de iure publico 1 gennaio 2009

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 1
Il giornale
sulla Pubblica
Amministrazione
anno 2 n.1
gennaio 2009
INTERVISTA
ESCLUSIVA
a Roberto Formigoni
La nostra inchiesta è
arrivata nel lodigiano
SERGIO FUMASONI
Tutela del paesaggio
PAOLO SANINO
Appalti e contratti
il Corriere
de iure publico
Il blu dell’Europa
ispira sempre più le leggi
dalla Francia alla Toscana

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sommario
37
23
il Corriere de iure publico
16
40
iprimatur
4 Ascoltare i cittadini: lo dice la legge
l’intervista
8 Incontro con Formigoni
parliamone
12 Tutela del paesaggio: questione di cultura
l’ambiente
16 Fotovoltaico, il Vaticano indica la strada
20 Stima quantitativa della radiazione solare
l’inchiesta
23 Lodigiano: Il futuro si semina nel passato
27 Lodi, città senza compromessi
30 Obiettivo: programmazione urbanistica per aprile 2009
32 PGT al vaglio dei cittadini
34 Entro febbraio 2009 arriva il Ptcp
sotto la lente
37 Rispettiamo le distanze
38 Appalti e contratti
a cura dei comitati scientifici
40 Speciale sicurezza: Testo unico della sicurezza
e applicazione del D.L.G S. 231/2001
42 Sentenze
Direttore responsabile: Paola Loaldi
Comitati scientifici: Avv. Bruno Bianchi (presidente della Fondazione ‘de iure publico’), Avv. Luigi Sirtori (direttore dei Comitati
scientifici della Fondazione ‘de iure publico’), Dott.ssa Alessandra Locci (responsabile coordinamento dei Comitati scientifici
- P.T.R.), Arch.Chiara Bartoli (urbanistica), Dott. Alessandro Bazzoni (L. 241/90), Avv. Gianmarco Beccalli (diritti reali),
Dott. Alessandro Bernasconi (demanio - urbanistica - contratti), Dott.ssa Silvana Bini (diritto amministrativo), Avv. Maria Bitondo
(urbanistica - edilizia), Avv. Rossana Cairoli (urbanistica), Avv. Gianluca Capellini (diritto tributario e societario), Dott.
Angelo Crippa (prevenzione rischi naturali), Avv. Veronica Dini (ambiente - urbanistica - sicurezza sul lavoro), Ing. Omar Gilardoni
(SIT - modellistica - statistica - VAS - progettazione urbana - piani di sicurezza), Avv. Roberta Giubilo (diritto di famiglia),
Avv. Ilaria Groppelli (delegato della Fondazione ‘de iure publico’ per la Provincia Cremona - ambiente - urbanistica), Avv.
Donatella Pagliaccia (diritti reali - urbanistica), Avv. Vittorio Patrini (diritto penale), Avv. Federica Piccaluga (demanio), Dott.ssa
Roberta Ravasio (diritto amministrativo), Prof. Giancarlo Ruffo (legislazione veterinaria e legislazione alimentare), Avv. Paolo
Sanino (appalti di LL.PP.), Avv. Federico Scognamiglio (diritto penale), Avv. Paola Tarquinio (demanio - urbanistica), Avv. Marco
Tocci (delegato della Fondazione ‘de iure publico’ per la Regione Lazio - diritto civile), Dott.ssa PaolaTrombetta (organizzazione
P.A.), Dott. Alessandro Vaccarella (diritto del lavoro), Avv. Chiara Vetro
Direttore Centro Studi ‘de iure publico’: Simone Cattaneo
Capo redattore: Daniela Castelli
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Immagini: Mario Motta, archivio Regione Lazio, archivio storico Centro Studi ‘de iure publico’
Stampa: Poggi tipolito S.r.l., Assago (Milano)
Periodico di informazione sulla Pubblica Amministrazione. Gennaio 2009, numero 1
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Editoriale
Partecipazione e
comunicazione
Occorre mettere la comunicazione dentro l’agire politico amministrativo, perché comunicare si può
e si deve: è questa l’opinione di Franco Frattini, ministro degli Affari Esteri. Infatti l’attuale ministro
considera la comunicazione fondamentale per costruire rapporti civili tra cittadini e politici, non a
caso ha sostenuto la legge n.150/2000, che disciplina le attività di informazione e di comunicazione
delle pubbliche amministrazioni.
Le leggi regionali, successivamente promulgate, hanno fatto di questo principio un nodo fondamentale
su cui costruire il rapporto tra amministrazione e cittadini. Leggi che nei loro princìpi prevedono
un coivolgimento, per la prima volta in Italia, in modo diretto: se un cittadino o una realtà
imprenditoriale privata o un professionista devono suggerire costruttivamente al Comune un’idea
o un progetto, a monte devono essere in grado di farlo avendo a disposizione gli stessi mezzi di
conoscenza dell’organizzione della pubblica amministrazione locale, da qui l’importanza della comunicazione
per favorire di conseguenza la partecipazione. È questo un approccio nuovo che trova
già applicazione da molto tempo in altri Paesi europei, dove, a fronte di un’informazione puntuale
da parte degli amministratori pubblici, anche i cittadini possono essere propositivi, per andare
incontro alle esigenze e agli interessi della realtà in cui vivono.
È una metodologia effettiva per esempio in Francia, dove questo modo di governare è praticato
tramite l’istituzionalizzato ‘dibattito pubblico’. Così è pure per la la Gran Bretagna con il suo ‘town
meeting’. Anche l’Italia viaggia in questa direzione. Una via non semplice da percorrere, ma che i
governanti di oggi hanno il dovere di seguire, cercando di coinvolgere in modo propositivo e concreto
le realtà private e i cittadini. In Italia questo cambiamento è un fatto concreto che tocca da
vicino la Lombardia, dove il presidente Formigoni è
sostenitore della partecipazione, princìpio contenuto
tra l’altro anche nello ‘Statuto d’autonomia della
Lombardia’ (Legge Regionale Statutaria n.1/2008),
con particolare riferimento all’art.8. Lo stesso Formigoni
ce ne parla nell’intervista rilasciata al Corriere de
iure publico e pubblicata proprio su questo numero.
Ma questo è un concetto sempre più diffuso e oltremodo
trasversale ai vari partiti politici: significativo
esempio è la Legge Regionale Toscana n.69/2007 -
premiata a livello europeo - che contiene ‘norme sulla
promozione della partecipazione alla elaborazione
delle politiche regionali e locali’ (si veda pag. 4). Un
impegno che in generale appare crescente e che
mette ancor più in evidenza la lungimiranza e il ruolo
strategico della nostra Fondazione, la quale, fin dalla
sua nascita, si muove in questa direzione.
Paola Loaldi
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 3

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4
Ascoltare i cittadini:
Nasce in Toscana la prima legge
regionale italiana in materia di
partecipazione. Legge premiata
in Francia alla quinta Conferenza
europea delle Buone Pratiche
nel rapporto tra pubblica
amministrazione e cittadino.
Alessandra Locci*
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
N asce
in Toscana - regione che si è sempre distinta per elevati
livelli di associazionismo sia in ambito politico e sindacale
sia in ambito sociale e culturale e per il collaudato
impiego di momenti concertativi nei diversi campi delle politiche
pubbliche locali e regionali 1 - la prima legge regionale italiana
in materia di partecipazione.
Approvata il 19 dicembre 2007 dal Consiglio Regionale ed entrata
in vigore il 18 gennaio 2008, la L.R. n.69 Norme sulla promozione
della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali
e locali rappresenterebbe la nuova via attraverso cui superare
le difficoltà e i limiti derivanti dal ‘distacco’ e dalla disaffezione
che sovente caratterizzano il rapporto tra cittadini e istituzioni
democratiche 2 .
Modalità partecipative
L’ideazione di una legge preordinata a promuovere nuove modalità
partecipative nell’ambito dei processi di formazione delle scelte
istituzionali, favorendo un coinvolgimento che va oltre la ‘cerchia
dei soggetti sociali organizzati’ 3 prende, dunque, le mosse da
una ormai appurata ‘crisi’ delle istituzioni della democrazia rappresentativa
e anche delle ordinarie forme di partecipazione.
Al contempo, la L.R. 69/2007, riconoscendo che la partecipazione
è un innegabile
diritto della cittadinanza,
che, in quanto
tale, deve essere
favorita e incentivata,
rinviene i suoi
fondamenti giuridici
‘ La partecipazione è un
innegabile diritto
della cittadinanza ’
nello Statuto regionale della Tocana ponendosi in attuazione, ai
sensi dell’articolo 1 comma 2, di alcune fondamentali norme
statutarie. In primis dell’articolo 72 che richiama i principi di
sussidiarietà sociale e istituzionale sanciti all’articolo 3 comma 3
dello Statuto medesimo (La Regione sostiene i principi di sussidiarietà
sociale e istituzionale; opera per l’integrazione delle politiche
con le autonomie locali; riconosce e favorisce le formazioni sociali e
il loro libero sviluppo) in attuazione, a sua volta, dell’articolo 118
della nostra Carta Costituzionale (‘Stato, Regioni… favoriscono
l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà). In secondo luogo degli articoli 58 e 59 che attestano
il carattere giuridicamente vincolante del rispetto della sussidiarietà
nella costruzione e monitoraggio degli effetti dell’azione
regionale 4 .
Uno degli scopi precipui della legge è di promuovere, in attuazione
dello Statuto regionale, il metodo partecipativo quale forma
ordinaria di governo in tutti i settori e in tutti i livelli amministrativi
5 (articolo 1 comma 3 lettera b).
1 Relazione di accompagnamento- Proposta di legge ‘Norme per la partecipazione alle scelte politiche
regionali e locali’ in www.nuovomunicipio.org
2 ‘Ogni pezzo è importante. Partecipare, discutere, costruire insieme le decisioni’ - Guida all’applicazione
della legge regionale per la partecipazione dei cittadini l.r. n. 69/2007 in www.regionetoscana.it
3 ‘Fabio Sciola ‘Piccolo vademecum per una legge regionale toscana sulla partecipazione’ -Attività legislative-Giunta
regionale
4 Documento preliminare – orientamenti per una legge regionale sulla partecipazione. Marzo 2007
5 Alberto Magnaghi ‘La legge sulla partecipazione della regione toscana’ in www.nuovomunicipio.org.

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lo dice la legge
L’Aurotirità regionale per la partecipazione
È l’Autorità Regionale per la partecipazione istituita e disciplinata
dal Capo I, Sezione III, della normativa regionale a rivestire un
ruolo essenziale e imprescindibile in questo percorso. Organo
monocratico, indipendente e super partes, esso ha il compito di
gestire i dibattiti pubblici nonché di valutare i progetti locali e
ammetterli al sostegno regionale 6 .
Il Dibattito Pubblico Regionale è uno temi di grande rilievo cui
è dedicato il Capo II della legge. Si tratta della possibilità di istituire
su grandi interventi - con possibili rilevanti impatti di natura
ambientale, territoriale, sociale ed economica - un confronto
pubblico improntato su regole precise e necessariamente organizzato
e condotto sotto la responsabilità dell’Autorità regionale
alla cui discrezionalità - in assenza di particolari criteri o condizioni
per l’accoglimento delle domande relative alla organizzazione
del dibattito pubblico 7 - viene rimessa la valutazione dell’impatto
dell’intervento e, in maniera particolare, dello stadio di
elaborazione dell’ intervento medesimo 8 .
Spetta sempre all’Autorità regionale, ai sensi dell’articolo 9, determinare
le modalità di svolgimento del dibattito con specifico
riferimento alla sua durata (che non deve essere superiore a sei mesi,
salvo proroghe motivate per non oltre tre mesi), alla fissazione
delle relative fasi (con il precipuo scopo di assicurare la parità di
tutti i punti di vista coinvolti e condizioni di eguaglianza nell’accesso
ai luoghi e ai momenti di confronto) nonché alla nomina
di un responsabile il quale, a conclusione dei lavori, consegna
un rapporto che riferisce del processo adottato, degli argomenti
che sono stati sollevati e delle proposte conclusive cui ha dato luogo.
(articolo 10 comma 1).
L’Autorità verifica il corretto svolgimento del processo partecipativo,
prende atto del rapporto e lo rende pubblico (articolo 10 comma 2).
Per il soggetto titolare dell’intervento, si prospettano tre possibilità
ossia dichiarare, entro tre mesi dalla pubblicazione del rapporto
medesimo, se intende rinunciare al progetto o presentarne
uno alternativo (lettera a), se intende proporre modifiche al progetto
con la precisazione di quelle che si propone di realizzare
(lettera b) e, infine, se intende continuare a sostenere il medesimo
progetto sul quale si è svolto il dibattito pubblico, argomentando motivatamente
le ragioni di tale scelta (lettera c).
Progetti regionali e progetti locali
I processi decisionali relativamente ai quali la legge intende promuovere
la partecipazione non riguardano soltanto i progetti re-
6 Articolo 5 - Compiti
1. L’ Autorità:
a) valuta e ammette le proposte di dibattito pubblico sui grandi interventi del capo II e ne cura
lo svolgimento
b) valuta e ammette al sostegno regionale i progetti partecipativi del capo IV;
c) elabora orientamenti per la gestione dei processi partecipativi del capo IV;
d) definisce i criteri e le tipologie dell’attuazione delle forme di sostegno di cui all’art. 14, comma 6;
e) valuta il rendimento e gli effetti dei processi partecipativi;
f) cura il rapporto annuale sulla propria attività e lo trasmette al Consiglio regionale che ne assicura
adeguata pubblicità; il rapporto annuale riferisce, tra l’altro, sul rispetto e sul grado di attuazione
degli esiti dei processi partecipativi ammessi a sostegno regionale;
g) assicura, anche in via telematica, la diffusione della documentazione e della conoscenza sui
progetti presentati e sulle esperienze svolte, compresi i rapporti finali dei processi partecipativi;
h) esercita gli ulteriori compiti previsti dalla presente legge.
7 La domanda di organizzare un dibattito pubblico può essere avanzata, ex articolo 8, da una serie
di soggetti: il soggetto che intende realizzare il grande intervento sia esso pubblico o privato
(lettera a) il soggetto che contribuisce in modo rilevante alla realizzazione dell’ intervento in
questione (può trattarsi della Regione medesima, qualora essa sia co - finanziatrice di un intervento),
gli enti locali territorialmente competenti (lettera c), cittadini e residenti, nella misura
di almeno lo 0, 50 per cento dei residenti regolarmente nella regione, ivi compresi coloro
che hanno compiuto sedici anni. In ‘Ogni pezzo è importante. Partecipare, discutere, costruire
insieme le decisioni’ - Guida all’applicazione della legge regionale per la partecipazione dei
cittadini l.r. n. 69/2007 in www.regionetoscana.it
8 Ai sensi dell’articolo 8, comma 5, l’Autorità, ai fini dell’accoglimento della domanda, non soltanto
valuta se l’impatto dell’intervento è rilevante ma, altresì, verifica che non sia stato adottato
alcun atto amministrativo inerente il progetto preliminare.
È previsto, appunto, che l’accoglimento della richiesta e l’avvio del dibattito pubblico siano
connessi ad una fase ‘preliminare’ di elaborazione e definizione dell’intervento in questione.
Invero, per i grandi interventi, con possibili rilevanti impatti di natura ambientale, territoriale,
sociale ed economica, l’Autorità può organizzare un dibattito pubblico sugli obiettivi e le caratteristiche
dei progetti nella fase antecedente a qualsiasi atto amministrativo inerente il progetto preliminare
(articolo 7 comma 1).
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 5

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imprimatur
6
gionali concernenti interventi, opere pubbliche o questioni di
grande impatto ambientale e socio-economico ma anche progetti
a dimensione locale 9 .
Il Capo IV della normativa prevede, infatti, che la Regione sostenga,
secondo le tipologie del sostegno finanziario, del supporto
metodologico e, infine,
della fornitura di
supporti informatici 10 ,
lo svolgimento dei processi
di partecipazione
locale - siano essi promossi
dagli enti locali,
dai cittadini o da altri
soggetti 11 - cha abbiano
un preciso e circoscritto
oggetto, prevedano
tempi certi e ben definiti
(con una durata
massima complessiva di
sei mesi salvo possibilità
di proroga per casi motivati
ammessi dall’Autorità
e per non oltre tre
mesi) e indichino, sostanzialmente,
le modalità
e gli strumenti
più adatti tali da assicurare
la massima ‘inclusività’
ossia che tutti
i punti di vista siano
coinvolti e che tutti abbiano
pari opportunità
di esprimersi 12 . Queste
sono alcune delle condizioni
individuate, al-
l’articolo 15, ai fini dell’ammissione
al sostegno
regionale di tali
progetti partecipativi. Parimenti, vengono
precisati anche dei criteri di priorità attraverso
cui, sostanzialmente, l’Autorità regionale
valuta i progetti presentati 13 .
La legge 69/2007, mira, altresì, al rafforzamento
e all’estensione dei numerosi momenti
partecipativi già contemplati nelle
politiche regionali attraverso l’inserimento nella legislazione regionale
di talune modificazioni o, comunque, del richiamo alla
9Arpat News n. 009-2008 in www.arpat.toscana.it/news
10Ai sensi dell’articolo 14, comma 6, il sostegno regionale può comprendere anche una sola delle tipologie
(così come, tra l’altro, definite dall’Autorità regionale ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera
d).
11Ai sensi dell’articolo 14 possono presentare un progetto partecipativo e richiedere il relativo
sostegno regionale
- residenti e abitanti sulla base di prestabilite soglie demografiche (lettera a)
- gli Enti locali, singoli e associati, anche con il supporto di cittadini, residenti e associazioni (lettera
b)
- istituiti scolastici, singoli o associati (lettera c)
- imprese, relativamente a un proprie progettazioni o interventi che abbia un rilevante impatto
economico, sociale e ambientale
12 ‘Ogni pezzo è importante. Partecipare, discutere, costruire insieme le decisioni’ - Guida all’applicazione
della legge regionale per la partecipazione dei cittadini l.r. n. 69/2007 in www.regionetoscana.it
13Articolo 16 - criteri di priorità
1. Tra le domande ammesse sulla base dei requisiti indicati all’articolo 15, l’Autorità valuta come
prioritari i progetti che:
a) prevedono il coinvolgimento di soggetti deboli o svantaggiati, compresi i diversamente abili;
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
possibilità di ricorrere alla normativa sulla partecipazione. Rilevano,
a tal proposito, non soltanto le modifiche apportate dall’articolo
20 alla L.R. 49/1999 ‘Norme in materia di programmazione
regionale 14 , ma anche i contenuti dell’articolo 21 che attengono al
Coordinamento con la l.r. 1/2005 in materia di territorio 15 .
Ai politici non basta più solo l’abilità nel comunicare, bisogna favorire la partecipazione
Una legge unica nel suo
genere
L’elaborazione e la promulgazione
di una legge certamente
unica nel suo genere,
proviene da una precisa
e dichiarata scelta: ‘ripensare’
il ruolo e le forme della partecipazione attraverso la costruzione
di nuovi istituti che cerchino di raggiungere un punto di
‘ La legge mira al rafforzamento
e all’estensione dei momenti
partecipativi ’
b) hanno svolgimento su territori che presentano particolari situazioni di disagio sociale o territoriale;
c) hanno per oggetto opere o interventi che presentano un rilevante impatto potenziale sul paesaggio
o sull’ambiente;
d) si fanno carico di agevolare, attraverso spazi, tempi e luoghi idonei, la partecipazione paritaria
di genere;
e) presentano un migliore rapporto tra i costi complessivi del processo e le risorse proprie;
f) adottano forme innovative di comunicazione e di interazione con gli abitanti che consentono
a questi ultimi di interloquire attivamente nelle diverse fasi del processo;
g) sono sostenuti da un numero consistente di richiedenti, oltre la soglia minima dell’articolo
14, comma 1, lettera a).
8 In particolare, l’articolo 20, comma 1, inserisce nella legge regionale disciplinante le procedure
della programmazione regionale il comma 2 bis che sancisce l’obbligo di indicare, nella
definizione di un piano o programma, una quota vincolata di risorse da destinare all’organizzazione
di processi e momenti partecipativi.
15 È previsto che gli enti locali possano promuovere le forme partecipative previste dalla legge n.
69 nella fase di elaborazione degli strumenti della pianificazione territoriale e degli atti di governo
del territorio e precedentemente alla loro adozione, in riferimento sia ai profili statutari sia strategici
(Articolo 21, comma 2).

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equilibrio tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa
ossia coniugare la responsabilità delle istituzioni democratiche
chiamate a decidere e la disponibilità dei cittadini che
intendano contribuire al governo della cosa pubblica. Promuovere
e incentivare, dunque, percorsi partecipativi che possano accrescere
la qualità delle decisioni collettive. 16
L’ispirazione politico-istituzionale
della legge n. 69/2007 è chiaramente
riconducibile ai principi della
‘democrazia deliberativa’ che si
traducono nella costruzione - rifuggendo
così, dalle tradizionali dinamiche
assembleari - di luoghi e spazi
strutturati per un confronto razionale,
inclusivo e condotto secondo
metodologie basate su processi di apprendimento collettivo e
sul formarsi e trasformarsi delle opinioni attraverso cui giungere
a una soluzione quanto più possibile condivisa 17 .
L’originalità di questa iniziativa legislativa può essere colta non
soltanto nei suoi presupposti e specifici contenuti ma anche nelle
modalità con cui si è sviluppato il percorso di formazione della
normativa medesima 18 .
Per le sue peculiari caratteristiche, la l.r. n. 69 nasce, giocoforza,
(‘calare dall’alto’ una legge sulla partecipazione sarebbe una contraddizione
in termini) nell’ambito di un iter di elaborazione partecipato
e condiviso (che si è anche avvalso delle nuove possibilità
offerte dalle tecnologie informatiche), attraverso il coinvolgimento
della cittadinanza, dei soggetti istituzionali e di tutti i protagonisti
della società toscana; si parla di oltre un migliaio di persone
che hanno fattivamente contribuito alla definizione di finalità
e contenuti 19 .
Il percorso di costruzione ‘partecipata’ della legge, snodatosi
lungo tappe diverse per modalità, temi e livelli ‘di prossimità’ 20 ,
si è contraddistinto proprio per la sperimentazione di uno dei
metodi più innovativi di democrazia deliberativa ossia il c.d.
Town Meeting. 21
La L.R. 69/2007 guarda, infatti, quanto all’attivazione di politiche
che promuovono la partecipazione pubblica, alle numerose
esperienze ampiamente collaudate a livello europeo e mondiale,
ispirandosi in maniera particolare, ai modelli partecipativi francese
e anglosassone 22 . È da ritenersi, infatti, che il dibattito pubblico
sui ‘grandi interventi’ prefigurato dal Capo II della legge in
esame ripercorra, a grandi linee, il modello istituzionale della
Commission Nazionale du Débat Public presente nella legislazione
francese.
Con la recente nomina, il 16 settembre 2008, dell’Autorità regionale,
incarico che, ai sensi dell’articolo 3, deve essere ricoperto da
persona di riconosciuta competenza nell’ambito del diritto pubblico
e delle scienze politiche e di comprovata esperienza nelle
16 ‘La legge regionale della Toscana sulla partecipazione: una via innovativa per arricchire la democrazia,
per un nuovo patto tra istituzioni e cittadini’ in www.regionetoscana.it
Relazione di accompagnamento - Proposta di legge ‘Norme per la partecipazione alle scelte politiche
regionali e locali’ in www.nuovomunicipio.org
17 Antonio Floridia ‘Democrazia deliberativa e processi decisionali: la legge della regione toscana sulla
partecipazione’ in www.toscanaeuropa.ut
18 Antonio Floridia ‘Democrazia deliberativa e processi decisionali: la legge della regione toscana sulla
partecipazione’ in www.toscanaeuropa.ut
19 Luigi Bobbio ‘Amministrare con i cittadini - Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia’ 2007
20 L’iter di formazione della legge è iniziato il 13 gennaio 2006 con la convocazione di una grande
assemblea regionale dedicata a ‘Le vie della partecipazione’ cui hanno fatto seguito numerosi
incontri a livello comunale, workshop territoriali rivolti a soggetti sociali di varia composizione
e anche un importante convegno internazionale ove sono stati presentate le diverse metodologie
partecipative sperimentate nei diversi Paesi. Nel novembre 2006 si è svolto il Town
Meeting a Marina di Carrara da cui sono emersi orientamenti significativi per la stesura del testo
normativo. A partire dai risultati lì emersi, gli uffici delle Regione hanno predisposto il do-
‘ L’ispirazione politico-istituzionale
della legge n. 69/2007 è
riconducibile aiprincipi della
democrazia deliberativa ’
metodologie, nelle pratiche e nelle tecniche partecipative 23 , la legge
sulla partecipazione toscana è entrata nella fase pienamente
operativa. Ed è facile accorgersi e constatare come essa stia diventando
anche sempre più condivisa considerato il consistente numero
di Comuni che, ad oggi, hanno sottoscritto ai sensi dell’articolo
18, il Protocollo d'intesa Regione-Enti locali il cui testo è
stato approvato dalla Giunta regio-
nale il 18 maggio 2008. 24
La legge sulla partecipazione - che
stanzia, ai sensi dell’articolo 30, un
milione di euro per ciascuno degli
anni 2008 e 2009 al fine di finanziare
iniziative di dibattito pubblico
e iniziative di processi partecipativi
locali - ha una durata prestabilita e,
in particolare, ai sensi dell’articolo 26, cesserà di operare dopo
cinque anni. Essa dovrà, quindi, essere eventualmente riapprovata
e modificata sulla base di una valutazione degli effetti che ha
prodotto sotto l’aspetto dell’efficacia, diffusione e rendimento dei
processi partecipativi promossi.
*Dott.essa Alessandra Locci, responsabile coordinamento
Comitati scientifici della Fondazione ‘de iure publico’
Insieme a Luino
Il Comune di Luino, insieme con il Collegio dei Geometri e
Geometri Laureati della Provincia di Varese (nucleo dei
Geometri di Luino; nucleo dei Geometri di Gavirate), e in
collaborazione con la Fondazione ‘de iure publico’, ha organizzato
una Giornata di Studio per affrontare il tema: I
principi dell’attività amministrativa e l’esercizio della potestà
amministrativa attraverso gli acordi della Legge 241/90.
L’incontro si è svolto il 15 Gennaio presso il Palazzo civico
Verbania del Comune di Luino. Tra i relatori il sindaco di
Luino Gianercole Mentasti e l’avv. Bruno Bianchi, presidente
della Fondazione ‘de iure publico’.
cumento preliminare che, nel dicembre 2006, viene discusso in Giunta e successivamente, nel
febbraio 2008, anche dai 48 rappresentanti dei tavoli del Town Meeting.
Il 27 marzo 2007 il documento preliminare così originatosi è stato discusso dal Consiglio regionale.
In www.regione.toscana.it e www.nuovomunicipio.org
21 Alberto Magnaghi ‘La legge sulla partecipazione della regione toscana’ in www.nuovomunicipio.org
22 Relazione di accompagnamento - Proposta di legge ‘Norme per la partecipazione alle scelte politiche
regionali e locali’ in www.nuovomunicipio.org.
23 Il Consiglio regionale ha nominato alla guida dell’Autorità regionale il politologo Rodolfo Lewanski
24 Ai sensi dell’articolo 18 della l.r. 69/2007 la sottoscrizione di questo strumento di cooperazione
inter-istituzionale comporta per gli enti locali l’obbligo di condividere le finalità della legge, di
accettare volontariamente le procedure in essa previste e di sospendere l’adozione e l’attuazione
degli atti amministrativi di propria competenza la cui adozione o attuazione può prefigurare una
decisione che anticipi o pregiudichi l’esito del dibattito pubblico o degli altri processi di partecipazione.
Deve essere, altresì, precisato che l’adesione preventiva al Protocollo costituisce un ulteriore
requisito per l’ammissione di un progetto partecipativo qualora quest’ultimo sia promosso da un
ente locale (articolo 14, comma 4).
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 7
iimprriimaattur

