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riflessioni sulla sintassi di un testo padovano medioevale

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TRA LATINO E DIALETTO:<br />

RIFLESSIONI SULLA SINTASSI<br />

DI UN TESTO PADOVANO MEDIOEVALE*<br />

Nigel Vincent<br />

11. Inntroodduuzzioonne<br />

Normalmente con <strong>un</strong>a designazione quale ‘testi padovani’ s’intenderebbe ‘testi<br />

volgari provenienti da Padova e dai <strong>di</strong>ntorni’. Mi permetto invece in questa sede <strong>di</strong><br />

estendere tale designazione ad <strong>un</strong> importante <strong>testo</strong> latino del Duecento, la Cronaca<br />

<strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no, recentemente uscita in <strong>un</strong>’e<strong>di</strong>zione curata da Flavio Fiorese<br />

(2004), con il preciso scopo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>arne la lingua nel con<strong>testo</strong> linguistico della Padova<br />

dell’epoca. Nella sua introduzione Fiorese allude alla ‘prosa della Cronaca,<br />

così sospesa tra italiano e latino’ (p. xxxviii) e asserisce che ‘la sua lingua presenta<br />

più degli altri autori contemporanei volgarismi e costrutti popolari’ (p. xxvi). Il suo<br />

giu<strong>di</strong>zio non è com<strong>un</strong>que confortato da materiale esemplificativo dal momento che<br />

l’intenzione dell’e<strong>di</strong>zione e gli interessi del curatore sono storici e non linguistici.<br />

Ad <strong>un</strong> linguista invece viene naturale chiedersi quali siano gli aspetti della lingua<br />

<strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no che si possano definire popolari. Compito quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> questo contributo,<br />

che mi compiaccio <strong>di</strong> offrire ad <strong>un</strong>a conoscitrice così raffinata e agguerrita<br />

della <strong>sintassi</strong> dei <strong>di</strong>aletti veneti me<strong>di</strong>evali quale Laura Vanelli, è indagare, in modo<br />

necessariamente provvisorio e incompleto, la reciproca presenza <strong>di</strong> sintatticismi<br />

volgari nella prosa rolan<strong>di</strong>niana e <strong>di</strong> costrutti latini o latineggianti nei testi volgari<br />

<strong>di</strong> origine padovana che gli sono più o meno contemporanei. 1 Concludo con qual-<br />

* Ringrazio gli amici Delia Bentley, Giulio Lepschy, Martin Maiden, Mair Parry e Alfredo Stussi che<br />

mi hanno dato preziosi commenti sia <strong>sulla</strong> forma che sul contenuto <strong>di</strong> questo capitolo. I dati volgari<br />

antichi che cito derivano dagli spogli che si sono condotti durante il progetto ‘Sintassi degli Antichi<br />

Volgari Italiani’ (SAVI). Colgo l’occasione <strong>di</strong> ringraziare l’Arts & Humanities Research Board, che ha<br />

generosamente finanziato il progetto, i con<strong>di</strong>rettori Mair Parry e Robert Hastings, e i ricercatori Alessandra<br />

Lombar<strong>di</strong> e Roberta Middleton che hanno collaborato attivamente alla raccolta del materiale.<br />

Per il <strong>testo</strong> <strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no seguo l’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Fiorese (2004) e le citazioni rimandano a libro, capitolo<br />

e riga. Quando pare utile, accompagno il passo citato con la traduzione proposta dallo stesso Fiorese.<br />

Per i testi riportati in Tomasin (2004) adopero le convenzioni utilizzate dal curatore nel suo utilissimo<br />

commento linguistico, e cioè numero del <strong>testo</strong> seguito dai numeri della carta (eventualmente recto e<br />

verso) e della riga.<br />

1 Alla questione dello scarto cronologico tra la Cronaca e la prima documentazione del <strong>di</strong>aletto ritorno<br />

nella quarta sezione del presente stu<strong>di</strong>o.


414<br />

Nigel Vincent<br />

che riflessione metodologica sull’interpenetrazione latino-volgare nelle prime fasi<br />

dei <strong>di</strong>aletti peninsulari.<br />

2. Testi anaalizzati<br />

La Cronaca <strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no (1200-1276) narra le vicende della città <strong>di</strong> Padova durante<br />

la vita dello spietato Ezzelino III, concludendo con la morte <strong>di</strong> questi nel<br />

1260. Sappiamo che ci fu <strong>un</strong>a pubblica lettura dell’intera composizione il 13 aprile<br />

1262 nello Stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Padova, dove l’autore insegnava, e il primo manoscritto<br />

conservato risale al 1267. L’opera consta <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci libri per <strong>un</strong> totale <strong>di</strong> circa 70000<br />

parole. Pochissimi gli stu<strong>di</strong> de<strong>di</strong>cati alla sua lingua, che non è com<strong>un</strong>que priva <strong>di</strong><br />

interesse in quanto da <strong>un</strong> lato, come si è già osservato, è cosparsa <strong>di</strong> ‘volgarismi e<br />

costrutti popolari’ mentre dall’altro rivela <strong>un</strong>a conoscenza profonda dei precetti<br />

dell’ars <strong>di</strong>ctaminis – l’autore aveva stu<strong>di</strong>ato a Bologna presso la scuola <strong>di</strong> Boncompagno<br />

da Signa – e <strong>un</strong>a destra padronanza del cursus, particolare del suo stile già<br />

rilevato da Paro<strong>di</strong> (1912-5, 401). Ne consegue <strong>un</strong>a paradossale mescolanza <strong>di</strong> tratti<br />

dotti e popolari che, come spero <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>mostrare, getta <strong>un</strong>a luce originale <strong>sulla</strong><br />

situazione linguistica dell’epoca.<br />

Per il volgare <strong>padovano</strong> della fine del Trecento i p<strong>un</strong>ti <strong>di</strong> riferimento car<strong>di</strong>nali<br />

rimangono la Bibbia istoriata (Folena e Mellini 1962) e El libro agregà de Serapiom,<br />

altrimenti noto col nome Erbario carrarese (Ineichen 1957, 1962-66), i quali sono<br />

ora complementati sia cronologicamente che per quanto riguarda la tipologia testuale<br />

dalla preziosa antologia <strong>di</strong> testi <strong>di</strong> carattere pratico databili tra il 1336 e il 1380<br />

compilata e corredata <strong>di</strong> <strong>un</strong> ampio commento linguistico da Lorenzo Tomasin (2004) 2 .<br />

