1 Il problema del doppio complementatore nei primi volgari d'Italia1 ...
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<strong>Il</strong> <strong>problema</strong> <strong>del</strong> <strong>doppio</strong> <strong>complementatore</strong> <strong>nei</strong> <strong>primi</strong> <strong>volgari</strong> d’Italia 1<br />
NIGEL VINCENT<br />
Università di Manchester<br />
nigel.vincent@manchester.ac.uk<br />
1. INTRODUZIONE<br />
<strong>Il</strong> costrutto di cui si parlerà in questo intervento non è certamente sconosciuto. I<br />
filologi ne fanno frequente menzione <strong>nei</strong> loro commenti ai testi antichi; Dieter<br />
Wanner (1995) ha schizzato un utile panorama <strong>del</strong>la sua attestazione nelle prime fasi<br />
dei <strong>volgari</strong> romanzi e Sandra Paoli (2003a) ha dedicato a tale fenomeno una<br />
bellissima tesi ricca di spunti descrittivi e teorici. Nel contesto di questa ricerca<br />
precedente il mio contributo vuole:<br />
i) documentare più da vicino la distribuzione geografica o diatopica <strong>del</strong> costrutto<br />
all’interno <strong>del</strong> territorio italo-romanzo nel medievo;<br />
ii) studiarne la distribuzione diastratica/diamesica e la motivazione funzionale; 2<br />
iii) offrire una nuova interpretazione teorica.<br />
2. ESEMPLIFICAZIONE E TIPOLOGIA TESTUALE<br />
Come si è già detto, il fenomeno <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong> <strong>doppio</strong>, o eventualmente<br />
triplo, è stato spesso rilevato da chi ha curato l’edizione di testi antichi e viene di<br />
solito attribuito ai fattori estrinseci, o se si vuole pragmatici, che condizionavano la<br />
composizione e la circolazione <strong>del</strong> testo. Sentiamo in questo riguardo Arrigo<br />
Castellani (1968: 317), il quale commentando gli esempi riportati qui in (1), osserva:<br />
‘È caratteristica <strong>del</strong>la prosa più spontanea la ripetizione di che dopo una frase<br />
interposta’. 3<br />
1 Questo lavoro è stato presentato durante la giornata di studi organizzata a Padova il 26<br />
aprile 2006 per inaugurare la rivista elettronica LabRomAn. Ringrazio Nicoletta Penello per<br />
avermi invitato a parlare in quell’occasione e per avere voluto rivedere la lingua <strong>del</strong>la versione<br />
scritta. Esprimo la mia gratitudine all’Arts and Humanities Research Council che ha<br />
generosamente finanziato il progetto noto con la sigla SAVI (Sintassi degli Antichi Volgari<br />
d’Italia) dal quale derivo la maggior parte dei dati che sono oggetto di discussione in questo<br />
intervento. Grazie anche a Guglielmo Cinque, Giuliana Giusti, Cecilia Poletto e Lorenzo Renzi<br />
per i preziosi commenti che mi hanno offerto dopo la presentazione padovana. Tengo inoltre a<br />
ringraziare l’amica Mair Parry non soltanto per l’entusiasmo e la dedizione con cui ha<br />
collaborato al progetto SAVI ma anche, e in questa sede più pertinentemente, per avermi<br />
segnalato tutti gli esempi liguri e piemontesi <strong>del</strong> costrutto qui citati.<br />
Questo saggio ha un compagno, direi quasi un gemello (ma non identico!), in lingua inglese<br />
dal titolo ‘Double complementizer constructions in the dialects of medieval Italy’ presentato al<br />
Cambridge Italian Dialect Syntax Meeting, Downing College, Cambridge, 20-22 aprile 2006. I<br />
due lavori rimangono comunque indipendenti sia per la loro strutturazione sia per il fatto che<br />
si sia preferito nel presente contributo dare più rilievo alla parte empirica offrendo il panorama<br />
più ricco possibile degli esempi raccolti in base allo studio dei testi antichi e rimandando invece<br />
all’altro intervento l’ulteriore sviluppo <strong>del</strong>l’aspetto teorico.<br />
2 Anche se la dimensione diastratica potrebbe sembrare di difficile applicabilità trattandosi di<br />
una lingua storica di cui la sola attestazione è necessariamente scritta, ci sono senz’altro<br />
parametri di variabilità tra i diversi tipi di testo che rispecchiano indirettamente modalità di<br />
comunicazione quali la distinzione tra lingua orale e lingua scritta che è la classica portata<br />
<strong>del</strong>la diamesia (Berruto 1993: 8-14). Per una discussione più approfondita di questa questione<br />
in sede di testi antichi si rinvia al fondamentale saggio di Francesco Sabatini (1983).<br />
3 Nel citare gli esempi adopero la convenzione di mettere in grassetto i complementatori<br />
raddoppiati. Spero in questo modo di attirare l’attenzione <strong>del</strong> lettore sulle istanze di che che<br />
sono pertinenti alla nostra discussione evitando invece quelli come i <strong>primi</strong> due che in (1a) che<br />
hanno una funzione diversa.<br />
1
(1) a) Dicesti che ti faci meravilla ched io ti iscrisi che se tu avei pió denari che me<br />
li mandasi. (Lettera pisana, 33-34; 1323)<br />
b) io non volio pió dire se non … che se mancha nulla a legnio che voi lo<br />
diciate al padrone. (Lettera pisana, 47-50; 1323)<br />
c) Anchora ti richordo e dicho, che se tu ài in chasa fanciulle o donne giovani,<br />
che tu loro ghastighi e tenghi a freno. E ben che, come molte volte aviene,<br />
ch’elle o alchuna di loro sieno guatate da giovani … (Paolo da Certaldo Libro<br />
di buoni costumi, cap 331; XIV sec, s.m.)<br />
A tale commento possiamo accostare il parere di Alfredo Stussi a proposito di esempi<br />
veneziani quali quelli in (2): ‘L’esempio più frequente di queste ridondanze per così<br />
dire chiarificatrici è la ripetizione <strong>del</strong>la congiunzione che qualora tra essa e il verbo<br />
dipendente sia stata inserita una frase parentetica’ (Stussi 1965: lxxvii).<br />
(2) a) prego li mie’ comessarii che, pasado io de sta vita, ch’eli despaça … (Cedola<br />