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l’intervista
8
Al centro del modello
lombardo di governo
ci sono i valori
della persona, della vita,
della famiglia,
della libertà di scelta,
della sussidiarietà
orizzontale e della
ricerca del bene comune.
Il presidente della
Regione Lombardia
ci spiega il suo pensiero
soffermandosi
in particolare
sul Nuovo Statuto
e sulla sussidiarietà.
Paola Loaldi
Roberto Formigoni, presidente
Regione Lombardia
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Incontro
con Formigoni
I n
seguito alla pubblicazione dello Statuto
della Lombardia, abbiamo ritenuto
di fondamentale importanza poter
parlare con Roberto Formigoni, presidente
della Regione Lombardia, per conoscere
direttamente da lui in modo approfondito
e chiarificatore il senso e il valore dei
significativi cambiamenti che stanno avvenendo
nella nostra società in questi ultimi
anni.
P.L. A settembre è entrato in vigore il
nuovo Statuto della Lombardia. Come
valuta questo traguardo?
R.F. Il nuovo Statuto d’autonomia della
Lombardia corona l’ambizione di ridisegnare
e aggiornare i connotati istituzionali
di una Regione fortemente dinamica
sotto il profilo economico, sociale, culturale.
Questa nuova carta statutaria è il
frutto dell’esperienza istituzionale e politica
maturata in questi anni, in particolare
negli ultimi 13 anni in cui si è affermato il
nostro modello di governo che pone al
‘ Penso al tema del partenariato,
riconosciuto nell’art. 8, come
strumento per la formazione
delle politiche e per l’esercizio
delle funzioni legislative
e amministrative ’
centro del suo impegno i valori della persona,
della vita, della famiglia, della libertà
di scelta, della sussidiarietà orizzontale e
della ricerca del bene comune.
Solo per fare qualche esempio, penso al tema
del partenariato, riconosciuto nell’art.
8, come strumento per la formazione delle
politiche e per l’esercizio delle funzioni
legislative e amministrative. L’attenzione
alla persona e il riconoscimento della famiglia,
trovano spazio fin dall’art. 2 dello
statuto. La libertà di scelta del cittadino
(art 46), riconosciuta in Lombardia per la
prima volta con la riforma del sistema sanitario,
è stata introdotta come principio
generale per tutti i servizi e la sussidiarietà
(artt 3, 4, 5), come principio guida che ri-
voluziona l’azione di governo della Regione,
favorendo la libera iniziativa dei suoi
cittadini, valorizzandoli nella loro azione.
Inoltre, nello Statuto trovano riconoscimento
importanti istituti relativi alla qualità
dell’attività legislativa e alla semplificazione
dei rapporti con i cittadini, per
esempio relativamente alla produzione di
Testi Unici (art. 40).
P.L. Nel mettere in pratica il principio di
sussidiarietà la Lombardia è avanti rispetto
alle altre regioni italiane?
R.F. Il Governo che ho l’onore di presiedere
ha orientato tutta la propria azione a
una idea forte di sussidiarietà. Gli anni
Novanta sono stati il tentativo di riscossa
rispetto allo statalismo e al centralismo che
aveva per decenni bloccato lo sviluppo della
società italiana, che vantava una ricca
tradizione di iniziative e creatività sociale,
pur in presenza di uno stato-nazione profondamente
inefficiente. Abbiamo interpretato
la sussidiarietà come la possibilità
di liberare le energie della socie-
tà civile. Infatti, non è rimasta
un principio astratto, ma è divenuta
metodo di governo da
sottoporre alla prova dei fatti.
In questo senso, abbiamo rivoluzionato
l’impianto dei servizi
sociali, della sanità, della formazione
professionale e della
scuola e della gestione dei servizi
di pubblica utilità, scommettendo
sulla centralità e sul protagonismo
delle persone e delle famiglie.
P.L. Ci faccia qualche esempio.
R.F. In un sistema sanitario nazionale di
taglio rigorosamente pubblicistico e finanziato
dalla fiscalità generale, abbiamo
creato un sistema regionale di quasi mercato,
in cui l’offerta di servizi viene fatta
da soggetti pubblici e da soggetti privati
accreditati, convinti che la concorrenza
regolamentata possa produrre un generale
miglioramento della qualità dei servizi.
Abbiamo operato una riforma organica
del sistema di istruzione, formazione professionale
e mercato del lavoro che assicu

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 9
ra libertà di
scelta, autonomia,
parità tra
servizio pubblico
e privato,
personalizzazione
e qualità
dei percorsi
con strumenti
Roberto Formigoni (a destra) insieme al sindaco di Milano, Letizia Moratti e al presidente della Provincia Luigi Penati,
durante una cerimonia ufficiale
‘ Per quanto riguarda il Settore
socio-assistenziale abbiamo
recentemente varato una nuova
legge di riordino complessivo
della materia ’
innovativi: dall’accreditamento al rating,
dal buono scuola alla dote, una nuova modalità
integrata di sostegno non più alla rete
dell’offerta ma direttamente alla domanda.
Per quanto riguarda il Settore socio-assistenziale
abbiamo recentemente varato
una nuova legge di riordino complessivo
della materia, che ha permesso - sul lato
dell’offerta - di procedere a un’organizzazione
unitaria di una rete di soggetti accreditati
con il superamento della classica
dicotomia pubblico-privato. Sul lato della
domanda, con l’introduzione di buoni e
voucher per le cure domiciliari abbiamo
ampliato il numero di persone che hanno
potuto ricevere cure sanitarie o sociali al
proprio domicilio da parte di soggetti
pubblici o privati accreditati.
Nel settore dei servizi di pubblica utilità
nel 2003 abbiamo approvato una legge
che, organicamente, ha affrontato il complesso
delle public utilities: affermando la
centralità del cittadino-utente e la difesa
dei suoi interessi; reso più efficiente il sistema
con la separazione tra proprietari
della rete e gestori del servizio; salvaguardando
il rapporto tra le aziende esistenti,
gli Enti locali
e il territorio.
P.L. Il principio
di sussidiarietàtrovaespressione
nel nuovo
Statuto?
R.F. Lo Statuto trova un impianto originale
nell’affermazione centrale che la persona
umana è il fondamento della comunità
regionale. Coerentemente con questa
impostazione l’art. 3 sancisce il principio
di sussidiarietà e la sua attuazione sia in
senso verticale sia in senso orizzontale.
L’approvazione dello Statuto lombardo si
colloca inoltre nel solco della riforma costituzionale
del 2001, che in Italia ha dato
un nuovo rilievo alla partecipazione delle
regioni ai processi internazionali e comunitari.
Essa ha introdotto infatti la possibilità
per le Regioni di concludere accordi e
intese con altri stati e realtà subnazionali.
Inoltre le Regioni stesse sono chiamate direttamente
a dare attuazione al diritto comunitario
nelle materie di loro competenza
e partecipano alla fase ascendente attraverso
osservazioni trasmesse alla Conferenza
Stato Regioni. La Lombardia si avvale
abitualmente di questa opportunità.
In questo senso il nuovo Statuto lombardo
riflette fin dai principi generali, l’impegno
di concorrere pienamente al processo di
integrazione europea e alla formazione
delle politiche dell’Unione, anche soste-
nendo la cooperazione transfrontaliera e
interregionale. Per quanto riguarda la fase
discendente Regione Lombardia ha anche
formalizzato la legge comunitaria regionale
come strumento per recepire direttamente
le direttive comunitarie.
P.L. La Sanità rappresenta per la Regione
un fiore all’occhiello in fatto di partecipazione
dei privati. È un modello che si sta
rivelando vantaggioso su tutti i fronti o ha
dei limiti che devono essere migliorati?
R.F. Non credo che esista una formula
univoca applicabile in ogni contesto. È necessario
fare in modo che le attività sanitarie
siano gestite nel miglior modo possibile
e, a seconda delle condizioni specifiche,
con normative pubbliche, miste (pubblico-privato)
o di tipo privato. La priorità
della gestione del sistema deve essere certamente
quella di garantire l’efficiente
soddisfacimento del bisogno sanitario, ma
anche il suo equilibrio economico-finanziario.
P.L. Lei pensa che l’esempio di intervento
del Privato nella Sanità possa fare da apripista
per altri settori - per esempio la scuola
- portando vantaggi?
R.F. Senza dubbio non si può immaginare
un sistema, come ad esempio quello sanitario,
che sia composto totalmente da
strutture pubbliche. Peraltro è sotto gli occhi
di tutti che un servizio pubblico non è
necessariamente a diretta gestione pubbli-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 9
l’innterrviisstta

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 10
l’intervista
10
ca: esempio ne è
l’acqua potabile. Il
pubblico e il privato
hanno dato prova
di poter coesistere
e, anzi, di riuscire
a stimolare
un legittimo e leale
confronto, basato
prima di tutto sulla
qualità - purché
siano previste ed
applicate le medesime
regole per
tutti. Questo vale
evidentemente anche
per altri settori,
come ad esempio
l’istruzione, in
cui per diversi motivi
l’ingresso del
privato è ancora
troppo limitato.
P.L. Quando si
parla di ‘privatizzazione’
ancora in
molti arricciano il
naso. L’esempio
più eclatante di
questo periodo è il
timore che la scuola venga privatizzata: gli
insegnanti e alcuni genitori sembrano spaventati
da questa ipotesi. È una paura fondata?
R.F. Se qualcuno arriccia ancora il naso, è
perché non ha ancora chiaro il significato di
servizio pubblico, associato esclusivamente
alla scuola di Stato, secondo un pregiudizio
culturale di impostazione ideologica.
La realtà dei fatti invece è un’altra. Le scuole
parificate rappresentano un oggettivo
strumento che consente la crescita qualitativa
del sistema formativo lombardo e nazionale.
Esse contribuiscono anche a
ridurre le spese che lo Stato sostiene
ogni anno per garantire il diritto
allo studio di ogni singolo studente:
un risparmio che annualmente
si attesta attorno ai 6 miliardi
e 200 milioni di euro. Per
‘privatizzazione’ intendiamo dunque
un processo volto a rendere il sistema
scolastico competitivo e capace di dare alle
famiglie la possibilità di scegliere con maggiore
libertà la sede che più soddisfi le proprio
esigenze educative, e con questo nessun
timore ha motivo di sussistere.
P.L. È innegabile che se un privato investe
del suo, lo fa per avere un ritorno economico.
Dunque, come bilancia la Regione l’interesse
privato con l’interesse pubblico? Più
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Il nuovo Statuto lombardo riflette fin dai principi generali,
l’impegno di concorrere pienamente al processo di integrazione europea
in generale, secondo lei quali strade si devono
ancora percorrere per favorire la collaborazione
del Privato con lo Stato? Esistono
ancora delle barriere culturali o funzionali?
R.F. Nel contesto attuale, di progressiva e
crescente scarsità di finanziamenti pubblici,
è necessario che ci sia un opportuno coinvolgimento
di capitali privati per creare addizionalità
di risorse. Affinché questi investimenti
- penso ad esempio alle infrastrutture
- siano considerati attrattivi dai privati,
è fondamentale garantire tempi e costi certi
nella progettazione e costruzione delle ope-
‘ Il nuovo Statuto è il risultato
di un percorso condiviso
dalla grande maggioranza
delle forze politiche lombarde ’
re. Semplificare e snellire le pratiche amministrative
e rispettare i piani finanziari previsti
sono quindi le condizioni necessarie affinché
il capitale privato possa confluire con
profitto in questi settori. In questo senso, il
settore pubblico ha la grossa responsabilità
di lavorare per eliminare tutte quelle barriere,
ideologiche ma anche gestionali e organizzative,
che ancora oggi ostacolano questi
processi. In Lombardia, abbiamo lavorato
molto in questo senso. A titolo di esempio,
voglio ricordare che
nel 2009 inizieranno
i lavori della Tangenziale
Est Esterna
di Milano, la prima
tratta autostradale
italiana che verrà
costruita interamente
con finanziamenti
privati. Se invece
si pensa agli investimenti
privati nella
scuola, molto spesso
essi sono in perdita
o motivati idealmente
e non certo
da ragioni di lucro:
basti pensare alla
quasi totalità delle
scuole cattoliche.
P.L. Ritornando al
nuovo Statuto della
Regione, possiamo
dire, per evidenziarne
l’importanza, che
lo Statuto sta alla
Lombardia come la
Costituzione sta all’Italia?
R.F. Quasi. Il nuovo Statuto è il risultato di
un percorso condiviso dalla grande maggioranza
delle forze politiche lombarde, e rappresentativo
dell’esperienza istituzionale che

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 11
abbiamo condotto in questi anni. Infatti, valorizza
il metodo politico della nostra Regione,
fondato sui principi che ci hanno guidato
da sempre: quello della sussidiarietà e della
centralità della persona umana, della semplificazione
e dell’efficienza della pubblica
amministrazione.
P.L. A tal proposito sorge spontanea una
domanda: fino a che punto si deve o si può
spingere l’autonomia regionale?
R.F. La nostra
Costituzione
rappresenta un
patrimonio vivo
delle comunità e
del popolo italiano,intrecciatasi
con la storia
del nostro Paese. Non può però essere concepita
come un testo intoccabile da riporre
nelle teche polverose dei principi che sempre
si richiamano e mai si attuano. Di fronte però
alla realtà profondamente cambiata, oggi
è necessaria una ridefinizione dell’ordinamento
e degli strumenti attraverso i quali le
Istituzioni possano meglio recepire e rispondere
alle istanze e ai problemi dei cittadini e
dei territori. Sussidiarietà e federalismo sono
le parole chiave, La piena attuazione del Titolo
V della nostra Costituzione può tracciare
il percorso verso una nuova statualità, che
sostanzi la connotazione dinamica della Carta
fondamentale, seguendo il principio gui-
da della sussidiarietà. Da questo punto di
vista, il nuovo art. 118 impone ai pubblici
poteri di valorizzare le autonome iniziative
dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di ‘interesse generale’;
per la prima volta al mondo un testo costituzionale
contempla così espressamente il
principio di sussidiarietà nella sua valenza
orizzontale. A questo proposito, il Consiglio
Regionale lombardo ha avanzato concrete
proposte per l’introduzione del federalismo
fiscale ex
articolo 119 e
del regionalismo
differenziato ex
art. 116 comma
3: abbiamo voluto
così esercitare
con forza il diritto-dovere
alla
sperimentazione istituzionale come tentativo
di interpretare un nuovo ruolo dell’istituzione
regionale e di ottenere la forma migliore
di Stato policentrico. Pensiamo, infatti,
che ci sia realmente la possibilità di
aprire la stagione di un nuovo regionalismo
italiano, che non divide, ma disegna una
nuova forma dell’unità nazionale, in cui le
Regioni non possono più essere concepite
come realtà di autogoverno in uno spazio
subnazionale, ma sono realizzatrici di una
nuova statualità, una forma matura di unità
nazionale che veda i diversi livelli istituzionali
cooperare in funzione di risposte sempre
più adeguate ai cittadini e ai territori.
‘ La piena attuazione del Titolo
V della nostra Costituzione
può tracciare il percorso verso
una nuova statualità ’
Nel 2009 inizieranno i lavori della Tangenziale Est Esterna di Milano, la prima tratta autostradale
italiana che verrà costruita interamente con finanziamenti privati
IN EVIDENZA
Rimandate le nuove procedure per
il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche
Prorogati dal Consiglio dei ministri,
con Decreto Legge, dal 31 dicembre
2008 al 30 giugno 2009 i termini per
l'entrata in vigore delle nuove procedure
per il rilascio delle autorizzazioni
paesaggistiche previsto dal Decreto
Legislativo n.42/2004 e successive
modifiche e integrazioni.
Lo comunica l’assessore al Territorio
e Urbanistica della Regione Lombardia,
Davide Boni, precisando, pertanto,
che fino al 30 giugno del prossimo
anno continueranno a essere applicate
le procedure di autorizzazione attualmente
in vigore e cioè:
■ rilascio da parte dell’Ente locale
dell’autorizzazione in base alle
competenze attribuite dalla Legge
Regionale n.12 del 2005 sul governo
del territorio;
■ trasmissione del provvedimento di
autorizzazione alla Soprintendenza
ai Beni architettonici e al Paesaggio
che, entro 60 giorni, potrà annullarlo
sempre in base al Decreto Legislativo
n.42/2004.
Le nuove procedure, che entreranno
in vigore il 1° luglio 2009, andranno
applicate anche ai procedimenti di autorizzazione
paesaggistica che al 30
giugno non siano ancora conclusi con
il rilascio dell'autorizzazione stessa.
Entro il 30 giugno l’elenco degli
Enti locali lombardi idonei all'esercizio
delle funzioni paesaggistiche
Con lo stesso Decreto Legge il Consiglio
dei ministri ha prorogato al 30
giugno 2009 anche la verifica della
sussistenza, nei soggetti delegati all'esercizio
delle funzioni paesaggistiche,
dei requisiti di organizzazione e
competenza tecnico-scientifica. A
questo proposito l’assessore Boni
spiega che i relativi adempimenti in
capo a Regione Lombardia saranno
completati entro il 30 giugno 2009,
data entro la quale sarà approvato
l’elenco degli Enti locali idonei all'esercizio
delle funzioni paesaggistiche
loro attribuite.
Per ogni ulteriore informazione ci si
può rivolgere alla Struttura Paesaggio
della Direzione Generale Territorio
e Urbanistica della Regione
Lombardia, tramite l'indirizzo di posta
elettronica: struttura_paesaggio@regione.lombardia.it
(Fonte: Regione Lombardia)
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 11
l’innterrviisstta

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 12
parliamone
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I nteresse
Tutela del paesaggio:
questione di cultura
Un territorio pregiudicato dall’edilizia selvaggia ascrive le responsabilità alla
politica. Il caso Valtellina.
Daniela Castelli
generale vuol dire progettare il
futuro, spingere la politica verso una dimensione
in cui essa non è sempre riflesso
o intermediazione di interessi, ma qualcosa
di più: costruzione del progresso dell’intera
collettività. Costruzione che talvolta
si trasforma in eccesso di costruzioni. In
certi casi, l’esigenza di edificare nasce, come
ci spiega Sergio Fumasoni, solo per rispondere
alla necessità di recuperare il maggior
beneficio e il maggior profitto possibile in
tempi brevi. Pochi pensano in un’ottica più
ampia e purtroppo raramente si considera
una programmazione più generale sul territorio;
manca sempre più il rispetto dell’ambiente
e dello spazio verde. A risentirne, soprattutto
in ambito commerciale, oltre che
ambientale e paesaggistico, è l’agricoltura.
Questo capita per esempio in Valtellina, dove
Fumasoni lavora. Perché?
Sergio Fumasoni, agronomo
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Quali sono le problematiche di un territorio
che esagera nel costruire
strutture?
«La principale è la riduzione dei gradi di libertà
alla variabilità e multilateralità dello
sviluppo. Porre un freno alla progressiva e
disordinata edificazione del territorio e alla
distruzione della natura e del paesaggio è
necessario per tutelare al meglio gli interessi
economici, sociali, culturali e di politica
della sicurezza del sistema ambiente.
Il cemento, se male utilizzato, modifica e
rende poco accogliente il territorio alpino.
Questo materiale, che nel suo avanzare, risica
spazio a sempre più grandi appezzamenti
di terra fertile della campagna, sembra ormai
aver occu-
pato tutti gli investimentilocali
quando, invece,
si dovrebbe
investire in attività
produttive,
in servizi, in
cultura, per assicurare
un futuro
migliore ai nostri figli. Le responsabilità
sono da ascrivere, principalmente, a chi
ha detenuto i ruoli decisionali e di governo
del bene pubblico. In futuro, l’ubicazione,
le dimensioni e la qualità degli impianti in
questione dovrebbero essere fissate dal legislatore
e dal pianificatore in modo vincolante
per i proprietari dei fondi e, in questo
modo, si limiterebbe fortemente il peso degli
interessi particolari sulle scelte di valore
generale. Si tratta di dare un ordine al necessario
e auspicabile sviluppo delle attività
economiche di carattere produttivo e commerciale,
inserite in un quadro di tutela e
valorizzazione dell’identità del territorio,
dell’ambiente e del paesaggio alpino. Ciò
non può prescindere dalla salvaguardia del
settore primario».
Conosce realtà che hanno limitato i
danni in Italia?
«Ad Asti, per esempio, è stato predisposto
un documento al fine di codificare le mo-
dalità di progettazione e realizzazione di capannoni
agricoli, artigianali e produttivi in
area agricola con l’intento di salvaguardare
gli ambiti rurali e impedire l’edificazione di
emergenze costruite in palese contrasto con
l’ambiente circostante, pur garantendo le legittime
necessità di adeguamento strutturale
e funzionale delle attività insediate.
Così i capannoni di nuova edificazione realizzati
in area agricola e/o in area contigua a
quella agricola, dal punto di vista paesisticoambientale,
sono realizzati con tecniche costruttive
diverse da quelle tradizionali, come
elementi prefabbricati in calcestruzzo o legno,
strutture metalliche o simili. Non ho
riscontro di come stia andando questo lavoro,
ma diciamo
‘ Si dovrebbe investire
in attività produttive, in servizi,
in cultura, per assicurare
un futuro migliore
ai nostri figli ’
che mi interessa
capire le soluzioniarchitettoniche
trovate, che
potrebbero essere
tali da garantire
l’uniformità
delle facciate».
Secondo lei il capannone è un ecomostro?
Non obbligatoriamente è un ecomostro.
Non sono contro i capannoni ‘tout cour’
per motivi ideologici, servono, devono essere
realizzati laddove e come gli strumenti
urbanistici fatti bene lo prevedono. Non dimentichiamo
che strutture ed attività portano
alla creazione di posti di lavoro e quindi
benessere alle popolazioni. A San Pietro, qui
vicino, ad esempio, ne abbiamo di importanti.
Ma è necessario che all’origine di una
realizzazione di questo tipo ci sia un programma
industriale. E dove c’è un programma
di investimenti e di utilizzo delle
strutture, perché mai demonizzarla. Temo
però che la recrudescenza costruttiva degli
ultimi tempi sulle poche aree libere rimaste
in Valtellina possa avere il sapore di investimenti
fatti allo scopo di occupare al più presto
il territorio e per investire il denaro in
modo profittevole, o presunto tale, e senza
avere alle spalle una vera e propria attività.

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 13
Più di una sono le strutture che vedono affisso
cartelli ‘affittasi’».
Sarebbe bello eliminarne un po’, vero?
«Credo sia davvero molto difficile, inoltre
improponibile e sbagliato. Meglio migliorarli
e massimizzarne l’efficienza sotto il
profilo produttivo e occupazionale. Per
esempio, una cosa che non abbiamo detto e
che andrebbe rilevata è questa: la Valchiavenna,
finora ha saputo mantenere il fondovalle
meglio di quanto non sia accaduto in
Valtellina. Cosa succederà dopodomani non
lo sappiamo, ma per ora la realtà è questa. I
capannoni produttivi sono strati concentrati
per lo più in un’unica area industriale e
quelli agricoli del pollo ValleSpluga, ad
esempio, sono da tempo parte integrante
del territorio agricolo di fondovalle, che è
stato oggetto di particolare considerazione e
tutela. Credo che ciò sia dovuto alla presenza
di una cultura agricola forte e capace di
innovazione, interpretata da agricoltori
aperti e che sono parte attiva nella vita politica
e amministrativa della Valle».
La Valchiavenna come ha potuto fare
questo?
«Perché ha approvato e applicato sapientemente
uno strumento di pianificazione per
tempo. E questo va tutto ascritto al merito di
chi ha amministrato e amministra la vallata:
in primis la Comunità montana della Valchiavenna
nelle diverse gestioni succedutesi.
L’ente montano locale è stato uno dei primi
ad aver approvato il piano socio-economico
e ad averlo applicato coerentemente».
Qual è il principale problema nella zona
in cui lei lavora, cioè Sondrio?
«La provincia di Sondrio era nelle condizioni
prima di tutte le altre province della
Lombardia di fare il Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale: perché? Perché
la legge nazionale 102 del 1990 o altrimenti
conosciuta come Legge Valtellina prevedeva
uno stanziamento proprio allo scopo
di ricostruire e rilanciare la Provincia di
Sondrio, duramente colpita dalle calamità
naturali nell’estate del 1987, anche in ambito
di programmazione urbanistica. Noi
questa occasione l’abbiamo persa, quando
tutti gli altri non ne avevano manco una.
Tuttavia, tutti gli altri hanno realizzato il loro
piano territoriale di coordinamento provinciale,
mentre la provincia di Sondrio è
ancor a latitante».
Anche qui è il caso di ascrivere le colpe
all’amministrazione pubblica?
«Valuti lei. Tra il 95 e il 99 era stato affidato
l’incarico per la realizzazione del PTCP.
Cambiata l’amministrazione il lavoro svolto
venne accantonato. Venne quindi affidato
un nuovo incarico che non arrivò all’approvazione
del Piano. Cambiata nuovamente
l’amministrazione si è ricominciato daccapo.
Oggi, che siamo nel 2008 e nel mese di
novembre, siamo ancora privi di questo
strumento. Il mio rammarico è che siamo
gli unici in Lombardia a esserne privi, mentre
potevamo essere i primi ad averlo approvato.
Questa è una responsabilità nostra, ovvero,
della classe politica, che non ha voluto
prendere decisioni. Perché sono decisioni
che scottano e che richiedono di avere in testa
un progetto, un programma, un futuro
per la valle e per come la si vuole. Per questo
dico che si tratta di una questione culturale:
si sarebbe dovuto individuare quelle
che sono le strategie e quello che è la Valtellina
desiderata. Nel contempo è successo di
tutto e di più in previsione di una futura approvazione,
che prima o poi avverrà, di questo
benedetto PTCP. Quindi credo che attualmente
si tenda a prendere tutto il possibile
ora, perché quando ci sarà il PTCP queste
operazioni saranno regolate».
Perché dice che è un tema che scotta?
«È un tema che scotta, perché scotta prendere
provvedimenti che comportano vincoli.
Un vincolo è un vincolo e una regola è
una regola. Non sempre gli intessi particolari
collimano con le regole».
Con l’avvento di questa nuova filosofia
di programmazione urbanistica si può
pensare di più e realmente all’interesse
pubblico?
«Certamente. Ma io userei il condizionale,
perché secondo me questo discorso lo si poteva
fare benissimo anche con i Piani Regolatori
Generali, sia chiaro. Perché il PRG
non è altro che uno strumento di programmazione,
che i comuni avevano il compito
di studiare, redigere e mandare per l’approvazione
definitiva alla Regione Lombardia
e, tra parentesi, tutto ciò che succede non
vede la Regione Lombardia al di fuori di
ogni responsabilità: avrebbe potuto, infatti,
porre da subito limiti ben definiti. Ma non
è stato così. Sono stati privilegiati alcuni interessi
e alcune funzioni».
Ad esempio limiti di che tipo?
«Parliamo di interessi, che sono ampi che riguardano
gli impieghi di capitali, le attività
dei costruttori, le proprietà dei terreni…
Uno dei settori che maggiormente ha sofferto,
potrà soffrire e soffrirà ancora, di questa
iper-occupazione del territorio è proprio
il settore agricolo, ma io sono convinto che
anche gli agricoltori in buona parte abbiano
lasciato fare. Perché nel momento in cui
un’area agricola diventa artigianale, il valore
dei terreni si moltiplica. L’agricoltura della
provincia di Sondrio, purtroppo, non sem-
pre viene valorizzata nel ruolo di importanza
che ha, per ragioni che sono anche comprensibili:
la redditività e la profittevolezza
del settore agricolo non sono certo quelle
del settore commerciale o artigianale, sono
un’altra cosa. Però, il settore agricolo se ben
gestito, porta con se altre funzioni di promozione
della qualità: qualità del territorio,
del paesaggio, dell’ambiente con effetti immediati
sulla qualità dell’offerta turistica».
‘ Tutto ciò che succede
non vede la Regione
Lombardia al di fuori
di ogni responsabilità ’
A cosa è dovuto questo atteggiamento,
che determina un deterioramento
della qualità del paesaggio?
«Secondo me è una questione di carattere
culturale. Bisogna che per forza prima o poi
venga fuori. In modo molto trasparente e
democratico, bisogna individuare sul serio
quali sono gli interessi del momento, ma
prospettati negli interessi del futuro, per le
popolazioni che verranno e che qui continueranno
a vivere e a operare. Dobbiamo
farlo per i nostri figli, perché altrimenti continueremo
a vedere questa roba qua - Fumasoni
indica i capannoni fuori dalla finestra
- e in una situazione che potrebbe ancora
ripetersi, come quella della crisi economica
che stiamo affrontando, non so cosa
potrà succedere, di certo qualche problema
sorgerà. Tra qui (Berbenno) e Sondrio, faccio
un esempio che non vuole essere una
critica, ci sono dieci chilometri, e non so
quanti metri quadri di commerciale ci siano,
ma sono tanti, sorti principalmente in
comune di Castione Andevenno. E mi chiedo:
numericamente la gente è quella che è,
bisogna dare anche un limite alla costruzione
senza freni di queste attività, perché nel
momento in cui il ‘consumatore’, per ragioni
di portafoglio, consumerà meno e non
potrà più riempire il carrello, di questi metri
cubi costruiti occupando spazi preziosi,
che cosa ne faremo?»
Bella domanda. Nel campo dell’edilizia
residenziale, esiste una normativa che
ferma i lavori nel caso in cui la domanda
sia inferiore all’offerta: più in
generale?
«Le normative per i limiti costruttivi vengono
stabilite nell’ambito degli strumenti urbanistici».
Quindi si ritorna a parlare con l’amministrazione
pubblica? Non c’è modo
di fermare la costruzione selvag-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 13
parrliammone