3. Costruutti<br />

Non è ovviamente possibile in <strong>un</strong> breve intervento offrire <strong>un</strong> quadro completo<br />

della <strong>sintassi</strong> del nostro <strong>testo</strong>. Ho scelto quin<strong>di</strong> tre argomenti, ogn<strong>un</strong>o a suo modo<br />

emblematico <strong>di</strong> <strong>un</strong> momento <strong>di</strong>verso nei rapporti fra latino e volgare. Lo stu<strong>di</strong>o<br />

della posizione dell’ aggettivo (§ 3.1) rivela fattori operanti al livello <strong>di</strong>afasico più<br />

alto e cioè quando la lingua è manipolata consapevolmente. Vedremo come Rolan<strong>di</strong>no<br />

avesse assorbito le lezioni del suo maestro Boncompagno, e ne noteremo<br />

<strong>un</strong>a conseguenza imprevista per le strutture del volgare. Col secondo tema, quello<br />

delle completive e specialmente le causative (§ 3.2), ci troviamo davanti ad <strong>un</strong> costrutto<br />

volgare nascosto <strong>di</strong>etro <strong>un</strong>a maschera latina. Concluderemo col ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o (§<br />

3.3), forma presente in <strong>un</strong>a serie <strong>di</strong> costrutti che vanno dai livelli stilistici più alti a<br />

2 Si noti che la raccolta curata da Tomasin comprende i testi padovani già pubblicati separatamente<br />

per merito <strong>di</strong> Alfredo Stussi (1998, 2000, 2001) ma non il documento identificato come ‘Padova 1388’<br />

da Stussi (1995) né la lettera del 1396 redatta in <strong>un</strong> <strong>padovano</strong> toscaneggiante resa nota dallo stesso<br />

Stussi (2002a). Ancora ine<strong>di</strong>to è <strong>un</strong> Lucidario che risale alla fine del Trecento o ai primi anni del Quattrocento<br />

e la cui seconda parte contiene chiare tracce padovane (Donadello 2002). Per <strong>un</strong>a rassegna<br />

più dettagliata della tra<strong>di</strong>zione testuale patavina si rimanda a Tomasoni (1994).


Tra latino e <strong>di</strong>aletto: <strong>riflessioni</strong> <strong>sulla</strong> <strong>sintassi</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> <strong>padovano</strong> me<strong>di</strong>oevale<br />

quelli che più tipicamente caratterizzano la lingua parlata.<br />

415<br />

3.1. Sintagma aggettivale<br />

Una strategia narrativa frequentissima in Rolan<strong>di</strong>no, come in altri cronisti me<strong>di</strong>evali,<br />

consiste nel far seguire al nome <strong>di</strong> <strong>un</strong> personaggio nel momento in cui compare<br />

o ricompare nelle vicende narrate <strong>un</strong>o o più aggettivi elogiativi: vir sapiens et<br />

astutus (II.2.5; II.13.5), civis altus et potens de Padua (I.2.31), pre<strong>di</strong>ctus vir nobilis<br />

et potens (I.11.7), homo ingeniosus et cautus (II.4.7), paduanus civis, vir nobilis, potens,<br />

magnificus et preclarus (I.15.21). Se la norma è che tali sequenze aggettivali seguano<br />

il nome, non mancano esempi in cui lo precedono: sapientis et probi viri<br />

(I.6.7), eius intimus et specialis amicus (II.6.7), iustus et rectus homo (III.6.2), benignus<br />

et iustus princeps (IV.10.11). È <strong>di</strong>fficile scorgere <strong>un</strong> principio semantico o<br />

pragmatico che determini la collocazione del gruppo aggettivale in questi casi, ma<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dall’or<strong>di</strong>ne lineare viene osservata la regola del latino sia classico<br />

sia me<strong>di</strong>evale che vuole che i due aggettivi in questo costrutto vengano co-or<strong>di</strong>nati<br />

con <strong>un</strong>a congi<strong>un</strong>zione quale et o ac. Pur rispettando questo principio, Rolan<strong>di</strong>no<br />

fa ricorso qualche volta ad <strong>un</strong>a terza possibilità, l’anteposizione del primo<br />

aggettivo e la posposizione della congi<strong>un</strong>zione più il secondo aggettivo: inter ceteras<br />

claras domos et excellentes nobilium (I.2.3), karissimis suis filiis et <strong>di</strong>lectis<br />

(II.15.11), <strong>di</strong>gnis meritis et expertis (III.5.38). Questo stilema, <strong>un</strong> sottogenere <strong>di</strong><br />

iperbato, non è limitato ad aggettivi elogiativi ma si attesta anche con aggettivi con<br />

<strong>un</strong>a f<strong>un</strong>zione descrittiva o restrittiva: in <strong>di</strong>vina pagina et humana (I.5.3), post multa<br />

facta et ardua (I.15.23), parva tamen vipera et occulta (III.6.12), numerosa concione<br />

et plenaria (III.11.11), dolorosam mortem et vituperabilem (IV.15.22).<br />

Esistono precedenti classici <strong>di</strong> questo schema, ma, come fa notare Segre (1952<br />

(1976), p.164, n.108), la frequenza dello stesso aumenta notevolmente negli scrittori<br />

me<strong>di</strong>evali. Il fattore che sembra guidare la scelta del costrutto per così <strong>di</strong>re <strong>di</strong>slocato<br />

è il desiderio da parte dell’autore <strong>di</strong> ubbi<strong>di</strong>re alle norme del cursus 3 . Si consideri<br />

a mo’ d’esempio in <strong>di</strong>vina pagina et humana, che costituisce <strong>un</strong> perfetto cursus<br />

velox con il trisillabo sdrucciolo pagina seguito dalle quattro sillabe con accento<br />

<strong>di</strong> penultima <strong>di</strong> et humana, e lo si confronti con la versione non <strong>di</strong>slocata in <strong>di</strong>vina<br />

et humana pagina, che non è conforme a ness<strong>un</strong> modello ritmico. In tutti gli<br />

esempi <strong>di</strong> aggettivi congi<strong>un</strong>ti <strong>di</strong>slocati che ho raccolto finora lo spostamento del<br />

gruppo [et Agg] o dà luogo a <strong>un</strong> cursus in contesti dove altrimenti non ci sarebbe<br />

3 Mi permetto <strong>di</strong> rimandare a Vincent (in corso <strong>di</strong> stampa) per <strong>un</strong>a presentazione più articolata dell’argomentazione<br />

che appoggia questa conclusione. Ricordo qui semplicemente i vari tipi <strong>di</strong> cursus: velox<br />

= <strong>un</strong>a parola sdrucciola più quattro sillabe con accento <strong>di</strong> penultima (pagina et humana, vipera et<br />

occulta, magnificus et preclarus); tardus = <strong>un</strong>a parola piana più quattro sillabe con accento <strong>di</strong> terzultima<br />

(facta et ardua, concione et plenaria); planus = <strong>un</strong>a parola piana più tre sillabe con accento <strong>di</strong> penultima<br />

(altus et potens). I vari cursus formavano <strong>un</strong>a gerarchia per cui il tipo più apprezzato era il velox<br />

e quello meno stimato il planus.