di Marinello Trevisan, 10r [= Stussi 1965, p.110]; 1314)<br />
b) prego eli per reverencia de Dio que se io no li lasase tuto quelo io son<br />
tenudo, qu’eli me perdona. (Cedola di Biagio Bon, 21-2 [= Stussi 1965, p.<br />
67]; 1310)<br />
c) ordeno et voio que, se mia muier vol vedoare et stare con li so fenti, qu’ela<br />
abia vito et vistito. (Cedola di Biagio Bon, 21-2 [= Stussi 1965, p. 67];<br />
1310)<br />
Nello Bertoletti (2001: 235) ne nota un esempio in una lettera modenese <strong>del</strong><br />
Trecento dove scorge le ‘caratteristiche formali di ridondanza come ad esempio le<br />
riprese <strong>del</strong>la congiunzione che’:<br />
(3) Et om ve prega che, se vo porté monetha, che vo gardà cum’ o ve la dugé, che<br />
vo la porté plu aschosa che vo podeti.<br />
E da una lettera mercantile ligure contemporaneo citiamo un caso molto simile:<br />
(4) …e ue prego che de lo seruixo che ue scrisi per ianon che voi fazai uestra posa<br />
de compirle (Liguria, Lettera commerciale, 1367, 44-47; Gabotto 1915: 84)<br />
<strong>Il</strong> termine ‘ridondanza’ adoperato da Stussi, e sulle sue orme anche da Bertoletti,<br />
non è forse il più appropriato dato che, come infatti fa notare lo studioso pisano, il<br />
costrutto adempie ad una ben determinata funzione pragmatica, ossia quella di<br />
rendere più trasparente l’articolazione sintattica e concettuale di un periodo<br />
complesso e in cui il lettore rischia di perdere il filo. In questo senso e malgrado<br />
quanto dice Castellani non sorprende che il costrutto ricorra anche in testi tutt’altro<br />
che sponta<strong>nei</strong> quali statuti e contratti. Si vedano gli esempi riportati in (5) che<br />
provengono dalla preziosa edizione di statuti viterbesi <strong>del</strong> Trecento curati dalla<br />
compianta Paola Sgrilli:<br />
(5) a) ordinamo che qualunqua serà chiamatu ali predecti officii overo servitii che<br />
elli deianu ricepare benegnamente. (Sgrilli Vit p.7)<br />
b) ordinamo ke quando niunu passarà di questa presente vita che ‘l<br />
governatore deia mandare quattro o sei di quelli … (Sgrilli Vit p.12)<br />
c) Statuimo et ordinamo che’l dì <strong>del</strong>la vigilia <strong>del</strong>la nativitade <strong>del</strong> nostro signore<br />
(Iesu) (Cristo) che non si occida bestia veruna (Statuto <strong>del</strong>l’Arte dei Macellai<br />
<strong>del</strong> Macello Minore 1384, 1v.12, p.181).<br />
2
d) Statuimo che quando lu Salvatore, cioè nella vigilia di sancta Maria d’agosto,<br />
si riposa alla ecclesia di Sancta Maria Nova, che’l cerio <strong>del</strong>l’arte sia pesato<br />
(Statuto <strong>del</strong>l’Arte dei Macellai <strong>del</strong> Macello Minore 1384, 4r.21, p.184).<br />
e) Ordinamo che, qualunqua fusse electo scendico [= sindaco] et ricusasse di<br />
non volere essere, che subito cagia in pena di xx soldi (Statuto <strong>del</strong>l’Arte dei<br />
Macellai <strong>del</strong> Macello Minore 1384, 4v.10, p.185).<br />
Nella fattispecie tale uso, quasi formulaico, <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong> ripetuto è un<br />
costante <strong>del</strong>la lingua degli statuti da tutte le regioni nel Tre- e Quattrocento (e più<br />
raramente anche nel Duecento). Troviamo quindi nell’edizione degli Statuti di Ascoli<br />
Piceno curata da Breschi & Vignuzzi (1999): 4<br />
(6) a) Ordinemo che chi trovarà alcuno animale, che non se saperà overo non se<br />
trovarà quillo de chi è per quillo dì, che ine lu terço dì debia quillo fare<br />
bandire per la ciptade (Statuti di Ascoli Piceno, 1496, p.308)<br />
b) Ordinemo che se alcuno darrà alcuna petitione contra li recturi de la dicta<br />
ciptà overo soj officiali overo famigli, ne lu tempo <strong>del</strong> soj sindicato, che la<br />
dicta petitione non se possa provare (Statuti di Ascoli Piceno, 1496, p.250)<br />
A Siena, Banchi (1871) attesta:<br />
(7) a) Statuto et ordenato fue per lo generale Consillio de la Campana che di tucte<br />
le cose che sono scripte in questo quaderno, e di tutte quelle unde pagare si<br />
die kabella, che la decta kabella si paghi doppia (Statuto <strong>del</strong> <strong>doppio</strong>, 1303,<br />
p.27)<br />
b) Statuto e ordinato è che se lo salario de’ detti signori e camarlengo non<br />
bastasse a pagare le pene ne le quali sono caduti, che de la loro propia<br />
pecunia quello più sieno tenuti di pagare. (Cap LIX, p.110)<br />
c) Fermato è che se caso avenisse che si domandasse a l’Arte aiuto per alcuna<br />
cosa tolta o furata, che allora i rectori <strong>del</strong>l’Arte raunino xij capomaestri<br />
<strong>del</strong>l’Arte (Statuto <strong>del</strong>l’Arte <strong>del</strong>la Lana di Radicondoli, 1308, Cap XXXV,<br />
p.180)<br />
d) Item statuto è che se avenisse che si trovasse che alcuna famiglia stesse<br />
insieme, e alcuno di loro avesse giurato a l’Arte avessero diviso, che se<br />
quando el detto giuratore giurò, e’ stesse insieme con frategi carnagli o zii o<br />
nipoti carnagli o padre a uno pane et a uno vino, ch’e’rettori col loro<br />
Consiglio gli possano fare scrivare … (Statuto <strong>del</strong>l’Arte <strong>del</strong>la Lana di<br />
Radicondoli, 1308, Cap LII, p.188-9)<br />
Dal Piemonte e dalla Liguria abbiamo gli statuti chieresi (8) e quelli genovesi (9):<br />
(8) a) Neynt de mein romaneynt tuit gl'aitr capitor de la ditta compagnia en col<br />
qu'i fossen py fort en lor fermeça, en col veyrament que el present capitor<br />
fos py fort de gl'aytr sea derogatori o [?] otra dit e exceptà, que se alchun<br />
de la ditta compagnia staxent for de la iuridicion <strong>del</strong> comun de Cher avex<br />
discordia con alchuno alchoign qui ne foxen de Cher o <strong>del</strong> poeyr, que lo<br />