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parliamone
gia di capannoni in altro modo?
«Con gli strumenti della programmazione
urbanistica. La pianura di Valtellina è scarsa,
ne stiamo consumando una buona parte
della superficie con costruzioni. I terreni più
preziosi dal punto di vista agricolo sono
quelli del fondo valle. Se si pregiudica la possibilità
di avere una valida base foraggiera nel
fondovalle per il mantenimento del il bestiame
lungo l’anno, sto parlando di zootecnia,
viene pregiudicata anche la possibilità dell’utilizzo
dei maggenghi di mezza costa e degli
alpeggi di montagna nel periodo
estivo. Si fosse prodotto un valido
PTCP per tempo, non saremmo in
queste condizioni. E si parla di ben
diciassette anni fa, non si parla di
oggi, perché la legge nazionale per
la Valtellina, la 102 è del 1990, eh?!
E in tutto questo tempo ne sono
cambiate di cose. Noi le abbiamo
lasciate cambiare in funzione dei desiderata,
di interessi particolari e contingenti, economici
e amministrativi».
Lei giustifica chi ha commesso queste
‘esagerazioni’ edilizie?
«No, non li giustifico, ma in fondo in fondo,
li capisco. Nel momento in cui si costruiscono
infrastrutture di questo genere,
come i capannoni, va da sé che il comune rientri
di risorse (dei capitali). Vi rientra attraverso
le varie imposte comunali (ICI
ecc.), che in una fase di ristrettezze economiche,
rappresentano l’ossigeno delle amministrazioni
locali. Si tratta di un’ottica che
non guarda lontano a cui bisognerebbe metter
fine per il bene comune. Purtroppo, a
fronte di questo, il Piano territoriale di coordinamento
provinciale, naturalmente
avrebbe dovuto dare una programmazione
del settore di mezza costa oltre che di quello
di fondovalle, e lì ci sarebbero aspetti
molto importanti da valutare, importanti
per la nostra valle. Mi riferisco, in modo
particolare, ai terrazzamenti, ma non solo a
quelli. Lì qualcosa si poteva fare, si potrebbe
fare e forse si potrà fare ancora, prima che
non sia troppo tardi. In questo caso specifico,
la situazione sta peggiorando giorno dopo
giorno, a causa dell’abbandono delle coltivazioni».
Una ‘tassa di scopo’, come quella paventata
a Milano per le infrastrutture
pro Expo, potrebbe essere utile per
combattere l’inflazionamento edilizio
della Valtellina? Direi che si deve dire
basta alle giustificazioni, no?
«Penso che gli strumenti ci siano e che basta
avere la volontà di scovarli. Una tassa di scopo,
nel momento in cui il successo dell’attuale
linea politica dominante ha fatto dalle
promesse dei tagli alle tasse il principale ca-
14 il Corriere de iure publico – gennaio 2009
vallo di battaglia, credo che non sia un’idea
conveniente da praticare per un soggetto del
mondo della politica. Invece, sono convinto
che i PGT possano assolvere un ruolo importante
per il tipo di impostazione che è
contenuta in questa nuova filosofia urbanistica.
Il PGT rappresenta l’occasione per impostare
un vero programma di previsione di
sviluppo e di tutela con la partecipazione attiva
della popolazione amministrata, coinvolta
attraverso gli istituti previsti dalla Legge
12».
‘ I PGT possono assolvere un ruolo
importante per il tipo di impostazione
che è contenuta in questa nuova
filosofia urbanistica ’
Crede che si possa iniziare subito?
«Non sono dell’idea che attualmente le cose
stiano funzionando al meglio. Credo che si
faccia ancora molta confusione tra PRG e
PGT e ci sia un po’ di smarrimento nell’interpretazione
della norma. Il peso degli interessi
particolari nella programmazione urbanistica
è difficile da scalfire. Qui siamo a
Berbenno e nei giorni scorsi il governo locale
è andato in crisi: oggi il comune è retto da
un commissario. Una delle ragioni principali
che ha condotto a questo triste epilogo,
risiede nei contrasti nati nelle fasi di approntamento
del PGT, nella programmazione
urbanistica comunale. Se non è una
questione di cultura questa… Ritengo necessario
e apprezzabile che un amministratore
svolga il suo compito non in funzione
dei cinque anni di durata del mandato, per
portare a casa il più possibile risultati, pronta
cassa da poter spendere per ottenere un
successivo mandato, ma che amministri con
la coscienza di un futuro che va oltre. Una
battaglia difficile con i tempi che corrono».
Secondo lei cosa bisognerebbe fare,
quindi?
«Bisogna lavorare con coraggio avendo a
cuore lo sviluppo del territorio e delle popolazioni,
nella conservazione dei caratteri e
dei valori propri dell’ambiente locale, favorendo
il confronto con i cittadini amministrati.
Sono convinto che le amministrazioni
comunali possono fare molto, cogliendo
l’occasione dei piani di gestione del territorio.
Le faccio un esempio: parliamo di terrazzamenti
e di viticoltura che rappresentano
un tratto caratteristico e riconosciuto di
buona parte della provincia di Sondrio e che
versa in condizioni di difficoltà strutturale
da svariati anni.
Spesso la proprietà frammentata e di minuscole
dimensioni fa sì che il piccolo impren-
ditore non riesca più a trovare l’energia e le
condizioni economiche sufficienti per portare
avanti il suo lavoro sui terrazzi e quindi
far fruttare la sua attività, seppur marginale,
nell’ambito dell’economia famigliare. Io sono
uno di quelli che ritiene i terrazzamenti
patrimonio ‘reale’ della Valtellina e non solo
un monumento alla miseria, così come da
alcuni definiti. Un patrimonio che potrebbe
andare in gran parte perso con effetti gravi,
in merito alla scomparsa di identità locale,
di opportunità economiche e culturali, ma
anche -visto che frequentemente i
terrazzi incombono sui centri abitati
e produttivi- per le conseguenze
che ne potrebbero derivare in caso
di dissesto. Il comune può svolgere
un ruolo attivo, propositivo, di stimolo
e coordinamento delle parti
in questo senso. Gli enti pubblici
potrebbero unire gli interessi di coloro
che non ce la fanno più e creare delle situazioni
di comprensorio, che potrebbero
essere assunte da entità e da imprenditori in
grado di farsene carico: un sistema per fare
quel tipo di lavoro, in modo economicamente
valido».
Esistono già esperienze che potrebbero
fare da modello?
«Sì, qualcuno lo ha già fatto e attualmente i
lavori sono in fase di ultimazione. Il comune
di Bianzone, su una superficie di quattro
ettari e mezzo appartenenti ad una cinquantina
di proprietari, ha operato, in sintonia
con la Provincia e la Regione, la sistemazione
idrogeologica del versante abbandonato a
monte del centro abitato. I lavori contemporaneamente
hanno consentito di allestire
il versante per essere coltivato come era una
volta: a vite. Ciò è stato possibile grazie alla
sensibilità dell’amministrazione che, fattasi
carico del problema, grazie ad un intenso
confronto con la cittadinanza e il coinvolgimento
delle proprietà, ha fatto in modo che
il progetto fosse condiviso, approvato e realizzato.
La gestione operativa futura del versante
a vigneto, ora in un corpo unico, è stata
affidata a un’impresa agricola, che garantirà
la corretta ed efficiente coltivazione e cura
del comprensorio per un periodo di almeno
15 anni. È una vecchia proposta che ebbi
modo di fare da assessore provinciale dieci
anni fa. Nel comune di Bianzone ha avuto
presa».
La proposta qual era?
«La proposta era quella di creare alcuni modelli,
distribuiti lungo la valle, capaci di dimostrare
la possibilità di evitare l’abbandono
dei piccoli appezzamenti vitati (maggiormente
a rischio) dovuto a carenze strutturali
difficilmente modificabili a livello di singola
proprietà. L’ipotesi era quella di indivi

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 15
duare delle aree comprensoriali omogenee
nelle quali, indipendentemente
dalle proprietà, che venivano mantenute,
si potessero realizzare interventi
di ristrutturazione degli impianti in
modo tale da formare delle unità di
coltivazione nuove soddisfacenti per
un imprenditore agricolo.
Certamente un percorso denso di difficoltà,
anche legate all’attaccamento alle tradizioni,
ma non impossibile da effettuare, così come
dimostrato dalla realizzazione di cui abbiamo
parlato poc’anzi e che ora sta giungendo
alla conclusione in comune di Bianzone,
con la certezza della gestione futura del versante
anche sotto l’aspetto idrogeologico».
Tutela dell’ambiente, dunque, da attuare
attraverso la tutela degli obblighi
gestionali?
«Si, specie nel caso di territori modificati
dall’uomo e dove il pubblico ha immesso risorse
della collettività per la conservazione e
l’ammodernamento, è doveroso, oltre che
indispensabile, applicare una gestione attiva,
continua e responsabile.
Io credo che vi sia da fare un grosso lavoro
per la tutela del territorio e del paesaggio e
per tutti i vantaggi che poi ne derivano. Il
PGT, così come impostato, lo può favorire,
va soltanto bene interpretato ed indirizzato.
Bisogna far in modo che le diverse funzioni
professionali vengano coinvolte a pieno titolo
nella redazione dei PGT, in modo tale che
Area soggetta a recupero del terrazzamento vitato, che rappresenta un tratto caratteristico della Valtellina
‘ Bisogna far in modo che le diverse
funzioni professionali vengano
coinvolte a pieno titolo
nella redazione dei PGT ’
tutte le particolarità e valenze del territorio
possano avere la loro valorizzazione. In caso
contrario, non si avrà quello a cui la nuova
pianificazione tende, cioè una realizzazione
‘organica’ del processo di sostenibilità del
territorio. Non so se tutto ciò sarà possibile:
spesso, mancano palestre nelle quali i candidati
possano approfondire e affinare programmi
e progetti di governo di orizzonte
lungo. Spesso, si naviga a vista con l’obiettivo
alla ricerca del consenso immediato».
Per tutelare il nostro paesaggio cosa
bisogna fare da qui in avanti?
«Innanzitutto applicare le leggi e applicarle
bene. Almeno quelle fatte sino ad oggi e che
quindi già ci sono, insieme con altri strumenti,
che stanno prendendo adesso maggiormente
funzione all’interno delle strutture
comunali, come, ad esempio le commissioni
per il paesaggio. Ma è necessario tentare
una semplificazione. L’ordine delle competenze
in materia territoriale e paesaggistica
appare troppo complesso e articolato con
una distribuzione di competenze spezzettate
tra troppe amministrazioni: da quella comu-
nale a quelle sovraordinate. Ciascuna
con una quota parte della responsabilità
sotto il punto di vista della pianificazione
e della tutela, ciascuna con
il proprio piano. Uno ‘spezzatino’ di
strumenti e di competenze che spesso
non favorisce il conseguimento degli
obiettivi».
Un’altra questione di cultura?
«Siamo presi tutti quanti da una passione
particolare per il successo, quasi ne siamo
dominati e spesso la voglia di emergere ci fa
perdere di vista gli obiettivi: ci si trova nella
nebbia più totale. L’ambiente è piuttosto
piccolo e questo limita. Così come i capannoni
in fregio alla strada, spesso ingombranti
e che nascondono l’orizzonte. Forse non li
sappiamo costruire. Giganteschi parallelepipedi
colorati appoggiati sulla vallata, che risultano
pesanti e davvero poco belli. È opportuno
nel costruire tenere conto dell’ambiente
circostante e provare ad alleggerire la
volumetria attraverso accorgimenti specifici,
come un’attenzione particolare al colore e alla
metamorfosi con il territorio con un’attenzione
ben maggiore di quella finora prestata,
che è pressoché nulla, all’arredo urbano
di contorno e all’interno delle aree produttive
e commerciali. Di esempi non ne
mancano, la trasparenza sarebbe stata necessaria
anche in questo caso non solo sui ruoli
e le istituzioni. Ci vorrebbe un metro e
una misura per ogni situazione».
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 15
parrliammone

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ambiente
16
Risonanza mondiale ha avuto, come del resto ampiamente prevedibile,
l’iniziativa di un’azienda multinazionale tedesca di provvedere
all’installazione di un modernissimo impianto fotovoltaico nella Città
del Vaticano, in collaborazione con l’Università di Roma La Sapienza
e naturalmente con il benestare di Papa Benedetto XVI.
Omar Gilardoni*
B enedetto
XVI lo scorso 26 novembre
ha presieduto la prima udienza
ecologica della Storia - per citare
le esatte parole utilizzate dal quotidiano
della Santa Sede, l’Osservatore Romano
- all’interno di un complesso architettonico
alimentato con la sola energia solare.
Sebbene l’idea, già incoraggiata da Giovanni
Paolo II, di portare in Vaticano un
impianto in grado di sfruttare l’energia
‘pulita ed inesauribile che viene dall’alto’
risale al lontano 2002, furono proprio le
parole dell’attuale Pontefice, pronunciate
nel gennaio 2007 in occasione della
Giornata della Pace, a fornire indirettamente
lo spunto per un simile progetto:
«Di fronte al diffuso degrado ambientale
l’umanità si rende ormai conto che non
si può continuare ad usare i beni della
Terra come nel passato. Sta così formandosi
una co-
scienzaecologica che non
deve essere
mortificata,
ma anzi favorita,
in modo
che si sviluppi e maturi trovando adeguata
espressione in programmi ed iniziative
concrete».
La rivoluzione verde
È senza dubbio significativo e altamente
simbolico il fatto che la ‘rivoluzione verde’
- come è stata definita dalla carta
stampata - abbia avuto inizio e si sia concretizzata
all’ombra della Basilica di San
Pietro, in uno Stato tanto piccolo e altrettanto
influente sulla scena internazionale.
Una formidabile campagna
pubblicitaria per la società produttrice,
la SolarWorld di Bonn, che ha realizzato
l’opera, facendone dono a Benedetto
XVI, che può rivelarsi tuttavia un volano
per lo sviluppo della tecnologia fotovoltaica
in Italia.
L’esigenza di ristrutturare la copertura,
deteriorata negli anni, dell’Aula Paolo VI
- dal nome del Pontefice che nel 1964
commissionò l’opera all’ingegner Pier
Luigi Nervi - ha suggerito ai tecnici vaticani
di provvedere alla sostituzione delle
tegole frangisole originali in calcestruzzo
rivolte a sud con circa 2400 moduli fotovoltaici,
per una superficie di 2000
metri quadrati; in luogo delle tegole rivolte
a nord, dunque in una posizione
non produttiva, sono stati collocati, per
ulteriori 2000 metri quadrati, pannelli
costituiti da materiale altamente tecnologico,
la cui peculiarità è quella di riflettere
una parte della radiazione solare,
dando un sostanziale contributo all’irraggiamen
‘ Sta formandosi una coscienza
ecologica che non deve essere
mortificata, ma anzi favorita ’
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Fotovoltaico,
indica
to che investe
i pannellifotovoltaici‘utili’
e incrementandone
così la produttività. Le scelte progettuali
sono state orientate nella direzione
del miglior compromesso tra l’attenuazione
dell’impatto visivo dell’opera (è
stata conservata la struttura ideata dall’ingegner
Nervi e il caratteristico disegno
ondulatorio della volta, mantenendone
sostanzialmente inalterate dimensioni
e qualità estetiche, introducendo
solamente una leggera quanto inevitabile
alterazione cromatica della visuale
esterna) e la ricerca della massima efficienza
e duttilità. Con una potenza complessiva
installata pari a 220 kilowattora,
si arriverà a produrre circa 300 MWh al-
l’anno di energia - equivalenti al fabbisogno
annuo di un centinaio di famiglie -
che saranno immessi nella rete elettrica
vaticana a parziale copertura dei consumi
dell’Aula Paolo VI e dei palazzi limitrofi
e consentiranno di evitare ogni anno
l’emissione in atmosfera di 225 tonnellate
di anidride carbonica, risparmiando
80 tonnellate di petrolio.
Inaugurazione ecologica
L’inaugurazione dell’impianto, avvenuta
il giorno stesso della prima udienza ecologica
di Benedetto XVI presso la Casina
di Pio IV nei Giardini Vaticani, sede della
Pontificia Accademia delle Scienze, alla
presenza di illustri personalità, quali il
cardinale Lajolo, presidente del Governatorato
del piccolo Stato, l’ingegner
Cuscianna, Direttore dei Servizi Tecnici
del Vaticano e iniziatore del progetto, e il
professor Carlo Rubbia, premio Nobel
per la Fisica, è stata altresì l’occasione per
il conferimento ai promotori e agli esecutori
dell’opera, da parte dell’associazione
Eurosolar Italia, federata con Legambiente,
del Premio Solare Europeo,
un riconoscimento assegnato annualmente
a quanti realizzano interventi per
produrre energie alternative preservando
al contempo opere d’arte e monumenti
architettonici. È stata così suggellata l’estrema
validità, non soltanto simbolica,
dell’opera che coinvolge la delicata disciplina
del restauro monumentale, traccia
un’importante metodologia a beneficio
di futuri interventi similari, dimostra la
possibilità di trasformare con successo ed
in tempi relativamente brevi circa 5000
mq di copertura in calcestruzzo in una
struttura del tutto analoga ed esteticamente
pregevole, ma soprattutto si basa
su una ricerca accurata e sistemica, su

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 17
il Vaticano
la strada
dettagliati studi di fattibilità,
condotti dal professor De Santoli,
energy manager dell’Università
di Roma ‘La Sapienza’,
tesi a sfruttare al massimo le caratteristiche
bioclimatiche già
esistenti nel progetto premonitore
ed avveniristico del Nervi.
L’edificio si erge pertanto quale
perfetto ‘esempio pilota’ di restauro solare
e di autonomia energetica per i centri
storici delle nostre città.
Sensibilità verso il fotovoltaico
Ad essere sensibile al fascino del fotovoltaico
fortunatamente non è solo il Vaticano:
il mercato dell’energia solare ha in
Italia un elevatissimo potenziale di sviluppo.
Nel corso del 2007 e del 2008, la
crescita della produzione di energia fotovoltaica
nel nostro Paese ha fatto sì che il
mercato italiano sia diventato il terzo più
importante in Europa; per il 2016, i dati
dell’EPIA (European Photovoltaic Industry
Association) fanno prevedere ulteriori
incrementi nella capacità installata.
Il fotovoltaico si sta rivelando non solo
un affare per l’ambiente, ma anche,
‘ Ad essere sensibile al fascino
del fotovoltaico fortunatamente non è
solo il Vaticano: il mercato dell’energia
solare ha in Italia un elevatissimo
potenziale di sviluppo ’
soprattutto in tempi di crisi finanziaria e
occupazionale come questi, una formidabile
occasione per rilanciare l’economia
creando nuovi posti di lavoro. Aumenta
così il numero delle aziende che si
specializzano nella costruzione dei moduli
fotovoltaici, liberandosi dalla dipendenza
tecnologica nei confronti dei partners
stranieri e contribuendo a colmare
l’handicap energetico che da decenni affligge
il sistema Italia. Un intero padiglione
dell’High Tech Expo di Rho, nel
novembre scorso, è stato dedicato alle risorse
del fotovoltaico. Tra i colossi europei
ed asiatici, si sono fatte notare due
giovani società italiane: la Omniasolar
Italia, fondata a Benevento nel 2007, e
la piemontese V-energy, con sede a Biella.
In collaborazione con i migliori ate-
nei e i centri di ricerca più prestigiosi
a livello nazionale, l’auspicio
è quello di dar vita ad un
polo all’avanguardia nella produzione
di celle fotovoltaiche,
offrendo all’industria l’opportunità
di condividere con le
Università il sapere, affinché
non rimanga ermeticamente
chiuso all’interno dei laboratori.
Una riviera ‘solare’
Qualche anno fa, nell’ambito del ‘Programma
per la gestione integrata delle
zone costiere’, la Regione Emilia Romagna,
in collaborazione con le Province di
Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e Ferrara
e con Legambiente, diede vita al progetto
‘Riviera Solare’: a fronte di un investimento
di 5 milioni di euro, si intese valorizzare,
attraverso la tecnologia fotovoltaica,
la risorsa energetica per eccellenza
di una località balneare, il sole,
dando un concreto contributo alla riduzione
dei gas serra in atmosfera e contemporaneamente
promuovendo l’immagine
della costa adriatica sul mercato
turistico internazionale.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 17

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 18
ambiente
18
Il Ministero dell’Ambiente ha
recentemente approvato il finanziamento,
per quasi tre milioni
e mezzo di Euro, di 48 progetti,
dislocati sull’intero territorio
nazionale, relativi alla realizzazione
di impianti fotovoltaici
di alto pregio architettonico e
paesaggistico negli edifici pubblici.
Tra i beneficiari citiamo il
Dipartimento di Ingegneria
Meccanica del Politecnico di
Milano, il Dipartimento di Fisica
dell’Università degli Studi di
Firenze, l’Istituto di ricerca sulle
acque del CNR di Bari, il Tribunale
di Imperia, oltre a numerosi
palazzetti sportivi, sedi comunali
ed edifici scolastici.
Fotovoltaico in famiglia
L’opportunità del fotovoltaico si
rivolge, oltre che agli enti pubblici,
anche e soprattutto alle famiglie,
alle persone fisiche e giuridiche,
ai condomini di unità
abitative ed edifici residenziali.
È in particolare per queste categorie
di soggetti che è stato creato
il cosiddetto ‘Conto Energia’,
il programma europeo di incentivazione
della produzione di
elettricità da fonte solare mediante
impianti fotovoltaici permanentemente
connessi alla rete
elettrica.
In Italia, il compito di dare attuazione
della Direttiva comunitaria
2001/77/CE, con la quale
l’Unione Europea intendeva raggiungere
il duplice obiettivo di accrescere la
sicurezza degli approvvigionamenti energetici
e di ridurre le emissioni di gas ad
effetto serra, è affidato al Decreto Legislativo
387 del 29 dicembre 2003, in cui,
all’articolo 7, si stabilisce che le speciali
tariffe incentivanti per l’elettricità prodotta
mediante conversione fotovoltaica
della fonte solare, saranno di importo
decrescente e di durata tali da garantire
una equa remunerazione dei costi di investimento
e di esercizio.
Ad oggi la normativa di riferimento è
data dal Decreto Ministeriale 19 febbraio
2007, recante la firma dei Ministri
dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente,
che integra e modifica i precedenti
atti legislativi, ravvisando la necessità
di apportare correttivi al meccanismo
di incentivazione disciplinato dal
D.M. 28 luglio 2005 ed introducendo
un sistema di accesso agli incentivi semplificato,
stabile e duraturo. Mentre nel
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
‘ Ad oggi la normativa
di riferimento è data
dal Decreto Ministeriale
19 febbraio 2007 ’
Tra vetrate e pannelli
passato l’incentivazione all’utilizzo delle
fonti rinnovabili avveniva prevalentemente
mediante assegnazioni di somme
a fondo perduto, grazie alle quali il privato
cittadino poteva limitare il capitale
investito, il meccanismo del Conto
Energia è un finanziamento in conto
esercizio, in quanto non prevede alcuna
facilitazione particolare da parte dello
Stato per la messa in servizio dell’impianto;
viene al contrario incentivata la
produzione elettrica mediante somme
erogate in modo continuativo, con cadenza
tipicamente mensile, in funzione
dei kWh generati, per un periodo di
venti anni a decorrere dalla data di en-
trata in esercizio dell’impianto:
l’energia prodotta, una volta
immessa nella rete locale a bassa
tensione, viene conteggiata e
rivenduta direttamente al soggetto
attuatore, ovvero il Gestore
dei Servizi Elettrici (GSE
S.p.a.), ad una tariffa incentivante,
variabile, per gli impianti
entrati in esercizio entro il 31
dicembre 2008, tra 0,36 (impianti
non integrati con potenza
nominale maggiore di 20
kW) e 0,49 euro/kWh (impianti
integrati con potenza fino a 3
kW) in base alla tipologia e alla
potenza nominale dell’impianto
stesso. La normativa opera
infatti una distinzione tra impianti
fotovoltaici non integrati,
in cui i moduli sono ubicati al
suolo, parzialmente integrati
(impianti aderenti alla superficie
della copertura) o con integrazione
architettonica, nel caso
in cui i moduli siano integrati
in elementi di arredo urbano e
viario, nelle superfici esterne
degli involucri di edifici, fabbricati
o strutture edilizie di qualsiasi
funzione e destinazione (ad
esempio pensiline con copertura
costituita da moduli fotovoltaici).
Si vuole pertanto orientare
il processo di diffusione del
fotovoltaico verso le applicazioni
più promettenti, in termini
di efficienza e potenziale tecnologico,
e che comportino il minor
utilizzo del territorio, privilegiando
gli impianti integrati; tale tipologia,
inoltre, prevedendo la collocazione dei
moduli secondo criteri di integrazione
architettonica e funzionale con la stessa
struttura dell’edificio, non richiede che
gli impianti siano assoggettati alla procedura
di valutazione di impatto ambientale,
qualora non ricadenti in aree naturali
protette e di potenza non superiore a
20 kW (soglia al di là della quale sono da
considerarsi impianti industriali e pertanto
rientrano nel campo di applicazione
della VIA).
Opportunità dal 2009
Per gli impianti entrati in esercizio tra il
1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010,
la corrispondente tariffa, in relazione alle
proprie caratteristiche di tipologia e
potenza, sarà decurtata del 2% per ciascun
anno successivo al 2008, fermo restando
il valore mantenuto costante in
moneta corrente - dunque senza aggior

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 19
namenti legati al tasso di inflazione - per
l’intero periodo ventennale dell’incentivo.
Per gli impianti che entreranno in
esercizio negli anni successivi al
2010, le tariffe saranno definite a
cadenza biennale attraverso decreti
del Ministro dello Sviluppo Economico,
di concerto con il Ministro
dell’Ambiente. Condizione indispensabile
all’ottenimento delle
tariffe incentivanti è naturalmente
che l’impianto fotovoltaico, con
potenza nominale minima di almeno 1
kW, sia connesso alla rete: il Conto energia
non contempla tutti quegli impianti
destinati ad utenze isolate e non raggiunte
dalla rete elettrica. I benefici del piano
di incentivazione possono sommarsi, oltre
all’effettivo risparmio
in bolletta,
legato all’energia
non prelevata dalla
rete, a quelli derivanti
dalla disciplina
dello ‘scambio sul
posto’, termine con
il quale si intende il
servizio erogato dal
Gestore competente
nell’ambito territoriale
in cui è ubicato
l’impianto, che consiste
nell’operare un
saldo annuo tra la
quota parte di energia
elettrica immessa
e prelevata dalla rete:
con tale soluzione
tutta l’energia prodotta
viene conteggiata
e, dunque, anche
se non consumata
durante il giorno,
contestualmente
all’istante della sua
generazione, si traduce
in un effettivo
risparmio. La disciplina
dello scambio
sul posto continua
ad applicarsi anche
dopo il termine del
periodo ventennale di diritto alla tariffa
incentivante. La tecnologia fotovoltaica è
da sostenere prioritariamente in abbinamento
all’uso sapiente dell’energia, con
modalità organicamente raccordate con le
disposizioni in materia di efficienza energetica
degli edifici: gli impianti operanti
in regime di scambio sul posto possono
beneficiare di un premio aggiuntivo in relazione
alle prestazioni energetiche vantate
dall’edificio. Il premio, consistente per
l’intero periodo residuo di diritto ai finanziamenti
in una maggiorazione percentuale
- in ogni caso non superiore al
‘ L’impegno, messo nero su bianco
dal celeberrimo Protocollo di Kyoto
e confermato dai successivi trattati
internazionali ’
30% - della corrispondente tariffa incentivante,
è riconosciuto qualora il soggetto
responsabile si doti di un attestato di certificazione
energetica per l’edificio prescelto
come sede dell’intervento e, successivamente
alla data di entrata in esercizio
dell’impianto fotovoltaico, vi apporti delle
azioni correttive in grado di conseguire,
al netto dei miglioramenti imputabili
unicamente all’adozione della tecnologia
fotovoltaica, una riduzione di almeno il
10% dell’indice di prestazione energetica
dell’edificio stesso rispetto a quanto evidenziato
dalla certificazione.
L’impegno, messo nero su bianco dal celeberrimo
Protocollo di Kyoto e confermato
dai successivi trattati internazionali,
è sempre lo stesso: promuovere la salvaguardia
ambientale e giungere, in un’ottica
di sviluppo sostenibile, ad un regime
energetico sempre meno legato al-
la tradizionale risorsa rappresentata
dagli idrocarburi. Traguardo comune
è l’‘obiettivo 20’, ovvero garantire
entro il 2020 il 20% di risparmio
energetico, il 20% del
fabbisogno totale coperto dallo
sfruttamento di fonti rinnovabili e
una riduzione del 20% delle emissioni
di CO 2 . Un cammino certamente
non facile, tortuoso ed irto di difficoltà.
Ma, da oggi, il Vaticano ci sprona e ci indica
la strada da seguire.
*Ing. Omar Gilardoni, membro dei Comitati
scientifici della Fondazione ‘de iure publico’
Distesa fotovoltaica
Fonti
Decreto Ministero dell’Ambiente - Direzione Salvaguardia
Ambientale - del 21 ottobre 2008, elenco soggetti ammessi a
finanziamento del ‘Bando per la promozione e la diffusione di
impianti fotovoltaici di alto pregio architettonico/paesaggistico
ad elevata replicabilità negli edifici pubblici’.
Il Sole 24 Ore, articolo di Mauro Buonocore, ‘Energia pulita
più forte della crisi’, edizione del 28 novembre 2008.
Il Sole 24 Ore, articolo di Gioia Reffo, ‘Fotovoltaico, un’occasione
per le aziende italiane’, edizione del 26 novembre
2008.
Il Sole 24 Ore, articolo di Luca Salvioli, ‘Le fonti di energia
rinnovabile con il petrolio sotto i 50 $’, edizione del 20 novembre
2008.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 19
aambbiieente

