Cost. (promozione dello sv<strong>il</strong>uppo della cultura);<br />

gli artt. 18 e 19 Cost. (a mezzo della contestata disciplina regionale si inciderebbe e si annullerebbe <strong>il</strong> diritto di<br />

associarsi liberamente ed <strong>il</strong> diritto di professare liberamente la propria fede religiosa al fine di farne propaganda -<br />

anche a mezzo di associazioni culturali- ed anche per esercitare in pubblico ed in privato <strong>il</strong> proprio culto);<br />

l’art. 20 Cost. (si violerebbe <strong>il</strong> divieto costituzionale di non porre speciali limitazioni legislative per ogni forma<br />

d’attività dell’associazione con fine di culto);<br />

e, da ultimo, l’art. 21 Cost. (si inciderebbe e si annullerebbe <strong>il</strong> diritto di manifestare liberamente <strong>il</strong> proprio<br />

pensiero costituito anche dall’esercizio del culto.<br />

Il Collegio a tale ultimo riguardo evidenzia che lo stesso giudice di primo grado ha convenuto che l’art. 52,<br />

comma 3-bis della L.R. 12 del 2005 per la sua collocazione e la sua ratio è palesemente volto al controllo di<br />

mutamenti di destinazione d’uso suscettib<strong>il</strong>i, per l’afflusso di persone o di utenti, di creare centri di aggregazione<br />

(chiese, moschee, centri sociali, ecc.) aventi come destinazione principale o esclusiva l’esercizio del culto<br />

religioso o altre attività con riflessi di r<strong>il</strong>evante impatto urbanistico, le quali richiedono la verifica delle dotazioni di<br />

attrezzature pubbliche rapportate a dette destinazioni: se non altro agli effetti dell’altrettanto necessario e<br />

conseguente r<strong>il</strong>ascio del certificato di agib<strong>il</strong>ità (cfr. art. 23 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n.<br />

380) dell’immob<strong>il</strong>e destinato al nuovo uso, nonchè della parimenti necessaria e conseguente pratica di<br />

prevenzione incensi di cui al D.P.R. 12 gennaio 1998 n. 37 di competenza dei Vig<strong>il</strong>i del Fuoco.<br />

Pertanto non sussiste, nel contesto del medesimo comma 3-bis, alcuna discriminazione di carattere politicoculturale<br />

e religioso, anche per <strong>il</strong> fatto che la disciplina sopradescritta è uniformemente applicata ad ogni luogo<br />

di culto, anche cattolico, nonché ad ogni centro sociale, di qualsivoglia tendenza socio-politica, al fine di<br />

salvaguardare l’incolumità di tutti coloro che frequentano tali luoghi di riunione.<br />

8. Le spese e gli onorari possono essere integralmente compensati per entrambi i gradi di giudizio, nel mentre <strong>il</strong><br />

contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 è posto a carico degli attuali appellati,<br />

sempre per entrambi i gradi di giudizio.<br />

P.Q.M.<br />

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)<br />

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza<br />

impugnata, respinge <strong>il</strong> ricorso proposto in primo grado.<br />

Compensa integralmente le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio, nel mentre pone a carico degli appellati<br />

<strong>il</strong> contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 per entrambi i gradi di giudizio.<br />

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.<br />

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:<br />

Giorgio Giaccardi, Presidente<br />

Diego Sabatino, Consigliere<br />

Guido Romano, Consigliere<br />

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Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore<br />

S<strong>il</strong>via La Guardia, Consigliere<br />

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 27/10/2011<br />

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