416<br />

Nigel Vincent<br />

stato o permette <strong>un</strong> tipo <strong>di</strong> cursus più ricercato <strong>di</strong> quello che si sarebbe avuto senza<br />

la <strong>di</strong>slocazione.<br />

Ma <strong>di</strong>rò <strong>di</strong> più. Ciò che ho argomentato finora consente <strong>di</strong> capire i motivi che<br />

determinano il ruolo <strong>di</strong> questa struttura all’interno dell’elegante prosa latina che<br />

Rolan<strong>di</strong>no si prefiggeva <strong>di</strong> comporre, ma la stessa sequenza è attestata anche nella<br />

prosa volgare dell’epoca. Segre (1952 (1976), 194), nella sua classica indagine delle<br />

strategie sintattiche dei primi prosatori volgari, segnala men<strong>di</strong>chissimo animo et<br />

affannato <strong>di</strong> Guittone (7,118) e il br<strong>un</strong>ettiano per franche parole e vittoriose (55,9).<br />

Il progetto SAVI ha potuto confermare la presenza del fenomeno in testi che provengono<br />

da tutte le regioni. Riporto qui <strong>un</strong>a piccola selezione degli esempi:<br />

(1) E da questi gran<strong>di</strong> omini e possenti (Veneto, Lapidario Estense, prol. 58)<br />

(2) portao de mirabili marosi e grain<strong>di</strong><br />

(Liguria, Dialogo de sam Gregorio in vorgà, prol. P. 72)<br />

(3) Rio homo e malvaxe, io te comando (Emilia, Vita <strong>di</strong> San Petronio, p. 19)<br />

(4) aportano molta chacciagione e buona<br />

(Umbria, Il conto <strong>di</strong> Corciano <strong>di</strong> Perugia, 7,18)<br />

(5) fanno bello mangiare e nobele<br />

(Umbria, Il conto <strong>di</strong> Corciano <strong>di</strong> Perugia, 24,17)<br />

(6) alc<strong>un</strong>e cavalleruse et usate pers<strong>un</strong>e et ar<strong>di</strong>te<br />

(Napoli, Libro de la destructione de Troya , 50:20)<br />

(7) e de <strong>di</strong>versi herbi et hodoriferi<br />

(Sicilia, Libru de lu <strong>di</strong>alagu de sanctu Gregoriu Palermo, 163:26)<br />

(8) avia <strong>un</strong>u bellu cavallu e multu mansuetu<br />

(Sicilia, Libru de lu <strong>di</strong>alagu de sanctu Gregoriu Palermo, 80:7)<br />

Anche se in <strong>un</strong> Guittone o <strong>un</strong> Guido Fava si può legittimamente parlare dello sforzo<br />

voluto <strong>di</strong> foggiare <strong>un</strong>a prosa vernacolare che rispecchi i canoni ritmici dell’ars<br />

<strong>di</strong>ctaminis, opere quali il napoletano Libro <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione e ancor più l’i<strong>di</strong>osincratico<br />

Conto <strong>di</strong> Corciano <strong>di</strong> Perugia umbro <strong>di</strong>mostrano <strong>un</strong> tono e <strong>un</strong>’ambizione stilistica<br />

del tutto alieni alle tra<strong>di</strong>zioni della prosa d’arte. In tali casi non si può quin<strong>di</strong><br />

parlare dell’effetto del cursus, ma dobbiamo invece pensare a <strong>un</strong> prestito sintattico<br />

latino che ha ottenuto <strong>un</strong>a vita in parte autonoma tra le risorse stilistiche a cui attingevano<br />

gli autori volgari dell’epoca. Qualche legame con i modelli latini deve essere<br />

com<strong>un</strong>que persistito come si deduce dal fatto che quando, coll’arrivo dell’umanesimo,<br />

si preferisce ricorrere a modelli classici e non agli schemi elaborati dai<br />

maestri me<strong>di</strong>evali, non solo il tasso <strong>di</strong> strutture quali in humana pagina et <strong>di</strong>vina si<br />

riduce ai modesti livelli rinvenibili in <strong>un</strong> Cicerone o <strong>un</strong> Livio ma nel corrispettivo<br />

volgare sparisce del tutto.<br />

3.2. Completive e causative<br />

L’in<strong>di</strong>zio forse più semplice e <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> <strong>un</strong>a tendenza volgarizzante nel settore<br />

delle completive è l’uso <strong>di</strong> quod seguito sia dall’in<strong>di</strong>cativo sia dal congi<strong>un</strong>tivo, che


Tra latino e <strong>di</strong>aletto: <strong>riflessioni</strong> <strong>sulla</strong> <strong>sintassi</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> <strong>padovano</strong> me<strong>di</strong>oevale<br />

417<br />

si alterna col classico accusativus cum infinitivo (AcI). Gli esempi nella Cronaca sono<br />

frequentissimi e si accompagnano ad <strong>un</strong>a grande varietà <strong>di</strong> verbi: apparet<br />

(IX.2.23), considero (I.7.23), contingit (X.17.12), credo (II.19.6), <strong>di</strong>co (II.3.3,<br />

II.16.18, II.17.36 et passim), minor (I.7.43), noto (X.17.18), peto (I.5.24), respondeo<br />

(II.17.38), scio (I.16.1, X.1.13), spero (II.15.32), video (II.12.17); aggettivi: certum<br />

(I.5.21), notorium (XI.8.5), verum (IX.13.22); nomi: fama (XI.2.10), pacto<br />

(III.4.26); e nelle frasi consecutive con adeo (I.3.44, II.3.14) e tantum (I.12.18,<br />