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 20
ambiente
20
Stima quantitativa
della radiazione solare
Non è né semplice né immediato calcolare
il potere energetico dell’irradiazione solare,
ma i metodi e gli strumenti ci sono.
Omar Gilardoni*
T roppo
spesso il dibattito in merito
all’opportunità di un utilizzo su
larga scala delle risorse rinnovabili
per la produzione di energia si esaurisce in
argomentazioni banali o, quantomeno,
estremamente soggettive e discutibili, traducendosi
inevitabilmente in una presa di
posizione, sia essa favorevole o contraria,
eccessivamente entusiastica o immotivatamente
prevenuta nei confronti delle nuove
tecnologie, determinata da ragioni di
natura ideologica, politica o culturale. È
assai raro imbattersi in attendibili studi
scientifici, tesi a stabilire quantitativamente,
numeri alla mano, la convenienza economica
e sociale di una conversione energetica,
sia pure parziale e limitatamente ad
alcune aree ben definite del territorio nazionale,
dalle tradizionali fonti basate sullo
sfruttamento del potere calorifico degli
idrocarburi alle sorgenti rinnovabili.
Il fotovoltaico, in particolare, è una fonte
energetica distribuita sul territorio e pertanto,
affinché si realizzi una corretta integrazione
con l’esistente infrastruttura
energetica, occorre una dettagliata conoscenza
della rea-
le disponibilità
di energia solare
e delle conseguentipotenzialità
legate alla
produzione di
energia elettrica.
Strumenti nuovi
I moderni strumenti informatici di gestione
ed analisi dei dati geografici - SIT o
GIS che dir si voglia - consentono appunto
di determinare, con relativa semplicità e
un ottimo grado di precisione, sulla base
di una ricostruzione tridimensionale della
morfologia della superficie terrestre, l’effettiva
radiazione solare incidente su una
data porzione di suolo, risultando un prezioso
strumento nelle mani del pianifica-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
tore locale che si trova a dover decidere in
merito ad un’eventuale installazione di
pannelli solari o fotovoltaici.
Nel caso dell’avveniristico impianto sorto
a fine 2008 in Vaticano (come spiegato nel
precedente articolo), alle spalle dell’effettiva
realizzazione dell’opera vi è stato un rigoroso
studio di fattibilità a cura del professor
De Santoli, fra i massimi esperti di
questioni energetiche nel panorama italiano.
Sebbene con risorse decisamente più
limitate e un minor grado di dettaglio, diversi
gruppi di lavoro, a livello accademico,
e prestigiosi centri di ricerca, con il sostegno
di numerosi Enti pubblici e privati,
hanno affrontato negli ultimi anni il problema,
nel tentativo di integrare in ambito
SIT accurati modelli di radiazione solare,
al fine di pervenire in tempi rapidi e a costi
contenuti a stime attendibili in merito
alla quantità di energia incidente su ampie
aree della superficie terrestre (corrispondenti,
ad esempio, al territorio comunale,
provinciale, regionale o nazionale). Solo
così è infatti possibile procedere al dimensionamento
degli impianti fotovoltaici, in
considerazio-
‘ Occorre una dettagliata
conoscenza della reale
disponibilità di energia solare
e delle conseguenti potenzialità ’
ne delle attività
che si intendonosvolgere
e del fabbisognoenergetico
ad esse
associato, unitamente
ad
una prima valutazione economica di massima
circa la fattibilità dell’intervento.
Mappe energetiche
La produzione di mappe relative alla
quantità di energia solare incidente in un
punto dello spazio può avvenire mediante
tecniche di interpolazione che elaborano
informazioni provenienti da misure puntuali
effettuate da stazioni meteorologiche
o estratte da immagini satellitari. Tali tec-
niche consentono tuttavia di ottenere stime
affidabili solo a scala globale o continentale,
mentre risultano localmente poco
rappresentative, soprattutto in aree caratterizzate
da una complessa altimetria.
Stime più accurate richiedono un’analisi
approfondita dei fattori principali che governano
l’interazione della radiazione solare
con l’atmosfera e la superficie terrestre:
innanzitutto la componente strettamente
geometrica, funzione della disposizione reciproca
Terra - Sole, scandita dai moti planetari
di rivoluzione e rotazione, e delle
esatte coordinate geografiche del punto in
esame (latitudine, longitudine), che, insieme
all’ampiezza del periodo temporale
considerato (giorno dell’anno, ora e conseguente
declinazione solare), determina la
quantità di radiazione solare disponibile al
di fuori dell’atmosfera in rapporto all’altezza
del sole sulla linea dell’orizzonte.
La radiazione incidente sulla superficie
terrestre viene poi fortemente condizionata
dalla topografia del suolo, in particolare
dalle caratteristiche altimetriche, dalla
pendenza, dall’orientazione del terreno rispetto
al sole e dall’eventuale presenza di
zone d’ombra. Tutti questi parametri possono
essere modellati analiticamente con
un elevato livello di accuratezza e relativa
semplicità.
La stima esatta del percorso seguito dal
raggio luminoso all’interno dell’atmosfera
rappresenta invece un passaggio molto critico
e difficilmente prevedibile: le complesse
interazioni e l’estrema dinamicità

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 21
dei fenomeni che accompagnano tale percorso
non permettono una modellazione
altrettanto precisa ed accurata quanto
quella possibile per le precedenti tipologie
di attenuazione. Le variabili atmosferiche
(presenza di gas, particelle solide e liquide,
nuvolosità, torbidità atmosferica) sono
estremamente instabili, risentono di una
marcata stagionalità, differiscono sensibilmente
da zona a zona, essendo strettamente
correlate alle variazioni riscontrate nella
morfologia del terreno, e sono inoltre influenzate
dal livello di urbanizzazione ed
industrializzazione delle città. Un modello
completo di attenuazione, dovendo includere
parecchie variabili provenienti da differenti
fonti di informazioni, non risulta
di immediata ed agevole gestione. Solitamente,
in luogo di una raffinata modellazione
matematica, si preferisce pertanto ricorrere
per semplicità a valori tabulati in
letteratura, disponibili per molteplici aree
del mondo e per vari usi del suolo, o a formule
empiriche, i cui coefficienti vengono
tarati localmente per adattarli alle specifiche
condizioni ambientali.
Il calcolo
La radiazione complessiva, selettivamente
attenuata dall’atmosfera, che incide su di
una superficie è data dalla somma di tre
componenti: quella diretta, che raggiunge
senza altre deviazioni l’area irradiata; diffusa,
se arriva sulla superficie dopo aver subito
il fenomeno della dispersione, lungo
qualsiasi direzione, ad opera del pulviscolo
e dei gas atmosferici; infine
riflessa, se colpisce
l’area in esame solo dopo
essere stata respinta verso
l’alto dal terreno o da
un’altra superficie con
proprietà riflettenti. All’aumentare
della torbidità
atmosferica, diminuisce
la quota parte di
radiazione diretta incidente
a vantaggio della
componente diffusa.
Trascurando l’effetto prodotto dalle nubi,
che resta in ogni caso il più rilevante fattore
di attenuazione della radiazione solare,
si ottiene l’intensità di energia solare
incidente in condizioni ideali. I valori di
radiazione solare
in presenza di copertura
nuvolosa
possono essere ricavati
dai precedenti,
inserendo
nelle equazioni un
parametro, oscillante
tipicamente
tra 0,25 e 1, che considera l’importante effetto
di attenuazione che si registra in condizioni
meteorologiche non ottimali.
Modelli diversi
Nella letteratura scientifica sono diversi i
modelli di radiazione solare sviluppati all’interno
di prodotti SIT; per le applicazioni
ora esposte, le stime sono state realizzate
con l’ausilio del modulo r.sun, integrato
nel Sistema Informativo Territoriale
GRASS GIS e messo a punto dai ricercatori
dell’Istituto per l’Ambiente e lo Sviluppo
Sostenibile del Centro Ricerche della
Commissione Europea (Joint Research
Centre di Ispra). Tale modulo permette di
stimare la radiazione, in condizioni ideali
di cielo sereno, come somma delle sue tre
componenti, secondo le formule proposte
dall’European Solar Radiation Atlas.
Il comando r.sun prevede due modalità
operative: può calcolare il valore istanta-
‘ La Commissione europea
ha voluto promuovere
e finanziare la realizzazione
di un database ’
neo della radiazione
solare incidente
a terra o, in alternativa,
fornire la
durata e la somma
giornaliera della radiazione
solare totale
che colpisce il
terreno in un dato
giorno. Iterando
più volte il comando
in quest’ultima
modalità, è possi-
Tegole fotovoltaiche bile estrarre la radiazione
globale
disponibile nell’arco di un mese o dell’intero
anno. Le due differenti opzioni possono
inoltre essere utilizzate separatamente o
con un approccio combinato al fine di ottenere
stime accurate per intervalli temporali
di qualsiasi grandezza.
Per l’elaborazione sono richiesti solo pochi
parametri iniziali: il periodo di tempo da
considerare nel corso della giornata o il
numero indicativo del giorno di interesse
ed, ovviamente, un file che riporti l’andamento
altimetrico della porzione di superficie
considerata (modello digitale del terreno),
al fine di tener conto della quota,
della pendenza e della disposizione del
suolo rispetto ai punti cardinali, della latitudine
e degli effetti di ombreggiamento
legati alla natura del terreno. Oltre a questi
dati di base e
assolutamente indispensabili,l’utente
può definirne
altri, a seconda
della particolare
applicazione e delle
specifiche necessità,
indicando
per essi valori costanti per l’intera regione,
oppure variabili nello spazio e differenti
per ciascuna unità di superficie in cui si
suddivide l’area in esame.
Progetti europei
All’interno del progetto ‘Environment and
Solar Energy Resource’, condotto anch’esso
a cura dei ricercatori del centro Ricerche
di Ispra, la Commissione europea ha voluto
promuovere e finanziare la realizzazione
di un database, relativo al territorio
di dieci Paesi dell’Europa centro-orientale
(Slovenia, Polonia, Romania, Bulgaria,
Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Estonia, Lettonia e Lituania), costituito
da mappe tematiche indicanti il potenziale
fotovoltaico di dette regioni.
Per la generazione delle mappe di radiazione
solare globale incidente nell’arco dei
singoli mesi e dell’intero anno, si è scelto
di utilizzare, considerata la notevole
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 21
aambbiieente

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 22
ambiente
22
estensione dell’area in esame, un modello
altimetrico con risoluzione spaziale di 1
km; l’intervallo temporale con il quale viene
scandito il computo della quantità di radiazione
incidente è invece molto fitto e
pari a 15 minuti. L’elaborazione viene svolta
sia nell’ipotesi ideale di cielo sereno, sia
in condizioni reali, per pannelli disposti
orizzontalmente o inclinati, rispetto al piano
d’appoggio, di 15, 25 o 40 gradi. Il raffronto
delle diverse mappe prodotte, per
differenti periodi temporali e soluzioni
progettuali, si rivela senza dubbio un prezioso
strumento di supporto alle decisioni.
Utilizzando infine un modello del terreno a
maggior dettaglio (suddiviso in celle quadrate
di ampiezza 100 m) e relativo ad
un’area spazialmente più limitata, per non
eccedere le potenzialità di elaborazione dei
calcolatori, il lavoro svolto ha mostrato interessanti
sbocchi anche ai fini di studi di
carattere naturalistico ed ecologico.
Veniamo all’Italia
Per quanto concerne l’Italia, una simile
procedura, seppur a scala decisamente maggiore,
ha trovato applicazione nell’ambito
del progetto ‘Riviera Solare: centrale fotovoltaica
della costa emiliano - romagnola’
(si rimanda di nuovo a pag. 16). Il calcolo
della radiazione solare è stato condotto utilizzando
un modello digitale del terreno
con risoluzione spaziale di 5 m, ottenuto
interpolando i punti quotati e le curve di livello
della Carta Tecnica Regionale (scala 1
:5000). Dai risultati dello studio emerge la
possibilità di installare sui tetti delle strutture
balneari ed alberghiere della riviera romagnola
una potenza di 24 MW con una
produzione di circa 28 mila MW/h annui a
emissioni zero e con un ammortamento totale
dei capitali investiti stimato nell’arco di
15-20 anni. Inestimabile in ogni caso il
guadagno ambientale, se si considera che
per raggiungere lo stesso risultato di produzione
elettrica con una centrale a carbone si
rilascerebbero in atmosfera ben 28 mila
tonnellate di anidride carbonica, 200 tonnellate
di anidride solforosa, 80 di ossidi di
azoto e 15 di polveri sottili.
Nuovo studio
In tempi più recenti e sulla base di un
DEM (modello digitale del terreno) Li-
DAR ad elevata risoluzione, i ricercatori
dell’Istituto di Scienze della Terra della
Scuola Universitaria Professionale della
Svizzera Italiana, in collaborazione con il
Laboratorio di Geomatica del Politecnico
di Milano, Polo Regionale di Como, hanno
curato un nuovo studio, sulla scia dei
precedenti, ambientato nello scenario dell’area
costiera di Olbia, in Sardegna. Il notevole
grado di dettaglio richiesto e l’obiet-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
tivo ultimo prefisso, ovvero la valutazione
della convenienza -non soltanto economica
- in merito all’installazione di pannelli
fotovoltaici sugli edifici cittadini - implicano
la conoscenza dell’esatto quantitativo di
radiazione solare incidente in un dato punto
del terreno, ma anche e soprattutto della
frazione di essa che ricade, per ciascun
elemento catastale, all’interno dell’area edificata,
nella porzione effettivamente spendibile
per l’installazione dell’impianto: a tal
scopo si è calcolato dunque, per ogni edificio
del catasto, la somma dei valori di radiazione
solare delle singole celle del DEM
che lo compongono, ottenendo così l’energia
totale incidente su di esso e potenzialmente
disponibile. Per il dimensionamento
della superficie dell’impianto fotovoltaico
e il calcolo del numero di pannelli necessari,
il metodo più semplice ed intuitivo
è quello di effettuare il rapporto tra il fabbisogno
energetico - o una sua quota parte,
detta percentuale di integrazione, pari
alla quantità di energia elettrica che si desidera
produrre da fonti alternative - e l’e-
nergia utile che ciascun modulo fotovoltaico
è in grado di fornire, in considerazione
dei fenomeni dissipativi che ne riducono,
anche pesantemente, le potenzialità (gli indici
di efficienza del pannello e dell’impianto
nel suo complesso si attestano mediamente
attorno al 10% della radiazione
incidente). Si dispone ora di tutte le informazioni
richieste per abbozzare un’analisi
costi-benefici che supporti, sulla base di
considerazioni oggettive, la decisione di
avallare o meno il progetto fotovoltaico.
Note potenzialità, dimensioni e principali
caratteristiche che un eventuale impianto
deve presentare affinché risulti davvero efficace,
è possibile stimare le voci di costo da
sostenere inizialmente (costo di installazione)
e nel corso della vita dell’impianto (costi
annuali assicurativi, di manutenzione e
di esercizio), a fronte dei benefici ottenuti:
risparmio in bolletta, incentivi statali e regionali,
guadagno ambientale legato principalmente
alla riduzione delle emissioni di
gas serra in atmosfera, nell’ottica del perseguimento
di uno sviluppo sostenibile. Un
beneficio quest’ultimo probabilmente secondario
in rapporto alle valutazioni di carattere
economico per il cittadino che deve
decidere di affrontare o meno l’investimento,
ma di grande rilevanza a livello sociale e
che si traduce in definitiva in un vantaggio
per l’intera collettività.
Come tutti i Sistemi Informativi Territoriali,
GRASS offre l’opportunità di operare
una vasta gamma di analisi ed interrogazioni
mirate sui dati, permettendo all’utente
di concentrarsi sulle prestazioni riscontrate
per un singolo edificio, oppure di scegliere
una visione d’insieme che mostri
l’andamento della grandezza di interesse
(tempo di ritorno dell’investimento, guadagno
economico, riduzione dell’inquinamento)
all’interno dell’area considerata,
evidenziando le località che meglio si pre-
stano ad ospitare gli impianti fotovoltaici.
Si tratterà forse anche in questo caso di affermazioni
discutibili, di previsioni affette
da possibili errori di valutazione, ma se
non altro siamo di fronte a numeri, frutto
di un’accurata modellazione scientifica. Di
stime quantitative, non più soggettive. Già
è un passo in avanti.
*Ing. Omar Gilardoni, membro dei Comitati
scientifici della Fondazione ‘de iure publico’
Fonti
Hofierka J., Suri M., ‘The solar radiation model for Open Source
GIS: implementation and applications’, European Commission
Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability,
Centro Europeo di Ispra (VA).
Brovelli M.A., Cannata M., Molinari M., ‘Supporting sustainable
development: the GRASS GIS opportunity’, OSGeo 2008 Lab,
Laboratorio di Geomatica, Politecnico di Milano, e Istituto di
Scienze della Terra, Scuola Universitaria Professionale della
Svizzera Italiana.

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Il futuro
si semina nel passato
Inizia con un’intervista a Felissari, presidente
dell’Amministrazione provinciale lodigiana l’inchiesta
relativa al governo del territorio della Provincia di Lodi.
Seguono altri interventi degni di nota.
L a
Provincia di Lodi conta 61 comuni
e 215mila abitanti. Staccatasi da
Milano nel 1995, si estende nella
Pianura Padana su un’area di 782 chilometri
quadrati, confinante a Nord con la
provincia di Milano, a Est con quella di
Cremona, a Ovest con il pa-
vese e a Sud con il piacentino.
I fiumi Adda, Po e Lambro
sono confini naturali dell’area
provinciale che sostanzialmente
coincide anche con la
diocesi di Lodi.
Per la particolare morfologia
che caratterizza il territorio esso
è storicamente vocato all’agricoltura,
grazie anche alla
presenza di oltre 2500 chilometri
di corsi d’acqua.
Il Lodigiano è uno dei più importanti
centri italiani per l’agricoltura
e l’allevamento, tanto
da costituire un polo di livello
europeo nel settore zootecnico.
Nel 1983 è stato istituito
il Parco Adda Sud, che
ha il compito di tutelare il
percorso del fiume nell’intero
territorio, un‘area che ha una
superficie di 230 chilometri
quadrati, coltivata quasi per
intero, ma che in prossimità
del fiume, conserva ampie zone
boschive e paludose. Per
quanto riguarda il profilo socio-economico,
il Lodigiano si
distingue per notevoli differenze
di stili di vita tra la zona
a Nord, che gravita maggiormente
attorno a Milano, e la
zona a Sud, ancora immersa
nei ritmi meno frenetici della
campagna. Nel tessuto economico
si registra una forte pre-
a cura di Daniela Castelli
senza di piccole e medie imprese artigianali
ed industriali, e numerose attività del
settore terziario avanzato (soprattutto assicurazioni
e banche). Il Lodigiano è
inoltre noto per una gastronomia di alta
qualità, che costituisce una parte consi-
‘ Da sempre e ancor di più oggi,
abbiamo cercato di interpretare
la pianificazione territoriale
come un’opportunità ’
Lino Osvaldo Felissari,
presidente dell’Amministrazione provinciale.
stente del movimento turistico in entrata.
La cucina trae origine dalle tradizioni
popolari ed è imperniata sui prodotti tipici
locali, quali il mais ed il formaggio.
Dal 1988 i migliori ristoranti della zona
organizzano una grande rassegna gastronomica
in autunno. Ma la provincia di
Lodi non è solo questo: un invidiabile
patrimonio monumentale e culturale si
compone di cascine, ville di campagna,
castelli, chiese ed abbazie monastiche di
alto valore storico e religioso. Tra questi
gioielli importante ricordare la Chiesa
dell’Incoronata di Lodi, capolavoro dell’arte
rinascimentale; la Basilica dei XII
Apostoli a Lodi Vecchio, del IV secolo in
stile romanico; infine, l'abbazia dei
SS.Pietro e Paolo ad Abbadia Cerreto.
Presidente come è strutturato il
PTCP di Lodi?
«Innanzitutto, il piano va collocato dentro
un percorso di condivisione durato
quattro anni, tra tutti gli enti locali, di
partecipazione delle associazioni di categoria,
delle varie rappresentanze economiche
e sociali del territorio, e ha comportato
centinaia di incontri. Un percorso
che è servito, tra l’altro, a elaborare un
metodo di lavoro condiviso. La Provincia
di Lodi, a onor del vero, in questo è stata
favorita dall’aver esercitato dalla sua
nascita una delega regionale in materia
urbanistica con la gestione di un Piano
territoriale comprensoriale.
Da sempre e ancor di più oggi, abbiamo
cercato di interpretare la pianificazione
territoriale come un’opportunità per delineare,
attuare e monitorare scelte partecipate,
condivise e compatibili, in una visione
coordinata tra i diversi livelli istituzionali
coinvolti e i relativi strumenti pianificatori.
Elemento di straordinarietà della realtà
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 23
inchiesta

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inchiesta
24
lodigiana è l’aver il PTCP come solco nel
quale seminare le scelte strategiche di sviluppo
e valorizzazione del territorio provinciale.
Questa visione ha consentito e consentirà
anche di testare e sperimentare i primi
concetti di sviluppo solidale, equo e perequato,
come sfide di governance moderna
ed efficace per un territorio come
il nostro, caratterizzato da comuni di
medio-piccole dimensioni, da una funzione
di ‘cerniera’ fra la metropoli milanese
e il sistema emiliano, da valori e
ideali di vivibilità e sostenibilità, rappresentati
da un tessuto naturale e paesaggistico
unico nella rete del sistema irriguo
e nella tessitura agraria».
Qual è il principale obiettivo del vostro
PTCP?
Il PTCP si pone l’obiettivo generale di
governare la pressione insediativa alimentata
dalla vicinanza dell’area metropolitana
milanese, al fine
di mantenere l’equilibrio e
l’identità della provincia,
limitando l’espansione
dell’urbanizzato, contenendo
e razionalizzando il
consumo del suolo attraverso
la promozione di un ‘uso qualificato’
del suolo agricolo. Il nostro PTCP definisce
le politiche relative agli ambiti
agricoli in una logica di multifunzionalità,
ovvero l’agricoltura come attività che
salvaguarda il patrimonio paesistico-ambientale
e promuove il turismo, e lo sviluppo
economico. In estrema sintesi macro-obiettivi
individuati nel Piano sono:
promuovere e rafforzare il sistema territoriale
come sistema reticolare e di relazioni;
garantire la qualità dell’abitare,
contenere il consumo di suolo e compattare
la forma urbana; razionalizzare il sistema
della mobilità; promuovere la difesa
e la valorizzazione degli spazi rurali e
delle attività agricole; valorizzare il sistema
turistico; sostenibilità delle risorse
energetiche e integrazione nel paesaggio
degli impianti di produzione energetica.
La complessità strategica delle sfide candida
il Lodigiano a uscire dall’ombra del
‘territorio di passaggio’, per andare verso
la valorizzazione di un proprio ruolo
strategico di centralità, per svolgere pienamente
e consapevolmente azioni integrate,
che, partendo dall’identità, dalle
vocazioni e dal ‘patrimonio naturale e
progettato’, rendano attuabili e traducibili
in strategie competitive gli obiettivi
condivisi di contenimento del consumo
di suolo, di perequazione territoriale e di
sostenibilità delle azioni pianificatorie.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Dunque, centrale, ma imperniato su
nuove caratteristiche, ritorna il rapporto
con i comuni, gli enti territoriali ed i
portatori di interessi, non solo con riferimento
al momento della formazione del
Piano, ma anche in relazione alla sua attuazione,
attraverso la sperimentazione
di procedure negoziali complesse».
Parliamo di programmazione urbanistica:
cosa ne pensa della L.R.n.12/
2005?
È una legge che rappresenta un punto di
svolta nell’Urbanistica, con il suo carico
di preoccupazioni e opportunità, con le
sue luci e le sue ombre. Tra le luci annoveriamo
il tentativo di dare vita ad un
Testo Unico urbanistico, la semplificazione
delle procedure (con la fine dei
tempi lunghi per l’approvazione degli
strumenti urbanistici), la creazione del
sistema informativo territoriale. Se questi
sono alcuni degli aspetti positivi, non
‘ I territori hanno un futuro se
avranno la capacità di preservare
i loro connotati e le loro peculiarità ’
si possono nascondere le perplessità che
riguardano il ruolo delle diverse amministrazioni
(Comuni, Province e Regione)
equiparate sullo stesso piano, il non semplice
passaggio dai Piani Regolatori Generali
ai Piani di Governo del Territorio,
l’indebolimento degli strumenti finalizzati
a costruire il coordinamento di un
territorio.
L’indebolimento delle regole va compensato
con una forte assunzione di responsabilità,
che parta dal profondo convincimento
che i territori hanno un futuro se
avranno la capacità di preservare i loro
connotati e le loro peculiarità. In questo
contesto, in cui vengono modificati gli
elementi di prescrittività del PTCP, è essenziale
alimentare tra gli amministratori
una visione condivisa del territorio,
che tragga la sua forza dal valore dell’identità
del Lodigiano.
Cosa significa il passaggio dal vecchio
modo di fare urbanistica a
quello attuale, per un’amministrazione
come la vostra?
«Il vecchio Piano territoriale comprensoriale
aveva alla sua base l’elemento della
conformità come metodo di lavoro, cioè
i piani regolatori dei comuni dovevano
conformarsi al disegno del Piano territoriale
attraverso un’interlocuzione abbastanza
limitata e semplice rispetto alla
possibilità di realizzare interventi di natura
produttiva, di natura residenziale, di
vario genere.
Passare dal PTCC a PTCP significa abbandonare
la logica della conformità per
quella della compatibilità e della negoziazione
condivisa, della persuasione basata
su valutazioni che tengono insieme
sviluppo, pianificazione ambientale, pianificazione
infrastrutturale, pianificazione
agricola e paesaggistica. Come dicevo
con il vecchio PTCC l’interlocuzione era
semplificata, c’erano elementi di cogenza
e di prescrittività più elevati per cui la
Provincia diceva semplicemente sì o no.
Oggi passiamo, visto che questi elementi
di prescrittività recedono, ad una urbanistica
negoziale, della contrattazione.
Si passa da una pianificazione del sì e del
no a una pianificazione del ‘come sarebbe
meglio fare’, con una serie di valutazioni
di progetto che sono legate a quegli
elementi che le dicevo prima: ambiente,
infrastrutture, paesaggio, agricoltura».

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 25
Nel lodigiano l’espansione dell’urbanizzato intende contenere il consumo del suolo agricolo
Come avete organizzato l’analisi del
territorio? Ci parli della VAS.
«Per i nostri Piani abbiamo definito un’unica
autorità competente per la VAS. Oltre
al PTCP la Provincia di Lodi ha in corso
i processi valutativi del Piano Agricolo
Triennale, del Piano di Indirizzo Forestale
e ha valutato il Piano dei Rifiuti e il Piano
Ittico. L’impostazione del processo della
Valutazione Ambientale Strategica è stato
strutturato secondo un’impronta fortemente
partecipativa che si consoliderà anche
nel 2009. La Provincia di Lodi ha
messo in campo e sostiene iniziative di
partecipazione effettiva del pubblico al
processo di pianificazione e programmazione
e di raccolta delle osservazioni. Come
metodo di lavoro abbiamo predisposto
‘questionari-guida’ da sottoporre ai soggetti
convocati in Conferenza di valutazione,
che facilitino la lettura dei documenti
che vengono resi disponibili su una sezione
del nostro sito. Abbiamo svolto diverse
assemblee pubbliche a scopo divulgativo e
di diffusione delle informazioni, e chiedia-
‘ È necessario realizzare
forme compatte di
insediamenti urbanistici ’
mo ai comuni un coinvolgimento diretto.
Con l’affidamento dell’incarico per la redazione
del Rapporto Ambientale ad un
professionista è stata definita anche la gestione
del processo partecipativo, che si
svilupperà con la divulgazione delle scelte
di Piano attraverso diversi momenti».
Lodi e il verde, qual è il rapporto del
territorio con questo elemento?
«Lodi è una territorio verde, quasi un
giardino alle porte di Milano. Il nostro
obiettivo è di evitare il fenomeno dello
‘sprawl’, cioè l’espansione disordinata che
rischia di conurbare paese dopo paese non
lasciando nemmeno un campo in mezzo.
Ciò significherebbe disarticolare l’identità
stessa del Lodigiano, che si caratterizza
ancora come un territorio agricolo. Con
tre parole potremmo dire che la nostra
proposta mira a contenere, concentrare e
riqualificare. Questo significa che è necessario
realizzare forme compatte di insediamenti
urbanistici, ovvero non aprire nuovi
inizi, nuovi fronti insediativi, ma consolidare
quelli esistenti. Dal 1990 al 2000
il Lodigiano ha consumato il 4,5% del
suolo agricolo. Dal 2000 al 2008 la percentuale
è scesa al 3%. Il suolo è raro e
quindi prezioso. Noi vogliamo frenare
questa tendenza nei prossimi cinque anni
È imperativo arginare anche nelle forme
dello sviluppo e quindi nella percezione
dei cittadini, gli elementi dell’insediamento
urbano e produttivo. Innanzitutto, credo
vada rafforzata la consapevolezza intorno
a questi temi fondamentali, va dato
corpo ad un clima, ad una sensibilità che
è già diffusa. Serve l’impegno di tutti, uno
sforzo che dovrebbe basarsi su una programmazione
di area vasta, che sia accompagnata
da forme di perequazione tra i diversi
Enti che governano il territorio».
Cosa si potrebbe far in più per migliorare
la situazione?
«Recentemente abbiamo firmato un accordo
con l’INU, Istituto Nazionale di
Urbanistica, per monitorare in maniera
puntuale il consumo di suolo, un passo
importante verso una consapevolezza collettiva
di cosa facciamo e dove stiamo andando.
Per la Provincia il ‘consumo’ del
territorio non urbanizzato e l’espansione
dell’urbanizzazione dovranno costituire
la soluzione estrema a cui ricorrere dopo
avere sfruttato al massimo il patrimonio
urbanistico esistente. Il recupero e la valorizzazione
di tutti quegli elementi paesistici
che caratterizzano il Lodigiano
agricolo, con la sua orditura di terre coltivate,
rogge, strade poderali e cascine.
Vogliamo preservare queste caratteristiche,
evitando alcuni errori del passato che
hanno comportato il ‘sacrificio’ di vaste
aree agricole, scongiurando la conurbazione
tra un paese e l’altro, disincentivando
gli insediamenti polverizzati e quelli
lungo le arterie stradali».
L’ente sovracomunale dovrebbe, secondo
lei, indicare la direzione e i
progetti da intraprendere per la ‘giusta’
programmazione dello sviluppo
del territorio?
«Abbiamo il massimo rispetto dei nostri
comuni e della loro autonomia, con loro
vogliamo e dobbiamo parlare, confrontarci.
La politica serve anche a persuadere,
attraverso le ragioni del bene comune.
Siamo chiamati a darci una visione di
quello che sarà lo sviluppo del territorio
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 25
inchiesta

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inchiesta
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nei prossimi venti anni, perché quello che
decidiamo oggi si vedrà allora. Lo vedranno
i nostri figli e questa non mi sembra
una ragione da poco. Di fronte alla modifica
e alla ridotta efficacia degli strumenti
sovracomunali di coordinamento e di
controllo del territorio, ci deve essere
un’altrettanto marcata assunzione di responsabilità
da parte di tutti. Nei momenti
importanti i nostri amministratori hanno
dimostrato da sempre una sensibilità e
un particolare senso di appartenenza alla
loro terra, consapevoli del fatto che solamente
l’unità è l’elemento per raggiungere
traguardi ambiziosi. Anche in questa
occasione il territorio è chiamato
ad esprimersi su un obiettivo
fondamentale per il futuro del
Lodigiano. Sono fiducioso che i
nostri sindaci, tutti insieme, sapranno
raccogliere questa sfida
culturale, e sapranno politicamente
interpretare con il voto e
nelle loro azioni amministrative
gli obiettivi sanciti dal PTCP,
nella consapevolezza che questa
è la sfida che i lodigiani ci chiedono
di raccogliere e la radice
stessa di uno sviluppo sostenibile
e moderno, che ci permetterà
di consegnare ai nostri figli un
territorio ancora saldo nelle sue
tradizioni e organizzato armoniosamente
nel suo modello di
sviluppo. Il valore del Piano Territoriale
sta proprio nella condivisione
dei principi e dei criteri,
che determinano l’idea che abbiamo
del Lodigiano e del suo
sviluppo nel tempo depurata
dalle contingenze dell’oggi, dai
calcoli di breve respiro, dalle valutazioni
limitate ad una singola
area o ad un singolo paese. Inoltre,
nutriamo la convinzione che
intercorra uno stretto legame tra
i modi dell’urbanizzazione e le
forme sociali, lo stare insieme
delle persone. Il PTCP, pertanto,
rappresenta anche un investimento in
socialità, tende cioè a conservare e non
stravolgere le caratteristiche della vita sociale
delle nostre città, dei nostri paesi e
campagne».
Quali sono le azioni che lei come
amministratore sta mettendo in atto
sul territorio?
«Voglio ricordare il nostro impegno per la
mobilità dolce. Entro il 2009 completeremo
una rete di piste ciclabili che si snoderà
per oltre 500 chilometri superando in
lunghezza l’intero sistema stradale locale e
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
renderà il Lodigiano a pieno titolo la ‘provincia
della bicicletta’. Attualmente la lunghezza
dei percorsi ciclopedonali realizzati
sul territorio è di 442 chilometri. Abbiamo
investito oltre 12 milioni di euro in
questi anni, una scelta lungimirante, credo,
frutto di un pragmatismo che è proprio
del nostro territorio. Vi era, in primo
luogo, la necessità di mettere a sistema gli
interventi già realizzati, programmare gli
sviluppi futuri e condividere le scelte compiute
con le altre realtà locali e, per certi
aspetti, nazionali ed europee. Questi motivi
hanno messo in evidenza l’ineludibilità
di un’attenta pianificazione, inserita in
una politica dei trasporti di livello provinciale
ed in particolare di una politica dell’intermodalità,
ovvero della possibilità di
interscambio nei trasporti su ferro, acqua,
gomma e ciclo. La nostra sarà una rete ciclopedonale
costituita da un tracciato
connesso alle province limitrofe che, senza
soluzione di continuità, si snoderà lungo
le direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest ed
offrirà la possibilità di interscambio con il
sistema ferroviario e quello della navigazione
fluviale su battelli e motonavi turistiche.
Un impegno importante che ci è
valso un riconoscimento per la mobilità
dolce assegnato da Euromobility.
Infine, sulla tradizionale vocazione agricola
sta nascendo a Lodi l’importante polo universitario
di Medicina veterinaria dell’Università
Statale di Milano, che comprende le
strutture didattiche, i laboratori, le cliniche
per gli animali e centri di ricerca nel settore
zootecnico, di impatto considerevole. Proprio
di fianco alla neonata Facoltà di veterinaria
sorge poi un Polo di eccellenza europeo
per le Biotecnologie Agro-Alimentari,
promosso dalla Regione Lombardia con il
sostegno degli enti territoriali. Tra le strutture
che compongono il cluster, vi è il Parco
Tecnologico Padano, un innovativo centro
Ciclopedonale: in progetto una nuova rete per le due ruote
che unisce la ricerca scientifica nel campo
della genomica e le sue applicazioni in ambito
di creazione d’impresa ed il futuro polo
universitario di Medicina veterinaria dell’Università
Statale di Milano. Ruralità diffusa,
ciclabilità e fruizione turistica, ricerca
e conoscenza sono queste le idee guida per
il futuro di questa nostra provincia a cui
tutta la nostra programmazione si deve adeguare».
Insomma Lodi è una provincia modello?
«Assolutamente sì, ma lo era già nel passato».