predit capitor no habia loo quant a porter le arme: en le aytre cosse<br />
veyrament romagna en la soa fermeça [Statuti chieresi]<br />
4 Ringrazio il comune di Ascoli Piceno che mi ha molto gentilmente fornito una copia <strong>del</strong>la<br />
bellissima edizione da esso pubblicata in occasione <strong>del</strong> cinquecentesimo anniversario <strong>del</strong>la<br />
stesura di questi statuti.<br />
3
(9) a) Ancora statuemo et ordenamo che se alcuna persona de esta vita<br />
passasse in alcun logo, che piascum de la dita Caritay con li soy prior sean<br />
tegnuy lo dito corpo andà a prende lo corpo morto migara V provo Zenoa<br />
(Statuti <strong>del</strong>la Compagnia dei Caravana <strong>del</strong> porto di Genova (1340-1600)<br />
(Gli) (a cura di Giorgio Costamagna, MATorino, s. IV, VIII, 1965, pp. 10;<br />
1340).<br />
b) Ancora statuemo et ordenamo che se arcuna persona fose chi avesse nisum<br />
dinà che se debia mette in la caseta, che ge li debia mete con un<br />
compagnon chi sea conseigo a veigeli mete per so descaregamento e honor<br />
(Statuti <strong>del</strong>la Compagnia dei Caravana <strong>del</strong> porto di Genova (1340-1600)<br />
(Gli) (a cura di Giorgio Costamagna, MATorino, s. IV, VIII, 1965, pp. 11);<br />
1340.<br />
c) Ancora statuemo e ordenamo che se alcuna persona de la dita<br />
Confraria fosse maroto che subitamenti quello chi saverà de quello dito<br />
fraello maroto che ello lo debia denuntiar a lo prior (Statuti <strong>del</strong>la Compagnia<br />
dei Caravana <strong>del</strong> porto di Genova (1340-1600) (Gli) (a cura di Giorgio<br />
Costamagna, MATorino, s. IV, VIII, 1965, p.11; 1340).<br />
Tra il polo costituito dalla lettera spontanea e l’altro che è lo statuto<br />
consapevolmente e accuratamente formulato esiste una gamma di generi e sottogeneri<br />
di testi e riscontriamo il nostro costrutto dapertutto. Elenchiamo qui di seguito<br />
i vari tipi di testi (i numeri rimandono agli esempi, inclusi anche quelli già citati):<br />
• lettere private (10)<br />
• lettere commerciali (8)<br />
• testamenti (9)<br />
• statuti (4, 19)<br />
• prediche (7)<br />
• cronache (14)<br />
• <strong>volgari</strong>zzamenti (5, 6, 15, 16)<br />
• trattatistica (1, 2, 3)<br />
• prosa letteraria (11)<br />
• poesia (12)<br />
Paradossalmente, il fenomeno sembra concentrarsi in due tipi opposti secondo il<br />
parametro di formalità: statuti e lettere, effetto a cui torneremo nella sezione finale<br />
di questo studio.<br />
(10) e divennero sì copiosi in dire che, per l’abondanza <strong>del</strong> molto parlare sanza<br />
condimento di senno, che cuminciaro a mettere sedizione e distruggimento<br />
nelle cittadi (Brunetto Latini La rettorica 28.4-6)<br />
(11) ch’i’ non discredo che, s’egli ‘l sapesse<br />
un che mi fosse nemico mortale,<br />
che di me di pieta[de] non piangesse<br />
[Cecco Angiolieri in Poeti <strong>del</strong> Duecento II.371, l.2-4]<br />
4
(12) ti priego che, se egli avviene ch’io muoja, che le mie cose ed ella ti sieno<br />
raccomandate (Decameron 2,7,84) 5<br />
(13) però vi priegho in lealtade e fede che, se ttue vuoli <strong>del</strong> mio avere, che ttu ne<br />
tolghi (Testi Fiorentini 155, 26) 6<br />
(14) si pensò ir re Pelleus che, se elli potesse tanto far che Giason suo nepote<br />
volesseandare in quella isola per lo tosone conquistato, che mai non<br />
tornerebbe (Testi fiorentini 152,22)<br />
(15) Donè li terme per tal convent que, si el al terme non aves paià quest ave, qu’el<br />
serea pendù. (Piemonte, Sermoni Subalpini, VII, 11-13; sec XII)<br />
(16) Cil coiteren cum il avean iacù en la ca' de la meretrix, e lo ben que ela lor avea<br />
fait, e cum ela los avea garì, e cum il li avean iurà per lor lei que, quant la cità<br />
se prendrea, que il la devean defendre de tota l'ost, e lei e tota la soa lignaa<br />
e tote le soe chose (Piemonte, Sermoni Subalpini, IX, p.245: 11; sec XII)<br />
(17) dis en Genesi, quant lo serpent parlè a Eva, e el li demandè perquè Deus lor<br />
aveit defendù que il d'aquel arbor no tocassen né maniassen - car calque ora<br />
que il en maniarean né tocarean, que il fosen seur de mort (Piemonte,<br />
Sermoni Subalpini, XXI, 277:20; sec XII)<br />
(18) Ello sì à usanza com li soy discipuli, che quando nissum de lor ven de fora,<br />
che elli lo saluam e sì lo baxam per la bocha (Passione ligure, ed Parodi, p. 29:<br />
44-5)<br />
(19) dise che, stando in prexum, che certi dì li soi ligami miraculosamenti se<br />
desligavam (Dialogo de Sam Gregorio composito in vorgà, LVIII.2; Porro p.285;<br />
m. sec. XIV Liguria)<br />
(20) Galieno dixe che quando l’è maùre le olive compime(n)te, che le è temperà.<br />
(Veneto, LAS, 5v, 12)<br />
A questa piccola antologia di esempi settentrionali e mediani possiamo aggiungere la<br />
documentazione <strong>del</strong> costrutto in fonti centro-meridionali compilata da Ledgeway<br />
(2005: 380-389) che ne contiene istanze tratte da testi tre- e quattrocenteschi<br />
abruzzesi, romani, napoletani, salentini e siciliani. Da notare qui la distinzione tra gli<br />
esempi (21) – (24), in cui il primo <strong>complementatore</strong> è che mentre il secondo è cha, e<br />
gli esempi (25) – (39) dove si attesta la ripetizione di che in maniera precisamente<br />
analoga a quanto si è visto in testi di provenienza settentrionale.<br />
(21) Et èy manifesta cosa che homo che se ave a defendere a la patria soa intre li<br />
amici e li canussienti suoy cha ave a chesta parte gran prerogativa e gran<br />
avantayo (Libro de la destructione de Troya 126.2-4; m.sec XIV Napoli)<br />
5 Cito una volta per tutte questo esempio boccaccesco; si veda la compilazione in Mussafia<br />