I.9.38 et passim). In breve, mentre la <strong>di</strong>pendenza nominale continua ad esprimersi<br />

tramite il sistema casuale latino, le completive, cioè le <strong>di</strong>pendenti frasali, fanno ricorso<br />

al modello romanzo 4 .<br />

Un dominio in cui caso e complementazione interagiscono concerne l’espressione<br />

della causatività. Con qualche rara eccezione, Rolan<strong>di</strong>no segue il principio<br />

identificato già da Thielmann (1886) che richiede in <strong>un</strong> costrutto causativo l’infinito<br />

passivo <strong>di</strong> <strong>un</strong> verbo transitivo e l’infinito attivo <strong>di</strong> <strong>un</strong> verbo intransitivo: fecit<br />

venire ma fecit custo<strong>di</strong>ri. Secondo gli spogli che si sono condotti in merito 5 , tale <strong>di</strong>stribuzione<br />

complementare dei due infiniti era già caduta in <strong>di</strong>suso ai tempi <strong>di</strong> Fredegario<br />

(VII sec.), e quin<strong>di</strong> il fatto che il nostro cronista <strong>padovano</strong> l’abbia rispettata<br />

così fedelmente è <strong>un</strong> chiaro in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> conservatività almeno al livello morfologico.<br />

Colpisce invece la frequenza nella Cronaca dello stesso costrutto facere + infinito<br />

che raggi<strong>un</strong>ge livelli che sono normali nei testi volgari ma sconosciuti anche<br />

nelle opere dei primi cronisti me<strong>di</strong>evali quali Gregorio <strong>di</strong> Tours e app<strong>un</strong>to Fredegario,<br />

per non parlare degli storici dell’epoca classica, dove facere causativo era<br />

pressoché inesistente.<br />

Il riflesso <strong>di</strong> questo costrutto, il tipo far fare, è <strong>di</strong> gran l<strong>un</strong>ga la struttura più frequente<br />

nell’italiano moderno, così come lo era già nei <strong>di</strong>aletti antichi incluso il <strong>padovano</strong>.<br />

6 Eccone qualche esempio tratto dai testi curati da Tomasin: se ’l <strong>di</strong>to L<strong>un</strong>ardo<br />

ge dà o faça dare el <strong>di</strong>to leto formà alo <strong>di</strong>to Maço (15.121r.27) [la formula da<br />

o fa dare ricorre ben quattro volte in questo documento]; anchora fe’ desfare el Segnore<br />

el molin (16.7 = Stussi 2001); el lo fe’ portare via (47.13). Dalla Bibbia istoriata<br />

padovana provengono esempi come Dio fa vegnire ala presentia de Noé tuti<br />

quelli oxeli (Gen xxx) e Ysaac fé cavare altri puçi (Gen cxl); da El libro agregà abbiamo<br />

fa descendere e andare çoso li humori collerici (12r.15; Ineichen 1957, §72c);<br />

e da ultimo citerei fate ben segnare, che sono le parole con cui conclude la frottola<br />

riportata da Stussi (2002b). 7<br />

Come si è già detto, mentre le lingue romanze hanno perso la <strong>di</strong>stinzione tra gli<br />

4 Devo questa formulazione succinta a Delia Bentley.<br />

5 Per <strong>un</strong>’utilissima rassegna della ricerca de<strong>di</strong>cata a questo costrutto nonché per il frutto degli spogli<br />

supplementari dell’autrice si veda Robustelli (1993).<br />

6 Si vedano <strong>di</strong> nuovo gli importanti contributi ora raccolti in Robustelli (2000).<br />

7 Per <strong>un</strong>o stu<strong>di</strong>o più approfon<strong>di</strong>to del costrutto causativo in <strong>padovano</strong> antico rimando alle belle pagine<br />

<strong>di</strong> D’Onghia (2003).


418<br />

Nigel Vincent<br />

infiniti attivo e passivo, Rolan<strong>di</strong>no adopera con pochissime eccezioni 8 l’infinito<br />

passivo se il verbo retto da facere è transitivo: Ecelinum ipsum … decenter conduci<br />

fecit Baxanum ‘fece lo stesso E. condurre con decoro a Bassano’ (I.9.27); fecitque<br />

illi honorem fieri ‘gli fece rendere onore’ (I.9.25); nominari fecit Marchiam tarvisinam<br />

et Paduam usque in partibus transmarinis ‘rese famose la Marca Trevigiana e<br />

Padova fin nelle parti d’oltremare’ (I.11.18); fecit … in Padua he<strong>di</strong>ficari palacia magna<br />

et pulcra valde ‘fece e<strong>di</strong>ficare a Padova alc<strong>un</strong>i palazzi gran<strong>di</strong> e molto belli’<br />

(II.1.12); se poni fecit in coltam ‘si fece iscrivere nella colletta’ (II.1.13); fecit eligi<br />

CC milites de Padua ‘fece scegliere 200 soldati <strong>di</strong> Padova’ (IV.3.59); Ecelinus … Paduanos<br />

armari fecit et in destrariis sedentes ‘E. fece armare i Padovani e salire sui<br />

destrieri’ (IV.5.42); ipsum … faciebat custo<strong>di</strong>ri per Sarracenos ‘lo faceva custo<strong>di</strong>re<br />

dai Saraceni’ (IV.6.77; cfr IV.11.51); fecit sibi Monteclum maiorem dari ‘si fece consegnare<br />

Montecchio Maggiore’ (IV.11.49, cfr IV.13.17); fieri fecit mortalem carcerem<br />

… cui carceri nomen imposuit et fecit vocari Maltam ‘fece fare <strong>un</strong> mortifero carcere<br />

… e a questo carcere impose il nome <strong>di</strong> Malta e così lo fece chiamare’<br />

(VI.16.81, cfr VI.6.71).<br />

Un bel triplo minimo si osserva nella frase ipse Salinwerra … fecit eum honorabiliter<br />

sepeliri ‘S. lo fece onorevolmente seppellire’ (II.2.39) confrontata da <strong>un</strong> lato<br />

con <strong>un</strong> passo dalla Bibbia istoriata – Ysaac e so fradelo Ysmahel sì ’l fa sepelire (Gen<br />

cxxiiii) – e dall’altro con la versione <strong>di</strong> questo ultimo nella Vulgata et sepelier<strong>un</strong>t<br />

eum Isaac et Ismahel (Gen 25.9). Laddove la Vulgata conserva l’uso classico del<br />

verbo semplice, i due esempi padovani hanno in com<strong>un</strong>e la perifrasi causativa, ma<br />

si <strong>di</strong>stinguono per la <strong>di</strong>atesi dell’infinito. 9<br />