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Contenimento del
consumo di suolo e
adozione di un modello
di sviluppo dedito
al recupero delle aree
dimesse per il
capoluogo lodigiano.
Lorenzo Guerini, sindaco di Lodi
dal 2005 e dallo stesso anno
presidente di A.N.C.I Lombardia.
Lodi, città senza
compromessi
N onostante
si trovi a soli trenta chilometri
da Milano e sia collocata al
centro di uno dei principali assi di
collegamento del Paese sulla direttrice
Nord-Sud (un corridoio servito da infrastrutture
quali l’A1, la Via Emilia, la linea
ferroviaria Milano-Piacenza, a breve anche
la linea ad alta velocità ed in prospettiva
la Tangenziale Est Esterna), Lodi è il
capoluogo di un territorio che ha saputo
mantenere una specifica identità sociale,
culturale ed economica, ben distinta da
quella dell’area metropolitana e imperniata
su una storica vocazione agro-zootecnica,
che continua a connaturare anche
l’ambiente e il paesaggio. Tutti questi fattori
hanno marcato una percepibile discontinuità
rispetto ai fenomeni di conurbazione,
che hanno interessato altri comprensori
soggetti all’influenza dell’area
metropolitana, anche se negli ultimi venti
anni il Lodigiano ha dovuto far fronte a
formidabili spinte espansive: basti pensare
che nel periodo tra gli ultime due censimenti
generali della popolazione quella di
Lodi è stata la seconda Provincia in Italia
per incremento demografico, certo non
per un saldo particolarmente positivo di
nati-mortalità, quanto piuttosto per gli
intensi movimenti migratori, in parte dall’estero,
ma soprattutto dalla cerchia metropolitana.
Il sindaco Lorenzo Guerini,
che è anche presidente di A.N.C.I. (Associazione
Nazionale Comuni Italiani)
Lombardia, ci spiega come la città abbia
intenzione di costruire il proprio futuro
urbanistico.
Sindaco, ci può spiegare le principali
attività che legano la città al resto del
territorio?
«Oggi Lodi è una città che assolve un importante
ruolo di centro di servizi (amministrativi,
economici, finanziari, culturali)
per l’intera provincia, ospitando le sedi periferiche
delle funzioni statali che vengono
assegnate ai territori dotati di autonomia
amministrativa. Lodi è il ‘motore’ di un sistema
territoriale che dal 1992 (anno dell’istituzione
della Provincia) si è progressivamente
sempre più evoluto. Accanto a
questa vocazione al terziario, la città ne ha
mantenuta anche una di tipo imprenditoriale,
innestando sulla tradizione dei gran-
di opifici del secolo scorso l’apertura a
esperienze in settori innovativi, di cui il
polo universitario di veterinaria e agraria e
il centro di ricerca sulle biotecnologie rappresenta
senz’altro la punta più avanzata.
Su questo ‘valore aggiunto’, che fa di Lodi
una delle ‘capitali’ europee della didattica,
della ricerca scientifica e del trasferimento
tecnologico alle imprese nei campi della
genomica animale e vegetale e della sicurezza
alimentare, fa leva anche la prospettiva
di inserire con un ruolo attivo la città
nel percorso dell’Expo 2015, il cui tema
(‘Nutrire il mondo’) è quanto mai coerente
con questo progetto».
‘ Capacità propositiva e
disponibilità di risorse
rendono il privato
un partner potenzialmente
prezioso per i Comuni ’
Parliamo di programmazione urbanistica.
«Il riconoscimento di una accresciuta autonomia
decisionale degli enti locali e la riforma
dei rapporti tra istituzione pubblica
e operatori privati nella direzione di una
compartecipazione effettiva alle scelte di
‘governo’ del territorio costituiscono senza
dubbio elementi fortemente innovativi
della L.R. n.12/2005.
In questo senso, capacità propositiva e disponibilità
di risorse rendono il privato un
partner potenzialmente prezioso per i Comuni
nella promozione di interventi di interesse
generale, soprattutto nel campo dei
servizi, che altrimenti non sarebbero alla
portata delle istituzioni. Chiaramente, si
tratta di declinare le modalità di utilizzo di
questo strumento in modo equilibrato, per
favorire una gestione delle scelte di programmazione
urbanistica che sia davvero
coerente con gli obiettivi di un armonioso
sviluppo complessivo del territorio. In
ogni caso, l’impostazione meno ‘dirigista’ e
maggiormente improntata a una collaborazione
di reciproca utilità, in cui si valorizzino
tanto la funzione di orientamento
dell’amministrazione quanto il contributo
operativo del privato, è condivisibile».
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 27
inchiesta

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inchiesta
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A che punto siete con il PGT?
«È stata da tempo avviata l’elaborazione di
tutti i documenti in cui si articola il PGT
(Documento di Piano, Piano dei Servizi e
Piano delle Regole), i primi due già in
avanzato stato di definizione. Nel contempo,
è imminente l’avvio dell’iter partecipativo,
per coinvolgere nel confronto le forze
politiche, il mondo associativo, gli ordini
professionali, le organizzazioni di rappresentanza
delle categorie produttive e in genere
tutti soggetti portatori di interessi diffusi.
Nel frattempo, il consiglio comunale
ha approvato (senza alcun voto contrario)
un Documento di Inquadramento Urbanistico
con il quale sono stati
individuati alcuni ambiti sui
quali si ritiene prioritario promuovere
tempestivamente
specifiche iniziative di trasformazione,
con una particolare
sottolineatura del tema dell’edilizia
pubblica residenziale,
accanto a quelli della riconversione
delle aree dismesse e della riqualificazione
di alcune aree marginali al centro
urbano».
Quali sono i progetti a cui tiene in
particolar modo?
«In generale, quelli legati alla valorizzazione
ambientale, in particolare se finalizzati
al potenziamento della dotazione di spazi
attrezzati che favoriscano la fruizione a scopo
ricreativo e di socializzazione. Su questo
fronte, peraltro, l’amministrazione comunale
ha già promosso in questi anni una
concreta azione di sviluppo: basti pensare
che nel corso del mandato al superficie di
aree verdi attrezzate è stata aumentata del
ventuno per cento. Un altro obiettivo fondamentale
è quello di favorire il disegno di
una città più ‘policentrica’, non solo colmando
le discontinuità tra centro urbano e
frazioni e periferie, ma portando in questi
ambiti nuovi servizi e nuove infrastrutture
che migliorino significativamente la qualità
della vita, dai già citati spazi verdi attrezzati
all’edilizia scolastica, dai collegamenti
ciclopedonali alle strutture per l’attività
sportiva. Il criterio di base è quello
del contenimento del consumo di suolo,
adottando un modello di sviluppo che non
equivalga alla mera espansione e che passando
dal recupero delle aree dismesse eviti
la compromissione di aree non edificate,
in alcuni casi procedendo anche a un consistente
ridimensionamento delle previsioni
insediative del PRG vigente, soprattutto
per quanto riguarda le aree dell’oltre Adda,
che erano invece al centro del disegno di
crescita delineato con l’ultima variante generale
del PRG stesso, che risale al 1990.
Questo per quanto riguarda il fronte a
nord del centro urbano, mentre a sud si
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
conferma l’individuazione del tracciato della
tangenziale come limite invalicabile».
Lodi e l’ambiente: qual è il rapporto
della città con questo elemento?
«Un rapporto forte e profondo: Lodi è tra i
primi capoluoghi di Provincia in Italia per
percentuale di aree verdi rispetto alla superficie
complessiva del territorio comunale.
L’inclusione del Comune nel comprensorio
del Parco Adda Sud e la presenza ancora significativa
di ambiti agricoli produttivi favorisce
il naturale sviluppo di iniziative di
valorizzazione ambientale di questa risorsa:
cito a questo proposito il progetto della
‘ Lodi è tra i primi capoluoghi
di Provincia in Italia per
percentuale di aree verdi
rispetto alla superficie complessiva
del territorio comunale ’
Grande Foresta di Pianura, promosso in
collaborazione con Regione e Provincia, che
ha già portato all’istituzione di un primo
Scorcio del centro storico dall’alto e periferia nord ovest
nucleo di 36 ettari di riserva a bosco (con
percorsi ricreativi e centro didattico sulla filiera
bosco-legno) e verrà ampliato con altri
7 ettari di un’area nei pressi del contesto fluviale
che il PRG vigente classificava come
edificabile per residenze e terziario e che è
stata recuperata alla funzione ambientale
tramite il trasferimento dei diritti di edificazione
in un altro ambito della città già urbanizzato».
Problemi di programmazione urbanistica,
ce ne sono?
«La difficoltà è data dalla complessità di alcuni
temi, che offrono stimolanti opportunità,
ma pongono anche criticità da affrontare
e risolvere. Cito ancora, a questo proposito,
il polo universitario e della ricerca,
un progetto di assoluta importanza strategica
per la città e il territorio, che dopo la didattica
e la ricerca scientifica deve essere
completato con la promozione di nuova
impresa e nuova occupazione. Il Business
Park, che rappresenta l’ultimo anello di
questa filiera, si colloca in un ambito agricolo
(su aree di proprietà pubblica) posto al
di là di quella barriera costituita dalla tan

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genziale sud a cui ho fatto riferimento in
precedenza: è un’eccezione motivata, che
deve essere governata in modo prudente e
responsabile».
Cosa si potrebbe fare in più per migliorare
la situazione?
«Pur senza auspicare modelli di programmazione
urbanistica rigidamente prescrittivi,
forse sarebbe opportuno stabilire orientamenti
normativi ancor più puntuali, che
individuino maggiori punti di contatto tra i
percorsi ‘ordinari’ della pianificazione urbanistica
e quelli basati su modalità concertative
in deroga (accordi di programma, piani
integrati di intervento etc.). Si corre il rischio,
a livello potenziale, che questi due canali
restino solo paralleli e che tutte le grandi
trasformazioni, che comportano maggiori
complessità realizzate e normative, passino
esclusivamente, o quasi, dalla logica della
negoziazione».
Come è affrontata la fase di perequazione?
«È uno degli aspetti cruciali del PGT e lo
vedremo puntualmente declinato nel Piano
dei Servizi, dove si individuano meccanismi
e strumenti, che rispondano all’obiettivo
dell’amministrazione di acquisire aree di
pregio ambientale da riconvertire a funzioni
di utilizzo pubblico».
Il rilevante interesse pubblico: come
Lodi ha affrontato e sviluppato questo
tema?
«Lo abbiamo messo al centro del Documento
di Inquadramento Urbanistico, come
elemento regolatore delle trasformazioni
del territorio: un dispositivo per governare
le trasformazioni (anche attraverso la cessione
all’amministrazione sino al cinquanta per
cento delle superfici di intervento), che non
limiti la funzione del Comune alla pur rigorosa
certificazione di legittimità dei procedimenti,
ma abbia contenuti propositivi, in
coerenza con lo spirito e il dettato della legge.
Anche sotto questo profilo, si tratta di
adottare un approccio decisamente innovativo,
emancipando il ruolo dell’amministrazione
dalla funzione ‘notarile’ di ‘visto di legittimità’
a un compito più articolato e complesso
di valutazione dell’impatto di ogni intervento
sugli interessi generali della comunità
locale».
Comuni contigui che hanno partecipato
al PGT ce ne sono?
«Non direttamente, anche perché l’omogeneità
all’area urbana del capoluogo di alcuni
centri circostanti è tutto sommato contenuta
e si estende a una ‘cintura’ in cui risiede
una popolazione pari a circa un quarto di
quella della città. È però prevista una approfondita
concertazione con altri Comuni su
alcuni temi specifici, dal già citato Business
Park alle previsioni insediative lungo l’asse
del tratto dell’ex statale 235 che collega Lodi
al casello autostradale, da alcune infrastrutture
di ampio respiro territoriale a servizi
(si pensi ai trasporti pubblici) che possono
‘armonizzare’ e rendere più efficienti i
rapporti tra il capoluogo e il bacino che ad
esso fa più direttamente riferimento».
L’ente sovracomunale dovrebbe secondo
lei indicare la direzione e i progetti
da intraprendere per la ‘giusta’
programmazione dello sviluppo del
territorio?
«Senz’altro, ma anche in questo caso senza
dirigismi o imposizioni. Su questo percorso,
il nostro territorio ha già coperto un tratto
di strada significativo, maturando un’importante
esperienza con la delega all’urbanistica
che la Regione conferì al Consorzio del
Lodigiano prima che la provincia venisse
istituita e prima che la competenza di queste
funzioni venisse assegnata alle Province
con espliciti riconoscimenti normativi. Di
fatto, da tempo il Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale delinea scenari di
scala sovracomunale, distinguendo puntualmente
tra crescita endogena ed esogena, rispetto
ai quali sono previste procedura di
concertazione tra Comuni interessati e Provincia».
Quali sono le azioni che lei come amministratore
sta mettendo in atto sul
territorio?
«La programmazione delle principali opere
pubbliche è coordinata agli obiettivi che si
stanno definendo nell’elaborazione del PGT
e a quelli (coerenti con la pianificazione di
governo del territorio) già individuati con il
Documento di Inquadramento Urbanistico:
quindi, interventi funzionali alle trasformazioni
urbanistiche previste, dal piano per il
potenziamento delle difese spondali per la
protezione del tratto urbano dell’Adda dal rischio
di esondazioni (che da solo mobilita risorse
per oltre 12 milioni di euro) all’impiantistica
sportiva (una nuova piscina coperta
da 14 milioni di euro che verrà realizzata
in project financing) all’edilizia scolastica
(in particolare un nuovo plesso in una delle
aree periferiche) alle infrastrutture sociali
(un nuovo polo di servizi per l’infanzia)».
Il ruolo di supervisore urbanistico le
piace?
«Credo che quello della supervisione (ma
forse sarebbe più appropriato parlare di coordinamento,
con un’accezione più collaborativa
e meno impositiva) sia un ruolo connaturato
alla funzione specifica dell’ente
Comune, con l’obiettivo di governare, e
non subire, le trasformazioni, per renderle
un fattore di sviluppo qualificato, non una
ineluttabile progressione dell’espansione urbanistica».
Come presidente dell’A.N.C.I. Lombardia,
che visione ha di questa programmazione
urbanistica, rispetto ad
uno spettro più ampio di valutazione?
Cosa si sta facendo di importante in
merito?
«Ribadisco che la programmazione concerta
può essere un’arma formidabile, ma deve
usata con cautela e non indiscriminatamente,
o peggio come alternativa sistematica
che consenta di bypassare procedure più articolate
e vincolanti. Questo ‘dualismo’ tra
canali che dovrebbero essere complementari,
non solo alternativi, non deve trasformarsi
in dicotomia. Condivido l’esigenza di
consentire alle amministrazioni locali di assumere
un passo più spedito e di acquisire
un protagonismo più diretto e pragmatico
nelle scelte di pianificazione e realizzazione
degli interventi, ma tutto ciò non può andare
a scapito dell’esigenza di una approfondita
valutazione della coerenza tra singoli
interventi e complessiva programmazione
dello sviluppo del territorio».
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inchiesta

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L a
Damiano Crespi, sindaco di Sant’Angelo Lodigiano
città di Sant’Angelo Lodigiano sorge
su una piccola altura e oggi risulta essere
uno dei centri più vivaci della
provincia lodigiana, ricoprendo una grande
importanza per l’agricoltura e l’industria locale.
Simbolo della città è il castello Bolognini,
costruito per contrastare quello di Lodi,
terminato nel 1224 e poi rimodellato nel
1370 da Regina della Scala, moglie di Bernabò
Visconti. Attualmente nel castello
hanno sede tre musei: il Museo storico-artistico
‘Morando Bolognini’, con arredi e dipinti
dal 1700 al 1900, armature e cancelli
in ferro battuto; il Museo del pane, con una
raccolta di pezzi provenienti da ogni parte
del mondo; il Museo lombardo di Storia
dell’Agricoltura, con documenti e reperti
dal Neolitico all’età romana, nonché attrezzi
della prima meccanizzazione agricola. La
località dal punto di vista culturale e turistico,
dunque, ha molte attrazioni e iniziative,
mentre urbanisticamente parlando ci sono
alcune cose da aggiustare: Ecco come il sindaco
Damiano Crespi pensa di implementare,
attraverso l’armonizzazione, la politica
urbanistica di Sant’Angelo Lodigiano.
Innanzitutto, quali sono le caratteristiche
della città?
«Si tratta di un contesto di 13mila abitanti.
Collocata nella pianura lodigiana, nel passato
ha avuto, anche grazie alle caratteristiche
morfologiche, una connotazione commerciale
marcata. L’attività prevalente è sempre
stata quella del commercio tessile, anche se
ultimamente, si è modificato in modo considerevole
il fenomeno dell’ambulantato.
Con il cambio generazionale, l’interesse si è
rivolto in generale ai servizi, anche se c’è
qualche iniziativa commerciale di grosso respiro.
Infatti, sono presenti sul territorio di-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
verse strutture con oltre
250 metri quadrati
di installazioni commerciali.
Per dare l’idea
della dimensione
della nostra frizzantezza.
Le dico che in città ci sono tredici sportelli
bancari, cioè uno ogni mille abitanti.
Le nostre valenze storiche sono molto importanti:
c’è il castello Bolognini, la bellissima
Basilica Romana, la casa natale di Santa
Francesca Cabrini, patrona mondiale degli
emigranti. Sant’Angelo è sempre stato un
centro molto dinamico, ma oggi risente un
po’ della crisi economico-finanziaria in corso,
anche se qui è iniziata un po’ prima. I
trasferimenti verso il capoluogo lombardo
per cercare lavoro, sono ripresi a ritmo serrato
e, inoltre, la cittadinanza registra un
notevole aumento dell’età media, e una discreta
presenza di immigrati, soprattutto nel
corso degli ultimi anni».
Cosa offre Sant’Angelo Lodigiano ai
giovani?
«Diversi servizi: dall’asilo nido comunale a
due scuole materne private di ispirazione
religiosa; ci sono poi due plessi scolastici
della Scuola primaria (Elementari) e Secondaria
(Medie) nelle parti nord e sud della
città, e un istituto superiore.
La fotografia della nostra città mostra anche
quella che secondo me è una sciagura: di essere
bagnati da due rami del fiume Lambro,
fiume tra i più inquinati d’Italia. Uno che
di fatto è una cloaca a cielo aperto e arriva
Obiettivo:
urbanistica
Tra difficoltà reali legate al territorio
e congiunture economiche sfavorevoli,
il sindaco di Sant’Angelo Lodigiano
affronta sfide ambiziose.
‘ Mi piacerebbe svegliarmi un mattino
e trovare sul mio tavolo la risposta
affermativa alla richiesta di 100 posti
di lavoro e 100 abitazioni da poter
assegnare alle persone, che
ne hanno bisogno ’
dal pavese e l’altro è un ramo che arriva da
Milano e su cui insistono di recente i depuratori
della metropoli lombarda che hanno
migliorato lo stato delle acque. Insomma,
siamo davvero in una spiacevole situazione.
Del resto però, abbiamo a 500 metri la provincia
ci Pavia, a sette chilometri quella che
io chiamo l’enclave della provincia di Milano,
cioè San Colombano al Lambro. Quindi
siamo a circa un chilometro e mezzo dalla
collina. Per ciò i nostri giovani non hanno
di che lamentarsi».
Nel bello e nel brutto avete tutto!
«Nel bello e nel brutto non ci si fa mancare
niente: anche la nebbia, la pioggia e qualche
bravissimo ‘rompiscatole’ che fa solamente
della polemica inutile, anziché fare proposte,
prerogativa tra l’altro dei santangiolini.
Presenza molto gradita a Sant’Angelo Lodigiano
è rappresentata dalle Forze dell’ordine,
in particolar modo dai Carabinieri, che
qui hanno la loro Stazione; il distaccamento
dei Vigili del Fuoco volontari rappresenta
un punto di riferimento per la prima
chiamata anche per gli abitanti dei dieci comuni
vicini sul territorio; infine, l’ospedale
Delmati, costruito con i soldi dei santagiolini,
sicuramente la struttura più recente e
funzionale del territorio, che a volte è svantaggiata
a favore del capoluogo, cioè Lodi.
Comunque diciamo che
nella nostra cittadina è
molto attivo il volontariato
e sono molte le associazioni
impegnate nel sociale
e quelle nate a scopo ricreativo,
e sportivo; abbiamo
un bellissimo stadio a
norma di Legge, forse uno
dei pochi di tutto il territorio
lodigiano, insieme
con un secondo campo di calcio, un palazzetto
dello sport e diverse palestre. Lo scorso
anno l’Assessorato allo Sport ha organizzato
una riuscitissima Festa dello Sport che
ripeteremo».