1857/1983, pp. 22-23, il quale addita nella lingua <strong>del</strong> Boccaccio ‘le spesse ed efficacissime<br />
ripetizioni <strong>del</strong>la congiunzione che’.<br />
6 Gli esempi (13) e (14) sono addotti da Dardano (1969: 271-2).<br />
5
(22) Et ancora li mandao a dire lo re che si li volia obedire alli sua comandamenti,<br />
ca li perdonara omne cosa (<strong>Il</strong> ‘Libro di Sidrac’ salentino 2v.38-9; m.sec XIV;<br />
Salento)<br />
(23) et vedé che si illo non avesse lo consilho de Sidrac, ca illu non potea nulla<br />
fare (<strong>Il</strong> ‘Libro di Sidrac’ salentino 2v.21-2; m.sec XIV; Salento)<br />
(24) Nuy trovamo scripto in lo libro <strong>del</strong> servo de deo Noè che quando fu in l'archa<br />
in tempo <strong>del</strong> dilluvio, ca queste tre bestie foro più presso a lluy ca l'altre<br />
(<strong>Il</strong> ‘Libro di Sidrac’ salentino 46v.8-9; m.sec XIV; Salento)<br />
(25) Et non intenditi voy che tucti quilli chi so' nati et chi nascerauno al mundo<br />
che chi sederauno (<strong>Il</strong> ‘Libro di Sidrac’ salentino 19v.32; m.sec XIV; Salento)<br />
(26) bastava che la mia Aurora, suave e benegna che era verso di me, che<br />
SUPERBA E CRUDELE m'è ritornata (Galeota LXXIX 3; Formentin 1987)<br />
(27) volimo (et) co(m)ma(n)damote che, ma(n)tine(n)te che p(er) licter(e) nostre<br />
senteray esser(e) nuy o a Melfe o a Troya, che dige ad nuy sencza<br />
dimora(n)cza p(er)sonalime(n)te venir(e)<br />
(Lettera <strong>del</strong> re Luigi d'Angiò-Taranto e di Giovanni I a Roberto d'Angiò 12-4,<br />
Sabatini [1993] 1996, pp. 497-8)<br />
(28) serrà bisogno che, dove illo non mecte exemplo per lo quale poza bene<br />
essere intiso lo suo dicto, che eo mecta exemplo e declaracione per<br />
manifestare lo yntendimento suo (LDSG 3.1-3)<br />
(29) le aveva ditto che se sua maistà voleva lo stato suo che se llo venesse a<br />
ppigliare co la spata in mano (Ferr. 148v.1-2)<br />
(30) omni raxun dichi ki si homu ad homu fa fallu, ki sia tinutu a la debita<br />
satisfaccioni (SVPSM 44.14-5)<br />
(31) È da sape(re) ch(e) lu cavallo b(e)n et diligentem(en)te custodito et<br />
a(m)modato cavalcato, così como se (con)vè, ch(e) illo no(n) sia fatigato de<br />
grande et sup(er)flua travaglia (VMLR 158.27-9)<br />
(32) Non po essiri ki lu misericurdiusu Deu et lu iustu Deu, ki avi iudicatu cum<br />
tanta iusticia, ki non facza grandissima misericordia (SVPSM 46.8-10)<br />
(33) le mandò a dire che tutte quille dinare che le voleva dare re de Franza per<br />
l'armata (Ferr. 125r.9)<br />
(34) a Mandamo che nullo clerico de qualunca condicione sia che porte arme<br />
prohibite (Sinodo <strong>del</strong> vescovo G. Aloisio 11-2, in Bianchi et al. 1993, p. 244)<br />
(35) allora à commandato / che in mezo <strong>del</strong>la citade / NELLE MAJURI STRADI / che<br />
siano nello focu arsi (LSC 384.796-9)<br />
(36) a te prego per mio amore / che ciaschuna persona / con devotione bona / che<br />
ad mi se acommandasse (LSC 394:1599-1602)<br />
6
(37) prègovi tucti quanti sete, / che per quillo Deo che vui adorate, / che con<br />
meco state e vegliate (LTM 25:167-9)<br />
(38) eo penso bene che, se per lo tiempo passato avessemo voluto monstrare lo<br />
nuostro ardire, che DERITAMENTE avessemo andato ad asseyare Troya (LDT<br />
140.21-3)<br />
(39) Non credati vuy che cascuna creatura che nasce che deo IN QUILLO PUNTO<br />
comandi lu suo nascimento (Sidrac 9v.16-7)<br />
3. CARATTERIZZAZIONE PRE-TEORICA DEL COSTRUTTO<br />
Al livello descrittivo la proprietà definitoria <strong>del</strong> nostro costrutto è la compresenza di<br />
due complementatori associati ad una sola proposizione incassata. In questo senso<br />
andrebbe distinto da due complementatori congiunti, come nell’esempio (40), dove ci<br />
sono due proposizioni incassate ognuna dipendente direttamente dal verbo reggente<br />
ordinamo. 7<br />
(40) Ordinamo che in ogne conpagnia <strong>del</strong>la decta fraternita deva essere uno<br />
governatore … e che onne governatore di qualunqua conpagnia … sieno electi<br />
(Sgrilli Testi viterbesi 12r 8-15, p. 80)<br />
Lo schema generale che si può dedurre dagli esempi che abbiamo riportato è il<br />
seguente:<br />
verbo reggente che/Ø costituente<br />
preposto<br />
7<br />
che/Ø frase incassata<br />
Gli elementi che possono essere preposti sono:<br />
a) protasi di un periodo ipotetico introdotto da se o quando;<br />
b) sintagmi quantificati: e.g. di tucte le cose che sono scripte in questo quaderno, e<br />
di tutte quelle unde pagare si die kabella (7a)<br />
c) espressioni avverbiali: e.g. subitamenti quello chi saverà de quello dito fraello<br />
maroto (9c), per l’abondanza <strong>del</strong> molto parlare sanza condimento di senno (10)<br />
d) locuzioni gerundiali: e.g. stando in prexum (19)<br />
Non sorprenderà che il secondo che è facoltativo, cioè si possono trovare esempi<br />
che corrispondono a quanto sarebbe normale nell’italiano moderno:<br />
(41)a) statuimo et ordinamo che alla Pasqua de Resurrectione Ø tucta la<br />
compangnia sia tenuta et obligata rendare fede (Sgrilli Testi viterbesi p.161)<br />
b) ordinamo che se alcunu de la fraternitade fusse adimandatu da alcunu omo<br />
che ‘nci volesse entrare Ø deia ponar mente se è persona bona (Sgrilli Testi<br />
viterbesi p.8)<br />
c) alcuna volta advene che in <strong>del</strong>lu collo <strong>del</strong>lu cavallo appresso in lo gualdrese<br />
et ni lo tronco <strong>del</strong>la coda Ø prurito, vo’ scabia, se genera (La “Mascalcia” di<br />
7 Escludiamo inoltre dalla nostra discussione il fenomeno di alternanza tra due<br />
complementatori diversi anche se il termine ‘dual complementizer’ è attestato in letteratura<br />
anche in queso sense - si veda ad esempio Simone (2002).