Per i verbi inaccusativi e per certi riflessivi Rolan<strong>di</strong>no adopera invece l’infinito<br />

attivo: fecer<strong>un</strong>t se ad domos occupancium deportare ‘si fecero portare alle loro case’<br />

(I.14.19); que nostros faciant inimicos de suis excessibus penitere ‘che facciano pentire<br />

i nostri nemici dei loro errori’ (II.12.55); et eos faciet de suis excessibus penitere<br />

‘e li faccia pentire dei loro errori’ (II.14.60); fecitque illuc Veronenses venire ‘e<br />

fece venire lì i veronesi’ (IV.6.38, cfr X.4.14); fecit eum venire Paduam ‘lo fece venire<br />

a Padova’ (IV.11.8); et stare fecit totum exercitum ‘e fece stare tutto l’esercito’<br />

(IX.11.14, cfr X.9.6); XI milia personarum … quos…perire fecit (IX.8.25); facit lascivire<br />

asellum ‘rende insolente l’asinello’ (X.17.13); fecit Albricum … manere ‘fece<br />

rimanere A.’ (XII.16.26). 10<br />

8 Le due eccezioni a questa regola che ho colto sono: et dampnificare fecit…inimicos (IV.13.3) e fecerat<br />

fabricare Ecelinus illas letteras (XI.2.30).<br />

9 Nello stesso tempo quest’esempio in<strong>di</strong>ca i limiti evidenziali <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> come la Cronaca. Non si può<br />

dedurre nulla dalla separazione del verbo reggente e l’infinito, normale in latino ma anomalo nelle lingue<br />

romanze, dal momento che la sequenza honorabiliter sepeliri costituisce <strong>un</strong> perfetto cursus velox,<br />

effetto retorico che, come si è visto, ha la precedenza sulle consuete regole sintattiche.<br />

10 Date le limitazioni <strong>di</strong> spazio, continuo la lista delle attestazioni in questa nota dando solo il verbo<br />

(nella forma pertinente attiva o passiva) e il rimando testuale: alligari (XI.17.21), capi et detineri


Tra latino e <strong>di</strong>aletto: <strong>riflessioni</strong> <strong>sulla</strong> <strong>sintassi</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> <strong>padovano</strong> me<strong>di</strong>oevale<br />

419<br />

Di particolare interesse sono esempi quali <strong>di</strong>ci fecit et arengari ‘fece <strong>di</strong>re e proclamare’<br />

(IV.12.26) e scribi fecit ‘fece scrivere’ (IV.12.29), perché confermano che<br />

il principio seguito dal nostro era <strong>di</strong> utilizzare l’infinito passivo per i verbi transitivi<br />

e inergativi e <strong>di</strong> riservare l’infinito attivo ai soli verbi inaccusativi e riflessivi. La<br />

<strong>di</strong>stinzione tra inaccusativo e inergativo è fondamentale all’analisi dei costrutti causativi<br />

romanzi (Alsina 1996, cap 6) mentre il sistema latino classico è guidato dalla<br />

tra<strong>di</strong>zionale opposizione tra attivo e passivo. La <strong>sintassi</strong> rolan<strong>di</strong>niana è qui, come<br />

felicemente <strong>di</strong>ce Fiorese, ‘sospesa tra italiano e latino’ in quanto lo scrittore si avvale<br />

del costrutto causativo romanzo, ma per la sua realizzazione attinge alle risorse<br />

morfologiche del latino.<br />

Ciò che abbiamo visto per il verbo fattitivo vale anche per i verbi percettivi. Si<br />

notino gli infiniti attivi degli inaccusativi: eum vi<strong>di</strong> … advenire ‘lo vi<strong>di</strong> arrivare’<br />

(II.16.8), hoc autem videntes extrinseci esse mortem et periculum defensorum ‘gli asse<strong>di</strong>anti<br />

vedendo che ciò produceva (lett. ‘era’) morte e pericolo per i <strong>di</strong>fensori’<br />

(VIII.13.51), videntes intrinseci se perire ‘gli asse<strong>di</strong>ati vedendosi perire’ (X.2.21).<br />

Con <strong>un</strong> verbo transitivo invece è normale l’infinito passivo: decipi vi<strong>di</strong> aliquando piscem<br />

hamo ‘ho visto ingannare il pesce con l’amo’ (II.17.7); video propheciam …<br />

matris mee perfici et compleri ‘vedo che si attua e si compie la profezia <strong>di</strong> mia madre’<br />

(XII.15.9); sencientes aliquid per exercitum murmurari ‘sentendo qualche mormorazione<br />

nell’esercito’ (IX.11.10). 11<br />

Con i verbi percettivi troviamo inoltre casi come i seguenti: au<strong>di</strong>ver<strong>un</strong>t quidam<br />

e<strong>un</strong>dem … <strong>di</strong>centem ‘alc<strong>un</strong>i lo sentirono <strong>di</strong>re’ (II.16.18); videns et au<strong>di</strong>ens potestatis<br />

ministros eidem Tavalle crudeliter cominantes ‘vedendo e sentendo i ministri del<br />

podestà minacciare T. crudelmente’ (VI.15.43). Un participio presente retto da video<br />

o au<strong>di</strong>o non è certamente sconosciuto nel latino classico (Kühner-Stegmann<br />

1962, 703-4), e se non sopravvive nelle lingue romanze moderne, se ne trovano occorrenze<br />

non infrequenti nei volgari antichi (Corti 1953, 342-3). Dagli spogli SA-<br />

VI citiamo gli esempi veneti in (9) da mettere accanto al dantesco (10):<br />

(9) a. … et ello vete <strong>un</strong>a bellitissima verzene stagando sovra <strong>un</strong> altare,<br />

e tegnando <strong>un</strong> fantolin in le soe braze … (Cronica deli imperadori, 1b)<br />

b. … conzo fosse cossa ch-ell-avesse vezu<strong>di</strong> li gla<strong>di</strong>adori<br />

combatando in siembre … (Cronica deli imperadori, 9b)<br />

(10) ‘Summae Deus clementiae’ … u<strong>di</strong>’ cantando<br />

…<br />

vi<strong>di</strong> spirti per la fiamma andando (Purgatorio xxv, 121-4)<br />

(V.9.14, VI.15.27, VI.16.25), clau<strong>di</strong> (V.4.35), convenire (IX.7.38), decapitari (VI.7.6), decollari<br />

(X.11.32), desiccari (VIII.9.30), eminere (XI.14.8), incarcerari (VI.16.29), murari (VIII. 11.21), perpeti<br />

(X.11.32), poni (V.8.10, VI.16.33), submitti (X.9.15), trepidare (XI.9.39).<br />

11 Da segnalare in questo esempio l’in<strong>di</strong>zio lessicale del sostrato volgare che è il verbo sentire al posto<br />

del classico au<strong>di</strong>re in <strong>un</strong> con<strong>testo</strong> in cui il modo <strong>di</strong> percezione non è in dubbio.