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 31
programmazione
per aprile 2009
Cosa manca secondo lei?
«Mi piacerebbe svegliarmi un mattino e trovare
sul mio tavolo la risposta affermativa
alla richiesta di 100 posti di lavoro e 100
abitazioni da poter assegnare alle persone,
che ne hanno bisogno. Mi piacerebbe anche
alzarmi e, invece che trovare la solita notizia
relativa ai decessi, leggere quella di più parti
plurigemellari! L’importante è che siano
sani. Sognare è lecito, giusto? Non che noi
abbiamo a soffrire di situazioni particolari,
perché la natalità è nella media, e la vita qui
si è allungata di molto. Dicevo dei cento posti
di lavoro, perché una realtà industriale
centenaria di ambito tessile, e che si occupava
di torciture e filatura, ha chiuso i battenti
a giugno con la cassa integrazione degli
ultimi 50 dipendenti. Si figuri che ai
tempi d’oro erano trecento. Bene, questa
realtà economica ha chiuso e qui il lavoro
scarseggia. Le preoccupazioni del Sindaco
sono quelle rivolte soprattutto alle famiglie
che soffrono per questa condizione imposta:
alcune di queste famiglie erano monoreddi-
to, o addirittura si trattava di marito e moglie
che lavoravano per la stessa struttura, e
quindi è mancato completamente lo stipendio
di un’intera famiglia. Lei mi insegna
che, lasciando stare adesso il discorso dei
mutui che non sono sciagure, ma scelte,
‘ Noi stiamo affinando,
in accordo con la Provincia,
un Piano affinché prima
della scadenza dell’aprile
2009, si possa presentare
una programmazione
urbanistica ’
Sant’angelo Lodigiano, il Castello
non si può rimandare il pasto, la cena o l’acquisto
di beni primari! In questo caso, quindi,
ho visto molta sofferenza e provo molta
amarezza, perché non riusciamo a intervenire.
Sono un uomo di fede e credo che i miracoli
debbano avvenire prima nell’interesse
della parte religiosa e spirituale, e poi nel
concederci dei posti di lavoro. Non crede?»
A proposito di PGT, a che punto siete
a Sant’Angelo Lodigiano?
«Non siamo ancora partiti. Sono sindaco di
Sant’Angelo Lodigiano tornato l’anno scorso
dopo gli ultimi due mandati. Quindi, dal
29 maggio del 2007 ci stiamo attivando per
rispettare i termini della legge 12 del 2005.
Cerco di assicurare lo sforzo nel capire che i
metri devono essere di 100 centimetri, e
questo credo sia, per sdrammatizzare, il requisito
che deve avere un responsabile dell’urbanistica.
Naturalmente il lavoro va
avanti insieme a dirigenti, al geometra Tacchini
e all’architetto Grecchi. Noi stiamo affinando,
in accordo con la Provincia e senza
scontrarsi, ma seguendo le linee guida, un
Piano affinché prima della scadenza dell’aprile
2009, si possa presentare una programmazione
urbanistica che tenga conto
delle specificità del territorio. Cioè un programma
complessivo, che non vada verso
una cementificazione selvaggia, ma che valuti
l’opportunità di considerare l’incidenza
delle fondamentali direttrici che ci attraversano
e che serva a salvaguardare e a conciliare
il rapporto tra città e verde, anche attraverso
lo sviluppo sostenibile. È una priorità
a cui noi teniamo molto!»
Qual è il progetto che le sta più
a cuore, in ambito PGT?
«Quello di armonizzare la nostra cittadina.
Le linee guida sono determinate dalle direttive
stradali. Il nostro territorio comprende
la cintura della tangenziale, che va verso Milano;
nella parte nord, c’è l’ex SS235, (Orzinuovi-Pavia),ora
Provinciale.
Direi che da lì non si esce al momento. Esiste
dunque una linea di demarcazione netta,
ma anche ormai già edificata. A mezzo chilometro
c’è poi la provincia di Pavia e dall’altra
parte, dunque, abbiamo l’esigenza di
mantenere racchiuse queste aree, certamente
da completare, ma senza effettuare un’edificazione
a dismisura, bensì armonizzata.
Bisognerà rivedere, inoltre, il discorso del
centro storico, perché come tutti i paesi di
antica tradizione e formazione, la parte centrale
si sta man mano svuotando dalle abitazioni
e occupando da famiglie, che non sono
nate qua e che vengono da altre parti. Si
tratta di migrazione milanese o nello speci-
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fico dell’apertura di attività commerciali,
come Istituti di credito o Immobiliari,
che dopo le 19, a serrande abbassate, costringono
al buio le nostre città. Noi
dobbiamo armonizzare queste due cose:
l’esigenza di abitazioni e il far vivere la
parte centrale di Sant’Angelo, che la sera
ormai è sempre più al buio».
Lei sindaco, come ha affrontato la
perequazione?
«Stiamo vedendo tutto adesso. La mia
intenzione è, a breve, quella di invitare i
professionisti del luogo, raccogliere da
loro dei suggerimenti e presentare le
nuove esigenze della città, appena sintetizzate.
Armonizzare è la parola d’ordine:
non possiamo continuare a occupare in
orizzontale i terreni agricoli. Non ho assolutamente
niente contro le costruzioni,
contro coloro che costruiscono, però
ho qualcosa da concordare con quest’ultimi
per evitare che l’ambiente, il Territorio,
venga occupato e non valorizzato.
Credo che sia nell’interesse di tutti, avere
uno sviluppo che sia anche di qualità.
A noi serve la quantità, ma per una questione
di edilizia residenziale pubblica,
per poter dare
la casa a chi ne
ha bisogno.
Dall’altra parte,
però, credo
che si possa arrivare
ad un
equilibrio di qualità sostenibile per chi
costruisce e soprattutto per chi fa programmazione
urbanistica, nell’interesse
delle future generazioni. Nei paesi nuovi
e qui attorno c’è n’è qualcuno, che è
esploso anche sotto l’aspetto commerciale,
se l’urbanizzazione non tenesse conto
delle strade, credo si chiami metodo
‘cannocchiale’, e non si calibrasse la progettazione
su un tot di metri, a distanza
di tempo avremmo grosse difficoltà. Mai
come nel momento del bisogno, l’effetto
di un’edilizia esplosa senza essere stata
guidata, può essere valutato come estremamente
deleterio. Pensi che quando c’è
un intervento della Croce rossa o dei
pompieri, si affronta un dramma in città,
perché i loro mezzi si trovano chiusi e
impossibilitati a raggiungere il centro
cittadino: non c’è stata un’urbanizzazione
responsabile».
Qual è il rapporto con i comuni contigui?
«Una scelta voluta. Le nostre dimensioni
non ci sembravano consone ad avere una
condivisione progettuale, per questo ci è
sembrato opportuno proseguire la programmazione
da soli. Non è detto però,
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
che non si tenga in considerazione lo sviluppo
sostenibile dell’intera area, nel nostro
PGT. Il percorso iniziato con lo Statuto
di Autonomia della Regione, cioè la
partecipazione di tutti i comuni nel dare
delle idee per l’interesse del territorio,
prosegue. Le associazioni o le unioni di
comuni come si chiamano, non credo
siano strategiche, e per quanto mi riguarda
preferisco di più il discorso ampio,
ovvero a livello provinciale».
Qual è per lei l’Ente di riferimento
al di là della Provincia?
«A causa delle mie idee in merito, spesso
vengo definito come ‘il feudatario’ o
‘l’imperatore’. In effetti io sono per la
Regione. L’ente più importante ai miei
occhi in ambito amministrativo è la Regione.
Sono sempre stato molto scettico
sul ruolo dell’Amministrazione provinciale,
al di là della connotazione politica.
Però, banalmente, l’ente sovracomunale
più vicino alle amministrazioni e ai cittadini,
anche in termini strategici, è proprio
la Provincia. I tempi si sono molto
ridotti e c’è molta collaborazione, ripeto
indipendentemente dalla connotazione
politica. La mia
‘ La nostra bellissima patria
è terreno di rinvii, così
come per le partite di calcio ’
è una lista civica.
Ma anche
con la Provincia,
schierata su
altri argomenti,
c’è un buon
rapporto. Ognuno deve amministrare
con i propri ruoli e, comunque, tenendo
conto dell’insieme della strategia più generale:
vogliamo arrivare ad amministrare
nell’interesse della nostra gente. Secondo
me ognuno deve impegnarsi per
la propria parte e per il bene comune, al
di là di alcune particolarità e dei particolarismi».
La scadenza del PGT sarà rispettata?
«Spero di sì: la nostra bellissima patria è
terreno di rinvii, così come per le partite
di calcio. Una volta gli incontri terminavano
al novantesimo minuto, invece oggi,
mi dicono, si possa segnare anche al
novantatreesimo. Quindi, per quanto ci
riguarda, non sono per i tempi supplementari
e di norma rispettiamo le scadenze.
In questo caso faremo di tutto.
Non mi scandalizzo se alcune affinature
potranno essere rimandate per dare maggiori
possibilità e maggior respiro ai comuni;
per fare meglio e non per ingarbugliare
le cose. Lo strumento è molto
importante per la pianificazione, soprattutto,
per lo sviluppo futuro del nostro
territorio».
Programmare il futuro
urbanistico di un territorio
a volte consente di trovare
soluzioni speciali a
problematiche storiche.
Il caso di Casalpusterlengo,
dove la procedura del PGT
è stata avviata all’inizio
del 2007.
C asalpusterlengo
PGT
è una cittadina che
conta circa 15 mila abitanti. Si trova a
pochi chilometri dal capoluogo Lodi e
ad appena 60 metri sul livello del mare. La
sua superficie è di circa 25 chilometri quadrati.
Le principali attività che insistono sul territorio
sono quelle industriali; seguono, in ordine
di importanza socio-economica, le attività
commerciali, di servizio e quelle amministrative.
Settant’anni, dirigente d’azienda e
consulente del lavoro, il sindaco Angelo Pagani
guida questo comune dal 2004 e per
l’occasione ci introduce alle peculiarità di un
territorio famoso per essere il crocevia di molte
attività ed interessi commerciali. Situato tra
Lodi, Piacenza e Cremona, Casalpusterlengo
rappresenta un giusto compromesso di vivibilità
tra la difficile a trafficata città, come è Milano,
e la campagna.
Sindaco, quali sono i pregi di questa cittadina?
«Il territorio della nostra città, proprio per il
suo posizionamento, riveste un ruolo prevalentemente
di servizio e di scambio con i territori
circostanti, pur continuando a rappresentare
un vero e proprio punto di riferimento
di un vasto ambito, sotto il profilo culturale
e sociale. Questi due aspetti comportano dinamiche
sociali ed economiche di cui è protagonista
la comunità locale, che le consentono
di confrontarsi e scambiare relazioni e tendenze
con realtà urbane più importanti ed avanzate,
tendenze che nella realtà cittadina vengono
metabolizzate e rielaborate in funzione dell’ambito
di cui Casalpusterlengo è baricentro.
La sua struttura economica va dall’agricoltura
di eccellenza delle zone periferiche ad una vocazione
di carattere industriale; infatti, questa
città è sempre stata e continua ad essere a prevalente
vocazione industriale, tant’è che hanno
qui sede tre tra gli insediamenti produttivi
più significativi del Lodigiano (Unilever;
Thermal Ceramic; Sivam). Possiamo inoltre
trovare aziende altamente specializzate nella

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al vaglio dei cittadini
produzione di generi alimentari. Naturalmente
la grande famiglia delle piccole e medie
imprese artigianali e commerciali anche
nel lodigiano è numerosa e rappresenta oltre
l’80% dell’economia del territorio».
Qual è il problema più
evidente di Casalpusterlengo?
«Casalpusterlengo è caratterizzata
da una realtà
economico-sociale relativamente
tranquilla dove
la qualità della vita è an-
cora buona. Sicuramente anche da noi i
problemi non mancano. Mi riferisco, per
esempio, alla Via Emilia che, in pratica, divide
in due la città, è causa di inquinamento
atmosferico ed acustico e rappresenta un
problema rilevante, particolarmente avvertito
dalla comunità. Tale problema dovrebbe
essere risolto con la realizzazione di una
Tangenziale il cui intervento è previsto nel
Contratto di Programma ANAS 2007-
2011. Il relativo progetto preliminare, dopo
un articolato percorso quasi ventennale che
ha visto il comune sempre fortemente impegnato,
è stato recentemente approvato dal
Consiglio di amministrazione dell’ANAS;
insomma, dovremmo essere giunti alla fase
conclusiva dell’iter autorizzativo.
Altro problema è il pendolarismo che coinvolge
moltissimi concittadini; molti, infatti,
lavorano a Milano e ogni giorno prendono
il treno per raggiungere il capoluogo
lombardo, con tutti gli immaginabili disagi
legati alle criticità del traffico ferroviario».
A che punto siete con il PGT?
«La procedura del PGT è stata avviata all’inizio
del 2007, per dar modo ai cittadini di
partecipare al procedimento presentando le
loro istanze. Ricordiamo, però, che veniamo
da una variante generale al Piano Regolatore,
che la precedente amministrazione ha approvato
nella primavera 2004. Questa variante
nasce da un lavoro (egregiamente condotto
dal Politecnico di Milano) molto partecipato
dalla nostra comunità, dalle associazioni,
dalle scuole, dalle diverse categorie sociali.
Per questo riteniamo doveroso tener
conto di quanto già recepito in questa recente
Variante, innestando, sulla stessa, quelle
sopravvenute istanze ed aspettative legate,
più che altro, all’evoluzione, sempre più rapida,
della società. Insomma, il PGT non sarà
qualcosa che stravolgerà la Variante al
PRG, approvata nel 2004. Con l’occasione il
nuovo strumento urbanistico dovrà recepire
le ‘Linee guida in materia di sicurezza urbana
nelle politiche urbanistiche e edilizie’, redatte
dall’Amministrazione ed approvate all’unanimità
dal Consiglio comunale. Con
questo importantissimo documento, di cui il
‘ La procedura del PGT è stata avviata
all’inizio del 2007, per dar modo ai
cittadini di partecipare al procedimento
presentando le loro istanze ’
comune di Casalpusterlengo, tra i primi in
Italia, si è dotato, abbiamo consegnato ai tecnici
privati e pubblici uno strumento utile
per progettare nuovi pezzi di città tenendo
conto, anche, delle necessità di prevenire atti
di inciviltà e fare in modo che i nostri cittadini
si identifichino sempre di più con il
territorio in cui vivono e lavorano».
Casalpusterlengo e la viabilità
«Su questo fronte, il progetto,
attesissimo dalla comunità locale
e che cambierà la qualità
della nostra vita, è sicuramente
quello della Tangenziale alla
Via Emilia, progetto di cui
ho parlato poc’anzi. Basta
pensare che oggi la Via Emilia
registra il transito di oltre 22
mila veicoli al giorno con il
conseguente grave inquinamento
atmosferico».
Qual è la situazione occupazionale
in questo comune?
«Tutti stanno vivendo con timore
e preoccupazione questa
crisi economico-finanziaria
che interessa il mondo intero.
Il livello di disoccupazione di
Casalpusterlengo è in linea con quello della
provincia, cioè attorno al 3,5%. Attualmente,
non sono ancora visibili nè preventivabili
le ripercussioni e le conseguenze della crisi
internazionale sul livello occupazionale locale.
Non sono in corso casi di licenziamento
o di cassa integrazione, anche se la preoccupazione
si avverte, soprattutto nelle grandi
aziende. Credo che le realtà industriali internazionali
possano davvero subire prima di
noi, le conseguenze delle decisioni internazionali,
che poi avranno, com’è probabile,
riflessi e conseguenze a livello locale. Qui c’è
una notevole attività artigianale e commer-
ciale che, da sempre, evidenzia difficoltà nei
pagamenti, ridotti così come i consumi, ma
che, per ora, non registra un fenomeno di riduzione
dell’occupazione professionale.
Dobbiamo solo sperare che la crisi non arrivi
al punto da arrecare danni in questo nostro
settore, con conseguenze immaginabili
sulle famiglie che, come in tutto il nostro
Paese, stanno già affrontando le difficoltà
connesse alla crisi economica mondiale».
Il verde, l’ambiente e il timore che
quest’aspetto del territorio possa venire
fagocitato dal sistema. Cosa ne
pensa?
«Dal punto di vista ambientale il nostro
territorio è caratterizzato una discreto rapporto
di verde pubblico per abitante (mq.
30), dalla significativa presenza del Parco
del Brembiolo (di 274 ettari, con estensione
sovracomunale) e da un’agricoltura di
pregio, aspetti questi che, sotto il profilo
ecologico ed ambientale, portano ad un apprezzabile
risultato. Tra l’altro, in una re-
Casalpusterlengo: Piazza del Popolo
cente riunione che ha visto coinvolti tutti i
sindaci del lodigiano, si è presa la decisione
e anche l’impegno, di non usufruire a sproposito
del nostro territorio proprio per salvaguardare
la vocazione agricola d’eccellenza
che lo caratterizza. L’impegno è quello di
non utilizzare il territorio per più dell’1%
nel corso dei prossimi dieci anni.
Nessuna disposizione di legge detta ciò; è
solo un’importante promessa morale. Salvaguardare
l’ambiente e il patrimonio custodito
fino a oggi è molto importante, consente
di non abusare di un ricco e meraviglioso
bene».
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I l
Entro febbraio 2009
arriva il Ptcp
Ernesto Chiesa, dirigente della Sede Territoriale
Regione Lombardia (STER) di Lodi
buon governo si fonda anche sulla conoscenza
e sulla valorizzazione del territorio,
a partire dalle caratteristiche morfologiche
e geologiche fino alle interazioni
dell’uomo con l’ambiente, che concorrono
a definire i paesaggi e a influenzare significativamente
la qualità della nostra vita. Occorre
però anche sviluppare e mantenere alta
una cultura del territorio, fatta di saperi,
di attenzioni e di sensibilità. Per questo ci
siamo rivolti a Ernesto Chiesa, direttore
della Sede Territoriale della Regione Lombardia
di Lodi, e lo abbiamo intervistato sul
rapporto che l’ente sovracomunale mantiene
con il cittadino e su quello che potrebbe
accadere nei prossimi anni. Alla luce degli
sviluppi dettati dalla L.R. n.12/2005, nel
frattempo la Provincia di Lodi si appresta
ad approvare il Ptcp, cioè il Piano territoriale
di coordinamento provinciale.
Dottor Chiesa, come cambia il ruolo
tra Regione, Provincia e Comune?
«Il ruolo è cambiato nel senso che non c’è
più quella programmazione fatta dall’Ente
superiore in termini verticistici, ovvero calata
dall’alto. La modalità è la programmazione
in partenariato, cioè una pianificazione
che mette sullo stesso piano tutti gli enti, ad
iniziare dalla Regione che ha il precipuo
compito di redigere le norme e la legge quadro
di riferimento. La pianificazione sul territorio,
poi viene svolta, in termini di equi-
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Una marcata collaborazione interistituzionale
sta alla base della nuova filosofia di Governo del
Territorio dello Ster e subito diventa modello
ispiratore.
librio, sussidiarietà, partecipazione e concertazione,
tra i Comuni, la Provincia e la
Regione. Non si tratta più di una definizione
di norme, che calano dall’alto e, in sintesi,
è proprio questa la novità».
Il ruolo del Comune ha davvero una
precisa valenza decisionale?
«Il nuovo ruolo delle amministrazioni comunali
è senz’altro molto più qualificante e
responsabile. È un cambio quasi di carattere
generazionale; una rivoluzione, che inizia
con tutte le forme di federalismo che noi
conosciamo a partire dalla legge Bassanini,
e successivi decreti fino al titolo V. Una rivoluzione
che tiene sullo Stato alcuni principi
cardine e poi
ciascuno ha le sue
responsabilità».
Vi è una criticità
da affrontare in
tal senso?
«Certamente. L’aspetto
più critico di partenza è che i comuni,
più ancora forse che gli altri enti, non sono
strutturalmente adeguati a svolgere questo
ruolo. Il motivo sta anche nel fatto che
sui comuni questo ruolo incide fortemente,
proprio in termini di criticità di risorse (sia
umane che strumentali). Un comune piccolo
di 700/800 abitanti, esemplarmente
Maccastorna con i suoi 72 abitanti (il comune
del lodigiano che si contende il primato
di comune più piccolo d’Italia con altri
due o tre comuni lombardi), è evidente
che ha seri problemi a realizzare in un ambito
di concertazione e pianificazione, il
PGT: le risorse sono quelle che sono. Noi,
obiettivamente, assistiamo a una condizione
generale di disorientamento in tutta la
Lombardia e nei suoi 1546 comuni, di cui
1152 sono piccoli. Per ottemperare ai termini
di legge, incombe effettivamente un
ritardo da parte dei comuni per realizzare
questi piani territoriali di governo con le
nuove procedure».
Rispetto al PRG, è più difficile la pianificazione
urbanistica oggi?
«Probabilmente, vi sono molti comuni ai
quali stava bene e comodo il vecchio PRG.
Stava più comodo perché, in un certo senso,
consentiva di arrivare alla redazione del
piano discusso in consiglio in tempi lunghi
(anche un anno), senza particolari coinvolgimenti
da parte delle realtà comunali, se
non con chi voleva fare le osservazioni
avendo a disposizione 60 giorni di tempo.
Se non c’erano osservazioni il PRG era trasmesso
per le approvazioni prima in Provincia
e poi in Regione, mentre con le nuove
norme i privati, il Comune la Provincia
e la Regione sono su un piano di partecipazione,collabo-
‘ Con le nuove norme i privati,
il Comune la Provincia
e la Regione sono su un piano
di partecipazione ’
razione e flessibilitàcontenuta
in tempi più
restrittivi, ovverocomplessivamente
sino a
210 giorni».
Alcuni amministratori in questo iter
preferirebbero scavalcare la Provincia
e dialogare solo con la Regione.
Lei cosa ne pensa di questa necessità?
«In termini di legittimità e di norme ritengo
che queste tentazioni per velocizzare,
non siano giuste.
Sono scorciatoie, che sembrano produrre risultati
utili all’inizio, ma alla fine non cambiano
la cultura e la nuova filosofia, che
vuole tutti sullo stesso piano. In effetti, noi
a Lodi abbiamo costruito con la Provincia e
le direzioni regionali competenti (Territorio
e Protezione Civile) una condivisione di
progetto, organizzando un programma arrivato
al termine, che è stato un’esperienza
positiva.
Il punto centrale dell’intero progetto era di
informare, formare e promuovere la nuova
cultura nell’ambito del territorio, per lo sviluppo
dello stesso».

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Chi è stato coinvolto in questo programma?
«Abbiamo voluto sottolineare e richiamare
tutti gli amministratori a queste nuove modalità.
All’inizio sembrano essere un po’
più onerose e causano delle criticità soprattutto
per i comuni più piccoli. Lei immagini
che a Lodi su 61 comuni 55 sono sotto
i 3mila abitanti. Quindi non è uno
scherzo impostare e realizzare questi PGT,
anche se la normativa va attuata e la filosofia
di fondo è giusta. D’altra parte, la Regione
ha aspettato alcuni decenni prima di
arrivare a fare il Piano Territoriale Regionale,
e ci sarà anche una ragione. La ragione
è quella di arrivare a far capire che vogliamo
cambiare il sistema di approccio; gli
oneri sono più pesanti all’inizio, però la
gente, gli amministratori dei comuni, le associazioni,
tutte le realtà territoriali e i privati
coinvolti sono chiamati ad essere partecipi
di un nuovo modo di vedere le cose».
Quali sono i progetti che meritano di
essere considerati a Lodi. C’è un progetto
che coinvolge tutti i 61 comuni?
«Quando il Ptcp sarà arrivato alla fine e approvato
(presumibilmente entro febbraio
2009) conterrà indicatori generali ai quali
attenersi. La Provincia ha fatto questo progetto
coinvolgendoci e ha discusso attraverso
riunioni con tutti gli amministratori
per stabilire quali fossero i temi più impor-
tanti. I temi principali della Provincia di
Lodi sono abbastanza evidenti. Questo territorio,
benché piccolo, fa da cerniera tra il
sud della regione, le province agricole e il
centro nord, quindi la città metropolitana
di Milano con Monza, Varese, Como, Bergamo,
Brescia e quindi fino a Lecco, Sondrio.
Essendo una cerniera, tale provincia
ha un ruolo, che per certi aspetti è anche
privilegiato. Immagini soltanto la questione
dell’Expo del 2015: si dice Milano, ma
si parla di una regione e di un territorio
molto più vasto. Milano non vuole essere
egocentrica, tutta la Regione Lombardia
deve partecipare. È evidente che la partecipazione
di una provincia come Lodi, così
vicina a Milano, diventa naturalmente più
incisiva rispetto a quella che può essere la
partecipazione di Mantova o di Sondrio».
In questi casi come ci si deve comportare
dal punto di vista amministrativo?
«È evidente che tutto ciò pone dei problemi
di preparazione molto forti. Lodi fa da
cerniera anche perché su Lodi c’è l’attraversamento
completo sia dell’autostrada
storica, cioè l’A1, che collega l’Italia, ma
adesso anche della TAV, la linea veloce.
Queste due arterie fondamentali richiamano
una concentrazione lungo questi assi
soprattutto in termini di logistica. E la logistica
deve essere controllata come indica-
Lodi
to negli indirizzi del Ptcp: va salvaguardato
il territorio, perché Lodi è una provincia
con una valenza fortissima nell’ambito dell’agricoltura.
Infatti, l’agricoltura di Lodi è
la tra le migliori della Lombardia. Ovviamente,
non si può dimenticare quella di
Cremona, Brescia e Mantova. La dimensione
delle aziende, la professionalità, la
tecnologia che s’incontra qui è fortissima.
Non lo dico io, ma lo dicono le statistiche
e i dati della Camera di Commercio».
Cosa si sta facendo per tutelare le peculiarità
di questo territorio? Anche
questo discorso deve rientrare in un
PTCP?
«Certo. Tanto è vero che a Lodi si è arrivati
al terzo ed ultimo accordo di programma,
per la realizzazione del polo universitario;
inoltre si sta ragionando su una concentrazione
dei centri di ricerca agricola del Ministero.
È un progetto molto più vasto da realizzare.
Potrebbero essere concentrati almeno
sette o otto centri di ricerca dell’alta Italia
del Ministero dell’Agricoltura. È un forte
concentramento, in termini di ricerca
scientifica in campo agricolo e soprattutto
in campo di ricerca applicata alla produzione,
di sicurezza agro-alimentare: diventerebbe
uno dei più grossi cluster d’Europa,
perché comprenderebbe Università, Parco
Tecnologico Padano, Centri di ricerca del
CRA, Consilio per la Ricerca e la Speri-
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mentazione in Agricoltura. Alla fine tutti
questi argomenti di cui abbiamo parlato sono
uno dei temi fondanti dell’Expo. Non si
può immaginare che il titolo dell’Expo ‘Nutrire
il pianeta, energia per la vita’, non sia
stato pensato anche su qualche esemplarità
di questo genere. Quindi lei capisce che, in
potenzialità, l’importanza di Lodi è forte».
Non solo gli onori, ma anche gli oneri.
«Gli oneri sono quelli in ambito Ptcp: tamponare
un’immissione selvaggia della logistica
e salvaguardare le zone agricole. Non a
caso il vice presidente della Provincia, Fabrizio
Santantonio, è assessore all’Agricoltura,
ma anche all’Urbanistica. I progetti
non vanno avanti per caso: possono avere
ritardi, possono avere qualche pausa di riflessione
o modifiche, ma dietro a ogni decisione
c’è una logica razionale, che ormai
da anni tende a costruire una vivibilità e un
territorio nuovo, secondo indirizzi certi e
che tendono a salvaguardare lo storico, l’agricoltura,
l’ambiente. Una sorta di ‘albero
degli zoccoli’, che però opera attraverso le
nuove tecnologie e la ricerca scientifica.
Una missione che include temi nuovi legati
all’ambiente, ai progetti nell’ambito della
sanità regionale applicata su scala locale e
all’influenza di questo sulla salute del cittadino,
e sulla sicurezza alimentare. Lei calcoli
che a Lodi c’è un’alta concentrazione di
caseifici, c’è il macello del gruppo Cremonini,
che è il più grosso d’Europa e poi c’è
Solana S.p.a, che produce pelati e il concentrato
di pomodoro in scatola (l’80% del
prodotto è esportato all’estero). Tutto questo
è cresciuto anche grazie al contributo
della Regione per l’agro-alimentare, oltre
che per l’iniziativa delle realtà locali».
Tutto insomma è espressione del rilevante
interesse pubblico. La Regione
con il cittadino che rapporto ha e cosa
chiede al cittadino?
«La Regione al cittadino chiede e propone
quello che è stato sottoscritto da tutte le
parti politiche come insieme di principi
fondamentali del nuovo Statuto. Chiede la
solidarietà, la partecipazione e le pari opportunità;
propone la sussidiarietà, le autonomie
territoriali e funzionali, la ricerca e
l’innovazione. Le cose essenziali sono queste».
Non c’è un po’ di confusione tra i cittadini,
secondo lei?
«In effetti, c’è una certa confusione a livello
generale, che è latente, questo è vero. Ma è
sotto agli occhi di tutti quello che stiamo
soffrendo, anche livello mondiale oltre che
locale. Al di là dello spessore che i giornali
danno alle notizie, siamo in presenza di una
situazione che alla lunga si ripercuote sulle
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
famiglie, perché le condizioni economiche
generali non sono delle migliori. Però, nel
Lodigiano, siamo un sensore d’ascolto, come
Regione, che è apprezzato e riconosciuto
sia da parte degli Amministratori che del
cittadino, delle Associazioni e delle realtà
locali, compresa la stampa. Questo perché
ci siamo impegnati a ‘stare’ sul territorio, ad
ascoltare e a capire quali sono le criticità e i
problemi. Certo, ad esempio, non si può
dire che le aziende agricole del territorio,
pur tra le migliori d’Italia e professionalmente
ben preparate, non soffrano delle
condizioni generali dell’agricoltura. Anche
questo genera confusione».
‘ Siamo in presenza di una
situazione che alla lunga si
ripercuote sulle famiglie ’
Qui qual è il problema da affrontare a
livello economico?
«Si lamentano perché magari non c’è sufficiente
trasparenza nelle risposta o che le
stesse non sempre sono adeguate; oppure
capiscono che queste non possono essere
tutte esaustive su tutto. Il dialogo dovrebbe
consentire di verificare meglio le criticità, e
quindi individuare anche le eventuali contromisure
da prendere per affrontarle, o definire
il sostegno di carattere informativo
necessario per comprendere meglio, non lo
dico con rassegnazione, ma che i tempi sono
quelli che sono e che non sempre si può
fare quello che si vuole. Al giorno d’oggi, gli
Enti pubblici non hanno tutti i soldi che
avevano una volta e per dirla proprio con
chiarezza: è un problema generale. È necessario
fare buon viso a cattivo gioco. Nella
provincia di Lodi le demotivazioni direi che
sono abbastanza contenute; c’è in ogni caso
la certezza e la conoscenza da parte dei cittadini
e degli enti, che la regione sta sul territorio
per aiutare e essere di servizio a tutti
quelli che ne hanno bisogno. Quanto poi
questo servizio riesca a farlo al meglio, dipende
dagli attori in campo, ma anche dalle
condizioni attualmente presenti».
Lei come Responsabile dello Ster di
Lodi della Regione Lombardia, che
messaggio si sente di dare ai cittadini?
«Il messaggio che posso trasmettere io è la
ripetizione o la conferma di un messaggio
già espresso in passato. Qui a Lodi c’è stata
la presentazione del nuovo Statuto Regionale,
ci sono state le iniziative che hanno visto
la visita e la presenza del presidente del
Consiglio regionale, del vicepresidente e di
molti amministratori del territorio. In questa
occasione è stato anche riconosciuto che
la Regione Lombardia sul territorio c’è e tie-
ne la porta aperta per tutti. Quindi, il messaggio
che posso dare oggi io è questo: tutti
gli amministratori, i sindaci dei comuni,
che si rivolgono a noi quando hanno qualche
bisogno, la Provincia, la camera di
Commercio,che con noi lavora abitualmente
ormai da anni soprattutto con il recente
Accordo quadro di sviluppo territoriale,
sanno bene che la Regione ha concorso ad
investire sul territorio circa 430 milioni di
euro per i prossimi anni. La Regione Lombardia
concorre per 220 milioni. Non sono
noccioline e non sono fantasie questi investimenti
stanziati per circa 400 milioni di
euro (il 92% del necessario). Quelli che
mancano arriveranno in seguito con le procedure
previste dalle norme. Ad esempio:
stiamo, con l’AIPO, avviando l’appalto per
i primi due progetti, per circa 11 milioni di
euro sui 20 complessivi, per l’innalzamento
degli argini del Po; non posso pretendere di
avere subito i restanti 9/10 milioni. Ecco,
diciamo che ci sono delle scadenze e delle
cadenze temporali, che vanno rispettate, però
la Regione c’è».
Come a livello nazionale e anche mondiale,
il messaggio è quello di non perdere
la fiducia, perché l’istituzione c’è.
«Esatto. Direi che perdere la fiducia è non
avere prospettiva. I tempi sono abbastanza
bui ed è difficile vedere la fine del tunnel,
come si usa dire, o la soluzione delle criticità;
ma ora sembra che le cose vadano meglio.
Non possiamo già dire che siamo fuori
dall’emergenza, che senz’altro la recessione
è terminata o che l’inflazione non è più
un rischio: siamo ancora nel pieno della
battaglia. Lo stesso vale per le Amministrazioni,
ma la fiducia non va persa perché la
Regione è impegnata anche con gli altri enti:
Provincia, Camera di commercio Comuni
e le altre aziende del sistema regionale allargato.
Non dimentichiamo che in ogni
provincia c’è ASL (Azienda Sanitaria Locale),
Azienda Ospedaliera, c’è ARPA (Agenzia
Regionale per la Protezione dell’Ambiente,
ALER (Azienda Lombarda per l’Edilizia
Residenziale), quindi mattoni importantissimi
della struttura territoriale. Di anno
in anno cresce la concertazione di tutti
questi con gli Enti che sono sul territorio,
Provincia in testa. Tutti quanti assieme si lavora.
Non vedo disastro davanti o dietro di
noi. Ci chiediamo ‘dove si va a finire?’. Dove
andremo a finire non si sa ancora, però
quelli che lavorano per cercare di andare a
finire bene ci sono! Tutto sommato, ci stiamo
impegnando con efficacia ed efficienza.
Ma un giudizio di merito spetta all’Amministrazione
regionale, col presidente Formigoni
in testa, che lo ripete tutti i giorni: la
Regione è impegnata a sostenere tutti,
ovunque, soprattutto quelli più deboli».