Lorenzo Rusio 27r, 21-2, Aurigemma 1998 p. 189; Abruzzese/Marchigiano?,<br />
1301-7)<br />
È forse meno ovvio che anche il primo che possa essere soppresso, ma<br />
un’intuizione di questa possibilità si era già suggerita a Cesare Segre più di mezzo<br />
secolo fa. L’eminente filologo pavese, parlando dei vari momenti nell’evoluzione <strong>del</strong>la<br />
lingua dantesca fa notare che il che ripetuto è la norma nel Convivio (1304-7),<br />
mentre nelle Rime ci sono esempi che possono essere interpretati come conformi al<br />
nostro schema ma con un solo che davanti al nucleo <strong>del</strong>la principale incassata (Segre<br />
1952/1974: 241-2). Si confrontino gli esempi in (42) e (43):<br />
(42)a) Li quali priego tutti che se lo convivio non fosse tanto splendido quanto<br />
conviene a la sua grida, che non al mio volere ma a la mia facultade<br />
imputino ogni difetto. (Conv I.i.19)<br />
b) nessun dubita, che s’elle comandassero a voce, che questo non fosse lo loro<br />
comandamento (Conv I.vii.11)<br />
c) E però dice Stazio … che quando Adrasto, rege de li Argi, vide Polinice<br />
coverto d’un cuoio di leone, e vide Tideo coverto d’un cuoio di porco<br />
salvatico, e ricordossi <strong>del</strong> risponso che Apollo dato avea per le sue figlie, che<br />
esso divenne stupido. (Conv IV.xxv.6)<br />
(43)a) e dico ben Ø se ‘l voler non mi muta, Ch’eo stesso li uccidrò, que’<br />
scanoscenti (Dante Rime 51,13)<br />
b) per ch’io son certo Ø se ben la difendo Nel dir com’io la ‘intendo, Ch’Amor di<br />
sé mi farà grazia ancora (Dante Rime 30,17)<br />
c) No te par Ø se tu vol dir la ueritae che la malatia e gli chiaueli con la<br />
malsania e-l desasio e la pouertae grandissima (…) l’abian trachio … (Lomb<br />
Omelia di san Giovanni Gristostomo, prima metà <strong>del</strong> XIV, 8-9)<br />
d) È da notare Ø se tu voi operare la medicina voi cirrugia in de lu cavallo<br />
furioso et non patiente, che securamente lo poçça fare (La “Mascalcia” di<br />
Lorenzo Rusio 69v, 8-10, Aurigemma 1998 p. 292; Abruzzese/Marchigiano?,<br />
1301-7)<br />
Se il primo e il secondo complementatori possono omettersi, viene naturale chiedersi<br />
se addirittura tutti e due possano essere assenti. A questo punto è difficile essere<br />
certi ma non sarebbe impossibile analizzare il seguente esempio in questo modo:<br />
(44) ordinamo Ø ad riverentia <strong>del</strong> nostru signore (Iesu) (Cristo) crocifixu e de la sua<br />
passione Ø onne mese si dica una messa (Sgrilli Testi vit., p.13, 52r, 21-23)<br />
Le domande che si pongono a questo punto sono due:<br />
i) come integrare questo costrutto in una teoria sintattica formale?<br />
ii) come spiegare questo costrutto in termini funzionali?<br />
4. CONSIDERAZIONI FORMALI<br />
È facilmente comprensibile che la presenza di un costrutto come il nostro con due o<br />
più complementatori sia stata interpretata come una clamorosa conferma <strong>del</strong>l’ipotesi<br />
<strong>del</strong> CP scisso lanciata da Rizzi (1997, 2001) e raffinata da Benincà (2001), Poletto<br />
8
(2000), Munaro (2002) e altri. Tale conclusione è articolata e sviluppata in<br />
particolare da Paoli (2003) e Ledgeway (2005). Non entrerò <strong>nei</strong> dettagli in questa<br />
sede. Basta sottolineare che l’ipotesti prevede una serie ricorsiva di ‘campi’<br />
pragmaticamente caratterizzati separati gli uni dagli altri da teste specializzate<br />
(Topic, Focus, Esclamativo, ecc.) e dove la posizione <strong>del</strong>la testa viene riempita da un<br />
<strong>complementatore</strong>. L’ipotesi è confortata dal fatto che gli elementi che si trovano<br />
circondati da complementatori negli esempi antichi sopraccitati sono appunto quelli<br />
per cui esistono motivi indipendenti per pensare che siano in qualche senso dislocati<br />
(protasi, avverbi di tempo/spazio, sintagmi quantificati, ecc.).<br />
5. CONSIDERAZIONI FUNZIONALI<br />
Inserire i doppi complementatori nella gerarchia di teste funzionali che costituisce il<br />
cornice <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di Rizzi et alii vuol dire considerarli un fenomeno sintattico e non<br />
un effetto stilistico; altrimenti detto un aspetto di ‘competence’ e non di<br />
‘performance’. Sentiamo in questo riguardo quanto dice Ledgeway (2005: 380):<br />
The examples to be considered [sc. <strong>del</strong> <strong>doppio</strong> <strong>complementatore</strong>], though not so<br />
numerous in each single text to be legitimately considered a core grammatical<br />
phenomenon, do however occur in sufficient number and across a wide range of<br />
texts from different regions to be interpreted as the reflex of a regular structural<br />
phenomenon.<br />
E in fatti Ledgeway propone un’analisi in cui il <strong>complementatore</strong> ha origine in un<br />
punto ‘basso’ nella gerarchia di teste e s’innalza per arrivare ad una testa superiore<br />
all’interno <strong>del</strong> campo CP. Secondo questa tesi, la presenza di due complementatori<br />
significa che la posizione originaria e/o intermedia viene foneticamente realizzata<br />
tramite una copia <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong> che ha la funzione di una traccia.<br />
Concludendo il suo intervento, Ledgeway (2005: 390) spiega che tali tracce esplicite<br />
sono motivate dal fatto che rendono più facile il compito <strong>del</strong> lettore/interlocutore:<br />
Such traces … are exceptionally spelt out at PF in these particular cases since they<br />