420<br />

Nigel Vincent<br />

Al contrario, facio + participio presente si trova in latino classico solo col significato<br />

<strong>di</strong> ‘fingere, <strong>di</strong>pingere’ (Kühner-Stegmann 1962, 704) e quin<strong>di</strong> <strong>un</strong> caso come (11) va<br />

attribuito all’effetto analogico volgarizzante del costrutto percettivo su quello causativo,<br />

forse agevolato qui dal fatto che il participio si trova co-or<strong>di</strong>nato con <strong>un</strong> infinito:<br />

(11) Ecelinus … Paduanos armari fecit et in destrariis sedentes<br />

‘E fece armare i Padovani e salire sui destrieri’ (IV.5.42)<br />

E data la frequente confusione tra ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o e participio presente sia nel latino me<strong>di</strong>evale<br />

che nei testi volgari, non sorprende troppo se ci s’imbatte nel tipo in (12)<br />

anche se non esistono precisi precedenti latini per il costrutto facere + ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o.<br />

Lo stesso costrutto con <strong>un</strong> verbo reggente <strong>di</strong>verso si attesta in (13). 12<br />

(12) opera probitatis que viros nobiles faci<strong>un</strong>t comendandos<br />

‘atti <strong>di</strong> probità che rendono degni <strong>di</strong> lode i nobili’ (II.13.8)<br />

(13) hominibus reddere vos amandos<br />

‘<strong>di</strong> farvi amare dagli uomini’ (II.11.25)<br />

Di nuovo, quin<strong>di</strong>, ve<strong>di</strong>amo che anche se la veste morfologica è latina il modello sintattico<br />

soggiacente è romanzo.<br />

Infine, è interessante osservare che Tomasin (2004, pp. 220-1) annovera tra le<br />

strutture latineggianti in<strong>di</strong>viduabili nei suoi testi <strong>di</strong> carattere prevalentemente pratico<br />

l’uso dell’AcI, ad esempio: sentençiemo el pre<strong>di</strong>cto Nani dovere dare ala pre<strong>di</strong>cta<br />

conpagnia (34.53r.45-46). Questo giu<strong>di</strong>zio non è certamente da contestare, ma lo<br />

spoglio della Cronaca rolan<strong>di</strong>niana rivela che, anche in <strong>un</strong> <strong>testo</strong> latino dell’epoca,<br />

l’AcI non è poi così frequente, se si tolgono dal conteggio i costrutti fattitivi e percettivi<br />

appena <strong>di</strong>scussi. È vero che questi ultimi trovano il loro etimo almeno in<br />

parte nell’AcI (Robustelli 1993 (2000), 48-52), ma, a quest’epoca e in <strong>un</strong> <strong>testo</strong> come<br />

quello <strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no, è legittimo pensare che si tratti <strong>di</strong> <strong>un</strong> travestimento latino<br />

<strong>di</strong> <strong>un</strong> costrutto volgare autonomo piuttosto che <strong>di</strong> <strong>un</strong> genuino costrutto classico. Vere<br />

istanze <strong>di</strong> AcI rimangono – ne cito due selezionate a caso: <strong>di</strong>xit se velle super his habere<br />

consilium ‘<strong>di</strong>sse che <strong>sulla</strong> questione voleva tenere consiglio’ (II.12.1); memini namque<br />

quosdam in Padua fecisse statutum ‘mi ricordo infatti che alc<strong>un</strong>i a Padova fecero<br />

<strong>un</strong>o statuto’ (III.13.6) – ma forse non sono tanto meno dotte in <strong>un</strong> <strong>testo</strong> latino quanto<br />

indubbiamente lo sono in <strong>un</strong> <strong>testo</strong> volgare (cfr Segre 1952 (1976), 117-122).<br />

3.3 Ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o<br />

Per <strong>un</strong>’indagine del tipo che ci prefiggiamo qui il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o è <strong>un</strong>a spia molto sottile<br />

dal momento che si tratta <strong>di</strong> <strong>un</strong> elemento sintattico con <strong>un</strong>’ampia gamma <strong>di</strong> usi,<br />

che vanno da quelli più raffinati e tipici della prosa latina <strong>di</strong> ispirazione classicheggiante<br />

a quelli che sono <strong>di</strong> stampo decisamente popolare e assolutamente sco-<br />

12 In (12) ma non in (13) sarebbe anche possibile assegnare al ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o <strong>un</strong> semplice valore attributivo.


Tra latino e <strong>di</strong>aletto: <strong>riflessioni</strong> <strong>sulla</strong> <strong>sintassi</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> <strong>padovano</strong> me<strong>di</strong>oevale<br />

421<br />

nosciuti agli autori antichi; come vedremo, Rolan<strong>di</strong>no si avvale dell’intero repertorio<br />

stilistico <strong>di</strong> questa forma. Cominciamo con il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o pre<strong>di</strong>cativo con valore<br />

modale: nec est de Padua dubitandum ‘né si deve dubitare <strong>di</strong> Padova’ (III.12.28);<br />

ceper<strong>un</strong>t cogitare … quid foret eis in tali articulo faciendum ‘cominciarono a pensare<br />

riguardo a che cosa dovessero fare in tale frangente’ (IX.10.38); hic pretermittendum<br />

non arbitror ‘a questo p<strong>un</strong>to non ritengo <strong>di</strong> dover tralasciare’ (IX.12.1);<br />

comm<strong>un</strong>is utilitas preferenda est speciali ‘l’utile com<strong>un</strong>e deve essere preferito all’utile<br />

particolare’ (XI.15.49); nullum est sperandum reme<strong>di</strong>um ‘non c’è più da sperare<br />

rime<strong>di</strong>o’ (XI.18.2).<br />

Si notino in questi esempi vari in<strong>di</strong>zi dell’ubbi<strong>di</strong>enza del nostro ai precetti della<br />

grammatica classica, quali l’alternanza tra il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o impersonale (dubitandum,<br />

faciendum, pretermittendum) e il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>vo (preferenda, sperandum), il correttissimo<br />

dativo <strong>di</strong> agente eis, l’ellissi <strong>di</strong> esse nell’AcI e così via. Classicheggiante ma anche<br />

caro agli scrittori me<strong>di</strong>evali è il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o/ger<strong>un</strong><strong>di</strong>vo con ad in complementi finali<br />

quali: nec potuit frater Iohannes … ipsos ad manendum ulterius confortare ‘fra<br />