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 37
Rispettiamo le distanze
*Avv. Gianmarco Beccalli, delegato della
Fondazione ‘de iure publico’ per la Provincia
di Lecco e membro dei Comitati scientifici
U n
quesito che spesso ci si sente porre
in materia di distanze legali tra proprietari
di terreni finitimi è quello riguardante
la possibilità di richiedere, per il
proprietario di un fondo, l’estirpazione di
alberi piantati sul suolo del vicino a distanza
inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.
Nello specifico, le richieste per la redazione
di una relazione dottrinale in materia
mirano, quindi, molte volte, a verificare l’eventuale
subordinazione alla concreta e reale
presenza di una effettiva turbativa della
possibilità di ottenere, da parte del proprietario
di un fondo, l’estirpazione degli alberi
radicati all’interno del fondo finitimo ma al
di fuori delle distanze previste dalla legge.
Finalmente, con sentenza
n. 15236 del 09 Giugno
2008, la seconda sezione
della Suprema Corte ha
chiarito ogni ragionevole
dubbio in materia, decidendo
la questione posta alla
propria attenzione dal proprietario
di un fondo che, avendo convenuto
in giudizio il proprio confinante, al fine
di ottenere la condanna di quest’ultimo alla
estirpazione, o quanto meno all’arretramento,
di una serie di piante ed arbusti radicati
a distanza inferiore a quella di legge dal proprio
confine e da una strada pedonale di cui
l’attore era in parte proprietario, aveva, altresì,
richiesto la condanna dello stesso al risarcimento
dei danni subiti a un occhio a
causa dei rami e delle foglie protese dal fondo
del convenuto sul citato viottolo pedonale
confinante con il fondo di quest’ultimo.
In tema di distanze legali spesso si creano dispute
tra i proprietari di terreni confinanti, come quella
riguardante la richiesta di estirpazione di alberi
piantati a distanza troppo ravvicinata.
Gianmarco Beccalli*
Davanti alla Suprema Corte
La questione era giunta alla Suprema Corte
dopo una sentenza favorevole emessa in
primo grado dal Giudice di Pace assegnatario
della causa, ribaltata invece in secondo
grado dal Giudice di Appello.
Il Giudice di Pace, infatti, ritenendo fondate
le richieste attoree condannava il convenuto
al riposizionamento o l’estirpazione
di tutte le piante e gli arbusti oggetto di
causa, con contestuale obbligo, sempre a
carico del vicino convenuto, dell’effettuazione
di una manutenzione periodica degli
arbusti e delle piante dopo a
riposizionamento avvenuto.
Proposto appello alla citata
sentenza dal convenuto, il
giudice di Appello riteneva,
contrariamente a quanto deciso
dal Giudice di Pace in
primo grado di accogliere le
richieste dell’appellante (vicino
convenuto) e di respingere,
quindi, la richiesta di estirpazione
promossa ed accolta
in primo grado dall’attore.
Sottoposta, come detto, in ultima
istanza, la questione alla
Suprema Corte, quest’ultima
‘ Il compito del giudice
di merito è limitato
alla verifica del rispetto
della distanza prescritta ’
si esprimeva nuovamente a
favore dell’attore ritenendo,
definitivamente, del tutto infondate
le motivazioni di parte
convenuta.
Dopo una attenta analisi dei
due gradi di giudizio precedenti,
infatti, la Corte decideva
che in base all’interpretazione
costituzionalmente orientata
degli articoli 892,
893 e 894 c.c., infatti, il proprietario
del fondo può chie-
dere l’estirpazione degli alberi posti nel fondo
del vicino a distanza minore di quella di
legge, a prescindere dalla valutazione della
esistenza di una effettiva turbativa.
La finalità delle norme citate, infatti, è
quella di salvaguardare il fondo in sé, indipendentemente
dalle sue particolari caratteristiche
o esigenze, sicché il compito del
giudice di merito è limitato alla verifica del
rispetto della distanza prescritta, senza doversi
estendere a indagare la concreta esistenza
di un eventuale danno derivante dal
mancato rispetto di tale distanza.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 37
ssoottttoo llaa lleenntte

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 38
sotto la lente
38
Annullamento dell’aggiudicazione dell’appalto
e sorte del contratto medio tempore stipulato.
Paolo Sanino*
Q uesta
*Avv. Paolo Sanino (Regione Lazio),
membro dei Comitati scientifici
della Fondazione ‘de iure pubico’
tematica continua a suscitare
riflessioni tra gli operatori del diritto,
essa affronta il rapporto tra l’aggiudicazione
di un appalto e il contratto, e
più specificamente le vicende che legano
l’annullamento della aggiudicazione pronunciata
dal giudice amministrativo e la
sorte del contratto nel frattempo sottoscritto
proprio in virtù di quella aggiu-
dicazione. La ampia e variegata
platea cui è rivolta la rivista, fatta
non solo di tecnici del diritto, mi
impone di adottare, sperando di
esserne capace, un linguaggio chiaro
e semplice, e di illustrare le tematiche
che seguono nel modo
più conciso possibile. La problematica,
se per qualcuno potrebbe
risultare un esercizio meramente
teorico che ha lasciato lo spazio alle più
suggestive elaborazioni dottrinali, è intrisa
di risvolti pratici estremamente delicati,
che coinvolgono non solo gli operatori del
diritto in senso stretto, ma anche i funzionari
della pubblica amministrazione, chiamati
a dare corretta esecuzione alle pronunce
giurisdizionali, il contenuto delle
quali costituisce un vincolo permanente e
puntuale sulla successiva attività dell’amministrazione.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Appalti e contratti
In particolare, il giudice da adire, la natura
della domanda da proporre, la categoria
della invalidità in cui ricomprendere il vizio
da cui è affetto il vincolo contrattuale,
sono gli aspetti principali della vicenda che
ci occupa.
La sorte del contratto
Il codice dei contratti pubblici non disciplina
le vicende legate alla sorte del contratto
in seguito alla sentenza di annullamento
della aggiudicazione, aspetto, questo, sul
quale dottrina e giurisprudenza si sono affannate
a elaborare le teorie più diverse.
L’annullamento della aggiudicazione, in effetti,
non può non riverberarsi sul contratto
nel frattempo sottoscritto tra la stazione
appaltante ed il soggetto aggiudicatario.
Nel delineare i rapporti tra annullamento
dell’aggiudicazione e contratto, parte della
giurisprudenza ha parlato di annullabilità
assoluta dell’atto negoziale, azionabile,
dunque, anche dal privato interessato a rimuovere
le illegittimità denunciate.
Questa impostazione, oltre ad essere in armonia
con la natura impugnatoria del giudizio
amministrativo, supererebbe il limite
della tradizionale impostazione, secondo
cui spetta l’azione di annullamento solo alla
pubblica amministrazione, e ciò sul presupposto
che le norme di disciplina della
‘ Il giudice da adire, la natura della
domanda da proporre, la categoria
della invalidità in cui ricomprendere
il vizio da cui è affetto il vincolo
contrattuale, sono gli aspetti principali
della vicenda che ci occupa ’
scelta del contraente sarebbero a esclusivo
interesse della parte pubblica.
La critica mossa alla predetta impostazione
risiede nel fatto di attribuire la titolarità ad
agire proprio e soltanto al soggetto a cui è
riconducibile la illegittimità del provvedimento
annullato, lasciando per di più il
privato interessato spettatore passivo anche
della eventuale inerzia della amministrazione,
laddove quest’ultima non si conformasse
al giudicato, o comunque non adeguasse
la situazione di fatto a quella di diritto, con
la conseguenza di vanificare l’utilità conseguita
dal privato in sede processuale.
Per tale ragione si è ritenuto utile allargare
la titolarità dell’azione di annullamento
anche al privato che abbia ottenuto l’annullamento
dell’aggiudicazione.
Teoria suggestiva
Non è mancato chi ha parlato di
nullità del contratto, teoria suggestiva
ma criticata per non tener
conto del fatto che la nullità presuppone
un vizio originario, mentre
nel caso di specie il vizio sta nel
percorso di formazione della volontà
dell’amministrazione.
E ancora c’è chi ha prospettato la categoria
dell’inefficacia sopravvenuta, recentemente
sposata da alcune pronunce del Consiglio
di Stato, che vuole un vincolo di tipo teleologico
tra aggiudicazione e contratto.
Oltre ai profili di interesse sostanziale,
quali la legittimazione ad agire, e le conseguenze
derivanti dalla categoria di invalidità
alla quale si intende aderire, resta annoso,
per quanto per ora apparentemente
risolto, il problema della giurisdizione sul

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 39
la domanda volta a ottenere una pronuncia
di invalidità del contratto stipulato prima
della pronuncia di annullamento della
aggiudicazione.
Cosa dice il Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria,
con la decisione del 30 luglio 2008 n. 9, ha
affermato la giurisdizione civile
della domanda volta ad accertare la
inefficacia del contratto, una volta
annullata la aggiudicazione da parte
del giudice amministrativo. Oggetto
della questione affrontata,
l’intento di verificare se l’ambito
della giurisdizione esclusiva, di cui
all’art. 6 L. 205/2000, vada circoscritto
alle controversie relative alle
procedure di affidamento di appalti
pubblici, ovvero ricomprenda
anche le vicende legate alla validità
e alla efficacia del contratto, oppure
se rientri nella cognizione del
giudice amministrativo il potere di
accertare l’inefficacia del contratto
con una sentenza dichiarativa, pronunciata
incidentalmente, ai sensi
dell’art. 7 L. 205/2000.
Al centro dell’attenzione gli appalti per Expo 2015
Codice degli appalti
L’art. 244 del codice degli appalti che devolve
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie, incluse
quelle risarcitorie, relative a procedure
di affidamento di lavori, servizi, e forniture,
svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente o del socio, al-
Attesa: Brunetta ha anticipato che prenderà provvedimenti
contro la corruzione nella P.A. in fatto di appalti
l’applicazione della normativa comunitaria,
ovvero al rispetto dei procedimenti
di evidenza pubblica, è stato tradizionalmente
interpretato nel senso di attribuire
la giurisdizione de giudice civile ogni
qual volta siano da accertare le conseguenze
provocate dalla sopravvenuta
mancanza della legalità del vincolo contrattuale,
nonché quando si debbano individuare
le conseguenze prodotte sul
contratto dalla sentenza di annullamento
della aggiudicazione del giudice amministrativo.
Anche la previsione del codice di cui all’art.
11 comma 7 ai sensi del quale ‘l’aggiudicazione
definitiva non equivale ad
accettazione dell’offerta. L’offerta dell’aggiudicatario
è irrevocabile fino al termine
stabilito dal comma 9’, appare incidere ai
fini del riparto di giurisdizione, a vantaggio
della cognizione del giudice ordinario
come conseguenza della separazione
tra il momento privatistico della stipula
e quello ancora pubblicistico della
aggiudicazione.
Su questa impostazione, dunque, una
volta annullata l’aggiudicazione da parte
del giudice amministrativo, sarà obbligo
per l’amministrazione procedente di
conformarsi alle statuizioni contenute
nella sentenza.
In sede di esecuzione
In adesione a quanto affermato dalla
Corte di cassazione, sez. I con la sentenza
15 aprile 2008, n. 9906, il Consiglio
di Stato ha affermato che, in sede di esecuzione
della sentenza, l’amministrazione
non potrà non rilevare la sopravvenuta
caducazione del contratto, con il conseguente
obbligo di orientare in tal senso
la sua ulteriore attività.
Ne consegue che l’eventuale inerzia della
stazione appaltante, ovvero la mancata
conformazione al giudicato,
sarà censurabile
dal giudice dell’ ottemperanza,
chiamato
a realizzare il contenuto
conformativo della
sentenza.
Mentre il giudice civile
sarà investito della
declaratoria di inefficacia
del contratto,
permane il sindacato
del giudice amministrativo
sulle situazioni
che restano nel campo
del diritto pubblico,
senza interferire
con i diritti soggettivi
sorti dal vincolo negoziale.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009 39
ssoottttoo llaa lleenntte

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 40
speciaale sicurrezzzaa a cura dei comitati scientifici
40
A sette
anni dalla sua entrata
in vigore, sul D.lgs. 231 è
intervenuta una cospicua
giurisprudenza (che ha analizzato i
contenuti di alcuni modelli di organizzazione,
giudicandone l’efficacia
ai fini preventivi) e, da ultimo, anche
il legislatore (ampliando il novero
dei reati presupposto). Quando
pareva che fosse stato raggiunto un
certo equilibrio nell’applicazione del
testo normativo, peraltro, interpreti
e operatori si sono trovati nella necessità
di confrontarsi con una ulteriore,
significativa, novità: il D.lgs.
81/2008, cd. T.U. sulla sicurezza,
hainfatti introdotto all’art. 30 ‘il
modello di organizzazione e di gestione
idoneo ad avere efficacia esimente
della responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche, delle società e
delle associazioni anche prive di personalità
giuridica di cui al D.lgs.
231/2001’, al fine di ‘assicura[re] un
sistema aziendale per l’adempimento
di tutti gli obblighi giuridici relativi a:
a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali
di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi
di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b) alle attività di valutazione dei rischi e di
predisposizione delle misure di prevenzione e
protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali
emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti,
riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni
dei rappresentanti dei lavoratori per la
sicurezza;
d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione
dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al
rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro
in sicurezza da parte dei lavoratori;
g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni
obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e
dell’efficacia delle procedure adottate’.
La rilevanza del tema è connessa, tra l’altro,
anche al fatto che, per i reati colposi, è prevista
la pena pecuniaria fissa, pari a mille
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
Testo unico
e APPLICAZIONE
Dopo sette anni dalla sua entrata in vigore il Decreto legislativo 231 è oggetto
di una cospicua giurisprudenza e di un’importante modifica legislativa.
Veronica Dini*
Sicurezza: un groviglio complesso da districare
quote, che rappresenta la più elevata di
quelle indicate dal D.lgs. 231/2001.
Necessità di rimodulare i criteri
di imputazione del reato
Ebbene, in tale contesto - a prescindere da
altri profili (quali, ad esempio l’obbligatorietà
o meno del modello di organizzazione ai
sensi dell’art. 30 T.U.S.) - non si può fare a
meno di rilevare che la recente novella legislativa
pone, innanzitutto, la necessità di rimodulare
il criterio principale di imputazione
della responsabilità dell’ente che, nel
D.lgs. 231/2001, collega il reato all’interesse
o al vantaggio della società (art. 5) ed è dunque
chiaramente orientato su responsabilità
individuali dolose. Nei reati colposi, al contrario,
il collegamento è piuttosto fra attività
di impresa (in cui il fatto colposo si colloca)
e interesse/vantaggio della società. Le prime
interpretazioni, sul punto, suggeriscono una
lettura del concetto di interesse/vantaggio
connesso al risparmio di spesa, in capo all’ente
che non appronta i sistemi di sicurezza.
Altri interpreti, invece, sopperiscono alla
difficoltà di affermare che una
condotta colposa, dunque priva di
un atteggiamento finalistico, possa
essere posta in essere nell’interesse
o a vantaggio di un ente, riconoscendo
rilevanza (ai fini dell’art. 5
D.lgs. 231/2001) al fatto che la
persona giuridica abbia comunque
tratto un vantaggio dal comportamento
criminoso del proprio dipendente.
Se, infatti, non si può
agevolmente argomentare che un
reato colposo sia stato commesso
al fine di arrecare un vantaggio a
terzi, è senza dubbio più agevole
sostenere che la condotta colposa
dell’amministratore o del dipendente
di una società abbia determinato
effetti economici positivi
in capo a quest’ultima. In questo
senso, il P.M. dott. Guariniello,
nella propria arringa di fronte al
G.I.P. di Torino, nel procedimento
relativo all’incidente occorso alla
Thyssenkrupp, ha drasticamente
affermato che ‘una norma di legge estende la
responsabilità degli enti ai reati di omicidio
colposo o di lesione personale colposa grave o
gravissima da lavoro, e, quindi, il criterio dell’interesse
o vantaggio deve essere necessariamente
inteso e applicato in termini compatibili
con la natura colposa di questi reati’.
L’applicazione di tali criteri di imputazione
è, naturalmente, più agevole in caso di colpa
cosciente, quando cioè la violazione della
normativa cautelare sia compiuta intenzionalmente
dal soggetto agente che, ciò
nonostante, non vuole il prodursi dell’evento
dannoso a carico di terzi.
I. Zavagno
I modelli di organizzazione
Anche per quanto attiene i reati colposi in
materia di sicurezza e igiene sul lavoro, unica
chance per l’ente di scongiurare la responsabilità
è, come noto, quella di dotarsi
di modelli organizzativi interni e di un organismo
di controllo.
In relazione al primo profilo, la giurisprudenza
(sostanzialmente di merito) ha dimostrato
un atteggiamento assai rigoroso, fi

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 41
della SICUREZZA
del D.L.G S. 231/2001
nendo per lo più con il considerare la commissione
del delitto come prova dell’inefficienza
del modello predisposto. Nel merito,
le pronunce emesse sino ad ora contengono
prescrizioni specifiche in relazione all’idoneità
del modello e alla sua efficace attuazione.
Si consideri, a tal fine, oltre che l’ordinanza
G.I.P. Roma, 4.4.2003, quella emessa dal
G.I.P. Milano, il 9.11.2004, secondo cui:
- ‘il modello dovrà essere concreto, efficace e dinamico,
cioè tale da seguire i cambiamenti dell’ente
cui si riferisce. La necessaria concretezza
del modello, infatti, ne determinerà ovviamente
necessità di aggiornamento parallele all’evolversi
e al modificarsi della struttura del rischio
di commissione di illeciti’;
- l’analisi della realtà aziendale ‘deve sfociare
in una rappresentazione esaustiva di come i
reati possono essere attuati rispetto al contesto
operativo interno ed esterno in cui operi l’azienda.
In questa analisi, dovrà necessariamente
tenersi conto della storia dell’ente - anche
giudiziaria - e delle caratteristiche degli altri
soggetti operanti nel medesimo settore’;
- solo un’analisi specifica e dettagliata può consentire
un adeguato e dinamico sistema di controlli
preventivi e può consentire di progettare
specifici protocolli diretti a programmare la formazione
e l’attuazione delle decisioni dell’ente
in relazione ai reati da prevenire’;
- deve essere espressamente prevista la comminazione
di sanzioni disciplinari nei confronti
degli amministratori, direttori generali e compliance
officers che per negligenza - ovvero imperizia
- non abbiano saputo individuare, e conseguentemente
eliminare, violazioni del modello
e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati.
Anche il G.I.P. del Tribunale di Napoli, nell’ordinanza
datata 25.6.2007, ha ritenuto
inadeguato il modello adottato dalla capogruppo
e dalle società controllate imputate
in quanto, tra l’altro:
- non erano specificati i requisiti di professionalità
dei componenti dell’O.D.V. né
quelli di indipendenza dell’organismo stesso;
- non erano previste sanzioni per la violazione
degli obblighi di informazione nei confronti
dell’O.D.V.;
- per le are sensibili non erano state adottate
‘previsioni specifiche, procedure esattamente determinate
e determinabili, regole individuate
anche nella loro rigida sequenza e funzionalmente
dirette a garantire il conseguimento di
precisi risultati’: secondo il G.I.P., infatti, una
volta individuate le aree di rischio, la società
‘deve stabilire per ognuna di esse degli specifici
protocolli di prevenzione che regolamentino nel
modo più stringente ed efficace possibile le attività
pericolose, sottoponendo le regole a un’efficace
e costante azione di controllo e presidiandole
con altrettante e adeguate sanzioni’.
Le indicazioni fornite dalla giurisprudenza
di merito, certamente rigorose, appaiono
forse meno innovative nel campo della sicurezza
e igiene sul lavoro, se raffrontate agli
obblighi - precisi e stringenti - già imposti
dal previgente D.lgs. 626/1994 e dagli standard
UNI e OHSAS 18001. Da questo
punto di vista, il problema, piuttosto, si pone
in relazione al coordinamento fra le procedure
esistenti e quelle introdotte dal nuovo
T.U.S. e fra l’attività svolta dal SPP e
quella attribuita all’Organismo di vigilanza.
Organismo di vigilanza
Anche a proposito di quest’ultimo, dei suoi
poteri e delle responsabilità dei suoi componenti,
peraltro, la giurisprudenza ha fornito
specifiche indicazioni che risultano di particolare
interesse, anche ai fini delle presenti
note. In particolare, per quanto attiene alla
composizione degli ODV, è stato precisato
che:
- l’O.D.V. dovrebbe essere, innanzitutto, un
organismo ad hoc;
- dovrebbe essere collegiale (G.I.P. Roma,
4.4.2003);
- esso dovrebbe, poi, garantire autonomia e
indipendenza: dovrebbe essere dunque composto
da soggetti estranei all’impresa, con
ampi poteri di ispezione anche nei confronti
degli amministratori;
- appare auspicabile che sia formato da soggetti
non appartenenti agli organi sociali
(G.I.P. Roma, 14.4.2003) e non dovrebbe
avere compiti operativi che, facendolo partecipe
dell’attività dell’ente, potrebbero pregiudicare
la sua serenità di giudizio;
- dovrebbero essere chiamati a partecipare
alle riunioni dell’ODV, l’internal audit e il
responsabile dei servizi legali.
In un caso specifico, è stata stigmatizzata la
scarsa indipendenza della persona chiamata
a far parte dell’ODV di una società capogruppo,
in quanto già deputata a svolgere
compiti di controllo interno: è opportuno,
infatti, in tali casi, costituire un analogo
ODV per le società controllate (G.I.P. Roma,
4.4.2003).Quanto ai requisiti che un
organismo di controllo deve possedere, la
giurisprudenza ha ritenuto che, se l’ODV
deve essere indipendente e in grado di controllare
non solo i dipendenti ma anche i
vertici aziendali, appare eccessivo, perché
operi la causa di ineleggibilità, che nei confronti
del soggetto che si vuole nominare sia
stata emessa una sentenza di condanna irrevocabile:
potrebbe, infatti, nominarsi, quale
componente dell’ODV un soggetto condannato
- seppure con sentenza non irrevocabile
- per corruzione/truffa aggravata ai danni
di un E.L. (G.I.P. Milano, 9.11.2004).
Si richiede, inoltre, una formazione specifica
e diversificata rispetto a quella dei dipendenti
(G.I.P. Milano, 9.11.2004).
Ampio dibattito, anche in dottrina, è sorto
in ordine ai poteri che dovrebbero essere attribuiti
all’O.D.V. In estrema sintesi, può
dirsi che dovrebbe essere dotato di budget
congruo e di poteri istruttori e ispettivi e dovrebbe
poter proporre procedimenti disciplinari.
Esso, inoltre, deve garantire un impegno
esclusivo in relazione all’attività di vigilanza
sulla concreta attuazione del modello
organizzativo (G.I.P. Roma, 14.4.2003).
Connesso al precedente è il problema del
flusso di informazioni. Sul punto, la giurisprudenza
ha precisato la necessità di:
- implementare sistematiche procedure di ricerca
e identificazione dei rischi, che preveda
controlli di routine e controlli periodici a
sorpresa nell’ambito delle attività aziendali
sensibili (G.I.P. Milano, 20.9.2004);
- prevedere un obbligo per dipendenti, direttori,
amministratori della società di riferire
all’ODV notizie rilevanti relative alla vita
dell’ente, alle violazioni del modello o alla
consumazione di reati, nonché di fornire
concrete indicazioni attraverso le quali coloro
che vengano a conoscenza di comportamenti
illeciti possano riferire all’ODV
(G.I.P. Milano, 9.11.2004).
Un ultimo, rilevante, aspetto, concerne le responsabilità
penali in cui possono incorrere i
componenti dell’O.D.V.: secondo il Tribunale
di Milano, infatti, devono essere previste
sanzioni disciplinari nei confronti dei
compliance officers che, per negligenza o imperizia,
non abbiano saputo individuare e,
conseguentemente, eliminare, violazioni del
modello e, nei casi più gravi, perpetrazione
dei reati (G.I.P. Milano, 20.9.2004).
*Avv. Veronica Dini,
membro dei Comitati scientifici
della Fondazione ‘de iure publico’
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
41
ssppecciialee siiccurreezzza

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 42
sentenze a cura dei comitati scientifici
42
S e
Limiti EDIFICATORI
T.A.R. Brescia (sezione I) - sentenza n. 1473 del 30 ottobre 2008.
Trasformazione zone agricole: limiti entro cui i Comuni possono ridurre la
facoltà edificatoria in zona agricola.
in una determinatazona
sono presenti
insediamenti
residenziali, questo
non basta a dare alle
aree agricole una vocazione
residenziale
di fatto, potendosi
sostenere la tesi del
travisamento della
situazione di fatto (e
quindi della violazione
dei principi in
materia di zonizzazione)
solo se i mappali
in contestazione
sono interclusi all’interno
di una zona
urbanizzata e dotata
delle infrastrutture
fondamentali.
La semplice vicinanza
(o su un lato la
contiguità) con aree
edificate a scopo residenziale
non garantisce
l’estensione
della disciplina urbanistica
più favorevole.
- Con riferimento ai
limiti entro cui i comuni possono ridurre
le facoltà edificatorie in zona agricola
direttamente stabilite dalla legge regionale
(dapprima l’art. 2 della LR 7 giugno
1980 n. 93 e ora l’art. 59 della LR
12/2005), le disposizioni della LR in
materia di edificazione nelle zone agricole
sono immediatamente prevalenti sugli
strumenti urbanistici comunali (nonché
sui regolamenti edilizi e sui regolamenti
di igiene). La clausola di prevalenza è
espressamente prevista dall’art. 4 della
LR 93/1980 e dall’art. 61 della LR
12/2005.
Attraverso questa clausola è garantita l’uniformità
dell’utilizzazione agricola del
territorio su base regionale ed è assicurato
un trattamento paritetico ai soggetti
con la qualifica di imprenditore agricolo.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
La finalità della norma è di permettere
l’insediamento di strutture produttive e
di abitazioni residenziali in forma omogenea
senza gli effetti antieconomici derivanti
dalla frammentazione della disciplina
a livello comunale.
Per questo motivo la disciplina di legge
non solo si sostituisce (senza bisogno di
recepimento) alle disposizioni contenute
negli strumenti urbanistici comunali esistenti
ma non accetta neppure di essere
derogata da uno strumento urbanistico
comunale adottato o approvato successivamente.
Le restrizioni che possono essere
introdotte in ambito locale sono unicamente
quelle giustificate da esigenze di
tutela ambientale accertate nella programmazione
sovracomunale e in particolare
nel PTCP .
Ed ancora, se il PRG è in itinere, il passaggio
dai PRG ai PGT stabilito dalla
LR 12/2005 non ha cambiato il significato
della clausola di prevalenza, la quale
opera nei confronti di qualunque
strumento urbanistico comunale, indipendentemente
dalla denominazione,
dalla tipologia e dal tempo di approvazione.
Una conferma può essere rinvenuta nell’art.
62-bis comma 1 della stessa LR
12/2005, introdotto dall’art. 1 comma 1
lett. r) della LR 14 luglio 2006 n. 12, il
quale stabilisce che fino all’approvazione
dei PGT la disciplina legislativa regionale
(compresa evidentemente la clausola
di prevalenza) si intende riferita alle aree
classificate dagli strumenti urbanistici
comunali vigenti come zone agricole.