have an important role to play in clearly demarcating the right margin of various<br />
subfields within the left periphery, which would otherwise be obscured on account<br />
of the ‘heavy’ nature of the topics and foci concerned and thereby give rise to<br />
potentially serious interpretive difficulties in the parsing of the sentence.<br />
Una spiegazione funzionale è quindi innestata su un tronco formale. Ma ci si può<br />
chiedere: se questa è la conclusione, forse esiste un modo più diretto per arrivarci? È<br />
interessante riflettere a questo punto sulla spiegazione <strong>del</strong> fenomeno proposta da<br />
Cesare Segre (1952/1974: 241) nel passo a cui si è accennato sopra:<br />
In altri casi par di percepire il desiderio di scandire gli spazi logici <strong>del</strong> periodo. Si<br />
notino per esempio le particolarità nell’uso <strong>del</strong> che dichiarativo, il quale in caso di<br />
prolessi <strong>del</strong>la subordinata, sta, nelle Rime, tra dichiarativa e la sua subordinata …<br />
mentre nel Convivio, a parte un caso analogo … si ripete nell’una e nell’altra<br />
posizione, in un modo che, per la sua frequenza nel Convivio e per la sua rarità<br />
nelle Rime … appare rispondente ad una precisa volontà, anche se viene a<br />
concordare con consuetidini <strong>del</strong>l’epoca.<br />
Fatti che sorreggono un’interpretazione funzionale e che rimangono da conciliare con<br />
un’analisi gerarchica sono discussi nelle seguenti sezioni.<br />
5.1 Istanze di triplo <strong>complementatore</strong><br />
Anche se sono rari, non mancano esempi in cui si hanno non due ma ben tre<br />
complementatori. (45) è una frase in cui ci sono due elementi preposti — la protasi<br />
9
se … maroto e un soggetto topicalizzato quello chi saverà … — e ciascuno comporta<br />
al presenza di un complementore distinto:<br />
(45) Ancora statuemo e ordenamo che se alcuna persona de la dita Confraria fosse<br />
maroto che subitamenti quello chi saverà de quello dito fraello maroto che ello<br />
lo debia denuntiar a lo prior (Statuti <strong>del</strong>la Compagnia dei Caravana <strong>del</strong> porto di<br />
Genova (1340-1600) (Gli) (a cura di Giorgio Costamagna, MATorino, s. IV,<br />
VIII, 1965, p.11; 1340).<br />
(46) e credo che ’intervien, chi vuol chi sia,<br />
che se muor la sua donna e sia pulcella,<br />
ch’a la sua vita avrà malinconia (Cecco LXIV 12-14) 8<br />
(47) Pregove, madama, per l’amor di Dio, che de chilli dinare che eo agio vostri che<br />
si non vi fusse troppo sconço che mi ‘ndi impristiti una unça. (Lettera <strong>del</strong><br />
tesoriere Tommasino da Nizza a Lapa Acciaiuoli Sabatini 1993, p. 123, ll.18-19;<br />
Napoli 1353) 9<br />
Non è certo impossibile interpretare tali esempi come la manifestazione di tre <strong>del</strong>le<br />
teste funzionali previste all’interno <strong>del</strong> cosiddetto ‘campo <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong>’<br />
(complementizer field) — ci sono ben quindici posizioni logicamente possibili nel<br />
mo<strong>del</strong>lo proposto da Benincà (2001) — ma mi pare più economico concludere che il<br />
numero dei complementori foneticamente realizzati aumenti con la complessità<br />
sintattica <strong>del</strong>la frase. Si può anche obiettare all’approccio formale che, se ci sono<br />
davvero quindici posizioni, perché non si attestano esempi con quindici<br />
complementatori espliciti?<br />
Per di più sottoli<strong>nei</strong>amo che l’ordine degli elementi preposti non è lo stesso in tutti<br />
e tre gli esempi. In particolare in (45) la protasi occupa la posizione tra il primo e il<br />
secondo <strong>complementatore</strong> mentre il sintagma nominale topicalizzato prende la<br />
posizione successiva. In (47) invece abbiamo esattamente il contrario con il topic che<br />
precede la protasi. Per un mo<strong>del</strong>lo con una gerarchia fissa come quello cartografico è<br />
difficile integrare dati di questo tipo, mentre per l’approccio funzionale l’importante è<br />
che le posizioni siano separate e quindi identificabili, ma il contenuto <strong>del</strong>le singole<br />
posizioni è una considerazione secondaria.<br />
5.2 Complessità <strong>del</strong> contesto sintattico<br />
L’esempio seguente è particolarmente interessante non solo per via <strong>del</strong>la sua<br />
complessità ma anche per le funzioni variegate <strong>del</strong>le occorrenze di che, e serve ad<br />
indicare il tipo di contesto in cui I complementatori raddoppiati sono di una estrema<br />
utilità nel districare i segmenti di una proposizione complessa:<br />
(48) accordiamoci bene con voi [che α se Francesscho vuole fare buona e leiale la<br />
sua ragione ched α elli vada a messer Gualtieri], [che β se elli non vi vae Ø β non<br />
8 La tradizione esegetica interpreta questo esempio diversamente, cioè con un<br />
<strong>complementatore</strong> semplice che introduce intervien ‘accade’ e con raddoppiamento <strong>del</strong><br />
<strong>complementatore</strong> che dipende da questo secondo verbo, ma non mi pare impossibile leggere<br />
invece: credo che [inciso] che [protasi] che [apodosi].<br />
9 Esempio riportato da Ledgeway (2005: 388). Da notare che nel suo commento Sabatini<br />
(1993: 118) rileva come questo testo presenti ‘l’organizzazione tipica dei testi epistolari che<br />
possiamo definire «sponta<strong>nei</strong>»’ e che ‘tutto il narrato <strong>del</strong>la lettera è scandito in una serie di<br />