Giovanni non riuscì più a persuaderli a restare’ (IX.11.7); paratus ad eum ricipiendum<br />

magnifice ‘pronto ad accoglierlo magnificamente’ (XI.18.17); multum instantissime<br />

laboravit ad civitatis negocia reformanda ‘molto e con grande insistenza si<br />

era dato da fare per cambiare la situazione della città’ (XII.12.22). Da notare che<br />

Rolan<strong>di</strong>no non segue la tendenza me<strong>di</strong>evale identificata da Westerbergh (1956, p.<br />

277) <strong>di</strong> saltare la preposizione in questo costrutto.<br />

In alc<strong>un</strong>i casi, in questo costrutto riconosciamo quasi ciò che nelle lingue romanze<br />

sarebbe <strong>un</strong>a completiva infinitivale: compuler<strong>un</strong>t ad men<strong>di</strong>candum ‘li spinsero<br />

a elemosinare’ (XI.13.19). Altrove il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o in <strong>di</strong>pendenza da <strong>un</strong>a preposizione<br />

è perfettamente classico: paisan<strong>di</strong> causa ‘per falconare’ (I.2.6), dove spicca<br />

per contrasto il lessema paisare <strong>di</strong> palese origine regionale.<br />

Il passo seguente colpisce per la compresenza del ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o ‘completivo’ con ad<br />

e <strong>un</strong>a fitta sequenza <strong>di</strong> ger<strong>un</strong><strong>di</strong> con in in f<strong>un</strong>zione avverbiale: fere villas omnes et<br />

castra compulerat ad construendum et roborandum pre<strong>di</strong>ctum castrum in extorquenda<br />

pecc<strong>un</strong>ia c<strong>un</strong>ctis in<strong>di</strong>fferenter, in fatigan<strong>di</strong>s illic hominibus, bovibus, equis, asinis<br />

et iumentis mortaliter, in facien<strong>di</strong>s ibi<strong>di</strong>m prederiis, collocan<strong>di</strong>s ballistis, victualibus<br />

deferen<strong>di</strong>s … ‘aveva spinto quasi tutti i villaggi e i castelli a construire e rafforzare<br />

il predetto castello, estorcendo denaro a tutti senza <strong>di</strong>stinzione, affaticando lì uomini,<br />

buoi, cavalli, asini e giumenti fino alla morte, facendo lì petriere, collocando<br />

balestre, portando viveri …’ (XII.13.22-26). Altri casi <strong>di</strong> in seguito da ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o sono:<br />

in colendo Deum ‘nel rendere onore a Dio’ (II.11.10); in pugnando (VIII.12.29).<br />

Il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o con in ha, si capisce, <strong>un</strong>a buona ascendenza classica ma il suo interesse<br />

in questa sede sta nel fatto che il sintagma è particolarmente caro ai primi poeti<br />

volgari (Corti 1953, 353).<br />

Non privo <strong>di</strong> precedenti antichi ma certamente più frequente in autori postclassici<br />

è invece il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>vo in f<strong>un</strong>zione attributiva (Kühner-Stegmann 1962, 733),<br />

<strong>di</strong> cui troviamo esempi anche in Rolan<strong>di</strong>no: episcopus reverendus (I.6.2), redar-


422<br />

Nigel Vincent<br />

guenda fece (I.9.37), venerande memorie (I.11.8), <strong>di</strong>vina <strong>di</strong>spensacio … commendanda<br />

(IX.12.1) ‘la <strong>di</strong>vina provvidenza che dovrebbe essere lodata’, moribus imitandus<br />

(IX.12.8) ‘che bisognerebbe imitare nei costumi’.<br />

Accanto a questi usi più o meno rispettosi delle norme antiche ne esiste <strong>un</strong>o<br />

prettamente volgare, e cioè il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o che f<strong>un</strong>ge da proposizione subor<strong>di</strong>nata. Limiti<br />

<strong>di</strong> spazio non ci consentono <strong>di</strong> <strong>di</strong>l<strong>un</strong>garci in <strong>un</strong>a <strong>di</strong>scussione estesa, ma eccone<br />

qualche esempio preso <strong>un</strong> po’ a caso: cum ipso m<strong>un</strong><strong>di</strong> partes plurimas circuivit,<br />

multa habendo solacia et maximas faciendo expensas ‘andò in giro con lui in varie<br />

parti del mondo, molto <strong>di</strong>vertendosi e facendo gran<strong>di</strong> spese’ (I.3.28); Manfre<strong>di</strong>nus,<br />

equitando more solito per exercitum … ceci<strong>di</strong>t mortuus ‘M., cavalcando come al solito<br />

fra l’esercito … stramazzò morto’ (I.12.36); Osbergius de Vivario eciam pugnando<br />

contra venientes captus est illa hora ‘Fu catturato anche O. da V. mentre<br />

combatteva contro il nemico che avanzava’ (VIII.10.42); quos in altum levaverat appellando<br />

amicos ‘che aveva sollevato in alto chiamandoli amici’ (XI.12.23). Segno<br />

dell’integrazione tra latino e volgare è la facilità con cui il traduttore italiano ricorre<br />

senza forzature al ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o moderno per rendere il senso <strong>di</strong> quello latino.<br />

Non è questa la sede per ritornare alla nascita e la <strong>di</strong>ffusione del ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o in<br />

ambito italo-romanzo, per cui riman<strong>di</strong>amo al magistrale trattamento <strong>di</strong> Skerlj<br />

(1926) e agli essenziali contributi in merito <strong>di</strong> Segre (1952) e Corti (1953, 341-365).<br />

Ci basti ricordare la conclusione della Corti (ib. 341), la quale parla <strong>di</strong> questi usi<br />

come ‘nati all’interno della nostra stessa lingua, influenzati se mai più dal latino che<br />

dal provenzale o dal francese’.<br />

Nelle poche ma lucide pagine de<strong>di</strong>cate agli usi ger<strong>un</strong><strong>di</strong>ali nel latino del Chronicon<br />

salernitanum, Westerbergh (1956, 277-9) segnala <strong>un</strong>a formula costituita da <strong>un</strong><br />

verbo quale <strong>di</strong>rigere o mittere accompagnato dal ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>un</strong> verbum <strong>di</strong>cen<strong>di</strong><br />

confrontandolo col tipo mandare <strong>di</strong>cendo dell’italiano antico. Dal nostro <strong>testo</strong> citiamo<br />

nos mittit, amicabiliter deprecando ‘ci manda, scongiurando amichevolmente’<br />