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 43
T.A.R. BRESCIA: sentenza n. 1258 del 13 ottobre 2008
Beni culturali - Autorizzazione alla vendita (di immobile
non originariamente soggetto a prescrizioni) richiesta alla
Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio
e successivamente alla Soprintendenza Regionale per i
Beni e le Attività Culturali ai sensi dell’art. 7 del D.P.R.
283/2000 (v. ora art. 55 D. Lgs. n. 42/2004) - Prescrizioni
circa interventi consentiti e non- Nuovo PRG e vincolo storico-artistico.
Nella fattispecie oggetto della pronuncia de qua, si è posto il caso in
cui un edificio (in fase di alienazione) pur non essendo sottoposto a
vincolo storico-artistico derivante da una formale dichiarazione di
interesse ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (v.
ora art. 13 del D.Lgs. 42/2004), trattandosi di complesso immobiliare
di oltre 50 anni e di proprietà di un Ente ecclesiastico, si vedeva
automaticamente attribuire la qualificazione di bene culturale al
verificarsi dei presupposti di legge, ai sensi degli artt. 2 comma 6 e 5
del D. Lgs. 490/1999 (v. ora gli art. 10 comma 1 e 12 comma 1 del
D. Lgs. n. 42/2004), oltreché sulla base di una ricognizione descrittiva
del compendio di cui trattasi effettuata dalla Soprintendenza
Regionale per i Beni e le Attività Culturali (in ultima istanza rispetto
alla Soprintendenza per i Beni architettonici e per il Paesaggio),
che lo riteneva quale significativo esempio di architettura.
Per quanto riguarda l’alienabilità dell’immobile medesimo, la Soprintendenza
Regionale ha contestualmente rilasciato la relativa autorizzazione
fissando però alcune prescrizioni circa gli interventi
edilizi consentiti, ammettendo precipuamente le opere di manutenzione
e restauro conservativo nel rispetto delle caratteristiche architettoniche
e volumetriche, dei materiali, dei dettagli storici, del contesto
ambientale e paesistico.
Al contrario, venivano dichiarati inammissibili gli usi incompatibili
con il carattere storico-artistico, ovvero pregiudizievoli per l’integrità
del complesso immobiliare, con contestuale previsione di inserimento
nel contratto di cessione di una clausola di risoluzione per
il caso di inottemperanza alle suddette prescrizioni, come stabilito
dall’art. 11 del DPR 283/2000 (v. ora l’art. 55-bis del D. Lgs.
42/2004).
Inoltre, in relazione alla deliberazione consiliare adottata dal Comune
interessato nel caso concreto, mediante la quale veniva adottata
variante al PRG, con interventi che andavano ad incidere anche
sul compendio de quo, la Soprintendenza chiedeva la rivisitazione
della disciplina urbanistica, sì da meglio garantire il mantenimento
sia delle architetture sia delle aree verdi, richiesta alla quale il Comune
ottemperava.
Il ricorrente in uno dei motivi di ricorso, rilevava che, l’interpretazione
del vincolo esposta nella nota della Soprintendenza che segnalava
al Comune la presenza del vincolo storico-artistico, e fatta propria
dal nuovo PRG nel frattempo adottato dal medesimo, sarebbe
erronea, in quanto la presenza di un vincolo non comporterebbe l’inedificabilità
assoluta dell’area ma soltanto l’obbligo di sottoporre i
progetti all’approvazione della Soprintendenza ai sensi dell’art. 23
del Dlgs. 490/1999 (v. ora l’art. 21 comma 4 del Dlgs. 42/2004).
Il T.A.R. adito ha rilevato come la tesi non appare condivisibile: premesso
e puntualizzato che deve esservi coerenza tra il vincolo derivante
ex lege o costituito con provvedimento amministrativo e le
previsioni urbanistiche, ‘sarebbe contrario ai principi in materia di zonizzazione
ignorare o non tutelare adeguatamente un vincolo culturale,
in quanto verrebbe meno il necessario collegamento tra lo strumento
urbanistico e la situazione di fatto e di diritto presente sul territorio’.
T.A.R. BRESCIA: sentenza n. 1332
del 17 ottobre 2008
Contributo di concessione per aree agricole
Il requisito soggettivo che, in via eccezionale, per la
deroga prevista dall’art. 60 comma 1 lett. a) della
LR 12/2005 nonché dall’art. 17 comma 3 lett. a)
del DPR 380/2001, garantisce l’esenzione dal contributo
di costruzione è la qualifica di IAP (imprenditore
agricolo professionale), che in base all’art. 1
del Dlgs. 29 marzo 2004 n. 99 ha sostituito quella
di IATP (Imprenditore agricolo a titolo principale)
regolata dall’art. 12 della legge 9 maggio 1975 n.
153. Considerata la natura eccezionale della gratuità
del permesso di costruire, non è possibile ipotizzare
una fattispecie a formazione progressiva che ne
estenda la portata sotto il profilo temporale trasformando
in gratuite fattispecie originariamente onerose.
Questa conclusione risulta indirettamente
confermata dal fatto che è invece prevista la perdita
del beneficio della gratuità qualora le opere realizzate
a fini agricoli cambino destinazione d’uso nei 10
anni dall’ultimazione dei lavori (v. art. 52 comma 3
della LR 12/2005 e art. 19 comma 3 del DPR
380/2001).
Poiché il cambio di destinazione può essere determinato
dalla cessazione dell’attività agricola, il cui
svolgimento è necessario ai fini del mantenimento
della qualifica di IAP, si può osservare che eventuali
fatti sopravvenuti rileverebbero solo se fanno venire
meno i presupposti (oggettivi o soggettivi) dell’esenzione.
Rilevante è pertanto l’eventuale perdita
della qualifica di IAP successiva al rilascio del permesso
di costruire ma non l’acquisto tardivo.
T.A.R. MILANO (sezione II): sentenza n. 5154
del 17 ottobre 2008
Titoli edilizi in sanatoria: non sono ammissibili
modifiche di un fabbricato abusivo prima
della sua regolarizzazione attraverso la sanatoria.
Ai sensi dell’art. 23 della L.R. 24 dicembre 2003,
n. 30 la sanzione amministrativa prevista dall’art.
17 bis, comma 1, del r.d. 773/1931 è applicata a
chiunque eserciti l’attività di somministrazione di
alimenti e bevande non solo quando manchi la
prescritta autorizzazione, ma anche altro titolo autorizzatorio.
Poiché ai sensi dell’art. 9 c. 10 della L.R. 24 dicembre
2003, n. 30 le attività di somministrazione
di alimenti e bevande devono essere esercitate nel
rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni
in materia edilizia, urbanistica e igienicosanitaria,
nonché di quelle sulla destinazione d’uso
dei locali e degli edifici, fatta salva l’irrogazione
delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate,
nell’espressione ‘altro titolo autorizzatorio’ devono
ritenersi compresi anche i titoli edilizi.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
43
seentenzzee

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 44
sentenze a cura dei comitati scientifici
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T.A.R. BARI (sezione III): sentenza n. 2350 del 21 ottobre 2008
Istanza di ritipizzazione urbanistica – Silenzio/rifiuto serbato dalla P.A. – Obbligo di concludere il procedimento - Riesame
di determinazioni assunte precedentemente e rimaste inoppugnate: presupposti per il riesame delle medesime.
Nell’ambito del procedimento de quo, avente ad oggetto l’accertamento del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione resistente sull’istanza
di ritipizzazione urbanistica delle aree di proprietà di parte ricorrente (istanza presentata sul presupposto dell’avvenuta caducazione
dell’originaria destinazione della zona di cui trattasi impressa dal vigente piano regolatore), oltreché per la declaratoria dell’obbligo
di concludere il procedimento entro un termine non superiore a trenta giorni con contestuale nomina di un commissario ad acta per
il caso di persistente inerzia, si costituiva in giudizio l’Amministrazione resistente, eccependo l’inammissibilità/improcedibilità e infondatezza
del gravame, sostenendo, tra l’altro, che il vincolo non potesse ritenersi nella specie caducato per sua stessa natura, con conseguente
inconfigurabilità di un’ipotesi di inerzia dell’amministrazione.
Il T.A.R. adito, ha ritenuto inammissibile il ricorso, considerato che, con precedente nota, la P.A. resistente, in risposta a precedenti diffide
di analogo contenuto a quella per cui è causa, ha opposto agli odierni ricorrenti una compiuta serie di argomentazioni tese a dimostrare
la perdurante vigenza dell’originaria disciplina urbanistica e, conseguentemente, l’inconfigurabilità di un obbligo di ritipizzazione
in capo alla stessa; determinazione escludente qualsivoglia interesse al presente gravame. Invero, il Tribunale ha sostenuto che ‘…
non può configurarsi il silenzio-rifiuto con riferimento alla nuova diffida di analogo tenore, giacchè - per consolidata giurisprudenza- non si
forma il silenzio sull’istanza tesa ad ottenere il riesame di determinazioni assunte in precedenza e rimaste inoppugnate’, considerata, peraltro,
la non risultanza di ‘… allegati elementi di novità rispetto al quadro - giuridico e di fatto - quale si presentava all’epoca dell’adozione della
citata nota. Soltanto sopravvenienze di fatto o giuridiche avrebbero potuto invero giustificare una richiesta di riesame con conseguente configurazione
dell’obbligo della p.A. di pronunziarsi’.
T.A.R. LIGURIA: sentenza n. 1871 del 29 ottobre 2008
Reiezione richiesta condono edilizio ai sensi della L. 23.12.1994, n. 724 - Silenzio assenso formatosi sull’istanza
di condono edilizio presentata per area sita in zona vincolata per ragioni paesaggistiche
Nell’ambito della pronuncia in esame, il ricorso proposto ha ad oggetto la richiesta di annullamento di un novero di quattro
provvedimenti relativi alla reiezione di istanze di condono edilizio (riguardo al mutamento di destinazione d’uso, senza idoneo
titolo, apportato ai fabbricati de quibus), presentate dall’interessata in merito ad altrettante costruzioni.
Riguardo alla prima censura, concernente la denuncia della violazione procedimentale in cui sarebbe incorsa l’amministrazione
resistente per non aver rispettato il principio del contraddittorio (adottando i provvedimenti gravati senza preannunciare alcunché
alla parte istante), il T.A.R. adito ha rilevato che ‘la domanda di condono edilizio ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724
dava corso ad un procedimento ad istanza di parte, per cui prima dell’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005, n. 15 la P.A. non
aveva obblighi di previa comunicazione circa la maturazione di un orientamento sfavorevole nei riguardi
della domanda’; di guisa che, al tempo dell’adozione dei provvedimenti in oggetto, non sussisteva
un obbligo per la P.A. di notiziare una parte istante in ordine al possibile diniego.
Inoltre, il Collegio, in relazione alla seconda delle censure proposte dalla ricorrente (avente ad oggetto
la denunciata violazione di legge in cui sarebbe incorsa la P.A., la quale non avrebbe tenuto conto
della formulazione degli artt. 39 comma 4 della legge 23.12.1994, n. 724, in relazione agli artt.
32 e 35 della legge 28.2.1985, n. 47, in quanto sull’istanza si sarebbe formato il silenzio assenso con
il compimento del termine annuale previsto dalla legge 23 dicembre 1994, n. 724), ha rilevato - posto
che l’area in questione si trova in una zona vincolata per ragioni paesaggistiche e che le domande
di condono respinte con gli atti impugnati in questo giudizio ammettono detta circostanza - che,
nella fattispecie concreta, non può operare l’assentimento dell’istanza a seguito del decorso del termine,
dovendo invece intervenire un atto positivo dell’amministrazione preposta alla tutela del limite
all’edificazione.
Inoltre, relativamente al terzo motivo articolato (concernete la lamentata erroneità ed incompletezza
della motivazione degli atti impugnati, nella parte in cui adducono una pretesa incompatibilità ambientale
all’accoglimento delle domande, ed al fatto che l’amministrazione avrebbe operato un richiamo
apodittico alle esigenze di tutela ambientale, non tenendo conto che si tratta di piccole costruzioni nascoste nel verde,
che l’area risulta già adeguatamente servita dai servizi pubblici, oltreché nelle vicinanze esiste un insediamento di edilizia residenziale
pubblica), il T.A.R. adito non ha condiviso la censura, non essendo il riferimento alla tutela ambientale da reputarsi decisivo
ai fini della lettura della motivazione censurata, che è invece incentrata sulla valutazione del contrasto apportato dal complessivo
insediamento realizzato alle previsione del piano vigente, che destina l’area in questione al verde.
Si osserva infatti che il condono del 1974 aveva ampliato la volumetria conservabile rispetto alle previsioni introdotte nel 1985,
ma la fattispecie prevista era comunque ristretta ai singoli immobili; con ciò il legislatore aveva mostrato di voler consentire il
mantenimento dello stato di fatto esistente, relativamente agli abusi non incidenti sul territorio, in ragione del loro rilevante impatto;
‘… deve… osservarsi che l’argomentazione sottesa agli impugnati annullamenti non risulta scalfita dalla censura in esame: infatti
l’urbanizzazione che deriverebbe dell’area verde in questione dall’eventuale assenso al richiesto mutamento di destinazione d’uso è
stato ritenuto incompatibile con il piano vigente, per cui l’assenso richiesto comporterebbe l’implicita deroga ai presupposti della legge
724 del 1994’.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 45
T.A.R. LAZIO: sentenza n. 9575
del 4 novembre 2008
Richiesta concessione edilizia in sanatoria
in relazione a immobile vincolato
- diniego Soprintendenza per i
beni architettonici e per il paesaggio
- onere della prova di cui all’art. 2967
c.c. nel processo amministrativo -
art. 32 D.L. n. 269/03 e insanabilità
assoluta di interventi abusivi realizzati
su immobili sottoposti a vincolo
culturale.
Il ricorso de quo è volto ad ottenere, principalmente,
l’annullamento del diniego di
nulla osta espresso da parte della Soprintendenza
per i beni architettonici e del
paesaggio al rilascio della concessione edilizia
in sanatoria ai sensi dell’art. 32 del
D.L. 30.09.2003, n. 269, come convertito
nella Legge 24.11.2003, n. 326, con riferimento
ad un novero di opere eseguite abusivamente
dal ricorrente.
Precisamente, riguardo alla censura nella
quale viene dedotto che il vincolo di cui al
D.M. 14.12.1949 riguarderebbe esclusivamente
un numero civico specifico (che esula
da quello del ricorrente), il T.A.R. adito,
rilevando che la medesima non è meritevole
di accoglimento - non risultando detto
assunto adeguatamente dimostrato - ha
puntualizzato che ‘anche nel processo amministrativo
vale il principio dell’onere della
prova di cui all’art. 2697 cod. civ., secondo il
quale spetta al deducente fornire la dimostrazione
dei fatti posti a fondamento della propria
domanda. Lo stesso principio risulta mitigato
nel menzionato processo unicamente
nell’ipotesi in cui predetto deducente non abbia
la disponibilità delle prove, essendo queste
nell’esclusivo possesso dell’amministrazione.
In tal caso, infatti, è sufficiente che venga
fornito un principio di prova, ma nella specie
la prova dell’estraneità dell’appartamento
del ricorrente dal decreto di vincolo era nella
sua disponibilità, essendo agevolmente acquisibile
attraverso una visura storico catastale’.
È stata inoltre ribadita la non sanabilità ex
post, ai sensi dell’art. 32, comma 27 del
D.L. n. 269/2003, delle opere su beni oggetto
di vincolo, precisando al riguardo
che, in relazione al disposto normativo ut
supra citato (in base al quale è stata presentata
domanda di sanatoria), è prevista l’assoluta
insanabilità degli interventi abusivi
realizzati su immobili sottoposti a vincolo
culturale; di guisa che, non è pertanto necessaria
istruttoria alcuna da parte della
P.A. che, quindi, una volta richiamata la
disposizione normativa impeditiva al rilascio
del nulla osta ex post, non ha alcun obbligo
motivazionale.
T.A.R. REGGIO CALABRIA: sentenza n. 575 del 7 novembre 2008
Potere di annullamento autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza
per i Beni Architettonici e per il Paesaggio: regime transitorio
di cui all’art. 159 del D. Lgs. n. 42/2004: ampliamento poteri - Parere
ex art. 146 D. Lgs. n. 42/2004 da parte della Soprintendenza.
Nell’ambito della sentenza de qua, il Collegio adito ha osservato che, sino al 31
dicembre 2008, in materia di autorizzazione paesaggistica, trova applicazione il regime
transitorio di cui all’art. 159 del D. Lgs. n. 42/2004, secondo cui la Soprintendenza
per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, in luogo del prescritto parere
ex art. 146 D. Lgs. n. 42/2004, qualora ritenga l’autorizzazione non conforme
alle prescrizioni di tutela del paesaggio, serba un potere di annullamento mediante
provvedimento motivato entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa,
completa documentazione.
Il TAR adito ha altresì rilevato che, il potere di annullamento ut supra citato, va
esercitato con riferimento alla compatibilità paesaggistica dell’intervento: di guisa
che, ne discende un immediato ampliamento dei tradizionali limiti del controllo
di legittimità già espletato dalla Soprintendenza medesima nelle more dell’entrata
in vigore del regime ordinario di cui all’art. 146, il quale notoriamente contempla
l’obbligatorio intervento dell’organo statale nella fase endoprocedimentale
del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (nella forma, appunto, dell’emanazione
di un parere).
T.A.R. BARI: sentenza n. 2634 del 19 novembre 2008
Violazione delle norme della Legge n. 241/1990 - Preavviso di rigetto di
cui all’art. 10 bis della Legge n. 241/1990 - Procedimenti ad istanza di
parte e obbligo della comunicazione, ad avviso dell’Amministrazione
procedente, dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda - Sanatoria:
riferimento alla data di ultimazione delle opere eseguite - Oggetto
della valutazione della compatibilità ambientale.
Nell’ambito della pronuncia de qua, il T.A.R. adito ha rilevato che, nel caso concreto,
‘la decisione di subordinare l’accoglimento della domanda di condono all’osservanza
di particolari condizioni e prescrizioni a tutela del vincolo paesaggistico, benché
espressione di discrezionalità tecnico-amministrativa… e pur equivalendo ad un
implicito rifiuto del nulla osta per il caso che non siano accettate le modifiche atte a
consentire un armonico inserimento del manufatto nell’ambiente circostante, non é
stata preceduta dal c.d. preavviso di rigetto previsto dall’art. 10-bis della legge n.
241/1990’, sussistendo pertanto la prospettata violazione della norma ut supra, ‘…
da osservarsi nei procedimenti ad istanza di parte allorquando l’atto finale del procedimento
non sia il risultato di apprezzamenti, che, vincolati, facciano apparire irrilevante
la partecipazione dell’interessato…’. Invero, il Collegio adito ha rilevato che,
per giurisprudenza, sussiste l’obbligo della tempestiva comunicazione agli interessati
dei motivi che, ad avviso dell’Amministrazione procedente, si frappongono all’accoglimento
della domanda medesima, principio che trova generale applicazione
in tutti i procedimenti ad istanza di parte; di guisa che l’omessa comunicazione
del preavviso di diniego è causa di illegittimità del provvedimento amministrativo.
È stato altresì puntualizzato, secondo insegnamento del giudice amministrativo,
‘… che, ai fini della sanatoria - e, correlativamente, del nulla osta paesaggistico
laddove trattasi di opere eseguite su aree sottoposte a vincolo - occorre far riferimento
alla data di ultimazione delle stesse e, quindi, agli elementi strutturali o estetici
che già connotano le opere eseguite, dovendosi valutare la sanabilità o, prima ancora
in caso di contrasto con un vincolo ambientale, la compatibilità della costruzione,
così com’essa si presenta e non come potrebbe essere qualora fossero realizzate determinate
modifiche, strutturali o meno, che ne consentirebbero l’inserimento nell’ambiente
circostante’. Invero, oggetto della valutazione di compatibilità ambientale è il
manufatto edilizio così come si presenta alla data fissata dalla legge ai fini della sanatoria
dell’opera abusiva, precisando che ‘il parere favorevole condizionato a eventuali
modifiche determina l’elusione del termine di ultimazione del manufatto, il cui
rispetto costituisce invece il presupposto di ammissibilità alla procedura di sanatoria e
alla conseguente, ove necessaria, valutazione di compatibilità ambientale della costruzione…’.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
seentenzzee
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de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 46
sentenze a cura dei comitati scientifici
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T.A.R. BRESCIA (sezione I): sentenza
n. 1699 del 26 novembre 2008
Adozione e approvazione PGT - Aree
diversamente classificate rispetto al
previgente P.R.G. - Ampia discrezionalità
della P.A.: limiti alla sua sindacabilità.
Nell’ambito della pronuncia in esame, i ricorrenti
lamentano che, in seguito all’adozione
ed all’approvazione del PGT, i terreni
di loro proprietà hanno conseguito una diversa
classificazione puntualizzando altresì il
non accoglimento delle proprie osservazioni
presentate. Il T.A.R. adito ha rilevato che -
contrariamente a quanto sostenuto da parte
ricorrente in merito alla natura espropriativa
del vincolo imposto dalla P.A. sui terreni
de quibus, destinati, in parte, a zona ad edilizia
popolare - ‘... non vanno considerati
espropriativi i vincoli che importano destinazioni,
anche di contenuto specifico, realizzabili
ad iniziativa privata o promiscua, ovvero
sia pubblica sia privata, e non postulino di necessità
espropriazione o interventi ad esclusiva
iniziativa pubblica; a ben vedere, infatti, detti
vincoli non privano il contenuto del diritto
di proprietà ma si limitano a imporre al titolare
intenzionato a trarne le relative utilità di
seguire una data procedura (così nella giurisprudenza
di questo Tribunale la sentenza 11
giugno 2007 n.507; sul principio in generale
si vedano poi C.d.S. sez. IV 25 maggio 2005
n.2718 e sez. V 6 ottobre 2000 n.5327)’.
Inoltre, è stato osservato che, sia in base al
Documento di Piano, sia in base al Piano
dei Servizi, si contempla che gli interventi
previsti in tale zona siano soggetti ad un
mero e semplice piano attuativo e quindi
anche ad un piano di iniziativa privata, reputando
ciò coerente con la richiamata norma
generale del Piano delle Regole, in base
alla quale ‘…gli interventi previsti dal PGT
si realizzano con tutti gli strumenti attuativi
previsti dalla normativa, e quindi anche con
strumenti di iniziativa privata’.
Oltretutto, ‘nel formare i piani urbanistici di
carattere generale - e tale è indubbiamente il
PGT, configurato dalla legislazione regionale
come strumento sostitutivo del PRG - l’amministrazione
comunale è titolare di un’ampia
discrezionalità, sindacabile nella presente sede
giurisdizionale solo nel caso in cui approdi a
risultati manifestamente illogici’, ipotesi non
ricorrente nella fattispecie in esame. Più propriamente,
l’illogicità dedotta dai ricorrenti,
è sostenuta in base al fatto che le abitazioni
ad edilizia economica e popolare sarebbe
state previste e localizzate in zona centrale: il
Collegio ha al riguardo rilevato che, contrariamente
a quanto sopra argomentato, ciò
non è affatto manifestamente illogico o irrazionale,
posto che gli alloggi economici non
necessariamente devono situarsi in aree periferiche
o comunque estranee al centro.
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
T.A.R. BRESCIA (sezione I): sentenza n. 1704 del 27 novembre 2008
Contributo di costruzione - Assenza dell’obbligo di versare contributo costruzione
– Scomputo degli oneri di urbanizzazione - Riconoscimento interesse
pubblico
Nell’ambito della pronuncia de qua, concernente un permesso di costruire rilasciato per
la costruzione di asilo nido, la Società ricorrente, in seguito al versamento del contributo
di costruzione, ha richiesto al Comune interessato nel caso concreto, la restituzione della
relativa somma, considerato che la medesima- ex art. 16 comma 8 del D.P.R. n. 380/2001
- costituisce opera di urbanizzazione secondaria, e che i relativi oneri avrebbero dovuto essere
assunti dall’Amministrazione. Il T.A.R. adito, non ha reputato condivisibile il quadro
normativo prospettato da parte ricorrente; più propriamente, nella delineata ipotesi relativa
all’esenzione totale, il privato realizza un’opera espressamente qualificata di interesse
pubblico nello strumento urbanistico generale o nei piani attuativi, cui consegue automaticamente
l’esenzione, stante l’utilità derivante per l’amministrazione dalla realizzazione
della stessa. Tanto premesso, ‘non ricorre tuttavia questa fattispecie quando lo strumento
urbanistico si limita ad autorizzare una destinazione d’uso implicante la realizzazione di opere
astrattamente qualificabili come urbanizzazioni. L’ammissibilità di queste opere in una certa
zona del territorio non equivale al riconoscimento del loro interesse pubblico ma è soltanto
una regola che disciplina l’interesse economico dei privati. Il passaggio da opera di pertinenza
privata a opera di urbanizzazione richiede l’inclusione tra gli standard urbanistici che definiscono
la dotazione di servizi del territorio. Tale inclusione non deriva dalla semplice esistenza
dell’opera ma presuppone che sulla stessa vi possa essere un controllo pubblico. In proposito le
direttive regionali sul piano dei servizi (DGR n. 7/7586 del 21 dicembre 2001, parte III punto
2-e) specificano che i privati possono integrare gli standard urbanistici garantiti dall’ente
pubblico purché l’attività dei privati sia regolata ‘da un atto di asservimento o da un regolamento
d’uso che assicurino lo svolgimento e il controllo delle funzioni di interesse generale’.
Inoltre, ‘se l’opera di urbanizzazione per cui si chiede lo scomputo è la stessa opera oggetto del
permesso di costruire si ricade nella fattispecie di esenzione...’ di cui sopra. ‘Normalmente lo
scomputo riguarda invece opere aggiuntive rispetto a quella di interesse dei privati. Si tratta però
di opere che una volta realizzate non rimangono nella disponibilità dei privati ma vengono
acquisite al patrimonio indisponibile del comune. Nel caso in esame queste circostanze non
sono presenti e pertanto non vi sono le condizioni per applicare le norme sullo scomputo’.
T.A.R. BARI (SEZIONE III): sentenza n. 2768 del 3 dicembre 2008
Ordinanza di demolizione opere abusive - Istanza di sanatoria: silenzio
della P.A. - Silenzio/inadempimento e Silenzio/rigetto - Potere sanzionatorio
della P.A. non soggetto a prescrizione o decadenza - Individuazione
dell’area di pertinenza della res abusiva.
Nell’ambito del giudizio de quo, la ricorrente ha proposto impugnazione avverso l’ordine
di demolizione di opere eseguite senza il prescritto titolo abilitativo, rilevando che, al momento
dell’ingiunzione della rimozione da parte della P.A. interessata nel caso concreto,
quest’ultima non aveva ancora riscontrato l’istanza di sanatoria concernente i manufatti de
quibus. Il T.A.R. adito, ha osservato che il silenzio serbato dal Comune in merito all’istanza
di accertamento di conformità urbanistica ai sensi dell’art. 13 della L. n. 47/1985
(ora, dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001), non ha avuto valore di silenzio - inadempimento,
bensì di silenzio - rigetto, di guisa che, all’atto della sua formazione per inutile
decorso del relativo termine, non sussisteva obbligo di provvedere, dovendosi già ritenere
costituito il provvedimento negativo tacito.
Quanto al motivo di gravame afferente al fatto che l’ordine di demolizione è stato motivato
con riferimento ad un precedente ordine di sospensione dei lavori, mai notificato
alla ricorrente ed emesso in seguito al decorso di più di sette anni dalla conclusione
degli stessi, il Collegio ha rilevato che il medesimo è ‘… espressione del potere-dovere da
espletarsi senza che su di esso abbia inciso il lungo tempo trascorso dall’ordine di non proseguire
l’attività abusiva, trattandosi di illecito a carattere permanente, e non essendo soggetto
a decadenza o prescrizione il potere sanzionatorio svolto dall’amministrazione’.
Da ultimo, quanto alla censurata mancata individuazione dei manufatti dei quali è stata
minacciata l’acquisizione coattiva al patrimonio comunale se non rimossi dal responsabile
dell’abuso, il T.A.R. ha puntualizzato che ‘l’individuazione dell’area di pertinenza
della res abusiva non deve necessariamente compiersi al momento dell’emanazione dell’atto
di ingiunzione, bensì nel provvedimento successivo con il quale viene accertata la mancata
esecuzione dell’ordine e si procede all’acquisizione gratuita del bene al patrimonio del comune
ai sensi dell’art. 31 dpr n. 380/2001…’.

de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 47
’
L impresa
opera nel settore dell’edilizia
civile, industriale e delle opere
pubbliche. Si occupa sia per conto
proprio, che per conto terzi della costruzione
di nuove abitazioni, della costruzione
e manutenzione di edifici industriali e
commerciali,
nonché della
costruzione e
ristrutturazione
di edifici
pubblici,
quali scuole,
palestre, pi-
scine, case di riposo, etc…
I risultati raggiunti in 70 anni di attività
sono il frutto della capacità imprenditoriale
dei fondatori Antonio Castelli e della moglie
Norma ai quali subentrano successivamente,
i figli Marco e Giorgio che hanno
saputo continuare la loro opera con grande
passione, spirito innovativo e professionalità.
La continuità è attualmente garantita dalla
collaborazione in azienda di due figlie,
che si occupano dell’amministrazione e di
due figli che seguono l’aspetto tecnico dei
cantieri e le vendite.
Grazie inoltre ad un organico interno
professionalmente qualificato che vanta
ad oggi una struttura tecnica di cantiere
composta da 3 ingegneri, 2 architetti e
20 tra geometri e periti industriali, oltre
a 20 operai specializzati, un ufficio amministrazione
composto da 6 impiegati
amministrativi, un Ufficio Legale, un Ufficio
Acquisti, oltre ad innumerevoli collaborazioni
esterne, la Castelli Antonio Srl
si configura come una delle più rinomate
e qualificate Imprese edili del territorio.
Impresa
Castelli Antonio
La Castelli Antonio Srl nasce verso la fine degli anni
Trenta in forma individuale, per poi assumere nel corso
dei decenni la veste di Società di persone e oggi
di Società di capitale.
‘ Opera nel settore
dell’edilizia civile, industriale
e delle opere pubbliche ’
L’impresa aderisce all’Associazione Nazionale
dei Costruttori Edili e nell’ottica del
voler garantire la qualità e la sicurezza del
prodotto offerto alla Sua clientela, ha adottato
dall’anno 2000, un proprio sistema di
Gestione per la Qualità conforme alle normative
europee UNI
EN ISO 9001-2000
con Certificato n.
SQ00466/A rilasciato
da CSICERT sistema
di certificazione, certificato
che viene sorvegliato
annualmente e
riesaminato con periodicità triennale,
mentre dal 2003 con nuova certificazione
VISION 2000-9001, con riferimento ai
seguenti servizi: ‘Progettazione e costruzio-
ne di edifici civili ed industriali, commerciali
ed ospedalieri; interventi di restauro
su edifici di interesse storico e monumentale;
Edilizia sportiva e turistica’.
Per quanto riguarda i lavori pubblici,
in conformità al D.P.R 32/2000 la Società
ha acquisito l’Attestazione SOA CAT
OG1 CLASSE VI, rilasciata da BENT-
LEY SOA n. 4159/35/00 con validità fino
al 2011. Da dieci anni presente on line con
il sito http://www.impresa-castelli.it, a disposizione
per la consultazione libera delle
più significative opere eseguite ed in corso.
Per qualsiasi informazione contattare gli
uffici di Como, siti in Piazza Grimoldi, 8
- Tel 031.304.454 - Fax 031.304.228 - email:
info@impresa-castelli.it
Gli uffici e il magazzino
il Corriere de iure publico – gennaio 2009
47
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de iure publico 1 gennaio 2009 13-01-2009 13:00 Pagina 48
Fondazione
‘de iure publico’
Le nostre ‘case history’: spazi riservati
a studi professionali ed enti pubblici
Il Corriere de iure publico offre
ai partner della Fondazione
l’opportunità di presentare
la propria realtà e i propri
progetti attraverso gli spazi
editoriali dedicati alle ‘case
history’.
Le ‘case history’ sono pensate
per dare concretezza alle
opportunità delineate dal
cosiddetto decreto Bersani
(D.L. 4 luglio 2006, n. 223
convertito in legge 4 agosto
2006 n. 248) rivolto alle realtà
libero professionali, nonché
per offrire spazi adeguati alle
amministrazioni pubbliche
per l’espletamento degli
obblighi di comunicazione
e informazione, dettati dalla
legge n. 150 del 7 giugno 2000.
Per ulteriori informazioni consultare l’inserto all’interno di questo
giornale oppure contattare la segreteria della Fondazione ‘de iure
publico’, tel. 02 66989008