segmenti di testo’. Qui la voce ‘spontaneo’ richiama la spiegazione proposta da Castellani<br />
mentre ‘scandire’ echeggia l’osservazione di Segre a propositio <strong>del</strong>la prosa <strong>del</strong> Convivio, testo<br />
tutt’altro che spontaneo.<br />
10
dia isscuça alcuna che non convengnia], [che rispondi in coe elli come savio<br />
fante s’ello parrae a llui, ma se cosie non fae per lli arbitri si farae coe che fie a<br />
ffare], [che Francessco assai àe mandato a ssuoi amici Ø de (=ne) parllino con<br />
messer Gualtieri] (Lettere Ricciardi di Lucca, XII.3.2-6)<br />
5.3 Raddoppiamento di altri elementi<br />
Da notare inoltre che non è solo il <strong>complementatore</strong> che si raddoppia. Stussi (Testi<br />
veneziani, p.lxxvii) segnala esempi quali (49) - (51) in cui la ‘scansione’ <strong>del</strong> testo<br />
viene indicata tramite la ripetizione di altri elementi:<br />
(49) voio che sempre, infin che vive Pantalon Michel, sempre la mitade <strong>del</strong> pro sia<br />
<strong>del</strong>lo dito Pantalon (Stussi 75.50)<br />
(50) vo preghiamo che voi lo più tosto che potete queste tratte voi ci mandiate per<br />
isscritte (Lettere Ricciardi di Lucca IX.1.9)<br />
(51) Ancora statuemo e ordenamo che se nesum fraello de la dita Caritay<br />
se elli avessen alcunna brega enseme (Statuti <strong>del</strong>la Compagnia dei Caravana<br />
<strong>del</strong> porto di Genova (1340-1600) (Gli) (a cura di Giorgio Costamagna,<br />
MATorino, s. IV, VIII, 1965, pp. 9.).<br />
Anche qui, all’interno <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo cartografico, ci si può immaginare una soluzione in<br />
cui gli elementi ripetuti quali se e sempre (ma meno facilmente voi) vengano ad<br />
occupare la posizione <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong> per via di un movimento sintattico, ma<br />
ancora una volta la conclusione più economica sembrerebbe consistere<br />
nell’analizzare i ‘campi’ <strong>del</strong>la frase direttamente in termini <strong>del</strong>la necessità di indicare<br />
al lettore i vari momenti di una struttura lunga e complessa.<br />
6. ANALISI ALTERNATIVA<br />
In questa sezione cercheremo di sviluppare un’analisi basata sulla definizione di<br />
<strong>complementatore</strong> non come testa ma come segnale (‘marker’) <strong>del</strong> costrutto sintattico<br />
in cui compare. Per questa interpretazione <strong>del</strong> concetto di <strong>complementatore</strong> rimando<br />
a Matthews e a Sag & Pollard:<br />
We are not claiming that the analysis of complementizers as heads is untenable,<br />
only that the fundamental intuition underlying such proposals raises as many<br />
questions as it answers; enough questions, in fact, to lead one to consider<br />
alternative approaches. But if complementizers are not heads, then what are<br />
they? We will take the position that they are a subspecies of marker. On our<br />
account, a marker is a word that is ‘functional’ or ‘grammatical’ as opposed to<br />
substantive, in the sense that its semantic content is purely logical in nature<br />
(perhaps even vacuous). A marker, so-called because it formally marks the<br />
constituent in which it occurs, combines with another element that heads that<br />
constituent. (Sag & Pollard 1994: 44-5)<br />
Si confronti Matthews (1981: 59ff) per la stessa distinzione e la stessa terminologia e<br />
con un rimando a Hockett and Martinet, e si veda ora la discussione più dettagliata in<br />
Matthews (2007: 39ff).<br />
Per determinare la posizione <strong>del</strong> <strong>complementatore</strong> suggeriamo di ricorrere a<br />
restrizioni <strong>del</strong> tipo adoperate nella ‘Optimality Theory’ (cfr Anderson 2005: cap 7).<br />
11
7. IL CASO DEL SARDO<br />
La logica di Rizzi (1997) farebbe pensare che il <strong>complementatore</strong> non-finito di non<br />
può raddoppiarsi perché occupa la posizione più bassa nella gerarchia di teste e<br />
quindi non può essere separato dal verbo infinitivo. Questa conclusione risulta<br />
corretta per tutti i dialetti peninsulari finora studiati e anche per il siciliano antico.<br />
L’unica eccezione che io conosca di un di raddoppiato si trova in Boccaccio, dove<br />
sarebbe in ogni probabilità da attribuire ad una svista nella trasmissione <strong>del</strong> testo 10<br />
(52) io avea giurato di mai né per me né per altrui d’adoperarla (Decameron 8,7)<br />
Diversa invece è la situazione nel sardo antico dove il de ripetuto si trova con una<br />
certa frequenza e in contesti sintattici che fe<strong>del</strong>mente rispecchiano il pattern già<br />
descritto per gli altri <strong>volgari</strong> medievali. In particolare si notino negli esempi (53) -<br />
(57) le protasi (sottolineate) che si trovano circondati da de:<br />
(53) Pe-[cxij. v ] tru Caprinu se affersit a scu. Petru in gotale tenore, de si li dauat<br />
deus filiu de matrona o in custa muliere o in attera, de auer parthone scu.<br />
Petru de omnia kantu aueat de unu filiu, si aueat filiu, o si non aueat, et de<br />
terras, et de binias, ... et de omnia kantu aueat. [Condaghe Silki, c. 1150 ca.-<br />
XIII (logud.) | p.242]<br />
(54) …e dassaimusilos umpare, in fine de si fakean fetu umpare d’esser tottu de<br />
scu. Petru, e de non bi auer bias Mariane. [Condaghe Silki, c. 1150 ca.- XIII<br />
(logud.) | p.80]<br />
(55) In fine de si fakeat filiu Maria de Caruia de auer latus de omnia casa kanta<br />