(II.11.29) e misit <strong>di</strong>cendo (II.15.9). È da sottolineare, però, che mentre gli esempi<br />

riportati dalla stu<strong>di</strong>osa svedese hanno più com<strong>un</strong>emente il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o in -um,<br />

quelli rolan<strong>di</strong>niani hanno sempre il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o in -o, proprietà che accosta la sua lingua<br />

al volgare. In altri contesti, il nostro si serve del ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o per esprimere il contenuto<br />

dell’atto en<strong>un</strong>ciativo in <strong>un</strong>a maniera che ricorda il <strong>di</strong>cens del latino biblico:<br />

utrum autem loqueretur ponendo Paduam esse novercam suam ‘se parlasse per metafora<br />

intendendo per sua noverca Padova’ (VI.1.16); ait suum dando consilium ‘e<br />

<strong>di</strong>sse dando il suo consiglio’ (IX.8.12).<br />

Concludo questa sezione con <strong>un</strong> passo in cui il susseguirsi <strong>di</strong> due ger<strong>un</strong><strong>di</strong> con<br />

f<strong>un</strong>zioni <strong>di</strong>verse – il primo temporale, l’altro finale – richiama in qualche maniera<br />

le stravaganze <strong>di</strong> questo costrutto nella prosa guittoniana (Segre 1952 (1976), 122-<br />

134): durissime fatigatus venando, multo magis lassaretur ad requiem veniendo ‘dopo essersi<br />

molto affaticato nella caccia, si sarebbe stancato molto <strong>di</strong> più per andare a letto’<br />

(XI.14.24). Tra il latino volgarizzante del notaio <strong>padovano</strong> e il toscano latineggiante del<br />

frate aretino c’è forse meno <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> quanto tra<strong>di</strong>zionalmente non si pensi.


Tra latino e <strong>di</strong>aletto: <strong>riflessioni</strong> <strong>sulla</strong> <strong>sintassi</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>testo</strong> <strong>padovano</strong> me<strong>di</strong>oevale<br />

423<br />

44. Conclusiooni<br />

Come interpretare i dati che si sono venuti esponendo? In particolare come inserire<br />

il capolavoro <strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no in <strong>un</strong>a storia del <strong>padovano</strong>? I testi padovani anteriori<br />

alla metà del Trecento sono scarsissimi; Tomasin (2004) riporta solo qualche<br />

app<strong>un</strong>to, sintatticamente poco articolato, su affittuari provenienti da Monselice<br />

e databile tra 1336 e 1340. Rolan<strong>di</strong>no ci offre invece <strong>un</strong> <strong>testo</strong> esteso, con tra<strong>di</strong>zione<br />

manoscritta non troppo complicata e lac<strong>un</strong>osa, la cui composizione è precisamente<br />

collocabile nei primi anni sessanta del Duecento ad <strong>un</strong>’altezza cronologica<br />

che lo accosta all’opera <strong>di</strong> <strong>un</strong> Guittone d’Arezzo o <strong>di</strong> <strong>un</strong> Guido Fava e che anticipa<br />

<strong>di</strong> tre quarti <strong>di</strong> secolo le prime attestazioni volgari padovane.<br />

Evidentemente sarebbe assurdo pretendere che Rolan<strong>di</strong>no occupi <strong>un</strong> posto nella<br />

storia del <strong>padovano</strong> paragonabile a quello <strong>di</strong> <strong>un</strong> Guittone nella storia del toscano,<br />

ma prescindendo dalla lingua, il confronto fra Rolan<strong>di</strong>no e l’anonimo cronista<br />

romano o l’autore della Cronaca fiorentina non è del tutto implausibile. Si può d<strong>un</strong>que<br />

prescindere dalla lingua in sede <strong>di</strong> storia linguistica? Per la fonologia e la<br />

morfologia <strong>di</strong>fficilmente: il vestigia (IX.5.3) singolare femminile <strong>di</strong> Rolan<strong>di</strong>no trova<br />

riscontro nelle Lau<strong>di</strong> <strong>di</strong> Jacopone ma è <strong>un</strong> caso pressoché <strong>un</strong>ico. Per contro nel<br />

campo del lessico vocaboli <strong>di</strong> origine locale come paisare ‘falconare’ (I.2.6) o il lombar<strong>di</strong>smo<br />

mactare ‘gesticolare’ (IV.14.33) s’innestano senza <strong>di</strong>fficoltà in <strong>un</strong> <strong>testo</strong> latino,<br />

pur non essendo frequenti. Per la <strong>sintassi</strong>, invece, ho cercato <strong>di</strong> mostrare che<br />

non solo costrutti quali il causativo e il ger<strong>un</strong><strong>di</strong>o possono integrarsi senza <strong>di</strong>storsioni<br />

troppo evidenti in <strong>un</strong>a prosa latina che conserva il suo tono volutamente magniloquente,<br />

ma vi ricorrono anche con <strong>un</strong>a <strong>di</strong>screta frequenza, tale da consentire<br />

allo stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> farne il proprio oggetto <strong>di</strong> indagine.<br />

La seconda osservazione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne metodologico che mi permetto <strong>di</strong> fare riguarda<br />

la stratificazione linguistica e la variazione <strong>di</strong>afasica da ricostruire in <strong>un</strong> com<strong>un</strong>e<br />

<strong>di</strong> quest’epoca. Invece <strong>di</strong> parlare, come spesso si fa, <strong>di</strong> <strong>un</strong> rapporto <strong>di</strong>glossico<br />

tra lingua alta (latino) e lingua bassa (<strong>padovano</strong>) sarebbe forse meglio pensare<br />

ad <strong>un</strong>a situazione più complessa in cui s’intrecciano <strong>un</strong>a gerarchia volgare e <strong>un</strong>a gerarchia<br />

latina creando <strong>un</strong>a gamma <strong>di</strong> microcosmi linguistici. Spero <strong>di</strong> aver <strong>di</strong>mostrato<br />

che quello del nostro notaio duecentesco <strong>padovano</strong> ne costituisce <strong>un</strong>o <strong>di</strong><br />

particolare interesse per lo storico della lingua.<br />

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