narat aue susu, in custa postura; et si non aueat filiu, de auersilu scu. Petru.<br />
Et si non aueat filiu su filiu ki ait auer Maria de Caruia, torrare tottu a scu.<br />
Petru; et si aueat filiu de auer latus appare con scu. Petru, et si furun tottu<br />
enios, de torrare tottu a scu. Petru. [Condaghe Silki, c. 1150 ca.- XIII (logud.)<br />
| p.240]<br />
(56) Conporait Istephane Unkinu a Barusone de Nurki sa parte sua dessu saltu de<br />
Conca maiore, et ego deiuili .ij. uaccas in .viij. sollos, in fine de si lu perdea<br />
custu, de torraremi saltu ante sicu. [Condaghe Silki, c. 1150 ca.- XIII (logud.)<br />
| p.182]<br />
(57) ...in gotale tenore, de si ‘nde dauan sos frates de ‘sse una libra de argentu<br />
lauorata a scu. Petru de Silki, de auerla issos sa parthone, si lu dauan su<br />
argentu usque assu annale suo; et si baricauat su annale, de auersinde prode<br />
scu. Petru de totta custa parthone. [Condaghe Silki, c. 1150 ca.- XIII (logud.)<br />
| p.244]<br />
Qui, a parte l’identità <strong>del</strong> contesto sintattico, colpiscono due fattori: in primo luogo<br />
l’antichità <strong>del</strong> fenomeno, che risale alla metà <strong>del</strong> dodicesimo secolo, e in secondo<br />
luogo il carattere amministrativo-legale dei testi. 11<br />
Alla domanda perché la ripetizione di de si trova solo nel sardo, si può rispondere<br />
accennando alla presenza nel sardo <strong>del</strong>l’infinito flesso. Questo fatto lascia concludere<br />
che l’infinito abbia una funzione diversa nel sardo, funzione che lo avvicina ad una<br />
struttura finita e che quindi permette la ripetizione <strong>del</strong> suo <strong>complementatore</strong>. La<br />
questione comunque rimane da approfondire dal momento che infiniti flessi, benché<br />
con morfologia diversa, si attestano nelle prime fasi di alcuni dialetti meridionali<br />
(Vincent 1996) dove invece il di ripetuto è assente.<br />
10 Ringrazio Sandra Paoli che mi ha segnalato questo esempio.<br />
11 Per una discussione più particolareggiata <strong>del</strong> costrutto sardo si veda Vincent, Bentley &<br />
Samu (2004).<br />
12
8. INTERPRETAZIONE SOCIO-CULTURALE<br />
Chiarito lo statuto formale e funzionale <strong>del</strong> costrutto rimane da inserirlo nel suo<br />
contesto storico e socio-culturale. Le domande sono tre:<br />
i) dove andrebbe collocato il nostro costrutto nell’assetto sociolinguistico<br />
<strong>del</strong>l’Italia medievale?<br />
ii) quand’è nato?<br />
iii) e quand’è scomparso?<br />
Prendiamole a una a una.<br />
8.1 La distribuzione diamesica e diastratica <strong>del</strong> costrutto<br />
Abbiamo visto che il costrutto occorre in un vasta gamma di tipi testuali, ma<br />
spiccano in particolare i documenti amministrativi e le lettere sia private che<br />
commerciali. Mentre è poco probabile che gli autori degli statuti non avessero una<br />
conoscenza <strong>del</strong> latino, per le lettere la situazione è diversa. Dobbiamo concludere che<br />
il nostro costrutto fosse largamente diffuso e quindi che faceva parte <strong>del</strong> nucleo<br />
grammaticale <strong>del</strong>la lingua (cfr il commento di Ledgeway citato sopra) a tutti i livelli.<br />
8.2 L’origine <strong>del</strong> costrutto<br />
<strong>Il</strong> nostro costrutto si attesta, se non fin dalle origini, almeno fin dai <strong>primi</strong> testi che<br />
dimostrano una complessità sintattica sufficiente da permetterne la presenza. In<br />
questo contesto è di una peculiare importanza l’evidenza sarda perché in quell’isola i<br />
testi amministrativi, riccamente articolati dal punto di vista sintattico, emergono<br />
quasi un secolo più presto che nella penisola. Questo fa pensare che si tratti di una<br />
struttura nata in sede volgare con le prime mosse verso una prosa che servisse per<br />
rendere accessibili ad un pubblico non istruito documenti ufficiali, una prosa quindi<br />
che dovesse veicolare concetti legali assai complicati ma che nel contempo non si<br />
fosse foggiata su mo<strong>del</strong>li latini.<br />
Forse in questo modo si spiega il paradosso a cui si è accennato sopra di una<br />
frequenza particolarmente alta da un lato in testi formali quali statuti e dall’altro in<br />
lettere e altri scritti privati e ‘sponta<strong>nei</strong>’. <strong>Il</strong> mo<strong>del</strong>lo si è creato in sede <strong>del</strong>la prosa<br />
amministrativa da dove è stata imitata in contesti più informali saltando per così dire<br />
la prosa letteraria che aveva tradizioni e scopi diversi.<br />
8.3 La scomparsa <strong>del</strong> costrutto<br />
Malgrado la ricca attestazione medievale che abbiamo tentato di documentare in<br />
questo intervento, il costrutto è sparito quasi completamente dal panorama dialettale<br />
moderno. L’unica eccezione si trova in alcuni dialetti liguri e piemontesi identificati e<br />
descritti da Paoli (2003a, b). Naturalmente viene a chiedersi perché. Una risposta<br />
soddisfacente deve attendere spogli più sistematici <strong>del</strong>la fase post-medievale, ma<br />
almeno per la lingua letteraria pare non esistano esempi sicuri dopo il Cinquecento, e<br />
sembra <strong>del</strong> tutto plausibile che il <strong>complementatore</strong> ripetuto sia stato una <strong>del</strong>le non<br />
poche vittime <strong>del</strong>le proscrizioni grammaticali installatesi in epoca post-bembiana.<br />
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